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La Forma Partito. Cosa cambiare, come cambiare
Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Sommario INTRODUZIONE ................................................................................................................... 3 RIFONDARE SENZA DIMENTICARE ...................................................................................... 4 ALESSANDRO BIZJAK, Responsabile Dipartimento Economia PD Piemonte ..................................... NON SOLO RIVENDICARE DIRITTI, MA COSTRUIRE COMUNITÀ .......................................... 6 LUIGI BOBBA, Parlamentare PD ................................................................................................... RISVEGLIARE LA PASSIONE CIVILE .................................................................................... 8 MONICA CANALIS, Responsabile Della Scuola del PD Piemontese .................................................... PD, PARTITO RIFORMISTA ................................................................................................ 10 AURELIO CATALANO, Scuola del PD Piemontese ............................................................................. L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL PD............................................................................ 12 FABIO CHIAVOLINI, PD Asti ........................................................................................................... PARTECIPAZIONE E COMPETENZE PER PROGETTARE IL FUTURO ................................... 16 BRUNA CIBRARIO, Coordinatrice del Circolo del Lavoro, PD Torino ................................................ UN PARTITO ETICO ........................................................................................................... 19 DANIELE CIRAVEGNA, Professore Ordinario di Economia Politica, Università di Torino .................... IL PD CHE VORREI... ......................................................................................................... 22 ALDO CORGIAT, Sindaco di Settimo Torinese ................................................................................ DEMOCRAZIA (DEBOLE) E INTERNET ................................................................................ 27 JUAN CARLOS DE MARTIN, Co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società, Politecnico di Torino SIAMO TUTTI MINORANZA ................................................................................................ 30 UMBERTO D’OTTAVIO, Parlamentare PD ........................................................................................ ANDARE CONTROCORRENTE PER FARE IL PD .................................................................. 31 FEDERICO FORNARO, Parlamentare PD .................................................................................... FARE PARTITO: ANTIDOTO CONTRO L'IMPOTENZA DELLA POLITICA ............................... 33 PAOLO FURIA, Segretario Giovani Democratici Piemonte ............................................................... UN APPROCCIO ORGANIZZATIVO ALLA FORMA PARTITO ................................................. 35 GIORGIO GATTI, Scuola del PD Piemontese ................................................................................... 1 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 L’ANIMA PERDUTA DEI PARTITI E L’ESIGENZA DI TORNARE A ESERCITARE UNA FUNZIONE RAPPRESENTATIVA .......................................................................................... 38 ENRICO GROSSO, Docente di Diritto Costituzionale, Università di Torino ....................................... ORGANIZZARE L’IMMAGINAZIONE SOCIALE ..................................................................... 43 ENRICO GUGLIELMINETTI, Docente di Filosofia Teoretica, Università di Torino ................................. OPEN PD, PER COSTRUIRE UN PARTITO APERTO ............................................................. 45 STEFANO LEPRI, Parlamentare PD ................................................................................................ L'INDISSOLUBILITÀ DEL NESSO INDIVIDUALISMO-CRISI DELLA POLITICA ....................... 47 ILENIA MASSA PINTO, Professore associato di Diritto Costituzionale, Università di Torino ............... PD E CLASSE DIRIGENTE, ORA PREVALGA LA "QUALITÀ” ................................................ 50 GIORGIO MERLO, Dirigente PD Piemonte ...................................................................................... NECESSITÀ DEI PARTITI E DOMANDA DI CAMBIAMENTO DELLA POLITICA ..................... 52 GIANFRANCO MORGANDO, Segretario PD Piemonte ......................................................................... IL PARTITO DEMOCRATICO ED IL COINVOLGIMENTO DELLE SUE ELETTRICI E DEI SUOI ELETTORI.......................................................................................................................... 54 FOSCA NOMIS, Consigliera Comunale di Torino ............................................................................ CRISI DELLA MEDIAZIONE POLITICA ................................................................................ 56 UGO PERONE, Docente di Filosofia della Religione, Humboldt-Universität di Berlino ..................... IL PARTITO COME DISPOSITIVO DI UNIVERSALIZZAZIONE............................................... 58 LUCIANA REGINA, Docente a contratto di consulenza filosofica, Università di Torino .................. LA POLITICA TORNI A PARLARE IL LINGUAGGIO DEL FUTURO ........................................ 60 ALDO RESCHIGNA, Presidente Gruppo Regionale PD...................................................................... LE FUNZIONI DEL PARTITO E LA CRISI DEL PD ................................................................ 62 SERGIO SCAMUZZI, Docente di Sociologia Generale, Università di Torino ....................................... RECUPERARE L’ESSENZIALE ............................................................................................ 65 MINO TARICCO, Parlamentare PD ................................................................................................. 2 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 INTRODUZIONE Sabato 18 maggio 2013 si è svolto a Torino il seminario "La Forma Partito. Cosa cambiare, come cambiare, perché cambiare", su iniziativa della Scuola del PD Piemontese. Questo seminario si inquadra in un'opera di ripensamento critico del Partito Democratico del Piemonte nel contesto di un sistema politico italiano in cui la maggioranza degli schieramenti non adotta il termine “partito” per denominarsi e in cui sempre più spesso i commentatori parlano di "politica senza partiti". Abbiamo dedicato questo momento di riflessione a porte chiuse al concetto di partito e alla sua rigenerazione, affrontandone contraddizioni e risorse, attraverso due tipi di contributi, quello dei politici e quello degli intellettuali, convinti come siamo che il futuro dei partiti, in quanto corpi intermedi che contribuiscono alla democrazia, è di interesse di tutti e necessita di un’integrazione dialogica tra teoria e prassi. Per gli intellettuali hanno contribuito Daniele Ciravegna, Juan Carlos De Martin, Mario Dogliani, Piercarlo Frigero, Enrico Grosso, Enrico Guglielminetti, Graziano Lingua, Ilenia Massa Pinto, Ugo Perone, Luciana Regina, Sergio Scamuzzi, Francesco Tuccari. Per i politici Alessandro Bizjak, Luigi Bobba, Monica Canalis, Aurelio Catalano, Fabio Chiavolini*, Bruna Cibrario, Aldo Corgiat Loia, Umberto D’Ottavio, Federico Fornaro, Paolo Furia, Giorgio Gatti*, Andrea Giorgis, Stefano Lepri, Giorgio Merlo, Gianfranco Morgando, Fosca Nomis, Aldo Reschigna, Mino Taricco. Dal punto di vista metodologico ci siamo ispirati ad una traccia omogenea, articolata intorno a tre punti: l’essenza, la realtà, la proposta. L’essenza: Quali sono i tratti o ingredienti irrinunciabili della forma partito, cos’è il partito nella sua essenza, cosa non può cessare di essere senza perdere la sua specificità, il suo senso, la sua forma. La realtà: Qual è la realtà, il modo di manifestarsi della forma-funzione partito nella vita politica attuale. Quali altre forme si affiancano o aspirano a sostituire la forma partito nella realtà attuale, svolgendo funzioni simili o altre funzioni non assolte dalla forma partito. Analisi dei gap. La proposta: Quali prassi possono ridurre i gap riportando la realtà più vicina all’essenza nei suoi tratti irrinunciabili. A quali tratti si può invece rinunciare. Quali funzioni vanno aggiunte, inventate, costruite per venire incontro alla realtà. Nel proporvi i risultati del nostro lavoro, ci auguriamo che possa rivelarsi utile al dibattito che sta animando l’attuale fase politica e possa fornire spunti per le tesi dell’imminente Congresso del PD. Per la Scuola del PD Piemontese: Monica Canalis Enrico Guglielminetti Luciana Regina * Intervenuto in qualità di tecnico 3 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 RIFONDARE SENZA DIMENTICARE ALESSANDRO BIZJAK, Responsabile Dipartimento Economia PD Piemonte Dopo il deludente risultato delle elezioni politiche, per il PD si sente sempre più spesso parlare di Congresso di “rifondazione”. È ormai evidente a tutti che l’appuntamento programmato per il prossimo autunno non avrà i caratteri dell’ordinarietà, tuttavia non credo si dovrà mettere in discussione l’essenza del progetto nato nel 2007. Se ci si avviasse verso questo crinale si aprirebbe un dibattito pericoloso e dagli esiti talmente imprevedibili, tali da non assicurare un futuro certo per il partito. Riflettere e discutere sul ruolo e sulla proposta dei democratici sì, snaturare la loro missione, no. L’idea che occorresse raccogliere, mettere insieme, le più importanti culture riformiste del Paese costruendone una sintesi adeguata alla modernità, conserva oggi intatta la sua straordinarietà ed utilità. La risposta più adeguata alle attuali questioni sociali e l’alternativa vera al neo-liberismo ed ai populismi di varia natura, risiede ancora pienamente nella intuizione che ha dato vita al Partito Democratico. La sfida che abbiamo di fronte è semmai quella di analizzare a fondo le ragioni per cui in sei anni questo percorso non è ancora stato compiuto. Senza tatticismi è venuto il tempo di dire ai cittadini come decliniamo concretamente i nostri fondamentali. Vi sono a questo proposito due temi prioritari. La politica e nello specifico i partiti, devono recuperare credibilità e fiducia nei confronti dell’opinione pubblica, ci è richiesta discontinuità e forte rinnovamento che non abbiamo ancora saputo dimostrare. La crisi economica e sociale: occorre rafforzare le nostre proposte, considerate probabilmente poco praticabili. Sciogliere il nodo sulla forma e sul modello di partito certamente aiuterà e renderà più efficace la nostra elaborazione politica. Inizierei dalle modalità con cui si costruiscono i processi decisionali sia sul piano dei contenuti sia sulle scelte che riguardano le rappresentanze istituzionali. Lo strumento delle primarie deve essere regolamentato e meglio definito, può rivelarsi elemento di grande impatto e generatore di consensi, ma anche trasformarsi in perenne e mai conclusa resa dei conti interna. Siamo un partito per sua natura plurale e proprio per questo in molte circostanze affetto da unanimismo apparente che poi provoca indebolimento e lacerazione, meglio riconoscere apertamente le diverse componenti e delinearne presenza e funzioni. 4 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Negli ultimi mesi abbiamo assistito infatti, al proliferare di correnti, talvolta di natura quasi individuale, il cui obiettivo era promuovere la collocazione favorevole del leader, su questo è necessario decisamente cambiare rotta. Vi è poi il tema mai risolto del rapporto centro/periferia : se vi è pluralismo culturale, occorre che vi sia anche autonomia territoriale. Il tesseramento non può più essere l’unica forma che certifica l’appartenenza, la comunicazione e l’uso intelligente della rete posso farci scoprire nuove potenzialità. Un partito però riflette, nel suo essere comunità, innanzitutto la sua concezione di democrazia, in questo senso affronto in sintesi solo una questione : non credo che il sistema politico italiano, come i recenti dati elettorali peraltro dimostrano, si sia avviato verso il bipartitismo. Il PD rimane quindi deve rimanere il perno principale di una coalizione di centrosinistra. Il prossimo congresso dovrà quindi sciogliere anche il nodo della politica delle alleanze. 5 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 NON SOLO RIVENDICARE DIRITTI, MA COSTRUIRE COMUNITÀ LUIGI BOBBA, Parlamentare PD Già da tempo si registrano due fenomeni: una diminuzione della partecipazione al voto e una crisi strutturale dei partiti. Cosicché molti osservatori, partendo da queste due tendenze, parlano di crisi della democrazia . Ma è proprio vero? La partecipazione democratica si esprime solo con il voto e attraverso i partiti? Proviamo ad andare ai fondamenti costituzionali. L’art. 48 ci dice che il voto è personale, libero e segreto. E i padri costituenti lo presentano come un dovere civico. Subito dopo, all’art.49 ,entrano in scena i partiti:” I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale”. Un articolo che lascia pochi dubbi sul ruolo determinante che la Costituzione assegna alle forze politiche. Quasi a dire che la democrazia senza i partiti non esiste. Ma se è vero che i partiti svolgono una funzione rilevante, è altresì vero che la nostra Carta costituzionale all’art.2” dice che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”. Dunque oltre ai partiti ,esistono altri soggetti che concorrono alla partecipazione civica e democratica:la famiglia, la scuola, il sindacato, le associazioni, le imprese, le cooperative ecc. Allora forse nel momento in cui cerchiamo di capire se val la pena salvare i partiti, forse bisogna andare a cercare in ciò che precede la politica e in ciò che la eccede. Perché la politica nasce da ciò che politico non è. Per lungo tempo la politica si è alimentata nella sequenza :individuazione di un bisogno, riconoscimento di un diritto, impegno delle istituzioni a rendere esigibile il diritto. Tutto cio’ ha funzionato finché vi erano risorse da distribuire. Ma quando le risorse si sono fatte scarse ,è scattata la rivolta contro la politica sia perché incapace di assicurare l’esigibilità dei diritti che per un utilizzo,a volte indecoroso, di finanziamenti pubblici. La sintesi di questi due sentimenti si è enucleata nel partito del “vaffa” che mette insieme le proteste per un disagio sociale crescente con la rabbia per i fenomeni di malcostume che hanno visto coinvolte non poche persone con responsabilità pubbliche. E il successo di Grillo nelle ultime elezioni è lì a testimoniare questa crisi della politica e dei partiti. Se a ciò si aggiunge il fatto che la Rete ha fatto irruzione nelle forme della partecipazione politica, si ha un quadro completo del cambiamento in corso. Non a caso il tentativo di Grillo consiste nel sostituire le forme di partecipazione democratica che vivono di mediazione e di radicamento sul territorio ,con forme di democrazia diretta potenzialmente possibili(?) con l’uso della Rete. Ma se quest’ultima ha aperto possibilità individuali inedite, è altresì vero che ha alimentato rilevanti fenomeni di neoconformismo ed irresponsabilità. Insomma la democrazia , più che per la crisi dei partiti e della partecipazione al voto, rischia di morire per eccesso di diritti avanzati come pretese assolute. Non a caso ,sempre l’art.2 della Costituzione recita: ..e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Senza obbligazioni sociali evidenti, sarà impossibile uscire da questa crisi che è prima di tutto una crisi morale. Non a caso già S. Agostino scriveva che “dimenticata la giustizia,cosa distingue lo Stato da una banda di briganti?”. Tradotto, senza evidenze etiche condivise, la democrazia può facilmente precipitare in fenomeni di populismo autoritario. Quei doveri 6 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 richiamati dall’art.2 sono i grandi dimenticati della vita sociale e politica e la loro assenza alimenta per un verso l’irresponsabilità civica e dall’altro provoca ondate populiste che possono abbattere anche l’ultimo partito rimasto nello scenario politico italiano, e cioè il PD. In conclusione, la politica e i partiti sono di fronte ad un dilemma: per un verso sono obbligati a rappresentare la società, a rispecchiarla nei loro programmi altrimenti perderebbero il contatto con le persone e i loro bisogni; dall’altro, se non rinunciano a guidare una comunità e ad essere anche soggetti educativi delle domande sociali, rischiano di entrare in quel cortocircuito che conduce una parte non irrilevante del popolo verso il “vaffa”, lasciando così il paese senza una guida, una prospettiva ,una visione. Val dunque la pena salvarli questi partiti se sapranno tenere insieme il rispecchiamento della società e una visione per il domani, se eviteranno di contrapporre piazza reale o virtuale con le istituzioni, se anziché alimentare solo la corrente della rivendicazione di diritti, sapranno costruire comunità.” 7 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 RISVEGLIARE LA PASSIONE CIVILE MONICA CANALIS, Responsabile Della Scuola del PD Piemontese Il mio approdo alla politica è avvenuto all’età di 27 anni, in occasione della nascita del Partito Democratico. Da allora ho vissuto l’impegno in politica come una forma di “volontariato civile”, naturale evoluzione del volontariato sociale che avevo praticato in precedenza. Ho interpretato questo passaggio dall’ambito sociale (mi occupavo di cooperazione allo sviluppo, accoglienza agli stranieri e progetti educativi per i giovani) a quello civile come un modo per tradurre in “politiche” i valori, le buone pratiche, e anche lo stile ed il metodo che avevo appreso in tanti anni di volontariato, in Italia e all’estero. Questa è l’essenza di un Partito: veicolare le domande dei cittadini, offrire luoghi di elaborazione di risposte politiche e creare le condizioni affinché queste risposte possano concretizzarsi, soprattutto attraverso due canali, la selezione della classe dirigente e la mediazione tra le tensioni della società e gli strumenti della politica. Partiti così hanno una vita propria rispetto agli organi di governo locale e nazionale. Senza queste entità organizzative e culturali che sono i Partiti, le domande della società arriverebbero alla politica in modo molto disaggregato e i meccanismi di scelta dei candidati sarebbero dettati da logiche solo individuali. Anche i soggetti politici che si definiscono “Movimenti”, nel momento in cui si dotano di un programma e di un gruppo di rappresentanti, di fatto sono dei Partiti. Tuttavia la realtà dei Partiti politici in Italia è ben diversa dall’essenza che abbiamo tracciato e può essere sinteticamente descritta come una “partitocrazia senza Partiti”. La dimensione oligarchica e la longevità dei gruppi dirigenti, la pervasività dei Partiti nei vari corpi sociali ed economici (banche, sindacati, Partecipate, Pubblica Amministrazione, Università ecc.), l’autoreferenzialità rispetto ai bisogni dei cittadini, la manipolazione della famosa “base”, la degenerazione dei nobili (e appassionanti) compiti originari, ridotti alla mera funzione di “comitato elettorale permanente”. La domanda è: quanto può essere attraente l’impegno in un Partito così? Direi molto poco … Allora la proposta è mettere in atto una serie di azioni per rendere nuovamente attraenti i nostri Partiti e risvegliare la passione civile di chi vi si impegna. Come? Inventando modalità di partecipazione al passo con i tempi, “ri-pescando” qualche idea dal nostro passato o dalle esperienze di altri paesi, mutuando le buone pratiche dell’associazionismo, sancendo la personalità giuridica dei Partiti con tutto ciò che ne consegue in termini di finanziamento, trasparenza, regole ecc., confrontandoci continuamente con il mondo esterno - e nel farlo superare la paura di perdere qualche certezza, dando incentivi a chi offre gratuitamente il proprio tempo e le proprie competenze. Perché un volontario frequenta un’associazione? Perché ne riceve gratificazione e senso. Lo stesso dovremmo poter dire per i nostri numerosissimi elettori ed iscritti: dovrebbero frequentare il PD perché ne ricevono gratificazione e senso. La gratificazione di sentirsi utili e di ricevere un riconoscimento per il lavoro svolto e le idee condivise; il senso di sentirsi parte di un gruppo guidato da pochi semplici valori fondanti, che rappresentano la 8 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 base di un’identità comune e di un essere comunità, quasi una famiglia. In un gruppo così non te ne vai se finisci in minoranza. Quali incentivi per l’impegno in un Partito? Certamente l’opportunità di crescere in un vivaio di talenti, di essere progressivamente responsabilizzati e valutati sul lavoro svolto, con la possibilità di una valorizzazione a livello amministrativo. Ma anche l’impegno nel Partito fine a se stesso, perché un luogo di elaborazione di idee e di stretto collegamento con la società extra partitica – quasi un think tank – può avere influenza e potere sui meccanismi decisionali quanto l’impegno amministrativo. Per realizzare tutto ciò sono necessari dirigenti preparati, intellettualmente vivaci e umanamente aggreganti. Persone che adottano la modernità di internet insieme alle antiche regole della buona organizzazione, che sanno fare squadra e spegnere i conflitti inutili, che curano la comunicazione in modo professionale senza fare della visibilità un totem. Persone che hanno un Progetto e che sanno ragionare ed operare secondo una logica progettuale, mettendo sempre al centro gli obiettivi, prima dei nomi e delle risorse a disposizione. Persone capaci di adattare i mezzi alla visione, di mobilitare sui temi, di coordinare l’elaborazione intorno alle idee, di coltivare una comunità di valori, di riagganciare il mondo dei tecnici, degli esperti e degli intellettuali troppo spesso estromessi dai Partiti, e di costruire un collettore di energie, una sorta di agenzia di volontariato civile che incroci due fattori: le competenze e i bisogni del territorio. Pre-requisito di tutto ciò è la “consapevolezza” di chi siamo (la nostra identità), da dove veniamo (le nostre radici) e dove andiamo (il Progetto). In una fase di transizione e trasformazione delle grandi culture politiche del ‘900, il rilancio del PD ha bisogno di formazione per accrescere la consapevolezza e la maturità politica di dirigenti, iscritti ed elettori. Persone più consapevoli hanno gli strumenti per smascherare le semplificazioni e l’ottusità dei populismi e guardare con coraggio e profondità a una nuova identità finalmente Democratica. Far parte di un Partito così è un ottimo modo per servire il Paese. 9 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 PD, PARTITO RIFORMISTA AURELIO CATALANO, Scuola del PD Piemontese Il dibattito che, meritoriamente, la scuola di formazione del PD piemontese ha avviato, ci interroga sulla natura del Partito poiché a mio avviso non vi è forma-partito se non si delinea una figura certa di cosa il PD voglia essere. Bene, io non credo si debba discutere all’infinito sulla natura del partito e/o di momenti rifondativi: il PD è partito riformista che si colloca in Europa e rielabora in sé (dovrebbe rielaborare) il meglio dell’esperienza dei movimenti storici riformisti italiani. Sapendo fare memoria delle nostre radici dobbiamo coniugare oggi cosa voglia dire essere riformisti; l’attenzione alle riforme non è solo competenza delle Amministrazioni bensì dovrebbe rappresentare un modo d’essere di tutti i militanti del PD. Vi è un primo modo di essere portatori di un pensiero riformista e ha origine dalla presenza militante: si tratta di sapersi porre in ascolto dei cittadini del proprio territorio/ambiente per capirne le ragioni e le esigenze di ricaduta politica. È il vecchio interclassismo? Non lo so, né mi interessa darne una definizione nominalistica. Quello che è certo che un partito di centrosinistra non può non essere attento ai più diversi strati sociali ed in qualche modo farne sintesi. Ovviamente quanto detto è solo una premessa all’agire politico in quanto vi è un secondo modo di essere riformisti ed è quello più ambizioso, ma che da senso al nostro fare politica. Mediare gli interessi è stata per decenni un’arte dorotea; i riformatori di ieri e di oggi si devono fare carico di individuare una prospettiva, devono sapersi mettere a capo dei loro cittadini per saperli interpretare e proporre le soluzioni di interesse generale. Quello che non abbiamo fatto in questi anni di politica maggioritaria è stato proprio questo, per un voto in più (e non era il nostro) abbiamo inseguito la pancia degli elettori invece che costruire un percorso ragionato per il domani. E quando si insegue la pancia si danno risposte estremistiche e non utili. Abbiamo spiegato per anni che Berlusconi era un nemico e non un avversario, viceversa il Cavaliere spiegava che noi affamavamo il popolo con le tasse per giungere al risultato di questi giorni che comunque rappresenta come minimo una tregua e da spazio ad un riposizionamento della politica. Essere riformisti è l’esatto contrario dal farsi sollecitare dagli estremismi, si tratta anzi di esercitare un’azione inclusiva che sia capace di recuperare il grande e frammentato corpo centrale dell’elettorato dando prospettive di sviluppo senza avventurismi, ma tenendo sempre e comunque puntata la barra sulle esigenze delle fasce marginali e più indifese (se no, di quale centrosinistra si tratta?) Se questo ragionamento ha un fondo di verità, occorre allora capire come il PD si debba attrezzare per svolgere adeguatamente il suo ruolo. Credo che la capillare presenza territoriale sia ancora oggi un valore imprescindibile: là dove si incontrano le persone e vi è interazione sociale si sviluppa una capacità di elaborazione collettiva capace di offrire spunti di azione alla politica. 10 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 In questo senso abbiamo fin troppo istituzionalizzato la rappresentanza ed il territorio togliendo il gusto della partecipazione. Se solo fossimo capaci di superare le piccole modalità istituzionalizzate di consenso e tornassimo a riproporre con forza la presenza di comitati di quartiere spontanei, non sarebbe già quella un’ottima palestra per ridare senso alla partecipazione politica? Certo i moderni mezzi del comunicare hanno un ruolo importante, ma non certo salvifico perche lo strumento non è democratico, è manipolabile, è implosivo. Il web è solo una scorciatoia per chi cerca il consenso senza regole in una grigia zona di confusione delle responsabilità: questa non può essere una sirena per il PD. Ed infine ancora due questioni per la forma partito: la scuola di partito l’espressione della pluralità di pensiero Sul primo punto credo che il PD piemontese rappresenti un modello encomiabile da moltiplicare ancorché io sia convinto che un partito nuovo che nasce da una storia antica abbia necessità esistenziale di fare “catechesi” delle proprie origini perché un partito non può essere una somma di opportunità o di buone pratiche, ma abbia bisogno di una motivazione profonda dello stare insieme perché nessuno sia giustificato a dire, come fa Renzi con giovanilistico e sbagliato atteggiamento, “noi e loro”, le ragioni del riformismo sono un modo antico di coniugare la politica e questo va insegnato. La seconda questione mi sembra ineludibile per il modo d’essere del PD. È inesorabile che un partito nato da storie diverse, ma con il forte riconoscimento storico di trarre linfa da coloro che nell’800-900 hanno dato vita allo stato democratico non possa basarsi sulle regole del centralismo democratico. Va riconosciuto ed incoraggiato il libero formarsi del pensiero che in ogni momento possa concorrere ad esprimere la struttura dirigente del partito, occorre con altrettanta forza rendersi consapevoli richiede comunque un suggello di responsabilità collettiva che riconosca i percorsi definiti ed approvati dalla maggioranza. Ciò vuol dire che da una parte è meglio sapere ascoltare le ragioni dell’altro senza brandire con eccessiva disinvoltura l’arma della minaccia di espulsioni, dalla altra parte vuol dire che è ora di smetterla di sentirsi con la valigia in mano perché le proprie tesi in un definito momento storico non trovano immediato riscontro. Un partito ragionevole, è un sogno impossibile? 11 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL PD FABIO CHIAVOLINI, PD Asti NOTA METODOLOGICA: L'intervento è volutamente modulato esclusivamente sul Partito Democratico. L'ESSENZA Tratti irrinunciabili Il PD associa persone che - partecipando ad elezioni e con la strategia di occupare cariche elettive - condividono finalità e visione della mutazione della realtà fattuale tramite strumenti democratici. Cos'è il PD nella sua essenza Nel recente passato, il PD ha preso (come la maggioranza degli altri partiti) un ruolo di mediazione tra i propri elettori e le istituzioni di governo, in termini di controllo sugli amministratori della cosa pubblica, stante che il divieto di mandato imperativo nell'operato degli eletti viene traslato in un mandato imperativo de facto esercitato dagli elettori in direzione del Partito (i tuoi eletti non fanno cosa mi hai promesso -> non voto più il PD). Qual è la realtà del PD Ma il PD era qualcosa di più: nei fatti, uno dei due unici veri partiti esistenti in Italia, nonché l'unico partito del centro-sinistra dotato di un potenziale di coalizione e di un relativo potenziale di ricatto, nonché contraltare del suo opposto naturale (Forza Italia/PDL) nel porsi come LA forza di governo: una posizione, certo, in gran parte necessitata ma che lo ha reso, agli occhi di molti elettori, difficilmente distinguibile dal suo opposto omologo. Abituato ad operare in un ambito di pluralismo moderato, il PD sconta una seria difficoltà ad operare in un ambito di pluralismo polarizzato - come quello impostosi con l'avvento del M5S - e rischia un "frontale" con il pluralismo segmentato che rappresenta, nei fatti, il motivo stesso di nascita - ed il fine ultimo di trasformazione della società - di Berlusconi e del berlusconismo ma anche - di Grillo e del grillismo. Cosa il PD non può cessare di essere senza perdere la sua specificità Nella rincorsa a modelli che non gli sono propri (p.e. il partito leaderistico, tipico dei pluralismi polarizzati/segmentati) il PD rischia di perdere la sua specificità, da individuare nella difesa di quattro macro-categorie dialettiche: il rapporto tra governo centrale e Territori, dove occorre sempre schierarsi con i Territori, per non rischiare di essere identificato come forza lontana di governo e così sfavorendo l'affermarsi di nefasti localismi politici o di ribellismi locali (anche con 12 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 le loro buone motivazioni) stile NoTav o NoDalMolin; il rapporto tra religione ed istituzioni, in cui è necessario riaffermare la laicità della cosa pubblica e, soprattutto, dell'istruzione, lasciando la religione alla sfera del privato e dell'etica personale; il rapporto tra aree metropolitane e Territori non metropolitani, dove occorre porre l'attenzione maggiore sui Territori non metropolitani perché - se l'"aria della città rende liberi" e, quindi e con più o meno brevi interruzioni, le aree metropolitane tendono a prediligere il "progressismo" - è nell'abbandono dei 626 Sistemi territoriali non metropolitani, in cui vive oltre il 50% della popolazione, che spesso è maturata la sconfitta del Partito e delle coalizioni che ha guidato; il rapporto tra finanza e lavoro, dove la finanza ha sostituito il più classico capitale, in cui è necessario essere sempre schierati dalla parte del lavoro, badando bene a seguire tale categoria nella sua evoluzione moderna (rifacendosi a Marx, proletario - sinonimo di lavoratore - è colui la cui qualità della vita dipende dall'andamento del mercato nell'economia reale: ecco, allora e nei fatti, che nella globalizzazione anche commercianti, piccole partite IVA, artigiani, piccoli imprenditori, precari, tele-lavoratori, ecc. sono proletari/lavoratori come il lavoratore dipendente). LA REALTA' Nel posizionamento della sua forma partito, il PD sconta un forte ritardo, oscillando tra revanscismi vetero-comunisti e pallide riproduzioni del correntismo inclusivo democristiano, nonché degli stanchi rituali di entrambe le grandi radici storiche del Partito: il Partito appare ancora prima di esserlo e soprattutto ai livelli nazionali - grigio, stanco, rituale e distante dalla società reale. Particolarmente grave è lo scollamento dalla parte più giovane dell'elettorato, magnetizzata dai classici contrapposti estremismi hegeliani e, in buona parte, dal "rivoltismo" grillino. Anche il rapporto con lo "zoccolo duro" incomincia a mostrare crepe consistenti, come conseguenza di una collocazione ondivaga e non sicura delle linee programmatiche che seguono ogni decapitazione del gruppo dirigente, nonché di una mancanza di connotazione ideologica l'incapacità di "creare il sogno", ormai divenuta un mantra; sogno che non riesce a nascere e - di conseguenza - non può sposarsi con l'immagine di "forza del buon governo" che il Partito continua a proporre come unico elemento distintivo rispetto alle altre proposte politiche in campo. Quali altre forme si affiancano o aspirano a sostituire la forma partito? Le nuove modalità di aggregazione politica sono rappresentate dai partiti/movimenti antisistema, i quali - a prescindere dalla loro denominazione e collocazione - intendono cambiare il sistema di governo, ponendosi, rispetto al PD, in opposizione permanente e senza possibilità di alleanze, con una spinta centrifuga egemonizzata dal voto ai movimenti anticasta e dall'astensione: entrambe fenomeni di irresponsabilità politica - nel caso dei movimenti anticasta, per la propensione alla promessa elettorale irrealizzabile, nel caso dell'astensione, per la delega in bianco agli "altri" e la pericolosa tendenza ad essere brodo di coltura di opzioni autoritarie. 13 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 I gap Il gap del PD nei confronti di questi movimenti è, fondamentalmente, nella sua forma e struttura: i partiti e movimenti personali, proprio per la propria dipendenza da un leader maieutico, tendono ad avere una catena di comando corta e risposte immediate, viscerali e concordi dalla propria base "di opinione". Di converso, nel PD anche lo spostamento di un quadro su una parete di un circolo può diventare un problema, perché ogni minimo particolare viene caricato di un forte significato d'antica appartenenza ad una delle antiche anime del Partito. Impossibilitato, per sua stessa natura, a divenire un partito leaderistico, il PD non può che perseguire una natura di partito ideologico: diventa impellente, quindi, l'identificazione non tanto di un'identità democratica, quanto quella di un'ideologia democratica, elemento maieutico della generazione di quel "sogno fattibile" che deve nascere da una sintesi di basi ideologiche, in buona parte già condivisa nel grande corpo del Partito. L'ideologia, però e per non essere fine a se stessa ed avventuristica, non può non essere basata su solide basi culturali. Ecco che, quindi, occorre rivalutare la figura gramsciana dell'intellettuale organico, seppure in una versione 2.0: in una società sempre più complessa e verticale nelle competenze - la società della conoscenza - l'intellettuale organico si trasforma nella figura del "tecnico organico", ossia di colui che, condividendo l'ideologia del Partito, mette le proprie competenze al servizio del Partito e viene utilizzato dal Partito in tutti quei ruoli tecnici (dalle partecipate pubbliche, alla gestione amministrativa della macchina di governo, alle politiche culturali, allo strategy planning) di cui abbisogna una moderna azione di governo del Paese, soprattutto in ottica europea. LA PROPOSTA In primis, occorre identificare le tre nuove grandi categorie di "iscritti con responsabilità": gli eletti, ovvero coloro che, in seguito a partecipazione a competizioni elettorali, vengono chiamati a ricoprire funzioni di rappresentanti della Cosa Pubblica. In tal senso, l'azionista di riferimento degli eletti diventa l'intero corpo sociale su cui si esplica la loro azione, con responsabilità politica che si sviluppa anche in direzione della parte di elettorato ostile: da qui, la necessità di ribadire il divieto di mandato imperativo ma, anche, di abbandono di ogni ruolo direttivo ed organizzativo all'interno del Partito all'atto del conseguimento di una funzione elettiva, quale essa sia e fintanto che non si esaurisca il relativo mandato. La forma di scelta dei candidati per tali incarichi deve essere quella delle Primarie aperte a doppio turno. Gli organi esecutivi del Partito, il cui ruolo dev'essere di gestione della macchina organizzativa ed elettorale, presidio volontario dei circoli, verifica della rispondenza dell'azione degli eletti alle peculiarità ideologiche del Partito (nel rispetto del divieto di mandato operativo), comunicazione e propaganda: la partecipazione agli organi esecutivi deve essere resa incompatibile per Statuto con lo status di eletto. Questa fattispecie di iscritti, a differenza degli eletti, deve essere sottoposta ad un vero e proprio mandato imperativo, con revocabilità immediata dell'incarico nel caso in cui la maggioranza della base elettorale interna identifichi un vulnus al mandato conferitogli ex ante (con la preferibile opzione della "sfiducia costruttiva"). Inoltre, è consigliabile una riduzione dei livelli gerarchici, in tutti i contesti; le Assemblee degli iscritti, quindi, devono poter eleggere 14 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 direttamente i propri esecutivi e questi rispondere loro senza intermediazioni - il che significa, in ultima analisi, abolire quegli organi elettivi intermedi tra Assemblee degli iscritti ed esecutivi che, ben lungi dal semplificare la vita del Partito, hanno dimostrato di complicarla. La forma di generazione degli organi esecutivi (le Segreterie, nei fatti) deve essere effettuata con Primarie riservate agli iscritti a doppio turno e presentazione preventiva della squadra di segreteria e dei componenti degli organi tecnico/amministrativi. Nell'ottica dell'attualizzazione di un tema sentito nella pubblica opinione, sarebbe opportuno provvedere all'eliminazione del livello provinciale del Partito: cittadino, regionale e nazionale sono tre istanze ben rappresentative dell'anima del Partito, con il vantaggio di eliminare un livello organizzativo ridondante/costoso e dare maggiore rilevanza agli esecutivi locali-locali nel rapporto con il livello regionale e nazionale. I "tecnici organici", il cui ruolo ha da essere triplice: - nel Partito, di ancoramento al principio di realtà, all'atto della strategizzazione ideologica e della scelta delle opzioni tattiche, tramite la verifica di fattibilità delle soluzioni ipotizzate in fase di proposizione politica; - sempre nel Partito, di modernizzazione della gestione, tramite l'affiancamento sistematico alla figura del Tesoriere (colui che detiene la firma sui fondi del Partito) di quelle del Responsabile Amministrativo (colui che pianifica con l'esecutivo la gestione amministrativa del Partito) e del CFO (colui che controlla l'attività di Tesoriere e Responsabile Amministrativo e comunica le proprie risultanze all'esecutivo, ai probiviri ed agli enti di certificazione esterna). - fuori dal Partito, di risorse per la guida e la conduzione delle società partecipate e di scopo pubbliche e pubblico/private, ad ogni livello di governo e su scelta degli eletti, in maniera tale di essere certi della rispondenza dell'azione amministrativa "stretta" ai programmi elettorali. La palingenesi del PD non potrebbe essere completa senza uno strumento di partecipazione diretta della base elettorale alla vita del Partito. Va completata la realizzazione del Albo degli Elettori del PD (previsto statutariamente) ed occorre provvedere all'istituzione di Forum Permanenti degli Elettori Democratici, speculari a tutti i livelli, che esprimano un proprio portavoce all'interno dell'esecutivo competente per livello, con diritto di presenza e di parola ma non di voto, nominato con la formula della votazione Assembleare e con il più rigido mandato imperativo. Se le Primarie sono un ottimo strumento di scelta dei vari livelli di leadership e di rodaggio continuo della macchina elettorale, nonché di raccolta di fondi, i Forum possono diventare il nuovo ambito di coinvolgimento degli elettori nella vita del Partito - in una parola, la nuova cinghia di trasmissione. 15 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 PARTECIPAZIONE E COMPETENZE PER PROGETTARE IL FUTURO BRUNA CIBRARIO, Coordinatrice del Circolo del Lavoro, PD Torino Essenza La nostra Costituzione riconosce ai partiti un fondamentale ruolo di organizzazione della rappresentanza nell'ambito di una democrazia di tipo parlamentare e rappresentativo. Nella società del Novecento, strutturata abbastanza rigidamente e nettamente in classi e corporazioni, questo ruolo di rappresentanza poteva essere interpretato dai partiti in modo lineare e netto: ogni partito aveva le proprie categorie sociali di riferimento, il proprio elettorato abbastanza stabile e fedele. Nella società contemporanea, liquida, complessa e globale, la pura funzione di rappresentanza non può più costituire la ragion d'essere e l'identità di un partito. L'adesione ad un partito non è più guidata dall'appartenenza ad una certa fascia o area sociale, ma dalla condivisione di una visione, di un progetto di futuro. E dalla fiducia nelle persone che in quel partito operano in modo pubblicamente visibile. Diventa quindi importante la capacità di un partito di produrre analisi, proposte e programmi che rispondano ai problemi dell'oggi e alla domanda di cambiamento per il domani, secondo una visione “di parte”. Per far ciò, un partito prima di tutto deve individuare e definire la propria “parte”; quindi, deve accogliere le conoscenze e le competenze che nella società si riconoscono in quella stessa visione, siano esse patrimonio di singoli cittadini o frutto dell'elaborazione di specifiche associazioni, e deve metterle a confronto e in contatto, favorendo l'incontro e la sintesi di proposte politiche condivise, coerenti e praticabili. Infine, poiché la globalizzazione esige movimenti transnazionali di pensiero per governare processi che hanno dimensione mondiale, i partiti nazionali che, nei vari Paesi, si riconoscono in una comune visione devono interagire tra loro per elaborare politiche condivise di respiro internazionale. Realtà Mi limiterò ad analizzare la realtà italiana. Il nostro Paese sconta l'handicap di una tradizione culturalmente statica e conservatrice, nonché di una scarsa cultura della legalità e del valore delle regole e delle istituzioni. Le dinamiche sociali sono ancora fondate su clientelismi e familismi; l'economia si regge in gran parte sul lavoro nero, sull'evasione fiscale e contributiva, sui protezionismi di Stato, sulla corruzione di politici e pubblici ufficiali e, sino a poco fa, sulla svalutazione competitiva. 16 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 La politica sconta le stesse caratteristiche di chiusura e autoreferenzialità, clientelismo e familismo, assenza di reale competizione virtuosa (da cui emergano i migliori), relativismo nel rispetto delle regole (sino a giungere a casi di corruzione), mancanza di senso dello Stato, di abnegazione e spirito di servizio. A ciò si aggiunge un rapporto simbiotico dei partiti con lo Stato e le amministrazioni pubbliche che spesso si configura come una occupazione della res publica ad opera di una casta di cooptati senza particolari meriti e competenze. Il PD era nato per rispondere all'esigenza di avere un soggetto politico che, proponendo una visione di centrosinistra, fosse in grado di intercettare le aspettative e la fiducia di una maggioranza di cittadini. Nella realtà, non si è discostato molto dal modello di politica che ho descritto sopra. Oggi lo vediamo diviso in correnti fondate non tanto su diversità di visione o di contenuti, ma piuttosto sulla competizione di gruppi di potere contrapposti per il controllo del partito e la spartizione dei posti, siano essi incarichi, nomine, candidature e quant'altro. In quest'ottica, la selezione della classe dirigente non avviene per meriti e competenze, ma in base alla fedeltà alla corrente di appartenenza e al grado di ambizione personale. Con la pratica delle primarie si è tentata un'apertura ed un coinvolgimento degli elettori che si è rivelato fittizio: le candidature proposte erano già il risultato di giochi interni, di raccolte firme tra gli iscritti blindati in comitati elettorali, di regole riviste in corso d'opera (ricordiamo che gli elettori che avevano eletto Bersani segretario lo avevano anche già indicato come candidato premier). Forse, più che scegliere i nomi, gli elettori dovrebbero poter incidere sui contenuti dei programmi. E solo di conseguenza, in base agli obiettivi da realizzare, scegliere le persone adeguate per farlo. Proposta Un partito moderno (nella società liquida e globalizzata) deve poter riconoscere le mutazioni sociali con prontezza e deve saper progettare i cambiamenti necessari, partendo dalla realtà presente ma guardando al futuro. Per fare ciò, bisogna avere radici nell'esistente, utilizzare le competenze diffuse nella società per conoscerla e progettare il suo cambiamento anche strutturale secondo un approccio riformista. A tale scopo, il Partito deve assumere una funzione di laboratorio di proposte politiche, organizzato in dipartimenti o forum aperti ai cittadini e alle associazioni che vogliano portare il loro contributo di idee e competenze. Occorre superare la dialettica elettori-eletti fondata solo sulla delega della rappresentanza da una parte e sulla ricerca del consenso (e della preferenza) dall'altra. Questa dialettica porta allo strapotere dei comitati elettorali, alle promesse mai mantenute, alla deresponsabilizzazione dei cittadini e al loro allontanamento dalla politica. Occorre definire una divisione di compiti tra eletti (chiamati ad amministrare e a realizzare le riforme) e militanti ed elettori (impegnati nel partito per elaborare visione e programmi), individuando sedi formali e periodiche di confronto sul territorio, in cui i primi (gli eletti) incontrano i secondi (i militanti ed elettori, organizzati nei territori o nei forum tematici) per rendere conto dell'attività amministrativa o legislativa e per discutere dei progetti in cantiere. 17 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Il Partito deve richiedere ai propri rappresentanti nelle istituzioni e ai propri dirigenti a tutti i livelli delle relazioni periodiche sul loro operato, da pubblicare sul sito del Partito. Sulla base del lavoro svolto, gli eletti e i dirigenti dovranno essere valutati dagli organismi di Partito del livello di competenza per essere confermati o meno nel loro ruolo. Le correnti di pensiero devono potersi organizzare, per garantire quel pluralismo che è indispensabile in un partito a vocazione maggioritaria, che si candida a rappresentare le idee di una vasta e variegata maggioranza della società; ma la dialettica interna tra le correnti deve avvenire secondo regole e procedure trasparenti, con manifesti ideali chiari e distinti e adottando il principio di maggioranza per giungere alle decisioni finali, che una volta assunte dagli organismi dirigenti del Partito diventano impegnative per tutte le sue componenti. Personalmente, auspico un sistema elettorale alla francese, con un semipresidenzialismo bilanciato con adeguati poteri di controllo, compensazione e interdizione del Parlamento. Sogno collegi bi-nominali, in cui ogni Partito si presenti con la propria coppia di candidati (un uomo e una donna) da eleggere (in coppia) col metodo maggioritario. In un simile sistema, il successo elettorale del Partito dipenderebbe molto dalla qualità dei candidati; perciò, le candidature dovrebbero essere individuate in base a criteri di competenza, credibilità e autorevolezza certificati da curriculum, e dovrebbero essere selezionate tramite primarie aperte agli elettori iscritti all'albo, con regole che limitino la propaganda elettorale alla sola informazione degli elettori e che prevedano sanzioni certe (come la decadenza della candidatura) in caso di infrazione. Ritengo invece che i ruoli di responsabilità interna al Partito debbano essere decisi dai soli iscritti, con processi di selezione trasparenti e fondati ancora una volta su competenze, merito, valutazione dell'operato e dei risultati conseguiti. Non credo nel valore assoluto del ricambio generazionale, ma piuttosto nell'opportunità di avere un mix più equilibrato di risorse giovani e di competenze mature. Le prime portano capacità di pensiero nuovo e originale; le seconde portano esperienza, affidabilità, autorevolezza. Infine, credo nella necessità di non sovrapporre cariche di dirigente di Partito e di amministratore pubblico o di governo, per liberare lo Stato dall'occupazione dei Partiti e restituire alla politica un ruolo autonomo di elaborazione, indirizzo e valutazione delle scelte amministrative. Questo pone sicuramente una questione di retribuzione dei dirigenti e funzionari di partito, e quindi di finanziamento della politica, che dovrebbe essere affrontata con una legge adeguata per il finanziamento pubblico (che eviti abusi e sperperi) e con un rilancio del tesseramento. 18 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 UN PARTITO ETICO DANIELE CIRAVEGNA, Professore Ordinario di Economia Politica, Università di Torino Nell’affrontare la questione dell’essenza di un partito politico, il ruolo che deve svolgere nella società e conseguentemente anche la struttura organizzativa che deve darsi per svolgere al meglio la sua missione, discriminante è il punto di vista che si assume: un approccio di tipo “istituzionalistico” o un approccio di tipo “welfaristico”? Il primo ha interesse al partito quale istituzione che vuole acquisire consenso, che vuole crescere, che vuole affermarsi, che vuole perpetuarsi; il secondo ha interesse alla capacità del partito di svolgere un’azione efficace, capace d’incidere positivamente sul benessere della comunità in cui opera. Il primo non ha ragion d’essere; è solo autoreferenziale. Il secondo parte dal presupposto che un partito politico sia un soggetto etico, che ha una sua missione da compiere nei confronti e all’interno della comunità di riferimento. Facciamo allora un passo indietro (e in alto). L’uomo e la donna, persone naturalmente sociali, sono conseguentemente persone naturalmente politiche, poiché la politica è attività essenziale per lo svolgersi di un’attività sociale. La vita sociale, e conseguentemente la vita politica, non sono qualcosa di accessorio, bensì sono dimensioni umane essenziali e ineliminabili. Fra le due, la comunità politica dev’essere intesa al servizio della società civile, la quale ha la preminenza in quanto è nella società civile che trova giustificazione l’esistenza della comunità politica. La comunità politica esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita piena di ciascuno dei membri della comunità sociale, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune; l’autorità politica deve quindi riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani essenziali e deve lasciarsi guidare dalla legge morale; deve ispirarsi, nel suo operare, a valori morali, valori propri della comunità sociale, senza i quali anche la più perfetta delle democrazie fallisce. Infatti la democrazia è fondamentalmente un ordinamento e, come tale, è uno strumento, non un fine. Il suo carattere morale non è insito in sé, ma dipende dalla conformità alla legge morale cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare; dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Innanzitutto la moralità dell’azione politica non può non avere a suo fondamento la moralità delle persone che hanno responsabilità politica. Questa moralità richiede l’impegno di condividere le sorti della popolazione governata, ricercando la soluzione dei problemi sociali e non il prestigio personale o l’acquisizione di vantaggi personali: la pratica dell’autorità con spirito di servizio per il conseguimento del bene comune e non di dominio della comunità. Da questo discende l’enorme significato negativo della corruzione politica, che tradisce allo stesso tempo i principi della moralità individuale e sociale e le norme della giustizia sociale. La corruzione compromette il corretto funzionamento della comunità politica, influendo negativamente sul rapporto fra governanti e governati; introduce sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, causando disaffezione dei cittadini nei confronti dell’attività politica e dei suoi rappresentanti, con conseguente indebolimento delle istituzioni pubbliche; distorce alla 19 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 radice il ruolo delle istituzioni pubbliche stesse, perché le usa come terreno di scambio politico tra richieste clientelari e attività dei governanti. In tale modo, le scelte politiche favoriscono gli obiettivi personali dei quanti possiedono i mezzi per influenzare tali scelte e disdegnano la realizzazione del bene comune di tutti i cittadini. Ma non è sufficiente essere onesti per essere buoni politici. Etica in politica non significa soltanto che gli uomini politici, nel governare le istituzioni pubbliche, non devono pensare al loro tornaconto personale corrente o futuro (quando avranno terminato la loro attività politica); che gli uomini politici non devono avere rapporti privati con esponenti di aziende interessate da provvedimenti legislativi o amministrativi in itinere; che gli uomini politici non devono ricevere regali, se non di minimo valore; che gli uomini politici devono rendicontare periodicamente le spese sostenute per la propria attività politica e le fonti di finanziamento delle stesse ecc. Comportamento etico in politica significa anche che il politico imposti la sua attività in modo, non di essere al potere per il potere, ma per condurre la pólis verso determinati obiettivi ispirati dalla “propria verità”, che dev’essere concepita ed elaborata alla luce dei propri principi etici, e non semplicemente – in una prospettiva agnostica e relativistica – ritenere la “verità”, ispiratrice della propria azione, come prodotto determinato dalla maggioranza e condizionato dagli equilibri politici. Nell’impegno sociale il politico deve sapere elaborare un’azione ispirata alla fedeltà ai valori naturali, ai propri valori morali, ai propri valori religiosi. L’azione politica è pienamente etica solo se il politico ha chiari obiettivi da raggiungere. Poi sarà necessario agire in modo etico nel comportamento operativo, ma a monte ci dev’essere la scelta di una chiara rotta d’indirizzo della pólis: il piccolo cabotaggio senza meta non è etico. In effetti la sana (etica) lotta politica consiste nel tentativo di condurre la pólis verso un determinato obiettivo che può risultare in contrasto con l’obiettivo di altri partiti. Non invece nella contrapposizione di gruppi che hanno obiettivi simili e che si contrappongono solamente perché vogliono acquisire potere di governo, emarginando altri gruppi di potere. Questa sarebbe solamente una lotta di potere senza contenuti etici. Per avere un comportamento etico, i partiti politici devono essere fucine nelle quali i principi morali, i valori morali dei propri aderenti vengono forgiati; nelle quali vengono elaborate idee, programmi per il governo della comunità. Sul piano etico, un partito che non s’impegni in questa direzione, che non sappia attivare un’ampia attività di formazione nei confronti dei propri aderenti è destinato a morire. Un partito, composto da persone che non hanno un approccio etico alla politica, che non hanno principi etici, visioni e valori condivisi, non può esprimere una chiara linea politica; rischia di diventare, a sua volta, un mero centro di potere. In effetti, il motivo di fondo dell’attuale crisi della politica nel nostro paese è che, per lo meno da un paio di decenni, i partiti hanno cessato di essere laboratori culturali per lo sviluppo di obiettivi eticamente corretti, per creare idee, nonché di essere poli di formazione in questa direzione, e si sono trasformati in centri di potere privi di tensione etica. Ovviamente il partito non può fermarsi allo stadio di luogo di discussione sugli obiettivi che deve prefigurarsi, di produzione di idee. Deve anche saperli realizzare. Non è un centro culturale solamente; dev’essere anche un centro di programmazione che trasforma obiettivi e idee in 20 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 programmi e che trasforma i programmi in azioni di governo. Se non ha la maggioranza all’interno della comunità e delle istituzioni, dovrà anche saper mediare con le posizioni degli altri partiti con i quali si decide, o si è costretti, a cooperare (e non deve comunque essere una mediazione che porta alla negazione integrale dei propri obiettivi di fondo). Si dice che la politica è l’arte della mediazione. Questo sì al livello di operatività; non già a livello di elaborazione di principi e obiettivi! 21 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 IL PD CHE VORREI... ALDO CORGIAT, Sindaco di Settimo Torinese Sono un iscritto al Partito Democratico, anzi, se si può ancora dire, un “attivista”, addirittura un “militante”. Sono iscritto ad un partito da quando avevo 16 anni; nell’ordine: Manifesto, PDUP, PCI, PDS, DS, PD. Sì lo so, secondo lo spirito del tempo sono colpevole. Colpevole di aver frequentato sezioni di partito, partecipato ad interminabili riunioni, votato, sostenuto, incontrato centinaia di candidati (a non ricordo che cosa) che spesso rappresentavano la “società civile” cioè quella “pura” che, per dirla con l’ottima presidente della Camera on. Boldrini, non “è mai stata iscritta ad un partito”. Ho partecipato nella mia vita ad oltre 50 feste di partito, come volontario. Ho fatto il cameriere, il barista, il lava piatti, l’addetto al bancone, il pizzaiolo, il cassiere, l’intrattenitore (non sono mai arrivato all’eccellenza di cucinare le costine, né le salamelle). 50 feste per una media di giorni 15 per festa, più di 750 giorni di lavoro, circa 3 anni di lavoro effettivo regalato al partito. Ho versato contributi annuali per un importo non inferiore a 50 mila euro, ho rinunciato a ferie, week end e a possibili redditi da lavoro. Sono un caso isolato ? Da ricovero ? No. Sono un pentito ? Nemmeno. Migliaia sono in questo paese quelli come me. Troppo rassegnati, troppo ragionevoli, troppo timorosi di sentirsi rimproverare il comportamento di questo o quel dirigente, consigliere regionale, o parlamentare che ha approfittato della carica pubblica o ha rubato, per poter tornare a dire con orgoglio e senso di sé: sì, sono iscritto al principale partito della sinistra italiana. Tuttavia penso che migliaia siano quelli come me che vogliono resistere, senza darla vinta ad approfittatori, carrieristi, finti innovatori che non hanno mai fatto nulla di utile per gli altri ma che trovano spazio semplicemente dichiarandosi “estranei alla politica”. Sono tanti quelli come me che, seppure fra mille errori, sono convinti di aver sempre agito, oltre che per affermare i propri convincimenti e ragioni, a tutela e affermazione degli interessi di altri e, in molti casi, di tutti. Sono tanti quelli come me che sanno di aver contribuito in questi anni a far eleggere come propri rappresentanti nelle istituzioni tanta gente onesta e per bene che, in alcuni casi, ha goduto di status giudicati oggi insostenibili ma ha certamente lavorato con dedizione e impegno. Infine sono convinto che siano tanti quelli come me che possono dirsi orgogliosi di essersi impegnati con molti limiti, ma anche con generosità e fatica, affinché si affermasse il diritto per le 22 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 persone più deboli ad avere sanità, pensione, scuola, servizi sociali; o che possono dichiarare di essersi impegnati, ogni giorno, nel proprio territorio, per migliorare la realtà, affermare la democrazia e dare a tutti l’opportunità di partecipare e far valere i propri punti di vista. Nel PD in questi anni si è parlato di “vocazione maggioritaria”, nei partiti in cui ho militato io nel passato si parlava della vocazione a non essere minoritari. Mi accontento. Tradotto voleva dire che il partito andava preservato ma anche allargato, difeso da possibili avventurieri, ma rafforzato quotidianamente con il proselitismo. Per non essere minoritari occorreva essere sempre pronti a fare un passo indietro, lasciare spazio alle alleanze, allargare alla società civile e alle personalità che pur non avendo voti e consenso potevano “ampliare” la proposta politica del tuo partito. Sono tutti termini che in questi anni abbiamo volutamente cancellato dalla nostra cultura politica. Nel passato, la vita di partito ti insegnava che la politica era mediazione e ricerca dell’equilibrio, era dialogo tra diversi. La democrazia era ricerca delle alleanze, che dovevano essere costruite politicamente nella società e istituzionalmente, su basi programmatiche, con i partiti affini. Ora tutto questo linguaggio, certamente non sempre virtuoso e scevro da compromessi al ribasso, pasticci e tatticismi inconcludenti è stato però cancellato sull’altare di una mal interpretata vocazione maggioritaria. Già nel PD, prima ancora che nei media, termini come alleanza o accordo sono stati sostituiti da espressioni colorite come inciucio e pateracchio, il compromesso è diventato tradimento, la moderazione o la ricerca di una sintesi sono giudicate rispettivamente come la “mancanza di palle” o “inutile perdita di tempo”. Con questa nuova letteratura che, in alcuni casi e realtà, ha anche formato e preteso di rappresentare lo spirito del perfetto democratico, non c’è da stupirsi che l’avversario o il competitor diventi il nemico assoluto o che un notevole gruppo di parlamentari si ritrovi totalmente impreparato a reggere emotivamente ai tweets ricevuti e a scegliere tra i bocconi indigesti di Grillo e Berlusconi. Non era e non è facile, specie per un giovane. Sono stato giovane anch’io e, come tutti i giovani, desideroso di fare in fretta, di affermare con rapidità le proprie ragioni senza troppe mediazioni con la realtà che vuoi trasformare. In molti casi quell’eccessiva prudenza, che veniva proposta come arte del fare politica, o logica conseguenza dei rapporti di forza reali, a te sembrava rinuncia, subalternità, difetto di coraggio e di azione. E forse in alcuni casi lo era veramente. In tutti i casi il partito rappresentava, nella sua complessità, il luogo dove la linea politica maturava, trovava nel tempo il suo punto di equilibrio. Non sono un nostalgico e riconosco i molti, anzi i moltissimi limiti dell’esperienza vissuta dalla mia generazione nei diversi partiti che vi ho citato. Una generazione che è stata sempre troppo giovane per assumersi vere responsabilità e sempre troppo vecchia per rappresentare il cambiamento. E siamo qua….. nel Partito Democratico. Una novità salutata da tutti (o quasi) con favore. Capace di superare vecchi schemi e anacronistiche ritualità. Capace di allargare ancora, e di molto, gli steccati delle precedenti esperienze politiche, proponendosi l’ambizione addirittura di rappresentare tutti (ma proprio tutti) 23 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 i migliori riformismi italiani (democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali, azionisti, ambientalisti, …). Il miracolo lo doveva fare il sistema elettorale e il cosiddetto spirito maggioritario. La legge elettorale e i premi di maggioranza avrebbero dovuto trasformare il sistema politico italiano in un sistema bipolare di tipo anglosassone, dove ciascun campo (centro sinistra e centro destra) avrebbe regolato le tensioni interne semplicemente scegliendo (chi democraticamente, chi sulla base di rapporti di forza e di denaro) un leader forte, capace di vincere le elezioni e trasferire la propria parte politica nel governo delle istituzioni. I partiti, in questo contesto si dovevano dunque trasformare in comitati elettorali che (a urne chiuse) organizzavano le attività degli eletti (prima tra tutte l’ambizione di farsi eleggere alla scadenza successiva). Il percorso del partito democratico, sotto il profilo degli iscritti, parte con un deludente meno 40% rispetto alla somma degli iscritti delle due principali formazioni (DS e Margherita). I circa 600 mila iscritti odierni pur rappresentando ancora una ragguardevole base di partenza sono tuttavia ben lontani dall’essere considerabili sufficienti per definire un “partito di massa”. L’inevitabile confronto con i moderni social media o social network porta, nei fatti, all’esigenza di coinvolgere più ampie basi omogenee di aderenti, rimandando quindi al tema delle primarie e del “registro degli elettori”. A tal proposito possiamo constatare come in 6 anni dalla sua nascita il PD non ha mai fatto riferimento, nelle diverse consultazioni primarie, ad una base elettorale omogenea, usando di volta in volta demarcazioni e caratteristiche diverse. La stessa qualità della partecipazione è stata circoscritta di fatto alla scelta di candidati e di persone abbinate a piattaforme distinte. È viceversa venuta a meno la partecipazione dal basso sui contenuti e sulle opzioni strategiche. È ora di provare non ad occupare ma a rioccuparsi un po’ di PD. L’abbiamo detto più volte ma ora occorre farlo. In democrazia le regole sono sostanza e non si può stare in un’organizzazione con codici, statuti, regolamenti che poi tutti dimenticano o derogano. Occorrerebbe, anche in questo caso, avere meno norme e più progetti, affidati alla cura costante di dirigenti e militanti che hanno voglia di far crescere il PD. Le regole devono essere poche, semplici, chiare e condivise e soprattutto devono essere sostenibili e valere per tutti. Così come abbiamo bisogno di dirigenti di partito concentrati, sul pezzo, si sarebbe detto nel passato. Oggi abbiamo segreterie di partito composte prevalentemente da eletti impegnati più a presidiare l’organo esecutivo che a farlo funzionare (parlo ovviamente innanzitutto per me). Domani, dovremmo a mio avviso avere esecutivi maggiormente focalizzati alla costruzione di un partito robusto e diffuso, capace di intrattenere costantemente rapporti con gli eletti fondati su esigenze di rappresentanza e contenuti programmatici, senza tuttavia identificarsi con essi. Sento profondamente la necessità di un partito che torni ad avere un proprio autonomo profilo di rapporto con le realtà associative largamente diffuse nella nostra società. I famosi corpi intermedi, largamente sacrificati in tutti questi anni ma che ancora garantiscono a chi vuole ascoltarli un reale e fecondo rapporto con la società. 24 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Occorre valorizzare l’impegno di migliaia di persone in queste esperienze pre politiche, dare a loro la soddisfazione di partecipare a un disegno più ampio entro il quale far contribuire la saggezza e l’importanza delle loro esperienze. Tornare insomma ad interagire come partito, ai vari livelli, con la società e le istituzioni non perché si detiene in qualche misura il monopolio della rappresentanza, ma perché si recepiscono e propongono idee valide, attorno alle quali può crescere l’impegno delle persone che le fanno proprie e le vogliono concretizzare. Certamente dobbiamo confrontarci con l’enorme potenziale ma anche con il pericolo di spersonalizzazione contenuto nei nuovi social media. Vanno maneggiati con cura, in modo non compulsivo e senza pensare che il virtuale possa sostituire il reale. Dei nuovi strumenti si può evocare un’immagine apocalittica o paurosa, oppure avere un approccio positivista e acritico, in tutti i casi sappiamo che siamo solo agli inizi e che hanno già prodotto cambiamenti profondi. Come tutti gli strumenti dobbiamo dunque usarli dalla parte giusta, affinché possano essere posti al servizio delle buone idee e delle buone cause. In particolare penso occorra avere molto più coraggio e disponibilità ad usarli per far crescere la partecipazione e l’intelligenza collettiva. Non penso a sciocchi e vanitosi contenitori messi al servizio di guru o cattivi maestri ma a piattaforme intelligenti di interazione e dialogo tra opinioni e progetti, capaci di far emergere l’idea più giusta perché più condivisa e nel contempo l’innovazione geniale ma non ancora matura per essere accettata. Un partito che ascolta tutti e dialoga con tutti ma dove l’adesione è importante. Un partito così è necessariamente un partito orgoglioso di sé, con un programma definito e fondato su solidi ideali ma aperto ad ogni genere di contaminazioni che possono farlo crescere, rinnovare e cambiare nel tempo. Adesione non coincide necessariamente con una tessera, può essere semplicemente una promessa di sostegno, un ammiccamento, una strizzata d’occhio. Purché accanto a questa informale adesione sorga la responsabilità del sostegno, del bene comune da preservare, del dovere al comportamento corretto, alla lealtà reciproca, alla solidarietà di squadra. Senza queste garanzie vale il detto meglio soli (e soli non siamo) che male accompagnati. Infine siamo qua, sull’orlo di un congresso che può essere “per la vita”. Infatti il PD rischia di non farcela se a prevalere continuano ad essere i tatticismi e le ambiguità che hanno caratterizzato il suo percorso. L’Italia ha bisogno del PD, ne siamo convinti in tanti. Tuttavia sappiamo che non potrà più essere il PD del passato, pensato per un sistema forzatamente bipolare, a vocazione maggioritaria, dove chi non era con Berlusconi era necessariamente nel PD. Dobbiamo rilanciare e riformulare il progetto del PD pensando al futuro. Ad un sistema istituzionale riformato, reso più efficiente, dove le rappresentanze territoriali non siano umiliate come è successo in tutti questi anni. Una nuova, forte e democratica Europa dovrà essere il tema riconoscibile e fondamentale del nuovo PD. L’Europa, da sempre patria e origine dei più gravi e devastanti conflitti, ma anche culla della democrazia e riferimento essenziale per ritrovare il cammino e la soluzione dei problemi dell’umanità. 25 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 La nuova Europa democratica e del lavoro dovrà essere il nostro mantra, l’obiettivo che ci fa riconoscere dagli altri e ci distingue per credibilità e coerenza. In questo senso sarà necessario che il progetto del PD contenga obiettivi certamente innovativi ed originali ma che nel contempo superi le ambiguità di posizionamento. Dobbiamo essere pienamente riconoscibili come forza appartenente alla più ampia famiglia politica in cui si riconoscono i partiti socialisti, social democratici, laburisti e progressisti europei. In altre parole penso che in ambito internazionale l’esperienza del PD si debba raccordare esplicitamente a quella del Partito Socialista Europeo. Dobbiamo tornare ad un Partito capace di pensiero lungo, autonomo e dunque più libero da tattiche e posizionamenti di breve, anche nei contenuti programmatici. Un partito che sappia assumere con coerenza e determinazione il tema del rinnovamento continuo e costante, senza deroghe, ma dove le esperienze e le persone non si rottamino mai. Occorre pensare alle persone e alle esperienze come al patrimonio più prezioso di un partito. In fondo un partito è una libera organizzazione di volontari, di esperienze, di idee. E dunque, cosa c’è di più prezioso dell’accumulazione delle esperienze e del sapere delle persone che certamente con errori ma anche con tanto sacrificio e dedizione hanno reso possibile a tutti di poter dire eh già… io sono ancora qua. 26 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 DEMOCRAZIA (DEBOLE) E INTERNET JUAN CARLOS DE MARTIN, Co-direttore del Centro Nexa su Internet e Società, Politecnico di Torino Parlando di democrazia, la discussione politica italiana sembra polarizzata: da una parte c'è chi prospetta, come il Movimento Cinque Stelle, una democrazia elettronica diretta, con la riduzione del ruolo dei parlamentari a quello di semplici esecutori. Dall'altra c'è chi difende la democrazia rappresentativa così come l'abbiamo conosciuta in questi ultimi decenni in Italia, ritenendola, pur coi suoi difetti, il migliore dei sistemi possibili. È necessario superare questa contrapposizione e aprire nuove strade al pensiero: le prospettive più promettenti per il futuro della democrazia, infatti, risiedono altrove. Prima di rivolgerci al futuro, però, è opportuno ricordare alcuni elementi di contesto senza i quali è difficile comprendere la situazione attuale. Primo dato: i partiti politici italiani risultano da anni l'istituzione meno gradita agli italiani, con indici di gradimento che, a seconda dei sondaggi, scendono spesso sotto il 10%. Questo dato, oggettivamente clamoroso, non significa che gli italiani rigettino la forma partito in quanto tale; significa solo gli italiani non apprezzano i partiti italiani nella loro forma attuale. A questa crisi di legittimità - aggravata da un sempre più forte astensionismo - i partiti non hanno finora reagito in maniera adeguata. Il secondo dato è che alla massima sfiducia nei confronti dei partiti corrisponde ancora un potere enorme, un vero e proprio monopolio della vita pubblica, senza più neanche la legittimazione derivante dall'avere molti iscritti. Il terzo e ultimo dato è il processo noto come globalizzazione, che a partire dagli anni '70 ha progressivamente ridotto la capacità delle democrazie di controllare l'economia, provocando, oltre al resto, un'aumento generalizzato delle diseguaglianze. Nel complesso, dunque, non sorprende che molti cittadini ritengano di vivere in un sistema politico opaco, in cui la loro voce conta solo in occasione delle elezioni, e anche in quel caso solo all'interno di un'offerta politica che non hanno avuto alcun modo di influenzare. Una democrazia, insomma, che potremmo definire debole. Nei decenni in cui si consolida la democrazia debole, però, ha luogo anche un altro processo, ovvero il diffondersi della rivoluzione digitale, che prima riguarda il mondo sviluppato e poi parti sempre più estese del resto del mondo (sia pure con forti limitazioni anche all'interno degli stessi paesi ricchi). Un numero crescente di persone, dotate di computer personali, inizia a usare Internet per comunicare, per organizzarsi, per esprimere il proprio pensiero, per informarsi e per molto altro ancora. Sono, quindi, ormai milioni i cittadini che – reagendo, anche se a volte confusamente, alla democrazia debole – hanno imparato a informarsi in maniera autonoma e che 27 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 pretendono coinvolgimento e trasparenza. Le loro attività online sono un magma che a volte include – come è inevitabile che sia - superficialità e paranoia, ma anche molti cittadini salutarmente critici, desiderosi di accedere alle fonti, di ripensare con la propria testa questioni fondamentali, come testimoniano i forum online di tutta Europa. Discussioni che è facile ridicolizzare, ma che - è bene ricordarlo - non sono molto diverse da quelle che hanno partorito la modernità, dalla Rivoluzione inglese in avanti. Ma mentre milioni di cittadini usavano sempre di più la Rete per informarsi, discutere e organizzarsi, i partiti politici ignoravano - e in larga parte continuano a ignorare - la trasformazione in atto in milioni di loro potenziali elettori (soprattutto i più giovani). Inoltre, i partiti via via al Governo non hanno ritenuto che fosse una priorità introdurre - nel solco della democrazia parlamentare definita dalla Costituzione e nel rispetto del ruolo della politica - nuove strumenti di democrazia diretta nelle istituzioni. In questo momento storico di democrazia debole nuove forme, ben calibrate, di democrazia diretta avrebbero potuto - e potrebbero ancora - acquisire una grande importanza sia simbolica, sia sostanziale. In altre parole, mentre le conseguenze politiche di Internet sulle persone crescevano e si consolidavano, le conseguenze sulla politica rimanevano del tutto trascurabili. Questa inerzia partitica ha consentito che si radicasse – prima in cerchie ristrette di persone e poi in settori sempre più ampi della popolazione - un interesse verso forme di democrazia diretta elettronica. In altre parole, al sistema dei partiti, visto come opaco, autoreferenziale e spesso corrotto, si è arrivati a contrapporre la democrazia diretta, giudicata intrinsecamente superiore a quella rappresentativa. Sono, però, molte le critiche che si possono fare alla democrazia elettronica applicata a comunità ampie come quelle nazionali. Innanzitutto, la critica, spesso fondata, del sistema politico italiano non deve far dimenticare che l'attività politica è un'arte essenziale per la democrazia, come scriveva Bernard Crick nel 1963 nel suo classico “Difesa della politica”; un'arte basata su virtù come prudenza, conciliazione, compromesso e adattabilità. La seconda critica è che c'è differenza tra sondaggio permanente e voto: la democrazia richiede ponderazione, attenta valutazione dei pro e dei contro, capacità di dare senso e coerenza ai percorsi politici. Infine la terza difficoltà è il divario digitale: un italiano su due non è digitale, e molti di coloro che non sono online sono soggetti sociali deboli, come gli anziani e le famiglie di lavoratori non qualificati, che non è accettabile escludere. Più proficuo, dunque, riflettere su come far evolvere la democrazia rappresentativa verso forme più partecipate, verso quella che potremmo chiamare, seguendo Stefano Rodotà, democrazia continua. Le proposte in questa direzione non solo non mancano, ma in alcuni casi sono già state sperimentate con successo. Oltre al dialogo continuo eletti-elettori di cui parla Nadia Urbinati, si spazia dalle consultazioni ai bilanci partecipativi (nota è l'esperienza di Porto Alegre), dai sondaggi deliberativi proposti da James Fishkin ai referendum propositivi, dall'obbligo di discutere in Parlamento le proposte di legge d'iniziativa popolare al 'debat public' francese. O ancora, a livello europeo, le direttive di iniziativa popolare, una novità introdotta dal Trattato di Lisbona. Si tratta di proposte che la Rete consente di realizzare in maniera non solo più efficiente, ma anche con maggiore trasparenza e dando potenzialmente più voce a chi finora ha in genere fatto fatica a farsi sentire. 28 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 I partiti dovrebbero fare proprie queste proposte per applicarle innanzitutto a loro stessi per poi declinarle a livello locale, nazionale ed europeo. In altre parole, la via d'uscita dalla crisi attuale non è né la democrazia diretta elettronica, né la difesa dello status quo, ma un'evoluzione condotta da partiti profondamente rinnovati (o da partiti del tutto nuovi) - della democrazia rappresentativa verso forme più partecipate: ci sarà qualcuno, nel panorama politico italiano, all'altezza della sfida? 29 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 SIAMO TUTTI MINORANZA UMBERTO D’OTTAVIO, Parlamentare PD Innanzitutto vorrei ringraziare gli organizzatori di questo seminario nella speranza che il loro impegno continui proprio in questa fase congressuale del Partito Democratico che proprio sulla forma partito è chiamato ad interrogarsi e a trovare nuove ragioni per la sua battaglia politica. Chi si interroga sulla forma partito è perché è interessato a fare politica. In questo senso non bisogna mai dimenticare che per moltissimi, soprattutto dalla nostra parte, senza un partito sarebbe stato impossibile pensare di fare attività politica. Da qui si può ripartire, qualcuno ha già detto che i partiti sono “tecnicamente” indispensabili al funzionamento delle istituzioni democratiche. Niente di più vero, ma la nostra riflessione si trova proprio all’incrocio tra la crisi dei partiti e la contemporanea crisi delle istituzioni della nostra democrazia rappresentativa. Credo, infatti che le due siano intrecciate e penso che l’idea di organizzazione democratica interna al partito corrisponda ad una idea di organizzazione delle istituzioni. Mi sembra infatti che ci sia quasi una proporzione diretta tra quanto si ritenga complessa la democrazia interna e le istituzioni. Quasi tutti i partiti personali sono per il presidenzialismo, mentre gli altri hanno dubbi e perplessità. Credo che questa discussione intreccerà la questione delle riforme istituzionali e la questione della riforma dei partiti. Penso inoltre che la crisi della democrazia rappresentativa sia molto legata alla difficoltà sempre più crescente si fare “maggioranza”, anzi la rapida e continua frammentazione della società mi fa ritenere che siamo “tutti minoranza”, nel senso che è un lontano ricordo la possibilità di costituire blocchi sociali forti o addirittura maggioritari. Credo sia questo più che il proliferare delle correnti il tema su cui fare i conti. Non ho una idea finita su questo, ma la sollecitazione a riflettere mi sembra evidente. In questi anni tra primarie di partito ed elezione diretta dei vertici degli enti locali abbiamo contribuito ad educare in una certa direzione i nostri elettori, mi auguro una profonda riflessione che porti a correggere il tiro, altrimenti è spianata la strada al presidenzialismo e alla riforma della Costituzione. Per questo auspico il più grande e fattivo contributo di tutti a cominciare dagli studiosi ed intellettuali del nostro territorio. 30 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 ANDARE CONTROCORRENTE PER FARE IL PD FEDERICO FORNARO, Parlamentare PD Di questi tempi a parlare di partiti, della sua organizzazione e dei modelli di selezione delle leadership, occorre una buona dose di coraggio. Eppure se vogliamo salvare la nostra democrazia bisogna avere proprio il coraggio intellettuale e politico di andare controcorrente per ridisegnare la forma organizzativa di quello che - nonostante tutto - rimane il principale partito italiano, il Partito Democratico e rilanciarne il suo ruolo e la sua funzione della società. Un compito ai limiti dell'impossibile, se si tiene conto che la crisi di legittimazione democratica della politica non interessa solamente l'Italia, ma riguarda l'intera Europa alle prese con processi di disgregazione sociale e politica che mettono in discussione l'utilità stessa per le società contemporanee dei partiti, messe in discussione da nuove forme di partecipazione fondate sulla Rete, con un tentativo di rilanciare primitivi e infruttuosi tentativi di democrazia diretta. Oggi, a essere sotto attacco è la democrazia rappresentativa e a essere entrato in crisi,infatti, è il suo strumento principe, il partito politico. In Italia, la critica largamente diffusa tanto tra gli studiosi quanto tra gli elettori, coinvolge non soltanto i diretti eredi del modello novecentesco del "partito di massa", ma anche i cosiddetti "partiti personali" largamente diffusi a partire dagli anni '90 del secolo scorso. Non caso, il Movimento 5 Stelle ha costruito buona parte della sua immagine di "diversità" proprio sulla orgogliosa rivendicazione di essere un "non partito", che disciplina gli aspetti organizzativi e di dialettica interna con un "non statuto". Il PD non può più continuare ad apparire agli occhi dell'opinione pubblica un semplice "spazio politico" variamente frequentato nel periodo di tempo che intercorre tra un'elezione primaria e un'altra: la drammatica vicenda delle elezioni presidenziali è una ferita profonda e ancora aperta. Se nel recente passato si è perso troppo tempo, in una sterile discussione tra i fautori del "partito liquido" e quelli del "partito pesante", oggi,però, occorre evitare il rischio di ripetere l' errore di dividersi inutilmente e strumentalmente attorno al falso problema "primarie sì" - "primarie no". Questo processo di selezione della leadership rappresenta un incontestabile tratto identitario del PD, che è giusto rivendicare e difendere, anche in ragione della dimostrata capacità nel contrasto al fenomeno crescente di progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti dei partiti. Allo stesso modo, c'è da interrogarsi non tanto sulla giustezza di usare le primarie per il segretario nazionale qualora si modificasse la norma statutaria che unifica leadership di partito e premiership, ma, ad esempio, se non sia stata una forzatura usare questo strumento per l'elezione dei segretari regionali e non sia meglio,invece, privilegiare una visione organizzativa e politica che affidi agli iscritti la selezione degli organi di partito (circolo, provinciali e regionali e agli elettori quella dei leader (sindaci, segretario del partito e presidente del consiglio). 31 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Per favorire la partecipazione del "popolo delle primarie" e non limitarla al solo appuntamento dell'individuazione del leader (del partito e/o del governo), dovrà così trovare attuazione piena quella parte dello statuto che prevede lo svolgimento di congressi tematici annuali e di referendum su grandi temi di interesse dell'opinione pubblica, coinvolgendo non solo gli iscritti ma anche i votanti delle primarie. Il prossimo Congresso nazionale del PD dovrà, dunque, essere l'occasione di avviare un ripensamento sul modello organizzativo avviando - nel concreto - una profonda riforma in senso federale del partito sia per quanto attiene alla ripartizione delle risorse economiche sia in merito una revisione dei criteri di composizione degli organi nazionali (assemblea e direzione), riservando una quota di eletti del 50% ai territori e aprendosi a innovazioni concrete in direzione di una apertura alla partecipazione attraverso la Rete. È essenziale, inoltre, che gli organismi di partito ai diversi livelli tornino ad essere il luogo in cui per davvero - si elaborano e si assumono le decisioni. Per raggiungere questo obiettivo bisogna combattere la malattia endemica rappresentata dall'"ipertrofia numerica". Ridurre le dimensioni degli organismi (dal circolo all'assemblea nazionale, passando per gli altri livelli intermedi) non significa limitare la partecipazione democratica alle decisioni, ma, al contrario, valorizzare il ruolo e le responsabilità dei gruppi dirigenti. I rischi di trasformare progressivamente il PD in una sommatoria di comitati, perfettamente oliati e funzionanti, in occasioni di primarie e elezioni, per poi essere assenti nella vita quotidiana dei circoli, sono evidenti e far finta di non vedere la realtà in nome di una acritica difesa del feticcio delle primarie, non contribuisce certo a trovare soluzioni capaci di riannodare i fili lacerati della rappresentanza e combattere la degenerazione disgregatrice delle conventicole di potere. Il PD è nato non per essere uno dei tanti partiti del leader (anche se eletto dalle primarie), ma un soggetto politico collettivo capace di dare risposte di governo a una domanda di cambiamento proveniente da una società in profonda e continua trasformazione. 32 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 FARE PARTITO: ANTIDOTO CONTRO L'IMPOTENZA DELLA POLITICA PAOLO FURIA, Segretario Giovani Democratici Piemonte Ho individuato tre ragioni fondamentali della crisi del partito: Crisi delle democrazie nazionali. Si tratta di una crisi di potenza: nello Stato vi è scarsa concentrazione di risorse finanziarie per operare le politiche. I partiti politici hanno radici culturali transnazionali, ma ad essere da sempre ed ancora fortemente nazionale è lo spazio pubblico, in cui gli interessi emergono, si misurano e diventano pubblica opinione. Il linguaggio è nazionale, il che non è indifferente ai fini della costituzione di uno spazio pubblico transnazionale. Anche le leggi fondamentali della convivenza civile sono nazionali. Il partito politico nasce, cresce e vive nello spazio nazionale, il quale ormai, sul piano della decisione, è in difficoltà. Crisi del razionalismo, che, in politica, implica che vi sia corrispondenza tra idee, intenzioni, azioni e risultati. Le molte variabili sociali intervengono su un'azione in maniera distorsiva tra quanto si intendeva realizzare e quanto effettivamente si realizza. Ciò induce una "crisi di illuminismo", ossia dell'idea che attraverso l'azione collettiva si possano ottenere mutamenti significativi della realtà. Con ciò, l'idea che il partito politico sia il soggetto che garantisce l'ingresso nella storia politica delle istanze più deboli (che trovano nel partito la forza di organizzarsi) tramonta. Il partito diventa uno strumento per il governo, con tutte le sue "irrazionalità", e nient'altro. Moltiplicazione delle autorità pedagogiche, formali e informali (tra cui i mass media, agenti di costruzione dell'identità sociale), che portano il partito a ridimensionare la sua ambizione culturale. Il problema è anche nell'organizzazione del lavoro. Essa indebolisce la presenza del cittadino in una struttura-partito, che è spesso impegnativa e dispendiosa. C'è da aggiungere che la diffusione di soggetti sociali e di volontariato che si mobilitano su singole questioni molto sentite ha moltiplicato la possibilità di impegno per specifici argomenti. È quindi preferita un'iniziativa settoriale ad una battaglia "di appartenenza". Questo mutamento della partecipazione politica si traduce, dal punto di vista elettorale, nella diffusione del cosiddetto "voto d'opinione". Una mobilitazione esclusivamente settoriale può produrre un vuoto di identità politica assai pericoloso. La partecipazione può diventare "consumistica": frammentaria, indisposta alla mediazione collettiva, quindi esposta alla seduzione da parte dei leader carismatici, che non svolgono una funzione di mediazione e non favoriscono né l'autonomia dei loro partiti né la qualità della partecipazione. Ecco perché occorre difendere la forma dell'organizzazione politica costituzionalmente prevista. Ma bisogna esser consapevoli che questa forma della partecipazione democratica può tramontare, aprendo la via a nuove tirannidi. Vi sono nel piccolo alcune strategie che possono essere perseguite per mettere il partito sulla via "della guarigione". 33 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Suggerisco due questioni. Il corpo del partito si nutre? Oggi la concentrazione delle risorse è sostanzialmente in mano agli eletti. Il sistema di funzionariato è già in dismissione; le strutture periferiche del partito faticano a sopravvivere. Il volontariato politico è un grande valore, ma la situazione è odiosa quando l'impegno politico grava direttamente sulle spalle dei militanti o dirigenti di base (nel senso che non sono riconosciuti neppure i rimborsi spese per viaggi o attività che il partito molto spesso richiede), mentre le risorse concentrate ai piani alti della struttura o nei gruppi elettivi continuano ad abbondare. S'insinua il sospetto tra base e vertice: ecco perché, se la situazione finanziaria nel partito e tra partiti e gruppi sembra secondaria, in realtà sta al centro del rapporto di fiducia tra eletti e militanti, tra base e dirigenza. È necessario rendere "meno conveniente" la vita politica. Dobbiamo ridurre la quantità di politici per convenienza, fenomeno che genera gravi esempi nella società e competizioni acerrime tra correnti prive di sfondo culturale, che alla fine sono ambizioni personali: scontri che si replicano sui più giovani e sui neofiti della partecipazione politica – che quindi o scappano o acquisiscono i vizi peggiori di chi è già dentro. La ricerca di una visione. Il partito deve ridefinire strategie e svolgere i propri ideali a livello internazionale. È necessario andare oltre lo spazio pubblico nazionale non mortificandolo, ma inserendolo in una logica più ampia perché più le grandi questioni di valore sono decise nel piccolo, più ci si deve misurare con gli effetti aggregati, così che la distorsione "amministrativistica" diventa l'unico surrogato possibile di una politica ormai incapace di proporre ideali e strategie concretamente praticabili per perseguirli. Il piano europeo, oggi così accidentato da vincoli che affaticano la libera risposta della politica nazionale alla crisi, dev'essere il luogo in cui i grandi valori e le grandi "idee" della politica devono tornare a valorizzarsi. 34 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 UN APPROCCIO ORGANIZZATIVO ALLA FORMA PARTITO GIORGIO GATTI, Scuola del PD Piemontese Lo scopo di questa riflessione, presentata al Seminario del 18 maggio, è quello di ragionare sull’essenza e la realtà della Forma Partito, individuando anzitutto i tratti o ingredienti irrinunciabili per poi tentare di trasformare questa prima analisi in proposte. Per cercare di conseguire lo scopo sopra indicato ho utilizzato due strumenti di natura manageriale, due studi non proprio recentissimi ma di qualità: il primo è “Image” di Gareth Morgan che descrive le diverse metafore con cui le organizzazioni pubbliche e private sono state rappresentate da quando si è cominciato a scriverne. Tra le diverse metafore individuate da Morgan ce ne sono almeno quattro che presentano maggiori elementi di interesse per l’organizzazione/partito, o perché presenti quali modelli di riferimento per qualcuno dei Partiti politici italiani o perché potenzialmente interessanti alla luce dei cambiamenti in corso: la metafora della Macchina, la metafora del Cervello, la metafora del Sistema Politico e quella della Trasformazione Certamente in passato il modello organizzativo più diffuso e conosciuto, coincidente con le teorie scientifiche di Frederick Taylor e di Max Weber da cui nasce la burocrazia che ha indirizzato i partiti di massa della prima parte del secolo scorso, è quello della ”macchina”, caratterizzata da scientificità di approccio e sostanziale attenzione alla progettazione ed al metodo, ma con evidenti rigidità e . Al contrario la metafora cibernetica, del cervello, si pone come riferimento post moderno per modelli adottabili in risposta al crescere della complessità ed alla turbolenza delle competenze che spingono verso organizzazioni capaci di adattarsi al’intensità dei cambiamenti (learning organization) ed alla “mobilitazione cognitiva”. Così come è certamente interessante per la nostra riflessione la metafora del Sistema politico, laddove le imprese si ispirano ai sistemi (Stati, Governi) cui compete la Politica come cura del “bene comune”. Le tre variabili caratterizzanti questo modello (interesse, conflitto, potere) costituiscono certamente tre temi di grande rilievo per approfondire l’organizzazione/Partito. Il secondo strumento utilizzato è “In cerca dell’eccellenza” di T.Peters e R. Waterman un testo di management fra i più noti basato su di una ricerca commissionata dalla McKinsey e sul modello gestionale allora utilizzato da quella Società, quello delle 7S cioè i sette elementi che determinano l’efficienza ed efficacia di un’azienda ed il suo successo: Struttura, Staff, Sistemi gestionali, Stile direzionale, Skills, Strategia e Sistema di valori La conclusione cui giunge la ricerca è che il sistema dei valori è, nella concezione sistemica che guida il lavoro di analisi, l’elemento cardine di tale successo, la condizione determinante per l’eccellenza di un’organizzazione. Dalla combinazione di quanto emerge dai due studi presi in considerazione, insieme alla lettura di altri materiali (fra cui il bel lavoro di Marco Revelli “Finale di partito”) ho cercato di tirare una 35 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 prima sintesi: alla ricerca del Partito ottimale contribuiscono le scelte, le decisioni su quattro variabili/caratteristiche: 1. Il modello organizzativo in tema di Accentramento/ decentramento di poteri, responsabilità e decisioni 2. Il rapporto più o meno aperto con l’ambiente, le persone e la tecnologia ( ad esempio gli open data) 3. Lo stile di leadership e il rapporto fra leader e follower (un leader è tale soltanto se qualcuno lo segue!!) 4. L’equilibrio fra valori etici e culturali storici, divisi fra cattolicesimo e marxismo e quelli post moderni, legati alla tecnologia ed alla comunicazione Importante individuare le aree, non solo territoriali, su cui si distribuiscono il potere e le responsabilità e le regole necessarie. Con le regole si può disciplinare la maggior parte dei temi determinanti l’organizzazione. Altro aspetto da considerare è il collegamento fra organizzazione e stile di leadership. I leader e il loro stile influiscono pesantemente sulle organizzazioni (più sulla struttura informale che su quella formale/istituzionale). Si può quasi dire che la forma partito sia conseguenza non solo dell’organizzazione e delle sue determinanti ma della interazione fra queste e il modo in cui la leadership ed il potere vengono esercitati Non a caso si parla della DC di De Gasperi o del PCI di Togliatti come si parlava della Fiat di Valletta, individuando una ben precisa struttura e identità di un certo periodo, caratterizzata anche dallo stile e dai valori del leader. Inoltre individuare e conoscere i followers (ad esempio attraverso l’Albo degli Elettori) ed aiutarli a crescere (e qui la Scuola di Formazione del PD Piemonte e la Banca delle Competenze cui la stessa sta lavorando, possono essere di grande utilità) diviene, tanto più nella situazione attuale di confusione e di sfiducia, un elemento fondamentale per rafforzare un Partito. Oggi lo stile deve essere condiviso e coerente all’interno della struttura, specie se si pensa a forme di partecipazione e di democrazia, altrimenti l’incoerenza (vedi M5S) può mettere in crisi l’intera organizzazione. Accanto allo stile altra componente fondamentale, quella che tiene insieme le altre, che dà all’insieme significato e direzione, è la cultura, il sistema dei valori che distinguono un Partito da tutti gli altri e ne definiscono le linee guida, anche sul piano etico. Qui occorre prendere posizione fra la tradizione delle due culture del passato (cristiana e marxista) e quella emergente e meno ideologica dell’innovazione e del cambiamento (verso l’Europa e verso nuove forme di benessere e di democrazia) I quattro tratti irrinunciabili su cui si basa la proposta per rafforzare il Partito possono dunque essere: 1. Un partito distribuito sul territorio e al contempo europeo, capace di una comunicazione distribuita ed integrata (verso l’interno del Partito come verso l’esterno) dove le decisioni, le responsabilità come i carichi di lavoro siano ripartiti attraverso un autonomia regolata da norme 36 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 ma sopra tutto da una delega e da un controllo caratterizzati da trasparenza e condivisione delle finalità; 2. Capace di gestire in modo aperto l’informazione e la tecnologia, aperto alle idee ed alla gente, ai simpatizzanti come a chi viene da altri paesi e da altri sistemi sociali ed alla realtà del nostro paese che muta con una rapidità che richiede a tutti i Partiti una capacità di cambiamento di cui l’apertura è il primo ed indispensabile passaggio; 3. Attento all’omogeneità dello stile di leadership ed al rapporto coi followers (non solo gli iscritti ma tutti coloro che guardano al nostro Partito come ultima speranza, coinvolti e partecipi attraverso strumenti di collegamento come l’Albo degli elettori); Un Partito che creda nella formazione e la utilizzi come funzione strategica, parte essenziale della costruzione di un futuro pensato e voluto coinvolgendo la propria base ; 4. Capace di comunicare ed applicare i valori culturali ed etici anche dando l’esempio e facendo della chiarezza delle scelte etiche uno dei valori forti del proprio modo di essere. Occorre scegliere fra il passato ed il futuro ed occorre farlo senza distruggere, senza mancare di rispetto alle diverse opinioni e, se possibile, evitando nuovi conflitti. 37 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 L’ANIMA PERDUTA DEI PARTITI E L’ESIGENZA DI TORNARE A ESERCITARE UNA FUNZIONE RAPPRESENTATIVA ENRICO GROSSO, Docente di Diritto Costituzionale, Università di Torino 1. Cosa sono stati. La nascita dei partiti moderni è intrinsecamente legata a quella della democrazia di massa, intesa come regime necessariamente rappresentativo. I partiti del Novecento hanno cioè operato come strutture intermedie indispensabili al funzionamento della rappresentanza politica in un contesto democratico. È peraltro necessario, a tale proposito, operare una distinzione tra due aspetti, compresenti ma distinti, della funzione rappresentativa: l’aspetto, di più immediata percepibilità, della costruzione di un rapporto politico tra eletti ed elettori, funzionale a garantire la legittimazione democratica del sistema; e l’aspetto, non meno importante, della capacità di «rappresentare» agli elettori un orizzonte ideale, una visione del mondo, un’autonoma declinazione dell’interesse generale, in grado di costituire la necessaria integrazione politica attorno ad alcune grandi visioni o progetti di società, che si contrappongono democraticamente e «concorrono» (per usare l’espressione valorizzata dall’art. 49 della Costituzione) alla definizione delle singole scelte di indirizzo politico. Insomma, i partiti hanno da un lato la funzione di garantire il collegamento stabile e permanente tra le istituzioni e il corpo elettorale, assicurando la partecipazione politica del popolo e traducendo la domanda sociale in azione politica. Dall’altro lato hanno il compito (e la responsabilità) di elaborare e presentare un proprio progetto generale di società, allo scopo di trascendere gli interessi particolari dei gruppi rappresentati e di integrarli, ossia mediarli e sottoporli a sintesi. Tale doppio ruolo è stato perseguito con efficacia dai partiti italiani almeno fino alla fine degli anni Settanta. Con l’obiettivo di promuovere e sintetizzare istanze politiche, essi hanno creato con i propri elettorati di riferimento, e quindi in definitiva con l’intera società, uno strettissimo rapporto di ordine non solo politico ma anche più specificatamente culturale, che comprendeva l’esercizio continuo di una funzione propriamente pedagogica. Non si trattava soltanto di raccogliere la domanda sociale e di tradurla in azione politica, ma anche di organizzarla, promuovendo la coscienza e la cultura delle masse, presidiando i diversi aspetti del dibattito politico sociale e procedendo alla sua costante tematizzazione. L’esercizio efficace di entrambe le funzioni sopra delineate era favorito dalla strutturazione dei partiti come grandi organizzazioni collettive, oserei dire impersonali, o comunque in grado di prescindere dalle persone fisiche che di volta in volta ne assumevano la guida. Se anche poggiavano le proprie fortune elettorali (anche) sulla capacità dei loro leader, i partiti non ne erano schiavi. Essi esercitavano una fondamentale funzione di selezione progressiva delle élites, promuovendo la formazione politica dei propri aderenti e vere e proprie “scuole di politica”. Così, 38 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 tra l’altro, veniva assolto il compito, fondamentale in ogni organizzazione statale, di selezione della c.d. “classe politica”. 2. Cosa sono diventati. È quasi banale la constatazione che quel modello di partito sia entrato in profonda crisi. Molti ritengono che si tratti di una crisi sistemica e storica, risalente addirittura alla fine improvvisa e drammatica del progetto di Aldo Moro, di ridare legittimità ai partiti attraverso una più ampia rappresentatività del sistema politico dopo la crisi manifestatasi oltre il tornante storico che si colloca a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. È da allora che i partiti hanno progressivamente dissolto il patrimonio di credibilità che avevano costruito nel tempo, perdendo quel ruolo di guida pedagogica e di indirizzo morale e ideale nei confronti dei cittadini che avevano esercitato a partire dall’immediato dopoguerra, e – ciò che è più grave – supplendo a tale perdita con l’intensificazione di pratiche clientelari, con la sistematica occupazione di tutti gli spazi istituzionali, talvolta con il ricorso alla corruzione politica. Più recentemente, e via via più rapidamente, a partire dagli anni Novanta i fattori di crisi di quel sistema si sono intensificati, fino al progressivo disfacimento dei legami sociali che i partiti storici avevano garantito, e all’affacciarsi di una retorica antipartitica che ha finito per travolgere tutto e tutti, senza che i partiti, sia quelli sopravvissuti sia quelli nel frattempo formatisi, fossero capaci di contrastarla. Anzi, oggi le forze politiche sembrano sprofondate in un’impressionante afasia, che non saprei spiegare diversamente che con il ricorso alla categoria psicanalitica del senso di colpa. Ora, se da un lato occorre riconoscere con franchezza che alcuni fattori di crisi sono inevitabilmente riconnessi alle grandi trasformazioni della società dell’ultimo ventennio (dalla rottura dei legami di facile e quasi “automatica” appartenenza che legava i cittadini ai partiti, in conseguenza della crisi delle tradizionali ideologie del Novecento, alla naturale evoluzione della complessità sociale, e dell’intreccio degli interessi, che rende assai più difficile la loro composizione attraverso la politica), è altrettanto vero, dall’altro lato, che i partiti portano sulle loro spalle una gigantesca responsabilità. Se la domanda sociale appare oggi frantumata in un coacervo di micro-interessi apparentemente inconciliabili e irriducibili, la colpa è anche delle forze politiche che hanno smesso di perseguire quel ruolo istituzionale di “parte generale”, che contribuiva alla formazione della sintesi politica in un contesto pluralistico. Talvolta esse appaiono oggi vere e proprie “scatole vuote”, all’interno delle quali i diversi interessi, anche i più disparati, riescono a trovare posto, giustapposti l’uno accanto all’altro e non più oggetto di integrazione, lacerando dall’interno il tessuto connettivo su cui i partiti poggiavano la propria consistenza. La crisi economica ha poi accentuato tale stato di cose, finendo per rendere credibile e addirittura auspicabile, per molti, l’idea che la crisi si possa risolvere eliminando la politica, invece che ridandole fiato. 39 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 3. Cosa devono tornare ad essere. Che fare, allora? C’è chi invita a rassegnarsi all’inevitabile declino, strada verso l’estinzione, dei partiti intesi come strumenti organizzativi della democrazia. Secondo questa tesi, cessata la loro funzione, che era indissolubilmente collegata con la natura delle democrazie novecentesche, spentasi inevitabilmente la loro capacità rappresentativa, mano a mano che il processo di modernizzazione erodeva le loro basi sociali, i partiti non sarebbero che dinosauri provvisoriamente sopravvissuti all’inevitabile estinzione. Essi trovavano la propria linfa nel fatto di essersi radicati all’interno delle grandi fratture che hanno segnato la formazione della democrazia moderna (l’industrializzazione, l’urbanizzazione, la secolarizzazione, la costruzione dello Stato e cioè la concentrazione del potere), e sarebbero quindi oggi dei vecchi arnesi, inutili a una società profondamente cambiata. Sopravvivrebbero come meri simulacri, gestori di potere, e solo perché – fino ad ora – non si sono fatti avanti organismi che ne contestassero con sufficiente forza il predominio sul piano del governo delle istituzioni (cfr. ad es. M. Calise, Il partito personale, Roma, Laterza, 2000, spec. 13 ss.). Pare evidente, a questi autori, che tale sopravvivenza non sia più garantita. E che la forma-partito stessa sia destinata ad essere sostituita da nuove forme aggregative legate a nuove forme di espressione della vita democratica (la partecipazione diretta, la rete, ecc.), parallelamente con la crisi del sistema che era stato la ragion d’essere della loro nascita. Non condivido questa analisi. Penso che dietro il funerale troppo presto celebrato alle forme della democrazia rappresentativa si celi una gigantesca mistificazione, che alla fine, più che la rappresentanza politica, finisce per colpire, tout court, la democrazia. Si produce l’illusione ingenua che il superamento dell’esperienza dei partiti equivalga alla fine dei problemi, invece che alla fine del sistema democratico in quanto tale. Invece, i vizi attuali vanno combattuti a partire dalla riscoperta della essenziale funzione costituzionale dei partiti. Essi vanno ricostruiti, non abbattuti, per ricostruire, e non abbattere, la democrazia. Come scriveva Kelsen, «solo l’illusione, o l’ipocrisia, può credere che la democrazia sia possibile senza i partiti politici» (cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia (1929), in I fondamenti della democrazia e altri saggi, Bologna, Il Mulino, 1970, 23). Tra l’altro, anche dando per scontata l’evidente crisi di identità dell’attuale sistema dei partiti e la disaffezione profonda da cui essi sono circondati, i problemi di tenuta e di capacità reattiva della comunità appaiono oggi ancora più evidenti, anche perché non sembra proprio che siano sorte, nel frattempo, efficaci reti di solidarietà alternative ai partiti ed esterne ad essi. Tutto ciò lascia ritenere, come è stato osservato, che una politica senza partiti finisca per diventare una triste vicenda di atomizzazione, e per esprimere «un deludente individualismo arelazionale di massa» (C. Pinelli, Ascesa e declino dei partiti, in Nel lungo andare. Una Costituzione alla prova dell’esperienza, Napoli, Editoriale Scientifica, 598). Recuperare il legame rappresentativo che si è smarrito, ricostruendo un tessuto di solidarietà e passione all’interno della società. Solo così si potrà sperare di innescare un nuovo circuito virtuoso nella parabola delle organizzazioni politiche. Sinteticamente, mi limito a suggerire tre possibili percorsi di quella che deve diventare una vera e propria battaglia culturale per il riscatto dell’anima perduta dei partiti. Primo: reagire a quella diffusa cultura antipolitica secondo cui i problemi politico-sociali che richiedono risposte e decisioni sarebbero di per sé semplici, e dunque semplici e rapide 40 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 potrebbero essere le decisioni stesse. Il dibattito pubblico, anche per effetto della deleteria azione dei mezzi di comunicazione di massa, sembra polverizzato in una miriade di singole – apparentemente semplici – situazioni, piuttosto che essere strutturato sulla base di problemi complessi. Ciò finisce per trasformare la politica da confronto ragionato tra principi e programmi che riguardano il futuro della società italiana in mera competizione tra persone che individuano la “ricetta” più semplice per risolvere ogni singola questione. Ciò che viene a mancare, in tale contesto, è la percezione della complessità. Lo Stato costituzionale democratico è una forma organizzativa della convivenza delicata e complessa, che combina variamente, nel corso del tempo, principi e istituzioni potenzialmente confliggenti, e produce mediazioni. Tutto il contrario di ciò che traspare dalla furia semplificatrice dei populisti di ogni forma e natura. Invece di concentrarsi sull’elaborazione di uno slogan accattivante, di essere ossessionati dall’ultimo sondaggio (o dall’ultimo tweet), i partiti devono tornare a rappresentare nel lungo periodo, in modo affidabile, gli interessi dei loro elettori. Chi si avvantaggia della perdita del senso del tempo e della complessità della realtà sono – appunto – i populisti, che “la fanno facile”, che indicano generici obiettivi semplificati come se fossero politiche, senza curarsi della loro fattibilità all’interno del contesto complessivo, e considerando il più delle volte ogni obiezione come un mero ingombro da tecnocrati. I partiti che vogliano reagire alla deriva populista devono riacquistare la capacità di leggere la complessità sociale e trasformarla in elaborazione politica, resistendo alla tentazione di solleticare i cittadini attraverso la falsa rappresentazione di facili ed ingannevoli scorciatoie. Secondo: investire profondamente sulla formazione della classe politica. Nel 1962 Vittorio De Caprariis, grande intellettuale allievo di Benedetto Croce, così scriveva: «Diciamolo francamente: nella società democratica di massa v’è bisogno di élites assai migliori di quelle che detenevano il potere cent’anni fa, meglio preparate, più responsabili ed evolute, meglio consapevoli delle tanto più immani responsabilità che gravano sulle loro spalle». A distanza di cinquant’anni, si è perduta la consapevolezza della necessità che la selezione della classe politica non sia affidata soltanto ai naturali meccanismi di selezione/competizione interna ai singoli partiti. Il disinvestimento operato negli ultimi decenni rispetto alle sedi di formazione politica nelle quali i partiti, in passato, impegnavano una mole impressionante di risorse umane ed economiche non può essere certo estraneo allo stato di crisi in cui i partiti si dibattono. Terzo: recuperare il senso dell’«interesse generale». I partiti hanno smesso di occuparsi della propria visione dell’interesse generale, forse perché si sono per lo più ridotti a “cartelli”, a contenitori privi di identità, assemblando tra loro pezzi sparsi, ciascuno dei quali persegue la somma algebrica degli interessi particolari massimizzante il proprio consenso. Un tempo i partiti erano quotidianamente impegnati in un’accanita battaglia intorno a opposte concezioni dell’interesse generale. Oggi, tutt’al più, sia tra partiti, sia soprattutto (e questo è più grave) all’interno di ciascuno, si combatte per stabilire quale interesse particolare debba prevalere sull’altro. Si tratta di un atteggiamento esiziale, che priva i partiti di quell’essenziale funzione rappresentativa dei grandi orizzonti ideali e delle complessive visioni del mondo, di cui si parlava all’inizio. Un partito che non è più in grado di offrire ai cittadini una sua complessiva rappresentazione del futuro possibile, accompagnata dalla proposta politica ritenuta idonea a realizzarlo, ha perso la principale delle funzioni cui è chiamato. E tale carenza produce a sua volta ulteriore frammentazione sociale, che come un volano genera, a cascata, debolezza della politica. 41 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Anche sotto questo profilo, se i partiti non sapranno recuperare l’anima che hanno perso, attraverso una profonda rimeditazione delle pratiche di formazione dell’elaborazione politica perseguite negli ultimi decenni, la loro dissoluzione avrà dato ragione a chi oggi ne preconizza la fine. Quella dissoluzione, tuttavia, si porterà via con sé un’idea di democrazia alla quale, forse, non siamo disposti a cuor leggero a rinunciare. 42 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 ORGANIZZARE L’IMMAGINAZIONE SOCIALE ENRICO GUGLIELMINETTI, Docente di Filosofia Teoretica, Università di Torino Vorrei proporre innanzitutto, sul piano dell’essenza, una definizione dei due termini che compongono l’espressione “forma partito”. 1. “Forma”. Va inteso nel senso che la politica, e i partiti in particolare, danno la forma alla società civile. Ma forma, in linguaggio filosofico, si dice eidos, con parola greca. E “eidos”, da Platone in poi, si traduce sia con forma sia con idea. Affermare che i partiti danno la forma alla società civile significa dunque che i partiti immettono da fuori un’idea-guida nel corpo della società. Per questo si parla di “classi dirigenti”. Le classi dirigenti non sono classi seguenti, proprio perché non si accodano all’economia, non seguono pedissequamente le istanze che provengono dalla società, ma – ascoltandole e raccogliendole – le mettono in forma, danno loro cioè una configurazione, proponendo al Paese un’idea di che cosa il Paese dovrebbe essere, un’idea cioè della direzione da prendere. I partiti si distinguono quindi sulla base delle loro idee, presentano un’offerta politica differenziata, e chiedono agli elettori di selezionare e premiare l’idea più convincente. 2. “Partito”. È una parola che viene da “parte”. Ma la parola “parte” va intesa in due modi. i) “parte” del corpo sociale: un partito, anche il più generalista, rappresenta sempre in via eminente gli interessi di una quota di elettorato (nel caso del PD: gli interessi di chi fa fatica, sia esso operaio, pensionato, precario, negoziante, piccolo imprenditore…); ii) “parte” nel senso che la politica e i partiti costituiscono quella parte del complesso della società che è la parte dell’anima. Se la società è il corpo, i partiti sono (cioè dovrebbero essere) l’anima di questo corpo. “Anima” sia nel senso di intelligenza, che come abbiamo detto immette nel corpo da fuori le idee; sia nel senso di sentimento ed emozione, perché la politica ha bisogno anche di passioni, così come di immagini e simboli (soprattutto oggi, quando il potere delle idee deve essere accompagnato da quello delle immagini, per risultare convincente). L’idea che il partito immetta da fuori idee nel corpo della società, che il partito sia cioè innanzitutto una sorta di intellettuale collettivo, come ha ricordato recentemente Fabrizio Barca, pur venendo dalla tradizione marxista, ha qualcosa di vero, anzi di irrinunciabile, anche per un partito non marxista. Occorre però che ad essa vengano apportati alcuni correttivi, per rendere questa idea di nuovo utilizzabile per noi oggi: a. La società civile, in cui il partito immette la sua idea, non è un corpo informe, che abbia bisogno delle stecche del busto di gramsciana memoria per tenerlo su. La società (nei suoi diversi sotto-sistemi: economia, diritto, cultura, religione… e con i suoi corpi intermedi di natura 43 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 apolitica) è un sistema autopoietico, che cioè si auto-organizza e si dà la forma da solo. La forma che la politica immette è dunque una forma delle forme, che raccoglie, umilmente ascolta e coordina le forme già disponibili nel campo della società. b. L’idea che il partito immette non è la Verità (come era nella tradizione bolscevica), innanzitutto perché i partiti stanno tra loro in un regime di competizione democratica e plurale. Non della Verità si tratta, ma di proposte. Le idee politiche sono cioè interpretazioni, rischiose per chi le avanza e soggette al giudizio degli elettori, circa la piega che la società dovrebbe prendere. Dire che un’idea politica è un’interpretazione significa dire che essa non tanto determina la società, ma la riflette (nel senso kantiano della parola: si pensi al giudizio riflettente della Critica del Giudizio), cioè ne raccoglie e ascolta tutte le voci, e prova a fonderle in un progetto di senso complessivo. Ma – si chiederà – qual è la nostra idea? Qual è l’identità – finora in vero né cercata né trovata, e tuttavia reale ed esistente – della forma politica PD? Ne esiste una formulazione semplice ed efficace? Secondo me sì, ed è questa: i. Il PD (cioè il rappresentante italiano della sinistra europea) immette nel corpo sociale la forma dell’aggiunta. Traduzione: è la forza che si propone di creare spazi addizionali ovunque le persone (ma anche le imprese, ecc.) vivano con l’acqua alla gola, in condizioni di ristrettezze morali e materiali, e non vedano spazi di vita davanti a sé. ii. Per creare più-spazio, il PD persegue politiche creative dell’invenzione. Occorre cioè organizzare politicamente l’immaginazione sociale. È da questa che, in tempo di crisi, vengono le proposte più innovative (p. es. è stato aperto un supermercato dove chi non ha soldi può fare la spesa gratis in cambio di ore di lavoro). Il PD deve raccogliere tutti i casi di invenzione siffatti (prima di essere buone pratiche, sono invenzioni), e organizzare una politica che agevoli il cambiamento della società. Quello che la società inventa ha peso 1, ma – se la politica lo riprende (lo riflette, dicevamo prima) e lo organizza – può avere peso 1000. iii. È nell’essenza della politica creare spazio, la politica è ciò che fa spazio. È di destra creare spazio aggressivamente; è di sinistra creare spazio tramite politiche dell’aggiunta. 44 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 OPEN PD, PER COSTRUIRE UN PARTITO APERTO STEFANO LEPRI, Parlamentare PD Per rilanciare il PD non serve altro che tutelare e perseguire la sua vocazione originale: quella di essere un partito aperto e partecipato. Anzitutto, mantenendo la sua più significativa innovazione, quella delle primarie per l’elezione dei leader di governo, ai diversi livelli, e per il segretario nazionale e regionale. Primarie aperte anche ai non iscritti e pertanto capaci di interessare chi è deluso dalle altre offerte politiche; chi - anche solo al secondo turno - può essere attratto dalla leadership di un candidato o da un partito a vocazione maggioritaria. Per far vincere il PD credo serva anche prevedere sistemi elettorali dove i candidati sono visibili e scelti: meglio con le preferenze, ma anche con i collegi uninominali. Noi abbiamo mediamente un classe dirigente radicata e una militanza capace di mobilitarsi intorno alle candidature, cosa difficilmente riscontrabile nei partiti aziendali o a vocazione populista. Non è un caso che il PD, anche quest’anno, sia andato molto meglio alle elezioni regionali e a quelle amministrative, dove il peso delle preferenze si è fatto sentire. Peraltro, il PD non deve ridursi a luogo in cui ci si mobilita solo per votare (alle primarie o alle elezioni), pena il rischio di diventare un grande contenitore di comitati elettorali. Ci vuole anche il nerbo dell’organizzazione quotidiana, del radicamento territoriale. Andiamo oltre, dunque, la stupida alternativa tra partito solido e partito liquido: ci vuole, al contempo, appartenenza e riferimento. La partecipazione occasionale può avvenire in ambiti prepolitici. Ad esempio i meet up altro non sono che una riedizione dei vecchi comitati di quartiere: ci si ritrova a casa dell’uno o dell’altro, o al bar, pro o contro un’opera, un fatto, un’idea. Raggiunto o mancato l’obiettivo, ci si scioglie, o restano legami. I partiti dovrebbero guardare con rispetto e distanza tali esperienze, ma debbono anche mettersi in ascolto, interpretarne le istanze e, se del caso, perseguirle. Altro modo per favorire una nuova partecipazione occasionale, di riferimento, è il coinvolgimento on line di chi ha dichiarato attenzione al partito, a cominciare da chi è venuto alle primarie: si dovrebbero coinvolgere (senza troppa insistenza e frequenza) in sondaggi, richiesta di suggerimenti, ecc. Dentro il partito possono organizzarsi componenti che si ritrovano intorno a specifiche idee e a un leader. Nel PD esse vanno riconosciute senza demonizzarle, evitando peraltro che prevarichino rispetto all’esigenza di sintesi e di unità. Certamente possono servire, se non degenerano, a favorire una partecipazione più intima, face to face, specie in partiti grandi come il nostro; a creare ponti per passare dal prepolitico, dall’associazionismo alla vita di partito. Infine, l’articolazione del PD. I circoli sono importanti, ma vanno svecchiati nel modo di lavorare e nell’immagine. Le icone di un tempo servono a rassicurare chi ha vissuto la storia, non a motivare chi ce l’ha davanti. I circoli (servono anche quelli tematici, non solo quelli territoriali!) 45 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 sono i luoghi fondamentali per il coinvolgimento di nuovi militanti: molto dipende dalla capacità dei dirigenti di essere accoglienti e di valorizzare chi si avvicina e vuole darsi da fare. Più in generale, nel circolo e negli organi di partito, così come in ogni organizzazione, valgono alcune abilità e modi d’essere largamente conosciuti per avere successo nel lungo periodo e valorizzare le persone: ti faccio entrare; ti faccio parlare; ti ascolto; ti assegno ruoli precisi; chiedo conto dei tuoi risultati, ti valorizzo se meriti, non se brilli per servilismo o tatticismo. E, infine, ti faccio posto, dando fiducia ai migliori. Infine, vale sempre, in ogni luogo, lo spirito con cui si lavora e si conduce la vita di partito. Se vincono la prevaricazione, il calcolo di breve periodo, il gregarismo, avremo il fiato corto. Se prevalgono pratiche di fraternità, andremo lontano. 46 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 L'INDISSOLUBILITÀ DEL NESSO INDIVIDUALISMO-CRISI DELLA POLITICA ILENIA MASSA PINTO, Professore associato di Diritto Costituzionale, Università di Torino 1. L’essenza La “Forma Partito” non esiste nella “natura delle cose”: è un mezzo inventato in un preciso momento storico per rispondere a una precisa esigenza concreta. Anche se si è tentato di impiegare la relativa formula con riferimento a esperienze precedenti, la “Forma Partito”, come organizzazione di massa, non può risalire oltre la seconda metà dell’Ottocento. Il primo tipo di partito dell’Europa continentale è stata una invenzione della classe operaia: è nota la ragione per la quale questa, nel momento in cui arrivava a una forza e a una unità sufficienti per consentirle di partecipare alla lotta politica, in quanto classe, doveva costruire questa forma di organizzazione; ed è altrettanto noto perché, di conseguenza, solo la classe operaia avrebbe potuto inventare una tale forma di organizzazione. Il partito è dunque storicamente la condizione di esistenza della classe operaia (come forza soggettivamente consapevole di sé). Da questa essenza derivano i suoi tratti: adesione individuale; rigorosa e formalizzata distinzione tra iscritti e simpatizzanti; forte disciplina di partito; esistenza di un apparato di direzione professionale, stabile nel tempo e addestrato; dualità tra partiti come associazioni autonome della società civile, da un lato, che elaborano visioni del mondo, presupposti culturali, e organi costituzionali dello stato, dall’altro. Questa è la “Forma Partito”: né bene né male. Maquesto: l’unico modo che una massa indistinta di individui – socialmente, culturalmente, economicamente deboli – ha per poter esistere e partecipare al conflitto politico. Una volta che la classe operaia inventa una tale forma di organizzazione, gli altri gruppi sociali sono costretti ad adattarsi, creando organizzazioni simili. I loro obiettivi sono però diversi: ne deriva che i caratteri delle loro organizzazioni non sono i medesimi. I partiti politici presenti sin dall’inizio negli Stati Uniti – dove la classe operaia non ha mai superato la fase sindacale di organizzazione – sono un’esemplificazione di queste diverse organizzazioni. I partiti americani – meri partiti elettorali – non sono ciò che il partito operaio europeo continentale – partito d’indirizzo o di lotta – aspirava a essere: il portatore di un nuovo interesse generale, che aveva un progetto, certo in quanto partito operaio, ma per l’intera società. Nell’ultimo ventennio i partiti politici europeo continentali, nati come partiti di lotta o di indirizzo, hanno di fatto rovesciato i loro obiettivi iniziali e si stanno progressivamente avvicinando alle caratteristiche dei partiti americani. E con questo vengo al secondo punto. 47 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 2. La realtà Gli anni in cui esplode la crisi dei partiti in Italia – 1992/1994 – sono gli anni in cui si manifesta un dato culturale essenziale: si mettono in discussione le regole sulle forme della lotta politica e dunque sulla forma della democrazia (da democrazia organizzata, fondata sulla mediazione dei partiti, a democrazia individualistica, fondata sul rapporto immediato tra singoli e rappresentanti): è questo passaggio culturale – giunto a maturazione in quegli anni, ma inseminato già nella strategia della c.d. “grande riforma” – che segna ufficialmente l’inizio della crisi, più che il terremoto che investì i partiti tradizionali a seguito delle inchieste giudiziarie e la falcidia elettorale che quasi tutti subirono in quegli anni. Questo passaggio culturale ha comportato non soltanto il ripudio del parlamentarismo come forma di governo fondata sulla mediazione dei partiti, ma altresì il ripudio della democrazia rappresentativa, almeno intendendo quest’ultima come strettamente legata allo stato dei partiti. Personalizzazione e direttismo sono i termini che hanno caratterizzato questa fase che ha rivalutato la risorsa carismatica. Questo dato culturale essenziale si proietta sulle caratteristiche della nuova forma che i partiti sono venuti assumendo. Il dato più importante, dal punto di vista politico-costituzionale, è la perdita di dualità tra Governo e partiti di maggioranza (per cui si registra l’assorbimento sostanziale e totale della funzione di direzione politica nei vertici del Governo) e la parallela perdita di dualità tra opposizione parlamentare e partiti di opposizione (per cui si registra il simmetrico assorbimento sostanziale e totale della funzione di opposizione politica nei vertici dei gruppi parlamentari). Questa perdita di dualità deriva, a sua volta, dal venir meno della consistenza sociale autonoma dei partiti stessi. La nuova organizzazione è perfettamente funzionale allo scopo, che non è quello di organizzare, educare e unificare per la lotta comune milioni di individui, ma quello di conciliare, mediare, integrare diversi gruppi di interesse, cosicché il partito è come una camera di compensazione, nella quale i diversi rappresentanti di tali gruppi si accordano volta a volta sul modo migliore di conciliare gli interessi ammessi alla contrattazione. A questo tipo di partito, del resto, non interessano gli iscritti, ma interessano gli elettori, per questo la disciplina sarebbe un grave ostacolo, perché renderebbe più difficile il raggiungimento, attraverso il confronto, di un compromesso accettato dai gruppi ammessi. I partiti elettorali sono partiti che cercano la loro ragion d’essere nell’esercizio del potere istituzionale, anziché nella loro autonomia sostanziale. 3. La proposta Sarebbe necessario approfondire le ragioni che hanno determinato questa trasformazione della forma partito. Mi limito a un’osservazione: quando si parla di crisi politica si pensa subito alla crisi dei partiti, mentre la crisi è più profonda. In una battuta: se il partito politico è lo strumento dell’agire politico, ad essere in crisi è, prima ancora del partito, l’agire politico medesimo. Individualismo e perversione del legame sociale sono le parole chiave per sintetizzare i noti contesti nei quali ci troviamo a vivere: la società postfordista e postmaterialista non è certo 48 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 incline a comportamenti solidali di ampio respiro. Il principio di autodeterminazione e la retorica dilagante dei diritti individuali – specie dei diritti civili – sbandierati anche da partiti sedicenti di sinistra devono essere considerati un tarlo della partecipazione politica. Theda Skocpol ha sottolineato come, se è giusto attribuire «virtually all healthy developments in contemporary U. S. democracy to the Civil Rights struggles of the 1960s, which were followed by feminist agitations and a variety of other movements for minority rights and public interest causes», perché certamente «such movements expressed important democratic aspirations, broke down old barriers to full participation, and put new issues on the public agenda», tuttavia «the social movements of the 1960s and 1970s also inadvertently helped to trigger a reorganization of national civic life, in which professionally managed associations and institutions proliferated while cross-class membership associations lost ground». E la conclusione non poteva che essere nel senso che «in our time, civicly engaged Americans are organizing more but joining less. Solidarity across class lines has dwindled, even as racial and gender integration has increased. The professionally managed organizations that dominate American civic life today are, in important respects, less democratic and participatory than the pre-1960s membership federations they displaced» (T. Skocpol. Diminished democracy, University of Oklahoma Press, 2003, p. 13). Oggi ricorrono quelle stesse condizioni di fatto che avevano motivato l’invenzione del partito di lotta o di indirizzo? Mutatis mutandis, si stanno ripresentando, sebbene sotto altre sembianze, le medesime condizioni di fatto che avevano mosso l’organizzazione della forma partito di cui si è detto. È forse possibile sostenere che ci sono condizioni in parte analoghe a quelle vissute dalla classe operaia alla fine dell’Ottocento, e che si pongono storicamente obiettivi comparabili con quelli da essa perseguiti: è il momento drammatico che la cultura occidentale europea sta vivendo che potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso che promuova quel conflitto che impone di essere gestito attraverso le procedure e che non può fare a meno dei partiti di indirizzo. Sono le grandi lotte, anche a livello planetario, sono i conflitti micidiali, le sfide lanciate dalle forti diseguaglianze, dove i singoli, in quanto tali, sono sperduti, mai sufficientemente preparati e istruiti, a poter richiedere di tornare alla forma originaria di partito. Anzi, le condizioni sono oggi ancora più congeniali, poiché la massa dei deboli, dei singoli dispersi, è variegata, mentre alla fine dell’Ottocento, in fondo, era già in parte unificata e disciplinata dalle grandi fabbriche. Nell’attesa che i conflitti mettano in moto processi virtuosi ciò che si può fare: non alimentare la retorica dei diritti individuali (perché la rappresentanza politica non è solo la somma registrata delle preferenze dei cittadini, ma è la indicazione di un dover essere della società “resa presente” davanti ai cittadini dai soggetti politici organizzati. Se si toglie quest’aspetto della mediazione politica resta solo la lotta tra i branchi); rendere esplicito il conflitto e non camuffarlo dietro la pretesa vigenza di ineluttabili leggi economiche che prescriverebbero determinate scelte: per esempio elaborando progetti, visioni del mondo, su temi in cui il conflitto è latente: il lavoro, in primis. 49 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 PD E CLASSE DIRIGENTE, ORA PREVALGA LA "QUALITÀ” GIORGIO MERLO, Dirigente PD Piemonte Partiti, democrazia interna ai partiti e selezione della classe dirigente. Sono 3 temi fortemente intrecciati tra di loro che qualificano, come sempre, la stessa conservazione della democrazia nel nostro paese. Del resto, una democrazia è solida e credibile se si regge su questi 3 capisaldi che denotano, al di là di tante chiacchiere, la "qualità della nostra democrazia . Innanzitutto i partiti. Chi le contesta, chi li contrasta, chi li vuole annullare, chi li vuole cancellare semplicemente persegue un disegno di destra e di restaurazione. E questo non solo perché i partiti sono costituzionalmente previsti ma per la semplice ragione che senza i partiti il potere è appaltato nelle mani di poche persone che possono disporre della fiducia anche di milioni di persone. Gli esempi non mancano, ieri come oggi. Certo, i partiti sono progressivamente degenerati negli ultimi anni e sono andati in crisi in virtù di una autoferenzialità che li ha chiusi in una dimensione sganciata dai movimenti che attraversano la società. Ma i partiti, comunque sia, restano lo "strumento democratico essenziale capace di trasformare i ceti popolari da classe subalterna a ceto dirigente nel nostro paese" come recitava con efficacia e precisione negli anni '80 Carlo Donat-Cattin. E quella, almeno secondo la mia opinione, resta un monito insostituibile per qualsiasi democratico. In secondo luogo la democrazia interna ai partiti. Questa era e resta la vera anomalia politica nel nostro paese. I partiti "personali" o i partiti a sfondo "proprietario" si moltiplicano, tanto a destra quanto a sinistra. Il caso più clamoroso è il movimento di Grillo dove, accanto al rinnegamento della democrazia rappresentativa a vantaggio del web, persiste una inquietante degenerazione della stessa prassi democratica. Una degenerazione che azzera il dissenso interno, cancella il confronto aperto e democratico e, soprattutto, crea l'adulazione e la cortigianeria . L'esatto contrario di tutto ciò che qualifica un vero partito democratico. Sotto questo aspetto il PD potenzialmente presenta le carte migliori per tradurre concretamente l'ideale democratico nella quotidiana attività' di partito. Ma questo è un obiettivo che si può perseguire solo se viene riconosciuta sino in fondo quella "pluralità" culturale ed ideale che resta la cifra distintiva che qualifica la stessa originalità politica del Partito democratico. Pluralità non vuol dire correntismo esasperato ma dare cittadinanza politica a tutte quelle correnti di pensiero che hanno contribuito a costruire il PD. Altroché il "pensiero unico" desiderato da qualcuno o, in nome di un maldestro e pericoloso nuovismo, la cancellazione di tutte le articolazioni ideali. Democrazia interna retta ovviamente anche da regole ma, soprattutto, ispirata ad una concezione che individua nel pluralismo e nel libero confronto gli aspetti caratterizzanti ed irrinunciabili. Infine la selezione della classe dirigente. Ora, al i là di chi nel PD ha trasformato le primarie in un dogma infallibile ed intoccabile, è ovvio che una classe dirigente È credibile nella misura in cui riceve la sua legittimità direttamente dal corpo elettorale. Certo, molto se non tutto dipende dai vari sistemi elettorali. Ma è indubbio che non possono essere le primarie farlocche di Natale e Capodanno del PD, o qualche decina di click del movimento di Grillo o la designazione centralistica di tutti gli altri partito i sistemi più congeniali per selezionare la classe dirigente. 50 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Questi sono metodi che offendono la democrazia e riducono la politica a puro scambio. La selezione della classe dirigente deve ritornare ad essere un elemento decisivo e centrale per ogni partito democratico. E un partito popolare, democratico, interclassista e di massa come il PD su questo tema deve essere inflessibile. Nessuno sconto ai falsi nuovismi e nessuna concessione ad una maldestra modernità. La classe dirigente ridiventa credibile solo se ricava la sua legittimità direttamente dal corpo elettorale. O attraverso la preferenza o con il ritorno al collegio uninominale Tutto il resto è solo propaganda, demagogia e populismo. 51 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 NECESSITÀ DEI PARTITI E DOMANDA DI CAMBIAMENTO DELLA POLITICA GIANFRANCO MORGANDO, Segretario PD Piemonte Si tratta di appunti necessariamente schematici, che dividerei così: 1) Necessità dei partiti? Il punto interrogativo è ampiamente giustificato dall’emergere di un ampio dibattito sulla politica e sulla democrazia senza i partiti. Si parte dalla riscoperta e dalla ripubblicazione di classici contributi sull’argomento: Adriano Olivetti, “Democrazia senza i partiti”; Simone Weil, “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”. Sulla linea della messa in discussione dell’esperienza dei partiti così come l’abbiamo conosciuta ho l’impressione che la letteratura stia diventando sterminata. Cito per tutti la recente lettura di Marco Revelli, “Finale di partito”. Il tema è reso di particolare attualità dai risultati delle ultime tornate elettorali, che hanno visto crescere a dismisura il fenomeno dell’astensionismo. Nelle recenti elezioni amministrative ha raggiunto punte significativamente superiori al 50%. Il rifiuto della politica che determina questi dati è soprattutto il rifiuto della politica dei partiti. Di fronte a questa constatazione abbiamo tutti assecondato il clima di opinione prevalente, rinunciando ad una battaglia culturale sulla concezione della democrazia e sul ruolo fondamentale dei partiti. “La democrazia senza i partiti non esiste”, è stato detto nel nostro seminario. Non basta però l’enunciazione, ma occorre una iniziativa. Approfondire le differenze tra democrazia diretta (con i connessi rischi plebiscitari) e democrazia della rappresentanza. Evidenziare il legame tra la democrazia della rappresentanza e la concezione di una società che riconosce i corpi intermedi come elemento fondamentale della struttura sociale. Costruire una nuova idea della rappresentanza, che non si esaurisce nel momento elettorale, ma dà vita ad un processo politico capace di costruire un canale continuo di comunicazione con gli elettori. 2) I partiti sono necessari. Per fare che cosa? Secondo il “Dizionario di politica” di Bobbio, Matteucci e Pasquino, essi devono in primo luogo “trasmettere la domanda politica”, cioè “svolgere tutte quelle attività che hanno lo scopo di far sì che a livello decisionale vengano presi in considerazione i bisogni e le necessità della popolazione”. In secondo luogo i partiti devono essere strumenti della “partecipazione delle masse al processo di formazione delle decisioni politiche”, cioè che “atti come l’organizzazione delle elezioni, la nomina del personale politico, la selezione dei programmi” siano il frutto di una larga partecipazione e di una decisione democratica. Queste due funzioni dei partiti sono state elaborate dalla teoria politica classica, e mantengono del tutto inalterata la loro attualità. I partiti politici di oggi tuttavia realizzano soltanto in minima parte questi obiettivi. Sono diventati partiti oligarchici, personalistici e centralistici. Anche il PD, che pure si presenta come l’unico soggetto politico democratico e contendibile, non è immune da questi difetti. La letteratura sulla crisi del PD sta diventando assai imponente. Tra le tante ragioni di questa crisi vorrei richiamare 52 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 la sua “autoreferenzialità”. Non trovo un termine più adatto per indicare la difficoltà del PD a rappresentare l’articolazione sociale nella sua complessità e nella sua continua trasformazione. Rappresentiamo ceti sociali in calo e abbiamo difficoltà ad essere in sintonia con gli orientamenti che si formano nella pubblica opinione. 3) La domanda di cambiamento che sale dalla base del PD esprime in modo confuso la necessità di correggere gli errori che ho elencato. La confusione talvolta è tale che la risposta viene individuata in un aggravamento del male. Penso agli eccessi di personalizzazione che circonda il fenomeno di Renzi, o all’esasperazione correntizia che affida a pochi capi riuniti in “caminetti” le decisioni più importanti. Se dovessi proporre un obiettivo sintetico per indicare una prospettiva nuova, direi che dobbiamo lavorare per un “partito aperto”, caratterizzato essenzialmente per la capacità di relazione con la ricchezza della società. 4) Provo ad individuare alcune possibili strade per realizzare questo obiettivo. A) occorre rafforzare la dimensione associativa del partito. Non è semplice in un tempo di “fuga dall’appartenenza” come quello attuale. Forse si tratta di rinunciare all’idea di un tradizionale partito di massa, a favore di un “partito dei legami”, che connette soggetti singoli e associati. Farei una riflessione sull’ipotesi di un modello di “associazione di associazioni”. B) Occorre inventare modalità di partecipazione più adatte alle nuove sensibilità. Se è in calo la disponibilità alla partecipazione “forte”, in linea con una minor pervasività della politica, non è venuto meno l’interesse per una partecipazione più “debole”, basata su rapporti saltuari, sul coinvolgimento per singoli problemi. Sarebbe opportuno individuare strumenti organizzativi adatti per raggiungere questo obiettivo. C) Occorre affrontare seriamente il problema del rapporto centro/periferia, su cui si sono fatti molti passi indietro. Le modalità con cui si realizza questo rapporto è prevalentemente costituito oggi dalle filiere di corrente. Ritorno al modello di partito federato ? D) Occorre una riflessione specifica sull’esperienza dei circoli. 5) Nessuna risposta organizzativa potrà tuttavia risolvere il problema principale del PD, che è quello di costruire una sua visione generale, una sua “concezione del mondo”. Giustamente nel nostro seminario è stato sottolineato che le elezioni si vincono con idee generali, potremmo dire con dei “sogni di futuro”. Non credo si tratti di elaborare un proprio sistema di pensiero, quanto di essere permeabili al dibattito che anima le culture del paese, molto ricco ed alla ricerca di interlocutori. 53 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 IL PARTITO DEMOCRATICO ED IL COINVOLGIMENTO DELLE SUE ELETTRICI E DEI SUOI ELETTORI FOSCA NOMIS, Consigliera Comunale di Torino Lo Statuto del Partito Democratico, approvato dall’Assemblea nazionale del 21 – 22 maggio 2010, che possiamo considerare parte della sua essenza, prevede che le elettrici e gli elettori siano soggetti fondamentali della vita democratica del Partito e individua alcune norme generali riguardanti diritti e doveri degli elettori del PD, che possono essere esercitati a seguito dell’iscrizione a un albo. Il Partito Democratico nasce quindi come un partito di iscritti/e che vuole coinvolgere elettrici ed elettori, pensando che possano essere una risorsa importante, e che possano essere gli iscritti di domani. Per dare una risposta alla richiesta di nuove modalità di partecipazione che favoriscano lo sviluppo di una cultura politica che incoraggi i cittadini a prendere parte attiva alla vita della loro comunità, è sufficiente dare piena attuazione allo Statuto del Partito Democratico e ritrovare quell’intuizione originale di apertura che ha segnato la nascita di questo nuovo soggetto politico. Il coinvolgimento risponde anche alla necessità di aprire le strutture tradizionali di consenso, quali i partiti, individuando regole chiare e condivise, che siano la cornice all’interno della quale può avvenire un dialogo propositivo e costruttivo. Questo coinvolgimento è possibile solo se esiste un partito, una struttura che possa accogliere proposte e istanze, rielaborarle e farle diventare parte della propria proposta politica. Nella realtà molte sono le iniziative a livello locale che vedono già un coinvolgimento “misto” di iscritti ed elettori, che interpretano la volontà dello Statuto del PD e, più semplicemente, una volontà di tante persone che si riconoscono nei valori del centrosinistra, di esserci, di essere ascoltati, di dare un contributo positivo in un momento di difficoltà del sistema politico e democratico del nostro Paese. Ci sono più di quattrocento persone che hanno firmato un appello per l’istituzione dell’albo delle elettrici e degli elettori in Piemonte, che rappresenta peraltro un’opportunità di far partecipare coloro che vivono e lavorano in Italia ma non hanno (ancora) cittadinanza e quindi diritto di voto, ma che possono e vogliono fare politica in questo Paese. È in corso una riflessione anche in altri partiti del centrosinistra europeo sulle modalità di coinvolgimento dei propri simpatizzanti, poiché le derive populiste, la percentuale di afflusso alle urne in costante diminuzione e la riduzione del numero di iscritti ai partiti, sono un minimo comun denominatore sul quale sarebbe opportuna un riflessione comune. Le modalità tradizionali di partecipazione alla vita politica non bastano più, si rende necessaria una maggiore articolazione che risponda alla complessità della società contemporanea, e che trovi un bilanciamento fra la valorizzazione del singolo e delle sue capacità, e l’appartenenza ad una comunità, nella quale sentirsi accolti e della quale sentirsi parte. La proposta è di creare l’Albo delle elettrici e degli elettori, contenente i dati che hanno fornito coloro che hanno espresso il proprio consenso a registrarvisi. Si possono iscrivere tutti coloro che 54 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 votano, chi ha un permesso di soggiorno e chi ha compiuto 16 anni. La condizione di pubblicità dei dati, cosi raccolti ed elaborati dovrebbe essere strutturata nel rispetto della privacy1. Referente per la gestione dei dati dell’Albo degli elettori è il livello regionale, che ne coordina la raccolta, la sistematizzazione e che definisce una strategia e un piano generale di dialogo e comunicazione con elettori ed elettrici. Potranno essere messi a disposizione del livello provinciale e dei circoli i dati dei registrati all’Albo di quel territorio, garantendo che la gestione delle anagrafiche avvenga nella tutela della privacy 2. Elemento chiave che dà significato al lavoro di strutturazione di un Albo di elettrici ed elettori, è la volontà poi di dialogare con loro e di coinvolgerli, definendo un piano di comunicazione che includa strumenti diversi, formali e informali, analogici e digitali, che abbia un orizzonte temporale di medio lungo periodo, che tenga conto delle caratteristiche di gruppi di persone anche molto diverse fra loro. Lo Statuto prevede il coinvolgimento di elettrici ed elettori nella vita politica del partito sia attraverso l’elezione delle più importanti cariche interne (primarie per il Segretario Nazionale e Regionale) e la scelta delle candidature per le principali cariche istituzionali (primarie dei Sindaci, dei Presidenti di Provincia, di Regione e dei Parlamentari), che attraverso la scrittura condivisa delle linee programmatiche e contribuendo ai forum tematici, nonché con la partecipazione alle attività dei circoli territoriali, d’ambiente e on-line, e ai forum tematici. Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata all’utilizzo di piattaforme che consentono modalità di partecipazioni più agili ma non per questo da trascurare. Le tecnologie e i social media rappresentano inoltre un linguaggio che è familiare a tanti che il linguaggio tradizionale della politica non riesce ad intercettare, soprattutto i giovani e le generazioni di nativi digitali. Infine la formazione politica e culturale che può offrire un partito strutturato è uno dei valori da mettere a disposizione di elettrici ed elettori. 1 Con le primarie della Colazione Italia Bene Comune è stata già prevista la privacy dei dati di chi si registrava all’Albo degli elettori per votare alle primarie, si tratterebbe quindi di seguire questa pratica. 2 E’ necessario definire, come previsto dal d.lgs. n. 196/2003, un Documento Programmatico sulla Sicurezza dei dati. 55 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 CRISI DELLA MEDIAZIONE POLITICA UGO PERONE, Docente di Filosofia della Religione, Humboldt-Universität di Berlino La realtà: crisi dell’appartenenza sostituita dalla semplice adesione La situazione di fronte a cui si trovano oggi i partiti è considerevolmente mutata. Il tramonto delle visioni del mondo mette in crisi i fenomeni di appartenenza e dà luogo ad adesioni fluide e temporanee, orientate non tanto su un modello di cittadinanza, quanto su rapporti più occasionali come quello tra utenti, fruitori, clienti e agenzia fornitrice di servizi. Due dei raggruppamenti maggiori (PDL, M5S) evidenziano, pur nell’opposizione, un tratto comune di questo tipo. Per il PDL l’elettore è colui che si è lasciato convincere della bontà del prodotto politico e/o ne ha riscontrato il vantaggio per lui (non vi è adesione ideologica, se non nella forma negativa di rifiuto del “comunismo); per il M5S l’elettore instaura un rapporto individuale e diretto con il movimento e con il suo leader e ne diventa fruitore (in questo caso del generico prodotto “politica”), nel momento in cui riconosce in quel movimento un modello di partecipazione, che, nella forma dell’immediatezza dell’espressione di un orientamento (complice la rete), si traduce, senza mediazioni ideologiche né appartenenze, in volontà politica. Il primo è il cliente individuale di un prodotto politico, il secondo accede individualmente all’universale della politica, dopo averne respinto le forme tradizionali. In entrambi, forte è il rifiuto/disagio per la mediazione. Ciò corrisponde del resto a un’organizzazione liquida della società (di cui tutti più o meno siamo partecipi) che ha avuto per effetto il generarsi di un perpetuo stato di eccezione come condizione normale del vivere (e sul piano del lavoro la precarietà ne è l’espressione). I mezzi di comunicazione, destituiti anch’essi di appartenenze ideologiche, praticano un continuo rilancio dell’informazione, che mira in modo indifferenziato all’incremento delle vendite e del proprio potere (il quarto potere, anch’esso autoreferenziale). Ma così il futuro si colora sempre maggiormente di improbabili tratti apocalittici. Ciò che manca è la normalità, il giorno dopo giorno che corregge però le storture, che allarga le attese. Quando viene presentata assume i caratteri grigi del funzionariato e quelli minacciosi della casta. Politiche in luogo di politica A questa realtà – della nostra società e dei partiti – fa riscontro, sopratutto sul terreno locale, la diffusa esperienza, sovente ascrivibile a governi vicini al PD, di una buona pratica amministrativa. Ma questa non ha forza di messaggio e, come giustamente è stato detto, le elezioni si vincono anzitutto sulle idee. Se è vero che le idee sono necessarie, non si deve tuttavia dimenticare il fatto che, in prospettiva medio lunga, occorre anche che esse, in quanto idee politiche, sappiano tradursi in decisioni coerenti. Ciò che manca nel modo più vistoso è la mediazione tra orizzonte delle idee (che nel PD attuale restano indistinte) e pratiche politiche (talora buone ed esistenti, ma incapaci di eccedere la buona amministrazione). Insomma esistono bensì politiche, anche in grado di ricevere un discreto apprezzamento, ma stentano a costruire 56 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 orizzonti complessivi di impegno. Del resto, proprio in riferimento al PD, la forbice tra buoni risultati sul piano amministrativo locale e mediocri risultati sul terreno nazionale ne fornisce in qualche modo conferma. Verrebbe da dire che ciò che sperimentiamo è la morte della politica, come capacità di operare mediazioni in vista di un progetto. Con lei sono condannati i partiti, a cui è peraltro da attribuirsi una diretta responsabilità per questi esiti. Più di chiunque altro ne soffre l’unico partito tradizionale esistente (il PD). Il punto è che della dimensione tradizionale, dopo aver sperperato il tesoro ideale dell’Ulivo, a questo partito rischia di non restare altro che l’apparato e le pratiche spartitorie. Qualche proposta Credo che i partiti si riproporranno come necessari, perché l’immediatezza non è praticabile come progetto politico su base nazionale ed è addirittura foriera di sviluppi pericolosi. Ma i partiti, proprio per rispettare la loro essenza, debbono riformarsi drasticamente. La politica deve ritornare a essere servizio a tempo e trovare perciò dei correttivi alla professionalizzazione di quello che, appunto, non è un mestiere ma un servizio. Due norme, interne a un partito, potrebbero servire: per chi voglia fare politica occorre anzitutto e preliminarmente avere un mestiere e una professionalità propri, da cui si viene e a cui si torna; occorre inoltre porre il vincolo dei due (in caso eccezionali, tre) mandati consecutivi (per quanto compiuti a livelli diversi). E infine è necessario andare oltre l’ormai consumato contenuto dell’incontro tra culture diverse (laica, socialista, cattolica) per elaborare un progetto non ideologico ma ideale di futuro possibile. In questo progetto il respiro internazionale e la dimensione europea dovrebbero avere un ruolo primario e rappresentare un orizzonte politico per cui vale la pena di lavorare, tornare a essere un sogno e non un vincolo. Gli italiani sono spesso migliori della loro politica, e questa riesce persino a essere migliore dei partiti che la esprimono. Si tratta di un mondo alla rovescia, di un cono che va capovolto, restituendo ai partiti il compito di un progetto, che si traduce poi, al meglio possibile nella situazione data, in una politica che crei le condizioni per cittadini migliori. 57 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 IL PARTITO COME DISPOSITIVO DI UNIVERSALIZZAZIONE LUCIANA REGINA, Docente a contratto di consulenza filosofica, Università di Torino Essenza L’esercizio fenomenologico che provo a fare è guardare la forma partito così come l’ho vista stagliarsi nel momento in cui mi sono avvicinata per la prima volta a una sua incarnazione, prendendo una tessera e varcando una soglia. Quando parliamo di guadagnare uno sguardo sull’essenza non stiamo parlando dello sguardo che si posa immediatamente sulla realtà e la spolpa dei suoi accidenti, facendone emergere un nucleo, ma di quello che ricostruisce l’incontro fra l’intenzionalità che il soggetto porta con sé e la realtà, incontro che è ospitato in un’essenza. Se ha senso cercare qualcosa come un’essenza è proprio perché l’essenza eccede e misura la realtà e anche l’intenzione, e spesso la realtà rispetto all’essenza si mostra come qualcosa di mediocre, caotico, miserabile; l’intenzione velleitaria. Nel nostro esempio, io non incontro il partito reale solo nel cono di luce di un soggettivo desiderio o punto di vista, ma nella luce prismatica di un’intenzionalità mediata con l’idea-essenza di ciò che il partito è-deve essere in quanto tale. E cioè in quanto non è un movimento, non è un’associazione di scopo, non è un’azienda, non è una famiglia, non è lo Stato, non è la circoscrizione ecc.. Anche altre mediazioni intervengono, mescolandosi una all’altra: quella con l’idea che è stata costruita socialmente, quella con la foggia concreta che i partiti hanno assunto, con quella di questo particolare partito, con le critiche che il partito ha ricevuto in quanto pare che assolva o non assolva ai suoi compiti, funzioni e valori. Guardando dunque dentro quella forma ospite, che ancora si rivela, trovo: Il partito come spazio che accoglie un impegno, una sfera d’azione in cui mettere a disposizione un fare, che sia un fare politico. Quando accade da adulti ci si aspetta di riversare in quella sfera d’azione un patrimonio, un bagaglio, anche di competenze ma non solo. Non ci si avvicina a quello spazio come a un luogo di scambio, dove si spende quello che si decide e si sceglie una merce, ma come a uno spazio di travaglio creativo, che trasformi quello che entra dalle diverse parti dell’ambiente in esiti qualificati, sempre in divenire. Il trattamento e la tipicità di quel luogo, in quanto ambito politico che non è l’intero del politico, è l’universalizzazione. In un senso filosofico e hegeliano in particolare. Trattare e attraversare le contraddizioni reali, trattare e prendersi carico dei particolari. 58 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Quello spazio accoglie e trasforma storie, esperienze, visioni, in modo che non restino giustapposte. In modo che diventino qualcosa di più e di diverso dalla loro somma. Se restano giustapposte quella forma viola il principio specifico della sua ospitalità. Realtà La distanza rispetto a quell’aspettativa si manifesta quando c’è appiattimento sull’esistente, attenzione alla conservazione di piccoli patrimoni di influenza, differenze che non si offrono in forma di posizioni mediabili e che non incontrano dispositivi della mediazione. Quando il partito, invece di proporre pratiche di universalizzazione, permette che vi si disputino conflitti non formativi e non trasformativi, semplici giochi o scontri di forze invece che confronti fra forme. Quando questo accade ciò che viene immesso nel partito, che è differenza qualitativa, si trasforma in differenza quantitativa, in peso, massa, velocità. Molto desiderio e pochi momenti per mettere le idee al lavoro e farne qualcosa, molti posti per le parole che esprimono punti di vista e opinioni, poca sollecitazione a fare la fatica di portare al concetto le opinioni, poca dialettica. Nella realtà ci sono, è cosa nota, sacrificio personale, buona volontà e talenti, intelligenze già e non ancora politiche. Ma anche spreco di molte di queste risorse, motivazioni e valori pregiati, organizzazione lacunosa e irriflessa, comunicazione assente, occasionale, interrotta. Uno statuto spesso disatteso, reti tanto auspicate e indispensabili quanto, per il momento, vacanti. Tante persone che vorrebbero avvicinarsi a questo partito per vivere qualcosa di diverso dal ruolo di spettatori di dibattiti televisivi, e che non lo fanno, o lo fanno una volta sola. E altre, dentro il partito, che hanno talmente paura del tritacarne del gioco di forze che preferiscono regole ferree e leaderismo, scelte di ripiego pur di evitare l’annientamento reciproco. Capita che si offrano alla scelta opzioni che, non essendo state esaminate alla luce di un’idea risultano non mediabili, semplici polarità, e talvolta nessuna di esse avrebbe titolo di figurare fra le opzioni di un partito democratico. Lo stesso uso che nel partito si fa a volte dell’aggettivo “politico” è oscurante ed escludente, invece che rischiarante e includente. Si brandisce per significare qualcosa di fatale, quello che non puoi capire a meno di essere stato allattato dentro un partito o una corrente, quello che non capendo non puoi maneggiare. Non sinonimo di bene comune, né di formazione alla volontà generale, ma semmai di sfuggente, paludoso, non argomentabile, non suscettibile di essere esposto all’esterno e al libero, ragionevole esame. Proposta La via lunga è mettere le mani, una per una, sulle distonie sopra descritte. In ogni punto dei processi che ci sono già, impiantare pratiche che portino i materiali presenti a un grado di maggiore universalità, pretendere che ogni bisogno, o tema, o interesse, che transiti per il partito venga aperto e salga. Non smascherato ma dischiuso per una maggiore inclusività dell’altro da sé. E che ogni decisione, poiché lascia sul terreno dei resti, si faccia carico di reimpastarli, quei resti, di reinvestirli. Una via breve, utopica (e non ripetibile) è mettere la forma partito, una tantum, a testa in giù, come una clessidra. Azzardando una specie di sillogismo: la logica vincente, quella di chi sta in alto in un partito non dialettico, è spregiudicatezza, semplificazione e determinazione a conquistare potere interno. Chi sta in basso, al confine con l’esterno, spesso protegge i tratti costitutivi e irrinunciabili della forma partito. 59 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 LA POLITICA TORNI A PARLARE IL LINGUAGGIO DEL FUTURO ALDO RESCHIGNA, Presidente Gruppo Regionale PD La discussione sulla forma partito si ripresenta sistematicamente nel calendario politico soprattutto come riflessione postuma a seguito di deludenti risultati elettorali per poi spegnersi inesorabilmente nei tempi successivi. Siamo di fronte ad una profonda contraddizione : abbiamo la certezza che i partiti sono in crisi ed altrettanta certezza sul fatto che tutte le forme alternative di partecipazione politica per lo meno a livello di rappresentanza nelle istituzioni entrano velocemente in sofferenza . Devo dire che la contrapposizione un po' semplicistica tra partito leggero e partito organizzato non sappia cogliere la complessità dei temi. Quali allora i problemi. La politica ed i partiti sono in crisi perché non sanno più parlare al futuro, sono cioè piegati pesantemente sul presente e conseguentemente la loro immagine diventa quella di soggetti che gestiscono il presente e quindi il potere . Più che la forma è la dimensione temporale della politica che la allontana dalla comunità. La politica ed i partiti sono in crisi anche perché la costruzione del futuro la si definisce in ambiti che non sono solo quelli nazionali ma sono almeno quelli europei . La politica ed i partiti sono in crisi perché appaiono sempre più non nella dimensione della comunità ma nella dimensione della individualità: il partito diventa uno strumento . A tutte queste crisi non sfugge il PD che anche se appare l'unico partito non personale rischia di sopravvivere più per il residuo del passato dei partiti fondatori piuttosto per essere stato capace di aprire spazi e luoghi nuovi. Come tentare di affrontare queste crisi? Il progetto del PD ha riscosso grandi attenzioni al momento della sua nascita perchè si presentava come il tentativo di dare vita ad un grande partito riformista con un progetto che parlasse al futuro e capace di innovare fortemente il nostro paese e la nostra vita politica ; questa innovazione è andata sempre più affievolendosi perché il PD è rimasto troppo in mezzo al guado avendo paura di attraversarlo e avendo timore a non farlo. Il guado va attraversato : il progetto di un partito riformista e capace di tornare a dare una speranza di futuro al nostro paese va ripreso. Se la politica non è più capace di governare molto perché molte decisioni trovato luoghi almeno europei è evidente che la non collocazione internazione del PD va colmata perché non possiamo 60 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 essere provinciali e va colmata non decidendo a quale famiglia appartenere tra quelli esistenti ma ponendoci il tema di costruire una nuova famiglia riformista ma in quella dimensione territoriale. Il PD deve essere un partito di comunità cioè il luogo nel quale si incontrano pensieri diversi e si costruiscono sintesi; non lo siamo e tutte le volte che dimostriamo che invece siamo un partito di individualità entriamo in crisi nel rapporto con il paese. Una ultima annotazione. Il PD deve rimanere un partito legato al territorio. Se nelle elezioni amministrative otteniamo ancora risultati significativi è perché è importante mantenere una organizzazione capillare e radicata sul territorio perché aiuta anche a costruire dirigenti e amministratori che maturano e crescono avendo quelle comunità quali destinatari delle proprie azioni e delle proprie attenzioni. 61 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 LE FUNZIONI DEL PARTITO E LA CRISI DEL PD SERGIO SCAMUZZI, Docente di Sociologia Generale, Università di Torino Non conosciamo democrazie vere senza partiti. Tra le poche leggi della scienza politica c’è quella della indispensabilità di partiti per una democrazia funzionante. I testi canonici identificano alcune caratteristiche e funzioni essenziali dei partiti per la democrazia. Purtroppo il PD manifesta forti segni di crisi e carenze su quasi tutte. Ma potrebbe mobilitare risorse morali e culturali per superarle che in parte ha ancora in sé e attorno a sé e , grazie a questo sforzo, acquisirne di nuove. Partito è qualsiasi gruppo sociale che concorre alle elezioni per vincerle. Una perdita secca di dimensioni storiche da sola è ragione di crisi profonda, più difficile da superare se non è dovuta solo a un competitore vincente ma soprattutto ad un crescente astensionismo e a una protesta trasversale che provoca una cessione di voti al M5S (in Piemonte più che altrove), se per giunta produce uno stallo. Una crisi economica lunga e grave senza risposte politiche adeguate, salvo l’emergenza dei conti pubblici ben fronteggiata dal governo Monti, spiega molto della situazione ma non tutto e non può fornire alibi. Funzione del partito, specie in Europa, è aggregare domanda sociale che, se si esprime solo in gruppi di pressione e potentati, sovraccarica le decisioni di governo e ostacola l’interesse generale e nel caso italiano anche la legalità. Il PD, presentandosi come partito moderato di opinione progressista, ridotto quasi a un comitato elettorale che per di più è in grado di fare poca compagna elettorale (delegata ai leader in tv), con un radicamento territoriale e sociale in declino, non può che perdere di fronte a partiti populisti o di protesta pura e all’astensione. La base sociale del PD sono la classe operaia fino a tempi recenti garantita e il ceto medio, entrambi in profonda crisi da due decenni di aumento delle disuguaglianze che li erode e dalla recessione che dal 2008 li distrugge, con particolare severità verso i loro figli più giovani. Il PD paga una iniziativa troppo debole di rapporto con il lavoro e l’economia – un rapporto non scontato ma da guadagnare sul campo, rivolgendosi non solo ai vertici dei corpi intermedi e ai propri membri nel sottogoverno – e la propria dipendenza conseguente da fonti di conoscenza delle sue domande sociali che sono indirette e parziali, principalmente due : un mondo dei media che, quando parla di politica, la intende solo come schieramento (mutevole e personalizzato, perche così fa spettacolo) e non come politiche sostantive (evocate solo come risposta a scandali, che fanno spettacolo), ed è purtroppo spesso mimato nelle occasioni di dibattito interno al partito; o le relazioni di amministratori e parlamentari coi gruppi sociali organizzati e specifici interessati alle singole misure. Funzione del partito, ovunque, è rappresentare la domanda sociale di classi, ceti e territori determinati e tradurla in indirizzi politici e se del caso alleanze, e comunicarla efficacemente. Indirizzi e alleanze sono parsi deboli e troppo effimeri, più posizioni per schierarsi che schieramenti su posizioni, il PD non sembra essere una sede per l’elaborazione e la 62 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 comunicazione degli indirizzi e dei contenuti delle politiche autonoma e autorevole. Le affida invece completamente a chi ha responsabilità di governo e amministrazione nazionale e locale, cioè a ruoli necessitati alla flessibilità e alla contingenza, o a una sorta di ‘eccesso di concretezza e realismo’ che non le rende comunicabili ad una opinione pubblica ampia e non competente con effetti motivanti fiducia e delega ampia e duratura. L’elaborazione delle policies nazionali e locali avviene in sedi non partitiche (si pensi come es. ai piani strategici delle città o ai cda delle public utilities o alle think tank legate a singoli leader) . Difficile dire e specificare quale modello di società sostenga il PD, se intendiamo un livello di elaborazione intermedio tra i grandi valori e le piccole decisioni nelle delibere e nei ddl, che richiede forze intellettuali - in un rapporto interattivo con gli istituti culturali e di ricerca- insieme con rapporti non solo personali con la società civile(vedi 2). Difficile persino trovarlo sul sito del PD nazionale e di quelli locali, entrambi migliorabili, una volta sviluppati i nuovi contenuti, che pure consentirebbe un tipo di comunicazione autonoma al partito, di non essere parlati dalla televisione e secondo le sue esigenze. Funzione del partito è selezionare candidati da presentare alle elezioni e a responsabilità interne. È evidente il ritardo, specie nazionale, nel ricambio del gruppo dirigente e una gestione delle carriere affidata a logiche di corrente e cordata e non di partito. Troppo sottovalutata è la (mancata) formazione di cultura politica come tappa della carriera e come patrimonio quotidiano comune nel partito: visioni del futuro, conoscenze della realtà, valori, costruzione delle opzioni di scelta politica sono state oggetto di poche iniziative, molto più spazio hanno avuto tecniche di governo, (di per sé necessarie: la politica e l’amministrazione pubblica richiedono professionalità specifiche) o una sorta di cultura progressista generale e di grandi principi. Nulla poi è stato fatto per superare la separatezza e un certo declino rispetto alle origini delle culture costituenti del PD (lib-lab, cattolica democratica, social-comunista, verde). Del resto, se il partito non ha funzioni di rappresentanza ed elaborazione politica e culturale forti (vedi anche punti 2 e 3) ma solo di anticamera di ruoli amministrativi, poco resta a motivare durevolmente il militante il cui volontariato invece potrebbe essere incoraggiato da una partecipazione vera e dallo sviluppo di saperi diffusi. Funzione del partito è organizzare la competizione per vincere ai seggi e nelle assemblee. Crisi finanziaria e sperperi passati, il devastante caso Lusi, l’attuale populistica intenzione di eliminare finanziamenti pubblici, declino della militanza, pregiudicano tale possibilità organizzativa. Ma la palese inefficacia delle regole di decisione e democrazia interna che, al livello nazionale degli eletti e della segreteria, hanno permesso e fatto considerare legittime le note oscillazioni e divaricazioni nelle candidature alle più alte cariche dello stato, renderebbe vana anche la più robusta delle organizzazioni, con effetti devastanti sulla fiducia degli elettori. Funzione del partito, complementare alla selezione, è il controllo dell’operato e della dignità morale degli eletti e dei propri incaricati. La corruzione è sempre un rischio, poiché fin dall’epoca della ‘questione moralÈ sollevata da Berlinguer non è emersa una legislazione anticorruzione efficace e la magistratura esercita una supplenza anche dell’autocontrollo dei partiti quando non c’è. Il PD ha complessivamente una classe dirigente onesta e competente, in misura in molte sedi superiore ad altri partiti, in parte senza merito ma per eredità virtuosa del Pci, della sinistra Dc e dell’area cattolica in genere, di 63 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 componenti sane del Psi, in parte per forza propria ideale di reclutamento, ma un supplemento di codici di autoregolamentazione, specie per situazioni non regolate (es. odierno i rimborsi ai consiglieri regionali) sarebbe utile, anche come modo per manifestare in concreto un’idea di politica come servizio e non privilegio o spettacolo populista ad altre forze e al paese. Funzione del partito è raccordare il centro con la periferia Il PD non ha realizzato un vero federalismo e resta vittima di un centralismo con poca capacità di sintesi territoriale. Dove però la carenza è più vistosa e meno compresa è nel rapporto tra Unione Europa e regioni/città : per molta politica locale l’UE è il vero centro, in quanto fornisce obiettivi molto specifici alle politiche e finanziamenti per conseguirli. È più importante che Torino e le altre città discutano di Horizon 2020 con i propri deputati europei e i membri di altri partiti affini francesi o tedeschi o inglesi che con i salotti romani. È altrettanto importante che le elezioni europee del 2014 e la posizione del PSE e degli altri partiti della sinistra europea presentata ad esse nei confronti delle politiche di sola austerità sostenuto dalla destra siano al centro dell’attenzione del PD anche e soprattutto a livello locale, ed i conseguenti rapporti entrino nella cultura quotidiana. (l’incontro al Regio sul Rinascimento europeo è stato un bell’esempio ma non basta) del partito. 64 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 RECUPERARE L’ESSENZIALE MINO TARICCO, Parlamentare PD Non ho potuto essere presente per un impegno familiare concomitante e mi è molto dispiaciuto perché credo che il tema di questo seminario fosse e sia, in questa fase della politica in generale, e del PD in particolare, straordinariamente importante. Per rispondere a cosa sia il partito nella sua essenza penso che si possa definire un’associazione di persone che condividendo una comune visione del mondo e della convivenza civile, almeno nei suoi tratti fondamentali, ed essendo convinti che in quella direzione si possono creare le premesse e le condizioni per una vita migliore per tutti, e soprattutto per coloro che hanno meno voce, decidono di lavorare insieme in questa direzione. Ho sempre vissuto il partito non tanto come una entità organizzativa e strutturata, ma soprattutto come una associazione di persone, che nella loro vita fanno ciascuna il proprio lavoro e le proprie esperienze, e che tuttavia condividono una speranza e la convinzione che insieme possono migliorare la “città dell’uomo”. Questa esperienza non è soltanto teorica, perché nella prima stagione dei “Popolari” nella provincia di Cuneo, che ebbi la fortuna di vivere, fu effettivamente così ; centinaia di iscritti che ci credevano veramente , impegno e volontariato, grandi occasioni di confronto e di elaborazione culturale e progettuale sui problemi e sulle opportunità delle nostre città e della provincia, e pur con tutte le differenze e le difficoltà, la convinzione di essere portatori di una responsabilità verso la comunità, e la convinzione di poter fare bene nel governo appunto delle citta e della comunità. L’impegno politico che nasce dalla responsabilità e dall’amore per la propria comunità, e nasce dall’esigenza di condividere con altri la stessa passione e lo stesso impegno, per aiutarci a fare meglio e per essere insieme più capaci di camminare. Il partito e la politica sono strumenti per fare ciò che è il cuore della scelta di impegno : mettersi a servizio, con altri, di una comunità . Oggi purtroppo guardando i partiti , troppe volte anche guardando il nostro, si ha la sensazione di essere di fronte a gruppi di persone che hanno scelto di “fare politica”, e per farlo sono entrate nel partito che è diventato il luogo della competizione per arrivare. Il partito, diventato luogo della gestione del potere, si è strutturato ed è diventato anche lo strumento per la costruzione di carriere o quanto meno per l’agevolazione delle stesse. In questa logica è diventato importantissimo poter pesare il consenso interno, e per poterlo fare e diventato necessario definire con precisione i confini tra il dentro ed il fuori, ed in qualche misura l’allargamento del partito è stato vissuto come un problema o come una minaccia , che rende necessario controllare bene chi entra, perché non rischi di alterare gli equilibri. 65 Una riflessione sulla Forma Partito Il contributo del PD del Piemonte. Maggio-Luglio 2013 Nella mia prima esperienza di impegno nei “popolari” di Cuneo negli anni ’90 avevo letto un documento programmatico che tratteggiava le condizioni per il successo di quella nascente formazione politica e diceva che l’esperienza si sarebbe potuta dire riuscita se le migliori risorse della comunità nei vari ambiti , lavorativo, culturale , associativo, del volontariato, dell’impegno civile, che condividevano con noi un quadro valoriale e progettuale, avessero deciso di impegnarsi amministrativamente e politicamente e avessero deciso di farlo con noi. In quella esperienza nessuno di noi cercava un posto, nessuno di noi cercava li il proprio riconoscimento professionale o sociale , ognuno di noi questo lo costruiva nei suoi ambiti di vita professionale , ma eravamo uniti da una grande passione e una gran voglia di dimostrare che un mondo migliore era possibile e che noi potevamo contribuire a realizzarlo. Credo sia necessario recuperare quello spirito. Quali scelte sono necessarie per recuperarlo. Può sembrare radicale ma io penso sia necessario stabilire che per “tutte” le candidature a cariche istituzionali sia necessario passare attraverso primarie aperte a tutti gli elettori interessati, con una eventuale unica eccezione per elezioni con più candidati in lista con sistemi con le preferenze. Per gli incarichi nel partito credo vada comunque garantita una significativa forma di apertura che oltre agli iscritti coinvolga anche albi di sostenitori . La forma partito che penso possa aiutarci vede negli iscritti coloro che partecipano della missione del partito e che collaborano a determinare la costruzione di una proposta politica condivisa , ma che condividono le decisioni “di potere” con cerchie di elettori-sostenitori allargate . Il partito deve a mio giudizio coniugare il massimo di apertura e di accoglienza verso tutti coloro che vogliono contribuire al suo cammino e a determinarne gli orizzonti . La forma e le regole sono importanti perché sono un elemento identitario forte e in questo momento dire di noi che siamo aperti al contributo dei nostri elettori sia per la costruzione dell’idea di Italia e di comunità che vogliamo sia per la scelta delle persone cui affidare il compito di portare questa idea nelle istituzioni, credo sia un atto di coraggio che può permetterci di piantare semi fecondi. 66