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A.B. - Madre e figlio al finestrino di un`automobile Di Steve McCurry

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A.B. - Madre e figlio al finestrino di un`automobile Di Steve McCurry
A.B. - Madre e figlio al finestrino di un’automobile
Di Steve McCurry
Giudizio: corretto impiego della categorie bartesiane, con sintesi efficace. Ottimo.
La foto “Madre e figlia al finestrino di un’automobile” è stata scattata dal fotografo
americano Steve McCurry (l’operator) nel 1984 in un campo profughi del Pakistan. Essa
rappresenta una bambina afgana rifugiata in un campo profughi tra le braccia della
giovane madre. Ciò che caratterizza la fotografia è la mancanza della posa, quel “gioco
sociale” tanto criticato da Barthes, che ce la fa sembrare quasi una sorta di foto rubata, un
istante sottratto all’esistenza delle due protagoniste, che costituiscono lo spectrum,cioè il
soggetto. Esse, fotografate “per caso”, come se McCurry in mezzo al traffico
improvvisamente affascinato dall’immagine, avesse preso rapidamente la macchina
fotografica per immortalare la scena, ci rivelano la loro storia, la loro essenza umana. Di
conseguenza siamo di fronte al “grado zero” della fotografia: l’io coincide con l’immagine
e, proprio grazie alla mancanza della posa, non c’è la dissociazione dell’immagine che si
avrebbe altrimenti.
Lo spectator davanti ad essa si sente proiettato in un altro paese, all’interno di
un’automobile dai sedili in pelle, sotto la pioggia; egli è immobile, impotente davanti alla
richiesta di aiuto di una giovanissima madre.
Ciò che in prima istanza colpisce lo spettatore è il punctum, l’occhio destro verde di una
bambina dallo sguardo atterrito, stupito, impaurito da cui emerge la sua difficile vita, le sue
esperienze.
Di fronte ad esso l’osservatore si sente impotente, incapace e impossibilitato di tirare giù il
finestrino e allungare una mano, magari del denaro, o semplicemente di ascoltare, di
parlare con la bimba. Inoltre quello sguardo crea, da una parte, rassicurazione per
l’abbraccio materno, dall’altra, turbamento nel cuore e nell’animo per il background che sta
alle spalle delle protagoniste. L’occhio indagatore dello spectator cade poi sulla mano
della madre che, attraverso il finestrino, sembra voler instaurare un contatto, un’intesa
con lui.
Come afferma lo stesso McCurry, “quando su un volto è scavata qualcosa dell’esperienza
di vita, so che la foto che sto scattando rappresenta molto più del semplice momento. So
che qui c’è una storia”. Proprio una storia ci raccontano gli occhi della bambina e il sorriso,
quasi di circostanza, della madre: nonostante una giornata piovosa una giovane madre dal
sari color porpora si è messa in cammino con la figlia per le vie della città in cerca di
denaro o di cibo e nell’attraversare la strada si è imbattuta nel fotografo, che dall’interno
dell’auto assiste alla richiesta di aiuto, di elemosina e ne rimane colpito.
È forse questo ipotetico background, che Barthes definisce studium, questa astrazione ad
aver spinto l’operator a fare lo scatto; scatto che mette in luce la vita, gli abiti e le abitudini
che si respirano in Pakistan.
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