Incubo disoccupazione nell`Eden del denim Quel prete che cuciva i
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Incubo disoccupazione nell`Eden del denim Quel prete che cuciva i
totale.qxp 26/03/2010 16.48 Pagina 1 il Ducato L’inchiesta a Urbania La storia Il percorso Incubo disoccupazione nell’Eden del denim Quel prete che cuciva i pantaloni per ‘Jesus’ Cinque euro di stoffa in negozio sono 200 Lungo la strada statle 73 bis si alternano le aziende con nomi che richiamano al tessile. In quella che era “La valle del jeans”, però, sono rimasti solo i cervelli delle ditte, mentre la produzione è stata spostata all’estero. E solo nell’ultimo anno alle liste di mobilità del comune si sono iscritti in 104, 83 del settore manifatturiero. pagina 2 Ogni giorno partivano 40.000 paia di jeans con i cartellini dei marchi italiani più importanti: Pop 84, Carrera, Jesus. Erano gli anni ‘80. Oggi la produzione è stata spostata all’estero e di manodopera locale c’è sempre meno bisogno. Storia di un distretto industriale nato negli anni ‘50 per idea di un prete. Come un metro denim che costa 5 euro diventa un jeans da 200. Il passaggio chiave è in lavanderia: è lì che si deciderà il valore finale del pantalone. E per le produzioni più a buon mercato, c’è una trasferta in Romania dove però avviene solo il taglio. L’unica operazione rimasta in terra urbanese è lo stiro. a pagina 4 a pagina 6 totale.qxp 26/03/2010 16.48 Pagina 2 il Ducato DOSSIER Intere generazioni di urbanesi sono cresciute lavorando il denim Così la crisi fa le scarpe alla capitale del pantalone Tra fabbriche in fallimento e operai cassaintegrati. Viaggio nella ex “Valle del jeans” T arcisio Galavotti passeggia calmo in quello che è ancora il suo studio. Si affaccia dalla finestra e vede le macchine passare lungo la statale 73 bis. E' la strada che collega Urbania a Sant'Angelo in Vado e Mercatello sul Metauro, paesi che un tempo formavano la "Valle del jeans". Galavotti non si siede quasi mai mentre racconta gli episodi che hanno portato lui e il suo socio, Alessandro Giuliani, a chiedere lo stato di liquidazione con concordato preventivo sulla concessione dei beni della loro azienda, la Italian Fashion. "Ci sono due categorie di imprenditori: una investe sulla 'casa', cioè sull'arricchimento personale, l'altra sull'azienda per farla crescere e sviluppare sempre di più. Io e il mio socio facciamo parte di questa seconda categoria e abbiamo investito molto nella nostra società", dice con voce tranquil- la. Secondo il Cerved Group, società che valuta la solvibilità di imprese e persone, da gennaio a settembre 2009 in Italia sono state 664 le aziende che sono state costrette a chiedere lo stesso tipo di fallimento della Italian Fashion; il settore più colpito è quello manifatturiero dato che 53% di questi fallimenti ha riguardato imprese tessili. In questa classifica non proprio lusinghiera, le Marche sono la quarta regione, con 70 richieste. Sempre secondo il Cerved, nel solo trimestre agosto-settembre in Italia sono state aperte 1.735 procedure fallimentari. La ditta di Galavotti e Giuliani, era nata nel 1984 ad Acqualagna per commercializzare jeans. L'anno dopo si è trasferita ad Urbania e nel 2002 ha raggiunto il fatturato record di 23 milioni di euro, 11 dei quali grazie a Maggie, il marchio che aveva in licenza. Era il momento più florido dell'azienda che contava 65 dipendenti. L'anno prima era stata L’Italian Fashion fatturava 23 milioni nel 2003 L’anno scorso è fallita Il glossario Cassa integrazione ordinaria Garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo. E’ richiesta dalle aziende in momentanea crisi di mercato e può durare al massimo 13 settimane. Si percepisce meno dell’80% dello stipendio che è a carico dell’Inps Cassa integrazione straordinaria Può essere chiesta dalle aziende con più di 15 dipendenti in casi di crisi particolarmente rilevante o sogetta a fallimento o in riconversione. Ha durata diversa in base ai casi Liste di mobilità E’ dove vengono inseriti i lavoratori licenziati da imprese con oltre 15 dipendenti per cessazione, trasformazione o riduzione di attività. La durata dell’iscrizione è in base all’età del lavoratore (massimo 36 mesi) 2 presa la decisione di fare un investimento importante come la costruzione della sede in cui si trova attualmente lo studio di Galavotti: 1.500 metri quadri di uffici con una facciata che richiama le strutture delle industrie inglesi dell''800 e con gli interni in mattoncini rossi. Costo: 5 milioni di euro. Proprio per la spesa fatta per la struttura, i due titolari hanno ricevuto il premio per la "valorizzazione dell'entroterra" dalla Confindustria provinciale. Poi la discesa. Nel 2006 i dipendenti erano diventati 40 e il fatturato dimezzato. "Alcuni investimenti forse li abbiamo sbagliati, ma se ci troviamo in questa situazione è perchè non eravamo più competitivi sui costi. E per fortuna che avevamo due marchi in licenza, altrimenti molto probabilmente avremmo chiuso prima", dice Galavotti. "Io e il mio socio abbiamo chiesto un tipo particolare di fallimento perchè è quello che consente di garantire al massimo i creditori. Io quando esco per Urbania voglio camminare a testa alta. E non si pensi che per un imprenditore sia facile prendere questa decisione, ma non avevamo più altra scelta. E le banche non ci hanno aiutato". Ora qui arriverà una multinazionale indiana e questo diventerà il loro showroom e sede di rappresentanza. Non avranno bisogno dei 17.500 metri quadri di capannoni industriali pieni di macchinari che saranno ceduti per pagare i debiti. La produzione infatti rimarrà in Egitto. Egitto e nord Africa sono l'ultima frontiera delle delocalizzazioni. Prima si andava in Romania, ma ora comincia ad essere poco conveniente portare la produzione lì dopo che Bucarest è entrata nell'Unione Europea. Nel corso degli anni infatti da Urbania gran parte della produzione è stata spostata e ora non stanno che rimanendo facciate di uffici, alcuni anche progettate da architetti importanti. Ad Urbania c'è il cervello delle aziende, le braccia sono altrove. Per questo probabilmente Galavotti verrà assunto dalla nuova proprietà. "Per la mia esperienza nel settore. Hanno bisogno di figure professionali con il profilo come il mio, Magari più avanti mi faranno fare l'amministratore delegato", dice senza che nella voce si senta il disturbo di passare dalla situazione di imprenditore a quella di impiegato-salariato, anche se di ottimo livello. Oltre agli operai impiegati nella confezione dei pantaloni, a vivere una situazione di crisi sono anche tutti quelli impegnati nell'indotto: stirerie, lavanderie e ditte di trasporto. Poco più avanti rispetto la Italian Fashion c'è la Stir Control, stireria con 24 anni di storia alle spalle. "Qui una volta si lavorava tutto l'anno, oggi si va a stagioni: da metà novembre a febbraio e da maggio a luglio", dice il titolare, Giovanni Dini. I suoi dipendenti sono venti, ma ora a lavoro nel grande capannone sono solo dieci. "Faccio esaurire le ferie che hanno in arretratato, poi scatta la cassa integrazione a turno. Una settimana uno, la settimana dopo un altro". A partire dal settembre 2009, nei mesi in cui si lavora meno gli operai sono stati in cassa integrazione a gruppi di 5-6 alla volta. E questa situazione non riguarda solo la Stir Control. La Leontex è una lavanderia storica di Peglio, comune subito fuori Urbania. Negli anni Novanta aveva più di cento dipendenti, tra amministrativi ed Nel 2009 83 iscritti su 104 alle liste di mobilità urbanesi erano tessili A destra, la sede della Italian Fashion. L’azienda è fallita ed è stata acquisita da una multinazionale indiana. Sopra, la porta chiusa dell’outlet I numeri del lavoro operai e nel 1993 aveva un fatturato di 18,6 miliardi di lire. Oggi le persone che ci lavorano sono diventate una quarantina. "L'anno scorso abbiamo fatto 60-70 ore di cassaintegrazione a testa e la nostra azienda aveva esaurito quella ordinaria", racconta Fausto Falasconi delegato sindacale Cisl. "Nel 2009, 6-7 dipendenti sono stati messi in mobilità. Hanno tutti tra i 40 e i 50 anni. Alcuni non hanno ritrovato lavoro, altri si, ma di questi non mi pare che qualcuno lo abbia ritrovato nel tessile ", continua Falasconi. La musica non cambia se si ascoltano le parole di Adelinda Torcolacci, anche lei delegata Cisl, alla ditta Ganzo: “Noi siamo 45 operaie e una quindicina di tecnici. L’anno scorso abbiamo fatto tutti tre mesi di cassaintegrazione. E io, che la- Ore di cassa integrazione Straordinaria 2008 2009 Italia 113,2 milioni 578,1 milioni 109,8 milioni 339,9 milioni 223,1 milioni 918,1 milioni Marche 2,3 milioni 13,4 milioni 3,6 milioni 9,2 milioni 5,9 milioni 22,6 milioni Pesaro e Urbino 735 mila 4,8 milioni 23 mila 1,7 milioni 758 mila 6,5 milioni Iscritti liste di mobilità Pesaro e Urbino Urbania IL LIBRO Scritto dal professor Augusto Calzini nel 1995, è il libro gelosamente conservato da molti imprenditori e abitanti urbanesi perchè racconta la loro storia. Contiene molte informazioni sul distretto industriale del jeans, i profili delle industrie e dei loro creatori. Il testo è in italiano, ma riporta la traduzione in inglese nelle pagine a fronte. Totale 2008 2009 Ordinaria 2008 2009 2005 2006 2007 2008 2009 2.052 1.901 1.337 2.266 4.141 n.d n.d 24 62 104 I dati nazionali sono dell’Inps; quelli provinciali e comunali della provincia di Pesaro e Urbino voro part-time, sono andata avanti con uno stipendio di 550 euro. E’ normale che la prima spesa su cui si taglia è il superfluo. Ma io non voglio nemmeno lamentarmi, anche perchè so che ci sono situazioni peggiori della mia. La mia azienda aveva assicurato me e le mie colleghe che saremmo tornati a lavoro e per fortuna così è stato. Per quanto riguarda quest’anno, era stata nuovamente richiesta la cassaintegrazione, ma per ora siamo riusciti ad evitarla”. I lavoratori che perdono il posto si iscrivono alle liste di mobilità. E così hanno fatto anche quelli della Leontex. Ma non sono stati i soli. Nel solo comune di Urbania nel 2009 ci sono state 104 iscrizioni, di cui 83 provenienti proprio dal settore manifatturiero. Nel 2008 erano state 62 e l'anno prima solo 24. Ancora peggiore è la situazione se si guardano le ore di cassa integrazione. Quelle fatte dagli operai della Stir Control, della Ganzo e da quelli della Leontex vanno a sommarsi a un mare di ore che hanno interessato i lavoratori di tutte le Marche, ma soprattutto della provincia di Pesaro-Urbino. Nessun'altro territorio ha visto un aumento così forte di questo ammortizzatore sociale. Secondo la Confindustria provinciale a Pesaro-Urbino tra il 2008 e il 2009 le ore di cassaintegrazione, straordinaria e ordinaria, sono passate da 758.121 a 6.533.538. In percentuale il balzo è stato del 761%. Nello stesso periodo in Italia l'aumento è stato meno del doppio, cioè del 311% e nella Marche del 283%. "Speriamo - dice Falasconi che la situazione migliori. Dall'inizio dell'anno abbiamo fatto solo poche ore di cassa integrazione e per quanto riguarda la mia ditta è arrivata una nuova commessa che per il momento ci fa respirare". "Se negli anni- dice Galavotti fossimo stati capaci di creare un consorzio con un marchio proprio oggi non saremmo in questa situazione. Dovevamo formare un'unione tra imprenditori, ma non lo abbiamo fatto. Potevamo chiamarlo "La valle del jeans" e sono sicuro che molti grandi marchi avrebbero inserito nella propria collezione uno o due capi che venivano da questa zona. Qui però siamo abituati a guardare tutti al proprio orticello e in pochi hanno la cultura del marchio". Mentre dice queste parole, Tarcisio Galavotti è ancora alla finestra del suo studio, guarda fuori a vedere quello che ci sarebbe potuto essere e invece non c'è. 3 totale.qxp 26/03/2010 16.48 Pagina 4 il Ducato DOSSIER L’iniziativa messa in campo dal Comune Il personaggio Il pionere da cui tutto partì 54 anni fa E l’assessore aiuta l’operaio Il jeans sotto la tonaca Don Corrado Catani è il prete che ha portato a Urbania la prima macchina tessille industriale e da lì è iniziata l’industrializzazione del territorio. Tra alti e bassi Q uesta è una storia con un nome, un cognome e una data. Il nome è quello di don Corrado Catani, prete sui generis e con una doppia vocazione: quella ecclesiale e quella imprenditoriale. La data è il '56 con la guerra alle spalle e in pieno piano Marshall. Don Corrado, laureato alla "Scuola Cantorum" del Vaticano, tornò a Urbania da Roma con l'incarico di occuparsi dell'amministrazione dei beni ecclesiastici. Diventò esperto in materia fiscale e amministrativa e per queste sue competenze venne inviato a Modena dove c'era un convento di suore in difficoltà. Erano gli anni '50, la guerra era finita da poco e in Italia si parlava del segretario di stato americano George Marshall. Il governo statunitense infatti aveva studiato un piano per aiutare i paesi europei appena usciti dal conflitto mondiale. Anche in Italia quindi si imparò presto cosa significasse il suo nome: finanziamenti economici per la ripresa economica del Paese. Proprio grazie a questi soldi il convento femminile modenese aveva comprato delle macchine elettriche per cucire abiti per gli orfani. Il sistema che reggeva il convento venne però messo in crisi da un funzionario statale che contestò delle irregolarità fiscali. Il Vaticano mandò don Corrado che durante la sua visita notò le macchine industriali, così diverse da quelle che proprio lui aveva messo a disposizione delle donne urbanesi per conto dell'Opera Diocesana Assistenza. Erano vedove di guerra o con difficoltà di sussistenza a cui don Corrado aveva fornito macchine per cucire a manovella o a pedale. Perché quelle macchine non potevano essere usate anche a Urbania? Così la prima macchina 'moderna' arrivò nell'antica Casteldurante. Era il 1956 e, sempre grazie a don Corrado, arrivarono le commesse e si cominciò a lavorare. Renzo de Angeli ha attraversato la storia di del distretto industriale di Urbania, non solo metaforicamente. Ha lavorato presso diverse aziende, ha girato in macchina l'Italia per partecipare alle contrattazioni nazionali con l'associazione delle piccole e medie imprese del tessile e per questo si definisce "il sindacalista delle aziende". Oggi, dal suo studio di consulente del lavoro, torna indietro con la mente per raccontare degli anni passati, quando era collaboratore del maggiore protagonista di questa vicenda, don Corrado appunto. "Questo è un territorio che vive di mode. Se uno fa una cosa poi molti lo seguono. Era avvenuto già precedentemente con l'allevamento delle galline ovaiole. Poi venne la fase dell'industria". Così i capannoni che fino a quel momento erano stati pieni di galline ruspanti, ora vengono occupati da macchine per cucire. Nulla sarebbe iniziato, però, senza don Corrado. Chi lo ha conosciuto dice di lui che era unprete sui generis. "Era un manager - racconta Igino Silvestri che ha lavorato per molti anni con lui - e quando diceva messa non faceva la predica. Ma quando eravamo in giro si fermava spesso per pregare. Col fatto che era delegato per la contrattazione sindacale della Uniontessile viaggiavamo molto insieme. Guidava sempre lui e non si sapeva mai quando si tornava a casa. La madre i primi tempi si preoccupava, ma poi ha smesso. Anzi gli sembrava strano quando quelle poche volte che è accaduto, ha visto il figlio tornare alle 19.00", racconta Igino. Negli anni è apparso un articolo su di lui pure sul settimanale inglese "Time". Per un periodo Don Corrado, morto poi nel 1991, produsse i jeans anche per il marchio "Jesus", così spesso si sentiva dire che era "il prete che faceva i pantaloni a Gesù". "All'inizio la produzione riguardava abiti e non jeans. La lavorazione del denim arrivò in Di lui si dice che aveva una doppia vocazione: religiosa e da imprenditore 4 A sinistra, in piccolo, una foto di don Corrado Catani con alcune donne impegnate nella cucitura con macchine elettriche; al centro, un grande macchinario per il lavaggio dei jeans. Le dimensioni maggiori di queste macchine furono introdotte nelle aziende urbanesi un secondo momento, intorno alla metà degli anni '70", ricorda De Angeli. Le prime industrie che nacquero erano faconiste, vivevano cioè delle commissioni che i grandi marchi facevano. Molti dei jeans Carrera che poi andavano a finire nei negozi di tutta Italia partivano da Urbania. E con l'arrivo delle grandi commissioni, intorno alle produzioni del pantalone fiorì l'indotto. Stirerie soprattutto, ma anche lavanderie e ditte di trasporto. Generazioni di urbanesi hanno portato a casa il doppio stipendio, moglie e marito, grazie al lavoro sul jeans o intorno ad esso. Da qui sono partite molte innovazione sui processi di lavorazione. Il denim è un tessuto 'duro' e prima di trasformarsi in pantalone ha bisogno di essere lavato e ammorbidito. E a Urbania hanno cominciato a farlo e l'hanno fatto meglio di altri. Per queste operazioni venivano usate grandi lavatrici, asciugatrici ed essicatoi dove venivano messi i pantaloni ancora piegati. Per quanto fossero grandi questi macchinari, i jeans rimanevano compressi e non si ammorbidivano di molto. Da qui l'idea di fare tutto più ampio in modo che i pantaloni quasi 'volassero' dentro. I primi cesti delle lavatrici vennero commissionati in Germania, perché nessuno in Italia era in grado di farli. "L'assemblatura dei pezzi in- Stone wash e sabbiatura sono alcune lavorazioni ideate in questa valle vece fu fatta da un meccanico di una ditta di Urbania, la Leontex, così come la rivestitura esterna fatta da un fabbro con delle lamiere tagliate e unite con delle viti, in maniera molto artigianale. Infatti dopo quattro mesi di lavoro da fuori lo stabilimento si sentiva il rumore, non per il motore o per il cesto dentro, ma perché si stavano allentando le viti", racconta De Angeli. Con questa nuova lavorazione le commesse aumentarono. "Nessuno - spiega De Angeli faceva i jeans morbidi come noi e senza le strisce che rimanevano prima perché restavano appiccicati". Intorno agli anni '90 le lavanderie urbanesi erano in grado di eseguire 50 diversi tipi di lavorazione, alcuni inventandoli di sana pianta. Lo stone wash e la sabb i a t u ra s o n o state messe appunto in questa valle. "Si mettevano a lavare con delle vere e proprie pietre, spesso di pomice, che sfregando sul tessuto creavano delle striature; la sabbiatura invece consiste nello "sparare" la sabbia con delle pistole ad aria compressa sul pantalone per creare delle sfumature marroncine", racconta De Angeli. Tra il 1984 e il 1985 da Urbania partivano 40.000 pezzi al giorno, tutti di marchi importanti: Pop 84, El Charro, Trussardi e soprattutto Carrera. Proprio l'importanza di questi committenti, paradossalmente, negli anni si trasformò nella debolezza del distretto. "Molte ditte erano in balia delle commesse, soprattutto di Carrera che aveva sempre il termometro della situazione grazie a persone di fiducia che riusciva ad inserire nei consigli d'amministrazione delle aziende locali", ricorda De Angeli. Così molte ditte fecero uno sforzo in più. Fornivano ai clienti il prodotto finito e inscatolato. Questo già accedeva precedentemente in realtà, ma senza l'accuratezza che si cercava ora. Si era passati dal caricare i tir di jeans imbustati, a inscatolarli per modello, taglia e con l’etichetta sul pacco che indicava la destinazione finale. Nonostante l'impegno, il sistema entrò in crisi: la committenza spesso era una monocommittenza e non era più redditizia. Solo pochi imprenditori sono riusciti a realizzare un marchio proprio, come Jeckerson, ideato da Franco Stocchi. Il resto è storia di oggi con il trasferimento delle produzioni all'estero, in Romania soprattutto. E il sogno mancato della realizzazione di un consorzio cheriunisse le aziende e che avrebbe consentito di reagire meglio ai periodi di crisi, come l'ultimo. "Anche don Corrado provò a farlo - ricorda Igino Silvestri - e se non c'è riuscito lui…" Da Urbania partivano 40.000 pezzi al giorno per marchi nazionali e internazionali I Jeckerson e la pubblicità dello scandalo Storie made in Urbania ALCUNI MARCHI PRODOTTI A URBANIA CARRERA Nasce a metà degli anni ‘60 in provincia di Verona TRUSSARDI Nasce a Bergamo nel 1911 come azienda di guanti JECKERSON Nasce a Urbania nel 1995 dal binomio Stocchi-Chionna L 'idea di un golfista, sponsor un dj, il coraggio, e i soldi, di un imprenditore. Così è nato il marchio Jeckerson. L'intuizione venne ad Alessandro Chionna sui campi da golf. I golfisti infatti hanno bisogno di asciugare le mani per avere maggiore sensibilità. Da qui l'idea di mettere una toppa in alcantara sulla coscia senza perdere tempo nel cercare l'asciugamano nella borsa. Carlo, fratello di Alessandro e nel giro del tessile, arrivò ad Urbania per commissionare il modello alle ditte produttrici. Senza ricevere risposte entusiastiche. Carlo infatti era un tipo stravagante, coi capelli lunghi, che faceva anche il dj e soprattutto senza una società alle spalle che garantisse il pagamento della commessa. Molti imprenditori quindi rifiutarono la proposta. Inizialmente anche Franco Stocchi, proprietario della Blue Line, che però ci ripensò. E così i due costituirono la Fashion Time. I jeans piacevano e i soldi entrarono. E arrivarono pure i litigi. Il binomio StocchiChionna si ruppe. Per liquidare il socio, Stocchi valutò la metà del valore del marchio 9,2 milioni di lire. Chionna accettò e fece un altro marchio che chiamò proprio 9.2. Una beffa se si pensa che nel 2007 il marchio ha fatturato 48 milioni di euro. Nel maggio 2008 Stocchi ha ceduto il brand a un fondo inglese, Stirling Square Capital e Sirius Equity, per circa 140 milioni di euro. P er un periodo ad Urbania, e non solo, circolò una voce: don Corrado faceva la pubblicità ai jeans Jesus. Lui li produceva, certo, ma quella della promozione era tutto un equivoco. "Un giorno don Corrado - racconta Renzo de Angeli, che è statosuo collaboratore - partecipò a una trasmissione televisiva su un'emittente francese. Il conduttore "A d Urbania gli amministratori d a n n o l'esemp i o " . Queste parole sul sito internet dell'amministrazione annunciano l'iniziativa del Comune per aiutare i lavoratori in difficoltà. Gli stipendi, o meglio i gettoni di presenza, degli assessori e del presidente del consiglio sono finiti dritti in un fondo per aiutare le persone disagiate. Anche i consiglieri hanno contribuito, ma solo quelli di maggioranza. "A Natale avevamo raccolto 6.000 euro e abbiamo indetto il bando a cui hanno risposto 36 famiglie con l’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, pari o inferiore a 9.000 euro. Siamo riusciti a soddisfare tutte le richieste consegnando buoni spesa con valori variabili tra i 100 e i 200 euro". Loretta Carnevali, assessore alle Politiche sociali, racconta questa proposta: "E' una di quelle iniziative concrete che avevamo promesso in campagna elettorale per combattere la crisi e l'abbiamo mantenuta. Ad oggi il fondo è esaurito, ma rimane attivo. Ap- pena avremmo accumulato 34.000 euro faremo iniziative diverse, come borse lavoro per cassaintegrati o disoccupati". Per questa volta hanno partecipato solo la giunta e gli assessori, ma nel futuro anche aziende o singoli cittadini potrebbero contribuire a formare un buon gruzzolo: "Manderemo delle lettere agli istituti di credito, agli esercizi commerciali, alle imprese per fare in modo che questa iniziativa sia presa sempre più sul serio". A chiedere un aiuto al Comune sono state spesso famiglie monoreddito, o in cui entrambi i coniugi si sono trovati senza lavoro oppure famiglie numerose. "Molte persone che in questi anni hanno perso il lavoro e si sono trovate in difficoltà sono operai che lavoravano nel tessile". Proprio da questo settore provengono molte richieste: "La crisi non è ancora finita. La Provincia e la Regione aiutano e agevolano la creazione d'imprese, però si fa fatica soprattutto in una piccola realtà, dove è ancora più faticoso". Il settore tessile non è più quello di una volta ed è difficle individuarne uno nuovo per rilanciare l’economia urbanese. Per ora ci pensano gli assessori. LA STORIA IN TAPPE Origini Forse nati a Genova dove veniva esportato un tipo di fustagno blu che serviva per le vele delle navi. Il termine inglese blue-jeans infatti si pensa derivi dalla frase bleu de Gêne (blu di Genova) 1850 In America la comunità mineraria richiede un paio di pantaloni da lavoro resistenti e durevoli. Anni ’50 Arriva in Europa indossato dalle armate americane vincitrici del conflitto mondiale appena concluso. Il boom arriva con il cinema e il rock'n'roll che li fanno entrare nelle case Anni ’60 Diventa l'indumento della ribellione giovanile. Il '68 e le rivolte scelgono il blue jeans come uniforme gli chiese cosa pensasse del manifesto che pubblicizzava il modello Jesus corto indossato da una ragazza a cui avevano fotografato solo il di dietro. Lui rispose che era un bel vedere. Alcuni capirono che era un bel sedere. E su questa battuta e sul fraintendimento si è creata la voce che facesse la pubblicità". Oggi si direbbe pubblicità occulta , ma don Corrado non vide un Anni '80 La tendenza yuppie impone il jeans firmato. Nascono i marchi che segneranno le mode successive Anni '90 I modelli di jeans sono sempre più numerosi: “finto trasandato”, con applicazioni colorate di altri materiali, e di modelli con inserti di pizzo e strass 5 totale.qxp 26/03/2010 16.48 Pagina 6 il Ducato DOSSIER A destra, strati di tessuto denim accatastati Si parte da un magazzino a Fermignano, si torna a Urbania dopo due mesi “Vi dico come divento un jeans” Un metro di denim da cinque euro diventa un pantalone da 200 in sei operazioni S Si parte da un rotolone di denim; un metro di stoffa costa 5 euro Il disegno del pantalone puà essere fatto in azienda o può essere proposto direttamente dal cliente committente Il taglio è un’operazione semplice; alcune aziende lo fanno all’estero per risparmiare sul costo della manodopera 6 alve, sono un pantalone. O meglio, so già che 'da grande' lo sarò. Precisamente diventerò uno di quei pantaloni azzurr i con delle striature. So che mi chiameranno jeans. Per ora sono lungo solo un metro e faccio parte di un rotolone di denim stipato dentro un grande magazzino della zona industriale di Fermignano. Insieme a me ci sono altri 6-700 mila metri di tessuto. Per ora il mio costo è limitato. Si aggira intorno ai 5-6 euro. Per crescere non impiego t a n t o t e m p o. Due mesi circa e sarò un bel pantalone e il mio valore sarà circa 30 volte maggiore. E in questo periodo avrò anche la possibilità di viaggiare. Ma andiamo in ordine. Per ora me ne sto in uno stabilimento a Fermignano insieme a tanti altri metri di denim. Magari proprio in questo momento, mentre parlo con voi, un cliente è nella sede centrale dell'azienda che mi possiede per commissionare uno stock di pantaloni di cui farò parte. Non so se il cliente è arrivato qui in provincia di Pesaro-Urbino già con un'idea precisa del taglio e del modello oppure chiederà all'azienda di studiarne uno per conto suo. Io intanto devo superare dei test di routine e aspettare cosa vorranno fare di me. Se il cliente mi vuole in tempi rapidi andrò in Romania; se invece è disposto a spendere un po' di più e avere un prodotto di maggiore qualità resterò qui in Italia. Come faccio a crescere più rapidamente pur dovendo andare a 1850 km chilometri di distanza, vi starete chiedendo. Il tempo che impiego per andare e tornare viene recuperato grazie alla maggiore flessibilità che il mondo del lavoro rumeno garantisce. Che io vada in Romania ci sono il 50% delle possibilità. Infatti, mediamente, la metà delle operazioni di taglio avviene in Romania, l’altra in Italia. Se dovessi andare nella Terra di Dracula, quindi verrò solo tagliato. Per tutti noi piccoli metri, la cucitura invece avviene ancora a Fermignano. Nel frattempo il mio valore sarà aumentato: le operazioni di taglio e cucito incidono per il 20% su quello che sarà il mio prezzo finale. Poi per me ci sarà una delle operazione più importanti e che deciderà gran parte del mio valore: il lavaggio. E' qui che si stabilirà se sarò un pantalone di qualità media, da indossare tutti i giorni o se sarò uno da mettere in occasioni in cui far fare una bella figura a che mi indossa.Probabilmente andrò in una lavanderia del centro Italia, quasi sicuramente in Campania. Qui ad Urbania infatti la società cui appartengo lavora solo con una lavanderia. Poi sarò stirato e questo avverrà sicuramente qui ad Urbania. Un'operazione semplice che inciderà per un altro 10% sul prezzo finale. Ed eccomi qui. Sono diventato un bel pantalone. Se il mio è un cliente importante e mi metterà un cartellino molto conosciuto potrei arrivare a costare anche 200 euro o di più. Se sarò nella media arriverò a 120-150 euro. Fino a 4 anni fa, quando non c'era la crisi di cui tutti parlano, sarei potuto arrivare a costare anche 400. In tutto ciò, c'è anche il margine di guadagno della società che materialmente mi ha prodotto. Ma questo non ve lo dico quant'è. Per ora sono qui e aspetto il mio turno. Prima poi arriverà e magari arriverò in uno dei vostri armadi. Arrivederci a presto, quindi. “Sono un pezzo di stoffa e forse entrerò in uno dei vostri armadi” In lavanderia è il passaggio che incide di più sul valore finale. Il lavaggio influisce sul 50% del prezzo Dopo le rifiniture il jeans è pronto. Le ditte urbanesi si sono specializzate nel fornire un prodotto già inscatolato Arrivato in negozio il prezzo del pantolone è lievitato. I modelli più lavorati costano anche 200 euro