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I vulcani di Atacama - Viaggi Avventure nel Mondo

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I vulcani di Atacama - Viaggi Avventure nel Mondo
(02-42)Articoli Trek 2005
2-12-2004
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Cile
Fascino struggente dei monti, delle lagune
colorate, degli anumali sulle Ande Cilene
Testo e foto
di Paolo Civera
I vulcani di Atacama
Llulliallaco 6.739 mt.
N
el nord del Cile, il proseguimento della catena andina è contrassegnato da un susseguirsi di vulcani per un tratto di almeno 500
Km. Il luogo che più di ogni altro si presta
come base per la visita di quest’area è S.Pedro di Atacama, un villaggio adagiato al margine nord del Salar di Atacama. Negli ultimi dieci anni il turismo ha “scoperto” le
bellezze naturalistiche di questi luoghi.
Sempre più numerosi i viaggiatori giungono a S.Pedro durante tutto l’arco dell’anno per effettuare le escursioni che
le numerose agenzie turistiche propongono. S.Pedro e il
Salar di Atacama fanno parte di un area ancor più vasta
chiamata deserto di Atacama. Una buona parte di questo
deserto è statisticamente l’area più secca al mondo col
suo millimetro all’ anno di pioggia.
Oltre alle proposte delle varie agenzie turistiche, questi
luoghi offrono un infinità di possibili escursioni nelle quali non si incontra anima viva. Per far ciò occorre però essere completamente autonomi, significa. avere una tenda,
fornello con combustibile, viveri, una buona scorta di acqua, e tutta l’ attrezzatura per sopportare confortevolmente il freddo notturno.
A questo punto affittato un veicolo a trazione integrale ci
si potrà spingere dentro la catena andina andando a scovare le innumerevoli lagune, giungendo ai piedi di molti
vulcani. Chi ha un trascorso alpinistico oppure curiosità e
condizione fisica sarà attirato da questi coni e desidererà
sicuramente salirne qualcuno.Attenzione. l’ aria limpida e
cristallina falsa le distanze ! Meglio procurarsi una cartina
per rendersi conto quanto sia alta la montagna prescelta
e valutare se un giorno possa essere sufficiente a salirla.
Molti di questi vulcani sfiorano i 6.000 m di quota ed alcuni li superano abbondantemente.
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Il fascino struggente di questi luoghi è dovuto a più componenti:ai colori pastello più vari che si mescolano con sapienza sui pendii delle montagne, che sono dovuti ai differenti minerali che compongono le rocce,alle valli che,quasi misteriose, si insinuano tra i vulcani formando spesso
degli altipiani sui quali si trovano numerose lagune le cui
acque hanno dei colori che vanno dal verde smeraldo al
blu intenso.Altre invece sono come specchi in cui i monti si sdoppiano e da una foto si fa fatica a capire quale sia
il riflesso. Gli animali selvatici sono padroni di queste terre proprio grazie al fatto che per svariati chilometri, sia in
Cile che nelle confinanti Bolivia ed Argentina,non vi sono
insediamenti umani.Tra le specie più numerose che si possono osservare ci sono le vicugne: dei camelidi che non si
è mai riusciti ad addomesticare e che vivono in branco.Capita molto speso di incontrarle, come branchi di alpaca o
di lama selvatici.Anche la volpe la si incontra di frequente,
sia quella bruna che quella, più rara, argentata. Qui la chiamano “zorro” un nome che a noi è risultato molto simpatico.Sono talmente poco abituate alla presenza dell’ uomo ed ad essere da questo disturbate che, con un po’ di
pazienza, si riesce, offrendo loro cibo, a farle avvicinare.
Perfino asini selvatici popolano questi luoghi, ciò fa capire
quanto siano remoti da insediamenti stabili. Presso le lagune spesso si ammirano i fenicotteri rosa, mentre sopra
i pendii dei vulcani si possono vedere volteggiare dei falchi a caccia di esemplari simili a marmotte.
In un ambiente come quello che ho cercato di descrivere
è inevitabile che ci si voglia stare il più possibile, per conoscerlo e per viverlo. La salita ad un vulcano favorisce lo
scopo e gli da un senso.
Occorre a questo punto programmare bene ogni singola
giornata considerando che non si trova acqua e che tutta
quella che serve dovrete portarvela con voi. Questo è il
motivo principale che rende difficoltosa qualsiasi salita,oltre alla quota naturalmente.
Un altro problema da non sottovalutare e quello di affrontare le salite con una giusta acclimatazione per non
incorre in problemi di mal di montagna o peggio di edema. ,con le conseguenze del caso.
Dei numerosi vulcani della catena andina il Lascar, lo vedevamo fumare fin da S.Pedro, era quello che alla fine del
2002 dava i segni più vistosi di attività. Ci era stato segnalato che nei primi quindici giorni di dicembre ne era stato
vietato l’ accesso perché vi si registravano scosse violente e si erano formate delle crepe in alto nei pressi della
vetta.Tutto questo naturalmente alimentava la nostra curiosità. Personalmente non avevo mai avuto l’ opportunità di osservare da vicino un vulcano attivo. Mi immaginavo
di poter salire fino al margine del cratere e vedere giù nella caldera ribollire il magma rosso incandescente.
Decidemmo di salire il Lascar.La sua quota,5.400 m al cratere e 5.600 m in vetta era alla portata di una salita in giornata visto che si potevano raggiungere i 4.500m con i fuoristrada.
Da S.Pedro si raggiunge la base del Lascar in tre ore di auto. L’ ultimo tratto di viaggio è stupendo per la ricchezza
e la varietà dei colori della natura e per quel senso di mistero che emanano le terre selvagge, lontane dal mondo
abitato. Giunti alla base del Lascar, il grande pennacchio
bianco che esce dalla sua bocca incute un certo rispetto
e vi farà chiedere se è proprio il caso di salire fin lassù.
I dubbi lasciano il posto al desiderio di conoscere e si inizia a salire.
La salita dei vulcani è sempre un operazione un po’ delicata.Siccome sono quasi completamente coperti di ghiaia
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Cile
I colori pastello delle rocce di Atacama
di grana più o meno grossa, occorre scegliere con molta
oculatezza la traccia da seguire per non continuare a fare
un passo avanti e mezzo indietro di scivolata.
Dopo i primi duecento metri di salita si avvertono le prime”zaffate” di zolfo. Sovrappensiero stavo già imprecando verso il compagno davanti a me che non aveva avuto l’
accortezza di mettersi ultimo della fila, quando una seconda zaffata, che mi strappò un colpo di tosse, mi fece
inquadrare le cause reali di quegli odori. “Speriamo non
sia così per tutta la salita !” pensai.Ci venne in aiuto il vento che sopra i 5.000m soffiava continuamente ad ondate
di differente intensità eliminando la puzza ed il fastidio di
quell’odore acre. Passo passo, senza forzare l’andatura,
giungemmo al margine più basso del cratere ansiosi di poter osservare il suo interno. Il primo approccio col vulcano non ci soddisfò. Le rocce insicure del bordo del cratere e la verticalità della parete interna della caldera non
ci permisero di guardare di sotto come desideravamo.Potemmo solo osservare che il cratere era vasto, senza vedere la fonte del vapore che saliva poiché si trovava a picco sotto di noi.
Poco male, innalzandoci a sinistra lungo il bordo del cratere che portava alla vetta avremmo compiuto un percorso curvilineo che ci avrebbe sicuramente portati ad un
buon punto di osservazione ed al contempo ci saremmo
avvicinati alla cima del Lascar. Sopra i 5.400m si fatica abbastanza quando l’acclimatazione non è ancora a buon
punto,,ma la curiosità di poter guardare nel cratere da una
posizione vantaggiosa ci spingeva a proseguire. Arrivammo infine ad una postazione che ci permetteva di osservare l’ interno della caldera. Il cratere aveva un aspetto simile al pendio esterno del vulcano. Si notavano solo delle evidenti spaccature dalle quali uscivano con continuità
pennacchi di vapore che si congiungevano fra loro prima
di raggiungere il bordo del cratere, dando l’ impressione
di essere prodotto da un'unica grande bocca.Il vento spostava ad ondate il vapore e l’ osservazione restava a tratti difficoltosa e disturbata. Scattate alcune foto a documentazione del fenomeno,risalimmo fino a raggiungere la
spianata di vetta ove si trovava un altro cratere del diametro di circa cento metri e con una caldera a cono tronco rovesciato.
Per raggiungerla si dovevano saltare un paio di quelle crepe che si erano formate in tempi recenti ma che non evidenziavano alcun fenomeno particolare. Il solito ometto
di sassi contrassegnava il punto più alto. Avevamo raggiunto la vetta del Lascar.
Il Miniques è stato invece il vulcano che ha favo rito maggiormente la nostra acclimatazione.Dovendo essere completamente autonomi ed essendoci la necessità di dover
effettuare un campo ci ha costretto a provare il trasporto di viveri, acqua ed attrezzatura, testando così il nostro
grado di preparazione ad una salita più impegnativa. Questa montagna ha due vette evidenti, alte l’ una 5.800 m e
l’altra 5.910. Sembra fare da sfondo a due lagune stupende. la Miscanti e la Miniques.
Il Lascar ed il suo pennacchio bianco
Quando si giunge davanti a queste due lagune con sullo
sfondo i due vulcani si resta in contemplazione, rapiti dal
contesto naturale. Mi sembrava di essere l’ uomo preistorico che si affaccia sulla terra. Un mondo disabitato da
scoprire si apriva davanti ai nostri piedi. Mi sentivo infastidito dalla presenza della vettura che infrangeva queste
mie sensazioni riportandomi alla realtà. Solo dopo un bel
po’ di tempo cominciai a chiedermi da che parte sarebbe
stato meglio affrontare la salita. Su questi monti non esiste sentiero o traccia alcuna.Ogni scelta è individuale,ogni
errore si paga di persona.
Con l’ automobile, sfruttando una traccia ai piedi del Miniques, ci portammo a 4300m. Scaricati gli zaini dalla vettura ci suddividemmo i carichi più pesanti in modo da equilibrare il peso che ognuno di noi doveva sobbarcarsi in salita. I carichi da portare erano pesanti,affrontammo quindi la salita ancor più adagio di quanto ci concedeva la quota. Fino ai 5.000m salimmo senza soste. Puntavamo a porre un campo sopra i 5.000m per abituarci ad altitudini maggiori, perciò proseguimmo anche se nei pressi di quota
5.000m v’era possibilità di mettere il campo. Salimmo ancora parecchio ma più avanti non si scorgeva luogo adatto a porre una tenda anche in posizione di ripiego. Decidemmo così di ridiscendere ai 5.000m dove invece l’ opportunità c’era. Fu una scelta felice.Tende in piano ed ancora luce per cucinare la minestrina ed ingurgitare un po’
di liquidi e di frutta secca. Poi in tenda per proteggerci dal
vento che si era alzato e per riposare in vista della salita
dell’indomani.
Salire con poco carico ci rese subito molto sicuri e fiduciosi di poter raggiungere la vetta. Il pendio si impennava
sensibilmente, sperimentammo subito la difficoltà di scegliere il punto per appoggiare il piede senza scivolare indietro.Non era difficile trovare l’ appoggio giusto,ma il farlo ci obbligava ad essere costantemente concentrati. Poco più su di metà salita qualcuno cedette.
Continuammo solo in due raggiungendo i 5.800 m della
cima nord. Fummo molto contenti sia di essere riusciti a
completare la salita ed anche per aver migliorato la nostra acclimatazione in attesa delle montagne future.
Il parco nazionale dell’ Llullaillaco si trova nella parte nord
del Cile proprio al confine con l’ Argentina. E’ situato in
una zona desertica ed accedervi non è facile. La nostra
meta alpinistica principale era salire questo alto vulcano
che dà il nome al parco.
S.Pedro di Atacama è un villaggio cileno che vive di turismo. L e vie principali sono disseminate di ristorantini ed
alberghetti.Vi sono molte agenzie che propongono ai turisti le più varie mete naturalistiche ed alpinistiche sparse
su un area di centinaia di chilometri sia verso nord che al
sud e perfino nella vicina Bolivia. La meta del Parco Llullaillaco non è contemplata nelle proposte delle agenzie.
Abbiamo dovuto bussare a parecchie “Oficine de turismo”
per trovarne una che avesse un autista che sapesse come
arrivarci.Di conseguenza il costo è piuttosto alto.Ciò spiega in parte perchè il parco sia cosi poco frequentato.Alla
fine del 2002 le persone che avevano segnato la loro visita sul libro di accesso al parco erano nove. Potevamo immaginare come fosse facile mantenere integro un ambiente come quello, lontano da insediamenti abitati, con
piste mal segnate e praticabili esclusivamente da buoni fuoristrada,frequentato così poco è difficile che possa subire
danni al suo ecosistema causati dal turismo.
Il nostro gruppo era composto da.Annamaria Ulissi di Macerata con un buon curriculum di esperienze alpinistiche
in varie parti del mondo( un 7.600 fatto e due tentativi a
un ottomila), Marco Cattaneo di Alassio, attuale direttore
dell’ Istituto Nazionale di Geosismica eVulcanologia di Roma ottimo alpinista con plurime esperienze in ogni continente, e da me che avevo la responsabilità di organizzare
e coordinare il progetto.
Cristian ci fece da autista, un professore di lettere argentino che, in conseguenza della grave crisi economica del
suo paese, si era trasferito in Cile impiantando un agenzia
turistica che si stava distinguendo per iniziative molto particolari come discesa con gli sci o con la tavola dalle dune, proposte di mete naturalistiche che implichino un avvicinamento sportivo. Soprattutto dà all’agenzia una impronta di serietà di conduzione. In conseguenza a ciò non
L’interno del cratere Lascar
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fummo sorpresi che un argentino da poco in Cile fosse
una delle poche persone in S.Pedro che sapesse raggiungere il parco dell’ Llullaillaco, ci confermò l’ intraprendenza e curiosità geografica del soggetto.
I 320 chilometri da percorrere per arrivare al campo base del vulcano Llullaillaco offrono una serie di paesaggi suggestivi ed inusuali. Dopo un tratto di strada asfaltata da
S.Pedro a Toconao, ci si immette sullo sterrato costeggiando ad est il salar di Atacama per poi attraversarlo nella parte più a sud. Durante questo tratto si può osservare molto bene una faglia freatica che sotto la spinta dello
spostamento dei continenti s’è spinta verso l’ alto formando una barriera continua alla base dei grandi vulcani..
La superficie del salar presenta vari aspetti, la più classica
a grossi pentagoni di sale bianchi irregolari, un'altra con il
sale corrugato a piccoli pinnacoli, o dove terra e sale si
mescolano formando quasi un terreno mimetico.Una volta traversato il salar il percorso assomiglia più ad una pista, prende una direzione diversa da quanto logica chiederebbe.Si comincia a scorgere il vulcano da parecchi chilometri di distanza, dapprima lo si punta, poi si va per parecchi chilometri ad ovest e lo si vede allontanare, quindi
a sud come se lo si volesse continuare a vedere da lontano senza raggiungerlo. Finalmente di nuovo verso di lui. E’
a questo punto che si scorge in lontananza una grande miniera. Si chiama “mina escondida”, pare sia la più grande
miniera di rame a cielo aperto del mondo.Da lontano vedemmo nuvole di fumo che si alzavano e grandi strutture
di ferro e cemento. Non scorgemmo movimento di mezzi o di persone. Probabilmente l’accesso si trova da un altro lato. Si percorrono ancora alcuni chilometri di pista
avvicinandoci sempre più all’Llullaillaco, improvvisamente
senza alcun segnale o traccia evidente Cristian lasciò la
strada per puntare su terreno aperto verso il vulcano.Dopo un primo tratto di terreno pianeggiante sul quale si notavano varie tracce di pneumatici parallele le una alle altre, queste andarono pian piano sovrapponendosi fino a
Aspetti insoliti nei dintorni del deserto di Atacama
diventare un tratturo da fuori strada. Ancora un paio di
chilometri e incontrammo un grande cartello giallo con
scritto Parco Nazionale de Llullaillaco.Eravamo arrivati alla meta. Si procedeva molto lentamente a causa del fondo, andava bene così perché potevamo meglio osservare
il vulcano che ancora lontano dominava questa area selvaggia. Il sole era basso sull’ orizzonte e la luce con cui investiva i pendii, l’erba, le vallette evidenziava armoniosamente la bellezza di quei luoghi.
Effettuammo subito una sosta per meglio osservare un
branco di vicugne che pascolava ad un centinaio di metri
da noi. Il maschio a debita distanza dal branco controllava la situazione incerto se dar l’ ordine di fuga o attendere. L’ erba dei quattromila metri di quota, ingiallita per la
siccità, rivestiva come un manto dorato le morbide linee
dei prati. Stavamo vivendo quel percorso in un atmosfera
irreale, fatata.Avvinti sia dalla bellezza dei luoghi che dalla sensazione elettrizzante che regalava un area così integra.Ad ogni valletta, ad ogni curva della pista ci appariva
una novità, un gruppo di alpaca selvatici, una volpe, perfino due asini selvatici, panorama differenti che ci facevano
continuamente chiedere soste che ci permettessero di
ammirare un po’ più a lungo ciò che ci aveva attratto. Cristian, gratificato per il nostro entusiasmo, si comportava
quasi come se tanta bellezza fosse merito suo. La luce calava,raggiungemmo il piccolo rifugio incostudito di recente
costruzione. Si rilevò una comodissima base che ci permetteva di non piantare le tende.
La mattina, ci alzammo con le prime luci, volevamo trasferirci al più presto al campo base del vulcano per permettere a Cristian di rientrare a S.Pedro per sera. Gli accordi furono che ritornasse a prenderci dopo quattro
giorni. L’ avevamo stabilito su suo consiglio ma anche attenendoci alla relazione di salita in nostro possesso. Con
un fondo stradale così tormentato ci volle un ora per raggiungere il campo base. Quello che aveva utilizzato Gabriele Bassi nel ’99 era molto più vicino ma poco prima di
arrivarvi avevamo letto un cartello che segnalava che su
quel versante della montagna v’ era rischio di trovare mine antiuomo lasciate durante la guerra con l’argentina degli anni settanta. Cristian caldeggiava di recarci sul lato
ovest della montagna dove il percorso sarebbe stato assolutamente fuori rischio mine. Il luogo per il campo base in effetti era ideale: una valletta con fondo sabbioso
avrebbe protetto il campo dal vento permettendo al contempo di porre le tende su un terreno morbido. Un vantaggio di cui avremmo potuto beneficiare al ritorno.
Ci trovavamo a quasi 4.600 m di quota, duecento in più
che dal C.B. Bassi. Scaricammo i bagagli compresi 60 l di
acqua e salutammo Cristian che rientrava a S.Pedro.Allestimmo un deposito viveri e preparammo i rispettivi sacchi cercando di suddividerci i carichi.Volevamo partire subito e spingerci più in alto possibile. Per proteggerci dal
sole forte ci eravamo spalmati con creme schermanti, indossando cappelli a larga falda e occhiali scurissimi. Non
faceva assolutamente freddo al sole nonostante i 4600 m
di quota. La montagna sembrava vicinissima, avevamo ormai imparato che con l’aria tersa e la visibilità perfetta le
distanze risultavano non valutabili.Avremmo dovuto solamente procedere con calma e determinazione.
Prima di incamminarci ingollammo un boccone con la scusa che avremmo dovuto portare un po’ di peso in meno.
Procedevamo abbastanza vicini sotto i nostri enormi zaini che trasportavano oltre a tutta l’ attrezzatura , il carburante, i viveri l’ acqua per due giorni. Il pendio all’ inizio
offriva pendenze moderate e fondo sicuro.Man mano che
procedevamo la pendenza aumentava, il fondo era composto da sassi più o meno grossi che tendevano a scivolare verso il basso.Il carico,e lo sforzo salendo sotto il sole ci rendevano molto accaldati,ma l’ aria,una volta fermi,
si rivelava fredda. Salimmo senza soste per sei ore, avevamo superato i 5.600 m di quota e fino a quel momento
non avevamo scorto alcun luogo che consentisse di piantare una tenda. Eravamo tutti concentrati nella ricerca di
uno spazio pianeggiante, portare un carico così per più di
1.000m di dislivello a quelle quote non era stato facile.
Avevamo adocchiato un grande masso sopra di noi che
pareva distasse un centinaio di metri,dava l’impressione
che attorno ci fosse una piccola cengia pianeggiante.
Continuavamo a salire ma il grande masso restava là sopra di noi alla stessa distanza. Marco che camminava una
cinquantina di metri alla mia destra disse di aver trovato
uno spiazzo per la tenda.
Eravamo a 5.650 m. Ci sembrava per quella prima giornata di aver salito sufficientemente. Decidemmo di mettere il campo. In realtà la piazzuola era angusta e corta.
Vi lavorammo in due per un ora per riuscire a creare uno
spazio abbastanza pianeggiate per una tenda da tre. In
compenso vicino avevamo notato dei massi con delle nicchie che potevano riparare i fornelli dal vento. Preparammo subito minestrine e the da mettere nella termos
per la notte.
Le fantastiche lagune speculari punteggiano l’area dei vulcani
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Quota 6.300 mt. Salendo il vulcano Llulliallco (6.739)
Una volta rilassati e col campo allestito, osservammo con
più attenzione il panorama che si vedeva dall’alto. Potevamo spaziare lo sguardo su un area di circa 200° di ampiezza con visibilità fino a duecento chilometri di distanza. Unico segno umano che appariva alla vista era la “mina escondida” le cui luci spiccarono invadenti quando scese il buio.A cena nessuno di noi tre mangiò molto, segno
evidente che l’acclimatazione non era così completa come avremmo desiderato. Si parlava della salita e del programma per l’indomani. Si pensava a dove avremmo voluto mettere il prossimo campo visto che eravamo più in alto del previsto.
A quel punto espressi un progetto che avevo meditato
nell’ ultima ora di salita.“Oggi con zaini da oltre 25 chili
abbiamo superato quasi 1.100 m di dislivello. Se domattina partiamo presto con solo le borracce e l’attrezzatura
riusciamo a salire in vetta,in pratica dovremo salire lo stesso dislivello che abbiamo superato oggi,saremo si più lenti per la quota più alta ma saremo scarichi, quindi suppongo minor fatica.La discesa con questi ghiaioni non dovrebbe essere troppo impegnativa.Penso potrà essere anche veloce. Secondo me si può fare.” Ci fu un momento
di perplessità. Si trattava di uno stravolgimento di programma, ma la proposta ai miei compagni sembrò ragionevole. Il peso degli zaini aveva messo a dura prova tutti.
Mi alzai un ora prima della luce per preparare il tè.Ancor
prima dell’aurora ci incamminammo alla luce dei frontalini. Così scarichi salivamo sicuri e, relativamente alla quota, veloci. Il ritmo diminuì decisamente sopra i 6.200 m.
Sopra i seimila metri camminammo
sulla neve.
Una neve dura ma poco scivolosa. Non calzammo ramponi. La luce ormai alta, col riverbero della neve, dava fastidio agli occhi nonostante portassimo gli occhiali scuri
con la protezione laterale.
Avanzavamo sempre più lenti. 6.400 m, poi 6.500 m,6.600
“Ci siamo, si vedono i roccioni della punta” dicemmo. Ma
qual’era la vera vetta? Dal basso si vedevano diversi cucuzzoli. Verso i 6.650 m il pendio è ricoperto da grandi
massi che salimmo aggrappandoci con le mani,puntammo
ad un primo cucuzzolo, ma non si rivelò il più alto, poi ad
un altro.Marco trovò quello giusto,era sicuramente quello perché c’era il libro di vetta.
Dal 1950 ad oggi saranno poco più di una cinquantina di
persone ad essere arrivate quassù. La maggior parte di
queste firme erano state scritte negli ultimi dieci anni.
Le discesa risultò più rapida. Eravamo stanchi e senza le
energie sufficienti per poter controllare ed azzardare scivolate veloci sulla neve. Fu più semplice quando giungemmo sugli sfasciumi.Bastava fare un passo in avanti e si scendeva almeno di un metro, se non più. Ci accorgemmo che
non era facile orientarci. In salita avevamo incontrato due
depositi di materiale. uno era formato da una tenda avvolta nel suo sacco e da una piccola scorta di viveri, un altro, in un altro punto, consisteva in due grosse bottiglie di
acqua piene, due materassini zavorrati con sassi ed un po’
di materiale per cucinare. Probabilmente chi aveva lasciato quei deposti pensava di recuperali in discesa e poi non
li aveva trovati. Il pendio dei vulcani è generalmente molto uniforme, e Llullaillaco non era da meno, i punti di riferimento sono poco evidenti,
è molto facile sbagliare direzione. Noi pensavamo di percorrere a ritroso lo stesso itinerario di salita e stavamo
cercando la nostra tenda che era piantata e quindi ben visibile, non riuscivamo a vederla. Marco consultò il GPS è
scoprimmo di essere duecento- trecento metri più a destra della sua posizione, traversando ritrovammo il campo. Grazie al GPS.Al campo respirammo di sollievo, non
era tardi, avevamo davanti a noi ancora due-tre ore di luce. Preparai un brodo per tutti e ci sforzammo di mangiare. Eravamo soddisfatti per aver raggiunto la meta, eravamo in vantaggio di due giorni sulla tabella di marcia e
non ci andava di sprecarli a gironzolare attorno al campo
base. Decidemmo di utilizzare il telefono satellitare che
avevo portato per sicurezza in caso di grave emergenza.
Telefonammo all’ agenzia di Cristian.
Lui non c’era, lasciammo detto che avevamo concluso la
salita e che poteva venirci a prendere già l’indomani.Ci rintanammo nei sacchi a pelo dormendo di gusto. La mattina
fummo svegliati dal vento che faceva sbattere la tenda.
Qualcuno si preoccupò di preparare una bevanda calda,altri di smontare il campo. In breve fummo pronti a scendere.Questa volta,ben in forza dopo il riposo notturno,scendevamo velocissimi nonostante i sacchi pesanti. Rallentammo solo un po’ quando il pendio si addolcì. Anche li
trovammo la giusta direzione grazie al GPS. Sicuramente
avremmo potuto farlo con la bussola. Col GPS risulta di
una facilità infantile. Pensai che questo strumento utilissimo, se abituati ad usarlo spesso, avrebbe potuto rendere
gli abituali utilizzatori incapaci ad usare una bussola per impigrimento mentale. Un aspetto da considerare.
Ai 4.600 m del campo base tornò improvvisamente l’appetito. Erano le nove di mattina e improvvisammo un
pranzo in cui non mancarono verdura e frutta. Non avevamo ancora finito di sistemare i bagagli che alle 11.00
udimmo il rombo soffuso di un motore. Cristian stava
giungendo.
Le pendici del Llulliallco
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