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TUMORI PROFESSIONALI - Dott. Filippi

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TUMORI PROFESSIONALI - Dott. Filippi
2° CONVEGNO ASSOCIAZIONE
MEDICI DEL LAVORO DELLA
PROVINCIA DI PRATO
TUMORI PROFESSIONALI
DA AGENTI CHIMICI
STIMA E GESTIONE DEL RISCHIO
CANCEROGENO
FABIO
FILIPPI
CANCEROGENESI
rapporto tra agenti chimici e
neoplasie
Approccio al problema e
CRITICITA’
FATTORI CAUSALI DELLA
CANCEROGENESI
Lo sviluppo della cellula tumorale è conseguenza di una
mutazione, che è considerata una variazione del codice
genetico, vale a dire alterazioni chimiche di un gene
individuale con formazione di un allele mutato, ovvero
alterazione di un cromosoma che acquisisce o perde una
sezione per un processo di riarrangiamento.
Il processo mutageno viene distinto in 3 fasi:
•
la reazione chimica del composto mutageno con il DNA
•
la trasformazione di questo DNA mutante
•
l’espressione del fenotipo
La maggior parte di questi danni genetici possono essere corretti
da alcuni sistemi enzimatici nucleari deputati alla riparazione
del DNA danneggiato attraverso vari meccanismi.
OPPURE
Secondo il modello multifasico la genesi della neoplasia partirebbe dalla mutazione
genetica della cellula (iniziazione), che subisce la trasformazione in cellula
tumorale. La cellula “iniziata” riproducendosi dà origine ad una lesione
preneoplastica (promozione) che a sua volta può evolvere in un tumore
maligno (conversione). In seguito attraverso la cosiddetta fase di
progressione, il tumore si sviluppa ulteriormente diventando clinicamente
evidente e producendo metastasi a distanza.
MUTAZIONE: in questa fase agisce esclusivamente l'agente genotossico, che deve
confrontarsi tuttavia con le capacità di difesa e di riparazione della cellula
colpita, che in molti casi è in grado di limitare gli effetti della mutazione o di
annullarli in virtù dell'attivazione di particolari enzimi a ciò deputati;
PROMOZIONE: corrisponde alla fase di proliferazione cellulare che, come già detto,
contribuisce a fissare la mutazione nel genoma cellulare. Risultano coinvolti
sia agenti genotossici che epigenetici;
PROGRESSIONE: in questa fase le cellule selezionate in senso neoplastico
mostrano la capacità di invadere i tessuti vicini e di metastatizzare in quelli
più distanti.
MITOSI
È il ciclo cellulare che presiede alla normale
divisione delle cellule attraverso una
sequenza di fasi ed eventi molecolari
rigidamente controllati che portano alla
duplicazione del DNA e della cellula. La
progressione delle varie fasi del ciclo
cellulare è modulata attraverso un
rigidissimo sistema proteico di controllo.
MITOSI
MITOSI
.
APOPTOSI
o morte cellulare programmata consiste in un programma
fisiologico ed autonomo che contribuisce al mantenimento del
numero delle cellule.
Alcuni autori suggeriscono che le cellule vanno in apoptosi quando
non riescono a superare punti chiave del ciclo cellulare; al
riguardo le cellule contenenti materiale genetico danneggiato
potrebbero non superare questi punti chiave, i quali
costituirebbero quindi barriere selettive che, se non superate,
conducono la cellula a morte.
La stragrande maggioranza dei tumori è legata ad
una diminuita apoptosi più che ad una
aumentata mitosi.
*Funzioni dell'apoptosi
Nel danno cellulare e nell'infezione
L'apoptosi può avvenire quando una cellula è danneggiata oltre le proprie
capacità di riparazione, oppure infettata da un virus.
Il segnale apoptotico può venire dalla cellula stessa, dal tessuto circostante
o da cellule del sistema immunitario.
Se la capacità apoptotica di una cellula è danneggiata (ad esempio a
causa di una mutazione), oppure se è stata infettata da un virus in
grado di bloccare efficacemente l'inizio della cascata apoptotica, la
cellula danneggiata continuerà a dividersi senza limiti, trasformandosi
in un cancro.
Per esempio, il papillomavirus umano (HPV), esprime due oncogeni: E6 stimola la
degradazione della proteina p53, che è una chiave fondamentale della linea
apoptotica, attraverso un sistema proteolitico mediato da ubiquitina ed E7 si lega a Rb
(gene soppressore tumorale) inibendola. In questo modo si ha lo sviluppo del
carcinoma cervicale.
*Funzioni dell'apoptosi
Nella risposta allo stress o ai danni al
DNA
Condizioni di stress, quali la mancanza di
nutrienti, oppure il danneggiamento del DNA
dovuto a molecole tossiche (es: idrocarburi
policiclici) o all'esposizione a UV o radiazioni
ionizzanti (raggi gamma e raggi X) ma anche
condizioni di ipossia, possono indurre una
cellula ad iniziare l'apoptosi.
*Funzioni dell'apoptosi
Nell'omeostasi cellulare
In un organismo adulto, il numero delle cellule contenute in un organo deve
rimanere costante entro un certo margine. Le cellule del sangue e degli
epiteli di rivestimento, ad esempio, sono costantemente rinnovate a
partire dai loro progenitori staminali; ma la proliferazione è compensata da
una costante morte cellulare.
In un organismo umano adulto attorno ai 50-70 miliardi di cellule muoiono ogni
giorno a causa dei processi apoptotici. In un anno la massa delle cellule
ricambiate è pari al peso del corpo stesso.
L'omeostasi è mantenuta quando la consistenza delle mitosi (proliferazione
cellulare) in un tessuto è bilanciata dalla morte di un numero equivalente
di cellule. Se questo equilibrio è disturbato si hanno due scenari:
1.
Se le cellule si dividono più velocemente di quanto muoiano, si sviluppa
un tumore.
2.
Se le cellule muoiono più velocemente di quanto si dividano, si hanno
disordini da perdita di cellule.
*Funzioni dell'apoptosi
Nello sviluppo
La morte cellulare programmata è parte essenziale dello sviluppo dei tessuti sia
nelle piante che nei metazoi. Ricerche sugli embrioni di pollo – in
particolare sullo sviluppo del tubo neurale – hanno suggerito come la
proliferazione selettiva delle cellule, combinata con un'altrettanto selettiva
apoptosi, disegni le architetture dei tessuti nei vertebrati durante lo
sviluppo.
Durante lo sviluppo dell'embrione di un vertebrato, le cellule della notocorda producono un
gradiente di una molecola segnale detta Sonic hedgehog (Shh): questo gradiente dirige la
formazione e lo sviluppo del tubo nerurale. Le cellule che ricevono Shh (attraverso il
recettore di membrana Patched1 o Ptc1) sopravvivono e proliferano. In assenza di Shh, la
parte intermebrana (carbossi-terminale) del medesimo recettore si lega alla caspasi-3, e tale
legame fa sì che venga esposto un dominio pro-apoptotico.
Così come nell'esempio precedente, le cellule di tutti i tessuti degli organismi
multicellulari, dipendono dal continua disponibilità di segnali di
sopravvivenza dall'ambiente extracellulare
*Funzioni dell'apoptosi
Nella regolazione delle cellule del
sistema immunitario
I recettori di membrana dei linfociti B e T immaturi non sono fatti su misura per
coincidere con antigeni conosciuti. Al contrario, sono generati attraverso un
processo altamente variabile che si esprime in una immensa varietà di recettori,
capace di legarsi con uno stupefacente numero di forme molecolari. Ciò significa
che la maggior parte di questi linfociti immaturi sono o inefficaci (dacché i loro
recettori non legano alcun antigene con significato) oppure pericolosi per
l'organismo medesimo, perché i loro recettori sono complementari a molecole
normalmente presenti nell'organismo. Se questi linfociti fossero rilasciati senza
ulteriori processi essi diventerebbero auto-immuni attaccando cellule sane
dell'organismo. Per evitare tale scenario il sistema immunitario ha sviluppato un
processo di eliminazione dei linfociti inefficaci o auto-tossici attraverso la via
apoptotica.
Come abbiamo descritto nella precedente sezione sullo sviluppo, le cellule necessitano
di un continuo stimolo alla sopravvivenza. Nel caso dei linfociti T, durante la loro
maturazione nel timo, il segnale di sopravvivenza dipende dalla capacità di legare
antigeni estranei. Quelli che falliscono il test, ossia circa il 97% dei neoprodotti,
sono destinati a morire. I sopravvissuti sono sottoposti ad un ulteriore test di autotossicità, quelli che risultano altamente affini a molecole proprie dell'organismo
vengono ugualmente avviati all'apoptosi
*Il processo dell’apoptosi
segni morfologici
Schema degli eventi morfologici dell'apoptosi.
I. L'apoptosi può essere innescata nelle cellule da una varietà di
stimoli diversi.
II. L'attivazione dell'apoptosi è associata con un addensamento
della cromatina, che di solito comincia con accumuli densi sulla
superficie interna della membrana nucleare.
III. L'addensamento della cromatina talora circonda l'intera
struttura nucleare, dandole un aspetto picnotico all'osservazione
mediante microscopia ottica. Le cellule morenti cominciano
anche a mostrare una superficie irregolare, associata con la
comparsa precoce di vescicole in formazione.
IV. Il nucleo picnotico comincia a frammentarsi, mentre alcune
vescicole sono espulse attraverso la superficie cellulare. La
cellula morente è ora più raggrinzita rispetto alla sua dimensione
originale.
V. La cellula si è completamente frammentata in corpi apoptotici.
Queste strutture contengono organuli cellulari dall'aspetto
abbastanza normale, così come frammenti del nucleo
condensato.
VI. Il processo di apoptosi è completato quando i corpi apoptotici
sono fagocitati dalle cellule adiacenti, che sono stimolate a
svolgere un ruolo di supplenza dei macrofagi.
*Il processo dell’apoptosi
segnali biochimici
La cellula morente che si avvia all'ultimo stadio dell'apoptosi, espone sulla membrana plasmatica
dei segnali eat me (letteralmente, mangiami), come la fosfatidilserina. Normalmente la
fosfatidilserina, fosfogliceride, si trova nello strato citosolico della membrana plasmatica, ma,
durante l'apoptosi, è ridistribuita anche sulla faccia extracelluare da un'ipotetica (non ancora
isolata) proteina detta scramblase (traducibile dall'inglese come l' enzima che mette in
disordine). Fagociti necrofagi, come i macrofagi, hanno recettori specifici per la
fosfatidilserina. La rimozione delle cellule morte è necessaria per prevenire la risposta
infiammatoria. Altri recettori presenti sui macrofagi sono quelli che riconoscono le
asialoglicoproteine e la vitronectina.
In studi sugli embrioni di topo privi di recettori per fosfatidilserina (PS) condotto da Ming O. Li e
colleghi, le cellule andate in apoptosi e non fagocitate si sono accumulate nel cervello e nei
nervi, risultando letali nel periodo neonatale. D'altra parte, un altro gruppo di ricercatori che
ha eliminato il medesimo gene per recettore non ha trovato anomalie nella morte cellulare,
così si è aperta la discussione se il gene realmente codifichi per il recettore PS piuttosto che
codificare per un fattore di trascrizione localizzato nel nucleo.
In un altro studio Rikinari Hanayama e colleghi hanno osservato che il fattore di crescita milk fat
globule-EGF-factor 8 (MFG-E8) è legato alla fosfatidilserina sulle cellule apoptotiche e aiuta i
macrofagi a fagocitarne i resti. I macrofagi contenenti corpuscoli del Fleming (i quali
appaiono nei macrofagi che hanno fagocitato altre cellule) esprimono fortemente MFG-E8
sulla membrana. Topi mancanti di MFG-E8 dimostrano un calo nella capacità fagocitaria
delle cellule apoptotiche, legato ad un estremo incremento della produzione di
immunoglobuline IgG
*APOPTOSI
ruolo degli interferoni nella
soppressione tumorale
In un articolo del 2003, Takaoka e colleghi hanno descritto come
gli interferoni-alfa e -beta (IFN-alfa/beta) inducano la
trascrizione del gene p53, risultante in un incremento del
livello di proteina p53 e l'inizio dell'apoptosi nelle cellule
tumorali. La proteina p53, infatti, è un soppressore tumorale,
e va considerato come un fattore anti-crescita e antioncogenico.
Tale lavoro ha contribuito a chiarire il ruolo giocato dall'interferone
nel guarire alcune forme umane di cancro e ha stabilito il
legame tra p53 e interferoni. La risposta della p53, non solo
contribuisce alla soppressione tumorale, ma è importante nel
sostenere la risposta apoptotica anche nelle infezioni virali
*APOPTOSI
cancro e vie apoptotiche difettose
Liling Yang e colleghi riportano in un loro articolo del 2003 il
risultato del lavoro svolto riguardo il segnale di morte
difettoso in un tipo di cancro delle cellule polmonari detto
NCI-H460. Hanno trovato che la proteina XIAP (inibitrice
dell'apoptosi X-linked) è sovraespressa nelle cellule H460. Le
XIAP legano la forma attivata della caspasi-9, e sopprimono
l'attività dell'attivatore apoptotico citocromo c. La via
apoptotica è stata trovata altamente ripristinata nelle cellule
H460 che presentavano un peptide Smac (SmacN7) che
legano le IAP (proteine inibitrici l'apoptosi). Yang e colleghi
hanno sviluppato con successo una SmacN7 sintetica che
può selettivamente invertire la resistenza all'apoptosi – e
dunque la crescita del tumore – nelle cellule H460 di topo.
*APOPTOSI
Ruolo dei prodotti apoptotici
nell'immunità ai tumori
Un interessante caso di riutilizzo e feed-back dei prodotti
dell'apoptosi è stato presentato da Matthew L. Albert in un
articolo, con cui ha vinto l' Amersham Biosciences & Science
Prize for Young Scientists in Molecular Biology e pubblicato in
Science Online nel dicembre del 2001. Egli descrive come le
cellule dendritiche, un tipo di cellula che presenta l'antigene,
fagocitino le cellule tumorali apoptotiche. Dopo la
maturazione, queste cellule dendritiche presentano l'antigene
(derivato dai corpi apoptotici fagocitati) ai linfociti T killer, che
poi diventano specifici per distruggere le cellule che stanno
subendo una trasformazione maligna. Questa via apoptosidipendente per l'attivazione dei linfociti T non è presente
durante la necrosi ed ha aperto interessanti possibilità nella
ricerca sull'immunità tumorale
*APOPTOSI e NECROSI
L’apoptosi,certamente, non deve essere confusa con la necrosi,
processo anch’esso responsabile della morte delle cellule,
senza che questo comporti necessariamente la morte
dell’organismo (quando, ad esempio, una mano o un tessuto
muscolare viene colpito da necrosi, è neccessaria la sua
amputazione, ma non la morte dell'organismo, in questo caso
l'uomo, conivolto). Nella necrosi si osserva la lisi (cioè la
disgregazione parziale o totale) della cellula: il nucleo si
distrugge fino ad uniformare la cromatina con il citoplasma, la
membrana cellulare o plasmatica si disgrega velocemente e il
citoplasma si riversa all'esterno danneggiando le pareti di
altre cellule e i suoi organuli, ciò determina una reazione
immunitaria imprevista dell’organismo e una probabile
risposta infiammatoria.
La necrosi è dunque un fenomeno patologico
DNA
PRINCIPALI MECCANISMI DI
AZIONE DEGLI AGENTI
CANCEROGENI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Le sostanze cancerogene agiscono in quanto chimicamente reattive, sono in
grado di stabilire legami covalenti con posizioni nucleofiliche delle
macromolecole alterandole
Si tratta di una reazione non diretta ad un substrato specifico ma casuale.
La maggior parte dei cancerogeni hanno bisogno di essere trasformati per
intervento enzimatico in metaboliti reattivi, capaci di reagire con le posizioni
delle macromolecole.
Il DNA rappresenta il substrato il cui danno è rilevante ai fini della
trasformazione neoplastica.
Alterazioni steriche di altri substrati (tali da permettere la sopravvivenza della
cellula) sono automaticamente risanate quando il turnover consente di
sostituire le copie molecolari alterate.
Di molti cancerogeni sono stati isolati gli addotti al DNA.
In alcuni casi esiste una relazione quantitativa soddisfacente tra potere
cancerogeno e quantità di addotti al DNA.
CANCEROGENI
I cancerogeni, in base al loro meccanismo
d’azione, possono essere classificati in:
1. CANCEROGENI GENOTOSSICI
2. CANCEROGENI NON GENOTOSSICI (O
EPIGENETICI)
I cancerogeni genotossici a loro volta possono
essere classificati in:
1. CANCEROGENI DIRETTI
2. CANCEROGENI INDIRETTI
CANCEROGENI
GENOTOSSICI DIRETTI
CANCEROGENI DIRETTI – hanno la capacità
di reagire direttamente con il DNA e con
altri substrati organici senza preventiva
azione enzimatica.
A questo gruppo appartengono le sostanze alchilanti
che sono in grado di alchilare, cioè di attaccare
gruppi metilici o etilici ai biopolimeri. L’alchilazione
degli acidi nucleici avviene prevalentemente a
carico della posizione 7 dell’adenina, della
posizione 1 della guanina e 3 della citosina.
CANCEROGENI GENOTOSSICI
INDIRETTI
CANCEROGENI INDIRETTI (definiti anche come pre-cancerogeni) – invece
per poter reagire e formare addotti con il DNA necessitano di una
attivazione metabolica a livello del sistema microsomiale per azione
di enzimi.
Nelle cellule queste sostanze incontrano un sistema enzimatico che le modifica
metabolicamente (coniugazione con altre sostanze) in modo da renderle più
facilmente eliminabili. In genere si tratta di sostanze poco idrosolubili e la
coniugazione ha lo scopo di renderle più idrofile e quindi più facilmente eliminabili.
Per molte di queste sostanze infatti la eliminazione non è affatto facile o a causa
della loro liposolubilità, oppure a causa del loro riassorbimento tubulare (come nel
caso degli acidi e delle basi organiche deboli).
Finalisticamente diretti a facilitare l’eliminazione degli xenobiotici attraverso gli emuntori
questi sistemi possono dare origine a metaboliti attivi provvisti di attività tossica.
Responsabili di questa attività di trasformazione sono soprattutto i sistemi microsomiali del
reticolo endoplasmatico liscio del fegato e in minor misura del rene e dell’epitelio
gastro-intestinale.
CANCEROGENI
NON GENOTOSSICI
(O EPIGENETICI)
I cancerogeni epigenetici agiscono invece come promotori,
non causando un danno diretto del materiale genetico.
Per queste sostanze il potenziale cancerogeno è significativo solo
per alte dosi che causano alterazioni biochimico-funzionali
immunologiche che possono essere reversibili, ma che
possono condizionare la abnorme proliferazione di cellule già
iniziate.
Per i cancerogeni epigenetici è teoricamente possibile costruire
una curva dose-risposta ed identificare una dose soglia sotto
alla quale non si verificano quelle alterazioni biochimicofunzionali che portano alla cancerogenesi.
L’esposizione a queste sostanze rappresenta, almeno
teoricamente, un rischio quantitativamente minore rispetto
all’esposizione a genotossici
ESEMPI DI AGENTI
CANCEROGENI GENOTOSSICI E NON
GENOTOSSICI (O EPIGENETICI)
CANCEROGENI GENOTOSSICI
CANCEROGENI NON GENOTOSSICI
Composti del cromo esavalente
Asbesto
Composti del nichel
Etanolo
Nitrosammine
2,3,7,8 tetraclorodibenzo-para-diossina
Nitrosurea
D.D.T.
Dimetilsolfato
Tetracloruro di carbonio
Bisclorometiletere
Esteri forbilici
Benzoantracene epossido
Tetracloroetilene
SUSCETTIBILITA’ GENETICA
ALL’AZIONE DEI
CANCEROGENI
Nella cancerogenesi si possono citare almeno 3 diverse
fonti di variabilità del rischio di cancro nell’uomo:
1. Un diverso grado e durata di esposizione a
sostanze cancerogene.
2. Una diversa suscettibilità genetica legata al grado
di riparazione del DNA, con differenze fino a 200
volte tra un individuo ed un altro.
3. Una differente capacità individuale di metabolizzare
le sostanze cancerogene per un polimorfismo
metabolico.
SUSCETTIBILITA’ GENETICA
ALL’AZIONE DEI
CANCEROGENI
•
•
Il DNA cromosomico è continuamente
sottoposto a mutazioni dovute a processi di
disorganizzazione spontanea nonché al
danno provocato da agenti chimici oncogeni
e da radiazioni ionizzanti. Sistemi enzimatici
specifici attuano un continuo meccanismo
riparativo del genoma danneggiato.
In caso di inefficacia di tali sistemi possono
originare mutazioni cromosomiche che in
molti casi determinano anche la morte
cellulare o neoplasie.
*I principali meccanismi di
riparazione del DNA alterato
•
I principali meccanismi di riparazione del DNA alterato sviluppati dalle cellule possono
essere divisi in:
1.
NER [Nucleotide Excision Repair – riparo per escissione di nucleotidi] – il
meccanismo NER è utilizzato per riparare la maggior parte delle lesioni del DNA. È un
sistema molto versatile, costituito da vari enzimi che sono in grado di riconoscere il
danno e successivamente di eliminare la porzione dell’elica contenete il danno. La
porzione di DNA eliminata viene in seguito risintetizzata utilizzando l’altro filamento di
DNA come stampo.
BER [base Excision repair – riparo per rimozione di basi] – il riconoscimento della
lesione (che in questo caso si tratta di una base alterata) avviene ad opera di Nglicosidasi che è in grado di idrolizzare il legame glicosidico e di staccare la base
alterata. La base così rimossa può talvolta essere reinserita ad opera di una insertasi.
Mismatch repair – questo meccanismo è in grado di riparare alterazioni che si
verificano nel DNA durante la replicazione. Il tipo di danno in questo caso riguarda un
incorretto appaiamento delle basi (errore replicativo).
Riparo post-replicazione [o riparo per ricombinazione] – con il termine di riparo postreplicativo si intende un sistema in grado di agire su un DNA in cui il filamento figlio
abbia replicato nonostante sul filamento parentale siano ancora presenti delle lesioni. La
riparazione avviene attraverso l’induzione di un meccanismo di ricombinazione che porta
allo scambio di filamenti singoli.
Sistena SOS – nell’E. Coli gli enzimi del NER e del sistema post-replicativo sono inibiti
dalla proteina Lex-A. Allorchè lesioni del DNA batterico sono incompatibili con la vita la
proteina Lex-A viene distrutta e vengono sintetizzati gli enzimi
2.
3.
4.
5.
SUSCETTIBILITA’ GENETICA
ALL’AZIONE DEI
CANCEROGENI
Nel complesso gli studi sui polimorfismi metabolici e in generale
sulla suscettibilità genetica al cancro dovuto all’esposizione a
sostanze cancerogene sono ancora pioneristici e i loro
risultati non sono certamente ancora utilizzabili per finalità di
prevenzione o di sanità pubblica.
Nella maggior parte dei casi risulta difficile individuare un solo
fattore come responsabile dell'insorgenza del tumore: per lo
più si tratta di patologie ad eziologia multifattoriale, in cui
sarebbero chiamati in causa fattori GENETICI, che avrebbero
un ruolo esclusivo in non più del 2% delle neoplasie e fattori
AMBIENTALI (alimentazione, fumo di sigaretta, alcool,
abitudini sessuali), tra i quali un ruolo non trascurabile è
quello esercitato dai fattori LAVORATIVI, il cui ruolo è stato
valutato mediamente secondo stime attendibili (Doll e Peto,
1981) pari al 4%.
*SORVEGLIANZA
IMMUNITARIA
Oggigiorno non è possibile affrontare l’argomento della
oncogenesi senza definire il rapporto intercorrente
tra manifestazione neoplastica e sistema
immunitario.
Occorre tener presente che i tumori maligni presentano
sulla loro superfice antigeni specifici o
quantomeno assenti dal tessuto normale di
medesima provenienza ed allo stesso stadio di
differenziazione. Questi antigeni provocano delle
reazioni immunitarie umorali e cellulari analoghe a
quelle descritte nei confronti degli allotrapianti.
*SORVEGLIANZA
IMMUNITARIA
Si conoscono più categorie di antigeni tumorali:
1. Antigeni individuali del tumore (sono
immunogeni deboli)
2. Antigeni virali (su tumori indotti da virus
oncogeni)
3. Antigeni carcino-embrionali (alfafetoproteina e CEA)
4. Antigeni di differenziazione
*SORVEGLIANZA
IMMUNITARIA
I tumori possono quindi provocare la comparsa di anticorpi e di cellule
citotossiche – risposta bioumorale e immunocellulare – in particolare
i tumori evocano diverse reazioni di immunità cellulare.
È assai arduo determinare la responsabilità dei vari meccanismi messi in
atto nel rigetto dei tumori. D’altra parte la capacità di rigettare i
trapianti di tessuti non si deve essere sviluppata al fine di porre
ostacoli ai chirurghi, ma deve verosimilmente un significato
evoluzionistico: cioè quello di conferire vantaggi per la
sopravvivenza.
La possibilità è che il sistema immunitario abbia il compito di sorvegliare le
cellule dell’organismo impedendo che quelle alterate da mutazioni
possano trasformarsi in cellule neoplastiche.
In ognuno di noi si formano continuamente cellule potenzialmente
cancerose ma il nostro sistema immunitario agisce eliminando fin
dall’origine queste cellule anomale, prima che esse possano
stabilmente affermarsi.
*SORVEGLIANZA
IMMUNITARIA
Probabilmente una cellula su alcune centinaia di migliaia, o su alcuni
milioni, di cellule neoformate presenta ancora significativi errori di
mutazione. In condizioni normali solamente al caso è quindi riferibile
la comparsa di mutazioni cosicchè si può supporre che in un
grandissimo numero di casi la neoplasia sia semplicemente dovuta
ad una malaugurata occasionalità.
La reazione immunitaria dell’organismo ospite agli antigeni tumorali è
fondamentale nel proteggerlo dalle neoplasie.
Lo sviluppo più frequente di alcuni tumori in soggetti immunodepressi, la
possibilità di alcuni sistemi di realizzare vaccinazioni preventive
antitumorali ed anche di trasferire l’immunità mediante linfociti
confermano l’esistenza di un reale controllo immunitario nello
sviluppo dei tumori.
Per questo alcuni autori hanno proposto il concetto di “sorveglianza
immunitaria” secondo il quale il sistema immunitario eliminerebbe in
continuazione le cellule maligne che potrebbero comparire
nell’organismo.
*SORVEGLIANZA
IMMUNITARIA
I tumori clinicamente evidenti sfuggono al controllo della sorveglianza
sanitaria così come certe infezioni riescono ad attecchire
nell’organismo ospite a differenza di altre, a causa di
1.
particolare virulenza di un germe
2.
elevata carica batterica
3.
condizioni intrinseche del paziente (immunodepressione)
4.
proprietà dell’ambiente (freddo, umidità, ecc)
La probabilità di mutazioni può risultare di molte volte aumentata
dall’esposizione del soggetto ad alcuni fattori chimici, fisici e
biologici.
VALORI SOGLIA DEI
CANCEROGENI
Il problema della esistenza di livelli di esposizione che non comportano alcun effetto cancerogeno è
dibattuto da molto tempo.
A favore del meccanismo di azione che prevede una dose soglia al di sotto della quale non vi è
alcun effetto sta ad esempio l’evidenza epidemiologica di un rischio cancerogeno che si
manifesta per alcune sostanze solo per alte esposizioni:
1.
il cloruro di vinile monomero (CVM) è metabolizzato prevalentemente attraverso processi di
deidrogenazione che inattivano il composto; tuttavia il CVM può andare incontro a livello
microsomiale ad una trasformazione in epossido, metabolita altamente reattivo e
responsabile degli effetti cancerogeni
2.
anche il dicolorometano può essere metabolizzato attraverso due diverse vie di
biotrasformazione: la prima prevede l’intervento del citocromo P450, la seconda l’azione
dell’enzima glutatione-transferasi. È stato dimostrato un effetto cancerogeno in roditori solo
quando il composto è metabolizzato principalmente per questa seconda via.
Per questi composti una via metabolica verrebbe attivata quando l’altra sia già stata
saturata. Esisterebbe pertanto una dose soglia al di sotto della quale non avviene la
metabolizzazione a cancerogeno ultimo.
3.
sembra dimostrato che la leucemia provocata dall’esposizione a benzene si impianti
costantemente su una pre-esistente ipoplasia midollare. Per tale patologia è possibile
costruire curve dose-risposta ed identificare una dose sotto la quale non si sviluppa
l’emopatia che coinciderebbe quindi con la soglia oncogena
VALORI SOGLIA DEI
CANCEROGENI
Inoltre altri argomenti a favore dell’esistenza di una soglia sono:
1.
la presenza nella cellula di sistemi di riparazione che devono anch’essi essere saturati
2.
il fatto che esistono dei meccanismi immunologici deputati alla soppressione e controllo delle
cellule cancerogene che sono deputati alla soppressione e controllo delle cellule
cancerogene
VALORI SOGLIA DEI
CANCEROGENI
Tuttavia a favore dell’assenza di una dose-soglia sta l’evidenza sperimentale di indurre tumori
dopo singole esposizioni e dopo che la sostanza è stata eliminata dall’organismo già da
tempo.
Sulla base delle conoscenze scientifiche attuali vi è però ancora incertezza sul meccanismo
d’azione delle sostanze cancerogene e dunque ne derivano dubbi fondati riguardo al fatto
che possano essere individuati dei limiti di sicurezza.
In considerazione di queste incertezze l’I.L.O. (International Labour Office) ritiene che ai fini delle
strategie di prevenzione (a meno che non esista sufficiente evidenza epidemiologica del
contrario) si dovrebbe assumere che non esiste una dose soglia.
Allo stesso tempo si dovrebbe tener conto del fatto che, anche in assenza di dose soglia, il
rischio è proporzionale alla dose di esposizione. All’aumentare della dose non
incrementa l’effetto, ma la probabilità che esso si verifichi.
Ciò significa che per bassi livelli di esposizione il rischio può essere tanto basso da non
risultare rilevante e da essere considerato “accettabile” da un punto di vista pratico.
VALORI SOGLIA DEI
CANCEROGENI
D’altra parte esiste nella pratica quotidiana un’accettazione del rischio controllato che
spesso deriva dal fatto che non è possibile eliminare alcune sostanze dai cicli
tecnologici, per cui, nella pratica, l’esposizione ad agenti cancerogeni è un rischio
da considerare e da affrontare.
Inoltre quando venga stabilito che una determinata sostanza agisca con meccanismo di
tipo epigenetigo sembrerebbe giustificato fissare un TLV ed adottare
provvedimenti che mantengano condizioni di rischio “controllato”.
D’altra parte non è possibile una rigorosa distinzione fra oncogeni genotossici ed
epigenetici per cui gli epigenetici non possono essere considerati come meno
dannosi.
La diossina, classificata come fattore epigenetico, induce tumori epatici nel ratto per esposizioni estremamente basse per cui non
viene indicata una soglia al di sotto della quale il tumore non si sviluppi.
Anche il D.D.T. è classificato come fattore epigenetico ed induce livelli statisticamente significativi di abberrazioni cromosomiche ed
effetti citogenetici in cellule di roditori, nonché abberrazioni cromatidiche nei lifociti di soggetti esposti.
L’asbesto, considerato anch’esso come fattore epigenetico, può produrre effetti genotossici in cellule di roditori.
VALORI SOGLIA DEI
CANCEROGENI
Bisogna quindi considerare che non sempre è possibile ottenere una netta distinzione fra agente
oncogeno genotossico ed epigenetico, in quanto è appurato che alcuni agenti hanno
dimostrato di agire in più stadi del meccanismo di cancerogenesi ed altri si sono rilevati
cancerogeni completi, cioè capaci di provocare sia la trasformazione cellulare (iniziazione)
che la successiva fase di promozione.
La problematica della misura degli agenti cancerogeni e mutageni è condizionata dalla natura
probabilistica degli effetti biologici e quindi dalla possibilità che anche piccole concentrazioni
possano risultare dannose per gli esposti.
Sulla base di queste considerazioni, in un ottica di prevenzione primaria del rischio cancerogeno, è
chiaramente quindi più opportuno non distinguere gli agenti cancerogeni in epigenetici o in
genotossici sulla base dell’ipotetico meccanismo d’azione, ma considerare che la relazione
tra i livelli di esposizione e la probabilità di sviluppare un tumore sia di tipo lineare e che
il rischio zero vi sia solo in assenza di esposizione.
Va comunque tenuto conto del fatto che ogni metodo analitico di misurazione delle
concentrazioni di inquinanti aerodispersi, presenta un valore al di sotto del quale non
è possibile affermare con certezza se una sostanza sia o no presente in quale quantità
(limite di rilevabilità del metodo)
*CLASSIFICAZIONI DI
CANCEROGENICITA’
SECONDO AGENZIE ED ENTI
INTERNAZIONALI E NAZIONALI
PREMESSA
Enti nazionali ed internazionali valutano la tossicità di sostanze chimiche al fine di individuare, valutare e classificare agenti cancerogeni.
Sono impegnati enti quali l’Unione Europea (UE) ed organizzazioni scientifiche indipendenti quali l’International Agency for Research on Cancer
(IARC), la World Health Organization (WHO) e l’International Programme on Chemical Safety (IPCS) che formalizzano valutazioni non a
fini di regolamentazioni, nonché commissioni e organi consultivi che forniscono il loro parere e le loro valutazioni ad Enti Governativi,
come ad esempio l’United States Environmental Protection Agency (US EPA), la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale
(CCTN) o l’Health Council of the Netherland (Consiglio di Sanità Olandese) ed altre.
Le valutazioni (formulate in accordo a criteri, linee guida e procedure chiaramente indicate dall’organo proponente) portano a classificazioni in
specifiche categorie qualitative basate sul peso dell’evidenza della cancerogenicità per l’uomo.
Le diverse agenzie identificano i cancerogeni valutando studi epidemiologici e studi sperimentali su animali da laboratorio e altre informazioni
comunque pertinenti. Successivamente i risultati vengono riassunti in sistemi di classificazione.
Il giudizio scientifico degli esperti che compongono le diverse agenzie implica una componente soggettiva, che non può essere completamente
eliminata anche definendo criteri e procedure di interpretazione dei dati. Si possono pertanto verificare alcune divergenze di opinione e
una stessa sostanza può essere allocata in categorie di cancerogenesi non del tutto sovrapponibili da parte di agenzie diverse.
Molti paesi hanno stabilito specifiche regolamentazioni. In alcuni casi gli stessi criteri di base coprono la popolazione generale, la popolazione
lavorativa ed i consumatori, in altri casi esistono regolamentazioni specifiche per ognuna di queste categorie.
La UE ha un proprio sistema di classificazione ed etichettatura delle sostanze e preparati.
Esistono inoltre differenze anche tra gli stessi stati della UE, in base a quanto sancito dall’articolo 118/A del Trattato della Comunità che introduce il
principio che uno Stato Membro può adottare, nei recepimenti nazionali, disposizioni più severe di quelle previste dalla norma
comunitaria qualora esse garantiscano una maggiore tutela dei lavoratori esposti.
*La classificazione dell’Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul
cancro (IARC)
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha iniziato nel 1969 un programma finalizzato alla valutazione del
rischio cancerogeno nei confronti dell’uomo indotto da sostanze chimiche e alla produzione di monografie esaustive su
queste sostanze chimiche; in seguito il programma è stato ampliato a comprendere anche agenti e tipologie di esposizione
di natura diversa:
•
composti chimicamente ben definiti (contaminanti ambientali, coloranti, intermedi chimici, principi attivi antiparassitari,
farmaci, additivi alimentari)
•
miscele complesse si sostanze
•
virus ed agenti biologici
•
terapie farmacologiche
•
agenti fisici
•
elementi e composti radioattivi
•
abitudini alimentari
•
abitudini voluttuarie
•
tossine
•
processi produttivi ed esposizioni lavorative
Le monografie rappresentano la prima fase della valutazione del rischio cancerogeno definita come identificazione del rischio, al solo
fine di valutare il grado di capacità di alcune tipologie di esposizione di alterare l’incidenza di determinate forme di tumore
nell’uomo. Le monografie non includono la stima quantitativa del rischio ma esprimono solo la potenzialità di causare il
cancro, fornendo quindi una valutazione puramente qualitativa.
I supplementi alle monografie sono revisioni di precedenti valutazioni con i necessari aggiornamenti.
*La classificazione (IARC)
La classificazione proposta dalla IARC è forse la più autorevole ed è stata
adottata dalla Commissione Consultiva Permanente per la Prevenzione
degli Infortuni e l'Igiene del Lavoro, presso il Ministero del Lavoro.
La tabella che segue mostra la classificazione IARC delle sostanze
cancerogene per l’uomo, suddivise in quattro distinte categorie riguardo al
potere cancerogeno.
Nella valutazione globale di cancerogenicità viene considerato l’insieme delle
evidenze disponibili; la categorizzazione di un agente deriva dal giudizio
scientifico di esperti e riflette la forza dell’evidenza derivata da studi
sull’uomo e sugli animali e da altre informazioni pertinenti.
*La classificazione (IARC)
Gruppo
Grado di evidenza di cancerogenicità
1
Cancerogeni accertati per
l’uomo
Una sostanza o una lavorazione è così definita
quando l'Agenzia le attribuisce una "sufficiente
evidenza" di cancerogenicità nell'uomo
2A
Probabili cancerogeni
umani
Hanno riconosciuta una "limitata evidenza" di
cancerogenicità nell'uomo ed una "sufficiente
evidenza" nell'animale da esperimento
2B
Possibili cancerogeni umani
Hanno riconosciuta una "inadeguata evidenza" per
l'uomo ma una "sufficiente evidenza" nell'animale da
esperimento, oppure una "limitata evidenza" nell'uomo
in assenza di altri dati, oppure, ma eccezionalmente
una "limitata evidenza" nell'animale, supportata dal
concorso di altri dati rilevanti, pur in assenza di alcuna
evidenza sull'uomo o in assenza totale di dati
sull'uomo
*La classificazione (IARC)
Gruppo
Grado di evidenza di cancerogenicità
3
Non classificabili come
cancerogeni umani
Agenti che non rientrano in nessuna delle condizioni
sin qui enumerate per le precedenti categorie,
evidenza inadeguata nell’uomo e inadeguata o
limitata negli animali
4
Probabilmente non
cancerogeni umani
Agenti per i quali è dimostrabile una delle due
seguenti condizioni: 1) evidenza suggestiva di
assenza di cancerogenicità per l'uomo e l'animale; 2)
evidenza inadeguata nell'uomo ovvero assenza di dati
in questo campo ed evidenza suggestiva di assenza
di cancerogenicità nell'animale da esperimento, con il
supporto consistente di altri test.
*La classificazione
dell’Unione Europea (UE)
Questo sistema nasce con la direttiva 79/831/CEE del 18/settembre/1979,
meglio conosciuta come 6° modifica della direttiva di base 67/548/CEE
“concernete il riavvicinamento delle disposizioni legislative regolamentari
e amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio ed alla
etichettatura delle sostanze pericolose”.
La classificazione, pur presentando molte analogie con quella della IARC, è
limitata a sostanze chimiche ben identificate, escludendo però alcune
categorie, come i farmaci ad uso umano e veterinario, i cosmetici, i
prodotti alimentari sia per l’uomo che per l’animale, le sostanze radioattive
e quanto già disciplinato da normative specifiche.
*La classificazione
dell’Unione Europea (UE)
Il sistema di classificazione della UE viene usato per indicare la forza dell’associazione causale tra
la sostanza e lo sviluppo di tumori.
Classifica le sostanze cancerogene in 3 categorie:
Categoria 1 – sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo
Esistono prove sufficienti per stabilire un nessi causale tra l’esposizione umana a queste
sostanze e lo sviluppo di tumori
Categoria 2 – sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo
Esistono elementi sufficienti per ritenere verosimile che l’esposizione dell’uomo a queste
sostanze possa provocare lo sviluppo di tumori; questa evidenza è basata su adeguati studi
a lungo termine effettuati su animali e su altre informazioni specifiche.
Categoria 3 – sostanze da considerare con sospetto per i possibili effetti cancerogeni sull’uomo per
le quali tuttavia le informazioni disponibili sono insufficienti per procedere a una valutazione
soddisfacente
Esistono alcune prove ottenute con adeguati studi su animali che però non sono sufficienti
per classificare queste sostanze nella categoria 2
*Frasi di rischio
La direttiva 79/831/CEE introduceva le categorie di pericolo relative agli effetti cancerogeni, mutageni e teratogeni con frasi di rischio
specifiche.
La direttiva 93/21/CEE ha successivamente ampliato il concetto di teratogeno introducendo quello di effetti tosssici sulla
riproduzione, che comprende sia le alterazioni della fertilità nel maschio che nella femmina che l’induzione di danni non
ereditabili alla progenie.
Le frasi di rischio associate sono:
R 39 Pericolo di effetti irreversibili molto gravi.
R 40 Possibilità di effetti cancerogeni - prove insufficienti.
R 45 Puo' provocare il cancro.
R 46 Puo' provocare alterazioni genetiche ereditarie.
R 48 Pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione prolungata.
R 49 Puo' provocare il cancro per inalazione.
R 60 Puo' ridurre la fertilita'.
R 61 Puo' danneggiare i bambini non ancora nati.
R 62 Possibile rischio di ridotta fertilita'.
R 63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati.
R 68 Possibilità di effetti irreversibili.
(Estratto del DM 03/12/85 corretto dagli innumerevoli decreti successivi. Il testo riportato è quello attualmente vigente - giugno 2002 - dopo le sostituzioni,
modifiche ed integrazioni apportate dai numerosi D.M. di attuazione di direttive CE)
*Direttiva 67/548/CEE
La Direttiva 67/548/CEE viene periodicamente aggiornata sulla base delle
nuove conoscenze scientifiche acquisite e costituisce una lista di
riferimento ufficiale e sicura.
(l’ultimo adeguamento è stato pubblicato sul supplemento ordinario n.
100 della GAZZETTA UFFICIALE n. 92 del 20 aprile 2006: D.Lgs. 28
febbraio 2006: Recepimento della direttiva 2004/74/CE recante il XXIX
adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE in
materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura di sostanze
pericolose)
LA CLASSIFICAZIONE
ARMONIZZATA ONU
La conferenza ONU sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED) tenutasi a Rio de
Janeiro nel 1992 identificò l’armonizzazione della classificazione e
dell’etichettatura delle sostanze chimiche come una priorità e fu definito il
seguente obiettivo: “un sistema globale armonizzato di classificazione di
pericolo e di etichettatura, incluse schede di sicurezza e simboli di
pericolo facilmente comprensibili, dovrebbe essere definito, se possibili,
entro l’anno 2000”.
A tutt’oggi si è raggiunto un accordo definitivo su molti dei parametri in gioco.
I criteri individuati, una volta ratificati dai vari organismi nazionali o
internazionali responsabili saranno il punto di riferimento, a livello
mondiale, per la classificazione delle sostanze chimiche e per tutte le
normative che hanno come obiettivo la protezione dei lavoratori, dei
consumatori e dell’ambiente.
Valori limite di esposizione per
gli agenti cancerogeni negli
ambienti di lavoro
I valori limite di esposizione professionale hanno una tradizione molto lontana nel tempo.
La prima iniziativa in materia risale ad oltre un secolo fa, quando in Germania (in conseguenza
dell’introduzione della legislazione relativa al risarcimento dei danni alla salute dovuti ad
attività lavorative) furono intraprese azioni preventive mirate a migliorare la protezione dei
lavoratori esposti a sostanze chimiche.
1886 – pubblicazione del primo lavoro sui principi per stabilire concentrazioni di sicurezza per esposizioni a breve
e lungo termine a sostanze nell’industria.
1938 – pubblicazione della prima lista provvisoria di standard igienici denominati “concentrazioni massime
tollerabili nei luoghi di lavoro (MAC) per oltre 100 sostanze chimiche caratterizzate prevalentemente da
potere irritante.
Attualmente sono numerose le istituzioni a livello mondiale che conducono un’attività sistemica di definizione di
standard per sostanze chimiche utilizzate nell’industria. In molti paesi gli standard hanno esclusiva
valenza di raccomandazione e non hanno alcun valore legale: trovano uso come linee guida. Altri
standard possono avere anche valore legale.
Tutti i limiti proposti, indifferentemente dalla loro denominazione, si prefiggono il medesimo obiettivo di proteggere
la salute dei lavoratori da sovraesposizioni a sostanze pericolose negli ambienti di lavoro e vanno sempre
intesi come raccomandazioni per il controllo dei potenziali rischi per la salute e non come linea di
demarcazione tra concentrazioni sicure e concentrazioni pericolose.
Valori limite di esposizione per
gli agenti cancerogeni negli
ambienti di lavoro
Negli USA la storia dei limiti di esposizione professionale è sempre stata legata all’Associazione
degli Igienisti Statunitensi ACGIH (American Conference of Governmental Industrial
Hygienist) che sin da 1947 pubblica ed aggiorna annualmente l’elenco dei valori limite di
soglia.
I valori limite di soglia fissati dall’ACGIH attualmente chiamati Threshold Limit Value (TLV) indicano
le concentrazioni delle sostanze disperse in aria al di sotto delle quali si deve ritenere che la
“maggior parte” dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente, giorno dopo giorno,
senza effetti negativi per la salute. Tuttavia, a causa della considerevole variabilità
individuale, una piccola percentuale di lavoratori può accusare disagio in presenza di alcune
sostanze le cui concentrazioni siano pari o inferiori al TLV e, in una percentuale ancora
minore di individui, si può osservare un effetto marcato per l’aggravarsi di condizioni preesistenti o per l’insorgere di una malattia professionale. Inoltre alcuni individui possono
essere ipersuscettibili o sensibili in modo fuori del comune a talune sostanze in
conseguenza di fattori genetici, età, stili di vita, cure mediche o esposizioni pregresse. Tali
lavoratori potrebbero risultare non adeguatamente protetti da effetti indesiderati per la salute
dovuti a sostanze presenti a concentrazioni pari o inferiori al TLV.
È quindi compito del medico del lavoro valutare il grado di protezione aggiuntivo
consigliabile per tali soggetti.
L’ACGIH prevede 3
categorie di TLV
1 Valore limite di soglia media ponderata nel tempo TLVTWA (Time Weight Average): concentrazione media
ponderata nel tempo per una giornata lavorativa di 8 ore per
40 ore lavorative settimanali, a cui si deve ritenere che quasi
tutti i lavoratori possano essere esposti ripetutamente, giorno
dopo giorno, senza effetti negativi. Questo parametro, in
assenza di altri livelli di riferimento più mirati all’ambiente
esterno, ha maggiore utilità nell’analisi degli effetti a medio
termine.
L’ACGIH prevede 3
categorie di TLV
2 Valore limite di soglia limite per breve tempo di
esposizione TLV-Stel (Short Term Exposure Limit):
concentrazione massima a cui i lavoratori possono essere
esposti per un periodo di 15 minuti, continuativamente senza
che insorgano irritazioni, alterazioni croniche o irreversibili dei
tessuti, riduzione dello stato di vigilanza di grado sufficiente
ad accrescere le probabilità di infortunio, di menomare le
capacità di mettersi in salvo o di ridurre materialmente
l’efficienza lavorativa purchè le escursioni non siano più di 4
in un giorno con intervallo di almeno 60 minuti l’una dall’altra
e il TLV-TWA giornaliero non venga superato.
L’ACGIH prevede 3
categorie di TLV
3
Valore limite di soglia TLV-C (Ceiling): concentrazione che
non deve essere superata nemmeno per un istante, durante
tutta l’esposizione lavorativa. I valori Ceiling vengono attribuiti
a quelle sostanze che hanno un effetto acuto.
L’annotazione Cute viene associata ai valori sopra esaminati,
quando esistono evidenze che la sostanza possa essere
efficacemente assorbita per via cutanea, incluso mucose ed
occhi, sia per contatto con i vapori che per contatto diretto.
*L’ACGIH alloca le sostanze
riguardo alla cancerogenicità in
categorie definite:
1.
2.
3.
4.
5.
Cancerogeno riconosciuto per l’uomo: l’agente è risultato cancerogeno per l’uomo sulla base del peso
dell’evidenza risultante da studi epidemiologici o di evidenza clinica convincente in individui esposti.
Cancerogeno sospetto per l’uomo: l’agente è risultato cancerogeno negli animali da esperimento a
livello di dosi, per vie di somministrazione, per sedi, per tipologie istologiche o per meccanismi che sono
considerati rilevanti per l’esposizione dei lavoratori. Gli studi epidemiologici disponibili sono controversi o
insufficienti per confermare un incremento del rischio di cancro per gli individui esposti.
Cancerogeno per gli animali: l’agente è risultato cancerogeno negli animali da esperimento a dosi
relativamente alte, per vie di somministrazione, per sedi, per tipologie istologiche o per meccanismi che
non sono considerati rilevanti per l’esposizione dei lavoratori. Gli studi epidemiologici disponibili non
confermano un incremento del rischio di cancro per gli individui esposti. L’evidenza disponibile suggerisce
come improbabile che l’agente causi il cancro nell’uomo tranne a livelli o per vie non probabili o in
situazioni di esposizione non comuni.
Non classificabile come cancerogeno per l’uomo: i dati esistenti sono inadeguati per classificare
l’agente per quanto riguarda la sua cancerogenicità per l’uomo e/o gli animali.
Non sospetto di essere cancerogeno per l’uomo: l’agente non è sospettato di essere cancerogeno per
l’uomo sulla base di studi epidemiologici appropriatamente condotti sull’uomo. Questi hanno un follow-up
sufficientemente prolungato, storie espositive affidabili, dose sufficientemente elevate e potere statistico
adeguato per concludere che l’esposizione all’agente non comporta un rischio significativo di cancro per
l’uomo. L’evidenza che indica mancanza di cancerogenicità negli animali da esperimento viene
considerata ed è supportata da altri dati pertinenti.
limiti di esposizione
occupazionale
La maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea
ha proprie liste di limiti di esposizione occupazionale
(Francia, Germania, Regno Unito, Danimarca),
altri paesi, tra cui l’Italia fanno riferimento ai valori
raccomandati dall’ACGIH.
NORMATIVA DI
RIFERIMENTO IN ITALIA
NORMATIVA DI RIFERIMENTO IN ITALIA
Decreto Legislativo 626/94 Titolo VII – protezione da agenti cancerogeni e/o
mutageni
Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 66
ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE 97/42/CE E 1999/38/CE, CHE MODIFICANO LA DIRETTIVA 90/394/CEE, IN
MATERIA DI PROTEZIONE DEI LAVORATORI CONTRO I RISCHI DERIVANTI DA ESPOSIZIONE AD
AGENTI CANCEROGENI O MUTAGENI DURANTE IL LAVORO
Linee Guida del Coordinamento Tecnico per la Prevenzione degli Assessorati alla
Sanità delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano.
Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81
Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della
salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
LA CUTE
Cause principali:
Idrocarburi aromatici policiclici (IPA):
• fuliggine (epiteliomi dello scroto degli spazzacamini);
• catrame e pece (carcinomi cutanei in varie sedi);
• olii minerali non raffinati (meccanici, addetti alle raffinerie).
Arsenico e composti arsenicali:
• insetticidi arsenicali (tumori dell’epidermide palmo-plantare).
Raggi ultravioletti:
• radiazioni solari (carcinomi della cute esposta di pescatori, marinai,
agricoltori).
Radiazioni ionizzanti:
• raggi x e y (tumori cutanei, dita e polsi, nei radiologi e nei tecnici).
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
CAVITA’ NASALI e SENI PARANASALI
Cause principali:
• Nichel e composti (raffinatura del Ni con vecchie tecniche)
• Produzione alcool isopropilico (metodo con acidi forti)
• Lavorazione del legno (inalazione di polvere di legni duri)
• Produzione di scarpe (inalazione di polvere di cuoio)
• Produzione di cromati (esposti a composti di cromo)
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
POLMONE
Cause principali:
Amianto: carcinoma polmonare nei produttori e utilizzatori di materiali di
amianto per coibentazioni (navi, treni, tubazioni), lastre di cemento-amianto
(eternit), ecc …Si ricorda l’effetto sinergico tra esposizione ad asbesto e fumo
di sigaretta nello sviluppo di tumori.
Arsenico e composti di arsenico inorganico:
• insetticidi arsenicali (produttori, utilizzatori quali i viticultori);
• minerali di arsenico (minatori all’estrazione).
Composti di Cromo esavalente: produzione cromati, cromatori.
Composti di Nichel: fusione, elettrolisi del Ni.
Idrocarburi aromatici policiclici (IPA): esposizione al catrame
negli asfaltatori; produzione di alluminio, di coke, di gas dal carbone
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
POLMONE
Altre cause
• Bis(clometil)etere (BCME): produzione di clorometil-metiletere
• Berillio: soggetti molto esposti, spesso già affetti da berilliosi.
• Cadmio: di recente definizione, in soggetti particolarmente
esposti.
• Silice: aumentata frequenza nei soggetti già affetti da silicosi.
• Radon: nei minatori di uranio e di ematite.
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
PLEURA e altre MEMBRANE SIEROSE
Mesotelioma maligno da esposizione ad amianto
• Localizzazione prevalentemente pleurica, talvolta
peritoneale;
• scarsa relazione dose-risposta (possibile anche in
soggetti con esposizione breve e di modesta entità);
• più pericolosa la crocidolite, meno pericoloso il crisotilo;
• tempo di induzione medio 30 anni (da 10 a 40 anni);
• problema anche ambientale.
* Rischio di cancro polmonare
e fumo di sigaretta
• Non fumatori non esposti 1
• Fumatori non esposti 5
• Non fumatori esposti 10
• Fumatori esposti 50
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
VIE URINARIE
Causa principale: amine aromatiche, in particolare:
• 2-naftilamina: produzione e uso di coloranti azoici; produzione e
distillazione del gas dal carbone;
• benzidina: produzione e uso di coloranti azoici;
• 4-aminodifenile: produzione e uso di coloranti azoici;
> Tumori della vescica a cellule di transizione (uroteliomi),
> a vario grado di malignità,
> papillari e non papillari,
> età media alla diagnosi di 10-15 anni inferiore alle neoplasie
vescicali non professionali.
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
VIE URINARIE
e probabilmente anche:
• 4-cloro-o-toluidina: produzione di 4-cloro-o-toluidina
• o-toluidina
• amine aromatiche non identificate: produzione della gomma
(vulcanizzazione), produzione di auramina, fucsina e
clordimeform, tintura dei tessuti, parrucchieri
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
APPARATO EMOPOIETICO
cause principali:
Benzene: leucemie acute non linfoblastiche.
Numerosi casi in Lombardia anni ‘30-‘60, Turchia anni ’70, Cina
aa ’90.
L’uso del benzolo (forma commerciale del benzene) come
solvente nella produzione di calzature, giocattoli e nell’industria
del rotocalco è stato proibito in Italia fin dagli anni ‘60, con
drastica riduzione dei casi (gli ultimi risalgono all’inizio degli
anni ’70).
Ancora aperta è la discussione se anche basse dosi di benzene
(presenti in piccola percentuale nelle benzine, nel fumo di
sigaretta,ecc) possano causare leucemie.
altre cause:
• Radiazioni ionizzanti: leucemie mieloidi croniche
e acute.
Casi fra i radiologi negli anni ‘40-’60. Attualmente, per i
miglioramenti tecnici delle apparecchiature, sono
estremamente improbabili.
• Ossido di etilene: sospetto responsabile di tumori
dell’apparato linfoemopoietico.
Utilizzato come sterilizzante.
T
U
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
APPARATO EMOPOIETICO
* TUMORI PROFESSIONALI: SEDI PRINCIPALI
FEGATO
Cause principali
Cloruro di vinile monomero: angiosarcoma epatico.
Tumore molto raro. Il rischio è stato marcatamente ridotto per la
drastica diminuzione dell’esposizione professionale.
Permettetemi ora alcune
considerazioni personali su:
• Esposizione dei lavoratori ad agenti
cancerogeni e livelli di esposizione
• A proposito di sorveglianza sanitaria
• Prevenzione primaria e secondaria
CRITICITA’
Livelli di esposizione
Partendo dalla certezza che tutti noi indistintamente conviviamo
ogni giorno con un’enorme varietà di agenti cancerogeni
ambientali, iatrogeni e comportamentali, chi si trova nella
condizione di essere esposto ogni giorno anche ad agenti
cancerogeni anche sul posto di lavoro, deve avere la possibilità
di essere messo in condizione di conoscere quantomeno il suo
livello di esposizione, dato che la permanenza negli ambienti di
lavoro è estremamente rilevante, rappresentando quasi un
terzo del tempo di vita a sua disposizione.
Esposizione dei lavoratori ad
agenti cancerogeni
Nel caso che sia impossibile il ricorso ad un “sistema chiuso” l’obiettivo da
raggiungere è quello di provvedere affinchè il livello di esposizione dei
lavoratori sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile.
Il livello di esposizione ridotto al più basso valore tecnicamente possibile
è cosa diversa dall’esposizione nulla.
L’ammissione da parte del datore di lavoro di aver “creato e
mantenuto” dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni
è un’ammissione di responsabilità che necessita, a mio
avviso, di un accertamento più approfondito in termini
penali, ma anche, come più spesso avviene in altri paesi,
in termini civili e assicurativi.
Alcuni punti critici
Posto che sia verosimile che non esista una soglia di esposizione
corrispondente ad un rischio zero:
1.
Eventuali proposte di screening per identificare “quelle categorie di
lavoratori per i quali l’esposizione a taluni agenti cancerogeni presenta
rischi particolarmente elevati” (D.L. 66/2000 art. 64 comma j) vanno
considerate con estrema cautela, sia che si alluda ad una ipersuscettibilità
acquisita (ad esempio i fumatori), sia che si alluda ad una ipersuscettibilità
genetica, spesso ignorata dal portatore. Il tutto nel rispetto del principio
che l’esposizione a cancerogeni deve comunque essere più bassa
possibile.
2.
Per nessun tipo di tumore, alla cui eziologia possano contribuire
esposizioni professionali, sono disponibili test adeguati per essere
utilizzati in programmi di screening per la diagnosi precoce rivolti a
soggetti asintomatici
A proposito di
Sorveglianza sanitaria
1.
2.
3.
Il controllo sanitario, completo di indagine anamnestica accurata e di
esame clinico, particolarmente mirato sugli organi bersaglio, se noti,
del cancerogeno cui il lavoratore è esposto, va effettuato al meno una
volta l’anno.
La visita medica potrà, se ritenuto necessario, essere integrata da
accertamenti complementari.
In occasione di tale controllo sarà rinnovata ai lavoratori l’informazione
sul significato e sui limiti della sorveglianza sanitaria stessa, sui fattori
favorenti l’instaurarsi della malattia, sul riconoscimento precoce dei
sintomi ad essa riferibili, sul corretto uso dei dispositivi di protezione
individuale e collettivi, sulle corrette procedure di lavoro.
Questo terzo elemento è il più pregante dal punto di vista
delle reali ricadute in termini di efficacia preventiva.
Criticità della
Sorveglianza sanitaria
La sorveglianza sanitaria presenta notevoli aspetti
critici, in quanto non riesce ancora ad esprimere
efficaci contenuti preventivi, limitandosi, nel
migliore dei casi, alla diagnosi precoce dei
tumori professionali.
Al medico del lavoro, oggi chiamato medico competente, è affidata la
responsabilità della sorveglianza sanitaria degli esposti a rischio
cancerogeno e/o mutageno, azione sicuramente molto complessa,
densa di attese, che esprime non solo valenze cliniche, ma ben più
importanti e decisive valenze atte a migliorare la gestione del rischio.
Prevenzione secondaria
Per prevenzione secondaria dei tumori professionali (Forni 1966) si
intende la diagnosi precoce delle neoplasie, in una fase che permetta
ancora un trattamento risolutivo della malattia.
Ricordo che le Linee Guida del Coordinamento Tecnico per la Prevenzione degli
Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e
Bolzano dichiarano: “per nessun tipo di tumore alla cui eziologia possano
contribuire esposizioni professionali sono disponibili adeguati test per essere
utilizzati in programmi di screening per la diagnosi precoce, rivolti a soggetti
asintomatici. ... Omissis ... In linea di principio, i medici competenti vanno
scoraggiati dal porre in opera qualsiasi intervento di screening per la diagnosi di
tumori, rivolto a soggetti asintomatici. Possono invece essere incoraggiati (se si
verificassero gli adeguati presupposti scientifici e logistici) a partecipare a ricerche
per la valutazione dell’efficacia di nuove proposte di screening”.
Risultati più validi si ottengono con sistemi di intervento mirati associati alla citologia
esfoliativa (ETP dell’utero, del polmone e della vescica)
Criticità della
Sorveglianza sanitaria
Nel percorso applicativo del Titolo VII del D.Lgs.
626/1994, così come modificato dal D.Lgs. 66/2000,
e ripreso dal D.Lgs. 81/2006 si incontrano alcuni
nodi critici che possono interferire nella resa della
sorveglianza sanitaria:
• La classificazione degli agenti cancerogeni e/o
mutageni
• L’incertezza nella caratterizzazione dei
cancerogeni e dei mutageni
• Il processo di valutazione del rischio.
L’incertezza nella
caratterizzazione dei
cancerogeni e dei mutageni
La normativa prevede criteri dettagliati per una corretta valutazione del rischio al fine di
evidenziare le caratteristiche dell’esposizione, valutando la possibilità cha ha la
sostanza cancerogena di penetrare nell’organismo, secondo le diverse vie di
assorbimento.
Tenendo conto che (A. Forni 1966)
•
gli organi bersaglio dei cancerogeni diretti sono rappresentati prevalentemente
dalle vie di ingresso,
•
mentre gli organi bersaglio dei cancerogeni indiretti possono essere rappresentati
sia dalle vie di ingresso (se l’attivazione avviene direttamente a livello degli epiteli
con cui viene in contatto), sia nelle sedi di trasformazione metabolica
(prevalentemente a livello epatico e in minor misura renale) sia a livello delle sedi
di accumulo e di eliminazione (esempio vescica),
Ne deriva che spesso la valutazione dell’esposizione risponde a criteri
approssimativi incapaci di dettagliare le effettive condizioni di
esposizione e l’effettivo rischio cui sono sottoposti i lavoratori.
Ne deriva inoltre che la misura del rischio risponde a considerazioni
precauzionali (come d’altra parte è giusto che sia) piuttosto che a
criteri scientificamente basati.
Quale sorveglianza sanitaria ?
Fermo restando che la sorveglianza sanitaria è un obbligo sancito
per legge e la cui omissione è sanzionata penalmente,
rimane il quesito su quale debba essere il suo contenuto e
sulle attese che in essa vengono riposte.
Bisogna inoltre ricordare che uno degli obiettivi della sorveglianza
sanitaria è l’espressione del giudizio di idoneità alla mansione
specifica (art. 41 D.Lgs. 81/2008).
In questo scenario di incertezze anche il giudizio di idoneità
per gli esposti a cancerogeni e mutageni, comporta per il
medico competente difficoltà etiche e pratiche ben più
pesanti rispetto alla gestione di altri rischi professionali.
Al medico del lavoro si chiede di accollarsi un gravoso “debito
sociale” le cui conseguenze sono tutte e solo a carico di
questo sanitario.
Fonte: intervento ANMA – Convegno Modena 28/settembre/2001
Prevenzione primaria
Stante l’evidenza che le attuali conoscenze non sono
assolutamente in grado di soddisfare le attese di una
sorveglianza sanitaria degli esposti ad agenti
cancerogeni e mutageni come richiesta dal dettato
normativo:
è attuabile invece una prevenzione primaria
intesa come individuazione di fattori di rischio
individuali e la loro correzione attraverso
consigli comportamentali, informazione,
educazione sanitaria, ecc.
Il ruolo dell’informazione e
della formazione nella
prevenzione e protezione da
agenti cancerogeni e mutageni
Il cancro rimane sempre al secondo posto tra le cause di morte precoce dopo
l’infarto e le malattie cardiovascolari. Uno dei motivi principali delle difficoltà
che si incontrano nel combattere questa malattia letale risiede nella scarsa
conoscenza cha ancora si ha sul meccanismo che da luogo alla formazione
di cellule neoplastiche; a questo si aggiunge la difficoltà nell’identificazione
e classificazione delle sostanze cancerogene e mutagene
LA PREVENZIONE
Viene sempre più riconosciuto come estremamente importante il ruolo della PREVENZIONE nei confronti di:
1.
Inquinamento ambientale (indoor e outdoor)
2.
Alimentazione
3.
Abitudini voluttuarie
4.
Inquinamento in ambiente di lavoro
Per quanto riguarda in particolare gli ambienti di lavoro la promulgazione di normative specifiche traccia le linee di
un comportamento scrupoloso (e continuativo) da tenere al fine di ridurre i rischi connessi al tipo di attività
produttiva.
Nella corretta gestione del rischio è importante, importantissimo, manipolare ed impiegare le sostanze
cancerogene e/o mutagene seguendo precise norme di sicurezza e attuare le seguenti condizioni:
•
I pericoli devono essere noti
•
Le procedure di impiego devono far parte del bagaglio culturale del datore di lavoro
•
Deve esserci ampia disponibilità di adeguati mezzi di protezione, sia individuali che collettivi
•
Bisogna provvedere scrupolosamente alla informazione e formazione dei lavoratori
•
Deve essere disponibile un piano di emergenza atto a minimizzare l’esposizione accidentale
Informazione e formazione
Per poter essere veramente in grado di cooperare alla prevenzione dei rischi, i lavoratori dovrebbero
essere pienamente informati. In particolar modo uno dei cardini nella rimozione del rischio nei
luoghi di lavoro è rappresentato dalle informazioni fornite dalle schede di sicurezza (Ghelli e
Baroncelli – 1994, Ignatowski e Weiler – 1995, Bressa – 1997)
L’informazione dovrebbe pure riguardare i rischi e gli effetti relativi alle attività svolte con
sostanze/processi cancerogeni, le concentrazioni prevedibili di esse durante le attività sul luogo di
lavoro e le misure preventive da adottare. Quest’ultimo aspetto dovrebbe tradursi in particolare in
regole operative dettagliate e d in un processo formativo specifico dei lavoratori impegnati in
attività ad alto rischio e e/o di elevata responsabilità (Barone – 1997)
La formazione è importante non solo perchè fornisce conoscenze e competenze ai lavoratori,
permettendo un miglior controllo dei rischi, ma anche perchè facilita la partecipazione attiva delle
maestranze al processo di realizzazione della sicurezza in senso globale (Frasca – 1996)
La conoscenza da parte di ciascun lavoratore delle caratteristiche del proprio ambiente di lavoro in
termini di rischio favorisce infatti la presa di coscienza che i singoli atti comportamentali possono
avere in alcune circostanze un peso rilevante ai fini della sicurezza (Russo 1996)
L’informazione e al formazione risultano quindi estremamente importanti per una percezione corretta dei
rischi, in quanto si è osservato che i soggetti, presi singolarmente, tendono a sottovalutare alcuni
fattori di rischio e ne sopravvalutano altri senza apparente motivazione (Bressa e Cecconi – 1996)
Cassazione – Sez. Penale
sentenza n. 6486 del 3 giugno 1995
... Omissis ... La Suprema Corte interpretando il Testo fondamentale in
tema di norme antinfortunistiche – il DPR 547/55 – ha costantemente
affermato che il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui
spetta la sicurezza sul lavoro – che sono coloro che debbono, ex
lege, garantire la incolumità psico-fisica del lavoratore – è un
compito molteplice, articolato, cha va dalla istruzione dei lavoratori
sui rischi di determinati lavori e sulla necessità di adottare certe
misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure . ...
Omissis ... In altri termini , il datore di lavoro o il direttore della
sicurezza del lavoro debbono avere la cultura, la forma mentis del
garante di un bene prezioso qual è certamente l’integrità del
lavoratore; ed è da questa doverosa cultura che deve scaturire il
dovere di educare il lavoratore a fare uso degli strumenti di
protezione e il distinto dovere di controllare assiduamente, a costo
di essere pedanti, che il lavoratore abbia appreso la lezione ed abbia
imparato a seguirla.
Incombenze amministrative
È da temere che un’interpretazione troppo rigida e troppo formale della
norma, piuttosto che verso una soluzione veramente preventiva,
vada invece verso un appesantimento delle incombenze di tipo
amministrativo in capo alle aziende, con ben scarsi benefici per la
salute dei lavoratori.
La riduzione a mero problema amministrativo dell’intero sistema
rappresenterebbe un sostanziale fallimento dello spirito della norma.
Quanto invece l’applicazione delle norme e delle Linee Guida possa
stimolare un progresso nel campo della cancerologia occupazionale
lo si potrà verificare solo dai risultati ottenuti in un prossimo futuro.
BIBLIOGRAFIA:
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28/settembre/2001
Le neoplasie da lavoro e le attività a rischio - Matteo Marco Riva, Paolo Leghissa e Giovanni
Mosconi - Unità Operativa Medicina del Lavoro - Ospedali Riuniti di Bergamo
Definizione di priorità attuali per la prevenzione del cancro occupazionale in Italia - Azienda
Sanitaria Unica Regionale n. 8 Regione Marche
Corso Integrato di Medicina del Lavoro 5°anno, 2°semestre [2006 – 2007], Prof. Plinio Carta Servizio di Medicina Preventiva dei Lavoratori Servizio di Medicina Preventiva dei Lavoratori e di
Fisiopatologia Respiratoriae di Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Cagliari.
I tumori professionali – Dot. Roberto Vercellino
Convegno nazionale: i valori di riferimento nella stima e gestione del rischio cancerogeno – Torino
13/dicembre 2004
A.N.M.A. – Convegno Modena 28/settembre/2001
Decreto Legislativo 626/94 Titolo VII – protezione da agenti cancerogeni e/o mutageni - Decreto
Legislativo 25 febbraio 2000, n. 66 – Linee Guida del Coordinamento Tecnico per la Prevenzione
degli Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano –
Decreto Legislativo 81/2008 Titolo IX sostanze pericolose, Capo II protezione da agenti
cancerogeni e mutageni
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