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Zazen non è una meditazione, e nemmeno una forma di
www.ilcerchiovuoto.it editoriale "Non cucire gusci di conchiglie o piume di gufo" Shodo e arte Il valore della ricerca La fiducia e la cura notizie in breve attività dojo altre attività newsletter ottobre-novembre-dicembre 2015 1 3 4 6 7 9 9 9 7/10 ore 19:30 14/10 ore 19:30 21/10 ore 19:30 21/10 ore 20:30 Total Zen Beginners (**) Total Zen Beginners Total Zen Beginners Cerimonia commemorazione Maestro Daido Strumia 30/10-1/11 sesshin (*) a Prà del Torno 4/11 ore 19:30 Total Zen Beginners 11/11 ore 19:30 Total Zen Beginners 18/11 ore 19:30 Total Zen Beginners 22/11 7:20-16:30 sesshin (*) a Torino 25/11 ore 19:30 Total Zen Beginners 8/12 ore 21 circa cerimonia Jodo E (***) 9/12 ore 19:20 Dampi sesshin (****) 20/12 7:20-16:30 sesshin (*) a Torino (*) i sesshin (ritiro intensivo) sono aperti a tutti previo contatto con la segreteria del centro. (**) inizia un ciclo di lezioni su "I principi fondamentali del Buddha Dharma". (***) celebrazione in ricordo del Risveglio di Shakyamuni Buddha al sorgere della stella del mattino. (****) veglia per ricordare il Patriarca Hui Ko (487 593). Seguirà programma dettagliato dell'incontro di pratica. Tutte le attività richiedono una prenotazione da inviare a "[email protected]" o contattando la segreteria. Yayoi Kusana, Infinity Nets Zazen non è una meditazione, e nemmeno una forma di concentrazione mentale. Zazen è qualcosa di simile ad un'immersione, immersione in quelle profondità dove tu-io scompaiono ed appare in tutta la sua risplendente chiarezza l'essenza delle cose di questo mondo. Massimo Daido Strumia Il disincanto sembra essere la cifra della nostra attualità, ma solo apparentemente. Nonostante il processo di secolarizzazione abbia portato a un progressivo allontamento da posizioni dogmatiche e aprioristiche in ambito religioso, riemerge sempre più prepotente il sentimento del sacro. “Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza. L'esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall'uomo per costruire un mondo che abbia un significato”1. Il sacro sta riprendendo potentemente piede, anche se le modalità con cui questo fenomeno si manifesta, sono molto distanti da visioni dottrinali, intellettuali o morali: ciò che sembra interessare maggiormente è un fatto concreto che si esprime nella ricerca di luoghi di esperienza e di coinvolgimento personali, una tensione interiore a cui non si può pensare, continua a pag. 2 neppur lontanamente, di far fronte con i modelli di spiritualizzazione che vanno per la maggiore. Come è possibile snaturare la nostra domanda di significato, e quindi di sacro, con strumenti di ricerca così miseri e inadeguati? Come è possibile credere, anche per un istante, all'efficacia di goffe e infantili offerte di tecniche di benessere psicofisico, camuffate da improbabili, quanto superficiali, verità? Forse è il momento di fare ritorno a un'esperienza originale del sacro, comprendere che ci aspettano spazi infiniti, non necessariamente quelli a cui la nostra finitezza ci ha abituati. “Pregare è ricercare il senso della vita”: l'enunciato di Wittgenstein ci orienta a un “come”, non tanto a un “cosa” possa dare senso alla nostra esistenza. Ci suggerisce che la forma che può Page 2 saturare l'esigenza di senso, non vada cercata in percorsi teorici o filosofici, né tantomeno in pseudopratiche spirituali. Ci indirizza a ricercare l'esperienza estetica di luoghi che non siano un astrarsi dalla vita per dare senso alla vita, ma espressione di momenti extraordinari che restituiscano senso all'ordinario, senza però che ciò implichi l'uscita dal mondo. Abbiamo bisogno di luoghi dove sospendere l'eccesso di linguaggio, la tendenza bulimica, per far posto a spazi di silenzio non ordinari, dove il senso, luogo della mente, e la sensibilità, luogo del corpo, ritrovino l'unità originaria, restituendoci rinnovati alla pienezza della nostra vita. È shikantaza, la preghiera silenziosa, atto religioso per antonomasia, perché non dipende dalla mia coscienza, ma è “(...) un sentire anticipato”2, trasmesso da Buddha a Buddha, da Patriarca a Patriarca. “(...) impara il passo indietro, rivolgi lo sguardo a ciò che veder non puoi, e sarà del corpo e della mente dolce trasfigurare e manifesto dell'origine il volto”3. 1- Mircea Eliade, nel suo discorso pronunciato al Congresso di Storia delle religioni, Boston 1968 2- Giorgio Bonaccorso, in Antropologia del pregare 3- Dōgen Zenji, Fukanzazengi, L'universale virtù dello zazen, in Sutra Zen tradotti dal rev. F.Taiten Guareschi Domenica 27 settembre, alle 10 del mattino, nella Sala conferenze del “Polo Lombroso16”; nell'ambito di Torino Spiritualità 2015, una dozzina di persone sono convenute per partecipare al “Laboratorio di Cucitura dell'Abito del Buddha”. Perlopiù donne, ma non solo, perlopiù di mezza età, ma anche giovani, hanno sperimentato per un paio d'ore la Cucitura. Che cosa, di questa attività, le ha attirate tanto da preferirla ad altre possibili, come la lezione di Tai-chi che si stava svolgendo in contemporanea sul prato/terrazzo adiacente, o altri eventi ben più in vista, programmati per la mattinata in altri luoghi della manifestazione? Sull'abstract di presentazione dell'incontro hanno potuto leggere: “Un punto dopo l'altro, coordinando movimento, respirazione e concentrazione, mettiamoci nella condizione di liberarci dai pensieri illusori e tornare alla vivida realtà della Vita proprio qui, proprio ora”. Seduti ai tavoli allineati lungo le finestre, seguendo sullo schermo l'avvicendarsi delle immagini raccolte dal rev. Elena Seishin Viviani per la conferenza sull'Okesa tenuta al MAO nel 2013, e ascoltando le spiegazioni su un O-kesa aperto ed esposto, hanno appreso come quest'Abito, da semplice veste realizzata poveramente da coloro che avevano scelto di abbandonare il mondo per dedicarsi alla vita spirituale, cucendo insieme pezze di stoffa trovate lungo le strade, abbandonate perché considerate impure, sia diventata, per volontà e su indicazione del Buddha, l'autentico mezzo della Trasmissione dal Buddha ai discepoli, arrivato fino ai nostri giorni Page 3 passando da maestro a discepolo, di generazione in generazione, “come molecole dello stesso organismo, sempre rinnovate ma sempre uguali”2. E quindi hanno potuto apprezzare l'importanza di questo Abito, che trascende molto l'oggetto materiale e ne fa un oggetto di culto. Poi è iniziata la parte pratica, lo sperimentarsi con il punto. All'inizio, regnava il normale chiacchiericcio di quando ci si cimenta tutti insieme in un'attività che non si conosce, e in cui ogni attimo, ogni passaggio richiede una spiegazione in più, un consiglio, un commento, un incoraggiamento. I punti sulle righe bianche degli imparaticci procedevano incerti, irregolari, troppo grandi, troppo piccoli, troppo fitti, troppo distanziati. Ma a poco a poco, un punto dopo l'altro, tutto si è quietato; ognuno si è concentrato sul proprio lavoro, sull'ago che deve essere fatto entrare e uscire dalla stoffa con un'angolazione ben precisa rispetto alla riga di riferimento, sui punti che devono mantenere una certa dimensione e distanza tra loro. Finché il punto ha cominciato a “farsi da sé”, quando la tensione del “dover fare” si è annullata nel semplice seguire la mano, ormai libera nel gesto, perché spontaneamente, inconsciamente, si è verificata quella coordinazione tra movimento, concentrazione e respirazione che spegne i pensieri illusori ed è la condizione per “tornare alla vivida realtà della Vita, proprio qui, proprio ora”. Al termine, il commento più comune è stata la sorpresa per il silenzio e la concentrazione che, dopo la prima mezz'oretta, ha coinvolto tutti, e il senso di “pacificazione” che ne era derivato. Veniva anche osservato il punto sui vari imparaticci, e si notava come nel giro di pochi minuti fosse cambiato, si fosse stabilizzato, avesse assunto una dimensione e un ritmo preciso; non la perfezione, ma l'essere totalmente nell'azione. (C. G.) La Cucitura dell'Abito si pratica all'Enku Dojo ogni martedì dalle h 16,00 alle h 19,00. Una domenica al mese, incontro intensivo dalle h 9,30 alle h 18,00. Prossimi incontri previsti: - 18 ottobre - 29 novembre Per informazioni e prenotazioni, telefonare al 333.5218111 1- tratto dal Vinayapitaka, il canone dei monaci buddhisti 2- da M° Taisen Deshimaru Le livre du Kesa dispensa a cura dell'Association Zen Internationale. dipinto di Muqi Fachang A rigore, lo Shodo, la “Via della scrittura”, si limita alla scrittura dei caratteri. Però l'origine stessa della forma dei caratteri, i kanji, che nasce e si evolve dai pittogrammi, contiene in sé una rappresentazione pittorica dei concetti espressi, quindi una valenza grafica e visiva molto più evidente dell'equivalente nelle scritture alfabetiche o fonetiche. E anche l'estensione fonetica giapponese, i cosiddetti kana, nati come costola dai kanji cinesi, ha mantenuto la forma grafica, quindi la potenza visiva. Quando poi i kanji esprimono concetti astratti, lo sforzo di trovare una rappresentazione grafica li rende particolarmente densi di immagini visive. Un bell'esempio di ideogrammi che rappresentano concetti “astratti” con immagini pittoriche, è “Virtù” (in cinese “dè”, in giapponese “toku”) è rappresentato come “camminare lentamente”, associato ai caratteri che rappresentano “dieci”, “occhio” e “cuore”: la strada della virtù è sotto il controllo di dieci occhi e del cuore. Con queste premesse, era abbastanza naturale che la scrittura venisse utilizzata come una forma di arte grafica vera e propria, e che venisse adattata per rappresentare, non solo attraverso il contenuto, ma anche attraverso la forma del tratto, il significato, lo spirito di opere poetiche. Page 4 1 Issue Questa esplorazione ha prodotto nei secoli esempi meravigliosi, a volte arricchiti con immagini pittoriche vere e proprie, in cui il testo di una poesia diventava anche un'opera d'arte visiva. I brani più spesso usati in Giappone erano gli haiku, poesie molto brevi, composte da 17 sillabe su tre versi, che utilizzavano immagini visive, spesso ispirate alla natura, per esprimere sentimenti personali. Uno dei più famosi è un haiku della poetessa Chiyo-ni, vissuta nella provincia di Kaga nel 18° sec., di cui esistono alcune belle rappresentazioni sia strettamente pittoriche, sia miste pittoriche-calligrafiche, o strettamente grafiche. L'haiku è il seguente: Oh! Il convolvolo la secchia è prigioniera andrò a chiedere dell'acqua (traduzione di Massimo Beggio, tratta dal suo libro "Forse l'Autunno. Le cento stagioni dell'haiku", edito da Bellavite) Anche il famosissimo haiku di Basho Un vecchio stagno un tonfo - una rana rumore d'acqua (tratto dallo stesso testo) è stato rappresentato dall'autore associando testo e immagine. Matsuo Basho Infine, il già citato Matsuo Basho, aveva sviluppato uno stile di scrittura estremamente fluido e morbido. Qui riportiamo un esempio di un suo testo, arricchito con la pittura di un suo allievo. (D.P.) Matsuo Basho e allievo della sua scuola schizzo della secchia - Chiyo-Ni haiku Museum Page 4 Buddha mostrò il fiore...solo Mahakashapa sorrise: la nascita del lignaggio Zen Sōtō A partire da giovedì 22 ottobre riprende, con cadenza quindicinale, il ciclo di teisho tenuti dal rev. Elena Seishin Viviani. Tema degli incontri Denkōroku, la Trasmissione della Lampada, di Keizan Jōkin Zenji (1268-1325). Iniziati nel 2012 con i principi della pratica e della dottrina del Buddha Dharma in India, sono proseguiti nel 2013 col passaggio e il radicamento dell'Insegnamento di Shakyamuni Buddha in Cina, nel 2014 con l'introduzione del Buddhismo in Giappone; e nel 2015 con le figure di Eihei Dogen Zenji e Keizan Jōchin Zenji, Patriarchi della Scuola Zen Sōtō. Gli incontri, dalle 20:00 alle 21:30, saranno preceduti dalla pratica di zazen dalle 19:20 alle 20:00. La partecipazione è aperta a tutti i praticanti dell’Enku Dojo che si siano iscritti presso la segreteria dell’Associazione "Il Cerchio Vuoto". È possibile anche la partecipazione di esterni, previo colloquio con l’Insegnante. Fermati! Io mi sono fermato. “(...) Angulimāla, io mi sono fermato per sempre, mi astengo da ogni forma di violenza nei confronti degli esseri viventi, ma tu non hai controllo nei confronti di ciò che vive: questa è la ragione per la quale io mi sono fermato e tu non ti sei fermato!” Angulimāla Sutta Il discorso di Angulimāla Majjhima Nikayā Buddha, Odilon Redon Nell'ambito degli incontri dei Total Zen Beginners, il rev. Elena Seishin Viviani terrà un ciclo di lezioni su Buddha e il suo Insegnamento. Ogni mercoledì dalle 19:30 alle 21:00. Si prega di arrivare puntuali, almeno 10 minuti prima dell'inizio. Page 5 1 Issue Page 5 L'interessante incontro “Un atteggiamento speciale. Dialogo in libertà tra un matematico e un maestro Zen”, svoltosi al “Polo Lombroso16” durante la manifestazione dei Centri U.B.I. torinesi nell'ambito di Torino Spiritualità 2015, ha evidenziato similitudini e differenze che caratterizzano il tema generale del rapporto tra scienza e pratica buddhista. Innanzitutto, nella scienza, l'importanza fondamentale del dubbio che consente di sviluppare una ricerca originale tramite un'assunzione completa di responsabilità da parte del ricercatore nel garantire un impegno costante e appassionato senza cadere nella trappola dell'autoreferenzialità e del senso di superiorità. La capacità di andare controcorrente e di muoversi al di fuori degli schemi convenzionali porta a rischi d'insuccesso, delusioni e smacchi (“facciate”, come sono state chiamate nell'incontro), ma nel contempo dà la possibilità di scoprire vie nuove, assolutamente inaspettate, con la gioia che deriva da ogni opera creativa. Il metodo galileiano fornisce, sì, una linea guida rigorosa che il ricercatore non può ignorare, ma la sua mente deve essere duttile e flessibile per cogliere quelle improvvise discontinuità che, sempre, hanno favorito il nascere di nuove metodologie d'indagine e il verificarsi di grandi scoperte. A questo proposito, il neuroscienziato Stuart Firenstein, professore alla Columbia University, tiene da tre anni, con grande successo, un seminario dal Page 6 Stavo solo strofinando dei bastoncini per divertirmi - Non ho capito che stavo facendo ricerca di base. titolo piuttosto insolito: “How Ignorance Drives Science”. Lo scopo è quello di cercare di spiegare perché il lavoro del ricercatore in laboratorio sia così eccitante rispetto a ciò che si riesce a trasmettere già codificato e sistematizzato agli studenti durante i corsi. Secondo Firenstein, ciò è dovuto principalmente all'attitudine aperta e curiosa che contraddistingue il piacere della ricerca, spesso caratterizzata da percorsi tutt'altro che lineari, ma zigzaganti e pieni di retromarce, brusche svolte, rallentamenti e accelerazioni che, comunque, non spengono la passione e la dedizione dello scienziato. Alcune di queste caratteristiche si ritrovano anche nella pratica, benché l'angolo visuale sia assai diverso. Senz'altro il dubbio, che ci difende dalla certezza di aver raggiunto qualcosa di definitivo, che invece si fa impalpabile appena cerchiamo di definirlo. L'andare controcorrente, che può voler dire nuotare contro l'idea che abbiamo di noi stessi e contro i ruoli che ci piace ricoprire, per trovarci, poi, in una corrente molto più vasta e impetuosa, che ci sconcerta e ci spaventa. Ma, soprattutto, la passione, che ogni volta ci porta di nuovo a sederci e a ricominciare quella storia che è così difficile raccontare ad altri, perché è basata su un fiducioso coinvolgimento di noi stessi in toto, cuore e corpo, “nervi, midollo e ossa” (M.S.) Da diverso tempo sento parlare di “fiducia”; anche nel corso di quest'ultima edizione di Torino Spiritualità, un intervento era centrato sul concetto di fiducia (“Il respiro della fiducia”, intervento di Carla Gianotti). È sempre trattato come un argomento carico di significati ampi ed elevati. Spesso, poi, si discute se “fiducia” e “fede” possano essere accomunate o distinte, e si sceglie il primo termine, forse perché meno ingombrante del secondo, meno carico di valenze religiose, e quindi meno impegnativo. Nell'Enciclopedia Treccani, il termine “fiducia” è descritto così: “Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità”. Analogamente, il termine “fede” è descritto come: “Credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive”. La differenza, quindi, si basa sulla presenza o assenza di un fondamento, di una prova, della valutazione positiva che genera la fiducia. Nella mia storia personale, ho spesso evitato il termine “fede”, proprio per non cadere in riferimenti di tipo religioso o, più in particolare, per rimanere sul piano delle “prove positive”, per usare una forma indicata nella definizione della Treccani. Resto ancora di quest'idea, ma con il tempo la distinzione ai miei occhi si è Page 7 notevolmente sfumata, soprattutto perché ho visto come anche la fiducia richieda, in genere, un atteggiamento oltre le prove positive. A rigore, se avessi a disposizione tutte le “prove positive”, il mio atteggiamento dovrebbe essere definito “certezza” e non “fiducia”: la fiducia si basa sempre su almeno una parte di ipotesi, assunzioni, speranze. E allora, in cosa si distingue dalla fede? Solo nel fatto che “ho fiducia” sul piano ordinario e “ho fede” sul piano spirituale? Su questo non ho una risposta, quindi continuo a limitarmi alla fiducia e a restare sul piano ordinario, che però, sorprendentemente e quasi in modo dispettoso, si trasforma in “straordinario”. In particolare, sto considerando l'attitudine che si sviluppa nel vivere, anche solo per periodi brevi, in una comunità: il legame che si crea nel gruppo di pratica o durante un ritiro, e le sue ricadute nella vita di tutti i giorni. La fiducia si manifesta nell'affidarsi a un altro, nel confidare, “con sicurezza e tranquillità”, che qualcun altro avrà cura di te. I due concetti si sono quindi legati nel mio pensiero: ho fiducia che qualcuno abbia cura di me. Questa relazione si manifesta anche (e soprattutto) nelle piccole cose; ad esempio, durante lo zazen “affido” il controllo del tempo alla persona che guida la pratica, e reciprocamente, questa persona ha cura, prende in carico, il tempo dello zazen. Ecco che il suono della campana, da parte di chi si affida e di chi ha cura, diventa il simbolo di questo legame. Quando mi siedo in zazen, rinuncio al controllo del tempo, di cui non sono più “padrona” e che quindi, di fatto, non mi domina più. Si crea uno spazio/tempo fuori dai concetti e dalle costrizioni ordinarie, in cui individuale e collettivo, pur esistendo contemporaneamente, in parte si sfumano l'uno nell'altro. In realtà, a volte succede, quando la mente vaga o quando le gambe fanno male, che l'atteggiamento ordinario prenda il sopravvento, e il pensiero “ma quando suona questa campana? ma quanto tempo manca?” si fissi con ostinazione. È anche successo, la prima volta che mi è capitato di guidare la pratica, di controllare ogni pochi minuti l'orologio, per timore di perdere il momento giusto in cui segnalare la fine dello zazen. Ho poi chiesto a Diego, il responsabile del dojo, che di solito guida la pratica da noi, come fa a inserire nel suo zazen il controllo del tempo, e lui, con la sua solita semplicità, mi ha risposto che quella è la sua pratica; il suo zazen comprende la cura del nostro tempo, è fatto anche di quello. continua a pag. 8 È un piccolo esempio, ma più passa il tempo, più la mia attenzione si concentra sulle piccole cose, apparentemente banali, sui gesti e le azioni di tutti i giorni, e su come questi possano cambiare ed essere vissuti, oppure subiti o trascurati, con noncuranza. Faccio la spesa, preparo i pasti, curo il giardino e le piante: ogni azione assume un significato diverso, più ricco, ma soprattutto è una piccola goccia amorevole, se fatta pensando ai suoi effetti e adattandola in modo da ridurre quelli nocivi (e qui mi ricordo sempre del primo dei precetti universali “evitare di fare il male”). A volte penso che il vero Paradiso sia proprio nell'aver cura degli altri: tutti gli altri, non solo umani, ma altri animali, altri esseri viventi e non viventi (le “diecimila cose”); ovviamente, un singolo individuo non può da solo aver cura di tutti, ma se cercassimo, nelle azioni ordinarie, di viverle con questo spirito, le trasformeremmo automaticamente e istantaneamente in straordinarie. Ecco che l'attitudine di “aver cura” non è più solo il complemento, l'altra faccia della medaglia della “fiducia”, ma i due concetti diventano ciascuno il presupposto indispensabile dell'altro. (D.P.) Alcune immagini della composizione allestita al Polo Lombroso16 in occasione di Torino Spiritualità 2015 Page 8 1 Issue Page 8 En Ku dojo Associazione Il Cerchio Vuoto giovedì 8 ottobre, alle ore 17:30 "Nel silenzio ci incontriamo": l'Enku dojo ospita il Gruppo Interreligioso Insieme per la Pace. da sabato 24 a domenica 25 ottobre, EXPO 2015: nel padiglione del Giappone, la prefettura di Fukui, con il monastero Daihonzan Eiheiji, parteciperà all'Expo di Milano con la presentazione “Lo Zen e la cucina monastica”. Insieme ai monaci di Fudenji, il rev. Elena Seishin Viviani collaborerà all'iniziativa. martedì 27 ottobre ore 18:00, continua la collaborazione con il Gruppo Interreligioso Insieme per la Pace. Siamo invitati a parlare alla XIV Giornata Internazionale del Dialogo Cristiano-Islamico, presso la sede del Gruppo Abele, in corso Trapani 91/B associazione religiosa per la pratica e lo studio del Buddhismo di scuola Zen Soto membro dell'Unione Buddhista Italiana (ente religioso d.p.r. 3-1-91) Via Massena 17 - 10128 Torino Tel: 011-19858750 333-5218111 [email protected] www.ilcerchiovuoto.it lunedì 9 novembre dalle 17:30 alle 20:00 il rev. Elena Seishin Viviani partecipa all'incontro su "Buddhismo e fondamentalismo" nell'ambito del corso "Dio lo vuole!", presso il centro Interculturale della Città di Torino, in Corso Taranto 160. Orari di pratica 13-14-15 novembre "Il Sutra del Loto e Dogen", seminario annuale del Sokanbu alla Gendronnière. Relatore Taigen Dan Leighton. martedì, mercoledì, giovedì, venerdì giovedì 26 novembre al Convegno Ecumenico "La Scelta" il rev. Elena Seishin Viviani partecipa come rappresentante dei Buddhisti nel Comitato Interfedi della Città di Torino. zazen e recitazione dei sutra domenica 13 dicembre dalle 14:30 alle 16:30 "La preghiera nel Buddhismo" conferenza del rev. Elena Seishin Viviani nell'ambito del ciclo di incontri “La preghiera - Viaggio verso casa”, presso la Casa di Spiritualità Mater Unitatis, a Druento (To) via Alessandro Manzoni 42. zazen, kin hin e recitazione dei sutra 7:00-8:00 19:00-21:00 martedì, giovedì Martedì 29 dicembre Cena di Fine Anno Cucitura dell'Abito tutti i martedì dalle 16:00 alle19:00 18 ottobre dalle 9:30 alle 18:00 29 novembre dalle 9:30 alle 18:00 Shodo (*) 10 e 17 ottobre ore 14:00 7 e 21 novembre ore 14:00 (*) Le lezioni di Shodo (calligrafia giapponese) sono riservate a gruppi specifici: una lezione di prova può essere richiesta in segreteria. Maggiori informazioni sul sito alla pagina "altre attività", o contattando la segreteria.