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SIMULARE PER APPRENDERE Pratiche di apprendimento e
Gessica Corradi
Università degli Studi di Trento
Scuola di Dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale
Information Systems and Organizations
SIMULARE PER APPRENDERE
Pratiche di apprendimento e simulazioni ospedaliere
Gessica Corradi
XXII Ciclo
[email protected]
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Gessica Corradi
Introduzione ...........................................................................................................................2
1.
L'esperienza della simulazione nella formazione medica ..................................................4
1.1 La Simulazione .............................................................................................................4
1.2 Tre macro-finalità della simulazione .............................................................................5
1.3 La simulazione per la formazione medica .....................................................................8
2.
La lente della pratica per lo studio dell'apprendimento nei contesti simulati ................... 12
2.1 Apprendimento come fenomeno sociale e situato ........................................................ 13
2.3 La pratica e le sue dimensioni ..................................................................................... 18
Riepilogo:............................................................................................................................. 21
Bibliografia .......................................................................................................................... 23
Introduzione
Obiettivo della mia ricerca è quello di riflettere sulle modalità di creazione e apprendimento
del sapere professionale in un contesto simulato; più precisamente mi concentrerò
sull'osservazione di come figure appartenenti a professioni e comunità eterogenee,
apprendono a lavorare in una equipe medica. Questo significa osservare il processo collettivo
dell'apprendere e del conoscere in un contesto “neutro”, sperimentando in prima persona sia le
procedure che vengono insegnate nelle lezioni teoriche, sia tutto ciò che le procedure non
dicono e che emerge nel momento dell'interazione tra umani e non umani.
I concetti di conoscere ed apprendere in pratica, di manichini tecnologici e simulazione sono
elementi che, negli ultimi anni, hanno ottenuto sempre più attenzione non solo nel mondo
accademico ma anche nei più variegati contesti lavorativi. Con la parallela diffusione in
ambito accademico degli studi basati sulla pratica le organizzazioni vengono considerate
come tessuti costituiti da pratiche interconnesse. All'interno di tali interazioni gli attori umani
e non-umani creano, trasmettono e condividono sapere pratico, che deve essere appreso sia
dai novizi sia dal personale più “esperto”. Ogni tipo di professione, infatti, necessita di un
periodo di “formazione” affinché le persone sappiano quali sono le mansioni che devono
svolgere, che cosa è bene o scorretto fare, cosa si può o non si può dire e più in generale cosa
si fa quando si lavora.
Generalmente in tutti i lavori gran parte dell'attività formativa avviene nella pratica piuttosto
che mnemonicamente o sui libri. Il fatto di aver studiato o letto dei manuali aiuta, ma si
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impara a fare le cose solamente nel momento in cui le si fa concretamente in prima persona.
Questo tipo di presupposto si ritrova nel senso comune da sempre, ma è entrato a far parte
degli studi accademici solamente quando si è abbandonata la concezione classica del lavoro e
si è cominciato a parlare di pratiche lavorative grazie alla cui ri-produzione i soggetti attivano
il proprio ambiente organizzativo e lavorativo.
In molte professioni la fase di apprendimento non riguarda solo il periodo dell'apprendistato,
ma coinvolge anche tutto l'arco della vita lavorativa, in misure diverse, più o meno
formalizzate, più o meno durature. Per quanto riguarda il campo medico, accanto
all'insegnamento
universitario,
alle
scuole
di
specializzazione,
all'apprendistato
e
all'importantissima esperienza derivante dal campo lavorativo, si sta diffondendo la pratica
dell'apprendimento tramite le simulazioni e l'utilizzo di manichini altamente sofisticati.
Questo grazie ai risultati che si sono raggiunti, all'abbattimento dei costi in seguito all'utilizzo
di software open source ed al parziale superamento dello scetticismo nei riguardi delle nuove
tecnologie. Queste tecniche si sono diffuse in particolare in quei luoghi di lavoro dove
l'esperienza pratica, ossia quella che coinvolge in prima persona il professionista, con il
proprio corpo e le proprie emozioni, è considerata un prerequisito che si deve dimostrare di
possedere per poter svolgere le normali attività lavorative. Vale in particolare per quelle
professioni nelle quali i praticanti lavorano a stretto contatto con la vita di altre persone e
quindi hanno a che fare come tematiche quali la vita e la morte, problemi etici, la paura di
commettere errori, la sicurezza e l'esperienza.
Le simulazioni, grazie al supporto tecnologico, hanno il pregio di introdurre direttamente il
professionista (dal novizio all'esperto) in un ambiente che riproduce più o meno fedelmente la
propria realtà lavorativa. Il soggetto si sente integrato nell'ambiente in cui viene introdotto
poiché è presente con il proprio corpo; diversamente da quanto si potrebbe pensare il corpo
non viene dematerializzato, ma al contrario diventa il medium comunicativo che permette
l'esistenza stessa della realtà virtuale e la sua costruzione. Nella realtà simulata si tocca con
mano la realtà, si agisce effettivamente con il corpo e con le emozioni e, quindi, si apprende e
si condividono conoscenze.
La ricerca empirica si sta svolgendo tramite il metodo dell'osservazione partecipante e delle
interviste semi-strutturate all'interno di due contesti organizzativi diversi, collocati in due
regioni del nord Italia. Il primo campo di ricerca consiste in una serie di attività simulate,
fruibili gratuitamente dal personale, volte al ri-training di medici, infermieri e personale
paramedico presso una struttura ospedaliera. Il secondo caso di studio prevede l'osservazione
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di una sala operatoria simulata, in cui si riproducono interventi completi su di uno manichino
o più manichini, molto più sviluppati del precedente e per gran parte fruibili a pagamento. La
scelta dei due casi studio ha come caratteristica comune quella di osservare come si apprende
in un team e non singolarmente, e come differenze i diversi gradi di sviluppo tecnologico alla
base della simulazione.
La finalità di questo lavoro è quella di offrire gli strumenti teorici per analizzare i processi di
apprendimento nei contesti simulati. Per questo motivo il lavoro si divide in due parti.
Una prima sezione dove viene introdotta la tecnica della simulazione: indicherò i suoi
possibili utilizzi e successivamente mi focalizzerò sul ruolo della simulazione nella
formazione medica.
La seconda parte dal lavoro ha come obiettivo quello di fornire come prospettiva
teorica alternativa a quelle generalmente utilizzate per lo studio delle simulazioni (elearning, knowledge management, valutazione formativa ecc) i Practice-based
Studies.
1. L'esperienza della simulazione nella formazione sanitaria
La presente sezione ha come finalità quella di introdurre il contesto empirico, analizzandolo
però da un punto di vista teorico: come può essere definita la simulazione, quali sono i suoi
utilizzi, perché la simulazione è importante nel campo della formazione medica ed infine
come si è evoluta nel tempo grazie agli sviluppi tecnologici.
1.1 La Simulazione
La simulazione, ad oggi, è argomento di discussione di numerosi libri e discipline: dalle
scienze matematiche ed ingegneristiche agli studi psico-pedagogici, dalle tecniche di ricerca
alle ricerche di management, per non dimenticare poi i suoi utilizzi nel mondo del cinema e
più in generale delle arti. Il termine "simulazione" è usato in una tale varietà di contesti che è
diventato difficile orientarsi fra i suoi molteplici significati. Basti pensare, ad esempio, che nel
settore dell'e- learning questa parola indica quasi sempre le simulazioni di software realizzate
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con programmi che catturano il movimento del mouse sullo schermo o, nel migliore dei casi,
un insieme eterogeneo e piuttosto confuso di soluzioni e di metodi, dei quali è privilegiata la
dimensione tecnologica rispetto a quella didattica (Aldrich, 2003). C'è poi chi confonde la
simulazione con il gioco, magari con i videogame, chi la descrive come la soluzione a tutte le
esigenze formative e chi mette in guardia contro i suoi pericoli.
Già nel linguaggio comune, quando si parla di simulazioni si può notare un'ambiguità che
ricompare poi in altri contesti e a diversi livelli d'analisi. L'origine di quest'ambiguità è da
cercare nel fatto che una simulazione è una riproduzione della realtà e per questo a seconda
delle circostanze è considerata come un utile strumento di conoscenza, oppure come una
finzione ingannatrice.
La simulazione, in realtà, non è una tecnologia ma una tecnica o un metodo per riprodurre in
modo artificiale le condizioni di un fenomeno. In altre parole è il tentativo di mimare un
ambiente o un sistema, reale o immaginario (Alessi, Trollip 1991; Reigeluth, Schwartz 1989),
di mimare i comportamenti che all‟interno di tale sistema sono attivati e di vedere i suoi
cambiamenti nel tempo. Mediante l‟interazione con la realtà simulata è possibile verificare gli
effetti e i cambiamenti provocati delle azioni dei soggetti che la performano.
La tecnica della simulazione si può avvalere (ed in genere si avvale) del supporto tecnologico
(hardware e software): attraverso i programmi per computer si rappresenta un sistema
partendo da un modello matematico. Le simulazioni secondo Parisi (2001 b: 29) sono
“modelli teorici di determinati aspetti della realtà che, diversamente dai modelli o dalle teorie
tradizionali della scienza, non sono formulati a parole o con i simboli della matematica, ma
sono espressi con programmi per computer”. Accanto alla simulazione troviamo quindi il
simulatore, inteso come l'insieme dei sistemi hardware e software che sono utilizzati per
imitare una situazione o un fenomeno con un grado variabile di realismo.
Adottando, invece, il concetto di “esperienza della simulazione” si supera il problema se si
tratti di realtà o finzione: non si guarda alla realtà come vera o falsa ma all'esperienza ed al
processo di attivazione della simulazione nel suo complesso, al processo di costruzione di
conoscenza e sapere e più in generale di costruzione della realtà stessa.
1.2 Tre macro-finalità della simulazione
Le simulazioni sono usate in ambiti molto diversi, ma generalmente ciò avviene quando ci
sono motivi validi e profondi che non permettono ai soggetti di fare esperienza direttamente.
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Tali motivi sono rintracciabili negli alti costi e nel tempo richiesto dall‟esperienza che si
propone, nell'inaccessibilità dell‟esperienza stessa, oppure nella possibilità di scontrasi con i
vincoli etici e morali.
Per semplificare il ventaglio dei possibili utilizzi delle simulazioni, si possono identificare tre
macro-finalità. Come si vedrà la separazione tra i tre “campi” non è assoluta, poiché uno
stesso caso di simulazione può rientrare in diversi ambiti, ma aiuta a distinguere qual è la
finalità predominante dell'esperienza di simulazione. Le simulazioni possono essere realizzate
per fare ricerca e/o previsioni, per scopi ludici e/o culturali, e per motivi educativi e/o
formativi.
La simulazione come tecnica di ricerca
L'utilizzo della simulazione finalizzata alla ricerca scientifica è sicuramente la condizione più
diffusa. Lo scienziato dopo aver formulato una teoria ed averla trasformata in un programma
la fa “girare” nel computer, ed i risultati ottenuti dalla simulazione sono le predizioni
empiriche che sono derivate dalla teoria incorporata nella simulazione. Le simulazioni per la
ricerca si compongono di situazioni eterogenee (possono essere utilizzate, ad esempio, dai
ricercatori per studiare un particolare sistema, come la meteorologia). Tali simulazioni aiutano
gli scienziati a stabilire e ritoccare le teorie esistenti poiché forniscono uno strumento
computerizzato che facilita lo studio dei sistemi del mondo reale e offre la possibilità predire i
comportamenti in una grande varietà di condizioni.
Le simulazioni sono molto conosciute anche nelle scienze sociali, dalla psicologia alla
sociologia, ed in quelle economiche. Un esempio di simulazione è quella utilizzata in ambito
psicologico. I/le ricercatori/trici sperimentali (Borghi 2006) riproducono grazie alla
collaborazione di alcuni volontari un set di situazioni da studiare; si isolano alcune variabili
per studiare la dinamica degli scenari e delle relazioni riprodotte in funzione della loro
variazione. In molti casi ai/alle volontari/e viene richiesto di immaginarsi in situazioni
specifiche e di attenersi alle regole della simulazione. Modificando le regole e i dati iniziali si
osservano i cambiamenti nei comportamenti dei soggetti e negli esisti degli esperimenti,
traendo conclusioni e confutando teorie.
Anche in ambito sociologico le simulazioni sono utilizzate come metodi di ricerca: “la
simulazione è un metodo capace di generare dati attivando uno o più corsi d'azione
organizzativa che sono artificiali a posti entro un contesto artificiale anch'esso” (Strati 2004:
172). Uno degli esempi più noti nel campo della sociologia dell'organizzazione è la
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simulazione del modello decisionale “a cestino di rifiuti” di Cohen, March e Olsen.
In ambito economico uno dei principali motivi alla base delle simulazioni è quello di fare
delle previsioni e gestire l'andamento dei mercati, ed è proprio nel mondo del business che le
simulazioni hanno trovato un inaspettato successo. Le compagnie petrolifere, per esempio,
usano le simulazioni per capire come potrebbero cambiare le loro strategie se il prezzo del
petrolio dovesse improvvisamente diminuire o se fossero scoperte nuove forme di energia
(Schrage, 2000).
La simulazione con finalità ludica o culturale
Le simulazioni come si è visto nascono come strumenti nelle mani degli scienziati, ma si
diffondono anche grazie al loro potenziale ludico-culturale. Sfruttando gli sviluppi tecnologici
è possibile guidare virtualmente una macchina da corsa, una moto, un carro armato o un aereo
senza bisogno di complessi e costosissimi macchinari, ma utilizzando dei semplici
videogiochi.
La simulazione non si limita però all'imitazione dei mezzi di trasporto: è possibile gestire
compagnie finanziarie, civiltà storiche, con un alto livello di realismo. Rientrano in questa
categoria anche i cosiddetti giochi di ruolo, o businnes games quando il contesto simulato è di
natura aziendale. I/le giocatori/trici si confrontano con tematiche aziendali e manageriali
prendendo decisioni di marketing, logistica ecc.. In questo tipo di simulazione non è mai
richiesta una reale immedesimazione nel personaggio che si interpreta: lo scopo è quello di
considerare i dati forniti dal sistema e di calcolare le scelte più opportune.
Il potenziale culturale delle simulazioni si esplica invece nella simulazione di opere d'arte, di
musei o città virtuali, nelle quali l'utente partecipa alla loro costruzione simulando ad esempio
un visita ad importanti monumenti storici.
La simulazione educativa/formativa
Le simulazioni formative/educative sono pensate per insegnare ai soggetti gli elementi
fondamentali di un sistema, osservando i risultati delle azioni o delle decisioni attraverso un
processo di feedback generato dalla simulazione.
Tra le simulazioni con finalità educativa rientrano quelle realizzate in ambito scolastico
(Parisi 2001b), come ad esempio dell'insegnamento della storia attraverso le simulazioni al
computer. Le simulazioni interattive aiutano gli/le studenti/esse a crearsi spiegazioni degli
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eventi e a riflettere sulla validità di quelle spiegazioni usando sia le loro idee che i concetti
tecnici.
Esistono poi ambienti simulati finalizzati alla formazione dei/le professionisti/e, che
prevedono una stretta interazione tra uomo e tecnologia. Uno dei casi più conosciuti sono le
simulazioni di volo. I piloti si esercitano in fedeli riproduzioni di cabine d'aereo, che
dispongono di tutti i comandi dello specifico modello di cui si intende simulare il
comportamento. La macchina riproduce fedelmente il comportamento del velivolo in seguito
alle azioni del pilota, al variare degli agenti atmosferici e all'insorgere di imprevisti tecnici. In
campo militare i simulatori permettono la riproduzione di duelli aerei, aiutando i militari ad
imparare come gestire le situazioni di emergenza. Non c'è compagnia aerea, aeronautica o
militare che non addestri i/le partecipanti con l'ausilio di questi strumenti.
Le simulazione legate alla formazione professionale si sviluppano principalmente in due
campi particolari: il mondo militare ed aeronautico da un lato e quello della medicina
dall'altro. Le motivazioni risiedono nel fatto che si tratta di ambienti in cui è richiesta una
grande professionalità, una formazione continua e la consapevolezza che gli errori commessi
possono tradursi in perdita di vite umane. In questi campi la formazione attraverso
simulazione ha funzione didattica, formativa, oltre che ovviamente di valutazione delle
performance e di ricerca.
1.3 La simulazione per la formazione sanitaria
Lo svolgimento della professione medica, infermieristica e del personale paramedico richiede
specifiche competenze, disponibilità e sensibilità etiche ed estetiche, nonché molteplici saperi
pratici. Negli ultimi tempi, però, con le preoccupanti notizie fornite relativamente agli errori
medici, è sorta l‟esigenza di poter accedere in modo semplice e ripetitivo alla possibilità di
potersi formare ed esercitare nelle varie discipline dell‟emergenza sanitaria.
Sono numerose in letteratura le pubblicazioni che attestano l'estrema importanza della
formazione specifica nei vari campi della medicina e soprattutto in quegli ambiti, come
l‟emergenza-urgenza, dove tutto si svolge in pochi minuti e in dove, più che in ogni altro
settore, viene richiesta la massima professionalità, conoscenze specifiche estremamente
aggiornate, grande manualità operativa e schemi comportamentali certi.
Le attuali linee guida internazionali sull‟emergenza prevedono procedure operative sempre
più complesse sia sul territorio che in Pronto Soccorso, attribuendo alle manovre e alle
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procedure applicate nella prima ora di soccorso (golden hour) buona parte dei risultati positivi
che si possono ottenere sul paziente. Parallelamente sono molteplici le testimonianze che
attestano come in caso di formazione carente gli errori medici si rendano più evidenti e con
conseguenze sempre più gravi.
Da tutto ciò emerge la necessità di preparare il personale a lavorare in team ed acquisire
manualità, prontezza nelle decisioni e una corretta esecuzione di manovre complesse, in un
ambiente simulato dove non si mette in pericolo la vita dei pazienti, dove si possono
commettere errori e ripetere più volte le procedure. Le simulazioni permettono di avvicinarsi
a situazioni poco note o mai viste con un coinvolgimento emotivo sicuramente diverso,
permettendo anche di programmare e sperimentare direttamente gli interventi futuri.
Evoluzione delle simulazioni in campo sanitario
La medicina si serve della simulazione fin dal XVI secolo, ossia quando medici ed infermieri
utilizzavano manichini al fine di ridurre l'alta mortalità delle gestanti al parto (Amitai et al.
2003). Ma fino alla metà del XX secolo e talvolta anche successivamente, la pratica era
rivolta in particolare agli apprendisti ed avveniva sui cadaveri oppure sugli animali.
Il primo simulatore-manichino compare negli anni 60 (piuttosto in ritardo rispetto agli
sviluppi in campo aeronautico); si tratta di “Resusci-Anne”, progettato da Asmund Laerdal
(Cooper, Taqueti 2005) Le caratteristiche del manichino erano quelle di garantire la
simulazione della respirazione bocca a bocca.
Successivamente nasce Sim One (Cooper, Tarqueti 2005), il primo simulatore controllato da
un computer analogico: simulava il respiro, apriva e chiudeva gli occhi, poteva aprire e
chiudere la bocca. Obiettivo delle simulazioni era quello di allenare i praticanti all'intubazione
endotracheale.
Nel 1968 venne creato Harvey, in grado di simulare diversi segni fisiologici (l'auscultazione,
la rivelazione della pressione, ecc), sincronizzati con la respirazione ed il battito. Le
variazioni dei segnali permettevano quindi la simulazione di varie disfunzioni cardiache.
La quarta tappa della simulazione in campo medico prende il nome di GasMan, un software
per computer che insegna agli anestesisti a fronteggiare situazioni critiche intra-operative. Nel
1987 il dottor Gaba e colleghi ebbero il merito di cambiare la prospettiva riguardo all'utilizzo
dei manichini: costruirono un manichino puntando, non tanto sullo sviluppo delle skills
tecniche, ma piuttosto su quelle di team. Il manichino venne denominato Case 1.2
(Comprehensive Anesthesia Simulation Environment): si potevano modificare i parametri
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lavorando dal Macintosh Plus. Venne posto in un setting reale all'interno del quale si
muovevano i gruppi di lavoro. Nel 1992 il successo fu tale che la versione Case 2.0 venne
trasferita a Boston nel centro di simulazione in anestesia. Verso la fine degli anni '80 il dottor
Good e colleghi crearono il GAS (Gainesville Anesthesia Simulator) con l'obiettivo di formare
gli anestesisti sul riconoscimento degli errori di strumentazione.
Dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri la simulazione in campo medico è divenuta un
elemento centrale nella formazione e nell'aggiornamento periodico del personale, anche
conseguentemente all'introduzione di una specifica legislazione sulla formazione continua.
Gli sviluppi in questo ambito hanno determinato un aumento dei centri di simulazione in tutto
il mondo, anche se la maggior parte continuano ad essere gestiti dai reparti di anestesia.
Sempre più spesso, però, vengono inclusi nei momenti di simulazione infermieri, ginecologi,
chirurghi, pediatri (ecc), nel tentativo di riunire attorno al simulatore diverse figure
professionali. Come affermano Bressan e colleghi (2005: 60) “il simulatore consente pertanto
di ricondurre a un terreno comune professionalità diverse che spesso si trovano a dover
interagire in situazioni drammatiche, dove il poter parlare un linguaggio comune rappresenta
già di per sé un requisito di sicurezza”.
Oggi in medicina esistono diversi modi per classificare i simulatori (Maran, Glavin 2003): in
base al fine pedagogico, oppure in base all'interazione uomo-dispositivo. In ogni caso bisogna
ricordare che la simulazione medica non si compone del solo simulatore, ma anche di
praticanti, di ambienti di lavoro, di teams, di devices medici, di formatori/trici e di tecnici
addetti alla cura del software.
Volendo classificare i simulatori a disposizione della medicina moderna si possono
distinguere diverse categorie (www.hmc.psu.edu/simulation/available/index.htm).
Instructor-driven simulators (IDS): simulatori a fedeltà intermedia che utilizzano
riproduzioni del corpo umano o di una sua parte, sulle quali intervenire. Il
simulatore può interagire in vari modi con il discente, ma il feedback più
importante proviene dall'istruttore. In genere sono molto flessibili ed in grado di
cambiare finalità didattica a seconda della configurazione scelta. Il manichino è
collegato ad un software e presenta al proprio interno la riproduzione delle vie
aeree.
Model-driven simulators (MDS): simulatori ad alta fedeltà che utilizzano una
riproduzione del corpo umano o di una sua parte. Prevedono modelli in grado di
simulare la fisiologia e la relazione ai farmaci in tempo reale, in reazione alle
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terapie e agli interventi del medico. Sono molto realistici ed altrettanto costosi.
Virtual reality simulators: si tratta di software complessi in grado di far sembrare
al discente di interagire con un paziente reale. Vengono utilizzate delle periferiche
che permettono al computer di comprendere i movimenti dell'utente e di generare
le reazioni conseguenti nel paziente virtuale riprodotto in 3D.
Computer program simulations: si tratta computer sul cui schermo vengono
riprodotti dei pazienti che rispondono agli interventi di chi li utilizza. Il loro
vantaggio è quello di essere molto meno costosi dei procedenti simulatori e
facilmente trasportabili.
Task specific models and manufacturers and distributors: sono dei modelli che
rappresentano specifiche parti del corpo umano, ma però non rispondono agli
stimoli di chi le utilizza. Il loro vantaggio è dato dal costo, sicuramente molto
contenuto se paragonato a quello dei simulatori dotati di software.
La struttura “tipo” di un'attività di simulazione in medicina
Per “addestramento pratico-simulato” si intendono le sessioni di simulazione nelle quali,
grazie all‟utilizzo di manichini ed ausili medici, i professionisti possono sperimentare in
prima persona quelle che sono le procedure previste per intervenire sui pazienti: dalle
procedure di emergenza fino alle operazioni chirurgiche più complicate. La simulazione
facilita dunque l‟insegnamento e l‟esercitazione pratica di quegli aspetti della professione
medico/infermieristica, che sono difficili e potenzialmente pericolosi da insegnare in altro
modo.
Le simulazioni, grazie al supporto tecnologico, introducono direttamente il/la praticante in un
ambiente che riproduce quello della vita lavorativa (pronto soccorso, reparto, ambulanza ecc).
Il sistema prevede l‟uso di simulatori provvisti di caratteristiche anatomiche altamente
realistiche (conformazione delle vie aeree superiori, capacità di parlare e ammiccare, pupille
reattive, rumori cardiaci e respiratori udibili con lo stetoscopio, polmoni ventilabili in maniera
selettiva, polsi periferici palpabili, ecc…).
La simulazione “tipo” si compone di un primo momento definito come briefing durante il
quale i/la formatore/trice discute con i/le partecipanti quale sarà lo scenario. Durante la
simulazione vera e propria i/ praticanti si trovano ad agire in team su uno o più manichini;
mentre il/la formatore/trice ha la possibilità di modificare lo scenario o di inserire nello stesso
delle complicanze. Generalmente i dati della simulazione vengono video-registrati: terminata
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la simulazione i/le praticanti ritornano in aula ed inizia la fase del debrifing, ossia la
discussione di ciò che è avvenuto visionando la registrazione.
Nell‟ambiente simulato si tocca con mano la realtà, gli oggetti, i corpi, gli strumenti del
mestiere, poiché si agisce effettivamente con il corpo, con le emozioni, quindi si apprende e si
condividono conoscenze (Morganti e Riva 2006). L‟ambiente simulato non rappresenta una
realtà estranea alla vita ed alle pratiche lavorative perché si cerca di ricostruire il più
fedelmente possibile il contesto, proponendo situazioni di emergenza, relazionandosi
costantemente con oggetti e tecnologie che appartengono alla quotidianità lavorativa.
I vantaggi della simulazione (Gaba 2000) possono essere così riassunti:
nessun rischio per i pazienti;
possibilità di presentare numerosi scenari, incluse situazioni insolite e critiche nelle
quali è necessaria una risposta rapida;
si possono vedere i risultati delle proprie decisioni ed azioni: è possibile lasciare che
vengano commessi errori e che i medesimi portino alle estreme conseguenze;
scenari identici possono essere presentati a medici o équipe differenti;
con i simulatori costituiti da manichini, i sanitari possono utilizzare le apparecchiature
medicali usate quotidianamente, evidenziando eventuali carenze nell'interfaccia uomomacchina;
la simulazione di situazioni cliniche reali consente di analizzare integralmente le
interazioni interpersonali con altri operatori clinici, addestrando al lavoro in équipe,
alla leadership e alla comunicazione;
possibilità di effettuare una registrazione intensiva e intrusiva della sessione di
simulazione, compresa la registrazione audio e/o la videoregistrazione.
2. La lente della pratica per lo studio dell'apprendimento nei
contesti simulati
Le ricerche sulle simulazioni come esperienze di formazione ed apprendimento si sono
focalizzate principalmente su tematiche quali i risultati raggiunti dal corso di formazione, la
possibilità di implementazione a livello tecnologico, la valutazione di quanto si apprende, il
miglioramento delle performance aziendali, ma non hanno considerato invece l'aspetto del
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“come si apprende” in un contesto simulato e cosa realmente si apprende, al di la di ciò che si
prefigge il corso. Quali sono gli elementi che entrano in gioco nei processi dell'apprendere?
Si necessita quindi un cambiamento di prospettiva, poiché la conoscenza non è situata nella
testa delle persone ma è un processo situato nel mondo materiale, nella relazione tra persone
ed artefatti. Studiare il processo del conoscere e dell'apprendere significa applicare allo studio
dell'apprendimento simulato le teorizzazioni note come Practice-based Studies (PBS).
Nelle pagine che seguono verranno esposti alcuni concetti centrali nei PBS con lo scopo di
spiegare l'importanza del loro utilizzo nei contesti simulati:
Ogni contesto simulato rappresenta un contesto di apprendimento, inteso come un
processo che avviene nel fare e che è finalizzato allo sviluppo del sapere professionale
dei/le partecipanti. Un sapere che non è solamente teorico, ma per gran parte pratico e
che determina l'appartenenza alle comunità di pratica e/o alle comunità professionali.
Non necessariamente, però, ciò che si apprende in pratica coincide con quanto i
formatori si erano prefissati.
La pratica rappresenta la chiave di lettura attraverso la quale studiare come i/le
praticanti apprendono nei contesti simulati. Adottando questo punto di vista, nella
pratica, il conoscere e l'apprendere divengono sinonimi, poiché è nella partecipazione
ad una pratica, nella sua negoziazione, che si costruisce e si apprende nuovo sapere e
si ri-produce la pratica stessa. Le interazioni tra i/le partecipanti (umani e non umani)
alla simulazione determinano la creazione e l'innovazione del sapere attraverso
continui processi di ordinamento e coordinamento interni al concetto stesso di pratica.
Entrano in gioco quindi le influenze sul piano etico, estetico e normativo. Ogni pratica
non è svincolata dal contesto poiché è sostenuta e contemporaneamente riproduce gli
elementi etici, estetici e normativi che compongono ogni contesto organizzativo, così
come accade nel mondo delle simulazioni mediche.
2.1 Apprendimento come fenomeno sociale e situato
Gli studi basati sulla pratica si diffondono assumendo un'etichetta riconosciuta a partire dal
2000, ma si rifanno a loro volta a dei concetti fondamentali che hanno preso piede già a
partire dagli anni Novanta. Centrale è l'idea secondo la quale l'apprendimento non sia un fatto
meramente mentale, ma il risultato di un processo sociale, basato sull'interazione e situato in
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uno specifico contesto socio-materiale. Nel decennio in questione si assiste al definitivo
superamento della concezione mentale e razionale della conoscenza e dell‟apprendimento.
Apprendere non significa acquisire un corpo definito di conoscenze: l‟apprendimento è un
edificio in continua costruzione grazie al fare quotidiano. Gli individui imparano
“praticando”, negli errori, nella produzione e ri-produzione quotidiana delle azioni situate nel
contesto.
Apprendere il sapere teorico e quello pratico
Questo assunto, costituito dall'unione di diverse prospettive, rappresenta il primo punto di
partenza per giustificare l'adozione della prospettiva PBS nello studio delle simulazioni.
Diventare un buon medico, un/a infermiere/a competente o un paramedico esperto/a non
costituisce il risultato di uno studio mnemonico dei manuali, ma piuttosto la conseguenza, più
o meno consapevole, della pratica quotidiana, quello che generalmente viene definito learning
by doing. L'idea fondamentale di queste concezioni è che il sapere alla base di una professione
non si compone solamente di conoscenze teoriche ma anche di un gran numero di elementi
pratici. In una fabbrica si devono padroneggiare sia le conoscenze teoriche relative al
problema o alle procedure di attivazione della macchina, sia le abilità per impiegare le nozioni
teoriche, ossia come far funzionare la macchina.
Il sapere professionale, in parte, può essere esplicitato in testi, rendendolo formale e
facilmente descrivibile a parole, ma per gran parte rientra nella categoria delle conoscenze
tacite, ossia quel sapere che si sa di possedere ma che è difficilmente esprimibile a parole.
Tale forma di conoscenza non è appresa nelle aule scolastiche ma piuttosto dall'esperienza
lavorativa quotidiana. Polanyi (1958, trad. it. 1990), ad esempio, separò la conoscenza
esplicita da quella tacita. La prima si riferisce al sapere formalizzato, che si apprende sui libri
o nei manuali e che si può esplicitare facilmente a parole; la seconda consiste, invece,
nell'insieme di conoscenze che compongono il saper fare, di cui però difficilmente si è in
grado di fornire un'adeguata descrizione analitica e un'esplicitazione delle modalità con cui è
stato appreso. L'esempio più noto a riguardo è “l'apprendere ad andare in bicicletta” (Polanyi
1958; trad. it 1990: 135-136): ogni persona che si cimenta per la prima volta ad utilizzare una
bicicletta, se si limitasse a seguire alla lettera le indicazioni che la fisica ci offre sulla
conoscenza teorica del mantenere l'equilibrio (conoscenza esplicita, le regole del saper fare),
sicuramente non riuscirebbe nel suo intento. Ciò che in realtà interviene è l'esperienza pratica,
i tentativi ripetuti con cui attraverso il corpo viene eseguito un mestiere. Ad una
14
Gessica Corradi
considerazione analoga era giunto anche il filosofo della conoscenza Ryle (1949), operando
una distinzione tra “sapere come” (know how) e “sapere che” (know that), il primo fondato
sull'esperienza ed il secondo su regole e procedure operative.
Ciò significa, come nota Raelin (1997), che ogni sapere professionale si compone di due
dimensioni che devono essere collegate tra loro nel momento della formazione, dimensioni
che divengono visibili nel momento in cui si svolge l'attività pratica, ossia nel momento in cui
si osserva il sapere in azione. Un errore è quello di ritenere che il sapere pratico sia tipico solo
dei lavori “manuali” e non sia presente in quelli “intellettuali”, poiché in entrami i casi il
sapere pratico si sviluppa grazie all'esperienza prolungata nel tempo. Nel lavoro intellettuale
di stesura di una ricerca scientifica, di un saggio o di una novella (Freidson 2001, trad it.
2002: 60), ad esempio, emergono anche le conoscenze tacite: attraverso l'elencazione delle
regole grammaticali non potremmo mai esporre e chiarire quanto un testo debba essere
enfatizzato o argomentato, quando le regole ordinarie possono essere proficuamente violate
oppure quante parole siano più adatte per enfatizzare un argomento.
Tra apprendistato e curriculum situato
Il processo dell'apprendere quindi non coinvolge solamente l‟insegnamento in un‟aula
scolastica, ma anche l'esperienza (la pratica) sul luogo di lavoro, attraverso l'apprendistato e le
attività di formazione pratica: osservando, discutendo e agendo in un contesto di relazioni con
gli altri praticanti. L'apprendistato ad esempio trova un larghissimo utilizzo e consenso in
quelle professioni che richiedono alti livelli di specializzazione e responsabilità: è il caso di
medici, avvocati ed artisti, ma coinvolge anche i mondi accademici e quelli
imprenditoriali/finanziari. In taluni casi l'apprendistato è condizione obbligatoria per
esercitare le professioni, come quelle legali e mediche, questo perché la forma più importante
di sapere non è appresa sui libri, ma avviene all'interno di un processo sociale situato, ossia di
interazione e condivisione.
Ogni professionista, infatti, necessita di un periodo, più o meno formale, di “apprendistato”
affinché possa apprendere quali sono le mansioni che deve svolgere, che cosa è bene o
scorretto fare, cosa si può o non si può dire e più in generale cosa si fa quando si lavora. Per
Vygotskij l'apprendimento ha luogo attraverso l'interazione con altri soggetti della società,
membri più competenti nelle pratiche e nell'uso degli strumenti, creando, trasmettendo e
condividendo sapere pratico, che deve essere appreso in primo luogo da coloro che entrano
nella comunità di pratica (Lave e Wenger 1991; Wenger 1998). Per comunità di pratica si
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Gessica Corradi
intende “un gruppo di persone che condivide un interesse o una passione per qualcosa che
essi fanno, o sanno come fare, ed impara nell'interazione a farla in modo migliore” (Wenger
2000: 229). L'apprendimento si realizza nella negoziazione collettiva che avviene all'interno
delle comunità e dipende dalla possibilità o meno di partecipare alle attività della comunità
stessa. Lave e Wenger individuano nel concetto di “partecipazione legittima e periferica” il
processo attraverso il quale i practitioners vengono socializzati ai modi condivisi di fare, nel
senso più ampio del termine (fare, vedere, parlare, sentire e giudicare) divenendo parte della
comunità di pratica. L'apprendimento diviene così un processo di appartenenza, sviluppo di
identità, interazione, scontro e tensioni, che non è limitato nel tempo, coinvolgendo solamente
i novizi, ma che si protrae per tutta la vita lavorativa delle persone.
Gherardi, Nicolini e Odella (1998) parlano a riguardo dell'utilizzo di “curriculum situato”,
ossia di un percorso definito di compiti (graduali e situati) attribuito ai/alle nuovi/e arrivati/e;
saperi che devono appresi per svolgere un mestiere e divenire così membri esperti. Queste
opportunità di apprendimento non coinvolgono solo i novizi, ma riguardano ogni soggetto che
entra a far parte di nuove realtà organizzative, nuove comunità di pratica e professionali.
Il ruolo del corpo e la visione professionale
Nel processo dell'apprendere un ruolo centrale viene svolto dal corpo: il sapere pratico è
costituito in primo luogo dall‟attivazione dei cinque sensi. La conoscenza, infatti, possiede
una componente tacita ed estetica, che si produce e riproduce nel fare quotidiano (Strati
1999). Per conoscenza estetica o sensibile si intende, quindi, quel sapere pratico che è creato e
ricreato attraverso le facoltà percettive e che è conservato nel nostro corpo. Se pensiamo alla
quotidianità lavorativa, in tutti i lavori, ovviamente in misure diverse, le persone agiscono
attraverso il proprio corpo, attivando i sensi ed apprendono le pratiche delle comunità. Strati
(2007: 69-70) illustra la relazione tra conoscenza sensibile ed apprendimento basato sulla
pratica attraverso alcuni esempi, tra i quali quello di un gruppo di operai che lavorano, con
velocità e senza protezioni, su di un tetto. Lavorare sul tetto presuppone il coinvolgimento del
tatto, “sentire il tetto sotto ai piedi”, dell'udito e della vista, “guardare con le orecchie” i
movimenti ed i rumori dei compagni e degli oggetti. Le capacità percettivo-sensoriali sono
quindi centrali nello svolgimento di questo come di altri lavori, poiché influenzano la scelta
del lavoro, il suo insegnamento, il processo di apprendimento, l'individuazione di chi è in
grado di farlo, e più in generale coinvolgono ogni aspetto di ciò che fanno le persone quando
lavorano. Il tatto, ad esempio, rappresenta uno dei sensi fondamentali per lavorare; si pensi ad
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Gessica Corradi
al lavoro dei medici, dei fotografi, degli autisti, ma anche a lavori più “intellettuali” o
tecnologici. Sembra difficile individuare un lavoro dove non si entri in contatto fisico con
umani o non-umani.
Il lavoro di Sudnow (1978) rappresenta un esempio di “come si impara a suonare il piano”,
mettendo in luce che il corpo stesso deve essere educato alla relazione con lo strumento.
Perciò quando i musicisti suonano non si affidano alla rappresentazione mentale dello
strumento, quanto piuttosto si lasciano guidare dal proprio corpo e dalla sua relazione con
l'oggetto: il corpo è un collegamento tra soggetto e oggetto. L'importanza che la conoscenza
estetica riveste nell'attività lavorativa è esplicitata anche da Health e Luff (1992), in una
ricerca sulle persone che lavorano nei centri di coordinamento. Nella sala di controllo della
metropolitana di Londra vengono gestiti i movimenti del traffico di tutta la linea di Bakerloo,
grazie alla collaborazione del controllore di linea e dell'assistente divisionale alle
informazioni. Cosa accade nel caso di rotture delle macchine o problemi gravi nelle
metropolitane? In questo caso il controllore oltre a monitorare la situazione, deve modificare
anche gli orari dei treni, mentre l'assistente deve comunicare tali cambiamenti alla clientela ed
ai macchinisti. Questo ultimo non può aspettare di ricevere indicazioni dirette, ma deve
sviluppare la capacità di monitorare i discorsi del controllore, cogliendo le parole chiave, e
gestire così i diversi annunci.
Il sapere, che viene appreso attraverso il corpo e conservato al suo interno in un contesto
relazionale, sviluppa quella che Goodwin (1994) ha definito “visione professionale”. Il
termine visione professionale viene considerato come un “modo di vedere il mondo”, un
sapere professionale esperto, a cui si perviene attraverso un lungo periodo di pratica
lavorativa, fatta di interazioni tra umani e non umani, tra novizi ed esperti, tra pari, e grazie al
quale si incorpora una conoscenza professionale ritenuta rilevante in un determinato contesto.
L'autore analizzando il lavoro degli archeologi arriva a sostenere che le visioni professionali
si sviluppano attraverso un'educazione alla vista: questa non è considerata come una
percezione innata ed universale ma come qualcosa che deve essere educato. Bruni e Gherardi
(2007: 110) sostengono ad esempio che nell'acquisizione di una visione professionale “l'intero
corpo impari a (e costituisca una risorsa per) vedere e, attraverso l'osservazione, apprenda a
percepire e classificare i fenomeni, nonché quelli che sono gli standard conoscitivi ritenuti
validi all'interno di un determinato ambito lavorativo”.
Riassumendo potremmo dire che l'apprendimento non è un'acquisizione mentale individuale e
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Gessica Corradi
decontestualizzata, ma è un processo sociale e situato di partecipazione a specifiche comunità
che perseguono scopi, svolgono attività e usano strumenti specifici. (Zucchermaglio 1996:
11); è un processo in cui il sapere viene costruito ed appreso attraverso il corpo e custodito al
suo interno. Ciò che viene valorizzato è l'apprendimento dall'esperienza diretta che sta alla
base di ogni comunità professionale: le persone apprendono nel fare, nel confronto con gli
altri divenendo così sempre più esperti.
2.3 La pratica e le sue dimensioni
Se il precedente paragrafo aveva come obiettivo quello di mettere in luce la natura
processuale, sociale e situata dell'apprendimento e l'importanza che ha assunto il sapere
pratico e sensibile, il passaggio successivo è quello di interrogarsi su “come si apprende”. Per
fare ciò la letteratura più recente dei PBS utilizza il concetto di pratica per riferirsi ad un
„recurrent way of doing things‟ ed all‟apprendimento organizzativo che ha luogo nelle
pratiche lavorative. Cosa si intende per pratica? Perché si può adottare per studiare il processo
dell'apprendere? Quali sono gli elementi che si devono tenere in considerazione? Queste sono
le domane a cui cercherò di rispendere nelle prossime pagine e che mi permettono di studiare
le pratiche di apprendimento nei contesti simulati.
Come definire il concetto di “Pratica”?
Le definizioni che si possono dare del termine pratica sono molteplici e talvolta in
opposizione tra loro. Gherardi (2006: 34) definisce la pratica come un “modo relativamente
stabile nel tempo e socialmente riconosciuto, di ordinare gli elementi eterogenei in un set
coerente”.
Gli elementi che emergono da questa definizione sono:
a) in primo luogo che la pratica è il risultato integrato di azioni ed operazioni che vengono
riprodotte nel tempo; una determinata pratica non deve essere studiata riferendosi alle singole
operazioni e alle attività, ma alle connessioni ed alle relazioni che si attivano tra umani e non
umani;
b) la socialità delle pratiche deriva dal fatto che devono essere considerate come dei modi
validi di fare le cose all'interno delle comunità (o contesto) di riferimento dei praticanti;
c) è un modo per ordinare elementi eterogenei, riproducendo il sociale, ordinandolo, ma
mantenendo sempre aperta la strada dell'innovazione.
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Gessica Corradi
Le pratiche non rimangono sempre immutate nel tempo, poiché nella loro riproduzione
quotidiana possono scomparire, modificarsi o nascerne di nuove. Questo perché ogni contesto
organizzativo è formato da una pluralità di gruppi sociali e rappresenta quindi l'interazione, il
confronto o lo scontro, di diverse pratiche: si crea così una costellazione di pratiche
interconnesse (Gherardi, Nicolini 2002).
Un punto importante è quello però che non si deve intendere che il contesto (organizzativo,
gruppo, comunità ecc) esiste prima della pratica: poiché ciò implicherebbe ritenere che
l'apprendimento è unicamente un processo attraverso il quale si accede alla conoscenza
esperta custodita dalla società. Piuttosto il contesto rappresenta il risultato del processo di
ordinamento di umani, non umani e relazioni messe in atto nel momento in cui si partecipa ad
una pratica. La conoscenza “non è dunque un patrimonio della comunità, bensì una attività
(knowing) ed una attività che costituisce essa stessa una pratica (knowing-in-practice)”
(Gherardi 2008: 60). Si guarda quindi a come le azioni attivano un contesto, dove le relazioni
si stabilizzano e vengono sostenute.
Apprendere e conoscere
Partecipare ad una pratica significa contemporaneamente acquisire conoscenza-in-azione e riprodurre le pratiche stesse. Il collegamento tra la categoria della pratica e l'apprendimento sta,
quindi, nel fatto che è la partecipazione alle pratiche a trasformare, produrre e riprodurre il
sapere. L'apprendimento non è una attività indipendente dalle altre ma ha luogo, più o meno
consapevolmente, nell'esperienza, ossia nella partecipazione alle pratiche. Il conoscere è
quindi un'attività (individuale e sopratutto collettiva) che è situata nelle pratiche stesse.
In altre parole prendere parte ad una pratica non significa (solamente) applicare delle
conoscenze già acquisite, ma piuttosto conoscere. In ogni circostanza ed in ogni setting
organizzativo non basta riutilizzare le conoscenze apprese sui libri, ma occorre imparare a
relazionarsi, ad esempio, con diversi tipi di sapere (ancorati al mondo materiale), diffusi sia
nei soggetti umani che nei non umani. Ed è in queste situazioni che si può vedere l'opera di
orchestrazione e coordinamento insita al concetto stesso di pratica/praticare, un processo di
ordinamento, apprendimento e conoscenza collettivo.
Nelle pratiche il conoscere e l'apprendere si equivalgono, poiché è nel praticare che gli
individui apprendono dagli altri, nello scontro e nel confronto. Adottando questo punto di
vista, i ricercatori non separano più l‟apprendere dal conoscere, poiché rappresentano due
elementi interdipendenti, ossia due lati della stessa medaglia. L‟utilizzo del termine
19
Gessica Corradi
apprendere piuttosto che conoscere dipende unicamente dal campo di ricerca e dalla relativa
domanda che la anima. Da questa prospettiva l'apprendimento e la conoscenza, o meglio
l'apprendere ed il conoscere sono parte della pratica e si attivano simultaneamente attraverso
il processo del “performare una pratica”.
La categoria della pratica permette quindi di interrogarsi su come vengono apprese le
conoscenze, come vengono create e trasmesse, come si trasformano, come si crea una
comunità o una realtà lavorativa attorno alla ripetizione delle pratiche. È importante capire
come il sapere pratico viene costruito e ricostruito nella co-partecipazione alle pratiche e la
negoziazione, non solo nelle comunità di pratica, ma anche tra comunità occupazionali,
interdipendenti o nell'area istituzionale (Gherardi 2008). Guardare al come si crea
conoscenza, al come si conosce significa anche guardare al come si apprende: divengono due
lati della stessa medaglia poiché avvengono, spesso inconsapevolmente, nelle riproduzione
sociale e collettiva delle pratiche. Da un lato la conoscenza si sviluppa nelle pratiche e nella
loro ripetizione, dall‟altro essa stessa è una pratica, un‟attività situata.
I
Elementi etici, estetici e normativi
Il partecipare ad una pratica rappresenta, sia la via per acquisire conoscenza in azione, sia un
modo per cambiare/perpetuare tale conoscenza e per produrre e riprodurre la società
(Gherardi 2000: 215). La dimensione della pratica si fonda, infatti, su degli elementi molto
importanti che permettono di dire che le pratiche sono sostenute e riprodotte costantemente:
ossia la dimensione normativa, etica ed estetica.
Come sostengono Bruni e Gherardi (2007: 44) “le comunità sostengono le proprie pratiche
perché negoziano e discutono su quanto costituisce una buona pratica, quale sia migliore o
più bella, quando vada cambiata e quale sia il senso del mutamento o del lasciare cadere in
disuso”. Le pratiche quindi non sono sradicate dal contesto sociale, poiché riflettono e allo
stesso tempo sostengono le norme di una società e/o di un gruppo, di una comunità, i valori, i
modi di giudicare se è bello, brutto oppure corretto un dato comportamento. Le pratiche
regolano cosa si può dire in un contesto organizzativo e cosa non si può dire. Inoltre, tale
forma di ri-produzione può avvenire in modo consapevole, oppure inconsapevole. Le pratiche
sono riconosciute e poggiano su un sistema istituzionale, come possono essere ad esempio le
norme e le regole, diventando dei modelli istituzionalizzati e negoziati.
Le pratiche si continuano a praticare poiché esiste anche una comunità che le sostiene
eticamente ed esteticamente, attraverso l'espressione contestuale di giudizi etici ed estetici. La
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Gessica Corradi
negoziazione e l'apprendimento del sapere pratico coinvolge, come si è visto, in primo luogo
la conoscenza sensibile ed il giudizio estetico. Il sapere pratico è un sapere tacito e sensibile
poiché viene appreso attraverso il corpo, nel fare quotidiano, può essere definito quindi una
conoscenza personale. Allo stesso tempo, però, è bene ricordare che la conoscenza è creata,
negoziata e legittimata in un ambiente collettivo, composto da molteplici forme di socialità e
materialità e giudizi. In altre parole, nell'attività del conoscere entra in gioco il giudizio
estetico, che da un lato sostiene le pratiche, dall'altro ne permette il loro cambiamento.
Discutendo, relazionandosi con gli attori del processo, articolando il proprio fare con quello
degli altri, vengono a formarsi i giudizi etici ed estetici che orientano, sostengono,
legittimano, rifiutano o riproducono un determinato modo di fare le cose. Gherardi Nicolini
(2001), ad esempio, mettono in luce come la “condivisione” del sapere pratico in un contesto
lavorativo avviene attraverso l'utilizzo concomitante di linguaggio, azione ed osservazione
situati in un dato contesto relazionale. Questo perché l'apprendimento, avvenendo in un
contesto relazionale, prevede oltre all'osservazione e alla manualità anche l'educazione del
linguaggio, ossia del mondo verbale e non verbale. Il linguaggio viene utilizzato anche per
codificare degli avvenimenti (non si deve mai fare..) in modo da memorizzarli. Inoltre, il
parlare coinvolge spesso le interazioni collettive dove si confrontano i punti di vista, per
risolvere problemi, ottenere suggerimenti: sono tutte occasioni in cui i novizi ascoltando
apprendono le storie, le relazioni e capiscono come si devono muovere.
Il concetto di produzione e riproduzione di valore, norme e conoscenza, pone il problema di
capire come avviene l'apprendimento, in che modo il sapere è creato, trasmesso e fatto
circolare quando lo si considera come una pratica essa stessa, tenendo sempre in
considerazione l'elemento normativo che sostiene e viene riprodotto nella partecipazione alle
pratiche.
Riepilogo:
Il lavoro presentato ha avuto almeno due obiettivi principali. In primo luogo quello di
proporre un quadro teorico generale per lo studio dei processi di apprendimento nei contesti
simulati. Questo ha significato ripercorrere la storia delle simulazioni, i loro utilizzi, per poi
superare, grazie alle teorizzazioni sull'apprendere e sul conoscere (PBS), le prospettive che
generalmente si avvicinano allo studio delle simulazioni (come in prima analisi gli studi sul
knowledge management e le teorizzazioni sull'e-learning).
21
Gessica Corradi
Grazie agli studi basati sulla pratica si supera una visione della conoscenza che la considera
come qualcosa di mentale ed astratto, a favore dello studio dei processi dell'apprendere situati
in uno specifico contesto sociale; inoltre permettono di guardare alle relazioni, composte da
continui processi di armonizzazione, coordinamento e conseguente costruzione di sapere, che
avvengono tra umani e non umani.
Da questo presupposto nasce il secondo obiettivo del capitolo: individuare, collegando il
quadro teorico generale proposto dai PBS ed il campo empirico, dei concetti teorici situati
ossia emergenti direttamente dal campo, in accordo con quanto previsto dal metodo della
grounded theory.
Grazie ai Practice-based Studies non si considera la tecnologia e gli oggetti da un punto di
vista deterministico, ma piuttosto relazionale: tecnologia, artefatti ed attori umani collaborano
alla produzione e riproduzione delle pratiche, innovando il sapere professionale e attivando gli
ambiti in cui ci si trova ad agire.
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Gessica Corradi
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