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Slides III parte - Università degli studi di Pavia

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Slides III parte - Università degli studi di Pavia
I COMPORTAMENTI
A RISCHIO
• Forte desiderio di “rischiare” e forte attrazione per
comportamenti “spericolati” per:
- soddisfare il desiderio di vivere sensazioni nuove ed
eccitanti (sensation seeker - Zuckerman, 1971)
- rafforzare la percezione della propria identità (Rosci,
2004) - esigenza di unicità e visibilità
- reagire ai vissuti di insensibilità alle gratificazioni della
quotidianità e di noia (es. Caldwell, Darling, Payne, Dowdy,
1999; Iso-Ahola & Crowley, 1991; Orcutt, 1985)
• Sfida, impulsività, senso di invulnerabilità sono funzionali
alla costruzione dell’identità (Tursz, 1989; Pellai e Boncinelli,
2002), ma se superano i limiti diventano un fattore di
rischio.




L’incremento dell’assunzione di rischio e l’acting out,
appartengono al normale processo di sviluppo degli
adolescenti (Benthin, Slovic, Severson, 1993), a patto che non
sfocino nelle cosiddette condotte rischiose.
Molte azioni rischiose e più o meno pericolose sono
intraprese con gli altri perché in questo modo risulta più
semplice per l’adolescente vivere in modo tangibile la propria
identità,
presentandola
al
gruppo per
ottenerne
riconoscimento, popolarità, ecc.
Scopo: visibilità, legame sociale, rituali di appartenenza,
accettazione pubblica e sostegno sociale...
Esempi di condotte rischiose per la propria e l'altrui salute:
bere, fumare, rapporti sessuali non protetti, cattive
abitudini alimentari, guida pericolosa, ecc.
Alcuni comportamenti sono messi in atto con lo scopo di
“saggiare” le reazioni degli adulti (genitori e
insegnanti), per vedere fino a che punto si può
arrivare e fino a quanto valgono i limiti, i divieti…
oltre che per osservare quanto l’adulto sia
effettivamente interessato e attento al
comportamento del ragazzo!
Circa il 75% degli adolescenti si sviluppa mantenendo un
buon adattamento e padroneggiando con limitato
disagio il processo di riorganizzazione della personalità
(De Vito e coll., 2004). Solo una minoranza di
adolescenti è caratterizzata da una forte implicazione
nel rischio (Bonino e coll., 2003)
Funzioni dei comportamenti a rischio
Legate all’identità
 Adultità
 Identificazione differenziazione
 Acquisizione di un’identità
forte e indipendente
(autonomia)
 Sicurezza in se stessi
 Percezione di controllo
 Esplorazione di sensazioni
 Trasgressione, desiderio
di superare i limiti
 Strategie di coping o fuga
Legate alle relazioni
con i coetanei:
 Comunicazione
 Emulazione e superamento
 Condivisione di azioni ed
emozioni
 Riti di legami e di passaggio
 Desiderio di superare i limiti
con gli adulti:
 Esplorazione limiti e reazioni
 Differenziazione e opposizione
 Fuga
ASPETTI COGNITIVI NELLA
GESTIONE DEL RISCHIO
• Gli adolescenti sono generalmente ben informati sui diversi
tipi di rischio, spesso però sottovalutano le conseguenze di
certi comportamenti (Tursz, 1991-1993), non per carenze
cognitive, ma per una diversa rappresentazione e
percezione della pericolosità dei vari eventi e
comportamenti (Cicognani, Zani, 1999).
• “OTTIMISMO
IRREALISTICO”:
gli
adolescenti
sottovalutano l’entità del rischio personale rispetto al
rischio attribuito a un coetaneo (Cicognani, Zani, 1999)
• COPING:
capacità
di
attivare
strategie
“fronteggiamento” e risoluzione di un problema
di
• LOCUS OF CONTROL: modalità di rappresentazione degli
eventi che accadono al soggetto; attribuzione di causa agli
eventi che implica la percezione di poter esercitare un
controllo sugli stessi pertanto porta a mettere in atto
comportamenti più o meno funzionali al proprio benessere.
Locus interno: credenza di poter agire un controllo sugli eventi della
propria vita, sentendo che i propri sforzi, impegno e capacità
possono determinare quanto accade
Locus esterno: percezione di non aver alcun controllo sulla propria
situazione di vita e credenza che gli eventi siano determinati da
forze esterne come la fortuna, la sorte, l’influenza di altre persone.
• AUTOEFFICACIA REGOLATORIA: convinzione circa la
propria capacità di fornire una certa prestazione,
organizzando ed eseguendo le sequenze di azioni necessarie
per gestire adeguatamente le situazioni che si presenteranno
“Sono capace di…” o “Riuscirò a ...”
ESEMPI
Uso di sostanze
Significato nell'attuale contesto = mezzi aventi
funzioni performative, utilizzate per sentirsi
più efficienti, prestanti, disinibiti, sempre più
aderenti agli imperativi sociali del successo,
dell’iperattività e dll’efficienza (Ingrosso, 1999)
Disturbi del comportamento
alimentare
I cambiamenti corporei fisiologici, dovuti alla
crescita, sono valutati in primis attraverso il
confronto con gli altri e provocano una serie di
effetti psicologici che riguardano la
mentalizzazione del nuovo corpo (attribuzione al
corpo di un significato relazionale, sociale, sentimentale,
erotico, etico, ecc.) e la nuova rappresentazione del
sè.
Oggi: esibizione del corpo
I FATTORI DI RISCHIO
FATTORI DI PROTEZIONE
• Sono spesso inter-correlati
e agiscono in sistemi multipli
• Svolgono funzioni differenti
a seconda della fase dello
sviluppo
• Maggiore è il numero di
fattori di rischio presenti e
più grande sarà l'entità del
rischio stesso
• Un unico fattore di rischio
non può spiegare espressioni
di disagio
• Sono
inter-correlati
e
agiscono in sistemi multipli
• Possono
svolgere
funzioni
differenti a seconda della fase
dello sviluppo
• La presenza di fattori di
protezione da sola non può
significare assenza di rischio,
ma fattori di protezione
possono “operare” in contesti di
rischio
• Maggiore è il numero di
fattori di protezione presenti e
più facilmente l'individuo potrà
“usufruirne”
FATTORI DI PROTEZIONE (Bonino et al., 2003)
• dell’adolescente: esperienza scolastica, religione, convinzioni
di efficacia personale, elevate attese di successo circa la
scuola, disapprovazione della devianza, partecipazione a gruppi
organizzati e ad attività strutturate;
• in relazione alla famiglia: stile educativo autorevole, modelli
positivi, disapprovazione esplicita dei comportamenti a rischio;
• in relazione agli amici: condivisione di attività significative,
modelli positivi, disapprovazione dei comportamenti a rischio;
• in relazione alla scuola: benessere, soddisfazione e
successo, ruolo educativo dell’insegnante e organizzazione
scolastica.
PREVENIRE E INTERVENIRE
Prestare attenzione ai diversi tipi di rischio = SAPER
ASCOLTARE

Creare spazi di mentalizzazione per favorire la
consapevolezza circa le conseguenze delle proprie azioni

Lavorare sulle RISORSE

Lavorare IN RETE: collaborazione tra famiglia, scuola,
istituzioni, ecc.

Non dimenticare il proprio ruolo

Conoscere ed utilizzare le risorse del territorio (es.
sportello di ascolto a scuola, favorire l'inserimento degli
adolescenti in progetti educativi)

IL CLIMA CLASSE
E LA RELAZIONE
ALUNNI - INSEGNANTI
”Il clima di classe è creato dalle rete delle
relazioni affettive, dalle molteplici motivazioni
a stare insieme, dalla collaborazione in vista di
obiettivi comuni, dall’apprezzamento reciproco,
dalle norme e modalità di funzionamento
del gruppo.”
(Polito, 2000, p. 50).
“Il
clima
di
classe
è
determinato
principalmente dal tipo di interazione che
viene a crearsi tra gli studenti e
l’insegnante, oltre che da altre variabili più
oggettive come l’ambiente fisico e sociale.
Nella
costruzione
dell’interazione
è
ovviamente maggiore il peso attribuibile
all’insegnante, il quale la influenza con la sua
personalità, con lo stile di insegnamento e
con la capacità di efficacia educativa […] Il
clima classe è costituito dagli elementi
affettivi e relazionali, oltre che dagli
aspetti centrati sulla gestione della classe
stessa.” (Fischer, 2003, pp. 265-6)
• Le definizioni di clima-classe appena citate
enfatizzano entrambe gli aspetti relazionali della vita
scolastica
• La seconda, in particolare, attribuisce alla figura del
docente e ad alcune sue caratteristiche un ruolo
preponderante, rispetto al gruppo dei discenti, nella
costruzione della relazione interattiva che permea la
pratica didattica quotidiana.
• L’azione di promozione, da parte del docente, di un
clima-classe positivo può essere esercitata a vari
livelli, spesso sovrapposti; ad es.:

stile educativo;

interazione verbale;

pedagogical caring.
STILI EDUCATIVI
(Vegetti Finzi & Battistin, 2000)
• AUTORITARIO: il docente ritiene prioritaria la
trasmissione di conoscenze; è poco interessato alle
caratteristiche individuali dell’allievo in quanto persona
e a valorizzare le capacità di pensiero creativo del
ragazzo.
• TOLLERANTE: tipico del docente permissivo che si
sottrae all’esercizio della funzione di autorità
connessa al suo ruolo (“proibito proibire”), lasciando
sovente che in classe regni la confusione; un
insegnante così contraddistinto può essere amato, ma
non considerato figura adulta di riferimento.
• AUTOREVOLE: il docente ricerca l’equilibrio tra
permissivismo ed autoritarismo, stabilendo poche
regole fondamentali che vengono spiegate agli allievi
e con essi concordate; è consapevole della necessità
di comprendere le dinamiche relazionali e le
componenti affettive del gruppo-classe.
• Analogo
allo
stile
autorevole
è
lo
stile
DEMOCRATICO, che “implica la definizione
concordata degli obiettivi in questo modo condivisi, e
la fermezza del controllo delle procedure per il loro
conseguimento” (Fischer, 2003, p. 266).
IL COMPORTAMENTO VERBALE
DELL’INSEGNANTE
Le interazioni verbali che l’insegnante stimola
influenzano notevolmente
il clima-classe (Flanders, 1967)
• Influenza diretta: è quella esercitata dal docente che
- fa lezione ex cathedra;
- impartisce ordini;
- critica e biasima il comportamento dell’allievo.
Tale influenza tende a generare nei discenti un
comportamento dipendente.
• Influenza indiretta, esercitata dal docente autorevole
il quale
- pone domande per verificare l’andamento del processo
di apprendimento;
- sa lodare ed incoraggiare l’allievo;
- accetta che l’allievo esprima sensazioni e sentimenti.
Favorisce l’autonomia e la creatività del gruppo-classe.
IL PEDAGOGICAL CARING
(“prendersi cura” dell’allievo)
E’ un costrutto nel quale si intrecciano aspetti
didattici e fattori affettivo-relazionali
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DI
UN DOCENTE CARING?
K. R. Wentzel, 1997:
- indagine volta ad individuare, dal punto di vista degli
allievi, le caratteristiche di un docente capace di
motivare al conseguimento degli obiettivi ed al
rispetto delle regole vigenti in classe;
- studenti statunitensi di scuola media invitati a
definire le qualità motivanti dei loro insegnanti
QUATTRO DIMENSIONI EMERSE
1)
modeling,
cioè
coinvolgimento
positivo
dell’insegnante
nell’esercizio
della
propria
professione (si sforza di rendere le lezioni
interessanti, si dimostra entusiasta verso la
propria disciplina, modifica la pratica didattica se
si accorge di annoiare, coglie il feedback
attentivo del gruppo-classe);
2) aspettative basate sull’individualità:
il
docente caring rispetta ed apprezza
l’individualità dello studente
-in quanto discente (peculiarità cognitive: doti,
limiti, possibilità di apportare contributi
originali);
- in quanto persona (benessere generale),
dimostra cioè interesse anche per il
“nonacademic functioning” (Wentzel, 1997)
dell’allievo
Un approfondimento del ruolo delle aspettative
compare in un successivo studio di K. R. Wentzel
(2002):
aspettative di livello elevato nutrite dal docente
correlano positivamente con l’interesse degli allievi
nei confronti dell’attività didattica
“Si individua come elemento cruciale del clima di
classe positivo il livello di aspettative elevato che gli
insegnanti hanno nei confronti degli allievi e di se
stessi.” (Fischer, 2003, p. 265)
3) democraticità delle interazioni a due livelli
distinti e complementari:
• stile comunicativo (il docente caring sa
ascoltare, non si sottrae allo scambio
comunicativo, non ignora i messaggi né li
interrompe);
• equità/rispetto (dice la verità, mantiene le
promesse, non mette in imbarazzo, non fa
dell’ironia cattiva, non insulta)
4) nurturance: l’insegnante caring è un attento
valutatore poiché
- fornisce adeguati feedbacks alle performances
dell’allievo;
- è puntuale nella correzione degli elaborati;
- sa valorizzare l’errore come occasione di
apprendimento
Nel pedagogical caring descritto da Wentzel
assume particolare rilievo la valorizzazione
dell’individualità dell’allievo, sia quale
(co)protagonista dell’apprendimento, sia come
essere umano la cui vita esula dai confini
dell’istituzione scolastica.
Ma quali ostacoli possono opporsi a tale
valorizzazione e, di conseguenza, alla creazione
di un clima-classe positivo?
Maggiolini (2002) osserva che, nella scuola italiana
• la classe intesa come organismo compatto
mantiene una forte posizione di centralità;
• il docente che ricerca un contatto individuale con
l’allievo può temere di essere accusato di
parzialità;
• vi è altresì il timore di perdita di autorevolezza:
secondo molti insegnanti, approfondire l’interesse
verso gli aspetti relazionali equivarrebbe ad un
aumento di atteggiamenti giustificazionisti ed
eccessivamente “materni”.
“In realtà, assumere un atteggiamento di ascolto
nelle relazioni educative non significa di per sé
essere più materni, ma rendersi conto delle
dimensioni affettive nelle relazioni di lavoro per
poterle vivere in modo più consapevole invece di
esserne dominati.” (Maggiolini, 2002, p. 153).
L’insegnante che si apre alla dimensione affettiva
dell’interrelazione educativa, dunque, non corre il
rischio di perdere l’autorevolezza connessa al ruolo,
anzi: una chiusura nei confronti di tale dimensione
può avere ripercussioni negative sul processo di
apprendimento dell’allievo adolescente.
“Una buona relazione affettiva è per l’adolescente
la condizione essenziale, il tramite indispensabile
attraverso il quale egli può accostarsi con
interesse e appassionarsi a una materia di
insegnamento; infatti non ci può essere
apprendimento senza una gratificazione emotiva.”
(Freddi, 2005, p. 106).
Consideriamo ora un aspetto complementare a
quello appena esaminato:
l’individualità del docente
E’ opportuno che l’insegnante “sveli” la propria
individualità rendendo i discenti consapevoli delle
emozioni che attraversano la sua attività
professionale?
“[L’]insegnante non è una testa che parla a un’altra
testa, ma un adulto che comunica con un giovane e gli
trasmette tutta la sua esperienza professionale e
vitale.” (Ciucci Giuliani, 2005, p. 36)
Una delle modalità che il docente può adottare per
svelare il proprio universo emotivo in funzione del
rasserenamento del clima-classe è il cosiddetto
MESSAGGIO-IO (Gordon, 1981)
Si tratta di una tecnica mediante la quale il
docente, di fronte a comportamenti inaccettabili
attuati dall’allievo, palesa il proprio vissuto
emotivo, mettendo i propri sentimenti e bisogni a
confronto con la condotta dell’interlocutore
Un esempio (l’insegnante alla classe distratta
o chiassosa):
In questo momento mi sento amareggiato perché
sento che la disponibilità all’ascolto che io cerco
sempre di avere nei vostri confronti non è reciproca;
inoltre mi preoccupa il fatto che vi priviate della
possibilità di apprendere serenamente cose nuove.
“Chi teme di mettersi a nudo, rivelando i propri sentimenti,
si rassicuri: l’autenticità non danneggia[…] Molti insegnanti
potrebbero vedere in ciò un rischio: non lo è, ma se lo fosse
varrebbe la pena correrlo, considerando che la posta in
gioco è rappresentata da una maggiore serenità ed efficacia
nel proprio lavoro e dal benessere psicofisico degli allievi.”
(Francescato, Putton e Cudini, 2004, p. 50).
Il docente caring e la sua potenziale
influenza sul processo di sviluppo
Alcuni studi hanno evidenziato come la relazione
fra un adolescente ed insegnanti caring possa
determinare esiti evolutivi peculiari
Wentzel (1998) ha confrontato l’influenza sulla
motivazione adolescenziale da parte di genitori,
gruppo dei pari ed insegnanti:
• la percezione di sostegno da parte dei pari
correla con la prosocialità;
• ad un parenting adeguato si associa il
perseguimento di obiettivi di padronanza;
• ma soltanto il percepire sostegno da parte
dei propri docenti correla con l’interesse
verso le attività svolte in classe
Ricerca di Lapointe e Legault (2004):
• 210 adolescenti canadesi (12-14 aa);
• contributo di tre tipi di relazione (con la madre,
con i pari e con gli insegnanti) all’adattamento
psicosociale (insieme di caratteristiche che
predispongono a beneficiare di ciò che la
comunità educativa offre: autostima, competenza
sociale, senso di appartenenza alla scuola)
• senso di appartenenza alla scuola (school belonging o
school membership): sentirsi accettati, rispettati,
integrati e sostenuti nell’ambito dell’istituzione
scolastica; correla negativamente con l’abbandono
scolastico;
• la percezione di sostegno da parte dei docenti
rappresenta il miglior predittore del senso di
appartenenza alla scuola (mentre l’autovalutazione
delle competenze sociali dipenderebbe dalla
relazione con i pari e l’autostima dalla relazione con
le figure adulte - specialmente attaccamento alla
madre)
Anderman (2002) ha rilevato che il senso di
appartenenza alla scuola correla:
• positivamente con esiti evolutivi adattivi, sia di
tipo psicologico (ottimismo, concetto di sé
positivo), sia didattico (elevata media dei voti);
• negativamente
con
esiti
disadattivi
(depressione, insuccesso scolastico)
DINAMICHE DI GRUPPO ED
ESERCITAZIONI
IL VISSUTO EMOTIVO DEGLI INSEGNANTI
IN UNA CLASSE “DIFFICILE”
• Classe terza della Scuola Secondaria di Primo
Grado, poco numerosa (16 alunni, di cui 11
maschi e 5 femmine), ma contraddistinta da
un’elevata proporzione di studenti con
difficoltà di apprendimento (non ultime quelle
derivanti da un’incerta padronanza della lingua
italiana: il gruppo, infatti, comprendeva cinque
alunni
stranieri,
difficoltà
palesi
che
sembravano influire – fungendo, per così dire,
da alibi - sul livello motivazionale degli studenti
più dotati sul piano cognitivo, sovente
approssimativi, superficiali, oppositivi nei
confronti dei docenti.
Presenza di problematiche relazionali, emotive e
motivazionali che aggravavano le difficoltà
cognitive e metacognitive di alcuni allievi ed
ostacolavano il sereno processo di apprendimento
di altri, ingenerando un disagio sovente
manifestato attraverso la ribellione nei confronti
delle regole fondamentali ed un non trascurabile
disimpegno morale. In sintesi, si erano riscontrati:
• la mancanza di un’adeguata dimensione cooperativa;
• vari fenomeni di esclusione dal gruppo di allievi/e
caratterizzati da bassa autostima ed autoefficacia,
scarsa
assertività,
autoconsapevolezza
non
acquisita, strategie di coping disfunzionali;
• tensioni originate dall’esigenza dei ragazzi di poter
disporre di “spazi” destinati all’espressione di
emozioni, sentimenti, opinioni;
• un diffuso clima di insofferenza nei confronti dei
docenti, della loro didattica, di alcune fondamentali
norme di convivenza civile; in particolare, alcuni
insegnanti venivano ripetutamente – ed assai
esplicitamente – screditati in quanto accusati di
mancare di competenze relazionali e di disponibilità
all’ascolto, mentre altri erano in un certo qual modo
“esaltati” per le loro doti di apertura al dialogo
RILEVAZIONE DEL DISAGIO DEI DOCENTI,
domande aperte:
1. Tratteggia un ritratto della classe basandoti sulla tua
percezione di essa
2. Come descriveresti lo stile con cui entri in relazione
con gli allievi della classe?
3. Quali sono le emozioni che provi prima di entrare in
classe, durante la lezione e dopo aver concluso la
lezione?
4. Che tipo di interventi hai adottato per migliorare la
relazione e la pratica didattica con il gruppo-classe?
5. Quanto ti ritieni disponibile a cambiare il tuo stile
relazionale ed il tuo approccio didattico?
Le risposte fornite da alcuni fra i docenti della
classe evidenziano alcuni comportamenti ed
atteggiamenti poco funzionali all’instaurarsi di un
clima-classe adeguato.
• Docente di Arte e immagine (domanda 1):
Gli alunni mi accolgono sempre con molta
noncuranza. Entrando mi sembra quasi sempre
necessario fare un gran respiro e avvicinandomi alla
cattedra, mi viene quasi istintivo rivolgermi a loro
per un saluto e poi osservo la finestra che si apre
verso un infinito paesaggio sulla valle. Conosco gli
alunni dall’anno scorso; percepisco uno strano
approccio nei miei confronti e sembra quasi che loro
da me non si aspettino nulla di nuovo.
Ciò che colpisce, in queste parole, è il bisogno di
rifugiarsi temporaneamente nella contemplazione del
paesaggio a causa di un senso di impotenza di fronte
ad un gruppo-classe caotico, quindi l’adozione di uno
stile laissez-faire confermato dalla risposta della
stessa docente alla domanda 4:
Il gruppo non interviene mai nella mia pratica didattica
sottoponendo domande, ma spesso continua a fare ciò
che faceva prima che entrassi in aula. Sono stata
spesso costretta a richiamarli ad alta voce, al punto di
avvertire una loro indifferenza alla mia presenza. Una
volta uscii dall’aula nel corridoio dicendo loro che sarei
rimasta lì, che continuassero pure a fare le loro cose.
Particolarmente acuto è il contrasto fra il senso di
impotenza appresa e la volontà – che è uno dei fattori
promuoventi un clima-classe positivo – di interessarsi
agli allievi in quanto persone; alla domanda 2 (stile
relazionale adottato), la docente risponde:
probabilmente ansioso.. Poiché passa qualche giorno fra
ogni mio incontro con i ragazzi, quando li ritrovo osservo
se qualcosa in loro è cambiato. Mai riesco a domandare
loro come è stata la settimana, il tempo trascorso senza
che io li abbia incontrati e mi domando se anche loro si
pongono lo stesso quesito. Forse loro hanno appreso
qualcosa di nuovo, hanno avuto qualche particolare
esperienza … da raccontarmi, ma anche dopo il mio
ingresso in aula rimangono in movimento tra i banchi. Solo
quando mi sono seduta e domando se si sono accorti della
mia presenza, alcuni iniziano a prendere posto.
Per quanto riguarda la domanda 5 (disponibilità a
cambiare lo stile relazionale), significativa appare la
risposta fornita dalla docente di Italiano, Storia e
Geografia:
penso che una persona giovane possegga una certa
“elasticità”, utile per adattarsi a situazioni nuove e
cambiamenti.
Comunque,
mi
ritengo
abbastanza
disponibile a cambiamenti che possano risultare validi in
questo contesto. Vorrei sottolineare che all’interno dei
Consigli di Classe dei due anni precedenti si è parlato
della possibilità di sperimentare qualche nuova strategia,
ma suggerimenti, indicazioni (nonostante le richieste
anche ad esperti dell’ASL) non ne sono giunti da nessuna
parte. Ci siamo sentiti dire solo frasi del tipo “Bisogna
cambiare, modificare il modo di proporsi ecc…”: solo
parole mortificanti! (continua)
Ed ancora più avvilente è quando trovi qualche collega
che preferisce tacere, non prendere posizioni di sorta,
piuttosto che rilevare situazioni difficili da gestire:
così non si espone, non diventa bersaglio di lamentele di
allievi, genitori, preside. Allora, va bene cambiare, ma
come? Cosa fare di nuovo? Cosa in concreto? Potrebbe
essere utile confrontarsi con qualcuno più esperto che
possa dare consigli, indicazioni ecc. applicabili nel
concreto. E poi, è ancora importante cosa e come si
insegna o lo è di più accattivarsi simpatie, consensi e
simili da genitori, dirigente ecc.? In questo caso,
bisognerà esercitarsi per imparare ad apportare
cambiamenti in questo senso. Non dico questo per
polemizzare ma… vorrei capire, per poi comportarmi di
conseguenza.
Si rilevano, in queste parole:
• una notevole diffidenza verso l’apertura relazionale
ed il valico della barriera rappresentata dal “ruolo”
tradizionale dell’insegnante (l’accenno polemico
all’accattivarsi le simpatie dei genitori…);
• una suscettibilità nei confronti di un feedback
percepito come direttivo - Ci siamo sentiti dire solo
frasi del tipo “Bisogna cambiare, modificare il modo di
proporsi ecc…”: solo parole mortificanti! – ricevuto in
passato da esperti esterni (psicologi dell’ASL?) e di cui
pare temere il ripetersi.
Anche questa docente pare vivere un conflitto tra
posizioni più tradizionaliste e l’ apprezzamento dei
tentativi degli studenti di offrirle una qualche visione
del loro nonacademic functioning (dom. 4):
Penso di non essere vista da loro come una “nemica” o
qualcuno da “evitare”, anzi credo che abbiano piena
fiducia in me. Infatti mi fanno anche piccole confidenze
riguardanti la loro sfera personale e/o famigliare
Gli esempi citati evidenziano, nel complesso, la
necessità di valorizzare quegli aspetti relazionali
verso i quali i docenti sembrano mostrare una
qualche disponibilità, ma che appaiono soffocati
da tensioni ed irrigidimenti assai poco funzionali
al rasserenamento del clima-classe
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