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Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile ESTREMI Autorità

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Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile ESTREMI Autorità
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
ESTREMI
Autorità: Cassazione civile sez. III
Data: 28 febbraio 2008
Numero: n. 5302
CLASSIFICAZIONE
FACTORING In genere
FACTORING Cessione di credito d'impresa
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Cessione del credito
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Risoluzione del contratto per inadempimento eccezione di
inadempimento (inadimplenti inadimplendum)
Obbligazione e contratti - Cessione del credito- Cessione di crediti nell'esercizio dell'impresa
(factoring) - Risoluzione per inadempimento del contratto di appalto fonte del credito ceduto Possibilità per il debitore ceduto di eccepire la risoluzione del contratto dichiarata con sentenza passata in giudicato.
INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FILADORO Camillo
- rel. Presidente
Dott. FEDERICO Giovanni
- Consigliere Dott. FICO
Nino
- Consigliere Dott. URBAN
Giancarlo
- Consigliere Dott. BISOGNI Giacinto
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del Direttore
titolare pro tempore della Filiale Capogruppo di (OMISSIS) dr.
M.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CAPOSILE 2,
presso lo studio dell'avvocato ANZALDI ANTONINA, che la difende
unitamente all'avvocato LUIGI ANTONIELLI D'OULX, giusta delega in
atti;
- ricorrente contro
COMUNE DI COLLEGNO, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato
in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26 presso
lo
studio
dell'avvocato
MAGRONE GIANDOMENICO, che lo difende
unitamente
all'avvocato PAOLO PAUTRIE', giusta delega in atti;
- controricorrente avverso la sentenza n. 369/03 della Corte d'Appello di TORINO, terza
sezione civile, emessa il 13/12/02, depositata il 31/03/03, R.G.
1012/02+1175/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/02/08 dal Presidente Dott. Camillo FILADORO;
udito l'Avvocato Antonina ANZALDI;
udito l'Avvocato Gian Domenico MAGRONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La presente controversia trae origine da un rapporto di factoring, attuato mediante cessione da
parte della società Valli Lavori di un credito futuro che la società avrebbe vantato nei confronti del Comune di Collegno per alcuni lavori appaltati alla società.
Il factor-cessionario (Monte Paschi Factor spa), aveva anticipato alla Valli lavori la somma di oltre L.
233 milioni, pari al 10% del valore complessivo dei lavori appaltati.
Con sentenza 12 agosto 1994 del Tribunale di Torino, in una controversia che opponeva la Valli
lavori al Comune di Collegno, era stata dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento
dell'appaltatore, dandosi atto che quest'ultimo non aveva mai iniziato i lavori.
La Banca aveva allora richiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo contro il Comune ceduto, per la
somma corrispondente alla anticipazione del 10% del valore del contratto, erogata alla Valli lavori.
Il Comune proponeva opposizione, osservando che il credito non era mai venuto ad esistenza ed in
subordine che era venuta meno, con effetto ex tunc, ogni sua giustificazione, a seguito della
risoluzione del contratto per inadempimento pronunciata con la sentenza oramai passata in
giudicato.
Il Tribunale di Torino rigettava l'opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.
La sentenza di primo grado era confermata dalla Corte d'Appello di Torino, con decisione n. 1449 del
1996. I giudici di appello ritenevano non opponibile alle parti in causa la sentenza pronunciata
nell'altro giudizio promosso dal Comune di Collegno contro la Valli lavori per l'accertamento della
avvenuta risoluzione del contratto di appalto.
Con decisione del 1 febbraio-26 maggio 1999 n. 5077, questa Corte rilevava che il precedente
giudicato esterno che aveva accertato la risoluzione del contratto di appalto stipulato tra il Comune
di Collegno e la società Valli lavori, per inadempimento di questa ultima, poteva avere effetti riflessi anche in questo giudizio, vertente tra il Comune di Collegno e la Monte dei Paschi Factor s.p.a. nel
quale si discuteva di un diritto collegato a tale contratto di appalto.
Poichè oggetto della pronuncia del Tribunale di Torino del 12 agosto 1994, divenuta irrevocabile, era stata la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della Valli, si trattava di esaminare
se tale risoluzione, ed i suoi conseguenti effetti potessero espletare la loro efficacia anche nei
confronti della spa Monte dei Paschi, la quale aveva chiesto la restituzione dell'anticipo del 10% del
totale del corrispettivo dei lavoro (pari a L. 233.040.060), versato alla Valli Lavori a seguito di
cessione del credito nei confronti del Comune di Collegno, nell'ambito di uri rapporto di factoring.
Osservava questa Corte che: "Dall'onere di applicare tal principi la Corte di Torino si è quale si discuteva di un diritto collegato a tale contratto di appalto.
Poichè oggetto della pronuncia del Tribunale di Torino del 12 agosto 1994, divenuta irrevocabile, era stata la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della Valli, si trattava di esaminare
se tale risoluzione, ed i suoi conseguenti effetti potessero espletare la loro efficacia anche nei
confronti della spa Monte dei Paschi, la quale aveva chiesto la restituzione dell'anticipo del 10% del
totale del corrispettivo dei lavoro (pari a L. 233.040.060), versato alla Valli Lavori a seguito di
cessione del credito nei confronti del Comune di Collegno, nell'ambito di uri rapporto di factoring.
Osservava questa Corte che: "Dall'onere di applicare tal principi la Corte di Torino si è completamente sottratta: a tanto dovrà attendere il giudice del rinvio al quale, pertanto, sarà rimesso procedere alla concreta interpretazione del giudicato, la cui efficacia riflessa viene eccepita,
alla individuazione dei suoi effetti "ex tunc" sul diritto alla anticipazione, all'accertamento, cioè della concreta dipendenza del diritto del cessionario all'anticipazione dalla pronunzia irrevocabile eccepita
dal ceduto".
La Corte di Appello di Torino con sentenza 13 dicembre 2002 - 31 marzo 2003, decidendo quale
giudice di rinvio, rilevava che secondo l'art. 1458 c.c. la risoluzione del contratto per inadempimento
ha effetto retroattivo salvo che per i contratti ad esecuzione continuata (tra i quali non rientrava il
contratto in esame) per i quali l'effetto non si estende alle prestazioni già eseguite.
La società Valli, sottolineava la Corte territoriale, aveva ceduto un credito futuro ed il Comune di Collegno, quale soggetto ceduto, poteva sicuramente opporre al cessionario (Monte Paschi Factor)
tutte le eccezioni derivanti dal rapporto con il cedente Valli.
In conseguenza di ciò, doveva concludersi che la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto aveva fatto venir meno la causa delle attribuzioni patrimoniali derivanti dal
contratto di appalto, con la ulteriore conseguenza che la obbligazione (modificata, per effetto della
cessione, soltanto nella titolarità attiva del credito, ma rimasta inalterata nel resto) era divenuta inesistente fin dall' origine nei confronti della cessionaria Monte dei Paschi di Siena.
Le osservazioni della Banca cessionaria circa la assoluta autonomia (rispetto alle successive vicende
contrattuali) del credito, in quanto relativo alla anticipazione dovuta ex lege alla appaltatrice,erano
ritenute dalla Corte d'appello del tutto infondate oltre che coperte dal giudicato.
I giudici di appello rilevavano poi che le ulteriori argomentazioni svolte dalla Banca, riguardanti la
esplicita accettazione del credito da parte del Comune, ai fini dell'affidamento ingenerato da tale
comportamento nei confronti della stessa Banca cessionaria, erano del tutto inammissibili perchè tali da integrare domande nuove, che non potevano essere introdotte per la prima volta nel giudizio di
riassunzione, il quale costituisce un giudizio chiuso, relativo ad una fase processuale nella quale il
giudice di rinvio deve limitarsi a dare applicazione alla sentenza della Cassazione.
Contro la sentenza della Corte di Appello di Torino la Banca ha proposto ricorso per cassazione
sorretto da due motivi.
Resiste il Comune di Collegno con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F nonchè dell'art. 1453 e segg. c.c..
Secondo la Banca il giudice di rinvio non avrebbe considerato esattamente la natura giuridica
dell'appalto.
Secondo la previsione in esso contenuta, infatti, l'esecuzione dei lavori doveva essere effettuata nel
tempo ed essere compensata secondo periodici stati di avanzamento. Pertanto, in questo caso, la
risoluzione del contratto non poteva che operare ex mine, ai sensi dell'art. 1458 c.c..
Con un secondo profilo del primo motivo, la ricorrente deduce la natura dichiarativa della decisione
del Tribunale di Torino che aveva accertato la intervenuta risoluzione del contratto d'appalto
stipulato tra la Valli lavori ed il Comune di Col legno a far data da epoca successiva a quella della
cessione del credito e della sua scadenza (e più precisamente alla data del 3 aprile 1990).
Il giudice designato per il rinvio non aveva esattamente considerato la reale portata della sentenza
del Tribunale, della cui efficacia riflessa si dovevano valutare le conseguenze in sede di rinvio.
Anche a voler ammettere, infatti, che tale sentenza dovesse produrre effetti nei confronti della
società ricorrente, la sua efficacia riflessa era priva di qualsiasi conseguenza, poichè la risoluzione del contratto era successiva alla cessione del credito ed alla sua accettazione da parte del Comune
di Collegno, con conseguente sua inopponibilità al factor.
Sotto un ulteriore profilo, la sentenza impugnata è censurata per l'errato inquadramento giuridico del credito ceduto azionato da Monte Paschi Factor in via monitoria nel 1990.
Poichè il diritto all'anticipazione sui compensi per i lavori appaltati discendeva direttamente dalla legge, vi era una assoluta autonomia del diritto di credito vantato dalla Monte dei Paschi Factor
rispetto al rapporto contrattuale intercorso tra appaltatore cedente ed il Comune di Col legno
ceduto, che del resto aveva espressamente accettato la cessione tramite proprie delibere.
La censura proposta con il primo profilo del primo motivo è inammissibile.
La corte territoriale ha spiegato che nel caso di specie la configurazione di un contratto ad
esecuzione continuata non era stata provata e neppure allegata dalla Banca, giungendo alla
conclusione che secondo i principi generali gli effetti derivanti dalla risoluzione del contratto sono
destinati a venir meno fin dall'origine anche nell'ipotesi di corresponsione di acconti in corso d'opera
quando in effetti i lavori -come nel caso di specie - non siano stati in effetti eseguiti (Cass. 19
febbraio 1968 n. 574).
Sotto il secondo profilo il motivo è parimenti inammissibile, trattandosi di accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale.
Lo stesso sarebbe in ogni caso infondato, in quanto la ricorrente confonde la data della delibera
comunale con la quale è stato deciso di richiedere la risoluzione del contratto con gli effetti di questa ultima.
Anche il terzo profilo del primo motivo si rivela del tutto infondato.
La legge infatti si limita a stabilire l'attribuzione anticipata, rispetto all'esecuzione dell'opera, di una
parte del compenso spettante all'appaltatore, ma non muta la natura del diritto di credito che resta
subordinato all'accertamento della sua spettanza.
Si rinvia all'esame del secondo motivo per quanto riguarda l'opponibilità al factor - cessionario della
risoluzione del contratto di appalto.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 1264 e 1375 cod. civ., nonchè omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
In particolare la ricorrente lamenta l'omessa considerazione da parte della Corte territoriale delle
conseguenze derivanti dalla esplicita accettazione della cessione di credito sotto il profilo della
tutela dell'affidamento ed alla luce dei principi di correttezza e buona fede.
La circostanza che avrebbe portato alla risoluzione del contratto si era pacificamente verificata dopo
l'accettazione della cessione del credito.
La Banca aveva chiesto al giudice di rinvio di valutare con ponderazione il rilievo da attribuire
all'accettazione del debitore ceduto, che si era risolto in un vero e proprio riconoscimento del debito,
ben al di là della semplice presa di conoscenza della cessione di credito.
Era stato, in ultima analisi, proprio il comportamento del debitore ceduto (Comune di Collegno) ad
indurre il cessionario (Monte dei Paschi di Siena Factor spa) a fare affidamento sulla esistenza e
l'esigibilità del credito ceduto e, di conseguenza, a corrispondere al cedente (Villa Lavori) una rilevante erogazione di danaro.
Osserva il Collegio:
Come già rilevato in precedenza, nella presente causa si verte in tema di factoring, cioè di un istituto che la pratica degli affari ha ripreso dall'esperienza americana.
Nel factoring si ha una complessa negoziazione nell'ambito della quale, essenzialmente, si configura
l'impegno prestato da una parte (facfcor) di rendersi cessionario di tutto o di una parte dei crediti
già maturati o che matureranno a favore di un imprenditore a seguito di forniture o scambi di beni o servizi; ed ancorchè il nucleo essenziale del negozio sia costituito dalla cessione dei crediti d'impresa, esso non si esaurisce nella sola cessione, poichè altrimenti non si differenzierebbe dall'istituto tipico disciplinato dall'art. 1260 ss. c.c..
Tuttavia fin dalle prime decisioni la giurisprudenza ha applicato pedissequamente, in materia di
factoring, proprio le norme sulla cessione dei crediti; e malgrado autorevole dottrina abbia
Nel factoring si ha una complessa negoziazione nell'ambito della quale, essenzialmente, si configura
l'impegno prestato da una parte (facfcor) di rendersi cessionario di tutto o di una parte dei crediti
già maturati o che matureranno a favore di un imprenditore a seguito di forniture o scambi di beni o servizi; ed ancorchè il nucleo essenziale del negozio sia costituito dalla cessione dei crediti d'impresa, esso non si esaurisce nella sola cessione, poichè altrimenti non si differenzierebbe dall'istituto tipico disciplinato dall'art. 1260 ss. c.c..
Tuttavia fin dalle prime decisioni la giurisprudenza ha applicato pedissequamente, in materia di
factoring, proprio le norme sulla cessione dei crediti; e malgrado autorevole dottrina abbia
denunciato che una rigida applicazione di tali norme possa ritardare sensibilmente la speditezza di
un'operazione escogitata, nei paesi di capitalismo avanzato, nel quadro dei nuovi strumenti di
finanziamento indiretto delle imprese, anche il recente e singolare intervento Legislativo in materia
(L. 21 febbraio 1991, n. 52 rubricata come "disciplina della cessione dei crediti di impresa"), recita
testualmente che "resta salva l'applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di
credito" (L. cit., art. 1, n. 2).
Trattasi di una normativa che lungi - forse intenzionalmente - dal fornire una disciplina organica del
contratto di factoring (neppure menzionato con l'espressione anglofona a favore della generica
dizione di "disciplina dei crediti di impresa"), ha quantomeno risolto i dubbi originariamente insorti
circa la cedibilità di crediti futuri e di crediti in massa (art. 3); cosicchè per rinvenire una regolamentazione più completa deve farsi riferimento alla L. 14 luglio 1993, n. 260 di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul factoring internazionale di Ottawa del 28 maggio 1988.
Ora problema fondamentale - e decisivo ai fini della presente causa - è quello di stabilire quali eccezioni siano opponibili, da parte del debitore ceduto, al factor - cessionario, poichè a differenza di quanto stabilito per la delegazione (art. 1271 c.c.), per l'espromissione (art. 1272 c.c.) e per le
obbligazioni solidali (art. 1297 c.c.), in tema di cessione dei crediti nè il codice civile, nella L. n. 52 del 1991 cit. hanno previsto una normativa apposita che disciplini il trasferimento delle eccezioni, così come per le azioni.
In dottrina, escluso che la questione possa essere risolta sulla base di un generico richiamo ai
principi espressi dagli artt. 1263 (effetti della cessione sugli accessori del credito) e 1248 c.c.
(inopponibilità della compensazione), ovvero della regola giurisprudenziale per cui il debitore ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, si sono distinte due serie di eccezioni:
1) quelle attinenti alla fonte negoziale del credito (inesistenza, nullità, annullabilità del negozio da cui è sorto il rapporto obbligatorio), sempre opponibili al factor - cessionario come al cedente;
2) quelle attinenti a fatti posteriori al rapporto obbligatorio, volte a ridurre od eliminare il debito
ceduto, ed allora si distingue a seconda che il fatto costitutivo dell'eccezione si sia verificato prima o
dopo la conseguita conoscenza dell'atto da parte del ceduto, essendo opponibile al factor
l'eccezione sorta prima di tale conoscenza ed inopponibile se il ceduto conosceva già il trasferimento del credito.
Insomma, il criterio ispiratore della doppia distinzione è di evitare che eventuali accordi tra cedente e ceduto in danno del cessionario, dopo la notifica della cessione ed idonei ad estinguere o
modificare il credito, rendano l'istituto del factoring un negozio di pura alea.
Come ha posto in luce la dottrina, la ratio della disciplina della cessione del credito è chiara. Il debitore, a seguito della cessione del credito, non deve trovarsi in una posizione di minor tutela
rispetto a quella che avrebbe avuto nei confronti del soggetto cedente.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha sempre compreso la necessità di consentire, senza limiti di tempo, l'opponibilità delle eccezioni derivanti dall'inadempimento del contratto sottostante la cessione (Cass. 17 gennaio 2001 n. 575, 6 agosto 1999 n. 8485, 25 marzo 1999 n.
2821, 7 aprile 1979 n. 1992).
L'opponibilità invece è esclusa in presenza di fatti giuridici dipendenti anche dalla volontà del ceduto (ad esempio per risoluzione consensuale del contratto sottostante) quando il venir meno del
rapporto è in qualche modo imputabile, in tutto o almeno in parte, al ceduto (Cass. 10 maggio 2005 n. 9761, 25 febbraio 2005 n. 4078, 16 aprile 1999 n, 3797, 7 aprile 1979 n. 1992).
L'opponibilità, dunque, è sempre ammessa quando l'obbligo di pagamento del ceduto sia venuto meno per fatto imputabile al cedente.
In questo caso, la risoluzione opera, secondo le regole generali, con efficacia ex tunc, atteso che la
risoluzione del contratto di appalto, fuori dei casi specificamente regolati dalla legge (artt. 1666,
1671 e 1677 c.c.), non si sottrae alla regola generale di cui all'art. 1458, 1 co, c.c. e non potendo
l'appalto, in linea generale, annoverarsi tra i contratti ad esecuzione continuata o periodica (Cass. 9
novembre 1977 n. 4818).
Deve comunque, rilevarsi che, anche in tema di factoring, questa Corte (sent. 1 agosto 2003 n.
11719, 17 gennaio 2001 n. 575, 25 marzo 1999 n. 2821) ha affermato che è opponibile al factorcessionario, da parte del debitore ceduto, la risoluzione per inadempimento del contratto, avendo
essa efficacia retroattiva a norma dell'art. 1458 c.c., comma 1 salvo i casi, che qui non ricorrono, di
contratti ad esecuzione continuata o periodica: principio dal quale non v'è ragione di discostarsi nel caso di specie, nel quale non può neppure profilarsi l'ipotesi di opere da eseguire per singole partite
(cfr. Cass. 18 agosto 1993 n. 8752).
Come ha ricordato, più volte, questa Corte, la cessione non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà.
Conseguentemente, secondo le decisioni di questa Corte, il debitore ceduto può opporre al factor cessionario le eccezioni concernenti l'esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto e sottrarsi al pagamento, deducendo che tale credito non è mai sorto nei suoi confronti (Cass. 11 maggio 2007 n. 10833, 1 agosto 2003 n. 11719, 5 novembre 2002, n. 15483). Lo stesso
può inoltre opporre le eccezioni riguardanti l'esatto adempimento del negozio sottostante (nella specie il contratto di appalto), ferma restando l'efficacia traslativa della cessione.
Dopo avere correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte, la sentenza impugnata ha
concluso che nel caso in esame, per il combinato disposto degli artt. 1260, 1458 e 2909 c.p.c. il
diritto sorto in capo alla Monte Paschi non poteva che essere qualificato come dipendente, nel
senso che il credito era stato trasferito alla Monte Paschi con le stesse caratteristiche che aveva in
capo alla spa Valli lavori ed era soggetto alle stesse vicende.
Con motivazione conseguente la Corte di appello ha concluso che la pronuncia di risoluzione del
contratto di appalto (nella causa tra spa Valli e Comune di Collegno) aveva comportato la
eliminazione di tutte le conseguenze inerenti alla esecuzione del contratto di appalto sopra
richiamato, retroagendo con effetto ex tunc al momento in cui era sorta l'obbligazione.
Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di rinvio sfuggono a qualsiasi censura di violazione di legge e di vizio della motivazione.
Esse, infatti, sono in tutto conformi al consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale
nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività, ex art. 1458 c.c., comma 1, della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle
attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire la prestazione ricevuta (Cass. 20 maggio 1997 n. 4465, 24 febbraio 1995 n.
2135).
Non costituisce dunque violazione di norma di legge o vizio di motivazione l'affermazione, contenuta
nella decisione impugnata, secondo la quale la risoluzione del contratto per inadempimento,
accertata con sentenza passata in giudicato, aveva comportato il venir meno della causa
giustificatrice della erogazione della somma di L. 233.040.060, retroagendo con i suoi effetti fino alla
data (14 giugno 1988) di conclusione del contratto, che, pertanto, quanto all'obbligo di pagamento,
era rimasto del tutto improduttivo di effetti.
E' appena il caso di osservare, quanto alle censure (contenute nel secondo motivo di ricorso)
riguardanti l'affidamento riposto dal factor nell'acquisto del credito e nella corresponsione della
anticipazione, che le stesse sono inammissibili perchè finiscono (inammissibilmente) per sollecitare a questa Corte il riesame e la riqualificazione dei fatti di causa.
In ogni caso, il giudice di rinvio aveva già rilevato, a tale proposito, che si trattava di domande avanzate per la prima volta nel giudizio di riassunzione, nel quale non possono essere formulate
nuove domande ed eccezioni (nè richieste nuove prove - al di fuori del giuramento decisorio - che
non siano necessarie a seguito della sentenza di cassazione: Cass. 29 marzo 2006 n. 7243, 23
febbraio 2006 n. 4018, 27 luglio 2004 n. 14134, 6 aprile 1998 n. 3532).
La ricorrente era, infine, perfettamente a conoscenza del fatto che si trattava di anticipazione di
compensi a fronte di opere non eseguite. La circostanza che la erogazione della anticipazione fosse
questa Corte il riesame e la riqualificazione dei fatti di causa.
In ogni caso, il giudice di rinvio aveva già rilevato, a tale proposito, che si trattava di domande avanzate per la prima volta nel giudizio di riassunzione, nel quale non possono essere formulate
nuove domande ed eccezioni (nè richieste nuove prove - al di fuori del giuramento decisorio - che
non siano necessarie a seguito della sentenza di cassazione: Cass. 29 marzo 2006 n. 7243, 23
febbraio 2006 n. 4018, 27 luglio 2004 n. 14134, 6 aprile 1998 n. 3532).
La ricorrente era, infine, perfettamente a conoscenza del fatto che si trattava di anticipazione di
compensi a fronte di opere non eseguite. La circostanza che la erogazione della anticipazione fosse
regolata da precise disposizioni di legge non vale, evidentemente, a mutare i termini della questione
e far ritenere la natura autonoma del credito azionato dalla società ricorrente (pagg. 15-19 del
ricorso per cassazione). Cfr. in materia di anticipazione sul contratto di appalto pubblico e
risoluzione per inadempimento: Cass. 15 ottobre 2004 n. 20324, 22 luglio 2002 n. 10653, 19 luglio
1996 n. 6503.
Opportunamente, la sentenza impugnata ha rilevato che il punto relativo alla non debenza del
pagamento risulta coperto dal giudicato che ha pronunciato la risoluzione del contratto per
inadempimento dell'appaltatore.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro
10.100,00 (diecimilacento/00) di cui Euro 10.000,00 (diecimila/00) per onorari di avvocato, oltre
spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2008
NOTE GIURISPRUDENZIALI
(1) La pronuncia in rassegna riprende e conferma la soluzione della questione già accolta da Cass. 25 marzo 1999 n. 2821, in Vita not., 1999, 212, che ha affermato che in caso di factoring è opponibile al factor-cessionario da parte del debitore ceduto la risoluzione per inadempimento avente efficacia
ex tunc, così cassando la sentenza impugnata che aveva invece ritenuto in termini generali il principio opposto (quello dell'inopponibilità della risoluzione del contratto di appalto al cessionario di crediti inerenti a tale rapporto, allorché quest'ultimo si fosse estinto successivamente alla conoscenza o all'accettazione della cessione da parte del ceduto).
Giova ricordare che l'espressione «factoring» definisce un particolare tipo di contratto con cui
l'imprenditore (cedente o fornitore) cede, o si impegna a cedere, ad un altro imprenditore (factor),
avente determinate caratteristiche, tutti i crediti derivati e derivandi dall'esercizio dell'impresa. Si
tratta di un contratto che può dirsi ancora essenzialmente atipico (così Cass. 8 febbraio 2007 n. 2746), disciplinato solo in parte e solo recentemente dalla legge, ascrivibile all'esercizio
dell'autonomia contrattuale delle parti di cui all'art. 1322 c.c. In questo caso l'interesse meritevole di
tutela è rappresentato dalla possibilità per l'imprenditore di ottenere, mediante mobilizzazione del portafoglio clienti, una semplificazione della gestione commerciale ed un più agevole accesso al credito. Il trasferimento del credito è valido ed efficace nei confronti del ceduto a prescindere dal suo eventuale consenso - ed anzi anche contro la sua volontà (Cass. 11 maggio 2007 n. 10833) - e il
factor, alla scadenza, può pretendere il pagamento del debitore purché dimostri di essere titolare del credito. Ciò comporta anche un'esigenza maggiore di tutela del debitore che si vede cedere il debito senza o addirittura contro la sua volontà.
Una prima regolamentazione di alcuni aspetti del rapporto di factoring si è avuta con la l. 21 febbraio 1991 n. 52, che ha inteso dare una regolamentazione specifica alla cessione dei crediti di impresa
rispondenti a determinati requisiti: il cedente deve essere un imprenditore, i crediti ceduti devono
sorgere da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa, il cessionario può essere solo una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, il cui oggetto sociale preveda appunto l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti d'impresa.
Successivamente la l. 14 luglio 1993 n. 260 ha ratificato la Convenzione UNIDROIT sul factoring
internazionale stipulata a Ottawa il 28 maggio 1988, che è valsa ad arricchire la regolamentazione di alcuni aspetti del factoring, prevedendo tra l'altro la forma scritta della comunicazione al debitore
della cessione del credito dall'imprenditore al factor.
Il problema che affronta la pronuncia in rassegna è quello di stabilire quali siano le eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario (factor) che agisca per l'adempimento del credito
ceduto.
Mentre in materia di delegazione ed espromissione vi sono norme ad hoc (art. 1271 e 1272 c.c.),
nulla è stato stabilito in materia di cessioni di crediti e tanto meno in materia di factoring.
La sentenza in commento distingue due tipi di eccezioni: quelle attinenti alla fonte negoziale
opponibili sia al creditore che al cessionario, quelle, invece, attinenti a fatti posteriori al rapporto
obbligatorio. Queste ultime possono poi essere successive o antecedenti alla notifica o alla
comunicazione della cessione al debitore e quindi alla effettiva conoscenza della cessione da parte
del debitore ceduto: solo le prime saranno opponibili al cedente e al cessionario. Ma la pronuncia va
oltre affermando il principio in forza del quale l'opponibilità è sempre ammessa quando l'obbligazione di pagamento del debito ceduto sia venuto meno per fatto imputabile al cedente,
indipendentemente, quindi, dal momento in cui è stata ricevuta la notifica o comunicazione della cessione.
Nella comparazione di interessi, da una parte quello del cessionario a che venga soddisfatto il suo
credito, dall'altro quello del debitore a che riceva la stessa tutela rispetto a quella che avrebbe
avuto nei confronti del soggetto cedente, prevale quest'ultimo. E la ragione è evidente: la cessione di crediti non può trasformarsi in una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio.
Questo principio, di cui è espressione la sentenza in rassegna, è peraltro coerente con l'art. 9 della Convenzione di Ottawa, cit., la quale prevede che nel caso in cui il cessionario domandi il
pagamento di un credito derivante da un contratto di vendita di merci al debitore, questi può esercitare nei confronti del cessionario tutti i mezzi di difesa derivanti dal contratto che egli avrebbe
potuto opporre se la domanda fosse stata avanzata dal fornitore.
È, quindi, in particolare opponibile - dal debitore ceduto al cessionario (factor) - la risoluzione per
inadempimento, con efficacia ex tunc, del contratto che costituisce la fonte del credito ceduto; non
sarebbe invece opponibile la risoluzione consensuale del contratto stesso (Cass. 15 marzo 2007 n.
5998), né quella ex nunc dei contratti ad esecuzione continuata e periodici.
Nella specie, l'eccezione aveva ad oggetto la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento
dell'appaltatore con efficacia ex tunc ai sensi dell'art. 1458 c.c., risoluzione già dichiarata con sentenza passata in giudicato; cfr. Cass. 25 marzo 1999 n. 2821, cit., che ha ritenuto l'efficacia
retroattiva della risoluzione del contratto di appalto ai sensi dell'art. 1662, comma 2, c.c.; in senso
conforme, Cass. 17 gennaio 2001 n. 575, in Contratti, 2002, 59, con nota di DI BONA, Le eccezioni del
debitore ceduto al cessionario: le differenze nel factoring.
Inoltre, in senso conforme alla pronuncia in rassegna v. anche Cass. 11 maggio 2007 n. 10833, cit.
(ove si afferma che la cessione dei crediti caratterizzante il factoring non produce modificazioni
oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto) e Cass. 1° agosto 2003 n. 11719.
In tema di eccezioni opponibili dal debitore ceduto al factor, v. anche C HINÈ, Le eccezioni processuali
nei rapporti tra debitore ceduto e factor, in questa Rivista, 1994, I, 2031.
In dottrina v., in generale, C LARIZIA R., Il factoring, Torino 1998; ID., in Trattato di diritto privato
diretto da BESSONE, XV. I contratti nuovi - Factoring - Locazione finanziaria, Torino 1999. Più recentemente, cfr. BUSSANI, INFANTINO, Cessione del credito e factoring, Milano 2006; BERLINGUER,
Factoring (contratto di), in Il diritto. Enciclopedia giuridica, VI, Milano 2007, 297.
Tutti i diritti riservati - © copyright 2002 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A. recentemente, cfr. BUSSANI, INFANTINO, Cessione del credito e factoring, Milano 2006; BERLINGUER,
Factoring (contratto di), in Il diritto. Enciclopedia giuridica, VI, Milano 2007, 297.
Tutti i diritti riservati - © copyright 2002 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A. 
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