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Bambini che vivono al buio

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Bambini che vivono al buio
5/maggio 2012
M
ZIN
A
G
A
E
PORTFOLIO
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale 70% - Roma
Bambini
che vivono
al buio
L’INCHIESTA/UTOPIE URBANE
La città
che tutti
vorrebbero
JULIA KRISTEVA
Uno sguardo
filosofico
sulla disabilità
EDITORIALE
di Mario Carletti
Direttore Centrale Riabilitazione e Protesi, Inail
Il nostro Paese
indietro nella caccia
alla città ideale
P
eter Pan ha l’isola che non c’è, noi (italiani) la città che non c’è.
È inutile, non mi voglio rassegnare all’idea che l’Italia non riesca
a esprimere una città che possa arrivare tra quelle finaliste al concorso
europeo per le città accessibili. Ci hanno provato Venezia, Parma, Reggio
Emilia, tanto per citarne qualcuna, ma niente da fare: l’ultima porta
è rimasta chiusa. Hanno vinto Spagna (Avila) e Austria (Salisburgo),
Paesi ovviamente rispettabilissimi, ma credo che l’Italia non valga meno.
Cosa ci manca? Perché nella corsa alla città ideale ci facciamo
battere da realtà che sembrerebbero quanto meno nostre pari?
Non credo sia una questione squisitamente tecnica. Esportiamo cervelli
in tutto il mondo, in ogni settore. Nella moda e nel design abbiamo uno
spazio universalmente riconosciuto per creatività e gusto: non parliamo
di “archistar” o di ingegneri, perché gli italiani costruiscono con successo
in tutto il mondo. Mi verrebbe da aggiungere che anche la materia prima
non è affatto un problema: ne abbiamo in abbondanza e di qualità,
e non ci mancano teste e professionalità.
Forse, come accade in una cucina quando si prova a preparare
un buon piatto, non bastano ottimi ingredienti, ma sono necessari anche
un ambiente ideale e soprattutto un bravo cuoco capace di miscelare
il tutto. L’ambiente ideale è costituito da un senso civico generalizzato,
che purtroppo in Italia è al di sotto della sufficienza. Ho incontrato
di recente un alto funzionario del Parlamento Europeo che sta facendo
una battaglia non politica, ma personale, per il reinserimento nei
programmi scolastici dell’educazione civica. Un passo indietro?
Una nostalgia antistorica? Mah… forse tutti i torti non li ha.
E poi il cuoco. Oggi sparare sui politici è un sport nazionale troppo
semplice e, di certo, non mi metto nel gruppo. Tuttavia, sicuramente
la sensibilità da parte di ha il compito di gestire il bene pubblico su questi
temi sarebbe il catalizzatore determinante per la riuscita del progetto.
Giriamo quindi un invito ai tanti sindaci italiani bravi e di buona volontà:
qualcuno si lanci nell’impresa. Per quanto serve, avrà il nostro sostegno.
3
In bilico fra utopia e realtà
In questo numero, Superabile Magazine
si interroga sulla città ideale che tutti
vorrebbero, accessibile e sostenibile, ma
che spesso resta ancora un’utopia.
L’intervista a Julia Kristeva, scrittrice
e semiologa di fama internazionale,
propone riflessioni filosofiche sulla
disabilità, per scardinare dal tessuto
culturale pregiudizi e
stereotipi. Nel portfolio e
in copertina, la storia
di un centro estivo
molto particolare, per
bambini costretti a
vivere al buio dalla
loro malattia rara. Poi
focus su pellegrinaggi, audioracconti
e molto altro. E una sorpresa finale:
dopo l’inchiesta Handicappato sarà lei!,
tra serio e faceto continua la riflessione
sul linguaggio con la rubrica Le parole
per dirlo: l’autore è Franco Bomprezzi,
primo direttore di Superabile.it.
Seguitelo a partire da questo numero.
E inviate i vostri commenti,
anche su altri articoli, a
[email protected].
NUMERO CINQUE Maggio 2012
EDITORIALE
3 Il nostro Paese indietro
nella caccia alla città ideale
di Mario Carletti
ACCADE CHE...
5 “Reatech Italia”, a Fiera Milano
7
la disabilità è protagonista
A Trani apre la ludausilioteca
L’INCHIESTA
8 Viaggio alla ricerca
della città ideale
di Michela Trigari
INSUPERABILI
14 Perché l’handicap fa così paura
Intervista a Julia Kristeva
di Eleonora Camilli
SOTTO LA LENTE
MEDIA
16 Circo Insieme, per allenarsi
30 Docusound, suoni
al divertimento
di Giovanni Augello
che raccontano vite
di Elisabetta Proietti
CRONACHE ITALIANE
CULTURA
18 Le battaglie di Emma
31 Abbracci non umani
PORTFOLIO
35
di Raffaella Cosentino
20 Bambini che vivono
al buio
SPORT
36 Inail... per saperne di più
a cura del Comitato
italiano paralimpico
37
TEMPO LIBERO
26 Pellegrini in cammino.
38
39
Anno I - numero cinque, maggio 2012
Direttore: Mario Carletti
più rassicuranti delle parole
di Laura Badaracchi
Il sogno di una vita “slow”
contro le barriere della mente
di Antonella Patete
RUBRICHE
24 Nuove leve crescono
Su rotte note e inedite
di Chiara Ludovisi
Superabile Magazine
Tutela globale e integrata
con il Regolamento protesico
Viaggi e tempo libero
Vacanze per tutti i gusti:
consigli di viaggio
Ausili
Wheelmap.org: l’accessibilità
segnalata dagli utenti
L’esperto risponde
Lavoro, parcheggi riservati
In redazione: Antonella Patete, Laura
Badaracchi, Eleonora Camilli e Diego
Marsicano
Editore: Istituto Nazionale
Direttore responsabile: Stefano Trasatti
Redazione: Superabile Magazine
c/o agenzia di stampa Redattore Sociale
Piazza Cavour 17 - 00193 Roma
E-mail: [email protected]
Hanno collaborato: Giovanni Augello,
Stefano Caredda, Carla Chiaramoni,
Raffaella Cosentino, Chiara Ludovisi,
Dario Paladini, Elisabetta Proietti, Michela
Trigari di Redattore Sociale; Franco
Bomprezzi, Comitato italiano paralimpico,
Luca Saitta; Rosanna Giovèdi, Daniela
Orlandi, Giovanni Sansone e Francesca
Tulli del Consorzio sociale Coin
PINZILLACCHERE
40 Il pranzo della domenica
per l’Assicurazione contro gli Infortuni
sul Lavoro
Stampa: Tipografia Inail
Via Boncompagni 41 - 20139 Milano
Autorizzazione del Tribunale di Roma
numero 45 del 13/2/2012
Progetto grafico: Giulio Sansonetti
4
41
L’Alipinta
di Carla Chiaramoni
Cucine accessibili in tutto,
anche nel prezzo
Le parole per dirlo
Falsi invalidi
di Franco Bomprezzi
I quadri di Mele, dipinti
con il corpo e con le mani
DULCIS IN FUNDO
42 Strissie - I pupassi
di Adriana Farina e
Massimiliano Filadoro
Un ringraziamento, per averci
gentilmente concesso l’uso di foto e
immagini, a Dante Ferretti (pagg. 4, 8-9),
Olivia Woodhouse (pag. 10), Claudio
Bosco (pag. 13), Circo Insieme (pagg. 4,
16-17), Comunità Progetto Sud (pagg.
18-19), Elisabeth Bernstein e Carlo Shalom
Hintermann (pagg. 20-23), Comitato
italiano paralimpico (pagg. 24-25), Unitalsi
(pagg. 26-29), Erica Borghi (pagg. 4, 30).
In copertina, un fotogramma del
documentario The dark side of the sun,
girato dal regista Carlo Shalom Hintermann
a Camp Sundown, nello stato di New York,
che d’estate accoglie i bambini affetti da
Xp, una malattia rara.
ACCADE CHE...
L’EVENTO
“Reatech Italia”, a Fiera Milano la disabilità è protagonista
G
li espositori saranno oltre
cento. Dagli ausili per la formazione professionale alle carrozzine motorizzate, dalla pet
therapy ai test drive: dal 24 al 27
maggio si potrà vedere di tutto alla prima edizione di “Reatech Italia”, fiera-evento sulla
disabilità, organizzata da Fiera Milano nel centro espositivo di Rho.
Previsto anche un programma culturale, con una trentina
tra incontri, seminari, laboratori e convegni; spazio anche
a sport, turismo e tempo libero. E gli stand non saranno dedicati solo alle aziende che
offrono prodotti, ma anche al
mondo dell’associazionismo.
L’iniziativa ha il patrocinio delle federazioni delle as-
“Zerobarriere”: marchio
di qualità. Niente più
luoghi inaccessibili per
chi si muove in sedia a
ruote: il protocollo d’intesa
siglato tra la Provincia di
Arezzo e l’Associazione
paratetraplegici aretini
prevede iniziative per
sensibilizzare sulle
problematiche delle
barriere architettoniche
sociazioni che si occupano di
disabilità, Fand e Fish, della
Fondazione don Gnocchi, della Regione Lombardia e della Provincia di Milano. In Italia
le persone con disabilità sono circa 2,8 milioni, in Lombardia 365mila (di cui 27 mila
studenti). «Dobbiamo poi con-
siderare tutti coloro che anche
momentaneamente possono avere difficoltà, come un
anziano o una mamma con il
bimbo nel passeggino – sottolinea Giulio Boscagli, assessore
regionale alla Famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale –. Insomma, è un
e sostenere il marchio di
qualità “Zerobarriere”.
«Questo accordo ci
permette di sviluppare la
cultura dell’accessibilità
e formare professionisti
che abbiano le giuste
conoscenze per
intervenire in modo
adeguato», sottolinea
la vicepresidente della
Provincia Mirella Ricci .
5
tema che riguarda tutti». Inoltre Reatech Italia può contare sull’esperienza decennale
dell’edizione brasiliana, che
Fiera Milano organizza nella
metropoli di San Paolo tramite la sua controllata Cipa Fm.
«Siamo un’azienda e quindi anche questa esposizione dovrà
essere occasione di business,
ma il profitto che ne deriverà intendiamo reinvestirlo nel
settore per contribuire a diffondere un po’ di cultura della
disabilità», afferma Enrico Pazzali, amministratore delegato di Fiera Milano, precisando
che nei padiglioni di Rho verranno fatti «investimenti strutturali importanti per renderli
accessibili, nonostante siano
stati costruiti di recente e all’avanguardia». Per informazioni:
Reatechitalia.it. [Dario Paladini]
VIgORSO DI BUDRIO
Al volante con la protesi,
senza adattamenti all’auto
T
ornare alla guida
dopo un brutto infortunio, utilizzando
solo la protesi e senza alcun adattamento al veicolo. Cristophe
Quarena, cinquantenne francese di professione falegname, c’è
riuscito. Nel 2008 è arrivato al Centro protesi Inail di Vigorso di
Budrio, in seguito a un
incidente che gli è costato l’amputazione di
quattro dita della mano destra.
Inizialmente Quarena ha usufruito di una
protesi estetica, che
ha utilizzato fino a due
anni fa. Poi è stato inserito in un progetto
innovativo: un team di
ingegneri e tecnici ha
sviluppato un dispositivo poliarticolato a comando mioelettrico.
L’uomo ha potuto così
indossare una protesi
che gli consente di fare
qualsiasi cosa, anche di
tornare al volante. Visti
i risultati positivi, per
la prima volta è stata
avanzata la proposta
di non effettuare alcun
adattamento all’auto:
dopo le verifiche della
Commissione patenti,
Cristophe è stato ritenuto idoneo.
ACCADE CHE...
FORMAZIONE
Varese, arriva la Carta dei servizi per gli studenti con disabilità
L’
Università degli
studi dell’Insubria,
a Varese, ha adottato
la Carta dei servizi per
gli studenti disabili.
Si tratta di uno
strumento di tutela
attraverso il quale
l’ateneo «si assume in
maniera trasparente
Si chiama “Uffizi da
toccare” il percorso
tattile inaugurato alla
galleria di Firenze per
ipovedenti e non vedenti.
Che senza prenotazione,
ma dotate di guanti
monouso in lattice
distribuiti all’ingresso
e accompagnate da
personale appositamente
formato, possono toccare
16 sculture scelte per l’alto
valore storico-artistico.
“Leggendo con le mani”
e responsabile un
chiaro impegno nei
confronti degli studenti
e delle studentesse
con disabilità, che
vengono accolti e
accompagnati nella loro
formazione culturale
e professionale». In
nove articoli, la Carta
PREVENZIONE
Sicurezza sul lavoro,
ora la guida è in Braille
M
SPORT
“Village for all” sbarca
in Brasile, per l’accessibilità
di Mondiali e Olimpiadi
V
anche il nero Cupido
dormiente, appartenuto
a Lorenzo il Magnifico, e il
leggendario Ermafrodito.
In corrispondenza di ogni
opera sono a disposizione
anche leggii con didascalie
in italiano e inglese; il
testo in Braille è stampato
su carta trasparente.
l’università, il Servizio
disabili rappresenta un
fiore all’occhiello: si va
dal trasporto casa-sedi
al counselling a tutta
descrive finalità,
una serie di strumenti
principi e servizi offerti, volti a rendere più
tracciando anche diritti semplice l’inserimento
e doveri degli studenti dello studente nella
con handicap. Per
vita dell’ateneo.
illage for all fa tappa in Brasile per assicurare Mondiali e
Olimpiadi senza barriere. Il direttore del Dipartimento strutture,
coordinamento e pianificazione del ministero,
Ricardo Moesch, ha annunciato l’accordo con
Village for all per realizzare strutture turistiche
e sportive accessibili a
tutti in vista della Confederation Cup di calcio
del 2013, dei Mondia-
li del 2014 e delle Olimpiadi e Paralimpiadi che
si svolgeranno a Rio de
Janeiro nel 2016.
Secondo Roberto Vitali, presidente e fondatore di Village for all,
si tratta di «un’entusiasmante collaborazione: finalmente potremo
pensare a tre grandi
eventi in maniera inclusiva, intervenendo nella fase di progettazione
del sistema di accoglienza».
6
anuali che parlano di sicurezza sul lavoro ce
ne sono tanti, ma per i ciechi? Per colmare
questa lacuna, l’Istituto dei ciechi di Milano e
l’associazione Ambiente e lavoro hanno creato
una guida in Braille, realizzata sotto l’alto
patronato del presidente della Repubblica con
il patrocinio di Inail e Consulta interassociativa
italiana per la prevenzione (Ciip). Il manuale
spiega la normativa italiana su prevenzione e
protezione in fabbrica, così come in ufficio o nei
cantieri. Ed è pensato per i computer dotati di
software screen reader o barra Braille.
Chi si impegna a farne un uso sociale senza scopo di lucro, aziende comprese, può riceverlo gratis via mail scrivendo a segreteria.
[email protected] oppure a info@
amblav.it. Inoltre si può richiedere il volume su
cd-rom e in versione cartacea, disponibili in copie ridotte, all’Istituto dei ciechi di Milano (tel.
02/799315) o all’associazione Ambiente e lavoro
(tel. 02/26223120).
FOOD
Dal vino ’’Raboso” a grappa e olio
S
i chiama “Raboso della solidarietà” ed è un vino davvero “speciale”: a farlo sono infatti i ragazzi con sindrome di Down dell’Aipd, sezione
della Marca Trevigiana, che conta 150 soci tra
cui 62 giovani. Si dedicano alla vendemmia, alla spremitura e alla preparazione del mosto per la
vinificazione. Quindi decorano e firmano personalmente le etichette, e in primavera imbottigliano e confezionano circa 500 bottiglie.
Il vino è realizzato grazie alla collaborazione
dell’azienda agricola Giorgio Cecchetto di Tezze
di Piave (Treviso). Da poco viene prodotta anche
una grappa insieme alla Distilleria Capovilla di
Rosà (Vicenza). L’ultima new entry è l’olio extravergine d’oliva in bottiglie da 250 centilitri. I prodotti, realizzati nell’ambito del progetto “Autonomia
sociale”, sono stati presentati all’ultima edizione
di Vinitaly. Il sogno? Aprire un agriturismo dove
le persone down possano svolgere attività lavorative di vario genere, dalla coltivazione all’allevamento. Info: Aipdmarcatrevigiana.it.
qUALITÁ DELLA VITA
Foggia, dal 17 al 19 maggio torna InnovAbilia
I
nnovazione come
chiave per «abbattere le barriere e garantire pari opportunità». È
questo il credo di Innovabilia, festival dedicato alle novità presenti
sul mercato per migliorare la qualità della vita
delle persone disabili. Promosso dall’assessorato al Welfare della
Regione Puglia e organizzato dall’Arti (Agenzia regionale per la
tecnologia e l’innovazione) alla Fiera di Foggia, l’evento intende
diventare un punto di
riferimento nazionale
per lo scambio di cono-
scenze su tecnologie,
design, servizi e politiche innovative a sostegno delle diverse
abilità anche temporanee. Tutti argomenti che saranno al centro
di InnovAbilia, per lanciare nuove iniziative
a favore delle persone anziane, disabili e
con ridotta autonomia; i percorsi di visita abbracceranno sette
aree tematiche: innovazioni e tecnologie
per terapia e assistenza, domotica, mobilità,
educazione e inclusione scolastica, inclusione lavorativa,
comunicazione e inclusione sociale, tempo libero (sport, cultura,
turismo). In programma, anche la mostra
“Diverso design-oggetti diversamente utili”, con prototipi che
integrano tecnologie
sensibili e interattive,
realizzati da progettisti.
Negli ospedali psichiatrici
italiani circa 6 mila
Un fax o un sms per soccorrere i sordi A Trani apre la Ludausilioteca
sterilizzazioni forzate:
dal 1985 al 1998. Una
hiedere aiuto per i
vio di un fax al numero
usili informatici, disponibili anche per il prestiviolazione ancora diffusa,
non udenti da oggi è 0532/206066, corrisponto, e un laboratorio sperimentale sul giocatto- su cui non esistono dati
più facile, grazie al pro- dente alla centrale ope- lo accessibile. A Trani è nata la Ludausilioteca, per recenti, secondo Silvia
getto di emergenza sa- rativa 118 di Ferrara, o di venire incontro ai bisogni di divertimento di tutCutrera, presidente
dell’Avi (Agenzia per la vita
nitaria “118 sordi”.
un sms al 339/9941118,
ti i bambini, in particolare quelli con disabilità. Il
indipendente) di Roma
I responsabili delche mette in comunica- progetto innovativo è siglato dall’associazione
e membro dell’European
la Centrale operativa
zione con la centrale di “Promozione sociale e solidarietà”, insieme all’asdisability forum. Risale
di Ferrara hanno coin- Parma.
sessorato alla Solidarietà della Regione Puglia.
al 2008 l’inizio del “caso
volto l’Ens della città
La risposta dell’operaOspitato presso i nuovi locali del Centro Jôbêl, lo
Gauer”, che ha focalizzato
estense in un sistema
tore verrà inviata nella
spazio dedicato al gio- l’attenzione su questo
innovativo, che garan- stessa forma utilizzata
co sarà aperto a bamtipo di violenza contro le
tisce di comunicare in
per la richiesta. Così sabini disabili e non e alle donne disabili. Nell’agosto
2011 è approdato alla Corte
caso di bisogno attrarà possibile individuare
loro famiglie, che poeuropea dei diritti umani,
verso due modalità: l’in- il luogo della chiamata
tranno contare – oltre
e ottenere le principache su strumenti ludici ma ci vorranno alcuni
anni per conoscerne il
li informazioni sull’acca- e didattici – anche su un serie di ausili informatici, pronunciamento.
duto, in base alle quali
resi disponibili anche per il prestito. Inoltre presso
gli infermieri del 118 at- la particolare ludoteca prenderà il via un laboratotribuiranno un codice
rio sperimentale sul giocattolo accessibile e sarà
all’urgenza e invieranno attivato un servizio di trasporto a pagamento. Le
il mezzo più appropria- attività saranno gratuite fino a luglio.
to all’intervento.
Info: [email protected].
IL PROgETTO
C
RAgAZZI
A
7
L’INCHIESTA Città dell’utopia
Viaggio alla ricerca
Tutti la vorrebbero,
ma nessuno è riuscito
a realizzarla.
È la città dell’utopia:
comoda e accogliente
verso disabili, anziani
e bambini. E anche
esteticamente gradevole.
Ma soprattutto ispirata
a un approccio olistico
e realmente inclusivo,
che vada oltre
il superamento delle
barriere architettoniche
Michela Trigari
N
on è la città della fantascienza evocata più volte dalla penna di Philip Dick o dai film tratti dai suoi
romanzi come Blade Runner o Minority
Report. E non è nemmeno quella società
ideale descritta ne L’Utopia di Tommaso
Moro. Anche se spesso si tratta di scenari urbani che non esistono ancora, se
non solo in piccola parte o nell’immaginario di qualche architetto che ha deciso di sposare l’idea di una società più
attenta all’inclusione.
Parliamo di spazi e luoghi completamente privi di barriere architettoniche,
più o meno futuristici o futuribili, attraversati da scooter elettrici a tre o quattro
ruote e dotati di scivoli con pendenze molto lievi, rampe e pedane mobili,
ascensori e tapis roulant, indicatori visivi e acustici, pavimentazioni tattili e case automatizzate, senza però stravolgere
il paesaggio. È la città per tutti. Un centro abitato a misura di persone disabili e
8
anziane, mamme e bambini, dove ogni
elemento – dagli edifici alle strade, dalle
piazze ai parchi, dagli impianti sportivi
ai mezzi pubblici – è ispirato ai principi
della democrazia, della partecipazione e
dell’accessibilità. Realtà o utopia? Un po’
l’una e un po’ l’altra.
Se in Italia, ma soprattutto all’estero,
esistono alcuni esempi di architettura e
mobilità urbana che seguono i dettami
del cosiddetto design for all, molto resta
ancora sulla carta. Eppure qualcosa si
muove. Pezzi di urbanistica sparsi qua e
là che, come in un puzzle, vanno a comporre quell’habitat che la maggior parte delle persone vorrebbe. Se n’è accorta
anche la Commissione Europea, tanto
che due anni fa ha istituito il Premio per
la città accessibile (Access city award):
nel 2011 il riconoscimento è andato al lavoro fatto da Ávila (in Spagna) sulla sua
pianta medievale, mentre nel 2012 ha
vinto l’opera a 360 gradi realizzata da
Salisburgo (in Austria). In lizza, tra i Co-
della città ideale
Sopra, uno dei rendering
architettonici di Dante Ferretti per
arredare i viali della Expo 2015,
in programma a Milano
muni italiani, si sono alternati Venezia,
Parma, Reggio Emilia e Cuneo, ma in
questi due anni nessuno di loro si è classificato tra i finalisti. Sempre presente,
nella fascia alta della classifica, anche la
Germania. Il motivo? L’adozione di strategie a lungo termine, l’approccio alla
progettazione universale, l’integrazione
delle persone disabili anche nei piani comunali per l’accessibilità.
L’importanza della partecipazione. Una città perfetta, infatti, inizia
dalla partecipazione dei suoi abitanti
già in fase di programmazione edilizia,
urbanistica e ambientale. I Paesi anglosassoni già lo fanno, e la Gran Bretagna insegna, privati compresi. Ne è un
esempio lo studio di consulenza, ricer-
ca e design inclusivo di David Bonnet,
in Inghilterra: in fase di consultazione,
infatti, gruppi di persone disabili e anziane o di bambini si incontrano con i
progettisti, le autorità locali e i clienti,
utilizzando anche planimetrie tattili,
per aiutarli a mettere a fuoco un progetto che sia veramente accessibile a tutti.
«In Italia, invece, i processi partecipativi inclusivi sono considerati spesso
come un regalo che le amministrazioni
locali fanno ai cittadini, mentre dovrebbero essere semplicemente strumenti di
democrazia», commenta Lucia Lancerin,
architetto e coordinatrice del “Laboratorio città, partecipazione e ambiente” di
Bassano del Grappa (Vicenza). Qualche
buona prassi comunque esiste, soprattutto in sede di riqualificazione urbana:
si tratta, per esempio, delle esperienze
dei Comuni di Piossasco (Torino), Castenaso (Bologna), Prato (Firenze), Monterotondo (Roma). «Ma bisogna evitare di
commettere l’errore di attivare proces-
9
Expo 2015: la sfida di una Milano per tutti.
Mentre Dante Ferretti, vincitore di tre premi
Oscar per la scenografia, sta preparando il
progetto per arredare i due principali viali
dell’Esposizione universale del 2015, la Ledha
(Lega per i diritti delle persone con disabilità)
di Milano ha costituito l’“Osservatorio Expo
per tutti”. Lo scopo della rete di associazioni
lombarde è quello di diffondere i principi e
le linee guida per l’accessibilità universale
delle strutture e delle infrastrutture che
saranno realizzate in vista di quell’evento,
compresi i trasporti e la viabilità cittadina,
gli edifici e i servizi pubblici, l’accoglienza
e la comunicazione via web. Un tavolo di
confronto con i soggetti pubblici e privati
competenti in materia di coordinamento e
pianificazione, la formazione degli addetti
ai lavori, un architetto esperto di universal
design, la figura del disability manager e il
monitoraggio del grado di accessibilità degli
interventi previsti sono le proposte finora
avanzate dalla Ledha. [M.T.]
L’INCHIESTA Città dell’utopia
Una panoramica della strada londinese
Exhibition Road, in South Kensington,
scattata da Olivia Woodhouse.
Nonostante gli sforzi compiuti, il parco Dora
di Torino (nella pagina a fianco), sorto sui resti
degli stabilimenti Michelin e delle ferriere
Fiat come recupero di archeologia industriale,
non ha superato il test d’accessibilità fatto
dal gruppo “Una città per tutti”. La causa?
Ascensori non funzionanti e canalini d’acqua
non protetti, visionati durante il sopralluogo
dell’area Vitali, inaugurata lo scorso anno.
si partecipativi rivolti esclusivamente a
una determinata categoria sociale, per
esempio solo alle persone disabili o con
una determinata disabilità, e realizzare invece un processo di trasformazione
aperto a tutti i fruitori di uno stesso luogo, legandolo cioè al territorio, che sia il
più possibile libero e spontaneo – continua Lancerin –. E poi bisogna ricordarsi
che la partecipazione può nascere anche
dal basso, grazie all’impegno di cittadini o associazioni».
Design for all: un occhio al com– scendi con la giusta inclinazione, oppu- superamento delle barriere architettofort, l’altro all’estetica. L’altro con- re eliminandolo e sostituendolo con un niche all’urbanistica per tutti. La stra-
cetto chiave, design for all, è ispirato ai
principi del bello e del benessere per tutti che dà per scontato l’elemento dell’accessibilità, basandosi sull’individuo
reale e sulla diversità umana. «Il nostro
lavoro non è quello di eliminare le barriere architettoniche – spiega Avril Accolla, vicepresidente di Design for all
Italia e membro dell’omonimo network
europeo –, né di progettare specificatamente per la disabilità o altre categorie sociali, ma di avere un approccio
olistico, inclusivo, multisensoriale e
multidisciplinare in ogni campo della
vita quotidiana senza creare nessun tipo di discriminazione»: dall’oggettistica
all’arredamento, dall’architettura ai trasporti. «Prendiamo come esempio un
marciapiede: la sua funzione è quella di
proteggere dalle auto. Come faccio a ottenere questo risultato nella maniera più
agevole per tutti? Prevedendo dei sali-
cordolo che separa la carreggiata dall’area riservata ai pedoni come a Iseo (in
provincia di Brescia), ma anche inserendo delle guide per le persone non vedenti, o utilizzando pavimentazioni tattili
come ad Århus, in Danimarca». Tenendo però sempre «un occhio puntato sul
comfort e un altro sull’estetica – continua Accolla –, senza mai dimenticare il
caposaldo fondamentale: l’utente standard non esiste». Un altro esempio sono
«i sedili abbattibili» o a scomparsa «che
si trovano nelle sale convegno multifunzionali di alto livello. Lo stesso meccanismo potrebbe essere utilizzato anche nei
cinema, anziché relegare le persone in
carrozzina ai margini della sala».
La lezione d’Oltralpe. È all’estero
che si vedono i risultati migliori quando si pensa alla città ideale. La filosofia è quella di passare dai piani per il
10
tegia adottata da molti Paesi europei è
questa: meno rigore legislativo in materia di standard di accessibilità e meno tecnicismi normativi in fatto di
altezze, larghezze e pendenze. Il risultato? Molta più funzionalità per tutti.
Dai taxi londinesi alla metropolitana
di Copenaghen – dove le biglietterie e
le carrozze sono accessibili, segnali sonori e visivi avvisano della chiusura
delle porte e delle varie fermate, i cani guida non pagano e c’è posto anche
per loro –, dai treni svedesi (molti dei
quali hanno le porte allo stesso livello
delle piattaforme, i sedili ergonomici
e lo spazio per le sedie a ruote) al museo del Louvre di Parigi, che nel 2002
ha ottenuto il marchio di qualità Tourisme et handicap. E poi ancora: dalle banalissime audio-guide per visitare una
mostra alle più sofisticate mappe tattili anche per le aree naturalistiche e i
Mobilità: ecco
gli elettroscooter
Una città ideale dovrebbe avere un sistema
integrato di trasporti accessibili a tutti:
autobus, tram, metropolitana, taxi e nodi
di interscambio, ma anche pulmini in
convenzione con il privato sociale e strumenti
di mobilità alternativa. La perfezione, infatti,
non si raggiunge solo con i mezzi pubblici.
Il servizio di shopmobility mette a disposizione
delle persone con difficoltà motorie piccoli
scooter elettrici o sedie a ruote a noleggio
per muoversi liberamente in città, nelle aree
verdi, nei centri commerciali o all’interno
delle fiere. Questo servizio nasce alla fine
degli anni Settanta in una cittadina inglese,
per rispondere alle diverse esigenze di
mobilità nelle aree pedonalizzate. Nel 1987
viene istituita la Federazione nazionale dello
shopmobility. Oggi ci sono circa 300 centri
in tutta la Gran Bretagna, aperti almeno
quattro ore al giorno, senza contare i servizi
temporanei offerti in occasioni particolari.
Anche Olimpiadi e Paralimpiadi di Londra
avranno il loro Games mobility. Lo shopmobility,
solitamente erogato da un ufficio e da
eventuali punti mobili in caso di eventi
speciali, viene segnalato nelle guide turistiche;
la gestione è affidata a volontari, mentre i
fondi per l’attivazione arrivano dall’autorità
locale e da sponsor privati.
In Italia un servizio con caratteristiche simili è
presente a Genova: si chiama Mobility service,
ideato dalla cooperativa sociale “La Cruna”. Ma
sono dotati di scooter elettrici anche la nuova
sede del Comune di Bologna, l’Orto botanico
di Roma (guasti permettendo) e Villa d’Este a
Tivoli, dove i veicoli ricordano quelli dei campi
da golf. [Daniela Orlandi]
centri storici. Passando infine per le tipiche aree gioco dei Paesi scandinavi –
con strutture in legno fatte di rampe,
maniglie, elementi didattici e sonori –
e per il manuale spagnolo Bar e ristoranti accessibili per tutte le persone, una
pubblicazione realizzata dalla fondazione Once che dà indicazioni perfino
sulle posate, sul bancone, sui tavolini e sugli arredi. Ma anche in una città come Londra non tutte le ciambelle
riescono col buco: pomo della discordia
il restyling di Exhibition Road, in South
Kensington, dove l’assenza di marciapiede non ha soddisfatto le persone non
vedenti, in quanto i cani guida non avevano più nessun punto di riferimento.
Ecco allora che l’amministrazione è dovuta correre ai ripari; sono così stati realizzati dei solchi nella pavimentazione
per segnalare l’inizio della carreggiata
riservata alle automobili. Ora tutti sono d’accordo sulla nuova veste della via.
Cosa avviene nel nostro Paese.
Anche sul versante italiano, comunque,
le buone prassi non mancano. È il caso
di Parma, la città più accessibile d’Italia secondo una giuria nazionale formata da Anmic (Associazione nazionale
dei mutilati e invalidi civili), Fish (Federazione italiana per il superamento
dell’handicap) e Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani), oppure del
Maxxi, il nuovo Museo nazionale delle
arti del XXI secolo di Roma: un esem-
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pio di architettura contemporanea che,
oltre all’ascensore e alle sedie a ruote a
disposizione di chi ha problemi motori, ha voluto una lunga rampa al posto
delle scale per raggiungere la galleria al
terzo piano, sperimentando anche visite guidate per le persone non vedenti e
non udenti.
Ma si possono citare anche il piano
per l’accessibilità urbana di Brescia (un
tentativo di progettazione a lungo termine), la ristrutturazione di piazza della
Vittoria e di piazza Martiri del 7 luglio
a Reggio Emilia, totalmente inclusive senza che ciò dia nell’occhio. Ancora, il Parco delle libertà di Montesilvano
(Pescara), un’oasi verde priva di barriere architettoniche, e l’area di ristorazione veloce dell’Autogrill di Ravenna sulla
E45, che ha ottenuto il marchio di qualità Design for all Italia.
«Non esiste una sola città dell’utopia.
Ci sono invece varie soluzioni per rendere ideale una città», sostiene Fabrizio
L’INCHIESTA Città dell’utopia
Domotica: meglio se pubblica
Vescovo, architetto, direttore del corso di formazione post laurea “ProgettaDal laboratorio di domotica del Centro protesi
re per tutti” all’Università La Sapienza
Inail, che si occupa di sviluppare nuove
applicazioni per semplificare il controllo
di Roma. «Però i centri abitati italiani,
ambientale da parte delle persone disabili,
grandi o piccoli che siano, non sono stafino alla casa a riconoscimento vocale di Dirha ti pensati per essere amichevoli con tut(Distant-speech interaction for robust home
ti. Viviamo in tessuti urbani affaticanti,
applications), progetto europeo partito a
creati per un uomo medio che in realtà è
marzo e coordinato dalla Fondazione Bruno
pura fantasia. Le persone, infatti, modiKessler di Trento. Passando per il condominio
“orizzontale” di edilizia residenziale pubblica, ficano le proprie esigenze in base all’età,
totalmente accessibile e automatizzato,
alla salute, al grado e al tipo di disabilinato nel 2008 dalla collaborazione tra
tà, a come sono vestite».
Comune di Bologna, Azienda casa, Ausl e Aias
Una mamma con il bimbo nel pas(Associazione italiana assistenza spastici): una
seggino, un anziano con il bastone, una
casa popolare con otto appartamenti senza
barriere architettoniche e dotati di comandi
ragazza con i tacchi a spillo o una perautomatici, destinati alle persone disabili che
sona disabile dovrebbero avere lo stesso
ne fanno domanda e che posseggono i requisiti
per accedervi. La città dell’utopia, infatti, non diritto a fruire del luogo in cui vivono, senza fare fatica nemmeno a salire
è perfetta solo fuori. Ecco allora che entra
sull’autobus. «La prima regola in matein gioco la domotica, che punta a migliorare
la vita quotidiana rendendo più facile
ria di progettazione, quindi, è quella di
regolare la temperatura delle stanze, alzare e non riferirsi a degli stereotipi, ma imabbassare le tapparelle, sintonizzare radio e
maginare infinite sfumature. Tenendo
tv sui programmi preferiti, aprire o chiudere
conto soprattutto di quattro elemenle finestre, attivare gli elettrodomestici
ti fondamentali: le distanze, i dislivelo far partire segnali di allarme. In Emilia
Romagna, per dare uniformità al sistema,
li e il tipo di pavimentazione, l’arredo
sono nati i Centri provinciali per l’adattamento urbano e la conciliazione di normatidell’ambiente domestico (Caad): dieci sportelli
ve diverse che vanno dalla circolaziod’informazione e consulenza ai cittadini su
ne stradale all’edilizia. Di conseguenza,
automazione della casa, agevolazioni fiscali e
contributi a cui le persone disabili e gli anziani serve un approccio globale e integrato
possono accedere. Sportelli dotati anche di
che diversifichi gli strumenti a dispoun’équipe multidisciplinare – formata da un
sizione, non solo in materia di urbanifisioterapista, un educatore professionale,
stica ma anche di mobilità, occorre più
un architetto, un ingegnere elettronico e un
attenzione da parte del versante poliesperto di domotica – che effettua colloqui,
tico e amministrativo e bisogna punvalutazioni e sopralluoghi. [M.T.]
tare maggiormente sulla formazione
dei tecnici», commenta Vescovo. A Ro-
12
Piazza della Vittoria
e dei Martiri del 7 luglio,
a Reggio Emilia.
A destra, uno scorcio dall’alto
dell’interno del Maxxi, il Museo
nazionale delle arti del XXI secolo di
Roma, in uno scatto di Claudio Bosco.
Nella foto piccola, il Parco Olimpico
di Londra (by Anthony Charlton,
Oda, London 2012).
ma, comunque, qualcosa si è mosso:
«Mi riferisco soprattutto al Lungotevere di fronte all’ospedale Santo Spirito e
al tratto pedonale che va dal Pantheon alla fontana di Trevi, in particolare
nei pressi di piazza della Borsa, dove accanto ai classici sampietrini è stata aggiunta una striscia di pavimentazione
più liscia – spiega l’architetto –. A Villa
Borghese, poi, c’è la possibilità di utilizzare le auto elettriche tipo quelle usate
sui campi da golf».
Una scelta culturale, prima che
legislativa. «Non è una questione di
normativa, e neanche di pianta medievale dei centri storici italiani, ma
si tratta piuttosto di metodo, cultura,
scelte politiche e coinvolgimento delle associazioni». Su questo tasto insiste
anche Leris Fantini, membro del Centro europeo di ricerca e promozione
dell’accessibilità Cerpa Italia onlus. Così la fruibilità «dei nostri luoghi e spa-
Il sabato del villaggio
(paralimpico)
zi, un concetto soggettivo che è diverso
da persona a persona, risulta spesso a
macchia di leopardo. E siamo capaci
di costruire nuove generazioni di barriere architettoniche perfino dopo un
intervento di riqualificazione urbana – commenta il tecnico –. Restano
sempre alcuni ostacoli, che magari non
tengono conto delle disabilità sensoriali, quando la progettazione non è partecipata o non è per tutti». Le leggi ci
sono, eccome (in primis le disposizioni atte a garantire accessibilità e adattabilità degli edifici privati e di edilizia
residenziale pubblica, oltre alle norme
per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli spazi e servizi pubblici), ma «sono superate o non vengono
applicate» correttamente. Tanto che «la
giurisprudenza in materia non si fonda
sulla normativa tecnica ma sulla legislazione che tutela i diritti delle persone disabili e condanna ogni forma di
discriminazione», dalla legge quadro
104/92 alla Convenzione Onu approvata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel
2009. «Le amministrazioni virtuose sono veramente poche – continua Fantini
–: si trova qualcosa di buono in Veneto,
in Lombardia, in Emilia-Romagna (per
la presenza del Centro regionale di informazione sul benessere ambientale)
e in Toscana, dov’è nato l’Osservatorio
regionale contro le barriere architettoniche e in cui sono state elaborate le Linee guida per la redazione dei piani di
accessibilità». Nonostante gli sforzi fatti in questi anni per dare uniformità al
sistema – e parliamo del Libro bianco
sull’accessibilità e la mobilità urbana,
voluto dal ministero del Welfare (che
ha istituito anche la figura del disability manager), delle linee guida ministeriali per la fruibilità dei parchi, delle
zone marittime e dei luoghi di interesse
culturale, dei vari piani regolatori comunali –, quella che manca è semplicemente la mentalità for all.
13
Torino e Londra insegnano. La prima perché
si è già rifatta il look (era il 2006); la seconda,
invece, perché è in pieno restyling. Parliamo
delle ultime due città europee sede delle
Olimpiadi e Paralimpiadi, invernali e non:
eventi che per eccellenza devono raggiungere
il massimo grado di accessibilità. E non solo
per gli atleti. La sfida di Londra 2012 è quella
di avere Giochi aperti a tutti e di sfruttare
l’occasione per fornire ai cittadini un’eredità
tangibile fatta di infrastrutture e servizi, in
una visione complessiva dove l’accessibilità
occupa un posto di primo piano.
La capitale britannica si sta preparando
per questo evento sportivo di fine estate,
mettendo a punto una strategia in cui anche
l’inclusione è importante. La riqualificazione
di una parte della città – l’area di Statford,
dove sorge il
Parco olimpico –,
il miglioramento
del sistema dei
trasporti e il
potenziamento
del turismo
rappresentano
le tre aree strategiche di intervento. La
ristrutturazione urbana vuole lasciare ai
posteri nuovi edifici e servizi improntati
tanto alla piena accessibilità quanto alla
sostenibilità ambientale. Dunque nessuna
cattedrale nel deserto poiché, una volta finiti
i Giochi, i londinesi potranno appropriarsi di
questi spazi: lo stesso Villaggio olimpico, con
i suoi 2.800 alloggi, diventerà un quartiere
residenziale. Il sistema dei trasporti, invece, è
stato oggetto di uno studio e di investimenti
mirati a garantire un alto grado di accessibilità
per tutti. Gli organizzatori hanno lavorato
per migliorare la fruibilità di stazioni e
linee ferroviarie (oltre 100 milioni di sterline
solo per quella di Stratford), attraverso il
potenziamento dell’esistente e la realizzazione
di nuovi ascensori e strumenti d’informazione
audiovisiva per chi ha problemi sensoriali.
Ma anche la qualità e l’accoglienza delle
strutture ricettive, così come i turisti disabili e
anziani, ne trarranno beneficio. Informazioni
su Inclusivelondon.com e London2012.com,
sezione Accessibility. [D.O.]
INSUPERABILI Intervista a Julia Kristeva
Perché l’handicap fa così
Spesso la disabilità genera
angoscia e induce chi non
la vive sulla propria pelle
a voltarsi dall’altra parte.
Ne parla Julia Kristeva,
intellettuale e madre
di un ragazzo disabile.
Che spiega quanto, tra
compassione e battaglia
per i diritti, sia difficile
farsi un’idea giusta delle
persone disabili.
Per i credenti come
per i non credenti
Eleonora Camilli
B
ulgara di nascita, francese d’adozione, Julia Kristeva è oggi una
delle più importanti intellettuali
viventi. Semiologa, psicanalista, filosofa e scrittrice, esponente di spicco dello
strutturalismo francese, nel suo percorso ha collaborato con i più grandi pensatori della sua epoca.
Atea convinta, è consulente del Pontificio Consiglio della cultura. Nel suo
ultimo libro – Il loro sguardo buca le nostre ombre, uno scambio epistolare con
Jean Vanier, che ha fondato in Francia
la comunità “L’arca” –, affronta il tema
della diversità da filosofa ma soprattutto da madre di un ragazzo disabile, David.
Il suo libro è un dialogo tra due punti di
vista sulla disabilità. Da una parte, l’approccio caritatevole di stampo cattolico di Vanier; dall’altra, lo sguardo laico e
la questione dei diritti. Quali sono i principali ostacoli per una piena realizzazio-
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ne della persona disabile che vada oltre la
commiserazione?
Il più grande ostacolo risiede nella difficoltà di noi tutti, credenti e non
credenti, a farci un’idea giusta della
persona disabile. Per i credenti si sviluppa spesso una grande compassione
e un’identificazione con la sofferenza,
che può condurre a un’infantilizzazione delle persone disabili, nel senso che
si tende a proteggerle sviluppando meno
la loro partecipazione alla vita sociale,
culturale, politica e lavorativa. Invece,
salvo casi di handicap molto gravi, c’è
sempre la possibilità di assicurare questa partecipazione e arrivare a una piena
integrazione. Invece, dal punto di vista
delle persone che si battono per i diritti,
è chiaro che la solidarietà non basta. È
necessario uno sforzo di comprensione
affettiva, non solo intellettuale, dell’esclusione terribile in cui si trovano le
persone disabili. Un’identificazione affettiva che ha una grande affinità con la
La copertina del volume
di Julia Kristeva,
scritto con Jean Vanier,
edito da Donzelli
vanti alla vita e alla morte. E
quest’idea della singolarità si
sviluppa nell’incontro tra la
normalità e l’handicap.
La disabilità, dunque, ci mette davanti alla nostra vulnerabilità, alla parte più segreta di noi, che
non vogliamo vedere. Ma cosa c’è alla base di questa rimozione?
paura
lotta per la vita, molto difficile da sviluppare in chi non è disabile.
Perché è così difficile?
Perché si tratta di un tipo di esclusione incomparabile: non è un’esclusione
per ragioni politiche, sociali, di razza,
di religione o sessuali. Con queste tipologie di esclusione lo spirito illuminista
ci ha insegnato a essere solidali e tolleranti. Ma il disabile, a differenza degli
altri, ci mette di fronte ai limiti stessi
della vita e alla nostra mortalità. L’incontro con l’handicap è dunque fonte
di enorme angoscia per chi non è affetto dagli stessi problemi, e fa sì che ci
si disinteressi e si giri la testa dall’altra
parte. In realtà si tratta soltanto di una
forma di difesa nei confronti della propria paura. Per questo è necessario un
enorme lavoro di informazione. La preoccupazione del nostro umanesimo, che
si sia credenti o meno, è non considerare
le divisioni tra normali e anormali, ma
pensarci tutti come individui unici da-
L’educazione alla funzione materna avviene attraverso molte difficoltà e
insuccessi. Capita spesso che
si considerino i figli come
una riparazione: il bambino deve riuscire dove noi abbiamo fallito. La tendenza è di investire in maniera
esagerata sui figli, dandogli degli obiettivi incommensurabili, creando così la
figura del bambino ideale. Come fare
dunque a cambiare?
Bisogna accompagnare le donne e
aiutare le madri nel loro lavoro, prevedendo aiuti finanziari e potenziando il
numero di asili e di assistenti familiari.
Ma soprattutto è necessario cambiare
l’immagine della responsabilità genitoriale: madri e padri non devono considerare i figli come realizzazione dei
propri ideali, ma hanno la responsabilità di incoraggiarli a svilupparsi nei loro limiti e desideri. Siamo una società
che non ha modelli per la genitorialità.
Nelle religioni troviamo il modello della madre ebrea o cristiana, spesso
molto caricaturali. Di contro, nel mondo laico, non abbiamo paradigmi per
sapere chi è una buona madre e un buon
padre. Il grande psicanalista inglese
Winnicot ha parlato di una «madre sufficientemente buona». Ma cosa vuol dire
«sufficientemente»? È qualcosa di intuitivo, singolare, creativo. Apriamo, dunque, il dibattito perché la questione di
una pedagogia della genitorialità diventi un progetto della società.
L’handicap ci pone di fronte a due
questioni molto difficili: la morte e la
norma. La società secolarizzata, l’umanesimo moderno, non ha dato vita
a un discorso sulla morte. Mentre nella religione esiste l’idea della vita eterna, l’umanesimo non ha prodotto un
suo discorso sul tema. L’handicap, invece, rappresenta l’ombra della morte
sulla vita: un grande dibattito filosofico che è necessario aprire.
La seconda questione è quella della norma: spesso le belle anime sostengono che la disabilità è senza norme,
ma non è vero. L’evoluzione del concetto di normalità oggi comincia a entrare
anche nel dibattito politico. Ma ci sono delle persone disabili che hanno fatto talmente tanti sforzi rispetto al loro
handicap da rinnegare la loro differenza e i limiti che gli vengono posti.
Bisognerebbe invece avere un atteggiamento che tiene conto delle anomalie, che possono essere compensate da
altre creatività. Queste supplenze rispetto al binomio norma-anomalia devono
essere prese in considerazione per far
capire a tutti il rispetto che devono avere per i disabili e per non metterli nelAfferma di aver perso l’illusione di poter
la situazione di dover denigrare i propri
cambiare lo sguardo sulle persone disabilimiti. Se riusciamo ad accompagnare
li. Ha ritrovato la speranza di poterlo fare?
le persone disabili con questa delicatezÈ sempre possibile continuare a batza, l’handicap può diventare una risor- tersi, cercando di far convivere lo sguarsa per tutti.
do politico con la delicatezza che persone
Scrive: «Non voglio che mio figlio non sia come Jean Vanier ci mostrano. Conservo
considerato diverso nella società. Ma vo- un certo scetticismo per quanto riguarglio aiutarlo a trovare i suoi desideri». Per da la riuscita in tempi rapidi di questo
cambiare lo sguardo sui disabili, bisogna cambiamento, ma l’incontro con Jean
forse cominciare da un cambiamento nel- mi ha incoraggiata nella ricerca di nuove ragioni per andare avanti.
lo sguardo materno?
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SOTTO LA LENTE Tra clown e trapezi
Circo Insieme, per allenarsi
al divertimento
Giovanni Augello
A
In una scuola
del quartiere
romano di
Torpignattara,
ogni sabato
pomeriggio, si vola
appesi alle funi e
non solo. Protagonisti
delle esibizioni, una
cinquantina di ragazzi
disabili e non. Piccoli
artisti dai 4 ai 17 anni,
con una regola ferrea:
«Prima di dire “non si
può fare”, prova»
lla periferia di Roma c’è una scuola dove ogni sabato, una volta
chiusi libri e quaderni, si vola sui
trapezi e appesi alle funi, si gira per i
corridoi con i pattini o con la faccia impiastricciata di colore. Una scuola dove vige una regola ferrea che vale per
tutti: «Prima di dire “non si può fare”,
prova».
È sabato mattina, il
quartiere di Torpi
Torpignattara di Roma è
silenzioso. L’Isti
L’Istituto comprensi
comprensivo Laparelli è
aperto anche oggi. Il sabato si riempie
di piccoli artisti, i ragazzi di Circo Insieme. Lo hanno chiamato così perché è
la realtà: ci sono tutti, grandi e piccini,
disabili e normodotati, in un miscuglio
di gag e esibizioni, di grida e ovazioni
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sotto gli occhi attenti di Gianni Alessio, direttore tecnico dell’associazione Acli terzo millennio, di cui fa parte
il progetto, e docente di scienze motorie dell’istituto. Insegna qui da quarant’anni, ha visto il quartiere cambiare
nel tempo e crescere nella sua scuola la
voglia di superare gli ostacoli.
«Qui è proibito dire che non si può
fare», dice Alessio, sollevando con un
sorriso gli occhiali da vista appoggiati
sul naso. L’idea del circo è nata con un
esperimento: «È l’ambiente più favorevole per privilegiare quelle che noi chiamiamo situazioni di deficit – spiega –.
Abbiamo scoperto che quella che viene considerata una riduzione nell’ambiente sociale, può diventare un punto
di forza nell’ambiente circense, dove c’è
il concetto di solidarietà e di assistenza
reciproca».
Nato nel 2008 da un’idea di Stefano
Moser e Serena Roveta, il progetto è un
work in progress spesso costretto a navigare a vista in balia dei fondi concessi ora dalla Provincia, ora dallo stesso
istituto. Raggruppa una cinquantina di
ragazzi eterogenei per età e tipo di disabilità. Si va dai quattro ai diciassette
anni. «Abbiamo riunito in regime di integrazione bambini portatori della sindrome Adhd (deficit d’attenzione), un
ragazzo con sindrome di Down, alcuni disabili fisici con emiplegia (esito di
cerebro lesioni), non vedenti e autistici. Scoprendo che le loro capacità resi-
due diventano un punto di forza nel
gruppo».
Le lezioni vedono i ragazzi impegnati in diverse discipline, dall’acrobatica alla clownerie. Prova dopo
prova, ognuno ha affinato le proprie
attitudini: i ragazzi con sindrome
Adhd si sono distinti nell’atletica aerea, i bambini non vedenti invece
hanno stupito tutti nel pattinaggio
e Simone, quasi diciottenne con sindrome di Down, ha scoperto un’innata passione per la clownerie. È lui la
vera star del gruppo e, quando toglie
il trucco, è anche un campione di atletica nei 60 metri indoor. «Mi piace far
divertire le persone – dice sorridendo,
mentre alle sue spalle due bambini
dondolano sui trapezi –. Soprattutto quando faccio l’uomo più forte
del mondo». Gli piace anche improvvisare sul palco durante
gli spettacoli. «Ha delle attitudini eccezionali, per la
sua capacità di immedesimarsi nella scena con serietà
e l’aspetto del clown Auguste,
che non ride mai e gestisce il
proprio corpo in una maniera così
buffa da far ridere», commenta Alessio.
europei nei 100 metri e 15 autistici che
lavorano insieme ai tirocinanti della facoltà di Scienze motorie dell’università
di Tor Vergata e dello Iusm di Roma».
Un contributo, quello di neolaureati e universitari, che dà una spinta motivazionale in più. «È una bellissima
esperienza – racconta Veriana Vespa,
tirocinante di Scienze motorie dell’università di Tor Vergata –. Chiunque
mette piede qui nota il senso di comunità e l’entusiasmo. Sembra una grande
famiglia». Un entusiasmo che coinvolge
tutti. «Si crea un rapporto molto bello
sia fra ragazzi disabili, che con i ragazzi
normodotati. I più piccoli, che potrebbero essere più inclini
all’emarginazione,
al contrario sono
molto aperti. Gli
stessi disabili non hanno
Un clown
di Circo
Insieme
Se l’esperimento è riuscito, la palestra del Laparelli non può che essere un laboratorio in pieno fermento.
Dispone di spogliatoi senza barriere
architettoniche, ha ben nove postazioni di acrobatica aerea, cerchio, tessuto, trapezi e fune. Attrezzature che
non soffrono certo di solitudine: sugli scaffali, un’affollata schiera di trofei raccolti in giro per l’Italia grazie
all’impegno anche in ambito sportivo. «Abbiamo una squadra femminile che per due anni di seguito ha
vinto il titolo italiano a squadre del
Cip per l’atletica leggera – riferisce
Alessio –. C’è anche una ragazza
che ha partecipato ai campionati
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paura di sperimentare cose nuove, perché hanno chi li accompagna e dà loro
uno stimolo per non arrendersi».
Ma il circo ha coinvolto anche le
famiglie: «Seguono costantemente i
propri figli in queste attività – spiega
Alessio –. Abbiamo scoperto con dei
questionari, poi, che anche i genitori
dei ragazzi normodotati sottoscrivono
in pieno l’esperienza per questa sorta
di vaccinazione contro i pregiudizi. In
questo ambiente si scoprono le ricchezze dell’altro».
Purtroppo, però, a oggi le risorse limitate non permettono di avere altri
istruttori. E spesso di tratta di una sorta di «semivolontariato: siamo una decina di operatori. Due si occupano della
clownerie, uno del pattinaggio e altri
due dell’acrobatica aerea e a terra, altre tre persone coordinano la parte teatrale e organizzativa circense e io curo
la parte di potenziamento muscolare.
Abbiamo ricevuto fondi dalla Provincia e la scuola ci ha aiutato molto, ma i
finanziamenti sono limitati».
Senza limitazioni, invece, le iscrizioni: possono partecipare gratuitamente
tutti i bambini della capitale; i genitori affrontano solo le spese per l’assicurazione. Nonostante le difficoltà, Circo
Insieme sta esportando la propria esperienza anche fuori Roma: ha partecipato al Festival delle scuole di piccolo
circo a Pisa e quest’anno ha presentato
il progetto al “Circomondofestival” di
Siena, rassegna internazionale di circo sociale.
Per Lucia Gallina, tecnico Fidal e Cip
e parte del team, il segreto di questo
successo è da ricercare nel coraggio di
lavorare bene anche con quel poco che
si ha. «Bisogna entrare in gioco – sottolinea –. Essere prima di tutto formati,
ma avere anche cuore per entrare nella
sofferenza e nella difficoltà. Mettere le
mani in pasta per fare una grande pasticceria».
CRONACHE ITALIANE Lamezia Terme
Le battaglie di Emma
Viene da una famiglia
in cui quattro fratelli
su sette hanno la distrofia
muscolare. Ma Emma
Leone, tra i fondatori della
Comunità Progetto Sud,
non si è mai arresa
alla sua disabilità.
Sposando un obiettore di
coscienza e abbracciando
le cause del pacifismo
e dell’antimafia. Anche se
da oltre quattro anni vive
attaccata a un respiratore
Raffaella Cosentino
T
rasformare il veleno in medicina.
È un principio buddhista risalente
al Medioevo che Emma Leone ha
messo in pratica per tutta la vita. Anche
se è nata cattolica, a Lamezia Terme, e
con la filosofia del buddhismo non ha
mai avuto a che fare. Un cognome, un
destino: con la forza di un felino all’attacco, ha trasformato la disabilità nello
strumento per salvare la sua vita da un
destino segnato. La distrofia muscolare, portandole una sedia a rotelle prima e un respiratore poi, l’ha resa una
donna libera.
Le prime difficoltà a camminare si
sono manifestate a 14 anni. Era il 1969
e in casa Leone c’erano altri tre fratelli
con la stessa malattia, iniziata per tutti fra gli 11 e i 12 anni. Sette figli in tutto,
di cui quattro con la distrofia; Emma,
l’unica ragazza. Nello stesso anno morì Giovan Battista, un fratello ventenne,
muratore: durante una giornata al ma-
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re fu colpito per sbaglio alla testa da un
proiettile vagante, esploso con una dinamica che non è mai stata chiarita.
«Quattro fratelli disabili e un morto in
casa per una disgrazia, la nostra famiglia fu sbattuta in prima pagina dalla
stampa. Da allora ho cominciato a non
sopportare i giornalisti», racconta oggi,
che di reporter ne conosce tanti e molti
sono diventati suoi amici.
«Non avevo fede, non credevo in
niente. Ma due anni dopo la morte di
mio fratello mi sono convinta a fare la
cresima per fare festa in casa e svegliare un po’ mamma». La madre di Emma
ormai non usciva più, se non per andare al cimitero. Subito dopo la morte di
Giovan Battista, qualcuno per strada le
disse: «Peccato che ti hanno ammazzato il figlio sano». Invece lei adorava tutti
i suoi ragazzi e non avrebbe voluto nemmeno lasciarli andare in comunità. Ma
quando le comunicarono la loro scelta, non si oppose. Disse soltanto: «Sap-
piate che questa resta la vostra casa». A
vent’anni, nel 1975, Emma incontra don
Giacomo Panizza, bresciano trapiantato in Calabria per fondare la Comunità
Progetto Sud di Lamezia Terme. Oggi è
un “prete sotto scorta” per aver sfidato
la ’ndrangheta.
Ma per lei stare ferma non è possibile. Inizia con l’attivismo antima-
Emma Leone.
A sinistra,
manifestazione
antimafia
a Lamezia
Terme
«Con l’entrata in comunità mi sono
chiesta: perché queste persone spendono
la loro vita con noi in carrozzina?». Così
inizia a cambiare il suo modo di vedere
le cose. E oggi si sente davvero «fortunata. Aver avuto la disabilità mi ha fatto
vivere situazioni e scelte che danno senso alla mia esistenza – dice con un guizzo di luce negli occhi –. Altrimenti avrei
avuto un percorso designato da moglie e
casalinga. Rifarei tutto; certo, se potessi
modificherei alcuni malesseri fisici, ma
sento di aver realizzato una vita piena».
Chi va a trovarla nella sua stanza alla Comunità Progetto Sud, la trova sempre con una sfilza di giornali davanti, il
computer e il telefono. Impegnata a «tenere le fila», come spiega lei stessa, delle tante iniziative sociali e antimafia
che coordina. Ma il racconto del passato è ancora più sorprendente. «Negli anni Settanta i disabili venivano deportati
negli istituti del Nord, ma i miei genitori non hanno mai seguito questo consiglio che arrivava da vicini e conoscenti
– ricorda –. I miei fratelli e io abbiamo
incontrato persone che venivano dalla Comunità di Capodarco, ora in provincia di Fermo, per scambiare idee ed
evitare questa “deportazione”. Alcuni disabili calabresi sono partiti per fare un’esperienza di autonomia proprio a
Capodarco, nelle Marche».
Con il Comune di Lamezia è un braccio di ferro per ottenere la struttura
abbandonata. Una battaglia vinta minacciando anche l’occupazione. «Siamo
riusciti ad avere questo edificio forzando un po’ la mano e, prima di entrarci, l’abbiamo ristrutturato rendendolo
accessibile, per avviare un’autogestione
economica e strutturale.
In carrozzina facevamo i
turni per cucinare e lavare i piatti, senza
differenze tra uomini e donne», ricorda.
Agli inizi, nel ’76, la comunità era costituita da 20 disabili adulti e una bambina. «L’obiettivo era aiutare le persone
a crescere in autonomia, portarle a scegliere il proprio progetto di vita. Incontravamo gruppi, giovani, parrocchie,
per dire che anche una persona con disabilità può gestire la propria vita».
In comunità Emma incontra anche
l’amore. A metà degli anni Ottanta, dopo l’approvazione della legge sul servizio civile, arriva in comunità il primo
obiettore di coscienza, Beppe, che diventa suo marito e anche il mentore che
la porta sulla strada del pacifismo. «Mi
affascinava il discorso della non violenza, di dire no alle armi». Contro la
guerra del Golfo c’era anche lei con il
suo corpo a comporre la scritta umana
No war a Catanzaro, davanti alla Regione Calabria.
Ha fondato anche il Crep (Coordinamento regionale educazione alla pace),
per formare volontari e insegnanti come educatori della non violenza. «Poi
mi sono fermata: dovevo vivere con il
respiratore, non avevo più le forze».
19
fia: Progetto Sud riesce a ottenere il
primo bene confiscato alla ’ndrangheta in città. È una casa di tre
piani nel quartiere di Capizzaglie; apparteneva al clan dei
Torcasio, che vivono ancora
nel cortile accanto. «Ci sono voluti dieci anni di
lotte per averlo: eravamo soli. Dopo di
noi, tante altre associazioni hanno chiesto
beni confiscati: abbiamo
sbloccato la situazione»,
racconta. Oggi nel palazzo
confiscato hanno sede l’associazione “R-evolution Legalità” ideata da
Emma, una comunità per disabili anziani e un’altra di accoglienza per minori stranieri soli.
«Man mano che vado avanti, la distrofia diventa sempre più prepotente
– confida senza un filo di rimpianto –.
Da quattro anni e mezzo non esco più:
sto 24 ore su 24 in una stanza ma vivendo, senza subire la situazione. Ciò che
mi interessa lo porto avanti da qui: non
ci tengo a essere presente, mi sta a cuore il territorio».
Intanto i clan diventano sempre più
prepotenti. Le intimidazioni contro
don Giacomo e la Comunità Progetto
Sud si sono trasformate in veri attentati. A due persone disabili sono stati manomessi i freni delle automobili perché
andassero a schiantarsi: ne sono uscite
miracolosamente illese. Contro il bene
confiscato, una bomba a Natale e spari
di proiettili in varie occasioni: gli ultimi durante le feste pasquali. Ma a Lamezia anche il sindaco Gianni Speranza
è solidale con loro: «Sono fiducioso che
gli inquirenti riusciranno a spiegare chi
sono i responsabili e quali sono i motivi
di questi continui attentati intimidatori.
Saremo a fianco della comunità Progetto Sud e della sua attività quotidiana».
portfolio Bambini che vivono al buio
Per alcuni bambini il sole è un nemico
mortale. Una rara malattia li costringe
a vivere isolati, lontani dal mondo diurno
dei loro coetanei: infatti possono uscire solo
se completamente coperti. Non accade però a
Camp Sundown, un campo estivo unico
al mondo a Craryville, nello stato di New
York, che ospita gratuitamente piccoli
pazienti a livello internazionale.
Un universo rovesciato:
in una comunità notturna, genitori
e figli possono giocare e vivere
pienamente, nonostante la malattia.
Sogno reso possibile dalla
“Xp Society”, associazione fondata
nel 1995 da Caren e Dan Mahar:
la loro figlia minore, Katie, è affetta
proprio da Xeroderma pigmentosum.
Lo Xeroderma pigmentosum? Una malattia rara, che consiste
in una deficienza della capacità delle cellule umane di riparare
i danni provocati dall’esposizione ai raggi ultravioletti,
provenienti dal sole ma generati anche da alcuni sistemi di
illuminazione artificiale. Per i pazienti, significa un rischio
di tumori della pelle mille volte superiore rispetto a quello
di una persona sana: maggiore è l’esposizione, peggiori le
conseguenze. E non si può guarire. Le aspettative di vita sono
molto basse; quindi i malati sono costretti a un’esistenza principalmente notturna.
Dove finisce la giornata di un bambino sano, comincia quella di un coetaneo “lunare”
affetto da Xp. Che colpisce, nella finzione, anche Anne e Nicholas: i figli di Grace
Stewart, interpretata da Nicole Kidman nel film The others, girato nel 2001 dal regista
Alejandro Amenábar.
20
21
portfolio Bambini che vivono al buio
Per Carlo Shalom Hintermann conoscere Dan e Caren
Mahar, fondatori dell’Xp Society e di Camp Sundown,
ha significato imporre un metodo e un approccio
particolare per girare il documentario The dark side
of the sun (Il lato oscuro del sole). «Un percorso lungo,
un vero e proprio apprendistato – spiega il regista –.
Si trattava di rovesciare la prospettiva: abbandonare
il nostro mondo diurno, apprezzare la notte e il suo
corredo di vita e meraviglia. E immaginare una vita
minata dalla malattia. Abbiamo cercato un punto di
osservazione e i loro bisogni sono diventati i nostri».
Il progetto ha riguardato anche la creazione di
apposite luci a led, non convenzionali per le riprese,
e di giochi luminosi con cui i bambini potessero
interagire; come si vede in queste pagine, lanterne
volanti, ninfee galleggianti e diverse candele
decorative sono entrate nell’universo visivo del film.
22
A Camp Sundown, una volta all’anno, una quarantina di famiglie condividono
informazioni e aggiornamenti sulla malattia Xp, oltre a divertimento e amicizia
sotto le stelle. Fra loro, anche tre ragazzi volati a New York dall’Italia. Nel campo
estivo notturno i partecipanti hanno a disposizione un edificio protetto dai raggi
ultravioletti, costruito in un bosco pieno di animali, con giochi luminosi (come frisbee,
palle, cappelli) per godersi i prati al buio. E un dermatologo specializzato li visita
gratuitamente. Oltre a fotogrammi tratti dal documentario, girato da Hintermann tra
il 2008 e il 2011, alcuni scatti del backstage sono di Elisabeth Bernstein. [L.B.]
23
SPORT Le speranze del futuro
a cura del Comitato italiano paralimpico
N
on solo i veterani. Non solo quelli che di esperienza ne hanno da
vendere, quelli che di medaglie e
trofei hanno riempito il soggiorno di casa, quelli che – carta d’identità in mano
– sono già nella categoria degli “anta” e
gli anni della gioventù sono un bellissimo, ma lontano ricordo. Non ci sono
solo i “vecchietti” a far girare il mondo
paralimpico italiano, anche se – tradizionalmente – il problema del ricambio generazionale è quello che più di
ogni altro attanaglia l’intero movimento. Una difficoltà cronica, con allenatori
e tecnici costretti a fare i conti con l’esiguità dei numeri, a iniziare da quella
dei praticanti, e con la brutta sensazione che nel nostro Paese mettere in piedi
quelli che vengono chiamati “vivai” sia
troppo spesso nient’altro che un’impresa impossibile. Intere discipline sportive
come il calcio a 5 non vedenti e ipovedenti, il tiro a segno e il tiro con l’arco, o
anche il tennistavolo e lo showdown, sono alle prese con rose nazionali ormai
attempate e carenti di entusiasmo; problema che tormenta anche l’atletica leggera, in piena crisi di vocazioni, e lo sci
alpino e nordico, dove ci si affida alle
vecchie glorie non ancora in pensione.
Una penuria di novità che trova
ragione anzitutto in un dato di fondo
del nostro sport paralimpico: quelli che
lo praticano sono per la gran parte per-
Nuove leve
Non solo campioni
attempati e glorie
consacrate: nel movimento
paralimpico figurano
anche vivai di giovani
atleti. Come dimostrano
ice sledge hockey,
canottaggio, tennis
e basket
logia invalidante (per esempio la spina
bifida, la focomelia, una qualsiasi altra condizione causata da un problema
avuto durante il parto) sono una minima parte dei praticanti sportivi: il futuro dello sport azzurro passa per forza di
cose dal loro coinvolgimento nella pratica sportiva fin dalla più tenera età. Un
quadro generale a tinte fosche, dunque,
ma a cercarle si riescono anche a trovare delle discipline che stanno investendo sui giovani talenti, giustificando un
sone che hanno conosciuto la disabili- certo ottimismo per il futuro.
tà a seguito di esperienze traumatiche
in età già adulta. Incappate nella paraÈ il caso del basket in carrozziplegia o nell’amputazione di un arto a na (da tempo si disputa un campionacausa di incidenti stradali o infortuni to di minibasket) e in particolare del
sul lavoro. In molti casi, già praticavano Santa Lucia Roma, la società – più volte
una disciplina sportiva e, quando entra- campione d’Italia – legata alla omonima
vano a far parte del bacino di utenti del Fondazione che si occupa di riabilitaziomondo paralimpico, erano già avanti ne. «Da qualche mese – racconta Stefacon gli anni. Gli altri, quelli che acquisi- no Rossetti, giocatore nella squadra di
scono un handicap nei primissimi anni serie A1 – accanto alle due squadre che
di vita o che già nascono con una pato- già militano nella A1 e nel minibasket,
24
crescono
abbiamo messo in piedi e inserito nel
campionato di B una nuova formazione, con alcuni dei tantissimi che ci chiedono di giocare. Per lo più si tratta di
ragazzi amputati che provengono dal
nuoto e vogliono mettersi alla prova in
una nuova disciplina». Ad allenarli c’è
proprio lui, Rossetti, che si alterna così
fra il parquet di gioco della A1 e la panchina della B.
Come il basket in carrozzina, anche
un altro sport di squadra si segnala per
la presenza di giovanissimi: è l’ice sledge
hockey, la versione paralimpica dell’hockey su ghiaccio, con i giocatori seduti
su uno slittino. Werner Winkler, nazionale azzurro, milita nelle Aquile del Sud
Tirolo, la formazione più titolata, ininterrottamente campione d’Italia dal
2008 a oggi. Anche lui, come il suo “collega” del basket, unisce l’impegno da atleta con quello di allenatore, e segue gli
Aquilotti under 18, per lo più ragazzi affetti da spina bifida: «Hanno dai 5 ai 17
anni: qui in Alto Adige tutti fanno hockey, nella versione su slittino particolarmente adatto ai bambini, che hanno
così la possibilità di sviluppare la muscolatura del corpo dagli addominali in
su». Le speranze per il futuro sono riposte in loro: oggi la nazionale infatti «è
composta da atleti con età media di 35
anni, soprattutto amputati agli arti inferiori».
Dal ghiaccio all’acqua del canottaggio, uno di quegli sport in cui
la ricerca di nuovi talenti è più avanzata: «Quest’anno – racconta l’allenatore
azzurro Paola Grizzetti – nel corso dei
raduni promozionali ho scoperto dei ragazzini con buone capacità: hanno fra
i 12 e i 15 anni e sono loro a fare da stimolo ai “vecchi”. Ripeto sempre che si
deve cominciare per gioco, provando se
piace; poi, con tanto impegno, i risultati arrivano». Una filosofia che vale anche in uno degli sport individuali più in
25
crisi, il tennis in carrozzina, dove dietro alle stelle Fabian Mazzei e Marianna Lauro, un giovane ventiduenne si è
già messo in mostra. È Ivan Lion, un ragazzo con spina bifida, già oggi numero
due azzurro proprio alle spalle di Mazzei. «Il tema dell’età media – commenta
Gianluca Vignali, commissario tecnico
del tennis paralimpico – è sempre critico: la ragione principale sta nel fatto che
il tennis in carrozzina non è tra gli sport
proposti e praticati dopo un infortunio.
In Italia è difficile che tra istituti di riabilitazione e circoli di tennis ci siano
convenzioni e collaborazioni: piuttosto,
si mandano tutti in piscina a fare nuoto,
o si viene indirizzati verso basket, tiro
con l’arco o tennistavolo. A torto, il tennis è spesso ritenuto non indicato per gli
scatti di braccia che si compiono nel colpire la pallina da seduti».
Pochi giovani, quindi, non solo per
una questione di ordine pratico e organizzativo, ma di tipo culturale, che vale
anche per gli altri sport: «Capita spessissimo, anche nel caso di bambini con
disabilità dalla nascita – spiega Vignali – che il più grande ostacolo alla loro
integrazione nel mondo dello sport sia
rappresentato dalla famiglia: genitori e
parenti, nella convinzione di proteggerli da eventuali rischi connessi alla pratica sportiva, li tengono lontani da ogni
disciplina». Facendo del male a loro, e
impedendo l’arrivo di nuovi giovani in
maglia azzurra.
VIAGGI Itinerari dello spirito
Pellegrini
in cammino.
Su rotte note
e inedite
Accanto a quelli più
conosciuti, si fanno
strada nuovi percorsi
fra le mete scelte dalle
persone disabili per
un’esperienza spirituale.
Ma i pellegrinaggi
rappresentano anche
un’occasione per uscire
di casa. Avendo alle spalle
associazioni attente
ad accessibilità
e a comfort
personalizzati
Chiara Ludovisi
U
n’esperienza spirituale, innanzitutto, un atto di devozione e di
fede. Anche, però, un’occasione
per viaggiare, per uscire di casa e attraversare le frontiere, spesso invalicabili per chi ha una disabilità. Numerosi
sono i pellegrini disabili che ogni anno
si riversano nei luoghi più tradizionali della spiritualità cristiana: da Lourdes a Fatima, da Medjugorie a Loreto,
da Santiago de Compostela alla Terra
Santa e alla Città eterna. In viaggio per
chiedere un miracolo, per trovare la
forza, per ringraziare o semplicemente
per raccogliersi in preghiera e per condividere un’esperienza.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, il
pellegrinaggio sta conoscendo nuove forme e mete, che riscuotono grande successo tra le persone disabili: alla
dimensione religiosa e mistica si unisce, sempre più spesso, la proposta sociale e culturale.
26
Alcune persone disabili durante
un pellegrinaggio a Lourdes,
organizzato dall’Unitalsi
Agli itinerari tradizionali si aggiungono così destinazioni inedite e meno
note, per esempio Oropa e Banneux, o
comunque meno battute, come la Polonia, dove i monumenti degli orrori nazisti convivono con le radici di Giovanni
Paolo II, proclamato Beato poco più di
un anno fa. A riferire numeri e tipolo-
330 milioni i pellegrini ogni anno nel mondo,
secondo la World Trade Organization
10 milioni i pellegrini che ogni anno visitano
Nostra Signora di Guadalupe (Messico)
7 milioni i pellegrini che nell’arco di 12 mesi
vanno al santuario mariano di Lourdes
5 milioni i pellegrini che ogni anno
si recano a Santiago de Compostela
6 milioni i pellegrini disabili europei
20-40 anni l’età del 30% dei pellegrini
18 miliardi di dollari il fatturato annuo
complessivo prodotto dai pellegrinaggi
550-650 euro il costo medio
di un pellegrinaggio a Lourdes
1.100 euro il prezzo base
di un pellegrinaggio in Terra Santa
gie del pellegrinaggio del terzo millennio, attento alle persone con disabilità,
è Salvatore Pagliuca, presidente dell’Unitalsi, Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari
internazionali. «Circa 30mila persone con disabilità prendono parte, ogni
anno, ai nostri pellegrinaggi – racconta –. Accanto alle mete più tradizionali
e sempre molto richieste, come Lourdes,
Fatima, Loreto, nell’ultim0 decennio
abbiamo introdotto nuove destinazio-
ni». Una scelta che nasce dalla «lettura
dei bisogni dei pellegrini, dalle richieste intercettate durante gli stessi viaggi:
la necessità di far parte del mondo, di
uscire dalle proprie case per vivere momenti di socialità, conoscenza e svago,
oltre che di spiritualità. Aumentano così le prenotazioni per la Polonia – precisa Pagliuca –: certamente un luogo di
devozione dopo papa Wojtyla, ma anche
terra votata al turismo, ricca di una storia importante».
27
Anche il viaggio in Terra Santa,
sempre più frequentato dalle persone
disabili, è un segno di questo cambiamento. Il recente accordo tra Unitalsi e
la compagnia aerea israeliana El Al, che
eleva a 12 il numero massimo di posti
per passeggeri disabili sugli aerei della
linea, risolve uno dei problemi maggiori di questa destinazione. Altro nodo da
sciogliere è l’accoglienza locale, ancora largamente inadeguata alle esigenze
delle persone con disabilità.
«Per questo l’Unitalsi è impegnata
in diversi progetti – riferisce il presidente –. Oltre a gestire strutture di accoglienza per bambini disabili locali,
abbiamo affittato un pullman attrezzato per i pellegrini disabili e stiamo per
inaugurare un bagno pubblico accessibile presso il Santo Sepolcro. Le persone con disabilità – conclude – hanno il
diritto di vivere il mondo in cui tutti viviamo: occorre solo dar loro l’opportunità di farlo».
VIAGGI Itinerari dello spirito
Ne sa qualcosa Maria Luisa, che frequenta l’Unitalsi da 40 anni e ha una
ricca esperienza di pellegrinaggi: l’ultimo in Terra Santa, da cui è tornata il 23
novembre scorso. «Non ci ero mai stata – racconta – e non salivo su un aereo
dal 1981. È stata un’esperienza bellissima: accoglienza ottima, volontari tutti giovanissimi e impeccabili. Li vedevo
spesso sudati e affaticati, ma non si fermavano mai». Infatti, aggiunge Maria
Luisa, quello in Israele e Palestina «è un
pellegrinaggio particolarmente faticoso: tante cose da vedere, sempre a salire
e scendere dal pullman, scale ovunque
e luoghi inaccessibili». Il momento più
bello? «La Via crucis sul Calvario: lungo
la salita, servivano quattro ragazzi per
portare ogni carrozzina: legavano delle
cinghie davanti; in due la tiravano con
quelle, mentre gli altri due la spingevano da dietro. Eravamo sei carrozzine
in tutto, con 24 ragazzi che le portavano. Una fatica incredibile, ma loro era-
no sempre sorridenti. Per me è stata una quell’amicizia, quello star bene insieme
grandissima emozione».
agli altri, non lo trovo da nessun’altra
parte», assicura.
Per Luigi il pellegrinaggio «è un’espeOggi Luigi ha 42 anni: quando ne
aveva sette, ha partecipato al suo primo rienza di fede, ma anche un’occasione
pellegrinaggio. «Ho trovato tanta fede, per uscire di casa. In tanti, purtroppo,
ma soprattutto molti amici ed esperien- vivono ancora chiusi nelle loro abitazioze che mi aiutano ad andare avanti nel ni e nelle loro sofferenze: il viaggio dimio futuro – racconta –. Potrei pregare venta così un’opportunità per aprirsi al
anche a Roma, a Napoli, a Pescara: ma mondo. Quando sali sul Treno bianco
quello che sperimento in pellegrinaggio, che porta a Lourdes, forse non conosci
Il lungo viaggio di Marcella e Anna,
P
iù di 1.600 chilometri a piedi per
parlare di disabilità, arte e sport in
oltre 60 tappe, portando la propria
testimonianza di mamma di una ragazza disabile. «Il miracolo è svegliarsi
ogni mattina e avere la forza di alzarsi, avendo fiducia nel mondo e nelle persone che abbiamo vicino»: Anna Maria
Rastello ha camminato da Sarzana (in
provincia di La Spezia) a Lourdes, dal
26 febbraio al 9 maggio 2011, per dare
un senso alla disgrazia che nel 1996 costò quasi la vita a sua figlia Marcella.
Anna e il marito seduti davanti, cinque
dei loro sei figli sui sedili posteriori: lo
schianto scaraventò Marcella, otto anni, fuori dall’abitacolo.
Mentre i soccorritori la cercavano disperatamente, la madre in preda al pa-
nico si rivolse al cielo: «Se la troviamo,
vado a Lourdes a piedi». Marcella fu
poi ritrovata, in gravissime condizioni
ma viva. Non avrebbe camminato mai
più. Iniziava così il lungo cammino della sua famiglia, fatto di accettazione, di
comprensione e di ricerca di un nuovo
modo per immaginare il futuro. Quello stesso cammino simbolicamente rappresentato dal lungo viaggio che, dopo
tanti anni, la mamma ha deciso di intraprendere. Un pellegrinaggio, ma prima di tutto un viaggio che, come spiega
Anna «ha assunto un valore sociale» in
cui la disabilità si è posta decisamente al
centro della riflessione: «Ho deciso infatti – continua Anna – che lungo il percorso avrei raccolto le testimonianze di
amministratori pubblici, rappresentanti
28
di associazioni e persone incontrate anche casualmente, per capire quali sono
le barriere da abbattere per liberare la
disabilità dall’handicap, e in particolare
per permettere alle persone con disabilità di praticare attività sportive e artistiche».
Marcella, infatti, era una sportiva:
«Piccola atleta, iperattiva – la descrive la mamma –, è ora costretta a vivere
su una sedia a rotelle, con una tetraparesi che le limita i movimenti sia delle
Pellegrini
dell’Unitalsi
a Gerusalemme,
mentre ripercorrono
la Via crucis
nessuno e le 24 ore di viaggio potrebbero essere una tortura. Invece, quando arrivi a destinazione, si è già formata
una vera e propria famiglia».
Lourdes è ormai per Luigi quasi una
seconda casa: «Ci vado tre o quattro volte l’anno: è un posto che mi fa stare in
pace con me stesso e con la mia malattia. Però non ho mai chiesto un miracolo
– confida –. Nella grotta delle apparizioni avrei potuto chiedere tante volte alla Madonna: “Fammi camminare”. Lo
chiedono, purtroppo, tante persone disabili alla ricerca del fatto prodigioso.
Invece, credo che il vero miracolo siano
l’amicizia e la forza di andare avanti che
da queste esperienze mi riporto a casa».
Lo scorso 13 aprile Luigi è partito
nuovamente alla volta della cittadina
francese, sul treno dei bambini malati:
«Per la prima volta sono andato in veste
di volontario: ho fatto il pagliaccio. Sono
un disabile grave, ma non sto mai fermo
e non rinuncio ad aiutare gli altri».
Silenziosi operai della Croce:
viaggiare insieme a chi soffre
U
no sguardo particolare
verso la sofferenza, e
un’attenzione in più nei
confronti delle persone con
disabilità, caratterizzano
le attività dei Silenziosi
operai della Croce (Sodc),
associazione internazionale
riconosciuta dal Pontificio
Consiglio per i laici. Le stesse
peculiarità strutturano i
pellegrinaggi organizzati dai
Sodc due volte l’anno, come
membri della Confederazione
internazionale dei Centri
volontari della sofferenza.
Un itinerario parte da Brescia,
l’altro da Roma. Il primo si
svolge a Lourdes durante la
Settimana santa: partecipano
circa 700 persone, molte
delle quali con disabilità.
Il pellegrinaggio da Roma,
invece, è nato con l’intento
specifico di portare a Lourdes
i sacerdoti malati e anziani.
Attualmente vi partecipano
anche laici con diversi tipi di
disabilità. Il calendario prevede
anche un viaggio annuale a
Fatima e, saltuariamente, ogni
due o tre anni, in Polonia e
in Terra santa. «Il numero dei
partecipanti negli ultimi anni si
è assottigliato un po’, forse per
effetto della crisi economica
– spiegano gli organizzatori –.
Non siamo un’agenzia di
pellegrinaggi, ma li realizziamo
in quelle mete che sono
in coerenza con il nostro
apostolato specifico». [C.L.]
per liberare la disabilità dall’handicap
gambe che delle braccia». Proprio per
questo, attraverso le oltre 60 tappe, il
“cammino di Marcella” vuole essere sopratutto una raccolta di idee e testimonianze su come l’arte e lo sport possano
aiutare le persone disabili e i loro familiari ad accettare con serenità la propria condizione. Per Anna, era la prima
esperienza di pellegrinaggio: «Non è
stata una promessa razionale, ma sgorgata dal cuore all’improvviso. Credo che
i pellegrinaggi possano avere un valore:
condividere un’esperienza, conoscere
altre situazioni, creare legami che possano aiutare a stare meglio. Penso però che non ci debba essere la ricerca del
miracolo: sono fermamente convinta che il vero miracolo sia accettare noi
stessi per come siamo, con i nostri talenti e le nostre disabilità. Mia figlia è arrivata a Lourdes con il nostro cammino,
ha quindi visto questa realtà, ma anche
lei è convinta che il miracolo sia svegliarsi ogni mattina e avere la forza di
alzarsi avendo fiducia nel mondo e nelle
persone che abbiamo vicino».
Il cammino di Marcella è già un libro
edito da Ali&no e sarà presto un filmdocumentario. Anna, nel frattempo,
ha terminato il suo viaggio, ma continua a offrire la propria testimonianza:
29
«Chiedo a chi lo voglia di organizzare
un incontro pubblico in cui poter raccontare questa esperienza, capace di dare stimoli nuovi anche a me, che vivevo
nel mondo della disabilità da molti anni, essendo anche mamma affidataria
di due ragazzi con disabilità mentale e
comportamentale». Marcella, intanto,
«è un’adulta che sta costruendo il suo
futuro professionale con tenacia. Sta
terminando i suoi studi universitari, e
presto potrà esercitare la professione di
psicoterapeuta. Ha seguito il cammino con interesse e ora partecipa con entusiasmo agli incontri pubblici con gli
studenti della scuola superiore, raccontando la sua esperienza: una testimonianza in più oltre alle tante raccolte
lungo il viaggio a piedi». [C.L.]
MEDIA
Docusound, suoni
che raccontano vite
«
Q
Per informazioni
sul catalogo
e sulle prossime
uscite degli
audio-racconti,
Docusound.it.
Sopra, la cover –
disegnata da Erica
Borghi – di
Mai arrendersi
mai. Storie di
genitori resistenti,
di Stefania
Claudio.
uesta che sentite è Tina, ha sette anni ed è il
mio cane guida da cinque anni e mezzo». L’audio-ritratto della inseparabile cagnolina è
realizzato da Silvia Zaru: è uno
dei dieci lavori portati a termine in tecnica mista (suoni, parole
e musica su mp3) da Docusound
Lab Milano e sostenuti dalla casa di produzione Doc in progress
con l’Unione italiana ciechi Piemonte. Perché Docusound Lab è
un corso di avvicinamento all’oralità e al racconto della realtà in
cui vedenti e non vedenti si confrontano per imparare a narrare
senza l’ausilio delle immagini.
«In un’epoca ipervisiva, che
vuole vedere tutto, torniamo al
suono per recuperare la sostanza. Creiamo ricordi sonori: oggi
abbiamo immagini di ogni momento della nostra vita, ma non
ci preoccupiamo di conservare
il suono di ciò che ci circonda»,
recita il manifesto della casa di
produzione. Per i promotori del
progetto, infatti, «ascoltare con
attenzione è come guardare al
microscopio: isoli un particolare e
gli vai così vicino che l’oggetto di
osservazione ti si rivela in modo
diverso da come te lo aspettavi».
Senza negare l’immagine
(«L’ascolto aiuta a ritornare al visivo con maggiore consapevolezza e sensibilità percettiva»),
Docusound vuole includere i non
vedenti, «milioni di persone nel
mondo tagliate fuori dalla comunicazione visiva». Ma non chiamatelo laboratorio per disabili:
«I nostri corsi sono aperti a tutti – spiega la produttrice Fabrizia
Galvagno –. I racconti (on line su
Docusound.it) sono realizzati per
il 50% da vedenti e per il 50% da
non vedenti. Si tratta di un progetto accessibile in cui i non vedenti, che hanno una particolare
propensione all’ascolto, possono
insegnare molto agli altri».
La formula è semplice: munire
di microfono chi non vede e registrare il risultato, quasi sempre
straordinario perché «qualsiasi
storia può essere raccontata dal
punto di vista del
suono». Ed ecco l’audio-ritratto Vito, maestro
di musica e di rumore, di Michele
Foresti; Giocoliamo, di Elena Lazzari, sull’arte di
strada; La scala dei colori (cosa succede quando 50 famiglie di
un palazzo devono decidere quale colore dare alla facciata?), resoconto dettagliato, di Sandro
Lecca; La gare d’Italie, di Francesca Lopresti, e Seble di Ilaria Sesana.
Dalla Lombardia alla Toscana: i corsi sono al vaglio dell’Uic
di Firenze, che dovrebbe avviarli
in collaborazione con Views Italia, associazione impegnata a creare ponti tra giovani non vedenti
e ipovedenti d’Europa e oltre.
Ma Docusound è anche un
workshop di approfondimento per professionisti: dopo Bologna, è partita ai primi di maggio
un’edizione a Roma e se ne terrà
un’altra a Bari prima dell’estate.
Inoltre il percorso di formazione
continua anche a distanza, in maniera virtuale, tramite una piattaforma wiki. [Elisabetta Proietti]
30
mente pensiamo anche come gli
esseri umani normali: in fondo
non siamo così diversi», rivela. E
racconta il segreto del suo successo nella vita: «Il comportamento
degli animali era il campo giusto
per me, perché potevo compensare la mia inadeguatezza sociale».
Oltre 300 gli articoli scientiemple Grandin insegna zo- fici scritti da Grandin, che tiene
ologia alla Colorado Sta- in giro per il mondo 25 conferente University. Parlare con gli ze all’anno sull’autismo e 35 sul
animali, a cui dedica anche le pagine scritte con il supporto di Catherine Johnson, è il sottotitolo
di questo volume sorprendente, a
cui accostarsi in punta di piedi e
senza pregiudizi. «... tutti gli animali ci rendono umani» (nelle citazioni, i corsivi sono dell’autrice).
Convinzioni di una 65enne con
oltre quattro decenni d’esperienza
nel settore. E un deficit diventato
il suo potenziale: l’autismo. La sua
storia è stata raccontata da Oliver
Sacks nel 1995; dieci anni dopo, è
uscito negli Stati Uniti La macchina degli abbracci. Un corposo volume in cui Temple argomenta le
sue teorie sul rapporto tra gli uomini e gli animali, con una pre- trattamento degli animali. Con
messa: la sua vicenda personale. risultati impressionanti: «Metà
Diciottenne, con problemi di dei capi di bestiame allevati negli
relazione e comunicazione, Tem- Stati Uniti e in Canada viene maple aveva visto le mucche diven- cellata all’interno di sistemi protare mansuete dentro la gabbia di gettati da me in modo da ridurre
contenimento usata dal veterina- al minimo le loro sofferenze».
rio per visitarle. Intuendo che un Per la professoressa, il «differencongegno di quel tipo avrebbe po- te funzionamento» del suo cerveltuto calmarla, si costruì una sua lo è una chance che le fa scrivere.
personalissima macchina per gli «Gli animali hanno talenti parabbracci: due assi di compensato ticolari che gli esseri umani non
che si stringevano dolcemente ai hanno, proprio come le persone
lati di una panca. Un’invenzione autistiche hanno talenti che gli
curiosa, che le fa intravvedere un individui normali non hanno».
futuro grazie al suo rapporto spe- Affermazioni spiazzanti e crude, lontane anni luce da un apciale con cavalli, mucche, cani.
«Noi autistici riusciamo a pen- proccio buonista alla disabilità.
sare come gli animali. Natural- [Laura Badaracchi]
LIBRI
Abbracci
non umani
più rassicuranti
delle parole
Temple Grandin
con Catherine Johnson,
La macchina
degli abbracci
Adelphi 2012
pagine 430, euro 14,00
T
31
Il regista Mick Jackson ha scelto
il sottotitolo Una donna
straordinaria per il film-tv sulla
Rain man al femminile, prodotto
nel 2010 da Hbo e trasmesso
in Italia da Sky Cinema 1.
Pluripremiato, il bio-pic evidenzia
anche il ruolo cruciale della
famiglia Grandin, la sensibilità
dei suoi insegnanti, l’apertura
mentale di chi le ha offerto
un lavoro. E della sua mente
atipica, che ha vinto.
Nella foto, Temple Grandin
sulla copertina dell’edizione
precedente del volume di Adelphi,
che risale al 2007.
CULTURA
LIBRI
Dalla Corea,
un romanzo
alla scoperta
della madre
Il 35° volume della
“Bibliografia italiana sui
disturbi dell’udito, della vista
e del linguaggio”, edizione
2012, contiene centinaia di
voci di articoli pubblicati su
riviste specializzate. Inoltre
è corredato di un indice
per parolechiave, di un
elenco delle
principali
riviste,
associazioni
e siti web
sui problemi
pedagogici connessi alla
disabilità. Fondata, ideata e
curata da Salvatore Lagati,
responsabile del Servizio di
consulenza pedagogica di
Trento, la rassegna si può
richiedere gratuitamente
(così come le edizioni del
decennio precedente)
scrivendo a [email protected].
[L.B.]
F
ino al giorno in cui scompare
nella metropolitana di Seul,
inghiottita da una folla oceanica, Park So-nyo è stata sempre una madre e moglie ideale: ha
alle spalle una vita di lavoro e sacrificio, ha saputo far fronte alle
intemperanze del marito e, soprattutto, è riuscita a tirare su
cinque figli, garantendo loro la
possibilità di studiare e di costruirsi un avvenire migliore.
Ma negli ultimi tempi nessuno
sembrava essersi veramente accorto che So-nyo non fosse più la
stessa. Appariva come intontita e
le capitava di non ricordare nulla.
A volte rimaneva seduta sul ciglio
di una strada che conosceva bene,
senza riuscire a tornare a casa.
Oppure fissava una pentola che
usava da cinquant’anni con un’espressione stupefatta. Nessuno si
era reso conto che, con l’avanzare dell’età, le sue facoltà mentali
non erano più quelle di una volta.
E che una malattia, mai nominata apertamente, si era lentamente fatta strada nel suo corpo e nel
suo spirito così allenato a combattere le avversità.
Eppure, Prenditi cura di lei della coreana Kyung-Sook Shin (Neri
Pozza editore) non è un racconto
sulla vecchiaia e sulla malattia. È
piuttosto un romanzo sulla maternità vista con gli occhi di chi
(figli o marito) quel modo di vivere, negando il proprio essere, lo ha
dato sempre per scontato. E che, a
32
Kyung-Sook Shin
Prenditi cura
di lei
Neri Pozza 2011
pagine 219,
euro 16,50
un certo punto, riscopre la donna
celata sotto i panni della madre.
Una volta scomparsa, infatti,
So-nyo cessa di essere semplicemente “mamma”, ovvero quella che rigoverna la casa mentre
gli altri discutono a tavola, che si
reca a trovare i figli in città con
le tasche rigonfie di frutti e ortaggi della campagna e che chiede loro, incessantemente, di non
viaggiare in aereo. I suoi gesti assumono una nuova luce, le sue
parole un nuovo profondo significato. Non c’è più nulla di ovvio nella sua vita, che così bene
si accorda col ritmo delle stagioni. E il mistero dell’essere donna e
dell’essere madre appare ora sotto gli occhi di tutti. Un romanzo
delizioso, che si legge d’un fiato.
[Antonella Patete]
LIBRI
Un giallo
avvincente
(con qualche
pregiudizio)
S
Luigi Carletti
Prigione con
piscina
Mondadori 2012
pagine 220,
euro 17,00
eduto sulla sua sedia a rotelle,
scortato dall’indispensabile
Isidro, infaticabile e onnipresente maggiordomo peruviano,
Filippo Ermini trascorre la sua
vita a bordo di una piscina incastonata tra i viali alberati di Villa
Magnolia, un esclusivo e appartato complesso condominiale situato nel cuore di Roma. La sua vita
non è più la stessa da quando, nel
mezzo dei suoi trent’anni, è stato
investito in moto da un pirata della strada, che lo ha lasciato a terra
fuggendo via.
L’incidente lo mette di fronte alla scommessa di una nuova
esistenza, che Filippo mostra solo apparentemente di accettare.
Sotto le buone maniere e la consolidata abitudine a non lasciar
trasparire i propri sentimenti, il trentottenne professore universitario esperto di new media
medita, in realtà, una soluzione
definitiva. Allenandosi ogni giorno con costanza per realizzare il
suo proposito.
Procede a ritmo lento per
esplodere solo nel finale Prigione
con piscina (uscito anche in Francia, per l’editrice Liana Levi, con
il titolo Prison avec piscine), l’ultimo romanzo che Luigi Carletti,
giornalista e scrittore, ha pubblicato per Mondadori. La vita a bordo piscina trascorre noisamente
placida e sempre uguale, fino a
quando a sparigliare le carte non
arriverà Rudi De Rysky, nuovo e misterioso inquilino di Villa Magnolia che, con i suoi modi
da criminale gentiluomo, cerca di
scuotere Filippo dalla situazione
di perfetto stallo in cui lo ha precipitato il triste evento che lo ha
reso disabile.
Colto, raffinato, amante delle
donne e del vino, Rudi non è però
un personaggio qualsiasi: si tratta
di un prigioniero sotto copertura,
protetto dallo Stato italiano per
assicurare la cattura di Genko Tre
Colpi, pericoloso criminale pluripregiudicato. E la sua presenza a
Villa Magnolia cambierà il corso
della vita di quanti, come Filippo
Ermini, vengono in contatto con
lui, aiutando ciascuno a ricongiungersi col proprio destino.
Fallito il suo insano proposito,
grazie all’intervento del criminale
De Rysky, Filippo riuscirà infatti
a rompere la campana di cristallo
che lo avvolge dal giorno dell’incidente e, forse, anche da prima.
Ed è un uomo più maturo e consapevole quello che si affaccia nelle ultime pagine del libro.
Una nota, però, colpisce il lettore attento ai risvolti psicologici
e sociali determinati da una condizione di disabilità: Filippo ha
rinunciato a vivere e il simbolo di
questa rinuncia diventa proprio
la sedia a rotelle a cui il giovane professore rimane “attaccato”,
rifiutando un paio di eleganti e
iper-tecnologiche stampelle. Che
compariranno solo sul finale, a
dimostrare che la sua vita è ripartita. Eppure, almeno in alcuni
casi, la sedia a ruote avrebbe potuto garantirgli un procedere più
spedito. Ma per l’autore è metafora di rassegnazione e di rinuncia. Quando si dice la forza dello
stigma. [A.P.]
FILM
Le rughe
della mente
raccontate
con dolce ironia
È
stato in lizza con altri 18 titoli,
nel gennaio scorso, per entrare nella cinquina finale delle
nomination agli Oscar 2012, nella
categoria “miglior film di animazione”. Ma Arrugas ha comunque
portato a casa da Barcellona due
Premi Goya (come miglior film di
animazione e miglior adattamento) e da Lione il Premio Cartoon
movie come miglior produzione
europea.
Tratto da Rughe (graphic novel
dello spagnolo Paco Roca, vincitore come miglior opera lunga al
“Lucca Comics and Games” 2008)
e prodotto da Perro verde Films,
33
il lungometraggio animato è di
diretto da Ignacio Ferrares e racconta la storia di Emilio, anziano
direttore di banca in pensione affetto dal morbo di Alzheimer.
Ricoverato in una casa di riposo, cerca di mantenere i ricordi.
La mancanza di memoria – dai
gesti più semplici, come il saper
mangiare o il vestirsi –, di lucidità e contatto con la realtà, il disagio dei familiari e dei pazienti nei
confronti della malattia, sono descritti con ironia ed emozione da
Roca, che ha visitato diverse cliniche per anziani prima di scrivere il libro.
L’adattamento per lo schermo,
proiettato in anteprima italiana al
cinema Farnese di Roma il 6 e il
9 maggio, scaturisce da un autentico best-seller: tradotto in Italia
da Tunué, in Spagna ha venduto
50mila copie, ma è uscito anche
in Francia, Olanda, Finlandia,
Germania e Giappone, facendo
incetta di critiche positive e riconoscimenti internazionali.
Presentato dall’Associazione
familiari Alzheimer Pordenone, il
volume ha ispirato anche lo spettacolo Non ti ricordo, che Afap
onlus e la compagnia Proscenium
hanno messo in scena in diversi
teatri della provincia friulana, replicandolo a richiesta. [L.B.]
CULTURA
IL CASO
Incontro tra “diversi”,
ma nel libro c’è più
malinconia
I
ga in una dimensione di depressa
irrecuperabilità, ma diventa “reazione”, “scontro”, “recupero”. In
breve: ritorno alla vita.
Il “vero” Philippe non è segnato solo dalla terribile disabilità
che lo vede paralizzato, dal collo
in giù, su una sedia a rotelle, ma
è anche distrutto nell’anima dalla morte, per una rara forma tumorale, dell’amatissima moglie
Béatrice. E la sua condizione di
va François Truffaut, vestendo i
panni del regista Ferrand nel meraviglioso Effetto notte –. I film
vanno avanti come i treni nella notte». Una metafora che vale
benissimo per Quasi amici, dove rispetto alle pagine di Pozzo di
Borgo prevalgono – dietro le battute “politicamente scorrette” di
Driss – una tenerezza e un sentimentalismo amorevoli (seppure
controllati).
n una pagina del libro, cita- David di Donatello
per Quasi amici.
ta anche nella quarta di coPremiata dal
pertina, viene descritto come pubblico
italiano
«insopportabile, vanitoso, orgocon oltre 14
glioso, brutale, superficiale, uma- milioni di incassi,
la pellicola
no». E in un altro passaggio la sua
francese
filosofia di vita è riassunta in una
ha
ricevuto
formula cruda: «Va tutto in merla statuetta
da. La morte è una fatalità, e il recome “Miglior
sto è solo commedia».
film dell’Unione
Europea”.
In quanti riconoscono in questi
tratti il simpatico, vitale, irresisti- Un riconoscimento
significativo
bile Driss del film Quasi amici di
per la tradizione
Olivier Nakache ed Éric Toledano,
d’Oltralpe
il giovane delinquente di origine
della commedia
senegalese che viene assunto cointelligente.
me badante personale di Philippe,
ricco e colto aristocratico divenuIl diavolo custode – come la vita
“handicappato” viene raccontata
to paraplegico dopo un incidente
senza fronzoli né orpelli in tutto vera – procede, invece, per intopdi parapendio?
il suo dramma quotidiano, fatto pi, lacrime, inquietudini e anche
Già questi brevi riferimendi difficoltà respiratorie e piaghe incomprensioni. Ma il significati fanno cogliere lo scarto che seda decubito: aspetti che, sul gran- to ultimo non cambia: quello di
para la pellicola dal libro da cui è
de schermo, sono appena merito- due uomini diversissimi tra lostata tratta, Il diavolo custode, la
ro, eppure capaci di costruire un
ri di un accenno velato.
storia autobiografica di Philippe –
Analogamente, il badante Ab- rapporto sulla base del reciproco
il cui cognome è Pozzo di Borgo,
del (nella realtà, di radici algerine) rispetto della propria condiziofiglio del quinto duca del nobile
è l’espressione di una vita all’in- ne di “diversi” – la persona dicasato d’Oltralpe –, edita in Italia
segna dell’umiliazione sociale e sabile e il disadattato sociale di
da Ponte alle Grazie (208 pagine,
di una lotta di classe che lo hanno origine straniera – e, soprattut13,90 euro). Una storia completareso rancoroso e violento nei con- to, in cui l’handicap è consideramente avulsa dal tono favolistico,
fronti della società, grossolano, to una barriera sociale piuttosto
e spesso umoristico, della sua tramaschilista, manesco e assai me- che architettonica. Un pregiudizio
sposizione in celluloide e, al conno fascinoso del personaggio in- sciocco che, tuttavia, a differenza
trario, profondamente intrisa di
carnato dal bravissimo Omar Sy. di un muro di mattoni, può essedolore. Un dolore – e questo è il
«Non ci sono intoppi nei film, re compreso, superato e sconfitto.
principale tratto comune con il
non ci sono rallentamenti – dice- [Luca Saitta]
film – che, tuttavia, non naufra-
34
Lo spettacolo che andrà in scena il prossimo 19 giugno al Teatro
delle Muse di Roma prevede una
dosata alternanza tra musica e silenzio. E quando le note si spengono, arriva la calma o la danza
muta delineata dalla Lingua italiana dei segni. Il tutto a disegnare un’atmosfera sospesa, di sogno
appunto. «L’idea arriva al termine
di una riflessione su quanto gli esa musica per ricordare che la seri umani abbiano perso la loro
vita è anche armonia, il silenzio per richiamare la quiete
che vince la fretta e aiuta a ritrovare il gusto di scoprire le mille
e diverse espressioni dell’esistenza. Nasce da una critica ai ritmi
frenetici che stravolgono l’azione
quotidiana, e dalla nostalgia di
un’umanità capace di recuperare il giusto passo, il nuovo spettacolo del laboratorio di movimento
creativo, condotto dalla psicologa
e danza-terapeuta Sara Di Michele all’interno del Kairos Teatro di
Roma.
«Lo spettacolo si intitola Sogno umanità – sottolinea Di Michele
e rappresenta il momento conclu- –. In costante corsa contro il temsivo di un laboratorio che portia- po, diventa sempre più difficile
mo avanti dallo scorso ottobre essere pazienti, aperti e disponi– precisa la psicologa –. Si tratta bili nei confronti degli altri. Ed è
di una forma di espressione molto proprio questa fretta a impedire
libera, che parte dall’ispirazione e la realizzazione di un vero incondalla volontà della persona, non tro con l’altro».
Il messaggio, insomma, è queldalle indicazioni dell’insegnante». Il corso nasce dall’incontro lo di rallentare il passo e concedi un gruppo composto da perso- dersi il giusto spazio per i rapporti
ne udenti e non udenti, che hanno umani. «Spesso la chiusura, l’indeciso di dare vita a un percorso capacità di relazione e l’insoffesperimentale di teatro integra- renza verso l’altro non nascono
to. «Abbiamo inziato alla fine del da veri pregiudizi, ma dal non ri2009 e attualmente siamo in die- uscire a soffermarsi su quanto ci
ci in tutto – prosegue –, tra cui tre circonda a causa della mancanpersone sorde e un interprete Lis. za di tempo». E invece basterebMa la nostra ambizione è quella di be soltanto concedersi il lusso di
trasformare il laboratorio in una una vita slow per superare le barcompagnia stabile, che riesca a la- riere che ci dividono gli uni dagli
altri. [A.P.]
vorare con continuità».
TEATRO
Giorni rubati: in scena gli
infortuni sul lavoro. Una sera
di novembre del 2006, il 37enne
Giammarco Mereu rimane
schiacciato sotto un cancello
di 600 chili, che gli spezza la
schiena togliendogli per sempre
la possibilità di camminare.
Lavorava nella zona industriale
di Tortolì, dove gli operai sono
costretti a orari massacranti per
la costruzione del nuovo molo
di Arbatax. «Era martedì e già
pensavo a quello che avrei fatto la
domenica. Quella domenica non
è mai arrivata e non arriverà mai
più». Da questa tragica vicenda
personale prende le mosse lo
spettacolo teatrale Giorni rubati,
realizzato dalla compagnia
Rossolevante, con il contributo
dell’Inail di La Spezia. Una storia,
quella di Giammarco, comune a
quei lavoratori «che vedono, in
un attimo, la loro vita stravolta a
causa di un infortunio – sottolinea
Carmelo Faliti, direttore della sede
Inail di La Spezia –. Ma è anche
la testimonianza di un uomo che
affronta la sua disabilità con
tutta l’energia possibile, che non
rinuncia agli affetti, alle amicizie.
Che vuole rimanere, innanzitutto,
al centro del palcoscenico della
propria vita». Per informazioni:
Rossolevante.it. [A.P.]
Il sogno di
una vita “slow”
contro
le barriere
della mente
L
35
RUBRICHE Inail... per saperne di più
Rosanna Giovèdi
Tutela globale e integrata
con il Regolamento protesico
Fornitura di protesi e reinserimento degli infortunati nella
vita di relazione: le novità nel testo aggiornato.
Tra gli obiettivi, il sostegno alla rete dei servizi locali
per un reinserimento efficace
I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg
I
n sede di predisposizione del nuovo testo del
“Regolamento per l’erogazione agli invalidi del
lavoro di dispositivi tecnici e di interventi di sostegno per il reinserimento
nella vita di relazione”,
si sono tenuti in debita
considerazione gli indirizzi programmatici in
materia di interventi
di fornitura di protesi e
di reinserimento sociale
degli infortunati.
In particolare, nella
“Relazione programmatica 2011-2013”, in relazione al reinserimento
sociale e lavorativo, sono
stati individuati tra gli obiettivi attuativi delle “Linee di mandato strategico
2009–2012” il passaggio a un assetto
consolidato dell’attività di reinserimento, nonché la creazione di una rete che, attraverso la collaborazione con
le istituzioni e altri soggetti operanti
sul territorio, renda possibile la completa ed efficace erogazione dei servizi
dello stesso reinserimento.
I contenuti del Regolamento,
inoltre, sono stati aggiornati tenendo
in considerazione la profonda evoluzione culturale rispetto ai temi della
disabilità che, da ultimo, si è concretizzata nell’elaborazione del sistema
di Classificazione internazionale del
funzionamento della disabilità e
della salute (Icf), adottata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2001. L’Icf, infatti, ha
dato una nuova connotazione al
concetto di riabilitazione, non più
inteso unicamente nell’accezione
di recupero funzionale, ma con un
significato che comprende la riappropriazione da parte della persona
divenuta disabile della
capacità di autodeterminazione e del proprio
ruolo nel contesto familiare, socio-ambientale e
lavorativo.
Con il nuovo Titolo IV “Interventi di
sostegno per il reinserimento nella vita di relazione”, si sottolinea una metodologia
di intervento basata su una visione
complessiva della persona, che tiene
conto delle lesioni funzionali dell’infortunato o tecnopatico e delle sue
esigenze, ai fini del superamento degli ostacoli e delle barriere che ne limitano l’azione e la partecipazione
all’ambiente di vita. Tale metodologia
interviene non solo con azioni di adattamento della persona all’ambiente,
mediante l’erogazione dei dispositivi
tecnici, ma anche con interventi diretti a rimuovere gli ostacoli nel contesto
familiare e socio-ambientale che impediscono l’autonomia della persona
nelle attività di vita quotidiana e nelle relazioni.
36
Il Titolo IV introduce la possibilità
di elaborare progetti in ambito riabilitativo-sociale destinati al lavoratore
infortunato o tecnopatico e al suo contesto di vita e volti, secondo la prospettiva del modello Icf, all’eliminazione
dei vincoli e degli ostacoli ambientali,
culturali e sociali che limitano l’autonomia del lavoratore e gli impediscono
la ripresa dei ruoli sociali svolti prima
dell’infortunio, nonché all’introduzione di specifici elementi di facilitazione
che possano ampliare le opportunità
di reinserimento nel contesto di vita.
Ne consegue che gli interventi
di assistenza protesica e di sostegno
al reinserimento nella vita di relazione devono essere definiti in modo sinergico e complementare all’interno
di un progetto riabilitativo individualizzato, per fornire all’infortunato sul
lavoro o tecnopatico un sistema di interventi e prestazioni che gli permetta
di raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale e sociale.
I potenziali destinatari degli interventi del Titolo IV sono gli infortunati
o tecnopatici con postumi stabilizzati (compresi gli assistiti ex Ipsema) e
ancora in inabilità temporanea assoluta, per i quali si renda necessaria una
«presa in carico tempestiva», tenuto conto del quadro diagnostico conseguente all’evento infortunistico, al
fine di un più efficace reinserimento
nell’ambiente di vita e di lavoro; i familiari del lavoratore infortunato o
tecnopatico, nonché i familiari superstiti dei lavoratori deceduti per cause
lavorative, con l’obiettivo di sostenere a livello psicologico e sociale anche
la famiglia del lavoratore direttamente
colpita dall’evento infortunistico, che
si trova ad affrontare nuove situazioni: la disabilità o la morte del familiare lavoratore.
RUBRICHE Viaggi e tempo libero
Francesca Tulli
Vacanze per tutti i gusti:
consigli di viaggio
glutine, per esempio, trovano risposte
attraverso il progetto “Alimentazione fuori casa”, promosso dall’Associazione italiana celiachia. Quanti invece
devono essere seguiti da sedute di diaWeek-end fuori porta, progetti per l’estate, gite in campagna lisi anche in vacanza, possono contare sul programma “Dialisi Vacanze”,
e passeggiate: prima di avventurarsi, però, meglio
promosso dalla Società italiana nefroinformarsi su accessibilità e accoglienza
logia o anche dall’organizzazione Holiday Dialysis International, che offre
a primavera è l’occasione per organizzare i primi week-end “fuori porta”, un servizio di prenotazione gratuita
ma è anche il periodo migliore per pianificare le vacanze estive con le do- di sedute dialitiche presso centri sparvute attenzioni, ovvero informazioni utili e sufficienti a non incorrere in si in tutto il mondo.
brutte sorprese. Orientarsi verso strutture di comune circuito ricettivo, al mare o in montagna, o ancora nelle città d’arte, per il turista con esigenze speAccanto al comune circuito tucifiche significa valutare in prima istanza le condizioni di
ristico, in ambito ricettivo, si collocaaccessibilità delle strutture ospitanno anche quelle fattorie sociali, quelle
ti e/o la presenza o meno dei servicase per ferie/case vacanze e similazi indispensabili e necessari. Chi ha
ri, caratterizzate da un buon livello di
difficoltà motorie, sensoriali o intelletaccessibilità degli spazi, dalla capacitive, deve in sostanza riuscire ad avetà di offrire più sistemazioni adeguate
re un’idea complessiva della fruibilità
ai clienti con disabilità e dal proporre
dei diversi ambienti in cui andrà ad
servizi ad hoc. Queste strutture divenalloggiare, ma anche un’informaziotano spesso meta di gruppi turistici
ne puntuale sulla presenorganizzati e omogenei nelle esigenze
za di tutti quegli elementi
specifiche: associazioni, cooperative
che vengano incontro aled enti spesso riescono tramite quele sue esigenze specifiche.
ste strutture a coniugare turismo e diDiventa quindi strategico
sabilità.
porre le domande giuste alInfine, si segnalano le cosiddette
le strutture di destinazione, o
“vacanze assistite”. Rimane infatti di
sapere a chi rivolgersi per ricevere
ampia rilevanza la domanda e l’offersegnalazioni utili.
ta di questo tipo di vacanza, ossia una
tipologia di soggiorno particolarmente adatta alla persona con gravi disaNegli ultimi anni si sobilità che non vuole però rinunciare
no ampliate le fonti informative
alla propria autonomia. Pur dovendo
per l’utenza con esigenze speciLombardia, Città per tutti per Vene- contare sul supporto costante e prefiche: dal back office di SuperAbile
– che effettua ricerche mirate avva- zia e zone limitrofe. Ci sono poi siti parato di un assistente alla persona,
lendosi di questionari di rilevazione internet d’informazione, quali village- la vacanza assistita permette comuntelefonica e fornisce attraverso il suo forall.net, diversamenteagibile.it, turi- que una generale auto-organizzazione
call center informazioni a 360 gradi smosenzabarriere.it, ma anche diversi del tempo libero. Chi preferisce de– agli sportelli informativi sul terri- progetti nati per offrire risposte per- mandare l’organizzazione del viaggio
torio dedicati alle persone con disabi- sonalizzate. È il caso, per esempio, di ad agenzie e/o cooperative sociali, imlità. Gli esempi, in questo ultimo caso, quei turisti che hanno come esigenze pegnate nel settore del turismo accessono molti: Terre di Mare per la Ligu- specifiche quelle di particolari intolle- sibile, può navigare sul portale www.
ria, AssoinViaggio per l’Emilia Roma- ranze o allergie o quelle di trattamenti superabile.it, in particolare sul canale
gna, Sportello disabili della Regione sanitari: quanti hanno problemi con il tematico “Viaggi e tempo libero”.
L
37
RUBRICHE Ausili
Giorgia Di Cristofaro
Wheelmap.org: l’accessibilità
segnalata dagli utenti
Realizzato da un’azienda tedesca, il sito si avvicina
in termini progettuali a GoogleMap e permette di inserire
informazioni sull’accessibilità a luoghi pubblici e privati.
Utile per chi vive su sedia a ruote. E facile da usare
S
egnalare le barriere architettoniche, ma anche mettere in luce l’accessibilità di luoghi pubblici e privati. Il tutto attraverso le moderne tecnologie informatiche a disposizione di utenti con disabilità e cittadini. La novità si
chiama Wheelmap.org, un portale dove, grazie a una semplice registrazione
gratuita, è possibile per chiunque inserire informazioni utili sulla presenza o
meno di barriere architettoniche, renderle pubbliche e fruibili da chiunque
Ma come funziona? Andando
ne abbia bisogno e facilitare la qualità sulla home page, ci si registra gratuidella vita delle persone con disabilità tamente e si inseriscono i dati sull’acfisica che si muovono su sedia a ruote. cessibilità secondo i tre colori indicati:
Prodotto e progettato in Germa- verde, se l’ingresso non ha un gradinia dall’impresa sociale “Sozialhelden
no più alto di 7 centie.V.”, è ancora poco conosciuto in Itametri, se tutte le
lia, ma molto facile da usare. Infatti
località senza
Wheelmap è un progetto di “Heroes
eccezioni sono
sociali”, gruppo di giovani che dal
raggiungibili
2004 si dedica all’innovazione
su sedia a ruotecnologica a scopo sociale.
te, se un ba-
38
gno è accessibile; giallo, se l’ingresso
non ha un gradino più alto di 7 centimetri e le località più importanti sono
raggiungibili su sedia a ruote; rosso, se
l’ingresso ha un gradino più alto di 7
centimetri e le località più importanti
non sono raggiungibili. Resta in grigio
tutto quello che è sconosciuto in termini di accessibilità.
Un “sistema semaforo”, per intendersi, che – giocando sulla strategia di
GoogleMap – permette di segnalare
accessibilità in tutte le zone del mondo. Musei, ristoranti, edifici pubblici e
privati, palestre, scuole, città: tutto diventa conoscibile e mappabile. E questo aiuta chi, benché su sedia a ruote,
non voglia rinunciare a una gita, a un
servizio, a un momento di tempo libero. Ovviamente in autonomia e sicurezza.
Pur disponibile nell’App Store e
nell’Android Market con le proprie applicazioni, presente sia in Twitter che
in Facebook (dove conta quasi 2mila
“fan”), questo strumento dalle grandi
potenzialità è disponibile anche in italiano. La scheda di inserimento dati,
dal 2010 a oggi, ha permesso di raccogliere informazioni su oltre 200mila caffè, librerie, piscine e altri luoghi
pubblici ad alta densità di frequentazione. Ogni giorno, poi, sono quasi
200 le segnalazioni che vengono inserite in modo autonomo dagli utenti.
Wheelmap è ora fruibile – oltre che
in tedesco – in danese, greco, inglese,
spagnolo, francese, islandese, italiano, giapponese, svedese, turco, coreano e persino klingon, lingua ideata da
Marc Okrand per la Paramount Pictures e parlata dall’omonima razza aliena nelle serie tv e nei film di Star Trek.
La progettazione prevede comunque
l’inserimento di nuovi idiomi. Ulteriori informazioni su Sozialhelden.
de o navigando su Wheelmap.org.
L’ESPERTO RISPONDE
a cura del Consorzio sociale Coin
Lavoro
La computabilità di un
soggetto normodotato
divenuto disabile, al fine della
copertura della quota d’obbligo
prevista dalla legge 68/99, deve
prevedere assolutamente un
rapporto di lavoro già costituito
a tempo indeterminato?
Oppure si può computare anche
un soggetto assunto a tempo
determinato?
I
l computo nella quota di riserva del lavoratore dipendente, divenuto disabile
successivamente all’instaurazione del rapporto di lavoro, è possibile nel caso in cui
sia stata riconosciuta una invalidità civile
pari o superiore al 60%.
La normativa per il diritto al lavoro delle persone con disabilità prevede che il datore di lavoro (pubblico o privato) possa
chiedere che venga computato nella quota
di riserva il lavoratore dipendente divenuto
disabile, successivamente all’instaurazione
del rapporto di lavoro in due casi: lavoratore divenuto disabile in costanza di rapporto di lavoro, in conseguenza di infortunio o
malattia con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 60% e che non sia
stata determinata da violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene del la-
voro da parte dello stesso datore di lavoro;
lavoratore divenuto disabile in costanza di
rapporto di lavoro per infortunio sul lavoro o malattia professionale con un grado di
invalidità pari almeno al 34%, non causata da violazione delle norme in materia di
sicurezza e igiene del lavoro da parte dello
stesso datore di lavoro.
La richiesta va inoltrata dal datore di
lavoro ai Servizi per l’Impiego provinciali competenti. Sono esclusi dalla base di
computo lavoratori assunti con contratto a
tempo determinato di durata non superiore
a nove mesi. Per i datori di lavoro pubblici
o privati che svolgono attività di carattere
stagionale, il periodo di nove mesi si calcola sulla base delle corrispondenti giornate
lavorative effettivamente prestate nell’arco
dell’anno solare, anche non continuative.
Parcheggi riservati
Munito di contrassegno di
invalidità, ho parcheggiato l’auto
nel posto riservato a tale scopo.
Al mio ritorno, una settimana più
tardi, ho avuto la sgraditissima
sorpresa di scoprire che l’auto
era stata rimossa e portata in
un deposito a dieci chilometri
di distanza. Ho dovuto pagare
221 euro per il deposito e 20 euro
di tassametro. Evidentemente
mi arriverà anche il verbale con
la multa da pagare. Il custode
del parcheggio mi ha detto che
la mia automobile era stata
rimossa perché il contrassegno
di invalidità era scaduto da poco
più di un mese. Il poliziotto ha
rispettato la legge o posso cercare
di rivalermi?
A
bbiamo interpellato Anglat, associazione impegnata a livello nazionale sui temi della guida e trasporto di persone con
disabilità: ci ha confermato che i benefici connessi al possesso del contrassegno
parcheggio invalidi vengono meno nel momento in cui il documento risulti scaduto.
Per tale ragione, da parte sua è dovuto il
pagamento delle spese di deposito ed eventualmente della contravvenzione rilevata.
Nulla toglie che è un suo diritto provare comunque a presentare ricorso al giudice di
39
pace, dopo aver provveduto al rinnovo del
contrassegno in argomento presso l’Ufficio
competente del suo Comune.
Ricordiamo, infine, che l’autovettura al
servizio delle persone invalide gode delle facilitazioni riservate a questa fascia di
utenza, sempre che il veicolo non costituisca, ai sensi del Codice delle strada, intralcio al traffico, oppure
situazione di pericolo per la
circolazione e per il passaggio dei pedoni.
PINZILLACCHERE
IL PRANZO DELLA DOMENICA
di Carla Chiaramoni
L’Alipinta
Strada Provinciale 90
Valledoria-Badesi,
bivio La Tozza (OT)
 079.684762 - 079.684747
In cucina Maria e Giuseppe
Chiusura da ottobre a maggio
Coperti 60
Locale accessibile
Prezzo menù fisso
a 12 euro (bevande escluse)
S
e siete consumatori consapevoli o amanti nostalgici della
stagionalità, “L’Alipinta” non vi
deluderà. La cucina è semplice e
genuina, guarda alla tradizione
regionale e utilizza materie prime
locali, fornite dalle cooperative
sociali del territorio. Inoltre gran
parte dei prodotti utilizzati in
cucina cresce e matura proprio
nell’orto di questa struttura, che
può contare su un ettaro di terreno tra giardino per gli ospiti e
area coltivata. È proprio nell’orto
che lavorano persone con disabilità psicosensoriale: una scelta
a chilometro zero che valorizza
la filiera corta e crea qualità.
“L’Alipinta” si trova a un chilometro dal mare, lungo la statale
Sassari-Santa Teresa di Gallura,
immerso nel verde, su un ampio
prato attrezzato con un parco
giochi per bambini. Ideale per le
famiglie. Ristorante-pizzeria con
griglieria e bar, gestito dal consorzio di cooperative sociali Andalas
de Amistade, è nato con l’obiettivo di dare lavoro a persone con
disagio mentale e sociale. Particolare attenzione a chi ha una disabilità motoria: locale totalmente
accessibile, comodo parcheggio
e oltre sette chilometri di piste
percorribili su sedia a ruote.
Il “benessere sociale” si sposa
con quello ambientale: infatti la
struttura è anche ecocompatibile, con impianto fotovoltaico e
riciclaggio delle acque. A pranzo
è disponibile esclusivamente
l’open bar, per un’offerta veloce
rivolta a chi lavora o si sposta
verso il mare. La sera: servizio di
ristorazione e pizzeria. Il menù
è fisso, ma ogni giorno potrete
trovare una specialità o un piatto
tipico legati alla stagionalità e alla
reperibilità delle materie prime.
Tra le proposte: spiedini di
agnello in agliata, pescatrice
alla catalana, ostriche di allevamenti locali, fregola con frutti
di mare, malloreddus alla sarda,
oltre a pesce fresco fritto, alla
griglia o al cartoccio. Tra i dolci,
da non perdere sebadas con
miele. Pizzeria aperta tutte
le sere e griglieria all’aperto
due o tre volte la settimana.
Casa dolce casa
Cucine accessibili in tutto, anche nel prezzo
C
ucine di qualità ad elevata accessibilità e
a prezzo sostenibile. È la promessa della
multinazionale svedese del mobile low cost,
che da alcuni anni ha deciso di adattare gli
arredi componibili da cucina alle esigenze
delle persone con disabilità. «Tutto è nato
dalla collaborazione con la Fondazione
Alessio Tavecchio onlus di Monza – fanno
sapere dall’azienda –. Abbiamo predisposto
un sistema di autoprogettazione assistita
da coworker specializzati, che permette
di creare cucine su misura adattabili alle
diverse esigenze e agli spazi disponibili».
La progettazione Ikea è focalizzata sul
superamento delle barriere sia verticali
(altezza dei pensili, delle basi cucina e del
piano di lavoro) che orizzontali (gli ostacoli
che rendono difficoltosi gli spostamenti nello
spazio). Per esemplificare concretamente, «i
piani di lavoro posti a 80 centimetri da terra
consentono di operare anche da seduti, gli
spazi vuoti permettono di cucinare e lavare i
piatti con comodità e le piastre a induzione,
che trasmettono il calore direttamente sotto
la pentola e si raffreddano in fretta quando
questa viene tolta, scongiurano il rischio
di scottarsi. Mentre gli elementi estraibili e
scorrevoli, i cassetti a rete con visibilità dal
basso e le maniglie trasformabili in appoggi
contribuiscono a garantire piena libertà di
movimento e autonomia alle persone con
ridotte capacità motorie», assicura Ikea.
I prezzi possono variare molto, a seconda
delle diverse soluzioni e della grandezza
degli spazi da arredare, ma restano comunque convenienti. Un esempio? Una
cucina angolare di 4 metri per 3 costa
circa 4.300 euro, elettrodomestici inclusi,
tra cui un piano a induzione elettrica e
un forno combinato a microonde.
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LE PAROLE PER DIRLO
di Franco Bomprezzi
Falsi
invalidi
incredibile ma vero
I quadri di Mele, dipinti con il corpo e con le mani
I
N
on ne posso più. È
entrato nell’uso comune.
“Falsi invalidi”. Ovvero
ladri, imbroglioni, furbi,
millantatori, sanguisughe, parassiti, creature
diaboliche che si annidano ovunque, che
vivono in mezzo a noi cibandosi della nostra
cialtroneria e incapacità di controllare.
Ingrassano e si moltiplicano, ridono
sgangheratamente, laidamente orgogliosi
delle loro malefatte, ribaldi nemici dello Stato
sociale, esecrabili e immondi, concentrati
nel Meridione, ma diffusi anche nelle isole
e in qualche sperduta Asl del Nord.
Sono loro, finalmente, i nemici, i colpevoli
di tutto, quelli che distruggono il bilancio
dello Stato e ci avvicinano alla Grecia.
Vivono sulle nostre spalle, di onesti cittadini
che paghiamo le tasse fino all’ultimo centesimo,
e banchettano ogni giorno, incuranti del bene
comune. Non solo: parcheggiano a sbafo,
percorrono le corsie preferenziali a tutta velocità.
Vanno allo stadio gratis, e non paga
neppure l’accompagnatore. Hanno l’Iva
agevolata, comprano dei Suv giganteschi
e parcheggiano sui marciapiedi, con il
contrassegno in bella mostra. Usano il bastone
bianco, tutti quanti, credendo che siamo fessi.
Ma ormai non ci caschiamo più. Lo
sappiamo bene che razza di manigoldi siano
gli invalidi italiani. Mica solo quelli falsi, che
si comincia così, ma in realtà il fenomeno
è generale, cosmico. Non esistono più le
“persone con disabilità”, ma solamente gli
“invalidi”, ovviamente quasi sempre “falsi”.
Io stesso ormai, quando mi guardo allo
specchio, mi interrogo e mi dico: «Non sarai
mica invalido tu, Franco, solo perché hai un
po’ di ossa fragili e l’insufficienza respiratoria.
In fin dei conti lavori, ti muovi, guidi: che cosa
vuoi di più dalla vita? Sei un falso invalido, ecco
cosa sei. Vergognati. Potevi inventarne un’altra
di scusa per rimanere seduto in carrozzina
tutta la vita. Uno scroccone, ecco cosa sei».
Per la prima volta, tre mesi fa, le opere
di Mele sono state esposte a Viareggio,
la sua città. La mostra ha ricevuto
grande attenzione da parte
di critici e pubblico
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suoi muscoli non ricevono sufficienti energie per funzionare,
ma la sua mente è piena di colori:
Emanuele, detto Mele, ha appena
compiuto quattro anni: una
grave patologia mitocondriale,
incurabile e letale, rende il suo
corpo ipotonico, «floscio come
una bambola di pezza», dice la
mamma, che insieme al papà fa
di tutto per rendere serena e bella
la vita di Mele e del suo fratellino,
nato un anno prima di lui, sano
e robusto. Nonostante le quotidiane crisi epilettiche, le carenze
respiratorie e l’alimentazione
nasogastrica, la vita di Mele sta
diventando una vera opera d’arte,
grazie ai quadri che, come per
magia, escono dalle sue mani e
da tutto il suo corpo. Il bambino
«riesce a muovere volontariamente le mani e la testa – spiega
ancora la mamma - ma non è in
grado di trattenere a lungo un
pennello: per questo glielo fisso
con il nastro sanitario di carta».
«L’idea di farlo dipingere è
stata solo un caso. Avevamo preparato l’attività per suo fratello,
ma abbiamo deciso di far provare
anche lui». Così è iniziata questa
esperienza di pittura «interattiva.
Mele indica con movimenti delle
mani, degli occhi e conferma con
la voce che tela vuole, quale o
quali colori vuole, quanto diluiti,
se vuole usare un pennello e
quale oppure dipingere con
le mani. Poi con molta calma
e pazienza spalma i colori, ne
chiede altri, domanda che la tela
venga girata e poi “dice” che ha
finito. È un modo di comunicare:
dipingendo, racconta qualcosa
di sé e noi finalmente conosciamo qualcosa di lui». [C.L.]
dulcis in fundo
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