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Fermate il mondo… voglio scendere!* Il vantaggio

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Fermate il mondo… voglio scendere!* Il vantaggio
Fermate il mondo… voglio scendere!*
Il vantaggio competitivo della riflessione
CLAUDIO BACCARANI** GAETANO M. GOLINELLI ***
Qualche tempo fa in un articolo sul valore degli aforismi Umberto Eco chiudeva
lo scritto con un pensiero di Lec1, che non può passare inosservato per la sua
semplicità costruttiva e la miriade di possibili riflessioni che genera.
“Sesamo apriti - voglio uscire!”. Questo l’aforisma citato.
Aforisma che “non asserisce, non impone, e per dirla con Eraclito, non dice ma
fa cenni. Abbiamo persino dimenticato che è stato scritto sotto dittatura, e aveva un
significato quasi letterale: è diventato un modo di vedere la condizione umana, una
minaccia costante - forse persino un grido di speranza. Il suo statuto atletico è nullo,
la sua forza persuasiva è immensa perché immensa è la sua brevità”2.
Perché uscire, anziché entrare? Perché scendere anziché salire?
Forse perché si avverte una realtà nella quale ci si riconosce sempre meno e che
ha assunto forme e contorni tali da offuscare sempre più il senso di ciò che accade e
delle cose che si fanno.
E’ una realtà nella quale la fiducia lascia il passo alla sfiducia, lo stress positivo
all’ansia, la serenità alla paura.
Sfiducia, ansia e paura stanno “aggredendo” sinergicamente le relazioni tra
soggetti ed organizzazioni, con il risultato di rallentare vistosamente i processi di
crescita e di sviluppo cui aspiravamo.
In particolare, la variabile più inquietante, anche perché nuova rispetto al quadro
definitosi negli ultimi anni, è la “paura sociale”, emozione che non ritenevamo di
dover ancora considerare come possibile condizione della nostra realtà.
Paura di ciò che può accadere da un momento all’altro, camminando per strada,
viaggiando su un treno od un aereo, riposandoci in un luogo appartato. Paura di
perdere il lavoro, di investire i propri risparmi, di avere di fronte una persona che sta
tentando di imbrogliarci con il sorriso sulle labbra.
Paura per ciò che potrà essere l’avvenire delle nuove generazioni a causa della
miopia politica, dell’insensibilità ambientale e di una globalizzazione zoppa che
divide invece che unire.
*
**
***
1
2
E’ il titolo di un film di Giancarlo Cobelli del 1970.
Ordinario di Tecnica Industriale e Commerciale - Università degli Studi di Verona
e-mail: [email protected]
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università “La Sapienza” di Roma
e-mail: [email protected]
Cfr. Stanislaw Jerzy Lec, Pensieri spettinati, Bompiani, 1992.
Umberto Eco, “Se la parola è una sentenza”, La Repubblica, 28 marzo 2004.
sinergie n. 63/04
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FERMATE IL MONDO… VOGLIO SCENDERE!
Paura per l’imprenditore di non riuscire a percepire, valutare e governare tutte le
variabili competitive, in un mondo che stenta ormai ad essere definito dal concetto
stesso di complessità.
Apparentemente però la categoria imprenditoriale non avverte questa situazione
di sbandamento. L’imprenditore, infatti, ostenta sempre ottimismo per il futuro,
ritenendo, in fondo, che la tecnologia ed il sapere saranno sempre capaci di risolvere
tutto.
Semmai manifesta preoccupazioni, anche profonde, per la pesante situazione
congiunturale che si estende più del previsto, ma che nella sua visione potrà essere
superata togliendo semplicemente “qualche laccio e lacciuolo” all’impresa, come li
si definivano un tempo.
Ma ecco che proprio da questa prospettiva emerge dirompente la reale paura del
futuro della classe imprenditoriale.
Solo pochi imprenditori illuminati, spinti da una irriducibile carica di ottimismo
e curiosità, mostrano il coraggio di “guardare negli occhi” il mondo che verrà per
capire come muoversi in un contesto che, nel bene e nel male, sarà comunque
radicalmente diverso da quello che conosciamo.
Un contesto nel quale si opererà sempre più in condizioni di opacità, ambiguità,
frammentazione, disordine, confusione e perdita di senso.
Un contesto che la gran parte degli imprenditori teme e rifiuta di scrutare,
rivelando così la radicale paura del futuro che li attanaglia.
E’ da questo rifiuto e da questa paura che nasce difatti la diffusa convinzione di
poter affrontare l’attuale e prospettico quadro competitivo attraverso l’efficienza,
attraverso la produttività e la riduzione di costi.
Certo se riducessimo le festività e la sicurezza del posto di lavoro potremmo
essere più efficienti sia dal lato tecnico, ossia della produttività, che dal lato
economico, ossia dell’economicità.
Potremmo anche essere più elastici, ma non flessibili come ci si ostina a dire con
una confusione sul significato delle parole che ricorda la situazione descritta nel
“Libraio di Selinunte”, il recente romanzo breve di Roberto Vecchioni nel quale una
comunità “perde le parole” e non sa più comunicare dopo essersi ostinatamente
rifiutata di ascoltare3.
Si fa così strada la sensazione che quella dell’imprenditore sia una categoria in
lento ma inesorabile declino, avvolta com’è in un “torpore manageriale” che la
conduce a rifugiarsi nel mondo conosciuto dell’efficienza produttiva ed
organizzativa. Allo stesso modo, per certi versi, in cui tanti individui si rifugiano
nella famiglia, che da cellula della società rischia di trasformarsi in un semplice
baluardo di difesa e protezione degli affetti individuali.
Nei fatti la razionalità, nelle sue espressioni manageriali e finanziarie, sta
vistosamente erodendo l’imprenditorialità cioè la capacità di sognare e di vedere il
nuovo.
3
Cfr. Roberto Vecchioni, Il libraio di Selinunte, Einaudi, Torino, 2004
CLAUDIO BACCARANI – GAETANO M. GOLINELLI
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Ma come si può pensare di guardare al futuro con le “lenti del passato” in un
mondo ormai dominato dal disorientamento?
E questo atteggiamento purtroppo è diffuso in chi si rifiuta di osservare “il
nuovo che avanza”, con il risultato di condurre questi soggetti e le organizzazioni
che guidano verso l’ineludibile via del declino.
Certo si potrebbe pensare che la forza distruttiva del declino possa un domani
introdurre una rinnovata energia creativa.
Tuttavia, il declino in atto non è determinato dalla spinta al cambiamento, il
declino è determinato semplicemente dall’incapacità di leggere la complessità del
momento.
Così nel medio periodo il “confronto competitivo con la Cina” - citato in questi
anni come la principale fonte di ansia dell’imprenditore - non si potrà che perdere
perché condotto con una cultura e con strumenti inadeguati.
A meno che si pensi di fermare la competizione con misure che dividono il
mondo anziché unirlo. E purtroppo possiamo ben immaginare dove condurrebbero
scelte economiche di questo tipo.
I tratti e le tinte del quadro che abbiamo sin qui dipinto sono piuttosto densi e
scuri. Anche il soggetto che troviamo rappresentato sulla tela è tutt’altro che solare.
Su questa strada rischiamo di contribuire ad alimentare ulteriormente il circuito
sfiducia-ansia-paura e non è certo questo il nostro intendimento.
E’ bene allora tornare al nostro “grido” iniziale: “Fermate il mondo: voglio
scendere!”, “Sesamo apriti: voglio uscire!”.
Capovolgiamolo. Non leggiamolo come desiderio di fuggire, di nascondersi da
qualche parte. Leggiamolo, invece, come stimolo a cambiare un modo di essere non
più compatibile con i caratteri ed il divenire del mondo in cui viviamo.
Cosa significa questo dal punto di vista imprenditoriale?
Significa riflettere sul fatto che la razionalità manageriale è compatibile con un
quadro ambientale che, seppur dinamico e complesso, si presti ad essere scrutato con
gli strumenti della logica e del pensiero verticale. Significa, altresì, capire che nel
contesto attuale è il “sogno imprenditoriale” che deve essere “risvegliato”.
Significa cioè rivitalizzare l’imprenditorialità nell’ambito delle tre dimensioni
nelle quale si muove l’imprenditore: l’imprenditorialità, la leadership e la
managerialità. La prima che esprime la tensione al cambiamento, la seconda, la
capacità di sviluppare armoniche relazioni, la terza, l’abilità direzionale,
organizzativa e gestionale.
Orbene, la formulazione di scelte competitive si fonda sulla combinazione di
queste tre dimensioni. Quando qualcuna di queste tende a prendere il sopravvento si
crea uno squilibrio nel meccanismo imprenditoriale che, in tempi più o meno lunghi,
ridurrà la forza competitiva dell’impresa.
Così l’accentuazione dell’imprenditorialità potrebbe condurre ad un susseguirsi
di cambiamenti ingestibili, come pure l’accentuazione della managerialità potrebbe
condurre l’impresa ad un rapido “invecchiamento” competitivo, nel quale elevati
livelli di efficienza si accostano ad un crescente distacco dalle istanze del mercato e
dalle scelte della concorrenza.
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FERMATE IL MONDO… VOGLIO SCENDERE!
E’ quest’ultimo il caso più diffuso oggi.
La managerialità e la finanziarizzazione, sospinte da un desiderio di profitto a
breve termine, stanno riducendo sempre più gli spazi dell’imprenditorialità
sbilanciando la relazione razionalità-creatività.
Occorre, così, liberare l’imprenditorialità dal “torpore manageriale” che l’ha
avvolta.
Occorre rimettere in campo “il coraggio dell’imprenditorialità” per frenare “lo
spirito di ventura” che ha investito la managerialità.
Non è questione di poco conto, non solo per i possibili rapporti di potere nelle
imprese che frenerebbero questa azione, ma anche perché si tratta di un ritorno
culturale ad un passato che in alcuni casi, ad esempio per alcuni imprenditori di
seconda generazione, non è mai stato vissuto.
In tal senso, occorre porre particolare attenzione alla vitalità di questa
dimensione nelle nuove imprese, per le quali “il sogno” che le guida dovrebbe essere
adeguatamente espresso e valutato dagli stakeholder interessati allo start-up.
La capacità di sognare, la capacità cioè di costruire rappresentazioni prospettiche
anche molto distanti dalla realtà di un certo momento, si pone, infatti, come il
principale sostegno all’imprenditorialità4.
La capacità di sognare ad occhi aperti per vedere strade nuove, per dirigersi
verso l’isola che non c’è5, per non temere la rottura degli schemi, per tracciare per
primo un sentiero in un folto bosco, per sapersi immaginare un futuro sempre più
indefinibile ed agire di conseguenza.
Capacità fondata sulla memoria - ampia o ristretta che sia - e sulla curiosità,
ossia sul desiderio di cercare umilmente sempre nuove risposte ai problemi
introdotti dall’incessante divenire delle relazioni e delle cose.
Ma la curiosità richiede tempo, richiede di sfuggire ad una dissennata gestione
routinaria della giornata, dove le banalità assurgono a priorità relegando ad un
domani indefinito i processi innovativi che richiedono studio, ricerca e riflessione.
Dove la “tristezza” ed il “grigiore” sono i tratti principali di un ambiente di
lavoro nel quale le persone sono considerate poco più di un “prolungamento delle
macchine”, quando, invece, rappresentano dei veri e propri “giacimenti di
conoscenze e creatività” non utilizzati.
Dove l’opzione per l’efficienza prevale pesantemente su quella per
l’innovazione. Dove la creatività da improvvisazione tende a prendere il
sopravvento sulla creatività strutturale6.
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In proposito sia consentito citare Claudio Baccarani, Federico Brunetti, Dalla penombra
alla luce, un saggio sul cinema per lo sviluppo manageriale, Giappichelli, Torino, 2003,
pag. 83 e segg. Va pure segnalata a questo riguardo l’edizione 2004 dei Seminari
d’estate di Ravello che ha per tema “I sogni dell’impresa”.
L’isola che non c’è è il titolo di una canzone di Edoardo Bennato.
Distinguiamo la creatività nelle due categorie strutturale e da improvvisazione sulla
base della considerazione del tempo richiesto allo sviluppo dell’idea.
Nell’improvvisazione pensiero ed azione sono contemporanei, nella creatività
strutturale la distanza tra pensiero ed azione non è definita.
CLAUDIO BACCARANI – GAETANO M. GOLINELLI
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Dove non esiste un tempo per pensare e riflettere quando è proprio in questo che
vive il sogno.
Così, paradossalmente, rispetto a ciò che la cultura odierna asserisce, per essere e
rimanere competitivi occorre frenare l’efficientismo manageriale dell’agire per
trovare momenti di pausa per leggere, per visitare luoghi e musei, per contemplare le
nostre bellezze artistiche, per riflettere e meditare, per giocare, per … Per creare
quel sistema di connessioni tra le conoscenze disponibili in ogni angolo
dell’organizzazione che sarà fonte di innumerevoli ed inaspettati processi innovativi
capaci di confermare la nostra competitività.
Occorre disporre di un “tempo proprio”, occorre accostare “al fast lo slow”,
occorre introdurre spazi di un ozio creativo7, così come ben sottolineava Hermann
Hesse in un suo brano.
“Non ho la minima intenzione di dare consigli all’attività della nostra industria e
della nostra scienza che divorano l’individuo. Se l’industria e la scienza non hanno
più bisogno di individui, è bene che non ne abbiano. Ma noi artisti che in mezzo alla
grande bancarotta della nostra civiltà, abitiamo in un’isola in cui le condizioni di vita
sono ancora sopportabili, dobbiamo seguire, ora come in passato, leggi diverse. Per
noi la personalità non è un lusso, ma una necessità esistenziale, ossigeno, capitale
irrinunciabile. Per artisti intendo tutti coloro che sentono la necessità e il dovere di
sentirsi vivi e in continua crescita, di essere coscienti del fondamento delle loro
energie e su questo costruire se stessi secondo leggi congenite. (…) Ma gli artisti
hanno avuto sempre bisogno, sin dalle origini, di momenti di ozio, sia per chiarire a
se stessi nuove acquisizioni e portare a maturazione il lavorio inconscio, sia per
avvicinarsi ogni volta, con dedizione disinteressata, al mondo della natura, per
ridiventare bambini, per sentirsi di nuovo amici e fratelli della terra, della pianta,
della roccia, della nuvola. Sia che si creino versi o quadri, sia che si voglia
semplicemente costruire se stessi gustando le proprie creazioni, ci si trova sempre
davanti ad inevitabili pause” 8.
E sono queste pause e questo tempo rallentato che possono risvegliare la
componente artistitica dell’imprenditore e consentire il fluire delle emozioni
all’interno dell’impresa, componendo e ricomponendo idee ed azioni in un contesto
confuso, ma vissuto in un clima armonico capace di trasformarlo in una affascinante
e stimolante sfida.
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Il tema è efficacemente presentato e trattato da Domenico De Masi, La fantasia e la
concretezza: creatività individuale e di gruppo, Rizzoli, Milano, 2003.
Herman Hesse, L’arte dell’ozio, Mondadori, Milano, 1992, pag. 20.
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