...

l`amore in poesia

by user

on
Category: Documents
33

views

Report

Comments

Transcript

l`amore in poesia
«OMNIA VINCIT
AMOR ET NOS
CEDAMUS AMORI»
"L'amore vince tutto, anche noi cediamo all'amore"
(Publio Virgilio Marone)
Ogni persona è unica e possiede un proprio concetto dell’amore.
La nostra idea dell’amore riflette chi siamo, i nostri desideri, i nostri valori, le nostre aspettative
e il nostro modo di vivere le relazioni.
La parola “Amore” è tra le più usate nel linguaggio comune.
Se ne parla di continuo: tra le persone, in televisione, sulle riviste, sui siti .
Sull’amore si scrivono messaggi, poesie, libri…eppure sembra proprio difficile dare una
definizione univoca dell’Amore che metta tutti d’accordo.
Per esempio, se cercassimo una definizione “obiettiva” dell’amore su qualsiasi dizionario,
leggeremmo:
“L’amore è un sentimento intenso e profondo di affetto, simpatia ed adesione, rivolto verso una
persona, un animale, un oggetto o verso un concetto, un ideale”.
Infatti il sentimento d’amore può essere di varie tipologie:




Sentimentale, cioè il legame di coppia mei suoi vari aspetti;
Parentale, cioè il sentimento che lega tra loro i membri della famiglia;
Amicale, ovvero il sentimento che nasce dalla conoscenza reciproca tra le persone;
Devozionale, se riguarda ad esempio la sfera religiosa ma anche idealità politiche, sociali
e filosofiche.
Ma l’amore è molto di più… E’ un sentimento complesso che racchiude in sé sensazioni
profonde, simili o in contrasto tra loro. Spesso infatti il sentimento dell’amore, al quale
solitamente colleghiamo emozioni come la gioia, la felicità, allegria, spensieratezza, letizia, si
accompagna a quello del dolore causato ad esempio da una mancanza affettiva, una delusione
amorosa o dalla perdita di una persona cara. E’ il caso di due sentimenti opposti come l’amore e
l’odio.
L’Amore in sanscrito “a-more” significa ciò che non muore, proprio questo, è stato
testimoniato dalla presenza costante di questo tema nella poesia di tutti i tempi e non c'è stato
poeta che non l'abbia trattato. (Alcuni sentirono l'amore come una forza crudele che travolge i
sentimenti umani, mentre altri lo considerarono in maniera più raffinata ed aristocratica.
Entrambe le tendenze furono poi assunte dalla letteratura latina, nella quale ci furono poeti che
lo rappresentarono drammaticamente violento, altri che lo rappresentarono in forma gentile,
ed altri ancora, come Catullo, che alternarono le due opposte concezioni fino a creare il
binomio di amore-odio.) Sin dalla nascita della poesia lirica , avvenuta nella Grecia Antica
intorno al VII secolo a.C., i temi principalmente trattati erano di carattere personale, l’amore
rappresenta infatti il regno per eccellenza della soggettività, con la sua ampia gamma di
emozioni.
Saffo
è una delle principali poetesse liriche che hanno affrontato
questo tema e nasce proprio in Grecia, ad Efeso, piccolo centro dell’isola di
Lesbo. Abbiamo poche notizie sulla sua vita ma sappiamo che proveniva da
una famiglia aristocratica e insegnava alle giovani ragazze del tìaso,
associazione religiosa che celebrava il culto della dea dell’amore Afrodite,
l’arte della seduzione, dell’eleganza e del canto.
Famosa per l’uso della strofa «SAFFICA» e del dialetto eolico, è celebrata
come grande poetessa d’amore capace di una straordinaria intensità
espressiva. Delle sue opere ne rimangono solo pochi frammenti, l’unico
componimento giunto fino a noi integro è l’Inno di Afrodite, nella sua
produzione tuttavia non mancano versi dedicati alla natura, alla figlia Cleide
e a suo fratello.
A me pare uguale agli dèi
A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
Suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde nella lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Come in ogni componimento della poetessa Saffo è
analizzata la tematica dell’amore gioioso capace di
far scaturire emozioni incontenibili e un
coinvolgimento passionale straordinario. In questa
lirica possiamo identificare la figura del tu-lirico in
una giovane fanciulla, che l’io-lirico osserva mentre
conversa e ride amabilmente insieme ad un uomo
che le siede accanto. La poetessa paragona l’uomo
ad una divinità imperturbabile di fronte al fascino
della giovane mentre l’io-lirico è accecato e
assordato dal turbamento dei sensi: aumenta il
battito del cuore, la voce si inceppa e un brivido
caldo le percorre il corpo facendole provare la
sensazione quasi di morire.
La poetessa riesce a rappresentare una situazione di
grande trasporto nonostante la semplicità della
composizione inoltre il messaggio risulta attuale ed
universale. La struttura della poesia presenta
quattro strofe e il primo verso di una quinta che
resta incompleta.
Catullo
nasce a Verona intorno all’anno 84 a.C., da una
famiglia facoltosa. All’età di 20 anni si trasferisce a Roma entrando a
contatto con altri giovani poeti latini e greci, trattando tematiche più
personali e meno impegnative. Per tale ragione questi poeti sono
ribattezzati poeti novi da Cicerone. Fondamentale nella sua vita è
l’incontro con una donna di nome Clodia (celata nelle opere con lo
pseudonimo di Lesbia) che diventa l’argomento principale di gran parte
della sua poesia. Questo autore sviluppa la tematica dell’amore
inizialmente come esperienza appagante e gioiosa introducendo nelle
opere successive il concetto di amore-odio.
L’opera di Catullo è formata da 116 componimenti raccolti in un unico
libro, Carmina (canti), diviso in 3 parti:
•
le Nugae, poesie di argomento leggero, su tematiche quotidiane
amorose, dedicate perlopiù alla relazione, ora felice ora tormentata,
con Lesbia.
•
Carmina Docta, poesie dotte, dedicate a temi più elevati.
•
gli Epigrammata, epigrammi contenenti violente invettive contro i
suoi avversari.
Viviamo, o mia Lesbia, e amiamo
Viviamo, o mia Lesbia, e amiamo
e i giudizi dei vecchi più severi
tutti valutiamoli un solo soldo!
Il sole può tramontare e risorgere:
quando tramonta la nostra breve luce,
dobbiamo dormire una sola notte eterna.
Dammi mille baci, poi cento,
poi altri mille, poi i secondi cento,
poi fino ad altri mille, poi cento.
Poi, quando ne avremo fatti molte migliaia,
li rimescoleremo, per non tenere il conto,
o perché nessun malvagio possa invidiarci,
quando sappia che ci sono così tanti baci.
Il tema predominante della lirica è l’amore come
esperienza appagante e gioiosa. L’esortazione
all’amata Lesbia è in antitesi con i versi successivi che
invitano Lesbia a non tenere conto
dell’atteggiamento e delle parole severe dei vecchi. Il
sole è metafora positiva della gioia, mentre la
condizione umana, dopo il tramonto (morte), è
destinata ad un sonno eterno. Le immagini della luce
e del tramonto sono strettamente legate al motivo
dei baci. Il componimento si chiude con il motivo
dell’invidia, che richiama l’immagine iniziale poiché
un sentimento talmente intenso e totalizzante
provoca infatti l’invidia di coloro che sono esclusi da
un’esperienza così bella.
Di particolare rilevanza risultano: l’endecasillabo
falecio, i frequenti giochi fonici, l’anafora, la
ripetizione interna ai versi, l’epifora e i quasi
anagramma tra la parola «Lesbia» e «basia» (i baci).
Sotto il profilo retorico stilistico l’intero testo è
caratterizzato da frequenti ripetizioni , da un sistema
di antitesi e dell’assenza di congiunzioni (asindeto)
nell’invito ad accumulare baci.
Ti odio e ti amo
Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi.
Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.
Il carme 85 di Catullo è uno tra i più famosi componimenti poetici della letteratura latina.
L’intensità del tema trattato, ovvero la compresenza di un sentimento di odio e amore, si
concentra nella brevità della lirica e nella semplicità del lessico. Lo stile è asciutto e
immediato e il tu-lirico ( la donna amata), diventa punto di riferimento di una situazione
conflittuale espressa mediante l’ossimoro creato nell’accostamento dell’amare e
dell’odiare. Alle prese con la propria complessità emotiva, il poeta inventa un modello che
influenzerà la lirica amorosa dei secoli successivi basata sull’esperienza d’amore
incontrollabile, inspiegabile e doloroso. Nella lirica colpisce la dimensione autoriflessiva
dell’io-lirico, che osserva il proprio animo lacerato dai sentimenti. L’uso del presente
indicativo presuppone un sentimento attuale e reale.
Sul piano retorico la traduzione si propone di mantenere alcune caratteristiche dell’originale
latino: l’allitterazione, l’inversione sintattica tra principale e subordinata, il climax dei
sentimenti, gli effetti fonici di ripetizione, il distico elegiaco (costituito dall’insieme di due
versi, l’esametro e il pentametro), sinalefe e ictus.
Sulpicia
era figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo, sua
madre era una Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino, uomo di
grande cultura, attorno al quale si raccoglievano i maggiori letterati
dell’epoca. Favorita dalla possibilità di frequentare questo ambiente e
dotata di notevoli capacità poetiche, Sulpicia compose le uniche poesie
d’amore scritte da una donna romana dell’età classica e giunte sino a noi,
anche se in modo fortunoso. I poemi di Sulpicia non sono stati tramandati
infatti sotto il suo nome, ma sono state attribuite al celebre poeta Tibullo.
L’attribuzione a un uomo delle uniche opere femminili sopravvissute non è
casuale, ma dovuta al fatto che la produzione femminile non veniva presa in
considerazione. Anche se tutto quello che è rimasto sono sei brevi poemi,
grazie ai quali oggi, è possibile conoscere come una donna romana viva le
emozioni d’amore. Tutte le sue opere sono ispirate all’amore violento,
passionale e proibito verso un certo Cerinto.
Testo 3.14
Invisus natalis adest, qui rure
molesto
Et sine Cerintho tristis agendus
erit.
Dulcius urbe quid est? an villa sit
apta puellae
Atque Arretino frigidus amnis
agro?
Iam, nimium Messalla mei
studiose, quiescas: 5
non tempestivae saepe,
propinque, viae.
Hic animum sensusque meos
abducta relinquo,
Arbitrio quamvis non sinis esse
meo.
‘Giunge il compleanno odioso, che dovrò
tristemente trascorrere in una campagna
noiosa, e senza Cerinthus. Che c’è di più
dolce della città? o forse che è adatta,
per una ragazza, una casa di campagna e
il freddo fiume che scorre nell’agro di
Arezzo? Su, sta’ tranquillo, o Messalla
troppo sollecito verso di me: i viaggi
spesso non sono opportuni. Trascinata
via, io lascio qui il mio cuore e i miei
sentimenti, anche se non permetti che io
segua la mia volontà’.
Dante Alighieri nasce nel 1265 a Firenze da una famiglia della
piccola nobiltà. Sappiamo poco della sua formazione; data a cui risalgono la
prima composizione dedicata alla figura di Beatrice (giovane morta prima del
1290) e l’intreccio di amicizie con altri poeti e con Brunetto Latini considerato
da Dante suo maestro. Dopo il matrimonio con Gemma Donati, dalla quale
avrà quattro figli, intraprende la carriera politica. Entra così nel Consiglio dei
Priori, il massimo organo politico fiorentino. In questo periodo però la città è
in preda alle lotte politiche con i guelfi divisi in due parti: bianchi e neri. In
seguito a uno scontro armato tra le due fazioni, Dante firma l’allontanamento
dei capi di entrambe, tra cui anche l’amico Guido Cavalcanti. Lo scontro è
sanguinoso e il nuovo Podestà persegue i personaggi più in vista della fazione
bianca. Dante è convocato per rispondere del suo operato, ma non si
presenta. Condannato a due anni di esilio, rifiuta di tornare a Firenze , perciò
vive sotto protezione di Cangrande della Scala a Verona. Dante e i figli si
spostano successivamente a Ravenna, dove l’anno dopo il poeta muore a
causa di una febbre malarica.
Nonostante l’impegno politico, Dante non cessò mai di coltivare il
mestiere di scrittore e poeta, con risultati straordinari. Tra le sue
opere ricordiamo: Vita Nova una sorta di romanzo autobiografico in
cui le rime dedicate alla figura di Beatrice sono commentate in prosa e
«inserite» all’interno di una cornice narrativa (prosimetro); il Convivio
encicolpedica in prosa e in versi, scritta in volgare italiano, e De
vulgari eloquentia scritto in latino; la Commedia (alla quale Boccaccio
accostò l’aggettivo Divina, con il quale è tuttora conosciuta), poema
allegorico-didascalico in cui Dante immagina di compiere un viaggi
attraverso i tre regni che formano l’aldià, descritti in tre cantiche:
Inferno concluso forse nel 1308; Purgatorio, finito intorno al 1312;
Paradiso, finto poco prima della morte.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.
La divisione del sonetto in quartine e terzine
corrisponde a una precisa suddivisione tematica.
Le due quartine svolgono il tema dell’amicizia tra
spiriti «eletti», ovvero Dante, Cavalcanti e Lapo
Gianni. Nelle terzine viene invece affrontato il
motivo dell’amore, secondo un ideale dell’amore
cortese perseguito da Dante e dai suoi compagni.
Il componimento è un sonetto, con rime
incrociate nelle quartine e a rime invertire nelle
terzine. Dante è a tutti gli effetti un maestro
indiscusso della versificazione e lo mostra
soprattutto nella scorrevolezza dell’endecasillabo.
È importante osservare che le rime dei versi 1, 4,
5, 8 sono piane e ancora più rilevante è il caso
della rima «poi» / «noi» dei versi 9 e 14.
sottolineiamo, infine, la presenza della sinalefe
nella maggior parte dei versi del sonetto, già a
partire dal primo verso dove si registra anche la
dialefe tre «tu» ed «e», perché la sillaba del
pronome è accentata.
Tanto gentile e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.
Il sonetto è composto da due quartine con rima baciata
e da terzine con rime invertite. All’interno di un ritmo
lento e disteso, interrotto solo dagli enjambements.
Spiccano le numerose subordinate che conferiscono al
testo un effetto di solennità. Sul piano retorico
osserviamo diverse ripetizioni che coinvolgono anche la
Ella si va, sentendosi laudare,
struttura sintattica del sonetto. Notevole è l’antitesi tra
benignamente d'umiltà vestuta,
l’immobilità degli ammiratori di Beatrice e il
e par che sia una cosa venuta
movimento della donna la cui bellezza morale e fisica è
da cielo in terra a miracol mostrare.
espressa in primo luogo attraverso il motivo del saluto
che dona gioia ed è metafora di un’apparizione divina
anche se nello stesso tempo l’incedere di Beatrice
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core, esprime umiltà. La sua gentilezza suscita ammirazione
che 'ntender no la può chi no la prova; ed è un’esperienza che le parole non possono
esprimere. Vi è una sineddoche del volto, un’ispirazione
personificata dell’amore che soavemente invita l’animo
e par che de la sua labbia si mova
a sospirare. L’emissione del sospiro è concreta
un spirito soave pien d'amore,
espressione di un concetto astratto (metonimia),
individuabile in Beatrice, cioè colei che dona la
che va dicendo a l'anima: Sospira .
beatitudine, come allegoria di Dio, da cui ha origine
l’amore che muove tutti gli esseri umani.
Leopardi
nasce a Recanati nel 1798, figlio primogenito del conte
Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Il padre trasmette al figlio
l’amore per la cultura e lo studio; mentre la madre gli dimostra poco affetto e
lo tratta in modo freddo e distaccato, tale durezza finirà con il condizionare
l’adolescenza del figlio che perciò spinto dal contesto familiare e dai pochi
stimoli culturali che offre Recanati lo spingono a isolarsi e a rifugiarsi nella
biblioteca paterna. L’ingegno precoce del giovane e la sua estrema sensibilità lo
inducono ben presto a riversare tutta la sua passione sui libri, nel corso di
«sette anni di studio matto e disperatissimo» compiuti da autodidatta che gli
conferiscono grande cultura, ma che minano irrimediabilmente la sua salute
fisica. Nel 1815 è infatti colpito da una grave malattia che lo induce a percepire
l’esistenza umana come dolore; il suo pessimismo viene poi esasperato dal
fallimento del sue tentativo di fuga da Recanati, scoperto dal padre. Finalmente
però giunge la tanto sospirata occasione di uscire dal suo paese, il poeta infatti
soggiorna a Roma ospitato dallo zio, tuttavia il viaggio tanto atteso si rivela
una delusione. Nel 1825 ha una nuova opportunità di lasciare Recanati, grazie a
un lavoro di un editore milanese e successivamente, a causa dell’aggravarsi
delle sue condizioni di salute, si sposta a Bologna, Firenze e Pisa. Per breve
tempo torna nel suo «natio borgo» poiché nel 1833 si trasferisce a Napoli nella
speranza che il clima mite possa giovare al suo precario stato di salute, ma qui,
nel 1837, muore all’età di 39 anni.
Le sue opere
•
Lo Zibaldone: raccolta di pensieri sulla vita, sul mondo e sulla filosofia,
fondamentali per conoscere il pensiero del poeta ;
•
Le Operette morali: 24 prose nelle quali si affrontano i temi della condizione
umana, la morte, il destino, la vana ricerca della felicità…
I Canti: le principale composizioni di Leopardi che comprende due importanti
gruppi: i Piccoli Idilli, e i Grandi Idilli. (Nella poesia greca era Idillio un breve
poemetto ambientato nella quiete della natura). Leopardi chiama Idilli alcune
poesie, che , pur prendendo spunto da un elemento del paesaggio, diventano
occasione per una meditazione interiore.
Nei Piccoli Idilli il poeta esprime i sentimenti più intimi (L’Infinito, Alla Luna, La
sera al dì di festa…)
Nei Grandi Idilli pur continuando la riflessione sul seno della vita, lascia spazio a
una più pacata riflessione (A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la
tempesta, Il passero solitario, Canto di un pastore errante dell’Asia…)
•
•
Le Opere Puerili: operette composte in giovane età
Tutta l’opera leopardiana è pervasa da una concezione pessimistica della
vita. L’uomo vive infatti in una condizione di infelicità e dolore che gli
procura inquietudine e angoscia. Il poeta individua la causa di tutto ciò nella
natura, che ha creato l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur
sapendo che non l’avrebbe mai raggiunto. Leopardi perciò vede la natura
come una matrigna crudele e indifferente alle sofferenze delle sue creature.
Cerca conforto nelle illusioni ma le distrugge con la logica implacabile.
Le poesie di Leopardi hanno un’intensità e suggestiva musicalità, che nasce
dalla collocazione delle parole, dalla distribuzione degli accenti, dalla stessa
punteggiatura e dall’utilizzo della strofa libera. Il poeta ricorre
all’endecasillabo sciolto introducendo strofe di lunghezza variabile.
A Silvia
Silvia , rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale ,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi ,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno .
ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
Che pensieri soavi,
anche negaro i fati
che speranze, che cori o Silvia mia! la giovanezza. Ahi come,
Quale allor ci apparia
come passata sei, cara compagna
Sonavan le quiete
la vita umana e il fato!
dell’età mia nova,
stanze, e le vie dintorno
Quando sovviemmi di cotanta
mia lacrimata speme
,al tuo perpetuo canto
speme,
Questo è quel mondo? Questi
allor che all’opre femminili intenta un affetto mi preme
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
sedevi, assai contenta
acerbo e sconsolato,
onde cotanto ragionammo
di quel vago avvenir che in mente e tornami a doler di mia sventura. insieme?
avevi
O natura, o natura,
Questa la sorte dell’umane genti?
Era il maggio odoroso: e tu solevi perché non rendi poi
All’apparir del vero
così menare il giorno
quel che prometti allor? perché di tu, misera, cadesti : e con la mano
tanto
la fredda morte ed una tomba
Io gli studi leggiadri
inganni i figli tuoi?
ignuda
talor lasciando e le sudate carte ,
mostravi di lontano.
ove il tempo mio primo
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
e di me si spendea la miglior parte, da chiuso morbo combattuta e
d’in su i veroni del paterno ostello vinta,
porgea gli orecchi al suon della tua perivi, o tenerella. E non vedevi
voce,
il fior degli anni tuoi;
ed alla man veloce
non ti molceva il core
che percorrea la faticosa tela .
la dolce lode or delle negre chiome,
Mirava il ciel sereno
or degli sguardi innamorati e schivi;
le vie dorate e gli orti,
né teco le compagne ai dì festivi
e quinci il mar da lungi, e quindi il
La lirica rievoca la figura di Silvia, molto probabilmente da identificare con
la figlia del cocchiere di casa Leopardi, Teresa Fattorini, morta di tisi all’età
di 21 anni, anche se alcuni critici sostengono che Silvia sia solo una
costruzione psicologica del poeta. Il tema centrale del componimento è la
fine delle speranze giovanili e la presa di coscienza. Tale riflessione è svolta
attraverso una sorta di parallelismo tra la vita di Silvia e quella di Leopardi:
come le speranze di Silvia sono cessate con la sua morte prematura, così
anche quelle del poeta sono tramontate di fronte alla cruda verità
dell’esistenza, tanto che Leopardi accusa apertamente la natura, colpevole
di ingannare gli uomini con sogni e speranze destinate a non realizzarsi; e
un’antitesi, che divide il testo in due parti contrapposte. Le prime tre strofe
rappresentano la giovinezza, mentre le strofe successive mettono in scena
la riflessione del poeta ormai adulto.
A Silvia è una canzone libera in versi endecasillabi e settenari variamente
rimati, divisi in sei strofe di differente lunghezza. Grazie a un uso sapiente
del lessico, in cui si alternato parole di uso comune e termini aulici, e una
sintassi scorrevole, in cui predomina la paratassi il testo risulta di facile e
immediata lettura. Le figure retoriche presenti sono le numerose
allitterazioni, metonimie «sudate carte» e «faticosa tela», e le metafore
come quella della battaglia contro la malattia e la morte della speranza.
Poesie moderne
William Shakespeare:
“All’amata”
Se leggi questi versi,
dimentica la mano che li scrisse:
Alda Merini: “Io sono folle
d’amore per te”
Emily Dickinson: ” Che sia
l’amore tutto ciò che esiste”
Io sono folle, folle, folle d’amore Che sia l’amore tutto ciò che
per te .
esiste
t’amo a tal punto
io gemo di tenerezza perchè
sono folle, folle, folle
È ciò che noi sappiamo
dell’amore;
che non vorrei restar
perchè ti ho perduto.
E può bastare che il suo peso sia
nei tuoi dolci pensieri,
Stamane il mattino era cosi caldo Uguale al solco che
se il pensare a me
che a me dettava quasi
confusione
ti facesse soffrire.
lascia nel cuore.
ma io era malata di tormento ero
malata di tua perdizione.
Anche al giorno d’oggi la tematica dell’amore è ampiamente analizzata e ricollegandoci a
quanto affermato nell’introduzione, questo sentimento viene affrontato in modo libero e
prettamente personale. Non esistono infatti schemi o stereotipi ai quali attenersi o fare
riferimento e ogni poeta sviluppa un proprio diverso concetto del tema dell’amore.
Amore bello-Claudio Baglioni
Cosi’ vai via
non scherzare no
domani via
per favore no
devo convincermi pero’
che non e’ nulla
ma le mie mani tremano
in qualche modo io dovro’
restare a galla
e cosi’ te ne vai
cosa mi e’ preso adesso?
forse mi scriverai
ma si e’ lo stesso
cosi’ vai via
l’ho capito sai
che vuoi che sia
se tu devi vai
mi sembra gia’ che non potro’
piu’ farne a meno
mentre i minuti passano
forse domani correro’
dietro il tuo treno
tu non scordarmi mai
com’e’ e’ banale adesso
balliamo ancora un po’
ma si e’ lo stesso
amore bello come il cielo
bello come il giorno
bello come il mare amore
ma non lo so dire.
amore bello come un bacio
bello come il buio
bello come Dio
amore mio
non te ne andare
perche’ e’ cosi’
no non e’ giusto
se e’ cosi’ se te ne vai
se te ne vai perche’ e’ cosi’
perche’ finisce tutto qui
tra poco andrai
un lento, l’ultimo oramai
e fare finta, che ne so
di essere matto
piangere urlare e dire no
non serve a niente, gia’ lo so
e’ finito tutto
e se tu caso mai
ma non mi sente adesso
balliamo ancora dai
ma si e’ lo stesso
amore bello come il cielo
bello come il giorno
bello come il mare amore
ma non lo so dire.
amore bello come un bacio
bello come il buio
bello come Dio
amore mio
non te ne andare
vai via cosi’
no non e’ giusto se e’ cosi’
sei bella sai
sei bella sai
vai via cosi’
finisce allora tutto qui
fra poco andrai
un lento, l’ultimo oramai
Il brano racconta l'ultima serata per due amanti, prima della partenza di lei.
Fra sentimenti dissimulati ("che vuoi che sia, se tu te ne vai") e disperati appelli
("domani via, per favore no"), la coppia si congeda con un ultimo ballo (tema
dell’addio).
Rispetto alle precedenti incisioni, Amore bello si presenta come un lavoro
più maturo, con un arrangiamento più "ampio" e sofisticato, con il
pianoforte suonato dallo stesso Baglioni ed una grande sezione d'archi.
Guerriero-Marco Mengoni
Elevo questa spada alta verso il cielo
Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
Solo sulla cima
Arriveranno in molti
E solcheranno i mari
Oltre queste mura troverò la gioia
O forse la mia fine comunque sarà gloria
Lotto per amore, lotterò per questo
Io sono un guerriero
Veglio quando è notte
Ti difenderò da incubi e tristezze
Ti darò certezze contro le paure
Per vedere il mondo oltre quelle alture
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
Con il mio mantello
asciugherò il tuo pianto
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere
Mai
Non temere il drago
Fermerò il suo fuoco
Niente può colpirti dietro questo scudo
Lotterò con forza contro tutto il male
E quando cadrò tu non disperare
Io sono un guerriero e troverò le forze
Lungo il tuo cammino
Sarò al tuo fianco mentre
Ti darò riparo contro le tempeste
E ti terrò per mano per scaldarti sempre
Attraverseremo insieme questo regno
Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente
Io sarò con te e sarò il tuo guerriero
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai
Ci saranno luci accese di speranze
Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo
Veglio su di te, io sono il tuo guerriero
Il brano parla principalmente della bellezza di avere qualcuno al
proprio fianco, al quale poter dire “non temere mai”. Quante volte
sarà capitato di vedere un nostro caro in difficoltà, in una situazione
difficile da sbrogliare: “Quando cadrò tu non disperare, per te io mi
rialzerò. Io sono un guerriero e troverò le forze, lungo il tuo cammino
sarò al tuo fianco mentre ti darò riparo contro le tempeste e ti terrò
per mano”. E’ un brano molto semplice nella sua complessità, che
parte lievemente con semplici accordi fino a crescere di intensità e
volume. Nel video il guerriero si identifica in una sorta di supereroe,
che salva un bambino nella sua difficile situazione familiare.
«DUE COSE CI
SALVANO NELLA
VITA: AMARE E
RIDERE. SE NE
AVETE UNA VA
BENE. SE LE AVETE
TUTTE E DUE SIETE
INVINCIBILI.»
Marina Latino, Sabrina Dodaro, Martina Iazzolino.
II C
Fly UP