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L`appello

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L`appello
Lezioni di diritto processuale
civile pp11
Anno accademico 2013/2014
L’appello
1. L’appello, da gravame ad impugnativa in senso
stretto e revisio priori istantiae, l’inesorabile
evoluzione.
L’appello come novum judicium
L’appello è nato storicamente come un mezzo di
gravame, dunque:
a) con lo stesso oggetto del giudizio di primo
grado, in virtù dell’effetto devolutivo;
b) con effetto integralmente sostitutivo: la
sentenza di appello sostituisce sempre
quella di primo grado.
L’appello come nuovo giudizio di primo
grado
L’appello nella originaria concezione tardo
romanistica e del diritto intermedio coincideva
pertanto con un giudizio di primo grado
rinnovato sullo stesso oggetto e quindi la
tecnica della stesura degli atti dell’appello
tendenzialmente rinviava alla tecnica di
stesura degli atti del giudizio di primo grado:
formulazione di eccezioni e prove, anche
nuove, nel solco della domanda originaria.
l’appello del codice napoleonico
E’ con la rivoluzione francese che l’effetto
devolutivo viene attenuato attraverso
l’espansione del principio dispositivo: la
devoluzione ha maggiore o minore ampiezza
in funzione dell’ambito oggettivo dell’atto di
appello, ovvero dipende dal motivo di appello
formulato dall’appellante, dai capi di sentenza
o questioni sulle quali si intende sia rinnovato
il giudizio.
evoluzione
Sia il legislatore, con alcuni fondamentali
interventi, sia la giurisprudenza, particolarmente
della S.C., hanno modificato l’originario impianto
dell’istituto spingendolo verso il modello di un
mezzo di impugnazione in senso stretto e rigida
revisio priori istantiae, che ha ad oggetto la
sentenza con i suoi vizi e non la fattispecie o il
diritto che ha origine da essa: il motivo ha perso
la natura di misura dell’effetto devolutivo per
spostare l’oggetto dell’istituto e trasformare
l’appello in impugnazione mera, le nuove difese
sono tendenzialmente vietate.
2. L’evoluzione legislativa
Il divieto di nova
Con una scelta compiuta in occasione delle
riforme del 1990 (legge n. 353 del 1990), sulla
scia del rito speciale (legge n. 533 del 1973,
che aveva novellato l’art. 437 c.p.c.), il mezzo,
che consentiva originariamente la massima
apertura alle difese, con il solo limite della
domanda, è stato assoggettato ad un regime
di divieto di nova.
Revisio priori istantiae
In questo modo, pur avendo astrattamente un
oggetto identico al giudizio di primo grado, è
in realtà giudizio rinnovato esclusivamente su
difese già espresse nel grado precedente,
essendo vietate di norma nuove domande,
eccezioni nuove se riservate alla parte, nuove
prove (art. 345 c.p.c.).
Conseguenze sulla tecnica degli atti
Ne consegue che l’appellante, come
l’appellato, non possono introdurre in appello
difese nuove, rispetto a quelle già introdotte,
ma neppure difese modificate (emendatio), il
cui potere si è consumato all’udienza o nella
prima memoria dell’art. 183 c.p.c., in primo
grado.
Deroghe - 1 diritti che si accrescono
nel tempo
Il primo comma dell’art. 345 c.p.c. prevede, tuttavia,
una deroga al divieto di domande: per i diritti che si
accrescono nel tempo, è consentito allegare i fatti
successivi alla udienza di precisazione delle
conclusioni di primo grado e chiedere la tutela delle
componenti del diritto successive (interessi, danni,
ecc.), purché essi siano già stati oggetto di domanda
nel primo grado, per le componenti del diritto già
maturate.
Deroga - 2
fatti sopravvenuti
Altra ipotesi di deroga è la domanda o l’eccezione
fondata su un fatto sopravvenuto: es. le domande
restitutorie, indotte dall’ottemperanza obbligata
della sentenza di primo grado esecutivo: è necessario
esplicitare queste domande nuove in appello; es. il
pagamento o l’adempimento indotto dalla stessa
sentenza, deve essere eccepito formalmente.
Deroga – 3
Intervento volontario in appello
L’art. 344 c.p.c. regola l’intervento di terzi in
causa e lo consente ai terzi titolari di diritti
connessi in modo “forte” al diritto dedotto
originariamente, terzi legittimati alla
opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.
I terzi titolari di diritti incompatibili
Giungono nel processo di appello con un
nuova domanda a tutela del loro diritto
incompatibile, formulano una nuova domanda
ed inducono, per esigenze di contraddittorio,
una eventuale nuova domanda, eccezione e
prova alle parti originarie.
I terzi titolari di diritti dipendenti
Al contrario i terzi titolari di diritti dipendenti,
che subiscono il giudicato inter alios,
accedono al processo ad adiuvandum, ovvero
per sostenere le posizioni della parte del cui
destino hanno interesse, non hanno il potere
di formulare domande, dunque non inducono
un nuovo oggetto dell’appello.
Deroga - 4
eccezioni rilevabili d’ufficio
E’ poi consentita la formulazione di eccezioni
rilevabili d’ufficio, ovvero la maggior parte delle
eccezioni, secondo la disciplina dell’art. 112 c.p.c. che
introduce un regime di eccezionalità alle eccezioni
riservate alla parte, con la conseguenza di riaprire
per esigenze di contraddittorio alla formulazione di
nuove domande ed eccezioni delle altre parti.
Deroga - 5
rimessione in termini su domande ed
eccezioni
Esiste infine la remissione in termini, che il
legislatore regola solo in relazione alle prove, nel
3° comma dell’art. 345 c.p.c., ma che per la
formulazione trasmigrata nel libro primo della
regola generale (art. 153 c.p.c.), può giustificare la
formulazione anche di nuove domande o
eccezioni, quando la decadenza nel grado
precedente è incolpevole.
Deroga - 6
remissione
nei termini sulle prove
Infine, esiste una deroga in relazione alle
prove per previsione espressa del 3°
comma dell’art. 345 c.p.c., grazie alla
remissione in termini: perciò l’appellante o
l’appellato possono introdurre nuove prove
se dimostrano di esserne decaduti
incolpevolmente.
Deroga – 7
indispensabilità della prova
Prima della riforma del 2012 (legge n. 134 del
2012), le “prove” che il giudice di appello
riteneva indispensabili, concetto che non
aveva,come non ha, una traduzione logicagiuridica certa e ha suscitato vasto dibattito, in
dottrina e giurisprudenza, la prima più
liberale, la seconda più severa in sede
applicativa.
Residuo rilievo del concetto di
indispensabilità
La disposizione è trasmigrata invece
nell’appello avverso le ordinanze del rito
abbreviato, all’interno dell’art. 702 – quater
c.p.c., dove sono ammesse prove nuove
purché indispensabili e nell’immutato art 437
c.p.c. per il rito del lavoro e riti assimilati.
La ratio
La ragione della diversità dell’appello avverso
l’ordinanza sommaria era costituita dal fatto
che solo in occasione dell’appello si svolgeva
per la prima volta un giudizio a cognizione
piena con le sue forme, in una sorta di grado
unico, in cui poteva spiegarsi il diritto alla
prova della parte.
Le prove precostituite
Erano soggette alla valutazione di “indispensabilità”
anche le prove precostituite, come i documenti, per
molto tempo escluse, sulla scia di una giurisprudenza
affermatasi nella interpretazione della disposizione
parallela dell’art. 437 c.p.c. e fondata
sull’improbabile ragionamento che tali prove non
implicano dispendio di attività processuale e dunque
non inducono ritardi nel processo. L’orientamento è
stato superato dalla S.C. nel 2005, con regola
tradotta nel diritto positivo con la legge n. 69 del
2009.
Le ragioni del concetto di prove
indispensabili
Le ragioni che avevano spinto il legislatore ad
adottare il concetto, vanno ricercate in un’irrazionale
ripetizione del termine usato nell’art. 437 c.p.c., dove
aveva una ragione profonda di essere, essendo il
veicolo di un esercizio in appello dei poteri istruttori
più accentuati del giudice del lavoro, il quale non
poteva avere le mani legate dalle decadenze in cui
erano incorse le parti.
Le difficoltà di applicazione nel rito
ordinario
Recuperato nel rito ordinario, il concetto
appariva di difficile traduzione; ma non
traducibile in quello di prova rilevante, ovvero
riferita ad un fatto che ha rilevanza nel
processo per essere costitutivo, estintivo,
modificativo e impeditivo o secondario,
poiché in questo modo il divieto di nova
veniva abrogato.
Le conseguenze del nuovo art. 702 quater
Il diverso appello che contraddistingueva il rito
sommario degli artt. 702 - bis e ss., ove erano
ammesse, nella originaria previsione della legge
n. 69 del 2009 nuove prove purché rilevanti
(concetto poi ricondotto con le legge n, 134 del
2012 al concetto di indispensabilità) offriva una
ragione di diritto positivo per escludere
l’applicazione di questa interpretazione all’appello
di diritto comune, con una conseguente
diversificazione, sancita dal legislatore, tra prova
“rilevante” e prova “indispensabile”.
Tentativo di interpretazione
Anche la stessa giurisprudenza appariva stereotipata;
non spiegava attraverso una costruzione generale
come tradurre il concetto: non restava che collegare
la indispensabilità alle eccezionali riaperture a
domande ed eccezioni, che abbiamo inquadrato in
precedenza. Prova decisiva è quella necessaria e
rilevante in appello perché destinata a provare nuove
allegazioni, nei casi soli casi in cui sono ammesse in
appello.
Ipotesi
Le ipotesi:
- prove destinate a provare i fatti costitutivi o eccezioni
sopravvenute;
- prove destinate a provare eccezioni rilevabili d’ufficio
e i fatti costitutivi o le eccezioni indotte dal
contraddittorio;
- prove destinate a provare i fatti costitutivi delle
domande formulate dal terzo o delle domande ed
eccezioni indotte dal contraddittorio delle parti
originarie.
esercizio di un potere discrezionale
La dottrina processualistica ha invece coniato un concetto
più ampio: indispensabile perché destinato a mutare il
giudizio reso in primo grado o a rafforzarlo con un nuovo
mezzo istruttorio.
Deve perciò intendersi come esercizio di un potere
discrezionale del giudice di appello, attraverso il quale può
avere “margini di manovra” per rovesciare il giudizio
palesemente ingiusto oppure rafforzare definitivamente il
giudizio palesemente giusto.
Sulla scia di un’accentuazione dei poteri istruttori del
giudice, che costituisce filone evolutivo della legislazione
attuale (cfr art. 281 – ter c.p.c.).
La nuova formulazione
dell’art. 345 c.p.c.: solo rimessione in termini
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non
possono essere prodotti nuovi documenti, salvo
che la parte dimostri di non avere potuto proporli
o produrli nel giudizio di primo grado per causa
ad essa non imputabile.
E’ soppressa l’ammissibilità della “prova
indispensabile”; è consentita la sola
rimessione in termini.
il residuo spazio alla indispensabilità
Se si intende che le prove nuove sono al
servizio di nuove domande ed eccezioni
ammesse, restano consentite comunque per
provare le relative allegazioni di fatto.
soppressione del potere discrezionale
Se invece si intende l’indispensabilità come
esercizio di un potere discrezionale del giudice
di appello in ordine alla sentenza ingiusta da
riformare o alla sentenza giusta da
confermare, questo potere è stato soppresso.
3. La giurisprudenza sulla specificazione del
motivo come condizione di ammissibilità.
Il problema
del motivo in appello
E’ noto come in coincidenza con il nuovo
millennio, il giudice di legittimità ha
esasperato il rilievo del motivo in appello, pur
dovendo riconoscere che l’appello costituisce
un mezzo impugnatorio a motivi di critica
libera, ha sancito l’inammissibilità dell’appello
in difetto di specificazione del motivo
il vecchio orientamento
In merito all'esigenza di specificità dei motivi, per anni la
giurisprudenza ha costantemente affermato che essa deve
ritenersi soddisfatta quando l'atto d'appello consenta di
individuare senza incertezze il quantum appellatum ( C.
911/1980; C. 5965/1979); così ha ritenuto che fosse
superflua qualsiasi specifica doglianza dedotta contro la
decisione di primo grado, anche se chiaramente dichiarava
l'inammissibilità dell'appello privo di specificazione dei
motivi ( C. 703/1979). In questo modo è stata avallata
l'interpretazione dottrinale tradizionale che accorda ai
motivi specifici dell'impugnazione la mera funzione di
identificazione delle parti della sentenza/questioni in cui la
parte è risultata soccombente e di cui si domanda il
riesame e dell’ambito dell’effetto devolutivo.
il nuovo
• Ora invece prevale un nuovo orientamento
interpretativo, che propone una soluzione più rigorosa
in ordine al significato ed alla funzione dei motivi
specifici dell'impugnazione, attribuendo a questi ultimi,
accanto alla funzione di identificare le parti della
sentenza di cui si chiede il riesame, anche quella di
individuare le ragioni della censura ( C. 2217/2007).
• In particolare, l'appello deve contenere, accanto ad
una parte volitiva (“quantum appellatum”) una parte
argomentativa idonea a contrastare i contenuti della
sentenza impugnata con la indicazione della soluzione
che si intende ottenere dal giudice di appello (C.
7190/2010).
Conseguenze della specificazione del
motivo
L’esasperazione del motivo incide
inevitabilmente sull’oggetto dell’appello che
spinge il mezzo verso un sindacato della
sentenza, piuttosto che verso una
rinnovazione del giudizio di primo grado sullo
stesso oggetto, poiché è dato rilievo centrale
all’errore o al vizio della sentenza, espresso nel
motivo, che non identifica più solo la parte
della sentenza impugnata.
L’onere di specificare il motivo
Il giudice di legittimità, infatti, non rende solo
necessaria la specificazione del motivo ex art.
342, 1° comma, c.p.c. come individuazione
semplicemente del capo della sentenza
censurata con riproposizione del mezzo
difensivo già formulato, ma - per l’effetto
sostitutivo - la indicazione dell’errore o del
vizio e di come la sentenza di appello deve
pronunciarsi per non incorrere nell’errore o
nel vizio.
La traduzione positiva
Art. 342:
<<La motivazione dell’appello deve contenere, a
pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle
parti del provvedimento che si intende appellare e
delle modifiche che vengono richieste alla
ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di
primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da
cui deriva la violazione di legge e della loro
rilevanza ai fini della decisione impugnata>>
Corte di appello di Salerno, dep 1
febbraio 2013
Esige “non solo la proposizione di specifiche
doglianze …, ma che le stesse si articolino nella
indicazione (necessariamente espressa e
precisa) delle parti del provvedimento
motivatamente contestate e delle modifiche
(corrispondentemente motivazionali) che
vengono richieste”.
segue
“la suddetta norma obbliga l’appellante ad
indicare in primo luogo le parti della sentenza
delle quali chiede la riforma, nonché le modifiche
richieste, sicché è stato osservato che il lavoro
assegnato al giudice dell’appello appare alquanto
simile a un preciso e mirato intervento di
“ritaglio” delle parti di sentenza di cui si imponga
l’emendamento, con conseguente innesto – che
appare quasi automatico, giusta l’impostazione
dell’atto di appello – delle parti modificate, con
operazione di correzione quasi chirurgica del testo
della sentenza di primo grado”
conforme
Conf. App., Roma 29 gennaio 2012, in Foro it.,
2013, anticipazioni e novità, 38
4. La fondatezza del motivo nel merito come
condizione di ammissibilità dell’appello.
Art. 348- bis, 1° comma c.p.c.
“Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata
con sentenza l’inammissibilità o
l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è
dichiarata inammissibile dal giudice
competente quando non ha ragionevole
probabilità di essere accolta”
Art. 348-bis, 2° comma c.p.c.
“Il primo comma non si applica quando:
a) l’appello è proposto relativamente ad una
delle cause di cui all’articolo 70, primo comma;
b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702quater”
Rilievo del merito ai fini della
ammissibilità
Dunque non è più semplicemente la
specificazione della motivazione, nei termini
rigorosi della giurisprudenza, ma il merito del
motivo a costituire presupposto di
ammissibilità dell’appello, se il giudice non si
convince che è ragionevole…
la discrezionalità illimitata
La formula “ragionevole probabilità” introduce
una discrezionalità illimitata del giudice di
appello, essendo formula assai diversa dalla
“manifesta infondatezza” per il ricorso per
Cassazione dell’art. 360 – bis c.p.c. e 375
c.p.c., che integra il ben diverso concetto di
abuso del mezzo di impugnazione, a fronte
della abnormità del motivo.
delibazione sommaria, dubbi
Si tratta invero di una delibazione sommaria
del motivo di appello nel merito una sorta di
previo giudizio di ammissibilità del mezzo,
come nel giudizio per il riconoscimento della
paternità era previsto originariamente e oggi è
stato abrogato in relazione alla nota sentenza
del giudice di legittimità costituzionale delle
leggi? Un fumus dopo che il giudice ha
espresso una cognizione piena di primo grado
e il processo ha esaurito tutti i mezzi difensivi?
economicità inesistente
Il giudice di appello non sarà agevolato, poiché la
strozzatura che caratterizza oggi la decisione,
diventerà strozzatura della delibazione
preliminare di ragionevole accoglimento e il
giudice di appello scrupoloso sarà oberato di una
duplice attività (l’effetto era già raggiungibile a
seguito della introduzione in appello della facoltà
del giudice di decidere con sentenza a verbale ex
art. 281 – sexies c.p.c., 352, ultimo comma
c.p.c.,magari esercitabile in occasione della
udienza fissata per la sospensiva ex art 283 c.p.c.)
Prima interpretazione
Corte di appello di Roma, 30 gennaio 2013, in foro it., 2013,
Anticipazione e novità, 35
Esclude la cognizione sommaria (superficiale,
cautelare; parziale, dec ing.), e ritiene che
l’istituto vada inserito nelle forme di abuso del
processo, ovvero come manifesta infondatezza
sulla scia della corrispondente norma per il
ricorso in cassazione, quando cioè l’appello
non giustifichi neppure il dispendio di
un’attenzione da parte del sistema giustizia,
Conf. App. Bari, 18 febbraio 2013, ivi
contra, App. Palermo, 25 marzo 2013
In un caso in cui la ragionevole probabilità di
rigetto era fondata sui precedenti della Corte
in relazione ad una controversia seriale,
fondata quindi sulla giurisprudenza della
Corte…
5. Profili processuali
altro riflesso: inammissibilità per
difetto di specificazione
L’inammissibilità per un insufficiente
specificazione della motivazione (art. 342
c.p.c.) origina una sentenza di inammissibilità,
con la conseguente necessità della
precisazione delle conclusioni e dello scambio
di comparse conclusionali e repliche (salvo
l’art. 281 – sexies c.p.c.).
inammissibilità per non ragionevole probabilità
di accoglimento: art. 348-ter, 1° comma c.p.c.
“All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice,
prima di procedere alla trattazione, dichiara
inammissibile l’appello, a norma dell’articolo
348-bis, primo comma, con ordinanza
succintamente motivata, anche mediante il
rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o
più atti di causa e il riferimento a precedenti
conformi. Il giudice provvede sulle spese a
norma dell’articolo 91”
inammissibilità con ordinanza
Nel caso della non ragionevole probabilità di
accoglimento invece la decisione è immediata,
alla udienza, con ordinanza: l’appellante deve
replicare nei venti giorni dalla costituzione del
convenuto (nel rito del lavoro, nei dieci giorni)
in udienza, in caso di rilievo officioso pare
necessario applicare l’art. 101, 2° comma,
c.p.c.
non si applica l’art. 164 c.p.c.
Il legislatore non consente alcuna sanatoria, a
differenza dei difetti di formulazione della
domanda nella citazione introduttiva ex art.
164 c.p.c., perché definisce in rito il processo
di appello, impedendone la riproponibilità…
anche se i termini per l’appello sono ancora
aperti
Nuova ipotesi di decisione con
ordinanza
Oltre ai casi della competenza, della ordinanza
a chiusura della istruttoria, della ordinanza del
rito abbreviato, si tratta di una nuova ipotesi
di decisione con le forme della ordinanza, con
richiamo a nuove tecniche di stesura della
pronuncia.
Art. 348-ter, 3° comma c.p.c.
“Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il
provvedimento di primo grado può essere
proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per
Cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti
con l’atto di appello. In tal caso il termine per il
ricorso per Cassazione avverso il provvedimento
di primo grado decorre dalla comunicazione o
notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che
dichiara l’inammissibilità. Si applica l’articolo 327,
in quanto compatibile”
effetto della declaratoria di
innammissibità dell’appello
L’effetto, oltre a quello della inammissibilità
della riproposizione del mezzo ancorché ve ne
fossero i termini, è quello di aprire ad un
ricorso per Cassazione che ha ad oggetto la
sentenza di primo grado e non l’ordinanza di
inammissibilità (il carattere decisorio di
quest’ultima deve tuttavia misurarsi con l’art.
111 Cost., se ne avveduto il legislatore???)
l’impugnativa in Corte di Cassazione
della sentenza di primo grado
La sentenza di primo grado sarà impugnabile in
cassazione con alcune deroghe:
- il termine breve decorre dalla comunicazione o
notificazione dell’ordinanza;
- il motivo spendibile in Cassazione è filtrato dal
motivo specifico speso in appello (non si possono
recuperare motivi non espressamente dedotti nel
gravame precedente);
- per questa ragione non è spendibile il motivo di
cui al n. 5 (vedi 4° comma di seguito)
Art. 348-ter, 4° comma c.p.c.
“Quando l’impugnabilità è fondata sulle stesse
ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a
base della decisione impugnata, il ricorso per
Cassazione di cui al comma precedente può
essere proposto esclusivamente per i motivi di
cui ai numeri 1), 2), 3) e 4), dell’articolo 360”.
I limiti del sindacato innanzi alla Corte di
cassazione
ricorso per cassazione sugli stessi motivi di
appello, come nel caso della ordinanza di
inammissibilità per ragionevole probabilità…:
è esclusa la spendibilità del motivo di cui al n.
5 dell’art. 360 c.p.c.
Art. 360, 1° comma c.p.c.
“Il numero 5) è sostituito dal seguente:
5) per omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti”
Art. 436-bis c.p.c.
“Art. 436 bis inammissibilità dell’appello e
pronuncia.
All’udienza di discussione si applicano gli
articoli 348-bis e 348-ter”
Art. 447 bis, 1° comma c.p.c.
e) all’articolo 447 bis, primo comma, è
apportata la seguente modificazione: le parole
“e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436,
437, 438, 439, 440, 441” sono sostituite dalle
seguenti “e secondo comma, 430, 433, 434,
435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441”
estensione
Estensione delle regole al rito lavoro e al rito
delle locazioni.
Regime transitorio
“Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano
nei giudizi di appello introdotti con ricorso
depositato o con citazione di cui sia stata
chiesta la notificazione dal trentesimo giorno
successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto”
6. Gli appelli speciali
L’art. 702 – quater c.p.c.
La conclusione di un processo abbreviato in forma di
ordinanza senza lo svolgimento di un grado secondo le
regole ordinarie, offre un appello diverso da quello
comune:
- il motivo ha minor rilievo (per essere la motivazione
della ordinanza diversa dalla motivazione della
sentenza); si esclude esplicitamente l’inammissibilità in
caso di appello con ragionevole probabilità di non
essere accolto (art. 348-bis, 2° comma, c.p.c.);
- possono essere ammesse prove nuove (art. 702 –
quater c.p.c.), seppure indispensabili.
altri casi
- su iniziativa di parte, ordinanze a chiusura
dell’istruttoria ex art. 186 – quater c.p.c. per le
condanne al pagamento di somme o alla
consegna o rilascio di beni;
- su iniziativa del giudice, sentenze a verbale ex
art. 281 – sexies c.p.c., per le materie soggette al
rito monocratico (a contrario ex art. 50 – bis
c.p.c.);
in entrambi i casi la de-formalizzazione del
giudizio rende meno formale la specificazione del
motivo.
gli appelli di rito camerale nelle
controversie di famiglia
Il rito camerale è irriducibile alle regole della cognizione piena
e il sistema è colmo di episodi di rito camerale al quale viene
affidata la tutela dei diritti in appello, particolarmente nel
diritto di famiglia:
- i reclami avverso i decreti del tribunale per i minori (nuovo
art. 38 disp att. c.c.);
- i reclami avverso le controversie di famiglia affidate al
tribunale ordinario con rito camerale (modifica e revoca delle
sentenza di sep e div. ; le competenze ereditate dal tribunale
per i minorenni, dopo la legge n. 219 del 2012)
- gli appelli in forma camerale delle sentenze di separazione e
divorzio (art. 709 – bis c.p.c. e art. 4, c. 15, legge n. 292 del
1970).
la tendenza verso una cameralizzazione
dell’appello nel diritto di famiglia, conseguenze
Per quanto il legislatore non sia sempre
preciso (nel procedimento per separazione si
ipotizza il rito camerale solo per la
impugnazione delle sentenze non definitive
art. 709 – bis, c.p.c.), la tendenza è verso
appelli che seguono rigorosamente il rito
camerale, ispirati alla non-disciplina dell’art.
739 c.p.c.
Il rito camerale apre alla tutela
giurisdizionale dei diritti
Quasi paradossalmente, avere affidato l’appello
nelle controversie di famiglia al rito camerale
vuole dire:
- avere conquistato una tempistica di esaurimento
del procedimento non comparabile con la
lentezza dell’appello comune;
- avere conquistato un gravame pieno, godendo
della pienezza delle forme della tutela
giurisdizionale dei diritti, per tre ragioni positive.
1) irriducibilità de rito camerale alle regole del
processo di cognizione piena
La riconquista delle garanzia, attraverso il
reclamo camerale, è dovuta all’irriducibilità
del relativo rito alle regole del processo a
cognzione piena e particolarmente alle regole
dell’appello comune:
- divieto dei nova (art. 345 c.p.c.)
- esasperazione del motivo di appello (artt. 342
e 348 – bis c.p.c.)
2) l’indisponibilità del diritto
Peraltro un processo prevaso da decadenze
com’è l’attuale processo a cognizione piena
presenta anche l’ostacolo del carattere
indisponibile dei diritti tutelati:
particolarmente i diritto del minore, la cui
conseguenza è la partecipazione al processo
del p.m. e la conseguente inapplicabilità
dell’art. 348 – bis c.p.c.
3) la motivazione del decreto
Il rito camerale, poi, si conclude con
provvedimenti, che hanno la forma del
decreto, per i quali il dovere di motivazione
del giudice è attenuato, ciò che ha evidenti
implicazioni sul corrispondente onere
dell’appellante di specificare la motivazione.
I rischi di una giurisprudenza
sull’art. 708, c.c., c.p.c.
Nonostante la semplicità del ragionamento, il timore è che
la giurisprudenza possa riproporre la disciplina eversiva
rispetto al dato positivo dei reclami avverso le ordinanze
presidenziali:
- costruiti rigorosamente come revisio priori istantiae, ove
non semplicemente non si possono dedurre nuove prove
ma si ipotizza addirittura un insensibilità ai fatti
sopravvenuti deducibili solo davanti al g.i.;
- sino ad inventare un’inammissibilità del reclamo dopo lo
svolgimento nel procedimento della udienza innanzi al
giudice istruttore.
Ma qui si pone la lacuna legislativa nel coordinamento con
il giudizio di merito, che non esiste nell’appello.
..e nelle controversie fallimentari
Nell’ambito invece dei riti fallimentari
caratterizzati dal c.d. modello camerale spurio
(perché cela in realtà un processo a cognizione
piena di rito speciale) il concetto della liberalità
della specificazione del motivo e della libertà
della prova in appello è codificato, cfr. artt. 18, 19
per il processo per la dichiarazione di fallimento;
art. 99 per il processo di accertamento del
passivo; art. 26 per i reclami contro i
provvedimenti del giudice delegato e del
tribunale.
natura dell’appello fallimentare
Ne risulta un appello ove tutte le difese
possono essere svolte ad esclusione di
domande nuove, particolarmente in ordine
alla prova; ed un appello in cui manca ogni
riferimento alla specificazione del motivo ex
art 342 c.p.c. o alla sua fondatezza ex art 348 –
bis c.p.c.
7. Il procedimento dell’appello di diritto comune
sentenze appellabili
L’art. 339 c.p.c., individua come appellabili:
- le sentenze di primo grado;
- salvo l’esclusione per legge (che non viola la
Costituzione): sentenza in sede di opposizione
agli atti esecutivi e del lavoro per valore
inferiore a 25,82 euro.
- salva la volontà delle parti (revisio per saltum;
e giudizio d’equità).
Sentenze equitative ex lege
Per le sentenze equitative ex lege, art. 113, 2°
comma, c.p.c., il legislatore prevede un
appello limitato, quanto agli errores in
iudicando alla violazione delle norme
costituzionali, comunitarie e dei principi
regolatori della materia, fermo restando il
controllo sugli errores in procedendo.
Appello delle sentenze non definitive
Le sentenze non definitive, che hanno ad oggetto
questioni pregiudiziali o questioni preliminari di
merito e inducono alla rimessione della causa in
istruttoria, sono immediatamente appellabili o
appellabili in forma differita, qualora la
soccombente faccia riserva entro il termine per
appellare o entro la prima successiva udienza
innanzi al giudice, il tutto a pena di decadenza. In
tal caso l’appello deve essere proposto
unitamente a quello della sentenza finale (art.
340 c.p.c.)
Competenza
E’ competente il giudice superiore, nella cui
circoscrizione si trova il giudice di primo
grado: tribunale per le sentenze del giudice di
pace; Corte di appello per le sentenze del
tribunale (art. 341 c.p.c.).
Forma
Si applica all’appello la normativa per il
giudizio di primo grado innanzi al tribunale, in
quanto compatibile (art. 359), per cui l’atto
introduttivo si propone con citazione,
contenente gli elementi di cui all’art. 163, cui
va ad aggiungersi il motivo di appello, con le
formalità di contenuto già in precedenza
evidenziate (art. 342).
Questioni oggetto di appello
Sono oggetto di appello le questioni,
corrispondenti a domande sulle quali le parti
sono risultate soccombenti e ciò può accadere sia
per l’attore in appello e sia per il convenuto in
appello, il quale se soccombente a sua volta
dovrà proporre appello incidentale, il quale a
pena di decadenza dovrà essere contenuto nella
comparsa di risposta depositata venti giorni
prima dell’udienza (art. 343 c.p.c.). Lo stesso a
valere per i terzi intervenuti (art. 105, 1° comma,
c.p.c.) o il successore intervenuto (art. 111 c.p.c.)
Riproposizione di questioni
In relazione alle questioni sulle quali il
convenuto non è soccombente,
semplicemente perché il giudice di primo
grado non ha pronunciato su di esse, sarà
necessaria la riproposizione e non il vero e
proprio appello incidentale, riproposizione che
dovrà essere tuttavia formulata nella
comparsa di risposta, applicandosi le
decadenze del rito ordinario (art. 346 c.p.c.)
Appello incidentale e riproposizione di
questioni
L’applicazione al processo di appello delle
regole del processo di primo grado, in
particolare le decadenze, rende ragione della
necessità che l’appello incidentale e la
riproposizione delle questioni su cui il giudice
non si è pronunciato (domande ed eccezioni)
siano formulate nella comparsa di risposta
depositata nei termini.
Segue
L’unica differenza tra appello e riproposizione
concerne la parte contumace, poiché la
comparsa che contiene l’appello incidentale (e
non quella che contiene la mera
riproposizione) deve essere notificata al
contumace, ai sensi dell’art. 292 c.p.c.
Le questioni da riproporre
Sono questioni da riproporre:
- le domande assorbite (la subordinata non esaminata per
accoglimento della principale; l’alternativa quando il
giudice ha accolto una delle domande proposte
alternativamente);
- le eccezioni (anche quelle rilevabili d’ufficio su cui il giudice
ha pronunciato, per evitare il formarsi di giudicato) sia che il
giudice abbia pronunciato su di essa o meno (poiché è il
rigetto delle domande a generare la soccombenza), salvo
che l’eccezione non sia oggetto di una sentenza non
definitiva;
- le istanze istruttorie rigettate, perché esse non generano
soccombenza
Effetti della mancata riproposizione
L’effetto della mancata riproposizione delle
domande ed eccezioni e delle istanze
istruttorie è quella di una loro semplice
rinunzia. Possono quindi essere proposte in
un’autonoma causa le domande non
riproposte.
L’appello incidentale tempestivo e
l’appello incidentale tardivo
Se al momento del deposito della comparsa,
venti giorni prima dell’udienza, sono decorsi i
termini per impugnare la sentenza da parte
del convenuto in appello, l’appello incidentale
è tardivo ed è pertanto soggetto al regime
dell’art. 334 c.p.c. (con trasmissione dei
destini di rito dell’impugnazione principale
alla impugnazione incidentale).
La trattazione
Se impugnata la sentenza di un giudice di
pace, il tribunale è competente in formazione
monocratica; se è impugnata la sentenza del
tribunale, la Corte di appello pronuncia in
formazione collegiale, ma il presidente può
delegare uno dei componenti del collegio
all’assunzione dei mezzi istruttori (art. 350/1).
L’udienza di trattazione
In detta udienza il giudice verifica la regolare
costituzione delle parti, ordina la integrazione
o notificazione degli artt. 331 e 332; ordina la
rinnovazione dell’atto di citazione in appello
nullo, provvede alla riunione delle autonome
impugnazioni della stessa sentenza, procede al
tentativo di conciliazione.
L’inibitoria
Essendo la sentenza di primo grado munita di
esecutività ex art. 282 c.p.c.,ai sensi dell’art. 351, alla
udienza di trattazione il giudice provvede sulla istanza
di sospensione del’esecutività proposta ex art. 283
c.p.c. (con istanza contestuale all’impugnazione
principale o incidentale).
la parte può chiedere un’anticipazione dell’udienza
sull’inibitoria, anche inaudita altera parte dal
presidente della Corte, il quale fissa udienza in camera
di consiglio per la convalida (art. 351, 2° e3° comma).
Presupposti dell’inibitoria
Presupposto dell’inibitoria è la sussistenza di
“gravi e fondati motivi”, che assestano il
giudizio su un periculum (gravi) che il
legislatore esemplifica nella possibilità di
insolvenza di una delle parti e su un fumus
(fondati) in relazione ai motivi di
impugnazione.
Decisione a verbale
L’art. 351 stabilisce che se all’udienza fissata
per l’inibitoria o all’udienza di trattazione il
giudice ritenga la causa matura per la
decisione, possa provvedere con sentenza “a
verbale” ex art. 281 sexies (solo nel caso in cui
l’udienza sia fissata per l’inibitoria, dovrà
altrimenti rifissare un’udienza di trattazione
innanzi a sé).
Decisione con ordinanza
Oltre che per i casi in cui pronuncia sulla competenza o
sulla sospensione del procedimento, ex art. 337 e 335
c.p.c., il giudice decide con ordinanza anche nell’ipotesi
in cui ex art. 348 ter, dichiari inammissibile l’appello in
quanto non ha ragionevole probabilità di essere
accolto. Ordinanza “succintamente motivata, anche
mediante rinvio agli elementi di fatti riportati in uno o
più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”,
provvedendo anche sulle spese. L’effetto dell’ordinanza
di inammissibilità è quello di aprire i termini per il
ricorso in Cassazione avverso il provvedimento di
primo grado.
Ordinanza di estinzione
L’estinzione del processo di appello era dichiarata con
ordinanza secondo le regole generali ex art. 308 c.p.c.,
salvo reclamo che viene deciso con sentenza, se
confermata l’estinzione, con ordinanza se accolto il
reclamo (art. 308). Ma questa norma ex art 357 è
abrogata: quindi la decisione è con ordinanza se vi è
accordo delle parti, altrimenti con sentenza.
L’effetto prodotto dall’estinzione è ex 338, il passaggio
in giudicato della sentenza, salvo gli effetti di sentenze
non definitive di merito, pronunciate nel suo corso.
Sentenza di inammissibilità e
improcedibilità
Per ogni altra questione di inammissibilità (ivi
compresa quella relativa alla mancata
specificazione del motivo ex art. 342 c.p.c.) o
di improcedibilità, relative alla mancanza dei
presupposti processuali dell’impugnazione o
ad un’inattività, si pronunciano con sentenza.
L’inammissibilità e l’improcedibilità producono
l’effetto di rendere non riproponibile l’appello
(art. 358 c.p.c.).
Altre sentenze
Anche per il giudice di appello valgono i
contenuti delle sentenze finali, ai sensi dell’art.
279 c.p.c.;
1. se definisce il giudizio pronunciando questioni
pregiudiziali di rito o questioni di merito o
decide integralmente il merito;
2. se rigetta questioni pregiudiziali di rito e
questioni di merito.
Questioni di rito rilevabili dal giudice di
appello
Oltre alle questioni di rito specifiche del giudizio
di appello, attinenti ai presupposti processuali del
mezzo, che può rilevare d’ufficio e con
precedenza di ogni altra questione, il giudice di
appello può rilevare di ufficio anche questioni di
rito concernenti il giudizio di primo grado, solo se
non rilevate dal giudice di primo grado e rilevabili
in ogni stato e grado, e salvo che il giudice di
primo grado non abbia pronunciato su di esse,
poiché la successiva rilevazione è in tal caso
abbandonata dalla riproposizione ad iniziativa
delle parti.
La sentenza non definitiva in appello
L’appello immediato (art. 356, 2° comma) sulle
sentenze non definitive di primo grado, se accolto, non
consente al giudice di appello di disporre prove
riguardo domande o questioni ancora trattate in primo
grado, come conseguenza della non definitiva
pronuncia.
Il rigetto dell’appello non provoca alcun effetto in
quanto confermativo della sentenza non definitiva di
primo grado; l’accoglimento dell’appello, per l’effetto
espansivo esterno ex art. 336, 2° comma, travolge gli
atti e provvedimenti consequenziali del processo di
primo grado.
Ordinanza istruttoria
Qualora il giudice di appello ammetta una
prova (non ritenuta ammissibile dal giudice di
primo grado o nuova), oppure la rinnovazione
totale o parziale della prova già assunta,
emette ordinanza collegiale e dispone per la
prosecuzione del processo (art. 356, 1°
comma, c.p.c.)
Sentenza di appello nel merito
Quando il giudice di appello pronuncia sentenza
nel merito, sia che confermi, sia che riformi la
sentenza di primo grado, pronuncia una sentenza
sempre sostitutiva di quella di primo grado: il
titolo esecutivo diventerà dopo la pronuncia della
sentenza di appello, la sentenza del giudice i
secondo grado.
Sentenza di appello di rito, relativa a
vizi del giudizio di primo grado
Salvo che il giudice pronunci su presupposti processuali
o vizi del procedimento di secondo grado, con effetti
definiti dagli artt. 358 e 338 c.p.c., quando il giudice di
appello pronuncia sulla carenza di presupposti
processuali o vizi verificatisi nel primo grado, laddove
tali vizi siano sanabili, provvede alla sanatoria e
pronuncia nel merito (non rimette innanzi la giudice di
primo grado).
Art. 354: “Fuori dai casi previsti nell’articolo
precedente, il giudice di appello non può rimettere la
causa al primo giudice…” (cfr. art. 354, 3° comma
c.p.c.).
Eccezioni artt. 353 e 354 c.p.c.
-
-
Al contrario in alcuni casi (tassativi) il giudice di
appello, nel pronunciare il vizio verificatosi in primo
grado, rimette al giudice relativo:
Se il giudice di primo grado ha dichiarato la carenza
della sua giurisdizione;
Se rileva la nullità della notificazione della citazione;
Se rileva la non integrazione del contraddittorio o
l’estromissione di una parte dal giudizio;
Se dichiara inesistente la sentenza di primo grado;
Se dichiara insussistente l’estinzione pronunciata dal
giudice di primo grado.
Ratio del rinvio al giudice di primo
grado
La ratio del rinvio al giudice di primo grado è
variabile:
a) Nel caso di carenza di giurisdizione e di
estinzione, vi è la necessità di preservare il
doppio grado di giurisdizione;
b) Negli altri casi, trattandosi di far salvi gli effetti
della domanda, si vuole evitare che il giudice di
appello chiuda il processo con una sentenza di
rito e quindi che possa prendere le mosse da
una valida ed efficace domanda originaria.
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