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Fare e pensare per immagini

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Fare e pensare per immagini
Fare e pensare per immagini
p e r
Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia
L’idea che anima questa
proposta è quella di
Comitato Italiano per l’UNICEF - Onlus
Direzione Attività culturali, editoriali,
formazione e ricerca
Via Vittorio Emanuele Orlando, 83
00185 - Roma
tel. 06478091 - fax 0647809270
www.unicef.it
[email protected]
sfruttare in primo luogo le
potenzialità fortemente comunicative che
l’attività artistica e il lavoro con i
materiali hanno per i bambini.
Disegnare, dipingere, lavorare con
Percorsi di lavoro
l a s c u o l a d i b a s e
creta, tempere e pennelli è per sua
natura liberatorio di energie psichiche
profonde e di un’attitudine al confronto e
alla collaborazione: un percorso che
aiuta a incontrare e conoscere l’altro, in
una dimensione di arricchimento
reciproco.
Un modo diverso,leggero e
creativo, per far accostare i ragazzi alle
tematiche dell’UNICEF e alla cultura dei
diritti dell’infanzia che da oltre un
decennio è il cardine del lavoro del
Comitato Italiano per l’UNICEF.
I o
e
l ’ a l t r o
Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia
Fare e pensare per immagini
Indice
Percorsi di lavoro
per la scuola di base
3
5
13
17
25
27
31
49
54
Presentazione
Introduzione
L’educazione allo sviluppo
e l’UNICEF
Parte 1
Quanti sono, chi sono,
da dove vengono gli alunni stranieri
Suggerimenti didattici
Parte 2
Progetto-Laboratorio
Premessa
I linguaggi “altri” e l’intercultura.
Fare e pensare per immagini
Progetto I
“Raccontiamo con...
le cose, le forme, i colori”
Progetto II
“L’immagine in movimento
e il linguaggio ‘altro’:
facciamo il cinema a scuola”
Bibliografia
1
Presentazione
Pubblicazione a cura
della Direzione Attività culturali, editoriali,
formazione e ricerca
Comitato Italiano per l’UNICEF - Onlus
Via V.E. Orlando, 83
00185 Roma
tel. 06 478091
fax 06 47809270
[email protected]
www.unicef.it
Testi
Andreina Serloni e Laura Verderosa
Illustrazioni
Gianluca Manna
Progetto grafico e impaginazione
B-Side, Roma
Stampa
PrimeGraf, Roma
Foto di copertina:
Sheila McKinnon
Questa pubblicazione
è stata stampata su
carta riciclata ecologica
L’impegno del Comitato Italiano per l’UNICEF nelle scuole italiane per la
promozione dell’educazione allo sviluppo e all’interculturalità risale agli anni
Settanta. In coincidenza con l’attenzione senza precedenti rivolta ai giovani dalle
Nazioni Unite la nostra attività acquista un significato quanto mai intenso: nel
settembre 2001 una Speciale Sessione dell’Assemblea Generale sarà dedicata
proprio ad essi e in quell’occasione l’UNICEF sarà agenzia leader.
La pubblicazione che oggi viene presentata vuole essere uno strumento di
lavoro agile, flessibile e soprattutto in linea con le esigenze didattiche e culturali del
nostro tempo e di una società che va costruendosi come multietnica e
multiculturale.
I percorsi didattici proposti in questo testo, elaborati con la collaborazione di
docenti ed esperti, discendono dal desiderio di coniugare consapevolezza dei propri
diritti e sviluppo delle potenzialità creative nei bambini e nelle bambine: due
elementi che caratterizzano l’azione educativa, così come essa viene contemplata
dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia.
Esprimo il più sincero augurio perché questo lavoro possa contribuire ad
agevolare ed arricchire l’impegno di tutti quegli educatori che ogni giorno si
adoperano affinché la scuola italiana svolga le sue funzioni, davvero vitali, per la
crescita delle giovani generazioni in un mondo che muta rapidamente.
Giovanni Micali
Presidente
Comitato Italiano per l’UNICEF
Finito di stampare
Roma, agosto 2000
3
Introduzione
L’educa
zione
allo sviluppo
e l’UNICEF
L’educazione allo sviluppo è da quasi un
trentennio un’importante area di attività dei
Comitati Nazionali per l’UNICEF. Recentemente questi ultimi, attivi fin dagli anni Settanta nell’elaborazione di proposte e spunti
educativi rivolti agli insegnanti, hanno cercato di darsi una metodologia unitaria e una serie di obiettivi comuni, per consentire a programmi elaborati in ambiti culturali diversi di operare nella stessa direzione, promuovendo un tipo di
educazione che consenta ai giovani “di lavorare
per promuovere la pace internazionale e
la solidarietà in un contesto interdipendente” (Raccomandazione della Conferenza Mondiale sull’Educazione per Tutti, Jomtien, 1990).
Il termine “Educazione allo Sviluppo” indica un tipo di educazione che tenga conto della natura globale dei problemi, che prepari le giovani generazioni a giocare un
ruolo attivo nei processi di veloce cambiamento promuovendo valori come pace, giustizia sociale e consapevolezza ambientale nonché atteggiamenti cooperativistici e
socialmente attivi.
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, fin dalla sua adozione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata quasi all’unanimità (è il
trattato più ratificato al mondo), è diventata per più di un motivo il cardine dei progetti educativi dell’UNICEF. All’educazione allo sviluppo essa è legata in molti modi:
da un lato ne costituisce, per così dire, la fonte ispiratrice, nel senso che lo spirito che
la anima era già elemento fondante dei progetti e delle attività di educazione allo svi-
5
Introduzione
L’educazione
per lo sviluppo
e l’UNICEF
luppo; dall’altro essa costituisce indubbiamente un modo pratico
per legare i contenuti dell’educazione allo sviluppo al lavoro dell’UNICEF: promuovere un’ottica attenta ai bisogni dei bambini e rispettosa delle loro esigenze e
diritti, significa infatti automaticamente agire in
un’ottica di sviluppo, di pace, di cooperazione.
Ecco quindi che la Convenzione è diventata, in questi dieci anni, una sorta di cornice di riferimento ideale per
guidare le attività educative e formative dell’UNICEF, uno
strumento pratico di indubbia efficacia, una sorta di bussola sempre puntata sull’idea della partecipazione del bambino nella vita politico-sociale: non si tratta (non tanto e non solo) di conoscere e far conoscere la
Convenzione, ma soprattutto di esplorare attivamente le sue modalità di applicazione, rendendola uno strumento vivo nella vita quotidiana e nelle comunità in cui i bambini vivono.
Si potrebbero portare molti esempi di come la Convenzione abbia apportato cambiamenti significativi nella vita di tanti bambini in molti paesi, contribuendo, nei rispettivi contesti, a diffondere quella cultura dei diritti dell’infanzia che sta così a cuore all’UNICEF. Ne citeremo solo alcuni, relativi al diritto del bambino a partecipare alla vita sociale, che costituisce uno degli aspetti più innovativi della Convenzione: in
Salvador e in Argentina migliaia di bambini e ragazzi si sono recati alle urne per dire
la loro sul futuro politico dei rispettivi paesi; in India circa 2 milioni di bambini di strada hanno ripreso i contatti col mondo delle istituzioni scolastiche grazie ai progetti di
educazione informale basati sull’utilizzo degli educatori di strada e sostenuti dall’UNICEF; in Finlandia e in Danimarca i Comuni tengono conto dei pareri espressi dai
bambini quando si elaborano i piani regolatori cittadini; in Brasile i meninos da rua
hanno fondato il Movimento Nazionale dei Ragazzi di Strada che è diventato un vero
e proprio movimento politico, con tanto di rappresentanti incaricati di tenere i rapporti con i politici adulti, allo scopo di far valere le loro richieste.
6
Esperienze
vecchie
L’esperienza dei Comitati Nazionali per l’UNICEF, incaricati istituzionale nuove mente di portare avanti progetti di educazione allo sviluppo, ha operato
nell’ultimo ventennio in due direzioni:
• Settore dell’educazione formale, proponendo agli insegnanti e alle scuole una
serie di spunti per introdurre, nella normale programmazione scolastica, un’ottica
informata allo spirito e agli ideali dell’UNICEF: non una materia, ma un modo di
guardare alle cose, un angolo visuale da cui porsi.
• Situazioni di educazione non formale (club giovanili, club per lo sviluppo comunitario, sindacati, associazioni formative di vario tipo). Si è trattato e si tratta di un
modo efficace per far penetrare un’ottica di cooperazione, solidarietà e pace in
contesti e gruppi più informali e meno strutturati delle istituzioni scolastiche.
Accanto a questa attività istituzionale di educazione allo sviluppo, i Comitati lavorano molto con gli organi di informazione, ai quali forniscono sistematicamente notizie sul mondo dell’infanzia, con l’obiettivo di diffondere un’ottica attenta ai diritti dei
bambini:: un modo molto efficace per sensibilizzare i giovani nel mondo contemporaneo, in genere molto esposti ai media e quindi influenzati dai loro messaggi.
Dal 1976 in poi il Comitato Italiano per l’UNICEF ha elaborato una serie di proposte
educative sempre più articolate che, nel corso degli anni, si sono diffuse in modo ampio e capillare nella scuola italiana dell’obbligo, soprattutto elementare e media, con
l’avallo di alcune circolari ministeriali. L’idea guida del lavoro dell’UNICEF in tutti questi anni è stata quella di portare i bambini a conoscere e valutare i problemi dello sviluppo senza forzature e imposizioni, facendoli semplicemente “inciampare” nei problemi. Nei primi anni Ottanta si proponeva l’idea di un’analisi in parallelo del contesto
locale dei bambini italiani in raffronto con quello dei bambini dei paesi in via di sviluppo allo scopo di identificare analogie e differenze, con l’obiettivo finale di giungere
a una visione di insieme delle condizioni dell’infanzia nel mondo. Verso la fine degli anni Ottanta, con il progressivo trasformarsi in senso multietnico della società italiana, si
veniva profilando un’idea di educazione allo sviluppo più attiva e pragmatica, per cui
l’alunno acquisiva gradualmente la capacità di incidere nel suo ambiente (partecipa-
7
Introduzione
L’educazione
per lo sviluppo
e l’UNICEF
zione), come punto di arrivo di
un percorso educativo orientato
sulle tematiche dello sviluppo.
L’educazione
interculturale
Si sente parlare di
“multicultura” e di “intercultura” sempre più spesso, in varie circostanze, e a
volte senza che i termini coincidano
con il significato che è loro proprio.
Nominare bene, o rinominare quando occorre, è di fondamentale importanza per
essere chiari, per intendersi appieno, per adeguare la scelta terminologica all’evoluzione del pensiero, per liberarsi da ambiguità e fraintendimenti. Ad esempio, se a lungo si è parlato di “tolleranza” per la questione razziale, oggi è difficile trovare questa
parola in un qualsiasi discorso autenticamente non discriminatorio.
A tale scopo, per i termini “multiculturale” e “interculturale” si potrebbe adottare
la distinzione di ordine concettuale e terminologico proposta dal Consiglio d’Europa
(Conseil de l’Europe, L’éducation interculturelle. Concept, context et programme,
Strasbourg, 1989).
Il termine multiculturale indica una situazione e una condizione, ha carattere descrittivo e definisce una realtà in cui sono presenti individui e gruppi di etnie e culture diverse.
Il termine interculturale si riferisce a questa stessa realtà, ma ha carattere dinamico e prende quindi in considerazione le relazioni che tra questi individui o gruppi
vengono a determinarsi.
Quando si parla di educazione riferita al contesto multiculturale si dovrebbe sempre parlare di educazione interculturale. La finalità infatti è quella di favorire la conoscenza delle culture diverse e lo sviluppo di atteggiamenti che consentano di interagire, collaborare e arricchirsi vicendevolmente.
Così formulata l’educazione interculturale si pone, apparentemente, un obiettivo
lineare. In realtà, deve seguire una strada piuttosto ardua perché va a scontrarsi con
numerose difficoltà di carattere pratico e ideologico. L’abbandono dei modelli di ca-
8
rattere assimilazionistico che ha messo fine a forti sottovalutazioni delle culture immigrate rispetto alle autoctone ha anche portato a galla nuove problematiche e nuovi errori. La sottolineatura delle diversità culturali può causare, ad esempio, forme di
irrigidimento e di auto-confinamento; la messa in discussione di concezioni etnocentriche può avallare erronei e fuorvianti relativismi culturali, se non apprezzamenti superficialmente folkloristici delle culture “accolte”.
In ogni caso è importante non adottare una strategia troppo rigida e, al contrario,
essere in grado di adattarla alle esigenze e ai cambiamenti in atto. Infatti, una delle
poche certezze è che gli scenari che abbiamo di fronte sono in continua trasformazione e che non è semplice prevedere i mutamenti della società multiculturale in cui
viviamo; non a caso c’è anche chi ha parlato di educazione interculturale come una
fase di “transizione”.
Noi vorremmo suggerire una rivalutazione delle “differenze”, anche a scapito di
una “uguaglianza” sbandierata spesso superficialmente e dietro la quale è più difficile stanare stereotipi e pregiudizi. Così, citando Carla Lonzi - che negli anni Settanta
ne parlava riferendosi alla questione femminile - si potrebbe ripensare il binomio
uguaglianza/differenza: “L’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E’ quanto si impone loro sul piano culturale. […] Il mondo della
differenza è il mondo dove il terrorismo getta le armi e la sopraffazione cede al rispetto della varietà della molteplicità della vita”.
E si potrebbe aggiungere che è il binomio identità-differenza il concetto che realmente sostiene l’educazione interculturale, perché permette la copresenza di persone tra loro diverse, impone un più profondo senso della propria identità culturale e
quindi la presa di coscienza degli aspetti trascurati del nostro vivere quotidiano: riti
sociali, valori, norme e comportamenti.
9
Parte 1
13 Quanti
sono, chi sono,
da dove vengono
gli alunni stranieri
17 Suggeri
menti
didattici
11
Parte 1
Quanti
sono, chi sono,
da dove vengono
gli alunni stranieri
Sono più di 110.000 gli alunni stranieri seduti sui banchi di scuola in questo nuovo anno scolastico.
E’ uno dei dati che emergono dalla pubblicazione sugli studenti con cittadinanza non italiana di scuole statali e
non statali nell’anno scolastico 1998/99 redatta dal Sistema
Informativo del Ministero della Pubblica Istruzione in collaborazione con l’“Agenzia per la Scuola” costituita da EDS e Luiss Management. Tutti i dati suddivisi per regioni e province, le dinamiche di distribuzione territoriale e le cittadinanze di origine sono disponibili sul sito Internet del Ministero della Pubblica Istruzione (www.istruzione.it).
La ricerca fatta per il terzo anno dal Sistema Informativo si rivela uno strumento
davvero utile per “leggere” il paesaggio multiculturale della scuola italiana e contiene analisi ragionate del fenomeno e delle sue molteplici sfaccettature. Ecco alcuni
elementi di interesse.
Nell’anno scolastico 1988/89, cioè più di dieci anni fa, il totale degli alunni con cittadinanza non italiana era di 11.791. Nel 1997/98 era di 71.357, nel 1998/99, l’anno
sul quale è stata effettuata la ricerca, è di 86.222 unità. Va sottolineato inoltre il fatto che l’ingresso di questi “nuovi” alunni coincide con una sensibile diminuzione della popolazione scolastica per decremento demografico (quasi 2.000.000 in meno negli ultimi dieci anni). Ma 110.000 alunni stranieri sono tanti o sono pochi? Costituiscono un problema oppure no?
Sono pochi, anzi pochissimi se rapportati al totale degli alunni (rappresentano
l’1%) e alle percentuali molto più alte di alunni stranieri presenti nelle scuole di altri
paesi europei (Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Olanda). Ma vanno fatte due
considerazioni che caratterizzano la situazione italiana e che hanno rilevanza sulle
strategie educative da adottare e anche sulla percezione che di questo fenomeno
13
Parte 1
Quanti sono,
chi sono, da dove vengono
gli alunni stranieri
hanno gli insegnanti e l’opinione pubblica in generale. La prima è che la presenza di
alunni stranieri è molto disomogenea e differenziata sul territorio nazionale.
La concentrazione di alunni stranieri è molto più elevata nelle aree del Centro
Nord del paese (il 90%), in particolare in quelle regioni che hanno una maggiore capacità attrattiva nei flussi migratori perché caratterizzate da una migliore situazione
socio economica. Le scuole del Mezzogiorno d’Italia accolgono meno del 10% degli
alunni stranieri. Le regioni con la più alta concentrazione di alunni stranieri sono la
Lombardia (25,45%), l’Emilia Romagna (13,30%), il Veneto (11,33%). E’ illuminante, a
questo proposito, per esempio, leggere le percentuali delle province. Ai primi dieci
posti si trovano: Milano (numero di alunni stranieri 10.552); Roma (7.105); Torino
(3.806); Brescia (3.798); Firenze (3.032); Bologna (2.867); Vicenza (2.749); Verona
(2.423); Modena (2.286); Treviso (2.225).
Dunque ci sono più alunni stranieri nelle scuole delle province di Vicenza e Treviso (le piccole città del Nord-Est) che non nelle province di Napoli e Palermo, assenti
in questa testa di classifica.
Un altro caso esemplare del modello “diffuso” del nostro paese è quello di Cuneo.
Nelle scuole di questa provincia (scuole di montagna) ci sono più alunni stranieri (cittadinanza di origine più numerosa è quella marocchina) che non nelle scuole delle
province di Genova e Bari capoluoghi di regione, ma soprattutto province di mare, di
coste e di sbarchi.
La seconda considerazione è che a differenza di altri paesi europei, di più lunga
tradizione multiculturale, il cambiamento per la scuola italiana è stato rapidissimo. Il
discorso sull’educazione interculturale è cominciato dieci anni fa (fatta eccezione per
gli studi pionieristici di alcuni ricercatori) e le parole “educazione interculturale” compaiono per la prima volta in un documento del Ministero della Pubblica Istruzione nella circolare “La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri: l’educazione interculturale”,
del luglio 1990.
Un altro tema interessante è la provenienza degli alunni stranieri, i tanti e diversissimi paesi di provenienza, altro elemento che caratterizza il modello “diffuso” dell’Italia. Il maggior numero di alunni proviene da Marocco (15.133), Albania (13.551),
paesi dell’ex-Jugoslavia (8.150); seguono Cina, Perù, Filippine, vale a dire prima i paesi del Mediterraneo, i vicini di casa dell’altra sponda, con l’aumento rapidissimo e
14
progressivo negli ultimi anni di albanesi ed ex-jugoslavi, poi i paesi lontani ma di più
lunga tradizione e radicamento nel nostro paese, tenendo sempre presente che queste diverse provenienze e culture si incontrano non in modo coeso in questo o quel
territorio (tranne per alcuni casi) ma in modo diffuso.
Così ad esempio nelle scuole delle province di Brescia e Firenze abbiamo rappresentate 108 cittadinanze, a Bologna 100, ad Ancona 74, a Cremona 60. Piccoli numeri, ma colori diversi, in una stessa scuola, in una stessa classe.
Distribuzione percentuale
degli alunni con cittadinanza
non italiana per ordine di
scuola e confronto con la
popolazione scolastica totale
Media
22,52%
Superiore
32,41%
Elementare
45,83%
Materna
21,23%
Distribuzione percentuale
della popolazione scolastica
Ordine di scuola
Materna
Elementare
Media
Superiore
Totale
Alunni
17,41%
32,41%
20,45%
29,73%
100,00%
Alunni con cittadinanza non italiana in rapporto alla popolazione
studentesca per ordine di scuola, per regione e area geografica
Regioni e
aree geografiche
Materna Elementare Media
Superiore1
Totale
% stranieri sul totale alunni
Piemonte
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
1,86
2,76
n.d.
1,89
2,39
1,30
3,05
1,81
2,38
2,08
0,92
0,54
0,13
0,02
0,28
0,15
0,11
0,24
0,25
2,17
2,75
2,61
2,35
2,17
1,82
3,13
2,68
2,91
2,24
1,77
1,00
0,26
0,10
0,49
0,13
0,25
0,29
0,19
1,89
2,10
2,04
1,81
2,00
1,58
2,69
2,40
2,27
1,39
1,55
0,77
0,17
0,09
0,37
0,17
0,21
0,19
0,14
0,51
0,70
0,82
0,44
1,01
0,59
1,42
0,64
0,59
0,59
0,55
0,12
0,04
0,03
0,15
0,03
0,06
0,08
0,03
1,61
2,11
1,92
1,64
1,81
1,39
2,55
1,85
1,96
1,53
1,22
0,60
0,15
0,07
0,33
0,11
0,16
0,21
0,15
ITALIA
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud
Isole
1,26
2,35
2,38
1,48
0,16
0,24
1,48
2,49
2,62
2,19
0,32
0,27
1,17
1,99
2,15
1,84
0,26
0,18
0,43
0,63
0,89
0,59
0,08
0,07
1,09
1,89
2,00
1,51
0,21
0,19
1 Non sono comprese le scuole superiori non statali
15
Parte 1
Suggeri
menti
didattici
Le
metodologie
La scuola italiana ha già svincolato l’educazione interculturale dal
preciso riferimento alla presenza di allievi extracomunitari ponendola come un principio educativo centrale a fianco delle varie materie, mentre la finalità prioritaria rimane la capacità di dialogare e interagire in funzione dell’arricchimento reciproco tra “diversi”.
E’ indispensabile, perciò, che sia esplicito il
duplice compito dell’educazione interculturale:
• rendere possibile l’incontro e l’inserimento
di chi è in minoranza o, comunque, di coloro che
non appartengono alla cultura e al sistema di regole convenzionali;
• insegnare l’accoglienza e innescare un processo di autoeducazione a confrontarsi e cooperare con l’“altro”, con se stesso in relazione al “diverso”. Per fare ciò occorre che, aldilà di stereotipi e barriere fisiche e mentali, insegnanti e allievi/e accolgano l’invito a conoscere l’“altro”, a riconoscere quanto di lui è dentro ciascuno di noi, e attraverso questo riconoscimento riuscire a condividerne modi e sentimenti.
Nessun individuo, infatti, appartiene in modo totale, rigido e statico a una cultura,
ma ha una sua individualità che spesso sconfina spontaneamente in prospettiva di
un ordine “sovranazionale”, senza tuttavia che ciò comporti la negazione delle proprie radici.
17
Parte 1
Suggerimenti
Nella prassi didattica dell’educazione all’interculturalità il suggerimento metodologico basilare è l’approccio attivo, a prescindere che si decida di lavorare su espressioni artistiche, fiabe e musica o sullo studio dei rapporti economici e ambientali tra
il Nord e il Sud del mondo.
L’obiettivo a lungo termine consiste nell’avviare la riflessione e la messa in discussione dei fattori che ostacolano la comunicazione facendo leva sui motivi che invece possono favorirla.
Le tecniche adatte ai/alle ragazzi/e nella fascia d’età inclusa nella scuola dell’obbligo possono essere quelle tradizionali che coinvolgono sia la parola che il racconto: dall’ascolto al brainstorming; sia il corpo che il movimento: dal teatro ai giochi di
ruolo e di simulazione.
L’ascolto reciproco deve essere comunque attivo, inteso non come silenzio o semplice accettazione di ciò che viene detto, ma come modo per entrare in contatto con
il mondo percettivo dell’Altro, come incoraggiamento alla formulazione positiva dei
pensieri.
Il brainstorming rimane una delle migliori modalità comunicative per far esprimere, senza censure, opinioni attorno a quegli elementi di distorsione della conoscenza
quali pregiudizi, stereotipi ed etnocentrismi. La riflessione e la rielaborazione di
quanto emerge dalla tecnica delle associazioni libere, poi, potrà non solo spostare il
punto di vista, ma modificare concretamente anche i comportamenti.
Il teatro costituisce per i/le bambini/e italiani e stranieri, insieme con le loro famiglie, una possibilità concreta e coinvolgente per confrontarsi nei vari momenti aggregativi della vita sociale. L’animazione e il teatro costituiscono, infatti, un canale
privilegiato per partecipare, attraverso un atteggiamento empatico, a un utile processo di decentramento culturale.
I giochi di simulazione e di ruolo, come valido strumento per abbattere barriere e
pregiudizi. Ma soprattutto per creare situazioni che facilitino meccanismi quali la coesione del gruppo, la disponibilità a negoziare e a risolvere i conflitti e che permettano di estraniarsi da sé guardandosi attraverso lo sguardo dell’Altro, riconsiderando,
quindi, anche i propri comportamenti.
18
Gli
obiettivi
Acquisire conoscenze sui modelli culturali e gli stili di vita dei nostri
immigrati. Valorizzare le somiglianze e le differenze tra la nostra e le loro
culture.Confrontare gli usi e i costumi; in altre parole ricostruire le
feste, la cucina, le case…
Questi gli obiettivi più comuni che compaiono in progetti e proposte didattiche
per avvicinare bambini/e, ragazzi/e della scuola italiana alla realtà multiculturale.
Realtà che nel nostro paese, per quanto recente, mostra una spiccata tendenza all’insediamento stabile.
Perché, però, prima di far piombare gli allievi in questi scampoli di altre culture
non si prova a farli calare più dolcemente nel fenomeno dell’immigrazione?
Perché fargli leggere le differenze in base al nostro punto di vista, se non al nostro
immaginario?
Perché partire dal lontano, ad esempio dalla ricostruzione geografica, climatica, a
volte un po’ folkloristica del Marocco, da cui magari proviene la compagna di banco,
per arrivare a conoscerla e a comunicare veramente con lei?
Varrebbe allora la pena di ascoltare - prima ancora di farne il nostro “oggetto” di
studio - chi è arrivato nel nostro paese da “lontano” o chi, pur essendo nato in Italia,
in famiglia conserva profonde radici di una cultura differente.
Alla sensibilità e alla capacità di ‘accogliere’ l’altro dei/lle ragazzi/e delle scuole
elementari e medie risulterà sicuramente più vicino sapere cosa ha provato un bambino senegalese alle prese con oggetti e parole per noi quotidiani e per lui estranei,
incomunicanti. Oppure riflettere sulla relatività della percezione e del significato del
“tempo” - cronologico e metereologico; o ancora, anziché ricostruire soltanto i piatti
e i rituali di una festa caratteristica, domandarsi che significato ha in quel contesto “il
ridere” o “il condividere”.
Dopo la lettura dei seguenti brani e l’eventuale ricerca di altri risulterebbe utile
provare a riformulare gli obiettivi per un lavoro sull’intercultura.
19
Parte 1
Suggerimenti
Il brano che segue si intitola C a r o f r a t e l l o
m i o ed è stato pubblicato sulla rivista “Caffè. Per una
letteratura multiculturale”, n. 9, dicembre 1999. L’autore,
togolese, si chiama Kossi Amékowoyoa Komla-Ebri ed è
medico chirurgo, oltre che scrittore.
La vita del “mondo dei bianchi” è alle volte dura,
strana, stimolante. La prima cosa che ti sconvolge è il clima,
anche se alla lunga si impara ad apprezzare quel susseguirsi
delle stagioni […]. Il primo impatto con il freddo è a dir poco terribile. Non saprei come descriverlo, è un po’ come esporre il tuo corpo a delle staffilate di lame, con quell’aria pungente che ti screpola le labbra e ti irrigidisce le dita. Un
po’ perché non sai come coprirti e accumuli strati di maglie addosso.
Caro fratello, credo che questo clima condizioni tante loro abitudini così diverse.
Qui la gente corre sempre, forse per riscaldarsi un po’. Sembra che qui il tempo non
basti mai, allorché da noi è così dilatato e ci dà il tempo di salutarci per strada in quel
lungo rituale per chiedere notizie del resto della famiglia, del lavoro, di come vanno
le cose. Un saluto che non si nega neanche a quelli che non si conoscono. Qui tutto
si riduce a un frettoloso “giorno” neanche “buongiorno” perché il freddo e la fretta
hanno già inghiottito il “buono”[…]. Sai bene che da noi il tempo non esiste e che se
un amico ti dà un appuntamento alle 14, non ti adiri se arriva alle 17, o peggio se non
arriva affatto, perché ha avuto senz’altro meglio da fare. Quel tempo così dilatato da
noi che ti permette di camminare con nonchalance, si scontra con la frenesia che qui
scopri attorno a te e ti fa stupire della rabbia del datore di lavoro perché i primi tempi arrivi con un quarto d’ora o mezz’ora di ritardo oppure quando ti applichi al tuo lavoro con calma e tranquillità. Qui fratello, il tempo è “denà”.
Vedi, qui il freddo ha condizionato la vita della gente a un punto tale che dovendo
vivere al riparo, al chiuso, hanno sviluppato maggiormente il comfort dentro la casa,
allora da noi il cortile è il centro della vita familiare: si cucina fuori, si mangia fuori, si
gioca fuori, si ricevono gli amici sotto la tettoia di paglia o all’ombra di qualche albero del cortile dove le chiacchiere e le risate scoppiano fragorosamente. Il ridere da noi
è così viscerale, essenziale. Qui sorridono e raramente ridono. Qui non c’è tempo per
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la chiacchiera, bisogna essere sintetici: come sai la parola è da noi così sacra che si
prende sempre qualcuno a testimone quando si deve dire delle cose gravi […].
Caro fratello, se vieni qui, ti stupirai del fatto che quando bussi alla porta di una casa, ti rispondono sbirciando dall’occhio di bue o dal videocitofono con un raggelante
“chi è?”, quando sai che l’usanza da noi è che ti facciano entrare, ti facciano sedere, ti
danno un bicchiere o mezza zucca piena d’acqua da bere prima di chiederti dopo i saluti di circostanza “quale buon vento ha guidato il tuo passo in questa dimora?”.
Una delle prime cose che impari qui è di non arrivare dagli amici all’ora del mangiare senza invito. Perché o ti invitano allora con la punta delle labbra a favorire con
una tacita supplica di rispondere “no, grazie!” o ti accendono la televisione in un lindo e lucido salotto per l’attesa. Sai bene che da noi sarebbe quasi un’offesa rifiutare l’invito a sedersi a tavola per condividere anche se solo un po’ del pasto. Anche
qui molto dipende, credo, dal loro ritmo di vita e dalle loro abitudini alimentari. Si fa
presto con un piatto unico di polenta o di riso con salsa ad aggiungere un posto a
tavola; ma sai, quando le bistecche sono già state congelate numerate, la cosa diventa ardua.
Il fatto stesso che la famiglia da noi è numerosa rende i conteggi difficili anche
perché da noi la famiglia, come il tempo, è dilatata. Nella nostra lingua non esiste come sai una diversa parola per dire cugino rispetto a fratello e la famiglia non è di solo genitori e figli ma anche fatta da zii, nipoti, ecc. Qui dei fratelli possono stare nella stessa città senza vedersi per mesi e mesi, se non per matrimoni e funerali. […]
Sai fratello, la cosa che più mi manca qui sono le feste. La festa da noi è veramente
festa, non come qui per il menù, ma per l’allegria, la musica, il ballo, la gioia di stare
insieme, il ridere a squarciagola, il ridere fino a piangere. […]
Con tutto questo fratello, non voglio dire che tutto da noi è più bello, ti sto dicendo soltanto che è diverso. Sai come dicono gli anziani, che è vero che “la memoria
quando va ad attingere acqua per rinfrescarsi nella calura della nostalgia, riporta a
galla solo quella più fresca”… Non dimentico quanto lavorano le nostre mamme, una
gravidanza dopo l’altra, quanto soffrono le nostre donne, le nostre sorelle. Qui giustamente la donna ha gli stessi diritti dell’uomo. […]
Mi consola il fatto che nonostante la distanza quando alziamo gli occhi al cielo vediamo la stessa cosa.
21
Parte 1
Suggerimenti
Parte 2
Progetto-Laboratorio
Tratto dal racconto L a s o l i t u d i n e di Mbaye Diaw
in “Parole e Confini”, Premio letterario degli immigra ti, Prima edizione Brescia 1997.
Un bambino senegalese racconta della prima impressione appena sceso dall’aereo che lo ha portato
in Italia per raggiungere il padre e delle difficoltà nel
confrontarsi, da solo, con una mentalità e degli
usi ai quali non era stato affatto preparato.
Correvano tutti, con le valigie in mano, con i
bambini in braccio o trascinandoli per il cappotto, le donne, gli uomini, i ragazzi: “Ma non c’è un attimo di tregua”, pensai, “e come trovano il tempo
per pregare e prendere il tè?” […].
Mi hanno sempre chiesto che cosa avessi provato sull’aereo, perché era la prima
volta che ci salivo, perché ero solo, se avevo mangiato… ma io avevo soltanto dormito, una bella dormita tranquilla. […] non finivano mai di chiedermi come era andato il
volo, se avevo avuto paura, se avevo fame, se avevo freddo, se avevo sonno e se avevo tutti i mali del mondo. Non rispondevo quasi a niente, un po’ perché non riuscivo
a capirli molto bene, poi perché tutte le domande, secondo me, non servivano: il volo evidentemente era andato bene altrimenti non sarei arrivato, paura di che cosa, la
fame si placa mangiando e aspettando che sia pronto il pranzo, il freddo lo si elimina
coprendosi […]. Non capivo perché mi facessero delle domande così sceme […].
Andai subito a letto iniziando una feroce lotta con le lenzuola, erano due, non una,
che mi si attorcigliavano tutte intorno al corpo senza darmi un attimo di tregua: “Ma
che inferno”, pensai, “domani dico a mio padre di darmi una stuoia come a casa”, e
con quel pensiero familiare mi addormentai […].
Ero arrivato in Italia, nella casa piena di vestiti, di giochi, di libri, di televisori, di
bagni, di vasche, ma la nonna, il nonno, le zie, gli zii, le caprette, i miei fratelli e tutti
i fratelli e le sorelle dei nonni, e gli amici delle zie e dei loro mariti, dove erano?
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25 Premessa
27 I linguaggi
“altri” e l’intercultura.
Fare e pensare per immagini
31 Progetto1
“Raccontiamo con...
le cose, le forme, i colori”
49 Progetto2
“L’immagine in movimento
e il linguaggio ‘altro’:
facciamo il cinema a scuola”
23
Parte 2
Premessa
I suggerimenti didattici elaborati in collaborazione con Andreina Serloni, una insegnante con una vasta esperienza nel campo dell’educazione artistica nella scuola elementare, delineano
percorsi interculturali nuovi e un po’ eclettici.
L’idea che li anima è quella di sfruttare in primo luogo
le potenzialità fortemente comunicative che l’attività
artistica e il lavoro con i materiali hanno per i bambini. Disegnare, dipingere, lavorare con creta, tempere e pennelli, liberi dai condizionamenti tipici delle attività logicomatematiche è per sua natura liberatorio di energie psichiche profonde e di un’attitudine al confronto e alla collaborazione.
Inoltre questo tipo di lavoro, che per definizione viene svolto in gruppo, favorisce
di fatto la socializzazione, conditio sine qua non perché l’incontro con l’altro si realizzi davvero nella vita scolastica, in un contesto di comunicazione profonda e non
stereotipata, dal momento che l’attività artistica può essere un ponte su cui tutti i
bambini possono ritrovarsi, a prescindere dalle differenze linguistiche: in tutto il
mondo i bambini disegnano allo stesso modo e il linguaggio delle immagini può davvero consentire di passare sopra alle difficoltà della comunicazione linguistica tra
bambini di etnie diverse.
Ecco quindi delineati i motivi, tutt’altro che “leggeri” di questi percorsi tra i materiali, i colori, la creatività infantile: percorsi seguendo i quali è facile incontrare e conoscere l’altro, in una dimensione di arricchimento reciproco.
Il riferimento interculturale indicato in calce a ogni attività artistica facilita il lavoro agli insegnanti, suggerendo per ogni progetto una attività didattica specifica impostata sull’interculturalità. Il progetto proposto, riferito soprattutto all’educazione
all’immagine, può essere facilmente esteso alle altre materie diventando così interdi-
25
Parte 2
Premessa
sciplinare, utilizzando lo stesso approccio lieve e non dogmatico: fiabe e racconti appartenenti a culture diverse, personaggi ponte presenti in contesti culturali diversi e
vivissimi nella memoria dei bambini, riferimenti storici, geografici, antropologici possono essere proposti ai bambini secondo una programmazione non rigida bensì come tanti pezzetti di un patchwork multicolore che costituirà lo sfondo su cui articolare la conoscenza dell’altro e il confronto con il suo mondo.
L’educazione allo sviluppo, ci sembra, deve oggi uscire dall’impasse di una dimensione meramente conoscitiva e contenutistica e assumere valenze più formative,
nel quadro di un’impostazione allargata e più complessa: educare allo sviluppo significa oggi, forse più che mai, acquisire una mentalità aperta a cogliere le stratificazioni multiculturali e la innegabile complessità che caratterizza la società contemporanea.
26
Parte 2
I linguaggi
“altri” e l’intercultura.
Fare e pensare
per immagini
Lo sviluppo
dell’identità
Il progetto si rivolge a bambini e insegnanti, distinguendosi in
nella differente due proposte diverse di intervento, caratterizzate e coordinate enpartecipazione trambe dalla struttura narrativa, dal “raccontare” e, nello stesso
a un interesse
tempo, dal pensiero che competenze diverse e diverse culture poscomune
sono trasformare la scuola e l’apprendimento in originali esperienze di prassi educativa e di vita sociale.
Dare spazi e tempi, cioè fiducia ai bambini, nell’organizzare il proprio apprendimento facendo ricerca e fornendo strumenti per fare e pensare per immagini, significa per l’insegnante avere l’opportunità di cogliere lei stessa e poi di stimolare e provocare una molteplicità di situazioni possibili da scegliere, da vivere e da trasformare in un linguaggio “altro”: la finalità stessa del progetto, allora, educare alla capacità
di fare tante scelte e di poter cambiare, diventa una proposta aperta e nuova alla
scuola e non solo a essa.
La condivisione reale del concetto della molteplicità e delle differenze - di materiali, di mezzi, di identità, di competenze, di culture, di idiomi, di ruoli - ci offre un punto di vista in più: la possibilità e l’entusiasmo nel “vedere oltre” le differenze macroscopiche una stessa dimensione profonda di fantasia e di immagine in continuo movimento e trasformazione. “Fare immagini” significa mettere insieme, unire, collegare, trovare e saper scegliere combinazioni possibili imparando a dare forma ai propri
pensieri con un linguaggio “altro” e in un rapporto diretto con “l’altro”.
Fare e pensare per immagini implica un rapporto concreto col materiale e col mezzo usato: ogni bambino, nel momento in cui partecipa, è alla pari con gli altri e può
sentirsi “autore” di qualcosa inventato proprio da lui e finalizzato a un prodotto unico del gruppo classe. Molteplici attività didattiche vengono in questo modo direttamente attivate, tutti i mezzi e i linguaggi, gli ambiti e le discipline sono in uso e in calcolo, in una dimensione di interesse reale/gioco/apprendimento/realizzazione.
27
Parte 2
I linguaggi
“altri” e l’intercultura.
Fare e pensare per immagini
Questo effetto di ritorno nell’impostare la ricerca didattica sul fare e pensare per
immagini apre a tutti i bambini l’espressione di sé, produce benessere, sensibilizza ed
educa al “passare oltre”, ad assumere un atteggiamento attivo e propositivo, a esprimere e rappresentare un pensiero nuovo con un linguaggio comprensibile a tutti.
Cercare e trovare una apertura, sentire una dimensione di accoglienza per poter
comunicare “con l’altro” e parlare il suo stesso linguaggio corrisponde e risponde all’esigenza fondamentale dell’essere umano di esprimere quel mondo di vitalità e di
sensibilità che ci fa scoprire sempre nuovi e diversi e ci spinge alla scoperta di qualcosa di nuovo in noi stessi e negli altri.
La struttura
narrativa e
Questo progetto-laboratorio, proposto in due differenti modalità oril progetto ganizzative, si basa sulla struttura narrativa articolandola secondo i diversi significati che si possono riconoscere al Racconto:
• racconto come “storia raccontata”: da un “prima”, attraverso un evento che modifica la situazione iniziale e provoca un cambiamento, a un “dopo”, come nuova
situazione di partenza;
• “racconto” realizzato con materiali “altri” nel laboratorio, come opportunità di
incontro, di riconoscimento e di corrispondenza affettiva nelle immagini dell’altro,
oltre la scrittura, la forma, il linguaggio verbale e i confini fisici e mentali;
• racconto come percorso dell’evoluzione del bambino nel processo della conoscenza tecnica, come obiettivo stesso del progetto.
Finalità del
progetto
Educare a… saper scegliere per cambiare:
TEMPI: possibilità di allentare i ritmi di vita frenetici e vivere un rapporto più tranquillo con i propri tempi;
SPAZI: possibilità di lasciare il proprio spazio non soddisfacente per spostarci in
un luogo più accogliente;
CULTURE: possibilità di conoscere altri modi di essere e di vivere e quindi, all’occorrenza, di poter modificare i propri.
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Quando il
tempo dilatato
Una breve considerapuò accorciare zione ci sembra neceslo spazio
saria sul concetto di
tempo “dilatato”, proprio per porre le migliori condizioni per sentirci a nostro agio
nello spazio e nel tempo in cui siamo a
scuola.
Nella proposta laboratorio per l’intercultura,
il concetto di tempo assume uno spessore diverso rispetto a quello comunemente inteso. Durante
le attività con materiali “altri “ e “altri” linguaggi il tempo viene direttamente rapportato alle attività manipolative, immaginative e creative del bambino: è quindi soggettivo e non viene scandito da rigidi orari da rispettare, ma si “dilata”.
L’utilizzo positivo e attivo di tutto il tempo a disposizione vissuto per ricostruirci,
per riprendere il contatto con la nostra realtà interna, ci riporta a una dimensione più
umana. In un tempo così morbido, c’è più spazio per recuperare un rapporto reale con
le cose, le attività e i rapporti interpersonali.
Durante la manipolazione, il collage, il ritaglio o la pittura, è più facile e naturale
“raccontarsi”, raccontare situazioni e storie. Durante la scelta e il confronto sul soggetto da cui partire per fare un film, i bambini si raccontano, raccontano la loro vita
nello spazio e nel tempo della scuola, si mettono in gioco per dire tutti insieme qualcosa di nuovo in un modo diverso, con entusiasmo e senza partire da rigide regole
da seguire.
Il laboratorio e tutti i suoi diversi materiali e mezzi, costituendo uno spazio di incontro reale con l’altro, oltre la comunicazione verbale, permette di parlare un linguaggio nuovo, quello della “condivisione” nella calma e nella tranquillità di un tempo dilatato.
Un tempo dilatato e ritrovato, sia per i bambini occidentali che forse non l’hanno
mai conosciuto, sia per alcuni bambini stranieri, che ritrovandosi invece in una atmosfera rilassante, rispettosa della loro cultura, potranno sentire meno grande lo spazio
e la distanza che li separa dal luogo d’origine.
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Parte 2
I linguaggi
“altri” e l’intercultura.
Fare e pensare per immagini
Il concetto di tempo dilatato viene implicitamente introdotto in più occasioni nelle attività di laboratorio:
• quando proponiamo l’uso di un materiale come la creta, che necessita di tempi
propri di essiccamento e di cottura e ci richiede quindi la capacità di saper aspettare e saper utilizzare il tempo per renderlo attivo e recuperare la creatività (applicarsi cioè, a qualcos’altro di bello e dopo un certo tempo tornare a vedere come si è modificata la nostra opera dopo la cottura in forno);
• quando proponiamo al bambino/a di approfondire la tecnica che abbiamo introdotto, perché gli lasciamo la libertà di scegliere autonomamente quanto e come approfondirla.
Inoltre si può pensare a un tempo dilatato quando il lavoro che viene prodotto in
una atmosfera di tranquillità non viene realizzato cercando di raggiungere un obiettivo specifico per l’utile, ma viene realizzato per il gusto di creare; vengono sollecitate,
infatti, l’immaginazione e la fantasia.
E’ in questo clima, senza obblighi di terminare in tempo, senza nessuna preoccupazione di sbagliare, che il tempo dilatato ci conduce tutti verso la bellezza, alla ricerca di “qualcosa di bello per noi”, completamente svincolati dal giudizio estetico o
di valore.
Parte 2
Progetto1
“Raccontiamo con...
le cose,
le forme, i colori”
Suggerimento
didattico per Regola di base: ascoltare
la fascia
Per “ascoltare” intendiamo non solo ascoltare le parole dell’insedi età inferiore gnante per capire di cosa stiamo parlando, ma “sentire” il senso del
racconto, dare ascolto a quello che resta implicito e non direttamente espresso verbalmente.
Ascoltare significa seguire quelle immagini che ci vengono in mente, scoprire una
dimensione interna di fantasia, di accoglienza e di apertura verso l’altro da sé. Significa sentirci in armonia con noi stessi e ci permette di capire meglio ciò che vogliamo
esprimere.
La conoscenza man mano acquisita dalle varie tecniche, la competenza e la sicurezza che ci vengono dal “saper fare” (le sfumature cromatiche, comporre un’immagine d’insieme, tradurre bene sulla pellicola le immagini reali, mettere in relazione le
immagini in movimento col suono) costituiscono le successive regole di base, la struttura indispensabile per “raccontarsi”, per poterci esprimere e
per rapportarci agli altri.
Metodologia
Strutturata come percorso didattico di tipo circolare, flessibile e aperto a continue modificazioni in itinere.
Spazio
Aula laboratorio o spazio classe.
Personale
Docente (insegnante specialista + insegnante di classe);
Non docente (volontariato, anziani, ecc.).
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31
Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Differenziazione e individualizzazione degli interventi per valorizzare le esperienze specifiche.
Tempi
Differenziati in fasi diverse di realizzazione:
I fase - analisi della situazione di partenza
Valutazione sulle competenze di partenza del gruppo classe, sui contenuti tecnici
da acquisire (obiettivi) e sulla metodologia da proporre.
II fase - divisione in gruppi di lavoro
Gruppo “a” e gruppo “b” - organizzazione dei contenuti/obiettivi. Mentre il gruppo
“a” viene seguito per la competenza grafico-pittorica dall’insegnante di classe, il
gruppo “b” viene seguito per l’aspetto manipolativo (uso di materiali altri), dall’insegnante specialista e dai volontari.
III fase - attività alternata tra gruppo “ a” e gruppo “b”
IV fase - incontro di verifica del lavoro fatto insieme
Ritrovarsi insieme in una corrispondenza di spazi e di tempi: tutto il gruppo classe
è chiamato a una rielaborazione critica del lavoro svolto in tempi e modi diversi.
cano tra le righe), invitiamo i bambini ad assumere una posizione comoda di ascolto, lasciando per un momento sul banco gli “strumenti” per la pittura e suggerendo di fare attenzione all’ascolto nel senso profondo sopra indicato.
Dopo la lettura, appena si è certi di avere in mente ciò che vogliamo rappresentare, prendere il pennello e procedere come di seguito:
• bagnare il pennello nell’acqua, passarlo sulla pasticca del colore scelto facendolo sciogliere; evitare di premere con forza e di far toccare la parte metallica sulla pasticca del colore;
• distribuire un po’ di colore nel piatto;
• sciacquare il pennello nell’acqua per mandare via la prima tinta usata e sceglierne un’altra seguendo la stessa procedura;
• passare il pennello sul foglio, studiando subito la quantità giusta di acqua;
• se la carta ha assorbito troppa acqua il foglio si ondulerà e il colore sarà più delicato.
Come si fa?
La fase introduttiva comune a tutto il gruppo classe (presente il docente specialista, l’insegnante di classe e il personale non docente) propone, all’atto pratico, la lettura del testo scelto e la trasformazione delle parole in immagini.
I tempi e le modalità da seguire, e la priorità di una competenza rispetto a un’altra, verranno offerti e modulati dai bambini stessi, man mano che si svolgeranno le
varie attività, a riprova della necessità della presenza di uno scambio affettivo indispensabile per poter promuovere un reale processo di apprendimento.
Importante
• Evitare di far perdere troppo tempo al bambino per decidere da che parte iniziare, come fare e quale colore usare: il primo impatto con la pittura dev’essere
immediato, perché l’insicurezza che ci viene dalla non conoscenza della tecnica rischia di bloccare la nostra immaginazione: meglio fare subito qualcosa che poi
possiamo rendere più bella piuttosto che restare ancorati alla ricerca di una perfezione solamente… nella nostra mente;
• scoraggiare l’uso preliminare di matita e gomma per dare la possibilità di tradurre nel modo più immediato l’emozione data da quel colore col pennello sul foglio;
• se i bambini chiedono aiuto perché non si sentono sicuri sulla forma dell’oggetto da rappresentare, possiamo guidare la nostra mano sulla loro, ma lasciando
sempre il pennello nelle loro mani.
E adesso si comincia !!!
Ogni alunno avrà a disposizione un foglio F4 Fabriano, un pennello piccolo e uno
grande, una scatola di acquerelli in pasticche, un piattino per mescolare i colori e fare le sfumature, un bicchiere con l’acqua e un foglio di carta assorbente.
Prima di iniziare la lettura (che comunque l’insegnante deve aver già fatto individualmente cercando lei stessa per prima di cogliere ciò che le parole del testo evo-
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33
Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Cosa fare in caso di incidenti
Se cade l’acqua sul foglio alzarlo subito e farlo asciugare (se sul termosifone, non
lasciarlo troppo a lungo per evitare che si onduli troppo).
Se un bambino ci dice che ha sbagliato, che non gli piace quello che ha fatto e vuole un altro foglio (perché ha fatto una macchia, magari enorme e nera, oppure perché
è caduto troppo colore), rispondere rassicurandolo e suggerendo l’idea che c’è sempre un modo di riparare a un errore, di modificarlo e trasformarlo in un’altra cosa.
È importantissimo sempre rassicurarli, fornendo tutti di carta assorbente e dimostrando loro i vari metodi per sentirsi tranquilli di nuovo: tamponando, per esempio,
con la carta assorbente inumidita il colore sbagliato o in eccesso, la macchia può essere assorbita; mettendo in atto questa operazione, si deve fare attenzione a non
strofinare, per evitare di rovinare il foglio.
Dopo aver tamponato si deve aspettare che lo spazio nel quale c’era l’errore si
asciughi, per poi ripassare la quantità e la tonalità del colore voluta e fare la forma
che si desiderava.
Se il foglio si buca cercare, anche in questo caso finché possibile, di mantenerlo,
proponendo di risolvere il problema utilizzando materiale in più, cioè altra carta, più
sottile, da applicare dietro il dipinto come un supporto, e la colla, necessaria per poterlo fissare.
Quando un imprevisto diventa un’opportunità diversa di apprendere una tecnica nuova
Può capitare che, per un qualsiasi motivo, improvvisamente ci troviamo sprovvisti
di uno o più materiali indispensabili per fare la pittura. In questo caso, dobbiamo saper proporre un altro modo per “colorare” senza colori.
Superando le inevitabili proteste e le resistenze dei nostri alunni, facciamo prendere dall’astuccio una comune matita nera e mostriamo una diversa tecnica.
La sfumatura con la matita
Coloriamo di nero, spingendo un po’ e ripassando sulla zona già scura e poi proviamo a sfumare usando un dito della nostra mano. Possiamo scoprire il fascino del
grigio, del chiaro-scuro, parlare loro dell’inchiostro di china, della tecnica della china
diluita, del color seppia, con la promessa che la prossima volta sarà mostrato loro di
cosa stiamo parlando. Ma, per il momento, possiamo giocare con la sfumatura grigia,
prendere il nostro foglio bianco, con impegno, come se dovessimo pitturare, e cominciare a fare una forma, provando a indovinare cosa potrebbe essere (una nuvola?
Il fumo del camino? Oppure una montagna?). E ancora, possiamo dare un ruolo diverso a quell’oggetto che in questo progetto-laboratorio viene scoraggiato: la gomma da cancellare; se, infatti noi la usiamo sulla sfumatura grigia, scopriamo che può
modificare le forme un po’ astratte, indecise e insicure delle immagini sfumate, e assume, per la prima volta, un ruolo attivo e “formativo”.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Sottolineare più o meno implicitamente che è proprio grazie all’“incidente” capitato
che è stato possibile sperimentare un nuovo modo di risolvere, e bene, un problema
che sembrava senza soluzione. Così, quello che ora ci sembra irreparabile, disastroso
e senza via d’uscita, può trasformarsi, considerato da un altro punto di vista, in qualcosa di ancora più interessante e piacevole, attraverso una possibilità diversa di intervenire manualmente e di affrontare la situazione. Come quella volta che abbiamo
dovuto salutare tutti i nostri amici, perché dovevamo andare in un altro posto, o
quando è nato un nuovo fratellino ed eravamo proprio convinti che la mamma non
avrebbe avuto più attenzioni per noi, ecc.
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RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Rendere esplicito ciò che è implicito, imparare ad ascoltare cosa ci evoca quell’immagine, bella, strana, sfumata, che non sappiamo bene come definire e che, però, ci piace e ci attira. Conoscere le impressioni del nostro compagno di banco, scoprire che effetto ci fa ascoltare un’impressione diversa dalla nostra, ma provocata da un unico stimolo. Imparare a considerare la presenza dell’altro e del suo diverso punto di vista,
come qualcosa che ci arricchisce, ci provoca, ci spinge a chiederci sempre più cose.
35
Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Coloriamo… con i pezzi di carta
Un altro modo di modificare una situazione in cui non abbiamo materiale per colorare, ma non possiamo deludere i bambini e dobbiamo quindi svolgere la nostra lezione, è quella di usare il collage. Una delle tecniche più divertenti è quella a strappo, che ci evita di preoccuparci di tagliare accuratamente i pezzettini di carta (che non
corrispondono mai come vorremmo alla forma da colorare), e ci permette invece di distribuire i pezzetti strappati in modo libero e più
creativo. Il risultato è una composizione molto allegra, vivace e strampalata, ma di grande effetto.
Pennello grande/pennello piccolo
Iniziamo col pennello grande per imparare a
“impostare” il nostro lavoro e ciò che vogliamo
rappresentare per grandi linee; successivamente prendiamo il pennello piccolo e cominciamo a definire meglio i particolari, cioè le cose piccole, i dettagli.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
La dimensione del bambino è ancora capace di percezione e espressione a tutto tondo, o quasi, e può quindi ritrovarsi in quella visione globale delle cose tipica del cinema, o anche, nella visione d’insieme di un dipinto dove le singole parti fanno il tutto;
è possibile sottolineare che concetti quantitativi come “grande” o “piccolo” hanno
un’importanza molto relativa: non indicano giudizi di valore.
Quindi chi è piccolo di età, come i bambini, non conta meno dei grandi, come anche
chi proviene da un paese diverso dal nostro, più povero; anzi, la realtà è fatta di differenze e sono proprio loro che rendono più movimentata, interessante, viva, un’immagine, sia dipinta che rappresentata all’interno di un’inquadratura. Le differenze dei
particolari fanno il “tutto”.
36
La forma
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Rispetto al problema della
forma, alcuni bambini possono
Il rimando è alla morbidezza nel delineare un
proprio modo di essere, senza sentirci condizioessere già svincolati dall’immanati dal dover seguire una “forma” standard,
gine stereotipata, altri invece,
già delineata: ognuno di noi, straniero o non,
avere bisogno di vedere, osserdeve poter trovare e seguire il proprio modo di
vare e ritrarre; intervenendo graessere, la propria forma interna. Lo stereotipo
dualmente è possibile eliminare
da abbattere, in questo caso, è il concetto di
il rapporto visione (del perso“uguaglianza” che troppo spesso si traduce in
naggio del libro stesso letto,
un appiattimento dell’identità.
mostrato e raccontato dall’inseLa cultura delle differenze in una educazione ingnante)-rappresentazione su foterculturale conduce invece proprio verso il riglio bianco, puntando molto di
spetto e il mantenimento delle differenze come
più sull’immagine che quel bamindividualità.
bino aveva dentro di sé di quel
personaggio, di come si era formata mentre ascoltava le parole
dell’insegnante, di quale colore fosse e quale espressione avesse; guidando delicatamente la nostra mano su quella dei bambini, un po’ incerta ma curiosa e contemporaneamente sorpresa della propria fluidità, dimostriamo loro di sostenerli con la
nostra presenza anche fisica, ma li lasciamo comunque liberi di fare e di scegliere.
Forma - colore - sfumatura
Quando si introduce il racconto vero e proprio, il rapporto forma/colore diventa
importante perché si traduce nel rappresentare pittoricamente nello stesso tempo il
“che cosa” e il “come”. Alcuni potrebbero scegliere di rappresentare il fatto in sé, cioè
tutti i particolari che fanno la storia di quel racconto in un unico foglio (il luogo e/o il
protagonista mentre sta vivendo la situazione più rappresentativa, l’interno o l’esterno dell’azione, le condizioni climatiche se indicate, o altro), altri potrebbero scegliere, operando una sintesi globale, di rappresentare solo l’oggetto o il particolare che
costituisce il senso del racconto.
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Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Vicino/lontano
Attraverso la differente modalità di coloritura, cioè la differente
tecnica di pittura, per esempio di un campo d’erba, possiamo introdurre: la profondità dell’immagine, il primo piano, e lontano, la
linea dell’orizzonte; l’erba vista da vicino la dipingiamo filo d’erba per filo d’erba, in senso verticale, col pennello
piccolo; quella vista da lontano col pennello
grande, utilizzato anche in senso orizzontale, come una zona di verde più compatta.
Primo approccio con i materiali “altri”
Se dopo i primi incontri in cui i bambini approfondiscono la pittura, cominciano a manifestare
di preferire i pennarelli o le matite colorate, lasciarli
liberi di farlo, ma mantenendo comunque l’uso della
pittura e invitando ad accorgersi e a notare la differenza nel tono, nella compattezza, nella possibilità della sfumatura dell’acquerello e della non possibilità di fare la stessa
cosa con i pennarelli.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Il rimando immediato è al bambino straniero che lascia il suo paese d’origine,
ma anche all’alunno al primo ingresso nel gruppo classe.
Trasmettere il pensiero che, se anche le cose che abbiamo lasciate sono lontane nello spazio e anche nel tempo, perché appartengono al passato, noi abbiamo la possibilità di renderle comunque presenti, rappresentando graficamente
la loro immagine, così come la sentiamo dentro di noi. Potremmo scegliere di
collocarla lontana, in fondo al foglio, magari lungo la linea dell’orizzonte.
Anche se piccola come dimensione di spazio materiale e reale, è comunque
presente e formando, nell’insieme della rappresentazione, un’immagine equilibrata, introduce il senso delle proporzioni e un primo approccio alla profondità, alla tridimensionalità.
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Quanti modi per colorare… il pennarello è bello, colora in modo sicuro e deciso;
però non si possono ottenere le tinte delicate.
L’acquerello, con le sue ampie gamme di sfumature, la possibilità delle sovrapposizioni e di passaggi di toni, la diversa densità che il colore può avere, ci rimanda al
concetto di morbidezza e di accoglienza indispensabili quando andiamo incontro
all’altro che non conosciamo, o quando ci ritroviamo, un po’ tesi, a vivere una situazione nuova, mai vissuta prima.
Inoltre, potremmo proporre rappresentazioni pittoriche monocrome: usiamo solo il
colore rosso, e scopriremo che dosando opportunamente la quantità dell’acqua, e
ottenendo di conseguenza toni più decisi, più compatti, oppure, al contrario, tenui e
delicati, potremo rappresentare un intero paesaggio, usando un solo colore e accorgerci, soprattutto, che ci può piacere un mondo!
Un’altra opportunità possiamo proporla invitando i bambini a rappresentare in tre o
quattro sequenze il passaggio, il cambiamento graduale di uno stato emotivo che abbiamo vissuto.
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Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Diamo un senso all’immagine formata. I materiali “altri”
Quando vogliamo proporre questa attività, possiamo procedere seguendo due
principali tipologie di attuazione:
• Tipo A. Lavoro individuale su foglio unico
Dopo aver proposto una lettura, o una
poesia, si passa alla composizione sul foglio bianco di quello che vogliamo rappresentare; i bambini non avranno solo
acquerelli a disposizione, ma un piattino
con all’interno: pasta di vario formato,
cannucce di plastica colorata, fili di lana, ritagli di stoffa, pongo, segatura,
ecc.; avranno a disposizione la colla vinilica, un paio di forbici con punta arrotondata e… tanta fantasia, per giocare a dare un ruolo e un senso, prendendo spunto naturalmente dalla traccia letta, a ciò che più lo attira.
Preferibilmente è sempre più opportuno cominciare impostando il lavoro con la
pittura, quindi col pennello grande, tanto per regolarsi e orientarsi su dove collocare i “protagonisti” della nostra storia. Dopodiché, tutti i vari materiali avranno il
loro posto; il modo, il come, lo troveranno i bambini.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Attribuendo un senso, un nome, un ruolo, un’identità ad ogni elemento inserito,
possiamo strutturare il racconto di quel foglio come qualcosa di nuovo, una storia
“unica”, fatta di singoli elementi, diversissimi tra loro, ognuno con la propria
individualità da mantenere e la propria “differenza” da difendere.
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• Tipo B. Composizione dell’immagine d’insieme
Proporre una storia, una poesia, una filastrocca e attribuire a ogni bambino un incarico e un ruolo relativo all’argomento: c’è chi fa il sole, chi l’erba (anche tre o
quattro possono rappresentare lo stesso soggetto, se il racconto, tra le righe, ce
lo suggerisce), chi le case in lontananza, chi i bambini, ecc. Passare poi alla rappresentazione pittorica, introducendo l’uso dei materiali “altri”. Ritagliare successivamente ognuno la propria forma e poi passare all’assemblaggio: su un cartoncino colorato, grande e unico per tutti, i bambini incollano il proprio lavoro, valutando le proporzioni.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
E’ interessante far notare, in questa attività, non solo che in tanti e tutti diversi,
riusciamo a fare le cose più belle e più ricche, ma anche un primo accenno alla
presenza, molto da vicino, dell’altro: quando, nella composizione dell’immagine,
vengono incollati i vari “personaggi”, può accadere che uno di loro possa “coprirne” un
altro, anche se parzialmente. Questo, di solito, costituisce un problema, i bambini si
sentono “invasi” e “coperti” da un altro compagno. Ma, se proviamo a ribaltare la
situazione, potremmo proporre questo intervento: un suggerimento sul piano tecnico,
introduttivo del concetto avanti/dietro: quando rappresentiamo ad esempio, un cavallo
in primo piano e davanti a lui un cavaliere, noi possiamo pitturare sulla sinistra la
testa del cavallo, poi al centro il cavaliere, e sulla destra continuare il resto del cavallo,
le zampe posteriori e la coda. Il cavaliere copre, nasconde una parte di cavallo, ma
questo non toglie nulla al cavallo. Possiamo fare anche un esempio pratico: mettendoci
noi stessi davanti a un oggetto, per esempio la porta della classe, per dimostrare che la
vicinanza non è prevaricazione, stare molto vicini non equivale a perdere qualcosa,
anzi, ci arricchisce delle cose diverse che l’altro ci può insegnare, e nello stesso tempo
ci fa notare la presenza di un altro punto di vista, quello di chi, parzialmente e
temporaneamente, sembra coprirci, e che invece ci può offrire altre inquadrature che
noi potremmo seguire, per cambiare la direzione del nostro sguardo.
41
Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
La manipolazione e lo spazio
L’uso del pongo, della creta e la sua manipolazione, ci rimanda al concetto di differenza degli spazi. L’esperienza tattile e visiva ci suggerisce la conoscenza di una molteplicità di tipologie di superfici (liscia, rugosa, a rilievo, ecc.).
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Ci possiamo riferire alla quantità di spazi geografici, alla loro diversità e alla loro
bellezza, all’ampliamento di orizzonti, non solo geografici; potremmo proporre
“aperture” reali, proiettarci verso spazi e situazioni per noi sconosciute, e scoprire,
tra le altre cose, che provando ad avere una visione dall’alto, ci accorgiamo con un
colpo d’occhio unico di tante cose, tutte insieme, nello stesso tempo.
Come quando le cose difficili e un po’ faticose, che in quel momento ci hanno fatto
un po’ soffrire, e ci sembravano veramente terribili, se osservate e rivalutate anche
dopo poco tempo, un po’ a distanza, come se le vedessimo dall’alto, possono
invece assumere un altro aspetto, sembrarci un po’ meno gravi o meno brutte,
oppure possiamo accorgerci della presenza di qualche altro particolare che quella
volta, proprio non avevamo notato.
I materiali altri e la multiculturalità
Raccontiamo la storia del triangolino giallo che entrava nel nostro foglio.
I bambini avranno, oltre all’indicazione della rappresentazione grafico-pittorica,
un triangolino colorato di cartoncino bristol.
Questa attività si compone in una proposta operativa per trovare il nesso tra il
triangolino e ciò che vogliamo pitturare, dare cioè un ruolo al triangolino, e in una
proposta dibattito: “cosa ci suggerisce questa forma diversa? Cosa potrebbe significare all’interno del nostro dipinto? E’ un elemento diverso, ma se viene incollato ed
entra a far parte del dipinto, è ancora diverso? E se sì, allo stesso modo?”.
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RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Il rimando è a quella situazione vissuta dal bambino quando si trova in uno spazio
sconosciuto fino a quel momento, e si può sentire spaesato, a disagio, solo.
Noi non possiamo certamente dire che il triangolino giallo non abbia qualcosa di
diverso, una sua propria specificità rispetto al materiale usato per pitturare il foglio e
anche rispetto al foglio stesso, però possiamo chiederci che impressione ci fa?
A cosa ci fa pensare questa situazione? Perché non proviamo a inventare una storia
del triangolino giallo… chissà da dove veniva! Forse potrebbe raccontarci la sua
storia, chissà se userebbe solo il giallo oppure…
Facciamo il colore… a puntini
Le diverse modalità di dipingere che ogni bambino acquisisce seguendo e trovando il proprio modo di colorare, possono introdurre l’argomento delle differenti tecniche di pittura nel mondo artistico.
Possiamo mostrare loro, a questo proposito, una stampa di un pittore che a noi
piace, facendo osservare attentamente come si presentava lo spazio dove era stato
dipinto il cielo, oppure il mare, e lasciare a loro, se nasce spontaneamente, la possibilità di ripercorrere la stessa tecnica.
RIFERIMENTO DIDATTICO - INTERCULTURALE
Da vicino si vedono colori diversi, da lontano sembra un colore unico: il puntinismo è una tecnica che parte dalle piccole parti diverse tra loro per poi comporre il
tutto, come la percezione globale del bambino, e quella che noi abbiamo dell’inquadratura, in modo tale che non vediamo i singoli colori, ma un effetto spaziale unico,
una dominanza cromatica.
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Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Coloriamo con le cannucce
All’inizio dell’esperienza con l’acquerello, è opportuno alternare questa tecnica
con altre forme di pittura più divertenti e fuori dal comune. Possiamo portare un panetto di creta e tante cannucce colorate e mostrare loro come si può inventare uno
strumento nuovo per colorare: prendiamo un pezzettino di creta, lo inseriamo in una
estremità di una cannuccia, poi mettiamo la cannuccia nel colore e tamponiamo sul
foglio. Potrebbe somigliare proprio a come coloravano i puntinisti!
Maestra, ho finito!
Quando un bambino decide che il proprio lavoro è finito, l’insegnante può al massimo chiedere se è proprio sicuro di non voler aggiungere altro; se la risposta è negativa, non insistere, anche se il nostro alunno ha lasciato
molto spazio bianco. Deve sorgere dall’interno l’esigenza di colorare tutto il
foglio, di definire meglio le forme, di scegliere autonomamente quanto cielo colorare. Noi
non dobbiamo condizionarli secondo il nostro modo
di rapportarci al colore e alla pittura, ma fare di tutto perché i bambini trovino i propri. Possiamo però, in un momento diverso, far vedere quanti modi abbiamo a disposizione per poter rendere ancora più bello il nostro lavoro.
Importantissimo
Non ci dobbiamo dimenticare di un particolare importante: la firma. Il nome non
si scrive dietro, ma sul dipinto stesso, come fanno i grandi pittori. E’ preferibile usare un pennello piccolo e un colore a scelta dei bambini, e poi valutare in quale punto delle immagini rappresentate ci piace di più vedere il nostro nome.
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Come raccontiamo?
Imparare a sensibilizzare i bambini al racconto per immagini, significa scoraggiare l’uso delle parole scritte. Proponiamo invece la piegatura del foglio a metà, in modo tale da avere una prima facciata, come se fosse la copertina, la prima pagina di un
libro, anzi, di un mini-libro di 4 pagine, stimolandoli a rappresentare in tre o quattro
sequenze una breve storia, vera o inventata non ha importanza, e a dare un nome,
cioè un titolo (le sole parole consentite) al racconto immaginato.
Il riferimento alla struttura narrativa in senso stretto è un’opportunità importante
per tutti: ognuno di noi ha una sua storia, diversa da quella di qualunque altro; è bello pensarci un po’ e sceglierne qualcuna da colorare meglio!
Quali libri leggiamo?
Nel corso dell’anno scolastico, possono essere utilizzati vari libri, attraverso ciascuno dei quali è possibile articolare linee operative di riferimento.
L’introduzione narrativa consente uno scambio emotivo tra il racconto e i bambini, condizione necessaria e propedeutica al successivo stimolo grafico-pittorico.
La scelta delle immagini che ogni bambino ha fatto nel realizzare il proprio rapporto col racconto permette poi di approfondire il concetto di forma, di immagine nel
suo insieme, del collocamento spaziale della forma nello spazio-foglio, della scelta
dei colori, delle sfumature e della quantità di gamme cromatiche e soprattutto di trasformazione dell’errore in un’altra cosa, in un’altra forma.
Si può proporre di passare dalla lettura dell’immagine all’immagine disegnata e
dipinta a colori, all’esposizione verbale e all’invenzione di una storia, di un libro vero
e proprio, del quale i bambini saranno gli autori, gli illustratori, gli scrittori, i grafici, i
critici (potranno fare anche la recensione), i giornalisti (potranno improvvisare interviste tra di loro).
Il progetto laboratorio fare e pensare per immagini con materiali altri si svolge per
capitoli, per piccoli passi, per competenze gradualmente acquisite, proprio come un
racconto avvincente o un bellissimo libro illustrato; proprio come un percorso fantastico, tutto da scoprire e da inventare.
Un percorso lungo come un anno scolastico, dove l’educazione all’immagine (da
colorare, da inventare, da costruire, ma soprattutto da sentire come propria, come in-
45
Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
terna), insieme agli altri linguaggi-verbali e non verbali, accompagna il bambino nello sviluppo della sua identità.
Invito alla lettura...
Oscar Pittore, scritto e illustrato da Claude Delafosse e Sabine Krawczyk, Edizioni EL, 1988
Oscar Pittore potrebbe essere il primo libro da proporre. E’ la storia di un maialino della fattoria molto curioso che dopo aver trovato un libro, non sapendo né leggere né scrivere, spinto dall’interesse, decide di disegnare. Dipingendo gli oggetti che
più lo attirano, scopre di saper involontariamente scrivere il proprio nome; e si sente
così orgoglioso di sé da organizzare una mostra per tutti i suoi amici, gli animali della fattoria.
Questo libro è stato scelto perché propone più contenuti validi: il senso dell’identità e dell’autonomia, la determinazione nell’aumento dell’interesse, il passaggio dal
linguaggio iconico alla scrittura, l’apertura alla socializzazione.
E quella sua originale modalità di cercare il rapporto con gli altri (lo stendere i dipinti con le mollette sul filo come se fossero abiti, cioè modi di essere), può essere riproposta come modalità organizzativa di ogni lezione: infatti, al termine di ogni giornata, i dipinti dei bambini possono essere appesi con le mollette (così come faceva
Oscar), su un filo rosso che attraversa l’aula, come a rappresentare il lavoro fatto, da
tutti i bambini, da mostrare anche ai genitori del gruppo classe.
Alla fine di ogni mattinata, mentre la classe a mensa, dopo aver appeso i dipinti
uno accanto all’altro, l’insegnante potrebbe incollare con lo scotch una striscia di carta, lunga e stretta, sulla quale una breve frase (colorata con la stessa tecnica o gli
stessi colori usati quel giorno) riassume il tema del lavoro fatto insieme nella giornata, a sottolineare l’elemento di unitarietà della pittura del gruppo classe.
Il primo dipinto, pertanto, è stato per Oscar il maialino, come potrebbe essere per
i bambini, la pittura delle lettere che compongono il proprio nome, appese al filo rosso disegnato in alto sul foglio in senso orizzontale, proprio come il filo rosso reale che
attraversa la stanza e che permette di mostrare, di volta in volta, i lavori fatti.
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... e per continuare
La torta storta. Rime e filastrocche, Gina
Bellot, Illustrazioni di Marilena Pasini,
Nuove Edizioni Romane, 1996
Io mi ricordo quieto patato… Poesie, Roberto Piumini, Illustrazioni di Cecco Mariniello, Nuove Edizioni Romane, 1996
Non piangere, cipolla, Roberto Piumini, Illustrazioni di Cecco Mariniello, Nuove Edizioni Romane, 1992
Analisi, Benedetto Tudino, Illustrazioni di Lorenzo Terranera, Lapis, 1999
Filastrocche degli animali strambi, Monique Hion, Illustrazioni di Volker Theinhardt,
Motta Junior, 1999
Filastrocche per diventare belli, Corinne Albaut, Illustrazioni di Serge Ceccarelli, Motta Junior, 1999
Eroi re e regine e altre rime, Nicola Cinquetti, Illustrazioni di Chiara Rapaccini, Nuove
Edizioni Romane, 1997
Zuppa di zucca, Helen Cooper, Fabbri Editore, 1998
Il sogno di farfalla, Svetlana Tiourina, Edizioni Arka, 1998
La montagna degli orsi, Max Bolliger, Jozef Wilkon, Edizioni Arka, 1990
Storie per gioco, Anna Vivarelli, Illustrazioni di Maria Toesca, Nuove Edizioni Romane, 1998
Gli animali non erano colorati, Beatrice Masini, Illustrazioni di Alessandra Scandella,
Edizioni Messaggero Padova, 1998
Arcobaleno il pesciolino più bello di tutti i mari, Marcus Pfister, Nord-Sud Edizioni, 1997
Principerse e filastrane, Silvia Roncaglia, Illustrazioni di Rosalba Catamo e Cristiana
Cerretti, Nuove Edizioni Romane, 1997
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Parte 2
Progetto 1
“Raccontiamo con... le cose,
le forme, i colori”
Suggerimenti e possibili modalità
operative: come poter usare in “Facciamo le rime…a colori”
modi diversi lo strumento-libro
Dalla lettura delle filastrocche, attraverso il ritmo e il suono del linguaggio verbale, viene proposto il passaggio diretto alla forma a
colori della pittura.
“Cambiamo il finale ai libri”
Il libro illustrato viene proposto fino al punto nodale, quello in cui si verifica l’evento che trasforma il seguito del racconto; proponiamo di lasciare ai bambini, divisi in tre piccoli gruppi, attraverso la verbalizzazione, un confronto diretto, e un lavoro
di gruppo, di scegliere, di inventare altri tre diversi possibili finali.
Alla fine, le proposte dei bambini risulteranno coordinate tra loro, più fantasiose e
permetteranno loro di sentirsi veramente protagonisti del libro “fatto” proprio da loro.
“I nostri sogni inventano una nuova storia”
Passaggio dall’ascolto alla forma a colori della rappresentazione grafico-pittorica.
Confronto e ricerca di un filo conduttore nella visione globale di tutte le immagini
pitturate da ogni alunno; proposte comunicativo-espressive: sviluppo del senso critico, sviluppo e approfondimento di un racconto nuovo: dialoghi, situazioni e luoghi
della storia, confrontati e messi in rapporto diretto con le immagini pitturate (ogni immagine sarà una pagina illustrata, con tanto di testo a lato).
Realizzazione di un “libro” nuovo, il libro dei sogni di tutta la classe.
48
Parte 2
Progetto2
“L’immagine
in movimento
e il linguaggio ‘altro’:
facciamo
il cinema a scuola”
Raccontare con
tante immagini Un viaggio… nel punto di vista dell’altro
modi diversi di
La finalità che ci si propone di raggiungere in questo proget“saper fare”
to-laboratorio, è tesa a suscitare nei ragazzi/e la capacità di fare
insieme.
delle scelte per operare cambiamenti possibili. Il cinema, che è fatSuggerimento
to di scelte, è quindi lo strumento ideale: ogni inquadratura è una
didattico per la scelta, una scelta da lasciar fare ai bambini. Il cinema fatto a scuofascia d’età
la implica un rapporto diretto, concreto e globale dei bambini col
superiore
mezzo cinema. Come se l’atteggiamento globale, a livello percettivo ed espressivo che i bambini hanno ancora negli anni in cui imparano a leggere e a
scrivere, corrisponda e si ritrovi in quella dimensione globale, tipica del cinema. Il cinema obbliga alla presenza, trova un incarico, un ruolo, un compito concreto per
ognuno, al di là delle capacità specifiche, al di là delle competenze stesse, al di là del
linguaggio parlato. Il cinema è fatto di differenze, come la realtà, e fare un film segue
una struttura così elastica da permettere la partecipazione reale di ogni bambino. Anche, quindi, chi proviene
da situazioni difficili e si sente diverso o emarginato in qualche modo (per differenze macroscopiche come un idioma diverso, o quasi impercettibili come un paio di occhiali che proprio non riescono ad andare d’accordo con il bambino che li
porta), pur mantenendo, anzi proprio mantenendo la propria individualità, originalità e quindi differenza, ha la possibilità di partecipare da
protagonista a un progetto comune, di sentirsi considerato proprio per quella differenza che lo rende uni-
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Parte 2
Progetto 2
“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’:
facciamo il cinema scuola”
co, di guardare “oltre” un pensiero e una situazione già esistente e poter creare un
pensiero, un’immagine, un linguaggio “altro”, facendo insieme.
La ricerca dei materiali, le decisioni, la scelta dei compiti, vede tutti impegnati, valorizzando le singole capacità, anche nascoste, dei bambini: quando si propone di fare cinema a scuola, non ci sono bambini che vanno male, perché l’entusiasmo è talmente grande che stimola e spinge tutti, a cominciare dall’insegnante, a dare il meglio di sé.
Il cinema è come un’avventura, come un viaggio fantastico che si svolge, si colora e si modifica mentre si racconta, è scoperta continua, conoscenza continua di cambiamenti possibili, un continuo individuare e scegliere nuove strade; e come quando
siamo in viaggio, scopriamo tante cose diverse: competenze che non ci eravamo mai
accorti di possedere, persone che non avevamo mai visto prima o che non avevamo
mai conosciuto sotto quell’aspetto, spazi e tempi diversi, ritmi e linguaggi nuovi. Come se la cultura delle differenze fosse la chiave di lettura per leggere un linguaggio
universale come è quello delle immagini in movimento.
Le immagini in movimento, come linguaggio “altro” possono arrivare a qualsiasi
cultura, anzi, valorizzano le culture e arricchiscono la comunicazione spontanea. Le
immagini in movimento viaggiano verso la ricerca del proprio io, della propria immagine interna, come dimensione di fantasia e di apertura verso l’altro da sé.
Facendo e pensando immagini, facendo cinema, i bambini si mettono direttamente in gioco, raccontano e si raccontano, e vengono a contatto con la narratività stessa, la struttura, l’ossatura che sorregge il progetto del fare cinema a scuola: sono cioè
sensibilizzati indirettamente a riconoscere la validità fondamentale della storia, scoprono che dobbiamo parlare a scuola del nostro tempo e del tempo per noi. Il concetto di tempo “dilatato” ritorna, anche in questo progetto, come fondamentale strumento e insieme condizione per fare immagini. Fare cinema a scuola significa più che
mai dare spazio e tempo ai bambini, dare loro piena fiducia.
Saper dare forma ai propri pensieri significa darsi il tempo necessario perché le
idee più belle vengano fuori. Non è affatto detto che la prima idea sia la migliore, inquinati come siamo dall’immaginario mediatico, dalle sue ideologie (della televisione e del computer) dobbiamo invece lavorare insieme per costruire un prodotto che
rappresenti l’idea originaria, rispettando il modo, cioè il linguaggio cinematografico
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con tutte le varie fasi di realizzazione. Il compito dell’insegnante, in questo caso, è di
saper tirare fuori, da quell’universo informe di suoni, immagini, colori, tutto ciò che
c’è di già visto e stereotipato, che impedisce una rappresentazione profonda e reale.
“Ripulendo” lo sguardo, sarà possibile, dandosi il tempo necessario, saper guardare oltre, verso forme diverse e nuove, verso modi di guardare, punti di vista, diversi
dal nostro.
Facciamo il cinema insieme
Istruzioni per l’uso
I fase - Proporre ai bambini: “Facciamo il cinema?”
Valutazione e confronto delle varie idee. Potremmo proporre, dopo una prima verbalizzazione, di rappresentare graficamente, con la pittura, l’idea che ognuno di
noi ha avuto, di osservare tutte le immagini e vedere se è possibile trovare un filo
conduttore che ne faccia una storia unica.
Oppure potremmo partire dalla parola cinema, e scriverla sulla lavagna, al centro.
Poi potremmo scrivere tutti i vocaboli che ci suggerisce questa parola, tutto intorno al centro, come se fossero i raggi del sole, e provare a inventare una storia che
li unisca tutti. La sola regola da seguire è la struttura narrativa, deve esserci una
situazione iniziale di equilibrio, un evento centrale che la alteri e la modifichi una
successiva e diversa situazione di ri-equilibrio conclusiva.
E’ importante muoversi con molta calma, darsi molto tempo e attendere finché i
bambini non hanno deciso il film da fare.
II fase - Scegliere il soggetto
Sviluppare l’idea diventata soggetto, utilizzando tutti i
materiali “altri” che abbiamo a disposizione. E’ importante soprattutto lavorare dandoci tutto il tempo necessario per scriverla, per disegnarla, per colorarla con
gli acquerelli, magari per dare all’idea anche una forma precisa col pongo. In questo modo, altre idee possono nascere, senza avere
fretta e senza darci scadenze.
III fase - La sceneggiatura
Lasciare che i bambini organizzino, con i propri tempi e i propri spazi, la descri-
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Parte 2
Progetto 2
“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’:
facciamo il cinema scuola”
zione delle immagini in movimento, con tutti i particolari utili (descrizione di eventi, personaggi, dialoghi, luoghi, tutti connessi in qualche modo fra loro).
In questa fase i bambini sono maggiormente sensibilizzati a rendersi conto della
presenza dell’altro, del suo punto di vista diverso dal nostro, della comprensione
necessaria per poter capire un’idea che appartiene ad altre persone.
IV fase - “Facciamo le prove sul set”
Dopo la scrittura della sceneggiatura e dei suoi dialoghi, si passa alla recitazione vera e propria, ricontestualizzando la situazione scritta in spazi, modi e tempi reali.
I giochi di simulazione e di ruolo, l’interpretazione di brani scritti, la drammatizzazione, sono un ottimo strumento per abbattere pregiudizi e luoghi comuni, stimolando alla disponibilità a risolvere conflitti, costringendo a guardare le cose dal punto di vista
dell’altro e riconsiderando il proprio atteggiamento e comportamento. Lasciare che i
ragazzi/e si organizzino per cercare gli spazi scelti per fare il film, gli attori, eventuali
animali e tutto quello che può servire loro come materiale per provare e per fare.
V fase - La ripresa
Pellicola e cinepresa, telecamere e copioni, tutto è pronto per tradurre sulla pellicola le immagini reali, nel posto, nel modo e con i tempi che i ragazzi hanno deciso.
VI fase - Il montaggio
Quando la pellicola ripresa, sviluppata e stampata, è pronta, gli alunni/e, aiutati
dall’insegnante, mettono insieme le inquadrature, le uniscono e trovano i collegamenti, insieme ai suoni che hanno scelto.
VII fase - Proiezione e visione del film
L’insegnante aiuta il gruppo classe a eseguire la proiezione del film, lasciando a
loro la scelta del luogo dove proiettare e a chi rivolgere la proiezione.
Il ruolo dell’insegnante
In un progetto-laboratorio chiamato “fare e pensare per immagini”, dove straordinarie idee e pensieri possono scaturire dall’immaginazione dei bambini, il ruolo dell’insegnante è soprattutto quello di innestare la sua ricerca didattica sulla ricerca-cinema
fatta dagli alunni. Prendendo spunto dalla loro ricerca, molteplici attività didattiche possono essere realizzate, tanto che il cinema può essere considerato il mezzo didattico
più adatto per i bambini di scuola elementare.
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Il compito dell’insegnante è di sostenere e accompagnare i
bambini nell’organizzare il loro apprendimento, senza condizionarli, partendo dal presupposto di non dare “regole tecniche” (metodi e informazioni su
come fare cinema) da acquisire prima di iniziare. Il linguaggio del cinema non può essere insegnato, si impara passo passo, si elabora mentre si fa.
L’insegnante deve lasciare ai bambini la possibilità di organizzarsi in tutte le fasi dell’espressione cinematografica, dando piena fiducia e il mezzo nella sua totalità. Quindi deve aspettare e favorire i movimenti dei bambini, lasciando a loro la gestione di tutti i passaggi, a partire dal primo (l’idea del film), fino all’ultimo (la proiezione). L’insegnante deve fornire ai bambini gli strumenti necessari, raccogliere e documentare tutte
le attività e il film, per la distribuzione.
Il ruolo dell’insegnante, a volte, può anche essere di scoraggiare, ma solo per pretendere di più, per liberare gli occhi dei bambini da troppa tv, troppo computer, troppe
immagini stereotipate, superficiali e prive di contenuto.
Tra bambini e insegnante che propone di fare il cinema si crea un rapporto speciale:
è come se si parlasse un linguaggio “altro”, quello dell’entusiasmo, della gioia di fare
una cosa bella insieme. Così la scuola fa bene a tutti.
Metodologia
La struttura di lavoro del mezzo-cinema come percorso didattico segue come il
primo progetto un andamento di tipo circolare, elastico, flessibile e aperto a possibili modificazioni durante il suo svolgimento. Il cinema sviluppa il passaggio dall’idea
alla proiezione, in una dimensione spazio-temporale direttamente rapportata alla
realizzazione delle varie fasi di costruzione del film, stabilite dai bambini.
Come se ci fosse, quindi, una corrispondenza tra la naturale disposizione dei bambini a gestire il proprio apprendimento e la dimensione più umana, più profonda, della “condivisione”, durante le attività di laboratorio, della calma e della tranquillità di
un tempo dilatato. L’analisi della situazione valutativa sui contenuti da realizzare, la divisione in gruppi di lavoro per la realizzazione di obiettivi/mezzi, la differenziazione degli interventi di ognuno per fare insieme, la verifica del lavoro svolto come base di partenza per esperienze successive, sono strutture metodologiche e didattiche che possono essere affrontate dai bambini stessi, anche se documentate dall’insegnante.
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