...

analisi ambientale della cina e strategie di localizzazione delle

by user

on
Category: Documents
94

views

Report

Comments

Transcript

analisi ambientale della cina e strategie di localizzazione delle
ARTI GRAFICHE APOLLONIO
Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Marco BERGAMASCHI
ANALISI AMBIENTALE DELLA CINA
E STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE
DELLE IMPRESE ITALIANE
Paper numero 95
Università degli Studi di Brescia
Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814
e-mail: [email protected]
Novembre 2009
ANALISI AMBIENTALE DELLA CINA
E STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE
DELLE IMPRESE ITALIANE
di
Marco BERGAMASCHI
Dottorando in Economia Aziendale
Università di Brescia
Indice
1. Premessa ................................................................................................... 1
2. Per l’analisi ambientale della Repubblica Popolare Cinese.
Introduzione ................................................................................................. 2
3. Le variabili esogene dell’ambiente-Cina................................................ 5
3.1. La variabile politico-istituzionale ....................................................... 5
3.1.1. La Repubblica Popolare di Cina (1949-2009)........................ 5
3.1.2. L’ordinamento giuridico ......................................................... 9
3.2. La variabile demografica................................................................... 10
3.3. Produzioni e tecnologia..................................................................... 12
3.3.1. I settori economici ................................................................. 12
3.3.2. La tecnologia......................................................................... 14
3.4. La variabile finanziaria ..................................................................... 16
3.5. La nuova ricchezza e la propensione al consumo ............................. 17
3.5.1. Struttura e tipologie dell’imprenditoria cinese .................... 17
3.5.2. I processi di consumo ............................................................ 18
3.6. WTO e rapporti internazionali .......................................................... 21
4. La localizzazione delle imprese estere in Cina .................................... 25
4.1. Le variabili culturali nazionali .......................................................... 25
4.2. I profili quantitativi degli investimenti esteri in Cina ....................... 26
4.3. Le strategie di localizzazione ............................................................ 29
5. Conclusioni ............................................................................................. 33
Bibliografia ................................................................................................. 35
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
1. Premessa
Il fenomeno della globalizzazione dei mercati ha comportato il
progressivo incremento di eventi e attori sul piano della concorrenza. Tale
processo –tutt’ora in atto- è il fattore determinante della crescita del
commercio mondiale e, conseguentemente, della iper-concorrenzialità in
settori un tempo dominati da imprese locali.
Per fare fronte all’incremento del grado concorrenziale dei mercati
causato in larga parte dalle economie dei Paesi emergenti, le imprese
occidentali hanno dovuto adeguare le proprie strategie ai mutati scenari
internazionali. Questo fenomeno prende il nome di <glocalizzazione>,
termine mutuato dalla sociologia con il quale, -in una logica strategicoaziendale- si vuole designare una sintesi fra <pensiero globale>, conscio
delle variabili economiche internazionali, e <agire locale>, correlato al
contesto storico e sociale nel quale l’impresa vive e opera1.
In tale logica, la tensione strategica derivante dalla sapiente
combinazione di volizione, lungimiranza nell’antivedere esattamente gli
stati futuri e nell’operare per conseguirli2, si declina peraltro sempre più
spesso nell’internazionalizzazione dell’impresa, talvolta per il
mantenimento di posizioni competitive acquisite, talaltra per la conquista di
nuove quote di mercato.
In particolare, la prassi strategica deve anticipare l’esogeneità futura e
prevedere -mediante adeguati investimenti- l’opportuna posizione
dell’impresa in nuovi mercati di Paesi in via di sviluppo. Fra questi, in
ragione del costante incremento della propria economia e della competitività
delle proprie imprese, assume una posizione di assoluto rilievo la
Repubblica Popolare Cinese. Questo Paese, a muovere dal 1980, ha
conosciuto una duratura fase di riforme legate a privatizzazioni e
liberalizzazioni del mercato che, unitamente al fattore della popolazione più
numerosa del mondo, ha comportato uno sviluppo economico senza
precedenti. Grazie al superamento delle pastoie dell’ideologia marxista, il
governo cinese è riuscito ad incoraggiare l’imprenditorialità non solo
mediante il fenomeno della privatizzazione delle imprese statali e collettive,
ma anche attraverso adeguate agevolazioni legislative e fiscali per gli
investitori stranieri.
L’accresciuta partecipazione ai mercati globali della Cina si innesta
peraltro nel più ampio fenomeno dello <spostamento> del baricentro del
1
Z. BAUMAN, Globalizzazione e glocalizzazione, Roma, Armando Editore, 2005.
A. CANZIANI, La strategia d’impresa nelle sue fondazioni critiche, in AA.VV.,
Scritti in onore di Isa Marchini, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 159-190.
2
1
Marco Bergamaschi
sistema economico mondiale dai Paesi occidentali alle nuove economie
emergenti (Russia, India e Indocina).
Infatti, a parte il Giappone che si trova in una fase di stasi economica
perdurante ormai da almeno un decennio, l’Asia orientale è certamente fra le
aree più dinamiche del pianeta, e l’economia cinese, al centro di questa
zona, si rivela di estremo interesse per i seguenti tre motivi: i) si è affermata
come la più importante <piattaforma> manifatturiera; ii) vi vengono attuati
processi di consumo sempre più marcatamente occidentali; iii) le imprese
cinesi hanno significativamente incrementato la competitività sia propria,
sia globale.
Con questo lavoro si intende offrire una sintetica analisi ambientale della
Cina sulla base delle principali variabili esogene che ne caratterizzano il
sistema economico3. Di conseguenza, si propongono alcune riflessioni sulle
più convenienti strategie di localizzazione che le imprese estere e, in
particolare italiane, possono attuare in Cina, talvolta finalizzate al
perseguimento di economie di scala o, quantomeno, di riduzione dei costi
operativi, talaltra volte alla ricerca di nuovi mercati ove poter classare i
propri prodotti.
2. Per l’analisi ambientale della Repubblica Popolare Cinese.
Introduzione
Dal 1978, si è assistito nella Repubblica Popolare Cinese ad una
complessa e graduale serie di riforme che ha comportato processi di
liberalizzazione e privatizzazione dell’economia del Paese; da allora la
maggiore fonte della crescita cinese è stata la domanda interna,
specialmente i consumi privati, e gli investimenti fissi (cfr. tab. 1; fig. 1).
Mentre i primi sono stati sostenuti dalla crescita del reddito pro-capite e
dalla massiccia migrazione dalle zone rurali alle zone urbane, i secondi
invece sono aumentati grazie alle politiche infra-strutturali del governo,
all’afflusso di capitali dall’estero e all’elevata disponibilità di credito
interno.
3
A. CANZIANI, La strategia aziendale, Milano, Giuffrè, 1984.
2
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Tabella 1. – Principali indicatori dell’economia cinese (2007)
Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.
Figura 1. – Sviluppo dell’economia cinese (2001-2006)
Fonte: World Bank – UNCTAD, 2007.
Tra il 1978 e il 2004, nonostante la sostenuta crescita del PIL (nell’anno
della c.d. <open door policy> era di soli 147 miliardi di dollari), si sono
avuti tre distinti periodi di <surriscaldamento> dell’economia4.
Il primo periodo riguarda il biennio 1984–1985: il tasso di crescita
raggiunge il 15,2% del PIL e conseguentemente, un’inflazione dei prezzi al
consumo pari all’8,8%.
Il secondo periodo di surriscaldamento si manifesta nel biennio 1988–
1989, nel quale l’inflazione subisce un’accelerazione e i prezzi al consumo
aumentano in media del 18,4% all’anno.
Il fenomeno si ripete durante gli anni 1992–1993, con il PIL in crescita di
quasi il 14% e i prezzi in aumento del 24%.
4
A. AMIGHINI, S. CHIARLONE, L’evoluzione macroeconomica e l’integrazione
commerciale della Cina, in C. DEMATTÈ, F. PERRETTI (a cura di), La sfida cinese.
Rischi e opportunità per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 164-191.
3
Marco Bergamaschi
Queste ripetute ciclicità economiche sono gli effetti di fenomeni assai
differenti. Mentre l’espansione del PIL degli anni Ottanta deriva da un
aumento dei consumi, nonché, in senso lato, della domanda interna,
l’incremento degli anni Novanta, invece, è frutto dell’accrescimento degli
investimenti -prevalentemente di provenienza estera-, concentrati nel settore
edile, immobiliare e manifatturiero.
A queste congiunture economiche negative occorre inoltre aggiungere la
crisi finanziaria del 2008, crisi dalla quale il sistema economico cinese non è
stato immune, ciò dipendendo in particolare dagli ingenti quantitativi di
Buoni del Tesoro statunitense sottoscritti dalla Cina5.
Lo sviluppo economico della Cina, secondo gli studi del Fondo
Monetario Internazionale6, è in linea con quello che ha caratterizzato
l’integrazione economica di altri paesi del Sud–Est Asiatico, come quanto è
accaduto al Giappone durante il decennio 1960-1970; tuttavia, la
potenzialità del fenomeno economico cinese risiede nella sua dimensione: a
un tasso di crescita del PIL costante e sostenuto, la Cina potrebbe ceteris
paribus superare il PIL statunitense entro il 2050 (cfr. fig. 2).
Figura 2. – Prodotto Interno Lordo della Cina (1990-2013)
Fonte: International Monetary Fund, 2007.
5
Cfr. R. C. ALTMAN, The great crash, 2008, in <Foreign Affairs>, 88, 1, 2009, pp. 2-
14;
6
Cfr. F. LEMOINE, L’economia cinese, Bologna, Il Mulino, 2005; FMI, World
economic outlook, 2009.
4
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
In tema di sostenibilità nel lungo periodo della crescita economica cinese
(2009 – 2020), occorre muovere da quanto pianificato durante il sedicesimo
Congresso del partito comunista (novembre 2002). Si è prefissato l’obiettivo
di quadruplicare entro il 2020 il PIL del 2002 mediante l’attuazione del
modello di <socialismo di libero mercato>.
Con un tasso medio di crescita probabile del 7%, nel 2020 il peso
dell’economia cinese potrebbe raggiungere il 7% nel PIL mondiale; questo
dato, per quanto indichi un avanzamento complessivo della Cina,
rimarrebbe comunque inferiore a quello degli Stati Uniti, dell’Unione
Europea e del Giappone7. Anche le esportazioni, per quanto in fase di
crescita, potrebbero tuttavia subire un naturale rallentamento a causa di una
progressiva perdita di competitività dovuta dall’inevitabile apprezzamento
dello yuan e dall’accesa concorrenza di altri paesi in via di sviluppo8.
La sostenibilità dello sviluppo cinese può essere peraltro condizionata da
alcune difficoltà di ordine strutturale, quali i) l’incremento del differenziale
fra redditi rurali e redditi urbani, ii) i danni all’ambiente derivanti
dall’inquinamento causato dalle attività produttive iii) la disoccupazione
come conseguenza della privatizzazione delle imprese di Stato (SOE), iv) la
necessità di riforme dei sistemi assistenziale, pensionistico e previdenziale,
dovuta al costante trend di invecchiamento della popolazione, con
conseguente aumento del deficit pubblico9.
3. Le variabili esogene dell’ambiente-Cina
3.1. La variabile politico-istituzionale
3.1.1. La Repubblica Popolare di Cina (1949-2009)
La guerra civile scoppiata tra i comunisti di Mao Zedong e il
Guomindang del maresciallo Chiang Kai-shek si conclude nel 1949 con la
10
vittoria dei primi e la fuga dei nazionalisti sull’isola di Formosa (Taiwan) .
11
Il partito comunista, ora giunto al potere , promulga la legge di riforma
agraria del 28 giugno 1950 allo scopo di redistribuire le terre ai contadini e
7
M. WEBER, Welfare, environment and changing US-Chinese relations: 21st century
challenges in China, Cheltenham, Edward Elgar, 2004.
8
Cfr. L. LIPSCHITZ, C. ROCHON, G. VERDIER, A real model of transitional growth
and competitiveness in China, International Monetary Fund, Working Paper 08/99, 2008.
9
Cfr. A. BOLTHO, China – Can rapid economic growth continue?, Milano, ISESAO
Working Papers, 2003; M. WEBER, Il dragone e l’aquila. Cina e USA la vera sfida,
Milano, Università Bocconi Editore, 2005.
10
E. COLLOTTI PISCHEL, Storia della rivoluzione cinese, Roma, Editori Riuniti,
1971, pp. 440-441.
5
Marco Bergamaschi
assicurare un minimo di un sesto di ettaro ad adulto. Inoltre, almeno
inizialmente, la dirigenza del partito tratta con la borghesia chiamata a
gestire la ricostruzione dell'apparato industriale: in tal modo, già nel 1952 i
principali settori industriali hanno una produzione superiore al periodo
prebellico, nonostante l'intervento militare cinese in Corea che distrae
risorse al risanamento economico. Tuttavia, nel biennio 1955-1956 vengono
totalmente collettivizzati i settori agricolo e industriale a scapito della
<classe borghese> e dell’iniziativa privata.
Viene istituita anche una commissione statale per la pianificazione, con
lo scopo di elaborare un sistema di contabilità pubblica nazionale mutuato
direttamente dall'URSS. Il primo piano quinquennale (1953-1957) è infatti
del tutto simile al modello sovietico, modello che peraltro resta negli anni
seguenti il punto di riferimento per la dirigenza cinese.
Durante questo periodo, il sistema economico cinese si sviluppa
rapidamente, specialmente nel settore dell'industria pesante12, grazie ai
finanziamenti e ai consistenti aiuti tecnici ed economici provenienti
dall'URSS e dai paesi dell'Est europeo. Al termine del primo piano
quinquennale, la Cina ha ormai orientato il proprio commercio verso il
blocco dei paesi comunisti tanto da effettuare con loro più di due terzi dei
propri scambi con l'estero.
Tuttavia, a muovere dal 1956 il dissenso tra Cina e URSS accresce a
causa della politica di distensione che Chruscev, allora Segretario generale
del partito comunista dell’Unione Sovietica, inaugura nei rapporti
diplomatici con gli Stati Uniti. Dopo i viaggi del Presidente americano
Nixon a Mosca e dello stesso Chruscev negli Stati Uniti, l'URSS ritira il
proprio sostegno diplomatico, militare e tecnico alla Cina.
Nel 1958, l’ottavo Congresso del partito comunista avvia la politica del
<Grande balzo in avanti>, sintetizzata nello slogan “colmare il divario con
l'Inghilterra in quindici anni”, sulla base dei seguenti temi ideologici: i) la
liberazione dell'energia delle masse, ii) l'emancipazione degli spiriti, iii) la
fine della burocrazia, iv) il rifiuto di modelli esterni.
Inoltre, poiché a conclusione del piano quinquennale si rende chiaro che
il duplice ostacolo allo sviluppo economico è da un lato l'eccessiva penuria
di capitali, dall'altro l'abbondanza di manodopera che l'industria pesante non
è in grado di assorbire se non parzialmente, nell'agosto 1958 Mao
costituisce il movimento delle comuni popolari. Le comuni raggruppano le
cooperative agricole e diventano l'unità di base dell'amministrazione rurale,
con il compito di organizzare il lavoro nelle campagne. Le comuni si
11
L’assemblea elesse Mao Zedong Presidente della Repubblica, Liu Shaoqi Presidente
del Comitato permanente e Zhou Enlai Primo Ministro del Consiglio degli Affari di Stato.
12
J. CHESNEAUX, La Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1975, pp. 448-450.
6
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
articolano in <brigate di produzione> e in <squadre>, e possono
comprendere all'incirca duemila famiglie13; al loro interno vengono aboliti il
libero mercato e la proprietà privata dei terreni precedentemente assegnati
con la riforma agraria del 1950.
Poiché la distribuzione del surplus viene calcolata a livello di ciascuna
<comune>, a prescindere cioè dalla produttività delle singole brigate,
l’assenza di qualsivoglia tipo di incentivo economico per aumentare la
produzione agricola comporta che quest’ultima, tra il 1958 e il 1960,
diminuisce a tal punto da creare una grave e generalizzata situazione di
carestia. In questo periodo, secondo le autorità cinesi, le vittime della
malnutrizione vengono stimate in 10-15 milioni di individui.
Nel maggio 1966, alcuni dirigenti appartenenti alla corrente conservatrice
del partito comunista reclamano un’epurazione di tutti gli elementi
<borghesi> del partito stesso. Nell’agosto dello stesso anno, l’undicesimo
plenum del Comitato Centrale approva gli obiettivi della <Rivoluzione
culturale>, fra cui la lotta al capitalismo e la costituzione di gruppi, comitati
e congressi della Rivoluzione, eletti mediante un sistema di elezione simile
a quello della Comune di Parigi. Inoltre, sorge il movimento delle <guardie
rosse> (giovani partigiani di Mao), dapprima a Pechino e poi in tutta la
Cina14.
Accolto inizialmente con favore, il movimento provoca tuttavia rivolte e
scontri in tutto il Paese: solo l’intervento dell’esercito per proteggere gli
impianti industriali e le amministrazioni pubbliche consente di ristabilire
l’ordine.
Superate le tensioni politiche causate dalla Rivoluzione culturale, nel
1975 Deng Xiaoping, allora vicepresidente del Comitato Centrale del
partito, presenta un programma teso allo sviluppo industriale, ad una
gestione virtuosa delle imprese pubbliche e all’importazione di tecnologia,
con l’obiettivo di un costante miglioramento delle condizioni materiali di
vita della popolazione15.
Nonostante questo primo tentativo di riforma, i principi dell’economia
pianificata restano sostanzialmente invariati. I prezzi e i salari sono ancora
fissati per via amministrativa; la quasi totalità dei complessi industriali è di
proprietà dello Stato; il sistema bancario si riduce a una sola banca (Banca
Popolare di Cina), le cui filiali controllano la contabilità delle imprese e la
conformità delle loro operazioni al piano; gli scambi commerciali con
13
C. BETTELHEIM, L’organizzazione industriale e la rivoluzione culturale in Cina,
Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 53–57.
14
E. MASI, Breve storia della Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1979, pp. 104-106.
15
M. C. BERGERE, La via cinese, in Storia economica e sociale del mondo, Bari,
Laterza, 1979, vol.VI, pp. 583–584.
7
Marco Bergamaschi
l’estero sono esercitai in regime di monopolio di alcuni enti, dipendenti dal
Ministero per il commercio.
Tuttavia, a muovere dal 1978, grazie alla politica di Deng Xiaoping16, il
Comitato Centrale del partito approva la prima fase di liberalizzazione
economica. Questa riforma è comunemente nota con il termine di <Politica
della porta aperta>, e si declina nelle c.d. <quattro modernizzazioni>: i)
agricoltura, ii) industria, iii) difesa, iv) scienza. Pertanto, nel settore agricolo
si assiste ad una progressiva decollettivizzazione delle campagne:
innanzitutto, vengono soppresse le comuni popolari e le quote obbligatorie
di raccolto gravanti su ciascun nucleo familiare; in secondo luogo, i terreni
agricoli vengono suddivisi e assegnati a ciascuna famiglia (household
responsibility system).
Mentre la fase iniziale delle riforme concerne essenzialmente il settore
primario, durante la seconda metà degli anni Ottanta le riforme riguardano
in particolar modo il settore industriale. Nell’ottobre 1984 il Comitato
Centrale del partito opta per un <sistema misto> nel quale coesistono
pianificazione e libero mercato. In tal senso, vengono decisi la
liberalizzazione dei prezzi, del commercio con l’estero e una maggiore
autonomia gestionale delle imprese (ad esempio, gli stipendi dei dirigenti
possono venire collegati con gli utili conseguiti dall’impresa, allo scopo di
incentivarne la produttività). Al termine dello stesso anno viene ampliato a
14 città costiere il sistema di <zone economiche speciali>, volto a
incoraggiare gli investimenti esteri e acquisire nuova tecnologia.
L’intensificarsi degli scambi commerciali e finanziari e la crescita degli
investimenti diretti esteri determinano la rapida integrazione del Paese al
sistema economico mondiale: di tale fenomeno è espressione l’adesione
della Cina al Fondo Monetario Internazionale (1980), alla Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (1980) e all’Ufficio
Internazionale del lavoro (1983).
Nel 1988, nonostante l’introduzione di una serie di misure di
riaggiustamento per rettificare il disavanzo del commercio estero e per
ricostituire le riserve in valuta, si avvia una fase di crisi economica, sociale e
politica, causata dalla nuova liberalizzazione dei prezzi che comporta un
rialzo improvviso di rincari dal 24 al 50%. I disagi della popolazione
sfociano nella manifestazione del 16 e 17 maggio 1989 di piazza Tian an
men, repressa nel sangue dall’esercito. L’eco mediatico che ottiene questo
fatto conduce alla rottura delle relazioni diplomatiche con Stati Uniti ed
Europa e, conseguenetmente, all’isolamento politico ed economico della
Cina durante il biennio 1989-1991.
16
Celebre il motto attribuito a Deng Xiaoping: ”Non è importante di che colore sia il
gatto, se bianco oppure nero, purché però acchiappi i topi”.
8
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Il rilancio del processo di riforma avviene nell’autunno del 1992, quando
il quattordicesimo Congresso del partito indica quale obiettivo finale che
deve essere perseguito, la c.d. <economia socialista di mercato>.
Infine, nel corso degli anni Novanta, si assiste alla privatizzazione di
numerosi complessi industrial-finanziari di proprietà dello Stato e, di
conseguenza, nel 1994, all’entrata in vigore della legge sulle società
commerciali e della legge di riforma degli istituti di credito.
Così riformato, il sistema bancario cinese si fonda pertanto sulla banca
centrale (Banca Popolare di Cina), alla quale vengono affidate le politiche
monetarie del Paese, su quattro grandi banche commerciali (Banca
dell’Agricoltura, Banca Industriale e Commerciale, Banca di Cina e Banca
della Costruzione), e su tre istituti di nuova costituzione (Banca di Sviluppo,
Banca di Sviluppo Agricolo, Banca di Import-Export).
Dal dicembre 1990 vengono istituite le Borse-Valori di Shanghai e
Shenzhen, alle quali occorre affiancare quella di Hong Kong, dopo la
riunificazione della ex colonia con la Cina nel 1997.
3.1.2. L’ordinamento giuridico
Sinteticamente, con riguardo all’ordinamento dello Stato, la Repubblica
Popolare Cinese, proclamata il giorno 1 ottobre 1949, si fonda sulla Carta
Costituzionale promulgata il 4 dicembre 1982, in base alla quale il Partito
Comunista detiene una preminenza assoluta.
Organo supremo del potere statale è l’Assemblea nazionale del Popolo, i
cui 2979 membri vengono eletti per un periodo di cinque anni, dalle
province, dalle regioni autonome, dalle municipalità e dalle Forze Armate.
L’Assemblea nazionale del Popolo si riunisce di regola una volta
all’anno, ma al suo interno si forma un Comitato permanente, composto da
centocinquantacinque membri, che ne esercita le funzioni negli intervalli fra
le sessioni. L’Assemblea elegge inoltre il Presidente della Repubblica, il
Primo Ministro e il Consiglio di Stato (che svolge la funzione esecutiva), ed
esercita il potere legislativo.
Nonostante l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, l’ordinamento giuridico cinese sconta ancora l’insufficiente
radicamento della c.d. <rule of law>, ossia della certezza del diritto e del
rispetto –anche da parte dello stesso legislatore- di regole predeterminate. In
altre parole, non sussiste ancora la piena attuazione del principio gerarchico
delle fonti normative e del principio della ripartizione delle competenze fra
poteri dello Stato17. In particolare, la magistratura non è dotata della
17
Cfr. P. GEWIRTZ, Indipendence and accountability of courts, Yale papers, 2002, pp.
1-29; L. HUANG, Code, custom and legal practice in China, Stanford, Stanford University
Press, 2001.
9
Marco Bergamaschi
necessaria indipendenza rispetto al potere esecutivo, e ciò in ragione del
principio della unitarietà del potere pubblico, tipico dei regimi comunisti.
Un ulteriore vulnus dell’ordinamento giuridico cinese consiste nel
differente trattamento legislativo riservato -talora in pejus- agli investitori
stranieri in determinati settori dell’economia nazionale. Inoltre, l’eccessiva
frammentazione della pubblica amministrazione comporta forme di
superfetazione legislativa, interpretazioni della legge sovente arbitrarie e
regolamentazioni relative a stesse attività, diverse da zona a zona.
Tuttavia, a muovere dagli anni Novanta, la produzione legislativa è stata
finalizzata all’adeguamento del diritto civile e commerciale cinese rispetto
ai sistemi giuridici occidentali; si ricordano, fra le altre, le seguenti leggi:
assicurazioni (1995), banche commerciali (1995), imprese societarie (1997),
contratti (1999), trust (2001)18. Tale modernizzazione in campo legislativo è
certamente frutto del fiorire nelle facoltà di giurisprudenza cinesi, di
numerosi studi sul diritto romano e sulla tradizione giuridica dell’Europa
continentale. Ciò ha permesso una continua e stimolante comparazione fra
sistemi giuridici afferenti all’area <civil law> e ordinamento della
Repubblica Popolare Cinese.
3.2. La variabile demografica
Nel 1953, in occasione del primo censimento del regime comunista, la
popolazione è di 594 milioni; al censimento del 6 gennaio 2005 essa
ammonta a 1 miliardo e 300 milioni di abitanti. Una misura governativa
volta a controllare l’aumento demografico è stata la c.d. <politica del figlio
unico>, iniziatasi nel 1979 e consistente in un regime di favor nei confronti
del figlio unico (gratuità della scuola e delle cure mediche) o, viceversa, di
sanzioni (multe, ritenute salariali, sterilizzazioni) in caso di nascita del
secondo figlio. Il tasso di natalità, al 34‰ nel 1970, si è in tal modo ridotto
al 12,3‰ nel 2004; tuttavia, la popolazione cinese, tenuto conto di un
ridotto tasso di mortalità (6,4‰ nel 2004) e di un aumento della speranza di
vita (70 anni per i maschi e 73 per le donne), registra comunque una crescita
annua dello 0,9% (1998 – 2003).
18
Cfr. X. GUOJIAN, Contract in chinese private international law, in <The
International and Comparative Law Quarterly>, 1989, 38, 3, pp. 648-653; M. TIMOTEO, Il
contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti occidentali, Padova, CEDAM, 2004;
L. FORMICHELLA, G. TERRACINA, E. TOTI (a cura di), Diritto cinese e sistema
giuridico romanistico. Contributi, Torino, Giappichelli, 2005; G. CRESPI REGHIZZI, I
contratti e la proprietà in Cina, in Atti del Convegno <Un ponte verso la Cina>, Milano,
Università Bocconi, 14 settembre 2005; H. SHIYUAN, Liabilities in contract law of China:
their mechanism and point of dispute, in <Front Law China>, 1, 2006, pp. 121-152; L.
MOCCIA, Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, Bollati Boringhieri,
2009.
10
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Nonostante il propagarsi di alcune malattie (epatite, tubercolosi, AIDS e
SARS, <Severe Acute Respiratory Syndrome>) che hanno posto in luce i
limiti e l’inefficienza del sistema sanitario nazionale, le condizioni materiali
di vita sono migliorate: a riprova di questo, si riporta un ulteriore indicatore
sociale, cioè il numero di calorie per abitante al giorno che è
considerevolmente aumentato (nel 1977 è di 2000 calorie, ora è di 2951
calorie).
Il livello di educazione denota un progresso dovuto in larga parte al
ricambio generazionale; il numero di analfabeti nel 2007 è pari al 9% della
popolazione di età superiore ai 6 anni, contro il 16% del 1990. La diffusione
dell’insegnamento superiore è piuttosto ridotta (6% circa) e la stessa spesa
pubblica (2,5% del PIL) per l’istruzione accusa un ritardo della Cina rispetto
ad altri paesi asiatici come India e Thailandia (rispettivamente 3,5% e 4,5%
del PIL).
Il territorio cinese è suddiviso in ventidue province, cinque regioni
autonome e quattro municipalità (Shanghai, Tianjin, Pechino e Chongqing).
Circa i quattro quinti dell’intera popolazione vive su meno della metà del
territorio. Le province costiere riguardano soltanto il 12% del territorio ma
in esse vive il 42% della popolazione; nelle province centrali (30% del
territorio) vive il 35% della popolazione; il restante 23% vive nella parte
occidentale, che corrisponde al 57% del territorio. Il disequilibrio
demografico esistente in Cina è dovuto a un processo di inurbazione tardivo,
conseguenza del take-off del sistema economico cinese, ossia del passaggio
da un’economia basata sul settore primario, allo sviluppo dei settori
secondario e terziario19.
Tale differenziale demografico è inoltre acuito dal grado di
sperequazione dei redditi raggiunto fra metropoli (in particolare, Pechino e
città della costa sud-orientale) e zone rurali (località montuose o isolate)
specialmente nelle province del sud–ovest (altopiano del Tibet) e del nordovest (Mongolia interna), ove gli effetti dello sviluppo economico sono nulli
o irrisori.
Si stima che la porzione di popolazione con un reddito sufficiente ad
acquistare beni di importazione, per condurre una vita di tipo occidentale,
non ammonti a più di 30 milioni di persone: di tale classe sociale fanno
tipicamente parte le alte cariche dirigenziali dello Stato e delle imprese
19
Cfr. D. BHATTASALI, S. LI, W. MARTIN, China and the WTO. Accession, Policy
Reform, and Poverty Reduction Strategies, Washington, World Bank and Oxford
University Press, 2004; J. G. MONTALVO, M. RAVALLION, The pattern of growth and
poverty reduction in China, World Bank, Policy Research Working Paper, 1, 2009.
11
Marco Bergamaschi
pubbliche, i dirigenti delle imprese straniere, gli imprenditori privati, alcuni
esponenti delle professioni liberali20.
3.3. Produzioni e tecnologia
3.3.1. I settori economici
Con riferimento al settore primario, la superficie coltivata è meno di un
sesto dell’intero territorio, e continua costantemente a ridursi per effetto dei
processi di inurbazione e industrializzazione. Il suolo è arativo solo per il
14,5%; la restante parte è ricoperta di boschi per il 17,5%, rimane incolta
per il 25,1% ed è a carattere prativo per un abbondante 42,9%.
Fra le principali produzioni agricole occorre rammentare anzitutto il riso,
per il quale la Cina è il primo produttore mondiale e la cui coltivazione è
diffusa prevalentemente nelle regioni meridionali. L’agricoltura cinese si
colloca inoltre al vertice della produzione mondiale di frumento (coltivato
nella piana dello Huang He), cereali, patate, arachidi, tabacco e frutta.
La Repubblica Popolare Cinese è inoltre il maggiore produttore di cotone
(circa 6.5 milioni di tonnellate annue), seguita da Stati Uniti (5.2 milioni di
tonnellate), India, Pakistan e Uzbekistan. Nonostante tale primato, la Cina si
pone tuttavia anche come principale importatore di questa fibra, dal
momento che ne consuma annualmente circa 10 milioni di tonnellate.
I rendimenti dell’agricoltura cinese sono elevati in quanto viene fatto
ricorso intensivo ai concimi (specie chimici) e ad impianti di irrigazione che
coprono larga parte (circa il 60%) della superficie coltivata.
La trasformazione della struttura della produzione agricola, e il relativo
arretramento delle colture (specialmente cereali), hanno contribuito
all’aumento dell’allevamento. La Cina è prima a livello mondiale per
numero di ovini (157 milioni e 330 mila capi), di caprini (183 milioni e 363
mila capi), di suini (473 milioni circa di capi), di cavalli ed equini (20
milioni circa di capi) e di volatili (quasi 5 miliardi di capi)21.
La Cina si pone ai vertici mondiali anche per quanto concerne le risorse
energetiche e minerali. Le riserve di carbone ammontano a 114 miliardi di
tonnellate, pari al 12,5% del totale mondiale, e per questo motivo tale
materia viene esposrtata per un valore pari a 2 miliardi e 760 milioni di
dollari (2003). Le riserve di petrolio e di gas naturale sono invece
significative (rispettivamente il 2,3% e lo 0,9% del totale mondiale), ma
tuttavia non illimitate.
20
J. AZIZ, L. CUI, Explaining China’s low consumption: the neglected role of
household income, International Monetary Fund, Working Paper 07/181, 2007.
21
Cfr. FMI, World economic outlook, 2009.
12
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Con riguardo poi al settore secondario, Il sistema industriale cinese al
2006 comprende circa 8.600 gruppi di imprese, dai quali deriva circa il 45%
dell’intero prodotto, 150.000 imprese di piccole dimensioni, le quali
producono circa il 40% e, infine, 12.500 imprese di medie dimensioni che
concorrono per il 13%. Si esclude da questo calcolo la miriade di micro–
imprese, locate principalmente nelle zone rurali, pari a 6-7 milioni.
Sotto un altro punto di vista, il tessuto produttivo è composto da imprese
statali, imprese cinesi private e imprese a capitale straniero.
Le imprese statali (State Owned Enterprises, SOE) sono tuttora rilevanti,
in quanto nel 2006 realizzavano ancora circa il 40% del PIL industriale; in
taluni settori queste operano peraltro in regime di monopolio come, ad
esempio, nel mercato del tabacco, o sono presenti in misura predominante
come nei settori che necessitano di ingenti investimenti, quali l’energetico,
il chimico e petrolchimico, il siderurgico.
Le altre imprese cinesi contribuiscono per il 29% al PIL industriale; esse
hanno una presenza rilevante nei settori tradizionali del tessileabbigliamento, del legno, dei giocattoli e dei materiali da costruzione.
Le imprese a capitale straniero (Foreign Invested Enterprises, FIE)
svolgono un ruolo sempre più pregnante nella formazione del PIL
industriale cinese (nel 2008 è stato pari al 29%). Le imprese straniere
provengono prevalentemente da Hong Kong e Taiwan22; la restante parte è
frutto degli investimenti di imprese giapponesi, europee e statunitensi. Le
imprese a capitale straniero assicurano il 54% della produzione di cuoio e
calzature, il 74% del materiale elettronico e per telecomunicazioni, il 58%
del materiale per ufficio e l’80% della produzione delle autovetture ad uso
privato23 (cfr. tab. 2 e 3).
22
H. CHEN, O. UNTEROBERDOERSTER, Hong Kong SAR economic integration
with the Pearl river delta, International Monetary Fund, Working Paper 8/273, 2008.
23
Y. HUANG, Selling China. Foreign directed investment during the reform era,
Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
13
Marco Bergamaschi
Tabella 2. - Import-export delle imprese estere in Cina (1986-2007)
Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.
Tabella 3. – Indicatori economici sulle imprese a capitale straniero (2007)
Fonte: www.fdi.gov.cn, 2007.
Infine, in quanto economia in transizione, il settore terziario della Cina –e
precisamente il bancario, l’assicurativo e la consulenza- non è ancora
adeguatamente sviluppato; pesano su questo i numerosi vincoli di carattere
fiscale e legislativo che impongono restrizioni agli investimenti stranieri.
3.3.2. La tecnologia
Nel 1986, il governo cinese avvia un programma di ricerca e sviluppo
dell’alta tecnologia, denominato <piano 863>, relativo ai seguenti settori
14
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
scientifici: biologia, volo spaziale, informatica, laser, automazione, energie,
nuovi materiali, tecnologia oceanica. Grazie a questo programma, la Cina ha
compiuto ingenti investimenti statali, con lo scopo di ridurre il divario
tecnologico e scientifico con i Paesi Occidentali e il Giappone.
In particolare, rilevanti traguardi sono stati ottenuti nei campi
dell’informatica, con la progettazione di elaboratori elettronici ad alte
prestazioni, delle biotecnologie (ad esempio, la coltura di vegetali con
proprietà terapeutiche per la produzione di nuovi medicinali),
dell’aeronautica spaziale (nel 2003, con la missione <Shenzhou 5>, la Cina
diviene il terzo Paese della comunità internazionale ad inviare un uomo
nello spazio).
Inoltre, la continua espansione degli investimenti esteri sul territorio della
Repubblica Popolare Cinese, specialmente quelli provenienti da Stati Uniti,
Giappone e Unione Europea, ha avuto l’effetto di innalzare il livello
tecnologico del Paese. I principali settori ove si sono sviluppate eccellenze
in campo tecnologico sono quelli chimico e petrolchimico, biomolecolare,
militare, aerospaziale, delle telecomunicazioni e mass-media.
Tuttavia, nonostante gli sforzi finora compiuti, solo una parte del
territorio (circa il 10%) è coperta da servizi telefonici. In crescita gli utenti
di internet (circa 90 milioni), per quanto tale fenomeno sconti il controllo
governativo delle informazioni sul web.
Con riguardo infine al settore dei trasporti, il governo cinese ha compiuto
numerosi investimenti per la costruzione di nuove infrastrutture.
Ad esempio, nel 2006 è stata inaugurata la linea ferroviaria PechinoLhasa che collega la capitale al Tibet ed è percorsa da treni speciali ad
elevato contenuto tecnologico, per fare fronte alle asperità del suolo, del
clima, nonché alle differenze di altitudine. E ancora, si è conclusa nel 2008
la costruzione del ponte a campata denominato <Hangzhou Bay Bridge>, un
viadotto sul mare lungo 36 chilometri, la cui struttura a sei corsie in
cemento e acciao consente un rapido collegamento fra Shanghai e la zona
industriale di Ningbo.
Per quanto tali opere pubbliche siano significative del livello tecnologico
raggiunto nel campo della logistica, occorre tuttavia aggiungere che tale
settore appare ancora inadeguato rispetto alle esigenze del mercato e, in
particolare, ai volumi di merce movimentati24.
24
S. VETTORI, Logistica: uno sviluppo senza precedenti, in M. WEBER (a cura di),
La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato del mondo, Milano,
Olivares, 2005, pp. 197-232.
15
Marco Bergamaschi
3.4. La variabile finanziaria
Seppur in modo diminuito nel corso dell’ultimo decennio, il sistema
bancario cinese alimenta un eccesso di liquidità dovuto preminentemente
dagli ingenti depositi dei privati (i processi di risparmio-investimento
riguardano circa al 40% del reddito medio pro-capite): ciò comporta facilità
di accesso al credito, e, talvolta, l’allocazione di capitali in attività non
redditizie o eccessivamente rischiose25.
Infatti, le quattro banche di Stato26 perseverano nel concedere credito a
imprese statali27 i cui bilanci di esercizio sovente si chiudono in perdita, in
base a considerazioni di carattere meramente clientelare o politico: l’effetto
è altresì di rallentare i progressi sul fronte di una riforma del sistema
finanziario e aumentare le probabilità di prestiti a rischio di insolvenza28.
La necessità di una riforma del sistema bancario è evidenziata dalla
discriminazione contro la quale lotta il settore privato: le banche concedono
prestiti alle imprese private con maggiore difficoltà e tassi più onerosi
rispetto alle aziende pubbliche.
Sotto il profilo dei cambi internazionali di valuta, la variabile finanziaria
è influenzata dall’ancoraggio dello yuan al dollaro con un tasso di cambio
fissato all’interno di una <banda stretta>. Questa situazione genera un
eccesso di offerta di valuta che deve venire assorbito dalla Banca Centrale
per difendere il cambio, con l’effetto di un aumento della liquidità interna.
Con riferimento infine agli investimenti diretti esteri (IDE), gli Stati Uniti
(anno 2007) sono il primo investitore (se non si considera Hong Kong)
prima di Giappone, Unione Europea e Taiwan. La maggior parte degli IDE
diretti nel paese viene destinata ad aprire nuove imprese: si tratta di
investimenti detti <greenfield>, volti a incrementare la capacità produttiva
del Paese29.
25
Cfr. L. SAU, La struttura del sistema finanziario in Cina, Torino, Dipartimento di
Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 7, 2008; L. SAU, Gradualism and the
evolution of the financial structure in China, Torino, Dipartimento di Economia <S.
Cognetti de Martiis>, Working Paper 3, 2009.
26
Le banche statali sono le seguenti: Agricultural Bank of China (Abc), Bank of China
(Boc), Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), China Construction Bank (Ccb).
27
Cfr. A. ZHANG, China’s State-Owned Enterprises: prepare for a turbulent flight, in
<European Business Forum>, 15, 2003; M. WEBER, Il dragone e l’aquila, 2005, pp. 4750.
28
Cfr. R. PODPIERA, Progress in China’s Banking sector reform: has bank behavior
changed?, International Monetary Fund, Working Paper 06/71, 2006; D. DOLLAR, S. J.
WEI, Das (wasted) kapital: firm ownership and investment efficiency in China,
International Monetary Fund, Working Paper 07/9, 2007.
29
J. CLEGG, S. KAMALL, W. M. LEUNG, The shaping of European firms’market
entry strategies in the People’s Republic of China: the case of telecommunications, Milano,
16
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
3.5. La nuova ricchezza e la propensione al consumo
3.5.1. Struttura e tipologie dell’imprenditoria cinese
Numerose imprese cinesi, sovente ignorate dalle rivali asiatiche, europee
e statunitensi, hanno prodotto marchi che, gradualmente, hanno occupato
posizioni di leadership nel mercato mondiale. Nel 2002 ad esempio, Haier
Group – produttore mondiale di elettrodomestici – ha conquistato circa la
metà del mercato statunitense dei piccoli frigoriferi; l’anno seguente,
Guangdong Galanz – che produce a livello globale il 30% dei forni a
microonde – ha raggiunto la quota del 40% del mercato europeo30.
Da una decina d’anni, si assiste peraltro ad una nuova generazione di
società <ibride>, che comprendono investitori pubblici, privati e perfino
stranieri. In Tlc Group per esempio –produttore di televisori e di telefonia
mobile– il governo cinese detiene la percentuale di maggioranza delle
azioni, affiancato tuttavia da investitori stranieri (Toshiba e Sumitomo) e
privati (il management della società stessa). Tlc Group non è un caso
isolato: anche altre imprese possono essere classificate come a
partecipazione pubblica ma non gestite dal governo. Inoltre, recenti
interventi legislativi hanno concesso anche alle aziende pubbliche di
accedere al mercato azionario, sicché, grazie alla quotazione in Borsa,
queste hanno assunto partecipazioni di controllo in altre società, costituendo
in tal modo gruppi di imprese.
Secondo la letteratura anglosassone sul tema, si possono individuare
quattro tipologie di imprese cinesi: i) i <campioni nazionali>, in posizione
di leadership sul mercato domestico e ormai emergenti anche sul piano
internazionale; ii) le società di <export>, volte per loro natura ad accedere ai
mercati esteri; iii) i <consorzi competitivi>, costituenti unioni di aziende di
modeste dimensioni specializzate in determinati settori merceologici; iv) le
<startup> tecnologiche, frutto delle innovazioni scientifiche prodotte dagli
istituti di ricerca statali31.
Con riguardo alla prima tipologia, si riporta l’esempio di Haier Group,
leader nel mercato cinese degli elettrodomestici: produce oltre 250 tipi di
frigoriferi, lavapiatti, condizionatori e forni. All’estero si rende competitiva
rispetto ad aziende come Whirlpool e General Electric, con particolare
riguardo alla produzione di frigoriferi compatti. Dal 2000, questa società ha
ISESAO Papers, 2001; D. MADDALONI, Investimenti diretti in Cina. Politiche pubbliche
e valutazioni economico-finanziarie, Milano, Franco Angeli, 2008.
30
M. ZENG, P. J. WILLIAMSON, The Hidden Dragons, in <Harvard Business
Review>, 81, 2003, pp. 92-99.
31
Cfr. M. ZENG, P. J. WILLIAMSON, op. cit., pp. 92-99; V. VALLI, The three waves
of the fordist model of growth and the case of China, Torino, Dipartimento di Economia
<S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 5, 2009.
17
Marco Bergamaschi
inoltre costituito un impianto produttivo a Camden (Carolina del Sud) e un
centro di progettazione a Los Angeles per la costruzione di celle frigorifere
per il vino.
Il gruppo Legend (ora Lenovo), fondato nel 1984 da alcuni ricercatori del
China’s Institute of Computing Technology, è il maggiore produttore cinese
di Computer e schede-madri (20% del mercato mondiale); nel 2003 Lenovo
ha acquistato la divisione computer dell’americana IBM.
In data 22 settembre 2008 il gruppo cinese Zoomlion, produttore di
macchinari per l’edilizia ha formalmente concluso l’acquisizione del 100%
del capitale di CIFA S.p.A., azienda leader in Europa nella produzione di
macchine per l’impasto del calcestruzzo, per un valore pari a 511 milioni di
Euro. Questa combinazione aziendale ha creato il maggiore produttore
mondiale del settore, con circa 14.000 dipendenti e 1,6 miliardi di Euro di
ricavi.
Delle imprese cinesi appartenenti alla seconda tipologia, si può
annoverare Pearl River Piano, con sede a Guangzhou, dal 1992 uno dei
maggiori produttori di pianoforti al mondo; oppure Cimc (China
International Marine Containers), azienda leader nella produzione di
container per navi; o, infine, Galanz, che, con un fatturato pari a 1 miliardo
di dollari, nel 2002 ha raggiunto la soglia di 15 milioni di forni a microonde
commercializzati con oltre 200 marchi in tutto il mondo.
Con riguardo alla terza categoria, in Cina vi è un certo numero di
consorzi competitivi, ognuno dei quali composto da centinaia di imprese a
carattere prevalentemente familiare, operanti nella medesima area
geografica. In via esemplificativa, le famiglie di Wenzhou hanno fondato un
consorzio che nel 2002 ha prodotto 750 milioni di accendisigari,
conquistando così il 70% del mercato mondiale.
L’ultima tipologia di imprese cinesi, cioè le <startup> tecnologiche,
vengono costituite allo scopo di conseguire utili dallo sfruttamento
commerciale delle innovazioni tecniche e scientifiche brevettate dai
laboratori e centri di ricerca pubblici quali, ad esempio, il China’s Institute
of Biochemistry and Cell Biology, che ha riprodotto nel 2000 una sequenza
del Dna con 8.000 geni umani.
3.5.2. I processi di consumo
Con particolare riguardo alla categoria dei consumatori cinesi, la Cina si
caratterizza per la presenza di una pluralità di mercati <regionali>32.
32
Cfr. G. CUI, Q. LIU, Regional market segments of china: opportunities and barriers
in a big emerging market, in <Journal of Consumer Marketing>, 17, 1, 2000, pp. 55-72; K.
LIEBERTHAL, G. LIEBERTHAL, The great transition, in <Harvard Business Review>,
81, 2003, pp. 71-81; Y. CHEN, J. PENHIRIN, Marketing to China’s consumers, in
18
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
In base allo sviluppo economico e al potere d’acquisto dei consumatori è
infatti possibile suddividere il territorio del Paese in sette <mercati
regionali> raggruppanti ciascuno province contigue tra loro per posizione
geografica, economia e cultura. Le sette aree in questione possono venire
così ripartite:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
South China (Guangzhou, Fujian, Hainan, Hong Kong);
East China (Shanghai, Zheijiang, Jangsu);
North China (Beijing, Tianjing, Hebei, Shandong);
Central China (Heann, Anhui, Hubei, Hunan, Jiangxi);
Southwest China (Sichuan, Guangxi, Guizhou, Yunan);
Northeast China (Heilongjiang, Jilin, Liaoning);
Northwest China (Inner Mongolia, Shanxi, Shan’xi, Gansu, Ningxia,
Xinjiang, Quinghai, Tibet).
I primi due segmenti (South e East China) costituiscono i mercati a
maggiore crescita, con i più elevati livelli di reddito disponibile e, dunque,
di capacità di spesa della popolazione. In particolare, l’area <South China>
comprende quattro zone economiche speciali ed è stata la prima regione ad
attrarre gli investimenti stranieri. Le province di Guangdong e Hong Kong
si sono progressivamente integrate; Fujian attrae notevoli investimenti da
Taiwan.
L’area <East China> trova in Shanghai il suo fulcro economico; vasti
compendi industriali e commerciali consentono a questa zona di partecipare
per il 30% alla produzione industriale del Paese. I consumatori della regione
stimati in quasi 200 milioni sono, per cultura e tradizione, i più innovativi e
cosmopoliti, attratti dalla moda e dalle tendenze occidentali.
Nella area <North China> si trova Pechino, il centro politico del paese.
La sua economia attira molti investitori stranieri per la presenza dei
principali enti governativi e per gli ingenti investimenti nel settore delle
telecomunicazioni, nella tecnologia informatica e nell’industria
farmaceutica.
Nel segmento regionale <Central China> prevale un’economia rurale,
peraltro poco sviluppata a causa del clima ostile, che provoca siccità e
inondazioni. La zona maggiormente industrializzata si colloca nella periferia
della città di Wuhan.
La <Southwest China> è un area caratterizzata da una posizione
geografica che rappresenta certamente un limite (essa è di difficile accesso a
<McKinsey Quarterly>, Special Edition, 2004, pp. 62-73; F. MUSSO, F. BARTOLUCCI,
A. PAGANO, Competere e radicarsi in Cina, Milano, Franco Angeli, 2005; L. CUI, M. H.
SYED, The shifting structure of China’s trade and production, International Monetary
Fund, Working Paper 07/214, 2007.
19
Marco Bergamaschi
causa di altipiani, bacini e foreste subtropicali) ma anche un punto di forza,
dato che i paesaggi esotici sono meta del turismo e, conseguentemente,
causa dello sviluppo del settore alberghiero.
La <Northeast China> è specializzata nell’industria pesante (autovetture,
macchinari industriali, settore estrattivo). Tuttavia, le imprese che operano
in quest’area, tipicamente a partecipazione pubblica, si caratterizzano per
l’utilizzazione di sistemi produttivi obsoleti.
Infine, l’area della Cina nord-occidentale, essendo scarsamente popolata,
economicamente arretrata e poco accessibile a causa delle elevate catene
montuose e del deserto in continua espansione, è rimasta pressoché esclusa
dallo sviluppo economico nazionale. Per tale motivo, il governo centrale ha
previsto varie agevolazioni fiscali per incentivare gli investitori stranieri.
Alla luce di quanto osservato, soltanto le aree urbane relative ai segmenti
regionali <South China>, <East China>, <North China>, in quanto
maggiormente interessate dallo sviluppo economico, presentano una
popolazione che percepisce un reddito medio pro-capite significativo se
comparato con i processi di consumo tipici dell’Occidente (cfr. fig. 3).
Tuttavia, nonostante in tali regioni si concentri la fascia di popolazione
con il maggiore potere di acquisto, occorre precisare ulteriormente. Con
riferimento alle tre categorie di consumatori urbani cinesi individuate dalla
letteratura economico-aziendale, ciascuna di queste mostra di accordare
preferenze peculiari per marche cinesi ed estere.
In primo luogo, il segmento denominato <lower middle class> riguarda
circa 160 milioni di persone con una retribuzione annua media pari a 9601.440 Euro. I processi di consumo di tale categoria sono limitati e
strettamente influenzati dalla variabile del prezzo.
In secondo luogo, il segmento dei <white collar workers> comprende
circa 300 milioni di persone appartenenti alla <classe media>. Tuttavia, con
una retribuzione annua pari a circa 3.600-7.000 Euro, il consumatore di
questa categoria, per quanto sia in grado di riconoscere e apprezzare la
qualità del prodotto di marca estera, non è in grado di adottare
comportamenti di acquisto rilevanti per le imprese occidentali.
In terzo luogo, il segmento <yuppies and aristocrats> riguarda circa 10
milioni di persone la cui retribuzione annua –superiore a 7.000 Euroconsente loro di attuare processi di consumo di tipo <occidentale>,
evidenziando fra l’altro, una spiccata propensione verso prodotti di lusso di
marche internazionali33.
33
Cfr. K. P. LIANZI, I. ST-MAURICE, C. WU, Symbolic value of foreign products in
the People’s Republic of China, in <Journal of International Marketing>, 11, 2, 2003, pp.
36-58; W. MCEWEN, X. FANG, C. ZHANG, R. BURKHOLDER, Inside the mind of the
chinese consumer, in <Harvard Business Review>, 3, 2006, pp. 68-76; I. CASABURI,
20
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Figura 3. - Distribuzione della ricchezza in Cina (2004)
Fonte: MOFCOM, 2005.
3.6. WTO e rapporti internazionali
L’11 dicembre 2001 la Repubblica Popolare Cinese è entrata a far parte
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization WTO), divenendone il 143esimo Stato-membro34. L’adesione della Cina
alla WTO, a riconoscimento dei risultati raggiunti per riformare l’apertura
dei mercati, è il frutto di un lungo e travagliato percorso iniziatosi nel 1971,
anno in cui l’Assemblea Generale dell’ONU, votando la risoluzione n. 2758,
sancisce la legittimità del governo comunista cinese.
Gli impegni cinesi sono assai numerosi ed eterogenei, classificati dai
documenti di adesione nei quattro aspetti principali: i) politiche
economiche, ii) scambi di beni, iii) proprietà intellettuale, iv) servizi.
Gli obiettivi principali oggetto delle trattative concernono essenzialmente
la riduzione delle tariffe imposte sulle importazioni di beni, la graduale
China as a market: what is the real market for international brands?, in Atti del Convegno
<Seventh International Congress Marketing Trends>, Venezia, Università Ca’ Foscari, 2526 gennaio 2008; G. BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia
cinese, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Working Paper 78, 2008.
34
Cfr. G. VENTURINI, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, Giuffrè
Editore, 2000; R. CAVALIERI, L’adesione della Cina alla WTO. Implicazioni giuridiche,
Lecce, Argo Editore, 2003.
21
Marco Bergamaschi
liberalizzazione del settore dei servizi e l’eliminazione di vincoli legislativi
e fiscali discriminatori nei confronti degli operatori economici stranieri.
Precisamente, la Repubblica Popolare Cinese si è impegnata a i) ridurre
le c.d. <zone economiche speciali>, ii) garantire parità di trattamento ai
cittadini e alle imprese straniere rispetto ai cittadini e alle imprese
domestiche, iii) riformare il c.d. <catalogo degli investimenti esteri>,
aprendo all’afflusso di capitali stranieri nuovi mercati e ampliando altresì le
fattispecie nelle quali anche all’investitore di altro Stato-membro è
consentito il controllo delle società partecipate, iv) ridurre i dazi doganali,
le <barriere non tariffarie> e le quote di importazione, v) liberalizzare il
settore terziario, vi) garantire maggiori forme di tutela per la proprietà
intellettuale, vii) riformare l’ordinamento giudiziario.
Con riguardo alle relazioni internazionali di carattere commerciale e
finanziario che la Cina intrattiene con le economie di Paesi terzi, si possono
annotare in breve i seguenti aspetti. Nel corso dell’ultimo decennio del
Secolo XX, le imprese della Repubblica Popolare Cinese –anche a causa
degli effetti della globalizzazione- hanno iniziato a compiere investimenti
diretti in Paesi esteri, concludendo in particolare operazioni di fusione e
acquisizione in America Latina, Asia Centrale, Africa35. Precisamente,
poiché la richiesta di petrolio è incrementata di anno in anno, la Cina ha
sorretto con adeguate azioni diplomatiche l’attività estrattiva delle proprie
compagnie petrolifere presso i governi dei Paesi interessati. Medio Oriente,
Nord Africa, Siberia e Asia Centrale sono le regioni dalle quali proviene la
maggior parte degli idrocarburi acquistati dalla Cina.
Particolare attenzione viene dedicata alle relazioni diplomatiche con
l’Iran: il gruppo petrolifero cinese Sinopec nel corso del 2004 ha acquistato
una quota del 50% dei campi petroliferi di Yadaravan. L’azione diplomatica
cinese è consolidata anche nei confronti dei Paesi africani, al fine di
assicurarsi le materie prime e le risorse energetiche necessarie per sostenere
il proprio sviluppo economico36. Gli investimenti diretti cinesi in Africa si
sono triplicati in cinque anni (7 miliardi di dollari nel 2000; 20 miliardi di
dollari nel 2005; cfr. fig. 4) e hanno subito una flessione solo nel 2008, a
35
L. XIAONING, Sino-European Relations in progress, in <Quaderni di Relazioni
Internazionali>, ISPI, 3, 2006, pp. 52-61.
36
Dal 2000 la Cina mantiene relazioni stabili con larga parte dei Paesi africani mediante
il FOCAC (Forum On China-Africa Cooperation). Per ulteriori informazioni si rinvia al
seguente indirizzo web: http://www.fmprc.gov.cn/zflt/eng/. Cfr., G. CALCHI NOVATI,
L’Africa periferia dell’arena internazionale, in <Quaderni di Relazioni Internazionali>,
ISPI, 3, 2006, pp. 64-74.
22
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
causa della crisi finanziaria37. Nondimeno, il governo di Pechino incentiva
investimenti anche in Sud America, facilitati da concessioni in campo
estrattivo e petrolifero in Venezuela e Perù, nonché da accordi per opere
infrastrutturali in Brasile38.
Figura 4. - Investimenti diretti cinesi in Africa (2005)
Fonte: UNCTAD, 2004.
Per quanto soggetta alla concorrenza di Giappone, Australia e Corea del
Sud, la Cina ha concluso Trattati internazionali con i Paesi limitrofi
dell’Indocina per la costituzione di zone di libero scambio commerciale e
37
Cfr. J. Y. WANG, What drives China’s growing role in Africa?, International
Monetary Fund, Working paper 07/211, 2007; S. MICHEL, M. BEURET, Cinafrica.
Pechino alla conquista del continente nero, Milano, Il Saggiatore, 2009.
38
S. SIDERI, La nuova geo-economia asiatica e le relazioni internazionali cinesi, in M.
WEBER (a cura di), La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato
del mondo, Milano, Olivares, 2005, pp. 65-102.
23
Marco Bergamaschi
rafforzare la cooperazione in tema di logistica, politica di sicurezza,
turismo39.
Infine, per quanto riguarda i rapporti fra Repubblica Popolare Cinese e
Stati Uniti d’America, oltre al crescente deficit commerciale che i secondi
hanno raggiunto nei confronti della prima, occorre anche aggiungere che la
Cina è il primo sottoscrittore mondiale di obbligazioni del Tesoro
statunitense per un ammontare di poco superiore nel 2008 a 700 miliardi di
dollari (cfr. fig. 5). Per tale duplice motivo, gli USA hanno recentemente
chiesto che il governo cinese procedesse ad una rivalutazione della propria
valuta (Rmb o Yuan) rispetto al dollaro; tuttavia la Cina continua a rinviare
la riforma del tasso di cambio, in quanto in caso contrario essa subirebbe
una perdita nelle esportazioni (maggiormente difficoltate a causa del cambio
più oneroso) e, nondimeno, nel rimborso del debito (capitale e interessi
verrebbero restituiti in dollari, svalutati rispetto al momento di
sottoscrizione del debito)40.
Figura 5. - Paesi sottoscrittori del debito pubblico U.S.A. (2009)
Fonte: U.S. Treasury Department, 2009.
39
K. SHIRONO, Yen bloc or yuan bloc: an analysis of currency arrangements in East
Asia, International Monetary Fund, Working Paper 9/3, 2009.
40
X. ZHANG, Spillovers of the U.S. subprime financial turmoil to mainland China and
Hong Kong SAR: evidence from stock markets, International Monetary Fund, Working
Paper 9/166, 2009.
24
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
4. La localizzazione delle imprese estere in Cina
4.1. Le variabili culturali nazionali
Occorre ora sinteticamente identificare le tre principali direttrici culturali
lungo le quali si informa l’intera struttura sociale cinese.
In primo luogo, il confucianesimo41, così come tramandato dai Classici
(Ching), pone al centro della propria riflessione l’aspetto politico-morale: lo
Stato viene concepito come una <grande famiglia>, ove l’imperatore viene
definito <padre e madre> dei suoi sudditi. L’ordine sociale viene garantito
dalla struttura gerarchica della società basata su relazioni sociali precise e
predeterminate42. Precisamente, Confucio introduce il principio di
<rettificazione dei nomi> (zhengming): <il principe sia il principe, il padre
padre, il figlio figlio>. In questo ordine gerarchico, la cui dimensione
pubblica è evidente, ciascun individuo si colloca in una posizione
determinata.
A garanzia della conservazione e della stabilità dell’ordine costituito
viene posta la minuziosa osservanza dei riti, ossia le regole di
comportamento (li) che si declinano concretamente nella pratica quotidiana
delle due virtù fondamentali: la lealtà (zhong) e la benevolenza verso il
prossimo (ren). Lo studio è l’unico mezzo mediante il quale l’individuo
migliora se stesso, così divenendo, da <uomo comune> a <uomo superiore>
e mutando, conseguentemente, l’ordine costituito43.
Questa dimensione <pubblica> e <relazionale> della dottrina confuciana,
si è preservata nella Cina contemporanea e prende ora il nome di <guanxi>.
Con tale termine si designa il complesso di relazioni e interdipendenze che
in vario grado vincolano ciascun individuo all’adempimento di obblighi
morali e sociali.
Sulla base di connessioni che hanno in comune (amicizie, parentele,
affinità e così via), le persone instaurano rapporti di fiducia reciproca, il cui
eventuale inadempimento comporta biasimo e riprovazione sociale.
Viceversa, gli sforzi per onorare i propri impegni consentono all’individuo
di acquistare reputazione presso la cerchia sociale di riferimento44.
41
O. KALTENMARK–GHEQUIER, La letteratura cinese, Milano, Garzanti, 1960, pp.
12–30.
42
I principali tipi di relazioni sociali sono i seguenti cinque: i) sovrano – suddito, ii)
padre – figlio, iii) fratello maggiore – fratello minore, iv) marito – moglie, v) amico –
amico.
43
M. SABATTINI, P. SANTANGELO, Storia della Cina. Dalle origini alla fondazione
della Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 100-107.
44
Cfr. E. COLLOTTI PISCHEL, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese,
Torino, Einaudi, 1979.
25
Marco Bergamaschi
In secondo luogo, altro fondamento culturale è rappresentato dal
Taoismo (daojia). In particolare, alla base del pensiero di Zhuang-zi, il più
eminente fra gli antichi filosofi taoisti, risiede il <wu wei> (non-agire),
inteso quale pratica di vita che volge costantemente attenzione alla Natura,
con la consapevolezza di agire qualora opportuno, senza tuttavia servirsi di
piani prestabiliti45. Non agendo, non sussiste nulla che non venga fatto:
questo paradosso serve a spiegare che l’uomo non può modificare il corso
naturale delle cose, e che tutto ciò che può essere fatto deve essere fatto in
armonia con la Natura.
Infine, il terzo aspetto vivificante della cultura cinese concerne la Scuola
delle Leggi (fajia): tale corrente di pensiero propugna l’instaurazione di un
nuovo ordine basato sulla concezione dell’autorità suprema del sovrano e
dello Stato, mediante l’abolizione di antichi privilegi nobiliari, nonché
l’utilizzo della legge penale come strumento di governo, in funzione
deterrente e repressiva46.
Precisamente, il sovrano deve fare ricorso alla <tattica> (shu) e alla legge
(fa): la prima consiste nell’impiego degli individui al servizio della <cosa
pubblica>, lasciando funzionari e sudditi all’oscuro delle proprie intenzioni;
la seconda è lo strumento privilegiato per garantire il funzionamento dello
Stato e mantere l’ordine nella società. L’apparato normativo deve essere
pubblico, preciso, generale e astratto, in modo da essere oggetto di
un’applicazione automatica, onde evitare qualsiasi attività ermeneutica47.
4.2. I profili quantitativi degli investimenti esteri in Cina
Grazie alla significativa e continua crescita economica, la Repubblica
Popolare Cinese è diventata nel tempo meta di un sempre maggiore flusso di
investimenti esteri. Infatti, a seguito della politica della <Porta Aperta>
inaugurata nel 1978 da Deng Xiaoping, sono confluiti in Cina investimenti
esteri per un valore medio annuale pari a 25 miliardi di dollari americani.
Le statistiche cinesi mostrano che durante il ventennio 1985-2005 larga
parte degli investimenti diretti esteri proviene dall’Asia, la metà dei quali da
Hong Kong (cfr. tab. 4). Occorre tuttavia tenere presente che i flussi di
investimento revenienti dalla ex colonia britannica riguardano solo in parte
le operazioni delle società del posto; devono in vero venire annoverate
anche quelle delle imprese estere che, non volendo o non potendo investire
direttamente in Cina, utilizzano società-veicolo costituite ad hoc secondo
l’ordinamento giuridico di Hong Kong.
45
ZHUANG-ZI, Zhuang-zi, Milano, Fabbri Editori, 1999.
O. KALTENMARK–GHEQUIER, op. cit., pp. 30 - 33.
47
M. SABATTINI, P. SANTANGELO, op. cit., pp. 11-113.
46
26
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Tabella 4. – Principali investitori in Cina (2007)
Fonte: MOFCOM, 2007.
Inoltre, gli investimenti provenienti da Hong Kong possono includere
anche capitali cinesi che, usciti illegalmente, vengono reinvestiti in Cina per
approfittare delle condizioni preferenziali accordate agli investitori stranieri.
Oltre a Hong Kong, i primi investitori e partner commerciali con la
Repubblica Popolare Cinese sono Giappone, Stati Uniti, Taiwan e Unione
Europea. Quest’ultima, in particolare, pur contestando la concorrenza
asimmetrica che le imprese cinesi hanno nel corso del tempo sviluppato nei
confronti delle europee grazie al fenomeno del c.d. <dumping>, si sta
imponendo come principale partner commerciale e finanziario (cfr. tab. 5).
Precisamente, le multinazionali italiane, francesi, inglesi e tedesche hanno
incrementato i propri investimenti in Cina sia nel settore industriale
(automobili e centrali telefoniche), sia nel terziario (banche e assicurazioni).
27
Marco Bergamaschi
Tabella 5. – Import-export tra Cina e Unione Europea (2007)
Fonte: Chinese Department of European Affairs, 2007.
28
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
4.3. Le strategie di localizzazione
In relazione all’analisi ambientale svolta, è ora possibile formulare
alcune riflessioni in tema di localizzazione delle imprese in Cina, facendo in
particolare riferimento alle aziende italiane.
Anzitutto, la scelta di compiere investimenti diretti nella Repubblica
Popolare Cinese può essere determinata da obiettivi strategici quali i) la
riduzione dei costi produttivi e l’eventuale perseguimento di economie di
scala, ii) la ricerca di nuovi mercati ove classare i propri prodotti48.
Tuttavia, le politiche di internazionalizzazione adottate verso la Cina si
fondano ancora, in prevalenza, sulla <logica dei costi>, formalizzata
attraverso contratti di fornitura, co-produzione, assemblaggio con
imprenditori locali. In relazione ai processi di acquisto dei fattori produttivi,
il vantaggio competitivo viene ottenuto grazie, in particolare, alle differenze
esistenti tra i livelli salariali vigenti nei diversi Paesi. È infatti evidente che
tale diversa <localizzazione geografica> si traduce, per l’azienda, in
maggiori margini di redditività.
Precisamente, nei settori ad elevata intensità di manodopera (come
abbigliamento, calzature, utensili e giocattoli), il costo del lavoro sostenuto
dalle imprese che producono in Paesi come la Cina si declina in
coordinazioni lucrative altamente concorrenziali.
Da questo punto di vista, non si può però non notare come anche la Cina
subisca la concorrenza di Paesi in via di sviluppo limitrofi quali Corea del
Nord, Vietnam, Cambogia, capaci di attrarre sempre maggiori volumi di
investimenti esteri grazie, in particolare, al costo della manodopera inferiore
rispetto a quello cinese. D’altra parte, le stesse imprese cinesi stanno talora
de-localizzando le proprie produzioni in tali Paesi e per le medesime ragioni
di costo.
Con riferimento alla Cina intesa come <nuovo mercato>, i limitati
processi di consumo che riguardano larga parte della popolazione rendono
in data odierna il mercato cinese poco appetibile per numerose imprese
italiane, specialmente per quelle la cui produzione è <di nicchia>. Occorre
inoltre aggiungere che sui prodotti di bassa o media qualità, il contesto
competitivo è caratterizzato da un grado di concorrenzialità piuttosto
elevato, per la presenza ormai radicata di multinazionali estere e di imprese
cinesi emergenti.
Più precisamente, qualora l’azienda produca beni <di nicchia>, -ad
esempio, ad alto contenuto tecnologico ovvero simbolico- è auspicabile che
essa adotti la strategia del c.d. <punto di osservazione>, ossia costituendo
una presenza diretta sul mercato cinese, ma tuttavia limitata in termini di
48
C. BARBATELLI, La Gestione dell’azienda in Cina, in M. WEBER (a cura di), op.
cit., pp. 143 – 195.
29
Marco Bergamaschi
investimento; tipico caso è l’apertura di un ufficio di rappresentanza, con la
funzione di monitorare concorrenti e mercati e, al tempo stesso, costruire
relazioni sociali49. Eventualmente, se l’impresa è già presente sul mercato
cinese con marche di lusso, si può procedere al collocamento di prodotti di
gamma inferiore ma di spiccata identità, allo scopo, quantomeno, di limitare
il problema del <vincolo di reddito> cui i consumatori cinesi appartenenti
alla <classe media> sono soggetti50. Ad esempio, nel campo
dell’abbigliamento di alta-moda, gli abiti della categoria <haute couture> diffusi fra i consumatori cinesi solo da un punto di vista conoscitivopotrebbero essere affiancati da linee <prêt-à-porter>, certamente più
accessibili in ragione dei prezzi contenuti.
Viceversa, qualora l’azienda voglia esitare sul mercato cinese prodotti di
largo consumo, occorre costituire e mantere una configurazione
organizzativa stabile, specialmente con riferimento alle strutture di
distribuzione dei prodotti e ai centri di assistenza/servizi post-vendita.
In tal caso, –come pure nell’ipotesi di internazionalizzazione dettata
dalla <logica dei costi>- la strategia di posizionamento deve tenere conto i)
del sito ove si intende delocalizzare, e ciò in ragione della varietà di zone
economiche speciali (Special Economic Zone – SEZ) volte ad attrarre
differenti tipi di investimenti, ii) della forma giuridica prescelta.
Con riguardo all’aspetto sub i), l’apertura, da parte del governo cinese, di
zone economiche speciali risponde alla logica di sviluppare attività
industriali (tipicamente a elevato contenuto tecnologico) o commerciali, per
la promozione dello sviluppo economico della regione.
Con riguardo all’aspetto sub ii), l’impresa delocalizzata in Cina può
assumere le forme della società a capitale interamente straniero (Wholly
foreign owned enterprise - WFOE) o, della partnership con imprenditori
locali (tipicamente, Equity joint venture – EJV)51.
49
E. MARAFIOTI, F. PERRETTI, La presenza delle imprese italiane in Cina: modalità
di presenza e scelte di localizzazione, in C. DEMATTÈ, F. PERRETTI, op. cit., pp. 211228.
50
G. BERTOLI, op. cit., p. 30.
51
In tema di diritto commerciale cinese, cfr. G. D’AGNOLO, A. DAL COLLE, Cina.
Guida al commercio estero e agli investimenti, Milano, Giuffrè, 2000; COMMERCIAL
LAW, Bilingual Edition (English-Chinese), Beijing, China Law Press, 2004; F. MONTI,
Diritto societario cinese, Roma, Carocci, 2007.
30
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Tabella 6. – Principali forme giuridiche utilizzate (2007)
Fonte: MOFCOM, 2007.
Uno studio condotto nel 2005 sulle imprese italiane in Cina ha rilevato
che per il 65% di queste è stata adottata la forma della JV, mentre per il
restante 35% si è preferito un investimento totalitario mediante la
costituzione di WFOE52. Ciò pare confermato anche per l’anno seguente
dai dati dell’Istituto per il Commercio Estero, secondo cui su 1095 attività
italiane in Cina (con esclusione di Hong Kong), 624 sono in partnership,
mentre 471 sono a partecipazione totalitaria italiana53.
Tale opzione, in luogo della costituzione di una società partecipata al
100% con capitale italiano, può apparire inizialmente meno rischiosa grazie
alla presenza del partner già operativo in loco e dotato di <relazioni
ambientali> attive. In tale senso, il socio cinese può facilitare i rapporti con
le autorità governative e con la pubblica amministrazione sia in qualità di
clienti, sia in qualità di enti responsabili dell’emanazione di concessioni per
la produzione e vendita di beni sul mercato locale. Peraltro, le relazioni del
partner con le partizioni territoriali del governo sono tanto più importanti
quanto maggiore è la volontà di produrre opere e beni destinate al servizio
pubblico54.
52
Cfr. S. VACCÀ, R. VARALDO, Globalizzazione e radicamento. Gli investimenti
esteri in Cina, Milano, Franco Angeli, 1999; V. GATTAI, La Cina: lontana o vicina? La
parola ai protagonisti, in M. WEBER (a cura di), op. cit., pp. 233-266.
53
Fonte: ICE, Dati e statistiche, 2006, reperibile dal sito: http://www.ice.it.
54
S. SI, G. BRUTON, Knowledge transfer in international joint ventures in transitional
economies: the China experience, in <Academy of Management Executive>, 13, 1999, pp.
83-90.
31
Marco Bergamaschi
Tuttavia, la scelta della controparte cinese è un aspetto di indubbia
criticità, per il quale l’attività di due diligence sulla contabilità del socio
cinese può solo ridurre, ma non eliminare il rischio55.
Innanzitutto, i rapporti con la controparte cinese possono essere
difficoltati da problemi di <distanza culturale> o, quantomeno, linguistica,
in particolare con riguardo alle modalità di gestione della JV.
Occorre inoltre considerare il rischio connesso a comportamenti
opportunistici o concorrenziali del socio cinese: ciò può accadere qualora
sia necessaria la condivisione di particolare know-how legato al prodotto o
al processo produttivo. In altri termini, un fenomeno distorsivo piuttosto
tipico delle alleanze tra imprese occidentali e cinesi vede il partner
occidentale mettere a disposizione le proprie tecnologie in cambio di
benefici a breve termine legati alla riduzione dei costi, per poi assistere il
collaboratore locale emergere nelle vesti di concorrente.
Peraltro, la costituzione di JV con produttori locali dipende dal <grado di
appropriabilità> di specifiche risorse aziendali: ad esempio, laddove i
brevetti posti a tutela di queste risorse offrano buone garanzie di tutela
legale, la concessione di licenze d’uso al partner cinese rappresenta un
valido strumento per migliorare la propria redditività.
La necessità di esercitare un ampio controllo sul partner locale in merito
all’utilizzazione di marchi, brevetti, know-how e segreti commerciali si
riflette inoltre nella costituzione di una rete distributiva mediante l’adozione
del sistema di franchising, ove la gestione dei punti-vendita è pressoché
dipendente dalle direttive impartite dalla multinazionale56.
Risulta pertanto fondamentale la capacità di costruire relazioni
interpersonali, investire nel personale locale, coltivare partner affidabili:
tale strategia richiede tuttavia tempi non brevi e orizzonti ampi di
redditività57.
Infine, non è implausibile che sorga insoddisfazione causata dalla bassa
qualità dei materiali acquistati dal proprio partner da fornitori locali (tanto
più se tramite la JV si intende produrre meccanica di precisione o ad elevato
55
Fra l’altro la tenuta della contabilità in Cina non è ritenuta obbligatoria, fatta
eccezione per le aziende di rilevanti dimensioni. Sul tema cfr. Y. BIONDI, Q. ZHANG,
Accounting for the chinese context: a comparative analysis of international and chinese
accounting standards focusing on business combinations, in <Socio Economic Review>, 5,
2007, pp. 695-724; R. BAKER, Y. BIONDI, Q. ZHANG, Should merger accounting be
reconsidered? A discussion based on the chinese approach to accounting for business
combinations, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Working Paper 91, 2009.
56
A. GOLDMAN, The transfer of retail formats into developing economies: the
example of China, in <Journal of Retailing>, 77, 2, 2001, pp. 221-242.
57
F. ONIDA, Il ritorno della grande Cina e le opportunità per l’Italia, in C.
DEMATTÈ, F. PERRETTI (a cura di), La sfida cinese. Rischi e opportunità per l’Italia,
Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 200-210.
32
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
contenuto tecnologico), o dall’inadeguatezza del personale cinese (ma tale
aspetto appare sempre meno rilevante, grazie alla migliore istruzione
impartita nelle scuole secondarie e nelle Università). Sotto questo profilo, la
multinazionale può affiancare alla costante attività di monitoraggio del
<mercato di approvvigionamento>, l’avvio di programmi di formazione per
i propri fornitori per migliorarne i processi produttivo e logistico.
5. Conclusioni
L’esogeneità del sistema economico cinese comporta asimmetrie che
investono, più o meno direttamente, sui piani economico, finanziario,
commerciale, diplomatico, larga parte degli attori pubblici e privati del
panorama internazionale.
Innanzitutto, si può osservare come la Cina aspiri al riconoscimento della
parità di ruolo e strategica con Stati Uniti, Giappone ed Unione Europea,
peraltro sussistendo in data odierna i numeri –non solo demografici- perché
tale aspirazione si realizzi.
Inoltre, appare ormai indiscutibile che l’interdipendenza globale
comprenda il <fattore-Cina>: ignorarlo è imprudente, eliminarlo è
impossibile, regolarlo e coglierne le opportunità pare, per il momento,
l’unica via percorribile58. In altre parole, le parti correlate a questo
fenomeno globale, -siano esse Stati o gruppi di imprese transnazionalidevono confrontarsi con la Cina, misurarne minacce e opportunità, e,
conseguentemente, programmare i propri obiettivi in base ad adeguati piani
strategici.
Il fenomeno economico cinese appare pertanto significativo per le
imprese straniere in quanto: i) la Cina si colloca fra i maggiori mercati di
fornitura a livello mondiale; ii) vi si sono avviati processi di consumo che
tendono a incrementare nel medio e lungo periodo; iii) il tutto comporta
forme di iper-concorrenzialità, seppur talora illecite (i.e. la contraffazione di
prodotti).
In particolare, le imprese italiane possono affrontare la localizzazione
nella Repubblica Popolare Cinese impostando strategie di <prodotto> basate
essenzialmente sulla riduzione dei costi o, -ma in minor misura- adottando
strategie di crescita che guardano alla Cina come a un <mercato di sbocco>.
Su tale secondo aspetto, l’analisi delle variabili esogene che
caratterizzano l’ambiente cinese conduce a ritenere che la popolazione,
preminentemente vincolata dallo scarso potere d’acquisto, non possa ancora
oggi porre in essere –se non in misura per ora poco significativa o
58
F. MINI, La Cina strategica, in <Quaderni di Relazioni Internazionali>, ISPI, 3,
2006, pp. 13-25.
33
Marco Bergamaschi
comunque localizzata- fenomeni di consumismo di tipo occidentale, adatti
al soddisfacimento dell’offerta di prodotti italiani.
Tuttavia, se l’impresa agisce sulla base di una visione strategica
incorporante –nella cultura aziendale– la c.d. <logica degli scenari> e
l’approssimazione agli stessi tramite le <anticipated capabilities> di
Ansoff59, non si può assumere un atteggiamento meramente <attendista>,
determinato dalle incertezze ambientali sopra individuate. Più precisamente,
agire al momento giusto, anticipando la concorrenza, consente all’impresa
di cogliere le opportunità –siano esse valutate come abbattimento dei costi,
siano invece concernenti la distribuzione dei propri prodotti in Cina- che il
crescente sviluppo economico e sociale di questo Paese può offrire.
59
Cfr. I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Milano, IPSOA, 1987.
34
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
Bibliografia
ALTMAN R. C., The great crash, 2008, in <Foreign Affairs>, 88, 1, 2009, pp. 214.
AMIGHINI A., CHIARLONE S., L’evoluzione macroeconomica e l’integrazione
commerciale della Cina, in DEMATTÈ C., PERRETTI F. (a cura di), La
sfida cinese. Rischi e opportunità per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005.
ANSOFF I., Organizzazione innovativa, Milano, IPSOA, 1987.
AZIZ J., CUI L., Explaining China’s low consumption: the neglected role of
household income, International Monetary Fund, Working Paper 07/181,
2007.
BARBATELLI C., La Gestione dell’azienda in Cina, in WEBER M. (a cura di), La
Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato del
mondo, Milano, Olivares, 2005.
BAKER R., BIONDI Y., ZHANG Q., Should merger accounting be
reconsidered?A discussion based on the chinese approach to accounting
for business combinations, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale,
Working Paper 91, 2009.
BAUMAN Z., Globalizzazione e glocalizzazione, Roma, Armando Editore, 2005.
BERGERE M. C., La via cinese, in Storia economica e sociale del mondo, Bari,
Laterza, 1979.
BERTOLI G., Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese,
Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Working Paper 78, 2008.
BETTELHEIM C., L’organizzazione industriale e la rivoluzione culturale in Cina,
Milano, Feltrinelli, 1974.
BIONDI Y., ZHANG Q., Accounting for the chinese context: a comparative
analysis of international and chinese accounting standards focusing on
business combinations, in <Socio Economic Review>, 5, 2007, pp. 695724.
BHATTASALI D., LI S., MARTIN W., China and the WTO. Accession, Policy
Reform, and Poverty Reduction Strategies, Washington, World Bank and
Oxford University Press, 2004.
COMMERCIAL LAW, Bilingual Edition (English-Chinese), Beijing, China Law
Press, 2004.
BOLTHO A., China – Can rapid economic growth continue?, Milano, ISESAO
Working Papers, 2003.
35
Marco Bergamaschi
CALCHI NOVATI G., L’Africa periferia dell’arena internazionale, in <Quaderni
di Relazioni Internazionali>, ISPI, 3, 2006.
CANZIANI A., La strategia aziendale, Milano, Giuffrè, 1984.
CANZIANI A., La strategia d’impresa nelle sue fondazioni critiche, in AA.VV.,
Scritti in onore di Isa Marchini, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 159-190.
CASABURI I., China as a market: what is the real market for international
brands?, in Atti del Convegno <Seventh International Congress Marketing
Trends>, Venezia, Università Ca’ Foscari, 25-26 gennaio 2008.
CAVALIERI R., L’adesione della Cina alla WTO. Implicazioni giuridiche, Lecce,
Argo Editore, 2003.
CHEN Y., PENHIRIN J., Marketing to China’s consumers, in <McKinsey
Quarterly>, Special Edition, 2004, pp. 62-73.
CHEN H., UNTEROBERDOERSTER O., Hong Kong SAR economic integration
with the Pearl river delta, International Monetary Fund, Working Paper
8/273, 2008.
CHESNEAUX J., La Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1975.
CLEGG J., KAMALL S., LEUNG W. M., The shaping of European firms’market
entry strategies in the People’s Republic of China: the case of
telecommunications, Milano, ISESAO Papers, 2001.
COLLOTTI PISCHEL E., Storia della rivoluzione cinese, Roma, Editori Riuniti,
1971.
COLLOTTI PISCHEL E., Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Torino,
Einaudi, 1979.
CRESPI REGHIZZI G., I contratti e la proprietà in Cina, in Atti del Convegno
<Un ponte verso la Cina>, Milano, Università Bocconi, 14 settembre 2005.
CUI G., LIU Q., Regional market segments of china: opportunities and barriers in
a big emerging market, in <Journal of Consumer Marketing>, 17, 1, 2000,
pp. 55-72.
CUI L., SYED M. H., The shifting structure of China’s trade and production,
International Monetary Fund, Working Paper 07/214, 2007.
D’AGNOLO G., DAL COLLE A., Cina. Guida al commercio estero e agli
investimenti, Milano, Giuffrè, 2000.
DEMATTÈ C., PERRETTI F. (a cura di), La sfida cinese. Rischi e opportunità per
l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005.
DOLLAR D., WEI S. J., Das (wasted) kapital: firm ownership and investment
efficiency in China, International Monetary Fund, Working Paper 07/9,
2007.
36
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
FMI, World economic outlook, 2009.
FORMICHELLA L., TERRACINA G., TOTI E. (a cura di), Diritto cinese e
sistema giuridico romanistico. Contributi, Torino, Giappichelli, 2005.
GATTAI V., La Cina: lontana o vicina? La parola ai protagonisti, in WEBER M.
(a cura di), La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande
mercato del mondo, Milano, Olivares, 2005.
GEWIRTZ P., Indipendence and accountability of courts, Yale papers, 2002, pp.
1-29.
GOLDMAN A., The transfer of retail formats into developing economies: the
example of China, in <Journal of Retailing>, 77, 2, 2001, pp. 221-242.
GUOJIAN X., Contract in chinese private international law, in <The International
and Comparative Law Quarterly>, 1989, 38, 3, pp. 648-653.
HUANG L., Code, custom and legal practice in China, Stanford, Stanford
University Press, 2001.
HUANG Y., Selling China. Foreign directed investment during the reform era,
Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
KALTENMARK–GHEQUIER O., La letteratura cinese, Milano, Garzanti, 1960.
LEMOINE F., L’economia cinese, Bologna, Il Mulino, 2005; FMI, World
economic outlook, 2009.
LIANZI K. P., ST-MAURICE I., WU C., Symbolic value of foreign products in the
People’s Republic of China, in <Journal of International Marketing>, 11, 2,
2003, pp. 36-58.
LIEBERTHAL K., LIEBERTHAL G., The great transition, in <Harvard Business
Review>, 81, 2003, pp. 71-81.
LIPSCHITZ L., ROCHON C., VERDIER G., A real model of transitional growth
and competitiveness in China, International Monetary Fund, Working
Paper 08/99, 2008.
MADDALONI D., Investimenti diretti in Cina. Politiche pubbliche e valutazioni
economico-finanziarie, Milano, Franco Angeli, 2008.
MARAFIOTI E., F. PERRETTI F., La presenza delle imprese italiane in Cina:
modalità di presenza e scelte di localizzazione, in DEMATTÈ C.,
PERRETTI F. (a cura di), La sfida cinese. Rischi e opportunità per l’Italia,
Roma-Bari, Laterza, 2005.
MASI E., Breve storia della Cina contemporanea, Bari, Laterza, 1979.
MCEWEN W., FANG X., ZHANG C., BURKHOLDER R., Inside the mind of the
chinese consumer, in <Harvard Business Review>, 3, 2006, pp. 68-76.
37
Marco Bergamaschi
MICHEL S., BEURET M., Cinafrica. Pechino alla conquista del continente nero,
Milano, Il Saggiatore, 2009.
MINI F., La Cina strategica, in <Quaderni di Relazioni Internazionali>, ISPI, 3,
2006.
MOCCIA L., Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, Bollati
Boringhieri, 2009.
MONTALVO J. G., RAVALLION M., The pattern of growth and poverty
reduction in China, World Bank, Policy Research Working Paper, 1, 2009.
MONTI F., Diritto societario cinese, Roma, Carocci, 2007.
MUSSO F., BARTOLUCCI F., PAGANO A., Competere e radicarsi in Cina,
Milano, Franco Angeli, 2005.
ONIDA F., Il ritorno della grande Cina e le opportunità per l’Italia, in
DEMATTÈ C., PERRETTI F. (a cura di), La sfida cinese. Rischi e
opportunità per l’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005.
PODPIERA R., Progress in China’s Banking sector reform: has bank behavior
changed?, International Monetary Fund, Working Paper 06/71, 2006.
SABATTINI M., SANTANGELO P., Storia della Cina. Dalle origini alla
fondazione della Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1986.
SAU L., La struttura del sistema finanziario in Cina, Torino, Dipartimento di
Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 7, 2008.
SAU L., Gradualism and the evolution of the financial structure in China, Torino,
Dipartimento di Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working Paper 3,
2009.
SIDERI S., La nuova geo-economia asiatica e le relazioni internazionali cinesi, in
M. WEBER (a cura di), La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del
più grande mercato del mondo, Milano, Olivares, 2005, pp. 65-102.
SHIYUAN H., Liabilities in contract law of China: their mechanism and point of
dispute, in <Front Law China>, 1, 2006, pp. 121-152.
SHIRONO K., Yen bloc or yuan bloc: an analysis of currency arrangements in
East Asia, International Monetary Fund, Working Paper 9/3, 2009.
SI S., BRUTON G., Knowledge transfer in international joint ventures in
transitional economies: the China experience, in <Academy of
Management Executive>, 13, 1999, pp. 83-90.
TIMOTEO M., Il contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti
occidentali, Padova, CEDAM, 2004.
WANG J. Y., What drives China’s growing role in Africa?, International Monetary
Fund, Working paper 07/211, 2007.
38
Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane
WEBER M., Welfare, environment and changing US-Chinese relations: 21st
century challenges in China, Cheltenham, Edward Elgar, 2004.
WEBER M. (a cura di), La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più
grande mercato del mondo, Milano, Olivares, 2005.
WEBER M., Il dragone e l’aquila. Cina e USA la vera sfida, Milano, Università
Bocconi Editore, 2005.
XIAONING L., Sino-European Relations in progress, in <Quaderni di Relazioni
Internazionali>, ISPI, 3, 2006, pp. 52-61.
VACCÀ S., VARALDO R., Globalizzazione e radicamento. Gli investimenti esteri
in Cina, Milano, Franco Angeli, 1999.
VALLI V., The three waves of the fordist model of growth and the case of China,
Torino, Dipartimento di Economia <S. Cognetti de Martiis>, Working
Paper 5, 2009.
VENTURINI G., L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Milano, Giuffrè
Editore, 2000.
VETTORI S., Logistica: uno sviluppo senza precedenti, in M. WEBER (a cura di),
La Cina non è per tutti. Rischi e opportunità del più grande mercato del
mondo, Milano, Olivares, 2005.
ZENG M., WILLIAMSON P. J., The Hidden Dragons, in <Harvard Business
Review>, 81, 2003, pp. 92-99.
ZHANG A., China’s State-Owned Enterprises: prepare for a turbulent flight, in
<European Business Forum>, 15, 2003.
ZHANG X., Spillovers of the U.S. subprime financial turmoil to mainland China
and Hong Kong SAR: evidence from stock markets, International Monetary
Fund, Working Paper 9/166, 2009.
ZHUANG-ZI, Zhuang-zi, Milano, Fabbri Editori, 1999.
39
40
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE
PAPERS PUBBLICATI DAL 2006 AL 2009:
52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo
2006.
53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension &
Brand Loyalty, aprile 2006.
54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti
locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione
critica, aprile 2006
55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale
applicato al caso di Brescia, luglio 2006
56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006
57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006
58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,
dicembre 2006
59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nell'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006
60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione
delle IPAB, dicembre 2006
61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:
l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo
2007
62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo
2007
63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio
2007
64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione
sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007
65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di
un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007
66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico
della moratoria, dicembre 2007.
67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre
2007.
68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus
the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.
69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione
Europea, dicembre 2007.
70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel
settore della meccanica varia, dicembre 2007.
71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese
non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.
72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina
giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.
73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la
novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.
74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di
corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al
seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it
41
75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della
marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.
76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia,
maggio 2008.
77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in
declino o “cash cow”?, giugno 2008.
78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese,
giugno 2008.
79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre
2008.
80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto,
novembre 2008.
81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il
contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.
82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta
moda, dicembre 2008.
83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend
washing, dicembre 2008.
84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre
2008.
85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi
locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.
86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e
responsabilità di governance, dicembre 2008.
87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove
dinamiche di mercato, febbraio 2009.
88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension,
cobranding, febbraio 2009.
89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local
Public Utilities, febbraio 2009.
90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti
economici e profili regolamentari, febbraio 2009.
91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be
Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for
Business Combinations, maggio 2009.
92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio
2009.
93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli
inizî del secolo XXI, giugno 2009.
94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a
responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.
42
ARTI GRAFICHE APOLLONIO
Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Marco BERGAMASCHI
ANALISI AMBIENTALE DELLA CINA
E STRATEGIE DI LOCALIZZAZIONE
DELLE IMPRESE ITALIANE
Paper numero 95
Università degli Studi di Brescia
Dipartimento di Economia Aziendale
Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia
tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814
e-mail: [email protected]
Novembre 2009
Fly UP