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Linee guida, buone pratiche e colpa grave

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Linee guida, buone pratiche e colpa grave
Opinioni
Diritto penale
Responsabilità medica
Linee guida, buone pratiche
e colpa grave: vera riforma
o mero placebo?
di Alessandro Roiati (*)
La legge di conversione del c.d. decreto Balduzzi statuisce all’art. 3, comma 1, che «l’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve». Il lavoro si propone di indagare la portata applicativa della norma, la cui principale valenza innovativa viene individuata, non tanto nell’effettiva restrizione della responsabilità, quanto piuttosto nell’espressa indicazione di specifici parametri di valutazione
della condotta del sanitario.
Il peculiare iter legislativo che ha portato
all’approvazione dell’art. 3, comma 1,
l. 8 novembre 2012 n. 189
Il d.l. 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni «per promuovere lo sviluppo del Paese mediante
un più alto livello di tutela della salute», è stato
emanato in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di procedere al riassetto dell’organizzazione sanitaria, tenuto conto della contrazione
delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale a seguito delle varie manovre di contenimento della spesa pubblica, attraverso la riorganizzazione ed il miglioramento dell’efficienza di alcuni fondamentali elementi del Servizio stesso».
Tra le finalità ispiratici del coacervo di disposizioni
previste dal citato decreto, un rilevo preminente è
stato attribuito all’obiettivo di contenere il contenzioso giudiziario ed «il fenomeno della cosiddetta
medicina difensiva (1), che determina la prescrizione di esami diagnostici inappropriati, con gravi conseguenze sia sulla salute dei cittadini, sia sull’aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie» (2).
In questa direzione l’art. 3, comma 1, rubricato come “Responsabilità professionale dell’esercente le
professioni sanitarie”, nella sua originaria versione
statuiva che «fermo restando il disposto dell’articolo
2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza,
216
nel caso concreto, delle linee guida e delle buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale».
Con questa disposizione il Legislatore si riproponeva di determinare casi di esclusione dalla responsabilità per i danni derivanti dall’esercizio della professione sanitaria, andando ad incidere sul piano
prettamente civilistico anche in combinato disposto con i restanti commi, volti ad agevolare l’accesso dei sanitari alle polizze assicurative attraverso
una serie di previsioni in grado di determinare il
contenimento dei relativi costi (3), nonché a preNote:
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
(1) Sulla portata e sulle implicazioni penalistiche della defensive
medicine cfr. in particolare Centro Studi Federico Stella, Il problema della medicina difensiva, a cura di G. Forti - M. Catino - F.
D’Alessandro - C. Mazzucato - G. Varraso, Pisa, 2010; L. Eusebi, Medicina difensiva e diritto penale «criminogeno» in Riv. it.
med. leg., 2011, 1085; R. Bartoli, I costi «economico-penalistici»
della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2011, 1107 ss.; G.
Rotolo, «Medicina difensiva» e giurisprudenza in campo penale:
un rapporto controverso, in questa Rivista, 2012, 1259 ss. Si
consenta inoltre il rinvio ad A. Roiati, Medicina difensiva e colpa
professionale medica in diritto penale, Milano, 2012.
(2) Così testualmente il disegno di legge consultabile sul sito
www.nuovo.camera.it. Il carattere di urgenza - si legge nella relazione - è legato alla considerazione che la richiamata situazione di forte restrizione delle risorse finanziarie disponibili per il
Servizio sanitario nazionale, unitamente al mancato controllo di
questo crescente fattore di spesa inappropriata, genererà insopportabili difficoltà per le regioni e le aziende sanitarie.
(3) Al riguardo si evince dal disegno di legge che «nel settore sa(segue)
Diritto penale e processo 2/2013
Opinioni
Diritto penale
vedere la determinazione del danno biologico per
medical malpractice mediante il rinvio alle tabelle
del codice delle assicurazioni per danni derivanti da
circolazione stradale.
A seguito dell’emanazione del decreto legge in questione però la Commissione Giustizia rilevava che,
in relazione al comma 1 dell’art. 3, «la limitazione
della responsabilità civile per danni ai soli casi di
dolo e colpa grave nel caso in cui l’esercente la professione sanitaria si sia attenuto, nello svolgimento
della propria attività, a linee guida e buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica nazionale e
internazionale, appare essere in contrasto con il
principio costituzionale di ragionevolezza, in quanto
per un medesimo fatto un soggetto potrebbe essere
penalmente responsabile ma non civilmente rispetto ai danni derivanti dal reato commesso».
Sulla scorta di tali rilevi, accolti in sede di conversione dalla Camera dei Deputati ed in lettura conforme al Senato, veniva approvata la l. 8 novembre
2012, n. 189, la quale, all’art. 3, comma 1, stabilisce
che «l’esercente le professioni sanitarie che nello
svolgimento della propria attività si attiene a linee
guida e buone pratiche accreditate dalla comunità
scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella
determinazione del risarcimento del danno, tiene
debitamente conto della condotta di cui al primo
periodo».
L’intervento di riforma tra tendenza
alla positivizzazione delle regole cautelari
e limite della colpa grave
Il breve excursus tracciato in merito alle fasi che hanno portato all’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012, n. 189 in tema di colpa
professionale medica, testimonia come la norma sia
transitata quasi accidentalmente dall’ambito civilistico a quello penale, là dove la sua genesi, lungi dal
costituire il frutto di un meditato intervento, si inserisce in un più ampio contesto ispirato da finalità
eterogenee ma accomunate dall’ambizioso obiettivo
di promuovere, riducendo i costi, «un più alto livello
di tutela della salute». Nonostante questo carattere
di estemporaneità, la disposizione in questione si innesta nell’alveo di un dibattito da tempo avviato, da
un lato in relazione al processo di formalizzazione e
positivizzazione delle regole cautelari che ha riguardato anche il settore del diritto penale della medicina (4), per definizione regno della colpa generica,
dall’altro in riferimento alla possibilità di circoscrivere l’ambito di rilevanza penale nello svolgimento
Diritto penale e processo 2/2013
dell’attività sanitaria mediante il limite della colpa
grave, vero e proprio leit motiv attorno a cui ruotano
la maggior parte delle questioni de jure condito e de jure condendo (5). Basti pensare, al riguardo, all’ampia
discussione sviluppatasi attorno alla possibilità di
estendere alla colpa penale il dettato di cui all’art.
2236 c.c., il quale costituisce il «riflesso di una normativa dettata a fronte di due opposte esigenze: quella di non mortificare troppo l’iniziativa del professionista e quella inversa di non indulgere verso non
ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso» (6). In particolare l’introduzione di
detta limitazione relativamente a taluni ambiti troverebbe giustificazione sostanziale nella loro peculiare dimensione del rischio, là dove quest’ultimo viene
generato, ed in certa parte giustificato, dallo svolgimento di un’attività posta in essere dal soggetto
agente, non per finalità proprie, ma a beneficio di altri soggetti, i quali di frequente rappresentano le stesse vittime potenziali di quei rischi (7).
Note:
(continua nota 3)
nitario, attualmente interessato da un forte incremento del contenzioso giudiziario e da un conseguente innalzamento dei premi delle polizze assicurative, basate sul calcolo dei rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale, il suddetto obbligo
potrebbe penalizzare alcune categorie di professionisti, particolarmente esposte a tali rischi in ragione dell’occupazione e dell’attività svolta». Per tali soggetti la difficoltà di accesso alle polizze assicurative «è suscettibile di causare notevoli criticità, che
potrebbero sfociare in un ulteriore ampliamento delle pratiche
della medicina difensiva».
(4) Cfr. in particolare D. Castronuovo, L’evoluzione teorica della
colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2011, 1606 ss.; G. Fiandaca, Appunti su causalità e colpa
nella responsabilità medica, in Responsabilità penale e rischio
nelle attività mediche e d’impresa, a cura di R. Bartoli, Firenze,
2010, 183 ss.; A.R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individualizzazione della colpa penale nel settore sanitario, Torino, 2012, 6 ss.; F. Giunta, La legalità della colpa, in Criminalia,
2008, 154; D. Micheletti, La colpa del medico. Prima lettura di
una recente ricerca «sul campo», in Criminalia, 2008, 203.
(5) Basti pensare che l’opportunità di limitare la responsabilità
penale alla colpa grave è già espressa in F. Carrara, Programma
del corso di diritto criminale. Parte speciale, Firenze, 1909, par.
89-90. In una prospettiva anche comparatistica A. R. Di Landro,
La colpa medica negli Stati Uniti e in Italia, Torino, 2009, 274,
sottolinea che «nel persistente dubbio sulla necessità (anche solo mera opportunità) di punire la negligente in generale, ed in
particolare la medical negligence, la prospettiva che sembra oggi riscuotere più successo (a livello di ius conditum, nei paesi anglosassoni, e di ius condendum in Italia) è quella di un diritto penale “comunque ridotto”, che punisce solo la colpa grave». In
un’ottica de lege ferenda favorevole all’introduzione del limite
della colpa grave, cfr., da ultimo, Centro Studi Federico Stella, Il
problema della medicina difensiva, cit., 76 ss.
(6) Così, Corte Cost., 28 novembre 1973, n. 166, in Foro it.,
1974, I, c. 19.
(7) L. Eusebi, Tavola rotonda di presentazione e discussione del
Progetto, in Il Problema della medicina difensiva, cit., 167.
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Opinioni
Diritto penale
A fronte delle altisonanti questioni evocate dalla
norma in esame, occorre però sin d’ora sottolineare
che la sua effettiva portata applicativa si mostra
piuttosto ridotta, soprattutto se si considera la rilevanza di quanto implicitamente residua, ovvero: 1)
che in ipotesi di inosservanza di linee guida e prassi
scientificamente accreditate l’operatore sanitario
potrà essere sempre ritenuto responsabile secondo
gli usuali parametri e dunque anche per colpa lieve;
2) che anche in caso di osservanza di linee guida e
prassi consolidate possono residuare ipotesi di responsabilità, sebbene circoscritte al ricorrere di una
non meglio definita “colpa grave”; 3) che il riferimento a questi parametri di giudizio maggiormente
“oggettivizzati” viene comunque sottoposto al preventivo vaglio interpretativo giurisprudenziale,
chiamato a selezionare le sole linee guida e prassi
scientificamente accreditate.
La principale valenza innovativa dell’art. 3, comma
1, l. 8 novembre 2012, n. 189, sembra dunque doversi cogliere, non tanto nell’effettiva restrizione
della responsabilità, quanto piuttosto nell’espressa
indicazione di criteri di valutazione medico-legale
della condotta sanitaria che vincolano giudice e
consulenti tecnici al confronto con i parametri di
giudizio propri dell’agire medico (8). In questa direzione si consideri anche il comma 5 del medesimo
art. 3, a norma del quale, «gli albi dei consulenti tecnici d’ufficio devono essere aggiornati con cadenza
almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a
quella medico legale, una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche
dell’area sanitaria anche con il coinvolgimento delle società scientifiche, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel
procedimento» (9).
Al di là di questi aspetti però l’art. 3, comma 1, l. 8
novembre 2012 n. 189, in quanto circoscritto alle
non frequenti ipotesi di responsabilità colposa nonostante l’osservanza di linee guida e prassi scientificamente accreditate, finisce per assumere in concreto un significato per lo più simbolico (10), ferma
restando la necessità di confrontarsi con un dettato
normativo che tocca temi già oggetto di ampie trattazioni, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale,
sebbene con esclusivo riferimento alla definizione
generale del delitto colposo di cui all’art. 43 c.p.
Alla ricerca di una nozione di colpa penale
maggiormente selettiva
Nonostante i già evidenziati limiti applicativi dell’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012, n. 189, è opportuno rilevare due aspetti che rivestono un indub-
218
bio significato sul versante penalistico e che, almeno nelle intenzioni, possono essere oggetto di sicuro
apprezzamento: la constatazione di uno sforzo del legislatore teso a configurare il crimen culposum in termini maggiormente autonomi e soprattutto più selettivi rispetto alla colpa civile; l’esplicito riconoscimento del ruolo che le linee guida e le prassi possono rivestire nell’individuazione della regola cautelare e nell’imputazione dell’evento lesivo.
Il primo aspetto è stato anche recentemente evocato a più riprese dalla dottrina (11) e, nello specifico
ambito sanitario, ha trovato fertile humus nel dibattito aperto sulla portata ed i costi della medicina difensiva (12), nonché in relazione alla sottesa necessità di ridurre il contenzioso per medical malpractice.
Al riguardo, un autorevole indirizzo interpretativo
ha invocato l’adozione di una prospettiva “intrasistematica” (13), posto che l’eccessiva estensione
della responsabilità penale risulta di frequente riconducibile ad un utilizzo troppo disinvolto delle
categorie giuridiche di riferimento (14) e, di conseNote:
(8) In merito ai profili di carattere intertemporale derivanti dall’intervento di riforma cfr. Cass., Sez. IV, 29 gennaio 2013, Cantore,
con un primo commento, in attesa del deposito delle motivazioni, di G. Gatta, Colpa medica e art. 3, co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l’abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve, in www.penale contemporaneo.it.
(9) Un intervento specifico in materia era già stato prospettato
dal Progetto di riforma presentato dal Centro Studi Federico
Stella, il quale prevedeva l’obbligo di affidare l’espletamento della perizia ad un «collegio composto da uno specialista in medicina legale ed uno o più specialisti nelle singole materie oggetto
del procedimento, da selezionare attraverso appositi elenchi».
Cfr. in merito la Relazione di presentazione del Progetto, in Il problema della medicina difensiva, cit., 82.
(10) Cfr., P. Piras, In culpa sine culpa, in www.penalecontemporaneo.it,
1 ss., che, nel conferire particolare rilievo al paradosso sotteso
alla norma di configurare una culpa sine culpa, ritiene «di difficile ipotizzabilità una colpa grave sorta per linee guida rispettate»,
posto che, tra l’altro, «le linee guida sono specialistiche, quindi
attenersi ad esse presuppone il rispetto delle più elementari regole dell’arte medica, nella cui violazione consiste invece la colpa grave».
(11) Cfr. in particolare, D. Castronuovo, La colpa penale, Milano,
2009, 341 ss.; A. Canepa, L’imputazione soggettiva della colpa,
Torino, 2011, 186 ss.; A. R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individualizzazione della colpa penale nel settore sanitario, cit., 101 ss.; M. Grotto, Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa specifica, Torino, 2012, 305 ss.
(12) Per tutti, Centro Studi Federico Stella, Il problema della medicina difensiva, cit., 17 ss.
(13) Cfr. F. Palazzo, Causalità e colpa, in Cass. pen., 2010, 1230,
il quale sottolinea che «la via dell’intervento legislativo si rivela
ardua per le difficoltà sia tecniche che politiche che essa presenta, a causa della capacità di resistenza delle categorie dogmatiche; più realistica è invece la strada dell’adeguamento in via
giurisprudenziale».
(14) G. De Francesco, Dolo eventuale, dolo di pericolo, colpa co(segue)
Diritto penale e processo 2/2013
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Diritto penale
guenza, possono auspicarsi rielaborazioni di quest’ultime, nella prospettiva di una tutela che involga sia
il paziente, sia gli esercenti la professione sanitaria.
A tal fine, ovvero per ricondurre la colpa medica ad
una dimensione realmente penale, si è sostenuto come potesse essere sufficiente recuperare la “colpevolezza della colpa”, cioè il profilo di rimproverabilità
soggettiva della violazione della regola cautelare,
nonché incrementare l’attenzione per la colpa che
alligna nel contesto organizzativo, in cui sempre più
spesso e necessariamente si svolge l’attività medica
(15). L’ambito del penalmente rilevante andrebbe
quindi riservato esclusivamente alle ipotesi di evento avverso prodottosi in conseguenza di una colpa
caratterizzata da un quid pluris oltre la violazione
obiettiva della lex artis.
L’esigenza di valorizzare il piano della cd. colpevolezza della colpa è stata poi ulteriormente ribadita
mettendo in luce i possibili rimedi, sul piano della
individualizzazione e concretizzazione del giudizio,
agli esiti delle dominati concezioni normative, che
producono nella prassi applicativa moduli di accertamento eminentemente astratti e oggettivi (16).
Di recente invece l’obiettivo di ridurre il contenzioso giudiziario, ed almeno in certa parte il fenomeno
della medicina difensiva, è stato perseguito proponendo un ampio articolato normativo che, tra l’altro, prevede l’introduzione di una fattispecie autonoma di reato dal titolo “Morte o lesioni come conseguenza di condotta colposa in ambito sanitario”
(17), secondo la quale «l’esercente di una professione sanitaria che, in presenza di esigenza terapeutiche, avendo eseguito od omesso un trattamento, cagioni la morte o una lesione personale del paziente è
punibile ai sensi degli artt. 589 e 590 solo in caso di
colpa grave»; il secondo comma individua poi i profili che connotano la gravità della colpa, statuendo
che «ai sensi del presente articolo la colpa è grave
quando l’azione o l’omissione dell’esercente una
professione sanitaria, grandemente inosservante di
regole dell’arte, ha creato un rischio irragionevole
per la salute del paziente, concretizzatosi nell’evento». Pur prestando il fianco a taluni rilievi critici
ben noti, soprattutto in tema di rispetto dei principi
di uguaglianza e tassatività (18), la proposta normativa avanzata da Centro Studi Federico Stella ha
l’indubbio pregio di prevedere espressamente il limite della colpa grave nella sfera del penalmente rilevante e di esplicitarne il contenuto in un’apposita
definizione, la quale invece è del tutto assente nel
dettato normativo di cui all’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012, n. 189.
A fronte dell’ampio panorama di prospettive avan-
Diritto penale e processo 2/2013
zate dalla nostra dottrina per offrire un concetto di
colpa penalmente rilevante maggiormente autonomo e selettivo, la disposizione in esame offre quindi
una soluzione affetta da scarsa determinatezza ed eccessivamente circoscritta nella sua effettiva sfera di
operatività, pur costituendo un primo timido segnale verso quell’istanza di extrema ratio che dovrebbe
sempre contraddistinguere l’intervento sanzionatorio rimesso al diritto penale.
Alla ricerca di una nozione di colpa penale
maggiormente determinata
Tra le numerose istanze che la classe medica solleva
in riferimento alle incertezze interpretative che conNote:
(continua nota 14)
sciente e «colpa grave», alla luce dei diversi modelli di incriminazione, in Cass. pen., 2009, 5015, sottolinea l’esigenza di salvaguardare determinati modelli sul piano dogmatico ed interpretativo atti a guidare il giudice nelle singole vicende concrete, in
modo da evitare che le spinte riformatrici possano suonare come una legittimazione a superare confini che quei modelli prospettano, e a privilegiare quelle logiche di gestione del rischio
nelle quali l’individuo rimane sullo sfondo, quasi integralmente
asservito ad un meccanico bilanciamento tra costi e benefici del
tutto incurante del suo personale contributo alla realizzazione
dell’offesa.
(15) F. Palazzo, Responsabilità medica, «disagio» professionale e
riforme penali, in questa Rivista, 2009, 1064, rileva altresì che
«troppi processi sono tutti “giocati” sul piano della causalità e
della lex artis, mentre il vero nodo problematico è quello della
rimproverabilità colposa».
(16) Così D. Castronuovo, La colpa penale, cit., 462-470, che riafferma una «nozione normativa di colpa che può dirsi «bifunzionale», secondo la distinzione strutturale e sistematica tra un momento oggettivo e soggettivo, che definisce infatti l’illecito colposo come fatto involontario posto in essere mediante violazione di regole precauzionali (un momento al quale, dunque, non
sono estranei anche i fattori psicologici), e un giudizio soggettivo-individualizzante di colpevolezza colposa, in cui tutti quei fattori soggettivi e psicologici che definiscono il singolo fatto illecito dovranno essere valutati in rapporto all’autore e alla situazione concreta in cui si è trovato ad agire». I rischi di accentuare il
carattere presuntivo del giudizio, ricorrendo ad una qualificazione colposa in senso obiettivo-generalizzante, sono stati messi in
luce in particolare da G.V. De Francesco. Il «modello analitico»
tra dottrina e giurisprudenza: dommativa e garantismo nella collocazione sistematica dell’elemento psicologico del reato, in Riv.
it. dir. proc. pen., 1991, 132.
(17) Titolo così modificato nella sua versione definitiva rispetto al
precedente «Morte o lesioni come conseguenza dell’esercizio di
una professione sanitaria», riportato in Centro Studi Federico
Stella, Il problema della medicina difensiva, cit., 47 ss. Un primo
tentativo di prevedere un’autonoma fattispecie di trattamento
medico colposo accanto ai reati comuni di omicidio e lesioni personali colpose risale a A. Manna, Profili penalistici del trattamento medico-chirurgico, Milano, 1984, 168. Norme specificamente
rivolte alla professione medica sono contenute inoltre, ad esempio, nei codici penali spagnoli e portoghesi. Sul punto cfr. A. R.
Di Landro, La colpa medica negli Stati Uniti e in Italia, cit., 252.
(18) In tal senso cfr. l’ampia discussione sviluppatasi nella Tavola Rotonda, integralmente riportata in Centro Studi Federico
Stella, Il problema della medicina difensiva, cit., 11 ss.
219
Opinioni
Diritto penale
traddistinguono l’accertamento della responsabilità,
un posto preminente è senz’altro attribuibile alla necessità di una maggiore tipicizzazione dell’illecito, a
cui corrisponde l’esigenza di discernere in anticipo il
comportamento vietato rispetto a quello consentito.
Si tratta, come a tutti noto, del tema centrale sotteso al carattere aperto delle fattispecie colpose (19),
che involge in primo luogo il rispetto dei principi di
legalità e sufficiente determinatezza ex art. 25, comma 2, Cost. (20).
In questa direzione può considerarsi almeno in certa
parte apprezzabile lo sforzo profuso dell’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012, n. 189, per conferire maggiore afferrabilità al precetto colposo, ed in particolare al procedimento di individuazione della regola
cautelare, là dove il giudice, nella valutazione dell’attività riguardante l’esercente la professione sanitaria, è espressamente tenuto a confrontarsi con
l’eventuale esistenza di “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”, la cui
osservanza comporta un’esenzione della responsabilità penale “per colpa lieve”. In tal modo il Legislatore, in relazione al piano strettamente giuridico, ha
conferito esplicita rilevanza a strumenti di codificazione del sapere medico di non agevole classificazione e collocazione (21) e, in riferimento all’ambito
medico-scientifico, è implicitamente intervenuto
sul ben noto dibattito sviluppatosi in merito alla
portata da attribuire alla cd. Evidence Based Medicine
(22).
Nella nostra dottrina l’istanza volta ad individuare
parametri di giudizio maggiormente oggettivizzati
trae origine dai crescenti limiti evidenziati dal prevalente indirizzo teorico, che individua il dovere oggettivo di diligenza posto a fondamento della fattispecie colposa sulla scorta del parametro relativistico dell’homo eiusdem professionis et condicionis (23),
se non anche in riferimento alla migliore scienza ed
esperienza del momento storico (24). Al riguardo si
sottolinea in particolare come le insidie dei cd. rischi della modernità abbiano reso sempre meno afferrabile l’illuministica figura dell’agente modello,
“condensato di umane virtù” (25), che rischia di trasformarsi sempre più «nell’uomo senza qualità, preda
di un’intelligenza affascinata dall’esattezza scientifica, in eterno conflitto con l’infinita indeterminatezza del reale» (26).
La ricerca di criteri di giudizio in grado di spersonalizzare il piano oggettivo-ricognitivo della fattispecie tipica, senza riferimenti ad un sapere teorico ed
assoluto, e di ovviare così all’approccio tradizionale
ricostruttivo della tipicità colposa in termini non
già descrittivi, ma puramente ascrittivi, si è svilup-
220
pata, da una parte attraverso il riferimento alle regole prasseologiche di esperienza generalmente riconosciute e condivise (27), dall’altra, con specifico
Note:
(19) Secondo la nota definizione di H. Welzel, Fahrlässigkeit und
Verkehrsdelikte. Zur Dogmatik der fahrlässigen Delikte, Karlsruhe, 1961, 14. Sul punto cfr. inoltre G. Stratenwerth, L’individuazione della misura di diligenza nel delitto colposo, t.i. A. Castaldo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, 635 ss.
(20) F. Palazzo, Corso di diritto penale, Torino, 2011, 331, rileva
come la fattispecie del reato colposo dia luogo ad una caduta
della legalità. E ciò non solo perché il richiamo espresso o implicito alle norme cautelari abbraccia solitamente anche regole di
fonte non legislativa, ma anche perché l’ineliminabile processo
di concretizzazione presenta margini di incertezza entro i quali si
muove il giudice.
(21) In merito parte della dottrina sottolinea come il nostro codice, nel definire il delitto colposo, abbia attribuito rilievo anche a
fonti subnormative, per cui le linee guida, ove largamente impiegate, costituiscono pratiche normative aventi il rango di «discipline», le quali però «possono al più contribuire all’individuazione
delle regole di diligenza caratterizzanti il singolo caso, non potendosi stabilire alcun automatismo di sorta tra la loro violazione
e la responsabilità professionale del sanitario». Cfr. G. Iadecola,
Il valore «dell’opinione» dell’ordine professionale e delle società
scientifiche nel contenzioso penale, in Riv. it. med. leg., 2001, 11
ss.; P. Piras - A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, in Medicina e diritto penale, a cura di S. Canestrari - F. Giunta - R. Guerrini - T. Padovani, 2009, Pisa, 289.
(22) G. Corbellini, Breve storia delle idee di salute e di malattia,
Roma, 2005, 123, sottolinea che la medicina di oggi è caratterizzata, per quanto riguarda le sue basi scientifiche, da due diverse
filosofie della conoscenza medica, come si evince chiaramente
dal dibattito in corso sul significato dell’Evidence Based Medicine: «l’EBM, ovvero la medicina basata sulle prove di efficacia,
che nell’ultimo decennio è stata proposta come un nuovo paradigma, fa riferimento alla filosofia degli approcci epidemiologici,
e assume come metodologia fondamentale per le scelte mediche le prove empiriche ricavate da trial clinici e dalle metanalisi.
Rispetto al vecchio paradigma, che considerava sufficiente per
un buon esercizio della pratica medica l’esperienza personale del
medico e le conoscenze della fisiopatologia applicata ai problemi
clinici, l’EBM ritiene necessaria anche la standardizzazione delle
scelte sulla base di uno sforzo metodologico volto a rendere riproducibili le osservazioni e, soprattutto, non considera né necessarie né sufficienti le conoscenze fisiopatologiche per avere
indicazioni da seguire nella pratica clinica».
(23) Per tutti G. Marinucci, La colpa per inosservanza, Milano,
1965, 194 ss. Nella manualistica in particolare G. Fiandaca - E.
Musco, Diritto penale, Bologna, 2009, 554 ss.
(24) Si tratta della ben nota tesi proposta da F. Mantovani, Colpa,
in Digesto delle discipline penalistiche, II, Torino, 1988, 205 ss.,
il quale sottolinea anche la necessità di integrare la qualificazione della condotta come incauta secondo la miglior scienza ed
esperienza del momento storico con il requisito dell’attribuibilità
in concreto dell’inosservanza all’agente.
(25) Cfr. F. Giunta, I tormentati rapporti tra colpa e regola cautelare, in questa Rivista, 1999, 1296.
(26) Così, in riferimento alla celebre opera di Musil, V. Attili,
L’agente modello nell’era della complessità: tramonto, eclissi o
trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 1240.
(27) In tal senso, F. Giunta, La legalità della colpa, cit., 165, il quale sottolinea come il concetto di dovere di diligenza non sia
esclusivamente penalistico e come «il riferimento alle prassi
cautelari laicizza la nozione di diligenza, conferendole un caratte(segue)
Diritto penale e processo 2/2013
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Diritto penale
riferimento all’attività medica, mediante il rinvio a
linee guida elaborate da società scientifiche di prestigio internazionale (28).
Orbene di certo il nuovo art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012, n. 189, riferendosi espressamente a linee guida e buone pratiche quali criteri di giudizio
del procedimento di individuazione della regola
cautelare, potrebbe agevolare la descrizione in termini tendenzialmente generali del comportamento
vietato, rendendolo maggiormente riconoscibile ex
ante anziché incentrato sull’agente hic et nunc (29),
così come potrebbe contribuire a ridurre il rischio di
incorrere in un giudizio impari, fondato sul mero accertamento causale e sulla logica del post hoc ergo
propter hoc (30), per l’evidente differenza di prospettiva che contraddistingue chi giudica e chi è giudicato: «quest’ultimo ha agito in un contesto di polisemia, senza poter contare su una compiuta percezione del decorso causale; il primo, invece, conosce
già l’esito e tende a calibrare la sua ricostruzione su
questa previa, importante acquisizione» (31).
L’apprezzabile sforzo compiuto in direzione della tassatività/predeterminabilità della condotta doverosa
sconta però inevitabilmente i limiti intrinseci che
contraddistinguono sia le linee guida che le buone
pratiche, al punto che lo stesso Legislatore sottintende un duplice filtro valutativo: da un lato richiedendo - in termini invero assai generici - che linee
guida e buone pratiche siano “accreditate dalla comunità scientifica” e, di conseguenza, di comprovata attendibilità epistemologica o statistica; dall’altro
facendo residuare, anche in ipotesi di comportamento conforme a tali parametri valutativi, la possibilità di incorrere in responsabilità per colpa “non
lieve”, da valutare alla stregua degli usuali parametri
della prevedibilità ed evitabilità dell’evento. In tal
modo si finisce implicitamente per riconoscere al
giudice quel margine di discrezionalità che si sarebbe voluto eliminare o quantomeno ridurre e che però, in taluni casi, si rivela imprescindibile, per non
correre l’elevato rischio di scambiare il mezzo per il
fine, sostituendo alla valutazione circa l’effettiva salvaguardia della salute del paziente quella relativa alla prassi o alla direttiva più accreditata e/o consolidata (32).
Anche il ricorso a parametri di giudizio maggiormente oggettivizzati non risolve quindi, una volta
per tutte, il problema della individuazione della regola cautelare da applicare alla fattispecie concreta,
posto che, per sua natura, la medicina cura singoli
organismi, l’unicità delle cui risposte sfugge a qualsiasi astrazione categoriale e le cui situazioni di rischio variano in relazione ad innumerevoli fattori,
Diritto penale e processo 2/2013
riproducendosi raramente in maniera costante ed
indistinta (33). Si tratta di una conclusione a cui segue l’inevitabile ridimensionamento del piano valutativo costituito dalle linee guida e dalle buone pratiche, le quali possono sì guidare l’interprete nella
ricostruzione del tipo (34), ma non vincolarlo in
termini di stretta applicazione nella decisione della
Note:
(continua nota 27)
re empirico e contrastandone l’immanente tensione etica: diversamente, l’accezione deontologica dell’agente modello, apparendo sempre più il ritratto dell’uomo con troppe qualità, esercita una spinta costante verso livelli di eccellenza, anche a discapito della certezza e della riconoscibilità della regola cautelare.
Non si dimentichi infatti che la colpa, come tutti i parametri normativi, non sta nella testa di chi agisce, ma in quella di chi giudica».; D. Micheletti, La colpa del medico, cit., 195.
(28) Sul possibile ruolo delle linee guida in ambito penalistico
cfr., tra gli altri, M. Caputo, «Filo d’Arianna» o «flauto magico»?
Linee guida e checklist nel sistema della responsabilità per colpa
medica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, 885 ss.; A.R. Di Landro,
Dalle linee guida e dai protocolli all’individualizzazione della colpa
penale nel settore sanitario, cit., 8 ss.; P. Piras - A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, cit., 285 ss.; A. Farnetti,
Problemi di responsabilità sanitaria, Milano, 2007, 124; M. Portigliatti Barbos, Le linee guida nell’esercizio della pratica clinica, in
questa Rivista, 1996, 861; E. Terrosi Vagnoli, Le linee guida per
la pratica clinica, problemi e valenze medico-legali, in Riv. it.
med. leg., 1999, 223.
(29) Così F. Giunta, La legalità della colpa, cit., 150 ss.; A. Fiori D. Marchetti, Medicina legale della responsabilità medica. Nuovi
profili, Milano, 2009, 305, sottolineano la mancanza di parametri
sulla base dei quali valutare la «violazione di regole doverose di
condotta di un’attività caratterizzata da procedure, di per se stesse spesso rischiose, rivolte a persone a rischio, la quale nonostante poggi su basi scientifiche, pur sempre si avvale inevitabilmente di un empirismo modulato su ogni singolo caso».
(30) In questi termini F. Introna, Un paradosso: con il progresso
della medicina aumentano i processi contro i medici, in Riv. it.
med. leg., 2001, 884 ss.
(31) Così C. Piergallini, La regola dell’oltre ragionevole dubbio, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 636. Più in generale, sui rischi insiti
in una ricostruzione ex post del tipo colposo, cfr. H.-H. Jescheck
- T. Weigend, Lehrbuch des Strafrechts, Berlin, 1996, 564 ss.
(32) Sul punto G. Marinucci, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 1 ss.; D. Pulitanò, Diritto
penale, Torino, 2009, 508.
(33) In ambito filosofico cfr. H. JONAS, Technik, Medizin und
ethik. Zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Frankfurt am Main,
1985, t.i., Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Torino, 1997, 109, secondo cui «il medico si confronta di volta in volta con il singolo caso, con l’individuale in tutta la sua unicità e complessità che nessun inventario analitico
può spiegare fino in fondo».
(34) L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità per fatto proprio, Torino, 2004, 504, ritiene che gli usi cautelari e le prassi di settore «costituiscono un imprescindibile strumento ad adiuvandum, ma non possono assolvere a quella axiologica esigenza imposta dal principio di legalità più del riferimento all’homo eiusdem professionis et condicionis o a giudizi equitativi di rischio consentito: si tratta appunto solamente di ausilii,
particolarmente qualificati, ma che non bastano ad esaurire la dimensione cautelare della situazione oggetto di valutazione».
221
Opinioni
Diritto penale
singola fattispecie, pena, tra l’altro, il disconoscimento del principio di libertà di cura in capo al medico (35). A ciò si aggiunga che l’esplicito riferimento alle linee guida o alle buone pratiche, giustificato in riferimento alla necessità di contrastare il
fenomeno della medicina difensiva, porterebbe ad
una singolare “eterogenesi dei fini” là dove inteso in
termini di allineamento acritico, con il sanitario
preoccupato in primo luogo di allontanare da sé tramite la loro osservanza - il rischio di contenzioso
giudiziario (36), anche a scapito della effettiva tutela del diritto alla salute del paziente (37).
Sul ruolo delle linee guida
e sul loro grado di vincolatività
per il sanitario e per il giudice
Il dibattito sulla valenza che le linee guida possono
rivestire nel procedimento di genesi e di individuazione della regola cautelare su cui si incentra la fattispecie colposa ha trovato ampio sviluppo sia in sede dottrinale che in sede giurisprudenziale (38).
Secondo una ben nota definizione le linee guida costituiscono «raccomandazioni di comportamento
clinico, elaborate mediante un processo di revisione
sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere
le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche» (39). Di conseguenza la
funzione precipua di tali strumenti di codificazione
del sapere medico risiede nella loro capacità di sintesi dell’esperienza diffusa in ambito sanitario e delle migliori evidenze scientifiche disponili (40), per
assicurare il massimo grado di appropriatezza dell’intervento e ridurre al minimo quella parte di variabilità delle scelte cliniche legate alla carenza di conoscenza ed alla soggettività dei criteri di scelta della
strategia assistenziale (41). Si tratta di indici valutativi tendenzialmente oggettivi e soprattutto idonei a
guidare il compito di periti e giudici, i primi incaricati dell’apprezzamento tecnico-scientifico riguardante la fattispecie concreta (42), i secondo chiamati ad effettuare, sulla scorta degli stessi elaborati
peritali, il delicato procedimento di individuazione
e di ricognizione della regola cautelare alla base della fattispecie tipica colposa (43).
Il carattere di scientificità, generalità e predeterminatezza che - almeno teoricamente - contraddistingue le linee guida catalizza dunque l’attenzione della
scienza medica così come di quella giuridica, pur dovendosi attentamente considerare taluni limiti intrinsecamente connaturati a tali prodotti della ricerca clinica, sinteticamente rinvenibili: 1) nel possibile contrasto tra evidenze scientifiche generalizzanti
222
e di carattere prevalentemente statistico ed esigenze
peculiari del singolo caso concreto, che richiama
l’attenzione sulla necessità di curare la singola persona e non l’astratta patologia; 2) nel conflitto di interessi che legano ricercatori, editori e industrie e
che può dar luogo a raccomandazioni incentrate
prevalentemente su criteri di economicità e convenienza, piuttosto che di effettivo soddisfacimento
delle esigenze diagnostiche e curative (44); 3) nella
molteplicità/eterogeneità delle linee guida, di frequente elaborate da enti, istituzioni, società scientifiche che non sono riconosciute da alcuna autorità
pubblica, la quale rimane tendenzialmente estranea
ai procedimenti sottesi alla loro adozione (45).
Note:
(35) M. Barni, La prescrizione dei farmaci: libertà terapeutica e
responsabilità del medico, in Riv. it. med. leg., 1994, 555 ss.
(36) Cfr. P. Piras, In culpa sine culpa, cit., 4.
(37) Cfr. ancora H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica, cit., 11, secondo cui «un tratto essenziale dell’arte medica è dunque che il
medico ha ogni volta a che fare con il suo simile e ogni volta tipicamente al singolare. Il paziente si aspetta e deve confidare
sul fatto che la cura sia finalizzata a lui solo (..). Sin dal primo passo, già nella diagnosi, intesa come sussunzione del particolare
sotto il generale, è necessario un sapere del tutto diverso rispetto a quello teorico. Kant definì questo genere di conoscenza
“giudizio”, che non si acquisisce insieme al sapere generale,
bensì collega quest’ultimo al prender visione di un che di unico
e della totalità che lo contiene, rendendo solo così possibile l’applicazione dell’astratto al concreto».
(38) Per la dottrina cfr. gli Autori citati sub nota n. 27; in giurisprudenza, tra le altre, cfr. Cass., Sez. IV, 14 novembre 2007,
Pozzi, in Riv, it. dir. proc. pen., 2009, 440 ss.; Cass., Sez. IV, 5 dicembre 2003, Ligresti ed altri, in C.e.d. Cass. n. 229669; Cass.,
Sez. IV, 23 novembre 2010, Grassini, in Cass. pen., 2012, 542
ss., con nota di T. Campana, La correlazione tra inosservanza e/o
applicazione delle «linee guida» e responsabilità penale del
medico e di G. Marra, L’inosservanza delle cd. «linee guida» non
esclude di per sé la colpa del medico.
(39) M. J. Field - K. N. Lohr, Guideline for Clinical Practice: from
development to use, Washington, Institute of Medicine, National Academy Press, 1992, 35.
(40) D.L. Sackett, W.M. Rosemberg, J.A. Gray, Evidence-Based
Medicine. What is and what isn’t, in BMJ, 1996, 312.
(41) A. M. Bonanno, Protocolli, linee guida e colpa specifica, in
Ind. pen., 2006, 441 ss.; P. Piras - A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, cit., 286.
(42) Sui limiti insiti nel ricorso a valutazioni soggettive cfr. G. Marinucci, La responsabilità colposa: teoria e prassi, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2012, 3.
(43) F. Giunta, La legalità della colpa, cit., 150 ss.; D. Micheletti,
La colpa del medico, cit., 192.
(44) Cfr. M. Caputo, «Filo d’Arianna» o «flauto magico»?, cit.,
878 ss.
(45) P. Piras - A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, cit., 286. Inoltre cfr. ancora M. Caputo, «Filo d’Arianna» o
«flauto magico»?, cit., 883 ss., che rileva l’esistenza di due distinte questioni, «da un lato l’opportunità o meno di individuare
un’autorità sovraordinata alle altre - quale potrebbe essere il Mi(segue)
Diritto penale e processo 2/2013
Opinioni
Diritto penale
Il riconoscimento di tali limiti intrinseci alla valenza delle linee guida, così come attualmente concepite, si ripercuote sulla questione afferente al loro grado di vincolatività nei confronti dei singoli medici,
in quanto si tende generalmente ad escludere la sussistenza di una reale efficacia prescrittiva, posto che,
in virtù del principio di libertà di cura, il sanitario è
sempre tenuto a conoscere le insopprimibili peculiarità del singolo caso concreto (46). A fortiori la
vincolativià delle Guidelines è solo relativa anche
nello specifico ambito penalistico, dovendosi vagliare e discernere, caso per caso, la ragion d’essere
sottesa all’indicazione proveniente dalle linee guida, posto che questa non necessariamente coincide
con la ratio spiccatamente cautelare che deve invece contraddistinguere il dovere oggettivo di diligenza - di carattere strettamente modale - su cui si impernea il fatto tipico colposo e su cui si innesta la
valutazione riguardante il cd. nesso di rischio tra regola precauzionale ed evento lesivo (47). In questa
direzione sembra doversi interpretare il dato emergente dalla nuova disposizione - di per sé paradossale - di una responsabilità residuale, circoscritta ad
ipotesi di colpa non lieve, in cui l’esercente la professione sanitaria può incorrere pur avendo osservato linee guida o buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
In realtà si tratta di una previsione per certi versi
pleonastica, posto che ad un’affermazione “macroscopica” di responsabilità, pur in presenza dell’osservanza di linee guida o buone pratiche, si potrà giungere solo attraverso due vie interpretative: o ritenendo non del tutto adeguato al caso concreto il richiamo al sapere medico consolidato, ma in tale
evenienza l’osservanza di linee guida o protocolli sarà stata solo formale (perché ad esempio il trattamento del caso concreto non rientrava tra quelli
espressamente presi in considerazione); oppure ritenendo linee guida o procedure protocollari non ispirate ad esigenze di effettiva tutela del paziente, bensì da esigenze di carattere marcatamente aziendalistico/economicistico, ed in queste fattispecie mancherà il requisito, pur richiesto, del riconoscimento
presso la comunità scientifica. In altri termini il vaglio giurisprudenziale sulla pertinenza o meno di
questi strumenti di codificazione rispetto al caso
concreto è già implicitamente affermato dall’art. 3,
comma 1, l. 8 novembre 2012 n. 189, anche a prescindere dall’espresso richiamo alla residuale ipotesi
di colpa non lieve, destinato ad avere una portata
applicativa piuttosto ridotta.
Nonostante ciò resta l’indicazione valoriale sottesa
alla norma per cui, in ipotesi di osservanza degli
Diritto penale e processo 2/2013
strumenti di codificazione del sapere medico scientificamente accreditati, l’affermazione di responsabilità andrà di norma esclusa anche laddove, nell’interpretazione del contenuto di linee guida e prassi, si
registri la compresenza di valutazioni medico-scientifiche e di valutazioni volte all’ottimizzazione delle
risorse (48) o comunque non possa considerarsi del
tutto azzerato - ma solo ragionevolmente contenuto
- il rischio del verificarsi di eventi lesivi (49). In detti casi infatti il legislatore, nel delicato bilanciamento di interessi contrapposti, ha esplicitamente inteso
privilegiare le esigenze di tassatività e certezza rispetto a quelle del soddisfacimento di istanze di tutela, con ciò restituendo alla sanzione penale il suo
carattere di sussidiarietà e di extrema ratio (conclusione ulteriormente comprovata dal residuale rinvio
al profilo risarcitorio della responsabilità aquiliana
ex art. 2043 c.c.).
Note:
(continua nota 45)
nistero della Salute - cui riconoscere un superiore potere di convalida istituzionale, onde mettere ordine al profluvio di raccomandazioni e segnalare in via ufficiale quelle cui prestare maggiore attenzione; dall’altro la metodologia di formazione delle linee guida». Da ultimo favorevole al recepimento delle linee guida più qualificate in decreti del Ministero della Salute, per conferire alle stesse un riconoscimento espresso, P. Piras, In culpa sine culpa, cit.
(46) M. Bilancetti, La responsabilità civile e penale del medico,
Padova, 2006, 744 ss.; E. Terrosi Vagnoli, Le linee guida per la
pratica clinica, problemi e valenze medico-legali, cit., 223.
(47) Cfr. L. Ramponi, in D. Castonuovo - L. Ramponi, Dolo e Colpa nel trattamento medico sanitario, in La responsabilità in medicina, a cura di A. Belvedere e S. Riondato, Milano, 2011, 973
ss.; M. Caputo, «Filo d’Arianna» o «flauto magico»?, cit., 88 ss,
secondo cui «l’esistenza di una raccomandazione funge da ratio
cognoscendi della colpa, funzionale alla selezione della cautela,
non già da ratio essendi, anche perché altrimenti il giudizio sulla
difformità del comportamento medico dalle indicazioni contenute nelle linee guida rischia di aprire varchi alla responsabilità oggettiva, con tramutazione del fatto colposo in un reato di condotta a pericolo astratto e connessa amputazione dell’evento,
degradato a mera condizione di punibilità». In relazione all’intervento di riforma da ultimo G. Civello, Responsabilità medica e rispetto delle “linee-guida”, tra colpa grave e colpa lieve, in
www.archiviopenale.it, 13 ss.
(48) Cfr. D. Micheletti, La colpa del medico, cit., 205, il sottolinea
che «un bilanciamento costi-benefici nel campo della sanità, là
dove non sia perseguita da protocolli standard, finisce comunque per imporsi sugli operatori anche in ragione di tacite raccomandazioni degli organi amministrativi».
(49) Al riguardo si consideri il precedente costituito da Cass.,
Sez. IV, 23 novembre 2010, cit., in cui il medico addetto alle cure post-operatorie, conformemente alle indicazioni provenienti
dalle linee guida in ipotesi di stabilizzazione del quadro clinico,
aveva deciso di dimettere un paziente ricoverato d’urgenza per
un infarto al miocardo e per un edema polmonare acuto; in seguito alla dimissione il medesimo paziente, colto da insufficienza respiratoria, era deceduto.
223
Opinioni
Diritto penale
Buone prassi accreditate scientificamente
e “colpa protocollare”
Linee guida e buone pratiche, pur accomunate da
una significativa affinità funzionale, non possono
essere considerate come un’endiadi, in quanto rispettivamente contraddistinte da precipui aspetti
contenutistici. In particolare l’indeterminato concetto di “buone pratiche” o standards - cresciuto all’ombra delle ben più celebrate linee guida - viene
per lo più ricondotto nella categoria dei protocolli,
schemi rigidi e predefiniti di comportamento diagnostico-terapeutico che descrivono le procedure
alle quali l’operatore sanitario deve strettamente attenersi in una situazione specifica (50). Da questa
peculiarità strutturale discende, quale rilevante conseguenza, la tendenziale tassatività della sua applicazione, posto che solo il corretto e sistematico adempimento della sequenza comportamentale indicata
garantisce l’operatore dal rischio del verificarsi di
esiti avversi.
Non a caso attenta dottrina fa riferimento, al riguardo, al concetto di colpa protocollare o procedurale,
legato alla sempre più invalsa tendenza alla procedimentalizzazione della prevenzione dell’esito avverso
che, da una parte ha il pregio di consentire una limitazione predeterminata di rischi qualificati e sperimentati nell’ambito di un’affidabile cornice nomologica o esperienziale, dall’altra sconta il pericolo di
facili automatismi improntati alla logica del versari
in re illecita (51). Al riguardo, è proprio il carattere
imperativo di protocolli e buone pratiche a facilitare il raggiungimento di un giudizio di tendenziale
coincidenza tra le regole di condotta ivi indicate e le
regole precauzionali che possono essere poste a fondamento dell’imputazione colposa (52), anche in
considerazione della loro portata spiccatamente
cautelare e per lo più scevra di profili attinenti ad
esigenze diverse, quali il contenimento dei costi e
l’ottimizzazione delle risorse (che invece ben possono incidere nella stesura delle linee guida).
Già questa succinta ricognizione riguardante lo
schema delle “buone pratiche” consente di inferire
che, in riferimento ad esse, ed in misura ben maggiore rispetto a quanto affermato in relazione alle linee guida, l’ipotesi di una residuale “colpa non lieve” prevista dall’art. 3, comma 1, l. 8 novembre
2012 n. 189, finisce per limitarsi ad una funzione di
mera “clausola di stile”. A fronte della scrupolosa osservanza di buone pratiche riconosciute dalla comunità scientifica, nonché pertinenti rispetto alla fattispecie concreta e strutturate mediante l’enucleazione di rigidi passaggi procedurali, appare infatti dav-
224
vero difficile ipotizzare la sussistenza di una colpa
macroscopica e - come tale - penalmente rilevante.
La distinzione esistente tra linee guida e buone prassi scientificamente accreditate ridonda anche in riferimento al concetto di “regole prasseologiche”,
che possono divenire fonti di produzione e di ricognizione della lex artis allorquando siano ampiamente diffuse e ritenute dall’agente valide ed efficaci
(53). Le Guidelines descrivono infatti modelli di
condotta ideali che, come tali, non necessariamente
coincidono con le regole prasseologiche più diffuse e
che, stante la loro sostanziale eterogeneità, possono
essere già consolidate o innovative, così come limitarsi ad individuare un livello minimo di diligenza
richiesta o, al contrario, tendere al raggiungimento
dello standard cautelare più elevato (54); inoltre gli
orientamenti scientifici più avanzati «non producono automaticamente l’obsolescenza di precedenti
prassi, ma con esse convivono, spesso a lungo, fino
ad una completa sostituzione» (55).
Al contrario le “buone pratiche”, indicando modelli comportamentali condivisi e destinati ad un’applicazione rigida - in quanto strutturata su evidenze
scientifiche ed esperienziali di carattere pressoché
definitivo - finiranno per lo più con il coincidere
con gli usi cautelari diffusi in un determinato contesto spazio-temporale (56). Questa maggiore convergenza contenutistica non può però essere assolutizzata, posto che comunque i protocolli, modellandosi su specifiche realtà ospedaliere, mantengono
un’impronta deontica e prescrittiva che deriva dall’osservazione e dalla sperimentazione di cautele doNote:
(50) Per un’approfondita analisi del fenomeno, anche in un’ottica
comparatistica, A. R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore sanitario, cit.,
10 ss.; M. Caputo, «Filo d’Arianna» o «flauto magico»?, cit., 26
ss.
(51) Per tutti D. Castronuovo, La colpa penale, cit., 305 ss.; nello specifico settore medico L. Ramponi, Dolo e colpa nel trattamento medico sanitario, cit., 977 ss.
(52) In questa direzione F. Giunta, Medico (responsabilità penale
del), in Dizionari sistematici di diritto penale, a cura di F. Giunta,
Milano, 2008, 881.
(53) F. Giunta, La legalità della colpa, cit., 165 ss.
(54) A.R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore sanitario, cit., 63
(55) A. Fiori - D. Marchetti, Medicina legale della responsabilità
medica, cit. 515.
(56) F. Giunta, Medico (responsabilità penale del), cit., 881, rileva
che «le linee guida, al di là della variabilità dei nominalismi, vanno distinte dai protocolli: le prime infatti hanno valore tendenziale, mentre i secondi sono ben più precisi e vincolanti. Ne consegue che un autentico contrasto di regole cautelari si può delineare solo tra norme prasseologiche e regole protocollari, in
quanto dotate entrambe di sufficiente determinatezza».
Diritto penale e processo 2/2013
Opinioni
Diritto penale
verose non necessariamente consolidate o stabilmente acquisite e dunque differente rispetto a quella che si auto-determina negli usi terapeutici già diffusi e ritenuti doverosi nella specifica cerchia professionale dell’agente (57).
Da un lato perciò la positivizzazione dei protocolli
terapeutici «non può che essere valutata in modo
positivo, vuoi perché ne rafforza la conoscenza tra
gli operatori, vuoi perché semplifica la ricognizione
giudiziale del modello cautelare doveroso (58)»;
dall’altro però occorre riconoscere che, anche alla
luce dell’intervento di riforma, sembra persistere
una certa contrapposizione assiologia tra esigenze
garantistiche di riconoscibilità e sufficiente determinatezza del precetto colposo ed esigenze di tutela
(59). Lo specifico riferimento a linee guida o buone
pratiche “scientificamente accreditate”, unitamente
all’esplicita previsione di una responsabilità residuale, pur a fronte della loro osservanza, consente infatti il controllo e l’invalidazione giudiziale delle prassi
ritenute scorrette o inadeguate alla luce del progresso scientifico o delle innovazioni tecnologiche.
tre l’intervento di riforma subordina l’esonero di responsabilità per colpa lieve all’osservanza di linee
guida e buone pratiche, e queste ultime possono limitarsi a codificare regole di diligenza e/o prudenza non necessariamente di perizia - per cui, in assenza
di peculiari difficoltà di carattere tecnico-operativo,
aumenta il rischio di configurare un’area di privilegio di difficile giustificazione (62). A motivazione
almeno parziale della settorialità che contraddistingue la norma in esame potrebbe essere addotto il carattere precipuo del riferimento a linee guida e buon
pratiche, quali strumenti di consolidamento del sapere scientifico non rinvenibili in riferimento alle
altre attività socialmente utili ma pericolose.
In realtà l’attuale formulazione della norma inevitabilmente risente del carattere di estemporaneità ed
urgenza che ne ha caratterizzato l’adozione, là dove,
a fronte della scelta di introdurre il limite della colpa grave, sarebbe stato di certo più opportuno giungere ad un’estensione di detto limite a tutte le attività contraddistinte dalla presenza di rischi consen-
L’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012
n. 189, tra scarsa determinatezza
e principio di uguaglianza sostanziale
Note:
L’art. 3, comma 1, l. 8 novembre 2012 n. 189, oltre a
scontare rilevanti limiti applicativi, presenta almeno due aspetti di criticità tali da sostanziare anche
possibili profili di incostituzionalità.
In primo luogo la sfera operativa dell’intervento di
riforma è circoscritta alla categoria degli operatori
sanitari, per cui la limitazione di responsabilità per
l’ipotesi di colpa lieve ivi prevista è destinata ad
operare in via esclusiva nei loro confronti. Al riguardo balza subito agli occhi la differenza sostanziale con il limite della colpa grave previsto dall’art.
2236 c.c. in ipotesi di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il
quale si riferisce, senza distinzione alcuna, al “prestatore d’opera”.
Viene in rilievo dunque l’ineludibile questione del
rispetto del principio di uguaglianza sostanziale
(60), posto che il significato sociale e la peculiarità
dell’attività medica non sembrano costituire un unicum in grado di legittimare, di per sé, questa sola eccezione in tema di responsabilità colposa. Si pensi al
riguardo alle altre attività intrinsecamente pericolose, ma parimenti utili, il cui svolgimento comporta
rischi altrettanto gravi per la vita o l’incolumità delle persone (l’attività di vigilanza sugli schermi radar
di una torre di controllo, la progettazione e l’edificazione di grattacieli, ponti, gallerie, etc.) (61). Inol-
Diritto penale e processo 2/2013
(57) Così F. Giunta, op. ult. cit., 880; D. Micheletti, La colpa del
medico, cit., 196.
(58) D. Micheletti, op. ult. cit., 205.
(59) In questa direzione anche A. R. Di Landro, Dalle linee guida
e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore
sanitario, cit., 10
(60) In particolare cfr. M. Donini, La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del rischio, cit., 62, secondo cui occorre
prendere atto del fatto che il medico «se non viene chiamato a
rispondere dell’evento, non sarà soggetto a nessuna responsabilità per la condotta colposa: a differenza, ad esempio, dell’imprenditore che è soggetto a numerose sanzioni penali per contravvenzioni o delitti che sanzionano illeciti di mera condotta, soltanto aggravati in caso di evento conseguente»; G. Canzio, Trattamenti terapeutici e responsabilità penale, cit., 665, sottolinea
la necessità di realizzare un equilibrato bilanciamento dei valori e
degli interessi in gioco, senza peraltro creare aree di ingiustificato privilegio, sostanziale o processuale, per coloro che esercitano la professione medico-chirurgica rispetto alla generalità dei
cittadini.
(61) Così M. Romano in La Tavola rotonda di presentazione e discussione del Progetto, in Il Problema della medicina difensiva,
cit., 124, il quale invita a porre la soluzione su un terreno più solido, accogliendo il limite della colpa grave in termini di maggior
dettaglio, che includano anche altre prestazioni d’opera, le cui leges artis richiedano quanto l’arte medica, a seconda dei casi, doti di particolare manualità, di prontezza, di rapidità di decisione e
di esecuzione, oltre a cognizioni tecniche raffinate, aggiornamento scientifico permanente, etc.
(62) Sul punto si considerino anche le riflessioni di M. Bertolino
in La Tavola rotonda di presentazione e discussione del Progetto, in Il Problema della medicina difensiva, cit., 149, secondo cui
il riferimento generico all’esercente una professione sanitaria
rende legittimo «interrogarsi sull’opportunità di estendere questa presunta area di privilegio anche ad altre categorie di soggetti, non caratterizzati da quella discrezionalità tecnica che connota invece in termini propri coloro che svolgono l’attività medico-chirurgica».
225
Opinioni
Diritto penale
titi in virtù della loro spiccata e riconosciuta utilità
sociale.
In secondo luogo si consideri l’elevato tasso di indeterminatezza della norma che, per un verso, non fornisce i parametri di giudizio alla stregua dei quali valutare i crismi di “scientificità” di linee guida e buone pratiche (63), per l’altro, non indica nemmeno i
criteri valutativi secondo cui ricostruire il concetto
di colpa grave, il quale rimane del tutto indefinito e,
come tale, in condizioni di oscillare tra dimensione
oggettiva e dimensione soggettiva, nonché tra negligenza, imprudenza ed imperizia (64). Si profila inoltre parimenti problematica la questione riguardante
il rapporto esistente tra questa norma e l’art. 2236
c.c., così come il loro eventuale coordinamento
contenutistico e sistematico, posto che la giurisprudenza più recente, con talune affermazioni di principio non prive di una certa ambiguità, ha tentato di
restituire una valenza anche penale alla limitazione
di responsabilità prevista nell’ambito del codice civile per il prestatore d’opera (65).
Infine l’intervento di riforma non contiene riferimenti espliciti alla cd. colpevolezza della colpa, ovvero alla dimensione soggettiva e personalistica del
disvalore della condotta oggetto di imputazione; si
tratta di una tematica tanto centrale quanto poco
esplorata dalla nostra giurisprudenza, per cui, in una
previsione normativa innovativa, sarebbe di certo
stata opportuna un’esplicita presa di posizione (66).
Ulteriori nodi insoluti: prestazioni
plurisoggettive e responsabilità per
carenze di struttura e di organizzazione
L’intervento di riforma, ispirato dalla necessità di ridurre il contenzioso giudiziario ed il ricorso a prassi
difensive, sconta in ultimo i limiti sottesi all’adozione di una prospettiva prevalentemente incentrata
sul rapporto individuale medico-paziente, là dove la
regola è ormai costituita dalla plurisoggettività e
multidisciplinarietà dell’intervento sanitario, soprattutto in riferimento alle prestazioni erogate all’interno delle aziende ospedaliere. Solo taluni protocolli - tra tutti le cd. checklist (67) - sono infatti destinati ad un’applicazione specificatamente rivolta
all’ambito plurisoggettivo e funzionale alla riduzione
dei peculiari rischi derivanti dal ricorso alla divisione del lavoro, che da un lato costituisce un fattore di
sicurezza, poiché garantisce la possibilità di avvalersi di conoscenze specialistiche tra loro complementari e funzionalmente collegate, dall’altro introduce
nuovi ed ulteriori fattori di rischio (68).
La responsabilità del singolo medico tende sempre
più a traslare verso forme complesse di “responsabi-
226
lità sanitaria” (69), soprattutto in riferimento al tema delle carenze di struttura e/o di organizzazione
del contesto lavorativo in cui viene in concreto
esercitata la professione sanitaria (70). Accade di
Note:
(63) Al riguardo cfr. A.R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore sanitario,
cit., 150, che, tra l’altro, opportunamente evidenzia le differenze
esistenti tra linee guida coperte da evidenze scientifiche esaustive e formatesi attraverso clinical trials e linee guida fondate
sul consenso di gruppi di esperti, maggiormente aperte a possibili distorsioni nel risultato finale sebbene ampiamente adoperate all’atto pratico.
(64) P. Piras, In culpa sine culpa, cit., 3,ritiene invece che la disposizione in esame non possa involgere l’ipotesi di colpa per
negligenza o imprudenza, perché le linee guida contengono essenzialmente regole di perizia. In realtà occorre sottolineare che,
soprattutto in relazione alle buone pratiche, non di rado vengono
in considerazione regole procedurali volte in primo luogo ad evitare che l’evento lesivo si verifichi a causa di negligenza o impudenza, basti pensare alla diffusione delle cd. check list.
(65) Cfr. Cass., Sez. IV, 5 aprile 2011, Montalto; Cass., Sez. IV, 22
novembre 2011, Di Lella; Cass., Sez. IV, 21 giugno 2007, Buggè.
In particolare si sostiene che l’art. 2236 c.c. potrebbe trovare riscontro anche in ambito penale, non per effetto di diretta applicazione, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia. In merito cfr. R. Blaiotta, La responsabilità medica:nuove prospettive per la colpa, in
www.penalecontemporaneo.it; C. Cupelli, La responsabilità colposa dello psichiatra tra ingovernabilità del rischio e misura soggettiva, in questa Rivista, 2012, 1104 ss.
(66) In questa direzione cfr. invece la definizione di colpa grave
proposta dal Progetto Pisapia, che sarebbe sussistente quando,
«tenendo conto della concreta situazione anche psicologica dell’agente, sia particolarmente rilevante l’inosservanza delle regole ovvero la pericolosità della condotta, sempre che tali circostanza oggettive siano manifestamente riconoscibili». Si tratta di
una nozione che si segnala all’attenzione dell’interprete per il
particolare rilievo conferito al piano della colpevolezza, attraverso l’esplicito riferimento alla concreta situazione anche psicologica dell’agente ed alla “manifesta riconoscibilità” dei requisiti
normativi dell’inosservanza della regola cautelare ovvero della
pericolosità della condotta.
(67) Cfr. M. Caputo, «Filo d’Arianna» o «flauto magico»?, cit.,
907, sia per la nozione di checklist che per la loro possibile funzione in relazione alle attività svolte in équipe.
(68) In ambito penalistico, con specifico riferimento al settore
medico, già G. Marinucci - G. Marrubini, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in équipe, in Temi, 1968, 217; più di recente P. Veneziani, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, vol. III, tomo II, I delitti colposi, in Trattato dir. pen., Parte
spec., a cura di G. Marinucci - M. Dolcini, Padova, 2009, 204,
sottolinea la natura «ancipite» della divisione del lavoro nel settore medico, quale fattore di sicurezza e, al tempo stesso, di rischio nuovo e diverso rispetto a quello proprio dell’attività medica “monosoggettiva”. In giurisprudenza, tra le altre, cfr. Cass.,
Sez. IV, 11 ottobre 2007, Raso ed altri, in C.e.d. Cass. n. 237891.
(69)In tal senso G. Alpa, La responsabilità medica, in Riv. it. med.
leg., 1999, 15 ss.; F. Introna, Responsabilità professionale medica e gestione del rischio, cit., 645; P. Della Sala, La responsabilità professionale, in Medicina e diritto. Prospettive e responsabilità della professione medica oggi, a cura di M. Barni - A. Santosuosso, Milano, 1995, 6.
(70) Cfr. A. Merry - A. McCall Smith, Errors, Medicine and the
Law, t.i. L’errore, la medicina e la legge, Milano, 2004, 7 ss.
Diritto penale e processo 2/2013
Opinioni
Diritto penale
frequente che a determinare l’esito infausto siano in
primo luogo l’insufficienza delle risorse a disposizione, presidi terapeutici mancanti, obsoleti o non adeguatamente sottoposti a controllo, così come il sussistere di carenze organizzative in relazione al personale impiegato o alla turnazione (71); nonostante
ciò, si registra una perdurante ritrosia nell’ampliare
gli ambiti di rilevanza penale riconducibili alla sfera
gestoria e/o amministrativa - definita come “secondo livello operativo” (72) - tanto che le imputazioni
rimangono tendenzialmente polarizzate sul singolo
operatore a contatto diretto con il paziente (73),
mediante l’utilizzo delle fattispecie caratterizzate da
carenze di struttura in chiave incriminatrice (e non
scusante), sotto il profilo dell’omesso controllo e
della omessa segnalazione.
La valutazione del fattore strutturale ed organizzativo nei casi di medical malpractice solleva quindi delicate questioni interpretative in tema di individuazione dei soggetti penalmente responsabili nell’ambito di strutture sanitarie articolate e complesse
(74); soprattutto viene in rilievo la necessità di differenziare le responsabilità dei singoli in considerazione del diverso contesto in cui questi operano,
non potendosi privilegiare l’iniqua prospettiva dell’uguaglianza formale, a fronte di un’eterogeneità di
situazioni che riduce gli effettivi margini di scelta
del sanitario, le cui decisioni e le cui responsabilità
costituiscono «il frutto di una mediazione tra il volere e il potere, tra l’impatto della cura sulla salute in
generale ed il rapporto costo-efficacia della cura
stessa, sulla scorta delle possibilità strutturali ed organizzative che l’azienda può mettere a disposizione
in funzione degli obiettivi predefiniti e delle risorse
umane ed economiche» (75).
Non sorprende a questo punto che la rilevanza acquisita dal tema della responsabilità medica per difetti di struttura, unitamente alle aporie interpretative a cui giunge il processo di individuazione del
singolo responsabile all’interno delle organizzazioni
complesse, porti a considerare - de jure condito (76) e
de jure condendo (77) - la possibilità di estendere al
settore sanitario una responsabilità dell’ente di riferimento ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, anche in
considerazione dell’inarrestabile tendenza espansiva
della sfera applicativa della responsabilità amministrativa da fatto di reato (78).
Non può negarsi però che l’eventuale estensione
dell’ambito operativo del d.lgs. n. 231 del 2001 ad
Aziende Sanitarie Locali ed Aziende Sanitarie
Ospedaliere, di per sé, non risolverebbe le complesse questioni sottese al problema della responsabilità
per difetto di struttura o di organizzazione, dovendo-
Diritto penale e processo 2/2013
Note:
(71) In merito, Cass., Sez IV, 20 settembre 1995, Gazzarra.
(72) In tal senso P. Pisa - G. Longo, La responsabilità penale per
carenze strutturali e organizzative, in Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e di impresa, cit., 9 ss. Gli Autori,
nell’ambito della responsabilità in campo sanitario per carenze di
struttura, sviluppano il problema della responsabilità per carenze
organizzative e strutturali in due livelli, il primo dei quali è rappresentato dalla responsabilità del singolo medico, il secondo
dalla dirigenza non medica. Si accenna infine alla possibilità di
configurare un terzo livello di responsabilità costituito dagli organi politici regionali o nazionali.
(73) Cfr. P. Veneziani, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, cit., 203, che ritiene «ancora sporadica, ma non del tutto
ignota» l’affermazione della responsabilità penale per fattispecie
di evento nei confronti del personale dirigenziale non direttamente impegnato nell’attività diagnostico-terapeutica, ma con
funzioni amministrative.
(74) Al riguardo, tra gli altri, A. Centonze, L’accertamento della
responsabilità penale nell’esercizio della professione medicochirurgica, in La responsabilità penale del medico, a cura di S.
Aleo - E. Lanza - A. Centonze, Milano 2007, 278; P. Pisa - G.
Longo, La responsabilità penale per carenze strutturali e organizzative, cit., 21 ss.; A. De donno - A. Lopez - V. Santoro - P.
DE Donno - F. Introna, La responsabilità penale degli organi apicali delle strutture sanitarie, cit., 625 ss.; G. Vitale, Responsabilità e rischi professionali del chirurgo, ivi, 2000, 1866 ss.; D. Potetti, Individuazione del soggetto penalmente responsabile all’interno delle strutture complesse, con particolare considerazione
per le strutture sanitarie, in Cass. pen., 2004, 2403; A. M. Princigalli, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, 17 ss.
(75) Così D. Carusi, Responsabilità del medico, diligenza professionale, inadeguata dotazione della struttura ospedaliera, in Giur.
It., 1996, 1991 ss.
(76) Cfr. Cass., Sez. II, 9 luglio 2010, n. 28699, in Cass. pen., 2011,
1888, con nota di O. Di Giovine, Sanità e ambito applicativo della
disciplina sulla responsabilità degli enti: alcune riflessioni sui confini tra pubblico e privato, chiamata a pronunciarsi relativamente
ad un ospedale costituito in forma di s.p.a. e partecipato dal capitale privato al 49% e da quello pubblico per il restante 51%, la quale ha espressamente stabilito che «la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esonero dalla
disciplina in discorso, dovendo altresì concorrere la condizione
che l’ente medesimo non svolga attività economica».
(77) In questa direzione non sarebbe necessario ricorrere a particolari stravolgimenti normativi, potendosi ritenere sufficiente un
ritorno all’originaria formulazione dell’art. 11, comma 2, della legge delega, la quale faceva riferimento agli «enti forniti di personalità giuridica ad eccezione dello Stato e degli altri enti pubblici
che esercitano pubblici poteri», con ciò includendo anche gli enti pubblici che erogano un pubblico servizio quali le Aziende
ospedaliere, le Asl e le Università pubbliche. Sul punto si consenta un rinvio ad A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale, cit., 358 ss.
(78) Cfr. O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito
punitivo, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi,
Milano, 2010, 44, la quale sottolinea che il d. lgs. n. 81/2008 si applica, a norma dell’art. 3, a “tutti i settori di attività, privati e pubblici”, per cui l’impunità degli enti pubblici in questione da luogo
ad un’evidente disparità di disciplina, difficilmente giustificabile.
Quanto alla diffusa obiezione secondo cui, ricomprendendo gli
enti che perseguono finalità pubbliche nel novero dei destinatari
della responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001, si correrebbe il rischio di giungere all’interdizione dell’attività dell’ente, a tutto detrimento dell’utenza che fruisce dei servizi svolti, si consideri la
possibilità di ricorrere all’art. 15, che espressamente prevede il
commissariamento giudiziale quale sanzione sostitutiva da applicare in luogo di quella interdittiva.
227
Opinioni
Diritto penale
si considerare il precipuo legame soggettivo richiesto per il configurarsi della responsabilità, che nelle
fattispecie colpose consente - non senza vivaci discussioni - di configurare “un interesse o un vantaggio dell’ente” solo in ipotesi di deliberata violazione
delle regole cautelari finalizzata all’arricchimento,
ad esempio attraverso la riduzione dei costi (79).
Rimarrebbe esclusa quindi la responsabilità dell’ente ogniqualvolta il reato sia conseguenza di mere negligenze o inefficienze che non producano significativi vantaggi per la persona giuridica, mentre si ritiene opportuno che le Asl e le Aso prendano in
specifica considerazione anche la prevenzione del rischio del verificarsi di eventi lesivi in conseguenza
di un’inadeguata e/o insufficiente organizzazione
della struttura, includendo queste ipotesi nel paradigma preventivo sotteso al modello di organizzazione (80).
In questa direzione sarebbe auspicabile un intervento del legislatore sull’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001
volto a distinguere nettamente tra criteri di imputazione relativi al dolo (interesse o vantaggio) e criteri relativi alla colpa (81) e, al contempo, a configurare un «paradigma differenziato di imputazione soggettiva ritagliato ab origine sulle caratteristiche strutturali della persona giuridica» (82), nonché capace
di abbracciare le fattispecie colpose lesive della vita
e dell’integrità psico-fisica che si verifichino nell’ambito di strutture complesse ed a causa di un’organizzazione inadeguata (83). La colpa di organizzazione quindi, secondo una prospettazione che in
questa sede può essere solo accennata, potrebbe fungere anche da presupposto oggettivo del sorgere della responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001, qualificando
e circoscrivendo la lesione dei beni vita-integrità fisica al verificarsi di un evento lesivo a causa di carenze strutturali o organizzative dell’ente (84).
Questo tipo di responsabilità risulterebbe perfettamente idoneo a ricomprendere le ipotesi nelle quali
il reato costituisca la conseguenza dell’inadeguata
organizzazione dell’ente (magari in virtù della mancanza di controlli interni o di un’inefficiente circolazione delle risorse e dei flussi informativi), per cui
la persona giuridica potrebbe essere ritenuta responsabile - anche in via diretta ed autonoma (85) - ladNote:
(79) Sulla necessità di riferire il criterio di imputazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 231/2001 alla sola violazione della regola cautelare e sulle relative obiezioni, cfr. in dottrina, tra gli altri, A. Alessandri, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro. Un’introduzione, in Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, Milano, 2009, 34 ss.; D. Castronuovo, La colpa penale, cit., 428 ss.;
A. Gargani, Delitti colposi commessi con violazione delle norme
sulla tutela della sicurezza sul lavoro: responsabile «per defini-
228
zione» la persona giuridica?, in Studi in onore di Mario Romano,
III, Napoli, 2011, 1942 ss.; N. Pisani, Profili penalistici del Testo
unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, in questa Rivista, 2008, 834. Al riguardo, la prevalente giurisprudenza (Trib.
Trani, sez. Molfetta, 11 gennaio 2010; G.i.p. Trib. Novara, 26 ottobre 2010; G.i.p. Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010; G.u.p. Tribunale di Cagliari, 4 luglio 2011), come noto, rileva che la disposizione di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 231/2001, se riferita all’evento, sarebbe incompatibile con la natura della responsabilità colposa, in quanto «se la morte o le lesioni subite dal lavoratore potessero corrispondere all’interesse della società o provocare alla medesima un vantaggio la finalizzazione della condotta
in tale direzione escluderebbe la natura colposa del reato».
(80) Sulla possibilità di ovviare alle aporie interpretative a cui è
sottoposto il paradigma classico della responsabilità colposa
nell’imputazione degli eventi lesivi che si verificano nell’ambito
delle organizzazioni complesse, cfr. in particolare F. Centonze,
La normalità dei disastri tecnologici, cit. 421 ss.. La prospettiva
è di recente ripresa, in termini parzialmente critici, da D. Castronuovo, La colpa penale, cit., 422 ss.; nella medesima direzione
cfr. inoltre G. Forti, Sulla definizione della colpa nel progetto di riforma del codice penale, in C. De Maglie - S. Seminara, La riforma del codice penale. La parte generale, Milano, 2002, 100
ss., il quale identifica proprio nel sistema della responsabilità penale-amministrativa dell’ente un tertium genus di responsabilità
che, in quanto fondato sulla mancata adozione di modelli preventivi adeguati, sembrerebbe suggerire una sorta di «culpa generalis», priva delle caratteristiche rigorose proprie dell’accertamento dell’imputazione penale.
(81) G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in Trattato di diritto penale, diretto da C. F. Grosso, T. Padovani e A. Pagliaro, Milano, 2008, 64, rileva che il deficit organizzativo evoca con maggiore puntualità il concetto di colpa e di
colpevolezza preventiva (preventive fault), con ricadute positive
sul tasso di determinatezza e sulle possibilità di accertamento
del collegamento soggettivo così ipotizzato.
(82) Così ancora G. De Vero, op. ult. cit., 59, il quale sottolinea
che «a tal fine lo strumento concettuale più consolidato, a livello comparatistico, è rivenibile nella colpevolezza d’impresa o di
organizzazione (corporate culpability o Organisationsverschulden), capace di prescindere dall’atteggiamento doloso o colposo di una determinata persona fisica in rapporto organico con la
persona giuridica».
(83) G. Amarelli, Morti sul lavoro: arriva la prima condanna alla
società, in questa Rivista, 2010, 855, ritiene che l’attuale formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001, nella parte in cui non
prevede per i reati colposi di evento dei criteri di imputazione del
fatto all’ente diversi da quelli dettati per i delitti dolosi «sembra
porsi in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3
Cost. e, più in particolare, con il canone della ragionevolezza in
esso contenuto, se si utilizza come tertium comparationis
l’omologa disciplina in materia di criteri di imputazione prevista
per le persone fisiche nell’art. 43 c.p.».
(84) L’inciso normativo potrebbe suonare così: l’ente è altresì responsabile per i reati colposi quando l’evento si verifica a causa
di carenze di struttura o di organizzazione; allo stesso tempo
l’art. 25 septies andrebbe a ricomprendere indistintamente tutte le ipotesi di omicidio e lesioni colpose gravi o gravissime. Più
in generale, sull’effettiva natura della colpa di organizzazione
quale «vera colpevolezza» o «fatto» e dunque oggetto più che
criterio del rimprovero, cfr. G. De Simone, Societates e responsabilità da reato, in Studi in onore di Mario Romano, III, Napoli,
2011, 1917 ss.
(85) Di particolare interesse al riguardo la soluzione accolta nel
Regno Unito, con il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, che prevede un’autonoma imputazione per
omicidio dell’ente collettivo, del tutto svincolata dalla responsabilità individuale ed incentrata sulla sussistenza di un nesso tra
(segue)
Diritto penale e processo 2/2013
Opinioni
Diritto penale
dove si accerti che, attraverso la corretta adozione
ed attuazione di modelli organizzativi, sarebbe stato
possibile evitare il prodursi dell’evento lesivo (86).
Note:
(continua nota 85)
reato e “carenza organizzativa”. In merito cfr. in particolare G.
De Simone, Societates e responsabilità da reato, cit., 1905; G.
Gentile, L’illecito colposo dell’ente collettivo, Torino, 2009, 111
ss.; N. Pisani, Profili penalistici del Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, cit., 834 e D. Castronuovo, La colpa
penale, cit., 426 ss.; da ultima, favorevole a configurare un’auto-
Diritto penale e processo 2/2013
noma responsabilità dell’ente, mediante la ricerca di una diversa
logica di imputazione colposa del fatto-reato all’autore individuale e collettivo, M.N. Masullo, Colpa penale e precauzione nel segno della complessità, Napoli, 2012, 153 ss.
(86) Cfr. G.u.p. Trib. Milano, 17 novembre 2009, n. 2242, secondo cui, anche nel giudicare la responsabilità degli enti, occorre
verificare l’efficacia del modello ex ante e non ex post rispetto
agli illeciti commessi dagli amministratori. Circa il livello di diligenza richiesto all’ente cfr. C.E. Paliero - C. Piergallini, La colpa
di organizzazione, in Resp. amm. soc. e enti, 2006, 183, secondo i quali emerge la necessità «di plasmare una figura di “agente modello collettivo”, verso la quale indirizzare una rosa di doveri di informazione e di adeguamento che tenga conto delle capacità superiori che il modello collettivo naturalmente possiede
rispetto all’“agente modello individuale”».
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