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scuola di perfezionamento in scienze
SCUOLA DI PERFEZIONAMENTO IN
SCIENZE CRIMINOLOGICHE E INVESTIGATIVE
TECNICHE D’INTERROGATORIO:
PERSUASIONE e COMUNICAZIONE NON VERBALE
Candidato: Aristide Capuzzo
Numero Matricola:
Relatore:
Anno di Perfezionamento: 2011/2012
1
INDICE
Premessa
5
Introduzione
6
1 Alcune tecniche di manipolazione coercitiva
11
1.1 Isolamento e legame affettivo
1.2 Controllo sociale e Group Thinking
1.2.1 Principi universali dell’influenza sociale
1.3 Controllo delle informazioni e nuovo linguaggio
1.4 Attacchi emotivi
2 Tecniche di manipolazione coercitiva utilizzate nelle torture
16
2.1 Privazione del sonno
2.2 Privazione sensoriale
2.3 Regressione e sottomissione
2.3.1 Principio del piede nella porta
2.3.2 Principio della porta in faccia o porta sul naso (R. Cialdini 1975)
2.3.3 Specchietto per allodole (Joule et al. 1989)
2.3.4 Libertà di scelta (Guéguen e Pascual 2000)
2.3.5 Menzogna per omissione (Cialdini et al. 1978)
2.4 Senso di colpa
2.5 Sostanze stupefacenti
2.6 Ingiunzioni paradossali e Doppio Legame
2.7 Dissonanza cognitiva
3 Sintesi
25
3.1 Persuasione coercitiva di Schein
3.2 Regressione-Aggressione di Ofshe
3.2.1 Cina maoista: Programmi nonconfined-nonassaultive
3.2.2 Soldati americani in Corea: Programmi confined-assaultive
3.2.3 L’interrogatorio della Gestapo
2
3.2.4 L’interrogatorio della CIA
4 L’interrogatorio di polizia
33
4.1 Poliziotto buono e poliziotto cattivo
4.2 Stress emotivo
4.3 Crimini di gruppo
4.4 Cold Shoulder (Spalla Fredda)
4.5 Narrazione ipotetica
4.6 Giustificazioni
4.7 Scenografia
5 L’interrogatorio strutturato dell’FBI
36
5.1 Avviare la comunicazione
5.2 Analisi
5.3 Verifica
5.4 Affronto
5.5 Sviluppo del Tema
5.6 Domanda alternativa
5.7 Riconferma e Confessione
6 Le tecniche future
44
6.1 Comunicazione non verbale – CNV
6.2 Segni alogici: la fuga inconscia di informazioni non verbali
6.2.1 Gesti inconsci regolatori
6.2.2 Emozioni del viso
6.2.3 Gesti inconsci adattatori
6.3 Segni prosodici e paralinguistici
6.4 la menzogna
7 Persuasione
51
7.1 Paura persuasiva e paralizzante
7.2 Reciprocità
7.3 L’imprevedibilità della stretta di mano
7.4 Altre osservazioni
3
8 Conclusioni
56
Bibliografia e sitografia
57
4
Premessa
Il termine manipolazione deriva dal latino manus (mano) e pilare (premere). Da
questa premessa, si capisce che s’intendono modificazioni fisiche attuate con l'uso
delle mani. Nel corso del tempo però, l'accezione di questa parola ha subito
modificazioni, arrivando a imprimersi in un campo semantico psicologico, spesso con
connotazione negativa. Quando le tecniche di manipolazione sono volte a ottenere
secondi fini, sono state classificate come coercitive.
Nelle seguenti pagine, si incontrerà frequentemente il termine manipolazione, che
all’interno di quest’analisi, sarà sempre inteso come una modificazione dello stato
delle cose tramite un intervento esterno, sia esso di natura psicologica, fisica o
ambientale. Non sarà espresso alcun giudizio morale sull’uso che ne è stato fatto o
che attualmente se ne fa.
Il fine di questa tesi è, dapprima, fare una panoramica su alcune tecniche che sono
state utilizzate nei più svariati settori, per poi passare a quei metodi che potrebbero
essere utili per ottenere resoconti fedeli dei fatti (la verità), o indicazioni utili al
riguardo, nel corso di testimonianze e interrogatori di polizia.
5
Introduzione
Non si può non comunicare.¹
Manipolare è comunicare.
Non si può non manipolare.
Dal sofisma enunciato, si deduce che qualsiasi forma di comunicazione, verbale e
non, apporta un cambiamento nello stato delle cose. Persino la non comunicazione
modifica in qualche modo un'interazione umana.
Prendendo per corretta questa teoria, tutti sono manipolatori manipolati.
Quello della manipolazione è un meccanismo innato. Infatti, ad esempio: per ottenere
da mangiare, il neonato dimostra il suo bisogno piangendo, in modo tale da ottenere
un cambiamento nello stato d'animo degli adulti che gli forniranno ciò di cui
necessita; rovesciando la medaglia, i genitori forniranno al bambino il cibo per far
cessare il pianto. In ogni caso, il bambino manipola i genitori che a loro volta stanno
manipolando lui.
Passando a uno stadio successivo nella crescita, e rimanendo soltanto teoricamente
all’interno di questo processo, quando il bambino riceverà premi ed elogi dagli adulti
in cambio di un comportamento adeguato, in linea di massima manterrà una condotta
conforme alla situazione per ottenere ciò che desidera. E a loro volta gli adulti, per far
crescere il figlio in modo conforme alla società, lo ricompenseranno con premi ed
elogi.
Si deduce che si entra in una sorta di circolo vizioso impossibile da interrompere, e
che scaturisce dal bisogno della salvaguardia e della garanzia dei vantaggi evolutivi.
Nonostante il concetto di manipolazione sia raramente considerato sotto un aspetto
neutrale, o positivo, è il fulcro dell’interazione umana, e si basa sulla realtà soggettiva.
¹ Primo assioma di pragmatica della comunicazione – Paul Watzlawick et al. Pragmatica della
comunicazione umana, trad. it. Massimo Ferretti, ed. Astrolabio, 2008, p.43 (prima ed. 1971)
6
Realtà: carattere di ciò che esiste effettivamente.²
Cosa esiste effettivamente? Ciò che si vede?
Quindi per un cieco la realtà non esiste.
Ciò che si sente?
Quindi per un sordo la realtà non esiste.
Oppure ciò che si dice?
Quindi per un muto la realtà non esiste.
Non è proprio così.
Si potrebbe proseguire all'infinito, ma limitandosi a questi tre esempi, si può introdurre un altro concetto, che diviene fondamentale in sede d’interrogatorio di polizia:
il concetto di realtà.
Per un individuo, la realtà è ciò che fornisce un senso a tutto ciò che lo circonda. Uno
schizoide non ha la stessa visione del mondo che può avere un paranoico.
Pertanto ciò che definisce la realtà di ogni individuo è soggettivo e viene codificato
dal suo cervello secondo il suo preciso modello.
Se ad esempio vediamo una persona avvicinarsi velocemente a un'altra stringendo i
pugni in modo furioso, pensiamo che sia in corso un'aggressione. Le reazioni di chi
osserva potranno variare dallo stupore alla paura. Ma se vediamo entrambe le persone
sciogliere la tensione abbracciandosi e ridendo a crepapelle, ecco che modifichiamo
la realtà da come l'avevamo percepita precedentemente, riducendo l'aggressione a una
burla tra amici. Allo stesso modo, anche le reazioni di chi osserva la scena saranno diverse, dalla condivisione della comicità dell'atto all’incomprensione. Ora, se avessimo assistito soltanto alla prima parte, saremmo rimasti convinti di aver assistito
all’incipit di una zuffa. Di contro, se avessimo assistito solo alla seconda, non avremmo neppure considerato quell’interpretazione. Ne consegue che il mondo che percepiamo, e noi stessi, siamo soggetti a interpretazioni della realtà, seguendo determinati
modelli che abbiamo appreso e che non mettiamo più in discussione. Ma la realtà che
ogni giorno decifriamo, è tale solo all'interno di quei modelli.
² Dizionario italiano, Il Sabatini Coletti
7
Attribuire un significato e un ordine a ciò che codifichiamo, si rivela del tutto soggettivo.
Viviamo nella rassicurante illusione che tutto ciò che per noi ha una data forma e un dato
senso lo abbia di per sé. La realtà non esiste al di là di come definiamo che esista.³
Quindi: la realtà non esiste.
Si è voluto affrontare questo escursus filosofico sulla realtà perché nel corso di un
interrogatorio di polizia è fondamentale entrare in contatto con l’interpretazione della
realtà del soggetto interrogato, per comprendere la sua visione delle cose, i suoi
schemi di riferimento, e di conseguenza, capire se sta, celando o riportando fedelmente la realtà dei fatti.
Riguardo le menzogne, si affronteranno nel paragrafo 6.4, alcune indicazioni utili al
loro smascheramento, basate su indicatori fisici molto poco controllabili.
Nel corso degli anni, sono state attuate e studiate varie tecniche di manipolazione
coercitiva volte a ottenere informazioni e confessioni più o meno veritiere. Dalla
rieducazione politica di Cina e Corea, alle purghe nei gulag sovietici, passando per i
campi nazisti e le tecniche d’interrogatorio e sperimentazione attuate da C.I.A. e
KGB, fino ad arrivare alle più recenti e improbabili sette, mode New Age e nuove
religioni-culto. L'unico fattore di base che è possibile riscontrare in tutte le
metodologie applicate, sia coercitive che non, è l'associazione stimolo-reazione (o
riflesso condizionato) del fisiologo, medico ed etologo russo Ivan Petrovic Pavlov,
(1849-1936).
L’esperimento più noto consisteva nel cibare alcuni cani facendo sempre precedere il
pranzo dal suono di una campanella. In primo luogo Pavlov osservò come l'aroma e
la vista del cibo, facesse reagire gli animali con una salivazione intensa. Questo è un
riflesso naturale, funzionale alla digestione, che veniva associato spontaneamente alla
presenza del nutrimento e alla fame. Dopo un certo periodo di addestramento, Pavlov
sottopose gli animali al suono della campanella, ma senza dargli cibo. I cani reagivano con la stessa intensa salivazione, un segnale di un'aspettativa emotiva.
³ Stefano Re, Mindfucking, ed. Castelvecchi, 2008 p. 20 (prima ed. 2003)
8
Pavlov ha voluto dimostrare come sia possibile associare alcuni stati emotivi (e le
conseguenti reazioni fisiche) a elementi esterni e variabili.
Le reazioni avute dai cani sono comunemente definite riflessi condizionati e si
trovano alla base delle tecniche di condizionamento mentale. Il principio che Pavlov
ha messo in evidenza si fonda su un meccanismo innato, quale il processo di apprendimento, il cui potere lo tramuta in uno strumento efficace per tentare di penetrare
nella mente altrui, per imporvi significative modificazioni fino a farle interiorizzare.
Il tutto senza che i soggetti ne abbiano piena consapevolezza. Studiando il processo di
apprendimento, Pavlov volle introdurre il rinforzo, o stimolo positivo, e la
dissuasione, o stimolo negativo, evidenziando così che alcuni animali apprendevano
più rapidamente quando le loro risposte corrette venivano ricompensate con stimoli
positivi, quali segnali di affetto o bocconi di cibo. Alcuni invece imparavano più
velocemente quando i loro errori venivano puniti con stimoli negativi, come delle
leggere scosse elettriche. Le osservazioni fatte dal medico russo sono valide anche
per gli esseri umani. Alcuni soggetti migliorano l’apprendimento se sono premiati,
mentre l'imposizione di dolore provoca resistenza, e in altri punizioni e dolore sono
strumenti efficaci per ottenere la sottomissione e l’accettazione. Pavlov distinse anche
tra un tipo di condizionamento debole che perdeva efficacia in presenza di elementi di
disturbo, e uno forte che resisteva maggiormente anche se sottoposto al cambiamento
di alcuni fattori ambientali. L'efficacia di un processo di condizionamento sembra
dipendere dall'interazione di elementi interni al soggetto, ed elementi esterni e indipendenti da esso.
Volendo condizionare mentalmente gli uomini, il procedimento e le conseguenti
reazioni cambiano a causa della maggiore complessità del soggetto, e dei suoi
processi mentali. Un cane può associare, ad esempio, la presenza di un cerchio
esclusivamente alla somministrazione di una scossa, mentre un essere umano può
vedere nel cerchio, oltre che una forma, anche un simbolo (ad esempio la terra, il
sole, ecc…).
Per un umano quindi l’associazione stimolo negativo-riconoscimento del cerchio avrà
un valore molto più esteso e complesso.
Un altro esperimento effettuato dallo studioso russo, meno noto, ma ugualmente
significativo, consisteva nell’insegnare ai cani a riconoscere e differenziare la forma
9
di un cerchio da quella di un'ellisse. L'addestramento avveniva come nel caso precedente, con il dualismo premio-punizione. Quando i cani furono in grado di riconoscere e segnalare correttamente le figure, Pavlov introdusse la ricerca del limite e le sue
conseguenze comportamentali. Veniva mostrato agli animali un cerchio che mutava
forma gradualmente mentre il cane lo osservava, trasformandosi in ellisse. Come si
poteva facilmente prevedere, gli animali non erano in grado di identificare le figure.
Di fatto, i cani si trovarono a dover effettuare una scelta impossibile, ma al tempo
stesso necessaria. Ebbero una reazione che in un essere umano sarebbe definita
psicotica. Alcuni si rifugiavano in stati comatosi distaccandosi dalla realtà, tipico
atteggiamento di molti schizofrenici, altri manifestavano feroce auto ed etero aggressività, caratteristica delle forme di nevrosi. Lo studioso aveva scoperto la nevrosi
sperimentale.
Questi risultati sarebbero diventati il pane quotidiano di due generazioni di psicologi
che, finanziati da Stati totalitari, da servizi segreti, da gruppi religiosi o imprese
private, studiarono e applicarono all'essere umano processi di condizionamento
mentale coercitivo con molteplici scopi.
10
1 Alcune tecniche di manipolazione coercitiva
Nell’introduzione è stata anticipata la situazione in cui si ritrovano gli individui
sottoposti a interrogatori persuasivi, indipendentemente dalle tecniche adottate. Si
tratta della posizione insostenibile in cui si ritrovavano i cani dell'esperimento di
Pavlov.
Le tecniche che saranno di seguito analizzate singolarmente, sono state e sono
utilizzate per ottenere un completo controllo mentale sulle persone. Da notare che il
controllo migliore si ottiene quando i soggetti sottoposti a tali trattamenti
interiorizzano le istruzioni, in modo tale da autoconvincersi della posizione che
sostengono, anche se falsa o in contraddizione con i loro principi. L’esempio più
calzante, si trova nella parte finale di 1984 di George Orwell, dove si ha un’accurata
descrizione, anche se romanzata, del tipo di distruzione psicologica che viene
compiuta.
1.1 Isolamento e legame affettivo
Privare una persona di alcuni capisaldi della sua esistenza è un metodo molto
efficace per ottenere ciò che si desidera.
Nella mente, ma soprattutto nell’inconscio dell’individuo, ciò che avviene è una
distruzione progressiva dell’immagine che egli stesso proietta di sé.
Tutti gli individui sono abituati a essere chiamati per nome dai conoscenti, signore
dagli sconosciuti, amore in una relazione affettiva, figlio dai genitori e via dicendo.
Se questi normali schemi di riferimento vengono sostituiti, (esempi classici possono
essere i sistemi carcerari o i campi di concentramento nazisti), la proiezione di sé
viene alterata e poco alla volta l’identità costruita col tempo e riconosciuta dal
soggetto, svanisce.
Se questa tecnica viene integrata con l’isolamento, in breve tempo si può ottenere una
completa sottomissione dell’individuo.
L’allontanamento dai legami affettivi, dalla propria casa, da tutti i punti di riferimento
abituali, indebolisce la vittima rendendola molto vulnerabile agli attacchi mentali.
Pavlov ha dimostrato come i riflessi condizionati siano provocati più facilmente in un
11
ambiente privo di elementi di disturbo, non a caso gli interrogatori sono svolti in
stanze il più asettiche possibile.
L’isolamento individuale ha importanti effetti a livello inconscio, che è quello su cui
agisce il condizionamento.
Joost Abrahm Maurits Merloo rileva direttamente dalla propria esperienza di segregazione nel periodo dell’Europa nazista, che:
non appena un uomo resta solo, allontanato dal mondo e dalle notizie su cosa stia
accadendo, la sua normale attività mentale viene rimpiazzata da ben diversi processi. Ansie
dimenticate riemergono, memorie represse da tempo tornano alla mente. La sua
immaginazione assume proporzioni immense. Non può più confrontare le sue fantasie con gli
eventi ordinari della vita e molto spesso rimane vittima dei suoi stessi incubi.¹
In questi stadi, si avvia un perverso legame tra carnefice e vittima, la cosiddetta
Sindrome di Stoccolma. La vittima, tra sentirsi riconosciuto come prigioniero, o non
sentirsi riconosciuto per nulla come individuo, tende a preferire la prima situazione
come male minore. Il suo unico possibile, e concesso, contatto umano avviene con il
carceriere, che in un processo a stadi, diventa l’unico punto di riferimento.
1.2 Controllo sociale e Group Thinking
Il controllo sociale è una tecnica utilizzata oltre che da sette o gruppi religiosi,
anche dai legittimi governi di ogni paese. Consiste nel far leva su ciò che viene
chiamata influenza sociale e che incorpora i sei principi di influenza sociale di Robert
Cialdini, e le teorie dell’etichettamento (Labelling Technique).
Quando un individuo, dopo un periodo di isolamento dai precedenti legami affettivi,
viene inserito in un nuovo gruppo, tende ad accettare e assimilare nella propria proiezione di sé i nuovi riferimenti e il nuovo status sociale che gli viene attribuito. Il
controllo sociale è un fattore essenziale per mantenere maggiormente stabili nel
tempo gli effetti del condizionamento.
Molti studi hanno dimostrato come le persone tendano a uniformarsi al modo di
¹ Ibid. p. 31
12
agire della maggioranza, a partire da Aristotele che nella sua Etica Nicomachea
spiega come gli uomini non esitino a far propria un’idea o un’opinione, appena si
convincono che essa è universalmente, o per lo meno in gran parte, accettata, come
nel caso delle Voci d’Orléans narrate dal filosofo Edgard Morin.
Robert Cialdini riteneva che:
la tendenza a considerare più adeguata un’azione quando lo fanno anche gli altri
normalmente funziona bene. Di regola, commetteremmo meno errori agendo in accordo con
l’evidenza sociale che al contrario. Questo aspetto del principio della riprova sociale è il suo
maggior punto di forza, ma anche la sua debolezza. Come altre armi di persuasione, ci offre
una comoda scappatoia, ma allo stesso tempo ci espone agli attacchi dei profittatori in
agguato.²
Per quanto riguarda la Labelling Tecnhique, è ampiamente dimostrato come tramite
l’etichettamento, le persone tendano ad assumere e mantenere l’atteggiamento che gli
viene conferito.
In seguito si segnaleranno i principi dell’influenza sociale e alcune tecniche a essa
correlata (si vedano i cap. 1.2.1 e da 2.3.1 a 2.3.5).
Si fa notare che le suddette tecniche sono valide, utilizzabili, e utilizzate anche al di
fuori del mero contesto sociale.
1.2.1 Principi universali dell’influenza sociale
Robert Cialdini ha illustrato nel libro Teoria e pratica della persuasione sei
principi universali dell’influenza sociale. Questi sono stati ampiamente studiati sia
dallo stesso, che da molteplici altri ricercatori e studiosi del comportamento umano e
sociale, nonché da quelli interessati ad approfondire le tecniche di persuasione.
I sei principi rilevati si distinguono nella reciprocità (le persone si sentono obbligate
a ricambiare i favori ricevuti), nell’autorità (le persone tendono a ricercare una guida), nell’impegno o coerenza (le persone tendono ad agire coerentemente con gli
impegni presi e i valori assunti), nella scarsità (le persone sviluppano desiderio nei
² Anna Oliviero Ferraris, Chi manipola la tua mente, ed. Giunti, 2010, p. 29
13
confronti delle risorse meno disponibili), nella compiacenza (le persone tendono a
sostenere le tesi di chi ammirano anche apertamente se in contrasto con le proprie), e
in ultimo, nell’evidenza sociale (le persone trovano uno schema di riferimento da
seguire secondo comportamenti della media).
1.3 Controllo delle informazioni e nuovo linguaggio
Queste due tecniche sono utilizzate maggiormente in ambito settario e all’interno
di regimi totalitari, ma non vengono escluse del tutto da svariati manuali d’interrogatorio.
Attuando un controllo sull’informazione, limitandola, canalizzandola in determinate
direzioni, si può esercitare una forte influenza sulla percezione della realtà, alterando
le opinioni e le emozioni dei soggetti. In pratica, controllando i processi di comunicazione e il flusso delle informazioni si impedisce l’espressione critica sull’ideologia
imposta.
Per quanto riguarda il linguaggio, il meccanismo di modifica dello stesso e di
invenzione di nuovi termini implica un enorme potere di condizionamento mentale,
portando una ridefinizione del mondo secondo nuovi criteri. Per esempio, la purga è
una purificazione dalle impurità, ma quando fu adottata per punire le persone, dando
alla stessa una connotazione negativa anziché positiva, le emozioni provate in riferimento a quella specifica parola subivano modificazioni. Lo stesso termine, manipolazione, come spiegato nella premessa, oggi ha un significato aborrito dai più, ma la
sua definizione non esprime negatività.
Sul linguaggio, sublime è un passo di Alice nello Specchio di Lewis Carroll che
spiega perfettamente la relazione che si crea in casi di manipolazione coercitiva:
«Quando io uso una parola», disse Humpty Dumpty in tono non privo di disprezzo, «la
parola significa quello che io voglio farla significare, né più, né meno». «La questione è»,
disse Alice, «se può dare alle parole tanti significati diversi». «Il problema è», ripeté Humpty
Dumpty, «chi è che comanda… ecco tutto».³
³ Lewis Carroll, Attraverso lo specchio, trad.it Valori-Piperino, GTE Newton,2010, p.177(pr. ed. 1995)
14
1.4 Attacchi emotivi
La violenza e l’intimità sessuale sono potenti stimolatori emotivi, specialmente
negli adulti che hanno una visione sociale inibita e conformata. Costringere una
persona ad assistere a scene di violenza e attaccarla verbalmente, crea
disorientamento e indebolimento, scatenando reazioni inconsce che diventano armi
utili a chi attua il processo di condizionamento.
Tutte le tecniche elencate fino a questo punto sono ampiamente utilizzate dalle sette
per rafforzare la coesione del gruppo e per adescare nuovi adepti. Ma queste strategie
non sono state utilizzate soltanto in ambienti settari, sono state adottate anche in
regimi dittatoriali per mantenere il controllo della popolazione, per infliggere torture
a scopo politico, e persino negli interrogatori di polizia con l’intento di estorcere
informazioni. L’isolamento, gli attacchi emotivi, lo stress psicologico, e le pressioni
fisiche sono riportate nel manuale della CIA del 1963.
Le strategie che vengono analizzate di seguito, tendono tutte alla persuasione
coercitiva e anch’esse sono state ampiamente utilizzate e studiate.
15
2 Tecniche di manipolazione coercitiva utilizzate nelle torture
Le tecniche che si descriveranno in seguito si basano sulla tortura fisica e psicologica
delle persone. Ogni metodo, preso singolarmente, difficilmente può avere un effetto
immediato, ma se vengono uniti in un’opera di distruzione dell’individuo, si possono
riscontrare capitolazioni molto rapide.
È stato provato che il dolore fisico può avere un effetto immediato, ma che alla lunga
perde efficienza, perché un soggetto sottoposto a dolore attiva dei sistemi di difesa
che dovrebbero rafforzare l’inconscio rendendolo meno vulnerabile. Il punto chiave si
trova in alcuni fattori legati all’applicazione del dolore, nell’aspettativa del dolore e
nello stato di tensione che implica per il soggetto. La tensione può essere più o meno
pressante, in dipendenza dall’immaginazione della persona, dalla durata della tortura,
dal livello di paura crescente, dalla capacità di controllo di questa paura.
In alcuni casi, un dolore inatteso produce uno shock che può causare un’immediata
capitolazione.
2.1 Privazione del sonno
È esperienza comune di tutti la privazione del sonno volontaria, in speciali
occasioni. Così come sono comuni anche l’affaticamento e la perdita di lucidità
conseguenti a questi stadi.
Se però, la privazione del sonno è imposta, si avranno delle reazioni sintomaticamente più rilevanti.
In uno studio sperimentale, fu impedito a 350 volontari di addormentarsi per
centodue ore.¹ I risultati sono stati sconvolgenti. Dopo quaranta ore di veglia, il 70%
degli individui presentava allucinazioni di varia intensità, e oltre le settantadue ore si
manifestarono disturbi del pensiero. Di conseguenza furono rilevati un’alternanza di
stati depressivi ed euforici, pianti immotivati, scoppi d’ilarità, indifferenza, reazioni
violente o apatiche. Addirittura molti individui rimossero completamente dalla memoria alcuni comportamenti tenuti durante l’esperimento.
¹ Ibid. p. 41
16
È stato inoltre dimostrato come la privazione del sonno produca sostanze tossiche nel
cervello.
Privare del sonno, gli individui che si vogliono manipolare coercitivamente è una
potente tecnica per disintegrarne le difese.
2.2 Privazione sensoriale
Per quanto possibile, la deprivazione sensoriale è più efficace di quella del sonno.
Privando un soggetto degli stimoli sensoriali derivanti dalla realtà che lo circonda, lo
stesso tenderà a proiettare i fantasmi del proprio inconscio, come incubi infantili, ricordi, fantasie, fino ad avere vere e proprie forme allucinatorie. Questo accade perché
in una situazione di privazione sensoriale, si tende a potenziare l’attività mentale che,
alla lunga, porta ansia e depressione.
2.3 Regressione e Sottomissione
La regressione avviene di frequente quando si pone un individuo sotto uno stress
emotivo intollerabile. Questo retrocede all’indietro cronologicamente avvicinandosi
sempre più all’età infantile, cercando un rifugio nelle percezioni di se stesso e del
mondo in un’età precedente.
Portando un individuo a questo stadio, lo si rende molto più vulnerabile, in quanto
generalmente un bambino è in carenza dei sistemi di difesa degli adulti, perché si
apprendono tramite la crescita.
Ricapitolando, un individuo sotto regressione sarà molto più debole del normale
perché si proietta nel sé infantile, quindi con sistemi di difesa molto limitati.
La sottomissione opera a livello inconscio, e sfrutta la regressione per smantellare
l’orgoglio, l’autostima e il coraggio, i quali sono ostacoli per chi vuole operare manipolazione coercitiva. Davanti a un pericolo, gli animali ne sono l’esempio più palese,
si opera una scelta a livello inconscio. Questa scelta consiste nella reazione di attacco
o di fuga. Ma se un individuo viene impossibilitato a effettuare una scelta, su quale
delle due soluzioni preferisce attuare, regredirà distruggendo le sue difese e si
arrenderà del tutto a chi ricopre il ruolo dominante.
17
In natura, una chiarificazione si può avere dal comportamento dei lupi che nei casi in
cui non sono in grado di operare una scelta, offrono la giugulare all’avversario
sottomettendosi completamente.
È interessante al riguardo come gli animali tendano a preservare la specie, quindi in
un’ipotetica situazione che ricalca quanto appena detto, il lupo dominante non
ucciderà quello che si sottomette. Nell’uomo questo istinto di conservazione è molto
più debole al confronto dei benefici che può avere sul momento.
La psicologia insegna che le persone sviluppano nella propria mente due spinte
contrapposte, ma tendenti all’equilibrio: quella individualista e quella conformante.
La prima vuole distinguere l’individuo come tale e la seconda vuole conformare i
comportamenti dell’individuo al gruppo di controllo. Operando a livello di
distruzione di queste due spinte, il soggetto tenderà a volersi rifugiare nella fantasia,
abbandonando la realtà e smettendo di lottare. Si possono ottenere confessioni di tutti
i tipi in questo stato. Esempi concreti sono le testimonianze dei soldati statunitensi
rientrati dalla Corea (cap. 3.2.2).
Ci sono delle situazioni in cui, un soggetto abilmente manipolato tenderà a sottomettersi volontariamente. Di seguito sono riportati le più note tecniche e alcuni
esperimenti effettuati in ambito sociale.
2.3.1 Principio del piede nella porta
Si sottopone al soggetto una prima richiesta semplice e banale, seguita a distanza
di tempo dalla seconda più impegnativa. La prima, deve avere però caratteristiche
precise e contenere la richiesta di esprimere un giudizio, affermare un’intenzione o
una disponibilità. La seconda richiesta dovrà essere coerente con il giudizio, l’affermazione o la disponibilità espressa. L’efficacia della strategia risiede nel condurre il
soggetto tramite un primo approccio, a considerarsi disponibile verso richieste future
più gravose.
Es: Lei è contro la guerra? Ovviamente sì! Allora firmerebbe questa petizione/Farebbe una
donazione per una campagna, ecc…
18
I dati sperimentali provano che, grazie al primo passo strumentale, una richiesta che prima
aveva un’adesione del 20% ottiene oltre il 50% di successo.¹
2.3.2 Principio della porta in faccia o porta sul naso (R. Cialdini 1975)
A differenza della prima, la tecnica consiste nel domandare inizialmente troppo per
ritrattare e ridurre la richiesta a un livello inferiore, che era dall’inizio il vero
obiettivo.
«Accompagnereste gentilmente dei giovani delinquenti allo zoo in occasione di un’uscita?
Non vi porterà via che due ore». Adesione 16,7%
«Incontrereste un delinquente in prigione, due ore alla settimana, per due anni? – Ah, è
impossibile?! – Allora in cambio, accompagnereste gentilmente dei giovani delinquenti per
una visita allo zoo? Non vi porterà via che due ore.» Adesione 50%.²
2.3.3 Specchietto per allodole (Joule et al. 1989)
La strategia consiste nel fare una richiesta fornendo informazioni errate o
incomplete o aggiungendo particolari che poi verranno smentiti. Chi ha aderito
spontaneamente alla prima richiesta, si sentirà in dovere di assolvere la seconda anche
se aveva ricevuto informazioni ingannevoli o incomplete.
«Cari studenti, volete partecipare a un esperimento di psicologia? Dovrete imparare a
memoria delle liste di cifre e non sarete remunerati». Adesione 15,4%.
«Cari studenti, volete partecipare a un esperimento dedicato alle emozioni? Dovrete guardare
un film e riceverete una remunerazione». Quando arriva il momento. «Mi spiace,
l’esperimento è terminato e non vi ho potuto avvisare! In cambio vi propongo di partecipare a
un altro esperimento. Dovrete imparare a memoria delle liste di cifre e non sarete
remunerati». Adesione 47,4%.³
¹ Ibid. p. 75
² Ibid. p. 47
³ Ibid. p. 48
19
2.3.4 Libertà di scelta (Guéguen e Pascual, 2000)
Fornendo la possibilità di scegliere, le persone si sentono più libere di rifiutare
un’offerta. Non vincolandole, l’adesione alla richiesta è maggiore.
«Mi scusi, ho dimenticato il portafoglio e devo prendere l’autobus! Mi potrebbe aiutare per
favore?» 10% sì.
«Mi scusi, ho dimenticato il portafoglio e devo prendere l’autobus! Mi potrebbe aiutare per
favore? Ma ovviamente è libero di rifiutare.» 47,5% sì. 4
2.3.5 Menzogna per omissione (Cialdini et al. 1978)
L’obiettivo di questa strategia è ottenere una decisione svantaggiosa per il
destinata-rio senza che lui se ne renda conto. È determinante il modo in cui viene
posta la domanda.
«Cari studenti, volete partecipare a un’esperienza di psicologia sociale? Bisognerà vederci
alle 7 del mattino.» Adesioni 31%.
«Cari studenti, volete partecipare a un’esperienza di psicologia sociale? D’accordo. Dovremo
vederci alle 7 del mattino. Siete ancora d’accordo?» Adesioni 53%. 5
2.4 Senso di colpa
Il senso di colpa è forse il pericolo più grande per le false confessioni.
In condizioni di stress emotivo intenso, terrore e depressione, gli individui tendono a
cercare un’espiazione spinti dal proprio senso di colpa. Facendo leva su questo bisogno inconscio, e utilizzando alcune delle tecniche sopradescritte, l’individuo tenderà
a voler interrompere la situazione diventata insostenibile, arrivando ad autoaccusarsi.
4 Ibid.
5
p. 48
Ibid. p. 48
20
Il senso di colpa è il cardine di tutti gli interrogatori; molti soggetti sono arrivati a
firmare dichiarazioni palesemente false pur di uscire dall’impasse in cui erano
intrappolati.
Meerloo (1956), definisce questa situazione come un Patto Masochista in cui la
vittima collabora con il carnefice alla sistematica costruzione dello schema per la
propria distruzione. Il torturatore proietta il proprio rimorso sulla vittima, la quale
affronta direttamente il senso di colpa che emerge come effetto delle pressioni
mentali, emotive, fisiche, e della regressione. La vittima tenderà a cercare una
punizione per le colpe che perseguitano l’inconscio.
A questo proposito, si citano alcuni esperimenti illuminanti.
Derren Brown, esperto manipolatore della mente umana, ha dimostrato in un
esperimento durato tre giorni come una persona possa autoaccusarsi di un delitto mai
avvenuto. Il processo è stato molto semplice e non ha sfruttato situazioni di
isolamento, privazione del sonno o altre che potrebbero essersi rivelate estremamente
poco sopportabili.
Da sottolineare che il soggetto era una persona estremamente affidabile, sicura di sé,
solare e insospettabile sotto ogni punto di vista.
In una situazione perfettamente sotto controllo, un convegno di tre giorni tenutosi
nella campagna inglese accessibile a un numero ristretto di ospiti, è stato instillato del
senso di colpa nel soggetto tramite una reazione palesemente fuori luogo di una
persona appena conosciuta. Nel litigio, è stato fatto suonare il campanello dell’albergo, che apparentemente può sembrare un’accortezza inutile. Al contrario, invece,
l’inconscio aveva associato quello specifico suono alle sensazioni provate. Successivamente, per suscitare a comando il senso di colpa, ogni volta che la persona soggetta all’esperimento veniva toccata su di una spalla, si udiva il suono del campanello
della porta. In questo modo il senso di colpa provato stava continuando a crescere. A
questo, sono susseguiti piccoli trucchi per far dubitare il soggetto della propria memoria, come la sostituzione del cibo nel proprio piatto, il cambio del colore della
cravatta di un conferenziere, oppure la comparsa di una collana precedentemente
sparita, all’interno della stanza del soggetto. In seguito gli è stato instillato nel
subconscio un movente per il delitto mai avvenuto.
21
L’ultimo giorno, dopo un breve interrogatorio con la polizia, il soggetto era
visibilmente turbato e si è recato a una finta stazione di polizia autoaccusandosi del
delitto.
L’esperimento è una simulazione molto chiarificatrice di alcuni meccanismi descritti
fino a questo punto.
Si rimanda al link del video della durata di circa quarantasette minuti:
www.youtube.com/watch?v=-P2vYIgPdKg
Tra gli altri esperimenti che possono dimostrare quanto il bisogno di interrompere un
processo insopportabile possa indurre all’autoaccusa, se ne riporta uno in particolare,
sostenuto da Kassin e Kiechel nel 1996 in un’università americana. A un gruppo di
settantacinque studenti, invitati per una finta ricerca sulla velocità di reazione alla
battitura su tastiere pc sotto dettatura, era stato comunicato di stare molto attenti a non
premere accidentalmente il tasto ALT che avrebbe cancellato l’intera prova mentre
altri studenti dettavano le lettere da battere. Cinquantotto persone furono inserite nel
gruppo A, dove la velocità di dettatura era minore, 43 lettere al minuto, mentre
diciassette studenti furono inseriti nel gruppo B, con velocità di dettatura maggiore,
67 lettere al minuto. Al termine della prova, tutti i partecipanti sono stati convocati
singolarmente in un ufficio per la comunicazione dei risultati. In privato, a ognuno è
stato detto che c’erano le prove che lui stesso aveva pigiato l’unico tasto da non
premere cancellando tutti i dati rilevati e rendendo la ricerca inutile. I risultati sono
stati sconvolgenti. Nessun partecipante aveva compiuto l’atto di cui era stato
accusato, ma ben il 69% del gruppo A e il 100% del gruppo B ha accettato le finte
accuse firmando una dichiarazione in cui sostenevano di aver premuto il tasto
incriminato. In pratica, quasi tutti i partecipanti si erano auto accusati di un evento per
sfuggire a una situazione insopportabile che faceva leva sui sensi di colpa.6
Questi due esperimenti sono chiarificatori di quanto frequentemente ci si possa
imbattere in false confessioni durante gli interrogatori di polizia.
6 The
Psychology of confession Evidence, American Psychologist, March 1997, p. 227
22
2.5 Sostanze stupefacenti
La droga indebolisce la capacità di resistenza alla manipolazione, le facoltà
difensive, le identità culturali e quelle individuali, crea stati di dipendenza fisicomentale e di confusione. Può essere utilizzata sia come calmante su persone che
oppongono troppa resistenza alla persuasione coercitiva, sia come euforizzante su
persone nei casi in cui una tortura provochi il cedimento del corpo.
Un esempio di utilizzo di droga in massa da parte di un governo riguarda la Cina
comunista, che negli anni cinquanta esportava nei paesi vicini grandi quantità di
oppiacei, proibendoli nel proprio territorio, e che subì dalla Thailandia un esposto
verso la World Health Organization, accusandola di diffusione di oppio per creare
confusione e dipendenza negli stati vicini.
Anche i nazisti durante il periodo di occupazione dell’Europa occidentale ritirarono
dal mercato gran parte delle medicine più comuni e incrementarono la diffusione di
barbiturici, provocando passività, dipendenza e letargia in moltissime persone.
2.6 Ingiunzioni paradossali e doppio legame
Le ingiunzioni paradossali fanno parte del macrosistema del linguaggio, il quale
ricopre una posizione molto rilevante nei processi di manipolazione mentale.
Le ingiunzioni paradossali sono delle condizioni in cui:

deve sussistere una forte relazione complementare tra almeno due individui
(definite posizioni one-up e one-down),

deve essere data un’ingiunzione che deve essere disobbedita per essere
obbedita, un’ingiunzione che neghi se stessa.
La persona soggetta a questa ingiunzione non può uscire dallo schema né
rifiutando l’ordine, né meta-comunicando su di esso.
Queste situazioni provocano una posizione insostenibile nel soggetto one-down,
provocando una comunicazione paradossale definita a Doppio Legame da
Watzlawick.
23
A lungo andare, questa situazione può causare regressione e mutamento della percezione della realtà circostante.
2.7 Dissonanza cognitiva
Una cognizione è una parte di conoscenza che può riguardare un’attitudine,
un’emozione, un valore. Ogni persona sviluppa e mantiene attivo un numero enorme
di cognizioni, gradendo principalmente quelle consonanti perché pare abbiano un notevole peso sulla salute mentale e sull’equilibrio degli individui.
Leon Festinger, nel 1957 ha suddiviso le cognizioni in tre categorie rilevando che
queste possono essere tra loro irrilevanti, consonanti o dissonanti.
Sono irrilevanti quando la prima cognizione non è collegata alla seconda.
Sono consonanti quando la prima cognizione fa derivare la seconda.
Infine sono dissonanti quando l’una nega l’altra o la rende insostenibile.
Un esempio pratico di quest’ultima può essere quando una persona altamente insospettabile viene arrestata per omicidio, o quando un individuo si trova a fare o dire
cose che non sono corrette e coerenti con i propri valori e principi.
Lo stato che consegue da questa situazione accresce la tensione nell’individuo ed è
stato definito dallo stesso Festinger come Dissonanza Psicologica.
La tensione che ne deriva aumenta all’aumentare del mantenimento dello stato di
Dissonanza.
Inserendo messaggi cognitivi in una comunicazione, che sono volti a creare lo stato
sopradescritto, si può condizionare e modificare la percezione della realtà degli
individui.
24
3 Sintesi
Dopo aver analizzato velocemente tutte queste tecniche di controllo degli individui e
delle loro menti in modo coercitivo, e prima di entrare nel dettaglio degli interrogatori
di polizia, si propone un riassunto del processo base di manipolazione mentale.
Bisogna tenere in considerazione che in una situazione di ricerca del controllo
mentale, si possono presentare migliaia di varianti capaci di rendere necessaria una
modifica immediata e improvvisata.
Pertanto quello che si propone è soltanto un generico riassunto dei principali punti di
riferimento del processo.
- Presenza di almeno due parti complementari.
- Il controllore ha il controllo di elementi quali: ambiente e/o valori e/o
dinamiche di relazione e/o controllo della comunicazione e/o controllo fisico.
- Relazione è volontaria o involontaria da uno o entrambi i soggetti.
- Relazione nota, ignota o parzialmente nota a uno o entrambi i soggetti.
- Controllo noto, ignoto o parzialmente noto a uno o entrambi i soggetti.
- Il condizionante pone sotto pressione il condizionato.
- Il condizionato regredisce.
- Il condizionante pone una via d’uscita accettabile tramite una parziale o
completa ridefinizione della realtà.
- Il condizionato aderisce e modifica parzialmente o integralmente la percezione
di sé e della realtà.
3.1 Persuasione coercitiva di Schein (1961)
Edgar Schein ha suddiviso la persuasione coercitiva in tre fasi che, impiegate una
alla volta, racchiudono tutte le tecniche elencate finora.
Nella prima fase detta di Decongelamento si svolge un attacco sistematico all’ego
dell’individuo con lo scopo di destabilizzarne completamente le difese, il senso di sé,
l’identità, la realtà che lo circonda, i sistemi di valori che si attribuisce.
25
Questa fase stimola nel soggetto il bisogno di nuove sicurezze nel suo sistema vitale
non legate al dolore psicologico e fisico inflitto e associato al vecchio sistema di
valori.
La seconda fase detta Cambiamento è una conseguenza naturale della prima e
persegue lo scopo primario di una manipolazione coercitiva. A conferma dell’entrata
in questo secondo processo, spesso vengono richieste autoaccuse e ripudio dei
precedenti sistemi di valori adottati dall’individuo. Durante questa fase, vengono
utilizzati anche rinforzi al processo di abbandono, piccole gratificazioni che verranno
associate al nuovo sistema di valori che a sua volta viene collegato al termine del
dolore perpetuato nella prima fase.
Il terzo e ultimo passaggio è il Ricongelamento che si pone l’obiettivo di fissare in
modo permanente i precedenti risultati ottenuti, vincolando il soggetto agli impegni
presi nella seconda fase. La conferma del completamento avviene quando l’individuo
si identifica completamente nel nuovo sistema di valori.
Come già rilevato precedentemente, il soggetto sarà stabile soltanto quando i
cambiamenti sono del tutto interiorizzati.
3.2 Regressione-Aggressione di Ofshe (1990)
Ofshe ha analizzato i Programmi di Riforma del Pensiero attuati soprattutto su
intere popolazioni, come nel caso degli Stati totalitari, o nei prigionieri di guerra
americani in Corea.
In questa situazione si sottolinea quanto entrino nel processo elementi quali il
controllo sociale e l’adesione al pensiero di massa per salvare il proprio Io da
situazioni diventate mano a mano psicologicamente insostenibili.
Ofshe rileva come questi programmi di persuasione coercitiva abbiano avuto largo
successo sia nei casi di soggetti reclusi e fisicamente controllati, sia nei casi di soggetti parzialmente liberi (parzialmente perché non informati totalmente su metodologie e finalità dei processi in atto).
Lo studioso opera una suddivisione in due categorie di programmi: la confinedassaultive che prevede forme di aggressione fisica e la nonconfined-nonassaultive del
tutto priva di aggressioni fisiche.
26
La seconda categoria è quella che ottiene maggior stabilità nel tempo perché escludendo le torture fisiche, gli individui interiorizzano maggiormente i cambiamenti
indotti tramite attacchi psicologici coercitivi.
3.2.1. Cina maoista: Programmi nonconfined-nonassaultive
Dal 1949 in poi, iniziando dalle università e dalle carceri cinesi, furono introdotti
programmi di studio strutturati in modo tale da modificare, tramite strumenti di
influenza psicologica, le opinioni politiche degli individui. Il potere maggiore di
questi programmi, successivamente inseriti in scuole, centri educativi, fabbriche e
quartieri, risiedeva nell’interazione tra elementi imposti dall’esterno e elementi psicologici scaturiti all’interno dei soggetti, facendo perno anche su dinamiche di gruppo.
Gli individui venivano spinti a stringere stretti legami di interazione all’interno del
nuovo gruppo e terapie collettive miranti a indebolire la percezione del sé. Lo scopo
di questi programmi consisteva nella creazione di una potente Dissonanza Cognitiva
che veniva annullata con la rimozione delle precedenti ideologie politiche e la
completa e volontaria adesione al programma maoista. Si riporta un passo scritto
dallo studioso di programmi di riforma del pensiero, R.J. Lifton (1961).
Mi è stato riferito di missionari che, dopo aver sottoscritto sconcertanti confessioni in
prigione, arrivarono ad Hong Kong profondamente confusi su ciò in cui credevano
effettivamente. Di studenti cinesi che, violando i precetti più sacri della loro tradizione,
hanno pubblicamente denunciato i propri genitori. Di emeriti professori che, dopo aver
rinunciato al loro «malvagio» passato, hanno riscritto i loro testi accademici da un punto di
vista marxista.¹
¹ Ibid. p 139
27
Le strategie utilizzate dal regime cinese furono:
- intensi attacchi psicologici per destabilizzare la percezione del sé e indurre
sottomissione;
- uso di un gruppo organizzato di soggetti;
- pressioni interpersonali tra i membri dei gruppi producendo conformismo;
- controllo dell’ambiente sociale per stabilizzare il comportamento una volta
- modificato;
Questo sistema che lasciava nei soggetti una percezione di libertà di scelta e non
prevedeva torture fisiche ha prodotto risultati riscontrabili ancora oggi.
3.2.2 Soldati americani in Corea: Programmi confined-assaultive
I soldati americani catturati in Corea servirono da cavie per sperimentare “lavaggi
del cervello” strutturati dal regime comunista cinese. Gli statunitensi venivano
sottoposti a torture prolungate basate sullo stimolo negativo quando le richieste non
venivano accettate, e sul rinforzo quando le stesse richieste venivano condivise. Le
false confessioni che si trovavano a firmare i detenuti, sull’utilizzo di armi
batteriologiche, fungevano da propaganda politica per il governo cinese.
Gli stimoli negativi consistevano in fame, esaurimento, perdita della logica, ossessiva
ripetizione. I soldati erano costretti ad ascoltare il continuo ripetersi di letture dalle
ideologie comuniste, e sebbene il linguaggio spesso non veniva compreso, il ripetersi
incessante fungeva da demolitore delle resistenze mentali.
I rinforzi consistevano in razioni di cibo più abbondanti e la sospensione momentanea
delle torture fisiche.
Alcune truci torture consistevano nell’isolamento in gabbie piccolissime, nell’impedimento del sonno, nel costringere il recluso a stare in ginocchio su rocce appuntite
mantenendo un masso sopra la testa, oppure nel camminare per ore nelle acque gelide
del fiume Yalu, nell’impedimento di espletare funzioni fisiologiche, nel trattenere il
detenuto in piedi sull’attenti dalle 4.30 alle 23.00, nella rottura dei denti e della
mandibola con assi di legno.
La cosa interessante in questa sede, è che la maggior parte dei soldati rientrati in patria dopo il regime di reclusione, hanno completamente disconosciuto le false confes28
sioni firmate, a riprova del fatto che la tortura fisica può ottenere un cedimento più
rapido, ma meno interiorizzato.
3.2.3 L’interrogatorio della Gestapo
Un tipo d’interrogatorio che ha fatto largo utilizzo di torture e brutalità con scopi
persuasivi è certamente quello utilizzato dalla Polizia politica nazista, la quale
utilizzava gli attacchi fisici in maniera regolare e continuativa. Si è accennato al fatto
che lo shock derivante da un attacco inaspettato e improvviso abbassa le difese dei
soggetti interrogati, ma l’effetto che produce una pressione continua e interminabile,
seppur attesa, è altrettanto forte perché induce una sensazione di insicurezza e terrore.
Gli interrogatori cominciavano sempre in maniera piacevole e amichevole, per poi
essere sostituiti dall’atteggiamento sadico e brutale degli interroganti.
La Gestapo utilizzava inoltre una tecnica non ancora analizzata e dal successo
garantito, la minaccia di ritorsione sulle famiglie. Veniva chiesto ai soggetti
sottoposti a interrogatorio di denunciare amici e conoscenti aderenti alla Resistenza in
cambio della salvezza della propria famiglia. Una situazione di Dissonanza Cognitiva
estremamente pesante da sostenere.
J.A.M. Merloo parla del sistema che aveva adottato la Resistenza per non cedere alle
violenze durante gli interrogatori.
[…] elaborammo questo semplice trucco: quando non fosse stato più possibile ingannare il
nemico e trattenersi dal parlare, la cosa migliora da fare era di parlare troppo. […]
Monologhi privi di senso confondevano il nemico molto di più degli eroici silenzi cui
la resistenza sarebbe stata comunque piegata malgrado tutto.²
Questa tecnica, conosciuta come Information Flood ha avuto successo in molti casi,
togliendo al torturatore un pretesto per perpetrare la tortura avendo ottenuto una
confessione, e allo stesso tempo confondendolo fornendo informazioni veritiere
mischiate a informazioni false. In questa situazione si veniva ad amplificare il Doppio
Legame, il paradosso per eccellenza, che permea ogni situazione di manipolazione.
² Ibid. p. 115
29
3.2.4 L’interrogatorio della CIA
Si riportano alcuni passaggi del manuale della Cia del 1963 che racchiudono tutte
(o quasi) le tecniche viste finora. In questo, viene spiegato come affrontare soggetti
che mostrano resistenza o che utilizzano metodi per ostacolare l’emergere della
confessione.
[…]L’obiettivo a breve termine è di ottenere la sua cooperazione […], se oppone resistenza,
di distruggere questa sua capacità e di sostituirla con un’attitudine a cooperare.
L’esperto di interrogatori può risparmiare un sacco di tempo comprendendo le necessità
emozionali degli interrogati. […] salutare il soggetto usando il suo nome […] stabilisce nella
sua mente la confortevole consapevolezza di essere considerato come una persona.³
Il manuale distingue due tipi d’interrogatorio, quello coercitivo e quello non
coercitivo. Il primo prevede:
Arresto - quando il soggetto meno se l’aspetta, in modo tale che produca sorpresa e il
massimo grado di disagio mentale al fine di inibire qualsiasi capacità d’iniziativa del
sospetto.
Detenzione - privandolo dei suoi abiti consueti perché essi rafforzano la sua identità.
Con individui particolarmente ostinati e orgogliosi fornire abiti di taglie più grandi.
L’identità di una persona dipende dalla continuità dell’ambiente che lo circonda, le
abitudini, l’aspetto, le azioni, le relazioni con gli altri. Si ottiene poco se la detenzione
rimpiazza una routine con un’altra.
Deprivazione sensoriale - per opprimere il soggetto e farlo cedere in minor tempo.
Ansia (minaccia e paura) - che diminuisce quando l’interrogante viene associato a
una ricompensa o a una diminuzione del terrore.
Esaurimento - una situazione di stress prolungato ha il potere di essere poco sopportabile, portando a cedimenti.
Tortura fisica - il suo maggior effetto risiede nella paura collegata al dolore.
³ Ibid. p. 123, e p. 121
30
Ipnosi - agendo sull’inconscio dell’individuo si ottiene un’interiorizzazione del cambiamento, con conseguente rafforzamento delle nuove idee.
Trattamenti farmacologici - il cui utilizzo azzera molte difese dell’interrogato.
Regressione - la privazione di stimoli induce regressione. Al tempo stesso, somministrando stimoli il soggetto identificherà l’interrogante con la figura paterna.
L’interrogatorio non coercitivo prevede tecniche volte a:
Controllo ambientale - pareti vuote, nessun arredamento o colori, niente telefono o
collegamenti con il mondo esterno, eliminazione delle interruzioni.
Impedimento di contatti umani - perché rafforzerebbe l’identità del soggetto.
Ricompense - per comportamenti consoni con l’obiettivo.
Punizioni - per comportamenti non consoni con l’obiettivo.
Controllo del tempo - modificando gli orologi interni, stabilendo gli orari per i pasti
(più il soggetto viene nutrito a ritmi assurdi più cederà facilmente), stabilendo gli
orari del sonno, (generalmente vengono concesse solo brevi pause).
Attacchi emotivi
Scene strutturate - per indurre sfiducia, disorientamento e far affiorare il senso di
colpa.
Tecnica confusionale - bombardando il soggetto di quesiti privi di senso che
implicano dati reali riferiti alla biografia del soggetto.
Esempio tratto dal Manuale della CIA, riportato in Mindfucking, di Stefano Re:
«Dove ti trovavi il 3 aprile del 1972? In compagnia di chi?»
«Rispondi, non tentare di farci fessi»
«Dove ti trovavi il 5 Maggio del 1971?»
«Qual è il tuo piatto preferito?»
«Perché hai smesso di fare sci nautico?»
Nel corso dell’interrogatorio, i temi possono essere incrociati ed elaborati:
«Allora, ricapitoliamo, perché nell’aprile del 1971 hai smesso di apprezzare il pollo arrosto?»
«Quindi tua moglie era il tuo piatto preferito?»
«Non tentare di fare fesso chi pratica sci nautico, non tutti hanno smesso!»
«Perché tua moglie ti ha lasciato?»
«E tu perché hai lasciato lo sci nautico?». 4
4
Ibid. pp. 125, 126
31
Ciò che sarà importante da questa confusione, non saranno le domande senza senso
che vengono rivolte al soggetto (sempre appartenenti alla sua sfera biografica), ma il
tono, la velocità incalzante con cui vengono poste. L’interrogato sarà così spinto a
una qualsiasi reazione.
In conclusione, il manuale sostiene che dopo prolungate ore o giorni di situazione
stressante, il soggetto regredisce e reagisce affidandosi completamente ai suoi
interroganti, vedendoli come figure autoritarie, paterne e amichevoli, in quanto sono
divenute le uniche che possono interrompere una situazione diventata insostenibile.
La situazione di interrogatorio è di per sé inquietante per la gran parte di coloro che
l’affrontano per la prima volta. L’obiettivo è di potenziare questo effetto al fine di
sconvolgere le normali associazioni emotive e psicologiche del soggetto. Quando si
raggiunge questo risultato, ogni resistenza è seriamente compromessa. 5
5
Ibid. p.127
32
4 L’interrogatorio di polizia
L’interrogatorio è una delle forme di intervista, spesso per mancanza di conoscenze
approfondite sulle dinamiche psicologiche, in cui la manipolazione degli individui è
esercitata per ottenere una descrizione più dettagliata possibile dei fatti e accertare la
loro eventuale responsabilità. In queste situazioni, anche se si ritiene dannoso
esercitare un’eccessiva influenza sull’interrogato per non condizionarne la versione
dei fatti, la manipolazione può avvenire a causa dell’utilizzo scorretto di procedure o
tecniche d’intervista (ad esempio l’utilizzo di domande tendenziose, con informazioni
implicite o a risposta forzata).
I metodi che si elencano di seguito, fanno tutti leva sul senso di colpa dell’interrogato
mentre il manipolatore cerca un alleato nel desiderio, non sempre inconscio, di confessare ed espiare una colpa.
Alcuni di questi metodi sono posti spesso sotto una visione romanzesca o cinematografica, per il largo utilizzo che ne viene fatto in questi ambienti, tuttavia, sono tecniche reali e realmente efficaci.
L’elenco di queste tecniche non vuole insinuare che il metodo migliore non sia quello
della raccolta fisica di prove, testimonianze e indizi, e della somministrazione delle
stesse all’interrogato, consigliandogli una confessione che porterebbe soltanto vantaggi per lui.
4.1 Poliziotto buono e poliziotto cattivo
La tecnica ha lo scopo di far nascere nell’interrogato la necessità di fidarsi di
almeno una persona presente.
La figura del poliziotto buono deve sempre essere interpretata da una sola persona per
poter instaurare un rapporto di fiducia con l’interrogato; costui, deve essere visto
come amichevole e gentile, una sorta di ancora di salvezza.
Il ruolo del poliziotto cattivo può essere interpretato da una o più persone, con lo
scopo di intimidire l’interrogato tramite l’utilizzo di atteggiamenti comportamentali
aggressivi e minacce verbali; questo deve essere percepito come pericoloso e ostile.
L’individuo si ritrova a subire una serie di aggressioni simboliche o reali che gli pro33
vocano confusione e paura, e tende a necessitare di fiducia. L’unica persona che può
soddisfare questo bisogno è chi recita il poliziotto buono perché fino alla fine
mantiene un atteggiamento amichevole. Se la figura del poliziotto buono interviene
nel mezzo degli attacchi emotivi o fisici interrompendoli, acquista una fiducia maggiore.
4.2 Stress emotivo
Per utilizzare al meglio questa tecnica bisogna conoscere a fondo le abitudini
dell’interrogato, le sue convinzioni religiose, i rapporti familiari e lavorativi, quelli
sessuali, eventuali informazioni sull’infanzia, ecc… Tutte le informazioni che si
hanno, vengono utilizzate per far leva sui tratti emotivi dell’interrogato, che, alla
lunga, sentirà la pressione crescere e tenderà a cedere ai sensi di colpa.
L’interrogatorio deve essere resa un’esperienza infinitamente stressante, penosa, difficile da sostenere sotto il frequenti attacchi emotivi verbali.
Tuttavia, se non si è a conoscenza di tutte quelle abitudini che formano il bagaglio di
esperienze dell’interrogato, gli attacchi emotivi possono risultare mossi in una
direzione sbagliata e rivelarsi inutili.
Si riporta di seguito il dialogo avvenuto tra un agente speciale dell’FBI specializzato
in Scienza del Comportamento, che viene chiamato B, e un altro agente esperto di
interrogatori, che viene chiamato A.
«Chiudi la porta, A. siediti». Lui esegue, palesemente turbato dal mio tono. «Ho appena finito
di parlare con tua moglie al telefono, a quanto pare avete dei problemi.»
«Hai parlato con lei?» Non mi guarda ma tiene gli occhi fissi sul telefono.
«Senti, A» faccio in tono suadente, «sarei più che felice di coprirti, ma questa è una faccenda
che devi risolvere da solo. È chiaro che tua moglie sa che c’è qualcosa tra te e C, e…»
«Non c’è nulla tra ma e C», sbotta lui.
«Il nostro è un lavoro stressante, lo so. Ma tu hai una moglie fantastica, dei bei bambini, non
rovinare tutto».
«Le cose non stanno come pensi tu, B, devi credermi». Non stacca lo sguardo dal telefono e
comincia a sudare. Una vena del collo gli pulsa, è vicinissimo al crollo.
34
«Ma guardati», sogghigno, abbandonando di colpo ogni finzione, «tu saresti un esperto in
interrogatori? Hai combinato qualcosa?».
«No B, te lo giuro!».
«Eppure guardati, sei più molle della cera! Sei innocente, sei un ex-capo della Polizia. Sei un
esperto di interrogatori. E tuttavia ti sei fatto trattare come uno yo-yo. Allora, che hai da dire
a tua giustificazione?».¹
Quello che B voleva dimostrare ad A era che chiunque può cedere sotto attacchi
emotivi se colpito nel giusto modo e nella giusta dose.
4.3 Crimini di gruppo
Nei crimini di gruppo, ad esempio lo stupro, una tecnica efficace è far pensare a
ogni interrogato che un altro membro del gruppo abbia confessato dettagli del
crimine.
Per attuare questa tecnica, bisogna tenere separati i soggetti per evitare che si parlino
tra loro, e avviare pressanti interrogatori individuali durante i quali oltre a eventuali
informazioni rivelate, bisogna prestare particolare attenzione al linguaggio utilizzato.
La comprensione e assimilazione del gergo di appartenenza verrà utilizzato con gli
interrogati per convincerli che qualcuno all’interno del gruppo stia parlando. Senza
prestare attenzione al linguaggio da utilizzare, questa tecnica potrebbe non aver
successo perché chi muoverebbe le accuse, sarebbe poco credibile. Una volta rivelato
ai vari individui che qualcuno sta tradendo il gruppo, in ognuno si instillerà il bisogno
di sopraffare gli altri appartenenti al gruppo, e di conseguenza, potrebbe fornire
ulteriori dettagli convinto che potrebbero scagionarlo. Il vantaggio di questa tecnica si
rileva al termine degli interrogatori, quando tramite l’unione di tanti piccoli dettagli
resi negli interrogatori, si dovrebbe essere in grado di ricostruire una reale successione degli avvenimenti. Questo tipo di interrogatori possono essere usati anche in
campo mafioso.
¹ Ibid. p. 94
35
4.4 Cold Shoulder (Spalla Fredda)
Riportare i sospetti sulla scena dove è avvenuto un crimine può essere un buon
meto-do per stimolare una confessione spontanea. Tornare sul luogo del delitto può
far rivi-vere i momenti della commissione del crimine, facendo affiorare sentimenti
appa-ganti o sgradevoli. Ciò che conta in questa tecnica, è prestare attenzione alle
reazioni del sospetto nelle specifiche fasi del ritorno sul luogo. Se è possibile, è
consigliabile far passare sulla scena eventuali testimoni o vittime che l’interrogato
può riconoscere.
Questa tecnica va effettuata nella totale inconsapevolezza del sospetto. Se gli venisse
comunicato precedentemente, avrebbe il tempo di creare le difese per sostenere una
tale situazione di pressione.
4.5 Narrazione ipotetica
Questa è una tecnica a cui possono far appoggio soltanto gli interroganti con
fervida fantasia e capacità d’improvvisazione.
Il poliziotto, inizia a narrare a sorpresa una storia ipotetica che apparentemente non
abbia nulla a che fare con il crimine commesso. (In questa situazione si crea già un
principio di confusione nell’interrogato che abbasserà le sue difese). Mano a mano
che la storia prosegue, il narratore inserirà sempre più dettagli presenti sulla scena del
crimine, o ipoteticamente antecedenti il fatto. Avendo richiamato l’avvenimento, si
potrà procedere sbagliando appositamente dei dettagli del crimine, nella speranza che
il sospetto corregga gli errori con elementi attinenti alla reale scena del crimine. In un
secondo momento, mettendo il sospetto di fronte all’evidenza dei fatti, si potrebbe
sentire messo alle strette e si potrebbe auspicare una confessione.
Una variante di questa tecnica è far riscrivere la storia narrata all’interrogato. Allo
stesso modo, se verranno aggiunti dettagli che non erano stati menzionati, ma presenti
sulla scena, si sta procedendo nella direzione corretta.
A questo proposito si nota che nelle narrazioni, se fatte ad hoc, cioè con modulazione
del tono, della velocità e dell’intensità della voce in presenza di parole specifiche, si
possono insinuare nell’inconscio del sospetto determinati bisogni di confessione.
36
4.6 Giustificazioni
Assumere il punto di vista del criminale, specialmente in reati a sfondo sessuale, è
un metodo per ottenere una confessione. Fornire delle motivazioni accettabili
razionalmente, facendo leva sulla Dissonanza Cognitiva, è una strategia che può
spingere all’ammissione del crimine o alla rivelazione d’importanti informazioni.
Importante in questa tecnica è utilizzare il linguaggio dell’interrogato perché creda
che chi lo interroga stia entrando nella stessa visione delle cose.
Per esempio durante l’interrogatorio di un sospettato di stupro, utilizzare un atteggiamento e un linguaggio brutale e offensivo verso la vittima può essere un buon punto
d’accesso agli schemi di rappresentazione mentale del soggetto.
4.7 Scenografia
Uno dei ruoli ritenuti fondamentali, lo riveste la scenografia del posto. È stato
ampiamente dimostrato che un ambiente asettico, con la presenza di uno specchio, un
tavolo e due sedie, incute timore reverenziale nell’interrogato e può portare a un’ammissione di colpevolezza. Anche le luci presenti hanno una funzione importante.
Un’illuminazione concentrata sul soggetto può provocare molta confusione mentale,
la quale può portare a contraddizioni nella versione sostenuta (questo può essere un
fattore sia positivo che negativo); un’illuminazione elevata fornisce una sensazione di
vulnerabilità, eliminando qualsiasi punto buio, si elimina qualsiasi via di fuga
dell’inconscio.
Utili alla scenografia possono essere la presenza di un grosso fascicolo (anche se
finto) riguardante il sospettato, come la presenza di oggetti rilevati sulla scena del
crimine.
Ciò che però, attua la maggior pressione, è lo specchio presente alla parete.
Molteplici studi hanno dimostrato quanto uno specchio modifichi il comportamento
dei soggetti postici davanti. Lo specchio funge da finestra su come si appare e su
come si vuole apparire nella società, di conseguenza, vedendosi allo specchio si
agisce in modo socialmente più conforme. La stessa funzione può svolgerla una foto
37
di occhi appesa alla parete, o una telecamera che riprende la scena e un monitor sul
quale si può vedere sé stessi.
È importante a livello legale cercare di effettuare la registrazione audio e video di
tutto l’interrogatorio.
Immagine da The Psychology of confession Evidence, American Psychologist, March 1997, p. 223
38
5 L’interrogatorio strutturato dell’FBI
Questo tipo d’interrogatorio è una forma più raffinata delle tecniche presentate nel
capitolo precedente che fino a oggi hanno mostrato un alto indice di successo.
5.1 Avviare la comunicazione
L’ufficiale
incaricato
dell’interrogatorio
assume
atteggiamenti,
posture,
linguaggio, valori di riferimento e schemi di rappresentazione mentale, il più
possibile simili a quelli dell’interrogato, avviando un dialogo neutrale su contenuti di
gradimento del sospetto. È importante che siano tutte argomentazioni non inerenti al
crimine.
Intraprendendo una conversazione e non un monologo, il soggetto sarà indotto a
parlare.
5.2 Analisi
Questa fase è fondamentale per analizzare le reazioni comportamentali del
soggetto mentre comunica sui temi neutrali selezionati precedentemente. Questo
fornirà degli spunti sugli atteggiamenti che il soggetto assume prima, durante e dopo
aver risposto a qualsiasi domanda. Inoltre, applicando i principi della comunicazione
non verbale e neurolinguistica, si può avere conferma del sistema di rappresentazione
utilizzati dall’interrogato nei dialoghi.
Di seguito, viene affrontato un breve escursus sui sistemi di rappresentazione della
comunicazione neurolinguistica, settore da non sottovalutare in fase d’interrogatorio.
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Immagine da Robert B. Dilts et al, PNL per la creatività e l’innovazione, trad. it. Mattia Bernardini, ed. Nlp Italy, Alessio
Roberti Editore srl, p.106 (prima ed. 2006)
Com’è possibile vedere da figura, esistono sei sistemi rappresentazionali utilizzabili
da un essere umano. Tutti gli individui tendono a preferirne principalmente uno o
due. L’utilizzo di questi sistemi si sviluppa automaticamente a livello inconscio, ma
diventa controllabile per chi ne conosce le chiavi di lettura.
Nella parte alta ci sono i sistemi di rappresentazione visivi, rispettivamente creato e
ricordato, a metà del viso si trovano i sistemi auditivi, creato e ricordato, e in basso si
trovano i sistemi cinestetici (sensoriali), esterno a destra e il dialogo interno a sinistra.
Ascoltando attentamente le parole del soggetto nella prima fase di avvio della
comunicazione e osservando lo spostamento degli occhi, si potrebbe accedere al suo
stesso sistema di rappresentazione. Questo permetterebbe di dialogare mantenendo un
contatto che va oltre le mere parole, fissandosi nell’inconscio. In sostanza si crea un
rapporto più profondo anche se il soggetto non ne è consciamente consapevole.
Per esempio, se durante la fase di avvio della comunicazione si introduce un
argomento neutrale con gli scopi presentati sopra, quale potrebbe essere il rapporto
con i genitori e il soggetto rispondesse con una frase tipo: «mi trovo bene con i miei
genitori. Non mi guardano dall’alto in basso come vedo fare da tutti i genitori degli
altri», l’interrogante, per stabilire un rapport più profondo dovrebbe rispondere
utilizzando lo stesso sistema di rappresentazione, nel caso presentato, quello visivo.
Un esempio di risposta potrebbe essere: «bene! Con i tuoi funziona bene. Guarda che
è importante il rapporto con loro. Vi vedete spesso?», continuando all’interno dello
40
stesso sistema. Se il soggetto cambiasse sistema di riferimento, questo dovrebbe essere modificato anche dall’ufficiale con l’obiettivo di mantenere rapport.
Questo sistema può inoltre dare informazioni sulle menzogne. Se nello svolgimento
dell’interrogatorio riferito al crimine, il soggetto utilizzasse un sistema di riferimento
totalmente diverso da quello utilizzato durante tutta la fase di costruzione del rapporto, potrebbe essere un segnale di menzogna.
5.3 Verifica
A questo punto, l’interrogante inizierà con delle domande specifiche riguardanti il
crimine situando il sospetto nella posizione inevitabile di esprimere un parere
personale riguardo i fatti avvenuti, per esempio: «secondo te il colpevole aveva le sue
buone ragioni per commettere questo crimine?». Le risposte che vengono date,
saranno analizzate secondo i parametri rilevati durante le prime due fasi.
5.4 Affronto
Entrando in questa fase più delicata, l’ufficiale leggerà al sospetto i suoi diritti, e
successivamente lascerà la stanza. Rientrerà più tardi dopo aver individuato dei Temi
di particolare interesse per il soggetto, ai quali verranno abbinate le forme di giudizio
sul crimine espresse precedentemente dallo stesso. Al rientro, l’interrogante assumerà
postura e atteggiamento autoritario, ma onesto.
5.5 Sviluppo del Tema
A questo punto, per procedere, bisogna avere un’acuta sensibilità e un buon spirito
di osservazione. L’interrogante sceglierà un Tema che il sospetto ha mostrato di
gradire e lo svilupperà ricalcando le sue stesse convinzioni, utilizzando un tono di
voce suadente e melodico.
Se il Tema fosse la deresponsabilizzazione del criminale e la colpevolizzazione della
vittima, il seguente è un buon esempio:
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Joe, tu sembri davvero un bravo ragazzo, per cui lascia che ti dica questo: se non pensassi
che lo hai fatto in un momento di debolezza non starei qui a parlarti. Joe, hai fatto un errore.
Non avevi alcuna intenzione di farlo, ti sei trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato,
ecco tutto. Hai perso il controllo e le cose sono andate come sono andate. Tutti abbiamo i
nostri momenti di debolezza, Joe, tutti quanti. L’importante è imparare la lezione e cercare
di tirare avanti.¹
Se, nelle fasi precedenti l’interrogante si rende conto che il soggetto ha utilizzato
principalmente un sistema di rappresentazione visivo, un buon metodo per creare
rapport è enfatizzare le parole che richiamano lo stesso sistema. Un esempio potrebbe
essere:
Joe, sembri davvero un bravo ragazzo, per cui lascia che esaminiamo la situazione da un
altro punto di vista. Se non pensassi che lo hai fatto in un momento di debolezza, non
staremmo qui a guardarci negli occhi e parlare, ma ti avrebbero già portato via. Joe, hai
fatto un errore. Non avevi alcuna intenzione di farlo. Ti sei trovato al posto sbagliato nel
momento sbagliato, ecco tutto. Non ci hai visto più e le cose sono andate come sono andate.
Tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza, Joe, tutti quanti. Se mi osservi attentamente,
puoi vedere che anche io sono debole. L’importante è imparare la lezione e cercare di
guardare avanti.
Nel caso in cui il soggetto dimostri disinteresse per il Tema, l’ufficiale dovrà cambiare argomento, cercando quello che darà più occasioni al sospetto per ammettere il crimine e salvarsi la faccia. Importante sottolineare che durante questa fase al soggetto
non è consentito parlare, altrimenti potrebbe negare continuamente qualsiasi affermazione e trarre forza dalle sue stesse negazioni.
L’interrogatorio proseguirà su questa linea, fino a quando il sospettato dimostrerà
segnali di cedimento, perdita di sicurezza, confusione mentale, come mettere la testa
tra le mani, piegarsi in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia, sostenendo il
mento con le mani.
¹ Ibid. p. 106
42
5.6 Domanda Alternativa
In seguito alla presenza di segnali di cedimento, l’interrogante proporrà
un’alternativa sul movente, più o meno accettabile del precedente. Lo farà
avvicinandosi all’inter-rogato, se possibile toccandogli un braccio o una spalla. Il
contatto fisico può forzare la risposta e rendere più difficile mentire. Offrire
un’alternativa in questo momento vuol dire porre l’interrogato davanti alla necessità
di fare una scelta che rientri in una delle due presentate. L’alternativa al movente, in
genere, tende a essere peggiore della prima dal punto di vista dei valori del sospetto,
in modo tale da spingerlo a squalifi-carla in toto e accettare la motivazione
precedente. Ma non si esclude l’utilità che possa avere sviluppare le domande
secondo lo schema contrario: alternativa peggiore, prima – alternativa migliore, dopo.
Joe, hai ucciso quel tipo perché hai perso il controllo o perché volevi i suoi soldi?²
Ottenuta anche la minima confessione, l’ufficiale procede alla richiesta di più dettagli
possibili.
5.7 Riconferma e Confessione
La riconferma avverrà alla presenza di un secondo ufficiale che uscirà immediatamente dalla stanza una volta ascoltato l’individuo ripetere i dettagli della confessione.
Lo scopo del secondo ufficiale è sia quello di fare da testimone nella confessione, sia
di far pesare la propria improvvisa presenza intimorente nell’interrogatorio, di modo
che il soggetto, nel momento in cui si libererà di lui, si sentirà sollevato e più vicino
all’ufficiale che lo ha seguito dall’inizio. Si tratta di un’evoluzione della tecnica del
poliziotto buono, poliziotto cattivo.
² Ibid. p. 108
43
6 Le tecniche future
Gli operatori di polizia dovrebbero conoscere a fondo, e tenere sempre a mente, le
tecniche presentate, sia per non utilizzare metodi inumani che non sarebbero validati
a livello forense e banditi a livello nazionale e internazionale, sia perché da molte si
possono ricavare spunti per studiare nuovi sistemi di interrogatorio.
Dopo aver esaminato metodi e situazioni in cui le persone vengono sottoposte a
manipolazione sia coercitiva che non, si vuole spostare l’attenzione su ciò che si considera un possibile futuro degli interrogatori di polizia.
Preme far notare che tutte le differenti questioni che si affronteranno in seguito
volgono a una manipolazione non coercitiva, e si basano unicamente su attenta osservazione e ascolto attivo.
Molte situazioni simili vengono già affrontate nel corso di terapie psichiatriche,
soprattutto ove il paziente non espone il reale problema al terapeuta, ma si nasconde
dietro ipotetici muri. Gli psicoterapeuti infatti, devono avere uno spirito d’osservazione acuto per cogliere tutto ciò che il paziente omette nel discorso.
Allo stesso modo, un ufficiale o chi per esso svolga interrogatori dovrebbe essere un
analizzatore dei parametri del linguaggio verbale, non verbale, profondo conoscitore
della lingua e abile oratore, ascoltatore attento ai dettagli. Tutto ciò per creare quel
rapport con il soggetto interrogato, che lo porterà a fidarsi e dire la verità, tanto
quanto fa un terapeuta con il proprio paziente.
Si noti comunque che quello che si può ottenere nel corso di un interrogatorio facendo riferimento a quanto si dirà, ovviamente non corrisponde a prove dal valore giuridico, le cosiddette prove provate, e altrettanto ovviamente non pretende di arrivare a
una confessione spontanea e scritta. Però gli indicatori che si otterranno dall’interrogato, possono assumere l’aspetto di indizi chiarificatori, maggiormente in crimini
complessi, con lo scopo di dirigere le indagini in una direzione specifica che includa
o escluda soggetti e ipotesi.
44
6.1 Comunicazione non verbale – CNV¹
Alcune tecniche che possono portare a comprendere molto meglio la personalità
dei soggetti interrogati, la loro visione del mondo, i loro schemi di riferimento, le loro
abitudini, si ritrovano nella comunicazione non verbale (riguardo i sistemi di riferimento, si rimanda al paragrafo 5.2).
Prima di proseguire, si vuole ricordare che i termini interrogatorio, interrogante e
interrogato, sono utilizzati in tutte le situazioni di intervista in ambito forense. Quindi
oltre alla situazione di vero e proprio interrogatorio, si include anche la ricerca di
sommarie informazioni, escussione di testimoni, ecc…
6.2 Segni alogici: la fuga inconscia di informazioni non verbali
Per segni alogici si intendono tutti i gesti che comunicano le emozioni sia nei casi
in cui siano esplicitate dalle parole, sia nei casi in cui l’interlocutore stia tentando di
mascherarli con il tono di voce, la velocità nel parlare, o la calma apparente.
Si tratta perciò di atti compiuti sovente senza il rigido controllo della coscienza,
spesso rivelatori di un’emozione nascosta.
I segni alogici si suddividono in gesti inconsci regolatori, manifestazione delle
emozioni del viso e gesti adattatori.
6.2.1 Gesti inconsci regolatori
I gesti inconsci regolatori sono tutte le azioni che oggettivamente regolano il flusso
della conversazione e il comportamento tra i comunicanti. I più comuni sono: cenno
del capo, spostamento dello sguardo, cambiamento d’intensità dello sguardo,
cambiamenti di posizione, aggrottarsi delle sopracciglia, movimenti delle mani ecc....
Scheflen ha suddiviso i gesti regolatori in tre differenti categorie.
¹ Vincenzo Maria Mastronardi, Manuale di comunicazione non verbale, ed. Carocci Faber, 2011,
(prima ed. 2007)
45
- Punti: disposti a intervalli regolari di poche frasi, rappresentati da
movimenti della testa, degli occhi, del collo e fungono da sottolineature
della fine di un’unità della frase.
- Posizione: la distanza che intercorre tra i due interlocutori e la posizione
assunta durante l’interazione.
- Presentazione: la totalità delle posizioni assunte all’interno della
comunicazione.
6.2.2. Emozioni del viso
Riguardo il viso e la manifestazione delle emozioni, si distinguono due
classificazioni, una generica e una riferita al messaggio che comunicano.
Segnali sulla distribuzione dei turni: movimenti del capo e cambiamenti di direzione
dello sguardo che segnalano che il parlante sta per terminare il suo turno di eloquio.
Segnali di retroazione: generalmente si ottengono dall’esame del volto dell’ascoltatore.
Segnali di attenzione: prossimità tra gli interlocutori, orientamento del corpo,
sguardo, cenni del capo di assenso o dissenso, postura.
I messaggi che comunica la manifestazione delle emozioni si possono suddividere in
caratteristiche della personalità, emozioni e segnali interattivi collegati al discorso.
Le caratteristiche della personalità possono essere desunte dai lineamenti del volto e
dal tipo di espressione assunta, per esempio le labbra assottigliate sono associate a
una persona coscienziosa, la tensione del volto a una persona aggressiva, collerica e
via dicendo.
Le emozioni determinate dai muscoli del volto che assumono sequenze innate e
indipendenti da qualsiasi apprendimento. Per la precisione, le espressioni comuni a
livello mondiale sono sette: felicità, sorpresa, timore, tristezza, rabbia, disgusto,
interesse.
I segnali interattivi collegati al discorso sono inviati con movimenti rapidi di porzioni
di volto, hanno significati ben precisi a livello di approvazione o disapprovazione del
discorso. Alcuni esempi possono essere la posizione rigida della mandibola, un
46
sogghigno, la bocca aperta e via dicendo.
6.2.3. Gesti inconsci adattatori
I gesti adattatori si suddividono in tre categorie.
- Auto adattatori: trasmettono informazioni specifiche e sono attivati da eventi interpersonali, da una particolare situazione, da eventi intrapsichici, e si manifestano
quando una parte del corpo entra in contatto con un’altra.
Per esempio un individuo che si asciuga le labbra con la lingua e con la mano tende a
mostrare soddisfazione, mentre sfregare gli angoli degli occhi con la mano può essere
inteso come un anticipato motivo di dolore o tristezza. Lo strofinamento del viso con
la mano è riferito a una carezza psicologica, il grattarsi della testa all’attività di
fantasticare. La mano che copre l’occhio serve a impedire di vedere, oppure più
rilevante a livello di interrogatorio di polizia, il volersi nascondere. Uno dei gesti più
frequenti e più riconosciuti è lo strofinamento del naso associato a una situazione di
imbarazzo e disagio.
- Alter adattatori: cambiamenti di posizione del corpo o modificazione della distanza
spaziale. Alcuni esempi sono i movimenti incessanti di mani e piedi rivelatori di
ansietà, oppure i movimenti protettivi volti a coprire una parte del corpo temendo un
attacco.
- Oggetto adattatori: si tratta di gesti appresi durante lo sviluppo e possono essere
espressi consapevolmente anche se attraverso movimenti completamente interiorizzati e divenuti automatici, come fumare, guidare l’auto ecc…
6. 3 Segni prosodici e paralinguistici
a) I segni prosodici hanno una funzione comunicativa e sono strettamente connessi
al discorso. Si differenziano nelle seguenti categorie.
- Ritmo: correlato al contenuto e all’importanza delle proposizioni nel contesto.
- Tono: conferisce significato all’espressione.
- Timbro: sottolinea il significato della frase in precisi punti.
47
I segni paralinguistici hanno una funzione informativa e sono indipendenti dal
discorso. Anche questi si differenziano in categorie.
- Extralinguistici: caratteristiche permanenti dipendenti da fattori anatomici e
permettono di risalire all’età, al sesso, alle condizioni di salute
- Paralinguistici: inviano informazioni sullo stato del parlante riferite a sentimenti di amicizia, ostilità, rabbia ecc…
- Fonetica: si riferiscono all’accento e alla pronuncia.
6.4 La menzogna
Mentire è una capacità innata che serve a garantirsi dei vantaggi evolutivi e
sembra essere direttamente proporzionale al volume della neocorteccia cerebrale.
Basta pensare al mimetismo animale, che in termini pratici può essere definito
come una menzogna indispensabile alla sopravvivenza.
Sono stati individuati alcuni fattori più comuni riscontrabili in chi mente.
Premettendo che la miglior menzogna si esprime quando viene completamente
interiorizzata, si elencano i movimenti fisici più frequenti.
b) Movimenti ridotti delle mani.
c) Aumento di auto contatti tra mani e testa (sfregare il mento, pressione sulle
labbra, coprire la bocca, sfregamento del naso, strofinare una guancia, grattare un
sopracciglio, tirare il lobo di un orecchio, sistemare i capelli frequentemente).
Sono tutti movimenti che hanno la funzione di ridurre uno stato di tensione
psicofisica. Quanto più distante dal volto è la parte del corpo toccata, tanto
minore è la tensione.
d) Aumento di movimenti del corpo sotto forma di piccoli spostamenti che
esprimono il disagio e la ricerca di fuga.
e) Aumento dello scuotimento della mano per declinare qualsiasi responsabilità
riguardo le dichiarazioni non veritiere sostenute.
48
Ci sono tra l’altro alcuni segnali definiti contradditori perché in contrasto con quanto
sostenuto verbalmente.
f) Automatici: sudare, impallidire, arrossire.
Gambe e piedi: battere ritmicamente i piedi sul pavimento in contrasto con il
rilassamento del corpo.
g) Tronco: posizioni tese che tradiscono la calma apparente.
h) Gesticolazioni: non identificate: dondolii del corpo.
i) Gesti manuali identificati: volontari ma che esprimono contraddizione tra
azione e stato d’animo.
j)
Espressioni facciali.
Particolare attenzione si vuole dare alle espressioni soffocate come
il
posizionamento della mano sulla bocca relativo a un’emozione specifica di auto
inibizione mentale dell’eloquio, un desiderio di fermare le menzogne che si
sostengono; al timbro della voce che tende ad alzarsi; al dilatamento delle pupille;
all’irrigidimento del corpo; alla fuga del contatto oculare diretto; alla rapidità delle
risposte; alle pause più lunghe; all’eccessiva cura dei dettagli e dei particolari al fine
di rendere più credibile la menzogna.
Lo strofinamento del naso sembra che derivi dal prurito che scaturisce dal maggior
afflusso di sangue al naso, conseguenza dell’aumento di pressione che si verifica
nell’atto della menzogna, così come lo scostamento del colletto, dovuto anche questo
a una mancanza d’aria derivante dall’aumento della pressione sanguigna.
Lo stropicciamento di un occhio è un gesto che rappresenta il desiderio di non vedere
l’inganno, lo sfregamento dell’orecchio è la versione adulta del gesto infantile di
chiusura delle orecchie durante i rimproveri, il dito in bocca è un bisogno di
rassicurazione.
49
Si sono elencati fattori che possono segnalare la presenza della menzogna nel
soggetto interrogato, oltre ad altri riferiti alla comunicazione non verbale in generale.
In questa sede si ribadisce quanto sia fondamentale per chi sostiene un interrogatorio,
essere a conoscenza di questi fattori e saper leggere al momento giusto i segnali che
inconsciamente vengono lanciati dall’interrogato. Queste conoscenze danno la
possibilità di valutare e calibrare al meglio le domande da rivolgere in qualsiasi
istante, e interpretare al meglio le risposte ricevute.
50
7 Persuasione¹
Elencate alcune nozioni di comunicazione non verbale, si vuole enfatizzare
l’importanza della persuasione nel corso di interrogatori. La persuasione è l’arma più
potente che possa essere utilizzata da un ufficiale, in quanto porta con sé la capacità
di indurre i soggetti sottoposti a cedere a eventuali inibizioni o mascheramenti.
Parlare di persuasione spesso fa drizzare i capelli agli ascoltatori perché suppongono
che questa sia un’arte accessibile a pochi eletti, o alla categoria di pubblicitari e
addetti al marketing aziendale. In realtà tutti quotidianamente utilizzano psicologie
persuasive per arrivare ai risultati prefissati nelle normali interazioni umane.
La persuasione è una scienza interdisciplinare. A oggi non è ancora stata riconosciuta
come tale, ma numerosi studi dimostrano quanto sia una materia apprendibile e
applicabile in molteplici campi. Chi vuole far uso di questa scienza deve far leva sulle
proprie conoscenze ed esperienze, che applicate ad alcune semplici tecniche
riconosciute efficaci, può ottenere i risultati desiderati.
Gli esempi che verranno riportati sono mere supposizioni che andrebbero senza
ombra di dubbio testate e modificate a seconda della personalità del soggetto
interrogato.
Due fattori devono essere la costante della scienza della persuasione applicata agli
interrogatori: domandarsi sempre che cosa mi spingerebbe a dire la verità se fossi
l’interrogato?, sempre mantenendosi in un contesto di legalità, e la fiducia nel
proprio intuito.
7.1 Paura persuasiva e paralizzante
Le ricerche nel campo sociologico hanno dimostrato che la paura generalmente
induce chi la prova a reagire con un’azione per ridurre la minaccia.
L’eccezione esiste quando viene indicato il pericolo, ma non degli strumenti chiari,
specifici ed efficaci per ridurlo. In questi casi, i soggetti destinatari dei messaggi
contenenti intimidazioni affrontano la paura rimuovendo il messaggio o negando
¹ Noah J. Goldstein et al., 50 segreti della scienza della persuasione, trad. it. Susanna Sinigaglia, ed.
Tea, 2012 (prima ed. 2010)
51
qualsiasi affermazione. Quindi restano paralizzati.
In sostanza, più viene prospettato alle persone quale comportamento assumere per
liberarsi dalla paura, meno ricorreranno al diniego.
In un contesto d’interrogatorio, indurre paura al soggetto interrogato minacciando la
reclusione pluriennale può produrre un indesiderato effetto paralizzante. Prospettando
invece una possibile via d’uscita, come può esserlo uno sconto sulla pena per
collaborazione alle indagini, il soggetto potrebbe visualizzare l’alternativa come reale
e tangibile, come una soluzione alla situazione stressante che sta vivendo.
7.2 Reciprocità
È stato già affrontato quale assunto adotta il principio di reciprocità: la sensazione
d’indebitamento suscitata, che può portare a un’accettazione dei termini della
situazione anche se spiacevoli.
La domanda che si deve porre l’interrogante mettendosi nei panni del soggetto
interrogato è: che cosa potrebbe essermi utile?. Una possibile risposta potrebbe essere la riduzione della pressione che prova. Non bisogna mai dimenticare che il soggetto sottoposto a interrogatorio, è comunque una persona che ha bisogni e prova piaceri.
Trovando il punto d’accesso al suo schema di rappresentazione e focalizzando l’attenzione nei termini di cui sopra, si potrebbe arrivare a una soluzione pacifica e ben
accetta dall’interrogato. Si ricorda di eliminare possibili forme di dispiaceri evitabili
come un’eccessiva pressione.
Per esempio, far incontrare il soggetto dapprima con il cosiddetto poliziotto cattivo
per un periodo di tempo limitato, per poi far subentrare il poliziotto buono nell’interrogatorio (capovolgendo l’attuale sequenza che prevede dapprima l’approccio del
poliziotto buono, successivamente quello del poliziotto cattivo, per poi tornare al primo), può indurre al sentimento di indebitamento nei confronti del secondo interrogante che ha salvato il soggetto da una situazione divenuta insostenibile.
Il soggetto si potrebbe sentire più libero di parlare con il secondo ufficiale.
52
7.3 L’imprevedibilità della stretta di mano
Uno dei migliori metodi per creare uno shock nel soggetto è l’imprevedibilità delle
azioni che si compiono o delle cose che si dicono. Creare ad hoc una situazione
inaspettata, che esca dagli schemi classici crea un breve stato di confusione nel quale
si possono inserire messaggi diretti all’inconscio. La parte conscia del soggetto
essendo impegnata a dare una spiegazione a uno schema interrotto, viene aggirata e le
parole che fanno seguito, se pronunciate in modo adeguato possono arrivare
direttamente alla parte incontrollabile del sé facendo pressione sull’inconscio.
Bisogna sottolineare come uno schema classico comporti delle aspettative in chi ne
prende parte.
Un esempio pratico e ben spiegato dal terapeuta Milton H. Erickson è lo schema della
stretta di mano. In questa sede viene inserito in un contesto d’interrogatorio.
L’interrogante entra nella stanza porgendo all’interrogato la mano dicendo il proprio
nome e grado. L’interrogato reagisce porgendo la sua e in quel momento, l’ufficiale
la ritira non portando a conclusione lo schema atteso. Sembra uno scherzo tra amici,
ma molti studi hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica.
Nel momento di confusione, inserire messaggi diretti all’inconscio come: oggi è un
bella giornata, non è vero”, oppure: che caldo qui dentro, mi tolgo questo peso di dosso, togliendosi la giacca, lancia messaggi diretti a sottolineare la ricerca della verità.
La parte conscia del soggetto non coglierà i riferimenti diretti, perché sarà impegnata
a elaborare la parte mancante dello schema, mentre le allusioni verranno interiorizzate.
Da questa situazione si può valutare anche il tempo che occorre al soggetto per
riprendersi dallo shock e rientrare nella realtà, analizzando questo e molteplici altri
aspetti si può ipotizzare un ideale proseguo dell’interrogatorio.
Altri splendidi esempi si possono ricavare dai metodi terapeutici di Milton H.
Erickson.
53
7.4 Altre osservazioni
La tecnica dell’etichettamento implica l’assegnazione di una caratteristica o di un
atteggiamento, seguita da una richiesta coerente con l’etichetta stessa.
In un contesto d’interrogatorio può essere utilizzata per indurre esplicitamente a dire
la verità, etichettando molteplici volte il soggetto interrogato come un buon individuo
della società che deve rispettare l’idea che si ha di lui.
Inoltre, questa tecnica può incorporarne un’altra che fa riferimento all’impegno che si
vuole far assumere al soggetto interrogato.
Una volta che questo sistema viene interiorizzato dal soggetto, diventa più semplice
fargli mantenere la coerenza con l’impegno che si è assunto.
All’inizio dell’interrogatorio è positivo che l’interrogato scriva una dichiarazione di
suo pugno sostenendo la propria disponibilità a collaborare, e firmandola. L’impegno
preso non resta aleggiante nelle parole, ma viene visualizzato su carta scritta, assumendo tre connotati che potenzialmente cementificano l’importanza dell’impegno
stesso poiché diventa volontario, attivo e dichiarato. Una volta che si ha un quadro di
ciò che si deve fare, è più semplice rispettarlo. L’interrogante dovrebbe far attenzione
in queste fasi a mantenere un atteggiamento privo di boria e autostima.
All’inizio dell’interrogatorio essere presentati da altre persone, fa aumentare in modo
vertiginoso l’ascolto che prestano gli interlocutori alle parole che si diranno in
seguito. Questo sistema di presentazione è stato ampiamente utilizzato con successo
da politici, conferenzieri, performer perché era stato notato che l’autopresentazione e
l’autopromozione di sé sminuisce il valore delle persone. Potrebbe essere un buon
metodo da utilizzare anche negli interrogatori.
Inoltre bisognerebbe fare sporadici accenni ai difetti di sé stessi portando l’interrogante a porsi su un piano più umano e più affidabile. È importante in questa situazione accompagnare la presentazione del difetto a una qualità ad esso correlata che lo
neutralizzi. Questo passaggio serve a far aumentare la credibilità e la fiducia che
l’interrogato può riporre in chi gli sta davanti o nell’istituzione in generale.
Un altro fattore importante è ricalcare il comportamento dell’interrogato che potrebbe
risultare utile a metterlo a proprio agio e fargli rivelare dettagli utili. Questo implica
in maggior parte la postura, il tono di voce, l’atteggiamento.
54
Un altro accorgimento da utilizzare nei momenti opportuni, è la necessità di
enfatizzare la perdita personale che può derivare da una menzogna sostenuta a lungo
cercando di inculcare paura delle conseguenze. In questi istanti, è utile adottare la
parola poiché e le espressioni correlate, in quanto hanno un potenziale persuasivo
molto alto. Dovrebbero essere utilizzate in vece di altre quando vengono espresse
delle richieste esplicite.
Quando si sollecita il coinvolgimento di altre persone nello svolgimento di qualche
compito, un buon metodo è fargli completare le frasi, sottolineando come abbiano le
competenze per portare a termine il compito.
Si è più propensi ad attenersi ai programmi se si ha una prova che si sta procedendo
verso il completamento. A questo proposito citare innumerevoli prove a carico della
colpevolezza dell’interrogato ha un peso notevole per forzare eventuali resistenze.
Dimostrare un atteggiamento nobile e comprensivo nei confronti dell’interrogato è un
potente persuasore. Concedere ripetute pause durante l’interrogatorio, specie se prolungato mette l’interrogante sotto una luce più umana e potrebbe indurre il soggetto a
essere maggiormente collaborativo.
Inserire fonti di distrazione (al contrario di quanto esplicitato da molteplici manuali
d’interrogatorio), può essere un valido alleato dell’interrogante. Le distrazioni rendono i soggetti più vulnerabili ad attacchi persuasivi.
Fornire cibo all’interrogato ha una doppia funzione, porre l’interrogante da un punto
di vista più umano e instillare un rilassamento nel soggetto. In questa fase di rilassamento con l’individuo impegnato nella digestione, porlo sotto una lieve pressione può
dare buoni risultati. Tenere sempre presente il contrasto percettivo. Le esperienze e le
conoscenze pregresse determinano la percezione delle esperienze successive.
Un’ultima osservazione la si vuole rivolgere all’utilizzo della caffeina. La stessa, è un
farmaco chiamato 1,3,7-trimetilxantina e alcuni esperimenti effettuati su larghi campioni di persone hanno dimostrato quanto il caffè sia un notevole persuasore.
Tutti gli accorgimenti presentati sono stati soggetti a studio in settore psicologico e
sociale rivelando quanto il livello di persuasione non sia prettamente innato, ma si
possa apprendere e applicare tramite l’utilizzo di molte accortezze. Se queste
accortezza fossero applicate con metodo e attenzione durante gli interrogatori si potrebbe arrivare spesso alla verità.
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8 Conclusioni
In definitiva, non esiste l’interrogatorio tipo per eccellenza, poiché non esiste un
individuo tipo. Le persone sono tutte differenti e queste differenze sono date da
tantissimi fattori, per esempio età, sesso, provenienza, classe sociale, abitudini,
istruzione, situazione familiare, situazione affettiva, situazione sessuale, credo
religioso, esperienze precedenti, e via discorrendo comprendendo un’infinità di altri
dettagli. Pertanto si ribadisce quanto l’interrogatorio non coercitivo sia un’abile
mistura di lettura dei tratti psicologici, della comunicazione non verbale, di quella
verbale, di piccoli segnali dell’inconscio, più che una mera verbalizzazione
automatica di quanto sostenuto dal soggetto interrogato, distorcendone le intenzioni.
Bisogna modificare ogni qualvolta sia necessario il proprio atteggiamento in favore
della collaborazione dell’interrogato, il quale deve provare una certa quantità di
fiducia in chi lo interroga per potersi esprimere liberamente.
Per concludere questa tesi si vuole citare Milton H. Erickson che nel racconto di un
aneddoto della propria vita, convince un contadino a fidarsi di lui soltanto perché
Milton sa come grattare i maiali con un bastone.¹
Per potersi fidare, all’interrogato deve piacere come l’interrogante sa grattare i maiali.
¹ Milton H. Erickson, La mia voce ti accompagnerà, a cura di Sidney Rosen, trad. it. Salvatore
Maddaloni, ed. Astrolabio-Ubaldini, 1983
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BIBLIOGRAFIA
Anna Oliviero Ferraris, Chi manipola la tua mente, ed. Giunti, 2010
Dizionario Italiano, Il Sabatini Coletti
Milton H. Erickson, La mia voce ti accompagnerà, a cura di Sidney Rosen, tra. It.
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l’innovazione, trad. it. Mattia Bernardini, ed. Nlp Italy, Alessio Roberti Editore srl,
2006
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Vincenzo Maria Mastronardi, Manuale di comunicazione non verbale, ed. Carocci
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SITOGRAFIA
www.youtube.com
www.wikipedia.com
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