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le fosse da grano a mondolfo
LE FOSSE DA GRANO A MONDOLFO
Introduzione
L’occasione per intraprendere questa ricerca è stata offerta
dall’Incontro sull’aia, organizzato da Monte Offo in collaborazione con Un
Punto Macrobiotico nel luglio 1999 allorché, nel corso della conferenza
tenuta congiuntamente, dopo aver rapidamente accennato alla presenza di
fosse da grano a Mondolfo all’inizio del Quattrocento, ho raccolto uno
stimolo di Mario Pianesi, presidente e fondatore di Un Punto Macrobiotico,
ad approfondire questa tematica. Da allora la ricerca si è intensificata in
vista del convegno “Macrobiotica e scienza”, svoltosi poi a Roccaporena di
Cascia nel novembre 1999, e di un altro convegno all’Abbadia di Fiastra del
giugno dell’anno successivo. La relazione, presentata appunto in tali
consessi, verteva sul tema della conservazione dei cereali negli insediamenti
medievali delle Marche. È seguito poi l’intervento sulle fosse da grano
specificamente mondolfesi tenuto al IV Corso di formazione storicoculturale del 2000, intervento ripreso per il presente saggio.
Alcuni incidenti nel corso dei secoli
Una sera del febbraio 1965, in una via del centro storico di Mondolfo
denominata oggi corso della Libertà e anticamente contrada S. Lucia,
all’altezza dell’abside di S. Giustina si aprì improvvisamente una voragine a
seguito del cedimento del terreno sottostante il piano stradale; ciò che
costrinse le autorità a chiudere immediatamente al traffico la via e a far
sgombrare le abitazioni adiacenti, risultate lesionate. Del fatto si occupò la
stampa locale («Il Resto del Carlino», 22 e 23 feb. 1965), che riferì la
notizia secondo la quale nella cavità apertasi sotto il piano stradale
sarebbero stati scoperti dei “granai” che dovevano servire a conservare le
provviste in tempo di assedio. “Abbiamo scoperto anche pozzi che
servivano come granai, quando la Rocca di Mondolfo era assediata”,
affermò il titolare della ditta incaricata dei lavori di ripristino della strada.
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Malgrado le imprecisioni contenute nel resoconto giornalistico, dovute
alla mancanza di un dettagliato rilievo tecnico-scientifico della cavità,
appare valida l’indicazione sostanziale, che si trattasse cioè di vecchi silos
dismessi da secoli, la cui struttura, a causa delle infiltrazioni di acqua e
perché soggetta alle sollecitazioni del traffico automobilistico, aveva ceduto.
Simili incidenti si ripeterono anche negli anni seguenti, coinvolgendo in un
caso anche un autobus che scendeva dalla attigua piazza del Comune, ma
tutte le volte senza mai provocare vittime.
Di un incidente ben diverso, accaduto più di cinque secoli prima e
costato la vita a tre persone, parla diffusamente un documento inserito in un
Codice malatestiano. Si tratta di una supplica indirizzata da Lunardo di
Simone di Beccie, della casata fanese dei Martinozzi, al di lui signore
Pandolfo Malatesta nell’anno 1408, al quale il supplicante chiede di essere
graziato della pena di 1500 lire di moneta di Fano, comminatagli per quanto
era avvenuto nel settembre dell’anno precedente a Mondolfo. Egli stesso
descrive i tragici fatti in questi termini:
Magnifico segnore mio. Di l’anno pasato del mese de septenbre io fey
scoprire una vostra fossa in lo vostro castello de Mondofo, in la quale fossa
io gli avea meçça <soma> di grano; voleala fare impire d’orço. Pregai uno
Meo de Antonio del dicto castello che gle dovesse intrare a spianare el dicto
grano per podere impir d’orço la dicta fossa. El dicto Meo gl’intrò et subitto
ussì fuore et disse che non gli posseva stare ché gli era troppo grande anffa.
Et lì gli era uno Francischo da la Mandola, nevode del vicario che gli era, et
disse: Io, gli voglio intrare io, ché costui non te vole servire. Et subbitto
gl’intrò et commo lui fo giù in la dicta fossa chaddi morto. Io subbitto griday:
Acurite, acorite, ché in questa fossa gli è morto uno. E lì trasse molta gente et
io subbito me partie. Uno Matteo et Gregoro schiave etsendo lì volse actrarre
el dicto morto et intrò in la dicta fossa et anche loro subbitto morrì. Per la
quale cosa, segnore mio, el vostro vicario del podestà de Fano me condannò
in libre millecinquecento de moneta da Fano. […] 1
1
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 4, f. 8v.
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Il racconto dei fatti dalle parole di Lunardo può essere così
riassumibile. In una fossa di Mondolfo posseduta dai signori Malatesta vi
era mezza soma di grano. Lunardo di Simone, una specie di funzionario dei
signori, forse amministratore delle loro tenute e fattorie, volendo immettervi
anche dell’orzo chiamò un certo Meo di Antonio perché spianasse il grano
che si trovava nel fondo (pare quindi che fosse possibile stoccare specie
diverse di cereali a strati sovrapposti, separati fra loro da tavolati). Ma
all’interno della fossa vi era anffa, parola chiave per capire cosa realmente
poi accadde: è probabile che con questo termine, di derivazione greca (¡fˇ,
haphè, “polvere” da cui l’it. afa), si volesse significare la mancanza di
ossigeno o la difficoltà di respirare. Quindi le tre persone calatesi nella fossa
sarebbero morte per asfissia. L’unico che si salvò, quello sceso per primo,
era probabilmente un operaio carico di esperienza, al punto che subodora
che vi è pericolo uscendone subito. Il giovane invece, sbruffone e
imprudente, nipote del vicario di Mondolfo proveniente da Amandola, fa
appena in tempo a calarsi nella fossa che subito cade e muore.
All’invocazione di aiuto di Lunardo di Simone interviene diversa gente, fra
cui due “schiavi”, ovvero slavi (probabilmente della sponda orientale
dell’Adriatico), i quali tentano altrettanto imprudentemente di tirare fuori il
morto dalla fossa facendo anch’essi la stessa fine. Prima ancora che i due
disgraziati entrassero nella fossa il responsabile di questi “omicidi colposi”,
Lunardo, se la squaglia (un comportamento assai discutibile il suo!), ma
verrà poi, come si è detto, condannato a una pesante pena pecuniaria contro
cui ricorrerà in appello. Il vicario delle appellagioni confermerà la prima
sentenza, riducendo però a pena a 200 ducati, da versarsi per metà alla
camera del signore e per l’altra metà alla parte offesa. Un nuovo ricorso in
appello non stava producendo alcun risultato, il che convinse Lunardo a
“raccomandarsi” direttamente a Pandolfo Malatesta, che il quel periodo
risiedeva a Brescia: ciò gli fruttò la cancellazione della condanna e il
pagamento di “soli” 25 ducati.
Le più antiche attestazioni
In effetti questa, che ricorda per i suoi tragici risvolti un evento
piuttosto clamoroso, non è la prima testimonianza sull’esistenza di fosse da
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grano a Mondolfo. Esse dovevano esistere in questa terra già da alcuni
secoli. La fonte più risalente a questo riguardo sembra infatti degli inizi del
secolo XIII. Nell’anno 1222 veniva citato dal vescovo di Senigallia un certo
Marco di Giovanni di Madio di Castel Marco, il quale risultava insolvente
da ben venti anni del canone dovuto alla canonica ravennate di S. Maria in
Porto per alcune terre e proprietà situate nel territorio di Mondolfo 2 . Fra
queste comparivano un orto e tre terreni nel fondo Castello con quattro
fosse, con tutta probabilità fosse da grano, data la loro ubicazione negli
immediati dintorni dell’abitato e considerato che il termine terrenum si
riferisce di norma a lotti di terra edificabile.
Dopo questa, che possiamo considerare al momento la più antica
attestazione, segue una lunga pausa che si prolunga fino agli inizi del
Quattrocento, se si esclude un breve accenno contenuto in una sorta di
inventario dei beni del mondolfese Gregorio Peruzoli il quale, morto nel
1392, aveva lasciato per testamento la quarta parte delle sue sostanze al
vescovo di Senigallia: in tale testo si registra appunto la presenza di due
fosse davanti alla porta della domus del testatore sita all’interno del
castrum 3 .
I pur non abbondanti documenti quattrocenteschi sulle fosse da grano
sono, in compenso, assai significativi, come si è cominciato a vedere. Un
altro Codice malatestiano registra all’anno 1409 un pagamento per “infelcatura” di tre fosse da grano situate sulla piazza di Mondolfo (una di queste
poteva essere quella dell’incidente mortale del 1407), davanti alla casa del
signore (non si tratta dell’attuale piazza del Comune, bensì di una piazza
all’interno della prima cerchia situata al termine della via principale (“via
Grande”) che saliva il colle di Mondolfo da porta S. Maria alla zona della
rocca. Lì doveva sorgere il palazzo dei signori (Offonidi prima, Malatesta
dalla fine del Trecento). Il codice così si esprime:
Pagay ad Andrea de Biaxio da Mondofo per infelchatura de tre fosse da grano
del signore che ello felchoe a Mondofo su la piaccia nancci caxa del signore.
Fo per meterlly in esse el grano recollto questo anno prexentte a la Bapstia
2
Archivio di Stato di Ravenna, S. Maria in Porto, n. 21.
3
Archivio vescovile di Senigallia, Codex Piscatoris, p. 138.
50
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dal Ciexano aciò che stesse piue sechuro. Costò el ditto magisterio bolognini
sesantta 4 .
Il gastaldo dei Malatesta compensò dunque Andrea di Biagio per un
lavoro definito “infelcatura”, che consisteva nel rivestire tre fosse con paglia
pressata alle pareti e sul fondo di essa, in modo che il grano raccolto alla
Bastia del Cesano stesse più sicuro, maggiormente protetto dall’umidità. Il
termine “infelcatura” si rinviene in altri codici e fonti scritte.
Un terzo documento di questo secolo è una donazione disposta da un
prete, don Pietro del fu Gentile Massi di Mondolfo, il quale nel 1446 donò a
sua madre alcune proprietà, fra cui quattro fosse: due situate nella piazza
pubblica o platea magna (quella indicata sopra o la nuova piazza al di fuori
della porta del Castello) e due nel Borgo 5 . Una di queste viene precisamente
ubicata in fossarili Sancte Lucie, nel fossarile di S. Lucia, che prendeva il
nome da una chiesetta esistente a metà circa del corso, quindi nella stessa
strada in cui nel secolo scorso si verificarono diversi crolli, come quello
ricordato all’inizio di questo saggio.
Oltre alle piazze, quindi, (quella dei signori all’interno della prima
cerchia e quella del Borgo o del Comune), era proprio l’attuale corso della
Libertà, già contrada S. Lucia, la zona privilegiata per lo scavo e la messa in
opera delle fosse da grano: fossarile è voce che si incontra pure in altri
centri (Corinaldo, Montalboddo oggi Ostra, Belvedere Ostrense, Polverigi) e
che segnala sempre la presenza di fosse da grano.
La famiglia di don Pietro Massi era piuttosto facoltosa. Questo spiega
il fatto che le fosse donate fossero addirittura quattro, pertinenti presumibilmente a più di una abitazione. D’altronde la donazione comprende anche
un campo, un prato, una vigna, un orto, due somare e tutte le masserizie e i
mobili esistenti nella casa di sua madre a Mondolfo e nella casa di S. Pietro
in Valle a Fano, e ciò non esauriva di certo l’insieme del patrimonio
familiare.
4
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 19, f. 287r.
5
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giacomo di Antonio da S. Costanzo, vol. D, ff. 60v-61v.
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Il quadro regionale
Se si prendono in esame le fonti di ambito regionale, ci si accorge che
queste cominciano a testimoniare l’esistenza di fosse già dal secolo XI (in
questi casi sembra trattarsi di pozzi, forse abbandonati, situati fuori degli
abitati fortificati), mentre alcune indagini archeologiche ne accerterebbero
l’esistenza almeno dal secolo X, anche all’interno di abitati. Pertanto il
silenzio delle scarse fonti bassomedievali relative a luoghi specifici, come
Mondolfo, non assume una valenza di prova della non esistenza di questa
tecnica di conservazione dei cereali. C’è da dire, poi, che a volte trapelano
notizie sull’esistenza di tali strutture in centri vicini, come a Mondavio nel
1385 6 , o alla Stacciola nel 1398 e nel 1404 7 .
D’altra parte il metodo di conservazione dei cereali sotto terra segue
una tradizione antichissima e, si può dire, universale. Se ne hanno
testimonianze, per quanto riguarda l’Occidente, fin dall’epoca neolitica, vale
a dire fin da quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali. Gli scrittori
classici, in particolare Varrone (De re rustica, I, 57), Columella (De re
rustica, I, 6) e Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XVIII, 73) vi accennano
esplicitamente.
Il silo sotterraneo (termine spagnolo dal gr. sirÒj) sembra essere stato
abbandonato in età altomedievale e le cause potrebbero essere molteplici.
Da un lato vi fu una sorta di ripulsa ideologica espressa dalle massime
autorità civili ed ecclesiastiche dell’epoca: nel Capitulare de villis (800 circa
d.C.) Carlo Magno dà ordine ai suoi funzionari di sorvegliare per evitare che
uomini malvagi nascondano il grano sotto terra; Rabano Mauro, abate di
Fulda e quindi arcivescovo di Magonza (IX secolo), richiamandosi ai
Proverbi di Salomone (11, 26) lancia una specie di maledizione nei riguardi
di tutti coloro che nascondevano il grano, paragonati agli uomini che,
avendo ricevuto l’annuncio evangelico, lo tengono per sé ovvero al servo
pigro e malvagio il quale, ricevuto un talento, esce di notte per nasconderlo
sotto terra. D’altro canto il clima umido e freddo della fase fra il V e la metà
6
Sezione di Archivio di Stato di Fano, AAC, II, 1, Castelli, fasc. 6°, ff. XVIr, XVIIr, XVIIIr-v.
7
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 37, f. 28r-v, 75r, 101r, 131r.
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del secolo VIII non doveva essere particolarmente favorevole alla
conservazione dei grani sotto terra.
Sembra, dunque, che la ripresa di questa tecnica di conservazione si
sia verificata in età postcarolingia, in significativa coincidenza con il
fenomeno dell’incastellamento e della ripresa demografica (fine IX-X
secolo). Ciò riceve conferma, in ambito marchigiano, da una serie di
rinvenimenti archeologici avvenuti in occasione di scavi effettuati in diverse
località della regione, in particolare a Matelica e Sarnano: si tratta in questo
caso di fosse cilindriche di non grande profondità, utilizzate in epoca
successiva come discariche. Anche le fonti documentarie, come si diceva,
cominciano ad accennare alla presenza di fosse granarie nel secolo XI 8 . Nei
due secoli seguenti le fosse, localizzate per lo più nei centri abitati e
considerate pertinenze di abitazioni private, risultano scavate sotto le piazze
e le strade. La loro diffusione copriva soprattutto la fascia collinare della
regione, dove più numerosi erano i centri cittadini e castellani.
Gli statuti dei comuni marchigiani dei secoli XIV e XV dettano norme
relative alle fosse da grano improntate alla tutela dell’incolumità dei
cittadini, rivelando tuttavia un implicito incoraggiamento delle magistrature
comunali alla costruzione e all’uso di tali pozzi e prescrivendo in certi casi
regole e condizioni particolari, come l’assenso dei proprietari confinanti e
una tassa di concessione da versare al comune (Osimo, 1308).
Come si spiega che nell’alto medioevo il potere centrale (l’Impero, la
Chiesa, intellettuali compresi) scoraggiasse tale pratica, mentre ora le
autorità locali dimostrano un atteggiamento esattamente contrario? Nell’alto
medioevo era legittimo temere che pochi grandi proprietari, non radicati
localmente e disponenti di terre situate in diverse regioni, attuassero delle
manovre speculative sul grano, nascondendolo sotto terra e tirandolo fuori
non appena i prezzi dei cereali prendessero a salire. Dopo il 1000, invece, la
situazione economico-sociale risulta profondamente mutata: la proprietà
fondiaria si stava notevolmente frazionando e la tecnica di conservazione
dei cereali sotto terra era diventata di uso comune, al punto che ogni piccolo
e medio proprietario poteva disporre di una sua fossa, con ciò riducendo di
8
Carte di Fonte Avellana, 1 (975-1139), a cura di C. PIERUCCI e A. POLVERARI, Roma 1972, pp. 71-72 n. 27 (a.
1068-1069).
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molto il rischio di speculazioni nel settore del commercio dei grani. Del
resto anche un grosso proprietario cittadino, in una maniera o nell’altra
legato alla sua comunità, avrebbe avuto qualche problema a mettere in atto
odiose manovre economiche ai danni della stessa anche se, da parte loro, le
autorità comunali non avevano più quelle remore morali nei confronti delle
attività del ceto mercantile, che stava assumendo un rilievo crescente nella
società cittadina. Disporre, infine, delle provviste alimentari all’interno delle
proprie mura non poteva che favorire l’attuazione di una politica annonaria
da parte degli stessi comuni, le cui autorità avevano la possibilità di tenere
in qualche modo sotto controllo le scorte dei proprietari. Esistevano
oltretutto nei centri marchigiani, e pure a Mondolfo, fosse di proprietà
comunale.
La struttura materiale, la manutenzione e il funzionamento delle fosse
La forma prevalente delle fosse granarie nel corso dei secoli è quella
ad anfora o a giara (dolium) o anche a fiasco. Fosse siffatte sono state
scoperte a Castel Porciano, nella campagna romana, durante scavi effettuati
dalla British School. Altre forme possono essere quella a tronco di cono o
quella panciuta: una di queste è stata scoperta a Corinaldo sotto il Terreno,
ovvero la piazza alta della cittadina.
Le dimensioni sono crescenti man mano che si passa dal X al XVI
secolo: le più antiche potevano essere profonde appena mezzo metro
(nessuna di quelle scavate a Sarnano o a Matelica superara i 2 m. di
profondità). Per avere un’idea di come si sviluppa in seguito la fossa può
risultare utile confrontare questi dati con quelli di una fossa che si decide di
costruire nel 1457 a Fano, dentro la rocca, profonda all’incirca 7,20 m. 9 I
documenti fanesi rinvenibili nei registri notarili del periodo 1446-1541
forniscono anche dati sulla capacità dei silos sotterranei: le più piccole
contenevano circa 10 some di grano e le più grandi 70 (equivalenti a circa
2.200 e 15.400 kg.). Non è un caso che le misure massime si raggiungano
nel Cinquecento: una conferma del fatto che le fosse continuavano a
crescere di dimensioni.
9
Sezione di Archivio di Stato di Fano, AAC, Depositeria, 87, f. 147r.
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Per quanto riguarda Mondolfo, si hanno dati precisi in due contratti:
uno del 1573 relativo ad una fossa della capacità di 32 some circa 10 , l’altro
del 1578 su una fossa della capacità di some 20 circa 11 . E ancora, nel caso
di tre fosse, due delle quali sicuramente comunali, di cui si parla in un
registro di entrata e uscita del 1559, si dà conto della quantità di grano che
vi si trovava in quel momento: nel primo caso 41 some e tre coppe di grano,
nel secondo di 25 some e 2 coppe e infine di 14 some e 8 coppe (quindi una
fossa “grande”, una “media” e un’altra “piccola”) 12 . L’impressione è che
con tali quantità di cereale stoccato quelle fosse rientrassero un po’ nella
media del periodo per quanto concerne la capacità.
Una delle poche fonti iconografiche del tardo medioevo sulle fosse da
grano, riportata da alcuni studi, è rappresentata da una miniatura del senese
Guidoccio Cozzarelli della seconda metà del Quattrocento. Tuttavia
l’immagine ivi riprodotta suscita qualche perplessità in quanto, più che delle
vere fosse da grano, sembra di scorgervi, in un ambiente urbano, delle giare
interrate in cui alcuni operai immettono dei cereali sotto lo sguardo vigile di
ufficiali pubblici.
La manutenzione delle fosse da grano era continua. L’“infelcatura”
non si faceva una volta per sempre: lo si capisce bene leggendo gli Statuti di
Mondolfo (1540), che trattano delle fosse in due capitoli in cui si prescrive
che i cittadini non debbano gettare immondizie nelle strade, bensì in luoghi
appropriati: fra i rifiuti da gettare si allude anche alle felcature delle fosse da
grano 13 . Questo significa che la paglia veniva cambiata molto spesso.
Un altro tipo di rivestimento usava invece delle stuoie alle pareti: ciò è
documentato a Fano nel 1525 14 . Oltre a questo, le fosse dovevano essere
pulite periodicamente. Il cereale veniva introdotto di norma sfuso; in certi
casi anche a strati sovrapposti. A questo proposito sono stati ritrovati, nel
caso di Castel Porciano, delle nicchiette che servivano probabilmente per
l’applicazione di tavolati. Era inoltre buona norma far girare ogni tanto
tempo il grano presente nella fossa.
10
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. H, f. 332r.
11
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. I, f. 342r.
12
Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 18, f. 2r.
13
Archivio comunale di Mondolfo, Statuti (V, 15), 1, f. 200v.
14
Archivio del Capitolo cattedrale di Fano, Entrate ed uscite della sacrestia (1513-1548), f. 113r-v.
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La chiusura della fossa era ermetica, tranne che nei momenti in cui
veniva immessa la quantità di cereale: in questo caso si poteva installare
all’imboccatura una grata onde evitare rovinose cadute di persone. La fossa
era concepita come una cassaforte. È chiaro che, una volta chiusa
ermeticamente, la famiglia proprietaria disponeva in casa di una certa
quantità di grano, macinato o non, per gli usi domestici, mentre la fossa
veniva aperta molto raramente, proprio come una cassaforte destinata a
conservare le provviste nel lungo periodo. E’ interessante leggere a questo
proposito cosa scrive Francesco di Giorgio Martini nei suoi Trattati di
architettura:
Dieno eziandio avere le predette case [da villani eziandio] più fosse [da
grano] per conservare frumenti secondo el bisogno. Ma volendo conservare
meglio [el grano] si vole fare [una] fossa come una cisterna di struttura o
calcestruzzo, salda bene da ogni parte; lassando uno piccolo buso, e turando
poi quello con tavole e con battuta terra, conservarà el frumento, posto
ch’ella sia intorno armata di paglia secondo l’usanza. E così si manterrà
molto meglio el frumento, perché non è possibile che el tufo o altro terreno
non rendi [superflua] umidità per la quale si corrompe el frumento.
E riguardo alle case dei mercanti aggiunge: “… dieno ancora avere
fosse per frumenti [e conserve di grano et] ample canove, perché di ciascuna
di queste cose porria accadere fare mercanzia”.
Egli consiglia dunque al mercante di tenere magazzini e anche delle
fosse perché si potrebbero fare buoni affari conservando il grano con tale
sistema.
Ancora prima di lui, comunque, l’agronomo bolognese Piero de’
Crescenzi, contemporaneo di Dante, aveva parlato delle fosse da grano
attingendo dai classici, ma inserendo una “postilla” riguardante il rivestimento in paglia, nel senso che suggerisce di applicarlo, oltre che al fondo,
anche alle pareti.
Vi è dunque una larga diffusione di fosse da grano in Italia nel basso
medioevo, ed è rimarchevole che già nell’alto medioevo scompaia il termine
classico horreum (“granaio”), forse a causa del venir meno dei granai
pubblici collegati al sistema di difesa territoriale del tardo impero.
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Contestualmente diventano scarse le notizie sui granai a tetto (quantunque il
De’ Crescenzi non li escludesse affatto, ma sempre sulla scorta dei classici,
in particolare di Palladio): l’unico accenno in documenti marchigiani si
riferisce a un granaio dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra sito nella grangia
(dal fr. grange, a sua volta derivato dal lat. <cella> granica) di S. Maria in
Selva nella valle del Potenza (a. 1234) 15 . Si tratta, tuttavia, di una
particolarità, dal momento che i monaci cistercensi erano legati alla
tradizione del granaio a tetto, la loro principale architettura dopo la chiesa,
alla quale ponevano particolare cura.
Le ragioni di una così larga diffusione delle fosse da grano tra il X e il
XVI secolo vanno ricondotte al loro funzionamento. Esse costituivano un
ottimo sistema per difendere i raccolti dalle temperature estreme, dagli
insetti nocivi e dai roditori. Al loro interno l’ossigeno interstiziale, in
presenza del grano, si trasformava in anidride carbonica, letale per gli
animali come anche per l’uomo (come abbiamo visto all’inizio). Non si
sono trovati dati precisi sui tempi di conservazione. Il vecchio Varrone, che
probabilmente faceva riferimento a delle condizioni ottimali, aveva affermato che il grano conservato sotto terra in questo modo rimaneva integro
per 50 anni (e il miglio addirittura più di 100!). Resta, comunque, il fatto
che nessuno si preoccupava più di tanto della conservazione dei cereali una
volta immessi nelle fosse, almeno stando ai vari statuti comunali ed
escludendo la fase più tarda di questo periodo.
Nel secolo XVI a Mondolfo
Oltre agli Statuti, altri libri dell’archivio comunale parlano di fosse
comunali. Una prima registrazione del 1519 appare di non univoca
interpretazione, poiché vi si tratta del nolo, concesso dal comune, “de la
casa del spedale, cioè de doi solari da alto et la botiglia” 16 , dove quest’ultimo ambiente dovrebbe rappresentare un sotterraneo, non necessariamente una fossa da grano, che nell’eventualità si troverebbe sotto una
15
Le carte dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra, V (1231-1237), a cura di G. BORRI, Spoleto 1998, pp. 151-159
n. 82.
16
Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 1, f. 23v.
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casa di tre piani e non sotto una strada pubblica; il termine botiglia si riferirebbe alla forma del sotterraneo.
Altre registrazioni alludono a due fosse: l’una nel Castello (in questo
caso entro la prima cerchia) e l’altra nel Borgo (tra prima e seconda
cerchia). Una di queste fosse viene data a nolo – nel periodo che va dal 1537
al 1542 – ad un certo Agostino del Medico: il pagamento viene effettuato in
natura, tramite il versamento al comune di una certa quantità di grano 17 .
Nel 1532, sempre nell’area della piazza, viene risarcito un proprietario
per “una fossa da grano occupata in la fabrica de la loggia de la communità” 18 .
Vigeva allora una specie di tassa di concessione per i privati che
volessero costruire nuove fosse (se ne trova un precedente ad Osimo, nel
1308, come si è già accennato, anche se in questo caso la tassa – di 10 soldi
– pare fosse limitata alle fosse già esistenti o da scavarsi nella piazza del
mercato). Nel 1545 a Mondolfo la tassa ammontava a 30 bolognini per le
fosse scavate entro le mura (ovvero nella piazza del Borgo, nell’area quindi
dell’attuale piazza del Comune, o comunque nel Borgo) e a 10 bolognini per
quelle scavate “fuor del Castello” (una di queste era fuori di porta
Fanestre) 19 . Allora ne vennero allestite in totale sette. Ed è un fatto
abbastanza sorprendente, in quanto il Cinquecento rappresenta l’ultima fase
nella quale le fosse vengono utilizzate con questa finalità. Ad ogni modo
esse continuano ad essere oggetto di alienazione e di concessione a nolo,
come dimostrano alcuni contratti degli ultimi decenni del secolo: uno di
essi, in particolare, dell’anno 1577, concerne la vendita di una fossa da
grano sita nel Borgo, precisamente nella piazza sopra S. Giustina,
confinante con un’altra fossa di proprietà della stessa chiesa20 .
Dalla fine del secolo XVI, infatti, a Mondolfo non se ne parla più, se
si esclude una notizia isolata dell’anno 1620, quando, in un periodo di
scarsità di pane e di forti tensioni, si accenna ad una certa quantità di grano
17
Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 7, ff. 98r, 112v-113r, 182v; Sindicaria, 10, ff. 87v-88r; Sindicaria,
11, ff. 64v-65r.
18
Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 5, f. 122r.
19
Archivio comunale di Mondolfo, Sindicaria, 14, f. 46v.
20
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Notarile, Giorgi Giandomenico, vol. I, f. 237v.
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occultata in fosse e magazzini 21 (non a caso proprio in quegli anni il
Manzoni pone l’assalto al “forno delle grucce” a Milano).
L’abbandono delle fosse da grano, o la loro conversione ad altri usi
(discariche, butti), dopo il secolo XVI è un fenomeno più generale, almeno
nelle regioni dell’Italia centrosettentrionale, mentre esse mantengono la loro
tradizionale funzione nelle più calde regioni meridionali, come la Puglia e la
Sicilia. Quali le cause? E soprattutto quali le spiegazioni, dal momento che
si abbandonava una tecnica antichissima, che aveva dato buoni risultati
nell’arco di millenni?
Un insieme di concause può spiegare il fenomeno. È questa un’epoca
di grandi trasformazioni, un’età di transizione dal medioevo all’età
moderna, che ha il suo inizio già alla fine del Duecento con le crisi agricole
ed alimentari e che viene accentuata dalle susseguenti crisi di mortalità, le
quali culminano nella peste nera di metà Trecento. Si tratta, quindi, di un
lungo periodo di transizione. Di conseguenza anche la mentalità, la forma
mentis delle persone dovette subire delle trasformazioni nello stesso tempo.
Sul versante economico-sociale si verifica un altro importante fenomeno, la
diffusione della mezzadria con il conseguente appoderamento. Con la
mezzadria si rompe il legame tra famiglia contadina e comunità: la famiglia
del mezzadro viene insediata sul podere, allontanandosi così dal luogo in cui
fino a quel momento si erano costruite le fosse, in genere dentro le mura di
città, terre e castelli, quantunque non manchino nel tardo medioevo esempi
di fosse allestite fuori delle mura (comunque nelle immediate vicinanze di
esse).
S. Anselmi ha affermato che nelle Marche fu condotta allora una
forsennata politica del grano, un’agrarizzazione molto spinta. La normale
risposta alla crescita demografia fu la messa a coltura di nuove terre, terre
non tutte adatte alla coltura dei cereali. Si può pensare, pertanto, che la
qualità stessa del cereale abbia subìto delle alterazioni.
Da ultimo interviene pure un cambiamento climatico: si inizia quel
periodo definito come “piccola glaciazione” (1600-1850). Si comprende
allora come le ultime fosse da grano, costruite in un problematico quadro
climatico-ambientale, possano essere state abbandonate proprio perché non
21
Archivio di Stato di Firenze, Ducato di Urbino, cl. I, 259, f. 788r-v.
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garantivano più gli stessi risultati di un tempo, soprattutto per quanto
concerne la difesa dei raccolti cerealicoli dall’umidità, dai terreni divenuti
troppo umidi. In precedenza le fosse si trovavano sulle alture, negli
insediamenti fortificati; con l’appoderamento mezzadrile si tentò di portarle
lontano dai centri abitati, in certi casi in luoghi bassi e umidi.
Le prime avvisaglie di tali difficoltà cominciano a notarsi già nel
Quattro-Cinquecento. In verità, nel sopra citato inventario dei beni di
Gregorio Peruzoli del 1392 si coglie già un’espressione sospetta: “duas
fossas ante portam que tignant”, che sembra riferirsi a grano guastatosi. Alla
Stacciola agli inizi del secolo XV, in una fossa dei Malatesta, viene
registrato un “fondame” di fossa, ossia grano che si trovava al fondo di essa,
andato a male (“grane vechie”): perciò lo si dà ai colombi e ai polli di
casa 22 . A Fano, poi, nell’anno 1525, diventano frequenti le allusioni al
grano cattivo trovato nelle fosse dei canonici della cattedrale: per una di
queste si dice esattamente che “feva i tignie et è stato dato una girata et non
è stato mesurato per vedere quanto era calato” 23 . Praticamente, dopo il 1600
le fonti della zona non parlano più delle fosse da grano, lasciando così
supporre che esse fossero state dismesse, in certi casi forse convertite ad usi
differenti, in altri del tutto dimenticate.
Roberto Bernacchia
22
23
Sezione di Archivio di Stato di Fano, Codici malatestiani, 38, f. 106r.
Archivio del Capitolo cattedrale di Fano, Entrate ed uscite della sacrestia, f. 120v: anche in altre registrazioni
dello stesso anno si riscontrano espressioni come “tristo grano” (f. 108r) o “brutto” (f. 118v), riferite al cereale
conservato nelle fosse dei canonici fanesi.
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Aree del centro storico di Mondolfo in cui è documentata l’esistenza di fosse da grano
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Sezione di una fossa da grano (sec. XIII) scavata a Castel Porciano, Roma
(da M. Mallett- D. Whitehouse, Castel Porciano, «Papers of the British School at Rome», XXXV, 1967)
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Sezione di una fossa da grano di Tuscania, Viterbo
(da D. Andrews- J. Osborne- D. Whitehouse, Medieval Lazio, Oxford 1982)
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Disegno di una fossa da grano rinvenuta nella piazza del Terreno a Corinaldo
(da S. Anselmi e G. Volpe, L’architettura popolare in Italia. Marche, Roma-Bari 1987)
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Guidoccio Cozzarelli (1450 - ca. 1516). La misurazione del grano (Witt Library Collection)
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Note bibliografiche
Sintesi della mia relazione su La conservazione dei cereali negli insediamenti medievali delle Marche (secoli XIIXVI), in 4° Convegno Macrobiotica e scienza sul tema cibo ambiente salute. Roccaporena di Cascia (Pg),
26-27-28 novembre 1999, Sforzacosta (MC) 1999, pp. 93-96 ; altra sintesi della relazione su Un metodo
di conservazione dei cereali: le fosse da grano nelle Marche nei secoli X-XVI, in Convegno «Cibo,
ambiente, salute : uso – costume – tradizione – cultura». Sabato 10 giugno 2000, Fondazione Bandini,
Abbadia di Fiastra – Tolentino (Mc), Tolentino 2000, pp. 57-58.
Trattati che accennano alle fosse da grano e alla conservazione dei cereali :
P. DE’ CRESCENZI, Trattato della agricoltura, Bologna 1784 (rist. anastatica 1987): opera scritta originariamente
in latino (In commodum ruralium) agli inizi del sec. XIV e resa in volgare da anonimo già nel corso dello
stesso secolo; l’ed. del 1784 curata da Bastiano De’ Rossi uscì per conto dell’Accademia della Crusca.
F. DI GIORGIO MARTINI, Trattati di architettura ingegneria e arte militare, a cura di C. MALTESE DEGRASSI,
Milano 1967.
Opere generali in tema di conservazione dei cereali e sulle fosse da grano in vari periodi, continenti e
culture :
F. SIGAUT, Les reserves de grains à long terme. Techniques de conservation et fonctions sociales dans l’histoire,
[Lille] 1978.
Les techniques de conservation des grains à long terme. Leur rôle dans la dynamique des systèmes de cultures et
des sociétés, sous la directione de M. GAST et F. SIGAUT, Paris 1979 (con saggi di F. Sigaut, Ch.
Bromberger, H. Bresc, H. Bessac, R. Mauny, M. C. Amouretti, P. J. Reynolds, L. Bolens, G. Comet).
Sulla conservazione dei cereali tra alto e basso medioevo:
H. ZUG TUCCI, Le derrate agricole: problemi materiali e concezioni mentali della conservazione, in L’ambiente
vegetale nell’alto medioevo (Settimane C.I.S.A.M., XXXVII), t. II, Spoleto 1990, pp. 865-902.
A. CORTONESI, Sulla conservazione dei cereali nell’Italia medioevale. Lavoro e tecniche nelle testimonianze
laziali (secc. XIII-XV), in «Rivista di storia dell’agricoltura», XXXI/1 (1991), pp. 33-49.
Sulla ricerca archeologica in Italia e nelle Marche:
M. MALLETT-D. WHITEHOUSE, Castel Porciano: an abandoned medieval village of the Roman Campagna, in
«Papers of the British School at Rome», XXXV (n.s. XXII) (1967), pp. 113-146.
L. MERCANDO, Regione VI (Umbria). XIII. – Matelica (Macerata). – Rinvenimenti di età gallica e di età
medioevale, in «Notizie degli scavi di antichità», s. VIII, XXIV (1970), pp. 394-435.
GH. NOYE, Les problemes poses par l’identification et l’étude des fosses-silos sur un site d’Italie méridional, in
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D. ANDREWS, Undergrounds grain storage in Central Italy, in D. ANDREWS-J. OSBORNE-D. WHITEHOUSE,
Medieval Lazio. Studies in architecture, painting et ceramics, Oxford 1982, pp. 123-135.
M. C. PROFUMO, Scavi e valorizzazione dell’area archeologica medievale di Sarnano, in La valle del Fiastra tra
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A. L. ERMETI,
La ceramica tra XIII e XIV secolo a Urbino. Materiali dal “butto” in località Bivio della Croce dei
Missionari, in «Faenza», LXXIX (1993), pp. 89-127.
G. DE MARINIS, I «pozzetti» medievali dell’ex palazzo Chierichetti ed il loro contesto, in Archeologia a Matelica.
Nuove acquisizioni (Catalogo della Mostra, Matelica, Palazzo Ottoni, marzo-ottobre 1999), [Matelica]
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Studi sulle fosse da grano nelle Marche e in altre regioni:
D. BISCHI, Individuate fosse da grano nel territorio di Gradara, in «Pesaro Urbino», n. 3, a. IV (1984), pp. 28-29.
G. DE TROIA, Il piano delle fosse di Foggia e quelli della Capitanata, con la collaborazione di I. PIACENTE, Fasano
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M. L. DE NICOLÒ, Le fosse da grano, in Il tesoro di Cerere. San Giovanni in Marignano. Temi di storia, a cura di
M. L. DE NICOLÒ, [San Giovanni in Marignano] 2001, pp. 115-133.
Sull’evoluzione dell’agricoltura marchigiana e dell’ambiente rurale:
Insediamenti rurali, case coloniche, economia del podere nella storia dell’agricoltura marchigiana, a cura di S.
ANSELMI, [Jesi] 1985 (2a ed. 1986); alcuni testi del volume sono stati ripubblicati in S. ANSELMI, Una
storia dell’agricoltura marchigiana. Con due ricerche sulla economia del podere e sulla evoluzione delle
Marche dalla mezzadria all’industria di V. BONAZZOLI e P. SABBATUCCI SEVERINI, Ancona 1985; e di
nuovo in S. ANSELMI, Chi ha letame non avrà mai fame. Studi di storia dell’agricoltura, 1975-1999,
Ancona 2000.
S. ANSELMI e G. VOLPE, L’architettura popolare in Italia. Marche, Roma-Bari 1987.
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