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Slides 26-27 febbraio 2014 - Dipartimento di Comunicazione e

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Slides 26-27 febbraio 2014 - Dipartimento di Comunicazione e
SCIENZE SEMIOTICHE
DEL TESTO E DEI LINGUAGGI
2013-14
Cervelli-Tani
Cosa sono le scienze semiotiche?
Una disciplina giovane con una lunga storia: le sue radici
affondano nell’antichità greca e in particolare nel sapere
medico
• Prima definizione: scienza dei segni
• Seconda definizione: Studio dei processi di
significazione e comunicazione (verbali e non verbali)
Margaret Mead, Convegno su paralinguistica e cinesica,
Bloomington, 1962:
“Io credo che a quanto si può immaginare stiamo lavorando in un
campo che col tempo includerà lo studio di tutte le forme di
comunicazione dotate di struttura, delle quali la linguistica è quella
tecnicamente più avanzata. Sarebbe utile disporre di una parola per
le forme di comunicazione in ogni modalità sensoriale, dotate di
struttura […] molte persone qui, che avevano l’aria di essere da parti
opposte della barricata, hanno usato la parola ‘ semiotica ’ . Mi
sembra l’unica parola che, in una forma o in un’altra, sia stata usata
da persone che ragionano da posizioni completamente differenti.”
Sviluppi negli anni sessanta
• Diverse scuole di orientamento semiotico:
• Francese
• Roland Barthes (1915-1980)
• Algirdas J. Greimas (1917-1992)
• Russa
• Jurij Lotman (1922-1993)
• Boris Uspenskij (1937-)
• In Italia:
• Umberto Eco
• Tullio De Mauro
• Ricerca di un territorio comune dove potessero incontrarsi e integrarsi
istanze nate da discipline diverse: sguardo trasversale e problematico
ai dispositivi molteplici della significazione e della comunicazione
(Gensini, Elementi di semiotica, Carocci 2002)
• Grande varietà di indirizzi e ambiti applicativi (dagli stimoli
percettivi ai più elaborati costrutti culturali). Rischio di
smarrimento e di imperialismo
• Come evitare il rischio di imperialismo, come delimitare il
campo?
• Eco: la soglia inferiore e superiore della semiotica
• L’identità è data non dall’oggetto, ma dallo sguardo, dal
metodo
• Costitutiva interdisciplinarità della semiotica, dipendente
dal fatto di non avere un oggetto proprio.
Che tipo di scienze sono quelle
semiotiche?
• Distinzione tra scienze hard e scienze soft (Simone 1990)
• Questione
centrale:
definire
esplicitamente
e
preliminarmente i termini che si adoperano e attenersi a
questa definizione, elaborare metodi intersoggettivamente
controllabili, formulare leggi sono pratiche diffuse nelle
scienze hard, ma problematiche nella semiotica e nella
linguistica.
Orientamento nomotetico oppure
idiografico?
• Distinzione, problematica, che risale a Windelband (1894)
• De Mauro: “campi in apparenza idiografici non potrebbero
nemmeno cominciare le loro indagini se non muovessero
dall ’ accertamento di costanti: fonemi, morfi, regole di
formazione delle parole per studiarne le variazioni o
invarianze nel tempo”
Prima definizione:
scienza dei segni
Che cos’è un segno?
• Siamo circondati da svariate esperienze di natura
semiotica, in cui diversi veicoli materiali rinviano a
qualcos’altro:
•
•
•
•
•
Indicatori luminosi (spie)
Orme, tracce, espressioni del volto, ecc.
Comportamenti e segnali di altri animali
Manufatti come la struttura di un edificio, l’arredamento di una casa
Parole di una lingua
• In tutti questi casi attribuiamo sostanza e valore di segno
a esperienze diverse.
• Aristotele distingue: semeîon, tekmerion, symbolon
Semeióo = marco, faccio segnali, intendo, significo
Fondazione filosofica della disciplina
• Aristotele (384a.C.-322a.C.)
(De interpretatione; Retorica, Poetica)
• Agostino di Ippona (354-430)
(De doctrina christiana; De magistro)
• Locke (1632-1704)
Essay on Human Understanding (1690)
La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della
conoscenza umana (accanto a fisica ed etica).
• Charles Sanders Peirce (1839-1914)
Semiotica come teoria della conoscenza umana, incentrata sulla capacità di
interpretare l’esperienza e ogni sua manifestazione empirica.
Due modelli di segno
• Nella tradizione filosofica e semiotica antica prende forma
una distinzione tra due concezioni del segno:
• Segno come equivalenza o abbinamento tra un significato e un
significante: A sta per B
Modello impiegato per spiegare il funzionamento dei segni di
ordine soprattutto verbale
• Segno come inferenza: Se p, allora q
modello impiegato per spiegare la struttura logica soggiacente ai
segni di ordine soprattutto non verbale (se c’è fumo, c’è fuoco; se
c’è un’orma, c’è un animale; le nuvole annunciano - o significano
- pioggia)
Il segno per Aristotele
pensieri
-------------------------------Suoni verbali
Cfr. Ogden e Richards, Il significato del significato, 1923
oggetti
Agostino di Ippona (354-439)
De doctrina christiana (395-426)
Ogni insegnamento ha come oggetto cose (res) o segni (signa): ma le cose si
apprendono per mezzo di segni. Definisco ora cose in senso proprio quelle
che non servono per significare qualcosa, per esempio legno pietra pecora e
altro di tal fatta; non però il legno che, come leggiamo, Mosè gettò nelle
acque per toglierne l’amarezza, né la pietra che Giacobbe si era posto sotto il
capo né la pecora che Abramo immolò in luogo del figlio. Queste cose infatti
sono tali da essere anche il segno di altre cose. Ci sono invece segni di cui
facciamo uso solo per significare (in significando), per esempio le parole:
nessuno ne fa uso se non per significare qualcosa. Di qui si capisce che cosa
io intendo per segno: una cosa che serve per significare qualcosa. Perciò ogni
segno è anche una cosa, perché ciò che non è una cosa, non esiste affatto:
invece non ogni cosa è anche segno. (De doct.chr. I, II 2)
Significazione naturale
• Dei segni, alcuni sono naturali (naturalia), altri intenzionali (data). Sono
naturali quelli che, senza alcuna intenzionalità e volontà di significare, fanno
conoscere, a partire da sé, qualcos’altro oltre sé, come il fumo significa il
fuoco: lo fa senza intenzione di significare, ma perché grazie alla
osservazione e all’esperienza sappiamo che là sotto c’è il fuoco, anche se si
vede solo il fumo. Appartiene a questo genere di segni la traccia
dell’animale che passa; e il volto di una persona adirata o triste ne rivela lo
stato d’animo anche indipendentemente dalla volontà di chi è adirato o triste,
e così dicasi di altro sentimento che viene indicato dall’atteggiamento del
volto, anche se noi nulla facciamo per indicarlo […]
Significazione intenzionale
• Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano gli uni con
gli altri per far conoscere, per quanto è possible, le emozioni del loro animo,
i sentimenti, i pensieri; e non c’è altro motivo per noi di significare, cioè di
dare un segno, se non per effondere e trasferire nell’animo di un altro ciò che
ha nel proprio animo colui che dà il segno […]. Anche gli animali si
scambiano tra loro segni con i quali esternano gli appetiti del loro animo: il
gallo quando ha trovato da mangiare con voce segnala (dat signum vocis)
alle galline di accorrere, e il colombo chiama con un verso lamentoso la
colomba e così viene da lei chiamato […].
Posto della parola tra gli altri segni
• Dei segni con i quali comunichiamo tra noi i nostri sentimenti (sua sensa),
alcuni riguardano la vista, i più l’udito, ben pochi gli altri sensi. Così,
quando facciamo un cenno, diamo il segno solo agli occhi di colui che in
questo modo vogliamo rendere partecipe della nostra volontà. Certi
movimenti delle mani significano molte cose e gli attori col movimento di
tutte le membra comunicano alcuni segni agli spettatori esperti e quasi
conversano con i loro occhi; le bandiere e le insegne militari trasmettono ai
soldati attraverso gli occhi la volontà dei comandanti […]. Ma tutti i segni di
tal genere, a confronto con le parole, sono molto pochi, perché gli uomini
hanno assegnato in primo luogo alle parole il compito di significare tutto ciò
che meditano in cuor loro, se hanno intenzione di comunicarlo […]. Infatti,
tutti quei segni, i cui vari generi ho brevemente accennato, li ho potuti
esprimere con le parole, mentre assolutamente non potrei esprimere le parole
con quei segni”. (De doct. Chr. II, I, II 3, III 4)
John Locke (1632-1704)
• Essay on Human Understanding (1690)
La semiotica, in quanto dottrina dei segni è una delle tre branche della
conoscenza umana (accanto a fisica ed etica):
“Fu necessario che l’uomo scoprisse qualche segno sensibile esterno,
mediante il quale quelle idee invisibili, di cui sono costruiti i suoi
pensieri, potessero venir rese note ad altri. Nulla era più adatto a tale
scopo, sia per abbondanza che per rapidità, di quei suoni articolati che
in modo così facile e vario l’uomo si trovò ad essere capace di produrre.
In tal modo possiamo concepire come le parole, che di natura loro
erano così adatte a quello scopo, venissero ad essere impiegate come
segni delle loro idee: non per alcuna connessione naturale che vi sia tra
i particolari suoni articolati e certe idee, poiché in tal caso non ci
sarebbe tra gli uomini che un solo linguaggio, ma per una imposizione
volontaria, mediante la quale una data parola viene assunta
arbitrariamente a contrassegno di una tale idea. Perciò lo scopo delle
parole è di essere segni sensibili delle idee; e le idee per le quali esse
stanno sono il loro significato proprio ed immediato” (1690; trad. it. p.
457)
Peirce (1839-1914)
“Io sono, per quel che ne so, un pioniere, o piuttosto un esploratore, nell’attività di
chiarire e iniziare ciò che io chiamo semiotica, vale a dire la dottrina della natura
essenziale e delle varietà fondamentali di ogni possibile semiosi” (Collected
Papers (1931-58), CP: 5.488)
Per semiosi intendo un ’ azione, una influenza che sia, o coinvolga, una
cooperazione di tre soggetti, come per esempio un segno, il suo oggetto e il suo
interpretante, tale influenza trirelativa non essendo in nessun caso risolubile in
un’azione tra coppie (CP: 5.484)
Un segno, in quanto tale, ha tre riferimenti: primo, è un segno per un pensiero che
lo interpreta; secondo è un segno in luogo di un oggetto a cui quel pensiero è
equivalente; terzo, è un segno sotto qualche rispetto o qualità che porta il segno
stesso in connessione con il suo oggetto”.
“Un segno (o Representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto
qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di
quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo
segno che esso crea lo chiamo interpretante del primo segno” (CP: 2.228; trad.
Teoria semiotica come teoria della conoscenza
• Critica dell’idea di conoscenza come intuizione: ogni conoscenza è
determinata da cognizioni precedenti
• Non esiste pensiero senza segni
• Importanza dell’inferenza (ragionamento), ragionamento che parte dagli
effetti anziché dalle cause.
• Modelli di ragionamento:
• Deduttivo: se p allora q, ma p, allora q (Regola, Caso, Risultato)
• RE. Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori,
• C. Quest’uomo è governatore
• RI. Quest’uomo riceve grandi onori (sicuramente)
• Induttivo: Caso, Regola, Risultato
• C. Quest’uomo è governatore
• RI. Quest’uomo riceve grandi onori
• RE.Se un uomo è governatore, allora riceve grandi onori (forse)
• Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
• RI. Quest’uomo riceve grandi onori
• RE. Se un uomo è governatore riceve grandi onori
• C. Quest’uomo è governatore (forse)
• Deduttivo: se p allora q, ma p, allora q (Regola, Caso, Risultato)
• RE. Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi
• C. Questi fagioli provengono da questo sacco
• RI. Questi fagioli sono bianchi (sicuramente)
• Induttivo: Caso, Regola, Risultato
• C. Questi fagioli provengono da questo sacco
• RI. Questi fagioli sono bianchi
• RE.Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi (forse)
• Abduttivo: Risultato, Regola, Caso
• RI. Questi fagioli sono bianchi
• RE. Tutti i fagioli che provengono da questo sacco sono bianchi
• C. Questi fagioli provengono da questo sacco (forse)
• L’abduzione è alla base di ogni indagine, in quando forma del ragionamento ipotetico.
L’abduzione fornisce una spiegazione dei fatti, ma da sola non è in grado di fornire a
questa spiegazione alcuna forza o certezza. Chiave di volta della struttura abduttiva è il
termine medio, cioè la regola, che può essere data in modo obbligante e automatico,
come nella sensazione, essere prodotta per selezione a partire dalle conoscenze
disponibili, oppure risultato di una invenzione creativa.
(cfr. Proni, Introduzione a Peirce, Bompiani, 1990). Sul paradigma indiziario: Eco-Sebeok (a cura di), Il
segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani 1983; R. Petrilli, Il detective e le parole, Guerra,
Modello triadico del segno
interpretante
segno
Representamen
espressione
Oggetto
Immediato
contenuto
Oggetto
dinamico
Modello inferenziale di segno
Il Representamen (puro aspetto espressivo) sta al posto di qualcos’altro. Tuttavia questo
stare per non è da intendersi come un rapporto di pura sostituzione, in quanto il
Representamen non sostituisce l’oggetto sotto ogni punto di vista, ma soltanto “sotto
qualche rispetto o capacità”, cioè in base a qualche proprietà scelta come pertinente.
Se ad esempio prendiamo il disegno di un cavallo, che ne delinei soltanto il contorno, noi
potremmo dire che tale disegno sta per il cavallo, ovvero ne costituisce un segno, il cui
significato sia identificabile con il “ concetto di cavallo ” . Tuttavia il disegno non
esaurisce tutto quello che noi possiamo sapere circa le proprietà del cavallo, ma ne
costituisce un sostituto parziale che individua l’oggetto solo da un certo punto di vista:
la silhouette visiva che può presentare un cavallo, lasciando da parte tutte le
informazioni che riguardano ad esempio il suo essere distinto in varietà diverse ed
avere differenti pezzature del manto, le sue caratteristiche fisiche di dimensione e di
potenza, le sue abitudini in relazione all’uomo, e via dicendo. In altre parole, il segno
come Representamen costituisce una mediazione tra le nostre rappresentazioni
mentali e le caratteristiche reali di un determinato oggetto, mettendone in risalto volta
per volta delle proprietà particolari, scelte secondo qualche criterio di pertinenza”
(Manetti, Comunicazione, 2011, p. 64)
Oggetto dinamico e
oggetto immediato
• Oggetto dinamico è l’oggetto “realmente efficiente ma non immediatamente presente”
(CP:8.343): oggetto in sé, che esiste nella realtà esterna, indipendentemente dal fatto
che qualcuno lo pensi; in quanto tale non entra direttamente nel processo di semiosi.
Può essere messo in relazione alla nozione di referente proposta da Ogden e Richards.
Tale oggetto non è conoscibile se non attraverso la mediazione dei segni, che ne
illustrano volta per volta le diverse proprietà (cioè come oggetto immediato).
• Oggetto immediato è l’oggetto “così come il segno lo rappresenta” (CP:8.343); è una
entità concettuale, una rappresentazione mentale, è il modo in cui l’oggetto dinamico
viene dato e conosciuto attraverso la mediazione dei segni, che ne mettono in risalto
volta per volta certe proprietà. È il significato del segno che viene socialmente
codificato e, in quanto tale, è la contropartita mentale del Representamen.
L’oggetto immediato si distingue dall’interpretante perché è un’entità interna al segno, è
cioè il modo in cui l’oggetto dinamico viene dato nel segno.
L’interpretante è invece esterno al segno, è un secondo segno, una rappresentazione
che scatta nell’interprete a partire dal primo segno e che lo arricchisce (PisantyPellerey, Semiotica e interpretazione, Bompiani, 2004).
Oggetto immediato come
parte del segno
Interpretante
Representamen
Oggetto
immediato
Oggetto
dinamico
Interpretante e semiosi illimitata
L’interpretante è un altro segno che illumina l’oggetto da un altro punto di vista.
In relazione all’esempio considerato, potremmo dire che un Interpretante del disegno di
cavallo può essere costituito da un ’ espressione linguistica quale “ animale che
nitrisce”, o da una fotografia di un cavallo o da una rappresentazione mimica dei
movimenti della corsa del cavallo.
Gli Interpretanti possono essere molti e ciascuno di essi fornisce una conoscenza
parziale dell ’ oggetto. Per produrre la semiosi, ovvero innescare il processo di
significazione, gli Interpretanti si collocano in una serie tendenzialmente senza confini,
che Peirce chiama appunto semiosi illimitata, i quali rendono conto delle molteplici
proprietà dell’oggetto.
La fuga degli Interpretanti, anche se tendenzialmente illimitata, dato che non è mai
possibile cogliere tutte le caratteristiche di un Oggetto, può però arrivare a una sua
normalizzazione nel momento in cui viene a istaurarsi un ’ abitudine o regola
interpretativa stabile, che Peirce chiama abito, che potremmo considerare come
registrata nella nostra memoria e che da un certo momento in poi orienterà le nostre
scelte successive nella interpretazione di un determinato segno.
Tre tipi di interpretante
• Interpretante immediato
interpretazione del segno secondo regole socialmente determinate
e tradizionalmente acquisite (ad es. riconoscimento di un sintomo,
di effetti prodotti da una malattia non ancora diagnosticata)
• Interpretante dinamico
Interpretazione che deriva dal confronto del significato acquisito
con proprie esigenze di comprensione e con l’oggettività
(attivazione di tensioni interpretative, valutazione delle diverse
ipotesi di diagnosi)
• Interpretante logico-finale
Produzione di un abito interpretativo che soddisfa esigenze
conoscitive coordinate all’azione (selezione di un’ipotesi e
intervento di cura)
Interpretanti
Interpretante logico finale
Interpretante dinamico
Interpretante immediato
Representamen
Oggetto
immediato
Oggetto
dinamico
La classificazione dei segni in Peirce
Dal punto di vista della relazione tra il segno e il suo oggetto
•
Icona: correlata al suo oggetto in virtù di un carattere di similarità. I segni
iconici sono motivati per somiglianza tra il segno e l’oggetto.
•
Indice: “è un segno che si riferisce all’oggetto che esso denota in virtù
del fatto che è realmente determinato da quell’oggetto” (CP:2.248). I
segni indicali sono motivati per contiguità fisica: l’indice è un segno
fisicamente o causalmente connesso con il proprio oggetto.
•
•
•
•
Es.: illustrazioni, ritratti, silhouette, caricature, schemi illustrativi di un apparecchio, suoni
onomatopeici, metafore.
Es.: la firma (traccia della presenza dell’autore), la bandierina che indica la direzione del
vento; il dito puntato, l’impronta, la fotografia.
Simbolo: “ segno che si riferisce a un oggetto in virtù di una
legge”(CP”2.249). Il simbolo è un segno non motivato, quindi arbitrario.
Peirce definisce il simbolo anche legisegno (basato su una legalità propria
di una comunità). «il simbolo è connesso con il suo oggetto in virtù
dell’idea della mente che usa il simbolo, senza la quale non esisterebbe
questa connessione» (CP:2.299).
Es.: segni del linguaggio naturale, della matematica, del codice della
strada, dei gradi militari.
Iconicità
• Il problema dell’iconismo (o iconicità) è stato molto dibattuto nella semiotica degli anni
Sessanta e Settanta (cfr. Eco, Kant e il problema dell’ornitorinco, 1997). Il punto di
partenza è nella definizione di icona data da Peirce: da un lato si ponevano coloro che
mettevano in dubbio il concetto di somiglianza e preferivano parlare di regole per la
produzione di similarità (effetto di similarità: Eco, Volli); dall’altro si ponevano quanti
difendevano il principio della somiglianza (Maldonado).
• Eco sottolinea tre ordini di problemi in quel dibattito: 1. La natura iconica della
percezione, 2. La natura iconica della conoscenza in generale, 3. La natura dei segni
iconici. I primi due punti sono oggi al centro di un ampio dibattito che vede nella
iconicità una sorta di funzione fondamentale della conoscenza che prepara la strada
alla categorizzazione: il primo passo per conoscere qualcosa è ri-conoscerlo come
appartenente a una categoria.
• Secondo Gensini (Elementi di semiotica, Carocci, 2002), l’iconicità, indicando un
rapporto non arbitrario tra significante e significato, non può essere ricondotta solo alla
similarità: occorre distinguere tra iconicità come “motivatezza naturale” e “iconicità
come motivatezza logica”. I codici lasciano oscillare i segni da un massimo grado di
iconicità a un massimo grado di arbitrarietà.
Osservazioni critiche su Peirce
Per Peirce tutto è segno. Inoltre, come osserverà Benveniste, Peirce non
distingue adeguatamente tra tipi di segni e tipi diversi di sistemi semiotici e
ciò è dovuto al fatto che manca qui una precisa distinzione tra segno e
significato e manca il principio di sistema segnico, condizione saussuriana
della significazione (cfr. Fabbri in Essere di parola, p. XVI).
Fondazione linguistica della disciplina
• Ferdinand de Saussure (1857-1913)
Corso di linguistica generale (1916)
“La lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile
con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i
segnali militari ecc. ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi.
Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro
della vita sociale; essa potrebbe formare una parte della psicologia sociale e, di
conseguenza, della psicologia generale; noi la chiamiamo semiologia (dal greco
semeion, “segno”). Essa potrebbe dirci in che consistono i segni, quali leggi li
regolano. Poiché essa non esiste ancora non possiamo dire che cosa sarà;
essa ha tuttavia diritto a esistere e il suo posto è determinato in partenza. La
linguistica è solo una parte di questa scienza generale, le leggi scoperte dalla
semiologia saranno applicate alla linguistica e questa si troverà collegata a un
dominio ben definito nell’insieme dei fatti umani» (CDL, 25-26)
Prima questione:
rapporto tra semiologia e linguistica
Barthes, Elementi di semiologia, 1966:14: “non è affatto certo che nella
vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguaggio umano (cioè
del linguaggio verbale), sistemi di segni di una certa ampiezza”
La previsione di Saussure andrebbe dunque rovesciata: lungi dal risolversi in
una branca della semiotica/semiologia la linguistica dovrebbe fungere da
riferimento per capire tutti gli altri sistemi di segni (“la semiologia è forse
destinata a farsi assorbire da una translinguistica”), e le categorie che si
ritrovano tipiche della verbalità dovrebbero pertanto formare l’ossatura
anche di questi ultimi.
Il segno per Saussure
Entità psichica bifacciale, le cui facce, significato e significante, sono
connesse da una relazione di equivalenza (A sta per B). La relazione di
corrispondenza tra A e B richiede l’intervento di un sistema linguistico
(langue): di qui la successiva interpretazione strutturalistica della lingua
come codice che abbina biunivocamente unità appartenenti a due
sistemi (Manetti, Comunicazione, 2011: 49)
Segno come entità psichica bifacciale
«Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine
acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia
psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei
nostri sensi: essa è sensoriale, e se ci capita di chiamarla ‘materiale’, ciò avviene solo
in tal senso e in opposizione all ’ altro termine dell ’ associazione, il concetto,
generalmente più astratto […]».
Il segno linguistico è dunque una entità psichica a due facce, che può essere
rappresentata dalla figura:
concetto
---------------------immagine acustica
Modello diadico di segno
(Saussure, 1916)
Significato
---------------------Significante
Questi due elementi sono intimamente uniti e si richiamano l’un l’altro. Sia che cerchiamo il
senso della parola latina arbor sia che cerchiamo la parola con cui il latino designa il concetto di
“albero”, è chiaro che solo gli accostamenti consacrati dalla lingua ci appaiono conformi alla
realtà, e scartiamo tutti gli altri che potrebbero immaginarsi” (CLG:83-85).
Caratteri fondamentali del segno
• Arbitrarietà verticale: la relazione tra significato e significante è
immotivata
• Linearità del significante
Natura temporale del significante (una catena).
Questo carattere contrappone i testi verbali a quelli visivi, in cui si può
osservare la compresenza nello spazio di elementi segnici diversi.
Tuttavia, anche nel caso dei segni visivi, un carattere lineare viene
recuperato a livello della lettura, che può prevedere un percorso di
ricezione sequenziale (già a livello di programmazione) (Manetti 2011:62)
• Immutabilità e mutabilità del segno
• Arbitrarietà, complessità, inerzia collettiva sono fattori di resistenza
• Tempo e massa parlante fattori di mutamento
Seconda definizione:
studio dei processi di significazione e
comunicazione
Significazione e comunicazione
Eco, Trattato di semiotica generale, 1975
• “Il processo di significazione si verifica solo quando esiste un codice. Ogni
qualvolta, sulla base di regole soggiacenti, qualcosa materialmente presente alla
percezione del destinatario sta per qualcosa d’altro, si dà significazione” (pp.
19-20).
• “Un sistema di significazione è pertanto un costrutto semiotico autonomo che
possiede modalità di esistenza del tutto astratte, indipendenti da ogni possible
atto di comunicazione che le attualizzi. Al contrario […] ogni processo di
comunicazione tra esseri umani – o tra ogni altro tipo di apparato ‘intelligente’,
sia meccanico che biologico – presuppone un sistema di significazione come
propria condizione necessaria” (p. 20).
Che cos’è un sistema di significazione?
• Un sistema di significazione è un dispositivo che collega entità presenti a entità
assenti (Traini)
• Diversamente da altre specie animali, gli umani hanno la capacità di dominare
una pluralità di semiotiche diverse, tra le quali emergono per importanza le
semiotiche di natura gestuale e visiva e il linguaggio verbale.
De Mauro (Lezioni di linguistica teorica, Laterza 2008): “l’Homo sapiens non è
solo Homo loquens ma pluriloquens; ed è signans, anzi plurisignans,
polysemicus: la parola non sarebbe stata acquisita in assenza di questa natura.
• Le lingue verbali sono i sistemi di significazione e di comunicazione con
maggiori potenzialità.
I tre livelli della linguisticità
1. Langage
 Capacità naturale di usare parole e frasi di almeno una lingua. Realtà multiforme
(eteroclita), endofasica ed esofasica (produttiva e ricettiva), situata a cavallo di diversi campi:
quello fisico, quello psichico, quello individuale e quello sociale (periodo critico
dell’apprendimento del linguaggio: 2-12 anni; Lenneberg (I fondamenti biologici del linguaggio,
1967) parla di “finestra temporale del linguaggio”)
2. Langue
 Carattere acquisito e convenzionale: insieme di parole e regole grammaticali, strumento di
natura storica e artificiale (sistema storico-naturale); dimensione sociale, collettiva, condivisa
(piano conoscitivo): “La lingua è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti
appartenenti ad una stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in
ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello di un insieme di individui, dato che la lingua
non è completa in nessun individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa” (CLG, trad.
it. p. 23)
3. Parole
 realizzazione individuale della facoltà di linguaggio, resa possibile dalla conoscenza di una
lingua storico-naturale (piano operativo).
Parola < parabolé (confronto e, per traslato, favola, apologo). La parabola è un discorso ma è
soprattutto una parola che ha un fine, evoca un cambiamento, è un appello.
«La parole è un atto individuale di volontà e di intelligenza, nel quale conviene distinguere: 1.
le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista
dell’espressione del proprio pensiero personale; 2. il meccanismo psico-fisico che gli permette
di esternare tali combinazioni» (CLG, p. 24)
Il posto della linguistica
• Compito del linguista è definire ciò che fa della lingua un sistema speciale nell’insieme
dei fatti semiologici […]; da una parte, niente è più adatto della lingua a far capire la
natura del problema semiologico; ma per porlo in modo conveniente, bisognerebbe
studiare la lingua in se stessa; senonché, fino ad ora, la si è esaminata quasi sempre in
funzione di qualche altra cosa, sotto altri punti di vista.
• Per cominciare, c’è la concezione superficiale del gran pubblico, che nella lingua non
vede se non una nomenclatura, il che soffoca ogni indagine sulla sua effettiva natura.
• Poi vi è il punto di vista dello psicologo che studia il meccanismo del segno
nell’individuo; è il metodo più facile, ma non conduce più in là della esecuzione
individuale e non sfiora il segno, che è sociale per natura.
• O, ancora, quando ci si accorge che il segno deve essere studiato socialmente, si bada
soltanto ai tratti della lingua che la ricollegano alle altre istituzioni, a quelli che
dipendono più o meno dalla nostra volontà. E in questo modo si fallisce l’obiettivo
perché si perdono di vista i caratteri che appartengono soltanto ai sistemi semiologici in
generale e alla lingua in particolare. Il fatto che il segno sfugge sempre in qualche
misura alla volontà individuale o sociale, questo è il suo carattere essenziale; ma è
proprio questo carattere che a prima vista si scorge meno. (CLG:26-27)
Compiti della linguistica
(Saussure)
• Fare la descrizione e la storia di tutte le lingue possibili dal punto di
vista sia interno che esterno
• Cercare le forze che sono in gioco in maniera permanente in tutte le
lingue ed estrarre le leggi generali cui sono riconducibili tutti i
fenomeni della storia (punto di vista pancronico: studio di ciò che è
invariante nel variare delle forme spazio-temporali)
• Definire e delimitare se stessa, cioè i termini e i punti di vista con cui
opera.
Caratteri della lingua
La lingua è
• La parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non può
né crearla né modificarla;
• È un oggetto che si può studiare separatamente dalla parole (e infatti noi
possiamo benissimo studiare le lingue morte nonostante nessuno le parli
più)
• È di natura omogenea, a differenza del linguaggio, che complessivamente
è eterogeneo;
• È un oggetto di natura concreta, mentre i segni linguistici non sono che
astrazioni.
Lingua e pensiero
Prima delle suddivisioni prodotte da una lingua storico-naturale l ’ universo del
pensiero e quello dei suoni sono delle nebulose senza distinzioni interne:
“Preso in se stesso il pensiero è come una nebulosa in cui niente è necessariamente
delimitato. Non vi sono idee prestabilite, e niente è distinto prima dell’apparizione
della lingua. Di fronte a questo reame fluttuante, i suoni offrono forse di per se stessi
delle entità circoscritte in anticipo? Niente affatto. La sostanza fonica non è più fissa
né più rigida; non è un calco di cui il pensiero ha bisogno. Noi possiamo dunque
rappresentarci il fatto linguistico nel suo insieme, e cioè possiamo rappresentarci la
lingua, come una serie di suddivisioni contigue proiettate, nel medesimo tempo, sia
sul piano indefinito delle idee confuse (A) sia su quello non meno indeterminato dei
suoni (B)” (CLG: 136)
A
B
Semiotico/non semiotico
Realtà non semiotiche:
• Materia del contenuto, referente di codici semiotici e linguistici
• Sensibilità
• Respiro
Sono tutte formalmente realtà non semiotiche, che pongono però vincoli
specifici alla realizzazione e alla forma di certe semiotiche e in
particolare del linguaggio verbale.
Semiotica è la forma
Delimitare il campo di ciò che è semiotico non comporta rinchiudervisi.
Arbitrarietà
Arbitrarietà del segno o arbitrarietà verticale
• Il legame tra significato e significante nel segno è immotivato (dal punto di vista
naturale e logico) (Locke): non c’è rapporto di necessità naturale (phusei) tra la
forma del significante delle parole e la consistenza dei possibili referenti
denotabili con quella parola. Tale rapporto è regolato per una legge (nomoi) e
per un accordo (thesei) (katà xunthéken, ad placitum) (legisegno per Peirce).
• Immotivatezza: indipendenza reciproca dei significanti e dei significati nel loro
costituirsi come facce del segno.
Arbitrarietà materiale
• Possibilità teorica di usare qualunque materiale per dare sostanza ai
significati e ai significanti dei codici semiologici. Non esiste alcuna
intrinseca vocazione di certi materiali a fungere da senso piuttosto
che da espressione. La specie umana utilizza svariati canali: otticomimico-prossemici, ottico-gestuali, ottico-grafici, olfattivi, fonicouditivi, ecc.) per dare corpo alle espressioni delle sue semiotiche
(vedi la questione del valore).
• Possibili inversioni di ruolo tra entità che in una semiosi fungono da
espressioni o da sensi: un mio gesto può significare “ma che dici?”,
una frase può designare lo stesso gesto; lo stesso può darsi nel
rapporto tra lettera e suono.
Arbitrarietà come classificazione
dell’esperienza
• Suono i/i: > opposizione non pertinentizzata in italiano: vino / vi:no
ma pertinentizzata in inglese: ship /sheep
• Grammaticalizzazione del duale in certe lingue (es. greco) ma non in altre
• Articolazione diversa delle distinzioni lessicali (in italiano distinzione lessicale tra foglio
e foglia che in altre lingue non c’è: es. spagn. /hoja/; il francese bois copre l’area
semantica che in tedesco è suddivisa tra Holz e Wald, e in it. tra legno e bosco)
• Diversa suddivisione del continuum temporale: es.: l’italiano ha l’imperfetto, l’inglese
non ce l’ha.
• Il sistema della lingua per Saussure si determina in modo completamente autonomo
rispetto al pensiero che essa è incaricata di organizzare (Arbitrarietà radicale). Questa
impostazione è motivata da ragioni epistemologiche: tentativo di costruire la linguistica
come disciplina autonoma rispetto alla logica, alla psicologia e alla sociologia.
• Rischio: produzione di un circolo vizioso tra significato e significante che si
presuppongono reciprocamente, perdendo ogni aggancio alla dimensione
extralinguistica (realtà/pensiero).
Arbitrarietà e relativismo linguistico
• Le categorie ritagliate dalla lingua genererebbero quelle del pensiero e, a
lingua diversa, corrispondenderebbe un diverso sistema di analisi della realtà,
un diverso pensare e un diverso sentire (cosiddetta ipotesi Sapir-Whorf).
• Una opposta lettura antiarbitrarista accentua il ruolo giocato da
condizionamenti e processi prelinguistici o addirittura non linguistici nel modo
in cui vengono elaborate le categorie del linguaggio.
• L’argomento dei colori (basato sulla natura della percezione): Berlin e Kay,
1969 dimostrano che i modi di categorizzare i colori non sono arbitrari perché
tutte le distinzioni di colore nelle lingue dipendono da alcuni colori focali: se
una lingua ha solo due nomi per il campo “colore”, questi saranno bianco e
nero; se ne ha tre, si aggiungerà il rosso; se ne ha quattro, il giallo, poi il
verde ecc. fino a un totale di 11 colori universali.
• Metafore e schemi corporei: Johnson e Lakoff, Metafora e vita quotidiana,
1982 (1980); Manetti, Comunicazione, 2011: 84-87.
Limiti dell’arbitrarietà
• Sul piano fonologico, tutte le lingue devono rispettare dei vincoli formali (individuare ad
esempio un numero non troppo basso ma neppure troppo alto di classi di suono (fonemi),
che in genere si aggira intorno alla trentina
Esiste inoltre una dimensione simbolica nelle lingue, che assegna forza espressiva ai
singoli suoni: per es. la “a” è il suono fisicamente più ricco di energia nella lingua italiana
e ciò può essere talvolta sfruttato nella comunicazione, in particolare nella poesia e in
pubblicità. Altri casi di fonosimbolismo: “i”, “r”, vedi Dogana, Le parole dell’incanto,
Angeli, 1990.
• Sul piano lessicale le parole non possono essere troppo lunghe, ma neppure troppo brevi
(ridondanza)
• Forme sintattiche che riproducono la sequenza degli eventi: via via / molto molto / veni,
vidi, vici
• I nomi dei numeri da zero a dieci sono arbitrari, ma non i successivi
• Le
derivazioni morfologiche
insegnamento, ecc.
funzionano
per
analogia:
insegnante,
insegnare,
Circuito della comunicazione
“Il punto di partenza del circuito è nel cervello di uno dei due individui, per
esempio A, in cui i fatti di coscienza, che noi chiamiamo concetti, si trovano
associati alle rappresentazioni dei segni linguistici o immagini acustiche che
servono alla loro espressione. Supponiamo che un dato concetto faccia
scattare nel cervello una corrispondente immagine acustica: esso è un
fenomeno interamente psichico, seguito a sua volta da un processo
fisiologico: il cervello trasmette agli organi della fonazione un impulso
correlativo alla immagine; poi le onde sonore si propagano dalla bocca di A
all’orecchio di B: un processo puramente fisico. Successivamente, il circuito
si prolunga in B in un ordine inverso: dall’orecchio al cervello: trasmissione
fisiologica dell ’ immagine acustica; nel cervello, associazione psichica di
questa immagine con il concetto corrispondente. Se B parla a sua volta,
questo nuovo atto seguirà – dal suo cervello a quello di A – esattamente lo
stesso cammino del primo e passerà attraverso le stesse fasi successive”
(CLG, p. 21).
Primo modello esplicito del processo comunicativo, con caratteri di forte
semplificazione (per certi aspetti affine al modello ingegneristico di Shannon
e Weaver).
Entità concrete e schemi
Saussure: davanti al fluire ininterrotto di concreti atti di
parole, ciascuno infinitamente diverso dagli altri, sia la
produzione che la ricezione di qualunque atto espressivo
come quello, con quel senso sono possibili solo in quanto
sia il produttore che il ricevente mediano il rapporto con
quell’atto concreto attraverso classi o schemi astratti.
Le classi fungono da schemi regolativi: regolano l’attività
comunicativa, cioè la produzione e la ricezione di segnali.
Operazione di pertinentizzazione
(Prieto)
Rendere discreto il continuo: tra gli infiniti caratteri di una
totalità concreta viene selezionato un numero limitato di
caratteri considerati pertinenti al fine di individuare una
totalità come quella e non altra (un volto, un paesaggio, un
suono linguistico distintivo, /t/, /p/, /d/ ecc.).
Capacità di stabilire identità e differenze in base a tratti
pertinenti.
Il problema delle classi
• La scelta di un tratto pertinente comporta l’individuazione di almeno due
classi: quella in cui il tratto è presente e quella in cui è assente (classe
complemento).
• Il tipo di tratto pertinente può essere detto principio costitutivo del sistema
• Le variazioni entro cui il principio si realizza sono detti parametri di variazione
• I tratti pertinenti scelti per costruire o riconoscere le classi generano il sistema
e le sue classi
• Generare = produrre, riconoscere e analizzare in base alla scelta di uno
schema astratto
(De Mauro, Lezioni di linguistica generale, Laterza)
Sono classi
Il segno, composto da
Il significante: classe di espressioni che possono avere uno stesso
senso per produttori e ricettori di segnali
Il significato: classi di sensi veicolabili da una stessa espressione
Semainein
• Relazione indicativa o rappresentativa che collega una qualunque
variazione dello stato fisico di un mezzo (aria, luminosità, ecc.) a
qualcos’altro.
• La variazione dello stato fisico è l’espressione
• Ciò che è indicato da quella variazione è il senso
• L’insieme della relazione è il segnale
• Sono entità concrete, cioè esistenti in un certo tempo e in un certo
spazio, poste in essere da un produttore e da un ricevente
• Il segnale, che è composto da
• espressione +
• senso
Segno e segnale
Significato
---------------------Significante
Senso
-----------------------Espressione
(fonia, fonazione)
• Il rapporto tra fonie e sensi nello scambio comunicativo è
sempre mediato da una forma (langue): insieme di classi
di suoni (significanti) e sensi (significati)
Bifaccialità del segno e
biplanarità del codice
L’atto semiotico è possibile solo attraverso la mediazione di un segno:
alla dualità di espressione e senso, entità indicata e entità indicante,
corrisponde la bifaccialità di significante e significato. Ma nessun
segno esiste da solo, perciò occorre rinviare alla interrelazione tra un
piano dell’espressione e un piano dei contenuti dicibili. Dunque il
codice è biplanare.
La lingua è un sistema di valori,
un sistema di elementi interrelati
Significato
---------------------Significante
Significato
---------------------Significante
Significato
---------------------Significante
Nella lingua non vi sono che differenze
Valore
L’identità di un segno non è data dalla materialità degli elementi stessi,
ma dalle relazioni che essi intrattengono con gli altri elementi del
sistema, dalle posizioni che ricoprono, dalle differenze che li
caratterizzano: l’identità è data dal valore.
Esempi: un pezzo nel gioco degli scacchi oppure il treno Roma-Milano
delle 8,30; una strada che collega due citta, il valore del rosso
(sempre dato dal sistema di riferimento: arresto, schieramento
politico, allarme, cardinale, ecc.);
Irrilevanza degli aspetti materiali e importanza degli aspetti relazionali,
differenziali (relativi ai significanti e ai significati considerati
separatamente), oppositivi (relativi all’unità di segno, in relazione agli
altri segni) degli elementi.
Differenza e opposizione definiscono l’identità e il valore di un segno.
L’identità di un segno è una questione di forma.
Esempi
• Fr. Mouton = ingl. Sheep (montone vivo)+mutton
(carne di montone cotta)
• Il valore della nozione di plurale in italiano
corrisponde alla somma di due valori in greco
antico e in lituano: il duale e il plurale. Altre lingue
hanno anche il triale, oppure il quadrale.
Esempio: piano dell’espressione
• Sistema vocalico italiano
u
i
é
ó
è
ò
a
Esempio: piano del contenuto
Danese
Tedesco
Francese
Italiano
Baum
arbre
albero
Holz
Bois
legno
trae
bosco
skov
Wald
forêt
foresta
Doppia articolazione
Martinet, 1960:
• Monemi (o morfemi, o morfi): unità minime dotate di significato (es. stud-ent-
e) (Questione terminologica: morfemi? monemi? morfi? iposemi? Adottano
l’espressione morfi: Lyons, Crystal, Simone, Beccaria, De Mauro
• Fonemi: unità minime distintive, non dotate di significato; classi di suoni,
entità astratte: il parlante non emette fonemi, ma realizzazioni concrete.
• Fonemi e tratti distintivi: Le regole di commutazione ci permettono di
distinguere fonemi differenti: se in una parola sostituiamo un suono con un
altro e otteniamo un cambiamento di significato, allora i due suoni sono
riconducibili a due fonemi differenti (cara/chara/gara); k e g sono distinti solo
per un tratto: k è un suono sordo, occlusivo e velare; g è sonoro, occlusivo e
velare) (i caratteri sordo, sonoro, occlusivo, velare sono esempi di tratti
distintivi) (varianti o allofoni dei fonemi; ad es. in italiano la r uvulare è una
variante del fonema r).
• Non tutto negli enunciati è articolato
Rapporti sintagmatici e associativi
• In una lingua tutto poggia su rapporti e differenze:
• Rapporti basati sul principio della linearità del significante:
• sintagmatici (in praesentia): prendere il largo, forzare la mano,
spezzare una lancia
• Rapporti basati sulla trama mnemonica e virtuale della
lingua:
• associativi (in absentia): uniscono due o più termini accomunati
dalla condivisione del morfema lessicale (giornale, giornalista,
giornalismo), oppure del morfema derivazionale (insegnamento,
cambiamento, ecc.) oppure del campo semantico (carta, notizia,
scrittura ecc.).
Sincronia e diacronia
• Asse della simultaneità: considerazione dei rapporti tra
entità coesistenti, facendo astrazione dal fattore
temporale (linguistica sincronica)
• Asse della successione: considerazione dei cambiamenti
della lingua nel tempo (linguistica diacronica)
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