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L`Alta Tuscia... nel piatto!

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L`Alta Tuscia... nel piatto!
i prodotti
della nostra tradizione
L’Alta Tuscia...
nel piatto!
Guida ai sapori e ai saperi dell’Alta Tuscia
COMUNITà MONTANA ALTA TUSCIA LAZIALE
Presentazione
www.altatuscia.vt.it
Toscana
Chiusi
Umbria
SIENA-FIRENZE
UMBRIA
TOSCANA
S.Casciano
d. Bagni
Acquapendente
Lago di Bolsena
Trevinano
Riserva Naturale
Monte Rufeno
Viterbo
Roma
Fabro
Abbadia S.S.
LA
Acquapendente
Torre Alfina
Proceno
ZI
O
Onano
Grotte di Castro
S.S. 74
S.Lorenzo N.
Riserva Naturale
Selva del Lamone
Farnese
Lago di
Bolsena
Capodimonte
Marta
Orvieto
Bolsena
Gradoli
Latera
Valentano
Ischia di Castro
F. Paglia
S.S. 71
A 1 Autosole
Montefiascone
Cellere
Canino
S.S. 2 Cassia
Lazio
Viterbo
ROMA
© Comunità Montana Alta Tuscia Laziale
Coordinamento organizzativo: Giuseppe Franci - Assessore Turismo
Coordinamento tecnico: Angelo Scipioni - Responsabile Tecnico
Design grafico e impaginazione: Graphisphaera - Acquapendente (VT)
Servizio fotografico: Cesare Goretti (Graphisphaera) - Acquapendente (VT)
Elaborazione testi: Giuseppe Franci - Angelo Scipioni
Testi tratti da:
• “I prodotti agroalimentari tipici dell’Alta Tuscia”, 2001 (realizzato nell’ambito
del programma di iniziativa comunitaria Leader II);
• “Piccolo ricettario dell’Alta Tuscia, 2003 (© Comunità Montana Alta Tuscia
Laziale)
Altri contributi fotografici: Cesare Goretti (Graphisphaera) - Acquapendente;
Foto Fit - Acquapendente; Associazioni Pro Loco di Valentano, di Latera, di
Grotte di Castro, di Proceno, di Gradoli; L.B. Studio - San Lorenzo Nuovo;
Archivio G. Franci
Orte
La Comunità Montana Alta Tuscia Laziale è una realtà attenta e sensibile
alle necessità degli operatori del settore turistico ed agro-alimentare del
comprensorio.
Sono infatti in continuo aumento, anche nel nostro territorio, quelle imprese sempre alla ricerca di nuove possibilità di crescita e pronte ad utilizzare le più innovative forme di comunicazione per mettere in risalto la
propria immagine imprenditoriale.
La guida “L’Alta Tuscia… nel piatto”, oltre a fornire una serie di informazioni “pratico-turistiche”, ha inteso dedicare ampio spazio ai sapori e ai
saperi della nostra tradizione gastronomica dove l’agricoltura, da tempo
immemorabile, si esprime con colture che offrono prodotti di qualità.
La cultura gastronomica, qui nell’Alta Tuscia, è indubbiamente sviluppata
ma necessita di un’opera di divulgazione da parte di tutti noi, affinché
venga data la giusta visibilità a tutti coloro che giornalmente operano nel
settore della ristorazione nonché in quello agro-alimentare.
Questa ultima pubblicazione, che mi onoro di presentare, auspico possa
diventare uno strumento efficace per contribuire a valorizzare, oltre i
confini regionali, questo territorio, poco conosciuto ma ricco di grandi
attrattive. Una guida che intende proseguire una politica di riscoperta e
valorizzazione delle tradizioni del territorio, con il fine di contribuire allo
sviluppo sostenibile di tutti i comuni dell’Alta Tuscia, che di potenzialità
ne hanno sicuramente da vendere!
È con questo spirito che invito tutti i lettori a sfogliare “L’Alta Tuscia…
nel piatto”.
Colgo l’occasione per ringraziare i ristoratori che hanno collaborato, con
i loro piatti tipici, alla realizzazione di questa iniziativa e tutti coloro che
vorranno “propagandare” il messaggio trasmesso attraverso questa pubblicazione.
Pietro Domenico Capozzi
Presidente
Comunità Montana Alta Tuscia Laziale
Finito di stampare nel mese di aprile 2008
dalla Tipolitografia Ambrosini di Acquapendente (VT)
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L’Alta Tuscia… nel piatto
Guida ai sapori e ai saperi dell’Alta Tuscia
Questa guida, edita, curata e finanziata dalla nostra Comunità Montana nasce con l’obiettivo di valorizzare e promuovere i prodotti tipici del nostro
territorio, dando risalto alla tradizione e alla cultura culinaria locale.
L’opera, ricca di indicazioni utili, segue la stessa formula adottata nella stesura della guida del Sentiero dei Briganti, pubblicata dal nostro Ente nel corso
del 2006. Questa volta a fare da filo conduttore sono il gusto, i sapori e i
prodotti tipici di cui la nostra terra è ricca in quantità e qualità ma anche i
suoi luoghi magici, dove uomo e natura convivono da secoli nel rispetto di
una tradizione che ha sempre riservato grande attenzione alla cura dei particolari. Un viaggio tra curiosità, aneddoti, racconti, ricette del passato e non,
che ci riportano alle “radici del gusto”: un viaggio… ricco di sapori.
Ma è anche un libro pieno di suggestioni, redatto con amore e competenza,
che si lascia sicuramente leggere con piacere e che dà un “sapore in più”
all’acquisto e alla degustazione di questi prodotti, la cui conoscenza è indispensabile per capire il territorio dell’Alta Tuscia.
Un territorio che si prefigge di mostrare un paniere di offerte uniche; una
montagna di cose buone a due passi da casa. C’è davvero di tutto: aria buona, paesaggi dolci, storia, tradizioni ma, soprattutto, tanti prodotti tipici, tutti
da gustare.
Ogni nostro “borgo” ha la propria peculiarità, ma anche tante caratteristiche
in comune con gli altri: dai prodotti tipici alla gastronomia, dalla storia al ricco
patrimonio paesaggistico e ambientale e si caratterizza per la cordialità dei
propri abitanti e per le molteplici specialità gastronomiche.
Visitare questi territori significa lasciarsi andare tra colline, boschi, laghi,
immergersi in colori e sapori che rappresentano l’autenticità di un territorio
ancora legato alle proprie origini. Tutti questi elementi riescono a trasmettere i forti valori della tradizione e i sapori antichi di prodotti rimasti inalterati
nel tempo.
Agli agricoltori, alle aziende che si occupano di trasformare e di portare sul
mercato le nostre produzioni di qualità, agli operatori del settore, ma soprattutto a tutti coloro che hanno saputo conservare la memoria dei profumi e
dei sapori genuini della nostra terra, intendiamo dedicare questa pubblicazione.
I Prodotti Tipici dell’Alta Tuscia.
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Giuseppe Franci
Assessore al Turismo
Comunità Montana Alta Tuscia Laziale
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Marchio collettivo
“Prodotti tipici Alta Tuscia”
…per stare tranquilli
Proteggere i produttori locali che con tanta fatica e dedizione si dedicavano
alla coltivazione e garantire al consumatore la qualità e provenienza dei
Prodotti Tipici dell’Alta Tuscia è stata una delle priorità che la Comunità
Montana si è data.
L’idea di creare un marchio collettivo, di proprietà dell’Ente e da assegnare
solo a chi si sottoponeva a controlli e verifiche, fu la prima ad essere valutata;
ma non bastava! è facile, per chi non ha scrupoli, acquistare piccole quantità
da qualche produttore locale e trasformarle in grandi quantità con una sorta
di moltiplicazione “truffaldina”. Con quali strumenti si poteva contrastare
questo? La soluzione a quella che poteva diventare una grave minaccia per
i nostri prodotti è venuta con l’impianto di lavorazione e confezionamento
che la Comunità Montana ha realizzato nel comune di Onano. Grazie a questo diventava possibile per l’Ente controllare le quantità prodotte dai singoli
coltivatori e seguirne in maniera precisa il percorso: dal prodotto “sporco/
lordo” in entrata a quello “pulito/netto” in uscita.
Con questa logica dall’anno 2003 è stato creato un sistema di controllo
delle produzioni gestito dall’Ente che consente l’utilizzo del marchio solo agli
agricoltori che:
• rispettano quanto stabilito nei disciplinari di produzione;
• coltivano nelle aree maggiormente vocate individuate dall’Ente;
• conferiscono i loro prodotti presso la struttura di lavorazione e confezionamento della Comunità Montana.
In questo modo e da quel momento, un Ente Pubblico, la Comunità Montana, è stata in grado di garantire che, le confezioni di prodotti sulle quali
veniva stampato il marchio collettivo “Prodotti Tipici Alta Tuscia”, contenevano esclusivamente legumi o farro prodotti in loco. In questo modo un
marchio collettivo diventava uno strumento per garantire al consumatore
la provenienza certa e la qualità. AL CONSUMATORE, UN SOLO CONSIGLIO: SULLE CONFEZIONI CERCARE IL MARCHIO COLLETTIVO
“PRODOTTI TIPICI ALTA TUSCIA” …PER STARE TRANQUILLI.
“Linea Verde” puntata del 5 novembre 2006 - Latera: “Briganti” tra le delizie gastronomiche dell’Alta Tuscia
(Foto Fit - Acquapendente).
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Angelo Scipioni
Responsabile Tecnico
Comunità Montana Alta Tuscia Laziale
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I legumi
I legumi appartengono alla terza famiglia in ordine di grandezza delle
piante fiorifere (dopo la famiglia delle orchidee e quella delle compositae) e alla seconda in ordine di importanza per l’alimentazione umana,
dopo le graminacee. Sono, da sempre, i protagonisti dell’alimentazione
dell’uomo in ogni angolo del mondo. Gustosi e facili da conservare, sono
con ogni probabilità, il primo cibo che l’uomo ha imparato a raccogliere.
Dal punto di vista nutrizionale i loro semi contengono circa il doppio
delle proteine rispetto ai cereali e sono particolarmente ricchi di ferro e
vitamine del gruppo B. Molto significativo anche il loro apporto di carboidrati e fibre. Tutto questo li rende un alimento estremamente sostanzioso e nutriente, capace di sostituire la carne, certamente negli adulti,
senza che il fisico ne risenta. Non a caso in passato erano considerati
la carne dei poveri, che ne facevano grande uso in virtù del loro costo
trascurabile rispetto a quello della carne.
I legumi maggiormente diffusi nel nostro Paese sono: fagioli, lenticchie
e ceci. Questi prodotti, infatti, sono parte della tradizione gastronomica
italiana, appartenendo alla cosidetta “cucina povera”: povera solo perché gli ingredienti costano poco, non certamente perché miseri di gusto
o di proprietà nutritive.
Tuttavia è in associazione con i cereali che i legumi assumono le caratteristiche di un alimento perfettamente equilibrato dal punto di vista
nutrizionale, grazie alla completezza degli apporti di amminoacidi, di micronutrienti e fibre. Grande è inoltre l’importanza dei legumi per il mantenimento della fertilità dei terreni agricoli. Queste piante sono in grado,
infatti, attraverso batteri che vivono nelle loro radici, di catturare l’azoto
presente nell’aria e concimare naturalmente il terreno.
In cucina, consigliamo di pulire “al dito” i legumi, di passarli più volte
sotto l’acqua corrente, di lasciarli in ammollo per il tempo prescritto
(eccetto le lenticchie che non lo richiedono!), di metterli in acqua fredda e di procedere alla cottura. I legumi non devono essere salati nella
bollitura perché la buccia si spaccherebbe e la polpa risulterebbe dura.
Un po’ di storia
Abbondano le notizie sulla loro coltivazione, preparazione e consumo:
dalle tombe reali degli antichi Egizi all’Iliade di Omero nell’antica Grecia,
e persino nell’Antico Testamento. L’uso dei legumi come alimento di
base risale sicuramente a più di 20.000 anni fa in alcune culture orientali.
Presso gli Egizi erano apprezzati ceci, lenticchie e piselli. Nel Medioevo e
nel Rinascimento diventarono cibo prettamente contadino, quasi mai presente alla mensa dei signori, cultori e consumatori di carne d’ogni specie.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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In seguito alla scoperta delle Americhe, grazie alla conoscenza di nuove ed
esotiche varietà di fagioli, l’interesse per i legumi ritrovò ulteriore slancio.
Fu infine con la Rivoluzione Francese che questi cibi salirono alla ribalta
della gastronomia per la sovvertita graduatoria della cucina aristocratica.
Digeribilità e tollerabilità: i legumi e i gas
è nozione comune che il consumo di quantità rilevanti di legumi provochi
sviluppo di gas intestinali detto flatulenza.
Questo noto e fastidioso problema ha origine nella presenza di alcuni
zuccheri, “oligosaccaridi”, che hanno la caratteristica di avere legami tra
le singole unità di glucosio (componenti gli oligosaccaridi) non attaccabili
dagli enzimi digestivi.
A causa di ciò, questi zuccheri escono dall’intestino tenue in una forma
che l’organismo non può assimilare, diventando così “preda” della flora
batterica intestinale.
Dall’attività di questa, derivano i tanto vituperati gas, primo fra tutti
l’anidride carbonica, che così pesantemente influenzano la nostra vita
di relazione.
C’è chi dice che per ovviare a questo inconveniente basta scartare l’acqua dell’ammollo e unire un pizzico di semi di anice o di finocchio durante la cottura. Provare per credere!
ciò che manca ai primi in termini di amminoacidi essenziali si trova in
abbondanza nei secondi. Non a caso, molto prima che il mondo sapesse
qualcosa su amminoacidi e nutrizione, molte culture avevano imparato
ad usare questi prodotti alimentari in combinazione. In una combinazione che, alla luce di ciò che oggi abbiamo scoperto, si può definire
perfetta.
Quindi “pasta e faciole”, “pasta e cece”, “faciole e farro”, ”lenticchie e
farro” non sono solo gustosi piatti tipici della tradizione gastronomica
dell’Alta Tuscia, ma sono anche quanto di meglio si può fornire al nostro
organismo per mantenersi sano e in perfetta forma!
Pensiamo alla salute…
La ricerca scientifica ha documentato che un uso regolare di legumi ha
la capacità di abbassare il livello della colesterolemia, di rallentare e modulare la velocità di assorbimento di carboidrati e quindi di controllare i
rischi di impennate troppo brusche della glicemia.
è bene sapere che…
Le proteine umane sono composte da diverse combinazioni di 20 differenti amminoacidi, di cui otto assolutamente necessari per la dieta degli
adulti e nove/dieci per quella dei bambini in crescita. Gli altri amminoacidi sono prodotti direttamente dalle cellule che compongono il nostro
organismo. La conseguenza di questo è che gli 8 per gli adulti e i 9/10
amminoacidi per i bambini in crescita, debbono assolutamente essere
introdotti nell’organismo. Tutti i cibi di origine animale come carne, uova
e latticini sono dotati di questi amminoacidi essenziali; cosa questa che
non avviene invece per quelli di origine vegetale. In questo senso i legumi
non fanno eccezione, sono ben dotati di alcuni amminoacidi essenziali
ma carenti di altri!
A questo punto però l’incompletezza dei legumi può essere compensata
dai cereali. I legumi e i cereali sono infatti assolutamente complementari;
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“Linea Verde” puntata del 5 novembre 2006 - Proceno: G. Vissani affascinato dai prodotti tipici dell’Alta
Tuscia (Foto Fit - Acquapendente).
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La Lenticchia
(Lens culinaris medicus)
lenticchia
di onano
La lenticchia, è sicuramente, tra le piante ad uso alimentare, quella di più antica
utilizzazione da parte dell’uomo; i semi
di questa pianta infatti, insieme a cariossidi di cereali, sono stati rinvenuti
nel nord della Siria e in alcuni Paesi del
Medio Oriente come Palestina, Giordania, Iran, all’interno di siti archeologici
risalenti al Neolitico (circa 8500 anni fa).
Questa leguminosa era nota anche agli Assiri, agli Egiziani ed agli stessi Greci: lenticchie
e lupini sono stati ritrovati in tombe egizie della XII
dinastia e sembra che questo popolo amasse consumarne
insieme al pesce sotto sale, affumicato o seccato al sole, al formaggio, alla
frutta e a molto pane di frumento o, più spesso, di orzo. Una tra le testimonianze più importanti resta comunque quella biblica, nel Libro della Genesi:
Esaù infatti vendette la primogenitura a Giacobbe per un piatto di lenticchie
(passo da cui è nata l’espressione: “vendita per un piatto di lenticchie”).
L’origine geografica è compresa in un’area nel nord ovest della Turchia;
l’origine botanica è fatta risalire alla specie selvatica Lens orientalis che
tuttora, in alcune zone, è componente della flora selvatica.
La lenticchia ha un elevato valore nutritivo; il contenuto in proteine può
raggiungere il 30% così come è elevato il contenuto in vitamine, soprattutto
quelle del gruppo B; buona anche la presenza di ferro.
Per l’alimentazione umana i semi vengono usati tal quali o decorticati; in
Italia, a parte qualche zona geografica specifica, non esiste una grande tradizione sull’uso abituale della lenticchia che viene invece consumata, praticamente da tutti, durante le festività di fine anno associata al tradizionale
zampone.
Attualmente nel mondo la lenticchia viene coltivata soprattutto in Asia, in
Turchia, in Nord e Centro America e in Africa.
L’Italia è un paese importatore di lenticchie essendo tale coltura notevolmente diminuita da quaranta anni a questa parte, anche se nell’ultimo decennio
si è assistito ad una progressiva diffusione di questa coltura.
Le regioni italiane maggiori produttrici di lenticchie sono: Puglia, Lazio,
Campania, Abruzzo e Umbria.
Pensiamo alla salute…
Le lenticchie sono estremamente salutari e digeribili e in generale possono
essere considerate un alimento-medicina ma vanno consumate con moderazione per l’alta concentrazione di principi nutritivi.
Sono sicuramente un alimento completo, un vero piatto forte per chi svolge
lavori pesanti; contengono i soflavoni, sostanze che puliscono l’organismo
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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con la loro azione antiossidante ed hanno una elevata concentrazione di
ferro (rappresentando un valido aiuto per chi soffre di anemia o di stati di
debolezza), potassio, fosforo, calcio e fibre che depurano l’organismo.
Sono particolarmente utili per riequilibrare i disturbi dello zucchero ematico,
perché evitano che lo zucchero del sangue cresca troppo rapidamente dopo
un pasto.
LA LENTICCHIA DI ONANO
Denominazione e informazioni sul prodotto
La Lenticchia di Onano è prodotta all’interno del Comune omonimo e vanta
un’antichissima tradizione che trova riscontro già negli “Ordini, statuti, leggi
municipali della comunità e popolo d’Onano” del 1561; agli inizi del 1800
Epifanio Giuliani in un proprio manoscritto ipotizza una maggiore produzione
dei richiestissimi legumi di Onano da vendere nei paesi vicini e in Toscana,
come soluzione per migliorare
le condizioni economiche e di
vita delle popolazioni locali.
Altre testimonianze dell’apprezzamento e della diffusione di questo prodotto sono
fornite da Giulio Andreotti
che nel suo volume “La sciarada di Papa Mastai” ricorda
come Papa Pio IX alla vigilia
del 1871, in seguito alla perdita del potere temporale, fosse solito consolarsi gustando
spesso un buon piatto di lenticchie omaggio del Cardinal
Prospero Caterini, originario
di Onano.
Anche in tempi più recenti si
ha riscontro di riconoscimenti
che vanno ben al di là del mercato locale. Lo testimoniano i
premi ricevuti alle varie esposizioni internazionali nel 1910
(Roma e Buenos Aires) e nel
Una ricevuta d’acquisto della lenticchia del 1881 (2004, Lo spessore della Memoria, G. Franci).
1911 (Londra e Parigi).
In quegli anni la lenticchia era
conosciuta e commercializzata in molti paesi e l’azione di promozione veniva
svolta soprattutto da alcune aziende locali che avevano già a disposizione
particolari attrezzature per la preparazione e la sterilizzazione dei legumi.
Già allora il confezionamento veniva curato con particolare attenzione. La
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“La pulitura delle lenticchie”, Onano, 1910 (Ditta A. Alfonsi). Vediamo l’intera famiglia Alfonsi intenta nella
pulitura “al dito” del prodotto.
foto in alto, “La pulitura delle lenticchie”, diventata oggi il logo della lenticchia Onanese, è eloquente in tal senso.
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Il prodotto, di forma appiattita, lenticolare o tondeggiante, delle dimensioni di
3/6 mm di diametro, presenta un colore variabile dal verde al piombo scuro al
cinereo rosato ed è caratterizzato da una buccia tenera, resistente alla cottura,
con elevata sapidità e tenerezza.
Le caratteristiche qualitative che rendono peculiare la Lenticchia di Onano
derivano dalla tipologia dei terreni che sono sciolti, dotati di ottima permeabilità, privi di zone con ristagni idrici, di origine vulcanica, situati ad un’altitudine
media intorno ai 400/600 m.l.s.
La preparazione del terreno prevede un lavoro d’aratura a profondità di circa
30 cm, con successivi interventi di affinamento per consentire l’ottenimento
di un letto di semina ben livellato e libero da erbe infestanti ed un limitatissimo apporto di fertilizzanti, pena l’allettamento della coltura con conseguente
perdita del prodotto.
Per la semina, che viene effettuata a macchina o, più raramente a mano, sono
impiegati da 80 a 100 kg/ha circa di seme: si tratta di ecotipi locali e varietà
di più recente introduzione.
La raccolta viene effettuata con mietitrebbia per cereali opportunamente adattata o più raramente a mano.
Gran parte della produzione viene conferita, escluso l’autoconsumo familiare
e il reimpiego per la semina successiva, alla locale cooperativa agricola che poi
provvede alla commercializzazione, attraverso un consorzio di cooperative.
Consistente è anche il numero di produttori che commercializzano con proprio marchio aziendale.
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aneddoti e curiosità
Gli antichi reputavano la lenticchia
un alimento scarsamente digeribile.
Questa volta però l’antica sapienza non è tanto sapiente!
La lenticchia è uno dei legumi più
digeribili ma forse deve questa cattiva fama ai condimenti utilizzati
dai nostri nonni o agli abbinamenti alimentari (cotechini, zamponi di
maiale), sicuramente gustosi ma non
proprio dietetici e comunque impegnativi da un punto di vista digestivo.
Si attribuivano alle lenticchie numerose proprietà terapeutiche e medicinali tanto che nel XIX secolo, un
ciarlatano fece fortuna mettendo in
vendita la farina di lenticchia, spac-
ciandola per rimedio universale dal
nome misterioso.
A parte empirismo e curiosità storiche la lenticchia è uno dei legumi a
più alto valore nutritivo: 100 gr di
lenticchie equivalgono da un punto
di vista calorico a 215 gr di carne o
a 118 gr di pane integrale. La lenticchia è ricca di minerali come fosforo e
ferro ed ha una biodisponibilità maggiore rispetto ad altri vegetali come gli
spinaci. Questi legumi hanno anche
un elevato contenuto di vitamine soprattutto del gruppo B. Per chi soffre
di colite si suggerisce di consumare le
lenticchie sotto forma di farina per
evitare irritazioni del colon, dato
l’elevato contenuto di fibra.
in pillole
•
•
•
•
Stand della “Sagra della Lenticchia” del 1966.
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Parlando di lenticchie, la mente
corre immediatamente al cenone
di San Silvestro, durante il quale
i commensali ingordi “trangugiano” questo legume solo pensando
ai soldi; a tanti, tanti soldi che dovranno generare. Infatti, questa
credenza rimanda ad un’antica
usanza, che consisteva nel regalare, a fine anno, una “scarsella”
(la borsa che conteneva monete)
piena di lenticchie, con l’augurio
che ogni chicco si trasformasse in
moneta.
lenticchie per farsi la minestra. Il
filosofo Aristippo, che se la passava bene perché si era messo a
corteggiare il re, gli disse sprezzante: “Se tu imparassi ad adulare il
re, non dovresti contentarti di un
piatto di lenticchie”. “E se tu avessi imparato a vivere di lenticchie”
ribatté Diogene con altrettanto
sprezzo “non avresti bisogno di
adulare il re”.
•
Racconta Aristofane che un vecchio aveva sposato una donna
giovane e bastò un piatto di lenticchie per riavere la potenza sessuale della gioventù.
Catone nel “De Agricoltura” consigliava di mescolare le lenticchie
nelle minestre insieme al grano,
al farro e all’orzo.
•
“…a me sembra che il sapore delle
lenticchie sia più delicato di quello de’ fagiuoli in genere, e che,
quanto a minaccia di bombardite,
esse sieno meno pericolose dei
fagiuoli comuni ed eguali a quelli
dall’occhio…” (Artusi 1800)
Le lenticchie erano il tipo di cibo
più diffuso tra la popolazione e gli
schiavi nella Roma imperiale. Il
loro consumo era talmente elevato che era necessario importarne
continuamente dall’Egitto.
•
La parola latina “lens”, che significa lenticchia, è anche l’origine
della parola lente, che indica un
oggetto biconvesso, cioè a forma
di lenticchia (il termine fu utilizzato per la prima volta nel diciassettesimo secolo).
Il biografo latino Svetonio racconta che Diogene stava lavando delle
Diploma di “Gran Premio y Medalla de Oro” conferito alla ditta
Alfonsi in occasione dell’Esposizione Universale di Buenos Aires
degli anni 1910-1911.
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onano
Suggestivo centro agricolo ricco di storia, sorge su di una collina lontano dalle grandi vie di comunicazione ed è famoso per la bontà della sua “Lenticchia”. Il nome
Onano deriva probabilmente dalla dea etrusca Uni. Sebbene all’interno dell’abitato
e nei dintorni siano state trovate numerose tombe etrusche, le più attendibili fonti storiche fanno risalire al primo Medioevo l’origine dell’odierno abitato, allorché
quattro piccoli borghi che sorgevano in loco si fusero. Nel 1215 fu ceduto insieme
a Latera al libero Comune di Orvieto e per un lungo periodo fu conteso fra la cittadina umbra, fedele al partito ghibellino, e il papato. Intorno al 1400 la famiglia dei
Monaldeschi della Cervara, patrizi romani, avviò la costruzione del Castello omonimo, ancora oggi esistente, che divenne in seguito residenza per quattro generazioni
di discendenti del cardinale Guido Ascanio Sforza, residenza estiva dei vescovi di
Sovana e Acquapendente ed infine enfiteusi concessa dalla Camera Apostolica alla
famiglia Denham-Bousquet. Il palazzo è stato usato come residenza estiva dalla famiglia Pacelli fino ai primi del Novecento quando cedettero la loro parte ai Bosquet,
proprietari dell’altra parte dal 1800. Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, in gioventù
veniva spesso, durante i mesi estivi, a respirare l’aria pura, il clima dolce del paese
dei suoi antenati. Anche Lina Cavalieri “la donna più bella del mondo” aveva origini
Onanesi per via della madre Teonilla Peconi. Onanese anche il suo primo agente
Romeo Giuliani.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra della Lenticchia
Settimana di Ferragosto
Medagliere della Lenticchia di Onano. Riconoscimenti tributati alla Ditta Alfonsi, produttrice di Lenticchia,
per l’alta qualità del prodotto nelle varie esposizioni internazionali: Roma e Buonos Aires nel 1910, Londra
nel 1911 e infine Parigi, ancora nel 1911, in occasione della 3a Esposizione Internazionale del Progresso
Moderno.
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Il Fagiolo
(Phaseolus vulgaris)
fagiolo del purgatorio
di gradoli
fagiolo secondo
o della stoppia
di san lorenzo nuovo
I fagioli (phaseolus vulgaris) sono noti da tempo immemorabile. Originari dell’America, sono
stati coltivati fin dai tempi più antichi: vasi contenenti fagioli sono stati trovati in Perù nelle
tombe del periodo pre-Inca; furono introdotti in
Europa nel XVI secolo in seguito alle spedizioni
spagnole nelle Americhe. In ogni tempo questo legume ha costituto il piatto forte sulle mense dei ceti
meno abbienti, tanto da meritare l’appellativo di «carne dei
poveri». I fagioli comprendono oltre 300 varietà, una sessantina delle quali
commestibili. Ve ne sono di bianchi, rossi, neri, variegati, piccoli, grandi, tondeggianti, schiacciati: si passa, per esempio, dal fagiolo «messicano»
(piccolo, nero e tondeggiante) al fagiolo “di Spagna” (grande, bianco e
schiacciato). Del fagiolo si possono consumare sia i baccelli giovani e teneri
(fagiolini) sia i semi, lasciati maturare e colti quando il baccello comincia ad
ingiallire. I fagioli si possono consumare sia allo stato fresco che essiccati,
sono un alimento di rilevante valore nutritivo. Il loro contenuto proteico
medio va dal 2% dei fagiolini al 6,5% dei fagioli freschi fino al 23,5% dei
fagioli secchi. Nei fagioli è inoltre discreto il contenuto in vitamine B1 e
B2 e in niacina. Va però ricordato che la B1 viene in buona parte distrutta
dalla prolungata cottura resa necessaria dalla particolare consistenza dei tegumenti esterni del fagiolo. I fagioli secchi rappresentano anche una buona
fonte di calcio, potassio e ferro. Dato il gran numero di qualità disponibili, i
fagioli si prestano a una notevole varietà di preparazioni (zuppe, minestre,
passati, contorni, insalate) e sono digeriti lentamente, determinando quindi
un prolungato senso di sazietà. La digeribilità gastrica migliora se vengono
privati della buccia o se vengono consumati come passati, oppure dopo una
cottura particolarmente prolungata.
Pensiamo alla salute
I fagioli sono legumi particolarmente ricchi di proteine di qualità e poveri
di grassi. Contengono inoltre la lecitina, un fosfolipide che favorisce la riduzione del colesterolo, abbassano la pressione arteriosa, saziano senza far
ingrassare e, consumati assieme a cereali, forniscono, così come gli altri legumi, gli amminoacidi necessari al nostro organismo. Grazie alla genisteina,
contenente antiossidanti, aiutano ad attenuare i sintomi della menopausa,
in più sono ricchi di fibra, di calcio, di ferro e di fosforo. I fagioli hanno
proprietà depurative, emollienti e diuretiche, per la loro ricchezza di proteine, amido e sali minerali, sono usati come succedanei dell’insulina in caso
di forme non gravi di diabete. Essendo, infine, ricchi di fibre sono indicati
per la funzionalità del colon, aiutando a ridurre fenomeni di stitichezza,
prevenendo così l’insorgenza di fastidiosi disturbi emorroidali e di problemi
intestinali.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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IL FAGIOLO DEL PURGATORIO
DI GRADOLI
Denominazione e informazioni generali sul prodotto
Il Fagiolo del Purgatorio di Gradoli è un prodotto alimentare fresco, coltivato
prevalentemente nel Comune omonimo (80%). Ad essere coltivata è una varietà
locale seminata da tempo immemorabile, come testimonia il pranzo organizzato
fin dal 1600 a Gradoli in occasione del Mercoledì delle Ceneri, denominato
pranzo del Purgatorio, di cui il fagiolo costituisce il piatto fondamentale.
Le caratteristiche peculiari del prodotto dipendono sia dalle tecniche di coltivazione tradizionali che dalla tipologia dei terreni.
Questi ultimi, d’origine vulcanica, sciolti, freschi di buona fertilità, con scarso o
nullo contenuto di calcio, ottima disponibilità di potassio rappresentano quanto
di meglio si può richiedere per la loro coltivazione in quanto sono queste caratteristiche che conferiscono al prodotto grande sapidità e notevole velocità di
cottura.
Giovedì Grasso, Fratellanza del Purgatorio: la “questua” per anticipare le spese del Pranzo del Purgatorio.
Pranzo del Purgatorio anni ‘50 (2007, Cronaca fotografica del Pranzo del Purgatorio, E. Agostini - L.
Piccinetti).
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Anche per questo prodotto, la Comunità Montana Alta Tuscia Laziale ha attivato nel tempo un programma volto al rilancio, nelle aree vocate, di questa coltura
come alternativa a disposizione degli agricoltori.
La varietà coltivata è un ecotipo locale, assimilabile alla varietà Cannellino, ad
elevata produttività, caratterizzata da portamento eretto, con seme di colore
bianco lucente, piccolo e tondeggiante.
Date le caratteristiche varietali e quelle dell’areale di coltivazione, il tempo di
cottura risulta ridotto a tutto vantaggio del gusto che mantiene a pieno le caratteristiche organolettiche del prodotto valorizzando i sapori del condimento.
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La preparazione del terreno è effettuata con una aratura a media profondità
(30/35 cm.) seguita da interventi di amminutamento del terreno (1/3 passaggi)
fatti con erpice a dischi o con fresa; prima della semina il terreno viene livellato,
affinato e liberato dalle erbe infestanti, in modo tale da garantire le migliori
condizioni per lo sviluppo delle piantine.
La semina è eseguita a mano o a macchina, utilizzando seminatrici preferibilmente pneumatiche, in ogni caso disponendo il seme in solchi, in quantità non
inferiore a 70/80 Kg. per ettaro ed utilizzando esclusivamente l’ecotipo locale
definito Fagiolo Bianco del Purgatorio di Gradoli, reperito in loco.
La Comunità Montana, fra le condizioni imposte alle aziende che vogliono aderire al programma, pone l’obbligo di un minimo apporto di concimazioni per
tutto il ciclo colturale e il controllo, preferibilmente meccanico, delle infestanti
ottenuto con interventi di sarchiatura nell’interfila e di zappettature e rincalzatura lungo le file. La raccolta è effettuata esclusivamente a mano.
IL FAGIOLO SECONDO
(O DELLA STOPPIA) DI S. LORENZO N.
Denominazione e informazioni generali sul prodotto
Il Fagiolo Secondo (o della stoppia ) di San Lorenzo Nuovo è coltivato nella zona
intorno al Lago di Bolsena.
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Questo legume ha accompagnato da sempre l’alimentazione delle popolazioni
residenti sul versante settentrionale del lago, in particolare quelle del comune di
San Lorenzo Nuovo, per le quali costituiva la principale fonte di proteine vegetali. Ad essere coltivata è una varietà locale da ascrivere fra le tipologie di granella
a portamento eretto.
Anche nel caso di questa varietà le caratteristiche pedoclimatiche dell’area di coltivazione conferiscono al prodotto le migliori proprietà organolettiche.
La semina del legume avveniva tassativamente nella terza decade di giugno, successivamente alla mietitura del frumento, per permetterne la maturazione intorno alla
fine di agosto. Da qui derivano le denominazioni di “fagiolo secondo”, in quanto
prodotto di secondo raccolto, o “fagiolo delle stoppie”, in quanto seminato sulle
stoppie del frumento appena lavorate. Con il tempo, la produzione è andata diminuendo fin quasi a scomparire. Solo l’attaccamento di alcuni agricoltori alle antiche
tradizioni ha permesso la conservazione di tale legume. Due sono le cause che,
nel tempo, ne hanno limitato la coltivazione: l’introduzione della mietitrebbiatura
che ha di fatto posticipato l’epoca di raccolta del frumento, ritardando così i tempi
utili per la semina del legume, e l’uso massiccio dei fertilizzanti azotati di sintesi.
Entrambe le cause non consentono, nel periodo estivo, la normale maturazione
della pianta.
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Anche per questo prodotto, che è stato aggiunto solo di recente nel paniere dei
prodotti tipici del territorio, la Comunità Montana Alta Tuscia Laziale insieme al
Comune di San Lorenzo Nuovo ha attivato, recentemente, un programma volto al
rilancio, nelle aree vocate, di questa coltura come alternativa a disposizione degli
agricoltori locali.
La varietà coltivata è un ecotipo locale, con seme di colore giallo, di forma ovale e
di dimensioni medio-piccole con occhio ben marcato.
Per quanto concerne le tecniche di coltivazione e la raccolta di questo prodotto vale
quanto descritto per il fagiolo del Purgatorio di Gradoli.
Aneddoti e Curiosità
Il fagiolo è in Italia uno dei legumi
più consumati. Ne esistono diversi
tipi e i più comuni sono i borlotti, i
cannellini e i bianchi di Spagna. Il
fagiolo è il protagonista di un simpatico aneddoto: un tempo le ragazze
da marito, durante la prima notte
dell’anno, interrogavano la sorte riguardo il futuro sposo con i fagioli.
Prima di coricarsi la ragazza poneva
sotto il cuscino tre fagioli, uno con il
rivestimento del seme a simboleggiare
uno sposo ricco, uno mezzo sbucciato
a simboleggiare uno sposo agiato e infine a rappresentare lo sposo povero,
un fagiolo privo di buccia. Durante la
notte, al buio, gettava due dei tre fagioli e l’aspetto del fagiolo che rimaneva faceva presagire la condizione
economica del futuro sposo.
Fagioli e flatulenza vanno a braccetto, ma lo spiacevole ‘’inconveniente’’
non risiede solo nell’immaginario
collettivo ma possiede solide basi
scientifiche. Ad indagarle sono stati alcuni ricercatori venezuelani che
hanno inoltre scoperto come creare
il fagiolo ‘’no-gas’’. Secondo un team
di scienziati, coordinato da Marisela
Granito della Simon Bolivar University di Caracas, il rimedio contro la
flatulenza indotta dai fagioli sarebbe
infatti da ricercare in due batteri, il
Lactobacillus casei ed il Lactobacillus
plantarum. Come riportato sul Journal
of the Science of Food and Agriculture,
proprio questi batteri potrebbero presto venir aggiunti al legume e ridurre
al minimo il ‘’pericolo gas’’. Le prove
effettuate sui fagioli neri (Phaseolus
vulgaris), ai quali sono stati aggiunti i
due batteri prima della preparazione,
hanno già dato esiti estremamente
positivi. Il gas provocato dall’azione
dei batteri che vivono nel nostro intestino si è infatti ridotto, in quanto
la fermentazione dei fagioli neri con
il Lactobacillus casei ed il Lactobacillus
plantarum ha provocato una diminuzione di oltre il 60% del contenuto
in fibre solubili ed un abbattimento
dei livelli di raffinosio di ben l’88%.
Proprio la riduzione del raffinosio
rappresenta una conquista, perchè
si tratta di un carboidrato particolarmente ostico per chi soffre di colite
o meteorismo. Che i ricercatori venezuelani abbiano finalmente scoperto
la ricetta del ‘’fagiolo magico’’?
IN PILLOLE
•
Nell’antichità il Fagiolo simboleggiava l’immortalità per la sua
proprietà di conservare a lungo la
forza vitale e di riacquistare freschezza se immerso in acqua. Le
fanciulle greche e le matrone romane indossavano collane o bracciali con ciondoli a forma di fagiolo. Si riteneva che questo piccolo
oggetto fosse sufficiente per ottenere ricchezze e amore.
•
I dolori alle ginocchia fanno
prevedere un imminente cambiamento di tempo? Per lenirli, versate in una pentola tre
pugni di fagioli secchi e tre di
sale grosso, coprite d’acqua e
cocete a lungo, fino a ottenere
una poltiglia densa. Applicate
questo “medicamento” tutte le
sere prima di coricarvi. Provare
per credere!
San Lorenzo Nuovo, scene di vita contadina, anni ‘30 (foto R. Ossorio).
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GRADOLI
La visita del centro storico ha inizio da piazza Vittorio Emanuele dove si può ammirare la Fontana a Fuso, con mascherone in pietra del 1926. Attraversando l’Arco di
Ciuchini, sede dell’antica porta, si accede al borgo. Ci si trova immediatamente di
fronte a muri solidi ed alti corrispondenti alle basi della chiesa principale (S. Maria
Maddalena) e del campanile che, collegati con l’arco del Buon Consiglio ci introducono in via Cavour. L’assetto urbano del borgo è riconducibile al periodo rinascimentale
e post-rinascimentale. L’unica area completamente trasformata è rappresentata dalle antiche piazze “alta e bassa” nate dalla ristrutturazione ed ampliamento della
Chiesa di Santa Maria Maddalena e dalla successiva realizzazione delle rampe di
collegamento. A destra sono gli antichi palazzi signorili, il primo di questi, oggi casa
canonica, fu la sede comunale fino ai primi anni Venti; poco più avanti, la bella e
semplice casa a due piani che sembra avesse accolto i Farnese durante l’edificazione della loro vera dimora: Palazzo Farnese, fatto erigere da Papa Paolo III per le
nozze del figlio Pierluigi con Gerolama Orsini della vicina Pitigliano. Continuando
sulla destra ci si imbatte in un edificio costruito in tufo e pietrame ed ornato da tre
finestre rinascimentali in peperino. Pare sia stato donato dai Farnese al loro contabile il cui nome, Horatio Romano, si legge sopra l’antico portale.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra dell’Olio e
del Fagiolo del Purgatorio
1a decade di dicembre
Aleatico in Festa
fine luglio / 1a decade di agosto
Prima sagra dell’Aleatico (foto Ass. Pro Loco Gradoli).
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ll Cece
(Cicer arietinum)
cece del solco dritto
di valentano
Anche il cece è una leguminosa da granella;
si tratta di piante che l’uomo usa da millenni
e che tuttora utilizza essendo importanti fonti
di proteine e calorie.
Non si hanno notizie certe circa l’origine
botanica del cece. Si dà per certo comunque
che i progenitori siano alcune forme selvatiche del
genere Cicer; tra queste, secondo gli studiosi botanici,
quelle più accreditate sono il Cicer echinospermum,
ancora oggi presente nelle quercete e nelle formazioni
steppiche dell’Anatolia, e il Cicer reticulatum. è proprio dalla domesticazione
di quest’ultima specie che si sarebbe originato il Cicer arietinum.
L’origine geografica dovrebbe essere la Turchia, a cui risalgono i primi reperti
archeologici databili a 5000 anni fa.
Altre tracce di coltivazione rinvenute in Iraq sono riferibili all’età del bronzo,
3000 a.C. circa; ulteriori testimonianze risalgono a ritrovamenti provenienti
dalla Valle del Nilo, risalenti ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1100 a.C.
In Grecia il cece era consumato fin dai tempi di Omero ed era chiamato
Erebinthos e Krios.
Orazio inoltre riporta che a Roma i ceci venivano mangiati fritti in olio, usanza
ancora attuale in alcune regioni dell’Italia Meridionale.
In antichità al cece sono state attribuite proprietà medicinali: far produrre molto
latte alle neo-mamme; utile, triturato e mescolato con mele ed orzo, contro la
rogna; con un’azione diuretica e contro i calcoli, etc.
Attualmente il cece, dopo soia e fagiolo, è la leguminosa più coltivata nel mondo;
circa il 93% della produzione mondiale ricade in Asia dove è concentrata per i
4/5 in India e Pakistan.
Altre zone di coltivazione sono l’Africa (Etiopia, Tanzania, Marocco), Nord e
Centro America (Messico) ed Europa, dove la Spagna è la maggior produttrice.
In Italia la superficie si è ridotta dai 110 mila ettari nel 1950 agli attuali (stimati)
9 mila tanto che attualmente il nostro Paese è un grosso importatore.
Questo calo va attribuito a varie cause: basse rese, incostanza del prezzo di
mercato, elevato costo colturale, difficoltà di reperimento della manodopera,
ridotta richiesta del mercato per le mutate abitudini alimentari.
In Italia viene coltivato soprattutto nelle regioni meridionali (Puglia, Campania,
Calabria, Molise, Sicilia).
Pensiamo alla salute…
Energetici e più ricchi di acidi grassi rispetto agli altri legumi, i ceci sono utili per
contrastare l’eccesso di colesterolo e di trigliceridi. Ricchi di triptofano e arginina,
amminoacidi strettamente legati alla serotonina e quindi al buonumore, possono
essere un valido aiuto per depurarsi, rinvigorendo e stimolando la funzionalità
sia del sistema nervoso, sia dell’apparato digerente.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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IL CECE DEL SOLCO DRITTO
DI VALENTANO
Denominazione e informazioni generali sul prodotto
Il Cece del Solco Dritto di Valentano, leguminosa da granella destinata
al consumo alimentare fresco, è caratterizzato da semi lisci di colore
bianchiccio con peso variabile da 250 a 350 mg, ed è attualmente coltivato
nell’intero territorio del comune di Valentano.
Deve il suo nome ad una manifestazione della tradizione contadina locale
“La tiratura del solco dritto” che si svolge il 14 agosto di ogni anno nella
piana sottostante il paese. Dalla riuscita di questa operazione, il solco
più o meno dritto, sono tratti gli auspici sull’annata agraria e sul raccolto
dell’anno successivo.
Pur vantando un’antica tradizione in queste zone (il cece era infatti una delle
poche fonti di proteine degli agricoltori), solo recentemente si è ripresa la
sua coltivazione grazie all’intervento della Comunità Montana.
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Il Cece del Solco Dritto è ottenuto con tecniche agricole tradizionali, spesso
da aziende che praticano la coltivazione biologica ai sensi del Reg. CEE
2092/91.
L’area di coltivazione è caratterizzata da terreni di natura vulcanica,
situati ad un’altitudine di 300-400 metri s.l.m., in un ambiente collinare
caratterizzato da un clima temperato sub-litoraneo.
Tutti i terreni interessati, ad elevato contenuto di potassio e con scarsa
presenza di calcio, conferiscono al Cece del Solco Dritto caratteristiche
organolettiche superiori, con particolare riferimento a sapidità e tempi di
cottura.
La preparazione del terreno è effettuata con un’aratura a media profondità
seguita da interventi di amminutamento del terreno (1/3 passaggi) con
erpice a dischi e con fresa; prima della semina il terreno è livellato,
affinato e liberato dalle erbe infestanti, in modo tale da garantire le migliori
condizioni per lo sviluppo delle piantine.
La semina è eseguita con seminatrici opportunamente adattate, disponendo
il seme in solchi in quantità non inferiore a 100 Kg. per ettaro ed utilizzando
vecchie varietà locali e varietà più recenti, principalmente a seme medio
e liscio.
Anche nel caso del Cece del Solco Dritto non sono effettuate concimazioni
né tantomeno operazioni di diserbo chimico; le tecniche di coltivazione
non si discostano sostanzialmente da quelle eseguite in passato.
La raccolta avviene, per la quasi totalità, con mietitrebbiatrici adattate e più
raramente a mano.
La “Tiratura del Solco Dritto” in un dipinto di G. Ciucci.
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aneddoti e curiosità
I CECI E IL VOTO
Al fronte, durante la Seconda Guerra Mondiale, due amici di Valentano,
ritrovandosi sotto il fuoco nemico,
implorarono il Santissimo Crocifisso
di Castro (una immagine venerata in
un Santuario, sorto presso le rovine
della ex capitale del Ducato farnesiano, distrutta nel 1649) distante
da Valentano circa 25 Km. e meta
di pellegrinaggi durante il mese di
giugno.
Dalla preghiera al voto il passo fu
breve. Promisero solennemente che
se fossero tornati a casa sani e salvi,
si sarebbero recati a piedi al Santuario mettendo dentro le scarpe dei
ceci in segno di ringraziamento e
penitenza.
Le vicende belliche si conclusero
fortunatamente per i due amici che,
tornati a Valentano, essendo ormai
il mese di giugno, decisero di alzarsi
presto una mattina e di sciogliere il
voto recandosi a Castro con le modalità promesse.
in pillole
Di buonora si ritrovarono nella piazzetta principale delle Fontane, una
piccola località di Valentano, e di lì
si mossero verso Castro.
Mentre uno dei due, fatto appena
qualche chilometro, soffrendo chiaramente lo stato di disagio dei ceci
dentro le scarpe, iniziava a lamentarsi per il dolore, l’altro, imperterrito, camminava con passo svelto e
lieve senza alcun lamento. Al che il
primo disse al secondo:
“Ascolta, come fai a non lamentarti,
io ho un dolore terribile ai piedi e
credo che mi sarà difficile, pur con
tutta la buona volontà, mantenere il
voto fatto.”
L’altro lo sta a sentire e poi:
“Scusa, al fronte, il voto che abbiamo fatto si riferiva allo svolgimento
del pellegrinaggio a Castro, mettendo dei ceci dentro alle scarpe. Io
così ho fatto... Non avevo promesso
mica di mettere dentro le scarpe i
ceci crudi!”
(fonte: Romualdo Luzi)
•
Si narra che in Sicilia, durante i
Vespri siciliani, per riconoscere gli
oppressori francesi che si nascondevano tra la folla, ai sospetti veniva chiesto di dire la parola RICIR
(ceci), che i cugini d’Oltralpe non
riuscivano a pronunciare. Così,
per chi non riusciva a pronunciare
perfettamente la parola, c’era la
condanna a morte.
•
Proverbio: “Api, polli e ceci fanno
più in un anno che in dieci!”. Il
proverbio vuol significare che la
produzione non è uguale tutti gli
anni.
•
Sognare di comprare ceci indica
che avrete difficoltà con il lavoro;
sognare di mettere a bagno i ceci
indica condotta imprudente; sognare di cucinare ceci indica forza
e salute; sognare di mangiare ceci
indica speranze che svaniscono;
i ceci secchi indicano amici poco
sinceri.
•
Ai tempi di Omero in Grecia questo legume era chiamato Krios
con riferimento alla testa d’ariete:
infatti il nome arietinum, usato
per primo da Columella nelle sue
classificazioni botaniche, è da attribuirsi alla forma del seme che
sembra ricordare la testa d’ariete.
•
I ceci hanno avuto presso gli antichi romani un alto onore tanto che
per Cicerone, il grande Arpinate,
fu considerato un grande prestigio
assumere come nome o cognome
quello di una pianta così importante.
•
La leggenda secondo la quale il
cece era un alimento capace di
dare forza e potenza ha le sue radici nella verità. Si racconta che
durante la battaglia della Meloria
(1284) i pisani furono catturati dai
genovesi e da questi furono trattenuti a lungo prigionieri nelle stive
delle loro navi, rischiando di morire di fame. La fortuna volle però
che proprio nelle stesse stive,
sotto di loro, vi fossero ammucchiati sacchi di ceci intrisi d’acqua
di mare. Per superare i terribili
morsi della fame se ne cibarono
scampando così alla morte.
•
La versatilità del cece è dimostrata
dai molteplici usi che se ne possono fare: si possono lessare le cime
verdi della pianta, come i normali
spinaci, mentre dalle foglie si possono ottenere decotti rinfrescanti. Il cece può essere consumato
tal quale sia quando è verde sia
essiccato, oppure trasformato in
farina. Interessante è notare come
il cece germinato sia in grado di
raddoppiare il suo contenuto di vitamina C rispetto ai ceci dormienti e
quindi può essere impiegato nei casi
di carenze vitaminiche. Buoi al lavoro durante la “Tiratura del Solco Dritto”.
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valentano
La scelta del sito su cui sorge oggi il paese avvenne nell’alto medioevo: le scorrerie gotiche del 572 costrinsero gli abitanti ad occupare un luogo elevato e
difendibile. Quando i Farnese presero possesso di Valentano il borgo era ancora
diviso nei due nuclei della Rocca e di Porta San Martino. L’irregolarità causata
dalla ripa che divideva in due il paese fu colmata con opere di riempimento:
con questi interventi si creò il tridente composto dalle strade di Santa Maria,
di Mezzo e della Ripa con i vicoli che li collegano, ma inevitabilmente fu quasi
cancellato l’impianto medievale del borgo. Dal XVII secolo in poi all’interno del
borgo non si sono verificate particolari trasformazioni. Dopo il crollo dell’antico
accesso fortificato edificato nel 1417 la nuova Porta Romana venne ricostruita
nel 1779 su un precedente disegno del Vignola e per intervento di Papa Pio VI
Braschi. Oggi il paese, proteso a forma di penisola al di sopra del sottostante
piano, si presenta con i simboli antichi della sua storia: la torre ottagonale della
Rocca Farnese e lo svettante campanile della chiesa collegiata.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra del Cece
del Solco Dritto
seconda decade di luglio
Ceniamo insieme
terza decade di agosto
La “Tiratura del Solco Dritto” che si svolge ogni anno il 14 agosto, nella piana di Valentano. Dalla
riuscita di questa operazione, gli auspici per il raccolto dell’anno successivo (foto M. Rosati).
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Filetto di maiale al lardo con il suo fegatello
al finocchietto su insalatina di Lenticchie
di Onano e riduzione alla liquirizia (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone Quattro filetti di maiale da 200
gr cadauno, quattro fette di lardo, quattro fegatelli con la rete,
finocchietto selvatico, quattro foglie di alloro, un bicchiere di Porto,
200 gr di lenticchie d’Onano, due cipollotti freschi, due spicchi
d’aglio rosso di Proceno, olio extra vergine di oliva di Gradoli, un
cucchiaino di liquirizia in polvere, pepe nero al mulinello, mezzo
cucchiaio di pane grattato.
Preparazione Salate e pepate i filetti, saltateli in padella con un
cucchiaio d’olio. Condite i fegatelli con sale pepe, pan grattato e
finocchietto, avvolgeteli nella rete, fermateli con gli stuzzicadenti e
cuoceteli in padella coperti con quattro foglie d’alloro e una tazzina
di vino bianco per 8 minuti a fuoco moderato.
Fate rosolare due spicchi d’aglio in due cucchiai d’olio e poi
toglieteli; aggiungete le lenticchie con i cipollotti tagliati a pezzetti,
coprite con acqua, salate, pepate e cuocete per circa mezz’ora.
Fasciate i filetti con il lardo, fateli cuocere per un minuto da ambo i
lati, mettete nel piatto le lenticchie e adagiatevi il filetto, il fegatello
e fermate con uno stecco di rosmarino, aggiungete nel sugo dei
filetti la liquirizia e un bicchiere di porto. Fate ridurre la salsa e
condite.
Ceci del Solco Dritto al tegame
Ingredienti per 4 persone 300 gr di ceci del solco dritto, aglio
rosso di Proceno, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, pomodori
freschi maturi, rosmarino, (salvia), 100 gr di lardo o pancetta,
farina, sale, pepe.
Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata
con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli a cuocere con
poca acqua, 5 cucchiai d’olio, 2 cucchiai di farina, una puntina di
pepe e, dopo un poco, aggiungetevi i pomodori freschi ben maturi
tagliati a pezzi. In un tegamino a parte fate soffriggete un battuto
fatto con lardo (o pancetta), aglio, sale, pepe, rosmarino (o salvia),
unitelo ai ceci, continuando fino a cottura completa.
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Al Pugnalone
36 P. A. Salimbeni tel. 0763.711252
Via
ACQUAPENDENTE (VT)
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Ripetta
Via Roma, 38 tel. 0761.456817
GRADOLI (VT)
Baccalà bollito e Fagioli del Purgatorio
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 400 gr di baccalà, 200 gr di fagioli
del purgatorio, prezzemolo, aglio rosso di Proceno, olio extra
vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Mettete a bagno il baccalà per circa 48 ore,
cambiando l’acqua 4 o 5 volte, poi fatelo bollire in acqua senza
sale. Cuocete i fagioli del purgatorio, senza ammollo, impiattate il
baccalà tagliato a quadri con un contorno di fagioli del purgatorio
conditi con olio extra vergine d’oliva, aglio rosso a crudo e
prezzemolo.
Passato di Lenticchie di Onano
con gamberi e vongole veraci
Ingredienti per 4 persone 400 gr di code di gambero fresche,
400 gr di vongole veraci, 300 gr lenticchie di Onano, sedano,
carota, scalogno, porro, prezzemolo, basilico, aglio rosso di
Proceno, salvia, rosmarino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli,
sale, pepe in grani.
Preparazione Lavate le lenticchie in acqua corrente e lessatele
quindi in abbondante acqua aromatizzata con aglio, salvia, cipolla,
sedano, carota, infine scolatele, eliminate gli odori e passatele al
passaverdura (o frullatele) aggiungendo qualche mestolo del loro
brodo di cottura per ottenere un passato semidenso che condirete
con 3 cucchiai d’olio extra vergine d’oliva già riscaldato con aglio,
salvia, rosmarino e poi filtrato. Sgusciate le code di gambero.
Lavate e fate aprire le vongole con un dito d’acqua, nella padella
caldissima, poi sgusciatele e conservate il loro liquido filtrato. In
una padella appassite uno scalogno tritato in 3 cucchiaiate d’olio
e insaporitevi le code di gambero e le vongole; sfumate con un
dito del liquido di cottura, completate l’intingolo con sale, pepe
macinato, basilico e prezzemolo tritati, quindi versatelo sul passato
di lenticchie caldo, già nei piatti individuali; irrorate con un filo
d’olio extra vergine e servite.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Ripetta
Via Roma, 38 tel. 0761.456817
GRADOLI (VT)
Fagioli del Purgatorio all’olio d’oliva
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 350 gr di fagioli del purgatorio
di Gradoli, olio extra vergine d’oliva, sale, pepe, due cipollotti
freschi.
Preparazione Anche se l’uso di questi fagioli può essere esteso
alle zuppe, alle minestre e alle preparazioni in umido, il piatto
ideale è quello che viene usato nel famoso “Pranzo del Purgatorio,
cioè conditi con olio extra vergine di oliva, sale e una puntina di
pepe. In questa preparazione semplice si può apprezzare a pieno
la bontà di questi fagioli, assimilabili ad una varietà di cannellino,
che con il tempo ha sviluppato una sua particolarità che lo rende
particolarmente gradito.
Tagliatelle al nero di seppia con gamberetti
su passatina di Ceci del Solco Dritto
Ingredienti per 4 persone 120 gr di ceci del solco dritto,
venti gamberi, 480 gr di tagliatelle al nero di seppia, aglio rosso
di Proceno, peperoncino piccante, olio extra vergine d’oliva
di Gradoli, due filetti di acciughe, cipolla, una fetta di lardo, un
bicchiere di vino bianco secco, un bicchiere di brodo vegetale, un
ciuffo di prezzemolo.
Preparazione Lessate i ceci precedentemente messi a bagno per
12 ore. Preparate un fondo di aglio, peperoncino, filetti di acciughe,
poca cipolla e olio extra vergine d’oliva, unite al soffritto i gamberi
sgusciati, alzate la fiamma e sfumate con vino bianco secco. Intanto
fate un fondo con aglio e lardo, fate soffriggere e unite i ceci
precedentemente cotti, lasciate insaporire, unite un bicchiere di
brodo vegetale e lasciate in ebollizione per circa 5 minuti. Passate
il tutto affinché risulti una crema liscia ed omogenea. Cuocete le
tagliatelle, saltatele in padella con i gamberi e la passatina di ceci.
Guarnite, il tutto, con il prezzemolo fresco.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Bel Vedere
S.S. 74, Km 71 tel. 0564.619249
Casone di PITIGLIANO (GR)
Lenticchie di Onano
con moscardini e polenta (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 300 gr di lenticchie di Onano, 250 gr
di pomodori pelati, 500 gr di moscardini, aglio rosso di Proceno,
sale, peperoncino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Fate soffriggere nell’olio extra vergine di oliva l’aglio
rosso, i moscardini e il peperoncino; aggiungete quindi i pomodori
pelati e fate cuocere a fuoco moderato. A parte lessate le lenticchie
e contemporaneamente preparate le fette di polenta (rafferma!),
non troppo sottili né troppo lunghe, che verranno grigliate al
forno. Unite le lenticchie ai moscardini e lasciate insaporire per
alcuni minuti. Disponete le fette di polenta nella ciotola, versate
lenticchie e moscardini e irrorate con olio extra vergine d’oliva;
lasciando riposare prima di servire.
Le fette di polenta possono essere sostituite con fettine di pane
bruscato.
Zuppa di Lenticchie di Onano
Ingredienti per 4 persone 400 gr di lenticchie di Onano, 300
gr di pomodori pelati, due carote, sedano, cipolla, aglio rosso di
Poceno, una patata dell’Alto Viterbese, pane casereccio raffermo,
sale, peperoncino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Fate un soffritto in olio di oliva con due spicchi
di aglio, cipolla, carote, patata e i pomodori passati, lasciate
insaporire per qualche minuto, quindi aggiungete alcune foglie di
sedano tagliate a pezzi, acqua calda (o brodo di dado) e, a piacere,
sale e peperoncino. Aggiungete le lenticchie e fate bollire a fuoco
medio per circa un’ora rimestando di tanto in tanto. Disponete le
fette di pane “bruscato” nella zuppiera, versate la zuppa e irrorate
con olio extra vergine d’oliva; lasciate riposare prima di servire.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Voltarella
Via Solferino, 25 tel. 0761.422197
valentanO (vt)
Minestra di Ceci del Solco Dritto
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 300 gr di ceci del solco dritto, 200
gr di pasta corta, passata di pomodoro, due spicchi d’aglio rosso di
Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino, due cucchiai di olio
extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata
con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli a bollire con
poca acqua per un paio di ore. Fate un fondo con olio, aglio rosso
tritato, peperoncino e rosmarino, soffriggete e fate insaporire.
Passate il tutto con il colino e versate nella pentola insieme ai
ceci versando l’acqua necessaria per la minestra. A questo punto
aggiungete qualche cucchiaio di passata di pomodoro, fate
insaporire e unite la pasta (preferibilmente ditalini o spaghetti
spezzati).
Zuppa di cicorietta di campo
con Fagioli Secondi
Ingredienti per 4 persone 200 gr di fagioli secondi (o della
stoppia), 200 gr di farro del Pungolo, una cipolletta fresca, 500 gr
di cicorietta di campo, pomodorini, cubetti di pane tostato, sale,
pepe, peperoncino piccante, olio extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Fate soffriggere la cipolletta, possibilmente fresca,
e il peperoncino piccante. Unite al soffritto la cicorietta, precedentemente sbollentata, aggiungete poi i fagioli secondi, già bolliti
in precedenza (senza metterli a bagno!); fate insaporire bene e
completate con i pomodorini lasciando bollire il tutto per alcuni
minuti.
Aggiungete il farro, precedentemente messo a bagno e cotto in acqua bollente fino ad ultimare la cottura. Servite la zuppa ben calda
accompagnata da cubetti di pane tostato.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Voltarella
Via Solferino, 25 tel. 0761.422197
valentanO (vt)
Ceci del Solco Dritto e baccalà
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 800 gr filetti di baccalà, 250 gr di
ceci del solco dritto, passata di pomodoro, due spicchi d’aglio rosso
di Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino, due cucchiai di
olio extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata
con una puntina di bicarbonato e metteteli a bollire con acqua
abbondante per un paio di ore. Mettete a bagno il baccalà per
circa 48 ore, cambiando l’acqua 4 o 5 volte, poi fatelo bollire in
acqua senza sale. Fate un fondo con olio, aglio rosso in camicia,
peperoncino e rosmarino. Aggiungete un po’ di passata di
pomodoro, soffriggete e fate insaporire. Unite il baccalà a pezzi,
fate cuocere una decina di minuti e aggiungete quindi i ceci scolati.
Fate insaporire per una decina di minuti.
Zuppa con i Fagioli Secondi
Ingredienti per 4 persone 300 gr di fagioli secondi di S.
Lorenzo Nuovo, olio extra vergine di oliva di Gradoli, sale, 500 gr
di finocchio selvatico fresco, aglio rosso di Proceno, peperoncino,
400 gr di polpa di pomodoro, pane casereccio raffermo.
Preparazione Scegliete le parti più tenere delle foglioline di
finocchio selvatico fresco, tagliatele a pezzi lunghi un dito e
scottatele per due minuti in acqua bollente. In una pentola mettete
a cuocere i fagioli in acqua salata non abbondante e, a parte, in un
tegame fate un soffritto con olio di oliva e aglio, aggiungendovi la
polpa di pomodoro, il finocchio, il sale, il peperoncino lasciando
insaporire per una decina di minuti a fuoco basso. Versate il soffritto
nella pentola dove stanno cuocendo i fagioli secondi, aggiungendo
acqua calda (o brodo di dado) fino a cottura ultimata. Versate la
zuppa sul pane e lasciatela riposare per qualche minuto. Tenete il
piatto coperto, irrorando poi con olio extra vergine di oliva prima
di iniziare a mangiare.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Piroga
Via Acquapendente, 26 tel. 0763.727837
SAN LORENZO Nuovo (vt)
Coregone del lago di Bolsena
con Fagioli Secondi (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone Quattro coregoni del lago di Bolsena
di circa 250 gr cadauno, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, sale,
pepe, odori mediterranei, 350 gr di fagioli secondi (o della stoppia), una cipolla fresca.
Preparazione Pulite accuratamente i coregoni all’esterno asportando scaglie e pinne; filettate ciascun coregone e condite con
sale, pepe, olio extra vergine d’oliva e odori mediterranei. Cuocete
a piacere sulla brace (piastra o forno) e servite ben caldo. Lessate a
parte i fagioli secondi dopo un lungo ammollo e conditeli con olio
extra vergine di oliva, sale, una puntina di pepe con l’aggiunta di
cipolla fresca tagliata a fettine sottili.
Crostini di Fagioli del Purgatorio
con finocchietto fresco
Ingredienti per 4 persone 200 gr di fagioli del purgatorio, peperoncino, finocchietto fresco, aglio rosso di Proceno, cubetti di pane
tostato, olio extra vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Cuocete i fagioli del purgatorio in acqua fredda senza metterli a bagno. Preparate, a parte, un soffritto con aglio rosso
e peperoncino; unitevi i fagioli con un po’ della loro acqua e fateli
insaporire aggiungendo finocchietto fresco. Servite su pane tostato,
leggermente “agliato”, ed irrorate con olio extra vergine di oliva a
crudo.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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ll Farro
(Triticum spp.)
Il farro, appartenente alla famiglia delle Graminacee, viene
comunemente chiamato frumento “vestito” in quanto
dopo la trebbiatura la cariosside (il seme) risulta ricoperto
degli involucri protettivi (glume e glumelle) che invece, nel
caso del grano, si staccano, da cui il nome frumento “nudo”.
Il farro, quindi, per essere utilizzato, necessita di un processo di pulitura
(sfarratura o sbramatura) per l’eliminazione delle glume e delle glumelle. Si tratta
di un metodo antichissimo che consiste nel molire le spighette con una macina
di pietra in modo da provocare la rottura ed il distacco delle varie parti. Con i
chicchi interi del farro si preparano zuppe e minestre, con la semola pane, pasta
o dolci.
Il farro, per la sua elevata digeribilità e contenuto in vitamine, è sempre più
apprezzato per soddisfare le esigenze crescenti di un’alimentazione “sana” e
“naturale”. In Italia si coltivano tre specie: farro piccolo (Triticum monococcum),
farro medio (Triticum dicoccum Schluber) e farro grande o spelta (Triticum
Spelta L.), attualmente però sono quasi in disuso il farro piccolo e quello
spelta.
Si tratta di piante molto antiche; secondo alcuni reperti archeologici provenienti
dalla Mesopotamia e dall’antico Egitto la coltivazione risalirebbe a circa
8000/7000 anni a.C.
La pianta ha avuto origine in Medio Oriente: Mesopotamia, Siria, Palestina
(zona del Mar Morto) ed Egitto. Gradualmente si è poi diffusa in Asia Minore e
nell’area del Mediterraneo.
Procedendo nel tempo se ne trova notizia in numerosi testi siriani e in diverse
pergamene risalenti all’epoca dei Faraoni. Era proprio in Egitto infatti che si
concentravano le più grandi produzioni di Farro di quel tempo, largamente
esportato poi in buona parte del bacino mediterraneo. In Grecia il farro era noto
fin dal III millennio a.C. In Europa la coltivazione si affermò a Nord seguendo il
corso del Danubio e a Sud verso le isole del Mediterraneo. Nell’età classica era
conosciuto con il nome “corno oliria o chondros (per la farina bianchissima)”.
Di esso si hanno notizie in Erodoto (V secolo a.C.), Aristotele (IV secolo a.C.) e
Galeno (II secolo d.C.).
In Italia si è affermato soprattutto nelle colonie greche della Magna Grecia e
della Sicilia nel secolo IV a.C. diffondendosi rapidamente nell’intera Penisola.
Per parecchi secoli la coltura fu largamente praticata (Plinio chiama il farro
“primus antiquis latio cibus”) poiché tale cereale costituiva la base della dieta
degli antichi Romani.
Durante l’Impero Romano il farro era dato quale ricompensa agli eroi e come
simbolo di onore e di gloria, fu anche utilizzato in riti di propiziazione (soprattutto
dalle Vestali). Durante le annate di carestia, per sopperire alla penuria di cereali
necessari al vettovagliamento degli eserciti, il farro veniva importato dalle
province d’Oltralpe, soprattutto dalla Gallia, ove si producevano piante con
cariossidi lucide e di maggiori dimensioni. La sua ottima adattabilità ad ogni tipo
farro del pungolo
di acquapendente
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
di terreno e temperatura ne ha fatto un cereale largamente diffuso fino alla
metà del secolo scorso.
Attualmente è coltivato in alcune regioni del nord Europa (Belgio, Svizzera,
Austria e Germania). In Italia, fino a pochi anni fa, la coltivazione era limitata
ad alcune zone della dorsale appenninica, soprattutto ad aree di alta collina o
montagna, essendo stato soppiantato da cereali di più alta produttività.
Oggi il farro è ritornato ad essere coltivato in modo piuttosto consistente
soprattutto nel centro Italia, sposando perfettamente l’idea dell’agricoltura
biologica. Le sue caratteristiche di rusticità e capacità di accestimento,
unitamente alle ottime caratteristiche organolettiche e nutrizionali, lo rendono,
infatti, estremamente competitivo in regime di agricoltura biologica sia in
termini economici che in termini agronomici.
Tecnica di coltivazione
Nel dettaglio le tecniche di coltivazione prevedono un lavoro preparatorio,
consistente in un’aratura a 30-40 cm di profondità, e successivi interventi di
erpicatura finalizzati all’eliminazione delle infestanti e alla creazione di un ideale
letto di semina.
La semina, effettuata anche con seminatrici meccaniche normalmente utilizzate
per i cereali, è piuttosto tardiva (dicembre-gennaio) e prevede un impiego di
circa 200 kg. per ettaro di seme; vengono poi eseguiti successivi interventi
meccanici (erpice strigliatore) per la lotta alle erbe infestanti.
La raccolta è effettuata con la mietitrebbia ed è tempestivamente seguita dal lavoro
di ripulitura delle cariossidi, prima dell’avvio del prodotto al confezionamento.
Pensiamo alla salute…
Il farro è particolarmente ricco di oligo-elementi come il ferro (utile per la
sintesi dell’emoglobina) e il manganese (regolatore del metabolismo degli
zuccheri, dei grassi, delle proteine e del funzionamento di fegato e reni).
Si consiglia l’uso costante del farro integrale (sia in fiocchi, farina o pasta)
per la prevenzione di tutti i problemi dell’apparato digerente. Nutrirsi con
questo cereale aiuta infatti a prevenire i tumori intestinali che derivano dal
ristagno nell’intestino di sostanze tossiche, assunte con gli alimenti. Va da sé
che la sua ricchezza di fibre lo rende un alimento utilissimo per combattere
la stitichezza.
IL FARRO DEL PUNGOLO
DI ACQUAPENDENTE
Il Farro del Pungolo di Acquapendente viene coltivato in un’area ristretta,
da poche aziende della zona, tutte ubicate nel territorio della Comunità
Montana.
Ad essere coltivata è una varietà locale seminata da tempo immemorabile,
più recentemente sono state introdotte alcune nuove varietà di provenienza
diversa al fine di valutarne la resa e l’adattamento alle condizioni locali e le
caratteristiche organolettiche.
Il prodotto che si ottiene localmente assume specifiche peculiarità determinate
dalle condizioni pedoclimatiche dell’area e dalle tecniche di coltivazione che
prevedono nulli o limitatissimi apporti di fertilizzanti.
I terreni sui quali meglio si esalta questa coltura sono profondi, privi di
scheletro, di media tessitura, a reazione neutra o subacida e di media
permeabilità. Corrispondono quindi perfettamente a quelli in cui attualmente
tale coltura è praticata, ubicati a circa 450 metri s.l.m., caratterizzati da
precipitazioni annue che si aggirano tra gli 800 ed i 900 mm.
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Il logo del Farro del Pungolo di Acquapendente (illustrazione di C. Goretti - Graphisphaera).
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aneddoti e curiosità
I Pugnaloni di Acquapendente, stupendi mosaici di petali di fiori e foglie,
sono il principale elemento folcloristico della festa della Madonna del
Fiore. L’origine di questa festa si fa
risalire ad uno degli episodi principali
della storia di Acquapendente: la liberazione, nel lontano 1166, dal giogo
del tirannico governatore di Federico I
Barbarossa. La fioritura miracolosa di
un ciliegio ormai secco, preso a simbolo di oppressione dagli aquesiani, fu il
segnale della protezione della Madonna. Il popolo insorse e cacciò il dominatore distruggendo il suo castello. A
ricordo della sospirata liberazione la
comunità decretò di fare una grande
festa, ogni anno, a metà maggio.
Oggi a più di otto secoli della sua origine si celebra la festa di Mezzomaggio
in onore della Madonna del Fiore e il
tema dell’antica liberazione è ricordato nei pugnaloni che, pur con i modi
e gli stimoli del XXI secolo, vogliono
rappresentare la libertà contro ogni
forma di oppressione.
Antenati degli attuali pugnaloni erano
i “pungoli” (antichi arnesi agricoli)
ornati di fiori che i contadini usavano
portare nella processione a seguito
della statua della Madonna del Fiore.
La fantasia aquesiana li ha elaborati
e col passare dei secoli sono nati gli
odierni pugnaloni.
in pillole
•
Gli antichi Romani usavano il farro nei cerimoniali e come offerta
religiosa. Alle divinità contadine
si offriva la “mola salsa” ovvero
farro in chicchi o farina di farro
miscelata con acqua e sale. Il solo
farro, invece, si offriva a Ceres,
personificazione della forza generatrice della terra, durante il periodo della semina ovvero delle
“feriae sementivae”.
•
Le spose romane portavano in
dono al loro sposo un dolce o
del pane di farro da consumare insieme. Da questo gesto trae
origine la parola “confarreatio”
ovvero unione. La “confarreatio”
era per i Romani una delle tre
forme legali di matrimonio insieme con la “coemptio” (una sorta di compravendita) e l’”usus”.
Nella “confarreatio” la sposa in
casa dello sposo offriva una focaccia di farro a Giove e recitava
parole sacramentali davanti a 10
testimoni, al pontefice e al flamine di Giove.
•
Sempre i Romani durante la festa
che chiamavano “Fornacalia” in
onore di Fornax, divinità domestica dea del forno, arrostivano il
farro per liberarlo dalle glumelle
che aderiscono al chicco. Si diffuse così la pratica di tostare il
farro per preparare il “puls”, una
polenta di farro di uso comune,
pasto principale della povera
gente e il “libum”, una focaccia
fatta con farina di farro, latte e
miele da offrire agli dei.
•
Santa Ildegarda Di Bingen affermava che: “Il farro è il migliore
dei cereali... sostanzioso ma più
facilmente digeribile rispetto
agli altri. A chi lo mangia dona
una giusta struttura muscolare e
buon sangue. L’anima si rallegra
e si riempie di serenità”.
•
Caduto in oblio nell’era moderna
è stato riscoperto per le sue grandi qualità nutrizionali. Possiede
un alto contenuto di proteine vegetali e vitamine B, D, E, K, PP
e la provitamina A, oltre a fibre
e sali minerali. Inoltre, per il basso contenuto in grassi e calorie,
se ne consiglia l’assunzione nelle
diete ipocaloriche.
Gli attuali Pugnaloni, mosaici di petali di fiori e di foglie (foto C. Goretti Graphisphaera).
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ACQUAPEnDEnte
Sulle origini di Acquapendente non esistono notizie certe. Si ipotizza che qui
anticamente sorgesse un centro etrusco, successivamente abitato dai romani
e poi invaso e distrutto dalla furia dei longobardi. Dall’analisi documentaria,
si rintraccia, invece, una più probabile nascita del nucleo urbano originato da
un “Vico” di nome Arisa, formatosi tra il IX e X secolo lungo la via Francigena.
Con la donazione da parte di Matilde di Canossa di tutti i suoi beni alla Chiesa,
Acquapendente entrò a far parte del Patrimonio di San Pietro e fu posta sotto
la diocesi di Orvieto. Il XIII secolo vide un susseguirsi di conflitti tra Papato ed
Impero e tra Acquapendente ed Orvieto. Con il ritorno del Papa a Roma, dopo
l’esilio ad Avignone, Acquapendente riacquistò i propri diritti di autogoverno. La
città conobbe ancora periodi difficili, aggravati da nuovi conflitti nel 1641, con
l’inizio della guerra di Castro, allorché Acquapendente fu dapprima saccheggiata delle truppe di Odoardo Farnese e successivamente dall’esercito del Papa.
Dopo la pace stipulata tra Odoardo Farnese e Papa Urbano VIII la disputa riprese
nel 1644 con il nuovo Papa Innocenzo X che ordinò l’assedio e la distruzione
della città di Castro. A seguito di questo evento la sede vescovile fu trasferita
ad Acquapendente e la basilica del Santo Sepolcro divenne cattedrale. Dopo la
rivoluzione francese Acquapendente fu una tra le prime città ad instaurare un
ordinamento repubblicano che rimase in atto fino al termine della Repubblica
Romana nel 1799.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Viaggio nella civiltà
contadina e artigiana
3° fine settimana di agosto
La “trebbia a fermo”... d’altri tempi (elaborazione grafica C. Goretti - Graphisphaera).
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Ripetta
Via Roma, 38 tel. 0761.456817
GRADOLI (VT)
Panzanella di Farro del Pungolo e filetti
di Coregone del lago di Bolsena (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 200 gr di farro del pungolo, filetti di
coregone del lago di Bolsena, cubetti di pane tostato, pomodorini,
cipolla, sedano, basilico, sale, pepe, prezzemolo, lattuga, olio extra
vergine d’oliva di Gradoli.
Preparazione Mettete a bruscare il pane tagliato a cubetti, condite
con sedano, pomodorini, cipolla, basilico, lattuga e olio extra
vergine d’oliva, aggiungete il farro del pungolo precedentemente
messo in ammollo e bollito. Amalgamate il tutto e disponetelo su
un vassoio di portata. Aggiungete i filetti di persico sbollentati e
condite leggermente con olio extra vergine d’oliva e prezzemolo.
Minestra di Farro del Pungolo
e Fagioli secondi
Ingredienti per 4 persone 200 gr di farro del pungolo, 300 gr
di fagioli secondi, 50 gr di cotenna di prosciutto accuratamente
pulita, una costola di sedano, cipolla, aglio rosso di Proceno,
qualche foglia di salvia, un rametto di rosmarino, 200 gr di polpa
di pomodoro, noce moscata, un pizzico di cannella, tre chiodi di
garofano, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, qualche chicco di
pepe, sale.
Preparazione Bollite i fagioli secondi con due cucchiai di olio, due
spicchi di aglio, il rosmarino, la salvia e i chicchi di pepe. Passatene
la metà al passaverdure e tenete da parte il resto, acqua di cottura
compresa. Fate un soffritto con il sedano, uno spicchio di aglio e
la cipolla, aggiungete i fagioli della stoppia lessati, passati e non,
il pomodoro, il farro del pungolo e le cotenne. Cuocete a fuoco
lentissimo per circa quaranta minuti, aggiungendo acqua bastante a
raggiungere una consistenza cremosa della minestra. Insaporite con
sale e pepe, speziando leggermente il piatto con la cannella, la noce
moscata e i chiodi di garofano. Servite in piatti fondi individuali, con
un filo di olio a crudo.
In questa ricetta si ama seguire la tradizione medievale delle
spezie, che rende la minestra più intrigante, dal gusto insolito e
piacevolmente aromatico.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Al Pugnalone
Via P. A. Salimbeni tel. 0763.711252
ACQUAPENDENTE (VT)
Timballino di Farro del Pungolo al vino rosso
di Monte Rufeno e tartufo nero su passatina
di Fagioli del Purgatorio (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 400 gr di farro del Pungolo, un
bicchiere di vino rosso di Monte Rufeno, 200 gr di porri, 200 gr
di fagioli del Purgatorio, rosmarino, quattro gamberi, 100 gr di
pecorino, brodo vegetale, sale e pepe, olio extra vergine di oliva di
Gradoli.
Preparazione Tagliate i porri a fettine sottili e fateli appassire in un
tegame con un bicchierino d’olio extra vergine una volta appassiti
metteteli da parte. Nello stesso tegame fate tostare il farro e cuocetelo
a mo’ di risotto, aggiungendo poco alla volta il brodo, togliete dal
fuoco ed aggiungete il formaggio, il tartufo nero e metteteli in 4
stampini, attendete qualche minuto e capovolgeteli sulla passatina
di fagioli, guarnite con timo, gambero e olio extra vergine di oliva.
Per la passatina di fagioli: lessate i fagioli con un rametto di
rosmarino; toglietelo e passate il tutto al mixer. Per il brodo: un litro
di acqua, una carota, una cipolla, sedano, due pomodori, mezzo litro
di vino rosso, le teste dei gamberi, un dado, pepe nero a grani.
Minestra di Farro del Pungolo
e Lenticchie di Onano
Ingredienti per 4 persone 200 gr farro del pungolo, 350 gr
lenticchie di Onano, grasso di maiale, aglio rosso di Proceno, cipolla,
olio extra vergine di oliva di Gradoli, sale, pomodoro, sedano, carota,
pepe (pecorino).
Preparazione Fate un battuto con grasso di maiale (pancetta), cipolla,
aglio, prezzemolo, carota e sedano e mettetelo a soffriggere in un
tegame con olio di oliva; poco dopo aggiungete i pomodori passati,
acqua calda o brodo o acqua delle lenticchie e lasciate cuocere per
15 minuti. Unitevi il farro ammollato precedentemente, insieme con
l’acqua delle lenticchie e continuate la cottura. Le lenticchie, cotte a
parte, andranno aggiunte al farro a metà cottura, insieme con qualche
cucchiaiata di lenticchie passate al passatutto, in modo da ottenere
un brodo più denso. Servite la minestra calda, irrorandola sul piatto
singolo con olio extra vergine di oliva. Al posto dell’olio, secondo i
gusti, si può aggiungere del pecorino grattugiato.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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RICETTA ELABORATA DA:
Osteria La Quintaluna
Via Grotte d’Ambrogio, 1 tel. 0763.732142
Acquapendente (VT)
Coda alla vaccinara su passatina di Ceci del
Solco Dritto e polentina gialla con Farro del
Pungolo ai porcini di Monte Rufeno (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone Per la coda: tre code di vitello, quattro coste di sedano, mezza cipolla, due carote, olio extra vergine di
oliva di Gradoli, sale, pepe, pomodoro passato.
Per la passatina: 200 gr di ceci del solco dritto, uno spicchio d’aglio
rosso di Proceno, una fetta di lardo, un rametto di rosmarino.
Per il farrotto: 200 gr di funghi porcini di Monte Rufeno, 300 gr
di farro del pungolo (da mettere per 24 ore a bagno), aglio rosso di Proceno, cipolla, brodo vegetale q.b., burro, parmigiano,
peperoncino.
Preparazione Tagliate a julienne piuttosto grande tutti gli odori, fateli andare a fuoco vivo, aggiungete le code, (precedentemente tagliate a pezzi), fate rosolare, sfumate con vino rosso e
aggiungete la passata di pomodoro e cuocete il tutto per circa
due ore e mezza. Cuocete i ceci precedentemente messi a bagno
per 24 ore. Una volta cotti fate un soffritto con aglio, rosmarino
e lardo, aggiungete i ceci, fate insaporire per circa 15 minuti e
passateli al setaccio. Fate il soffritto con cipolla aglio, olio e peperoncino, aggiungete i porcini tagliati a lamelle e fate cuocere
per circa 10 minuti. Aggiungete il farro e procedete con la cottura aggiungendo il brodo vegetale affinché il farro non risulterà
cotto. Mantecate con il burro e guarnite con prezzemolo fresco.
Impiattate, accompagnando il tutto, con qualche cucchiaio di
polentina gialla cremosa.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
La Patata
(Solanum tuberosum)
patata
dell’alto viterbese
(grotte di castro)
La patata è una pianta diffusa in tutto il
mondo ed in alcune popolazioni rappresenta l’alimento base sostituendo, a volte,
anche il pane. Le proprietà nutrizionali della patata sono molto interessanti in quanto
molto ricca di vitamina C, di amido e di sostanze minerali come fosforo, ferro e magnesio. Alcuni credono che le patate siano molto
caloriche, tuttavia questo non corrisponde al vero.
Cento grammi di patate forniscono circa 80 calorie e
nello stesso tempo danno senso di sazietà. Duecento grammi di
patate corrispondono a circa 50 grammi di pasta o a 75 grammi di pane. Per le
sue proprietà, la patata è un alimento facilmente digeribile, adatto ai diabetici, a
chi è in sovrappeso, a coloro i quali soffrono di insufficienza renale, gotta e ipertensione, per il suo basso contenuto di sodio. Ciò che rende le patate caloriche
e meno digeribili sono in realtà i condimenti usati nella preparazione delle varie
pietanze che la vedono protagonista: questo tubero, infatti, è caratterizzato da
un’alta capacità di assorbire i grassi utilizzati per la cottura. A titolo di esempio
le patate bollite con aggiunta di poco sale possono sostituire il pane nella dieta
mentre le patate fritte, poiché tendono a impregnarsi di grassi e di olio durante
la cottura, sono decisamente sconsigliate a chi segue una dieta ipocalorica.
è un prodotto interessante oltre che per il consumo fresco anche per
l’industria alimentare, più precisamente per la produzione di fecola, amido,
destrina, glucosio, oltre che la per distillazione. Trova largo impiego anche
nell’alimentazione zootecnica.
La pianta coltivata appartiene alla specie Solanum tuberosum. Di questo
genere si conoscono circa 160 specie spontanee, di cui 20 in grado di
tuberificare.
Sulla provenienza geografica della patata vi sono due opinioni: alcuni affermano
che sia originaria delle regioni andine del Centro-Sud America ed in particolare
in Venezuela, Colombia, Ecuador; alcuni botanici russi sostengono invece che
l’origine sia da ricercare in Perù o in Bolivia, nei pressi del Lago Titicaca, dove
è stato trovato il più alto numero di specie spontanee di questo tubero.
Pensiamo alla salute…
Sembra che la patata sia un ottimo rimedio per diminuire i dolori nevralgici.
Basta applicare sulla parte dolorante una patata cotta al forno e mantenerla,
con l’aiuto di una benda di cotone, a contatto con la parte infiammata per una
quindicina di minuti.
Una patata tagliata a metà e posta su una scottatura calma il dolore!
Le patate che diventano verdi contengono sostanze naturali tossiche, per questo
motivo è assolutamente indispensabile, in questi casi, pelare in profondità o
meglio ancora gettare via il prodotto “inverdito”.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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LA PATATA
DELL’ALTO VITERBESE
Denominazione e informazioni sul prodotto
La Patata dell’Alto Viterbese, destinata prevalentemente al consumo fresco,
viene prodotta nella zona ad Ovest del Lago di Bolsena, all’interno dei comuni
di Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo, Gradoli, Latera, Bolsena, Onano e
Valentano.
La coltivazione, preponderante nel territorio di Grotte di Castro, vanta
nell’area un’antica tradizione anche se la sua maggiore diffusione si è registrata negli ultimi 30 anni quando, a causa del forzato abbandono della
coltivazione della fragola, determinato da insorgenze fitopatologiche, gli
agricoltori hanno cercato una coltura da reddito sostitutiva. Nel corso del
tempo la coltivazione della patata ha avuto un andamento altalenante sia in
termini di superfici investite sia di produzioni, ma da diversi anni si sta assistendo ad un moderato incremento, anche grazie alle attività di assistenza
tecnica e di controllo della qualità, nonché alla dotazione di impianti di conservazione e confezionamento, realizzati da vari soggetti del territorio.
La Patata dell’Alto Viterbese trova in questo areale le condizioni ideali di
sviluppo e grazie alla sua naturale predilezione per i terreni sciolti d’origine vulcanica, permeabili, poveri di calcare, ricchi in elementi nutritivi ed
in particolar modo di potassio, ottiene alte rese produttive unitamente ad
elevati standard qualitativi.
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Il prodotto è un tubero di forma e pezzatura regolare, ovale o allungata, con
buccia liscia ed occhi (gemme) superficiali.
Grotte di Castro, 1968 - Lo sciopero delle patate (2000, Avvenimenti, tradizioni ed immagini di Grotte di
Castro, A. Marziantonio).
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Una raccolta di patate d’altri tempi (2000, Avvenimenti, tradizioni ed immagini di Grotte di Castro, A.
Marziantonio).
La parte edule consiste in una pasta gialla di colore chiaro, con notevole
contenuto d’amido, di potassio e di vitamina C, anche se per alcune varietà
la pasta può essere bianca o anche rossa. Il sapore è gradevole e bilanciato,
per cui si presta ottimamente al consumo fresco.
La sua naturale posizione all’interno di una rotazione (almeno biennale) è
quella del rinnovo, avvicendata a cereali o a colture da sovescio (trifoglio
incarnato, favetta ecc.).
Questo accorgimento può limitare notevolmente gli attacchi parassitari ed
i sintomi di sofferenza da “stanchezza” del terreno. Nel territorio dell’Alta
Tuscia la coltivazione si svolge, di solito, in aziende a conduzione familiare di 2-3 ettari. Le varietà maggiormente utilizzate dagli agricoltori sono
Agata, Monalisa, Liseta, Cicero Vivaldi e Caesar. Nell’ambito della tecnica
di coltivazione, la preparazione del terreno, la concimazione di fondo, l’irrigazione e la geodisinfestazione risultano fondamentali per la qualità del
prodotto.
Dopo la raccolta, effettuata a completa maturazione e cioè quando il fogliame è completamente ingiallito o disseccato, il prodotto è movimentato e
conferito agli stabilimenti nei quali si svolgono la pulizia, il lavaggio, l’asciugatura e la selezione; dopodiché il prodotto può essere confezionato per essere avviato ai mercati oppure conservato in celle frigorifere (condizionamento
a 6- 8°C con U.R. all’88-93%).
67
aneddoti e curiosità
Patata, cibo popolare Colombo
nei suoi viaggi oltremare non incontrò
personalmente la patata. Venne invece scoperta dagli spagnoli di Pizarro,
sulla Cordigliera Andina, solo a metà
Cinquecento. I primi europei che la
degustarono ne rassomigliavano il gusto a quello della castagna. Quando
nel 1565, Filippo II di Spagna inviò al
papa un certo quantitativo di patate,
queste vennero addirittura scambiate
per un genere di tartufi dal sapore
disgustoso. Sempre in quel periodo,
non vennero comprese le qualità nutrizionali del tubero, ritenendo che
la sua parte commestibile fossero le
foglie. Giudicato un alimento malsano (la pianta contiene solanina),
l’apostrofarono come cibo “capace
di provocare effetti allucinogeni e di
dare alle streghe il potere di volare”.
Per l’introduzione della patata negli usi alimentari europei bisognerà
attendere il Settecento, quando carestie e guerre, assieme ad una capillare propaganda fatta dai poteri pubblici, fecero accogliere nei campi e
sulle tavole il “tartufo bianco”, nome
con il quale era indicata la patata.
Il tubero incontrò colui che l’avrebbe portato fuori dall’ambito militare, durante la guerra dei Setti anni
(1756-1763), dove erano protagonisti
anche gli eserciti prussiani e francesi.
Si trattava del farmacista ed agronomo francese Parmentier AntoineAugustin, che durante la prigionia
in Germania ne apprezzò il sapore,
constatando la sua facilità di crescita in terreni relativamente poveri.
Tornato in patria, qualche anno dopo
Parmentier propose la “pomme de
terre” (patata) ad un premio per nuovi
cibi contro la carestia, presentando il
tubero come un pane già fatto che non
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richiedeva ne mugnaio ne fornaio.
L’alimento suscitò grande interesse e fu così che, dopo la spaventosa
carestia del 1785, Luigi XVI impartì
l’ordine ai nobili di obbligare i propri contadini a coltivare la patata.
I risultati non furono quelli sperati, perciò su consiglio di Parmentier, che orgogliosamente adornava
il suo panciotto col fiore azzurro
dalla pianta, il sovrano decise di
dare seguito ad uno stratagemma.
Si cominciò facendo coltivare delle
patate al Campo di Marte, in un terreno guardato a vista dai soldati reali,
per poi spargere la voce che lì si produceva una preziosità riservata al re.
La cupidigia fece il suo corso. In molti si trasformarono in ladruncoli pur
d’impossessarsi dei frutti proibiti, e,
durante la rivoluzione del 1789, la
patata era già un cibo popolare.
In Italia il percorso di questo tubero
fu altrettanto difficile, tanto che gli
agronomi del Settecento come Giovanni Battarra, arrivarono a consigliarne l’uso per farne un surrogato
della farina di grano nella preparazione del pane, per utilizzarlo nell’impasto degli gnocchi, per consumarlo alla
stregua delle più tradizionali rape.
All’inizio dell’ottocento la “plebea”
patata trovò la sua consacrazione
anche nella Haute Cuisine con le
crocchette ideate da Antoin Caréme .
Risale allo stesso periodo la definitiva
diffusione del tubero in Italia ed uno
dei suoi principali estimatori sembrerebbe sia stato Alessandro Volta.
Ancora oggi all’illustre agronomo
Parmentier sono intitolate molte ricette in cui le patate figurano come
elemento centrale o guarnizione predominante.
in pillole
•
Dalle povere mense contadine
alle prestigiose sale dei musei: è
il percorso compiuto dalla patata
grazie all’arte dei pittori che, nel
corso dei secoli, ne hanno fatto
la protagonista principale dei
loro dipinti. Il primo «ritratto»
ufficiale della patata risale alla
fine del 1500: un acquerello,
oggi conservato al museo Plantin di Anversa, di cui un botanico olandese dell’epo­ca, Charles
de Lécluse, si servì per redigere
la prima descrizione scientifica
dello sconosciuto alimento. Ma
il dipinto più famoso lo si deve
senza dubbio a Vincent Van
Gogh (vedi foto in basso); nella
tela «I mangiatori di patate» ha
ritratto una cena contadina dove
l’umile tubero diventa il simbolo
della triste condizione dei lavoratori della terra. Dal 1885, si
trova al museo Van Gogh di Amsterdam.
•
I colori della patata Esistono
diverse varietà di patate, tuttavia
possono essere classificate genericamente nelle seguenti categorie, tutte normalmente reperibili
in commercio. Patate a pasta
gialla - (Olandesi) il colore deriva dalla presenza di caroteni, la
polpa si presenta ben compatta
e sono apprezzate per la cottura
al forno, per essere fritte sia a
livello industriale sia a livello casalingo, e nella preparazione di
insalate. Patate a pasta bianca: hanno una polpa chiara, farinosa che si sgretola facilmente
durante la cottura, ideali nella
preparazione di gnocchi e purè.
Non sono adatte per essere fritte
poiché essendo asciutte assorbono troppo olio e grassi. Patate
novelle: sono raccolte quando la
maturazione non è ancora totalmente completata e si riconoscono per la buccia sottile. L’ideale
è mangiarle dopo averle bollite
con la buccia. Poiché le loro qualità si deperiscono con il tempo,
non sono adatte per la conservazione e vanno consumate prima
possibile. Patate a buccia rossa: (King Edwards) caratterizzate dalla polpa soda, sono indicate nelle cotture intense, quali
al cartoccio, al forno e fritte. Il
gusto delle patate a buccia rossa
dipende molto dalla qualità del
terreno nel quale sono coltivate. Patata americana: detta
anche “patata dolce” o “batata”,
dalla buccia rossa, viola o bianca
e dal tipico sapore dolciastro.
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Grotte di castro
Grotte di Castro è un caratteristico centro di origine etrusca, situato nei pressi
del lago di Bolsena in buona posizione panoramica con vista sul lago. Il primo insediamento etrusco, Tiro, chiamato anche “Civita”, fu distrutto dai colpi
dell’espansionismo romano, ma fu solo con l’invasione longobarda che l’altura
della “Civita” venne abbandonata. I suoi abitanti si trasferirono su una rupe
tufacea meno estesa ma più facilmente difendibile e furono costretti a trovare
rifugio nelle grotte scavate nel tufo di cui la zona è ricca. Di qui il primitivo nome
del paese: Castrum Criptarum, vale a dire “Castello delle Grotte”. Nel 774, grazie
alla donazione della Tuscia al Papato da parte di Carlo Magno, il territorio delle
Grotte entrò a far parte del patrimonio di San Pietro. Papa Paolo III Farnese,
la acquistò per includerla nel Ducato di Castro ed affidarla al figlio Pier Luigi.
Quando nel 1649 Castro venne distrutta, Grotte passò di nuovo al patrimonio
della Chiesa da cui si affrancò soltanto nel 1870 con l’Unità d’Italia.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra della PATATA
Settimana di Ferragosto
Locandina della “Sagra delle Patate” di Grotte di Castro.
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SAN LORENZO NUOVO
Fu interamente costruito nel 1774 per ordine di Papa Pio VI Braschi, in sostituzione del vecchio paese, le cui rovine sono tuttora visibili più a valle. San
Lorenzo Vecchio, noto come San Lorenzo alle Grotte, era posto su un colle di
tufo soggetto a gravi fenomeni di erosione per il cattivo drenaggio delle acque
meteoriche; non meno importante a determinare lesioni del paese era l’aria
malsana, che nasceva dalla vicina zona paludosa dove avveniva la macerazione
della canapa. A nulla valsero i tentativi di sanare il paese. La necessità di offrire
una sistemazione alla popolazione in ambiente salubre si inserì nel programma
dello Stato Pontificio, e sotto la spinta del Cardinale Braschi, divenuto in seguito Papa Pio VI, si realizzò la costruzione ex novo di San Lorenzo. Il progetto di
costruzione del nuovo San Lorenzo, dopo un primo avanzamento dei lavori fu
abbandonato ed i lavori sospesi. Questi furono ripresi ancora sotto la guida di
Pio VI con un progetto più moderno dell’Ing. Navone. San Lorenzo Nuovo, grazie
al progetto del Navone, si distingue da tutti gli altri centri vicini per il taglio
architettonico moderno, la simmetria delle vie e l’ampiezza delle piazze e degli
spazi a disposizione.
Gli antichissimi gnocchi
Probabilmente lo gnocco è la prima forma di pasta usata
dall’uomo. Risulta infatti spontaneo mescolare a freddo
un po’ di farina, con poca acqua, farne delle palline e
cuocerle in acqua bollente. Gnocco è un termine longobardo (knohha, cioè nodo, nocca), d’epoca medioevale,
esso definisce qualunque impasto di forma tondeggiante.
Nei secoli passati e anche oggi in alcune zone, la parola
gnocco è sinonimo di maccherone. Nel XIV sec. il Boccaccio,
quando nel Decamerone parla di: “maccheroni che rotolavano a valle di una montagna di formaggio grattugiato”, alludeva con ogni probabilità a una sorta di gnocchi.
I primi erano a base di farina o di semolino, quelli con
patate o mais vengono in uso solo verso verso la fine del
‘700. Con il passare del tempo la dimensione degli gnocchi
si è andata riducendo: da gnocchi grossi come uova si è
arrivati a gnocchetti piccolissimi a forma di conchigliette, arricciolati su se stessi per trattenere il condimento.
Questo tipo di pasta si può trovare in numerose regioni
d’Italia: canederli in Trentino, knodeln in Alto Adige,
gnocchi cotti a vapore in Friuli Venezia Giulia, gnocchi di patate in Veneto, gnocchi alla bava in Piemonte,
gnocchi alla lariana a Como, maccheroni di patate in
Romagna, gnocchi alla romana nel Lazio.
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SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra degli gnocchi
Settimana di Ferragosto
Sagra degli Gnocchi nella piazza centrale (foto L. B. Studio - San Lorenzo Nuovo).
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Ripetta
Via Roma, 38 tel. 0761.456817
GRADOLI (VT)
Ravioli di baccalà
e Patate dell’Alto Viterbese
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 200 gr di patate dell’Alto Viterbese,
100 gr di baccalà, quattro uova, 200 gr di farina, latte, parmigiano
reggiano, cipollette, pomodorini, basilico.
Preparazione Mettete a bagno il baccalà per circa 48 ore,
cambiando l’acqua 4 o 5 volte. Preparate l’impasto di uova e farina.
Farcitura Fate bollite il baccalà in acqua senza sale insieme alle
patate; quindi frullate ed amalgamate il tutto con un po’ di latte e
parmigiano. Stendete la pasta, riempitela e ricavatene dei ravioli
con degli stampini a forma rotonda. Fate cuocere in acqua bollente
i ravioli e condite con un sugo leggero a base di pomodorini,
cipollette e basilico spadellando leggermente.
Pasta e Patate dell’Alto Viterbese
Ingredienti per 4 persone 400 gr di patate dell’Alto Viterbese,
250 gr di anellini rigati, cipolla, carota, basilico, sedano, 200 gr di
pomodori, pecorino (facoltativo), 100 gr di guanciale o pancetta di
maiale, olio extra vergine di oliva di Gradoli.
Preparazione Fate un battuto con il guanciale e tutti gli odori
(sedano, carota, cipolla, basilico) e mettetelo a soffriggere in un
tegame contenente due cucchiai di olio extra vergine di oliva; quindi
aggiungetevi le patate tagliate a tocchetti, altre foglie di sedano a
pezzetti, il sale ed una quantità di acqua o brodo di dado sufficiente
a cuocere la minestra. Durante la cottura aggiungete uno o due
pomodori passati, lasciate insaporire ancora il brodo e verso la fine
unitevi la pasta, completando la cottura.
Facoltativa l’aggiunta di pecorino grattugiato.
Questa era una delle minestre più semplici e più comuni
della cucina contadina di un tempo; “mangiare pasta e
patate” significava appunto nutrirsi di un cibo povero per
antonomasia.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Le Grotte
Via V. Veneto, tel. 0763.796197
GrOTTE DI CASTRO (VT)
Patate dell’Alto Viterbese
“alla ghiotta” (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone Quattro patate dell’Alto Viterbese di
media grandezza, dieci fette di pancetta, olio extra vergine d’oliva
di Gradoli, sale.
Preparazione Le patate, lavate ed asciugate, vanno messe senza
alcun condimento sulla piastra del forno ben caldo in modo che
assumano il sapore veramente unico della “patate cotte nella
cenere”. Nel frattempo prendete dieci fette di pancetta tagliata fine
(già condita e un po’ secca!), mettete sulla griglia giusto il tempo
di far friggere il grasso della stessa. Ultimata la cottura, spaccate la
patate a metà nel senso della lunghezza o, se preferite, tagliatele
a grosse fette; adagiatele su un piatto di portata, aggiungete un
pizzico di sale e disponetevi sopra la pancetta. Servite il tutto ben
caldo irrorando con un po’ di olio extra vergine di oliva.
Spuntature di maiale in umido con purea
di Patate dell’Alto Viterbese
Ingredienti per 4 persone 500 gr di costarelle di maiale, 300 gr
di patate dell’Alto Viterbese, peperoncino, passata di pomodoro,
latte, parmigiano reggiano, cipolla.
Preparazione Tagliate le costarelle di maiale in tre parti, mettetele
poi a cuocere a fuoco lento in un soffritto di cipolla e peperoncino.
Appena dorate aggiungete un po’ di passata di pomodoro e fate
bollire il tutto. A parte portate ad ebollizione e passate le patate;
condite con parmigiano reggiano e latte, ottenendo una purea che
viene impiattata con le costarelle e il proprio sugo.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Le Grotte
Via V. Veneto, tel. 0763.796197
GrOTTE DI CASTRO (VT)
Gnocchi al ragù
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 1,5 kg di patate dell’Alto Viterbese
a pasta gialla, 300 gr di farina, 0,5 kg di pomodori pelati, una cipolla, aglio rosso di Proceno, 300 gr di macinato misto (manzo e
maiale), 100 gr di pecorino romano, mezzo bicchiere di vino rosso
secco.
Preparazione degli gnocchi Fate cuocere le patate con tutta la
buccia, e un pò di sale (non molto!). Quando le patate sono tenere
e ben bollite (potete capirlo facendo la prova con una forchetta)
toglietele dall’acqua e lasciatele raffreddare per 10 min. Una volta
raffreddate le patate possono essere sbucciate molto facilmente e
quindi schiacciatele con un passapatate da purè o semplicemente
con una forchetta (l’importante è che non restino grumi più duri).
Versate poi il passato su di una spianatoia di legno, dopo averla
spolverata di farina, in maniera tale che il composto non si appiccichi. Lavorate questo impasto finché sarà divenuto elastico ed
omogeneo; staccatene poi un pezzo per volta dalla grandezza di un
pugno e lavoratelo col palmo delle mani in modo da ricavarne un
bastoncino lungo e sottile come un dito. Tagliate questo bastoncino in pezzetti di circa 2,5 cm, ricordandovi sempre di aggiungere
un pò di farina per non farli attaccare. Saranno cosi pronti i nostri
gnocchi.
Preparazione del ragù Fate un soffritto con aglio rosso e cipolla
tritata; una volta imbiondita la cipolla togliete l’aglio e aggiungete
il macinato misto. Lasciate cuocere il macinato e a fine cottura sfumate con mezzo bicchiere di vino rosso secco. Una volta sfumato
il vino aggiungete i pelati e lasciate ritirare il sugo a fuoco lento
finchè non acquisterà la consistenza e il sapore giusto.
La cottura degli gnocchi è molto rapida; bisogna colarli delicatamente facendoli cadere dal panno su cui li avrete poggiati, in
abbondante acqua salata, e quando saliranno a galla potrete
cominciare ad alzarli con la schiumarola ed a condirli col sugo
pochi per volta.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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Il Coregone
(C. Lavaretus)
coregone
del lago di bolsena
Il Coregone del Lago di Bolsena, chiamato localmente “gorigone”, è un pesce che appartiene alla famiglia
dei Salmonidi, sottofamiglia dei Coregonini, genere
Coregonus (C. lavaretus), derivante dalla ibridazione del
C. Wartmanni coeruleus e dal C. Schinzii helveticus,
specie queste ultime provenienti dal laghi dell’europa nordorientale e del lago di Costanza. Nel 1861 fu introdotto nei laghi
del Nord Italia e nel 1891 immesso nel Lago di Bolsena a seguito degli interventi di ripopolamento effettuati per conto del Ministero dell’Agricoltura con 60.000 avannotti, ottenuti da uova acquistate presso lo stabilimento
imperiale di Huningen e provenienti dal Lago di Costanza ed incubate nella
reale stazione di Roma. Presenta un corpo slanciato, schiacciato, protetto
da grosse squame cicloidi, con una testa piccola dalla bocca leggermente
obliqua. Ha una colorazione argentea sul dorso con riflessi, che variano a
seconda dell’ambiente, dal grigio-verdastro al grigio-azzurrino, più argenteo
sui fianchi, è quasi biancastro sul ventre.
La taglia minima di cattura è di 30 cm., misurata dall’apice del muso all’estremità della pinna caudale. Questa dimensione è raggiunta mediamente alla
metà del terzo anno di vita con un peso compreso fra i 200 e 250 gr.
Vive nelle acque più profonde del lago, a 70-80 metri di profondità, dove
l’acqua è più fredda, pulita ed ossigenata. Ha tempi di crescita molto rapidi
rispetto ad altri pesci poiché raggiunge i 20 cm. e la maturità sessuale anche
in un anno.
La sua affermazione si deve alla grande disponibilità di alimenti, fornita dal
zooplancton e alla notevole diminuzione dei predatori come il luccio. Si riproduce tra dicembre e gennaio, e depone, avvicinandosi a terra, circa 40.000
uova gelatinose per Kg. di peso vivo.
Si pesca quando sale in superficie; le stagioni migliori sono: primavera e
autunno.
Coregone
del Lago di Bolsena
Il coregone è la specie ittica più diffusa nel lago, rappresentando quasi il 50%
di tutto il pescato ed è il più apprezzato; non a caso è detto “spigola francese”,
poiché la sua carne, pur essendo molto saporita, ha una particolare delicatezza
che lo fa assomigliare a questo simbolo della raffinatezza gastronomica, che è
appunto la spigola. Di norma la pesca dei coregoni è praticata dai pescatori
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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di professione che nel tardo pomeriggio calano sul fondo reti volanti, chiamate
“retone” a Bolsena e “vollero” a Marta e Capodimonte, da recuperare all’alba.
Tutto il pescato del lago è ovviamente “selvatico”, non deriva cioè da allevamenti, ed è freschissimo in quanto per il coregone non è conveniente adottare
il surgelamento. Dal punto di vista nutrizionale il coregone, ancor più del pesce
di mare, presenta caratteristiche di eccellenza come: alto contenuto proteico,
composizione dei grassi polinsaturi, rapporto di questi con quelli saturi e contenuti di omega-3 ed omega-6. Se a questo si aggiunge il fatto che le acque dove
vive questo pesce sono prive di inquinanti e di agenti patogeni, si comprende il
grande valore del coregone del lago di Bolsena.
Negli ultimi anni sono state iniziate importanti esperienze di trasformazione,
con la produzione di filetti sottolio, marinati ed affumicati, che hanno raccolto
consensi unanimi per le grandi qualità organolettiche e per il gusto che non ha
niente da invidiare al salmone.
Produzione, commercializzazione e promozione
La quantità complessiva del pescato nel Lago di Bolsena, secondo i dati desunti
dall’indagine realizzata dal Dipartimento di Economia Agroforestale e dell’ambiente rurale – DEAR, denominato “Promozione e ricerca di nuovi sbocchi per
il pescato delle acque interne”- Responsabile scientifico Prof. Gabriele Dono, è
stata nel 2004 pari a 470,9 tonnellate di cui il 59,1% rappresentata dal Coregone e il 33,5% dal latterino. Dal punto di vista economico questo quantitativo
ha determinato un valore economico pari a € 927.000 distribuito in un numero
decrescente di pescatori (circa 100 tra full time e part time). Questo dato però
non appare sufficiente per definire la realtà produttiva del coregone in quanto
non permette di delineare con chiarezza il rapporto tra questa specie ittica e il
Lago di Bolsena. Molto più esaustivo appare invece il quantitativo di pescato per
unità di superficie in quanto consente di verificare con un semplice confronto, la
grande vocazione del lago per la produzione di pesce di grandissima qualità.
Ritornando infatti ai dati contenuti nello studio sopra menzionato, e in particolare a quelli relativi ai quantitativi di coregone pescato per ettaro, il lago di
Bolsena, con i suoi 24,52 Kg/ha, se confrontato ai laghi svizzeri (simili per tipologia di pescato e con un quantitativo medio pari a 12,39 Kg/ha), si distingue
per la grande pescosità di coregone. Questo dato la dice lunga, oltre che sulle
qualità delle acque del lago, anche sulla accorta gestione di questa specie ittica
da parte dei pescatori e dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo che negli
anni hanno saputo ottimizzare al meglio prelievi ed immissioni.
Per quel che concerne la struttura dei flussi di vendita del prodotto, ancora una
volta ricorrendo ai dati contenuti nell’indagine DEAR, attraverso interviste a vari
operatori di mercato e a diversi esperti del settore, è emerso che la gran parte
del prodotto è avviato nei mercati del nord Italia 62,4%, il 16,2% è assorbito
dalla ristorazione locale mentre un ulteriore 21,3% è assorbito dai consumi familiari.
Tra le attività di promozione del prodotto ricordiamo la Sagra del Pesce che si
svolge da otmai diversi anni nei pressi del porto turistico di Bolsena e che consiste nella degustazione di pesce, sia di mare sia di lago, fritto in una padella di
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grandi dimensioni. Ma l’appuntamento gastronomico più importante si svolge
a Capodimonte, generalmente nella seconda domenica di agosto, ed è dedicato
esclusivamente al coregone, che viene offerto arrostito alla brace.
Sulle acque del lago di Bolsena...
Nel 1996 è stata conclusa la costruzione di un collettore circumlacuale per la
raccolta dei reflui urbani dei comuni rivieraschi e di un depuratore per la successiva depurazione e scarico delle acque nell’immissario del lago, il fiume Marta.
Questo ha comportato che, da quella data, grazie al Consorzio del Bacino del
Lago di Bolsena (CO.BA.L.B.) che gestisce la struttura, nessun comune rivierasco riversa più i propri scarichi nel lago e quindi che, dal 1996 praticamente
l’unica fonte di inquinamento del lago è stata completamente eliminata. Se a
questo aggiungiamo il fatto che il lago è alimentato esclusivamente da acque di
sorgenti sotterranee, possiamo ragionevolmente pensare che chi afferma che
“…il lago di Bolsena è il lago più pulito d’Europa...” può continuare ad affermarlo con forza crescente ogni anno che passa.
Per una sana alimentazione…
Sulla base delle più recenti scoperte della scienza medica, il consumo alimentare
del coregone, grazie al basso contenuto calorico e all’elevato apporto di proteine e di omega-3 ed omega-6, rappresenta quanto di meglio si possa consigliare
per una dieta salutare.
Gli omega-3 ed omega-6 incrementano l’ossidazione degli acidi grassi (il consumo di grassi) ed il metabolismo basale, abbassano il colesterolo e i trigliceridi,
riducono la pressione sanguigna, migliorano la sensibilità all’insulina riducendo
le possibilità di formazione di coaguli sanguigni e le possibilità di essere colpiti
da ictus e da attacchi di cuore. Questi acidi grassi hanno inoltre effetti antidepressivi, alleviano i sintomi dell’artrite, hanno effetti benefici sull’osteoporosi,
potenziano il sistema immunitario, le citochine antinfiammatorie.
Lago di Bolsena (foto M. Pinna - Passeggiando per la Tuscia - Eyes Group).
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Il LaGO DI BOLSENA
Circa 400.000 anni fa, a seguito di una lunga serie di eruzioni vulcaniche in
tutto il territorio, un’enorme superficie di 270 kmq sprofondò per alcune centinaia di metri; questa immensa voragine che i vulcanologi chiamano “caldera”
cominciò lentamente ad allagarsi, grazie alle acque portate dalle piogge e
dalle sorgenti. Così nacque il lago di Bolsena, il più grande lago di origine
vulcanica d’Italia, che, 120.000 anni fa, venne ulteriormente arricchito da due
splendide isolette, la Martana e la Bisentina, due crateri che si formarono e
che esplosero all’interno del lago, segnando la fine del complesso vulcanico
Volsino, che ancor oggi manifesta la sua trascorsa potenza attraverso le sorgenti termali di cui è ricco il territorio.
Le sue acque sono limpide e trasparenti, risultato della mancanza di inquinamento, e la pesca costituisce l’attività economica prevalente, grazie alla
varietà di specie ittiche; è circondato da colline in parte rigogliose di colture
agricole (viti, ulivi, patate, legumi) e in parte ricoperte da boschi. Nel 1959
furono scoperti in località “Gran Carro” (km 108 della S.S.Cassia) i resti sommersi di un insediamento villanoviano dell’età del Ferro (IX - VIII secolo a.C.).
Da questa area, nel corso di 23 anni di ricerche, sono stati recuperati moltissimi frammenti di vasellame, oggetti bronzei, litici, lignei e ossei, che sono stati
raccolti nel Museo territoriale del lago di Bolsena, che ha sede nella omonima
cittadina lacustre.
Intorno al lago di Bolsena resistono ancora ampi tratti di territorio dove regna
il tipico ambiente lacustre fatto di canne, salici e vegetazione acquatica.
Alla ricchezza della fauna ittica, costituita oltre che dal coregone, anche da
anguille, lucci, persici, lattarini, il lago aggiunge una grande varietà di uccelli,
che nidificano fra i giunchi e i canneti. Gli amanti del birdwatching possono
qui trovare un vero paradiso, popolato da germani reali, alzavole, aironi cinerini, martin pescatori, gallinelle d’acqua, cormorani e altre specie ancora.
L’amante della natura che visita il lago, oltre alle presenze faunistiche e botaniche, potrà ammirare anche altre emergenze, come le “pietre lanciate” all’altezza del km 112 della SS Cassia, in prossimità di Bolsena.
Si tratta di una fitta rete di fratture parallele che solca la parete rocciosa così
da isolare blocchi di pietra (leucitite) a base pentagonale o esagonale che
sembrano conficcate sulla scarpata.
L’Isola Bisentina, fin dal 1200 di proprietà della Chiesa, fu per molto tempo
residenza estiva dei Papi. Ha sette cappelline costruite tutte nel XVI secolo,
un convento, ora residenza, una chiesa maggiore, la chiesa dei S.S. Giacomo
e Cristoforo, dall’aspetto tipicamente rinascimentale che fu fatta costruire da
Ranuccio Farnese e donata ai frati minori nel 1586. Gli arredi e le opere di
valore vennero trafugate dalle armate di Napoleone, ma rimangono un bel tabernacolo e il dossale ligneo. Fu utilizzata dai Farnese come sacrario. L’isola
è anche un paradiso naturale, con un bosco di lecci e un giardino all’italiana
creato da Giovanni Fieschi Ravaschieri del Drago. Oggi è proprietà privata, ma
può essere visitata con percorsi guidati con partenze da Capodimonte e da
Bolsena.
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L’isola Martana ha la forma di una mezzaluna; il suo borgo medievale è stato
nel tempo abbandonato e l’isola è oggi disabitata. La località è legata alla
triste storia di Amalasunta, figlia di Teodorico e regina degli Ostrogoti, che
venne qui uccisa nel 584 per ordine del suo secondo marito e cugino Teodato,
ansioso di regnare da solo.
Per molti secoli si è cercato il tesoro di Amalasunta, che si dice la sovrana
avesse portato con sé e sepolto prevedendo la sua triste fine.
L’isola Bisentina (foto C. Goretti - Graphisphaera).
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RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante Bel Vedere
S.S. 74, Km 71 tel. 0564.619249
Casone di PITIGLIANO (GR)
Coregone del Lago di Bolsena
in salsa verde (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 1,5 kg di coregone del lago di
Bolsena, aglio rosso di Proceno, prezzemolo, olio extra vergine
d’oliva di Gradoli, due acciughe, capperi, peperoncino, sale.
Preparazione Pulite, lavate ed asciugate i coregoni. Lessate il
pesce in acqua appena salata aggiungendo un mazzetto di odori
a piacere. A cottura ultimata, spellate, spinate e quindi aprite
delicatamente il coregone per poi disporlo su di un vassoio. Frullate
olio, prezzemolo, aglio rosso, capperi, acciughe e peperoncino,
fino ad ottenere una salsa omogenea e consistente. Aggiungete
l’aceto e sale a piacere. Stendete la salsa verde sul coregone sino a
ricoprirlo tutto. Mettete in frigo e servite dopo qualche ora.
Coregone del Lago di Bolsena
“alla bolsenese”
Ingredienti per 4 persone 1,4 kg di coregone del lago di
Bolsena, aceto, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, finocchio
secco, aglio rosso di Proceno, salvia.
Preparazione Scegliete un coregone grande o due più piccoli,
puliteli accuratamente all’esterno portando via le scaglie, togliete
le interiora, quindi apritelo delicatamente, dopo aver eliminato la
testa e la spina centrale. Lavatelo per bene e disponetelo in una
teglia da forno immerso nell’aceto insieme con 2-3 spicchi di aglio
rosso interi, alcune foglie di salvia (o finocchio secco selvatico) il
sale e il pepe. Infornate e lasciate cuocere fino ad esaurimento
dell’aceto, quindi disponete il pesce su di un piatto da portata,
conditelo con una giusta quantità di olio extra vergine d’oliva e
servite.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
Acquacotta col pesce di lago (Sbroscia)
Ingredienti per 4 persone Pesce di lago di piccola taglia
(luccio, tinca, anguilla, scardola, pesce persico, coregone), due
patate dell’Alto Viterbese a persona, mentuccia, sedanino di
fiume, peperoncino, pane casereccio, olio extra vergine di oliva
di Gradoli, pomodori, cipolla, sale.
Preparazione Questo tipo di zuppa con il pesce di lago, detta
“sbroscia”, può essere preparata in due modi differenti; una forma
casalinga e una più tradizionale, tipo acquacotta, che veniva
preparata dai pescatori stessi sul posto di lavoro. Vediamo la
versione dei pescatori: in una pentola contenente acqua del lago,
venivano messi a cuocere i pomodori raccolti negli orti presenti
sulle rive del lago, la cipolla tagliata a fette, le patate tagliate a
metà, il peperoncino e la mentuccia o il sedanino di fiume, dopo
10-15 minuti venivano aggiunti i pesci piccoli appena pescati che
non erano idonei per essere commercializzati.
Quando questi pesci erano cotti, si versavano, insieme con le
verdure, sul pane raffermo disposto nel piatto e si irrorava il
tutto con olio extra vergine di oliva.
Minestra di riso del Purgatorio
Ingredienti per 4 persone 300 gr di riso, 200 gr di pomodori
pelati, uova e teste di luccio, 500 gr di tinca, carote, cipolla,
sedano, alloro, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso
di Proceno, sale, pepe.
Preparazione Questa minestra, così chiamata perché fa parte
del menu del caratteristico «pranzo del Purgatorio», si prepara
facendo cuocere la tinca e le teste di luccio con l’aggiunta di
vari odori (carote, sedano, cipolla, alloro). In un tegame fate
un soffritto con olio e aglio rosso, poi unite le uova di luccio
e un peperoncino, aggiungete il brodo di cottura della tinca,
i pomodori passati, mezzo bicchiere di vino rosso e lasciate
insaporire il tutto a fuoco basso per una mezz’ora. Aggiungete
acqua calda, la tinca e le teste di luccio tritate, quindi portate
di nuovo ad ebollizione il brodo per cuocervi il riso, facendolo
restringere a mo’ di minestra.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
Il Castagno
(Castanea Sativa)
marrone
di latera
Il castagno è un grande albero della famiglia delle Fagacee ed il suo nome deriva dal greco kàstanon divenuto
poi in latino castanea. La sua origine si può far risalire
ad oltre 60 milioni di anni fa, all’Era Cenozoica del periodo Terziario. Il genere “castanea” nel Miocene era diffuso in
gran parte d’Europa come testimoniato dai ritrovamenti fossili di
foglie, tronchi e frutti. Nell’ultima epoca glaciale, il castagno subì una notevole
regressione e solo a seguito delle mutate condizioni climatiche vi fu una nuova
espansione di questa pianta.
La coltivazione fu introdotta nel bacino del mediterraneo probabilmente dall’Asia
Minore e in epoca successiva i Romani lo diffusero al di fuori dell’areale naturale
esportandolo fino in Germania e nella Svezia meridionale. Attualmente in Italia
è presente in tutte le regioni, dalle isole alle aree prealpine, con una distribuzione altimetrica molto ampia che va dai 300 a oltre i 1.000 metri.
è pianta longeva e secolare, può raggiungere anche i mille anni di età ed altezze
di oltre 30 metri. Il suo legname duro e compatto è usato per le costruzioni e
per il riscaldamento, ma trova impiego anche nella chimica per l’estrazione
del tannino, sostanza utilizzata nella concia delle pelli e nella cosmesi (tinta per
capelli). Ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’economia delle aree montane, tanto che il castagno veniva chiamato “l’albero del pane” e la castagna “il
pane dei poveri”.
Le varietà coltivate in Italia sono oltre trecento, ma per la produzione dei frutti,
il marrone risulta essere il più apprezzato.
Attualmente la produzione mondiale di castagne e marroni è pari a circa mezzo
milione di tonnellate e proviene per la gran parte dall’Asia e dall’Europa. L’Italia
concorre a questo risultato con circa il 15% e risulta essere il maggiore produttore europeo seguito da Spagna, Portogallo e Grecia.
A livello nazionale, la coltivazione del castagno da frutto è concentrata soprattutto in Campania, Lazio, Calabria, Piemonte e Toscana e circa il 30% è destinato
al consumo fresco, il 40% all’essiccamento ed il restante 30% all’industria di
trasformazione e dolciaria.
Pensiamo alla salute …
Come i cereali e diversamente da gran parte degli altri frutti, le castagne, sono
ricche di carboidrati complessi. La cottura trasforma parte dell’amido in zuccheri
semplici. Da qui deriva il loro sapore tipicamente dolce e la controindicazione
d’uso ai diabetici e ai soggetti in sovrappeso. Le caldarroste, infatti, sono meno
digeribili delle castagne bollite o crude, a causa del tipo di cottura, che produce
alterazioni dei glucidi e delle proteine (come la reazione di Maillard), alterazioni
responsabili, come detto, del loro aroma tipico.
Le foglie di castagno trovano indicazione sole o associate ad altre piante come
l’eucalipto, il timo, e la drosera ecc. nel trattamento della pertosse o delle forme pertussoidi. Le gemme del castagno agiscono sui vasi linfatici esplicando
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un’azione di drenaggio sulla circolazione linfatica delle gambe.
Le foglie, inoltre, hanno una forte azione sedativa e antispasmodica nei confronti di tutti i malanni da raffreddamento, tipicamente autunnali. Agiscono anche
come potente febbrifugo, a tal punto che in passato erano usate per curare la
febbre malarica. Per il loro potere astringente sulle mucose di tutto il corpo,
sono utilizzate contro il catarro, la diarrea, le emorroidi, le emorragie e come coadiuvanti nella terapia delle sindrome pre-varicose, flebiti e degli stati di fragilità
capillare. L’erboristeria popolare utilizzava le foglie di castagno per arrestare le
emorragie e per mitigare le perdite mestruali molto abbondanti.
IL MARRONE DI LATERA
Denominazione e informazioni generali sul prodotto
Il territorio del comune di Latera, che si estende ad ovest del bacino del Lago
di Bolsena ad un’altitudine di circa 500 m. e con alture che superano i 600 m.,
costituisce un habitat ideale per questo tipo di pianta che è presente in più di
una varietà; i boschi di tale essenza forniscono sia legno da lavoro che frutti,
di cui il più apprezzato e diffuso è il Marrone. La presenza e la coltivazione
del castagno nell’areale risale a tempi remoti tanto che i Farnese, duchi di
Latera, ne proibirono esplicitamente il taglio prevedendo per il trasgressore
un’ammenda di uno scudo d’oro per ogni pianta abbattuta. Altre testimonianze storiche a riprova della diffusione del castagno nella zona ci pervengono
dagli Statuti del comune di Gradoli del 1300.
Gradoli, durante il Medioevo, condivideva lo stesso destino degli altri paesi
della Valdilago (Bolsena, S. Lorenzo Vecchio e Latera) e i sunnominati documenti costituiscono un eloquente spaccato dell’economia agricola del tempo
di tutta la zona. Inoltre, dai frammenti degli Statuti, ritrovati in epoca recente
presso l’archivio comunale di Valentano, si evince l’importanza che i boschi
di castagno avevano nella vita della collettività tanto che veniva fatto divieto di
vendere al di fuori della municipalità pali tutori di tale essenza per sorreggere
la vigna; come pure era soggetta a controllo la cessione di rami flessibili di
castagno destinati alla realizzazione di cerchi in legno per serrare le doghe
di botti, barili, bigonce e tini. Oltre a questi provvedimenti protezionistici di
natura economica, volti a tutelare l’attività vitivinicola della zona garantendo
un’utilizzazione in loco dei prodotti boschivi, negli Statuti, in una successiva
rubrica, sono riportate le prescrizioni cui dovevano attenersi i contadini nel
praticare la bruciatura ovvero il divieto di intraprenderla in determinati periodi dell’anno e l’obbligo di tirare almeno cinque solchi ai bordi di terreni attigui
coltivati a vigna e a castagneti onde preservarli da eventuali incendi. L’importanza del castagno non è legata però alla sola utilizzazione del legname, ma
anche e soprattutto alla produzione di marroni, che nel corso dei secoli hanno
garantito la sopravvivenza alimentare specie in casi di carestia e pestilenze.
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“Linea Verde” - puntata del 5 novembre 2006 - Latera: Vissani catturato dai “briganti dell’Alta Tuscia” (Foto
Fit - Acquapendente).
I boschi di Latera e dintorni sono anche stati rifugio di briganti e di quanti,
per ragioni di diversa natura, decidevano di darsi alla macchia; per loro i boschi
costituivano una barriera naturale di protezione ma al tempo stesso una fonte
di sopravvivenza. La castagna infatti è caratterizzata da un altissimo contenuto
di amidi, un discreto quantitativo di zuccheri; 100 gr. di prodotto commestibile
forniscono un apporto di 200 calorie oltre a vitamine, potassio, calcio, fosforo
e magnesio.
Caratteristiche del prodotto e tecniche di coltivazione
Il marrone di Latera deve le sue caratteristiche alla natura vulcanica dei terreni
nonché alla loro altimetria. Questi risultano freschi, sciolti, di buona fertilità e
poco calcarei, situati fra la collina e la montagna e caratterizzati da clima mite di
tipo temperato-sublitoraneo. L’unicità di questi castagneti è data quindi dalla natura del terreno ma soprattutto dalla loro esposizione verso ponente e dalla loro
localizzazione sul versante interno della caldera omonima. I marroni di Latera
derivano dal clone “fiorentino” che ha analogo portamento e caratteristiche ma
origina frutti normalmente di pezzatura più piccola. La tipicità deriva quindi dal
complesso di eccezionali condizioni ambientali che questa varietà ha trovato e
che hanno favorito lo sviluppo e l’accrescimento dei frutti. Questi castagni così
longevi e vigorosi non necessitano di cure colturali da parte degli agricoltori se
non limitatamente al controllo del sottobosco e solo in qualche caso di potature e/o spalcature; pertanto non sono previste né lavorazioni del terreno né
l’impiego di prodotti fitosanitari. La raccolta avviene in ottobre e la si effettua
manualmente a seguito dell’apertura spontanea del riccio, caduto al suolo; solo
in una minima percentuale dei casi è necessario un intervento artificiale per
estrarre la castagna (frutto o seme). All’interno di ogni riccio possono alloggiare
anche due o tre semi e questo è funzione non solo della caratteristica varietale,
ma anche dell’andamento climatico, più o meno favorevole nei momenti della
fecondazione e dell’allegagione. Ogni marrone è rivestito da una buccia liscia e
coriacea di colore marrone chiaro con striature longitudinali più scure ed ha una
buona pezzatura il che rende il prodotto, unitamente alle buone caratteristiche
organolettiche, molto ricercato dal mercato per la buona commerciabilità.
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aneddoti e curiosità
In passato, la castagna, ha avuto una
grande importanza nell’alimentazione degli abitanti delle zone montane
e sub-montane. L’apporto nutrizionale della castagna è di grande importanza tale da renderla paragonabile a
quello del pane integrale. Le castagne
possono essere consumate anche crude, ma sono più gradevoli al palato se
bollite o preparate come caldarroste.
Largo consumo ha avuto la farina di
castagne, con la quale si preparavano:
il castagnaccio, la polenta, il pane ed
altre ricette che erano la base dell’apporto glucidico dell’alimentazione
delle popolazioni montane. Le caldarroste, accompagnate da qualche sorso
di vino novello, sono un pasto particolarmente gradevole. Le castagne,
seccate e prive della buccia, venivano
lessate e consumate scolate; l’acqua
di scolatura era usata per bagnare il
pane raffermo. La minestra di casta-
gne è stata considerata, sino agli anni
quaranta, una cena di tutto rispetto.
Il pane e la polenta ottenuti dalla
farina di castagne hanno un valore
nutritivo maggiore di quelli ottenuti
dalla farina di grano. Con la pastella di farina di castagne si ottengono
ottime frittelle. Delle castagne non si
scartava niente; le bucce erano bollite
nel latte o nell’acqua come empirico
antidiarroico o usate come fertilizzante nella coltivazione dei mirtilli.
La castagna è un alimento molto indicato nella stagione invernale per il
suo rilevante apporto calorico; può
essere utilizzata nei casi di astenia,
stress, atonie intestinali. La castagna
dovrebbe entrare maggiormente nella
nostra alimentazione quotidiana per
l’elevato apporto di sostanze amidacee e per la presenza di buone quantità di proteine, vitamine ed alcuni sali
minerali.
in pillole
•
Le castagne sono da sempre apprezzate, sebbene molti antichi
trattatisti ne abbiano messo in
luce anche aspetti negativi, come
ha fatto, per esempio, il Mattioli
nel “Volgarizzamento di Dioscoride” (1563): “Sono le castagne
frutto notissimo a tutta Italia ...
mangiate abbondantemente ne i
cibi, fanno dolere la testa; generano ventosità, stitticano il corpo e
sono dure da digerire”.
•
Modi di dire: cavare le castagne
dal fuoco e anche togliere le castagne dal fuoco (esporsi a un rischio, generalmente si dice di chi
lo fa senza avere un proprio vantaggio); prendere in castagna (cogliere in fallo, sorprendere qualcuno mentre sta sbagliando);
•
Proverbio: “La castagna di fuori è
bella e dentro ha la magagna (si
dice di persona ipocrita).
•
Il primo forte impulso alla coltivazione vera e propria della casta-
gna si ebbe nel medioevo, grazie
alla contessa Matilde di Canossa.
Nel 1700, sulle tavole dei nobili a
Capodanno come segno di buon
auspicio, arrivano i Marron glacè.
A Parigi, sempre intorno al ‘700,
il farmacista Bonneau produceva
una cioccolata composta per metà
da cacao e per metà di farina torrefatta di castagne secche. I nobili conservavano per tutto l’anno
le castagne dopo averle bollite nel
vino bianco.
•
Nel Parco dell’Etna nel comune
di Sant’Alfio (CT) esiste “Il Castagno dei Cento Cavalli”, un albero di castagno plurimillenario.
Considerato come il più famoso
d’Italia, è stato studiato e visitato
da molti personaggi illustri. Prenderebbe il nome dalla leggenda di
una misteriosa regina e di cento
cavalieri con i loro destrieri, che,
si narra, vi trovarono riparo da un
temporale. Oggi la circonferenza
del tronco misura circa 22 mt ed
è alto 22 mt!
La castratura delle castagne
è l’operazione con cui viene incisa la castagna, prima di fare le
classiche caldarroste, per evitare
che queste scoppino durante la
cottura. Con un coltellino molto appuntito si applica un taglio
sulla parte bombata della buccia
dura (2 cm circa) in senso orizzontale, cercando di non intaccarne
la polpa (vedi foto a lato).
“Linea Verde” - puntata del 5 novembre 2006 - Latera: la raccolta dei “marroni” (Foto Fit Acquapendente).
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LATERA
L’origine del borgo, dall’aspetto tipicamente medioevale, si perde nel tempo:
accanto ai reperti etruschi e romani sono infatti venuti alla luce numerosi resti
provenienti dal periodo Neolitico. La parte più antica, si trova dietro i bastioni
della porta settentrionale, dove un tempo c’era un ponte levatoio. Come molti
altri paesi subì le scorrerie di romani e di longobardi, per finire poi, nel medioevo, al centro delle continue dispute tra la Chiesa, Orvieto ed i potenti feudatari.
Da sempre sotto l’egida del comune di Orvieto, dovette piegarsi alla tirannia di
prefetti di Vico, reinsediati dall’arcivescovo Visconti. Nel 1354 grazie all’opera
svolta dal cardinale Egidio Albornoz che mirava a riconquistare i territori sottratti alla Camera Apostolica, Latera tornò di nuovo alla Chiesa. Fu poi la volta
dei Farnese: il feudo di Latera insieme a quello di Farnese passò a Bartolomeo
Farnese, il quale fece costruire un nobile palazzo che dominava tutta la valle.
I Farnese tennero le redini della cittadina fino alla loro estinzione, nel 1668
quando il feudo tornò sotto il controllo della Chiesa. Visitando il centro storico
ci si imbatte in un pittoresco labirinto di viuzze, scale, antiche volte e profferli
dove in piccoli angoli suggestivi si avverte un semplice ritmo di vita tipicamente
contadina.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra del Marrone
Ultimi due weekend di ottobre
Sagra del Marrone (foto Ass. Pro Loco Latera).
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RICETTA ELABORATA DA:
Enoteca del Castello
Corso Regina Margherita, 150 tel. 0763.710072
PROCENO (VT)
Minestra di Lenticchie di Onano
e Marroni di Latera (foto a lato)
Ricetta portata in Francia da Caterina de’ Medici quando, ai primi
di Settembre del 1553, salpò da Portovenere su una nave addobbata
a festa che fece scalo a Nizza dove lo stesso Papa Clemente VII
de’ Medici la accolse e la condusse ad incontrare a Marsiglia il suo
promesso sposo, il Principe Enrico d’Orleans.
Portare quasi a bollitura acqua di fonte e unire le lenticchie. La
quantità varia a seconda del numero dei commensali. Aggiungere
un po’ di sale durante la cottura.
A parte preparare un soffritto con olio d’oliva, cipolle affettate
dalla parte lunga, Prezzemolo, Timo e Basilico, sale e un po’ di
Peperoncino tritato finemente.
Nel frattempo avrete preparato dei marroni sbucciandoli una prima
volta, quindi cuocendoli e togliendo anche la seconda buccia.
La quantità dei marroni, una volta cotti, deve essere uguale a quella
delle lenticchie cotte.
Quando il soffritto citato precedentemente sarà pronto, aggiungere i
marroni cotti, un po’ di Santoreggia e fiori di Finocchio selvatico.
Fare insaporire qualche minuto ed unire questo preparato alle
lenticchie portando tutto a cottura completa. Non saranno necessari
più di 15 minuti.
Si serve versando il tutto in adatto recipiente di servizio.
Non sciupare lavoro e poesia offrendo formaggio grattugiato.
Queste lenticchie unite ai marroni sono così buone, se preparate
come indicato, che non meritano sformaggiate fuori luogo.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
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Filetto di maiale con rucola,
Marroni di Latera e aceto balsamico
(foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 500 gr filetto di maiale, un mazzetto
di rucola, aceto balsamico, olio extra vergine d’oliva di Gradoli,
200 gr marroni di Latera, sale, pepe.
Preparazione Salate, pepate e infarinate il filetto intero. Cuocete
in una padella antiaderente tutti i lati della carne per circa 5-6
minuti.
Nel frattempo lavate, tagliate e stendete la rucola su un piatto.
Fate a fettine il filetto e adagiatelo sulla rucola (vedi foto ). Completate
il piatto con una salsa ottenuta con olio extra vergine d’oliva e
aceto balsamico ed infine cospargete con le castagne sbriciolate.
Minestra di Ceci del Solco Dritto
e Marroni di Latera al profumo di rosmarino
RICETTA ELABORATA DA:
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foto: Foto Fit
Ristorante La Cantina del Mago
Via F. Annibali, 5/a tel. 0761.459040
LATERA (VT)
Ingredienti per 4 persone 200 gr di ceci del solco dritto, 200 gr
di pasta gramigna, 30 gr di grasso di prosciutto crudo, otto marroni
di Latera, 4 pomodori sbucciati, un l di brodo di carne, due spicchi
d’aglio rosso di Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino,
peperoncino piccante, due cucchiai di olio extra vergine d’oliva di
Gradoli.
Preparazione Tenete i ceci del solco dritto per una notte immersi
in acqua salata con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli
a bollire con poca acqua per un paio di ore; praticate un’incisione
ai Marroni e fateli arrostire nell’apposita padella forata o in forno
per circa 30 minuti, dopodiché verranno pelati e tritati. Sbucciate
poi l’aglio rosso, lavate e asciugate il rametto di rosmarino e quindi
staccate le foglioline. Preparate un trito con il grasso di prosciutto,
l’aglio rosso e il rosmarino, e mettetelo in una casseruola insieme
con l’olio extra vergine. Scolate i ceci, lasciando da parte qualche
cucchiaio della loro acqua di cottura, e passatene metà al setaccio.
Fate soffriggere il trito preparato e, quando sarà imbiondito, unite i
ceci interi e passati, l’acqua di cottura messa da parte e le castagne
tritate. Fate insaporire per 5 minuti e unite i pomodori spezzettati;
dopo altri 5 minuti versate il brodo di carne, mescolando. Fate
cuocere, a fuoco basso e a recipiente coperto, per 10 minuti.
Regolate di sale, aggiungete la pasta e portate a cottura.
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Porchetta di maiale ripiena con salsicce
e Marroni di Latera (foto a lato)
Ingredienti per 4 persone 1 Kg pancetta di maiale, quattro salsicce
fresche, 200 gr marroni di Latera lessati, sale, pepe, farina q.b.
Preparazione Lessate a parte le castagne, togliete la buccia e
riducetele a pezzetti. Stendete la pancetta, battetela per renderla più
morbida, spolverate con la farina, salate e pepate. Fate uno strato
con le salsicce e sopra aggiungete le castagne. Arrotolate e legate la
pancetta e mettete in forno a 180° finché la carne non risulterà ben
cotta e la crosta croccante. Prima di servire fate raffreddare affinché
le fette rimangano integre. Irrorate con un filo d’olio extra vergine e
sbriciolate sopra le castagne.
Ricoprire le due estremità della pancetta con della carta stagnola
per evitare che l’impasto interno si bruci.
Gnocchi di Marroni di Latera
all’Aglio Rosso di Proceno
Ingredienti per 4 persone 200 gr di farina di marroni di Latera,
150 gr di farina di frumento, 3 uova, 50 gr di burro, 4 spicchi di
aglio rosso di Proceno, 1 cucchiaino di rosmarino tritato, 50 gr di
parmigiano reggiano, sale, pepe q.b.
Preparazione Disponete a fontana le due farine mescolate con un
pizzico di sale, unite le uova, il pepe, quindi cominciate a batterle
con una forchetta, unendo man mano le farine. Se necessario, unite
dell’acqua fredda ed impastate fino ad ottenere una pasta liscia che
lascerete riposare per circa 30 minuti. Dividetela in piccoli pezzi che
lavorerete uno alla volta riducendoli in “spaghettoni” di circa 1 cm di
spessore, da suddividere in cilindretti lunghi circa 1 cm. Premendolo
con un dito, passate gli gnocchi sull’interno di una grattugia perché
assumano la caratteristica forma e disponeteli sulla spianatoia
infarinata. Fate sciogliere il burro a fuoco lento insieme all’aglio
sbucciato e al rosmarino. Tenete in caldo un piatto da portata sopra
una pentola di acqua bollente. Portate ad ebollizione abbondante
acqua, salate e immergete gli gnocchi scuotendoli bene con un
setaccio per eliminare la farina in eccesso, cuoceteli per almeno 7-8
minuti e scolateli disponendoli subito nel piatto da portata. Conditeli
con il burro all’aglio, parmigiano e una spolverata di pepe, coprite il
piatto con un coperchio per 2-3 minuti e servite.
RICETTA ELABORATA DA:
Ristorante La Cantina del Mago
Via F. Annibali, 5/a tel. 0761.459040
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LATERA (VT)
foto: Foto Fit
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L’Aglio Rosso
(Allium sativum)
L’aglio è una pianta erbacea della famiglia delle Liliacee. Il termine aglio deriverebbe dal celtico “all”,
bruciante, piccante. L’aglio ha origine antichissime. La
prima citazione sembra quella di un erborista cinese vissuto nel 4000 a.C.; altre testimonianze si riscontrano in Egitto
nel 3000 a.C. e tra gli antichi Romani e Greci. Durante l’Impero Romano, l’aglio era un alimento dei soldati, dei marinai e degli atleti perché si
riteneva aumentasse la forza, la resistenza, l’energia fisica ed il coraggio.
Ogni spedizione romana era infatti accompagnata da grandi scorte di aglio
e questo ne ha comportato di conseguenza una notevole diffusione in tutta
Europa. In tempi più recenti, nel Medioevo, l’aglio viene utilizzato quale
medicina contro la lebbra e come condimento dei pasti del ceto meno
abbiente assumendo, col tempo, molte proprietà, sia “terapeutiche” che
“magiche”; tra le prime la farmacologia popolare l’ha innalzato a ruolo di
panacea per le sue notevoli capacità: bloccare la caduta dei capelli, ridurre
i calli, possedere principi anticancerogeni, etc.; tra le seconde, la capacità
di tenere lontani gli “spiriti maligni”.
Da un punto di vista prettamente scientifico è invece provato che l’aglio
contenga alcuni principi attivi con proprietà antibiotiche ed ipotensive. Il
consumo maggiore di questo prodotto si riscontra in alcuni Paesi asiatici e
latino americani.
I principali produttori sono la Cina, l’India, la Corea del Sud, la Tailandia, la
Spagna; in Europa, dopo la Spagna con 40.000 ettari, troviamo la Francia
e poi l’Italia dove si coltivano circa 4.000 ettari principalmente in Campania, Abruzzo, Molise, Sicilia e Lazio. La sua notevole diffusione ha determinato molte variazioni alle caratteristiche originarie della pianta, soprattutto
per mano degli agricoltori che hanno via via destinato alla moltiplicazione
solo quei bulbi che rispondevano meglio alle esigenze locali ed ambientali.
La coltivazione è svolta, al momento, prevalentemente a mano e questo
rappresenta un grosso vincolo per una sua maggiore diffusione. L’Aglio
Rosso si è conquistato a livello nazionale, rispetto a quello tradizionale, una
buona fama presso i consumatori per le sue caratteristiche organolettiche e
di serbevolezza per il suo sapore intenso e aroma pronunciato.
aglio rosso
di proceno
Pensiamo alla salute …
Molti sono gli usi medicinali attribuiti all’aglio. È stato affermato che può
prevenire raffreddori, influenza, tubercolosi, bronchite, foruncoli e malattie cutanee. All’aglio è attribuita anche la proprietà di rafforzare in modo
naturale il sistema immunitario; inoltre, può essere impiegato fresco per
combattere i dolori reumatici, i catarri bronchiali, i vermi dei bambini. Esso
si propone come regolatore del ritmo cardiaco in quanto è un ipotensivo.
I ricercatori stanno scoprendo che la reputazione medicamentosa dell’aglio
è una realtà sempre più suffragata da nuove scoperte scientifiche.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
L’AGLIO ROSSO
DI PROCENO
Denominazione e informazioni specifiche sul prodotto
L’Aglio Rosso di Proceno è un ortaggio destinato al consumo fresco ed è
coltivato all’interno del comune omonimo ed in una ristretta area del comune
di Acquapendente con caratteristiche simili.
La diffusione e le caratteristiche qualitative che rendono peculiare il prodotto dipendono dalla tipologia dei terreni situati a 400-500 metri d’altitudine
s.l.m. (substrati del Pliocene, d’origine marina, fortemente argillosi), in un
ambiente quindi collinare, caratterizzato da un clima mite di tipo temperatosublitoraneo.
Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione
Il prodotto si presenta come bulbo di medie dimensioni con bulbilli corti e
tozzi e tunica con un caratteristico colore rosso. Ha un sapore forte, un profumo molto intenso e persistente e vanta buona digeribilità oltre ad una grande
attitudine alla conservazione. Questa ultima peculiarità ha contribuito non
poco alla diffusione e all’apprezzamento di questo aglio sui mercati, specie
nei tempi passati, quando la conservazione del prodotto era uno dei problemi
fondamentali della commercializzazione.
Ancora oggi, data la carenza di idonee celle frigorifere atte alla conservazione,
si confeziona esclusivamente in trecce, chiamate anche reste (intrecciatura).
La preparazione del terreno viene effettuata con un’aratura a media profondità (30/40 cm.) e con successivi interventi di amminutamento del terreno (da
“Intrecciatura” dell’aglio.
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1 a 3 passaggi) effettuati con erpice a dischi e con fresa. Al momento della
semina il terreno viene livellato, affinato e liberato da erbe infestanti in modo
tale da garantire le migliori condizioni per lo sviluppo delle piantine. La semina è eseguita a mano o a macchina utilizzando seminatrici opportunamente
predisposte; la quantità di seme utilizzato deve consentire un investimento di
circa 20 piante al mq., ricorrendo esclusivamente all’ecotipo locale definito
Aglio Rosso di Proceno.
La Comunità Montana, che, come nel caso della Lenticchia di Onano, ha
attivato in questi ultimi anni una serie di azioni sia a livello tecnico che di promozione del prodotto volte ad uno sviluppo più ampio della coltura, ammette
solo concimazioni localizzate in fase di semina; il controllo delle piante infestanti è effettuato, di norma, eseguendo interventi di sarchiatura nelle interfila
e di zappettature lungo le file.
Allo scopo di garantire caratteristiche qualitative ottimali dell’aglio prodotto,
viene eseguita, nel periodo maggio/giugno, l’eliminazione degli scapi fiorali
(starlatura).
La raccolta è effettuata manualmente o con macchine agevolatrici ed è normalmente compito del produttore procedere ad un corretto essiccamento dei
bulbi e alla successiva caratteristica lavorazione in reste.
Linea Verde - puntata del 5 novembre 2006 - Castello di Proceno (Foto Fit - Acquapendente).
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aneddoti e curiosità
Aglio storico corroborante Sembra
che le proprietà dell’aglio siano state rilevate da Ermete Trismegisto, il grande
egiziano considerato il padre di tutte le
scienze e autore della famosa Tavola
Smeraldina, che racchiude i segreti della
grande conoscenza. I Faraoni lo facevano somministrare abbondantemente agli
operai addetti alla costruzione delle Piramidi, sia per preservarli da malattie e infezioni intestinali, che per dare loro maggiore resistenza fisica, ed Erodoto segnala che sulla Piramide di Cheope venne
scritto il costo dell’approvvigionamento
di aglio sostenuto per la sua costruzione.
La Bibbia riferisce che gli Ebrei, ai
quali era proibito il consumo di questo alimento prima di mezzogiorno,
sentirono fortemente la sua mancanza durante la traversata del deserto.
Dall’Egitto, la coltivazione dell’aglio si
estese poi a tutto il bacino del Mediterraneo. I Greci ne furono grandi consumatori, utilizzandolo sia come medicina che come condimento, arrivando
addirittura ad aromatizzarci il pane.
Sia Alessandro Magno che Giulio Cesare,
dedicarono la pianta agli dei della guerra,
ritenendo che in questo modo i soldati sarebbero diventati più valorosi. Aristofane
(IV sec. a.C.) scrive: “Ora ingoiate questi
spicchi d’aglio. Imbottiti d’aglio troverete maggiore ardore nel combattere”.
Plinio il Vecchio ne indica con dovizia gli
usi terapeutici, ma dobbiamo aspettare
il 1858 e Pasteur, per definire con certezza le qualità antibiotiche della pianta.
I proverbi popolari definivano l’aglio
“il farmacista del contadino” o “la farmacia dei poveri”. Si usava applicarlo pestato sui calli per ammorbidirli e
staccarli; si arrostiva sulla brace e ci si
strofinavano i geloni; si applicava sulle
punture di vespe; si ingeriva a pezzetti
per abbassare la pressione sanguigna; si
coceva nel latte che bevuto avrebbe guarito dalla tosse. L’aglio veniva addirittura
usato come simbolo protettivo: appeso
a porte e finestre per tenere lontano i
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vampiri e gli spiriti maligni o cucito in
un sacchetto da portare al collo contro
i vermi e le malattie infettive. Questo
ortaggio era anche collegato al culto di
San Giovanni (24 giugno) e si pensava che comprandolo in questo giorno
si sarebbe tenuta lontana la miseria.
Ma lasciando da parte le credenze popolari, le proprietà dell’aglio non finiscono
qui. C’è infatti chi sostiene che sia anche
da inserire fra gli afrodisiaci, soprattutto
per il sesso maschile. Come si può allora
conciliare l’effetto virilizzante con il terribile rovescio della medaglia, costituito
dall’odore non certo attraente che lascia
nell’alito? Ecco qualche consiglio per ovviare al fastidioso inconveniente:
- masticare foglioline di prezzemolo;
- masticare lentamente qualche grano di
caffè;
- masticare qualche seme di anice;
- mangiare lentamente una mela;
- mangiare qualche cucchiaio di miele.
Teodorico, re dell’aglio Uno dei
più celebri re barbari fu l’ostrogoto Teodorico che fece di Ravenna la nuova
capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Da giovane era il tipico guerriero di
quei tempi (V sec. d.C.): alto, muscoloso,
capelli lunghi, biondi e riccioluti, sopracciglia folte, con un collo taurino e un paio
di poderosi baffi, talmente folti che ogni
mattina dovevano essere sfoltiti con uno
speciale rasoio. Il conquistatore dell’Italia
non aveva trascorso l’adolescenza tra le
tende dell’Est, bensì nella ricca e raffinata
Bisanzio come ostaggio, perciò parlava
greco fluentemente, mostrandosi educato e galante, ma aveva abitudini culinarie
dai gusti forti. Era ghiotto di cinghiale e
lenticchie, che innaffiava generosamente
di vino, e la sua passione principale era
l’aglio, (nessuno gli faceva notare l’alito
pesante!). Teodorico, come molti sovrani, utilizzò la tavola anche per scopi “politici”. è rimasto storico il banchetto di
Un “tappeto” di Aglio Rosso di Proceno.
riconciliazione che organizzò con i rivali
Goti sconfitti, e durante il quale strangolò
personalmente Odoacre assieme ai suoi
familiari. Al re ostrogoto il robusto appetito rimase per tutta la vita, a settant’anni
consumava ancora una “frugale” colazione di frutta fresca e carne arrostita, mentre a pranzo esigeva una mensa ben imbandita, con i piatti d’argento, le brocche
d’oro e la tovaglia .
Durante le pestilenze, i medici visitavano i
malati tenendo nella maschera un tampone, imbevuto di soluzione agliacea.
Ha scritto Anthony Burgess, uno dei
più grandi autori inglese del Novecento:
“Fate sfrigolare l’olio d’oliva in padella,
metteteci qualche spicchio d’aglio, cuocetevi la carne o il pesce. Perché così
facendo gustate veramente il mondo
mediterraneo, che ci ha insegnato tutto
quanto valeva la pena di sapere. L’aroma della poesia epica, quando non di
sangue, è di puro aglio”.
L’aglio è disponibile in tre varietà principali: bianco, violetto e rosso. Quello
bianco ha il sapore più tenue, il violetto
e un po’ più acuto e il rosso molto forte e
robusto. Sono attualmente in commercio
oltre 30 varietà.
L’aglio si può trovare fresco solo nella tarda primavera e in estate; si consuma generalmente secco, conservato nelle caratteristiche trecce. Per l’uso in cucina è bene
distinguere i diversi stadi di vegetazione.
Quello non ancora giunto a maturazione
ha un suo inconfondibile aroma e l’aglio
fresco ha caratteristiche diverse da quello
essiccato. Poco noti, ma squisiti, sono le
gemme e i fiori da utilizzare per i soufflè.
Recentemente alcune aziende locali hanno iniziato ad utilizzare gli scapi fiorali,
eliminati in primavera, per confezionare
salse e sottoli di grande qualità e delicatezza.
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Proceno
Proceno è costruita su un’altura e quindi il suo impianto urbanistico è intimamente legato ai rilievi del terreno. Il nucleo più antico è composto da tutte le
costruzioni che hanno per confine quella linea immaginaria che va dalla Rocca,
compresa la Porta, al Poggio, passando per la Pieve. Da questa linea scendendo
fino al Bottino si trova la parte medioevale del paese, ben difesa appunto dalla
Rocca e dall’imprendibile altura del “Poggio”. La parte rinascimentale è sorta intorno al Palazzo Sforza e si è estesa per la “Verdura”, sin quasi alla chiesa di San
Martino, che può essere considerata un’isola rispetto all’abitato urbano. Infatti la
chiesa ed il convento del secolo XI e XII erano fuori dell’abitato ben protette dal
sottostante sperone. L’impianto urbanistico, quindi, è ancora quello medioevale
e le varie aggiunte, intervenute nei secoli, non hanno granché trasformato l’originario tessuto. Negli ultimi decenni invece sono sorti intorno al nucleo storico
nuovi e più moderni insediamenti che hanno trasformato l’aspetto generale pur
non distruggendo del tutto il classico borgo trecentesco abbarbicato attorno al
Castello che lo difendeva.
SAGRE E MANIFESTAZIONI
Sagra dell’Aglio Rosso
dalla prima domenica di agosto
al 14 dello stesso mese
“Intrecciatura” dell’aglio (foto Ass. Pro Loco Proceno).
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Aglio e cucina
A partire dagli appetitosi spaghetti, ormai famosi, all’aglio, olio e
peperoncino, in grado di risolvere un’improvvisata, innumerevoli
sono le possibilità d’impiego di questo ingrediente in cucina. è
usato nelle varie zuppe, sughi, bruschette e nel caratteristico
bujone. Possiamo pertanto affermare, senza ombra di dubbio,
che l’aglio rosso di Proceno è l’ingrediente fondamentale della
cucina dell’Alta Tuscia.
La bruschetta. Ha in sé tutto il sapore dei buoni cibi della
tradizione popolare. Tipica dell’Italia centrale, genuina e appetitosa
è semplicissima da preparare e può essere offerta e gustata come
antipasto ma, arricchita con diversi ingredienti, può essere senza
timore portata in tavola come un vero e proprio primo piatto e
persino come pietanza. Eccola qua, la bruschetta, ricca di sapori
semplici eppure così invitanti: il profumo del buon pane e l’aroma
inimitabile dell’olio che contrasta quello dell’aglio.
Ingredienti Pane raffermo a fette, uno spicchio d’aglio rosso
di Proceno, sale, un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva di
Gradoli.
Preparazione Tostate la fetta del pane al momento di servirla e
quindi insaporitela sfregandola con uno spicchio di aglio rosso di
Proceno, che poi potete infilare in qualche buco della fetta. Adagiate
quindi la fetta in un piatto, bagnatela con olio extra vergine di oliva
di Gradoli e salatela.
Non siate avari con l’olio e, se vi pare il caso, abbondate rispetto al
cucchiaio suggerito. Nel condimento finito nel piatto sarà un vero
piacere intingervi del pane.
Consigli: è ottima anche con l’aggiunta di basilico fresco e fette di
pomodoro.
Salsa a base di Aglio Rosso di Proceno
Pestare l’aglio, aggiungere abbondante olio extra vergine d’oliva
di Gradoli, sale e aceto. Lasciare riposare per qualche ora e quindi
usare la salsa per accompagnare verdure lesse, pesci, carni oppure
per “guarnire” crostini di pane.
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
Bujone di maiale (Proceno)
Ingredienti Carne di maiale a piccoli pezzi, conserva di pomodoro, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso di Proceno, sale, pepe, peperoncino, salvia, rosmarino, vino bianco.
Preparazione Fate cuocere lentamente la carne in una pentola con olio extra vergine di oliva, sale, pepe e peperoncino. A
metà cottura aggiungete rosmarino, salvia, una bella manciata
di spicchi di aglio rosso non sbucciati, un po’ di vino e aceto,
conserva di pomodoro. Continuate la cottura aggiungendo un
po’ di acqua.
Agnello a bujone (Valentano)
Ingredienti Carne di agnello, pomodori pelati, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso di Proceno, sale, pepe, peperoncino, salvia, vino bianco.
Preparazione Tagliate l’agnello a piccoli pezzi e togliete le parti grasse. Lavatelo accuratamente per eliminare il forte odore.
Fate soffriggere aglio rosso, salvia, peperoncino nell’olio extra
vergine di oliva e rosolate a fuoco medio la carne aggiungendo di
tanto in tanto del vino bianco che va fatto evaporare. Quando la
carne è ben rosolata aggiungete i pomodori pelati e due bicchieri
di acqua calda. La cottura va fatta a pentola coperta e a fuoco
basso, evitando che la carne si attacchi al fondo.
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I Dolci Tradizionali dell’Alta Tuscia
Cavallucci e pupe (Onano)
La processione dell’Assunta del 14 Agosto è tutt’oggi l’elemento più originale della religiosità popolare onanese. Caratteristica la partecipazione dei
bambini che, secondo un’antica tradizione, risalente al 1600, portano al collo
cavallucci (maschietti) e pupe (femminucce), dolci di pasta dal gusto morbido
e dall’aspetto invitante. Dopo la preparazione dell’impasto con farina, uova,
zucchero, latte (o acqua) e l’aggiunta di lievito ed aromi, si procede ad una
prima modellazione (a forma di birillo per la pupa, di rombo per il cavallo).
Poi, si continua con il coltello: qualche ritaglio alla primitiva forma e, con
poche aggiunte (applicazione di cuffia, mammelle, fiocco con fiore per la
pupa; morso, sella, nodo e manico per il cavallo), vengono modellate le due
figurine a mezzotondo. A modellazione terminata, si completano le decorazioni tagliuzzando con le forbici la pasta e applicando dei semi di lenticchia o
di veccia per formare gli occhi e la bocca.
(fonte: “La festa della Madonna Assunta di Onano” B. Mancini, 2005)
Onano, 14 agosto - Processione dell’Assunta.
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Biscotti di Sant’Antonio
di Acquapendente
Il Biscotto di Sant’Antonio è un pane dolce, a forma di grande
treccia, ricavato attenendosi scrupolosamente a ricette antichissime tramandate oralmente di madre in figlia. La tradizione, legata alla festa dedicata al Santo (17 gennaio), risulta presente
fin dal 1588, come leggiamo in un manoscritto di Biondi Pietro
Paolo Cronache sulla terra di Acquapendente, in cui apprendiamo che un tempo, la stessa era organizzata dalla Confraternita di Sant’Antonio, oggi non più esistente e sostituita con
il “Signore di Sant’Antonio”, eletto ogni anno fra gli allevatori
aquesiani. La particolare forma di treccia del dolce, che ricorda
un nodo, simboleggia la fedeltà, l’alleanza, pertanto il legame
con il Santo venerato.
Biscotto di Santa Maria Assunta
di Valentano
Lo statuto di Valentano, trascritto in volgare verso il 1557 da
quello più antico vergato in latino del sec. XV, conserva la memoria della festa di Santa Maria Assunta indicandola come Sancta Maria d’Agosto. Questa celebrazione, di derivazione agricola,
legata agli antichi riti del mondo religioso etrusco e romano della
tracciatura di solchi sia per la fondazione delle città che per l’arte
dell’aruspicina, è stata trasformata dalla religione cristiana e dedicata alla Vergine Assunta. Lo stesso rito della cerimonia d’offerta,
con la presenza di ceri su cui sono appesi biscotti e grappoli d’uva,
riporta proprio a cerimonie d’epoca romana. In un affresco del III
sec. d. C., proveniente da una casa privata di Ostia, appare dipinto un corteggio di bambini in abiti festivi che recano doni alla dea
Diana, con aste su cui appaiono appesi grappoli d’uva.
In onore della Madonna, la sera della vigilia, il 14 Agosto, e, durante la messa solenne del giorno della festa, vengono offerti,
come in un sacrificio di primizie, fragranti biscotti e grappoli d’uva,
simboleggianti il pane e il vino, con una semplice cerimonia:
“al rullar d’un tamburo ornato da un biscotto, si forma un pic118
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foto: C. Goretti - Graphisphaera
colo corteo che dalla casa del «Signore della festa» raggiunge la
chiesa. Ai lati del tamburo due giovani portano ciascuno una
lanterna a stelo (volgarmente detto «cero») sulla cui sommità è
posto un biscotto e un grappolo d’uva. Due altri biscotti, legati
a fasce di tessuto - una di colore rosa e l’altra celeste ad indicare
l’universalità del dono (uomini e donne) - poste a mo’ di tracolla
sulle spalle dei ceriferi, vanno a poggiarsi sulle reni degli stessi
portatori. Per questo, i ragazzi, hanno ribattezzato la festa come
quella del «biscotto al cu’», cioè del biscotto sul sedere”.
(fonte: Romualdo Luzi)
Il Biscotto di Sant’Antonio (Acquapendente) e il Biscotto di
Santa Maria Assunta (Valentano) pur avendo gli stessi ingredienti come base dell’impasto sono riconoscibili ed identificabili dalla diversa “intrecciatura”. I suddetti biscotti si caratterizzano per il sapore particolarmente determinato, dato dalla
presenza di anice. Il peso è mediamente di 0,5 kg circa.
Un consiglio: degustare con il vino Aleatico di Gradoli.
Ingredienti Farina q.b., quattro uova, 900 gr zucchero, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, tre bicchierini di marsala all’uovo, lievito naturale, 60 gr di lievito di birra, 70 gr di anice in semi, mezzo
litro di latte, una bustina di vaniglia, buccia di limone grattugiato.
Preparazione Unite insieme le uova, lo zucchero e gli altri ingredienti. Aggiungete il lievito, sciolto con il latte tiepido, e la
farina quanto basta per ottenere una pasta che possa essere
trattata con le mani. Il Biscotto ha una forma tipica, si deve “abbicare” fino ad ottenere una grande ciambella chiusa, che poi
va intrecciata, per il Biscotto di Valentano, modellata a forma di
otto per quello di Acquapendente. I dolci vanno poi disposti sulla teglia e, dopo aver lievitato, prima di essere infornati, vanno
spennellati con un uovo.
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