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Zazen non è una meditazione, e nemmeno una forma di
www.ilcerchiovuoto.it
editoriale
"Non cucire gusci di conchiglie o piume di gufo"
Shodo e arte
Il valore della ricerca
La fiducia e la cura
notizie in breve
attività dojo
altre attività
newsletter ottobre-novembre-dicembre 2015
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7/10 ore 19:30
14/10 ore 19:30
21/10 ore 19:30
21/10 ore 20:30
Total Zen Beginners (**)
Total Zen Beginners
Total Zen Beginners
Cerimonia commemorazione
Maestro Daido Strumia
30/10-1/11
sesshin (*) a Prà del Torno
4/11 ore 19:30
Total Zen Beginners
11/11 ore 19:30
Total Zen Beginners
18/11 ore 19:30
Total Zen Beginners
22/11 7:20-16:30 sesshin (*) a Torino
25/11 ore 19:30
Total Zen Beginners
8/12 ore 21 circa cerimonia Jodo E (***)
9/12 ore 19:20
Dampi sesshin (****)
20/12 7:20-16:30 sesshin (*) a Torino
(*) i sesshin (ritiro intensivo) sono aperti a tutti previo
contatto con la segreteria del centro.
(**) inizia un ciclo di lezioni su "I principi fondamentali
del Buddha Dharma".
(***) celebrazione in ricordo del Risveglio di
Shakyamuni Buddha al sorgere della stella del mattino.
(****) veglia per ricordare il Patriarca Hui Ko (487 593). Seguirà programma dettagliato dell'incontro di
pratica.
Tutte le attività richiedono una prenotazione da inviare
a "[email protected]" o contattando la segreteria.
Yayoi Kusana, Infinity Nets
Zazen non è una meditazione,
e nemmeno una forma di concentrazione mentale.
Zazen è qualcosa di simile ad un'immersione,
immersione in quelle profondità dove tu-io scompaiono
ed appare in tutta la sua risplendente chiarezza
l'essenza delle cose di questo mondo.
Massimo Daido Strumia
Il disincanto sembra essere la cifra della nostra attualità, ma solo
apparentemente. Nonostante il processo di secolarizzazione abbia
portato a un progressivo allontamento da posizioni dogmatiche e
aprioristiche in ambito religioso, riemerge sempre più prepotente
il sentimento del sacro.
“Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un
momento della storia della coscienza. L'esperienza del sacro è
indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall'uomo per costruire
un mondo che abbia un significato”1.
Il sacro sta riprendendo potentemente piede, anche se le
modalità con cui questo fenomeno si manifesta, sono molto
distanti da visioni dottrinali, intellettuali o morali: ciò che
sembra interessare maggiormente è un fatto concreto che si
esprime nella ricerca di luoghi di esperienza e di coinvolgimento
personali, una tensione interiore a cui non si può pensare,
continua a pag. 2
neppur lontanamente, di far fronte
con i modelli di spiritualizzazione che
vanno per la maggiore.
Come è possibile snaturare la nostra
domanda di significato, e quindi di
sacro, con strumenti di ricerca così
miseri e inadeguati?
Come è possibile credere, anche per
un istante, all'efficacia di goffe e
infantili offerte di tecniche di benessere psicofisico, camuffate da improbabili, quanto superficiali, verità?
Forse è il momento di fare ritorno a
un'esperienza originale del sacro,
comprendere che ci aspettano spazi
infiniti, non necessariamente quelli a
cui la nostra finitezza ci ha abituati.
“Pregare è ricercare il senso della vita”:
l'enunciato di Wittgenstein ci orienta
a un “come”, non tanto a un “cosa”
possa dare senso alla nostra esistenza.
Ci suggerisce che la forma che può
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saturare l'esigenza di senso, non vada
cercata in percorsi teorici o filosofici,
né tantomeno in pseudopratiche
spirituali.
Ci indirizza a ricercare l'esperienza
estetica di luoghi che non siano un
astrarsi dalla vita per dare senso alla
vita, ma espressione di momenti extraordinari che restituiscano senso
all'ordinario, senza però che ciò
implichi l'uscita dal mondo.
Abbiamo bisogno di luoghi dove
sospendere l'eccesso di linguaggio, la
tendenza bulimica, per far posto a
spazi di silenzio non ordinari, dove il
senso, luogo della mente, e la
sensibilità, luogo del corpo, ritrovino
l'unità originaria, restituendoci rinnovati alla pienezza della nostra vita.
È shikantaza, la preghiera silenziosa,
atto religioso per antonomasia, perché
non dipende dalla mia coscienza, ma è
“(...) un sentire anticipato”2, trasmesso
da Buddha a Buddha, da Patriarca a
Patriarca.
“(...) impara il passo indietro, rivolgi lo
sguardo a ciò che veder non puoi, e sarà
del corpo e della mente dolce trasfigurare
e manifesto dell'origine il volto”3.
1- Mircea Eliade, nel suo discorso
pronunciato al Congresso di Storia delle
religioni, Boston 1968
2- Giorgio Bonaccorso, in Antropologia del pregare
3- Dōgen Zenji, Fukanzazengi, L'universale virtù dello zazen, in Sutra Zen
tradotti dal rev. F.Taiten Guareschi
Domenica 27 settembre, alle 10 del
mattino, nella Sala conferenze del
“Polo Lombroso16”; nell'ambito di
Torino Spiritualità 2015, una dozzina
di persone sono convenute per partecipare al “Laboratorio di Cucitura
dell'Abito del Buddha”. Perlopiù
donne, ma non solo, perlopiù di mezza
età, ma anche giovani, hanno
sperimentato per un paio d'ore la
Cucitura.
Che cosa, di questa attività, le ha
attirate tanto da preferirla ad altre
possibili, come la lezione di Tai-chi
che si stava svolgendo in contemporanea sul prato/terrazzo adiacente, o altri eventi ben più in vista,
programmati per la mattinata in altri
luoghi della manifestazione?
Sull'abstract di presentazione dell'incontro hanno potuto leggere: “Un punto
dopo l'altro, coordinando movimento,
respirazione e concentrazione, mettiamoci
nella condizione di liberarci dai pensieri
illusori e tornare alla vivida realtà della
Vita proprio qui, proprio ora”.
Seduti ai tavoli allineati lungo le finestre,
seguendo sullo schermo l'avvicendarsi
delle immagini raccolte dal rev. Elena
Seishin Viviani per la conferenza sull'Okesa tenuta al MAO nel 2013, e
ascoltando le spiegazioni su un O-kesa
aperto ed esposto, hanno appreso come
quest'Abito, da semplice veste realizzata
poveramente da coloro che avevano
scelto di abbandonare il mondo per
dedicarsi alla vita spirituale, cucendo
insieme pezze di stoffa trovate lungo le
strade, abbandonate perché considerate
impure, sia diventata, per volontà e su
indicazione del Buddha, l'autentico
mezzo della Trasmissione dal Buddha ai
discepoli, arrivato fino ai nostri giorni
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passando da maestro a discepolo, di
generazione in generazione, “come
molecole dello stesso organismo, sempre
rinnovate ma sempre uguali”2. E quindi
hanno potuto apprezzare l'importanza
di questo Abito, che trascende molto
l'oggetto materiale e ne fa un oggetto di
culto.
Poi è iniziata la parte pratica, lo
sperimentarsi con il punto.
All'inizio, regnava il normale chiacchiericcio di quando ci si cimenta tutti
insieme in un'attività che non si conosce,
e in cui ogni attimo, ogni passaggio
richiede una spiegazione in più, un
consiglio, un commento, un incoraggiamento. I punti sulle righe bianche
degli imparaticci procedevano incerti,
irregolari, troppo grandi, troppo piccoli,
troppo fitti, troppo distanziati. Ma a
poco a poco, un punto dopo l'altro, tutto
si è quietato; ognuno si è concentrato
sul proprio lavoro, sull'ago che deve
essere fatto entrare e uscire dalla stoffa
con un'angolazione ben precisa rispetto
alla riga di riferimento, sui punti che
devono
mantenere
una
certa
dimensione e distanza tra loro. Finché il
punto ha cominciato a “farsi da sé”,
quando la tensione del “dover fare” si è
annullata nel semplice seguire la mano,
ormai libera nel gesto, perché
spontaneamente, inconsciamente, si è
verificata quella coordinazione tra
movimento, concentrazione e respirazione che spegne i pensieri illusori ed è
la condizione per “tornare alla vivida
realtà della Vita, proprio qui, proprio ora”.
Al termine, il commento più comune
è stata la sorpresa per il silenzio e la
concentrazione che, dopo la prima
mezz'oretta, ha coinvolto tutti, e il
senso di “pacificazione” che ne era
derivato. Veniva anche osservato il
punto sui vari imparaticci, e si notava
come nel giro di pochi minuti fosse
cambiato, si fosse stabilizzato, avesse
assunto una dimensione e un ritmo
preciso; non la perfezione, ma l'essere
totalmente nell'azione. (C. G.)
La Cucitura dell'Abito si pratica all'Enku Dojo ogni martedì dalle h
16,00 alle h 19,00.
Una domenica al mese, incontro
intensivo dalle h 9,30 alle h 18,00.
Prossimi incontri previsti:
- 18 ottobre
- 29 novembre
Per informazioni e prenotazioni,
telefonare al 333.5218111
1- tratto dal Vinayapitaka, il canone
dei monaci buddhisti
2- da M° Taisen Deshimaru Le livre du
Kesa dispensa a cura dell'Association
Zen Internationale.
dipinto di Muqi Fachang
A rigore, lo Shodo, la “Via della
scrittura”, si limita alla scrittura dei
caratteri.
Però l'origine stessa della forma dei
caratteri, i kanji, che nasce e si evolve
dai pittogrammi, contiene in sé una
rappresentazione pittorica dei concetti
espressi, quindi una valenza grafica e
visiva molto più evidente dell'equivalente nelle scritture alfabetiche o
fonetiche.
E anche l'estensione fonetica giapponese, i cosiddetti kana, nati come
costola dai kanji cinesi, ha mantenuto la
forma grafica, quindi la potenza visiva.
Quando poi i kanji esprimono concetti
astratti, lo sforzo di trovare una
rappresentazione grafica li rende particolarmente densi di immagini visive.
Un bell'esempio di ideogrammi che
rappresentano concetti “astratti” con
immagini pittoriche, è “Virtù” (in
cinese “dè”, in giapponese “toku”) è
rappresentato come “camminare lentamente”, associato ai caratteri che
rappresentano “dieci”, “occhio” e
“cuore”: la strada della virtù è sotto il
controllo di dieci occhi e del cuore.
Con queste premesse, era abbastanza
naturale che la scrittura venisse
utilizzata come una forma di arte
grafica vera e propria, e che venisse
adattata per rappresentare, non solo
attraverso il contenuto, ma anche attraverso la forma del tratto, il significato, lo spirito di opere poetiche.
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Issue
Questa esplorazione ha prodotto nei
secoli esempi meravigliosi, a volte
arricchiti con immagini pittoriche vere
e proprie, in cui il testo di una poesia
diventava anche un'opera d'arte visiva.
I brani più spesso usati in Giappone
erano gli haiku, poesie molto brevi,
composte da 17 sillabe su tre versi, che
utilizzavano immagini visive, spesso
ispirate alla natura, per esprimere
sentimenti personali.
Uno dei più famosi è un haiku della
poetessa Chiyo-ni, vissuta nella
provincia di Kaga nel 18° sec., di cui
esistono alcune belle rappresentazioni
sia strettamente pittoriche, sia miste
pittoriche-calligrafiche, o strettamente
grafiche. L'haiku è il seguente:
Oh! Il convolvolo la secchia è prigioniera
andrò a chiedere dell'acqua
(traduzione di Massimo Beggio, tratta
dal suo libro "Forse l'Autunno. Le cento
stagioni dell'haiku", edito da Bellavite)
Anche il famosissimo haiku di Basho
Un vecchio stagno un tonfo - una rana
rumore d'acqua
(tratto dallo stesso testo)
è stato rappresentato dall'autore associando testo e immagine.
Matsuo Basho
Infine, il già citato Matsuo Basho,
aveva sviluppato uno stile di scrittura
estremamente fluido e morbido. Qui
riportiamo un esempio di un suo testo,
arricchito con la pittura di un suo
allievo. (D.P.)
Matsuo Basho e allievo della sua scuola
schizzo della secchia - Chiyo-Ni haiku
Museum
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Buddha mostrò il fiore...solo Mahakashapa sorrise:
la nascita del lignaggio Zen Sōtō
A partire da giovedì 22 ottobre riprende, con cadenza quindicinale, il ciclo di teisho tenuti dal rev. Elena Seishin
Viviani. Tema degli incontri Denkōroku, la Trasmissione della Lampada, di Keizan Jōkin Zenji (1268-1325).
Iniziati nel 2012 con i principi della pratica e della dottrina del Buddha Dharma in India, sono proseguiti nel 2013
col passaggio e il radicamento dell'Insegnamento di Shakyamuni Buddha in Cina, nel 2014 con l'introduzione del
Buddhismo in Giappone; e nel 2015 con le figure di Eihei Dogen Zenji e Keizan Jōchin Zenji, Patriarchi della
Scuola Zen Sōtō.
Gli incontri, dalle 20:00 alle 21:30, saranno preceduti dalla pratica di zazen dalle 19:20 alle 20:00.
La partecipazione è aperta a tutti i praticanti dell’Enku Dojo che si siano iscritti presso la segreteria
dell’Associazione "Il Cerchio Vuoto".
È possibile anche la partecipazione di esterni, previo colloquio con l’Insegnante.
Fermati!
Io mi sono fermato.
“(...) Angulimāla, io mi sono fermato per sempre,
mi astengo da ogni forma di violenza nei confronti degli esseri viventi,
ma tu non hai controllo nei confronti di ciò che vive:
questa è la ragione per la quale io mi sono fermato e tu non ti sei fermato!”
Angulimāla Sutta
Il discorso di Angulimāla
Majjhima Nikayā
Buddha, Odilon Redon
Nell'ambito degli incontri dei Total Zen Beginners, il rev. Elena Seishin Viviani terrà un ciclo di lezioni su Buddha e il
suo Insegnamento.
Ogni mercoledì dalle 19:30 alle 21:00.
Si prega di arrivare puntuali, almeno 10 minuti prima dell'inizio.
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L'interessante incontro “Un atteggiamento speciale. Dialogo in libertà
tra un matematico e un maestro Zen”,
svoltosi al “Polo Lombroso16”
durante la manifestazione dei Centri
U.B.I. torinesi nell'ambito di Torino
Spiritualità 2015, ha evidenziato
similitudini e differenze che caratterizzano il tema generale del
rapporto tra scienza e pratica
buddhista.
Innanzitutto, nella scienza, l'importanza fondamentale del dubbio che
consente di sviluppare una ricerca
originale
tramite
un'assunzione
completa di responsabilità da parte del
ricercatore nel garantire un impegno
costante e appassionato senza cadere
nella trappola dell'autoreferenzialità e
del senso di superiorità.
La capacità di andare controcorrente
e di muoversi al di fuori degli schemi
convenzionali porta a rischi d'insuccesso, delusioni e smacchi (“facciate”, come sono state chiamate
nell'incontro), ma nel contempo dà
la possibilità di scoprire vie nuove,
assolutamente inaspettate, con la
gioia che deriva da ogni opera
creativa.
Il metodo galileiano fornisce, sì, una
linea guida rigorosa che il ricercatore
non può ignorare, ma la sua mente
deve essere duttile e flessibile per
cogliere quelle improvvise discontinuità che, sempre, hanno favorito il
nascere di nuove metodologie
d'indagine e il verificarsi di grandi
scoperte.
A questo proposito, il neuroscienziato
Stuart Firenstein, professore alla Columbia University, tiene da tre anni,
con grande successo, un seminario dal
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Stavo solo strofinando dei bastoncini per divertirmi
- Non ho capito che stavo facendo ricerca di base.
titolo piuttosto insolito: “How Ignorance Drives Science”.
Lo scopo è quello di cercare di
spiegare perché il lavoro del
ricercatore in laboratorio sia così
eccitante rispetto a ciò che si riesce a
trasmettere già codificato e sistematizzato agli studenti durante i
corsi.
Secondo Firenstein, ciò è dovuto
principalmente all'attitudine aperta e
curiosa che contraddistingue il piacere
della ricerca, spesso caratterizzata da
percorsi tutt'altro che lineari, ma
zigzaganti e pieni di retromarce,
brusche svolte, rallentamenti e accelerazioni che, comunque, non
spengono la passione e la dedizione
dello scienziato.
Alcune di queste caratteristiche si
ritrovano anche nella pratica, benché
l'angolo visuale sia assai diverso.
Senz'altro il dubbio, che ci difende dalla
certezza di aver raggiunto qualcosa di
definitivo, che invece si fa impalpabile
appena cerchiamo di definirlo.
L'andare controcorrente, che può
voler dire nuotare contro l'idea che
abbiamo di noi stessi e contro i ruoli
che ci piace ricoprire, per trovarci,
poi, in una corrente molto più vasta e
impetuosa, che ci sconcerta e ci
spaventa.
Ma, soprattutto, la passione, che ogni
volta ci porta di nuovo a sederci e a
ricominciare quella storia che è così
difficile raccontare ad altri, perché è
basata su un fiducioso coinvolgimento
di noi stessi in toto, cuore e corpo,
“nervi, midollo e ossa” (M.S.)
Da diverso tempo sento parlare di
“fiducia”; anche nel corso di quest'ultima edizione di Torino
Spiritualità, un intervento era centrato sul concetto di fiducia (“Il respiro
della fiducia”, intervento di Carla
Gianotti). È sempre trattato come
un argomento carico di significati
ampi ed elevati.
Spesso, poi, si discute se “fiducia” e
“fede” possano essere accomunate o
distinte, e si sceglie il primo termine,
forse perché meno ingombrante del
secondo, meno carico di valenze
religiose, e quindi meno impegnativo.
Nell'Enciclopedia
Treccani,
il
termine “fiducia” è descritto così:
“Atteggiamento, verso altri o verso sé
stessi, che risulta da una valutazione
positiva di fatti, circostanze, relazioni,
per cui si confida nelle altrui o proprie
possibilità, e che generalmente produce
un sentimento di sicurezza e
tranquillità”.
Analogamente, il termine “fede” è
descritto come: “Credenza piena e
fiduciosa che procede da intima
convinzione o si fonda sull’autorità
altrui più che su prove positive”.
La differenza, quindi, si basa sulla
presenza o assenza di un fondamento,
di una prova, della valutazione positiva
che genera la fiducia.
Nella mia storia personale, ho spesso
evitato il termine “fede”, proprio per
non cadere in riferimenti di tipo religioso o, più in particolare, per
rimanere sul piano delle “prove
positive”, per usare una forma indicata
nella definizione della Treccani.
Resto ancora di quest'idea, ma con il
tempo la distinzione ai miei occhi si è
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notevolmente sfumata, soprattutto
perché ho visto come anche la fiducia
richieda, in genere, un atteggiamento
oltre le prove positive.
A rigore, se avessi a disposizione
tutte le “prove positive”, il mio
atteggiamento dovrebbe essere definito “certezza” e non “fiducia”: la
fiducia si basa sempre su almeno una
parte di ipotesi, assunzioni, speranze.
E allora, in cosa si distingue dalla
fede? Solo nel fatto che “ho fiducia”
sul piano ordinario e “ho fede” sul
piano spirituale?
Su questo non ho una risposta, quindi
continuo a limitarmi alla fiducia e a
restare sul piano ordinario, che però,
sorprendentemente e quasi in modo
dispettoso, si trasforma in “straordinario”.
In particolare, sto considerando
l'attitudine che si sviluppa nel vivere, anche solo per periodi brevi, in
una comunità: il legame che si crea
nel gruppo di pratica o durante un
ritiro, e le sue ricadute nella vita di
tutti i giorni. La fiducia si manifesta
nell'affidarsi a un altro, nel confidare,
“con sicurezza e tranquillità”, che
qualcun altro avrà cura di te.
I due concetti si sono quindi legati
nel mio pensiero: ho fiducia che
qualcuno abbia cura di me.
Questa relazione si manifesta anche
(e soprattutto) nelle piccole cose; ad
esempio, durante lo zazen “affido” il
controllo del tempo alla persona che
guida la pratica, e reciprocamente,
questa persona ha cura, prende in
carico, il tempo dello zazen. Ecco
che il suono della campana, da parte
di chi si affida e di chi ha cura,
diventa il simbolo di questo legame.
Quando mi siedo in zazen, rinuncio
al controllo del tempo, di cui non
sono più “padrona” e che quindi, di
fatto, non mi domina più. Si crea
uno spazio/tempo fuori dai concetti
e dalle costrizioni ordinarie, in cui
individuale e collettivo, pur esistendo contemporaneamente, in
parte si sfumano l'uno nell'altro.
In realtà, a volte succede, quando la
mente vaga o quando le gambe
fanno male, che l'atteggiamento ordinario prenda il sopravvento, e il
pensiero “ma quando suona questa
campana? ma quanto tempo manca?” si fissi con ostinazione.
È anche successo, la prima volta che
mi è capitato di guidare la pratica, di
controllare ogni pochi minuti l'orologio, per timore di perdere il
momento giusto in cui segnalare la
fine dello zazen.
Ho poi chiesto a Diego, il responsabile del dojo, che di solito
guida la pratica da noi, come fa a
inserire nel suo zazen il controllo del
tempo, e lui, con la sua solita
semplicità, mi ha risposto che quella
è la sua pratica; il suo zazen comprende la cura del nostro tempo, è
fatto anche di quello.
continua a pag. 8
È un piccolo esempio, ma più passa
il tempo, più la mia attenzione si
concentra sulle piccole cose, apparentemente banali, sui gesti e le
azioni di tutti i giorni, e su come
questi possano cambiare ed essere
vissuti, oppure subiti o trascurati,
con noncuranza.
Faccio la spesa, preparo i pasti, curo
il giardino e le piante: ogni azione
assume un significato diverso, più
ricco, ma soprattutto è una piccola
goccia amorevole, se fatta pensando
ai suoi effetti e adattandola in modo
da ridurre quelli nocivi (e qui mi
ricordo sempre del primo dei
precetti universali “evitare di fare il
male”).
A volte penso che il vero Paradiso sia
proprio nell'aver cura degli altri: tutti
gli altri, non solo umani, ma altri
animali, altri esseri viventi e non viventi
(le “diecimila cose”); ovviamente, un
singolo individuo non può da solo aver
cura di tutti, ma se cercassimo, nelle
azioni ordinarie, di viverle con questo
spirito, le trasformeremmo automaticamente e istantaneamente in straordinarie.
Ecco che l'attitudine di “aver cura” non
è più solo il complemento, l'altra faccia
della medaglia della “fiducia”, ma i due
concetti diventano ciascuno il
presupposto indispensabile dell'altro.
(D.P.)
Alcune immagini della composizione allestita al Polo
Lombroso16 in occasione di Torino Spiritualità 2015
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Issue
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En Ku dojo
Associazione Il Cerchio Vuoto
giovedì 8 ottobre, alle ore 17:30 "Nel silenzio ci incontriamo": l'Enku dojo ospita il
Gruppo Interreligioso Insieme per la Pace.
da sabato 24 a domenica 25 ottobre, EXPO 2015: nel padiglione del Giappone, la
prefettura di Fukui, con il monastero Daihonzan Eiheiji, parteciperà all'Expo di
Milano con la presentazione “Lo Zen e la cucina monastica”. Insieme ai monaci di
Fudenji, il rev. Elena Seishin Viviani collaborerà all'iniziativa.
martedì 27 ottobre ore 18:00, continua la collaborazione con il Gruppo
Interreligioso Insieme per la Pace. Siamo invitati a parlare alla XIV Giornata
Internazionale del Dialogo Cristiano-Islamico, presso la sede del Gruppo Abele, in
corso Trapani 91/B
associazione religiosa per la pratica e lo
studio del Buddhismo di scuola Zen Soto
membro dell'Unione Buddhista Italiana
(ente religioso d.p.r. 3-1-91)
Via Massena 17 - 10128 Torino
Tel: 011-19858750
333-5218111
[email protected]
www.ilcerchiovuoto.it
lunedì 9 novembre dalle 17:30 alle 20:00 il rev. Elena Seishin Viviani partecipa
all'incontro su "Buddhismo e fondamentalismo" nell'ambito del corso "Dio lo
vuole!", presso il centro Interculturale della Città di Torino, in Corso Taranto 160.
Orari di pratica
13-14-15 novembre "Il Sutra del Loto e Dogen", seminario annuale del Sokanbu
alla Gendronnière. Relatore Taigen Dan Leighton.
martedì,
mercoledì,
giovedì,
venerdì
giovedì 26 novembre al Convegno Ecumenico "La Scelta" il rev. Elena Seishin
Viviani partecipa come rappresentante dei Buddhisti nel Comitato Interfedi della
Città di Torino.
zazen e recitazione dei sutra
domenica 13 dicembre dalle 14:30 alle 16:30 "La preghiera nel Buddhismo"
conferenza del rev. Elena Seishin Viviani nell'ambito del ciclo di incontri “La
preghiera - Viaggio verso casa”, presso la Casa di Spiritualità Mater Unitatis, a
Druento (To) via Alessandro Manzoni 42.
zazen, kin hin e recitazione dei
sutra
7:00-8:00
19:00-21:00
martedì,
giovedì
Martedì 29 dicembre
Cena di Fine Anno
Cucitura dell'Abito
tutti i martedì dalle 16:00 alle19:00
18 ottobre dalle 9:30 alle 18:00
29 novembre dalle 9:30 alle 18:00
Shodo (*)
10 e 17 ottobre ore 14:00
7 e 21 novembre ore 14:00
(*) Le lezioni di Shodo (calligrafia
giapponese) sono riservate a gruppi
specifici: una lezione di prova può essere
richiesta in segreteria.
Maggiori informazioni sul sito alla pagina
"altre attività", o contattando la segreteria.
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