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l`universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
L’UNIVERSO COMPRENSIBILE
DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Tracce per orientare il dibattito sul futuro della cooperazione allo sviluppo
a cura di Marco Zupi
con contributi di: Alberto Mazzali, Sara Hassan, Marco de Bernardo,
Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli
Con il contributo del Ministero Affari Esteri Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo
Il lavoro è frutto dell’attività del team di ricerca coordinato scientificamente da Marco Zupi e costituito da Alberto Mazzali, Sara Hassan
e Marco de Bernardo (CeSPI), con la collaborazione di Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli (Oxfam Italia).
Le diverse parti sono attribuibili come segue:
•
Marco Zupi ha curato l’impostazione del lavoro, l’elaborazione della metodologia, è autore del capitolo 1 e del capitolo 2 e
ha supervisionato la stesura finale del rapporto.
•
Alberto Mazzali ha predisposto il database con le informazioni sulle iniziative mappate, collaborando alla stesura del capitolo
2 e ha approfondito tre studi di caso tra le iniziative italiane (Consorzio cuoio Depur, Edilana, Consorzio Habitech) e una tra
quelle internazionali (Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative).
•
Sara Hassan ha contribuito alla stesura del testo e del database, curato l’organizzazione dei seminari territoriali e preparato
le relative note di sintesi, partecipato alla mappatura e ha approfondito due studi di caso tra le iniziative italiane (Comune
di Capannori, Contratti di fiume Lambro-Seveso-Olona) e due tra quelle internazionali (Programma APQ Mediterraneo e
Balcani, Progetto 4cities4dev di Slow Food).
•
Marco De Bernardo ha partecipato alla mappatura e ha approfondito due studi di caso tra le iniziative italiane (Progetto
Foresta modello, BioPiace) e una tra quelle internazionali (Salinità in Iraq).
•
Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli hanno partecipato alla mappatura delle iniziative di cooperazione internazionale
segnalate dalle ONG e hanno approfondito, insieme ad Alberto Mazzali, tre iniziative internazionali (Grani andini in Ecuador,
Esperienza di LVIA in Senegal, Amazzonia senza fuoco).
Le interviste e la sintesi dei risultati delle stesse, utili come lavoro preparatorio, sono state curate da tutti i componenti del team.
Tutti i membri del team hanno poi contribuito all’elaborazione del documento finale, leggendo e commentando le prime stesure delle
schede.
Gli autori ringraziano i partner del progetto, tutti coloro che hanno partecipato ai seminari e alle riunioni del team di lavoro, offrendo un
contributo di riflessioni e stimoli all’elaborazione del lavoro finale; il Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo Sostenibile per
spunti e occasioni di confronto sul piano scientifico; Barbara De Benedictis e Lorenza Dellabianca per il supporto tecnico e operativo.
Un sentito ringraziamento, altresì, va agli uffici di presidenza degli enti che hanno promosso e reso possibile i seminari territoriali
(l’associazione Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, la Provincia di Potenza, il Comune e la Provincia di Torino, il Comune di
Capannori), agli uffici della DGCS, in particolare il Coordinamento Ambiente e l’UTC, al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e a tutti gli intervistati per la disponibilità, l’interlocuzione e l’interesse che hanno sicuramente agevolato il lavoro
svolto.
Le idee espresse riflettono esclusivamente le opinioni degli autori, che rimangono i soli responsabili di eventuali errori e imprecisioni.
Progetto Grafico: Demostenes Uscamayta Ayvar
Impaginazione: Patricia Soares, Marco Turetti, Demostenes Uscamayta Ayvar
Il presente Rapporto è stato completato nel mese di giugno 2013.
Sommario
Capitolo 1 5
Introduzione
6
Capitolo 2 11
2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio + 20”
12
2.1.1 La Conferenza di Rio + 20
12
2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo
12
2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto
13
2.2.1 Obiettivi13
2.2.2 Contenuti
13
2.2.3 Le fonti informative
14
2.3 Il profilo delle iniziative realizzate in Italia
15
2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale
18
2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche
20
2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico
21
Capitolo 3
27
3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato
28
3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0 32
3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech
36
3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori
40
3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona
44
3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine
48
3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini
51
Capitolo 4
55
4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED
56
4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI)
60
4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco
64
4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal 68
4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador72
4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya76
4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania 80
Appendici85
1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano
86
2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana99
3. Seminario territoriale di Bologna
102
4. Seminario territoriale di Potenza103
5. Seminario territoriale di Torino105
6. Seminario territoriale di Capannori107
7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio
109
Capitolo 1
Introduzione
Introduzione
5
Introduzione
Questo lavoro è stato realizzato con l’intento di contribuire a promuovere un’idea fondante di sostenibilità ambientale
per lo sviluppo e la cooperazione internazionale allo sviluppo. Il che è però un concetto tutt’altro che acquisito, perché
se è vero che l’evento di Rio+20 ha rinnovato di fronte all’opinione pubblica mondiale l’importanza del discorso sullo
sviluppo sostenibile, volendo in qualche modo riconfermare l’impegno di venti anni prima, il contesto storico in cui
si è venuto a collocare Rio+20 è tuttavia ben diverso dal 1992. Semmai, il contesto attuale presenta diverse analogie
con quello in cui si svolse la Conferenza su “L’Ambiente Umano” tenutasi a Stoccolma nel giugno del 1972, che si pose
l’obiettivo di guidare i popoli del mondo verso una conservazione e un miglioramento dell’ambiente umano.
Gli anni novanta, inaugurati simbolicamente dalla Conferenza di Rio e, soprattutto, dalla novità di un mondo post-bipolare,
non misero in discussione radicalmente il modello e le politiche di sviluppo degli anni precedenti: non enfatizzarono
cioè quella che si potrebbe definire la dimensione politica del fenomeno ambientale. Piuttosto, schematizzando molto,
si potrebbe dire che il fenomeno ecologico e le correlate aspettative di un modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità
ambientale rimasero subordinati al primato gerarchico di una crescita economica che si fonda su un’accentuazione
della competizione e specializzazione internazionale, di una maggiore integrazione dell’economia mondiale, attraverso
la liberalizzazione di scambi commerciali e movimenti di capitali. Un primato gerarchico che postula la riduzione e
inclusione dell’ecologico nell’efficienza economica.
Diversamente, il contesto della Conferenza del 1972 era segnato da profonde inquietudini e dall’erosione culturale del
pensiero dominante: alle spalle la contestazione del movimento sociale e politico del 1968, subito dopo la crisi petrolifera
che attraversò il mondo intero e comportò, tra l’altro, il raddoppio immediato del costo dei fertilizzanti di sintesi e
l’aumento di prezzo delle macchine agricole e degli altri strumenti di tecnologia agraria nel corso del 1973. In quel clima,
la critica all’ideologia economicista della crescita maturò stili di pensiero alternativi che proponevano una rottura della
concezione del mondo allora dominante e toccavano, più o meno apertamente, il nodo della sostenibilità ambientale:
Nicolas Georgescu-Roegen e il concetto di entropia nell’economia, la critica del sovietico Ceprakov alle contraddizioni
nel rapporto uomo-natura che il capitalismo aveva provocato a livello mondiale, i coniugi Meadows e le previsioni di
imminente insostenibilità del modello di crescita illimitata, Jürgen Habermas e la critica del metodo del conoscere
oggettivamente e dei principi di coercizione e violenza della modernità, Theodor Adorno e la critica all’industrialismo,
Ernst Bloch e le elaborazioni teoriche contro la tecnologia alienante, Walter Benjamin e la critica all’idea di progresso
collegato all’industrializzazione, Ivan Illich e l’utopia di una società conviviale, Cornelius Castoriadis e l’ecologia della
libertà e la critica dell’ideologia, Ernst Friedrich Schumacher e il bisogno di costruire una società e un’economia a misura
d’uomo e a difesa dell’ambiente, Ilya Prigogine e la cultura della complessità e dell’ecologia “sistemica” che si proponeva
di superare il dualismo uomo-natura, furono tutti espressione di quell’inquietudine e dell’urgenza culturale di proporre
idee-forza in grado di smascherare la crisi del discorso della modernità, l’ideologia della crescita economica ad ogni costo
e i soprusi e le ingiustizie perpetrate dal potere su scala planetaria. La contestazione della guerra del Vietnam, i movimenti
di liberazione dei PVS, la messa in discussione delle istituzioni totali e totalizzanti in Occidente erano tutti fenomeni
legati all’idea di superare l’alienazione, mettendo al centro i rapporti di relazione e la natura al posto degli oggetti.
Sul piano delle relazioni internazionali, poté svilupparsi il movimento per un Nuovo ordine economico internazionale
(NOEI), fondato su rapporti più equi in ambito commerciale tra i Paesi e su modelli di consumo più sostenibili.
Il richiamo alla centralità dell’ecologico in quella temperie culturale si caratterizzò con un connotato in qualche modo
rivoluzionario, quando fu direttamente ancorato alla necessità di mettere in discussione il modo di produrre, consumare,
vivere e pensare del sistema capitalista, la necessità cioè di accelerare il processo di superamento di un’egemonia del
potere che appariva - in termini gramsciani - precaria.
Il tema della sostenibilità ambientale, tuttavia, non si articolò mai in modo omogeneo, ebbe maggiore o minore peso
relativo nelle argomentazioni dei maître à penser menzionati e produsse di fatto risultati contraddittori in termini di
indicazioni rivoluzionarie o meno dell’assetto precostituito. Ciò non deve sorprendere: l’ecologia in sé non pone obiettivi
da realizzare (un mondo migliore o più giusto, tantomeno diritti da riconoscere, tutelare ed esercitare), facendo piuttosto
ricorso a concetti come conservazione ed equilibrio dinamico dell’ecosistema. Tuttavia l’ecologia può, attraverso i suoi
principi forti, diventare volano di un discorso politico promotore di una trasformazione profonda e radicale della società.
Rio 1992 contribuì enormemente a diffondere il lessico della sostenibilità ambientale e più in particolare il termine
di “sviluppo sostenibile” introdotto nel 1987 dal rapporto Brundtland della Commissione mondiale sull’ambiente e lo
sviluppo. Tuttavia, non orientò le potenzialità della centralità ambientale in direzione di una radicale trasformazione del
modo di produrre, consumare, vivere e pensare; in ogni caso, i germi di un cambiamento profondo furono immessi nel
corpo della storia contemporanea.
Oggi, si diceva, in termini di contesto paiono esserci più assonanze con il 1972 che non con il 1992: il mondo attraversa
una crisi che è economica e finanziaria, e quindi anche sociale e politica, di fatto palesando una crisi culturale profonda
6
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
della modernità. Tornano le parole d’ordine di un mondo diverso possibile. Rio+20 e il dibattito sul post-2015, ovvero
sull’agenda che dovrà proseguire o prendere il posto di quella dettata dal raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del
millennio (gli MDG), sottolineano due critiche fondamentali del discorso dominante sullo sviluppo.
Anzitutto, la questione delle disuguaglianze economiche e del lavoro. Si tratta di una critica non nuova, già mossa da
Karl Marx all’economia politica borghese e che pesa oggi come un macigno sull’agenda del post-2015. È stata da più
parti invocata come una dimensione assente dagli MDG e fondamentale per lo sviluppo, di fronte alla realtà di una
nuova classe media mondiale (ci sono 2 miliardi di persone che costituiscono la classe media, di cui la metà è in Paesi a
medio reddito; nel 2030 saranno 4,9 miliardi e l’80% vivrà nei Paesi a medio reddito), di una popolazione che esce dalla
povertà assoluta ma resta dentro la povertà, con oltre 1,5 miliardi di lavoratori che hanno un impiego precario e circa
200 milioni di disoccupati in cerca d’impiego. Tuttavia, il modo per tradurla in impegni concreti e indicatori monitorabili
non trova facili risposte e impegni precisi, come dimostra da ultimo il Rapporto dell’High-Level Panel, consegnato al
Segretario Generale delle Nazioni Unite a fine maggio 2013: il tema delle disuguaglianze è riconosciuto retoricamente
come problema strutturale che limita le opportunità di sviluppo della collettività e delle persone penalizzate, ma manca
la capacità di proporre una traduzione operativa concreta e soluzioni politiche che colpiscano le posizioni di rendita delle
fasce di reddito più alto della popolazione, limitandosi a ribadire la centralità dei più poveri nell’agenda del post-2015;
argomento per altro in contraddizione col concetto di disuguaglianza e assimilabile semmai a quello di povertà relativa
(in un’ottica di disuguaglianze, la povertà si affronta guardando alla ricchezza e alla sua distribuzione come problema).
La seconda critica è quella legata alla sostenibilità ambientale. La domanda preliminare da porre è se l’ambiente sia
una variabile da incorporare nel funzionamento del sistema e nel modo di produzione vigente, orientando le imprese
e i governi a maggiori investimenti “verdi”, a cominciare dagli investimenti in campo ambientale nel settore industriale,
dell’eco-innovazione, dell’energia rinnovabile e del trasporto sostenibile, per la protezione dell’ambiente e la gestione
sostenibile delle risorse, in nome di una maggiore efficienza. O è, piuttosto, da intendere come la matrice di un
cambiamento di regime, che metta in discussione il criterio assoluto della quantità e, quindi, l’obiettivo centrale della
crescita del PIL, in nome di stili di vita diversi? In entrambi in casi, si tratta poi di intrecciare questo con la questione
posta dalla prima critica, cioè con la necessità di dare risposte in termini occupazionali adeguate ai bisogni, al di là dello
slogan dei green job. Dato infatti il carattere socialmente mediato del rapporto uomo-natura, le grandi trasformazioni
sono possibili unicamente tramite le modificazioni delle condizioni storiche ed economiche del suo mediarsi: Marx,
rifacendosi a un concetto di Pietro Verri (Meditazioni sulla economia politica, seconda edizione del 1773), scriveva nella
nota 13 del libro I del Capitale che “il lavoro non è l’unica fonte dei valori d’uso che produce, della ricchezza materiale.
Come dice William Petty, il lavoro è il padre della ricchezza materiale e la terra ne è la madre”1.
Per la cooperazione allo sviluppo non si tratta di cercare proprie strade innovative indipendentemente da quello che
si muove nella realtà delle esperienze concrete e del dibattito di idee. Allo stesso tempo, però, non ci si può trincerare
dietro la genericità della presunta “trasversalità” del tema ambientale, salvo poi tradurre la specifica ambientale in
interventi o componenti tradizionalmente “settoriali” o ritualisticamente assolvere la funzione, prevista coi marcatori di
Rio, di definire un’iniziativa ad alta, bassa o nulla componente ambientale. La questione ecologica non è prima di tutto
un problema di indicatori, come l’esempio dei Rio Markers insegna; è piuttosto una declinazione politica della questione
ambientale.
La letteratura e l’evidenza convergono sulla combinazione delle dimensioni delle deprivazioni che si collegano ai due
principi ricordati di uguaglianza e sostenibilità ambientale. Aumenta, infatti, la percentuale di popolazione che, nelle
diverse regioni del mondo, è colpita contemporaneamente da povertà multidimensionale e deprivazioni ambientali.
Né ci si può nascondere dietro il principio della complessità e dell’approccio olistico, premessa generale che rischia
di essere smentita dalla natura dei progetti e delle iniziative settoriali che si continuano a realizzare. Porre al centro la
sostenibilità ambientale significa un radicale cambiamento dell’atteggiamento cognitivo, considerando le iniziative e
i progetti non come macchine semplici e ordinate, divise o comunque divisibili in parti separate e non interagenti (le
attività nell’ambito del Logical framework adottato per la progettazione), nell’illusione di uno stato del mondo prevedibile.
Significa accettare i compromessi della non linearità dei fenomeni, dell’importanza delle interrelazioni, umane e con
l’ambiente, proponendo semmai un’idea ecologica di progetti e iniziative di cooperazione allo sviluppo come organismi
dinamici, flessibili, che si adattano in continuazione ai cambiamenti in corso, che si qualificano come opportunità per
rafforzare le capabilities dei sistemi sociali e ambientali complessi, rafforzandone la resilienza, in particolare agendo sulle
vulnerabilità.
Significa, sul piano dei contenuti, affrontare e risolvere il paradosso dell’ossimoro di un concetto come “sviluppo
sostenibile”, interpretandolo in continuità o in rottura con l’esistente, ponendo il tema della sostenibilità immediatamente
come campo della complessità, declinandolo - come suggeriva Camilla Toulmin, direttrice dell’International Institute for
Environment and Development, al seminario del settembre 20122 - attraverso tre priorità: (1) localizzare lo sviluppo nei
1
K. Marx (1973 [1867]), Il capitale. Critica dell’economia politica, Vol. I, 1, Editori Riuniti, Roma, pp. 55-56.
2
Seminario dal titolo “ Da Rio+20: Azioni e Programmi dell’Italia per lo Sviluppo Sostenibile “ tenuto contemporaneamente a Roma e Milano il 21 settembre 2012.
Introduzione
7
contesti specifici; (2) tradurre lo sviluppo in termini di rafforzamento della resilienza delle comunità e della natura dinanzi
agli shock, il che è una questione anzitutto politica, (3) dotarsi di un sistema informativo utile a misurare i progressi.
Da Rio+20 è possibile che si tracci il cammino per far maturare una possibile presa di posizione della politica italiana di
cooperazione allo sviluppo, fondata su tre aspetti trasversali di interesse:
1. Integrare i tre pilastri delle dimensioni economica, sociale e ambientale;
2. Promuovere un approccio multilivello e territoriale per iniziative multi-attoriali (coinvolgendo nel processo
decisionale, e non solo in alcune attività di implementazione, i diversi stakeholder);
3. Coinvolgere il settore privato con formule di partenariato pubblico/privato (PPP) innovative, di piena
corresponsabilità, che vadano oltre la prassi prevalente di Corporate Social Responsibility, nel mobilitare risorse
finanziarie e know how per favorire una Green Economy (GE)3 che non sia di pura cosmesi, ma realmente
trasformativa.
Si tratta anche di cominciare a declinare concretamente le priorità d’intervento della cooperazione allo sviluppo a partire
da aree tematiche d’intervento che non solo sono tra loro correlate, ma chiariscono anche immediatamente come un
nuovo approccio di cooperazione allo sviluppo debba fondarsi sulla centralità della coesione territoriale e, dunque, su
partenariati tra territori che condividono sfide, problemi e quindi, auspicabilmente, anche soluzioni comuni. Non c’è
dubbio, infatti, che esistano aree che sono sfide cruciali per i territori italiani almeno quanto lo sono per i Paesi partner,
e che lo sviluppo sia radicato nei territori, profondamente contestualizzato. Questa opportunità di affrontare problemi
esistenti qui e lì è la condizione che, forse, permetterà di ridare peso politico alla politica di cooperazione allo sviluppo,
pensata soprattutto come opportunità per migliorare le nostre condizioni di vita.
L’approccio sistemico alla sostenibilità nelle politiche di sviluppo implica integrare simultaneamente la sicurezza idrica,
alimentare ed energetica per tutti con l’obiettivo di conservare l’ecosistema rafforzandone la resilienza e con quello di
uno sviluppo economico equo. In agricoltura, questo comporta profonde trasformazioni e scelte precise circa l’approccio
e le strategie da adottare: David Pimentel e Mario Giampietro stimarono venti anni fa4 il rapporto tra produzione ed
immissione di energia in agricoltura (un settore che negli Stati Uniti assorbiva circa il 17% dell’energia consumata),
calcolando che per 1 kilocaloria (kcal) di energia fossile consumata, l’agricoltura statunitense produceva 1 kcal di cibo!
Di fatto, spiegavano gli autori, è cresciuta moltissimo la quota di energia esosomatica (generata dalla trasformazione
di energia all’esterno del corpo umano) rispetto all’energia endosomatica (generata dalla trasformazione metabolica
del cibo in energia muscolare nel corpo umano), che deriva quasi tutta da combustibili fossili. Nella società industriale
il metabolismo dipende, cioè, da flussi da sfruttamento di stock di energia fossile (carbone, poi petrolio, infine gas) che
danno energia e input tecnici; in questo modo sono stati superati i limiti delle risorse rinnovabili ed è stata possibile la
crescita demografica. Il sistema alimentare statunitense consuma dieci volte più energia di quanta ne produca sotto
forma di cibo; questa disparità è resa possibile dalle riserve di combustibili fossili non rinnovabili. Si tratta di un modello
insostenibile di produzione e, complessivamente, di sviluppo. Una trasformazione è inevitabile, soprattutto nell’ipotesi
di un imminente raggiungimento del cosiddetto picco del petrolio (peak oil), il momento in cui l’estrazione del petrolio a
livello mondiale avrà raggiunto il suo valore massimo e a cui seguirà un calo del ritmo di estrazione del petrolio.
Concretamente, per una logica di partenariato/co-sviluppo territoriale, cinque assi prioritari possono essere già proposti,
alla luce del lavoro sin qui svolto e reso possibile attraverso il progetto di Educazione allo sviluppo “Coltivare l’economia,
il cibo, il pianeta. Il contributo italiano a Rio + 20”:
1. Gestione delle risorse idriche, a livello locale ma anche regionale e transfrontaliero;
2. Sviluppo dell’agricoltura sostenibile (produzioni agricole di qualità e culture produttive territoriali e small
farmers-based), su cui l’Italia vanta un patrimonio di cultura, vocazione e storia spendibile anche per un
posizionamento strategico sul fronte multilaterale, tenuto conto della presenza del Polo delle agenzie romane
delle Nazioni Unite (FAO, IFAD, WFP e Bioversity International);
3. Risposta ai problemi comuni (ad esempio, pensando alle isole) del dissesto idro-geologico e la messa in sicurezza
e valorizzazione del territorio nel contesto di politiche di adattamento;
4. I temi della produzione e delle reti energetiche, sviluppando fonti rinnovabili e pulite e pianificazione in risposta
alla dipendenza dalle importazioni di idrocarburi;
5. Sviluppo del trasporto sostenibile e ciclo dei rifiuti.
Ecco perché la scelta del titolo “L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile. Tracce per orientare il dibattito sul
futuro della cooperazione allo sviluppo”: quelle indicate sono solo alcune delle possibili piste di lavoro di un percorso da
costruire mobilitando le energie migliori in campo. Gli spunti offerti da iniziative di sviluppo in Italia e di cooperazione
internazionale attente alle dimensioni della sostenibilità ambientale, come quelle qui raccolte e presentate, si offrono
3
Come definita schematicamente dall’UNEP, in premessa alla sua iniziativa di promozione della GE: “UNEP has developed a working definition of a green economy as
one that results in improved human well-being and social equity, while significantly reducing environmental risks and ecological scarcities. In its simplest expression, a green
economy can be thought of as one which is low carbon, resource efficient and socially inclusive”.
4
8
D. Pimentel, M. Giampietro (1994), Food, Land, Population and the U.S. Economy, Carrying Capacity Network, Washington D. C.
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
come tessere di un mosaico complesso da cominciare a sviluppare, più che completare; e nei territori e nelle loro varie
articolazioni si possono trovare le energie da mettere in campo, a cominciare dai movimenti di persone, associazioni e
imprese che con passione si impegnano su questi temi. Nel delicato equilibrio tra riconoscimento della complessità e
molteplicità delle relazioni che legano i territori a Nord e a Sud del mondo, con la conseguente ricerca di coerenza tra le
politiche da un lato e individuazione di un tema specifico d’intervento dall’altro, sta la formula di una maggiore efficacia
delle politiche di cooperazione allo sviluppo.
Una discontinuità col passato è necessaria; l’idea che, pur nelle persistenti disuguaglianze (di potere), si sia raggiunto il
picco (energia, acqua, suoli, biodiversità, metalli) rende improponibile lo scenario del business as usual mentre la crescita
delle classi medie nei Paesi a medio reddito ridisegna la geografia del potere e delle ricchezze nel mondo; per l’Italia può
diventare anche l’opportunità - o, almeno, questo è l’auspicio - per spendersi con più coraggio, oltre che con più risorse
finanziarie e rinnovato impegno, nell’ambito della cooperazione internazionale, valorizzando quanto di buono già si
riesce a fare in Italia e all’estero, dandogli continuità, giocando un ruolo significativo anche in relazione alla definizione
strategica del Polo delle agenzie romane delle Nazioni Unite e non disperdendo le occasioni imminenti in ambito
internazionale, a cominciare dalla presidenza di turno dell’Unione europea che l’Italia avrà nel secondo semestre del
2014, dall’Expo 2015 organizzata a Milano sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, e dalla definizione dell’agenda
post-2015 in sede Nazioni Unite.
Introduzione
9
Capitolo 2
2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta:
il contributo italiano a Rio + 20”
2.1.1 La Conferenza di Rio + 20
2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo
2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto
2.2.1Obiettivi
2.2.2Contenuti
2.2.3 Le fonti informative
2.3 Il profilo delle iniziative realizzate in Italia
2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale
2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche
2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico Capitolo 2
11
2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio + 20”
2.1.1 La Conferenza di Rio + 20
La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, la storica Conferenza su ambiente e sviluppo (United Nations Conference on
Environment and Development, UNCED), il cosiddetto Summit della Terra, inaugurò il decennio delle Conferenze promosse
dalle Nazioni Unite sui temi dello sviluppo e che culminò, nel 2000, nella Dichiarazione del Millennio. Tale Conferenza
è oggi ricordata per l’impulso a favore dello sviluppo sostenibile e per il suo approccio ambizioso volto a coniugare
indissolubilmente economia, società e ambiente, ma è anche ricordata per l’impostazione data a un processo politico
di lunga durata, fondato su Convenzioni internazionali, sull’istituzione di una Commissione specifica e soprattutto
sull’approvazione di un articolato piano d’azione per lo sviluppo sostenibile da realizzare su scala globale, nazionale e
locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse (stakeholder) che operano sui territori.
A 20 anni dalla Conferenza di Rio del 1992 le Nazioni Unite hanno celebrato la Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile, nota
come “Rio+20”. La conferenza di Rio+20, nel giugno 2012, è stata, oltre che un grande evento mediatico, un momento
importante per valutare sia i progressi che le lacune nel raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile,
incoraggiare il dialogo sulle politiche e stimolare gli sforzi per migliorare e rinnovare l’impegno politico per lo sviluppo
sostenibile nel difficile contesto delle nuove sfide da affrontare.
In particolare, tre sono stati gli ambiti tematici di approfondimento politico: il ruolo della Green Economy nel contesto
dello sviluppo sostenibile e della lotta alla povertà, il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile, gli indicatori di
sviluppo sostenibile.
Non c’è dubbio che i fattori di contesto di crisi internazionale sul piano economico-finanziario e di ricerca di nuovi
equilibri politici, abbiano posto una seria ipoteca sulla capacità di conseguire risultati significativi tali da competere,
simbolicamente, con lo storico evento di venti anni prima. Il contesto non era più quello del 1992 e le premesse non
lasciavano sperare in una Dichiarazione politica molto ambiziosa, dagli impegni vincolanti e capace di gettare uno
sguardo nuovo verso l’incerto orizzonte futuro. Tuttavia, è stata un’occasione fondamentale per far discutere di sfide
comuni e di possibili soluzioni condivise attori che solitamente non dialogavano, perché concentrati sul proprio fronte
di lavoro, locale, nazionale o globale che fosse.
È, infatti, evidente come il tema dello sviluppo sostenibile si possa declinare concretamente su terreni che interrogano
allo stesso modo comunità locali in Italia e quelle che nel resto del mondo sperimentano forme di cooperazione allo
sviluppo: la popolazione italiana è soggetta a rischi naturali come terremoti, alluvioni, frane e incendi come e quanto
quella di molti Paesi in via di sviluppo (PVS); la gestione e riduzione delle discariche, la qualità complessiva delle risorse
idriche, il problema degli inquinanti atmosferici locali e le emissioni di gas serra, la conservazione del patrimonio naturale
di flora e fauna, le politiche energetiche e quelle dei trasporti sono sfide che incoraggiano la partecipazione costruttiva
delle parti sociali ai processi decisionali in Italia come nei PVS. Sfide che hanno portato, più o meno significativamente
a seconda dei casi e dei Paesi, a sforzi di integrazione di competenze tra i livelli di governo, la cosiddetta governance
multilivello ma anche multi-attoriale, laddove si è data una risposta alla necessità di coinvolgere i diversi stakeholder
territoriali.
I dati, in Italia come nel resto del mondo, indicano che le medie nazionali sui risultati conseguiti sono una prima utile
indicazione approssimativa, ma nascondono notevoli disparità tra i territori; i progressi sono presenti in Italia come
altrove, ma diffusi a macchia di leopardo lungo la penisola.
2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo
In questo contesto, si inserisce il Progetto di Educazione allo sviluppo “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta. Il contributo
italiano a Rio + 20”, realizzato con il contributo della Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del
Ministero Affari Esteri (MAE). Un progetto, promosso da Oxfam Italia, CeSPI, Slow Food e Centro Mondialità Sviluppo
Reciproco, con l’obiettivo di assicurare un contributo ampio e qualificato della società civile e della cooperazione italiana
alla definizione delle posizioni espresse dall’Italia alla Conferenza stessa e alla realizzazione degli impegni assunti
dall’Italia a seguito di essa, attraverso attività di analisi e ricerca, networking, informazione e sensibilizzazione.
In sostanza, il Progetto è stato uno strumento per contribuire a rafforzare i legami tra gli attori della società e
dell’economia civile italiana attivi nel settore dello sviluppo sostenibile, favorendo la definizione di strategie congiunte,
creando concretamente occasioni di scambio, informazione, formazione, sensibilizzazione e disseminazione all’esterno.
Iniziative che hanno coinvolto le diverse espressioni italiane dei cosiddetti Major groups: organizzazioni no profit della
12
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
società civile, settore privato, autorità locali, università e centri di ricerca, mondo della cooperazione italiana - DGCS,
amministrazioni locali, ONG e loro reti - in una logica di rafforzamento della collaborazione e dell’integrazione delle
competenze tra gli attori che operano attivamente per la promozione della cultura dello sviluppo sostenibile. Uno
strumento per consolidare la rete, dare visibilità a iniziative interessanti sul piano strategico, così da potenziarne l’efficacia
comunicativa al fine di renderle continuative e contaminare i diversi ambiti di lavoro della cooperazione allo sviluppo.
2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto
2.2.1 Obiettivi
Nel quadro del progetto, la componente di ricerca e analisi si è concentrata su una ricognizione del panorama delle buone
pratiche italiane in tema di interventi sostenibili e promozione di Green Economy realizzate nei PVS attraverso attori
italiani della cooperazione allo sviluppo o realizzate in Italia, su scala nazionale e territoriale, da parte di amministrazioni
pubbliche, imprese ed espressioni del mondo non governativo (in particolare associazioni di categoria, associazioni
ambientaliste, Università e centri di ricerca e sviluppo, ONG di sviluppo, studiosi).
Obiettivo della ricognizione è stato quello di proporre una serie di casi per la discussione, da non intendere come “best
practices” in senso stretto sullo sviluppo sostenibile, bensì come esperienze che hanno componenti (a livello di progetto
o processo) che possono integrare gli approcci più diffusi della cooperazione internazionale allo sviluppo, con contributi
a carattere integrato, sistemico e multidisciplinare.
L’utilizzo di esperienze concrete realizzate in due contesti separati (territorio italiano e cooperazione internazionale allo
sviluppo di PVS), con percorsi di sperimentazione che procedono parallelamente, intende facilitare la costruzione di un
approccio che si fonda sul riconoscimento di sfide comuni e possibili risposte comuni ai grandi temi dello sviluppo in
Italia e nei Paesi partner, a cominciare da quello ambientale. Per questa ragione, la contaminazione tra iniziative e attori
che operano sul nostro territorio e quelli che invece hanno già un rilievo sul fronte della cooperazione allo sviluppo
può essere visto come un’occasione utile per rafforzare un approccio alla cooperazione internazionale che faccia della
sostenibilità l’elemento trasversale, interesse comune dei partner e in Italia.
2.2.2 Contenuti
La ricognizione è stata condotta prendendo in considerazione iniziative che sperimentano e promuovono politiche e
strategie pubbliche e private di sostegno allo sviluppo sostenibile, facendo riferimento ad alcuni dei sette track per le
politiche di promozione della GE presentati all’Assemblea Generale delle Nazioni, e cioè: pacchetti di sostegno e stimolo
delle attività economiche sostenibili, promozione dell’efficienza energetica e nell’utilizzo delle risorse naturali, sviluppo e
applicazione di regole di cosiddetto “inverdimento” (greening) dei mercati e delle gare pubbliche di appalto, investimenti
nelle infrastrutture “verdi”, ripristino, conservazione e rafforzamento del capitale naturale.
Dal punto di vista settoriale si è fatto riferimento alla classificazione dei settori della GE di Burkardt-Van Jones5 e ai
quattro Rio-markers utilizzati dall’OCSE-DAC per la classificazione degli interventi di cooperazione internazionale che
promuovono lo sviluppo sostenibile6:
• energie rinnovabili,
• edilizia eco-compatibile,
• trasporto pulito,
• risorse idriche,
• ciclo dei rifiuti,
• gestione del suolo/foreste/lotta alla desertificazione,
• adattamento ai cambiamenti climatici,
• mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima,
• protezione e ripristino della biodiversità.
Per quanto riguarda l’ambito di intervento, sono state considerate iniziative che sviluppano i propri effetti anche e
soprattutto in modo congiunto e sinergico su ambiti diversi e, in particolare, su:
• tessuto produttivo,
5
Proposta da Karl Burkard (http://www.mnn.com), che ha sviluppato lo schema introdotto da Anthony Van Jones, il consigliere del Presidente egli Stati Uniti, Barack
Obama, per la GE: Van Jones with Ariane Conrad (2008), The Green Collar Economy, HarperOne, New York.
6
OECD-DAC (2011), Handbook on the OECD-DAC Climate Markers, Paris
Capitolo 2
13
•
•
comunità territoriale,
istituzioni, ovvero sui sistemi di regole codificate (in abitudini, convenzioni, norme e leggi) che strutturano,
formalmente o informalmente, le interazioni sociali.
In campo produttivo, si tratta soprattutto di innovazioni di prodotto e di processo, come la riduzione dell’impatto
ambientale della produzione, del consumo e dei processi di eliminazione del prodotto a fine ciclo, nonché di miglioramenti
ambientali e sociali su territorio e comunità coinvolte.
A livello comunitario gli effetti si esplicano, in particolare, in termini di incremento della consapevolezza e della cultura
su tematiche della sostenibilità e di diffusione di stili di vita sostenibili.
A livello istituzionale, i campi d’azione sono quello dello sviluppo delle conoscenze e delle capacità tecniche per lo
sviluppo sostenibile, dell’integrazione dell’obiettivo della sostenibilità nel complesso delle attività private e pubbliche
di promozione dello sviluppo e di formazione del capitale umano, della creazione di un ambiente favorevole agli
investimenti di risorse nella GE.
2.2.3 Le fonti informative
La raccolta di informazioni sulle iniziative di possibile interesse è stata condotta attraverso diversi canali paralleli che
hanno compreso interviste strutturate e in profondità, focus group e videoconferenze, la rassegna di pubblicistica e
letteratura grigia, l’esame di fonti web.
Per la ricognizione delle iniziative di cooperazione internazionale, è stata preziosa l’interlocuzione di due canali
istituzionali: la DGCS/MAE ha contribuito alla raccolta di informazioni e alla selezione dei casi di interesse anche attraverso
la partecipazione delle Unità Tecniche Locali e degli Uffici dell’Unità Tecnica Centrale, responsabili per i progetti
ambientali e per la cooperazione decentrata; parallelamente una serie di casi interessanti nel mondo della società civile
sono stati identificati sollecitando segnalazioni spontanee da parte delle ONG italiane e consultando database dedicati,
come l’archivio ONG predisposto dal COCIS e la banca-dati DGCS/MAE, che contiene anche progetti promossi da ONG.
Per la diffusione delle informazioni relative al progetto e all’attività specifica di ricognizione di iniziative territoriali hanno
partecipato attivamente l’Osservatorio Interregionale per la Cooperazione allo Sviluppo (OICS), l’Associazione Nazionale
dei Comuni d’Italia (ANCI), la sezione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (AICCRE), il Coordinamento
Agende 21 Locali Italiane. In ambito universitario è stato prezioso il dialogo con il Centro Interuniversitario di Ricerca Per
lo Sviluppo sostenibile (CIRPS) e gli undici atenei italiani aderenti alla struttura.
Contemporaneamente, il gruppo di ricerca ha preso in esame la letteratura recente relativa alla presentazione e analisi
di iniziative di promozione di GE e sviluppo sostenibile. Fra i numerosi lavori considerati sono stati consultati il rapporto
Greenitaly realizzato dalla Fondazione Symbola, la banca dati sulle esperienze della società civile italiana relative alla
Green Economy realizzata dal Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente (CURSA), il rapporto
2012 “Green economy in Emilia-Romagna” pubblicato dall’agenzia Emilia-Romagna Valorizzazione Economica Territorio
SpA (ERVET), il rapporto di attività 2011 del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, l’indagine “Gli Enti Locali italiani
verso e dopo il Summit ONU Rio+20 2012” promossa da Focus Lab e dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, la
raccolta di best practices “The European UN Global Compact Companies Towards Rio+20” e il rapporto “Global Compact
Network Italy”, le iniziative presentate alla pagina “Green economy policies, practices and initiatives” pubblicata sul sito
della United Nations Conference on Sustainable Development 2012, le esperienze presentate nell’ambito delle iniziative
“Comuni 5vele”, “Comuni Ricicloni”, “Zone attive: mostra e catalogo esperienze territoriali di Green Economy”, “Comuni
Rinnovabili 2012” e “La forza del vento”, tutte realizzate da Legambiente.
Informazioni utili alla ricognizione delle esperienze realizzate in Italia sono state ricavate anche da alcuni siti web come
quello dell’Associazione Comuni Virtuosi, e dalle presentazioni in alcuni eventi come il Festival della Green Economy
tenutosi a Bologna nell’ottobre 2012, il 6th World Water Forum di Marsiglia, gli Stati Generali della Green Economy riuniti
alla Fiera di Rimini nel novembre 2012; i seminari promossi dal Patto dei Sindaci, gli incontri del Consorzio Altraeconomia,
la rete della decrescita, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale (RIGAS), la mostra/convegno delle buone
pratiche di sostenibilità Terra Futura, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fà la Cosa Giusta!”, la
campagna Genuino Clandestino per la libera lavorazione dei prodotti contadini.
Al termine della fase di raccolta di informazioni sulle esperienze interessanti, sono state completate due liste comprendenti
il totale dei casi considerati, suddivise nei due macro-insiemi delle iniziative di promozione di sviluppo sostenibile su
territori italiani e delle iniziative di cooperazione internazionale con contenuti relativi alle stesse tematiche.
Anche in considerazione delle diverse modalità di raccolta dati utilizzate nella formazione delle due liste, le loro
dimensioni sono notevolmente diverse. La prima delle due è risultata, come immaginabile, molto più lunga, avendo
14
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
preso in considerazione esperienze in diversi settori catalogate e segnalate da diverse fonti che hanno analizzato
dinamiche sviluppatesi su iniziativa di molteplici tipologie di attori, in particolare del settore privato (imprese, consorzi,
associazioni di categoria) e di quello pubblico (enti locali, regioni, aziende pubbliche) che negli ultimi anni sono state
particolarmente attive.
Diversamente, la lista di casi di interesse aventi per oggetto iniziative di cooperazione internazionale è il risultato della
raccolta di informazioni e segnalazioni nel più ristretto ambito dei progetti di cooperazione internazionale e aiuto
pubblico allo sviluppo, il che ha implicato che, sul piano quantitativo, sia minore il numero di esperienze rispetto ai casi
di intervento in Italia e che, sul piano qualitativo, si sia invece riscontrato il protagonismo di organizzazioni della società
civile.
2.3. Il profilo delle iniziative realizzate in Italia
La long list delle iniziative realizzate in Italia comprende 483 casi.
Più di due terzi del totale sono stati ricavati dalle mappature realizzate nel 2012 rispettivamente da Legambiente sulle
esperienze dei “Comuni Rinnovabili” e dal Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente (CURSA),
che ha raccolto iniziative di promozione di GE che, in parte consistente, sono state anche presentate nell’esposizione
“Zone attive” realizzata sempre da Legambiente. Un quarto circa del totale sono esperienze di promozione di GE che
partono soprattutto dal settore privato, ricavate dai rapporti “Greenitaly” (17% delle iniziative totali), pubblicato dalla
Fondazione Symbola, e “Green Economy in Emilia Romagna” (5,5% del totale), pubblicato dall’agenzia Emilia-Romagna
Valorizzazione Economica Territorio SpA (ERVET). Le restanti esperienze sono state individuate utilizzando fonti diverse,
fra cui, oltre a interviste con esperti del settore, il rapporto di attività del Coordinamento Agende 21 locali e l’elenco dei
Contratti di Fiume sottoscritti finora.
La distribuzione per ambiti di azione mostra il numero più consistente di iniziative nel campo delle energie rinnovabili, che
interessano parallelamente anche il tema della mitigazione del cambiamento climatico. Si tratta di circa 300 esperienze,
per tre quinti circa mappate nella raccolta dei “Comuni rinnovabili” e, quindi, attribuibili a iniziative che hanno nell’Ente
Locale uno dei principali attori. Non mancano, comunque, un buon numero di casi emersi dai rapporti che hanno preso
in considerazione l’iniziativa privata, come Greenitaly, dove sono segnalati una trentina di casi interessanti in campo
energetico. Ciò non sorprende: in base alle stime di EurObserv’ER (2011), nel 2010 il fatturato registrato in Italia nel settore
dell’energia rinnovabile è aumentato del 57% rispetto all’anno precedente, contro una crescita del 15% nell’Unione
Europea. Ciò significa che l’Italia è al secondo posto nell’UE per dimensione del mercato dell’energia rinnovabile, dopo la
Germania e quarto nel mondo per investimenti nelle energie rinnovabili (dopo la Cina, gli Stati Uniti e la Germania) e al
primo posto per gli investimenti negli impianti fotovoltaici di piccole dimensioni. Aggiunge il Rapporto OCSE 2013 sulle
performance ambientali relativo all’Italia che, con oltre 16 miliardi di euro di fatturato, l’Italia rappresenta il 12,7% del
fatturato di tutta l’UE, mentre l’occupazione diretta e indiretta legata a tali settori è aumentata del 38%, rispetto al 25%
riscontrato nell’UE nel suo complesso.
Il secondo campo di intervento per numero di iniziative è risultato quello delle innovazioni di prodotto e/o di processo
sperimentate nel settore manifatturiero, dove sono stati censiti 117 progetti in buona maggioranza riportati dal rapporto
Greenitaly.
Con pressoché lo stesso numero di esperienze, risultano altrettanto diffusi i progetti nel quadro della gestione del
ciclo rifiuti e del riciclo, dove si concentrano 114 delle esperienze individuate sia nei rapporti più attenti al mondo delle
imprese (GreenItaly e Green Economy Emilia Romagna) sia nel catalogo CURSA, dove sono presentate molte iniziative
multiattoriali o promosse da amministrazioni pubbliche. Sul piano delle statistiche nazionali, tra il 2000 e il 2010 gli
investimenti nel settore realizzati da enti pubblici sono diminuiti, mentre quelli di aziende specializzate nella fornitura di
servizi ambientali (le utilities) sono aumentati.
Un rilevante numero di pratiche di promozione di sviluppo sostenibile è stato individuato nei settori agricolo, del turismo,
della gestione delle risorse idriche e della edilizia ecocompatibile, settori di intervento peraltro molto importanti nel
campo della cooperazione allo sviluppo. Per ognuno di questi settori sono emerse una settantina di iniziative, con una
distribuzione piuttosto varia delle segnalazioni nelle diverse fonti utilizzate. Sono relativamente numerosi anche gli
interventi che toccano tematiche legate alla conservazione del suolo e alla gestione del patrimonio forestale che, con
poco più di 60 progetti, rappresentano il 12,2% del totale dei casi censiti.
Il settore relativo alla conservazione e ripristino della biodiversità raccoglie un numero minore, anche se non trascurabile,
di iniziative (41), mentre risulta in secondo piano rispetto alle aspettative il tema del trasporto sostenibile, che tocca
Capitolo 2
15
uno dei problemi più sentiti dall’opinione pubblica per quanto riguarda la qualità della vita e dell’ambiente dei centri
urbani. A questo proposito, in materia di finanziamenti i governi più recenti hanno dato priorità allo sviluppo di trasporto
pubblico e reti ferroviarie (anzitutto, i 25-30 miliardi di euro per le infrastrutture per l’Alta velocità ferroviaria), mentre i
sistemi di trasporto pubblico locale, che giurisdizionalmente ricadono sotto la responsabilità di Regioni ed Enti Locali,
sono risultati penalizzati in termini di sviluppo, sia con riferimento alle infrastrutture che alle qualità dei servizi, in modo
particolare nel Mezzogiorno. Inoltre, come riscontro fattuale, l’Italia continua ad essere caratterizzata da una netta
preponderanza del trasporto su strada, nonostante gli investimenti sulle reti ferroviarie.
Non sono, invece, presenti esperienze riconducibili al tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, i cui effetti
sull’ambiente italiano sono probabilmente ancora lontani dal costituire uno stimolo all’iniziativa a livello locale. La
politica italiana in tema di cambiamento climatico si è sinora basata essenzialmente su disposizioni normative e sul
ricorso a strumenti economici (compresi incentivi fiscali e meccanismi di mercato) e, nel caso della mitigazione degli
effetti del cambiamento climatico, sugli incentivi all’uso crescente delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica.
Fig. 1 - Campi di intervento delle iniziative considerate realizzate in Italia
CURSA/Zone attive
350
GreenItaly
300
Comuni Rinnovabili 2012
Green Economy Emilia R
250
Agende 21 Locali
200
Altro
150
100
Altro
Turismo e terziario
Agricoltura
Protezione/ripristino
della biodiversità
Mitigazione degli
effetti delle attività
umane sul clima
Adattamento ai
cambiamenti
climatici
Gestione del
suolo/foreste/lotta
alla desertificazione
Ciclo rifiuti
Risorse idriche
Trasporto pulito
Edilizia ecocompatibile
Energie rinnovabili
0
Manifattura
50
Dal punto di vista della distribuzione delle iniziative sul territorio, è in evidenza una notevole concentrazione in alcune
regioni, con quasi due terzi del totale dei progetti dislocati in sole sei regioni. L’Italia presenta punte di eccellenza,
purtroppo caratterizzate da frammentazione e, quindi, dalla mancanza di una visione strategica complessiva che
permetta di portare a sistema queste pratiche o sviluppare potenziali sinergie tra di loro. L’eccellenza in Italia è a macchia
di leopardo e questo è un carattere strutturale che interessa anche altri ambiti tematici (la realtà dei distretti industriali e
la forza del tessuto di piccole e medie imprese, ma anche l’eccellenza sanitaria o quella del sistema scolastico). E questo
è vero anche all’interno di una stessa Regione, ricca o povera che sia. Un problema strutturale che suggerisce come una
possibile contaminazione di esperienze e linguaggi tra realtà - pubbliche o private che siano - impegnate in Italia sul
fronte della sostenibilità ambientale e quelle invece presenti nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo
avrebbe effetti positivi non solo per il fronte internazionale, ma anche per favorire una capitalizzazione a beneficio di
molte aree italiane che non si possono qualificare come eccellenze.
Oltre alla maggioranza di iniziative che interessano l’intero territorio nazionale e che rappresentano l’11,4% del totale
delle esperienze censite, la regione Emilia Romagna è quella dove sono state individuate più iniziative (14,8%), seguita da
Toscana (11,2%), Lombardia (10%), Trentino Alto Adige (9,8%), Piemonte (8,6%) e Lazio (6,2%), tracciando un’immaginaria
continuità territoriale che interessa solo queste sei regioni adiacenti, che tuttavia - vale la pena ripeterlo - presentano
anche al proprio interno una configurazione a macchie di leopardo. Fra le regioni meridionali e insulari, sono più presenti
la Puglia (4,6%) e la Sardegna (2,4%).
16
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Fig. 2 - Geografia delle iniziative considerate realizzate in Italia (numero d’iniziative)
50
6
43
49
6
22
74
9
56
8
16
5
31
3
23
11
12
5
6
10
Se si guarda ai campi di intervento delle iniziative di ciascuna regione, è possibile identificare i segni di possibili vocazioni
tematiche territoriali. I progetti in campo energetico sono distribuiti fra le regioni dove sono stati mappati il maggior
numero di iniziative, con il Trentino Alto Adige al primo posto con 41 esperienze segnalate. In questo caso, l’approccio di
sistema territoriale è più evidente che altrove: si tratta della Regione che si distingue per diffusione su tutto il territorio
di fonti di energia rinnovabile, teleriscaldamento a vere biomasse, numero elevato di pannelli solari installati. I progetti
industriali e quelli relativi al ciclo rifiuti sono, invece, più concentrati in Toscana, dove si colloca circa un quinto del totale
delle sperimentazioni di nuovi prodotti e processi manifatturieri e di nuovi sistemi di riciclo dei rifiuti. La Toscana è anche
la prima regione per i progetti sulla gestione delle risorse idriche. L’Emilia Romagna raccoglie un quinto dei progetti nel
settore dell’edilizia eco-compatibile e risulta prima anche per i progetti in agricoltura con il 17,6% del totale.
Nei settori del turismo sostenibile e dei trasporti puliti prevalgono i progetti di respiro nazionale, anche se in entrambi
i casi è significativa la quota di esperienze registrate nel Lazio, che rappresentano rispettivamente il 9,3% e il 22,2% del
totale. Anche in tema di forestazione e conservazione del suolo emerge una leggera prevalenza della quota di progetti
di portata nazionale.
Per quanto riguarda l’area tematica che interessa la conservazione e il ripristino della biodiversità, le esperienze risultano
relativamente distribuite nelle regioni con maggior numero di segnalazioni a cui si aggiungono le Marche, dove sono
stati censiti cinque dei 41 progetti totali.
Capitolo 2
17
Fig. 3 - Ripartizione regionale dei campi di intervento (numero d’iniziative)
95
90
85
80
75
70
65
60
55
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
al
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95
90
85
80
75
70
65
60
55
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
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a
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To
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R.
Gestione del suolo/foreste/lotta alla desertificazione
Ciclo Rifiuti
Risorse Idriche
Trasporto Pulito
Edilizia Eco-compatibile
Energie Rinnovabili
le
na
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Em
ilia
R.
Altro
Turismo e Terziario
Manifattura
Agricoltura
Protezione/Ripristino della biodiversità
Mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima
Adattamento ai cambiamenti climatici
2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale
Le iniziative internazionali prese in considerazione sono state 78, quasi metà delle quali segnalate dalla DGCS del
Ministero degli Affari Esteri. Fra le rimanenti, gran parte sono progetti realizzati da ONG, pochissimi i casi individuati
tramite la consultazione di Amministrazioni Regionali ed Enti Locali.
Le esperienze prese in esame mostrano ampie differenze per quanto riguarda la portata dei progetti e il tipo di risorse
impegnate.
Diversamente dai casi esaminati per quanto riguarda i territori italiani, le esperienze incluse nella long list relativa alla
cooperazione internazionale si focalizzano principalmente sulle aree rurali, senza significative distinzioni fra progetti
segnalati dalla DGCS e quelli individuati fra gli interventi promossi dalle ONG. Più della metà dei progetti segnalati
interessa il settore agricolo e più del 40% comprende iniziative nei campi della gestione del suolo, delle aree forestali e
della lotta alla desertificazione.
Un terzo campo d’azione toccato da molti dei casi inclusi nella long list è quello della gestione delle risorse idriche,
che rappresenta uno dei focus per il 43% dei progetti segnalati dalla DGCS. Minore è, in questo caso, l’impegno delle
iniziative segnalate dalle ONG, fra i cui 34 progetti sono solo 6 quelli che si occupano di questo tema.
Lo stesso avviene per quanto riguarda i progetti che interessano la protezione della biodiversità e che risultano fra i
campi di attività di poco meno di dieci progetti segnalati dalla DGCS e di quattro iniziative realizzate dalle ONG.
Una prevalenza di progetti realizzati da ONG si segnala, invece, nel settore turistico e del terziario, interessato da otto
progetti promossi dalle ONG e da tre fra quelli segnalati dalla DGCS.
Il settore delle energie rinnovabili, che rappresenta l’ultimo dei campi d’azione con più di dieci iniziative nella long list, è
quello dove si concentrano le due iniziative locali segnalate dalle amministrazioni regionali.
18
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Fig. 4 - Campi di intervento delle iniziative di cooperazione internazionale considerate
DGCS
ONG
Segnalaz regioni
Altro
Turismo e terziario
Manifattura
Agricoltura
Protezione/ripristino
della biodiversità
Mitigazione degli effetti
delle attività umane sul
clima
Adattamento ai
cambiamenti climatici
Gestione del suolo/
foreste/lotta alla
desertificazione
Ciclo rifiuti
Risorse idriche
Edilizia eco-compatibile
Trasporto pulito
Greenitaly
Energie rinnovabili
40
35
30
25
20
15
10
5
0
La ripartizione geografica dei casi presi in considerazione mostra una prevalenza dei progetti realizzati in Africa subsahariana (36% del totale) e America Latina e Caraibi (30%), dove si concentrano in particolare i progetti individuati fra
quelli realizzati dalle ONG che interessano - rispettivamente per il 47% e il 44% - Paesi delle due aree.
La regione mediterranea e mediorientale è la terza per numero di progetti segnalati con un totale di 19 iniziative, pari al
26% del totale. In quest’area, sono maggioritari i progetti indicati dalla DGCS che qui ha il 41% delle azioni segnalate. Sono
infine cinque i progetti che interessano Paesi dell’Asia o dell’Oceania e tre quelli individuati nella regione balcanica. Fra
questi ultimi sono compresi entrambi i progetti di cooperazione internazionale segnalati dalle amministrazioni regionali
che si caratterizzano, dunque, per una propensione particolare a guardare verso la “mappa del vicinato”, in relazione
allo sviluppo da parte dell’UE di politiche di graduale integrazione dei Paesi balcanici, in una concreta prospettiva di
adesione, che parallelamente però giustifica - per i livelli di sviluppo sociale e di crescita economica - un processo di
graduale exit strategy da parte della politica bilaterale di cooperazione allo sviluppo, fatta eccezione per l’Albania.
Il Paese con il maggior numero di progetti inclusi nella long list è il Libano, dove sono state realizzate nove delle iniziative
considerate e che mantiene oggi il suo carattere di Paese prioritario per la cooperazione italiana allo sviluppo, seguito
da Bolivia e Senegal (altri due Paesi prioritari per la programmazione italiana triennale di cooperazione allo sviluppo),
interessati da sei progetti ciascuno, da Brasile, Etiopia, Kenya e Mozambico con quattro progetti e dall’Ecuador con tre.
Fig. 5 - Geografia delle iniziative di cooperazione internazionale considerate (numero d’iniziative)
1
2
15
5
4
6
DGCS-MAE
ONG
Regioni
Greenitaly
11
15
1
16
America latina e Caraibi
Africa sub-sahariana
Nord Africa e Medio Oriente
Asia - Oceania
Balcani
Incrociando i dati relativi alla dislocazione geografica dei progetti con la classificazione delle stesse iniziative per campo
di azione, si ricavano alcune indicazioni sull’esistenza di linee tematiche privilegiate in alcune regioni. Se infatti il gruppo
maggioritario dei progetti che interessano il settore agricolo e della sicurezza alimentare (settore tradizionalmente
Capitolo 2
19
prioritario per l’azione della cooperazione italiana) si distribuisce fra le diverse macro-aree in maniera non troppo
discostante dalla distribuzione dell’intero complesso dei progetti considerati, gli altri principali raggruppamenti settoriali
di iniziative mostrano differenze sensibili di localizzazione.
I progetti che si occupano di gestione del suolo e del patrimonio forestale mostrano, ad esempio, una maggiore
concentrazione in Africa Sub-sahariana, dove sono localizzati 16 interventi con queste caratteristiche. In America Latina
e Caraibi prevalgono invece i progetti che si indirizzano alla protezione e ripristino della biodiversità, che in quest’area
sono il secondo campo d’azione per numero di progetti dopo l’agricoltura, coerentemente con il fatto che, ad esempio,
nell’area andina la cooperazione italiana dà particolare rilievo alla tutela dell’ambiente nella zona amazzonica, anche in
un’ottica regionale.
Nei Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, dopo le azioni che coinvolgono il settore agricolo sono localizzati ben otto
dei 24 progetti nel campo delle risorse idriche e quasi la metà del totale delle iniziative nei settori turistico e dei servizi,
tenendo presente che la cooperazione italiana considera come privilegiati propri i settori ambientali e dell’agri-business,
oltre alla tradizionale e cruciale attenzione al tema della gestione delle risorse idriche.
Fig. 6 - Ripartizione macroregionale dei campi d’intervento (numero d’iniziative)
Asia-Oceania
45
America lat e Caraibi
40
SSAfrica
35
Balcani
30
MENA
25
20
15
10
Altro
Turismo e terziario
Manifattura
Agricoltura
Protezione/ripristino
della biodiversità
Mitigazione degli
effetti delle attività
umane sul clima
Adattamento ai
cambiamenti climatici
Gestione del suolo/
foreste/lotta alla
desertificazione
Ciclo rifiuti
Risorse idriche
Trasporto pulito
Edilizia ecocompatibile
0
Energie rinnovabili
5
2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche
Le iniziative raccolte nelle due long list sono state analizzate nei loro tratti principali con l’obiettivo di arrivare, con
un processo di selezione progressiva, a individuare un numero ristretto di iniziative in grado di fornire spunti per la
discussione e la riflessione su un possibile orientamento delle attività italiane di cooperazione internazionale allo
sviluppo sostenibile.
La genesi, i contenuti principali e i risultati dei progetti sono stati esaminati seguendo alcuni criteri di massima con lo
scopo di individuare le iniziative di maggiore interesse. La griglia utilizzata per la selezione è articolata su quattro punti
principali.
1. Carattere innovativo: iniziative che seguono approcci ancora poco esplorati o in fase di sperimentazione,
introducono soluzioni originali, affrontano nuove tematiche, applicano tecniche e tecnologie alternative,
coinvolgono settori economici e attori sociali non normalmente inseriti in attività pregresse, eccetera;
2. Valorizzazione di asset territoriali: iniziative che fanno leva sulle risorse/capitali (umano, sociale, culturale,
naturale, finanziario, istituzionale) e su eccellenze e vocazioni della realtà locale che comprendono le
caratteristiche economiche, le tecnologie, la creatività, il sistema formativo, il mondo della ricerca;
3. Partecipazione e collegamento sinergico fra attori e segmenti della/e comunità territoriale/i con sviluppo di
capitale sociale territoriale e transnazionale: iniziative che hanno uno dei punti di forza e motori ideali nella
partecipazione ampia e strutturata della comunità territoriale in un’ottica sistemica e seguendo una logica di
moltiplicazione circolare di risorse ed energie, fondata sull’intensità degli scambi materiali e immateriali, la
reciprocità degli interessi e degli obiettivi, anche e soprattutto nelle iniziative di partenariato territoriale fra due
o più territori;
20
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
4. Possibilità di definire ambiti di riproducibilità e generalizzabilità, attraverso l’analisi delle precondizioni alla base
del successo/insuccesso dei singoli meccanismi messi in campo dall’iniziativa: iniziative che rendono leggibile
e analizzabile il nesso fra impatti e precondizioni di contesto che li hanno determinati (in termini di istituzioni,
integrazione nel mercato, stabilità politica, geografia o altro) e consentono la valutazione della riproducibilità di
singoli meccanismi in funzione di condizioni di contesto variabili.
Le iniziative di maggiore interesse, raccolte in due short list, sono state approfondite attraverso un’analisi di materiali
documentali e con interviste ad esperti e ai responsabili delle iniziative.
Dalle short list sono infine state individuate sette iniziative realizzate sul territorio italiano e sette iniziative di cooperazione
internazionale che sono state ulteriormente approfondite e discusse nel corso dei seminari territoriali a carattere interistituzionale realizzati a conclusione della fase dei lavori che, facendo seguito al seminario scientifico di Bologna realizzato nell’ambito del Green Social Festival e che ha permesso di raccogliere informazioni su alcuni casi di interesse
nell’ambito della mappatura iniziale7 - si sono svolti a Potenza8, Torino9 e Capannori10.
La selezione finale, effettuata previa consultazione con i team di lavoro coinvolti nelle altre attività del progetto, ha avuto
come obiettivo primario quello di raccogliere una serie circoscritta di casi concreti – calati, cioè, in contesti operativi
reali corredati da indicazioni sui loro effetti – in grado di contribuire a disegnare una mappa di tipologie complementari
di strategie e strumenti d’intervento, rilevanti per consolidare l’orientamento a favore di politiche di cooperazione allo
sviluppo territoriale sostenibile, anche in riferimento alle 7 track della GE e ai Rio markers. Non si tratta in alcun modo,
dunque, di una valutazione delle iniziative, di una classifica generale o di una lista delle migliori iniziative, cosa impossibile
del resto sulla base delle informazioni disponibili, quanto di mettere insieme una serie di spunti e pratiche che le suddette
iniziative offrono, accentuando componenti, dimensioni e approcci che hanno carattere di complementarità e risultano
funzionali all’obiettivo dell’iniziativa.
Nella stessa ottica sono stati disegnati i summenzionati seminari territoriali a carattere inter-istituzionale, che hanno
riunito attorno allo stesso tavolo di lavoro rappresentanti della cooperazione governativa (sia MAE che Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), della decentrata (Comuni, Province, Regioni), associazionismo,
mondo universitario, mondo delle imprese, con lo scopo di proporre una discussione su una prospettiva di costruzione di
un approccio di sistema alla cooperazione internazionale allo sviluppo fondata su sostenibilità e partenariato territoriale,
individuando piste di lavoro per amplificare i risultati ottenuti sul territorio, creare le condizioni per un proficuo dialogo
e mutuo apprendimento e conoscenza tra esperienze territoriali nazionali e di cooperazione allo sviluppo, e favorire la
disseminazione dei fattori critici di successo dei progetti analizzati in altri contesti territoriali o in altri Paesi.
2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico
C’è, dunque, una buona dose di arbitrarietà nella selezione dei 7+7 casi d’interesse, in funzione della necessità di evitare
la ridondanza e la sovra-rappresentazione di alcuni temi o ambiti settoriali e di alcuni attori - sia del pubblico che del
privato - rispetto ad altri, dinanzi all’opportunità invece di valorizzare la complementarità tra i diversi ingredienti di una
“ricetta italiana” dello sviluppo.
I principi ordinatori sono, dunque, stati i criteri di selezione sopra indicati e lo sforzo di valorizzare diversi soggetti e attori
dello sviluppo, differenti territori italiani ed esperienze in diversi continenti in via di sviluppo.
Quando si discute di sostenibilità dello sviluppo, è possibile avviare una riflessione sulla governance delle risorse naturali
da una prospettiva diversa, concentrando l’attenzione sulla dimensione locale.
Il rapporto fra proprietà pubblica e privata dell’ambiente naturale si declina a livello locale in un delicato intrecciarsi di
forze e dinamiche che comprendono la direzione e l’intensità dei flussi d’investimento per lo sviluppo, la produzione
e gestione delle esternalità sia positive che negative dell’attività produttiva (i cui processi decisionali sono spesso
7
Seminario intitolato “Verso Rio+20: Cambia il clima, cambia l’agricoltura? Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici”, svolto il 2
maggio 2012.
8
Seminario su “Gestione sostenibile delle risorse idriche e prevenzione del dissesto idrogeologico”, promosso con la Provincia di Potenza e svolto il 12 marzo 2013.
9
Seminario su “Territori, comunità locali e partenariato internazionale per una produzione agricola ed un consumo sostenibili”, promosso con il Comune e la
Provincia di Torino e svolto il 22 marzo 2013.
10 Seminario su “L’importanza della partecipazione per lo sviluppo sostenibile: modelli innovativi di gestione delle risorse naturali e dei cicli dei rifiuti “, promosso con
il Comune di Capannori e svolto il 12 aprile 2013.
Capitolo 2
21
completamente circoscritti alla sfera dell’imprenditoria privata), le modalità di fruizione, sfruttamento, conservazione e
ripristino dei beni comuni ambientali.
In tale intreccio le istituzioni locali, sia formali che informali, giocano da sempre un ruolo centrale che sta, tuttavia,
mutando in alcuni casi anche molto rapidamente, sotto la pressione del processo di integrazione economica e culturale
globale che in diversa misura interessa qualsiasi comunità locale.
Se il cambiamento delle relazioni che stanno alla base della governance delle risorse, e di conseguenza anche dei modelli
di sviluppo locale, comporta certamente rischi enormi quando si vanno a intaccare equilibri uomo-natura costruiti nel
lunghissimo periodo, in molti altri casi - quando processi di sviluppo sono stati innescati da meccanismi con obiettivi
limitati alla crescita della produzione o, peggio, dei soli profitti privati - l’integrazione dei processi di modifica della
governance delle risorse naturali territoriali in una prospettiva globale può rappresentare una possibile via di uscita da
circoli viziosi che autoalimentano il processo di degrado ambientale e di peggioramento della qualità della vita delle
comunità.
Inoltre, aspetto di rottura potenzialmente più importante, la messa in discussione del binomio obbligato pubblicoprivato, letto come un’alternativa tra privatizzazione e nazionalizzazione o una potenziale alleanza (il partenariato
pubblico-privato, PPP), emerge con più evidenza proprio quando si pone al centro il tema ambientale, che fa irrompere
nel dibattito la presenza della dimensione comunitaria. Non a caso, col termine di beni comuni (i commons in inglese)
si fa solitamente riferimento all’ecosistema o alla biodiversità, intendendo quei beni necessari alla sopravvivenza, che
più persone utilizzano, con possibili problemi di esclusione di alcuni individui dalla fruizione del bene e di rivalità (il
consumo da parte di una persona riduce le possibilità di fruizione da parte degli altri). Sul piano locale, come cominciò
a dimostrare circa trenta anni fa Elinor Ostrom, esistono esperienze concrete di comunità che riescono a raggiungere
accordi sull’uso sostenibile nel tempo dei beni comuni, attraverso l’elaborazione di istituzioni che non sono riconducibili
all’alternativa tra privatizzazione o gestione centralizzata. In altri termini, a livello locale ci sono dimostrazioni, fortemente
contestualizzate, di modelli gestionali che evitano la cosiddetta “tragedia dei beni comuni”, che obbliga appunto a
trovare soluzioni pubbliche o private, dettate dal principio d’autorità o di mercato.
In questo quadro è possibile collocare la discussione sul ruolo della cooperazione internazionale, intesa in senso lato come
relazione fra comunità nazionali e territoriali, nel promuovere l’innovazione dei processi e anche dei modelli di sviluppo
e di integrazione internazionale delle economie locali. L’intensificarsi dei rapporti internazionali fra sistemi territoriali, se
i processi e le azioni dei principali attori (pubblici, privati e comunitari) sono guidati da obiettivi di sostenibilità, possono
rappresentare un elemento rilevante nell’orientare, o ri-orientare, i processi di sviluppo locale, inserendo nuove istanze
- o dando forza a istanze presenti, ma deboli nel contesto locale - su temi cruciali quali quello della conservazione degli
ecosistemi, ma anche dell’utilizzo equo delle risorse e della distribuzione dei benefici dello sviluppo. Temi come quelli
dell’immaginare, condividere ed agire, fondati sull’apprendimento del vivere insieme, che per esempio sono al centro
del progetto educativo dell’Università del Bene Comune nata a inizio degli anni Duemila, diventano centrali in una
prospettiva di costruzione di senso del partenariato.
La relazione fra dimensione locale e globale rappresenta uno dei nodi centrali del decisivo momento di transizione che
molti sistemi locali italiani stanno affrontando. Momento che si caratterizza per l’intreccio fra le esigenze di rinnovamento
e modernizzazione non solo tecnologica, le sfide collegate alle mutate condizioni del mercato globale, l’emergenza o il
riacutizzarsi di problemi di coesione e inclusione sociale, e spinte sempre più forti per assicurare un’equa distribuzione
anche intergenerazionale di benefici e oneri dello sviluppo, anche attraverso la conservazione dei capitali sociali e
ambientali dei territori.
La ricognizione realizzata nell’ambito delle attività previste da questa iniziativa ha mostrato segni interessanti di vitalità
e capacità di reazione. L’analisi e la discussione delle esperienze italiane di promozione di sviluppo sostenibile, realizzate
sia sul territorio italiano sia nell’ambito della cooperazione internazionale, ha fatto emergere un panorama ricco di
sperimentazioni su diversi piani, da quello dell’innovazione a quello dell’evoluzione degli assi di sviluppo del capitale
sociale.
Diversi sono i motori di tale dinamismo: oltre alle imprese che sperimentano e realizzano nuovi prodotti e processi,
spesso piccole e medie e frequentemente create ex-novo proprio per proporre novità eco-sostenibili, sono molte le
istituzioni locali, dalle amministrazioni pubbliche, agli enti di ricerca, alle università, alle organizzazioni della società
civile, che esplorano nuove vie per collegare lo sviluppo socioeconomico locale alla gestione sostenibile del territorio. La
dimensione territoriale comporta, poi, spesso giocoforza, l’interrelazione fra attori locali e il palesarsi, in forma più o meno
esplicita e consapevole, di una dimensione comunitaria. Sono numerose le esperienze che vedono allargare il perimetro
delle iniziative a diversi segmenti della società, arricchendo il nucleo centrale degli obiettivi e delle pratiche con nuovi
assi di sviluppo, iniziative ancillari e forme di spin-off. E il palesarsi di una dimensione comunitaria si caratterizza come
uno degli ingredienti fondamentali per dare forza e sostenibilità alle iniziative.
22
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Anche lo spettro delle direzioni verso cui si orientano le iniziative appare estremamente variegato. In particolare, per
quanto riguarda le azioni realizzate sul territorio italiano, si tratta per definizione di iniziative partite dal basso, al di fuori
di un disegno complessivo e sulla base di spinte anche molto diverse fra loro. Non è raro intravedere contraddizioni fra i
diversi approcci e obiettivi con possibilità di risultati addirittura in potenziale rotta di collisione.
Il quadro appare estremamente sfaccettato anche per quanto riguarda campi d’azione e soluzioni esplorate. E, per
questo aspetto, i due filoni delle iniziative realizzate sul territorio italiano e dalla cooperazione italiana allo sviluppo
appaiono accomunati dalla ricchezza di spunti. Proprio la straordinaria abbondanza di casi ha comportato la necessità di
circoscrivere lo stesso lavoro di analisi ad alcuni aspetti prioritari, attraverso la definizione della griglia dei criteri utilizzati
per la lettura delle iniziative e la selezione di quelle da approfondire.
Il ventaglio finale delle quattordici esperienze presentate e discusse nei seminari non ha, quindi, alcuna pretesa di essere
esaustivo né rappresentativo della realtà nazionale. Si tratta piuttosto di un tentativo di mettere a fuoco attraverso
concrete realizzazioni alcuni costituenti della considerevole materia in movimento, che, appunto, l’analisi ha evidenziato
per il loro particolare valore emblematico e potenzialità.
Nelle pagine che seguono sono sinteticamente presentate le esperienze selezionate. Si tratta di iniziative alquanto
diversificate, avviate e sviluppate in contesti completamente diversi, da gruppi di attori eterogenei e sulla base di spinte
non assimilabili, e con risorse umane, finanziarie e di expertise non equiparabili.
Proprio l’elevata disomogeneità ha, tuttavia, permesso di far affiorare uno spettro – seppur non esaustivo – di potenzialità
più o meno latenti, insieme a una serie di piste di sviluppo per la riflessione su possibili risposte (italiane) all’esigenza di
rinnovare l’approccio e le modalità della cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda le esperienze maturate sul territorio italiano, è sicuramente di grande interesse considerare le
diverse costellazioni di ruoli assunti dagli attori coinvolti, che spesso vedono piccole e medie imprese farsi promotrici
di sperimentazione o attivi partner di processi avviati in collaborazione con enti di ricerca, pubbliche amministrazioni o
organizzazioni della società civile.
Un esame dei livelli di coinvolgimento dei diversi attori, classificati secondo la definizione dei cosiddetti Major groups
proposta nell’Agenda 21 approvata a Rio de Janeiro nel 1992, mostra un quadro notevolmente variegato. In quasi
tutte le iniziative selezionate emerge un ruolo centrale per la Pubblica amministrazione, il tessuto economico locale
ed espressioni della società civile locale. In alcuni casi, è sensibile il coinvolgimento della popolazione locale nella sua
accezione comunitaria, in cui cioè vengono sottolineati e valorizzati beni relazionali ed elementi che richiamano al
legame fra solidarietà, identità e cultura locale.
In ogni caso, anche la partecipazione dei diversi attori si esplica con modalità differenti da caso a caso, con una grande
articolazione di modelli di relazione fra attori. È il caso, ad esempio, delle aggregazioni di imprese, con distretti che
autonomamente esplorano percorsi di riqualificazione ecocompatibile oppure sviluppano innovazioni in partenariato
con la Pubblica amministrazione locale e gli enti di ricerca territoriali. Anche il coinvolgimento del mondo della ricerca
scientifica e tecnologica, così come succede per le espressioni della società civile locale, si esprime con formule
differenziate: da semplice sostenitore o neutro fiancheggiatore a guida e facilitatore di processi a vero e proprio motore
di innovazione e di cambiamento culturale.
Fig. 7 - Il mosaico degli attori coinvolti nelle 7 iniziative realizzate in Italia
autorità
locali
donne
imprenditori
ricercatori
comunità
contadini
giovani
autorità ricercatori imprenditori
autorità
locali
ricercatori imprenditori
locali
Capannori
autorità
locali
MOLTO
ABBASTANZA
Habitech
Cuoio Depur
ricercatori
imprenditori
contadini donne comunità
autorità
ONG
comunità
Contratti di fiume
contadini imprenditori
autorità comunità
comunità locali
locali
Edilana
Foresta modello
Capitolo 2
BioPiace
23
Il profilo tematico delle iniziative risulta variegato. In tutti i casi che sono stati approfonditi, ci si trova di fronte ad approcci
integrati al tema della gestione delle risorse e dello sviluppo sostenibile, con focus o elementi prioritari che riguardano
tutti i macrosettori economici e, con eccezione del tema dell’adattamento al cambiamento climatico, tutti i macrotemi
utilizzati per la classificazione delle iniziative mappate.
Fig. 8 - Il quadro tematico delle 7 iniziative realizzate in Italia
RISORSE IDRICHE
ADATTAMENTO A CC
AGRICOLTURA
BIODIVERSITA’
Capannori
CICLO RIFIUTI
EDILIZIA
MANIFATTURA
Habitech
Contratti di fiume
Cuoio Depur
MITIGAZIONE CC
RINNOVABILI
SUOLO E FORESTE
BioPiace
Foresta modello
Edilana
TRASPORTI
TURISMO
Per quanto riguarda le esperienze di cooperazione internazionale approfondite negli studi di caso, si riscontra una
notevole varietà di approcci e una buona parte delle tematiche considerate.
Per quanto riguarda il coinvolgimento degli attori, alcuni dei Major groups compaiono in buona parte delle esperienze. È
il caso dei contadini, degli imprenditori (che nella maggior parte dei casi appartengono alla piccola imprenditorialità) e
delle autorità locali, a testimonianza della notevole attenzione alla dimensione territoriale anche nel caso degli interventi
di cooperazione internazionale allo sviluppo. Il coinvolgimento delle comunità locali e indigene, così come dei gruppi di
donne, emerge come una componente importante di molte iniziative.
Sono, al contrario, assenti le forze sindacali che, come nel caso delle esperienze interessanti selezionate fra quelle realizzate
in Italia, non entrano se non debolmente nei processi di promozione di sviluppo sostenibile. Si tratta certamente di un
aspetto su cui riflettere, anche alla luce delle potenzialità che si possono intravvedere all’interno di uno scenario di
sviluppo della GE in termini di coniugazione di obiettivi di crescita della coesione sociale e della partecipazione dei
lavoratori attraverso lo sviluppo e la riconversione del tessuto produttivo nel rispetto dell’ambiente, come pure della
crescente attenzione che si riscontra al livello dei documenti strategici sindacali sul tema.
Fig. 9 - Il mosaico degli attori coinvolti nelle sette iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana
autorità
locali
imprenditori
donne contadini
ONG giovani
autorità contadini ricercatori
locali
Grani andini
comunità donne ONG
ricercatori
ricercatori
Salinità in Iraq
4cities4dev
MOLTO
ABBASTANZA
imprenditori
ricercatori
autorità
comunità
ONG contadini
locali
RISMED APQ
contadini
ricercatori
autorità locali
comunità
autorità ricercatoricontadiniimprenditori donne
ONG
ONG
imprenditori donne giovani locali
Amazzonia senza fuoco
24
LVIA Senegal
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
SIDS EESLI
I sette casi comprendono esperienze realizzate sia in ambito urbano che rurale con il settore agricolo in buona evidenza,
spesso in collegamento con tematiche quali la conservazione dei suoli, la lotta alla desertificazione, la gestione delle
risorse idriche e la conservazione e ripristino della biodiversità, che comprende anche l’ambito delle specie coltivabili
sviluppate dal lavoro umano.
Non mancano i progetti che coinvolgono in modo integrato più di uno dei macrosettori economici e, nel complesso,
tutte le tematiche presenti nella griglia - comprese la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’edilizia ecocompatibile, il trasporto pulito e la gestione dei cicli dei rifiuti - risultano prese in considerazione, così come di riflesso i
temi dell’adattamento al cambiamento climatico e soprattutto della sua mitigazione.
Fig. 10 - Il quadro tematico delle sette iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana
RISORSE IDRICHE
ADATTAMENTO A CC
AGRICOLTURA
BIODIVERSITA’
Grani andini
CICLO RIFIUTI
EDILIZIA
MANIFATTURA
Salinità in Iraq
RISMED APQ
4cities4dev
MITIGAZIONE CC
RINNOVABILI
SUOLO E FORESTE
Amazzonia senza fuoco
LVIA Senegal
SIDS EESLI
TRASPORTI
TURISMO
Due considerazioni, tra le tante possibili, meritano infine una certa attenzione.
La trasversalità delle questioni di genere riaffiora come fondamentale in gran parte delle iniziative considerate, esplicata o
meno che sia all’interno delle stesse: se l’approccio allo sviluppo in chiave di sostenibilità ambientale significa ragionare in
termini più olistici, di interazione tra economia, ecosistemi e società ponendo al centro le comunità nelle loro articolazioni
e in relazione all’ambiente naturale, ciò significa porre al centro delle iniziative anzitutto il cambiamento delle relazioni
di potere, la negoziazione degli interessi, l’esercizio dei diritti, il rafforzamento della capacità di resilienza dei gruppi più
vulnerabili. Si tratta di intendere lo sviluppo come il processo emergente di sistemi adattivi complessi, non di singoli
componenti, e di accompagnare e orientare l’evoluzione e l’adattamento, promuovendo innovazione e cambiamento
nei rapporti di forza in campo. Una nuova governance a livello locale deve essere in grado anzitutto di includere nei
processi decisionali, oltre ai diversi attori sociali, la loro ulteriore articolazione in genere; e questo significa fare realmente
del gender mainstreaming un’azione politica in tutti i settori e a tutti i livelli, come nel caso dei diversi macro-settori e temi
presi qui in considerazione e all’interno delle stratificazioni presenti in ciascuno dei Major groups considerati. Significa
anche cogliere in questa accezione l’opportunità offerta dalle innovazioni - anche in termini di curricula professionali e
competenze - che la GE potrà comportare. Al focus sulla conservazione dell’ambiente in relazione ai diritti degli individui
si aggiunge sempre quello relativo alle comunità e ai gruppi al loro interno: donne, bambini, anziani, gruppi etnici,
religiosi, popolazioni indigene, migranti o altre minoranze.
Una seconda sfida importante, che sollecita un cambiamento probabilmente maggiore rispetto al riconoscimento
della trasversalità delle questioni di genere, ha a che vedere con la riconsiderazione dell’importanza della cultura e del
tema del Cultural heritage che, in chiave settoriale, distinto nettamente da tutti gli altri, ha caratterizzato spesso la realtà
della cooperazione allo sviluppo, come anche delle politiche nazionali di sviluppo. Ciò ha significato, in concreto, una
marginalizzazione del tema all’interno dell’agenda sullo sviluppo sostenibile. Tuttavia, il cambiamento di paradigma cioè, di struttura d’assunzioni generali - che il principio di sostenibilità ambientale può comportare implica anzitutto una
centralità di quella che Paulo Freire definiva la “coscientizzazione”, cioè la consapevolezza del contesto socio-culturale
condizionante e della capacità di trasformazione della realtà stessa agendo su di essa. Si tratta perciò di un cammino
anzitutto culturale, laddove l’azione e la riflessione avvengono simultaneamente, un cammino che si potrebbe definire
di empowerment profondo. In effetti, il tema dello sviluppo sostenibile è spesso associato a una ridefinizione dei valori
fondanti, condizione necessaria per un cambiamento delle pratiche di produzione e consumo; eppure c’è il rischio
di intendere ancora oggi il campo culturale come un ambito settoriale distinto, dedicato alla conservazione di tipo
museale, intendendola in modo riduttivo come preservazione di un patrimonio cristallizzato. Lo sviluppo è anzitutto
storia, movimento, la conservazione come principio ecologico si collega alla natura dinamica degli equilibri; allo stesso
Capitolo 2
25
modo le culture sono vive e in movimento. Educazione, informazione, sensibilizzazione, coscientizzazione e dialogo
sulla sostenibilità ambientale sono sempre, consapevolmente o meno, parte integrante delle pratiche di sviluppo. La
cooperazione allo sviluppo non deve dimenticare che lo sviluppo è un processo definito culturalmente, in cui gli obiettivi
non possono essere formulati dall’esterno dei contesti di intervento, ma sono - consapevolmente o meno - interiorizzati;
l’approccio allo sviluppo definito territorialmente e intessuto della dimensione culturale rientra tra le tracce per orientare
il lavoro della cooperazione italiana allo sviluppo internazionale, valorizzando le vocazioni e le specificità che l’Italia può
vantare in materia.
26
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Capitolo 3
3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato
3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0 3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech
3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori
3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona
3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine
3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini
Capitolo 3
27
3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato
: distretto produttivo
KEYWORD
: rifiuti/risorse idriche
TEMA
: ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: prodotto + processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.consorzioconciatori.it, http://www.osservatoriodistretti.org
A. Mazzali e M. Zupi (2009), Prove di dialogo tra territori. La responsabilità sociale e ambientale a livello internazionale
delle piccole imprese, CeSPI, Roma.
Di cosa si tratta
Le caratteristiche del distretto
Il distretto conciario di Ponte a Egola costituisce una porzione rilevante del più grande e articolato distretto toscano della
pelle che si espande fra Firenze e Pisa sul territorio di cinque comuni rivieraschi dell’Arno. Si tratta di un’aggregazione di
circa 400 imprese conciarie a cui si aggiungono circa 500 aziende che lavorano come contoterzisti, per un totale di circa
10 mila addetti su un territorio la cui popolazione complessiva non arriva ai 95 mila abitanti.
Il distretto, che fattura annualmente circa due miliardi di euro, produce ogni anno 65 milioni di metri quadrati di pellame
lavorato e 53 mila tonnellate di cuoio da suola che corrispondono rispettivamente a più di un terzo e alla quasi totalità
(98%) della produzione nazionale.
L’orientamento all’esportazione è significativo, con circa il 40% della produzione destinato ai mercati esteri, di cui la
metà acquistata da clientela europea. I canali internazionali sono prevalenti anche per l’approvvigionamento di materie
prime. Dai macelli italiani proviene solo il 15% del totale delle pelli grezze, mentre il resto viene acquistato all’estero e
soprattutto nell’Est Europa, che da sola fornisce tre quarti del totale della materia prima.
La struttura dei rapporti fra le imprese corrisponde alla definizione corrente di distretto produttivo, formato da piccole
aziende artigiane con una media di 12 addetti ognuna, strettamente collegate in una rete che segue le linee della filiera,
quelle della produzione affidata a imprese contoterziste e la cooperazione flessibile fra imprese omologhe per affrontare
problemi e sfide specifiche.
La consuetudine al rapporto economico, in questo come in molti altri casi, si unisce nel distretto alla condivisione di
valori e alla frequenza dell’interrelazione personale e familiare che derivano dall’appartenenza alla stessa comunità.
L’intrecciarsi delle dinamiche relazionali alimenta l’accumulazione di capitale sociale che, nel caso dei distretti, rappresenta
un fattore di grande importanza per la competitività aumentando la circolazione e la diffusione delle conoscenze e delle
innovazioni e la capacità di risposta rapida ed efficace alle esigenze di mercato.
Il Consorzio Conciatori
Nel caso di San Miniato e di Ponte a Egola, la rete di imprese si è dotata di un’interfaccia istituzionale dando vita nel 1967
al Consorzio Conciatori. L’organismo, che raccoglie circa cento concerie della riva sinistra dell’Arno prevalentemente
produttrici di cuoio da suola, agisce parallelamente all’Associazione Conciatori di Santa Croce cui aderiscono le circa 300
imprese conciarie localizzate sulla riva opposta del fiume.
Il Consorzio ha svolto una funzione vitale per il distretto, consentendo alle aziende conciarie di gestire un momento
cruciale del loro sviluppo quando, nel momento di massima crescita, si è dovuto affrontare la questione del delicato
rapporto con il territorio, sia dal punto di vista della collocazione degli spazi di espansione delle attività, sia da quello
dell’impatto ambientale dell’attività industriale. La costituzione quale attore territoriale dell’insieme delle imprese ha
28
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
consentito un dialogo articolato e proficuo fra pubblica amministrazione e distretto che, in questo modo, ha avuto
un ruolo nella pianificazione urbanistica che ha accompagnato la modernizzazione delle attività conciarie e il loro
trasferimento in nuove aree industriali.
Il Consorzio e l’ambiente
La capacità di azione coesa da parte delle imprese è risultata particolarmente efficace nella gestione delle problematiche
ambientali legate all’industria conciaria. L’impatto sull’ambiente della lavorazione delle pelli è rilevante, sia per l’utilizzo
d’ingenti quantitativi di acqua dolce, stimati in circa 15-30 metri cubi di acqua per tonnellata di prodotto finito, sia per
la produzione di notevoli quantità di rifiuti, che comprendono le acque reflue e gli scarti di lavorazione, corrispondenti
anche al 70% dei volumi di materia prima utilizzata.
La grande espansione del distretto avvenuta negli anni Sessanta e Settanta si è accompagnata alla ricollocazione delle
attività in nuove aree esterne alle zone residenziali e alle contemporanee iniziative volte a far fronte alla domanda di
disinquinamento del territorio, sempre più sottoposto alla pressione della crescente attività conciaria. La costruzione
di impianti di depurazione centralizzati, altamente avanzati dal punto di vista tecnologico, e l’istituzione di sistemi di
tariffazione premianti per le aziende meno inquinanti ha collocato il distretto toscano in una posizione di leadership
internazionale per la gestione dell’impatto ambientale delle attività.
Il Consorzio Cuoio-Depur e le innovazioni nel trattamento dei fanghi
La realizzazione e gestione degli impianti di trattamento degli scarichi prodotti dalle aziende del distretto di Ponte
a Egola e San Miniato è stata affidata nel 1980 al Consorzio Cuoio-Depur Spa, finanziato dalle imprese. Nel 1985 il
Consorzio è stato trasformato in consorzio misto pubblico-privato, a maggioranza privata, e con la partecipazione delle
amministrazioni comunali di San Miniato e Montopoli Val D’Arno ha iniziato a gestire in concessione il servizio pubblico
di raccolta e depurazione degli scarichi residenziali.
Mediamente, il sistema depura ogni giorno 6 mila metri cubi di scarichi industriali e 3.500 metri cubi di acque nere urbane
per un carico organico complessivo stimato in 800 mila abitanti equivalenti. Con un investimento di circa 50 miliardi di
euro, l’impianto è stato costruito sulla base dei risultati di alcune ricerche pilota e con una tecnologia particolarmente
avanzata che ne fa un punto di riferimento nel settore. Il controllo informatizzato consente il monitoraggio costante e
in tempo reale dei liquami scaricati e della qualità delle acque restituite, aumentando sensibilmente il rendimento degli
impianti che abbattono circa il 98% del carico inquinante, tanto da creare un differenziale positivo fra la qualità delle
acque dell’Arno a valle e a monte del distretto.
Un’innovazione di grande importanza riguarda il trattamento dei fanghi che, grazie a processi pilota studiati e
sperimentati in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza, con il CNR e l’Università di Pisa, vengono essiccati,
stabilizzati e trasformati in prodotti riutilizzabili nella produzione di laterizi e nella preparazione di fertilizzanti organici.
L’integrazione con la filiera agroindustriale è una grande opportunità per l’abbattimento dei costi ambientali. I fanghi
disidratati uniti a pelli e crini di scarto sono lavorati per la produzione di concimi azotati, riconosciuti e inseriti nell’elenco
dei fertilizzanti allegato alla Legge 217/2006. Con l’introduzione di questa innovazione i costi di smaltimento dei fanghi
sono stati ridotti drasticamente (sono passati da più di 3,1 euro a metro cubo nel 1999 a 0,75 euro a metro cubo nel 2006)
e si sono create opportunità di sviluppo ulteriore sia dal punto di vista dell’ottimizzazione dei processi sia da quello del
rapporto con l’agroindustria.
Gli aspetti interessanti
Le particolarità dei distretti: capitale sociale e legame con il territorio
Un elemento di grande interesse che emerge dall’esame del caso del Consorzio Cuoio Depur è il ruolo giocato nella
genesi e nella realizzazione dell’esperienza dal particolare rapporto fra imprese e fra queste e il territorio d’insediamento
– o meglio di appartenenza – che si sviluppa nel caso dei distretti produttivi.
I distretti produttivi costituiscono una realtà di grande importanza per l’economia italiana, dove circa il 95% della struttura
industriale è formato da piccole imprese che impiegano meno di dieci dipendenti. La produzione a rete consente di
realizzare economie di scala, che incidono in particolare sulle fasi di apprendimento e di innovazione di processo. Inoltre,
rispetto ai modelli produttivi che concentrano l’attività su una singola grande impresa, viene sensibilmente ridotta
l’incidenza dei costi fissi, per cui la struttura dei costi si presenta più flessibile con riflessi positivi sul rischio operativo.
Il successo dei distretti è basato, oltre che sulle abilità produttive e commerciali, anche su sistemi di relazioni tesi a
sfruttare creativamente le risorse materiali ed immateriali disponibili. Una delle principali particolarità è lo stretto
rapporto con il territorio e la comunità che si realizza in presenza di un’attività economica pervasiva e capillarmente
saldata alla struttura sociale territoriale. Un rapporto che comporta anche una sovrapposizione significativa fra forza
lavoro - in buona parte costituita da lavoratori autonomi e dagli stessi piccoli e medi imprenditori – e popolazione locale.
Capitolo 3
29
Una “fisiologica” responsabilità sociale e ambientale
Questo rende fisiologica l’assunzione di forme di responsabilità sociale e ambientale (Corporate Social Responsibility - CSR)
da parte del ceto imprenditoriale che è parte integrante della comunità locale e che, pertanto, attraverso l’attenzione
all’impatto delle esternalità dell’attività produttiva preserva il proprio stesso ambiente sociale e naturale e la propria
qualità della vita e contemporaneamente incrementa il capitale sociale e i beni relazionali che utilizza per sfruttare i
vantaggi dell’inserimento nella struttura a distretto.
La centralità del distretto come soggetto, dove all’aggregazione organizzata di imprese si associa la loro relazione con le
istituzioni e gli altri attori sociali locali, è l’elemento portante dell’esperienza.
Il legame molto stretto fra tessuto produttivo, territorio e comunità, in questo caso, è stato costruito sul nodo centrale
della qualità ambientale del territorio e sulla gestione delle risorse naturali (idriche), la cui preservazione è interesse
comune di imprenditori, lavoratori e popolazione.
Si tratta cioè di un caso di declinazione del concetto di responsabilità sociale non guidato da esigenze di marketing
per i prodotti. Il fine primario non è cioè di creare un’opportunità di comunicazione rivolta ai consumatori e l’eventuale
vantaggio competitivo derivante dalla visibilità della CSR rimane un sottoprodotto dell’iniziativa. Invece, il fattore
motivazionale primario risulta chiaramente legato alla natura del distretto e ai fattori che ne determinano il successo.
Il collegamento con comunità e territorio, su cui si basano il capitale culturale (anche nel senso di patrimonio di
competenze) e il capitale sociale dell’azienda, si mantiene e si sviluppa solo se non si incrina, anzi se si rafforza il legame
sociale fra impresa e comunità attraverso la responsabilizzazione sociale dell’attività economica locale e l’azione comune
per la gestione delle sue esternalità negative.
Le innovazioni sono anche il frutto delle relazioni fra imprese e gli altri attori del territorio
Inoltre, l’azione per la soluzione dei problemi ambientali collegati con lo sviluppo delle attività produttive intreccia
energie e creatività dell’intera comunità, allargando il raggio degli attori coinvolti nella ricerca di soluzioni innovative,
e mette in contatto il cerchio più stretto, formato dal segmento di economia e società locale che fa capo all’attività
delle concerie, con cerchi più ampi che comprendono le espressioni della società civile che si occupano di ambiente,
il comparto agricolo e agroindustriale, i diversi livelli istituzionali e, soprattutto, il mondo della ricerca scientifica e
tecnologica.
L’aspetto altamente innovativo delle scelte operate è un ulteriore elemento d’interesse dell’esperienza. La scelta di
sfruttare la specificità del sotto-distretto del cuoio per sviluppare un modello pilota di gestione dei rifiuti è un punto di
forza che qualifica l’iniziativa e la rende interessante per casi omologhi dal punto di vista industriale, ma anche come
modello per altre situazioni, diverse per settore, ma dove alcuni elementi specifici del processo industriale - come in
questo caso è stato per la prevalenza di concia vegetale – rendono possibile la ricerca e l’elaborazione di vie alternative
e innovative per la gestione delle esternalità ambientali.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Le potenzialità di sviluppo del rapporto fra internazionalizzazione dei sistemi economici locali e cooperazione decentrata
L’esperienza Cuoio Depur, evidenziando gli elementi peculiari dell’assunzione di responsabilità sociale e ambientale
delle piccole imprese quando sono inserite in un distretto produttivo, rappresenta un’ottima base per la riflessione
sulle possibilità di rapporto fra diffusione di CSR a livello territoriale, internazionalizzazione dell’economia locale e
cooperazione decentrata per lo sviluppo sostenibile. Un rapporto ancora decisamente poco sviluppato, ma che proprio
nel sistema Italia, per le caratteristiche proprie del Paese, ha elevatissime potenzialità.
Come accennato nel capitolo precedente, la responsabilizzazione delle PMI, e non solo nel caso di quelle inserite in
distretti, è spesso guidata da meccanismi spontanei che dipendono dallo stretto rapporto fra il piccolo imprenditore
e la sua comunità con cui condivide valori, aspettative e anche esigenze. L’interesse per un ambiente pulito, ma anche
per un ambiente sociale coeso, rientrano fra queste esigenze e la comunità di appartenenza e radicamento dell’impresa
rappresenta per l’impresa l’unico ambito dove ricercare gli stakeholder verso cui si sente responsabile e applica le
politiche di CSR.
Tuttavia, soprattutto quando i distretti produttivi iniziano a guardare all’estero non solo in un’ottica prettamente
commerciale, ma allargando l’orizzonte strategico ad uno spettro più ampio di opportunità di internazionalizzazione,
anche il ruolo delle imprese diventa un possibile importante tassello per la promozione di sviluppo sostenibile attraverso
la cooperazione internazionale.
La sfida della formazione di un capitale sociale transnazionale fra territori lontani
Quando i sistemi economici territoriali entrano in relazione con territori lontani, le imprese - e, per effetto dello stretto
legame che le unisce, anche le comunità locali dove queste sono radicate - sono chiamate a confrontarsi con nuovi
stakeholder. Il rapporto fra l’internazionalizzazione dei tessuti produttivi locali, la loro responsabilizzazione sociale e
ambientale e il rapporto che si instaura fra gli stakeholder dei territori che entrano in relazione è un nodo di grande
interesse per la costruzione di nuovi modelli di cooperazione internazionale su base territoriale orientati alla promozione
dello sviluppo sostenibile.
30
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Iniziative come quella del Consorzio Cuoio Depur, che partono dall’interno del tessuto comunitario e sono orientate al
miglioramento dell’ambiente e alla promozione di sviluppo sostenibile, possono costituire una base molto interessante
per lavorare alla costruzione di partenariati territoriali internazionali. Lo sviluppo non è certamente lineare e rimangono
aperte questioni di grande importanza, sia quando le spinte provengono dal mondo delle imprese che si proietta al di
fuori dei confini nazionali con processi avanzati di internazionalizzazione, sia quando sono altri attori locali (PA, ONG,
Università, ecc.) che attivano processi di internazionalizzazione del territorio. Si pensi alla necessità per le imprese di
mantenere vantaggi competitivi maturati attraverso l’accumulo di know how che la collaborazione allo sviluppo di altri
tessuti produttivi potrebbe mettere in gioco.
In tutti i casi, è importante che l’interazione fra stakeholder mantenga un ruolo primario nel processo anche quando la
leva della condivisione di valori e obiettivi basata sulle comuni radici territoriali viene meno per effetto della proiezione
internazionale. Solo se si creano le condizioni per la costituzione di veri partenariati fra territori e comunità che vanno
al di là del semplice rapporto economico fra imprese (che può diventare anche fattore di involuzione, come ad esempio
nei casi di mera delocalizzazione produttiva), la tensione verso la responsabilizzazione dell’economia si arricchisce con il
processo di internazionalizzazione e le esperienze di sviluppo locale sostenibile diventano la base della costituzione di
un partenariato che intreccia rapporti fra tutte le componenti delle due (o più) comunità.
Il ruolo degli stakeholders esterni alle imprese
In questo processo, giocano un ruolo essenziale i soggetti pubblici e la società civile locali dei due territori che sono
chiamati a costruire nuove ed efficaci forme di comunicazione in grado di far crescere il capitale sociale che diventa
così transnazionale. Oltre all’apporto di risorse e capacità organizzative, nel caso dell’inclusione di stakeholder lontani
nel processo di allargamento della CSR ai temi dell’internazionalizzazione, la pubblica amministrazione locale ha la
possibilità di valorizzare patrimoni relazionali creati in altri ambiti della sua attività come la cooperazione decentrata, la
partecipazione a iniziative internazionali fra istituzioni sub-nazionali, le attività di integrazione delle comunità migranti
ed i rapporti istituzionali con i loro Paesi di origine.
Le soluzioni innovative e la riproducibilità nelle aree in via di sviluppo
Un secondo punto interessante è più strettamente legato alle soluzioni innovative sviluppate che prefigurano possibilità
di adattamento e riproduzione in altri contesti geografici. L’industria della concia è altamente diffusa nei PVS, dove il
modello di sviluppo del settore presenta spesso caratteristiche che in parte si avvicinano alla formula del distretto
formato da molteplici piccole e piccolissime unità produttive. Oltre ai Paesi emergenti, con in testa Cina, India, Brasile e
Messico, sono molti i PVS a medio reddito e anche poveri che esportano grandi quantità di pellame grezzo e registrano
livelli produttivi non trascurabili di pellame conciato, com’è il caso di Marocco, Egitto, Sudan, Costa d’Avorio, Etiopia,
Kenya, Tanzania, solo per citare alcuni esempi africani.
I livelli di contenimento dell’impatto ambientale sono nella gran parte dei casi minimi, con gravi conseguenze per la
popolazione che vive a stretto contatto con gli impianti di lavorazione. La cooperazione internazionale può in questi
casi apportare contributi determinanti per avviare percorsi di risanamento e sviluppo sostenibile; e la formula della
cooperazione fra territori rappresenta un percorso con evidenti vantaggi, in particolare se il partenariato mette in
relazione tessuti produttivi che hanno caratteristiche comuni e affrontano problemi simili.
Il know how sviluppato con l’esperienza del Consorzio Cuoio Depur è un patrimonio di grande valore con elevate
potenzialità sotto il profilo della sua proiezione in iniziative di sviluppo sostenibile, sia nel campo delle tecniche di
concia vegetale a minore impatto, sia come esempio di gestione del ciclo dei rifiuti e delle acque, sia per gli elementi
innovativi che permettono il riciclo dei materiali di scarto, sia, e non ultimo, per l’approccio che abbraccia l’intero sistema
territoriale coinvolgendo il tessuto delle imprese, le istituzioni e la comunità in un disegno complessivo che affronta il
tema del miglioramento delle condizioni delle risorse idriche e più in generale dell’intero ambiente locale.
Capitolo 3
31
3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0
: materie prime rinnovabili
KEYWORD
: agricoltura/emissioni/rifiuti/risorse idriche/uso del suolo/prevenzione dissesto/biodiversità
TEMA
: ricercatori scientifici + imprenditori + comunità + donne + contadini
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: prodotto + processo + approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://danielevita.idra.it/la-casa-verde-co2-0-2/; www.edilana.com
Di cosa si tratta
L’idea
Casa Verde CO2.0 è una rete di produttori e distributori di materiali per l’edilizia e l’arredamento realizzati con materie
prime rinnovabili prodotte da agricoltori, apicoltori e allevatori operanti sugli stessi territori di sviluppo delle iniziative
imprenditoriali.
Il progetto è nato a partire dall’esperienza realizzata nel comune di Guspini dall’azienda Edilana che nel 2008 ha iniziato
a commercializzare isolanti per l’edilizia prodotti esclusivamente con lana sarda e altri prodotti elaborati a partire da
eccedenze agricole.
La lana prodotta dalle varietà di pecore allevate in Sardegna non è adatta alla tessitura e viene pertanto commercializzata
solo in minima parte (soprattutto per la produzione dei tappeti sardi) e per il resto viene smaltita come rifiuto. Le sue
caratteristiche morfologiche ne fanno, invece, una materia prima particolarmente adatta per la produzione di isolanti
termoacustici per l’edilizia.
L’intuizione alla base dell’esperienza di Edilana, nata dalle attività di scambio di conoscenze all’interno della Banca del
Tempo locale, considera la particolare ruvidezza della lana sarda che aumenta la superficie delle fibre che trattengono
una maggiore quantità di aria accrescendo la capacità d’isolamento termico.
Un prodotto con grandi potenzialità
In collaborazione con una piccola azienda tessile sarda è stata avviata la fase sperimentale arrivando a produrre materiali
isolanti con caratteristiche qualitative molto particolari, certificate da test di laboratorio. Un primo dato di grande interesse
riguarda la capacità di coibentazione termica e acustica, che risulta molto superiore a quella dei materiali di derivazione
chimica. Inoltre, l’elevata capacità igroscopica della lana, che può assorbire vapore acqueo fino ad un terzo del suo
peso senza risultare bagnata per poi cedere lentamente l’acqua assorbita, permette la regolazione naturale dell’umidità
dell’ambiente ed evita fenomeni di formazione di condensa sulle superfici. Allo stesso tempo, la lana possiede un elevato
potere ignifugo (la combustione avviene ad una temperatura di 660 °C), è autoestinguente, carbonizza velocemente e
non trasmette la fiamma, sviluppa poco calore e poco fumo. Le fibre, infine, grazie alla struttura fortemente proteica,
non sono attaccabili dalle muffe, sono un battericida naturale, non attirano e non accumulano polvere per la ridotta
elettricità statica, non producono fibre e particelle respirabili o inalabili e naturalmente, non contenendo solventi, resine
o altri prodotti sintetici, non rilasciano negli ambienti domestici composti volatili dannosi e presentano, al contrario,
capacità notevoli di assorbimento di gas inquinanti e polveri sottili.
La certificazione delle eccellenti prestazioni dei materiali prodotti è stata al centro della strategia commerciale che ha
puntato sulla documentazione dei dati tecnici, evitando la possibile etichettatura come prodotto di bioedilizia che
comporta il rischio della marginalizzazione in una nicchia di mercato. I buoni risultati di vendite hanno permesso già
dal primo anno di realizzare utili che sono stati reinvestiti in attività di promozione, fra cui soprattutto l’organizzazione
di seminari tecnici di formazione per i progettisti. Nel secondo anno dalla nascita di Edilana è stato creato un marchio
32
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
parallelo per il mercato francese, con materia prima ricavata in Corsica. L’espansione della domanda è stata anche aiutata
dai numerosi premi ottenuti dall’azienda e dall’interesse del mondo accademico che ha permesso tra l’altro l’inserimento
di pannelli fonoassorbenti Edilana nei progetti dell’Expo 2015.
Lo sviluppo delle altre linee di prodotti
Alla produzione di isolanti per l’edilizia si sono aggiunte varie altre linee di prodotti. Fra queste, i pacciamanti per
l’agricoltura (coperture del terreno attorno alla pianta) in lana di pecora che possono essere usati su più cicli produttivi,
in alternativa a quelli in plastica “usa e getta” normalmente usati che costituiscono il 40% della plastica utilizzata
globalmente in agricoltura. Rispetto a questi ultimi, i prodotti ricavati dalla lana hanno ottime prestazioni dal punto di
vista dell’isolamento delle coltivazioni sensibili agli stress termici, mentre le sostanze naturali della lana proteggono da
agenti patogeni e riducono l’uso di fitofarmaci.
I vantaggi ambientali sono notevoli e vanno dalle minori emissioni di CO2 per la fabbricazione e lo smaltimento,
all’eliminazione completa della produzione di rifiuti perché i materiali a fine ciclo possono venire interrati e biodegradati
con funzione antierosione, di fertilizzante a lenta cessione e di protezione delle piante da diversi agenti patogeni vegetali.
Una numerosa gamma di articoli - fra cui: fibre, mordenti, coloranti, leganti, adesivi, resine, emulsionanti, olii vegetali,
additivi naturali per intonaci e vernici - è stata poi sviluppata a partire da circa 300 ingredienti naturali che comprendono
altre eccedenze provenienti dalla lavorazione del formaggio, del vino, dell’olio, del miele, della lana, dall’attività di
giardinaggio e orticoltura e dall’utilizzo di materiali naturali come terra cruda, pigmenti terrosi, argille, e calcarei.
Le novità di un ambizioso progetto imprenditoriale
Caratteristica del progetto imprenditoriale sono alcuni orientamenti molto definiti che comprendono l’utilizzo di materie
prime di origine agricola e reperibili sul territorio di insediamento delle aziende secondo il principio della filiera a Km0
(chilometro zero). Le tecniche a freddo utilizzate per la produzione della maggior parte dei prodotti sono anch’esse frutto
di una scelta tecnologica che privilegia formule a emissione zero e senza utilizzo di combustibili fossili, così come viene
minimizzato l’utilizzo di acqua sia nelle lavorazioni sia come contenuto dei prodotti finali, com’è il caso delle vernici, che
in questo modo hanno una resa quasi quadrupla rispetto alla media in termini di superficie coperta a parità di peso di
prodotto. La riduzione dei volumi risponde anche alla volontà di limitare l’uso di imballaggi e l’impatto ambientale dei
trasporti.
Anche le tecniche di coltura e allevamento utilizzate per la produzione delle materie prime costituiscono oggetto di
grande attenzione per il modello produttivo proposto. L’attenzione alla sostenibilità di agricoltura e territorio sono al
centro delle scelte operate. La promozione di tecniche di agricoltura e allevamento biologici sono fra gli assi portanti,
così come il sostegno fornito all’allevamento ovino estensivo che costituisce la tecnica tradizionale sarda e che, in questo
modo, trova uno sbocco commerciale per la produzione della lana.
La creazione della rete di imprese è un ulteriore interessante sviluppo dell’esperienza. Al momento Casa Verde CO2.0, che
viene presentato come il più grande distretto produttivo italiano per la bioedilizia con filiera a Km0, riunisce 72 aziende
di cui 40 localizzate in Sardegna che hanno già sviluppato oltre 400 prodotti per diversi settori fra cui, oltre la bioedilizia,
la realizzazione di sistemi integrati per l’isolamento termoacustico, l’eco-design, l’agricoltura biologica, l’architettura del
verde e la nautica. Anche dal punto di vista occupazionale, i risultati sono considerevoli, con 252 occupati nella sola
regione sarda a fronte della scala delle iniziative imprenditoriale e della scelta di non usufruire di incentivi pubblici.
Gli aspetti interessanti
Un progetto di sviluppo insieme economico e culturale
La stretta connessione fra progetto industriale e progetto culturale costituisce probabilmente il maggiore punto di forza
dell’esperienza. La proposta si fonda su una profonda coscienza del legame che stringe territorio e culture materiali
detenute dalle comunità che lo abitano e che mantengono con i suoi cicli un rapporto di lunga durata, durante il quale
capitale naturale e capitale umano si sono plasmati a vicenda configurando l’ecosistema locale.
Da ciò deriva l’interessante intreccio fra attività produttiva agricola, artigianale, industriale, culturale e turistica che viene
vitalizzato dall’attività della rete e che, in tutte le sue sfaccettature, mantiene ben fisso l’orientamento verso gli obiettivi
dell’appropriazione comunitaria delle opportunità offerte dal territorio e di una conseguente e ben definita forma di
sostenibilità ambientale.
Un preciso ed efficace disegno di economia sostenibile
Rispetto a quest’ultimo punto, il progetto complessivo è infatti apprezzabile per la notevole coerenza nel mantenere
fermi alcuni criteri generali. Criteri che, oltre a conferire identità al progetto stesso e ai prodotti, qualificano, individuano
e specificano i contorni del concetto di sostenibilità cui l’iniziativa è orientata e che comprende come assi portanti:
1. la selezione dei fattori di produzione decisamente orientata all’utilizzo di materie prime rinnovabili, a Km0,
selezionate fra le eccedenze prodotte da settore agricolo, zootecnico e dall’apicoltura;
Capitolo 3
33
2. la riduzione al minimo delle emissioni sia nella fase della trasformazione, con la preferenza per le lavorazioni a
crudo, sia nella distribuzione con la limitazione degli imballaggi, la concentrazione dei liquidi, ecc.;
3. la riduzione e annullamento della produzione di rifiuti, sia nei processi di trasformazione, sia per quanto riguarda
il ciclo di vita dei prodotti e degli imballaggi, con grande attenzione a biodegradabilità e possibilità di riuso;
4. la riduzione dell’uso di risorse idriche nei processi industriali, fra le componenti dei prodotti, e attraverso la
selezione delle fonti di materie prime che privilegia tecniche agricole e zootecniche estensive, biologiche e
tradizionali che prevedono il basso consumo di acqua;
5. il miglioramento della salute dell’ambiente e dei lavoratori coinvolti, sia nel processo produttivo dei materiali
sia nel loro utilizzo nell’edilizia, nell’arredamento, nell’ortofrutticoltura, eccetera, nonché degli utilizzatori finali
degli ambienti domestici che risultano migliorati per qualità dell’aria e isolamento termoacustico;
6. la preservazione del paesaggio sia culturale che naturale attraverso la valorizzazione economica di attività
produttive che presidiano e si integrano con il territorio, i suoi saperi e i suoi talenti, e che sostengono e creano
le condizioni per lo sviluppo di un turismo ecocompatibile fondato sul recupero di saperi e culture legate al
capitale naturale e sociale del territorio;
7. la conservazione della biodiversità e della vitalità degli ecosistemi, che risulta sviluppata e accresciuta dal tipo
di agricoltura, allevamento, apicoltura, turismo, edilizia e, più in generale, dall’uso del territorio che il progetto
mira a sostenere e promuovere.
I fattori del successo nella congiunzione fra saperi millenari e ricerca avanzata
Andando a guardare ai fattori alla base del successo dell’iniziativa è, poi, di grande interesse l’associazione che si è andata
consolidando fra l’attività di recupero di saperi presenti nel territorio e la ricerca scientifica avanzata.
Il processo ha valorizzato in misura elevata la naturale propensione allo scambio di conoscenze e di esperienze che
costituisce uno dei collanti del capitale sociale delle comunità territoriali, raccordandolo con l’attività di una rete sempre
più ampia di ricercatori impegnati nella sperimentazione di tecnologie sostenibili, portati in questo modo a integrarsi
nei processi di costruzione di capitale sociale che questa volta coinvolge, con modalità inedite, i diversi componenti
delle filiere, le comunità territoriali e scientifiche, i consumatori e gli utilizzatori dei beni prodotti, fino ai semplici turisti
e “visitatori”, anche “virtuali”, che entrano in contatto con l’esperienza.
La sfida di un prodotto ecosostenibile e dalle qualità tecniche competitive
L’accettazione della sfida della competizione sulla qualità tecnica e non solo sull’eco-sostenibilità dei processi e dei
prodotti è una seconda componente del successo dell’esperienza e un ulteriore elemento che conferisce un elevato
valore esemplare al progetto.
Il marketing dei prodotti è stato orientato all’intero potenziale mercato, puntando a comunicare in primo luogo dati
tecnici che dimostrano la competitività qualitativa dell’offerta.
Il successo di questa scelta dimostra le possibilità di rendere redditizia la produzione ecosostenibile rispettosa di
ecosistemi, capitale naturale e culturale dei territori, rivolgendosi all’intera platea di potenziali consumatori, senza cioè
centrare la strategia sull’appello alla coscienza ambientale o sociale dell’acquirente – che relegherebbe la produzione
in una nicchia di mercato altamente volatile in caso di congiuntura economica sfavorevole – ma sfidando i concorrenti
prodotti non eco-sostenibili sul piano del rapporto qualità/prezzo.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Un modello vincente in cui l’economia è parte dell’ecologia
L’iniziativa ha un notevole valore come base di riflessione sui possibili approcci al tema della promozione di sviluppo
sostenibile su base territoriale anche in contesti diversi da quello specifico dove si è evoluta l’esperienza.
In questo caso è risultata vincente la scelta di considerare le comunità umane e l’economia come elementi
dell’ecosistema, in linea con l’idea di costruzione concreta di un’ecologia sociale che distingue fra crescita (quantitativa)
e sviluppo (miglioramento qualitativo delle condizioni di vita) e cambia i presupposti da cui si parte nel trattare le risorse
naturali come fattore di produzione. In tale ottica, il capitale ambientale o naturale non è un fattore di sviluppo, ma è
complementare ad esso, in un quadro che considera come lo sviluppo umano dipenda dalla conservazione dinamica
dell’ambiente e dove la stessa economia è un elemento dell’ecologia.
La scommessa sulla modernità di un rapporto uomo-natura vecchio di millenni
Il progetto qui analizzato propone, appunto, di impostare lo sviluppo facendo leva sul rapporto costruito nei millenni
fra economia umana e cicli naturali, scommettendo sul fatto che questo possa mantenersi anche in una prospettiva di
34
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
sviluppo. Una sfida estremamente impegnativa che la proliferazione così rapida di iniziative produttive, sperimentazioni
e innovazioni dimostra essere affrontabile.
La via percorsa è quella della sinergia fra i due pilastri: da una parte il recupero, la valorizzazione e la messa in circolazione
dei saperi maturati dalle comunità in millenni di interrelazione con il territorio e, dall’altra, la creatività, lo spirito
imprenditoriale, la ricerca scientifica e tecnologica che sono spesso anch’esse il prodotto dell’intelligenza e della volontà
di progresso espressa dallo stesso territorio e dalla sua comunità che si aggancia a reti di circolazione di saperi.
…e le implicazioni per il dibattito sul significato di Green Economy
Le potenzialità di tale schema sono elevate e richiamano numerose questioni che entrano in gioco quando si discute di
appropriazione da parte delle comunità locali nei processi di sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo. Un tema in
primo piano nel dibattito sul significato di Green Economy, vivacizzato dalla Conferenza di Rio de Janeiro, dove proprio
sulla sua definizione sono emerse visioni differenziate su come lo sviluppo di un’economia “verde” si possa tradurre in
concrete opportunità per l’emancipazione delle comunità e per la promozione di una maggiore uguaglianza fra e dentro
i Paesi e non in una nuova occasione per creare subalternità e percorsi di sviluppo divergenti fra chi realizza nuove
tecnologie e ne dispone la distribuzione e chi detiene o vive del capitale naturale e dei servizi degli ecosistemi di cui fa
parte.
L’esempio fornito da questo caso propone argomenti alla riflessione: in particolare, proprio in considerazione di come,
anche con un ammontare ridotto di risorse e in tempi relativamente contenuti, si siano potute sviluppare produzioni
che risultano ecosostenibili sotto molti profili, facendo leva su saperi e creatività del territorio e aprendo la possibilità di
una piena appropriazione del progetto innovativo da parte della comunità locale. Il numero elevato di sperimentazioni
e realizzazioni prodotte in pochi anni evidenzia la mole di risorse di questo genere che un territorio anche relativamente
non esteso può esprimere se opportunamente sollecitato.
Quali le precondizioni per il successo e la riproduzione: capitale umano e relazionale
Tuttavia, proprio alla luce di quest’ordine di considerazioni sul rapporto fra realizzazioni e tipo di risorse messe in campo,
è possibile evidenziare quelli che sono probabilmente alcuni dei nodi centrali di cui tenere conto quando si voglia trarre
spunti da questa esperienza per sviluppare forme di partenariato internazionale.
Se le risorse finanziarie impegnate non sembrano costituire la variabile indipendente più significativa nel determinare
i risultati, è probabilmente nel capitale umano e relazionale attivato che va ricercato il fattore decisivo alla base
dell’efficacia del progetto. La qualità più della quantità di capitale umano e culturale mobilitato e, forse ancora di più, il
tipo di rapporti generati fra diverse componenti e competenze appare come il punto di forza del modello che combina
capacità imprenditoriale, creatività, ricerca scientifico-tecnologica, saperi tradizionali e spinte al cambiamento orientate
da una strutturata idea di sostenibilità.
…e una comunità scientifica allineata negli obiettivi con la comunità locale
La visione di possibili riproduzioni del modello o parti di esso in altri contesti è altamente suggestiva. I nodi delicati
sono, come già accennato, numerosi, cominciando dalla possibile difficoltà nel replicare la combinazione efficiente della
costellazione di risorse appena descritta, che necessita di una comunità scientifica adeguata e con obiettivi allineati a
quelli delle popolazioni locali.
Il possibile ruolo degli stakeholder pubblici
Anche la possibilità di inserire fra gli stakeholder eventuali soggetti pubblici locali - che appaiono marginali nell’esperienza
esaminata - è un’opportunità da vagliare e modulare in funzione dei diversi contesti, sia considerando la possibilità
che il soggetto pubblico divenga attore in grado di creare un ambiente favorevole per l’incubazione di iniziative, sia
dovendo affrontare l’ulteriore nodo centrale della domanda cui l’offerta dei prodotti innovativi dovrebbe rivolgersi e
che, in contesti di mercato non omogenei a quello incontrato dai progetti di Casa Verde CO2.0, potrebbe presentare
caratteristiche del tutto diverse.
Il caso proposto evidenzia, infatti, come la sostenibilità economica dell’iniziativa non sia stata determinata da condizioni
particolari che abbiano sostenuto la fase di start up – come formule di sostegno finanziario o fiscale da parte di soggetti
pubblici - quanto dalla presenza di una domanda potenziale di nuovi prodotti che una comunicazione vincente ha
permesso di incontrare. Su questo aspetto della comunicazione, del marketing e della creazione di domanda è possibile
individuare un ruolo attivo di altri stakeholder coinvolti nella costruzione di partenariati territoriali, come ONG, associazioni
ambientaliste e di consumatori e autorità pubbliche, che hanno ampie possibilità di azione allargando il campo del green
procurement o finanziando azioni comunicative o vere e proprie campagne pubblicitarie.
Capitolo 3
35
3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech
: politica industriale locale per l’innovazione tecnologica verd
KEYWORD
: energia alternativa/edilizia ecocompatibile/risparmio energetico/mobilità sostenibile
TEMA
: ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: prodotto + processo + approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.habitech.it
Di cosa si tratta
L’idea e il rapido sviluppo
Il Consorzio Habitech, con sede a Rovereto in provincia di Trento, è un’aggregazione di 171 partner che rappresentano
più di 300 imprese della regione Trentino Alto Adige, 15 enti di ricerca e alcuni soggetti pubblici, per un totale di circa 8
mila occupati e un miliardo di euro di fatturato annuo.
L’iniziativa è nata nel 2006 da un’idea del Ministero regionale per la ricerca e l’innovazione sulla base di uno studio
di fattibilità realizzato nell’anno precedente e la firma di un Protocollo d’intesa fra le maggiori istituzioni di ricerca
trentine, il Gruppo Alto Garda Servizi Spa e le associazioni di categoria. Fin dalle prime fasi hanno aderito decine di
imprese, motivate principalmente dalla possibilità di ampliare le proprie possibilità di mercato e di iniziativa attraverso la
partecipazione alla rete e la messa in comune delle risorse. A fianco alle attività di stimolo alla cooperazione fra imprese, il
Consorzio ha sviluppato l’offerta di servizi e consulenza per l’innovazione tecnica e commerciale e lo sviluppo di progetti,
destinata, oltre che ai membri dell’organismo, a privati e istituzioni pubbliche. Queste ultime vengono supportate nella
promozione di politiche di sviluppo locale sostenibile e accompagnate nel processo di definizione di leggi, regolamenti,
bandi e sistemi di incentivazione.
Il Consorzio ha usufruito di finanziamenti pubblici per i primi cinque anni di attività con flussi di circa 360 mila euro
l’anno. Attualmente la fornitura di servizi genera un fatturato annuo di circa 1,5 milioni di euro e copre completamente i
costi delle attività, con clienti in Italia e altri Paesi europei, Nord Africa e Medio Oriente.
La rete di attori locali coinvolti costituisce un nodo di eccellenza a livello nazionale per lo sviluppo di opportunità di
business nel campo dell’economia sostenibile. Il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica ha riconosciuto alla
rete la qualifica di Distretto tecnologico per l’energia e l’ambiente.
Il Consorzio ha, inoltre, creato e incubato il Green Building Council (GBC) Italy, che rappresenta l’associazione leader a
livello nazionale per l’edilizia sostenibile. Con circa 600 membri, il Council è il ramo italiano del World GBC, nato nel 1998
per diffondere nel mondo il sistema di rating LEED (sistema di classificazione dell’efficienza energetica e dell’impronta
ecologica degli edifici: Leadership in Energy and Environmental Design), i cui protocolli si sono imposti come modello
universalmente accettato e compreso per la certificazione di edifici progettati, costruiti e gestiti in maniera sostenibile
ed efficiente.
I tre campi d’azione: bioedilizia
Il Consorzio opera nei tre settori dell’edilizia ecocompatibile, delle energie rinnovabili e della mobilità sostenibile.
Il settore edilizio è stato il campo d’intervento primario per la formazione della rete di attori che ha dato vita al Consorzio.
Qui, l’attività di Habitech si intreccia con quella del Green Building Council nell’offrire alle imprese italiane l’expertise e un
sistema di rating di grande rilevanza anche come fattore competitivo sul mercato globale. La copertura di circa il 50% del
mercato italiano per quanto riguarda le attività richieste all’interno del processo di certificazione LEED, ha reso Habitech
il punto di riferimento nazionale per l’edilizia ecocompatibile.
36
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
La costante presenza sul mercato dell’edilizia sostenibile italiana e internazionale consente al Consorzio di offrire un
sistema integrato di servizi a supporto delle imprese nell’individuazione e implementazione di strategie di sviluppo e
politiche di sostenibilità nell’edilizia, che comprende, oltre all’accompagnamento in tutte le fasi di studio e certificazione
per edifici nuovi e già esistenti, anche la consulenza strategica per la gestione di portafogli immobiliari.
Habitech si rivolge anche a comunità, investitori e decisori politici cui vengono offerte competenze e servizi per azioni di
focalizzazione e stesura di linee guida, strumenti integratori ed analisi, supporto al coordinamento, per l’implementazione
dei principi di sostenibilità negli interventi di riqualificazione delle aree e per la gestione e lo sviluppo dei territori, nei
piani delle utilities, strumenti di definizione dei piani operativi di investimento, supporto al percorso di certificazione di
quartiere LEED ND (LEED for Neighborhood Development) e LEED project management.
Infine, sempre nel settore Green Buildig, Habitech sta lanciando ARCA (ARchitettura Comfort Ambiente), un nuovo
standard di qualità per le case in legno finalizzato alla promozione del distretto locale del legno.
…energie rinnovabili
In campo energetico, Habitech si concentra sui due filoni dell’efficienza energetica e delle risorse rinnovabili applicando
un approccio che mira ad integrare lo sviluppo di percorsi d’innovazione tecnologica con le dinamiche di mercato e il
dialogo con il sistema dell’elaborazione delle policy e dei regolamenti settoriali. Come per l’edilizia eco-compatibile, il
Consorzio accompagna i propri soci nello sviluppo di progetti di ricerca e di nuove idee imprenditoriali e promuove il
trasferimento tecnologico creando sinergie tra l’imprenditoria locale e il mondo della ricerca. Un ambito di sviluppo
di particolare rilevanza è quello della promozione di progetti di sistema in grado di stimolare contemporaneamente
lo sviluppo del quadro normativo e delle opportunità di profitto per la produzione sostenibile, come nel caso della
produzione di energia distribuita da piccoli impianti decentralizzati coordinati da reti intelligenti.
I servizi offerti comprendono il supporto alla Pubblica Amministrazione nella definizione della politica e dei piani energetici
e nell’adozione di strumenti attuativi, il supporto a privati ed enti locali per la creazione di società che effettuano interventi
finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, assumendo su di sé il rischio dell’iniziativa (Energy Service Companies, o
ESCO), la consulenza per la redazione di bandi di gara basati su Finanziamento Tramite Terzi e garanzia delle prestazioni
(Energy Performance Contracting), il supporto per la collocazione sul mercato di soluzioni tecnologiche innovative, il
supporto per il reperimento di finanziamenti di progetti di ricerca e sviluppo, la valutazione delle tendenze del settore e
delle tecnologie pertinenti in campo energetico, l’applicazione di contratti che si propongono di riqualificare il sistema
edificio-impianto termico aumentando l’efficienza e diminuendo le emissioni, pagando al contempo l’intervento con il
risparmio energetico conseguito (contratti definiti a livello europeo come Energy Performance Contract, EPC).
… e la mobilità
Per quanto riguarda la mobilità, l’attività di Habitech punta a realizzare soluzioni sistemiche utilizzando le migliori
tecnologie disponibili a livello internazionale per ridurre la dipendenza dal petrolio, per promuovere il trasporto
integrato e la viabilità ecosostenibile. I servizi offerti includono l’attività di scouting e trasferimento tecnologico di
soluzioni innovative e l’elaborazione di progetti integrati per i sistemi dei trasporti.
Fra gli esempi di realizzazioni, il progetto Green Valley che mira a convertire la Valle del Primiero in una Oil Free Zone
basando la mobilità su fonti rinnovabili locali come biometano, idrogeno e idroelettrico, o la piattaforma informatica
MOTUS (Mobility and Tourism in Urban Scenarios) che introduce un sistema innovativo di servizi di trasporto per cittadini
e turisti.
Gli aspetti interessanti
Una precisa strategia pubblica dietro la nascita di un nuovo distretto produttivo
Un primo elemento d’interesse è da ricercare nella particolare genesi dell’iniziativa che ha visto la strutturazione di un
vero e proprio distretto produttivo sulla base di una precisa strategia pubblica che ha aggregato spinte del territorio
organizzandole e fornendo le risorse adeguate per la realizzazione del progetto complessivo.
La particolare genesi del distretto e, ovviamente, la natura innovativa delle finalità e del settore di attività, gli
conferiscono un profilo definito con numerose ed evidenti caratteristiche proprie. Tuttavia, vengono mantenute
alcune delle specificità di questo tipo di organizzazioni produttive che costituiscono i punti di forza di molti dei sistemi
economici territoriali più efficienti e dinamici a livello nazionale. La presenza di numerose piccole imprese e l’attitudine
alla cooperazione e all’elasticità nel definire forme e termini di collaborazione rappresenta uno degli aspetti in primo
piano che conferiscono competitività a questi sistemi. Sfruttando queste caratteristiche, i distretti si qualificano per la
rapidità e l’efficacia nell’adattarsi alle dinamiche del mercato, presentando contemporaneamente capacità di rispondere
a esigenze specifiche e puntuali con forme di produzione tipiche dell’artigianato e, allo stesso tempo, di reagire alla
domanda di grandi volumi attivando sinergie ed economie di scala attraverso la rete.
Un gioco vincente di spinte dal territorio
Il capitale sociale, fatto di relazioni consolidate e basate sul radicamento territoriale delle imprese, viene in questo caso
rafforzato dal ruolo catalizzatore giocato sia dalla pubblica amministrazione locale, sia dai centri di ricerca del territorio.
Capitolo 3
37
Come in altri casi, il successo del tessuto produttivo locale si giova della partecipazione di diversi attori e segmenti della
comunità locale che va ampiamente al di là del mondo delle imprese. In questo caso, è di grande interesse cogliere come
siano state integrate le vocazioni già presenti nell’economia locale con una sensibilità alla questione ambientale molto
radicata nella popolazione e con la capacità delle istituzioni di cogliere i due elementi e farne una molla per un salto di
qualità delle spinte spontanee traducendoli in innovazione dell’organizzazione produttiva e degli strumenti che fanno
emergere la capacità progettuale del territorio.
La leadership nazionale
Un secondo aspetto interessante sono le dinamiche che stanno portando il Consorzio e il distretto ad esso collegato ad
assumere il ruolo di polo per l’innovazione a livello nazionale nei settori specifici di maggiore attività. All’ampliamento
del raggio di azione per la fornitura dei servizi a imprese e pubbliche amministrazioni si collega la crescita del ruolo
di leadership nell’orientare i processi di conversione del settore edilizio nazionale ai principi della sostenibilità che il
distretto ha assunto soprattutto attraverso la creazione e lo sviluppo del Green Building Council Italy.
Tuttavia, è probabilmente la portata e il tipo di risultati conseguiti nel territorio stesso che contribuisce in modo decisivo
a conferire prestigio e valore esemplare all’esperienza. Il fatto che l’evidente e diffusamente riconosciuto elevato valore
del capitale naturale locale sia stato, allo stesso tempo, fattore motivazionale per tutti gli attori coinvolti – a partire
dagli imprenditori che autonomamente si erano rivolti all’innovazione verde delle proprie attività – e uno dei principali
elementi valorizzati dal successo dell’iniziativa dimostra come il legame fra comunità e territorio inteso come ecosistema
possa configurarsi come fattore di sviluppo economico locale.
L’evidenza dell’eccellenza raggiunta nella capacità di preservare e valorizzare le risorse naturali e paesaggistiche, nello
sviluppare energie creative e capacità di studio e ricerca e vitalità imprenditoriale hanno contribuito a elevare il distretto
a capofila dell’innovazione tecnologica delle economie locali nel settore dell’edilizia.
La scelta oculata degli strumenti operativi
Infine, è importante cogliere un terzo aspetto innovativo del progetto che emerge dalla scelta degli strumenti operativi,
che si orienta al superamento di logiche assistenziali. Lo sviluppo di filiere produttive locali viene in primo luogo
promosso non attraverso il sostegno finanziario agli investimenti operati dalle imprese, né attraverso il finanziamento
diretto di progetti volti a trasferire know-how dagli enti di ricerca alle imprese.
Piuttosto, il nucleo dell’attività di stimolo realizzata da Habitech è identificabile negli interventi che favoriscono
un’innovazione organizzativa e di mercato della rete d’imprese, loro associazioni, istituzioni pubbliche e attori e mondo
della ricerca scientifica e tecnologica, così come all’interno delle singole aziende e, fra questi, quelli indirizzati a creare
standard visibili e certificabili per i prodotti e i processi, a rinnovare gli strumenti di mercato, a “istituzionalizzare” le
competenze.
Lo stesso sviluppo della rete avviene non in virtù di un intervento diretto che, seguendo assi verticali (da promotore a
imprese e altri soggetti), snatura la flessibilità e spontaneità dell’articolazione anche gerarchica fra i nodi che rappresenta
forse il principale punto di forza della rete, ma piuttosto attraverso la creazione e il rafforzamento dei legami, in primo
luogo sulla base della definizione e la diffusione di linguaggi condivisi.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Il legame fra comunità e ambiente come leva per l’avvio dell’innovazione
Proprio questi aspetti specifici si configurano anche come punti su cui concentrare l’analisi dei potenziali stimoli per
l’attività di cooperazione internazionale. La cooperazione allo sviluppo sta sperimentando la possibilità di creare
partenariati fra territori lontani e con diverso grado di sviluppo economico sulla base dell’assunto che si possano creare
dinamiche fruttuose per tutti i soggetti coinvolti. Il processo si fonda sulla possibilità di sfruttare alcune delle chiavi di
volta dello sviluppo locale italiano degli scorsi decenni e, in particolare, l’esperienza di crescita parallela dell’economia
locale e della coesione sociale, il ruolo del forte radicamento della piccola impresa nelle comunità e l’elevato grado di
capitale sociale che all’interno di quest’ultima lega i diversi attori e componenti sociali.
La notevole propensione a proporre forme di attenzione all’ambiente e al capitale naturale territoriale e, quindi, di
attenzione alla sostenibilità dello sviluppo è una componente che, come già visto in altri sezioni del rapporto, caratterizza
in molti casi il modello del distretto industriale italiano e fornisce un contributo notevole al mantenimento del capitale
sociale e del legame fra tessuto produttivo e comunità, riconosciuto come uno dei principali fattori di competitività della
formula distretto.
In questo senso, Habitech rappresenta un caso emblematico di come proprio il legame fra comunità e ambiente possa
diventare una leva non solo per lo sviluppo del tessuto produttivo, ma anche per l’innovazione tecnologica che valorizza
il capitale naturale e cerca le strade per conservarlo e renderlo contemporaneamente la principale risorsa per lo sviluppo
sostenibile.
38
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
L’importanza del ruolo del contesto rende l’esperienza irripetibile?
Si tratta, come negli altri casi proposti qui per la discussione, di buone pratiche che, proprio per il carattere distintivo di
esperienze sviluppate a livello territoriale, qualificando risorse specifiche e vocazioni locali, presentano percorsi evolutivi
altamente dipendenti dal contesto nel quale si sviluppano.
In questo caso, il livello di sviluppo e diffusione tecnologica è, come immaginabile, una delle variabili di maggior peso.
Tuttavia, il modello di promozione dello sviluppo di filiere sostenibili basate sulla diffusione di innovazioni e di un
linguaggio condiviso all’interno di comunità e tessuti produttivi che guardano alla conservazione del capitale naturale
territoriale come fattore di crescita, si presenta come adattabile a contesti alquanto differenziati per dotazione di risorse,
livello del capitale umano e tecnologico, mercato prevalente, laddove siano presenti spinte per la ricerca di soluzioni per
avviare percorsi d’innovazione e differenziazione. Spinte che, anche nel quadro di un progetto di partenariato, come in
parte sta avvenendo nella Provincia di Trento, possono essere convogliate a costruire una strategia condivisa di sviluppo
sostenibile.
Il fulcro nel ruolo delle istituzioni e nel rapporto fra componenti private e pubbliche
Lo stesso si può dire del tipo di ruolo che viene assunto dalla componente istituzionale del partenariato. Come nel caso di
Habitech, l’effetto catalizzatore e la costellazione delle relazioni create dal progetto sotto la spinta delle istituzioni locali
sono fra gli elementi che maggiormente influenzano il tipo di dinamiche avviate e la qualità dei risultati. Sotto questo
profilo, gli stimoli ricavabili dall’esperienza del Consorzio sono di elevato interesse per la cooperazione internazionale,
in particolare se si guarda alle opportunità che le istituzioni locali di entrambi i Paesi coinvolti possono cogliere nel
ricoprire il delicato ruolo di facilitatore, raccordo e orientamento dei processi di costituzione e rafforzamento delle reti
economiche e sociali attorno a comuni obiettivi di sviluppo sostenibile e al rafforzamento di una cultura (anche tecnica)
della sostenibilità all’interno del sistema produttivo.
Allo stesso modo, il caso Habitech rappresenta un’interessante esemplificazione di come la collaborazione pubblicoprivato a livello locale possa essere sviluppata cogliendo spinte esistenti e proponendo una sorta di salto di qualità
evolutivo nella qualità dell’interrelazione fra soggetti del territorio e nella loro capacità di darsi obiettivi ambiziosi, in
particolare indirizzando il quadro normativo e creando allo stesso tempo opportunità di profitto.
Anche da questo punto di vista il caso Habitech propone formule e modelli da cui trarre ispirazione, considerando
sempre la necessità di modulare opportunamente obiettivi e soluzioni operative con grande attenzione al contesto
e alle finalità generali delle iniziative di cooperazione internazionale. Oltre alle caratteristiche specifiche dei territori
coinvolti in tema di risorse a disposizione e livello di sviluppo tecnologico, economico e sociale, vanno in questo caso
tenute in massima considerazione le condizioni di sviluppo istituzionale, dei rapporti fra i diversi livelli istituzionali e le
capacità delle risorse umane a disposizione delle pubbliche amministrazioni, e naturalmente il tipo di rapporti esistenti
e potenzialmente instaurabili fra queste, il tessuto delle imprese e i soggetti impegnati nelle attività di ricerca scientifica
e innovazione tecnologica.
Capitolo 3
39
3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori
: integrazione, partecipazione
KEYWORD
: approccio partecipativo, integrazione, gestione dei rifiuti
TEMA
: ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali + donne + giovani + contadini + comunità
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: processo + approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.comune.capannori.lu.it/
Di cosa si tratta
Il “nuovo corso”
Il Comune di Capannori, 46 mila abitanti, si estende nella piana lucchese per 165,50 kmq e comprende quaranta frazioni.
A partire dall’estate 2004, con l’elezione di Giorgio Del Ghingaro a Sindaco di Capannori e con la creazione di una nuova
giunta comunale, caratterizzata dalla significativa presenza di giovani (l’età media è tra i 30 e i 40 anni), l’amministrazione
ha da subito intrapreso un percorso di rinnovamento profondo delle politiche locali, tanto da far parlare di un vero
e proprio “nuovo corso”, con l’obiettivo primario di promuovere pratiche inclusive ed eco-efficienti, perseguendo un
modello di sviluppo sostenibile del territorio.
Già nel 2005, come primo comune toscano ad adottare una procedura di Appalto verde della Pubblica amministrazione
(Green Public Procurement) per gli acquisti comunali, Capannori ha vinto il Premio Toscana Ecoefficente. Da allora sono
state varate molteplici iniziative, tutte indirizzate a garantire la sostenibilità ambientale e sociale della comunità, con al
primo posto la gestione dei rifiuti.
L’iniziativa “Rifiuti Zero”
Il nuovo e articolato piano per la gestione dei rifiuti ha portato il Comune di Capannori ed ASCIT (l’azienda di igiene urbana
totalmente pubblica che serve Capannori e 5 comuni limitrofi: Azienda Speciale Consortile per l’Igiene del Territorio) ad
avviare una completa riorganizzazione del servizio, eliminando i cassonetti ed attivando la raccolta domiciliare porta a
porta. Oggi la percentuale di differenziata nell’intero territorio è dell’82%.
Capannori è stato il primo comune in Italia ad aderire nel 2007 alla strategia “Rifiuti Zero al 2020”, individuando nel
riciclo e nella riduzione degli scarti il fulcro delle proprie politiche ambientali. Per raggiungere questo obiettivo, sono
già stati avviati vari progetti per affrontare il problema alla radice, limitando la produzione di rifiuti. Una campagna
per la promozione e incentivazione del compostaggio domestico sta progressivamente eliminando il conferimento
di rifiuti organici, mentre l’iniziativa “la via dell’acqua” ha previsto la realizzazione di interventi per la potabilizzazione
delle fonti idriche locali da cui i cittadini possono attingere gratuitamente acqua di ottima qualità, in alcuni casi anche
con la possibilità di addizionare anidride carbonica. Tutte le scuole del comune hanno eliminato l’utilizzo dell’acqua in
bottiglia nelle mense scolastiche. La sola campagna per la diminuzione dell’uso di acqua imbottigliata ha consentito una
diminuzione consistente dei rifiuti prodotti con circa 100 mila bottiglie in meno e 3 mila Kg in meno di CO2 in atmosfera
dall’inizio del progetto.
Altri esempi della strategia messa in atto per l’eliminazione dei rifiuti sono l’introduzione di stoviglie riutilizzabili nelle
mense scolastiche e nel corso delle sagre e degli altri eventi pubblici (con una riduzione complessiva di circa 100 mila
coperti usa e getta all’anno), quella dei “detersivi alla spina” e gli incentivi all’utilizzo dei pannolini ecologici. Dal 2004 ad
oggi la produzione di rifiuti pro capite è passata dai 1,92 chilogrammi a 1,4 chilogrammi al giorno.
Nel 2010, primo in Europa, Capannori ha voluto istituire un “Centro di Ricerca sui Rifiuti” per monitorare costantemente
e attivamente la strada verso l’obiettivo da raggiungere, ampliando l’azione comunale anche alle attività produttive, al
mondo della ricerca, della progettazione e dei soggetti economici del territorio.
40
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Tanti tasselli per la creazione di un modello di sviluppo sostenibile su piccola scala
L’impegno ambientalista del Comune è ravvisabile anche su altri fronti, tra cui quello relativo alla diffusione delle energie
rinnovabili: un esempio è rappresentato dal progetto “’Echo Action 2-Solar”, che ha l’obiettivo di promuovere il risparmio
e l’efficienza energetica, diffondendo il fotovoltaico e il solare termico nelle abitazioni private grazie anche alla creazione
dei gruppi di acquisto solare, cioè gruppi di cittadini che si organizzano per installare pannelli fotovoltaici sui tetti di casa
a prezzi vantaggiosi rispetto ad un’installazione individuale.
A questa attività, di natura strettamente ambientale, si collegano diverse azioni di promozione del tessuto produttivo
locale: “Effecorta” è la prima esperienza commerciale a livello nazionale che vende oltre 200 prodotti, tutti “alla spina” e
tutti di filiera corta. Avviata nell’estate 2009 da una cooperativa creata da un gruppo di giovani di Capannori, l’attività
propone un sistema commerciale che valorizza i produttori locali e al contempo contribuisce notevolmente alla riduzione
degli scarti. Significative in tal senso sono anche l’iniziativa “Latte alla spina”, la cui gestione è affidata all’Associazione
provinciale degli allevatori, e il mercato contadino di Marlia, che vende esclusivamente prodotti a chilometri zero.
La scommessa del Polo tecnologico indirizzato alla ricerca per la sostenibilità
Nell’ambito della promozione dell’economia locale, grande attenzione viene accordata all’innovazione tecnologica e
alla ricerca, volte a favorire nuova occupazione valorizzando le caratteristiche produttive e l’esperienza del territorio. Tra
i processi in fase di avvio è particolarmente interessante la prossima inaugurazione del Polo tecnologico di Capannori,
un importante centro di ricerca che dovrebbe creare occupazione soprattutto per i giovani.
Il Polo ospiterà una struttura di servizio attrezzata con laboratori e altre risorse strumentali per condurre ricerche
applicate, favorire il trasferimento tecnologico, eseguire prove e test sperimentali tesi a sviluppare incubatori tecnologici
e centri di competenza per il settore della moda e altri settori, e fornire servizi avanzati alle imprese del territorio.
In particolare, all’interno del Polo saranno presenti laboratori per lo sviluppo di sistemi di riduzione della produzione dei
rifiuti in collaborazione con la Regione, un centro di ricerca per le nanotecnologie in collaborazione con l’Università di
Pisa e la Normale di Pisa, e dei laboratori sulla tracciabilità della calzatura: il settore calzaturiero svolge infatti un ruolo
importante a livello comunale, comprendendo 400 aziende per un totale di 2.300 addetti.
Dall’ambiente al sociale per creare identità e comunità
L’attività del Comune di Capannori si caratterizza, infine, per l’attenzione dimostrata nei confronti delle politiche sociali.
Tra le iniziative più interessanti, si segnala qui il pacchetto in favore dei giovani e degli studenti: dalla creazione del forum
Giovani, un luogo di confronto, comunicazione, aggregazione e partecipazione attiva dei giovani alla vita del comune,
alle agevolazioni agli studenti universitari, che si sommano a quelle erogate dagli Atenei e dalla Regione. Nel 2011 nasce
inoltre il “Patto per la scuola”, un modello di territorialità educativa che coinvolge istituzioni, istituti comprensivi, famiglie,
volontariato e mondo della cultura, e che ha visto una risposta forte da parte del territorio con la partecipazione di molti
volontari, tra cui ex insegnanti, pensionati, genitori. In particolare il progetto della “Banca del tempo” ha permesso di
garantire l’assistenza pre e post scuola in varie scuole elementari del territorio, mentre grazie al progetto “Abilmente
diversi” vari volontari hanno assicurato una maggiore assistenza per gli studenti con disabilità.
Riguardo alle politiche di genere, sono allo studio una serie di incontri per sensibilizzare la popolazione su tematiche
quali l’occupazione e la partecipazione delle donne alla vita politica, la Costituzione e 150 anni dell’Unità d’Italia; sono
inoltre già attivi degli sportelli di consulenza legale e fiscale gratuita per le donne.
Il Comune di Capannori ha inoltre investito molto sulle politiche di integrazione, promuovendo manifestazioni dedicate
all’intercultura come “Oltrepassare” e la più recente iniziativa “Mosaici”. L’integrazione è favorita anche dalla previsione
di corsi serali di lingua italiana per i lavoratori stranieri, e di un corso di lingua italiana esclusivamente al femminile,
insegnanti comprese; l’orario è quello mattutino nel quale le donne sono più libere dalle occupazioni domestiche: per
favorire la partecipazione è stato anche organizzato un servizio di baby-sitting e un servizio di trasporto con pulmini “ad
hoc” che permette, anche a chi abita in frazioni lontane, di raggiungere le aule.
Un processo partecipato
Il Comune ha individuato una delle chiavi per la riuscita del progetto nella condivisione degli obiettivi con la popolazione.
A questo scopo è stato ideato un percorso di partecipazione finanziato dall’Autorità Regionale per la Partecipazione,
chiamato “Dire, Fare, Partecipare”. L’obiettivo principale del percorso di partecipazione è quello di creare nuovi spazi
di discussione e nuovi strumenti operativi che consentano ai cittadini di incidere nella definizione delle politiche
del Comune. Viene realizzato un nuovo strumento di partecipazione, “il bilancio socio-partecipativo”, che consente
alla cittadinanza di conoscere e valutare le attività realizzate e i servizi erogati, di indirizzare la gestione del Comune
attraverso la richiesta di nuovi servizi, di progettare e scegliere opere pubbliche da realizzare sul territorio comunale;
l’iniziativa ha inoltre permesso alla comunità di entrare in confidenza con la gestione del bilancio comunale, di conoscere
piani e strategie in atto e di compiere valutazioni approfondite sulle necessità della comunità.
Questo nuovo strumento è caratterizzato dall’enfasi posta sulla valorizzazione dei soggetti “deboli” della comunità e
rispecchia una volontà politica precisa da parte dell’amministrazione: tra gli 80 cittadini facenti parte del campione
rappresentativo selezionato per l’elaborazione degli interventi (metà uomini e metà donne), i giovani sotto i 35 anni
sono sovra-rappresentati del 10%, e sono presenti 4 cittadini stranieri: gli immigrati residenti hanno infatti partecipato al
Capitolo 3
41
percorso di elaborazione degli interventi e hanno potuto votare nell’election week, ovvero la settimana del voto, svoltasi
da lunedì 12 dicembre a sabato 17 dicembre 2011. Attraverso il voto, l’intera comunità ha deciso in quali opere investire
i 400 mila euro stanziati. Le opere scelte sono state realizzate entro ottobre 2012.
Aspetti innovativi ed interessanti
Un chiaro obiettivo di sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo
Il maggior punto di forza di questo esperimento consiste non tanto nelle innovazioni introdotte dalle singole iniziative, ma
dal fatto che tutti gli interventi si inseriscono all’interno di un processo che associa sostenibilità ambientale, economica
e sociale, permettendo di declinare un paradigma inclusivo dello sviluppo sostenibile grazie alla messa in pratica di un
processo per la gestione del territorio che incorpora la dimensione della salvaguardia ambientale, trasformandola in un
elemento trasversale, insieme alla partecipazione della comunità e alla promozione sociale ed economica.
Le numerose iniziative volte alla tutela dell’ambiente si inseriscono infatti all’interno di un processo ampio, caratterizzato
dalla partecipazione e dalla programmaticità, che intreccia indissolubilmente la sostenibilità ambientale ai temi dello
sviluppo economico e sociale del territorio, ricercando un equilibrio tra le differenti e a volte contrapposte istanze di
cui essi sono portatori. In una tale ottica, l’adozione del sistema integrato per la gestione e la riduzione dei rifiuti non
rappresenta solo una scelta tecnica di diversa gestione della raccolta, ma anche una strategia politica e culturale, la cui
sostenibilità nel tempo è favorita dalla recente nascita dell’associazione nazionale “Comunità Rifiuti Zero”, cui hanno
aderito 107 Comuni italiani.
Questa ed altre attività intraprese hanno lo scopo di favorire la diffusione di uno specifico modello di sviluppo economico
locale, basato sull’attenzione verso temi ambientali e allo stesso tempo sulla valorizzazione delle eccellenze economiche
del territorio, grazie alla promozione della filiera corta e del chilometro zero. In un tale contesto, è significativa anche
l’attenzione riservata allo sviluppo dell’innovazione e della ricerca, componenti fondamentali di una strategia che mira a
favorire le opportunità d’impiego e a sostenere i soggetti deboli della comunità, valorizzando e potenziando al contempo
le vocazioni e le risorse del territorio, nell’ottica di uno sviluppo armonioso e rispettoso delle peculiarità culturali e sociali
della collettività e delle caratteristiche ambientali del territorio.
La partecipazione della popolazione attorno a un progetto che crea identità
Un altro importante punto di forza del processo in atto a Capannori è rappresentato dall’estesa partecipazione della
comunità: enti comunali, imprese, società civile, associazionismo, strutture educative, università. I molti attori sono
coinvolti a vario titolo in una o più delle numerose iniziative che caratterizzano la gestione comunale ed apportano un
importante contributo in termini di competenze e capacità.
La propensione alla partecipazione dimostrata da subito dalla popolazione, in particolare dai giovani, è stata valorizzata
dalla continua attenzione dimostrata dall’amministrazione comunale nel favorire il coinvolgimento e l’informazione
di tutti i segmenti della comunità. In un tale contesto, il bilancio partecipativo è stata un’interessante ed innovativa
esperienza di programmazione condivisa per la costruzione collettiva dell’Agenda 21 comunale.
Dall’altra parte è rilevante la spinta che il progetto sta ricevendo dal suo porsi come elemento identitario per la
popolazione. In un circolo virtuoso, il raggiungimento dei risultati produce e diffonde una forma di “orgoglio” all’interno
della comunità che a sua volta alimenta e sostiene i processi partecipativi e lo sforzo comune per raggiungere obiettivi
sempre più ambiziosi. Ciò ha una sua valenza anche per gli obiettivi sociali che il modello si pone: la creazione di un
sentimento di appartenenza a una comunità virtuosa produce effetti anche sul livello di solidarietà sociale e culturale
che contribuisce all’integrazione fra gruppi sociali e alla lotta contro l’emarginazione.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Un esempio di integrazione fra crescita economica, sviluppo sociale, sostenibilità ambientale
La gestione e la protezione dell’ambiente si configurano sempre più come tematiche complesse, caratterizzate dalla
congiunzione della dimensione locale con quella globale, e di conseguenza dalla necessità di gestire l’interdipendenza
dei diversi ecosistemi, sempre più spesso minacciati da problematiche condivise. In un tale contesto, la cooperazione
allo sviluppo deve perseguire due obiettivi egualmente importanti e potenzialmente contrapposti, cioè la tutela e
conservazione delle risorse ambientali comuni e insieme lo sviluppo sociale ed economico delle comunità.
La Commissione Europea, con il Libro Verde del 2010 (La politica di sviluppo dell’UE a sostegno della crescita inclusiva e
dello sviluppo sostenibile. Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’UE) e l’agenda di Rio+20 pongono l’accento
sulla necessità di costruire un’interrelazione stabile tra i tre pilastri dello sviluppo (crescita economica, sviluppo sociale,
sostenibilità ambientale) che ancora troppo spesso vengono concepiti come ambiti settoriali distinti ed affrontati
utilizzando un approccio multisettoriale anziché intersettoriale, ovvero agendo in parallelo sui tre assi mediante linee
d’intervento separate e non in permanente relazione tra loro.
Per questi motivi, l’esperienza di Capannori rappresenta un interessante esperimento che può apportare un significativo
contributo ai processi cooperativi, proponendo una metodologia d’azione incentrata sulla fondamentale necessità di
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L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
integrazione dei tre pilastri. Il carattere territoriale dell’esperienza, al di là delle specificità culturali e delle vocazioni
locali valorizzate, permette di proporre quale spunto di riflessione e di discussione per la cooperazione internazionale
un approccio riproducibile altrove, basato sulla centralità della coesione e del capitale sociale e imperniato sulla
valorizzazione dello sviluppo economico trainato dalle piccole imprese radicate nel territorio, ma allo stesso tempo
anche sulla promozione dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica.
Valorizzare le capacità dei territori attraverso la massimizzazione della partecipazione ai processi di cambiamento
All’interno di questo processo, la partecipazione della comunità riveste evidentemente un ruolo fondamentale.
È importante infatti che i processi stimolati dalle azioni di cooperazione valorizzino la capacità dei territori stessi di
diffondere una cultura dello sviluppo, proponendo innovazioni rispetto a linguaggi e a modalità d’interazione e di
partecipazione della comunità che servano a coinvolgere e mobilitare gli attori precedentemente esclusi, e che siano
maggiormente incisive anche nello spronare le istituzioni e gli organismi responsabili dell’elaborazione e dell’attuazione
delle politiche.
Il bilancio socio-partecipativo sperimentato a Capannori può offrire anche in questo caso un interessante spunto, da
riadattare alle diverse esigenze della cooperazione internazionale e alle molte realtà socio-culturali dei contesti di
riferimento. Si tratta di un processo di programmazione del territorio che si basa non solo sull’assunto della partecipazione,
ma anche su quello dell’inclusività, della valorizzazione della coesione e del capitale sociale, dell’attenzione ai soggetti
deboli e quindi maggiormente esclusi dai processi di decision making. In una tale ottica, l’approccio proposto a Capannori
si configura non solo quale obiettivo degli interventi di cooperazione territoriale, ma anche come auspicabile strumento
nella definizione dei bisogni e delle aspirazioni della comunità e del territorio su cui si interviene.
Capitolo 3
43
3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona
: gestione multilivello, pianificazione
KEYWORD
: risorse idriche e dissesto idrogeologico
TEMA
: autorità locali + ONG + comunità
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: processo + approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: M. Bastiani (a cura di), “Contratti di fiume”, Flaccovio Ed., Palermo, 2011
Di cosa si tratta
Un tema particolarmente complesso
Un Contratto di fiume è un Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) mirante ad avviare un percorso di riqualificazione
di un bacino idrografico grazie all’elaborazione e all’adozione di un sistema di regole condivise, fondato su criteri di
sostenibilità ambientale, valore sociale, rendimento economico e utilità pubblica. Il concetto di “riqualificazione dei
bacini” è qui inteso nella sua accezione più ampia ed è riferito a tutti gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio,
includendo quindi i processi di natura idrogeologica e geomorfologica e quelli relativi all’evoluzione degli ecosistemi
naturali e antropici.
La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad avvalersi di questo strumento, disciplinando sul piano legislativo
la materia della programmazione negoziata grazie alla L.R. 2/2003, e alla L. R. 26/2003. Il bacino idrografico LambroSeveso-Olona è stato individuato dalla Regione Lombardia come area prioritaria d’intervento a causa del preoccupante
livello di compromissione ambientale e in particolare delle acque. La zona era stata individuata come prioritaria già nel
corso degli anni novanta, ed era stata dichiarata area ad alto rischio ambientale dal Ministero dell’Ambiente.
La partecipazione attiva e propositiva del territorio
La precondizione essenziale per l’avvio dell’iniziativa è stata la disponibilità del territorio a partecipare e, anzi, ad
assumere un ruolo propositivo senza il quale questa esperienza non sarebbe stata probabilmente realizzata: il motore
dell’iniziativa sono state le richieste del territorio, concretizzatesi soprattutto in sollecitazioni disomogenee provenienti
dalle istituzioni locali, che raccoglievano il malcontento della comunità. L’aspettativa generalizzata ha reso possibile
l’avvio di un processo di programmazione negoziata nato dal basso, la cui prima formalizzazione è stata quella dei
protocolli d’intesa tra alcuni soggetti istituzionali del territorio. Solo in seguito a questi protocolli sono state approvate
le delibere che hanno portato alla fase di costruzione del Contratto.
Tale processo ha preso avvio nel 2004: ad oggi sono stati sottoscritti il Contratto di fiume Olona-Bozzente-Lura (2004) e il
Contratto di fiume Seveso (2006) mentre il 20 marzo 2012 è stato sottoscritto il Contratto di Fiume Lambro. Gli obiettivi
di questi strumenti sono la protezione delle risorse idriche e la riqualificazione degli ambiti fluviali, la protezione ed il
ripristino della biodiversità, l’aumento della resilienza dei territori fortemente urbanizzati ai cambiamenti climatici, la
condivisione delle informazioni e la diffusione di una cultura dell’acqua.
La struttura dell’iniziativa
Lo scopo della formulazione dei Contratti è il raggiungimento di questi obiettivi attraverso la definizione di uno scenario
strategico condiviso di medio-lungo periodo, con la conseguente elaborazione di politiche e strategie sinergiche,
un piano d’area, uno strumento di valutazione delle politiche e della loro efficacia e coerenza con gli obiettivi, una
programmazione di bacino che indichi interventi e regole condivisi: tutto ciò allo scopo di orientare lo sviluppo locale,
elaborando un modello che coniughi aspetti socio-economici, paesaggistici, ambientali e di qualità della vita.
44
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
L’attuazione del Contratto di fiume prevede lo sviluppo di una metodologia articolata in fasi progressive; nell’ambito
del processo, sono state messe in atto azioni di riqualificazione dei bacini idrografici, interventi per la valorizzazione
ambientale delle aree fluviali ed azioni per la sensibilizzazione del territorio, la formazione e l’educazione ad una
cultura dell’acqua. Sono stati inoltre approntati diversi strumenti atti alla condivisione delle informazioni e al supporto
ai processi di negoziazione, per la definizione ed adozione di piani di emergenza comunali ed intercomunali e per la
programmazione di interventi infrastrutturali al ciclo delle acque. Tali risultati sono stati possibili grazie alla preventiva
costruzione di un quadro conoscitivo delle criticità e dei valori ambientali, paesaggistici e territoriali, che ha permesso
l’elaborazione di uno scenario strategico di medio-lungo periodo e la proposizione di un programma d’azione per la
sua realizzazione. È inoltre prevista la prossima elaborazione e successiva applicazione di un modello di valutazione per
indirizzare le politiche in atto e quelle previste.
Il Contratto è uno strumento senza portafoglio, ma ha la capacità di indirizzare i fondi delle diverse divisioni interessate
e di tutti i soggetti che vi aderiscono, rispetto agli obiettivi e al programma definito dal Contratto di fiume. Le fonti per il
finanziamento provengono in gran parte dalle varie programmazioni settoriali (difesa del suolo, sviluppo integrato…).
C’è poi una piccola quota di fondi destinati ad hoc (circa 300 mila euro annuali) per la costruzione del processo e il
supporto ai partenariati. Sono stati inoltre utilizzati alcuni fondi FAS 2007-2013 – linea d’azione per gli interventi di
riqualificazione fluviale.
Aspetti innovativi ed interessanti
Un disegno efficace di pianificazione condivisa del territorio e del suo sviluppo
Un punto di grande interesse dell’iniziativa è individuabile nel suo stesso obiettivo finale che indirizza tutti gli sforzi verso
la creazione di un partenariato esteso sul territorio. I Contratti di fiume sono processi tesi a costruire consapevolezza,
condivisione e responsabilità tra i vari attori, istituzionali e non, protagonisti delle trasformazioni di un territorio vallivo.
In tal senso essi si configurano come strumenti di programmazione negoziata, per loro stessa natura profondamente
interconnessi ai processi di pianificazione strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali.
Il processo che contraddistingue i Contratti di fiume si basa sulla co-pianificazione, un approccio che si caratterizza per
il concreto coinvolgimento e la sostanziale condivisione da parte di tutti gli attori, e che in virtù di tale partecipazione
permette di mettere in pratica azioni per lo sviluppo durevole dei bacini. Viene valorizzato il ruolo delle istituzioni
regionali, provinciali e comunali e anche le competenze di altre realtà sovracomunali, che fungono da catalizzatori e da
aggregatori delle attività comunali; viene inoltre valorizzato l’apporto delle associazioni ambientali.
Un imponente impianto partecipativo
La rete dei sottoscrittori coinvolge oggi complessivamente circa 150 attori locali. Firmatari del contratto sono tutti i
principali Enti che hanno interessi lungo il fiume: tra gli altri, la Regione, i Comuni del bacino idrografico, le Province,
l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA), gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), l’Autorità del bacino del
Po, i Parchi, le Comunità Montane. Oltre agli attori istituzionali, che hanno un ruolo di coordinamento, aderiscono anche
altri soggetti: sono molte le associazioni ambientali che partecipano, tra le altre il WWF, Legambiente, Italia Nostra
e moltissime associazioni a carattere locale; il loro ruolo è molto importante soprattutto in riferimento alle azioni di
sensibilizzazione e informazione sul territorio e, in alcuni casi, per interventi di manutenzione. In particolare, è interessante
la partnership e la convenzione di cofinanziamento firmata con Legambiente, che svolge una serie di azioni ed iniziative
insieme alle associazioni locali: soprattutto attività di sensibilizzazione e informazione sui temi della gestione sostenibile
dei fiumi (alcuni esempi delle attività svolte sono i campi di lavoro internazionali nei sottobacini, e la produzione di un
documentario sul fiume Lambro) e per diffondere la conoscenza e la comprensione dello strumento Contratto di fiume.
Sussidiarietà e struttura multilivello del partenariato
I soggetti sottoscrittori si impegnano, nel rispetto delle competenze di ciascuno, ad operare in un quadro di forte
valorizzazione del principio di sussidiarietà, attivando tutti gli strumenti partenariali utili al pieno raggiungimento degli
obiettivi condivisi. Le relazioni interne alla articolata rete degli attori sono strutturate grazie alla costituzione di organismi
plenari, previsti dal Contratto (Comitato di Coordinamento e Comitato Tecnico) e di tavoli relativi alle unità territoriali
individuate nel corso della costruzione dello scenario strategico. Questa strutturazione multilivello della rete degli attori
locali consente di costruire e mettere in atto in maniera condivisa lo Scenario Strategico e la negoziazione e le azioni da
programmare. Per garantire un’efficace organizzazione dei diversi tavoli, alcuni attori sono individuati come “referenti
sovralocali” (Parchi Regionali, Parchi Locali di Interesse Sovracomunale e Comunità Montane).
La diffusione del modello e le particolarità regionali
I Contratti di fiume sono ad oggi uno strumento utilizzato con successo anche in altri bacini idrografici italiani ed europei.
L’esigenza di valorizzare la “replicabilità” delle esperienze di Contratto di fiume in tutta Italia ha condotto, nel 2007, alla
costituzione di un gruppo di lavoro coordinato dal Forum di Agenda 21 dell’Alta Umbria, che si propone la raccolta di
esperienze e buone pratiche in materia di gestione partecipata delle risorse idriche per la definizione di linee guida
condivise e la promozione del confronto fra i diversi soggetti pubblici e privati portatori di interesse. In tal senso si sono
Capitolo 3
45
già svolti VII tavoli nazionali dei CdF ed è stata ufficializzata una Carta Nazionale dei Contratti di Fiume (fatta propria dalla
Conferenza delle Regioni).
La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad esplorare il nuovo strumento, disciplinando sul piano legislativo la
materia della programmazione negoziata grazie alla L.R. 2/2003, e alla L. R. 26/2003. Questa esperienza presenta alcuni
elementi innovativi rispetto ai Contratti di fiume europei, ed in particolare francesi, cui si ispira. Il processo si configura
infatti sempre più non solo come uno strumento di programmazione partecipata a livello di bacino, ma come strumento
di pianificazione a livello di sottobacino. I Contratti di fiume della regione Lombardia sono tutti afferenti al sottobacino
idrografico del Po-Lambro-Olona: questo sottobacino sperimenta attualmente una pressione antropica significativa
(rappresenta il 10% del territorio regionale ed ospita il 50% della popolazione), unita all’alto tasso di industrializzazione
e alla presenza di un consistente numero di corsi d’acqua. Queste condizioni peculiari differenziano il sottobacino del
sistema Seveso-Lambro-Olona rispetto al resto del bacino padano e rendono necessaria la predisposizione di strumenti
ad hoc: grazie ad un processo bottom-up si tende a costruire, in accordo con il territorio e le priorità che esprime, i
cosiddetti “piani di dettaglio”. Infatti, la redazione di piani di gestione, in ossequio alla Direttiva quadro sulle acque n.
2060, ha condotto all’elaborazione di misure su scala territoriale ampia, che per essere localmente efficaci necessitano di
piani di dettaglio relativi ai vari distretti idrografici, che a loro volta permettano la pianificazione e la regolamentazione
del territorio.
A livello di pianificazione territoriale, lo strumento “piano strategico Atlante”, recepito dal piano paesaggistico regionale,
ha dato il via a un processo che punta non più sulla programmazione condivisa (una tattica applicabile nel breve periodo),
ma sulla pianificazione, ovvero una strategia di azione nel medio-lungo periodo, portata avanti dal territorio stesso. Il
piano Atlante rappresenta il tentativo di unire le due fasi della programmazione e della pianificazione all’interno di un
unico processo, rendendo possibile l’integrazione dei vari strumenti predisposti per l’attuazione delle politiche (piano
territoriale regionale, piano paesaggistico regionale, strumenti di attuazione per politiche settoriali), di solito rivolti ad
un area i cui confini sono delimitati dal punto di vista amministrativo e non di bacino, e di adattarli alla scala e alla realtà
del sottobacino.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Uno strumento altamente modulabile ed efficace per contrastare il dissesto idrogeologico
Il dissesto idrogeologico rappresenta in Italia un problema di notevole rilevanza, diffuso in modo capillare e che si
presenta con modalità differenti a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti
morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e
sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
La peculiarità dell’esperienza italiana suggerisce un possibile ruolo chiave del nostro Paese nell’elaborazione di soluzioni
innovative per affrontare il problema del dissesto idrogeologico, da proporre anche all’estero nell’ambito delle azioni e
dei processi legati alla cooperazione internazionale.
Il modello dei Contratti di fiume, abbastanza diffuso in ambito europeo e nordamericano, è uno strumento ancora
pressoché inutilizzato nei PVS. Una delle poche esperienze in tal senso è quella sviluppata in Burkina Faso a partire dal
2003 (la prima nel continente africano), realizzata grazie alla collaborazione di quattro municipalità valloni già firmatarie
del Contratto di fiume Semois.
L’esperienza ha coinvolto la zona centrale del bacino del fiume Sourou (province di Kossi, Nyala e Sourou), che scorre
al confine col Mali, ed ha portato alla creazione dei Comitati di fiume e all’elaborazione e adozione di un programma
d’azione, coinvolgendo nel processo agricoltori, allevatori, pescatori, apicoltori, associazioni di donne, collettività locali.
L’iniziativa ha prodotto una forte mobilitazione e sensibilizzazione grazie ad un approccio trasversale e multidisciplinare;
tuttavia, la riproposizione in un contesto geografico e culturale profondamente diverso da quello europeo ha prodotto
alcune criticità (difficoltà a concretizzare il consenso, difficoltà nella rappresentanza legittima ed equilibrata dei vari
attori, incapacità dei Comitati di fiume di garantire la sostenibilità futura del processo) che evidenziano quanto sia ancora
necessario ripensare lo strumento per renderlo adattabile alla specificità del processo cooperativo e alle peculiarità dei
differenti contesti locali.
Un processo negoziale per la gestione dei conflitti per l’acqua
La Convenzione ONU del 1997 sulle norme per i corsi d’acqua internazionali per usi diversi dalla navigazione richiede
esplicitamente che, all’interno di un bacino idrografico, gli Stati cooperino su basi di eguaglianza, integrità e reciproci
benefici, prevedendo a tale scopo alcuni meccanismi per garantire una risoluzione pacifica delle controversie (negoziati,
buoni uffici, mediazione, conciliazione, ricorso alla commissione mista o ad un arbitrato).
Un particolare tema su cui potrebbe concentrarsi un processo futuro di contaminazione ed adattamento dei Contratti
di fiume alla realtà dei PVS è quello della gestione negoziata dei conflitti legati all’uso delle risorse idriche, riferita
in particolare alle differenti realtà locali all’interno di una singola entità statuale, allo scopo di garantire un processo
inclusivo che coinvolga i diversi attori territoriali su basi paritarie.
Benché il Contratto di fiume non preveda ad oggi un meccanismo specifico per la risoluzione dei conflitti, la sua
caratteristica innovativa sta nella scelta di muoversi verso una sussidiarietà orizzontale, che tende a costruire il dialogo
46
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
e il negoziato sulla base della forte motivazione che spinge i partecipanti ad adottare volontariamente norme e
comportamenti condivisi.
In una tale ottica, i Contratti di fiume diventano laboratori di governance territoriale, tendenti a coinvolgere la comunità
in tutte le fasi del processo, dalla pianificazione, all’implementazione, al problem-solving. In particolare, il processo
negoziale avviene a due livelli: in seno alle istituzioni, ma anche nel corso di “serate pubbliche” in cui la comunità è
chiamata a discutere e ad esprimersi sulle problematiche in atto. Da tale base si potrebbe partire per la previsione di
meccanismi ad hoc che permettano una maggiore formalizzazione della gestione dei conflitti, al fine di adattare lo
strumento alle complesse e talvolta drammatiche realtà di molte aree del pianeta.
Il tema aperto del ruolo del settore privato
Infine, un’ultima considerazione riguarda la partecipazione del settore privato: le attività svolte nell’ambito del processo
contrattuale in Lombardia hanno interessato solo marginalmente le associazioni di categoria e le associazioni di utenti,
mentre al momento una sola impresa ha sottoscritto il Contratto e si è impegnata a realizzare e finanziare un intervento.
La strategia messa in atto ha coinvolto prioritariamente le istituzioni pubbliche e il settore no profit; tuttavia si prevede
di affrontare prossimamente il problema del coinvolgimento degli attori economici privati, in una logica di allargamento
del partenariato e di partecipazione della comunità. Anche in relazione a futuri spunti per la cooperazione internazionale,
è auspicabile prevedere una maggiore partecipazione degli attori economici al processo, in modo da costruire una
cooperazione territoriale che coniughi durevolmente sviluppo economico e sostenibilità ambientale.
Capitolo 3
47
3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine
: partecipazione, montagna
KEYWORD
: gestione integrata e partecipata delle risorse forestali
TEMA
: autorità locali + comunità
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.forestamodellomontagnefiorentine.org
Di cosa si tratta
L’International Model Forest Network
I comuni appenninici di San Godenzo, Londa, Pontassieve, Rufina, Pelago, Rignano sull’Arno e Reggello, situati nella
parte orientale della provincia di Firenze, sono riuniti nell’Unione di Comuni di Valdarno e Valdisieve (UCVV, istituita
nel 2011; Comunità Montana Montagna Fiorentina dal 2002 al 2011). Con una popolazione di 64 mila abitanti, il loro
territorio si estende per 548 kmq ed è per oltre due terzi coperto da boschi (querce, castagno, faggio, pino nero, abete
bianco, duglasia).
Le particolarità di un territorio di questo tipo comportano benefici e opportunità dal punto di vista della risorsa
ambientale, ma anche problematiche come la marginalità socio-economica e la scarsità di servizi. Benefici e opportunità
che presentano assonanze con altri territori caratterizzati dalla grande ricchezza e fragilità degli ecosistemi e dove
continuamente si presentano sfide legate alla necessità di affrontare opportunità e problematiche in un’ottica di dialogo
e di condivisione fra i diversi attori presenti, portatori di interessi e istanze a volte divergenti.
Nel caso in oggetto, uno strumento utile a confrontarsi con queste sfide è stato offerto dall’adesione della Regione
Toscana alla Rete Internazionale delle Foreste Modello (International Model Forest Network, IMFN) nel 2009. Si tratta di
una rete di scambio (o community of practice) fra enti e privati che partecipano alla gestione di aree boschive, situate in
diverse zone dei cinque continenti, valutata come esemplari rispetto a determinati criteri: ampiezza del territorio (tale
da implicare aspetti ambientali, economiche, sociali, culturali), ampio partenariato (aperto a tutti i diversi portatori di
interesse), impegno per la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse naturali e del paesaggio forestale. La Rete
internazionale è articolata in reti regionali.
Nel 2011 la Regione ha candidato al titolo di Foresta modello quella della Montagna fiorentina. Nel febbraio 2012 è stata
costituita formalmente l’Associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, alla quale aderiscono 12 soggetti
pubblici, 15 imprese e 15 associazioni operanti nel territorio. Oltre all’Unione di Comuni di Valdarno e Valdisieve, ai singoli
Comuni, alla Rete Mediterranea delle Foreste Modello e alle comunità locali, fra gli attori principali coinvolti nella gestione
di questo percorso compaiono tre imprese associate, segherie, operatori forestali (Selvicoltori e Operatori Forestali
Europei Associati - SOFEA -, Ufficio territoriale per la biodiversità del Corpo forestale dello Stato), il Parco Nazionale
Foreste Casentinesi, il Trees and Timber Institute del CNR-Ivalsa. Nel novembre 2012 è arrivato il riconoscimento ufficiale
da parte della Rete Internazionale.
Le azioni
L’Associazione, espressione giuridica della Foresta Modello, si propone come nuovo strumento di governance del
territorio forestale, agricolo e rurale, ed opera negli ambiti delle filiere produttive, della distribuzione commerciale, del
mercato, dell’ambiente, del turismo, della cultura, degli aspetti ricreativi e della condivisione del know–how.
Fra le realizzazioni più interessanti vi sono quelle nel settore energetico, soprattutto in materia di impianti di riscaldamento
alimentati a biomassa. La gestione del bosco produce un gran numero di scarti legnosi; il bisogno di energia, in un’area
48
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
non servita dalla rete a metano, si incontra qui con la disponibilità di biomassa, la quale costituirebbe altrimenti un costo
per il suo smaltimento.
In particolare, la costruzione di una centrale a teleriscaldamento nella frazione Pomino, Comune di Rufina, si segnala per
i risultati raggiunti nel quadro della gestione sostenibile delle risorse boschive e dei processi decisionali partecipativi; la
centrale fornisce energia termica alle utenze domestiche della frazione.
I vantaggi sistemici prodotti dall’impianto di Pomino sono numerosi. Fra gli effetti positivi principali vanno considerati
la possibilità di trasformare gli scarti boschivi da rifiuti in risorse e la contestuale riduzione nell’utilizzo di combustibili
fossili e delle spese per l’approvvigionamento energetico, nonché la creazione di occasioni di reddito a livello locale
e l’incremento della coesione sociale collegato alla condivisione di un progetto orientato a fornire benefici all’intero
territorio.
L’impianto di Pomino è costato 1 milione e 300 mila euro (cifra coperta con il cofinanziamento della Regione; altri 300
mila euro sono arrivati con il finanziamento del Piano di sviluppo rurale), e produce energia per 3,5 milioni di euro l’anno,
che, con l’aggiunta di quanto prodotto nello stesso territorio dagli impianti mini idroelettrico (mini-hydro) e fotovoltaici,
arriva a un totale di quasi 4 milioni.
Aspetti innovativi ed interessanti
Un’applicazione reale di modello bottom-up
Il progetto della Foresta Modello della Montagna fiorentina si caratterizza, prima di tutto, per la messa in atto di processi
partecipativi particolarmente efficaci, secondo un modello bottom-up, cioè di costruzione delle decisioni a partire dalla
comunità, invece che dalle sue espressioni verticistiche in seno alla pubblica amministrazione, che vanno oltre una loro
applicazione meramente formale.
Un elemento di particolare interesse si lega al contesto rurale e montano in cui avvengono questi processi, contesto
che presenta numerose particolarità rispetto a quelli di tipo urbano e conosce con meno facilità pratiche e percorsi
partecipativi strutturati. Non mancano i casi in cui istituzioni pubbliche o altri promotori di progetti di sviluppo
incontrano l’opposizione delle stesse comunità interessate dai progetti che ne intravvedono i possibili svantaggi per
il proprio territorio. La crescente consapevolezza riguardo alla qualità dello sviluppo e la disponibilità di nuovi mezzi
tecnologici e culturali che favoriscono l’autonomia partecipativa della società accentuano le possibilità di conflitto e, allo
stesso tempo, forniscono strumenti per la risoluzione degli stessi.
In questo caso, il processo è stato articolato concentrando l’attenzione sulla condivisione delle scelte e sul dialogo,
prima che su un obiettivo prefissato. Questo ha contribuito a rendere reale la possibilità di incidere sulle decisioni: la
comunità locale non ha solo, come spesso avviene, un mero ruolo consultivo o di approvazione di decisioni già assunte,
ma possiede un effettivo potere di interdizione e di scelta, che comprende la possibilità di respingere finanche l’intero
progetto e di sottoporre proposte alternative con pari dignità rispetto alle opzioni originarie.
Nel caso della centrale di Pomino, ad esempio, la comunità ha scelto per l’impianto un’ubicazione diversa da quella prevista
inizialmente. La collocazione è stata alla fine adottata nonostante fosse più complicata per i realizzatori. L’applicazione
della decisione partecipata ha contribuito in modo significativo alla credibilità del progetto di condivisione dei processi
decisionali, modificando in maniera radicale la visione della gestione delle risorse territoriali in un contesto di scarsa
fiducia da parte delle popolazioni locali sulla propria possibilità di incidere sulle decisioni.
Gli effetti sui risultati
Il coinvolgimento della comunità come parte essenziale per la strutturazione e per il funzionamento della filiera corta
del combustibile rappresenta anche una garanzia di grande importanza per la qualità di materiali e processi che, in virtù
del ruolo centrale giocato dalle popolazioni, sono sottoposti ad un accurato controllo che migliora efficienza e qualità
ambientale dei risultati, come testimonia l’eccellente livello di abbattimento fumi raggiunto dagli impianti.
Un approccio partecipativo e di inclusione dei diversi interessi e punti di vista presenti nel territorio si applica ora a
ogni altro aspetto della vita delle comunità interessate: un banco di prova particolarmente critico è quello della caccia,
attorno al quale si sta aggregando l’attenzione per impostare un processo di regolamentazione condiviso basato sullo
stesso radicale coinvolgimento di tutti gli stakeholder.
L’ipotesi è quella di utilizzare lo stesso approccio partecipativo a tutti i processi necessari alla gestione sostenibile,
puntando, come immaginato da Antonio Ventre, Responsabile dell’Area gestione, difesa e uso del territorio dell’UCVV, a
realizzare una gestione comunitaria del territorio che prescinda dall’intervento delle istituzioni pubbliche.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Un modello di percorso partecipativo per la gestione di ecosistemi in aree marginali
Il modello di gestione realizzato dal Progetto Foresta Modello è certamente costruito sulla specificità del proprio
territorio. Come ampiamente ribadito dai protagonisti dell’esperienza, non esistono possibilità di replicare i processi o
Capitolo 3
49
loro singole porzioni senza calarle profondamente nel contesto di applicazione. Come dimostra l’osservazione anche
delle sole esperienze in rete, ogni Foresta Modello è unica: per il suo ecosistema, per la storia della gestione delle sue
risorse e per la sua realtà politica e culturale.
Tuttavia, proprio l’esperienza della messa in rete delle esperienze fornisce lo stimolo primario per la riflessione sulla
disseminazione delle lezioni apprese e per la riproposizione in altri ambiti delle idee alla base del successo di questa
come di molte altre storie di condivisione delle decisioni sulla gestione delle risorse da parte delle popolazioni integrate
all’interno dell’ecosistema che fornisce le stesse risorse.
La Rete internazionale delle Foreste Modello costituisce, programmaticamente, prima di tutto un’interessante cornice
per la condivisione delle esperienze e la promozione di cooperazione internazionale. Il percorso partecipativo in area
marginale attuato dalla Foresta Modello fiorentina può rappresentare un elemento di riferimento per esperienze di
cooperazione internazionale, in particolare dove si profilino interessi divergenti e potenziali conflitti sulla gestione delle
risorse locali. Ciò vale tanto più dove esistano attori in posizione debole rispetto alle istituzioni pubbliche o ad altri
promotori di progetti di sviluppo: situazioni in cui va evitato un rapporto impositivo verso popoli indigeni e comunità
locali.
L’esperienza specifica dell’impianto di Pomino già si configura come risorsa interessante in ambito di cooperazione
internazionale, qualificandosi, nella Rete mediterranea delle Foreste Modello, quale punta più avanzata nella gestione
partecipata e sostenibile della biomassa, con possibili potenziali collaborazioni in Istria o Macedonia, mentre, a livello di
Rete internazionale delle Foreste Modello, il caso toscano è incluso nelle iniziative di condivisione e capitalizzazione del
know how maturato, come nel caso degli incontri tematici sulla gestione delle biomasse che riguardano principalmente
l’area del Cono Sud del Sudamerica.
L’approccio partecipativo alla gestione delle risorse boschive (il Participatory forest management) è considerato il modo
più naturale di conservare le risorse forestali, come dimostra la riflessione in ambito FAO. Tuttavia, spesso si è assistito
a pratiche dettate da approcci top-down, che non si sono dimostrati capaci di assicurare i risultati attesi. Occorre, in
sostanza, andare al di là di pratiche ritualistiche e cerimonie della partecipazione e far entrare a pieno titolo le comunità
nel business della gestione ambientale al servizio delle stesse comunità, ridando centralità all’ambiente naturale nei
processi di trasformazione in corso.
La Foresta Modello ha sviluppato notevoli capacità nella promozione del coinvolgimento di tutti gli attori e della
disponibilità di questi a lavorare in rete e ha dimostrato come attraverso la partecipazione si possano individuare chiavi
per l’innesco di processi inclusivi sia dal punto di vista dell’accesso alle risorse per la produzione del reddito, sia da quello
dell’incremento della coesione sociale e del miglior funzionamento dei meccanismi della democrazia locale. Il modello
di partecipazione applica, di fatto, un approccio alla sostenibilità non limitato a un’accezione di protezione ambientale,
ma in linea con quanto delineato con l’indicazione dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed
economico).
Anche il contesto amministrativo-istituzionale non rappresenta un elemento di limitazione degli stimoli ricavabili
dall’esperienza. In base ai criteri della Rete internazionale, il territorio di una Foresta Modello non deve coincidere
interamente con quello di un’area protetta sulla base di regolamentazioni nazionali o locali. Anche nel caso della Foresta
Modello fiorentina, solo una porzione del territorio interessato dalla gestione comunitaria delle risorse si trova all’interno
dei confini del Parco delle Foreste Casentinesi.
Si tratta, cioè, di una base sulla quale si possono sviluppare formule, originali e non per forza legate alla produzione di
tradizionali vincoli normativi e strumenti di pianificazione per la protezione, conservazione e gestione integrata delle
risorse naturali, quali appunto il patrimonio forestale, ma anche biodiversità, risorse idriche e paesaggistiche, suoli
agricoli, fino a beni storico-architettonici o altri patrimoni culturali.
50
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini
: agricoltura biologica, sistema territoriale, acquisti verdi
KEYWORD
: approccio sistemico a produzione e consumi nel settore agroalimentare
TEMA
: autorità locali + imprenditori + contadini + comunità
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.consorziobiopiace.it
Di cosa si tratta
La mission
BioPiace è un consorzio fra produttori agricoli e trasformatori del settore agro-alimentare, operanti con il metodo
dell’agricoltura biologica nella provincia di Piacenza. Il Consorzio è nato nel 2003 con lo scopo di sviluppare un sistema
territoriale capace di sostenere processi virtuosi nella filiera agricola e alimentare.
Il mercato dei prodotti dell’agricoltura vede attualmente in posizione di crescente svantaggio i piccoli produttori,
indeboliti dalla diminuzione dei prezzi dei prodotti e dall’aumento dei costi tecnologici, logistici e finanziari. Inoltre,
rispetto al relativo vantaggio di cui godono le produzioni intensive di pianura, nelle aree di collina e di montagna la
permanenza di attività agricole di piccola scala è particolarmente difficile, a causa di condizioni di produzione e
di trasporto meno favorevoli. Oltre a determinare impoverimento sociale e culturale, l’abbandono di queste aree
economicamente “marginali” è anche causa di processi di dissesto idrogeologico, venendo a mancare il presidio dei suoi
abitanti e operatori agricoli.
BioPiace oppone a questi fattori di criticità i vantaggi dei maggiori strumenti di intervento che il consorzio può mettere in
campo rispetto a quelli di cui dispongono singolarmente i produttori e propone un’azione sistemica sull’intero contesto
territoriale.
La strategia e gli assi d’azione
Il Consorzio ha coinvolto sia le amministrazioni pubbliche sia i consumatori privati, spingendo in direzione di un
riorientamento dei consumi, nel quadro di un progetto territoriale mirato a produrre vantaggi sistemici su ogni piano e
per ogni settore: ambiente, economia, salute, qualità della vita e del lavoro per produttori e consumatori.
I circa 50 soci del Consorzio operano prevalentemente in collina e in montagna, coltivano i terreni o allevano gli animali
utilizzando il metodo biologico, garantendo al consumatore produzioni di grande qualità e senza alcun residuo chimico;
senza il Consorzio la maggior parte di queste aziende agricole sarebbe stata chiusa, e i terreni sarebbero stati abbandonati.
Il vantaggio economico è notevole per tutto il territorio: dalle aziende agricole e artigiane che trasformano i prodotti a tutto
l’indotto legato a queste attività, senza dimenticare il turismo enogastronomico che sfrutta le attrattive di un paesaggio
protetto e valorizzato da un’attività agricola sostenibile. Attraverso il mantenimento della vitalità dell’economia locale,
e quindi delle attività produttive, si salvaguardano le comunità locali dallo spopolamento e il territorio dall’abbandono
di tutte quelle pratiche che negli anni lo hanno plasmato in maniera sostenibile e ne mantengono la biodiversità, gli
equilibri idrogeologici e degli ecosistemi.
Il progetto è partito con una dotazione di capitale iniziale basata sull’autofinanziamento e su prestiti bancari ottenuti con
la garanzia dei soci. L’amministrazione pubblica locale ha fornito una rilevante spinta alla riuscita del progetto attraverso
l’adozione di pratiche di Appalti verdi della Pubblica amministrazione (Green Procurement), che hanno privilegiato i soci
del consorzio quali fornitori di alcune attività pubbliche locali in nome del ruolo complessivo giocato dal Consorzio per
l’intero territorio. Oggi i prodotti bio forniti dal Consorzio sono utilizzati nelle mense scolastiche del Comune di Piacenza
Capitolo 3
51
e di 30 altri comuni della provincia, nelle strutture ospedaliere provinciali, creando e sostenendo in modo continuativo
la domanda a livello locale. A questo si aggiungono i consumi privati a cui contribuiscono in maniera sostenuta i Gruppi
di Acquisto Solidale (GAS) organizzati sempre all’interno del territorio. I pasti forniti per la ristorazione ammontano a 2
milioni di pasti l’anno; il fatturato complessivo è prossimo a 5 milioni di euro.
La garanzia di un volume di domanda locale produce una serie di vantaggi per le aziende, che vanno dalla possibilità di
pianificare attività ed investimenti sulla base di una quota di domanda non volatile alla minore difficoltà di accesso al
credito. Dal punto di vista degli obiettivi ambientali del progetto, la localizzazione territoriale della domanda consente
una notevole diminuzione dell’impatto dell’intera attività, a cominciare dalla riduzione delle emissioni per effetto della
modalità di distribuzione delle merci con prodotti che non percorrono più di 30 km.
La popolazione, a sua volta, gode in questo modo di diversi vantaggi, che comprendono prima di tutto la possibilità di
accesso ad un’alimentazione sana fondata sul consumo di prodotti freschi, di qualità e privi di residui chimici, ma anche
i benefici che si collegano agli effetti meno diretti come suolo e falde acquifere meno inquinate dai residui chimici e
un’atmosfera in cui circola una quota minore di gas di scarico per effetto della politica di approvvigionamento a Km0.
A questi si aggiungono i vantaggi economici, sociali e ambientali per le comunità del territorio collinare dove sono
ubicate le attività di produzione e che, grazie al progetto, vedono incrementate qualità della vita e dei luoghi di lavoro,
nonché la possibilità di godere di un paesaggio vivificato dall’attività agricola ecocompatibile, possibile risorsa per le
attività turistiche.
Aspetti innovativi ed interessanti
Un approccio sistemico allo sviluppo dell’agricoltura biologica
Affrontare in un’ottica sistemica le problematiche legate alla produzione, alla distribuzione e al consumo del settore
agro-alimentare, costituisce un salto di qualità nel quadro dello sviluppo dell’agricoltura biologica. Negli ultimi vent’anni,
l’agricoltura biologica in Italia - che ammette soltanto l’impiego di sostanze naturali -è arrivata ad attestarsi in una nicchia
di mercato consolidata e oggi il Paese si colloca tra i primi 10 al mondo per estensione della superficie biologica, con
1,1 milioni di ettari nel 2011 (le aziende agricole biologiche sono concentrate in Sicilia, seguita dalla Calabria, mentre
quelle di trasformazione sono localizzate soprattutto in Emilia-Romagna, seguita da Veneto e Lombardia). Se, tuttavia, è
cresciuta la sensibilità riguardo alle tematiche della qualità dell’alimentazione, della salute sul lavoro, della salvaguardia
del territorio, della biodiversità, del paesaggio, un’ulteriore crescita di questo settore produttivo incontra ostacoli legati
a fattori economici e di competitività nel complesso del mercato agroalimentare. Un dato interessante, a tal proposito,
è che i produttori rappresentano in Italia la quasi totalità degli operatori biologici certificati (89%), mentre in Paesi dove
il consumo e le potenzialità commerciali dei prodotti biologici sono maggiori (come Francia e Germania), non ci sono
solo i produttori, ma i preparatori raggiungono il 30% degli operatori; tuttavia in Italia si segnala nell’ultimo periodo
il tentativo da parte delle imprese agricole di assicurarsi quote crescenti del valore dei prodotti biologici, coniugando
attività di produzione e di trasformazione (figura mista che combina produttori e preparatori).
In questo quadro, l’esperienza di BioPiace evidenzia le nuove possibilità di sviluppo che possono essere aperte da un
approccio che punti a intervenire complessivamente, al livello di uno specifico territorio, sui meccanismi della filiera,
sulla ricettività del tessuto sociale e sulle sinergie fra tutti gli attori interessati.
L’accorciamento della filiera e il ruolo della domanda organizzata
Il primo fattore strategico è l’accorciamento della filiera, attraverso la gestione diretta della distribuzione dei prodotti. La
distribuzione costituisce una porzione ampia del prezzo finale dei prodotti agroalimentari ed è generalmente il terreno
che vede i piccoli produttori in svantaggio rispetto alle grandi produzioni dell’agricoltura tradizionale per le minori
possibilità di sfruttare economie di scala e potere negoziale che si riflettono nell’impossibilità di competere sul fronte
dei prezzi e della diffusione del prodotto. Al contrario, una sua gestione diretta da parte dei produttori può risultare un
fattore sufficiente a creare i margini economici necessari per migliorare la competitività sul prezzo e la posizione sul
mercato, con conseguente possibilità di estendere volumi produttivi e di vendite, di realizzare economie di scala e di
inserirsi in nuovi mercati.
In questo senso il modello fondato sulla creazione di un soggetto collettivo in grado di colloquiare con il settore
pubblico (mense scolastiche e ospedali) e con organizzazioni di consumatori privati è risultato vincente per la possibilità
di organizzare porzioni consistenti di domanda e di approntare strategie di marketing mirate.
Una buona capacità di sfruttare le specificità del progetto per misurarsi con il mercato
Un ulteriore fattore di successo di BioPiace è individuabile nella scelta di dotarsi di una struttura leggera che svolge le
sole attività fondamentali di amministrazione, gestione finanziaria e controllo qualità, esternalizzando ogni altra attività
di servizio relativo alle produzioni commercializzate. L’opzione consente di mantenere estremamente ridotti i costi fissi
che pesano con continuità sul bilancio complessivo e incidono sui prezzi finali dei prodotti.
Il mantenimento di livelli di prezzo altamente competitivi a fronte di un rapporto ottimale con qualità e freschezza dei
prodotti ha consentito di aggiungere altri due elementi di grande importanza strategica per il successo e la sostenibilità
52
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
dell’iniziativa. In primo luogo, l’attrattività dell’offerta ha permesso di allargare lo spettro della clientela che include
aziende di ristorazione, grossisti, distributori, oltre alle già citate amministrazioni pubbliche e i consumatori privati
singoli ed associati, conferendo maggiore sicurezza di sbocco per la produzione.
In secondo luogo e anche a fronte dell’ampio ventaglio di clientela, è stato possibile mettere a frutto il vantaggio legato
alla struttura consorziata di piccoli produttori, ognuno in grado di offrire diverse vocazioni e specializzazioni produttive
e, quindi, di massimizzare la differenziazione dei prodotti con conseguente maggiore solidità rispetto alle imprese
monoprodotto o monosettore, e maggiore appeal sul mercato, anche grazie alle possibilità offerte dalla costruzione di
una piattaforma distributiva multi-prodotto.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Una risposta alla sfida dei processi di inurbamento e di degrado degli ambienti rurali e periurbani
Un effetto che si può considerare universale dei processi di globalizzazione economica e culturale è il mutamento
sul piano delle filiere agro-alimentari (e in modo analogo delle produzioni artigianali), da un lato, e dei rapporti fra
città e campagna, dall’altro. Le produzioni agricole locali, tipiche, di qualità, cedono terreno ai prodotti dell’agricoltura
industriale; le culture alimentari, anche nei Paesi poveri, risentono dell’inquinamento culturale derivante dall’industria
alimentare globale; questi processi sono legati da rapporti di causa ed effetto agli squilibri crescenti nelle relazioni fra
città e metropoli in espansione e le campagne che trovano nuove difficoltà nell’accesso ai mercati urbani per i propri
prodotti.
Malgrado le specificità del territorio piacentino, BioPiace rappresenta un modello di alto valore per gli spunti che offre
in tema di costruzione di politiche locali di sviluppo sostenibile. L’esperienza presenta del resto aspetti ampiamente
utilizzabili in altri contesti, a cominciare dall’approccio sistemico su scala territoriale.
Intervenire separatamente, soltanto su alcuni elementi del complesso di fattori citato sopra, non è sufficiente a
interrompere i complessi processi di degrado in corso. Al contrario, l’organizzazione in consorzi di produttori e il
coinvolgimento di diversi attori in un progetto territoriale sistemico possono delineare un modello a cui guardare con
interesse in vari contesti.
Un tema di riflessione è, in questo senso, anche la ricerca di modelli di sviluppo territoriale che non rafforzino i processi
esistenti di concentrazione attorno alle città e alle metropoli. L’esperienza di BioPiace offre utili spunti per un approccio
orientato su queste tematiche, sia rispetto alla struttura generale del suo progetto, sia rispetto a specifici fattori di
successo come alcuni dei punti specifici della sua strategia.
Le specificità strategiche territoriali
Nel riflettere sul valore “esterno” dell’esperienza non va dimenticato come il Consorzio si sia sviluppato in un contesto
favorevole: un territorio caratterizzato da un’antica cultura di partecipazione comunitaria alla gestione e alla cura delle
risorse locali, di qualità della vita, di innovazione sociale ed economica, e oggi particolarmente ricettivo riguardo ai
temi della qualità del cibo e della salvaguardia dell’ecosistema. La diffusione di aziende biologiche nel territorio è
sensibilmente più alta della media nazionale. Infine, fra le precondizioni di successo va ricordato che qui non si ha la
presenza di criminalità organizzata che in alcune zone del Paese condiziona marcatamente il settore agricolo.
Tuttavia, come appena sottolineato, è soprattutto nell’approccio generale dell’esperienza che vanno primariamente
ricercati gli elementi con valore esemplare. Si tratta come già menzionato, soprattutto delle possibilità di valorizzazione
delle aree agricole, creando delle condizioni per stringere saldamente il loro rapporto con le parti urbanizzate del
territorio di cui fanno parte.
Gli altri fattori di successo dell’iniziativa rappresentano singolarmente spunti di riflessione, da analizzare in modo molto
approfondito in funzione delle variabili di contesto. Si tratta ad esempio delle linee strategiche adottate e dei loro
sviluppi, delle metodologie con cui sono state affrontate le sfide della coesione fra stakeholder interni al Consorzio e
nell’intero sistema territoriale, le formule utilizzate per motivare gli attori coinvolti e per mobilitare le risorse sociali e
relazionali presenti sul territorio, fino al ruolo decisivo dei consumatori locali come attori in grado di orientare le scelte
dei decisori politici.
Capitolo 3
53
Capitolo 4
4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED
4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI)
4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco
4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal 4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador
4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya
4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania Capitolo 4
55
4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED
: integrazione, partenariato territoriale, internazionalizzazione
KEYWORD
: risorse idriche e dissesto idrogeologico
TEMA
: contadini + imprenditori +autorità locali + comunità + ONG + ricercatori scientifici
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio
INNOVAZIONE
Per approfondire: M. Zupi (a cura di), Rapporto di valutazione strategica del Programma di sostegno alla
cooperazione regionale nel Mediterraneo e nei Balcani (APQ), CeSPI, 2012
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
Quello della gestione e protezione dell’ambiente è un tema complesso, caratterizzato dall’interconnessione tra la
dimensione locale e quella globale. In particolare, il bacino del Mediterraneo è un’area caratterizzata da un alto grado
di interdipendenza tra i vari ecosistemi, che oggi si trovano ad affrontare problematiche ambientali comuni. In un tale
contesto, la cooperazione deve perseguire due obiettivi primari e potenzialmente contrapposti, ovvero il sostegno allo
sviluppo economico e sociale delle comunità e la tutela delle risorse ambientali comuni.
Tali sfide sono state raccolte, insieme a molte altre, dal Programma di Sostegno alla Cooperazione Regionale promosso
nel 2004 dal MAE e finanziato dal MISE mediante fondi CIPE-FAS (Fondo Aree Sottosviluppate). Il Programma è strutturato
nei due Accordi di Programma Quadro (APQ) per i Balcani occidentali e per il Mediterraneo, ed ha identificato e finanziato
iniziative e progetti di cooperazione decentrata orientati a stabilire o rafforzare il partenariato territoriale nelle due aree
geografiche di elezione.
L’intervento si è posto quale obiettivo primario il rafforzamento del sistema Italia e, in particolare, della sua capacità di
relazionarsi coi nuovi strumenti europei per la promozione della cooperazione di prossimità e di preadesione, favorendo
in tal modo l’accrescimento delle competenze e delle capacità di tutte le regioni italiane (e in particolar modo di quelle del
Mezzogiorno) di fare cooperazione e promuovere l’internazionalizzazione del proprio territorio. Contemporaneamente,
il Programma ha promosso una logica sinergica di azione da parte del “sistema Italia”, favorendo l’interscambio e la
collaborazione tra le Regioni italiane, che hanno condiviso la propria esperienza e i propri interessi allo scopo di costruire
una strategia di intervento comune nel bacino del Mediterraneo.
L’azione promossa dal Programma non ha tuttavia trascurato l’attenzione ai bisogni e alle aspettative dei diversi Paesi
partner coinvolti, allo scopo di garantire stabilità, sostenibilità e pariteticità del partenariato in via di realizzazione. In
particolare, la partecipazione delle autorità regionali mirava a favorire il processo di decentralizzazione (già in atto in
molti dei Paesi partner dell’iniziativa) e le innovazioni istituzionali, e a rafforzare la governance territoriale in questi Paesi.
Le realizzazioni
Nel complesso, si tratta di un intervento articolato, che ha coinvolto oltre cento entità tra enti attuatori italiani e partner
nei territori mediterranei e balcanici interessati; sono stati messi a diposizione circa 23 milioni di euro (15 milioni di
euro nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, 8 milioni nei Paesi dei Balcani occidentali) per il finanziamento di
progetti che hanno coinvolto, nel corso degli ultimi sei anni, il sistema delle regioni italiane su cinque linee tematiche
d’intervento: sviluppo socio-economico, trasporti e logistica, ambiente e sviluppo sostenibile, dialogo e cultura, sanità
e welfare.
Con particolare riferimento ai temi ambientali, gli interventi si sono concentrati intorno a due priorità condivise da
tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo: la gestione sostenibile delle risorse idriche e la prevenzione del rischio
idrogeologico.
56
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Due temi di particolare rilievo e gravità in Italia oltre che nei Paesi partner
Nel caso delle risorse idriche, è sufficiente scorrere il Rapporto “Ambiente Italia” 2012 di Legambiente e Istituto Ambiente
Italia: se l’Italia abbonda di risorse idriche, con 2.800 metri cubi pro-capite l’anno, tuttavia ci sono problemi di scarsità
idrica d’estate, sia al sud che al nord, con una disponibilità reale che, ad esempio, in Puglia è poco più di un decimo di
quella nel Nord-est. Il settore agricolo, con un’irrigazione basata su tecniche inefficienti, è di gran lunga il principale
utilizzatore d’acqua (20 miliardi di metri cubi l’anno), ma anche il settore civile (9 miliardi), l’industria (8 miliardi), la
produzione di energia (5 miliardi) sono responsabili del prelievo eccessivo e dei conseguenti problemi di qualità delle
acque superficiali e sotterranee, con problemi di scarichi inquinanti civili e industriali e depuratori mal funzionanti.
Nel caso del rischio idrogeologico, si tratta di un problema strutturale e grave per tutto il Paese, come mostrano i dati
più recenti: 6.633 comuni presentano aree a rischio idrogeologico, ovvero l’82% del totale, con una concentrazione
particolarmente elevata in Calabria, Basilicata, Molise, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei
comuni è classificato a rischio, ma anche Liguria e Marche (99% dei comuni a rischio) e Lazio e Toscana (98%). In pratica,
circa il 9,8% del territorio nazionale e oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane
e alluvioni.
Nell’ambito dell’APQ Mediterraneo, il Progetto Integrato RISMED (linea tematica 2.3: Ambiente e Sviluppo Sostenibile)
ha agito in particolare sul primo di questi due temi, coinvolgendo le regioni Basilicata (regione RUP – Responsabile
Unico di progetto), Abruzzo, Piemonte, Campania, Puglia e Sardegna. Le attività si sono svolte nel periodo 2009-2011, e
il tema della gestione delle risorse idriche è stato declinato in modo differente nei tre sub-progetti in cui si è strutturato
l’intervento:
• Il sub-progetto PUER è stato realizzato coerentemente con la politica di sviluppo sulla gestione delle risorse
idriche adottata dal governo egiziano. L’intervento ha portato alla realizzazione di una rete di distribuzione
di acqua potabile nel villaggio di Tenth of Ramadan (Governatorato di Port Said), fornendo inoltre mezzi ed
attrezzature all’associazione degli agricoltori dell’area al fine di incrementare le produzioni ed ampliare la
gamma di colture. Infine, con la partecipazione della controparte egiziana, il Ministero delle Risorse Idriche
e dell’Irrigazione (MWRI), è stata realizzata una stazione di pompaggio centralizzata ed è stata creata
un’associazione di utenti di acqua irrigua, con un risparmio in termini di combustibile e costi di gestione.
• Il sub-progetto CHAECO ha accompagnato la Regione Chaouia Ouardigha in Marocco nella riqualificazione
delle aree industriali, ponendo in particolare attenzione alla promozione di una nuova gestione delle risorse
idriche grazie all’avvio di un programma di monitoraggio dei reflui prodotti dall’industria da destinare a fini
irrigui e ad azioni di sensibilizzazione della comunità locale ad un uso sostenibile della risorsa. Il sub-progetto ha
inoltre accompagnato le istituzioni marocchine nell’introduzione della prima normativa in materia ambientale
varata nel Paese. È stato infine attivato un meccanismo di finanziamento per investimenti a carattere ambientale
destinato alle imprese marocchine, anche con lo scopo di attivare un flusso commerciale di tecnologie sostenibili
tra Italia e Marocco.
• Il sub-progetto WALL ha sviluppato studi e azioni congiunte sul territorio tunisino e sui territori regionali
italiani allo scopo di favorire il contenimento del rischio idrogeologico nelle aree a rischio di desertificazione
(governatorato di Nabeul e Kairouan), attraverso il recupero di zone agricole marginali e lo scambio di
conoscenze tradizionali sul miglior utilizzo della risorsa idrica. Il sub-progetto è stato articolato lungo due linee
d’intervento: la prima focalizzata sul ripristino degli equilibri idrodinamici delle falde sotterranee, la seconda
sulla mitigazione del degrado dei suoli attraverso il ripristino di tecniche tradizionali di utilizzo della risorsa
idrica e la loro diffusione come “buone pratiche” nella lotta alla desertificazione.
Aspetti innovativi ed interessanti
Partenariato e governance
L’approccio suggerito dal Programma è certamente innovativo e la sua peculiarità è in gran parte riconducibile al
tentativo ambizioso di coniugare la logica dei fondi FAS con quella della cooperazione, cercando quindi di perseguire
obiettivi “interni” (l’accrescimento delle capacità delle Regioni e il rafforzamento del “sistema Italia”) e obiettivi “esterni”
(il rafforzamento del partenariato territoriale e del networking internazionale e il miglioramento della capacità di
governance nei Paesi partner).
In una tale ottica, il Programma ha promosso anche l’adozione di un approccio inedito ai temi dell’internazionalizzazione,
con l’abbandono parallelo del tradizionale unilateralismo che caratterizza i processi di cooperazione allo sviluppo (quasi
sempre volti a promuovere esclusivamente lo sviluppo dei Paesi partner), a favore del perseguimento di vantaggi e
benefici comuni, grazie anche all’attivazione degli attori economici italiani all’interno di reti territoriali transnazionali che
permettano di avviare processi di internazionalizzazione delle nostre imprese.
Sul piano istituzionale, a queste peculiarità corrispondono altrettante innovazioni di carattere organizzativo, a partire dalla
compartecipazione del Ministero Affari Esteri e di quello per lo Sviluppo Economico, che ritrae anche simbolicamente
la nuova prospettiva di azione promossa dall’intervento e che si è rivelata essere uno degli elementi fondamentali nel
contribuire ai positivi risultati raggiunti sul piano immateriale del rafforzamento della capacità istituzionali: infatti, la
Capitolo 4
57
presenza dei due Ministeri durante la fase di implementazione degli interventi ha incoraggiato le amministrazioni
centrali dei Paesi partner (soprattutto quelli della sponda sud del Mediterraneo) a collaborare attivamente, ed ha in
questo modo concorso in maniera determinante al superamento delle difficoltà generate dalla mancanza di enti locali
omologhi alle Regioni italiane in questi Paesi.
Un nuovo meccanismo
Il particolare impianto del Programma ha permesso di mettere in atto un originale meccanismo per rafforzare le capacità
delle Regioni, che per la prima volta si sono trovate a lavorare insieme, elaborando strategie condivise, coordinandosi
a livello operativo grazie a diversi meccanismi e strumenti, di cui sono esempi i tavoli e i consorzi interregionali,
l’intensificazione di rapporti non formalizzati tra i vari enti regionali, ma anche la creazione, in chiave strategica e di
coordinamento, di un Comitato Partenariale di Indirizzo e Monitoraggio (CIM), con la partecipazione di amministrazioni
regionali, Ministero Affari Esteri e Ministero per lo Sviluppo Economico.
Il partenariato territoriale
Un altro importante punto di forza del Programma è stata l’azione volta al rafforzamento del partenariato territoriale; i
processi sviluppati nell’ambito del progetto integrato RISMED sono stati caratterizzati da una particolare attenzione rivolta
alla creazione di consorzi regionali estesi sul territorio italiano che, coinvolgendo le regioni italiane del Nord depositarie
di competenze e di esperienza nel campo della cooperazione tra territori, permettessero di valorizzare reti partenariali
già consolidate, eccellenze e competenze territoriali. È stato questo il caso di Environment Park in Marocco (sub progetto
CHAECO) e di IAMB in Egitto (sub progetto PUER). Gli enti attuatori sono stati sostenuti dalle amministrazioni regionali,
che attraverso questo processo hanno migliorato la loro capacità di gestione e coordinamento di reti complesse transterritoriali.
Gli spazi dati al coordinamento hanno offerto inoltre un’interessante prospettiva di sostenibilità nel tempo, favorita
anche dal lungo periodo di interazione intercorso dalla formulazione dei primi progetti alla loro implementazione
e chiusura, che ha permesso l’instaurarsi di legami stabili tra le varie amministrazioni regionali, e ha portato diverse
regioni italiane ed alcuni dei territori partner a partecipare congiuntamente a bandi per il finanziamento di attività
di cooperazione transfrontaliera in ambito IPA ed ENPI. Con particolare riferimento alle attività della linea tematica
“Ambiente e sviluppo sostenibile” e al progetto integrato RISMED, la Regione Basilicata ha creato una piattaforma
informatica per la progettazione e la messa a sistema delle idee provenienti dagli enti attuatori e dai partner locali;
inoltre, insieme all’Università della Basilicata e all’ENAS Sardegna, che hanno collaborato nell’ambito del sub-progetto
CHAECO, prevede la prossima presentazione di un’iniziativa congiunta a valere sui fondi ENPI.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Lo sviluppo di un sistema reticolare di conoscenze e capacità
Perché la cooperazione tra territori possa effettivamente favorire l’avvio di un processo di sviluppo del tessuto sociale che
sia sostenibile nel tempo, è imprescindibile porre attenzione alla capacità dei singoli territori di diffondere una cultura
dello sviluppo e allo stesso tempo di agire in sinergia, creando reti sistemiche. In una tale ottica, la riproposizione delle
forme classiche della cooperazione internazionale, adattate alla differente scala degli interventi, non è una soluzione
auspicabile: è necessario elaborare modalità innovative per agire sul territorio e per mobilitare gli attori prima esclusi
dai processi innescati dalla cooperazione internazionale, contribuendo in tal modo allo sviluppo della capacità di
governance del territorio da parte degli organismi responsabili dell’elaborazione delle politiche, valorizzando la funzione
e il servizio di coordinamento che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a svolgere. È sul piano locale e delle
specificità territoriali che si affrontano le sfide della sostenibilità, ma è attraverso una strategia di partenariato forte
all’interno e tra territori - recuperando le opportunità che la globalizzazione offre di mettere al centro i beni pubblici
globali - che tali sfide possono essere vinte.
Un approccio al partenariato mediterraneo
Il Programma di Sostegno alla Cooperazione Regionale ha avuto il merito di proporre un inedito approccio alla
cooperazione tra territori, attento non solo alla creazione della rete partenariale ma anche all’ampliamento delle
conoscenze e delle capacità di ciascun territorio di relazionarsi con le nuove sfide poste da un contesto come quello
del bacino mediterraneo, caratterizzato dalle grandi trasformazioni in atto (in particolare, i processi di rinnovamento
e cambiamento istituzionale e politico avviatisi in seguito alla “primavera araba”) e dalle spinte a ripensare la strategia
macro-regionale europea nell’area.
Infatti, se la cooperazione transfrontaliera dell’UE considera alcune regioni italiane eleggibili per la partecipazione al
Programma IPA ed altre per l’ENPI CBC, si è visto che i due Accordi di Programma Quadro hanno invece favorito la
creazione di un sistema integrato, all’interno del quale l’insieme delle Regioni ha operato sinergicamente in entrambe le
aree di intervento. Questo approccio a una governance globale della regione è sempre più rivalutato in ambito europeo
(si pensi alla discussione in corso presso il Parlamento Europeo, che potrebbe condurre nel lungo periodo alla creazione
di un’unica grande macroregione mediterranea): in una tale prospettiva, il Programma potrebbe rappresentare un
precedente interessante per orientare le future azioni di cooperazione territoriale nell’area.
58
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
La previsione di cinque linee tematiche di interesse prioritario per l’UE (tra cui quella su “ambiente e sviluppo sostenibile”
e quella relativa alle “interconnessioni materiali e immateriali”) ha favorito il rafforzamento della coerenza dell’operato
delle Regioni con la programmazione europea e le strategie nazionali nell’area del Mediterraneo e dei Balcani; inoltre, ha
facilitato il coordinamento e la complementarità con le altre iniziative italiane ed europee presenti nell’area di intervento,
rafforzando le previsioni di sostenibilità dei risultati ottenuti, grazie alla possibilità di utilizzare il network internazionale
creato o rafforzato dal Programma per la partecipazione alla nuova programmazione europea nell’area.
Un sistema multiattoriale e integrato
L’approccio innovativo presentato dal Programma incoraggia la diffusione di un nuovo sistema di relazioni con il
settore privato, teso a coniugare le istanze relative alla cooperazione con quelle dell’internazionalizzazione dei territori,
grazie alla partecipazione degli attori economici alla costruzione e al rafforzamento del processo di networking avviato.
Processi di questo tipo favoriscono la comunicazione tra i settori pubblico e privato, con beneficio soprattutto per le
PMI che possono in tal modo inserirsi all’interno di una rete che offre nuove prospettive di sviluppo. La valorizzazione e
l’inserimento degli attori economici all’interno del circuito cooperativo e la formulazione di interventi di cooperazione
territoriale realmente inclusivi, che mobilitano tutti i soggetti del territorio allargandone l’orizzonte strategico e tematico,
sono questioni che rivestono un particolare interesse per la definizione di nuovi approcci alla cooperazione territoriale
per lo sviluppo sostenibile.
C’è un altro elemento chiave che ha permesso al Programma nel suo complesso di raggiungere risultati positivi in relazione
al fondamentale asse della sostenibilità ambientale, sia in Italia sia nella maggior parte dei Paesi partner: la valorizzazione
di reti partenariali transnazionali preesistenti si è accompagnata a tentativi di integrazione con le politiche nazionali dei
Paesi partner. Come emerge dall’esperienza di PUER e di CHAECO, i sub-progetti si sono inseriti ove possibile all’interno
dei processi nazionali di riforma legislativa e di programmazione in materia ambientale, lavorando su tematiche e in aree
che corrispondevano a priorità dei Paesi partner.
L’integrazione è emersa come fattore fondamentale nel garantire la sostenibilità dei risultati raggiunti, grazie allo
sviluppo di un dialogo proficuo che in alcuni casi ha contribuito alla definizione degli assi strategici nazionali, e che ha
veicolato una visione innovativa della cooperazione tra territori: non solo opportunità di co-sviluppo a livello locale, ma
anche strumento di indirizzo strategico e di programmazione condivisa tra il Mediterraneo e l’Europa. In una tale ottica,
il Programma di Sostegno alla Cooperazione regionale costituisce un interessante esempio di una cooperazione tra
territori che valorizza entrambe queste sue vocazioni (quella orientata allo sviluppo locale e quella volta all’integrazione
macroregionale), riuscendo a proporsi come alternativa alla programmazione “dall’alto” e a ribadire la centralità del
territorio quale attore fondamentale nei processi di trasformazione in atto.
L’applicazione di questi meccanismi ad ambiti geografici e culturali tra loro differenti, quali quelli del Mediterraneo e dei
Balcani, e nei differenti ambiti tematici rappresentati dalle cinque linee di intervento possono essere analizzati anche in
relazione alla possibilità di un loro adattamento e di una loro riproduzione in contesti diversi da quello mediterraneo.
Capitolo 4
59
4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI)
: politiche energetiche, ecosistemi insulari vulnerabili
KEYWORD
: energia/emissioni/biodiversità
TEMA
: donne + contadini + ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio + processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/iniziative/Asia.asp
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
Il programma EESLI è un’iniziativa pluriennale multi-donatori lanciata dall’Italia attraverso i Ministeri degli Esteri (MAE)
e dell’Ambiente (MATTM), in collaborazione con l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) e in partenariato
con 14 Piccoli Stati Insulari in via di Sviluppo del Pacifico (PSIDS): Cook Islands, Fiji, Kiribati, Marshall Islands, Micronesia,
Samoa, Solomon Islands, Nauru, Niue, Palau, Papua New Guinea, Tonga, Tuvalu, Vanuatu.
L’iniziativa si iscrive in un processo di collaborazione internazionale che affronta i temi della conservazione del patrimonio
naturale e dello sviluppo sostenibile negli ambienti insulari. Circa 600 mila esseri umani popolano le circa 175 mila
isole presenti sulla superficie terrestre. Gli ecosistemi insulari ospitano più della metà delle specie marine conosciute,
sette delle 10 principali barriere coralline, dieci delle 34 aree del mondo con maggiore tasso di biodiversità. Si tratta di
ambienti estremamente fragili, dove la biodiversità corre i maggiori pericoli tanto che il 64% delle estinzioni è registrato
in aree insulari.
La sfida dello sviluppo sostenibile risulta ancora più complessa in ambienti altamente vulnerabili a causa della delicatezza
degli equilibri che reggono sistemi isolati e di piccole dimensioni. La crescente pressione antropica unita agli effetti
del cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia per la sopravvivenza dei sistemi insulari. Gli arcipelaghi
di piccole isole vedono sovrapporsi i rischi di innalzamento del livello degli oceani, scarsità di acqua dolce, degrado
dei suoli, inquinamento e contaminazione biologica uniti ai problemi di uno sviluppo che, in un sistema globalizzato,
risente degli svantaggi legati all’isolamento dai mercati internazionali, nonché della debolezza delle infrastrutture e
delle istituzioni che spesso caratterizza i piccoli Stati in via di sviluppo. Dal punto di vista istituzionale, inoltre, i piccoli
Stati insulari sperimentano frequentemente le condizioni proprie degli Stati fragili, dove le variabili geografica, etnica e
sociale aumentano le probabilità di conflitto fra componenti contrapposte della struttura statale, come può succedere
nel caso di distribuzione della popolazione su più isole anche lontane fisicamente e culturalmente fra di loro.
Il Programma EESLI e la Global Island Strategy
La comunità internazionale ha da tempo avviato iniziative per il sostegno allo sviluppo sostenibile dei piccoli stati insulari.
Il Programma EESLI si ispira a quanto elaborato a partire dalla conferenza internazionale svoltasi alle Isole Barbados nel
1994, dove i partecipanti si sono impegnati a supportare una piattaforma di sviluppo per i piccoli Stati insulari in via di
sviluppo (Small Island Developing States - SIDS). L’iniziativa mira a promuovere la crescita socio-economica dei Paesi
partner nel rispetto dei loro sistemi naturali estremamente ricchi e fragili e coinvolge più di quaranta isole con popolazione
oscillante dai 10 mila abitanti di Tuvalu ai 5 milioni di Papua Nuova Guinea. L’iniziativa si rifà a 14 punti prioritari fissati alle
Barbados nel 1999: 1) controllo dei cambiamenti climatici e dell’innalzamento del livello dei mari; 2) creazione di sistemi
di previsione dei disastri climatici e ambientali; 3) gestione dei rifiuti; 4) protezione delle risorse marine e costiere; 5)
protezione delle risorse idriche; 6) protezione del suolo; 7) gestione delle risorse energetiche; 8) sviluppo di un turismo
sostenibile; 9) protezione della biodiversità; 10) rafforzamento delle istituzioni e delle capacità amministrative; 11)
60
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
cooperazione regionale a livello istituzionale e tecnico; 12) miglioramento dei sistemi di comunicazione e dei trasporti;
13) ricerca scientifica e tecnologica; 14) sviluppo delle risorse umane.
La Global Island Strategy, all’interno della quale si iscrive il programma, è un’iniziativa internazionale nata nel 2006 per
promuovere l’azione sinergica e la coerenza di tutte le azioni per lo sviluppo sostenibile di stati insulari e, in particolare,
dei SIDS. Gli assi di azione principali riguardano la gestione delle risorse naturali con un approccio sistemico e crosssectoral, l’institution e capacity building attraverso formazione formalizzata e training on the job e l’applicazione di
sistemi di supporto ai processi decisionali, la collaborazione Sud-Sud e la condivisione di know-how, tecnologie e buone
pratiche attraverso la costruzione di networks tecnico-scientifici regionali e globali.
Il contributo della Cooperazione italiana
La partecipazione italiana muove dall’interesse per un processo che permette di valorizzare e integrare con contributi
e innovazioni elaborati in altre regioni del mondo le esperienze maturate dal nostro Paese nella gestione dei suoi tanti
sistemi insulari, molti dei quali rappresentano elementi consistenti e importanti del patrimonio naturale nazionale. Già
in occasione del Summit sullo Sviluppo Sostenibile tenutosi a Johannesburg nel 2002, la DGCS ha lanciato la propria
iniziativa di partenariato in tema di sviluppo sostenibile delle isole che ha collegato regioni lontane come l’arcipelago
di Soqotra nel Mar Rosso con le Galápagos nel quadro di un programma di sviluppo sostenibile e riduzione della
povertà in ambienti insulari ad elevata biodiversità. Durante l’incontro di Mauritius del 2005 per la revisione decennale
del Programma d’Azione varato alle Barbados, l’Italia in collaborazione con IUCN ha aperto il partenariato GalápagosSoqotra a tutti i SIDS, con l’obiettivo di creare un network internazionale per il loro sviluppo sostenibile in linea con
quanto definito alle Barbados.
Attraverso il Programma EESLI che coinvolge 14 SIDS del Pacifico, la Cooperazione italiana ha co-finanziato con circa 10
milioni di euro, una serie di progetti in campo energetico con il duplice obiettivo di favorire la diffusione di tecnologie
pulite per la produzione di energia e il risparmio energetico e di promuovere l’institution e capacity building per lo
sviluppo di politiche e strategie eco-sostenibili in campo energetico.
Il tema energetico
La politica energetica rappresenta un campo d’azione di grande impatto per lo sviluppo sostenibile delle piccole isole in
generale e dei SIDS in particolare. È una dimostrazione del fatto che, per definizione, i temi della sostenibilità dissolvono
di fatto i confini tra donatori e beneficiari e pongono tutti i partner di fronte alle sfide comuni: l’Italia per prima, come
documenta il portale QualEnergia.it, conosce bene il problema energetico delle piccole isole (Tremiti, Egadi, Pelage,
Pontine, Arcipelago toscano - Elba esclusa -, Ustica e Capri), che danno ospitalità a circa 47 mila residenti, non sono
connesse alla rete nazionale e ottengono elettricità tramite gruppi elettrogeni alimentati a gasolio, che disperdono
nell’ambiente circa i tre quarti dell’energia come calore refluo e producono rumore e fumi nocivi. Il paradosso è che
tali sistemi, molto poco ecocompatibili, sono anche finanziariamente insostenibili e devono essere sussidiati, perché la
tariffa elettrica di queste piccole isole è equiparata a quella sul Continente, facendo così pagare un conguaglio a tutti gli
italiani tramite l’addizionale UC4 (62 milioni di euro per il 2011), contenuta nella componente A3 della bolletta elettrica.
Nel caso dei SIDS, l’insularità e la dispersione della popolazione su arcipelaghi con distanze notevoli fra le singole
isole comportano un aggravio notevole della bolletta energetica e di quella petrolifera in particolare, nonché notevoli
disparità nell’accesso all’energia. Alla crescente pressione della spesa energetica sui bilanci statali si aggiungono altri
pressanti problemi quali: a) i rischi ambientali associati al trasporto dei combustibili via mare; b) la resilienza degli impianti
energetici rispetto alle frequenti minacce climatiche cui è soggetta la regione; c) i crescenti livelli di emissioni di gas
serra associati all’uso di tali combustibili, in un contesto caratterizzato dall’elevata sensibilità al tema del cambiamento
climatico e dell’innalzamento del livello dei mari; d) l’equo accesso all’energia da parte delle popolazioni locali.
Le realizzazioni
Le proposte di intervento sono state avanzate dai Paesi partner che, a loro volta, hanno raccolto idee progettuali
provenienti dalle comunità locali. La selezione dei progetti finanziabili è stata condotta congiuntamente dai partner del
progetto riuniti in un Joint Committee che comprende l’IUCN con un ruolo di garante del rigoroso aggancio dell’intero
processo ai criteri di sostenibilità ambientale e di conservazione della fragile biodiversità delle piccole isole. La visione
olistica e sistemica adottata affrontando il tema della riduzione della povertà e della conservazione degli ecosistemi ha
guidato la scelta dei progetti, che ha avuto fra i punti cardine la costruzione del futuro energetico per i Paesi partner,
valutando le possibili ricadute positive e concrete sulle economie nazionali e sulle condizioni di vita delle popolazioni
locali.
I progetti finanziati sono centrati sul tema della diffusione di tecnologie sostenibili per la produzione e il risparmio
energetico e includono la componente di formazione per la gestione e la manutenzione delle tecnologie adottate. La
scelta di utilizzare esclusivamente tecnologie testate, tralasciando progetti sperimentali, ha l’intento di massimizzare
l’efficacia delle risorse utilizzate in termini di impatto sulla popolazione e sulle economie locali. Con lo stesso obiettivo,
è stata mantenuta una notevole apertura per la scelta della tecnologia più appropriata ai singoli contesti, con un ruolo
decisivo dei partner locali nel definire le opzioni più idonee.
I ventidue progetti approvati, per un finanziamento totale superiore ai 10 milioni di dollari, comprendono 12 progetti
finanziati direttamente dal MATTM e realizzati dai Paesi partner, 9 progetti finanziati dal MAE e realizzati in collaborazione
Capitolo 4
61
con IUCN e un progetto regionale che ha visto anche la partecipazione del Comune di Milano. Circa il 47% delle risorse
è stato utilizzato per finanziare interventi nel settore delle energie rinnovabili e principalmente per impianti fotovoltaici,
cui sono destinati circa due terzi dell’intero importo, seguiti da biocarburanti per il trasporto, eolico e mini idroelettrico.
Un ulteriore 15% dei fondi è stato utilizzato per progetti nel campo dell’adattamento al cambiamento climatico, un 11%
per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e un 8% per la gestione delle risorse idriche.
Gli aspetti interessanti
Attenzione a concretezza e tangibilità: la piccola scala e le scelte tecnologiche
Un aspetto più volte richiamato fra gli elementi di successo dell’iniziativa è la sua capacità di realizzazione di interventi
concreti con risultati tangibili e immediatamente riconoscibili dalle popolazioni beneficiarie. Caratteristica che ha
contribuito al riconoscimento del programma come best practice da parte delle Nazioni Unite e che si basa su alcuni
fattori strutturali al programma.
La scelta di operare su piccola scala, in stretto contatto con le comunità locali e mantenendo aperto lo spettro di opzioni
tecniche adottabili ha probabilmente rappresentato uno dei principali elementi in grado di collegare la progettazione
alle caratteristiche specifiche di ogni contesto locale, incrementando in questo modo le probabilità di incontrarne le
esigenze e abbassando le possibilità di insuccesso per errori di progettazione.
Il ruolo delle comunità locali
La notevole apertura nella scelta delle soluzioni tecniche ha massimizzato la capacità del programma di rispondere
alle esigenze e alle vocazioni del territorio. In questo senso, il processo di identificazione dei progetti prioritariamente
finanziabili basato sulla raccolta di proposte formulate dalle comunità locali (bottom up) ha rappresentato un passo
decisivo per arricchire il programma, variegando lo spettro delle opzioni esplorabili. Alla flessibilità nella scelta delle
opzioni tecniche è stata poi affiancata una parallela flessibilità nella tipologia di intervento, articolatasi nei diversi
progetti in finanziamento per l’acquisizione di tecnologia, assistenza tecnica, supporto istituzionale, capacity building,
credito ai privati e alle imprese, formazione.
La successione delle fasi, che ha visto spesso precedere l’indicazione delle esigenze dei beneficiari all’individuazione
della soluzione tecnica e progettuale, è un ulteriore elemento che ha probabilmente contribuito ad accrescere il tasso
di successo dei progetti in termini di effettivo miglioramento della qualità della vita delle popolazioni. A ciò si aggiunge
la scelta, operata a monte, di basare ogni intervento su tecnologie ampiamente testate; scelta che si configura come
ulteriore fattore che ha contribuito all’elevato tasso di traduzione in risultati concreti, permanenti e tangibili.
L’innesco di processi di sviluppo di una Green Economy locale
A quest’ultimo punto si collega un ulteriore elemento interessante del programma, rappresentato dall’impatto
sull’economia locale di alcune delle attività. Sono numerose le indicazioni di effetti stimolanti sulla piccola imprenditoria
che, anche grazie alla formazione tecnica associata all’introduzione di tecnologie e materiali, si sta rendendo protagonista
dello sviluppo del mercato locale per alcuni comparti legati all’efficientamento energetico e alla produzione di energia.
Lo stimolo allo sviluppo di un settore produttivo legato alla produzione di energia su piccola scala è un risultato
particolarmente rilevante. L’accesso all’energia è un elemento importante per lo sviluppo umano ed economico locale.
L’insularità comporta forti penalizzazioni in termini di costi infrastrutturali. La costruzione e il funzionamento delle reti
di distribuzione dell’energia hanno, in molti casi, costi aggiuntivi proibitivi per i bilanci pubblici e che scoraggiano la
partecipazione del settore privato. Nelle aree periferiche degli arcipelaghi la mancanza di fonti di energia garantita e a
prezzi contenuti abbassa le possibilità di sviluppo di tutte le attività economiche, nonché la qualità dei servizi, inclusi
i presidi sanitari e scolastici la cui efficienza e modernità dipende in buona misura dalla disponibilità di energia. La
scarsa qualità e i costi relativamente più elevati della fornitura di energia elettrica sono uno dei principali fattori che
determinano il digital divide sofferto dalle popolazioni delle piccole isole. È pertanto evidente come, in tale contesto,
il raggiungimento dell’autosufficienza energetica rappresenti un passo particolarmente significativo per lo sviluppo,
moltiplicando le opportunità di avvio di attività economiche, aprendo la possibilità di modernizzare con nuove
tecnologie i servizi e le attività domestiche ed emancipando molte delle attività quotidiane dai vincoli legati alla limitata
disponibilità di illuminazione.
Il significato strategico per la Cooperazione italiana
Non è, infine, da dimenticare come attraverso questo impegno pluriennale, caratterizzato fortemente dal profilo
regionale, la cooperazione italiana abbia compiuto un passo importante per proporsi come partner per i Paesi della
regione del Pacifico. Il possibile ruolo privilegiato sul tema specifico dello sviluppo sostenibile e della crescita della Green
Economy in ambienti insulari, che l’Italia potrebbe assumere anche alla luce di un possibile collegamento fra soluzioni
sviluppate a livello nazionale e cooperazione internazionale con i SIDS, conferisce all’intera iniziativa un respiro strategico
considerevole per la politica di cooperazione italiana in aree geografiche non tradizionalmente oggetto di intervento.
62
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Una rete internazionale per lo sviluppo sostenibile dei sistemi insulari
L’apprezzamento e la buona visibilità raggiunta dal programma costituiscono una base interessante per ulteriori sviluppi
dell’approccio e per un approfondimento del ruolo dell’Italia sul tema specifico dell’insularità e dello sviluppo sostenibile
delle piccole isole, principale contenuto strategico dell’iniziativa. Si può ricordare, a riprova di ciò, l’importanza ad esempio
di: (1) il Patto delle Isole, un progetto pilota cofinanziato dalla Commissione europea (Direzione Generale dell’Energia)
per la definizione di un approccio innovativo con cui “aggredire” le criticità delle isole europee in materia di politica
energetica, che vede la partecipazione della Sardegna; (2) il Patto dei Sindaci, il principale movimento europeo che vede
coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche
rinnovabili nei loro territori, che vede la partecipazione delle isole italiane; (3) il fatto che la Regione Sardegna detenga la
presidenza della Commissione delle Isole dell’Assemblea generale della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime
(CRPM) e la vicepresidenza della Commissione Intermediterranea.
Un primo punto da cui partire è, dunque, l’integrazione del programma all’interno del più ampio processo di messa in
rete delle iniziative internazionali con focus sullo sviluppo sostenibile delle comunità insulari. In questo senso, sono in
primo luogo valorizzabili i risultati raggiunti in termini di rafforzamento delle relazioni istituzionali con i Paesi partner
con i cui governi sono stati avviati processi di collaborazione efficaci non solo ai fini della riuscita del programma, ma
soprattutto per il rafforzamento del lavoro di messa in rete delle esperienze, di collaborazione fra Stati della stessa
regione e da questo alla collaborazione globale intra- e interregionale fra Stati insulari.
Le potenzialità di sviluppo della collaborazione regionale fra i partner
Il buon livello di collaborazione raggiunta sia a livello interministeriale all’interno dei governi dei Paesi partner sia fra
le istituzioni competenti per l’ambiente e i cambiamenti climatici dei 14 Paesi partner nel partecipare direttamente
alla fase di progettazione e implementazione degli interventi, alle attività di capacity development e allo sviluppo delle
policy, è un asset particolarmente importante che è stato sviluppato a partire dal disegno del programma con i partner
attivi sia a livello tecnico sia a livello decisionale e politico. I primi segnali delle potenzialità di sviluppo delle attività in
rete a partire da questa esperienza sono già visibili, come dimostrano sia i processi di mutua assistenza tecnica avviatisi
fra i partner, sia i primi scambi di informazioni con aggregazioni di SIDS di altre regioni.
La logica multilivello e le possibilità di allargamento multidirezionale della rete
Un secondo punto su cui il programma fornisce importanti spunti è la possibilità di allargare anche in senso verticale
la rete di relazioni, collaborazioni e canali di riproducibilità che si è andata creando parallelamente allo sviluppo delle
attività del programma. Il significativo radicamento dell’iniziativa sui territori di intervento, che per primi si sono resi
protagonisti muovendo la fase di progettazione con le centinaia di proposte sottoposte al vaglio del programma,
rappresenta un segnale di grande rilevanza e uno spunto che va colto.
La possibilità di attivare e sfruttare relazioni multilivello – sia di tipo verticale nello stesso Paese, sia “diagonali” fra i diversi
livelli dei diversi Paesi – che coinvolgano i diversi piani istituzionali e, conseguentemente attori territoriali di diversa
dimensione, si presenta come uno dei fulcri di un possibile allargamento tematico e territoriale dell’esperienza.
Oltre, infatti, al già avviato allargamento orizzontale di alcuni contenuti dell’esperienza ad altre regioni che come i
Caraibi presentano caratteristiche simili a quelle dell’area di sviluppo del programma, esistono possibilità di sviluppo
nella creazione di spazi di comunicazione e collaborazione verticali fra realtà degli stessi Paesi beneficiari – come in parte
già verificatosi nella definizione e implementazione dei progetti concreti nel settore energetico – ma anche dei Paesi
donatori e, trasversalmente ai livelli e ai Paesi, fra realtà subnazionali e nazionali.
Un tale processo consentirebbe di fare leva, da una parte su motivazioni, sensibilità e spinte progettuali maggiori perché
ancor più radicate nei territori, dall’altra su un più ampio spettro di esperienze e know how, maturati con crescente
adesione al contesto e maggiormente calibrati in termini dimensionali. È evidente ad esempio come siano numerose
le indicazioni, anche nel caso delle piccole isole italiane, delle capacità di molte comunità locali di sviluppare policy
specifiche per le peculiarità degli ambienti insulari facendo leva su conoscenze e saperi locali e sul rapporto diretto fra
popolazione e autorità del territorio.
Naturalmente, tali vantaggi sarebbero ulteriormente avvalorati lavorando per una effettiva e crescente collaborazione
paritetica fra Paesi e livelli istituzionali, secondo un concetto di rete priva di gerarchia fra i nodi che la costituiscono, dove,
cioè, si procede indebolendo e superando le differenziazioni precostituite fra donatori e beneficiari, fra livelli regionali,
nazionali e subnazionali e fra le diverse tipologie di attori coinvolti, siano essi del settore pubblico, privato o no profit.
Capitolo 4
63
4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco
: agricoltura, pascoli, incendi, deforestazione, biodiversità
KEYWORD
: pratiche alternative all’uso del fuoco in agricoltura e nell’allevamento del bestiame
TEMA
: contadini + comunità (indigene) + autorità locali + ricercatori scientifici + ONG
MAJOR GROUPS
: ambientale
ASSET
: processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://utlamericas.org/programmi-e-progetti/area-ambientale/progetto-amazzonia-senza-fuoco/
:
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
In uno dei sette Paesi più ricchi al mondo di biodiversità, la Bolivia, è in atto un fenomeno di deforestazione di enorme
impatto. Una delle cause sono le pratiche agricole e pastorali ancestrali, comunemente utilizzate in tutta la regione
amazzonica, che prevedono l’uso del fuoco con conseguenze negative per la salute delle comunità locali e per l’ecosistema
naturale. L’uso del fuoco, “il chaqueo”, è erroneamente considerato una pratica efficace sia per il rinnovamento della
vegetazione, grazie alla pulizia della terra e all’eliminazione di residui, sia per l’aumento della produttività dei terreni,
grazie all’incorporamento di nutrienti nel suolo. Si tratta di pratiche tradizionali cui ricorrono contadini e pastori: i primi
per preparare i terreni alla nuova semina, i secondi per favorire la rinascita dei pascoli in modo che siano disponibili per
l’alimentazione dei capi di bestiame. Il fenomeno, non adeguatamente controllato e largamente utilizzato anche in virtù
dei suoi bassi costi, sta generando gravi impatti in termini di distruzione della biodiversità del Paese, contaminazione
delle acque e dell’aria con relative ripercussioni sulla salute delle comunità locali e sta contribuendo al riscaldamento
globale e quindi ai cambiamenti climatici.
Il programma Amazonia sin Fuego, avviato in Bolivia dalla Cooperazione italiana a gennaio 2012, si pone l’obiettivo di
ridurre l’incidenza di incendi nella regione amazzonica boliviana mediante l’introduzione di pratiche alternative all’uso
del fuoco che possano contribuire alla tutela dell’ambiente e al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità
locali.
Il programma si avvale dell’esperienza decennale di cooperazione bilaterale tra Italia e Brasile, realizzatosi tra il 1999 e
il 2009, che su questa stessa tematica ha raggiunto risultati estremamente rilevanti in termini di riduzione degli incendi
nella regione amazzonica brasiliana. In alcuni municipi brasiliani interessati dal programma si è infatti registrata una
riduzione degli incendi di circa il 90%; inoltre il programma ha favorito in Brasile l’adozione di una politica pubblica di
gestione degli incendi.
La strategia e le azioni
Il programma Amazonia sin Fuego in Bolivia è realizzato e finanziato dalla Cooperazione italiana attraverso un’iniziativa
a dono gestita direttamente dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) in partenariato con
l’Agenzia Brasiliana di Cooperazione (ABC), il Ministero dell’Ambiente e Acqua Boliviano e il Banco de Desarollo de
America Latina (CAF), che, in misura e con ruoli differenti, sono a loro volta esecutori e finanziatori di alcune componenti
dell’iniziativa.
L’iniziativa riguarda 39 comuni dei dipartimenti di La Paz, Beni, Pando, Cochabamba e Santa Cruz, e deve essere realizzata
in un arco temporale di tre anni. La strategia di intervento è incentrata prevalentemente su attività di formazione e
di costruzione di alleanze strategiche con i vari stakeholder (dipartimenti istituzionali, municipalità, associazioni di
contadini, ONG, leader comunitari, singole comunità e singoli contadini).
Seguendo un approccio per fasi, l’iniziativa si pone l’obiettivo di promuovere gradualmente l’uso in agricoltura di
64
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
pratiche alternative al fuoco, modificando così metodi e tecniche agricole ancestrali. In una prima fase, l’intervento
si concentra sulla problematica del controllo dei fuochi: è erogata una formazione tecnica alle “brigate comunitarie”
incaricate di gestire le attività di controllo dei fuochi ed adeguatamente equipaggiate a questo fine. Successivamente
si propongono formazioni specifiche volte alla diffusione di pratiche agricole alternative all’utilizzo del fuoco. Questo
rappresenta l’ambito principale di azione del progetto, attraverso cui si promuove una diversa cultura tra contadini
e pastori, sensibilizzandoli sulla necessità di adottare comportamenti che tutelano l’ambiente e, allo stesso tempo,
assicurano loro attività redditizie per l’agricoltura e l’allevamento.
Alla formazione si affianca l’attività di sperimentazione in unità dimostrative su appezzamenti di terra di circa due ettari
ciascuno che permette di illustrare i vantaggi di una gestione agricola basata su pratiche agroecologiche sostenibili,
come ad esempio l’utilizzo delle leguminose e la rotazione colturale.
L’intervento non si limita ad attività puntuali di formazione e diffusione di tali pratiche, ma si pone l’obiettivo di
consolidarne l’utilizzo e la promozione attraverso la definizione di protocolli municipali che assicurano la sostenibilità
dell’iniziativa anche dopo la sua conclusione e che pongono le premesse necessarie per eventuali interventi legislativi
in materia.
Aspetti innovativi ed interessanti
L’integrazione fra risposta all’emergenza e promozione di sviluppo sostenibile
Amazonia sin fuego si caratterizza, in primo luogo, per un approccio integrato che riesce a coniugare attività di emergenza
nel breve termine, volte ad arginare il fenomeno degli incendi incontrollati che sta distruggendo l’ecosistema naturale,
e attività di sviluppo che nel lungo periodo sensibilizzano e formano le comunità e le istituzioni locali all’adozione di
pratiche sostenibili nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento.
È interessante rilevare come questo intervento, partendo da una problematica prevalentemente ambientale, è in grado
di incidere efficacemente sul tema più ampio della lotta alla povertà nello Stato boliviano. Si tratta, cioè, di un’azione che
attraverso l’adozione di pratiche alternative all’uso del fuoco, non solo tutela l’ambiente e preserva il patrimonio naturale
di immane valore nella regione amazzonica, ma fornisce opportunità di incremento del reddito delle attività agricole e
pastorali aggiornando le conoscenze e le competenze delle comunità contadine locali.
La metodologia partecipativa e il consenso istituzionale
Un elemento che ha contribuito in modo decisivo alla buona riuscita del progetto è stata l’adozione di un’articolata
strategia volta a massimizzare il grado di appropriazione delle tematiche e degli obiettivi da parte di tutti gli attori che a
vario titolo hanno interessi in gioco.
La partecipazione degli stakeholders è stata stimolata e sviluppata attraverso una metodologia strutturata in più fasi.
Una prima sequenza di passaggi è stata centrata sulla ricerca del consenso istituzionale ai diversi livelli locali. Con questa
finalità, le principali strutture operative del progetto sono state dislocate direttamente nelle zone di intervento, così da
assicurare un reale rapporto di prossimità con le comunità e le istituzioni locali. In una seconda fase, è stata coinvolta
direttamente la popolazione rurale, la cui partecipazione nella definizione delle aree di intervento e nella realizzazione
delle attività è risultata decisiva per il raggiungimento dei risultati. Il coinvolgimento attivo di tutti i livelli ha permesso
in questo modo di ottimizzare la selezione delle unità dimostrative con il contributo diretto degli agricoltori, mentre il
coinvolgimento dell’istituzione locale ha un peso rilevante per la sostenibilità futura dell’iniziativa, ad esempio attraverso
la definizione dei protocolli municipali.
L’effetto dinamico delle soluzioni adottate
L’aspetto più innovativo di questa iniziativa non risiede tanto nell’introduzione di soluzioni originali, quanto piuttosto
nella promozione di un approccio integrato e partecipato che permette di affrontare una problematica in maniera
sistemica. La promozione di pratiche agro-ecologiche, alternative all’uso del fuoco non rappresenta in sé una novità
assoluta, in quanto su piccola scala progetti di ONG attive da tempo nel Paese hanno contribuito alla sperimentazione
di queste pratiche. Tuttavia, anche grazie alla partecipazione ampia e strutturata degli attori territoriali con cui l’intero
percorso progettuale viene costruito e condiviso, l’iniziativa della Cooperazione italiana, ha il merito di proporre un
intervento di più ampia portata. Sulla base delle lezioni apprese durante la positiva esperienza brasiliana, è stato
impostato un rilevante processo di condivisione dei contenuti della sperimentazione con le autorità boliviane che ha
prodotto una convergenza politica sull’intervento in tema di deforestazione, con il programma come possibile premessa
per riforme più ampie e strutturate a livello nazionale.
Capitolo 4
65
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Risposte sistemiche ad un tema complesso: potenziali sinergie per lo sviluppo di politiche italiane ed europee
Amazonia sin Fuego costituisce un prezioso tassello per la costruzione di politiche di intervento in campo ambientale. I
buoni risultati danno indicazioni su come si possa affrontare il tema spinoso della conservazione del patrimonio naturale
territoriale nel pieno rispetto delle esigenze sociali ed economiche delle comunità che lo custodiscono e che lo utilizzano
come risorsa. La complessità dell’interrelazione fra problematiche ambientali e sociali legate all’uso delle risorse forestali
si riflette nel disegno dell’intervento che, fondandosi su un approccio sistemico e partecipato, riesce a dare fornire risposte
concrete e soluzioni non superficiali capaci di incidere in modo positivo sia sul piano della salvaguardia ambientale, sia
sul piano della lotta alla povertà e dell’emancipazione delle comunità rurali.
L’approccio sistemico e la costruzione di interventi e politiche con obiettivi multipli rappresentano elementi di interesse
per la riflessione sulle politiche ambientali e di salvaguardia del patrimonio forestale anche in ambito europeo e, in
particolare, per il nostro Paese. L’intera area mediterranea è storicamente una regione che combatte la piaga degli
incendi boschivi. La natura dolosa della quasi totalità degli eventi che hanno progressivamente depauperato ampie
porzioni di territorio, ampliando notevolmente la superficie a rischio di desertificazione, si collega in molti casi a pratiche
agropastorali tradizionali. La piaga degli incendi boschivi, per il Paese europeo più ricco di biodiversità, è riassunta nelle
cifre relative al 2010 fornite dal Corpo Forestale dello Stato: sull’intero territorio nazionale si sono verificati 4.884 incendi
boschivi, che hanno percorso una superficie complessiva di 46.537 ettari, di cui 19.357 boscati. Complessivamente
nel decennio 2001-10 la superficie media per incendio è stata pari a 10,2 ettari e 350 mila ettari di bosco sono stati
percorsi dal fuoco. La regione più colpita per estensione di superficie boschiva colpita da incendi nel 2010 è stata la
Sicilia, seguita da Lazio, Calabria, Puglia, Sardegna e Campania. Il 30% degli incendi sono causati al rogo di sterpaglia o
residui di potature. Parimenti, ci sono iniziative molto interessanti basate sull’impiego di un approccio tematico simile
a quello sperimentato nella cooperazione internazionale, come per esempio nel caso del Piano integrato di previsione,
prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi nel Parco delle Cinque Terre.
L’esperienza amazzonica rappresenta in questo quadro una base interessante per la costruzione di partenariati territoriali
su base tematica, dove attraverso la condivisione di analisi, sperimentazioni e ricerca, fino alla creazione di veri e propri
team di lavoro congiunto si possa arrivare a formulare proposte politiche e strategiche innovative.
La trilateralizzazione: una base per lo sviluppo di un approccio tematico regionale
Un secondo elemento di grande interesse è individuabile nella struttura trilaterale dell’esperienza di cooperazione che ha
coinvolto Italia, Brasile e Bolivia e in cui il Brasile, prima beneficiario di interventi della Cooperazione italiana, è diventato,
assieme ad essa, donatore ed esecutore dell’iniziativa in Bolivia. Si tratta evidentemente di un segnale importante da più
punti di vista: sia come segnale di una significativa evoluzione del ruolo del Brasile sia quale conferma della validità del
programma realizzato i cui pilastri sono stati co-promossi dallo stesso beneficiario come soluzione replicabile su scala
regionale.
La riproposizione dell’approccio utilizzato in Brasile non tanto come buona pratica replicabile, ma come base per una
collaborazione prima transfrontaliera e poi regionale fra i Paesi amazzonici, si inserisce nel processo che vede emergere
nuovi attori della cooperazione internazionale, mettendoli in relazione con Paesi avanzati con cui, come nel caso
specifico, condividono problematiche.
Il fatto che i tecnici brasiliani formati durante gli anni di lavoro in Brasile siano ora i formatori dei tecnici boliviani, oltre
ad una forte valenza simbolica, segnala i possibili risultati di strategie lungimiranti che valorizzano il lavoro svolto
dalla cooperazione in un altro contesto, facendo leva ed evidenziando il valore politico delle affinità culturali che
potenzialmente, seppur con le dovute differenze, legano brasiliani e boliviani.
Il ruolo del contesto
L’esperienza dell’allargamento del respiro geografico dell’iniziativa fornisce anche interessanti spunti di riflessione
sul ruolo delle condizioni di contesto e su come ogni fase del processo di riproduzione di componenti strategiche e
operative di un intervento vada analizzata approfonditamente, sulla base di una conoscenza capillare delle caratteristiche
dell’ambito in cui si va a intervenire.
Nel caso Amazonia sin Fuego, è stata in primo luogo considerata la presenza di una comune problematica, mentre
risultano numerose le disomogeneità di contesto. Al di là delle numerose affinità di ordine geografico che interessano
soprattutto le regioni di frontiera, sono le differenziazioni a prevalere. Ad esempio, nel caso brasiliano il progetto è stato
calato in un quadro legislativo di partenza più avanzato sulla gestione dei fuochi dove, tuttavia, la difficoltà maggiore
risiede nel controllo a livello territoriale che risente della vastità del Paese. In Bolivia le sfide da affrontare sono di ordine
inverso: ovvero territorialmente la situazione è più gestibile, mentre la legislazione in materia risulta più carente. Nel caso
della possibile estensione all’Ecuador, ad esempio, il focus si sposta sul piano del capacity e institution building, alla luce
del forte interesse espresso dal Paese di voler acquisire modelli e competenze della protezione civile italiana.
Il processo di regionalizzazione dell’esperienza deve poggiarsi, pertanto, su un’attenta analisi delle condizioni
geografiche, sociali, economiche, culturali e istituzionali. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la già accennata
66
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
importanza del coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali comporta la necessità di dedicare una particolare
attenzione alla composizione del quadro istituzionale formale e informale, degli interessi dei diversi stakeholder e delle
loro interrelazioni, all’interno delle quali si devono inserire i meccanismi alla base della strategia dell’intervento.
… e dell’orizzonte temporale
Infine, è opportuno sollecitare anche una riflessione sui tempi di adeguamento che un’iniziativa di ampia portata come
quella qui descritta deve prevedere. L’esperienza brasiliana è stata in grado di raggiungere risultati estremamente
significativi anche grazie alla durata decennale che l’ha caratterizzata. Incidere su comportamenti che risalgono a culture
ancestrali fortemente radicate nelle comunità locali è un processo complesso che richiede tempo per essere compreso
e acquisito, e che probabilmente non è praticabile solo in un triennio, che è il tempo medio di esecuzione di iniziative di
cooperazione.
Come dimostra il disegno progettuale dell’iniziativa Amazonia sin Fuego, il processo non può che essere graduale per
essere efficace e per vincere resistenze dettate da un genuino attaccamento alle pratiche tradizionalmente usate in
agricoltura e nell’allevamento del bestiame. Questa riflessione è sicuramente comune alla gran parte delle iniziative di
sviluppo sostenibile che, al di là degli obiettivi specifici da raggiungere, richiedono anche una conversione culturale che
non è né banale né immediata, ma che è la leva di maggior impatto per assicurare che in futuro l’attenzione sul tema
diventi parte integrante e trasversale a qualsiasi politica pubblica.
Capitolo 4
67
4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal
: riciclaggio, servizi igienici, educazione ambientale
KEYWORD
: valorizzazione rifiuti plastici
TEMA
: imprenditori + donne + giovani + ONG
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio + prodotto
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.lvia.it/sud/senegal/prog/ambiente-sano-servizi-igienici-e-valorizzazione-rifiuti-plasticinei-quartieri-thiè
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
Tra i diversi problemi che affliggono le popolazioni delle grandi città africane, il degrado ambientale e le cattive
condizioni igienico-sanitarie della maggior parte dei quartieri rappresentano senza dubbio una delle conseguenze più
drammatiche di un rapido processo di urbanizzazione.
Anche in Senegal il costante abbandono delle campagne verso le principali città ha favorito un continuo aumento della
produzione di rifiuti urbani, con innumerevoli conseguenze negative per quanto riguarda la raccolta e lo smaltimento. A
ciò si è aggiunto un elevato incremento nell’utilizzo della plastica che ha sostituito il legno e il metallo nella produzione
di oggetti di uso quotidiano ed anche ceste e tessuti tradizionali negli imballaggi, esacerbando il degrado nelle aree
urbane con una più alta concentrazione di popolazione e attività economiche.
L’attuale sistema di gestione dei rifiuti nelle città del Senegal è basato sul conferimento in discariche non controllate
della quasi totalità dei rifiuti prodotti: si tratta per lo più di vecchie cave disseminate nel territorio urbano, in cui la
mancanza di un sistema di impermeabilizzazione del terreno pone seri problemi di salute pubblica. La maggior parte
dei rifiuti urbani viene incenerita, causando una significativa produzione di anidride carbonica (CO2) e di altri prodotti
nocivi, dannosi per la salute delle popolazioni locali e per l’ambiente.
In questo contesto, l’organizzazione non governativa LVIA ha avviato in Senegal dalla metà degli anni novanta una serie
di interventi finalizzati a migliorare la salubrità dell’ambiente urbano e peri-urbano, a mitigare la povertà e a promuovere
l’educazione ambientale rispondendo a specifiche esigenze sociali locali. L’inquinamento prodotto dalla plastica era
percepito dalle popolazioni locali come fonte di perdita economica e di insicurezza alimentare causate congiuntamente
dall’impoverimento dei terreni che riduceva la produzione agricola, dall’incremento della mortalità del bestiame
domestico per ingestione di sacchetti e dall’inquinamento delle falde acquifere.
La strategia e le azioni
Il programma implementato da LVIA è partito da una serie di prime attività di raccolta e rivendita della plastica non
trattata da parte del “Groupement de Promotion Féminin”, già attivo nel quartiere di Silmang a Thiès. Pochi anni dopo,
nel 1998, il lavoro di questo gruppo di donne ha portato alla realizzazione del primo Centro per il trattamento e la
valorizzazione dei rifiuti plastici a Thiès, replicato nel 2002 nella città di Kaolack.
Il sistema di valorizzazione promosso da LVIA permette di riciclare e trattare i rifiuti plastici reintroducendoli sul mercato
sotto forma di macinato o granulato (in base al trattamento specifico), che costituisce la materia prima per la produzione
di oggetti nuovi.
La gestione dei Centri e lo svolgimento delle attività sono demandate interamente a cooperative composte da donne
locali appartenenti a fasce povere della popolazione, che negli anni hanno beneficiato di una formazione specifica sulle
tecniche di riciclaggio della plastica e sulla gestione della micro-impresa.
68
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
All’interno di questo processo, LVIA ha continuato a svolgere nel tempo un ruolo di accompagnamento finalizzato a
sostenere e rafforzare le componenti di marketing e commercializzazione del materiale riciclato, venduto localmente ad
imprese e centri artigianali del settore.
Parallelamente alle attività di valorizzazione della plastica, LVIA ha inoltre avviato numerose iniziative di sensibilizzazione
della popolazione sui temi ambientali. In collaborazione con le autorità locali ha organizzato degli incontri di formazione
per gli insegnanti delle scuole primarie al fine di introdurre nei programmi scolastici le nozioni principali relative al buon
comportamento da tenere con i bambini nel campo dell’igiene, della salute e della tutela ambientale. Nei quartieri si
è lavorato con le compagnie teatrali presenti sul territorio per sensibilizzare la popolazione sulla tematica ambientale,
sulla gestione dei rifiuti e sulla raccolta differenziata.
Negli anni 2009-2011, la strategia d’intervento si è ampliata con un progetto finanziato dall’Unione Europea, volto alla
produzione di fosse biologiche in plastica riciclata e alla loro diffusione presso le popolazioni più povere dei quartieri di
Thiès e Kaolack, città in cui il progetto è stato implementato in collaborazione con la Caritas quale partner locale di LVIA.
L’obiettivo perseguito è stato quello di ripulire l’ambiente urbano dai rifiuti plastici e di fornire alle famiglie più povere la
possibilità di migliorare i servizi igienico-sanitari nelle abitazioni, oltre che nelle scuole, ovviando alla mancanza di reti
fognarie.
Il progetto ha previsto il rafforzamento della raccolta differenziata della plastica mediante l’istituzione di 8 comitati di
quartiere (GIE - 4 a Thiès e 4 a Kaolack) incaricati della raccolta porta a porta nei loro territori, dello stoccaggio e del
trasporto del materiale ai Centri di trattamento. Tramite accordi commerciali predefiniti, il materiale trattato è stato
venduto alle industrie di Dakar che lo utilizzano per produrre le fosse biologiche per i beneficiari del progetto.
L’installazione delle fosse settiche presso le abitazioni è stata affidata in modo esclusivo ai 16 muratori (2 per quartiere)
formati dal progetto. Al fine di raggiungere le famiglie più povere individuate nei quartieri, si è attivato un sistema di
incentivi basato sull’istituzione di due fondi presso gli sportelli dell’Istituto di Micro Finanza (IMF) locale PAMECAS: un
fondo di sovvenzione destinato a finanziare al 90% l’acquisto delle fosse settiche per 100 famiglie più povere, e un fondo
di garanzia per agevolare l’accesso al credito di altre famiglie per il risanamento o la realizzazione privata di fosse settiche
in plastica recitata.
Su questo fronte si sono registrate le principali debolezze dell’intervento. Laddove la copertura quasi totale del costo
degli impianti da parte del progetto ha chiaramente favorito l’installazione delle fosse settiche presso le famiglie più
povere, il fondo di garanzia e le condizioni di credito offerte non sono state sufficientemente attrattive da incoraggiare
le altre famiglie ad impiegare risorse in questo tipo di investimento. Affinché la diffusione delle fosse settiche avvenga in
modo capillare nei quartieri più poveri sarà necessario trovare altre forme di sovvenzione, coinvolgendo maggiormente
le autorità locali, e proseguire con la promozione del prodotto verso beneficiari a maggior reddito, meno vincolati da
scelte economiche di mera sopravvivenza.
Aspetti innovativi ed interessanti
La lotta alla povertà attraverso lo sviluppo locale sostenibile
L’esperienza realizzata da LVIA fornisce alcune indicazioni significative sulle opportunità di sviluppo sociale attivabili con
interventi in campo ambientale che, contemporaneamente, producono reddito in maniera sostenibile, migliorano le
condizioni ambientali del territorio di insediamento della stessa comunità beneficiaria e innescano processi di possibile
sviluppo locale nel lungo periodo sia per gli effetti moltiplicativi delle attività avviate, sia per l’incremento del capitale
naturale a disposizione conseguente alle attività di risanamento.
Pur se con portata limitata, il progetto è riuscito a generare reddito e occupazione stabile in una fascia di popolazione
svantaggiata, contribuendo così alla sua emancipazione sociale, ha prodotto effetti ambientali palpabili su scala
territoriale, limitando l’immissione nell’ambiente di rifiuti non biodegradabili e acque reflue.
Un fattore decisivo per la caratterizzazione sociale dell’esperienza LVIA in Senegal è stata la scelta di affrontare la tematica
dello smaltimento dei rifiuti plastici con una logica di filiera, da una parte e dall’altra, di coinvolgere la comunità locale
basandosi interamente su risorse umane e sull’iniziativa locali.
Il programma ha promosso soluzioni ecocompatibili a basso costo basate sull’avvio di attività generatrici di reddito che
favoriscono l’inclusione di fasce povere della popolazione. Allo stesso tempo, il progetto ha introdotto la pratica della
raccolta differenziata dei rifiuti in contesti periferici altamente degradati e ha contribuito contestualmente allo sviluppo
di una filiera produttiva locale tuttora attiva e replicabile in altri contesti.
La soluzione promossa dall’istituzione dei Centri di trattamento e valorizzazione dei rifiuti plastici ha indotto delle
dinamiche di sviluppo che si declinano su più piani del contesto locale: oltre a favorire la creazione di posti di lavoro e
ad offrire un’opportunità di reddito per la popolazione, i Centri hanno rafforzato il mercato locale dei prodotti in plastica
riciclata e sensibilizzato le comunità locali sull’opportunità di tutelare l’ambiente valorizzando e acquistando questi
prodotti.
Capitolo 4
69
La creazione di nuove filiere e mercati Green su base territoriale
Un’ulteriore innovazione si è determinata in termini di prodotto: l’ampliamento della strategia nel 2009 ha infatti
introdotto le fosse biologiche nella filiera produttiva locale di prodotti in plastica riciclata. L’idea di promuovere l’utilizzo
della plastica riciclata presso le aziende locali produttrici di fosse biologiche ha permesso in primo luogo di offrire una
soluzione a più basso costo al problema delle carenti reti fognarie nei quartieri: rispetto alle tradizionali fosse settiche
realizzate in cemento o plastica vergine, le fosse in plastica riciclata sono economicamente più vantaggiose per le
famiglie e non comportano costi di manutenzione una volta installate.
In secondo luogo, l’introduzione della plastica riciclata come nuova materia prima ha contribuito allo sviluppo di una
nuova filiera produttiva locale che, supportata da specifici accordi commerciali, ha permesso un incremento del volume
di affari sia per i Centri di valorizzazione che per le imprese plastiche di Dakar.
Con un meccanismo a circolo virtuoso, la creazione di nuova domanda per la plastica riciclata si è associata all’introduzione
della pratica della raccolta differenziata in ulteriori quartieri urbani, estendendo le opportunità di reddito integrativo
per un maggior numero di famiglie. Per le popolazioni dei quartieri più distanti dai Centri di trattamento il progetto ha
previsto l’allestimento di appositi spazi di acquisto dei rifiuti di plastica, le cosiddette “botteghe della plastica”, a cui le
famiglie possono rivendere i rifiuti raccolti a livello domestico.
La Green Economy crea capitale sociale territoriale sui temi ambientali
Questo tipo di coinvolgimento delle comunità locali ha parallelamente rafforzato il processo di tutela ed educazione
ambientale iniziato in anni precedenti da LVIA nelle aree urbane di Thiès e Kaolack. La sensibilizzazione diretta delle
popolazioni beneficiarie rappresenta una delle principali precondizioni per la sostenibilità futura del progetto: è
attraverso lo sviluppo di un maggior senso di appartenenza e condivisione che si incoraggiano comportamenti virtuosi
e si garantisce la piena ownership del progetto da parte dei beneficiari.
In tal senso, l’esperienza di Thiès e Kaolack sta dimostrando che la pratica della raccolta differenziata nei quartieri non si è
conclusa con la fine del progetto, ma al contrario l’iniziativa privata dei cittadini non ha mancato di sperimentare nuove
forme di raccolta per sopperire allo scioglimento di alcuni comitati di quartiere. La fattibilità economica di piccole attività
economiche legate al riciclaggio che forniscono immediati riscontri alla popolazione in termini di miglioramento della
qualità ambientale locale si configura come elemento di rilevante impatto per la creazione di capitale sociale centrato
sull’identità territoriale, a sua volta fattore di grande importanza per fondare la protezione delle risorse naturali locali
sulla coscienza ambientale delle comunità.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
La leva su vocazioni e risorse del territorio
L’inquinamento da plastica è un problema che esiste da molto tempo e in molti Paesi, Italia compresa. Basti pensare
all’inquinamento marino: ogni anno sono prodotti circa 260 milioni di tonnellate di plastica, di cui circa il 10 % finisce in
mare, cosicché l’80% dei rifiuti macroscopici in mare aperto e sulle coste è costituito da rifiuti di plastica, responsabili secondo i dati del WWF - di un’ecatombe di uccelli, rettili e mammiferi marini, come nel caso del Mar Mediterraneo. In
Italia, per esempio, ogni anno si consumano oltre 11 miliardi di bottiglie, pari a circa 385 mila tonnellate di plastica da
smaltire; i conseguenti costi per la raccolta e il riciclaggio sono ingenti: una regione come la Lombardia spende circa 25
milioni di euro all’anno per lo smaltimento della plastica delle bottiglie.
Il percorso intrapreso in Senegal da LVIA ha raggiunto l’obiettivo di creare una rete locale in grado di affrontare e
promuovere la tematica dello smaltimento dei rifiuti plastici in modo integrato e globale, conciliando soluzioni
tecnicamente sostenibili, esigenze politico-strategiche del Paese, risorse ed spirito d’iniziativa locali ed interessi del
pubblico e del privato. L’esperienza decennale di LVIA in Senegal ha dimostrato come l’introduzione di soluzioni originali
che fanno leva sulle risorse e sui capitali del territorio coinvolto possano innescare un processo di sviluppo sostenibile
che si declina in modo sinergico su piani diversi.
Da questo punto di vista, le varie attività progettuali sono state in grado di sortire effetti positivi sia sulla comunità
territoriale, aumentando la consapevolezza sulle tematiche della sostenibilità e diffondendo stili di vita e comportamenti
sostenibili, sia sul tessuto produttivo, riducendo l’impatto ambientale della produzione e generando miglioramenti
ambientali e sociali. Non dimenticando la piccola scala dell’intervento, è comunque opportuno rimarcare il significato
dell’iniziativa dal punto di vista degli obiettivi di protezione dell’ambiente. Nel giugno 2009, uno studio dell’Agenzia
francese Espere ha rilevato che nel corso del 2008 le attività del Centro Proplast di Thiès hanno evitato la produzione di
273 tonnellate di anidride carbonica a fronte di una valorizzazione di 150 tonnellate di plastica, che ha consentito alle
imprese locali di utilizzare la plastica riciclata come materia prima in sostituzione della plastica vergine.
La replicabilità delle soluzioni tecniche e organizzative
L’estrema semplicità delle tecnologie e dell’impianto organizzativo dell’intervento rappresenta di per sé un asset
valorizzabile attraverso la riproposizione del modello. I Centri di trattamento e valorizzazione dei rifiuti plastici
presentano una serie di vantaggi in termini di sostenibilità che ne aumenta l’adattabilità in altri contesti. L’esperienza
del centro di Thiès ha suscitato in Senegal un grande interesse a livello nazionale, e in Italia il progetto ha favorito negli
70
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
anni il coinvolgimento di diversi finanziatori pubblici e privati. Molte città e municipalità africane si sono inoltre rivolte a
LVIA per valutare la fattibilità di interventi simili. Ad oggi, sono stati realizzati dei Centri di valorizzazione dei rifiuti plastici
in Mozambico, in Mauritania e in Burkina Faso, in contesti in cui è stato possibile attivare un maggiore coinvolgimento
della autorità locali rispetto all’iniziativa sviluppatasi in Senegal e in luoghi prossimi a città industrializzate per favorire
lo sviluppo di filiere produttive locali.
I Centri rappresentano un’opportunità per l’imprenditorialità ambientale e sociale, promuovono attività economiche
sostenibili e contestualmente rafforzano i piani di sviluppo urbano predisposti dalle municipalità, responsabili della
qualità dell’ambiente di vita dei cittadini. Il ruolo del livello istituzionale locale è un fattore rilevante per il successo
delle iniziative e, pertanto, rappresenta un elemento di estrema importanza nelle analisi che sovrintendono i processi di
riproposizione del modello. Alcuni dei cardini di quest’ultimo sono, infatti, altamente collegati al coinvolgimento attivo
delle istituzioni locali, in cui vanno incluse tutte le forme e le consuetudini di governo delle comunità territoriali. I Centri,
oltre a consentire alle famiglie locali di integrare i loro redditi, funzionano come motore di cambiamento sociale, che
può ricevere spinte decisive dall’interno stesso delle istituzioni locali. È il caso, ad esempio, degli aspetti collegabili alla
formazione, alle attività di accompagnamento professionale e di auto-organizzazione in cooperative che coinvolgono
le fasce sociali più vulnerabili. L’iniziativa in Senegal, ad esempio, ha avuto risvolti estremamente positivi sul ruolo delle
donne: oggi la cooperativa delle donne di Silmang che gestisce il Centro Proplast a Thiès è diventata una vera e propria
azienda, una Srl senegalese. La sua storia è frutto di un percorso molto interessante di rafforzamento delle capacità locali
che ha portato alla formazione di un’azienda di donne completamente autonoma, indipendente e sostenibile.
Anche dal punto di vista dello sviluppo istituzionale, l’esperienza dei Centri offre numerose opportunità di riproduzione
in altri contesti. I programmi di educazione e informazione sui temi dello sviluppo sostenibile che si sviluppano intorno
ai Centri consentono di sensibilizzare le comunità locali e favorire gli scambi istituzionali, tecnici ed educativi tra
municipalità, imprese, associazioni e scuole. Anche in questo caso, a maggior ragione trattandosi di azioni che toccano
aspetti anche relazionali fra i nodi della struttura istituzionale, è necessario porre l’accento sulla centralità dell’attenta
considerazione delle peculiarità di ogni contesto istituzionale e sociale all’interno del quale si studia la riproposizione
del modello.
Le buone opportunità per l’attrazione di investimenti privati
La sostenibilità delle attività economiche avviate rappresenta un secondo asset capitalizzabile ai fini della riproduzione e
del possibile ampliamento della portata e del profilo dell’iniziativa. Il coinvolgimento di investitori e imprenditori privati
- sia come partner delle nuove unità produttive sia come finanziatori o attori di sezioni della filiera, sia come nodi della
potenziale rete produttiva e commerciale collegabile alle attività economiche promosse dal progetto - è insieme una
componente importante per lo sviluppo del progetto e uno degli obiettivi.
L’avvio di processi moltiplicativi nell’economia locale e lo sviluppo di un settore economico Green, legato al riciclo dei
materiali e al risanamento ambientale, è fortemente legato all’interesse che l’iniziativa riesce a suscitare soprattutto
nell’ambito della piccola imprenditoria (anche informale) che anima l’economia territoriale. Nel caso studiato in Senegal,
il consolidato sviluppo della filiera produttiva locale di prodotti in plastica riciclata è riuscito negli ultimi anni ad attrarre
anche gli investitori privati che hanno deciso di impegnare risorse proprie Ad esempio, è grazie ai capitali privati che
oggi è assicurata buona parte della sostenibilità futura del centro di Thiès. Anche in questo frangente è fondamentale
un coinvolgimento profondo dei partner locali e, in particolare, delle istituzioni e dei decisori politici. La creazione di
un ambiente favorevole allo sviluppo del profilo dell’iniziativa e alla mobilitazione di risorse locali è in buona parte
condizionato dal consenso mobilitabile sul territorio. Allo stesso tempo, la partecipazione e la condivisione degli
obiettivi da parte delle autorità locali è una componente di elevata rilevanza per calibrare nel modo corretto gli eventuali
vincoli normativi che vanno a regolare il rapporto fra stakeholder dell’iniziativa. È il caso delle condizioni che a Thiès sono
state imposte alla partecipazione privata al fine di assicurare la sostenibilità sociale per le comunità locali (più del 50%
delle quote aziendali alle donne, obbligo di impiegare manodopera locale e divieto di trasferimento del centro in altra
zona). Qui, gli interessi particolari dell’impresa privata veicoleranno soprattutto lo sviluppo delle attività di marketing e
commercializzazione nel territorio.
Capitolo 4
71
4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador
: biodiversità, agricoltura, sicurezza alimentare, ecoturismo, cultura
KEYWORD
: protezione e ripristino dell’agro-biodiversità
TEMA
: donne + contadini + imprenditori + autorità locali + ONG + ricercatori scientifici
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio + processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.agrobiodiversita.it
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
Nel cantone andino di Cotacachi, a circa cento chilometri da Quito, capitale dell’Ecuador, è stato realizzato dal 2008 al
2011 il programma “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale” che si è proposto di valorizzare una delle aree più ricche
del pianeta in termini di diversità a livello sia naturalistico che etnico. Il cantone di Cotacachi, conosciuto in ambito
turistico per le sue bellezze naturali, presenta un alto tasso di povertà e marginalità che ha provocato nel corso degli anni
un abbandono di queste zone rurali e un flusso migratorio verso le grandi città, con relativa perdita dell’identità culturale
e mancata promozione di sistemi sostenibili di sviluppo locale rurale.
Finanziato da IFAD e dal Ministero degli Affari Esteri, il programma è stato coordinato in Ecuador dalla ONG Oxfam
Italia che, vantando una presenza ultradecennale nel Paese, ha favorito partenariati e alleanze strategiche che hanno
consentito un reale processo partecipativo della comunità territoriale nelle fasi di identificazione e realizzazione delle
attività. Principale partner in loco è stata l’Unione delle Organizzazioni Indigene Contadine di Cotacachi (Unorcac),
organizzazione di secondo livello che rappresenta le 44 comunità indigene del cantone. Inoltre, come si avrà modo di
evidenziare, non sono mancate alleanze strategiche con istituzioni pubbliche locali, università e centri di ricerca, imprese
private.
L’iniziativa ha contribuito a ridurre la marginalità dei produttori agricoli di piccola scala migliorando i loro redditi e le
loro condizioni di vita attraverso una rinnovata gestione delle risorse naturali ed una più consapevole valorizzazione del
sapere tradizionale e dell’identità locale.
La strategia e le realizzazioni
La logica di intervento multisettoriale ha permesso di elaborare un processo di sviluppo della filiera agricola locale che
comprende la produzione, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Partendo dall’analisi del mercato
locale e nazionale dei prodotti ancestrali (i cosiddetti NUS-Neglected and Underutilized Species) sono state proposte
soluzioni finalizzate a recuperare e valorizzare i prodotti tipici locali “dimenticati”, in un’ottica di sviluppo locale e
salvaguardia della biodiversità.
In collaborazione con l’Instituto Nacional Autonomo de Investigaciones Agropecuarias, il progetto ha preliminarmente
individuato alcune colture tradizionali, tra cui la quinoa e l’amaranto, particolarmente importanti per la loro capacità
di adattamento al clima, il loro alto valore nutritivo e identitario, e successivamente ne ha incoraggiato la produzione
prevedendo azioni specifiche sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda per incrementare la capacità produttiva
e migliorare la qualità dei prodotti.
Sul lato dell’offerta sono state svolte attività per rafforzare le competenze ed introdurre tecniche più appropriate, ecocompatibili e basate su tecnologie a basso costo, sia nella fase di produzione (selezione e pulizia semi-meccanizzata
delle sementi, miglioramento di tecniche di semina, assistenza tecnica, trebbiatura meccanizzata, miglioramento del
sistema di essicazione, stoccaggio associativo), sia nella fase di trasformazione (produzione di farina, pop amaranto e
barre energetiche).
72
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Sul lato della domanda è stato rivalorizzato il significato culturale dei prodotti agricoli locali, ricomponendo il legame
spesso perduto tra produttore e prodotto, tra prodotto agricolo e insieme di conoscenze tradizionali e innovazioni locali.
Le attività di promozione sono state possibili anche grazie all’attivo coinvolgimento dell’Assemblea de Unidad Cantonal
de Cotacachi, uno spazio della società civile cui partecipano rappresentanti del governo locale, organizzazioni di secondo
livello, produttori organizzati, imprenditori privati, leader di quartiere.
Un altro ambito di intervento fondamentale dell’iniziativa ha riguardato la problematica dell’accesso al mercato che
ha richiesto miglioramenti degli aspetti organizzativi delle associazioni di produttori, l’individuazione di canali di
commercializzazione per l’accesso al mercato locale, nazionale ed in parte internazionale, la costituzione di alleanze che
potessero assicurare adeguate politiche di sviluppo locale.
La valorizzazione delle colture tradizionali ha subito potuto trovare un riscontro positivo nel circuito del turismo rurale
comunitario già sviluppato nel cantone di Cotacachi (Impresa Comunitaria Runa Tupari), che vanta una presenza di
turisti europei e nordamericani interessati ai cibi tipici locali e sensibili al valore culturale legato alla tradizione indigena.
Valorizzando questa risorsa già presente sul territorio, si è potuto fin da subito promuovere l’utilizzo di tali prodotti
presso albergatori e ristoratori associati all’operatore turistico comunitario di Unorcac (Runa Tupari appunto).
Per la commercializzazione a livello nazionale, fondamentale è stata l’individuazione di un’impresa, Cereales Andinos,
interessata ad aumentare la fornitura di quinoa a livello nazionale, con cui si sono negoziate condizioni di vendita
vantaggiose per tutte le parti coinvolte. A questo accordo con Cereales Andinos ne sono seguiti altri con negozi privati
di Quito e un ulteriore importante lavoro è stato svolto con le scuole per l’introduzione della quinoa e dell’amaranto nella
dieta alimentare nelle mense scolastiche. La realizzazione di un marchio Cotacachi per la vendita dei prodotti è stata
un’ulteriore importante tappa per la promozione della domanda. L’accesso al mercato internazionale è ancora limitato
anche a causa di un basso livello di offerta che al momento non soddisferebbe pienamente la domanda. Comunque, sono
stati avviati contatti in Italia con il circuito del commercio equo e solidale, grazie al coinvolgimento di CTM Altromercato
e negli Stati Uniti sempre grazie a Cereales Andinos.
Beneficiari dell’iniziativa sono stati in primis i produttori e le produttrici delle comunità indigene marginalizzate che
conducono piccoli appezzamenti di terreno (compresi tra 0,5 e 1,5 ettari). La selezione è avvenuta su base volontaria,
ossia in base all’interesse espresso dagli stessi a cui è seguita una visita sul campo per verificare l’idoneità dei terreni.
Nello specifico si sono raggiunti circa 250 produttori, di cui 140 donne, in 27 comunità, che rappresentano circa il 21 per
cento dei produttori di piccola scala di etnia kichwa nell’area andina del cantone. Ulteriori beneficiari diretti, sebbene con
numeri di gran lunga inferiori, sono stati raggiunti nel settore del turismo rurale, attraverso gli albergatori e i ristoratori
coinvolti, e nelle 12 scuole dove sono stati creati degli orti biologici per l’introduzione di quinoa e amaranto nelle mense
scolastiche.
Aspetti innovativi ed interessanti
Il modello di sviluppo territoriale basato sull’identità culturale
L’iniziativa ha adottato un approccio innovativo seguendo il modello di “sviluppo territoriale con identità culturale”,
approfondito tra gli altri da RIMISP, Centro Latinoamericano para el Desarollo Rural, che approfondisce e concettualizza
l’articolazione politica ed economica delle comunità territoriali con un focus specifico sulla struttura dell’identità
culturale delle popolazioni. Si tratta di un approccio che valorizza i territori nella doppia componente delle diversità
culturali e della biodiversità naturale.
La centralità all’interno del modello di sviluppo locale così proposto della questione identitaria, che lega indissolubilmente
le comunità locali al proprio territorio, alle sue risorse ed emergenze ambientali, propone l’innesco di processi di uscita
dal sottosviluppo che fanno leva in primo luogo sul capitale sociale presente nel territorio.
Proprio la natura culturale di tale capitale sociale, che si fonda sulle relazioni e cioè sul legame fra le persone che risiede
soprattutto nel senso di appartenenza comunitaria e territoriale, rappresenta un fattore importante per garantire che lo
sviluppo sia inclusivo - perché basato su una cultura che è patrimonio e identità dell’intera comunità – e sostenibile – per
il ruolo che il territorio e quindi il suo ambiente rivestono nel definire tale identità.
L’effetto volano sulle istituzioni locali
L’iniziativa ha avuto significative ripercussioni anche sul piano politico locale, grazie all’attiva partecipazione del Municipio
di Cotacachi che ha recepito l’approccio adottato nei propri piani di sviluppo locale, promuovendo, ad esempio, una
campagna pubblica sul tema della sovranità alimentare, introducendo un piano di marketing territoriale focalizzato su
prodotti e servizi tipici e creando il brand Cotacachi di qualità territoriale.
Anche il piano delle istituzioni sociali della comunità è stato investito dal progetto. L’iniziativa è stata indirizzata verso
le fasce della popolazione più marginalizzate: indigeni, donne, anziani anche in virtù del loro ruolo di principali custodi
delle tradizioni ancestrali. In particolare le donne, maggiori beneficiarie delle attività progettuali, hanno maturato un
nuovo ruolo all’interno delle proprie comunità, migliorando il loro senso di autostima e la loro posizione a livello familiare
e sociale, grazie anche alle attività di scambio e alla partecipazione a eventi e fiere in Italia. Da una prospettiva di genere,
la promozione dei NUS rappresenta, di per sé, una valida alternativa per promuovere una maggiore inclusione sociale
delle donne che sono le protagoniste di molte delle attività di raccolta e trasformazione. La valorizzazione del ruolo
Capitolo 4
73
femminile all’interno della comunità produce, dal canto suo, un ritorno su altri obiettivi del progetto. Le donne sono le
principali detentrici delle scelte relative alla dieta alimentare della propria famiglia e custodi di tradizioni e conoscenze
che tramandano ai propri figli: un riconoscimento del loro ruolo sociale e culturale risulta, pertanto, decisivo sia per
affermare o ri-affermare la validità della cultura alimentare tradizionale basata sui prodotti autoctoni, sia per garantirne
la rivalutazione fra la popolazione.
La dimensione multisettoriale a scala locale
L’attivazione capillare degli attori del territorio si è dimostrato un ingrediente di grande efficacia. L’iniziativa condotta da
Oxfam Italia in Ecuador non avrebbe potuto determinare un reale sviluppo, soprattutto per quanto riguarda la creazione
di una filiera sostenibile, se non fossero state create proficue alleanze con i diversi settori (pubblico, privato, società civile
e accademia), se non si fosse costruito un dialogo costante con le autorità locali con cui condividere la promozione
dell’agro-biodiversità come strumento di sviluppo locale, se non si fosse fatta leva sugli asset territoriali già esistenti.
Di particolare rilievo è risultato il collegamento con il settore turistico, che da un lato ha permesso alla produzione
dei NUS uno sbocco commerciale immediatamente attivabile, dall’altro ha prodotto un rafforzamento dell’offerta
turistica, estendendo così reciprocamente i benefici che la coltivazione dei NUS e le pratiche di ecoturismo potevano
offrire alla comunità locale, e mettendo positivamente in relazione differenti settori economici. Il collegamento con il
settore turistico ha inoltre incoraggiato l’autostima dei produttori locali, che hanno assunto maggiore consapevolezza
del valore dei propri prodotti locali, ribaltando così la connotazione negativa associata alle colture indigene ancestrali
che si era andata stratificando nel tempo anche per la diffusione di forme di mitizzazione distorta della modernità, intesa
spesso come cultura occidentale, con conseguente marginalizzazione di quanto direttamente collegabile al territorio e
alle colture autoctone.
Un’altra positiva relazione attivata dalle attività del progetto è quella con le scuole; il mantenimento di 12 orti scolastici e
l’introduzione dei NUS nelle mense scolastiche è un elemento di interesse perché punta alla sensibilizzazione delle nuove
generazioni, incidendo sulla loro formazione culturale e sui loro stili di vita che influenzeranno le modalità di sviluppo
del Paese nei prossimi decenni. Sebbene si tratti di un coinvolgimento ancora marginale, l’inclusione fra i partner delle
istituzioni attive nel campo della formazione in un progetto che si fonda su presupposti di natura culturale, emerge
come una delle componenti con maggiori potenzialità per la sostenibilità e l’allargamento degli orizzonti dell’iniziativa.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
La relazione fra cultura e ambiente al centro dello sviluppo territoriale e dell’incremento della resilienza degli ecosistemi
Come già ampiamente sottolineato, uno dei principali elementi di interesse dell’iniziativa risiede nell’aver impostato
l’intervento facendo leva sulla riscoperta di saperi e vocazioni del territorio e della comunità che con esso ha creato un
ecosistema in equilibrio. Da questi saperi e da queste vocazioni sono ricavate le risorse umane e progettuali necessarie
a fondare un processo di sviluppo sostenibile.
In molti contesti rurali, caratterizzati da diffusa povertà e marginalizzazione, l’emarginazione di gruppi sociali e fasce di
popolazione si associa o passa attraverso l’emarginazione della cultura propria di quei gruppi, relegata a cultura perdente
e non adatta a creare le basi per lo sviluppo economico. In molti casi, la cultura che viene posta ai margini insieme ai
suoi detentori è il frutto di millenni di adattamento fra uomo e ambiente durante i quali l’ecosistema territoriale è stato
plasmato per mantenere sostenibilità e riproducibilità dei cicli naturali necessari alla vita.
Il modello che centra lo sviluppo sostenibile del territorio sulla valorizzazione delle culture autoctone, che si fondano
sul sedimentato saper far parte del proprio ecosistema, è applicabile nelle sue linee essenziali a molti dei numerosi altri
contesti socio economici dove convivono le tre condizioni descritte sopra (emarginazione di gruppi che detengono culture
basate sull’equilibrio dell’ecosistema territoriale). Combattere marginalità e povertà passa anche dalla valorizzazione di
colture e culture locali: è questo il messaggio chiave che in estrema sintesi si può trarre dall’iniziativa qui esaminata.
Sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile attraverso la tutela della agro-biodiversità
Inoltre, con la riproposizione di sistemi di produzione che nei millenni hanno dimostrato la propria ecosostenibilità è
possibile contribuire a processi di lotta alla denutrizione e malnutrizione di cui, tra l’altro, soffrono le stesse fasce di
popolazione povere ed emarginate che hanno i requisiti per essere protagoniste dei processi di sviluppo. L’incremento
della resilienza degli ecosistemi all’interno dei quali si interviene include, infatti, anche l’aumento della resilienza delle
popolazioni che vi sono inserite. Attraverso la riscoperta dei meccanismi sedimentati di rapporto fra uomo e risorse
naturali territoriali si creano (o si ricreano) condizioni che riducono la vulnerabilità di tutti gli esseri viventi che ricavano
il proprio sostentamento in modo sostenibile e sufficiente da quelle stesse risorse.
La tutela dell’agro-biodiversità è un pilastro fondamentale della sicurezza alimentare. La produzione biologica e il consumo
dei grani andini recuperati, di cui è stato già sottolineato l’alto valore nutritivo, ha contribuito ad un miglioramento nella
qualità, quantità e varietà dell’alimentazione. Il rafforzamento del valore collegato a queste produzioni e la promozione
della conoscenza delle qualità dei prodotti crea nuove opportunità commerciali a livello nazionale e internazionale, è
un’opportunità di creazione di reddito per l’investimento nello sviluppo soprattutto umano nei territori coinvolti.
La riproposizione di questo modello assume anche significati a livello globale. Si pensi alla funzione che i NUS possono
74
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
svolgere nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel caso specifico dell’iniziativa condotta da Oxfam
Italia in Ecuador, la quinoa e l’amaranto sono stati selezionati per la loro maggiore tolleranza alla siccità rispetto ad
altre colture. La conservazione e valorizzazione dell’agrobiodiversità, fondata sulla riscoperta di coltivazioni e metodi
elaborati in stretto rapporto con le caratteristiche specifiche dei territori, si conferma una via percorribile per affrontare
la sfida della sostenibilità della produzione agricola e della sua capacità di nutrire l’intera popolazione mondiale con
sufficienti quantità e qualità di alimenti e in modo sostenibile nel tempo.
Un approccio valido e replicabile in Paesi a basso, medio e alto reddito
L’iniziativa qui presa in esame è replicabile in altri contesti geografici seguendo lo stesso approccio innovativo di cui si
parlava nel paragrafo precedente per assicurare un’effettiva partecipazione territoriale ed un’identificazione corretta
delle peculiarità locali che sono fattori imprescindibili di successo del programma. In Ecuador diversi Municipi e varie
associazioni di produttori andini si sono già mostrati interessati a sperimentare l’azione sul proprio territorio.
A dimostrazione della fattibilità dell’azione anche in contesti geografici differenti, va precisato che all’interno del
programma Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale, oltre all’iniziativa realizzata in Ecuador, sono state parallelamente
condotte altre due iniziative simili: una in Marocco coordinata sempre da Oxfam Italia e un’altra in Senegal grazie al
coordinamento dell’ONG Acra. La scelta di sperimentare l’azione in questi tre Paesi è stata dettata dalla ricchezza di
biodiversità, dal potenziale turistico che li caratterizza e dalla pregressa esperienza di lavoro delle ONG in quei Paesi. Nel
riproporre l’azione in altri contesti, sicuramente vanno considerate queste dimensioni rilevatesi entrambe importanti
per la buona riuscita dell’intervento, ed è auspicabile poter mettere in relazione contesti transfrontalieri possibilmente
omogenei ed incoraggiare la cooperazione tra Paesi a medio/basso reddito per permettere un maggiore scambio che,
in ambiti d’intervento come questo, possa essere fonte di apprendimento reciproco tra i produttori e di maggiore carica
motivazionale.
È infine opportuno sottolineare come quest’iniziativa di cooperazione presenti degli spunti interessanti in tema di
sviluppo sostenibile che hanno rilevanza tanto in economie di Paesi a medio e basso reddito quanto in economie ad
alto reddito. La valorizzazione di colture e culture locali è un’opportunità per tutte le comunità territoriali interessate
a ripristinare un corretto rapporto uomo ambiente e a qualificare la produzione del settore agricolo come motore
di sviluppo e base per un’alimentazione corretta e salutare. La sfida in questo senso è globale e passa attraverso un
profondo cambiamento della cultura alimentare capace di incidere sulle abitudini e i comportamenti dei consumatori
per rendere le loro scelte sempre più consapevoli ed orientate ai valori di equità e sostenibilità, un terreno su cui l’Italia
esprime particolari sensibilità e vocazioni.
Capitolo 4
75
4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya
: agricoltura, acqua, antropizzazione
KEYWORD
: gestione sostenibile del suolo e del sistema idrico
TEMA
: contadini + autorità locali + ricercatori scientifici
MAJOR GROUPS
: ambientale + economico
ASSET
: approccio + processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://icarda.org/iraq-salinity-project/teaser
Di cosa si tratta
Le premesse e la mission
L’agricoltura delle regioni aride e semi-aride soffre per la crescente scarsità di acqua da impiegare per l’irrigazione,
conseguenza dell’aumento progressivo della competizione con altri settori di utilizzo antropico (domestico, industriale).
Ciò induce al ricorso crescente a fonti idriche di qualità inferiore, come le acque irrigue riciclate che, anche a causa dei
fertilizzanti impiegati per le coltivazioni, hanno un tasso di salinità tale da provocare un calo nella produttività delle
colture e il degrado delle condizioni del suolo. Le regioni interessate devono perciò affrontare problemi complessi e
interrelati di gestione sostenibile delle risorse, di infrastrutture e di tecniche produttive.
Le pianure dell’Iraq centrale e meridionale, dove si estendono i due terzi dell’area coltivata del Paese, soffrono in modo
rilevante questo problema, che è la principale causa del calo nella produzione agricola del Paese. Il progetto “Salinità
in Iraq” mira a migliorare la gestione complessiva dell’irrigazione agricola nell’Iraq centrale e meridionale, a partire dal
monitoraggio dei livelli di salinità dell’acqua, fino all’applicazione di nuovi metodi di coltivazione capaci di una migliore
gestione della risorsa.
Gli obiettivi sono dunque il miglioramento della resilienza del settore agricolo e il sostegno alle capacità di generare
reddito da parte della popolazione rurale attraverso una gestione sostenibile dei suoli e delle acque, e di contribuire allo
sviluppo di una strategia integrata e sostenibile della gestione della salinità a lungo termine.
Il contesto iracheno presenta delle difficoltà aggiuntive dovute alla situazione post-bellica e al permanere di condizioni
critiche di sicurezza, che non consentono l’accesso a personale internazionale: questa limitazione fa della partecipazione
di attori locali una condizione indispensabile per la realizzazione del progetto.
I partner del progetto
L’iniziativa ha preso avvio nel dicembre del 2010, e se ne prevede il termine per giugno 2013. Le parti coinvolte, oltre
alla Cooperazione italiana (il Ministero degli Affari Esteri - DGCS finanzia con 836.842 dollari US l’attuazione del progetto
nella regione di Nassiriya), e a quella australiana (AusAid, co-finanziatore), sono numerose, tanto a livello internazionale
che locale.
L’ICARDA, International Center for Agricultural Research in the Dry Areas, cura tutti gli aspetti dell’implementazione
in termini di risorse umane, tecniche e scientifiche, il tutto in collaborazione anche con altri organismi internazionali.
La controparte locale istituzionale è il Ministero dell’agricoltura iracheno. Altri partner iracheni sono il Ministero delle
risorse idriche, il Ministero dell’alta educazione, il Ministero delle scienze e tecnologia, e il Ministero dell’ambiente.
Il progetto sta coinvolgendo complessivamente un centinaio di tecnici locali, sia per la parte di formazione che per
quella di assistenza tecnica. L’elevata componente di personale tecnico che viene formato a livello locale risponde in
modo rilevante alla necessità di assicurare sostenibilità a medio e lungo per le realizzazioni del progetto, garantendo un
sufficiente bacino di risorse umane in grado di portare avanti le attività e gestire la manutenzione delle strutture.
Altri partner internazionali sono la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO), la University
76
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
of Western Australia (UWA), l’International Center for Biosaline Agriculture (ICBA), e infine l’International Water
Management Institute (IWMI).
Le strategie e le azioni
L’attuazione del progetto è articolata in diverse componenti. Un primo pilastro dell’impianto poggia sullo sviluppo di
un modello che permette l’individuazione dei terreni salini e del loro livello di salinità attraverso l’interpretazione delle
immagini satellitari e l’utilizzo di dati rilevati sul terreno. Grazie al modello, il Governo iracheno sarà in grado di verificare
di anno in anno, con le sole mappe satellitari, l’evolversi dei processi di salinizzazione dei terreni.
Parallelamente, è stata sviluppata l’analisi dell’evolversi dei processi di salinizzazione delle acque superficiali utilizzate
a scopo irriguo, prelevate dai fiumi Tigri ed Eufrate, che ha permesso di individuare l’origine del processo in alcuni
fenomeni localizzati sul suolo iracheno con incidenza maggiore, procedendo dalla sorgente verso la foce dei due fiumi,
ponendo le basi per l’elaborazione di strategie efficaci di lotta alla salinizzazione.
La fase di indagine su aree campione, utilizzando varie fonti di dati, ha permesso la costruzione di mappe che
ricostruiscono la storia della salinizzazione dei suoli e, sulla base anche delle immagini satellitari, si sta procedendo
allo sviluppo di altre mappe tematiche dei suoli con l’obiettivo di estendere la pratica all’intero territorio nazionale.
L’elaborazione delle metodologie di analisi e la partecipazione dei tecnici iracheni alla loro realizzazione rientra nelle
attività finalizzate al trasferimento di know how e al capacity building a favore delle risorse locali.
Allo stesso modo, si sta procedendo anche all’analisi dei fenomeni inerenti le acque di falda. Il modello per la valutazione
dei rapporti tra livelli di acqua di falda, di irrigazione e produttivi, una volta testato, consentirà di programmare meglio
gli interventi irrigui in funzione dei livelli di falda esistenti, al fine di massimizzare le produzioni. Anch’esso è in corso
di validazione e ne è prevista la diffusione prima della fine del progetto. La fase sperimentale è ancora in corso ed
è complicata dal fatto che la falda oggetto di analisi interessa anche il bacino idrografico siriano ed è utilizzata nel
governatorato di Al Hassakeh in Siria.
Un terzo asse di sviluppo del progetto vede la definizione del modello SWAP in grado di prevedere le rese produttive delle
maggiori colture, in funzione della profondità della falda superficiale e dei livelli d’irrigazione. Il modello è attualmente in
corso di validazione, in vista di un suo utilizzo su scala più ampia.
Un’ulteriore componente del progetto riguarda lo studio delle tecniche agronomiche per il controllo della salinità dei
terreni. Sulla base di dati sperimentali si sta procedendo alla valutazione delle diverse opzioni sia da un punto di vista
tecnico che da un punto di vista economico. Il progetto prevede la validazione e la progressiva disseminazione delle
soluzioni sperimentate in specifiche aree agricole individuate dal progetto. La sperimentazione ha incluso test su diverse
varietà di colture locali e altre essenze foraggiere esotiche al fine di valutarne l’efficienza produttiva in funzione dei vari
livelli di salinità. Sono, inoltre, previsti processi specifici di valutazione partecipata dei risultati con il coinvolgimento
diretto degli agricoltori, nonché analisi di mercato per determinare la sostenibilità economica delle soluzioni proposte.
Dal punto di vista dell’analisi socio-economica, sono stati studiati i meccanismi di impoverimento delle popolazioni
rurali e l’influenza delle variabili collegate all’incremento della salinità dei suoli. Obiettivo dell’analisi è la definizione di un
modello previsionale dell’impatto economico dei diversi livelli di salinità. Parallelamente, sono state studiate le politiche
di settore attuate in Iraq ed i loro effetti e, con metodologie comparative, sono state analizzate le pratiche correnti nei
Paesi affetti da problematiche simili, al fine di identificare possibili buone pratiche e orientamenti da condividere con il
Governo iracheno.
Aspetti innovativi ed interessanti
L’introduzione sperimentale di un approccio sistemico ai problemi relativi alla salinizzazione delle acquee e dei terreni
Il progetto rappresenta una delle prime esperienze di analisi e intervento complessivo e multidimensionale per
rispondere al problema della salinizzazione delle acque in un territorio. Un problema che, per la sua complessità e
ampiezza di implicazioni ecologiche, economiche, sociali, necessita di un approccio integrato e basato su una conoscenza
approfondita delle condizioni di contesto, delle concause dei fenomeni e delle dinamiche che intrecciano gli effetti dei
diversi processi in corso.
Le attività sono state articolate con il duplice obiettivo di arrivare, da un lato, a una conoscenza aggiornata dell’evoluzione
del fenomeno, delle cause ecologiche e antropiche e dei suoi effetti sull’economia agricola della regione, e, dall’altro, di
sviluppare una capacità di intervento diffusa ai diversi livelli, dagli agricoltori alle strutture governative.
Un’enfasi specifica sul ruolo delle risorse locali
L’ambizioso disegno e intervento comporta un’attenta mobilitazione di risorse umane qualificate e un forte impegno per
garantire la continuità e la qualità del lavoro attraverso la solidità di una struttura di competenze e capacità operative
adeguatamente articolate. Ciò non sarebbe possibile senza il coinvolgimento di un’ampia rete di attori internazionali e
locali.
Questi ultimi sono, in questo caso, a maggior ragione indispensabili perché la situazione di insicurezza nel controllo
del territorio da parte delle autorità governative rende difficoltoso lo svolgersi di tutte le attività sul campo, soprattutto
per i tecnici non iracheni. Pertanto, la maggior parte dei tecnici ICARDA, ente esecutore, sono impossibilitati a svolgere
Capitolo 4
77
missioni e sopralluoghi nell’area di progetto, che ha ancora seri problemi di sicurezza e l’attuazione di molte delle attività
in loco è quindi affidata ai tecnici locali ed alle relative amministrazioni, con il coordinamento remoto di vari specialisti
internazionali del settore.
La notevole responsabilizzazione dei partner professionali e istituzionali locali ha come effetto immediato l’accelerazione
nella formazione di competenze e nella appropriazione da parte dei beneficiari delle attività di capacity e institution
building che ricevono una spinta decisiva dall’impegno diretto sul campo e dalla quotidiana traduzione delle conoscenze
e delle abilità acquisite in azione con risultati tangibili.
Gli impatti sulle relazioni intergovernative e sul partenariato locale e internazionale
L’attivazione di sinergie a livello interministeriale è un ulteriore risultato positivo raggiunto dal progetto anche per effetto
della sua impostazione multidisciplinare che abbraccia problematiche che toccano diversi ambiti di decisione politica.
Grazie alla specifica struttura del progetto, sta fattivamente concretizzandosi la collaborazione fra i cinque ministeri
coinvolti nella sua implementazione, collaborazione che si configura come un fatto inedito per l’Iraq, dove le difficoltà di
sviluppare coesione sociale e politica si riflettono anche a livello governativo.
Contemporaneamente, sono stati raggiunti risultati interessanti anche sul fronte del dialogo con gli agricoltori presenti
sul territorio, in particolare nella attività di verifica dell’entità dei problemi produttivi a livello locale, e della disponibilità
a introdurre innovazioni nei metodi e nelle scelte agronomiche. Gli effetti delle attività concertate con la popolazione
contribuiscono alla costruzione di un nuovo scenario di sviluppo della governance e delle capacità locali nella gestione
del sistema ecologico e agricolo della regione.
La qualità dell’attività di capacity building risulta significativamente incrementata dall’interazione continua di tecnici e
istituzioni coinvolti con le numerose organizzazioni internazionali, ciascuna portatrice di competenze specifiche diverse,
che fin dalle prime fasi hanno rivestito un ruolo rilevante nel progetto conferendo valore al progetto. In particolare,
il lavoro di ricerca e studio dei dati, portato avanti da team che comprendono figure professionali di altissimo livello,
produce un impatto di grande interesse, non solo in termini di capitalizzazione di capacità, ma anche come motore
di diffusione fra le istituzioni nazionali e locali di una nuova cultura della sostenibilità. A questo processo concorre la
cooperazione fra i numerosi enti di ricerca, basati sia in Paesi donatori sia in Paesi in via di sviluppo, che si collega al
lavoro realizzato sul campo in Iraq attraverso la condivisione dei risultati delle indagini e dell’elaborazione metodologica,
su un tema emergente nell’orizzonte delle questioni globali dello sviluppo sostenibile.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
I risultati del partenariato come leva per la collaborazione istituzionale attorno a progetti concreti
Come già descritto, il buon andamento del progetto dipende largamente dall’attiva collaborazione degli attori coinvolti
e, prima di tutto, della controparte irachena e di tutti gli altri ministeri coinvolti. La collaborazione governativa, sia sul
fronte istituzionale sia tecnico, è essenziale per superare gli evidenti ostacoli all’implementazione delle attività sul campo
in ragione dei problemi di movimento e di lavoro in condizioni di sicurezza degli esperti stranieri. Ma proprio l’elevato
livello di coinvolgimento delle componenti locali, dettato dalle esigenze contingenti, rappresenta uno degli elementi
che rendono il progetto interessante come spunto per un allargamento di alcune componenti della strategia adottata
in altri contesti dove si intervenga per portare i diversi livelli istituzionali ad una collaborazione fattiva per affrontare
problemi scottanti di sostenibilità ambientale e sviluppo economico.
L’esperienza di collaborazione istituzionale fornisce spunti di interesse anche per una riflessione su possibili applicazioni
all’interno dei confini nazionali. Diversi sono gli snodi della rete di relazioni che si è andata costruendo che possono
rappresentare modelli utili per altri ambiti dove l’azione partecipata risulti importante. La rete di cooperazione creatasi a
livello interministeriale e ancor più il modello di relazioni su cui essa si è basata sono un valido strumento di intervento
anche per affrontare altri ambiti di governance delle risorse in Iraq. E ciò è particolarmente vero quando risulti evidente
la necessità di realizzare un intervento sistemico su tematiche legate allo sviluppo sostenibile. Lo stesso può dirsi per la
cooperazione costruita per questo progetto fra una rete complessa di attori locali, statali e internazionali, politici da una
parte e centri di ricerca scientifica ed economica dall’altra, che rappresenta un patrimonio di grande valore per il Paese e
che presenta interessanti potenzialità per essere spendibile in altri contesti.
L’elaborazione metodologica e scientifica sul tema specifico
Il progetto sta producendo una mole significativa di dati scientifici e di opzioni tecniche. La possibilità di adattare i
modelli e le soluzioni operative testate in Iraq rappresenta un patrimonio di grande valore per la cooperazione italiana e
internazionale sul tema specifico della salinizzazione dei suoli e delle acque riguarda numerose zone del pianeta; si pensi
ad esempio al bacino del Lago Aral.
Anche le azioni di sviluppo di nuove tecniche agronomiche concertate con gli agricoltori costituiscono un capitale di
know how ed esperienze spendibile in altre aree rurali nello stesso Paese con problemi di impoverimento della fertilità
dei suoli e delle rese agricole, con possibilità di adattamento ad altri problemi di sviluppo rurale sostenibile.
Infine, è di grande interesse lavorare su ipotesi di utilizzo dei risultati del progetto per la riflessione sulle complesse
78
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
problematiche che caratterizzano, anche nel contesto italiano, la gestione di risorse come i sistemi idrografici o i suoli
coltivabili.
L’esperienza in questo senso non manca nel nostro Paese, come evidenziano anche molti dei casi studio presentati
nel presente lavoro. Tuttavia, sul tema specifico della protezione del suolo e sulla sostenibilità delle pratiche irrigue
e di mantenimento della fertilità, anche in Italia, si dimostra necessario un salto di qualità nell’impegno collettivo e
un’accelerazione dell’azione nei territori maggiormente a rischio.
Il dissesto idrogeologico che affligge una porzione consistente del territorio nazionale, riesce a raccogliere l’interesse
dell’opinione pubblica per effetto dei tragici fatti che periodicamente conquistano le prime pagine dei giornali e questo,
anche se con grosse contraddizioni, contribuisce almeno a mantenere il tema nell’agenda politica nazionale. Diverso il
quadro per quanto riguarda i problemi di desertificazione e di progressiva perdita della capacità di rigenerazione della
fertilità di molti terreni agricoli nel Paese. La congiunta marginalità dell’agricoltura come settore economico e delle aree
del Paese dove maggiormente si concentrano i terreni che al momento presentano segni di impoverimento grave non
contribuisce all’emergere di una sensibilità spiccata dell’opinione pubblica sul tema, che invece ha tutte le potenzialità
per divenire un problema ambientale scottante nel medio periodo, anche in aree non marginali come la Pianura Padana,
se non altro per effetto del cambiamento climatico che assottiglia le già sovrautilizzate risorse idriche per l’agricoltura.
Si tratta, come è evidente, anche nel caso italiano di problematiche che interessano il territorio in modo sistemico, e che
come tali vanno affrontate con un approccio integrato e multilaterale. L’esperienza irachena nel campo specifico che ha
visto il coinvolgimento di un ampio ventaglio di partner di alto livello nella ricerca sul tema, costituisce un interessante
portato di esperienza e know how utile e spendibile per avviare percorsi simili anche in aree a rischio in Italia, senza
dimenticare le ulteriori potenzialità di collaborazione regionale in aree mediterranea.
Capitolo 4
79
4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania
: comunità del cibo, consumo responsabile
KEYWORD
: pesca e trasformazione ittica sostenibili
TEMA
: donne + comunità + ONG + ricercatori scientifici
MAJOR GROUPS
: economico + ambientale + sociale
ASSET
: approccio + processo
INNOVAZIONE
Per approfondire: http://www.4cities4dev.eu/
Egidio Dansero, Cristiana Peano, Carlo Semita e Nadia Tecco (a cura di), Il modello delle comunità del cibo nell’azione di
Slow Food in africa. Modalità operative e indicazioni per la valutazione e il monitoraggio delle attività, CISAO/CSA, Torino,
2011
Di cosa si tratta
La valorizzazione della biodiversità e dei saperi locali in campo alimentare
Il progetto 4Cities4Dev è un intervento co-finanziato dall’Unione Europea, che nasce dalla collaborazione avviata da
quattro città europee (Torino come ente capofila, Tours, Riga, Bilbao) e Slow Food. L’intervento mira a valorizzare il ruolo
delle città quali protagoniste di azioni di cooperazione decentrata, e a coniugarlo con l’approccio di Slow Food basato
sul coinvolgimento delle “comunità del cibo”, che, cioè, si qualificano per la produzione, trasformazione e distribuzione di
particolari beni alimentari originari del territorio, che diventano l’elemento centrale delle iniziative di sviluppo territoriale
attraverso la loro promozione sia all’interno sia all’esterno del territorio stesso.
Per la comunità, urbane, il valore aggiunto della partecipazione a questo genere di iniziative consiste soprattutto nel fatto
che la città, considerata prevalentemente come luogo di consumatori, può ricevere consistenti benefici dalle attività di
sensibilizzazione nei confronti delle tematiche legate alla produzione alimentare. Attività che, in questo caso, vengono
condotte considerando il cibo come elemento rilevante e trasversale alle politiche di amministrazione cittadina.
Le quattro città europee hanno “adottato” sette comunità del cibo in Senegal, Mauritania, Etiopia, Madagascar, Kenya, Mali
e Costa d’Avorio. “Adottare” una comunità del cibo significa permettere alle città europee di conoscere da vicino queste
realtà, e di allacciare rapporti tra città partner, autorità locali e comunità del cibo. Inoltre, il sostegno a queste comunità
ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei cittadini europei sul consumo responsabile e sulle conseguenze delle
proprie abitudini alimentari.
Tra i progetti già avviati da Slow Food in Africa, il progetto ha coinvolto sei Presìdi Slow Food e alcuni orti comunitari,
realizzati con lo scopo di tutelare le piccole produzioni locali, valorizzando le risorse del territorio a partire dal recupero
di mestieri e tecniche di produzione e di trasformazione tradizionali e dalla protezione della biodiversità locale, offrendo
nello stesso tempo ai produttori locali una fonte sostenibile di reddito.
Il Presidio della Bottarga delle donne Imraguen in Mauritania
Per meglio comprendere le peculiarità del modello proposto e gli elementi caratterizzanti e qualificanti dell’iniziativa,
può risultare utile analizzare sommariamente nello specifico una di queste “adozioni”, quella del Presidio Slow Food della
Bottarga delle donne Imraguen in Mauritania, adottato dalla città di Tours, che offre interessanti spunti di riflessione.
Le acque della Mauritania sono tra le poche al mondo ancora ricche di pesce, attualmente minacciate dalle flotte dei
Paesi occidentali che si spartiscono i diritti di pesca, venduti dal Paese in cambio di una riduzione del debito pubblico
nel 2006. È dello stesso anno la nascita del Presidio Slow Food, che si costruisce intorno alla filiera della bottarga di
muggine, occupandosi parallelamente anche dei temi della pesca sostenibile a cui l’attività di trasformazione condotta
dalle donne è strettamente legata.
80
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
La bottarga prodotta era acquistata a un prezzo molto basso dagli intermediari e poi commercializzata all’estero; la
lavorazione artigianale del pesce avveniva in condizioni igieniche precarie, fornendo un prodotto di bassa qualità. Il
Presidio ha lavorato con i diversi attori della filiera (le donne che trasformano il pesce e gli uomini che lo pescano) per
promuovere un’economia locale competitiva a livello nazionale e internazionale.
Al fine di migliorare le condizioni di trasformazione del pescato, è stato avviato uno scambio proficuo tra il presidio
in Mauritania e il Presidio della bottarga di Orbetello, che aveva le competenze necessarie per collaborare con le
donne mauritane. Le donne coinvolte hanno partecipato al Salone del gusto, Terra Madre e ad una serie di altri eventi
internazionali promossi da Slow Food, si sono riunite in cooperative e hanno affittato un laboratorio che rispetta gli
standard di qualità previsti per il processo di trasformazione. L’opera del Presidio è continuata anche grazie al sostegno
della regione Piemonte, che a partire dal 2008 ha consentito il finanziamento di diverse attività, tra cui l’acquisto di
macchinari professionali per la lavorazione del pescato.
Lo sviluppo attraverso 4Cities4Dev
In un tale processo già avviato si è inserito, a partire dal febbraio 2011, il progetto 4Cities4Dev, con l’obiettivo specifico di
favorire la creazione di una salina nella zona di Nouadhibou, grazie anche alla collaborazione dell’associazione francese
di produttori di sale di Guérande (Univers Sel).
Il sale era stato fino a quel momento raccolto con tecniche che non ne garantivano la qualità, ed era quindi necessario
importarlo a caro prezzo dalla Spagna. Il progetto, attraverso l’adozione della città di Tours di questa comunità, ha messo
a disposizione i fondi per iniziare i lavori di costruzione della salina, provvedendo nel contempo alla realizzazione di
saline sperimentali necessarie per la conduzione del lungo percorso di test e studi, tutti in collaborazione con Univers
Sel.
Il progetto 4cities4dev ha previsto diverse attività a sostegno del Presidio, realizzate da Slow Food in collaborazione con
la città di Tours:
1. avvio di una salina nei pressi di Nouadhibou e formazione del gruppo che la dovrà gestire;
2. attività di scambio e formazione e ultimazione del disciplinare di produzione;
3. partecipazione del Presidio a due eventi internazionali: Euro Gusto (Tours, 18-20 novembre 2011) e Salone del
Gusto e Terra Madre (Torino, 25-29 ottobre 2012)
La produzione di sale permetterà di migliorare l’economia locale e di completare la filiera produttiva. In questo modo, il
Presidio diventerà uno strumento efficace per evitare che i pescatori artigianali e le trasformatrici vengano cooptati nel
settore della grande pesca industriale.
Aspetti innovativi ed interessanti
Identità comunitaria e cibo
L’aspetto maggiormente innovativo dell’intero processo è sicuramente l’applicazione del “modello” di cooperazione
proposto da Slow Food, che si focalizza sulla qualità del cibo quale motore di cambiamento ed elemento essenziale
per la costruzione di un approccio integrato che ruota intorno all’idea che si possa creare identità comunitaria, capitale
sociale e sviluppo, partendo dal concetto di “comunità del cibo”: una comunità che si riconosce in un particolare
alimento specifico del territorio. Il progetto si concentra sulla produzione, trasformazione, promozione e distribuzione
del prodotto alimentare all’interno e all’esterno del territorio stesso.
Riscoprendo e valorizzando l’importanza dell’identità culturale espressa dal cibo viene promossa un’idea di
“globalizzazione virtuosa”, che lega l’eco-gastronomia al consumo responsabile e alla salvaguardia della biodiversità
dei cibi, delle comunità e dei contesti nei quali vengono prodotti. Il cibo così da semplice alimento assume un valore
simbolico e politico, contribuendo allo sviluppo di un’identità culturale locale.
La filosofia SlowFood e i PVS
È interessante evidenziare che Slow Food non è propriamente un soggetto tradizionale della cooperazione, ma con le
sue attività opera anche in questo campo, svolgendo azioni di accompagnamento, supporto, messa in rete e promozione
dello sviluppo rurale nei territori del Sud del mondo sulla base dell’assunto dell’universalità dell’approccio che mette
l’agricoltura di territorio, la sua cultura e i suoi saperi al centro dello sviluppo locale.
Le economie agricole dei PVS sono spesso ancora basate sulla monocoltura, che crea un’endemica situazione di
dipendenza delle comunità per l’approvvigionamento alimentare. In tale situazione, l’applicazione alla realtà dei PVS
della filosofia Slow Food diventa il modo non solo per affermare la necessità della riacquisizione di tecniche e saperi
tradizionali e l’importanza di conservare e valorizzare il patrimonio della biodiversità, ma anche per portare avanti azioni
miranti alla lotta alla povertà e al raggiungimento della sicurezza alimentare.
Capitolo 4
81
Un semplice ma promettente modello di cooperazione
Il modello di cooperazione di Slow Food, si basa primariamente sulla realizzazione di Presidi per il mantenimento e
la valorizzazione di colture e produzioni tipiche e territoriali e sull’impianto di orti per la diversificazione produttiva e
alimentare, basata sulla produzione di varietà locali adattate alle specificità del territorio.
Gli assi di sviluppo dell’attività di cooperazione sono gli stessi che hanno permesso il grande successo del movimento
nel Nord. Questo comporta numerosi vantaggi anche operativi:
• l’implementazione, il supporto e il controllo delle attività è garantito dalla struttura associativa e dalla presenza
di una comunità del cibo, che condivide con Slow Food i valori fondamentali e che non richiede la presenza di
espatriati in missione permanente sul territorio oggetto dell’iniziativa;
• le comunità del cibo e il network di Terra Madre promuovono la disseminazione del modello attraverso la creazione
di relazioni tra i vari soggetti partecipanti alle iniziative, in questo modo l’intervento non si estingue nella durata
“classica” dei progetti di cooperazione, ma continua nel tempo, poiché il network creato da Slow Food permette al
processo di sostenersi e gli dona visibilità, rendendolo parte integrante del “sistema” Slow Food;
• l’intervento è accompagnato da un’intensa attività di comunicazione per “narrare” le attività condotte e porre
l’accento sulle tradizioni e culture locali che esse rappresentano; all’interno di un tale schema narrativo di riferimento
il consumatore, non più soggetto passivo, è indotto a interessarsi di coloro che producono il cibo che consuma, delle
tecniche utilizzate e dei problemi incontrati dalle varie comunità produttrici, facendosi egli stesso nodo del network
virtuale di supporto dell’iniziativa e, quindi, promotore dello sviluppo locale della comunità produttrice con cui
condivide i benefici in termini di qualità alimentare.
Il ruolo del network Nord-Sud
Un altro aspetto interessante del progetto esaminato e del processo all’interno del quale esso è inserito, è l’estesa rete
partenariale costruita grazie soprattutto all’attività aggregante condotta da Slow Food. Il partenariato coinvolge tessuto
produttivo e comunità territoriale, sia nelle aree interessate dall’attività di produzione, sia nelle città adottive.
Nel caso specifico del progetto in Mauritania, oltre alle donne Imraguen e Wolof coinvolte, che si sono riunite in due
cooperative, supportate dall’ONG locale Mauritanie 2000, gli altri attori che hanno partecipato al processo sono stati
il Presidio e la condotta Slow Food di Orbetello, la città di Torino, la città di Tours, l’associazione Univers Sel, la Regione
Piemonte e anche gli attori coinvolti dalla rete Slow Food all’interno degli eventi internazionali promossi.
La rete cosi creata, in continua espansione, diventa garante della sostenibilità del processo. Le città europee partner
sono state coinvolte nel tentativo di diffondere il modello innovativo di cooperazione che, in un’ottica di sostenibilità,
potrà essere adottato anche per le loro azioni future. La città di Tours, ad esempio, è intenzionata a mantenere il sostegno
alle donne Imraguen anche successivamente al termine delle attività del progetto, continuando a collaborare con loro e
portando avanti un processo di “adozione” vera e propria.
Gli eventi internazionali che hanno,svolto una funzione importante per la disseminazione e condivisione dell’approccio
e dei risultati delle esperienze in corso, hanno inoltre contribuito a innescare un allargamento del processo di
sensibilizzazione verso il consumo responsabile di prodotti locali e soprattutto a diffondere la conoscenza di prodotti
tipici e di qualità grazie al coinvolgimento anche delle altre realtà del network Slow Food, spesso non contigue alla
cultura della cooperazione internazionale.
Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile
Il cibo sicuro e di qualità: un problema comune al Nord e al Sud che si può affrontare insieme
L’attenzione al cibo e all’universo simbolico e culturale ad esso collegato è sempre di più un fenomeno che, seppure
con differenti sfumature, diventa elemento determinante nella costruzione delle identità territoriali qui e altrove; per
tale motivo, esso rappresenta un valido terreno di incontro per comunità provenienti da realtà differenti e lontane
geograficamente, ma sempre più spesso costrette a confrontarsi con sfide condivise, seppure diversamente declinate
nelle diverse aree del globo.
In quest’ottica, il modello cooperativo proposto da Slow Food è particolarmente interessante in quanto rende evidente
come uno degli elementi fondamentali per la creazione di reti territoriali estese e durature sia l’identificazione di un
sistema di pensiero collettivo, che offra elementi unificanti di interpretazione della realtà e che allo stesso tempo si adatti
alle specificità di ognuna delle comunità che compongono il network.
L’adattabilità del modello nella possibilità di cambiare l’ordine gerarchico degli obiettivi
Il modello proposto è facilmente riproducibile: l’intero processo si basa su azioni derivanti da una filosofia comune che
può però essere adattata a contesti specifici nel Nord e nel Sud del mondo. Tutto ciò facilita la creazione di reti complesse
caratterizzate da obiettivi condivisi, che si scambiano mutualmente informazioni e benefici.
È dunque comprensibile come mai un processo inizialmente concepito per essere applicato in Italia possa essere adattato
all’universo della cooperazione internazionale tra territori. La riproducibilità ed adattabilità del modello qui proposto
emerge dall’analisi dell’azione di Slow Food in Africa: se l’approccio, gli obiettivi e la metodologia rimangono le stesse
adottate anche nel Nord nel mondo e in molti altri PVS, c’è un significativo cambiamento dell’importanza attribuita
82
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
ai diversi scopi da raggiungere: la priorità è in questo caso attribuita alla lotta alla povertà e al raggiungimento della
sicurezza alimentare, attraverso la riappropriazione di tradizioni agricole locali.
Cambiare il modello agricolo dominante al Nord come al Sud
Se in Italia l’esperienza degli orti scolari ha garantito tangibilità ai ragionamenti sulla biodiversità, la stessa pratica
esportata nel Sud del mondo assume altre valenze, come l’affermazione della necessità di disaccoppiare i concetti di fame
e di agricoltura intensiva e dissennata, e di combattere il principio secondo cui qualsiasi tipo di agricoltura è auspicabile
in una situazione di fame e malnutrizione generalizzata. Tale approccio si risolve spesso infatti nella giustificazione di
un’agricoltura attenta agli aspetti quantitativi e non qualitativi.
In una tale prospettiva, lo sviluppo locale appare fortemente interconnesso con il decentramento e la partecipazione dei
territori, rappresentando un’alternativa a modelli di sviluppo top-down imposti spesso anche da un certo tipo di progetti
di cooperazione internazionale.
L’idea alla base del processo cooperativo promosso da Slow Food, ossia quella di non coinvolgere espatriati per
l’implementazione, parla di un nuovo approccio alla cooperazione decentrata che riscopre la sua essenza nel superamento
della classica dicotomia donatori-beneficiari, per orientarsi verso la messa in rete di attori paritari, tutti custodi della
biodiversità.
I tre elementi caratterizzanti di questo modello, ovvero la condivisione degli obiettivi, la creazione di reti sostenibili
e l’instaurarsi di processi duraturi su base paritaria rappresentano imprescindibili caratteristiche che è auspicabile
potenziare nell’ambito di tutta la cooperazione internazionale tra territori.
Capitolo 4
83
Appendici
1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano
2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana
3. Seminario territoriale di Bologna
4. Seminario territoriale di Potenza
5. Seminario territoriale di Torino
6. Seminario territoriale di Capannori
7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio
Appendici
85
1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano
Iniziativa
Repertorio
Regione
Consorzio Cuoio Depur
Greenitaly
Toscana
Edilana Edilatte CasaverdeCO2.0
Greenitaly
Sardegna
Habitech, il Distretto Tecnologico Trentino per l’energia e l’ambiente
Comune di Capannori
Greenitaly
Trentino AA
-
Toscana
Contratto di fiume Lambro- Seveso-Olona
-
Lombardia
Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve
CURSA/Legambiente
Toscana
Consorzio BioPiace
CURSA/Legambiente
Emilia Romagna
Detersivi alla spina e Riducimballi
CURSA
Lazio
ASTER
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Centrale di cogenerazione a ciclo combinato Cartiere del Garda Greenitaly
Emilia Romagna
Ciclofficine popolari
Sito web
Lazio
Cicloturismo in Trentino
CURSA/Legambiente
Trentino AA
Cittadellarte Fashion–Bio Ethical Sustainable Trend
Greenitaly
Piemonte
Comune di Brunico (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comuni 5 vele
Legambiente1
Sardegna
Consorzio Filcart
Greenitaly
Lazio
Contratto di fiume Arno
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Greenitaly
Toscana
L.A.C.Re
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Toscana - Emilia
Romagna
Last Minute Market
Sito web
Emilia Romagna
Marchio ambientale di prodotto Distretto del Mobile Livenza
Greenitaly
Friuli
Marchio Cardato Regenerated CO2 neutral
Greenitaly
Toscana
Parco della Majella
CURSA/Legambiente
Abruzzo
Ponte nelle Alpi - Comune riciclone 2012
Legambiente1
Veneto
Progetti di sensibilizzazione e formazione - Distretto Ceramico
Greenitaly
Emilia Romagna
Provicia di Parma
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Provincia di Bolzano
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Provincia di Roma
Comuni rinnovabili 2012
Lazio
Rete Ecologica delle Marche
CURSA
Marche
Siena Carbon Free 2015
CURSA/Legambiente
Toscana
Slow Park - Free Mountains “Laga in Movimento
CURSA
Abruzzo
Tessile e Sostenibilità
Greenitaly
Toscana
Zapi S.p.A,
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
CURSA
Trentino AA
Kerakoll SpA
Km0 Coldiretti
AA Srl Coperture
Accordo “Ecoacquisti Trentino”
86
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Lombardia
Emilia Romagna
Varie
Emilia Romagna
Accordo Ecoristorazione Trentino
CURSA
Trentino AA
Agriturismo a bassa impronta di carbonio
CURSA
Veneto
Agriturismo Il Duchesco
CURSA
Toscana
Alce Nero Cooperativa
Greenitaly
Marche
Alce Nero e Mielizia Spa
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
AnsaldoBreda tram Sirio
CURSA/Legambiente
Toscana
Antinori riduzione emissioni
Greenitaly
Toscana
APA - Air Pollution Abatement
CURSA
Lazio
Archimede Solar Energy
Greenitaly
Umbria
Ariston Thermo Group solare termico
Greenitaly
Marche
Associazione Remade in Italy
CURSA
Nazionale
Attivazione di filiere locali sostenibili basate su Bioenergie/
Agrienergie
Segnalazioni da enti locali
Molise
Azienda agricola Molinia
CURSA/Legambiente
Piemonte
Azienda agricola Trionfi Honorati
CURSA
Marche
Baltur spa
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Bando delle idee innovazione nei piccoli comuni
CURSA/Legambiente
Lazio
Barilla center for food and nutrition
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) ha ideato il modello della Doppia Piramide Alimentare – Ambientale
Barilla. Sviluppo e sperimentazione di un metodo di valutazione per la coltivazione sostenibile del grano duro
CURSA
Emilia Romagna
CURSA
Emilia Romagna
Berlucchi riutilizzo vinacce
Greenitaly
Lombardia
Binario Etico - recupero trashware
Sito web
Lazio
Bio-on bioplastica
Greenitaly
Emilia Romagna
Biotelo Sumus pacciamatura attiva con la carta riciclata
CURSA
Lombardia
Bonfiglioli riduttori spa
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Bottega della Canapa
Greenitaly
Emilia Romagna
Brevetto Superlativa
Greenitaly
Lombardia
Bulloni e Farfalle - 150 anni di Ambiente, mostra
CURSA
Piemonte
Ca’ Foscari sostenibile il progetto Carbon Management
CURSA
Veneto
Cai Il parco per conoscere agricoltori e montagna - Ricerca e
Azione
CURSA
Emilia Romagna
Cai problema dei rifiuti in montagna
CURSA
Nazionale
Cai progetto Medimont Park
CURSA
Liguria Campania
Cai RETE NATURA 2000 E CAI Un approccio sistemico di conoscenza per una frequentazione responsabile
CURSA
Emilia Romagna
Cai VIVERE L’AMBIENTE
CURSA
Nazionale
Cai, Riscoperta dei sentieri ischitani
CURSA
Campania
Californiana Power One - Bracciolini (Arezzo)
CURSA/Legambiente
Toscana
Calore dal cippato di valle (Sondrio)
CURSA
Lombardia
Campagna Coop Acqua di Casa Mia
CURSA
Nazionale
Appendici
87
88
Campagna informativa nazionale svolta da Enea per favorire la
diffusione degli incentivi del 55% per l’efficienza energetica
CURSA
Nazionale
CAMPUS MEDITERRANEO
CURSA
Campania
Carbon Footprint Model applied to the Sustainable CampusDevelopment Plan
Carta dei Principi per la Sostenibilità Ambientale adottata da
Confindustria
CURSA
Lazio
CURSA
Nazionale
Casa ecologica Vigili del fuoco
CURSA/Legambiente
Liguria
Case dell’acqua
Marseille Forum
Lombardia
Catasto Unico Regionale Impianti Termici (CURIT)
CURSA
Lombardia
Caviro
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Centrale di Villa Castelli (BR)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Centrale idroelettrica di Sparone (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Centrale termodinamica Archimede
Greenitaly
Sicilia
Centro di Ricerca Eni per le Energie non Convenzionali Guido
Donegani
Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo sostenibile
CIRPS Conferenza Scienza della Sostenibilità Italia 2011,
Greenitaly
Piemonte
CURSA
Lazio
Certificazione energetica degli edifici (CENED)
CURSA
Lombardia
Certificazione LEED - rettorato Università di Tor Vergata
CURSA
Lazio
CHAMP
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Nazionale
CIC Compostaggio e obiettivi di riduzione dei rifiuti biodegradabili in discarica
CIES Tulipan – CEIBO Progetto integrato di promozione sociale
e di sviluppo di economie solidali
CURSA
Nazionale
CURSA
Lazio
Classi 2.0
CURSA/Legambiente
Sicilia
COM.I.STRA tessuti riciclati
Greenitaly
Toscana
Comne di Agrigento
Comuni rinnovabili 2012
Sicilia
Comne di Dobbiaco
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comne di Lecce
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comne di Meleti (LO)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Alessandria
Comuni rinnovabili 2012
Comune di Amatrice Dibawatt (alimentatore elettronico, Sorge- CURSA
nia Menowatt)
Piemonte
Comune di Ancona zona portuale
Comuni rinnovabili 2012
Marche
Comune di Apricena (FG)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Ariano irpino (AV)
Comuni rinnovabili 2012
Campania
Comune di Badia (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Bagno di Romagna (FC)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Bagno di Romagna (FC)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Bisaccia (AV)
Comuni rinnovabili 2012
Campania
Comune di Bonate Sopra (BG)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Borgo San Lorenzo (FI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Borzonasca (GE)
Comuni rinnovabili 2012
Liguria
Comune di Brescia
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Lazio
Comune di Buddusò (OT)
Comuni rinnovabili 2012
Sardegna
Comune di Budrio (BO)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Cairo Montenotte (SV)
Comuni rinnovabili 2012
Liguria
Comune di Calcinato (BS)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Calenzano in Provincia di Firenze,
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Campiglia Marittima (LI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Capitignano (AQ)
Comuni rinnovabili 2012
Abruzzo
Comune di Cappella Cantone (CR)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Carugate (MI)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Casal Cermelli (AL)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Castellaneta (TA)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Castelnuovo Val di Cecina (PI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Castelnuovo Val di Cecina (PI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Castione Andevenno (SO)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Cavalese (TN)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Ceres (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Cerro Maggiore (MI)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Chiusdino (SI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Cingià de Botti (CR)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Cisano Bergamasco (BG)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Codroipo (UD)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Colleferro (RM)
Comuni rinnovabili 2012
Lazio
Comune di Collesalvetti (LI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Cormano (MI)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Cormayeur (AO)
Comuni rinnovabili 2012
Val d’Aosta
Comune di Corsico (MI)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Crispiano (TA)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Cuneo
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Cuorgnè (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Curn Venosta (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Curn Venosta (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Cutigliano (PT)
Comuni rinnovabili 2012
Basilicata
Comune di Dobbiaco (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Don (TN)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Ferrara
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Fiera di Primero (TN)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Fondo (TN)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Fontevivo (PR)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Forlì (FC)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Gais (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Gattatico (RE)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Gioia del Colle (BA)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Appendici
89
90
Comune di Glorenza (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Goro (FE)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Grignano Garganico (FG)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Guiglia (MO)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Isernia
Comuni rinnovabili 2012
Molise
Comune di Isola del Liri (FR)
Comuni rinnovabili 2012
Lazio
Comune di Laces (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Lasa (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Lauria (PZ)
Comuni rinnovabili 2012
Basilicata
Comune di Lecce
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Lecco
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Limena (PD)
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Comune di Lizzano (TA)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Macchiagodena (IS)
Comuni rinnovabili 2012
Molise
Comune di Mantova
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Marebbe (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Marradi (Fi)
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Comune di Minervino Murge (BT)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Monasterolo di Savigliano (CN)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Monchio delle Corti (PR)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Monguelfo (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Montebelluna (TV)
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Comune di Montecastrilli (T)
Comuni rinnovabili 2012
Umbria
Comune di Monterotondo Marittimo (GR)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Monterotondo Marittimo (GR)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Monteverdi Marittimo (PI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Monteverdi marittimo (PI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Morgex (AO)
Comuni rinnovabili 2012
Val d’Aosta
Comune di Moso in Passiria (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Olevano sul Tusciano (SA)
Comuni rinnovabili 2012
Campania
Comune di Orsara di Puglia (FG)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Ostuni (BR)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di Palena (CH)
Comuni rinnovabili 2012
Abruzzo
Comune di Piancastagna (SI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Pollein (AO)
Comuni rinnovabili 2012
Val d’Aosta
Comune di Pomarance (PI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Pomaretto (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Pont- Canavese (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Ponte San Nicolò (PD)
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Comune di Pontebba (UD)
Comuni rinnovabili 2012
Friuli VG
Comune di Ponti sul Mincio (MN)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Popoli (PE)
Comuni rinnovabili 2012
Abruzzo
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Comune di Prato allo Stelvio (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Prè-Saint-Didier (AO)
Comuni rinnovabili 2012
Val d’Aosta
Comune di Racines (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Radicondoli (SI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Radicondoli (SI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Rasun Anterselva (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Rasura (SO)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Rimini
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Rivarossa (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Roccasecca (FR)
Comuni rinnovabili 2012
Lazio
Comune di Rosignano Monferrato (AL),
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Sale delle Langhe (CN)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di San Giovanni Bianco (BG)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di San Giovanni Rotondo (FG)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di San Lorenzo di Sebato (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di San Marco in Lami (FG)
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Comune di San Pellegrino Terme (BG).
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Sant’Agata di Puglia (FO)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Santa Fiora (GR)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Sarentino (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Seneghe (OR)
Comuni rinnovabili 2012
Sardegna
Comune di Silandro (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Sluderno (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Stelvio (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Tirano (SO)
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Comune di Tivoli (RM)
Comuni rinnovabili 2012
Lazio
Comune di Tonadico (TN)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Torino
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Treviso
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Comune di Troia (FO)
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Comune di Usseglio (TO)
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Comune di Vaiano (PO)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Valdaora (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Valle Aurina (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Varna (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Venezia
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Comune di Vicchio (FI)
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Comune di Villacidro (VS)
Comuni rinnovabili 2012
Sardegna
Comune di Villandro (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comune di Vipiteno (BZ)
Comuni rinnovabili 2012
Trentino AA
Comunità di accoglienza e recupero EMMAUS
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Concia al cromo ad alto esaurimento
Greenitaly
Veneto
Appendici
91
92
Consorzio Recupero Cromo94
Greenitaly
Toscana
Consorzio Vera Pelle Conciata al Vegetale
Greenitaly
Toscana
Consorzio VIS - Vestire in Salute
Greenitaly
Emilia Romagna
Consumi energetici e di acqua nei nuovi centri commerciali e
punti vendita Coop
CURSA
Nazionale
Contratto di fiume del torrente Agogna
-
Piemonte
Contratto di fiume del torrente Belbo
-
Piemonte
Contratto di fiume Ofanto
-
Campania
Contratto di fiume Orba
-
Piemonte
Contratto di fiume Panaro
-
Emilia Romagna
Contratto di fiume Ronco- Bidente
-
Emilia Romagna
Contratto di fiume Sarno
-
Puglia Basilicata
Contratto di fiume Tevere
-
Umbria
Convegno Scholé Borsa della green economy. Prodotti e processi innovativi al servizio del cambiamento
CURSA
Piemonte
Convenzione Banche del Credito Cooperativo-Legambiente
CURSA/Legambiente
Toscana
Convenzione banche/Legambiente per rinnovabili e eff energ
CURSA/Legambiente
Toscana
Coop certificazione FSC (Forest Stewardship Council)
CURSA
Nazionale
Coop Dolphin Safe e Friends of the Sea
CURSA
Nazionale
Coop Ecocourts - ECOlogical COurtyards United for Resources
saving through smart Technologies and life Style
CURSA
Nazionale
Coop gestione logistica e trasporti
CURSA
Nazionale
Coop progetto per la tutela del patrimonio boschivo italiano
CURSA
Nazionale
Coop PROMISE (Product Main Impacts Sustainability Through
Eco-communication)
CURSA
Nazionale
Coop recupero a fini sociali dei prodotti invenduti
CURSA
Nazionale
Coop for Kyoto.
CURSA
Nazionale
Coop, Il Risparmio Energetico nei Punti Vendita Coop
CURSA
Nazionale
Coop; certificazione No OGM
CURSA
Nazionale
Cooperativa energetica Prato allo Stelvio
CURSA/Legambiente
Trentino AA
Cooperativa sociale Ecolab Gatti Galeotti
CURSA
Lombardia
Cooperativa Speranza
CURSA
Piemonte
CPR System
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Crescita sostenibile nella regione Tiberina attraverso la coesione territoriale
CURSA
Umbria
Culligan Italiana SpA
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Distretto Tecnologico dell’Efficienza Energetica, delle Energie
Rinnovabili e della Green Economy
CURSA
Toscana
Dryarn speciale micro-fibra di poli-propilene
Greenitaly
Trentino AA
Economia eco-solidale
CURSA/Legambiente
Calabria
Ecoplan pannelli Ecomat
Greenitaly
Calabria
ELB End of Life Boats
Greenitaly
Nazionale
Elettronica Santerno
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Enel, programma “Enabling Electricity
CURSA
Nazionale
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Energia 10 in condotta acquedotto pugliese
Comuni rinnovabili 2012
Puglia
Energy for Mayors
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Nazionale
Erlos3 celle fotovoltaiche ultra flessibili,
Greenitaly
Sicilia
ESPON INTERSTRAT- ESPON in Integrated Territorial Strategies,
Università di Roma Tor Vergata
CURSA
Lazio
Essedi, Ortolona geotessili
CURSA
Sardegna
Evento Assisi Endurance ecosostenibile
CURSA
Umbria
Fabbrica del Sole off-grid Box
Greenitaly
Toscana
Fattoria della Piana
CURSA/Legambiente
Calabria
Ferrzootecnia
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Festival dell’Economia 2010 “amico del clima”
CURSA
Trentino AA
Festival Green Economy di Distretto
CURSA
Emilia Romagna
Fiamm batterie al sale
Greenitaly
Veneto
Filiera del bergamotto
CURSA/Legambiente
Calabria
Frescosmesi
CURSA
Emilia Romagna
Fss L’Italia del riciclo
CURSA
Nazionale
Geologia e Vino
CURSA
Nazionale
Giacomini S.p.a. caldaia a idrogeno
Greenitaly
Piemonte
Glass Plus il vecchio TV diventa piastrella
CURSA
Lombardia
GPPinfoNET
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Nazionale
Enerray
Emilia Romagna
Grado Zero Espace, ortica per realizzare un tessuto eco-compa- Greenitaly
tibile
Toscana
Green Business Executive School
CURSA
Lombardia
Green road creazione di un sistema turistico rurale in puglia
dalle masserie al mare
Greencommerce, l’e-commerce greenwashing free
CURSA
Puglia
CURSA
Piemonte
Greenzone. La comunicazione parla verde
CURSA
Lombardia
Gruppi di Acquisto Solare di Legambiente
Comuni rinnovabili 2012
Nazionale
Gruppo Beghelli
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Gruppo Prysmian (ex Pirelli Cavi) P-laser
Greenitaly
Lombardia
Gruppo Sofidel riduzione emissioni
Greenitaly
Toscana
Gruppo Concorde
Gruppo Fiori
Emilia Romagna
Emilia Romagna
H2Roma, promosso dal CNR, dall’ENEA e dal CIRPS, salone dedi- CURSA
cato alla sostenibilità dell’energia e della mobilità
Lazio
Happy Hour Happy Planet
CURSA
Liguria
HIA21
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Nazionale
High Tech for Green Tech ciclo di incontri sul tema della ecoinnovazione
CURSA
Toscana
Hybus - rigenerazione autobus
CURSA/Legambiente
Piemonte
Appendici
93
HYDRO ITALIA
94
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Hydroweee recupero di metalli (rame,manganese,zinco), e terre CURSA
rare (ittrio, indio) dai rifiuti elettronici
Austria
i.lab laboratorio della Italcementi
Greenitaly
Lombardia
IDEMS
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Emilia Romagna
Lombardia
Il legno parmense riscalda l’ospedale di Borgotaro di Parma
CURSA
Emilia Romagna
Il Sistema CONAI per la prevenzione dell’impatto ambientale
degli imballaggi
CURSA
Nazionale
Il Trentino per la protezione del clima
CURSA
Trentino AA
Impatto diete Ma-Pi in adulti con DM in 3 continenti
CURSA
Marche
Impianto alla torcia al plasma
Greenitaly
Toscana
Impianto di biogas da liquame in un’azienda zootecnica
CURSA
Friuli
Impianto fotovoltaico di proprietà comunale a costo zero
CURSA
Campania
Impianto termico Koblen
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
IMPRES@MBIENTE è il nuovo Portale del Gruppo Intesa Sanpaolo CURSA
Piemonte
Intesa SanPaolo raccolta dei tappi di plastica
CURSA
Nazionale
Intesa SanPaolo tavolo di lavoro interno Tavolo Verde
CURSA
Nazionale
Intesa SanPaolo Ambientiamo il progetto formativo a favore
dell’ambiente
Intesa Sanpaolo e l’efficienza energetica nelle macchine d’ufficio
Intesa Sanpaolo; certificazione del proprio Sistema di Gestione
dell’Energia (SGE) ai sensi della norma internazionale UNI CEI
EN ISO 50001 2011
IVOKE JEY - Scuole sostenibili gestione integrata e partecipativa
in salute, nutrizione e ambiente in scuole urbane e rurali con
scarse risorse
CURSA
Nazionale
CURSA
Nazionale
CURSA
Nazionale
CURSA
Lazio
Kyoto Club
CURSA
Lazio
La Corona Verde
CURSA
Piemonte
La Poderina Toscana
CURSA
Toscana
La Terra e il Cielo rilancio di vecchie varietà di cereali
Greenitaly
Marche
L’autodemolizione ad impatto zero
CURSA
Sicilia
LG Action
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Nazionale
Linea di prodotti Coop Solidal
CURSA
Nazionale
Linea di produzione certificata GOTS (Global Organic Textile
Dressed up) Clerici Tintoria e Filati
Greenitaly
Lombardia
L’osservatorio regionale sulla green economy, ERVET
CURSA
Emilia Romagna
Low Carbon Strategy nel Bacino del Mediterraneo
SitoCURSA
Nazionale
Lucart Group riduzione emissioni
Greenitaly
Toscana
M.I.T.T. - Mobilità Integrata dei Trasporti in Trentino
CURSA
Trentino AA
Made in No
CURSA
Piemonte
Maglificio Gordon Confezioni riduzione emissioi e consumo
acqua
Greenitaly
Puglia
Mapei prodotti ecosostenibili
Greenitaly
Lombardia
Marchio Newlife™
Greenitaly
Emilia Romagna
MATREC (EcoMaterial database)
CURSA
Virtuale
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Matrica, derivati di oli vegetali
CURSA/Legambiente
Sardegna
Mengozzi Rifiuti Sanitari SpA
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Mia Impresa Condivisa, scenario workshop
CURSA
Nazionale
Micro Green Logistic logistica integrata imprese calzaturiero
CURSA/Legambiente
Marche
MICRO-VETT S.p.A.,
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Milkofil Filati Maclodio
Greenitaly
Lombardia
Minieolico
Legambiente4
Puglia
Minieolico libellula di Renzo Piano
Greenitaly
Veneto Trentino
AA
Mini-termodinamico Sopogy
Greenitaly
Lombardia
Mobilità ciclistica in Trentino - Provincia di Trento
CURSA
Trentino AA
Mondiali di Nuoto ecosostenibili
CURSA
Lazio
Montefalco 2015, the new green revolution Cantina Arnaldo
Caprai
Greenitaly
Umbria
Mossi & Ghisolfi bioetanolo
Greenitaly
Piemonte
MrPET innovativo sistema di reverse vending delle bottiglie in
PET
MUSEC
CURSA
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Piemonte Sardegna Valle d’Aosta
Piemonte Emilia
Romagna Puglia
Musicultura (MC)
CURSA/Legambiente
Marche
Mybatec biotecnologie
Greenitaly
Piemonte
National Nanotechnology Laboratory
Greenitaly
Puglia
NESSO, Network Siena Sostenibile
CURSA
Toscana
Novamont Eni Polo Verde Porto Torres
Greenitaly
Piemonte Sardegna
Novamont, Mater-bi - bio-plastica
Greenitaly
Piemonte Umbria
Nucleo di Tusciano (SA)
Comuni rinnovabili 2012
Campania
Nuova fabbrica pannelli fotovoltaici 3Sun
Greenitaly
Sicilia
Nuovo brand “Canapa e Canapa”,
Greenitaly
Emilia Romagna
Nuovo sistema di riscaldamento di distretto
Sito Uncsd
Lombardia
Officina dell’ambiente laterizi da scorie
Greenitaly
Lombardia
Officine meccaniche Landi Renzo
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Oleificio agricolo decentralizzato e minicogenerazione
CURSA
Marche
Olio vegetale e pannello proteico da filiera corta
CURSA
Emilia Romagna
Orti Sociali
CURSA/Legambiente
Campania
Ortolona geotessili
CURSA
Sardegna
Osservatorio CCS tecnologia della cattura e del sequesxtro
della CO2 (CCS)
CURSA
Lazio
Packaging Coop
CURSA
Nazionale
Paesaggi del Vino
CURSA
Nazionale
Palm pallet ecosostenibile
CURSA
Lombardia
Pannello fotovoltaico per serre agricole Eclisse
CURSA
Liguria
Parchi per Kyoto
CURSA
Nazionale
Parco “5 Stelle”
Comuni rinnovabili 2012
Liguria
Appendici
95
Patto di fiume Samoggia-Latino (Emilia Romagna)
-
Emilia Romagna
Patto Val d’Ofanto
-
Campania Basilicata Puglia
Permasteelisa facciate continue
Greenitaly
Veneto
Piano energetico ambientale della Provincia autonoma di Tren- CURSA
to 2013-2020
Trentino AA
piastrella “Ecologica” in Gres Porcellanato Smaltato
CURSA
Emilia Romagna
Pisa parco solare fotovoltaico
Sol Maggiore
Comuni rinnovabili 2012
Toscana
Polo per la Chimica Sostenibile
Greenitaly
Piemonte
Polo Solare Organico
CURSA
Lazio
PoloIdrogeno, Convenzione, tra il CIRPS - SAPIENZA Università
di Roma e la Regione Lazio
CURSA
Lazio
Premio “Locale Bravo Bio” per bar, ristoranti, pizzerie e hotel
Greenitaly
Varie
Primo Ecolabel per un gruppo di prodotti tessuto-carta in Italia
Greenitaly
Toscana
Progetti di compensazione delle emissioni di CO2, volontari
ed aggiuntivi, attraverso interventi forestali nei Paesi in via di
sviluppo
CURSA
Trentino AA
Progetto “Telesun” Verona
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Progetto “WICO – Wind of the coast”.
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Progetto A21 L. in Sicilia
Coordinamento Agende 21
Sicilia
locali italiane - Bilancio sociale
2010
Progetto AQUOR (LIFE 2010 ENV/IT/380)
CURSA
Veneto
Progetto Crisalide228
Greenitaly
Trentino AA
Progetto Life+ Eco-courts COOP
CURSA
Nazionale
Progetto Med in italy casa che produce sei volte più energia di Greenitaly
quella che consuma
Progetto Riforestazione Mongolia con il metodo della Policoltu- CURSA
ra Ma-Pi
Lazio
Pro-Plasmix bioplastiche
Greenitaly
Toscana
Provincia di Padova
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Provincia di Bologna
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Provincia di Brescia
Comuni rinnovabili 2012
Lombardia
Provincia di Cosenza
Comuni rinnovabili 2012
Calabria
Provincia di Cuneo
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Provincia di Forlì e Cesena
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Provincia di Macerata
Comuni rinnovabili 2012
Marche
Provincia di Modena
Comuni rinnovabili 2012
Emilia Romagna
Provincia di Pesaro Urbino
Comuni rinnovabili 2012
Marche
Provincia di Pordenone
Comuni rinnovabili 2012
Friuli VG
Provincia di Potenza
Comuni rinnovabili 2012
Basilicata
Provincia di Torino
Comuni rinnovabili 2012
Piemonte
Provincia di Verona
Comuni rinnovabili 2012
Veneto
Quadrigenerazione ad olio vegetale
CURSA
Veneto
Regione Toscana, protocollo d’intesa con Corepla Consorzio Na- CURSA
zionale per il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi
in Plastica, plastiche eterogenee “povere” (plasmix)
96
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Marche
Toscana
Registro Sonde Geotermiche (RSG)
CURSA
Lombardia
Renault Z.E. veicoli elettrici e mobilità a zero emissioni
CURSA
Nazionale
Rendicontazione e audit di sostenibilità - Consiglio Nazionale
Dottori Commercialisti ed Esperti contabili
CURSA
Nazionale
Renovo e Cgm, cogenerazione a biomassa con coop sociali
CURSA/Legambiente
Nazionale
rePLASTIC
Greenitaly
Toscana
RES PUBLICA
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Liguria Emilia
Romagna
Residenza Annamaria prima abitazione plurifamiliare in Umbria CURSA
certificata in Classe energetica A
Umbria
Rete Onu - Operatori dell’usato
Nazionale
Stati generali della GE
Rete trentina di educazione ambientale per lo sviluppo sosteni- CURSA
bile (In.F.E.A)
Trentino AA
Revet plasmix
CURSA/Legambiente
Toscana
Revolutionair pala eolica a rotazione verticale di Philip Stark
Greenitaly
Toscana
Riccoboni SpA
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Riello solare termico
Greenitaly
Veneto
Riutilizzo e riciclaggio degli imballaggi
CURSA
Toscana
Riva 1920 Natural Living
Greenitaly
Lombardia
Robur pompe di calore
Greenitaly
Lombardia
Rubner costruzioni in legno ecologico certificato
Greenitaly
Trentino AA
SA 8000 e “Coop for Work”
CURSA
Nazionale
Salcheto riduzione emissioni
Greenitaly
Toscana
Sall Srl
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Scuole per Kyoto
CURSA
Nazionale
Sella & Mosca macchine multifila
Greenitaly
Sardegna
Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti
CURSA
Nazionale
Sistema di riscaldamento a raggi infrarossi ad onde corte per
l’agricoltura
CURSA
Liguria
Solar Jacket di EcoZegna
Greenitaly
Piemonte
Solsonica celle e moduli fotovoltaici
Greenitaly
Lazio
Sostenibilità ambientale delle filiere agroalimentari tramite
calcolo del ciclo di vita
Sostenibilità ambientale delle filiere agroalimentari tramite
calcolo del ciclo di vita
CURSA
Emilia Romagna
CURSA
Emilia Romagna
South EU URBAN ENVIPLANS
Coordinamento Agende 21
locali - Bilancio sociale 2011
Toscana Veneto
Calabria
Spring Color
CURSA
Marche
Strategic NEW CITIES OF THE MEDITERRANEAN SEA BASIN
CURSA
Lazio
Stratex, pannello prefabbricato Xpanel
Greenitaly
Friuli
Studio Mario Cucinella Architects - Casa 100K€
Greenitaly
Emilia Romagna
Suberis “tessuto non tessuto” al 100% naturale
Greenitaly
Sardegna
Sumus sacchetto in carta riciclata brevettato per raccolta rifiuto CURSA
organico
Coordinamento Agende 21
Sustainable Now
locali - Bilancio sociale 2011
Appendici
Lombardia
Nazionale
97
Sviluppo sistemi alimentazione e controllo innovativi, fupofarm CURSA
Lombardia
System Photonics
Greenitaly
Emilia Romagna
Tabu piallacci multi laminari
Greenitaly
Lombardia
Tassinari Bilance Srl
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
CURSA
Marche
Tazzari Group - progetto ZERO
Tea Natura detergenza ecologica e cosmesi naturale
98
Emilia Romagna
Telerilevamento iperspettrale per la classificazione della vege- CURSA
tazione, il controllo del livello trofico delle acque e lo studio del
degrado del suolo
Lazio
Tetto fotovoltaico Theisan
Greenitaly
Piemonte
Trattamento dei R.A.E.E. con recupero di Materie Prime Secondarie (MPS)
CURSA
Veneto
Umpi Elettronica
Green Economy in Emilia
Romagna 2012
Emilia Romagna
Unità nautica ecocompatibile “Eco-scafo”
Greenitaly
Lombardia
UniTuscia e LMM Recupero degli sprechi alimentari a scopo
sociale
Università Politecnica delle Marche ricerca su Abitudini Alimentari ed Impatto Ambientale
Università Tor Vergata sviluppo di politiche tramite STeMA
per progetto Life Mo.Re. & Mo.Re. More Reusing and More
Recycling
Università Tor Vergata territorial dimension of Lisbon/Gothenburg Strategy by Territorial Impact Assessment STeMA
Model applied
CURSA
Lazio
CURSA
Marche
CURSA
Lazio
CURSA
Lazio
Utilizzo di involucri passivi in edilizia
CURSA
Umbria
Valcucine cucine ecologiche
Greenitaly
Friuli
Valorizzazione territori difficili / beni sottratti a mafie
CURSA/Legambiente
Sicilia
Valutazione della sostenibilita’ ambientale dei prodotti auchan
mediante calcolo del ciclo di vita
CURSA
Nazionale
VAWT XEOLO innovativa mini turbina eolica
CURSA
Nazionale
Veneta Cucine
Greenitaly
Veneto
Wellness primi pannolini certificati compostabili
CURSA
Toscana
Winegis
CURSA
Nazionale
WIP, pannolini ecologici
CURSA
Toscana
Workshop IMAGE - Incontri sul Management della Green Economy
CURSA
Piemonte
XIII Settimana Nazionale dell’Escursionismo
CURSA
Nazionale
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana
Iniziativa
Repertorio
Progetto integrato RISMED (APQ Mediterraneo)
Gestione delle implicazioni ambientali e sociali delle politiche energetiche
negli Stati insulari del Pacifico
Ambiente sano: valorizzazione dei rifiuti plastici e servizi igienici e a Thiès e
Kaolack
Amazzonia senza fuoco
Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale.
Iraq Salinity Project On-farm Soil Salinity Management in Al-Nassiriah Area
in Iraq
Il progetto 4cities4dev: l’esperienza di Slow Food e della Città di Tours
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
spontanea ONG
Agroecologia e formazione socioambientale per lo sviluppo sostenibile della
Banca dati Cocis
Regione Est di Minas Gerais
Segnalazione
Ciudad Limpia
spontanea ONG
Diversificazione agricola e rafforzamento delle filiere commerciali per lo
sviluppo umano della frontiera
Egitto - Programma Ambientale II Fase (AID. 5299)
FILIERE AGRICOLE IN OROMIA.
Fornitura di energia idraulica rinnovabile attraverso l’autocostruzione di
micro centrali idroelettriche
IVOKE JEY - Scuole sostenibili gestione integrata e partecipativa in salute,
nutrizione e ambiente in scuole urbane e rurali con scarse risorse dell’Uruguay
OVERSEAS/PAL
PROGETTO BIO & EQUO: GESTIONE FORESTALE, AGRICOLTURA BIOLOGICA E
COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
Progetto di formazione, sostegno alla produzione agro-ecologica, alla
trasformazione e commercializzazione dei prodotti in favore di famiglie
vulnerabili nel Dipartimento di Nariño
Programma di lotta alla povertà attraverso la gestione ecologica comunitaria
e trans-nazionale nei Distretti di Massangena e Chicualacuala Provincia di
Gaza
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
MAE - UTC
Territorio
Egitto, Marocco,
Tunisia
Pacific SIDS Senegal
Brasile, Bolivia
Ecuador, Marocco, Senegal
Iraq
Mauritania
Brasile
America Latina –
regionale
Rep Dominicana
Egitto
Etiopia
Banca dati DGCS
Bolivia
Banca dati Cocis
Uruguay
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
spontanea ONG
Territori Palestinesi
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Madagascar
Colombia
Sud Africa, Mozambico, Zimbabwe
Programma di Sviluppo agro-idraulico di Sigor, Kerio Valley - III fase
Segnalazione
MAE - UTC
Programma Italia - Sahel per la riduzione della povertà
Segnalazione
MAE - UTC
Sahel
Banca dati DGCS
Tanzania
Segnalazione
MAE - UTC
Etiopia
Banca dati DGCS
Bolivia
Banca dati Cocis
Senegal
Sviluppo economico e riabilitazione ambientale delle aree pastorali Maasai
del distretto di Arumeru
Wash in Small and Medium Towns
AID 9428
Agua sana – Sud Yungas: miglioramento delle condizioni di approvvigionamento idrico e d’igiene ambientale e prevenzione sanitaria
Alimentazione solare
Alla scoperta del Libano del Nord: creazione di un sistema integrato agrituri- Segnalazione
stico nell’area di Zgharta
spontanea ONG
Appendici
Kenya
Libano
99
Approvvigionamento Idrico di alcuni villaggi delle Regioni di Tripoli/Koura
Segnalazione
MAE - UTC
Libano
Chipalamba Toto! Coalizione delle ONG contro la desertificazione nella
regione sud del Malawi
Banca dati Cocis
Malawi
Consorzio Internazionale Arianne per lo studio delle fibre tessili naturali e
dei sistemi di produzione e trasformazione
Greenitaly
Cile
Costruzione di una filiera equa per i piccoli produttori e produttrici di caffè
nel Sud di Haiti
Segnalazione
spontanea ONG
Haiti
Creazione di un centro di ricerca marina e centro di educazione nell’universi- Segnalazione
tà del Qinzhou, Golfo del Tonchino
MAE - UTC
Cina
Creazione di una attività di formazione in geotermia nel sistema accademico Segnalazione
salvadoregno
MAE - UTC
El Salvador
EMPOWERMENT DELLE COMUNITÀ PER L’ACCESSO ALL’ACQUA E AI SERVIZI
SANITARI NELLA LUBOMBO REGION, SWAZILAND
Swaziland
Banca dati Cocis
segnalazioni da
enti locali
Segnalazione
Energie rinnovabili per le popolazioni rurali
spontanea ONG
Segnalazione
FILIERE AGRICOLE IN OROMIA.
MAE - UTC
Food security and eco system management for sustainable livelihoods in
Segnalazione
arid and semiarid lands of Kenya.
MAE - UTC
Fortalecimento da capacidade de uso e aproveitamento dos recursos natu- Segnalazione
rais dos camponeses da área sul do Distrito de Matutuine
spontanea ONG
FREDDAS – Fonti d’energia rinnovabile per lo sviluppo sostenibile della valle Segnalazione
del fiume Senegal
MAE - UTC
Segnalazione
Gestione Integrata dei Rifiuti Solidi a Baalbek
MAE - UTC
Segnalazione
Hacia un buen vivir – Sumaj Kausayman 8748/RC/BOL
MAE - UTC
Segnalazione
IAO GENDER
MAE - UTC
ICT - Nuove tecnologie per una gestione integrata e ‎sostenibile
Segnalazione
delle risorse naturali primarie ed agricole in ‎Libano
MAE - UTC
Segnalazione
Impianto di Depurazione Acque Reflue di Zahle
MAE - UTC
Iniziativa per l’ottimizzazione e il potenziamento dell’offerta turistica di Baal- Segnalazione
bek e dell’alta Bekaa
MAE - UTC
Segnalazione
Insediamenti urbani sostenibili a Sonsonate
MAE - UTC
Segnalazione
La Basura sirve
spontanea ONG
ENERBIO PROJECT Friuli Serbia
Livelihood enhancement through transboundary natural resource management in the Limpopo corridor
Segnalazione
spontanea ONG
Lotta alla desertificazione negli Afram Plains e nel distretto Ga nelle regioni
Ashanti e Greater Accra
Lotta integrata alla desertificazione e rafforzamento della sicurezza alimentare nella provincia di Boulkiemdé
Banca dati DGCS/
Banca dati COCIS
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
MAE - UTC
Messa in Sicurezza e Gestione della Riserva Naturale dei Cedri in Libano
Mitigazione del Cambiamento Climatico – Energie Rinnovabili
100
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
Albania
Etiopia
Etiopia
Kenya
Mozambico
Senegal
Libano
Bolivia
Mozambico
Libano
Libano
Libano
El Salvador
America Latina –
regionale
Sud Africa, Mozambico, Zimbabwe
Ghana
Burkina Faso
Libano
Libano
NORD ALBANIA: PROGETTO DI SVILUPPO RURALE INTEGRATO NEI COMUNI
DEL KELMEND E DI SHKREL - DISTRETTO DI MALESIA E MAHDE
PAKISTAN. Contributo alla seconda fase del Programma governativo pakistano di assistenza alle vittime delle alluvioni dell’estate 2010 (Citizens Damage
Compensation Programme – CDCP II)
PIDES
Potenziamento e riqualificazione della produzione viti-vinicola a Cremisan
Progetto di promozione dell’autosviluppo di alcune comunità indigene
dell’Ecuador, attraverso azioni di formazione e assistenza tecnica per un uso
conservativo e produttivo della biodiversità
Progetto Strategico ALTERENERGY - Energy Sustainability for Adriatic Small
Communities Puglia Regione Adriatica
Programma di gestione integrata delle risorse forestali e non forestali in
boschi temperati in 17 comunità Huilliches nel sud del Cile
Promozione di alternative di sviluppo sostenibile per la regione costiera del
Rakhine (Myanmar)
RAZIONALIZZAZIONE DELL’USO DELLE RISORSE NATURALI PER MIGLIORARE
LE PRODUZIONI AGRICOLE
Renforcement des capacités d’intervention des organisations de base pour
la préservation des écosystèmes oasiennes au Maroc
Riabilitazione del perimetro irriguo di Baalbek
Riduzione della povertà attraverso l’utilizzo e la gestione sostenibile della
foresta
Segnalazione
spontanea ONG
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
spontanea ONG
Pakistan
Senegal
Territori Palestinesi
Segnalazione
spontanea ONG
Ecuador
segnalazioni da
enti locali
Serbia
Banca dati Cocis
Cile
Segnalazione
MAE - UTC
Segnalazione
MAE - UTC
Banca dati Cocis
Segnalazione
MAE - UTC
Banca dati DGCS
Segnalazione
Rural Micro-credit Programme
MAE - UTC
Sostegno allo sviluppo agricolo e microimprenditoriale di giovani, donne e
Segnalazione
popolazione nativa della provincia di Sucumbios
MAE - UTC
Sviluppo dell’agricoltura sostenibile e prevenzione alla desertificazione
Segnalazione
nell’oasi di Minqin
MAE - UTC
Sviluppo economico e socio-ambientale delle comunità Quilombolas di Vale Banca dati DGCS
do Ribeira attraverso lo sviluppo sostenibile
/ Banca dati Cocis
Segnalazione
Sviluppo ecosostenibile dell’irrigazione agricola e della bonifica in Kenya
MAE - UTC
Sviluppo locale e conservazione della natura nel quadro del processo di
Banca dati DGCS/
sostegno alla Nepad
Banca dati Cocis
Segnalazione
Sviluppo sostenibile nella frontiera dell’Amazzonia brasiliana
spontanea ONG
TUNISIA - Riabilitazione e creazione palmeti da dattero nella Regione del
Segnalazione
Rejim Matough
MAE - UTC
Segnalazione
Una luce per chi nasce
spontanea ONG
Valorizzazione territoriale e sostegno socio-economico alle comunità rurali
Segnalazione
di Ebla (Siria)
MAE - UTC
Segnalazione
Water and Sanitation
spontanea ONG
Yaku al Sur – Rafforzamento della Gestione Comunitaria dell’Acqua a Cocha- Segnalazione
bamba
MAE - UTC
Yaku Al Sur - Rafforzamento della gestione comunitaria dell’acqua a CochaBanca dati DGCS
bamba
Appendici
Albania
Myanmar
Siria
Marocco
Libano
Zambia
Iran
Ecuador
Cina
Brasile
Kenya
Benin/Burkina
Faso/Niger
Brasile
Tunisia
Tanzania
Siria
Kenya
Bolivia
Bolivia
101
3. Seminario territoriale di Bologna
Verso Rio+20: Cambia il clima, cambia l’agricoltura?
Bologna, Palazzo Merendoni,
02 maggio 2012, ore 14.00 - 17.30
Potenza, Museo Provinciale
L’incontro ha avuto lo scopo di proporre e discutere alcuni scenari di adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti
climatici; in particolare, è emerso immediatamente dalla discussione che l’agricoltura italiana ha necessità di assumere
prima possibile alcune misure di programmazione strategica che possano mitigare o contrastare gli impatti negativi dei
cambiamenti climatici in corso.
Alla pubblicazione nel 2011, di un Libro Bianco su sviluppo rurale e cambiamenti climatici è seguita l’interessante
esperienza di Climagri e poi di Agroscenari: si tratta di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali, che mira ad individuare, valutandone la sostenibilità, le modalità di adattamento ai
cambiamenti climatici di alcuni principali sistemi produttivi dell’agricoltura italiana, quali la viticoltura, l’olivicoltura, la
cerealicoltura nelle zone collinari dell’Italia Centro-Meridionale, l’orticoltura intensiva in zone irrigue dell’Italia CentroMeridionale, la cerealicoltura per fini zootecnici nella Pianura Padana, la frutticoltura intensiva nella Pianura Padana
sud-orientale.
Questa esperienza dimostra la necessità e l’opportunità di predisporre strumenti cognitivi e decisionali che, attraverso
l’analisi integrata di sistemi e aree agricole italiane proiettate in possibili futuri scenari di Cambiamento Climatico,
permettano di orientare l’attività agricola verso forme di adattamento e/o mitigazione del CC secondo criteri di
sostenibilità ambientale ed economica, tenendo peraltro conto del valore economico crescente delle risorse idriche.
Infatti, il settore agricolo è senza dubbio il maggior consumatore mondiale di acqua, essendo responsabile da solo del
70% dei prelievi totali. La questione della gestione delle risorse idriche è quindi strettamente connessa alle modalità
dell’impiego dell’acqua in agricoltura; la relativa disponibilità r della risorsa e conseguentemente i suoi bassi costi
spingono infatti gli agricoltori ad essere poco interessati a discorsi riguardanti la razionalizzazione del suo uso.
È quindi prioritario incoraggiare una presa di coscienza del valore dell’acqua quale prima strategia di razionalizzazione
economica del suo uso, e passaggio essenziale per rendere possibile la successiva ricerca di soluzioni cooperative e di
mediazione tra i diversi usi; tra di esse, lo strumento dei contratti di fiume, e in particolare l’esperienza della Regione
Piemonte e del fiume Serchio (LU) offrono interessanti esempi di agricoltori che collaborano alla bonifica del bacino.
In ambito europeo, la tendenza emersa (Libro Bianco sulle politiche europee sul cambiamento climatico, 2005, e
successivo Libro Verde nel 2007) è quella di cercare di reindirizzare l’insieme delle linee di finanziamento, inserendo
all’interno di ognuna una quota dedicata al cambiamento climatico, piuttosto che prevedere una linea di budget a parte;
ciò condurrà ad una sempre maggiore diversificazione nell’utilizzo dei fondi della PAC, con un aumento progressivo
della quota destinata a sviluppo rurale e una parallela diminuzione dei sussidi alle esportazioni.
The EuropeanClimate Adaptation Platform (CLIMATE-ADAPT) è una piattaforma web dinamica, creata su iniziativa
della Commissione Europea che, in un tale contesto, si propone come strumento finalizzato a supportare l’Europa nel
processo di adattamento al cambiamento climatico, aiutando gli utenti ad accedere e condividere informazioni sui
cambiamenti climatici previsti, le future vulnerabilità cui andranno incontro le diverse aree, le strategie di adattamento
a livello nazionale e transnazionale, casi studio interessanti e strumenti di supporto alla pianificazione.
Considerando il panorama internazionale, in cui è protagonista la Conferenza di Rio, emerge la necessità
digovernancedell’agricoltura a livello locale, ma anche e soprattutto globale e transnazionale, che si presenta ancora
frammentata, e l’urgenza della diffusione di un approccio sistemico alla sostenibilità nelle politiche di sviluppo, che integri
la dimensione relativaalla sicurezza energetica ma e ad altre vulnerabilità legate a shock ambientali e cambiamento
climatico, in considerazione anche della sfida demografica che dovrà essere affrontata nei prossimi anni.
102
L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
4. Seminario territoriale di Potenza
“Gestione sostenibile delle risorse idriche e prevenzione del dissesto idrogeologico”
Potenza, Museo Provinciale
12 marzo 2013, ore 16.00 – 19.00
L’appuntamento di Potenza è il secondo Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo
Rio+20. Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro”, promossa nell’ambito del progetto
“Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio+20”. Il seminario ha fornito l’occasione per confrontarsi
e discutere, a partire da alcune iniziative significative realizzate sul territorio italiano e nell’ambito della cooperazione
internazionale allo sviluppo, su un tema cruciale sia per i territori italiani che per quelli dei Paesi partner.
Nell’anno internazionale della cooperazione per l’acqua, il seminario ha offerto spunti concreti per promuovere approcci
innovativi alla cooperazione allo sviluppo fondati sul principio della sostenibilità ambientale e sul dialogo tra territori
che, chiamati ad affrontare sfide comuni, possono trovare nel tema idrico un terreno fertile per l’elaborazione di risposte
e strategie condivise.
La dimensione globale del problema ambientale (e all’interno di questo, della più specifica questione della gestione
sostenibile delle risorse idriche) sarà sempre più evidente in futuro: basti pensare ai“rifugiati ambientali”che aumenteranno
esponenzialmente nei prossimi anni, e che costituiscono un potenziale problema non ancora pienamente compreso a
livello nazionale ed europeo. Dal punto di vista specifico delle risorse idriche, si pone con urgenza la necessità di ricercare
nuove forme per cooperare insieme allo scopo di poter affrontare la situazione, e allo stesso tempo promuovere un
nuovo approccio che minimizzi gli sprechi idrici e permetta una gestione ottimale della risorsa. A ciò si aggiunge la
necessità di ribadire lo stretto rapporto esistente tra cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico e di affrontare il
problema ambientale in maniera integrata, agendo sul fronte della pianificazione e della contemporanea elaborazione
di nuove tecnologie e nuove strategie di intervento.
In particolare, sono tre le sfide che oggi è necessario affrontare:
1. Garantire universalmente il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari di base;
2. Salvaguardare la qualità dell’acqua e contemporaneamente la sua caratteristica di bene pubblico non economico.
In Europa solo il 43% delle acque è ecologicamente in buono stato; l’acqua pulita sta diventando un bene raro, di
qui le spinte a proporre un prezzo più alto per il suo utilizzo, con l’obiettivo di minimizzarne lo spreco. In particolare,
il referendum sull’acqua del 2011 ha riportato al centro del dibattito il ruolo del pubblico nella gestione dei servizi.
3. La terza sfida è “manageriale” e riguarda la gestione delle risorse idriche. E’ necessario elaborare nuovi strumenti di
governance per far sì che i cittadini siano protagonisti della gestione a livello locale e inoltre per favorire in tal modo
una gestione innovativa delle acque transnazionali.
In un tale contesto, la DGCS sottolinea l’importanza di ricollocare i temi trattati nel seminario territoriale all’interno del
quadro internazionale. La cooperazione italiana guarda con attenzione al post 2015 e al processo per la definizione
degli SDGs, auspicando l’integrazione tra i 3 pilastri dello sviluppo sostenibile: il tema dell’acqua potrebbe configurare
un ambito privilegiato per l’adozione di un approccio integrato, che tenga conto delle questioni legate ad ambiente,
sviluppo e sostenibilità.
Nell’anno dell’acqua l’obiettivo da perseguire è quello di incrementare consapevolezza e cooperazione, in preparazione
di Expo 2015 e del settimo WWF, eventi a cui l’Italia dovrà partecipare promuovendo un approccio a livello di sistema–
Paese e presentando un piano integrato e condiviso sul tema della gestione delle risorse idriche. A tale scopo è stato
attivato, in previsione del Forum di Marsiglia, un Tavolo di consultazione comprendente circa 1080 partecipanti. A tale
processo si è successivamente affiancato quello per l’elaborazione delle Linee Guida Acqua DGCS (da concludere entro
il 2015).
Il dissesto idrogeologico rappresenta in Italia un problema di notevole rilevanza, diffuso in modo capillare e che si
presenta con modalità differenti a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio. La peculiarità dell’esperienza
italiana suggerisce un possibile ruolo chiave del nostro Paese nell’elaborazione di soluzioni innovative per affrontare
il problema del dissesto idrogeologico, da proporre anche all’estero nell’ambito delle azioni e dei processi legati alla
cooperazione internazionale.
L’analisi di due esperienze di cooperazione internazionale italiana per una gestione sostenibile delle risorse idriche,
la prima in Iraq (area Nassiriya) e l’altra in Tanzania (distretto di Njombe e regione di Iringa) permette di evidenziare
alcuni punti di forza legati essenzialmente al coinvolgimento del territorio. Nel caso della Tanzania, si tratta dell’esteso
coinvolgimento diretto degli abitanti /beneficiari, con la creazione di comitati di gestione degli acquedotti e delle
fontane pubbliche.
In Iraq, il problema della salinizzazione dei suoli ha portato alla ricerca di metodi per recuperare la produttività; il progetto,
cofinanziato dalla cooperazione australiana, si è avvalso di un esteso partenariato per la realizzazione delle attività, che
ha coinvolto tra gli altri cinque diversi Ministeri e due centri internazionali di ricerca.
Appendici
103
Il coinvolgimento del territorio quale fattore chiave di successo emerge anche dall’analisi dell’esperienza dei contratti
di fiume portata avanti dalla regione Lombardia, caratterizzata dal recupero di una ”identità di valle”: un punto di forza
dell’iniziativa è lo sforzo finalizzato a creare un partenariato esteso sul territorio, costruito intorno alle parole-chiave
consapevolezza, condivisione e responsabilità tra i vari attori, istituzionali e non; in tal senso essi si configurano come
strumenti di programmazione negoziata, per loro stessa natura profondamente interconnessi ai processi di pianificazione
strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali.
L’esperienza della linea tematica “Ambiente e sviluppo sostenibile” dei due APQ Balcani e Mediterraneo è stata
costruita intorno a due priorità condivise da tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo: la gestione sostenibile delle
risorse idriche e la prevenzione del rischio idrogeologico. E’ possibile individuare alcuni punti di forza del Programma
nell’obiettivo primario del rafforzamento del sistema Italia, e in particolare della sua capacità di relazionarsi ai nuovi
strumenti europei per la promozione della cooperazione di prossimità e di preadesione, e la promozione di una logica
sinergica di azione da parte del “sistema-Italia“, favorendo l’interscambio e la collaborazione tra le Regioni italiane, che
hanno condiviso la propria esperienza e i propri interessi allo scopo di costruire una strategia di intervento comune nel
bacino del Mediterraneo.
Dal mondo accademico e della ricerca (UNIBAS e CNR) sono arrivati interessanti spunti, soprattutto rispetto al tema del
monitoraggio ambientale quale necessario presupposto di una qualsiasi politica ambientale sul territorio, allo scopo
di invertire la tendenza attuale a lavorare soprattutto in situazioni di emergenza, recuperando la dimensione della
prevenzione grazie a processi di programmazione e pianificazione efficaci. Alcune interessanti esperienze in tal senso
sono lo studio idro-geologico sulla rete stradale della provincia di Potenza, che ha portato alla creazione di un database
integrato che indica lo stato degli attraversamenti fluviali e degli elementi infrastrutturali, gli interventi di mitigazione
del rischio in ambito idraulico/forestale eseguiti come Provincia su un reticolo viario di circa 2.700 Km di strade e sul
patrimonio forestale, e il nuovo strumento GPR elaborato dal CNR, che permette l’acquisizione di informazioni utili alla
prevenzione del rischio. L’utilizzo di un tale approccio e di tali innovativi strumenti è possibile ed auspicabile non solo
per confrontarsi con molte differenti tematiche (ad esempio, l’analisi dell’inquinamento delle falde idriche), ma anche in
differenti contesti tra i quali la cooperazione internazionale: l’esempio proposto è quello della ricerca di falde acquifere
in Africa sub-Sahariana, ancora largamente sottoutilizzate e in gran parte sconosciute.
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L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
5. Seminario territoriale di Torino
“Territori, comunità locali e partenariato internazionale per una produzione agricola ed un consumo sostenibili”
Torino, Palazzo Comunale,
22 Marzo 2013, ore 9.30 – 13.30
I temi e gli interventi
L’appuntamento di Torino è il terzo Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo Rio+20.
Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro”, promossa nell’ambito del progetto “Coltivare
l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio+20”. Il seminario ha fornito l’occasione di riflettere sul tema
dell’agricoltura sostenibile, tradizionalmente prioritario per la cooperazione italiana allo sviluppo, anche in considerazione
della presenza del “polo romano” delle Nazioni Unite sul nostro territorio.
L’agricoltura è un tema fondamentale oggi, al centro di profondi cambiamenti strutturali, che richiedono capacità di
risposta innovative e adeguate da parte di tutti. In occasione della giornata mondiale dell’acqua, il seminario ha inteso
offrire spunti concreti per promuovere approcci innovativi alla cooperazione allo sviluppo, fondati sul principio della
sostenibilità ambientale e del partenariato territoriale.
L’incontro ha rappresentato un’occasione per confrontarsi e discutere a partire da alcune iniziative interessanti realizzate
in Italia e nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, su un tema cruciale sia per i territori italiani che per quelli dei Paesi
partner; dopo i saluti e gli interventi di apertura, gli interventi programmati hanno offerto alcuni punti di partenza per la
successiva discussione, introducendo alcuni casi di esperienze che vedono protagonista il territorio italiano (L’esperienza
del Consorzio Produttori Biologici Piacentini), insieme ad azioni di cooperazione decentrata realizzata da attori locali
del Comune e della Provincia di Torino (Progetto 4Cities4Dev,esperienze e buone prassi nei progetti di cooperazione
decentrata ed europea della Provincia in relazione al tema del consumo di suolo), da ONG e associazioni (Oxfam Italia
con il progetto “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale: l’esperienza di Oxfam in Marocco, Senegal ed Ecuador” e
Fondazione Slow Food per la Biodiversità), e dalla Cooperazione Italiana (le politiche sostenute della Cooperazione
Italiana nel settore agricolo e agro- alimentare, a partire dalle buone pratiche che hanno permesso il successo degli
interventi in Niger, Etiopia, Tunisia, Capo Verde e Centro America).
Gli elementi in evidenza
Gli interventi di apertura hanno permesso di evidenziare uno dei problemi centrali da affrontare parlando di agricoltura,
ovvero l’utilizzo di narrative che non sono attuali e non hanno riscontro con la realtà contemporanea. Il paradigma
dell’agricoltura industriale insostenibile dal punto di vista ambientale, ha avuto senso in un particolare periodo storico,
dopo la rivoluzione industriale,permettendo di riallocare la forza lavoro agricola nei settori dell’industria e dei servizi. Ma
questo modello anacronistico sta creando oggi delle disfunzioni: nei Paesi ricchi terra senza contadini, nel PVS contadini
senza terra, mentre nelle economie emergenti si consuma sempre di più, ponendo a rischio la sostenibilità ambientale;
è quindi necessario riconsiderare i nostri modelli ed orientarli verso un consumo responsabile.
Se le istituzioni non sono in grado di garantire equità, allora il modello e le performance agricole devono essere valutate
grazie ad una discussione partecipativa e multi-criteriale, con una mediazione tra criteri contrastanti, come profitto
versus stress sociale ed ambientale: è insomma necessario un integrate assessment, guardando alle risorse nella loro
complessità e interazione e non per settori, come ad un complesso ed unico “metabolismo” del sistema rurale.
Solo da poco tempo, dopo acqua e aria, anche il consumo dei suoli comincia ed essere oggetto di attenzione e
regolamentazione. Il territorio della Provincia di Torino è fortemente antropizzato e con un forte consumo di suolo e
questa situazione la accomuna a vaste altre aree del globo, spingendo a cercare soluzioni comuni e condivise.
La Pianura Padana è una delle conurbazioni più grandi del globo, ed il tema del consumo di suolo è quindi di prioritaria
importanza per l’Italia. Il tema è stato in effetti inserito all’interno dell’agenda europea nel 2002, mentre è del 2006
l’elaborazione di strategie tematiche per la protezione del suolo: anche in Europa l’aumento annuo di terreno occupato
è di circa 1000 kmq all’anno, con un aumento del 78% dal 1950. Tale situazione è stata determinata in buona parte
da cambiamenti nella mentalità comune, con la diffusione dell’idea l’Europa non ha più bisogno dell’agricoltura: i
suoli padani ospitano sempre più spesso insediamenti e servizi, mentre i prodotti agricoli vengono sempre più spesso
importati da aree del mondo dove costa meno produrli.
L’esperienza del Consorzio Bio Piace, che dal 2004 si occupa dell’approvvigionamento delle mense locali, valorizza
l’agricoltura di prossimità e sottolinea la necessità di coinvolgere amministrazioni e comunità locali per sensibilizzare sul
valore dell’agricoltura di prossimità, allo scopo di superare la scarsa disponibilità di investimenti nel settore, promuovendo
la formazione di gruppi d’acquisto e di altre forme di consumo collettivo consapevole.
Il seminario ha permesso di analizzare le caratteristiche ed il funzionamento di due sistemi di monitoraggio della copertura
Appendici
105
del suolo, CORINE e LUCAS, e l’esperienza della Provincia come capofila di due progetti EUROPEAID sul monitoraggio e
la valutazione del consumo di suolo in altre parti del mondo (in particolare, Niger e Libano) e di un progetto europeo
OSSDT –MED sullo stesso tema, che interessa l’arco mediterraneo dell’Europa. In particolare, il progetto di cooperazione
triangolare Italia-Niger-Senegal ha fornito supporto alle amministrazioni pubbliche locali nel controllo dell’uso del suolo,
a fronte del processo di urbanizzazione e della necessità per gli Enti Locali di dotarsi di un sistema di controllo fondiario.
È stata poi condivisa l’esperienza del Progetto 4Cities4Dev, un’iniziativa di cooperazione decentrata condotta nel corso
degli ultimi 2 anni dalla citta di Torino, per sostegno ad azioni volte alla riduzione della povertà. Il comune di Torino è
capofila, partecipano poi espressioni urbane in Lettonia, Spagna e Francia, ed è partner anche Slow Food. Il progetto ha
l’obiettivo di diffondere l’approccio delle “comunità del cibo”: si tratta dell’identificazione di comunità che producono,
trasformano, distribuiscono, si riconoscono in un particolare alimento specifico del territorio, da promuovere sia
all’interno sia all’esterno del territorio stesso. Il ruolo delle città, ed il valore aggiunto della loro partecipazione a questo
genere di iniziative, consiste soprattutto nel fatto che la città, considerata prevalentemente come luogo di consumatori,
necessita di attività di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche legate alla produzione alimentare, che in questo
caso vengono condotte considerando il cibo un elemento trasversale alle politiche di amministrazione cittadina.
L’attività di Slow Food nel campo della cooperazione è relativamente “nuova” per l’associazione. Gli interventi sulle
comunità e sui presidi richiedono maggiore continuità piuttosto che grossi investimenti. Se in Italia l’esperienza degli
orti scolari ha garantito tangibilità ai ragionamenti sulla biodiversità, la stessa pratica esportata nel Sud del mondo
assume altre valenze, come l’affermazione della necessità di disaccoppiare i concetti di fame e di agricoltura intensiva e
dissennata, e di combattere il principio secondo cui qualsiasi tipo di agricoltura è auspicabile in una situazione di fame
e malnutrizione generalizzata. Tale approccio si risolve spesso infatti nella giustificazione di un’agricoltura attenta agli
aspetti quantitativi e non qualitativi.
Prendendo spunto dall’analisi delle politiche sostenute della Cooperazione Italiana nel settore agricolo e agro- alimentare
è stato infine possibile provare a delineare un quadro propositivo per il futuro, analizzando alcuni dei grandi interrogativi
e degli scenari che si prospettano nel campo dell’agricoltura sostenibile a partire da alcune sfide importanti, quale la
nuova PAC, il processo per la definizione di un’agenda di sviluppo globale post 2015, l’azione del G8 (New Alliance for
Food Security), EXPO 2015 a Milano sul tema “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”.
Infine, nel descrivere l’esperienza di Oxfam Italia in Ecuador “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale” sottolinea i punti
di forza dell’iniziativa di filiera: riscoperta di prodotti agricoli tradizionali sottoutilizzati e quasi scomparsi (NUS), assistenza
tecnica ai piccoli produttori, miglioramento e diversificazione dei prodotti agricoli, contemporanea valorizzazione delle
produzioni artigianali locali.
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L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
6. Seminario territoriale di Capannori
“L’importanza della partecipazione per lo sviluppo sostenibile: modelli innovativi di gestione delle risorse naturali
e dei cicli dei rifiuti”
Capannori, Polo Culturale Artemisia, 12 aprile 2013, ore 14.00 – 18.00
I temi
L’incontro svoltosi a Capannori è il quarto Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo
Rio+20. Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro” e ha fornito l’occasione di riflettere sul tema
del rapporto fra politiche di sviluppo sostenibile e comunità, concentrando l’attenzione sulla dimensione partecipativa
dei processi decisionali e di implementazione delle politiche.
I focus sulla questione della gestione dei cicli di rifiuti e degli ecosistemi locali hanno permesso di calare su esempi
concreti il dibattito. Le quattro presentazioni programmate hanno riguardato due casi di politiche locali realizzate sul
territorio toscano (gestione dei rifiuti da parte dell’ASCIT di cui fa parte il Comune di Capannori e iniziativa Foresta
Modello delle Montagne Toscane) e due esperienze di cooperazione internazionale sul tema specifico della gestione dei
rifiuti a livello locale (progetto di riciclaggio di materie plastiche in Senegal e possibili sviluppi di due progetti pilota di
gestione integrata del ciclo rifiuti in Egitto e Albania).
Gli elementi in evidenza
Dopo l’apertura di Marco Zupi che ha richiamato i principali contenuti dell’iniziativa e introdotto gli obiettivi dell’incontro,
il Sindaco Del Ghingaro ha salutato i partecipanti e ha presentato l’esperienza in corso a Capannori.
Nel descrivere i cardini del modello sviluppato nel Comune, il Sindaco, ha sottolineato l’importanza della tempistica
adottata che ha mirato a produrre un cambiamento graduale della mentalità dei cittadini, basandosi su sensibilità
presenti e accompagnando tendenze già vive nella comunità. L’attenzione al processo è uno dei fattori di successo
delle iniziative. In questo ambito si colloca l’impianto partecipativo che il Comune applica al rapporto con i cittadini e
che si compone di diversi elementi in parte citati nell’intervento. La struttura partecipata e flessibile della costruzione
e concretizzazione delle politiche risulta centrale per l’intera politica ambientale che, attraverso la partecipazione
e l’appropriazione da parte della cittadinanza dei risultati raggiunti, si configura come fondamento di un modello di
sviluppo locale sostenibile.
All’introduzione del Sindaco Del Ghingaro, ha fatto seguito l’intervento in video conferenza del Ministro Pier Francesco
Zazo, Coordinatore Ambiente della DGCS- MAE, che ha contribuito a collocare temi e obiettivi dell’incontro all’interno
del processo di ridefinizione dell’iniziativa internazionale in tema di sviluppo sostenibile orientato dalla Conferenza di
Rio+20. Il Ministro ha, tra l’altro, descritto finalità e ruolo della Cooperazione italiana in tale quadro e configurato gli
obiettivi dell’iniziativa in cui si iscrive il seminario.
La sessione di discussione dei casi è stata aperta dal Dottor Gianni Dottorini, esperto ambientale della DGCS MAE, che
ha preso spunto da due progetti pilota nel settore della gestione dei rifiuti realizzati in Albania e Palestina per sviluppare
le linee principali di una strategia finalizzata a creare filiere sostenibili e compatibili con la realtà economica e socioculturale urbana locale, in cui i rifiuti solidi e liquidi diventano una risorsa economica.
Il secondo caso è stato presentato da Maurizio Gatti, Presidente dell’ASCIT che gestisce i servizi dei cicli rifiuti a Capannori
e nei comuni vicini. La presentazione del progetto finalizzato all’obiettivo rifiuti-zero ha evidenziato l’articolata struttura
di buone pratiche messe in campo per la riduzione della produzione di rifiuti e per la rimessa in ciclo della maggior parte
dei materiali raccolti. Fra i risultati di maggiore interesse menzionati dalla presentazione sono da citare la creazione di
posti di lavoro a fronte di una riduzione dei costi di esercizio in termini reali e la crescente adesione della popolazione al
progetto.
Giovanni Armando, responsabile dell’Ufficio Progetti dell’ONG LVIA, ha successivamente curato la presentazione
di un progetto di cooperazione che ha contribuito ad avviare attività di raccolta e riciclaggio della plastica in due
comunità senegalesi. L’analisi del caso ha consentito, tra l’altro, di cogliere numerosi punti d’incontro fra dinamiche
sviluppatesi in contesti altamente disomogenei. L’esigenza di affrontare i problemi legati al degrado ambientale su scala
locale rappresenta anche nelle pratiche di cooperazione internazionale il motore primario della partecipazione della
popolazione alla progettazione e realizzazione delle iniziative. In questo caso, in particolare, il coinvolgimento della
comunità locale sulla questione ambientale si intreccia con il tema sociale della creazione di posti di lavoro dignitosi che
il progetto ha affrontato accompagnando cooperative di donne ad avviare piccole attività industriali di produzione di
plastica riciclata su piccola scala.
La seconda pratica sviluppata su territorio toscano è stata, infine, presentata da Andrea Trafficante, Consigliere
dell’Associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine. L’esperienza realizzata in un’ampia area forestale
appenninica rappresenta un esempio significativo di gestione partecipata del patrimonio ambientale. Il modello,
Appendici
107
sviluppato da un network internazionale, è un’interessante spunto di riflessione su come dinamiche locali possano
integrarsi per rispondere a problemi globali esplorando approcci per lo sviluppo sostenibile, creando legami tra la tutela
delle risorse, del paesaggio, lo sviluppo economico locale, il coinvolgimento delle comunità ed i bisogni delle future
generazioni.
Il seminario è stato chiuso dall’intervento finale del Vicesindaco di Capannori, Luca Menesini, che ha evidenziato alcuni
degli spunti principali emersi dalle relazioni e dagli interventi dei partecipanti e sottolineando alcuni interessanti
elementi di collegamento fra pratiche di cooperazione internazionale e pratiche sviluppate nei contesti locali italiani per
quanto riguarda la ricerca e la sperimentazione di soluzioni partecipate ai problemi di costruzione di modelli di sviluppo
sostenibile.
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L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio
1. INFORMAZIONI GENERALI
1.1 Territorio/i di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore
interesse per lo studio di caso.
1.2 Tema/i o settore/i principale/i di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano
di maggiore interesse per lo studio di caso.
1.3 Periodo di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore interesse
per lo studio di caso.
1.4 Risorse finanziarie impegnate per lo sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che
risultano di maggiore interesse per lo studio di caso.
1.5 Ambito/i di sviluppo degli effetti (tessuto produttivo, comunità territoriale, istituzioni, ...).
1.6 Obiettivi relativi allo sviluppo sostenibile.
1.7 Politiche/strategie/misure di sostegno allo sviluppo sostenibile sperimentate.
2. ELEMENTI DI INTERESSE DELL’INIZIATIVA (breve descrizione dei diversi aspetti e dei punti di forza in riferimento
alle finalità del progetto e ai temi dello sviluppo sostenibile).
2.1 Elementi innovativi.
2.2 Asset territoriali valorizzati, cioè: risorse/capitali umano, sociale, culturale, naturale, finanziario, istituzionale;
eccellenze e vocazioni (economia, tecnologia, creatività, sistema formativo, ricerca, ...) del territorio/territori coinvolti.
2.3 Attori/partner coinvolti e breve descrizione del loro ruolo all’interno dell’iniziativa.
2.4 Processi innescati.
2.5 Risultati conseguiti.
2.6 Principali precondizioni che hanno influenzato/determinato il successo dell’iniziativa o di singole componenti
(indicazioni schematiche sul rapporto fra precondizione di contesto, componente dell’iniziativa e risultato raggiunto o
previsto).
2.7 Punti di forza qualificanti ed elementi generalizzabili.
2.8 Possibilità di ulteriore valorizzazione della dimensione partecipativa allo sviluppo sostenibile territoriale
(collegamento sinergico fra attori e segmenti della/e comunità territoriale/i; sviluppo di capitale sociale
territoriale e transnazionale; adozione di un’ottica sistemica e di una logica di moltiplicazione circolare di
risorse ed energie).
Appendici
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