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Storia del Partito del Lavoro d`Albania (Seconda edizione)

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Storia del Partito del Lavoro d`Albania (Seconda edizione)
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Proletari di tutti i paesi, unitevi!
STORIA
DEL PARTITO DEL LAVORO
D’ALBANIA
Seconda edizione
ISTITUTO DI STUDI MARXISTI-LENINISTI
PRESSO IL CC DEL PLA
CASA EDITRICE «8 NËNTORI»
TIRANA, 1982
LA STORIA DEL PARTITO DEL LAVORO
D’ALBANIA E’ STATA PREPARATA
DALL’ISTITUTO DI STUDI MARXISTILENINISTI E VIENE PUBBLICATA PER
DECISIONE DEL COMITATO CENTRALE
DEL PLA
INTRODUZIONE
La fondazione del Partito del Lavoro d’Albania (PLA) segna
l’inizio del più luminoso periodo nella plurisecolare storia del
popolo albanese. Nel corso di tale periodo sono state compiute
profonde trasformazioni rivoluzionarie d’ordine politico, econo­
mico, sociale e culturale nella vita del paese, sono state conse­
guite grandi vittorie di vitale importanza che hanno posto fine
all’oppressione e allo sfruttamento delle larghe masse lavora­
trici, assicurando il rapido e ininterrotto sviluppo dell’Albania
sulla via del socialismo.
Queste vittorie sono state ottenute dal popolo albanese sotto
la direzione del Partito del Lavoro d’Albania. Con la forma­
zione del Partito la classe operaia, le masse lavoratrici, hanno
espresso dal loro seno, nel fuoco della lotta contro gli occupatori
fascisti e i traditori del paese, una direzione nazionale rivolu­
zionaria, decisa a difendere fino in fondo gli interessi del
popolo e capace di assicurargli la liberazione nazionale e
sociale.
Il Partito del Lavoro d’Albania ha sempre avuto per unica
e infallibile bussola il marxismo-leninismo. Esso ha sempre
tenuto alta la combattiva bandiera delle immortali idee di
Marx, Engels, Lenin e Stalin. La sua fedeltà al marxismo-le­
ninismo costituisce la fonte della sua forza inesauribile, della
sua saggezza e della sua lungimiranza, del suo coraggio e della
sua risolutezza nel superare ostacoli e difficoltà e nel procedere
con fede incrollabile verso la piena realizzazione dei suoi obiettivi
e dei suoi compiti programmatici.
Se il Partito del Lavoro d'Albania ha vittoriosamente adem­
piuto gli importanti compiti che gli si prospettavano, ciò è do­
vuto al fatto che esso ha sempre saldamente poggiato sul popo­
5
lo, dal quale ha avuto in retaggio meravigliose tradizioni
patriottiche e rivoluzionarie. Nella sua lotta contro il giogo stra­
niero e l’oppressione sociale, il popolo albanese ha dimostrato,
con straordinaria energia, immenso amor patrio e odio profon­
do verso la schiavitù e l’oppressione, ardenti aspirazioni e inflessibile volontà di progresso, incrollabile fede nella vittoria,
valore senza pari nell’ineguale lotta contro i nemici, sincero
affetto e nobiltà d’animo verso l’amico e il compagno, nonché
un atteggiamento intransigente nei confronti dei nemici e dei
traditori. Esso è stato costretto a combattere contro feroci e
numerosi nemici per difendere la propria vita e il proprio av­
venire, per sfuggire all’annientamento come popolo e come na­
zione. La resistenza degli albanesi e la lotta da essi condotta
contro i nemici hanno sempre avuto un carattere popolare, di
liberazione. Le loro guerre sono state giuste. Le patriottiche
tradizioni di progresso e la ricca esperienza storica del popolo
hanno costituito una solidissima base per l’attività del Partito.
Erede di tali tradizioni, il Partito ha elaborato questa esperien­
za secolare alla luce degli insegnamenti marxisti-leninisti, tra­
ducendola nella sua attività rivoluzionaria. Sotto la guida del
PLA si sono manifestate in tutto il loro vigore le alte virtù
morali del popolo, la sua vitalità di nazione è assorta a un più
alto livello, le sue tradizioni patriottiche e rivoluzionarie sono
divenute una grande forza motrice nella lotta per la liberazione
della Patria e per l’edificazione del socialismo.
Il Partito ha collegato la lotta per la libertà e l’indipenden­
za con la lotta contro le classi sfruttatrici per l’instaurazione
della dittatura del proletariato, per l’abolizione di qualsiasi
sfruttamento, per l’edificazione del socialismo. Sotto la guida
del Partito il patriottismo popolare si è sviluppato e trasfor­
mato in patriottismo socialista. L’amor patrio si è organicamente fuso con l’amore e la fedeltà verso il Potere popolare,
verso il socialismo.
Illuminato dagli insegnamenti del marxismo-leninismo, ba­
sandosi sull’esperienza della lotta rivoluzionaria delle masse
popolari, poggiando saldamente sul popolo che lo ha generato
e cresciuto, avendo a propria guida l’alto ideale di servire fe­
delmente il popolo e il socialismo, il Partito del Lavoro d’Alba­
nia è stato in grado di elaborare e di attuare sempre una linea
generale giusta e ha acquisito quella maturità che gli dà modo
di orientarsi in qualunque situazione. Esso ha sempre onorevol­
mente compiuto i suoi doveri verso la propria classe operaia e
6
il proprio popolo, nonché nei confronti del movimento comu­
nista e operaio internazionale.
Il Partito ha saputo divenire l’unica forza dirigente del po­
polo albanese nella sua lotta per l’indipendenza nazionale e la
libertà, per la democrazia e il socialismo. Esso ha organizzato
e guidato la Lotta Antifascista di Liberazione Nazionale, la più
gloriosa lotta vittoriosa compiuta dal popolo albanese. Esso
ha organizzato e diretto la ricostruzione del paese devastato
dalla guerra e lo sviluppo sociale, economico e culturale del­
l’Albania sulla via del socialismo.
La storia del Partito del Lavoro d’Albania è la storia di
un partito marxista-leninista rivoluzionario che ha risolto pro­
blemi di importanza vitale per il popolo:
abolizione di ogni dipendenza politica ed economica dalle
potenze imperialistiche e straniere e assicurazione della piena
indipendenza nazionale;
incessante sviluppo della rivoluzione popolare dalla fase
antimperialistica democratica alla fase socialista;
promozione dell’alleanza della classe operaia con le masse
contadine lavoratrici e le altre masse popolari del paese,
unione di queste masse in un fronte comune intorno al Par­
tito e sotto la sua unica guida;
istituzione, consolidamento e incessante perfezionamento
del regime di democrazia popolare in quanto forma di dittatura
del proletariato;
eliminazione della secolare arretratezza economica, sociale,
culturale e tecnica del paese, suo passaggio dallo stato arretrato
semifeudale al socialismo, scavalcando la fase del capitalismo
sviluppato;
edificazione e sviluppo dell’industria socialista in quanto
forza dirigente dell’economia nazionale;
collettivizzazione dell’agricoltura, suo sviluppo e sua mec­
canizzazione;
liquidazione, in quanto classi, dei grandi proprietari terrieri
e della borghesia, dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, edificazione della base economica del socialismo sia
nelle città che nelle campagne;
formazione di nuovi quadri per i vari rami dell’economia e della cultura, creazione dell’intellighenzia socialista;
educazione rivoluzionaria dei lavoratori e loro formazione
secondo la concezione scientifica marxista-leninista del mondo;
incessante sviluppo della rivoluzione in campo ideologico e cul­
turale;
7
difesa della Patria socialista dalle mire e dalle mene ostili
degli imperialisti, dei revisionisti e dei loro strumenti;
istituzione dei nuovi rapporti dello Stato albanese con gli
altri paesi sulla base dell’uguaglianza, del rispetto dell’indipendenza nazionale e dell’integrità territoriale, della non ingerenza
negli affari interni altrui e del reciproco vantaggio;
mantenimento di una monolitica unità ideologica e organiz­
zativa delle file del Partito;
istituzione e coerente mantenimento di fraterni rapporti fra
il PLA e gli altri partiti marxisti-leninisti sulla base dei prin­
cìpi dell’internazionalismo proletario, salvaguardia dell’indipendenza del Partito dalle mire e dalle mene sciovinistiche di
grande potenza dei revisionisti jugoslavi, kruscioviani e cinesi.
Il Partito del Lavoro d’Albania guida con fermezza e con
incrollabile fede il popolo albanese sulla via del socialismo
risolvendo gravi e complessi problemi attinenti allo sviluppo
fino in fondo della rivoluzione socialista in tutti i campi — po­
litico, economico e sociale, ideologico e culturale, nonché alla
lotta per la difesa del marxismo-leninismo contro l’ideologia
borghese e contro tutte le correnti del revisionismo moderno.
La storia del PLA è una scuola d’applicazione creativa del
marxismo-leninismo nelle condizioni dell’Albania e nelle con­
crete contingenze internazionali. Lo studio di questa storia
costituisce un’importante e inscindibile parte dello studio del
marxismo-leninismo da parte dei membri del Partito e di tutti i
lavoratori del paese.
Il compagno Enver Hoxha ha definito la Storia del PLA
«un’affilata e potente arma ideologica e politica che serve
alla tempra rivoluzionaria dei comunisti, della classe ope­
raia, di tutto il popolo, nonché alla soluzione dei grandi
problemi attuali. La grande opera del Partito non è unicamente
opera dei comunisti, ma anche della classe operaia, delle masse
contadine lavoratrici, degli intellettuali patrioti. Tutti hanno
versato il loro sangue e il loro sudore per scrivere la storia del
Partito»*
*
*
*
La storia del Partito del Lavoro d’Albania comprende tre
periodi principali.
* Enver Hoxha.
8
Discorso
tenuto
in
occasione
della
prima
edi-
Il primo periodo comincia dagli inizi del movimento operaio
e dalla nascita del movimento comunista organizzato e giunge
sino alla fondazione del Partito Comunista d’Albania (novembre
1941).
Il secondo periodo comprende l’attività svolta dal Partito
per organizzare e dirigere la Lotta di Liberazione Nazionale del
popolo albanese contro gli occupatori fascisti e i traditori, nonché
per assicurare il trionfo della rivoluzione popolare (novembre
1941-novembre 1944).
Il terzo periodo è il periodo della lotta del Partito, in quanto
partito al potere, per l’edificazione e lo sviluppo della società
socialista.
* *
*
La seconda edizione della Storia del PLA comprende l’at­
tività del Partito fino al 1980. La prima edizione è stata inoltre
ampiamente riveduta e corretta in modo tale però da lasciare
intatta nel complesso la sua struttura ed il suo contenuto. Si
tratta di abbreviazioni e di alcune precisazioni fatte in base ai
documenti.
zione della Storia del PLA, 4 novembre 1968, «Zëri i popullit», 5 no­
vembre 1968.
9
CAPITOLO I
LA LOTTA PER LA FONDAZIONE DEL PARTITO
COMUNISTA D’ALBANIA
(1929-1941)
1. GLI INIZI DEL MOVIMENTO OPERAIO. L’ASCESA
DEL MOVIMENTO DEMOCRATICO E ANTIMPERIA­
LISTICO NEL PRIMO QUARTO DEL XX SECOLO
La dominazione ottomana in Albania si protrasse per quasi
cinque secoli. Fu un periodo di regime feudo-militare, di feroce
oppressione nazionale, di pesante sfruttamento feudale, di fre­
quenti guerre devastatrici e di grande arretratezza nel campo
dell’istruzione e della cultura. Ma fu al tempo stesso, anche
il periodo dell’indomita lotta del popolo albanese per la li­
bertà e l’indipendenza nazionale, per il progresso materiale
e spirituale, e per la giustizia sociale. Questa lotta divenne
il fattore decisivo che portò alla proclamazione dell’indipen­
denza, il 28 novembre del 1912.
La proclamazione dell’indipendenza e la creazione dello
Stato nazionale furono avvenimenti di grande portata storica
per gli albanesi. Però a capo di questo Stato si misero i grandi
proprietari terrieri e la borghesia, mentre il popolo che aveva
combattuto e versato il proprio sangue non potè liberarsi dal­
l’oppressione e dallo sfruttamento delle classi dominanti. Inoltre,
le potenze imperialiste assieme agli Stati borghesi limitrofi,
i quali perseguivano nei suoi riguardi una politica sciovinistica,
non solo smembrarono l’Albania amputandola, nel 1913, della
metà dei suoi territori, ma non desistettero neppure dal loro
11
disegno di cancellarla totalmente dalla carta
Balcani o di sottometterla al proprio controllo.
L’Albania, paese
semifeudale
agricolo
politica
dei
La proclamazione dell’indipen­
denza trovò l’Albania nelle condi­
zioni di un paese agricolo arre­
trato. Quantunque nelle città, e in minor misura nelle cam­
pagne, avessero cominciato a svilupparsi rapporti capitalistici,
questi erano generalmente nella fase iniziale. Nelle zone pianeg­
gianti e, in parte, in quelle montuose, era diffuso il sistema
delle grandi proprietà terriere, mentre nella vita sociale della
montagna, specialmente nel settentrione, si conservavano ancora
sopravvivenze patriarcali.
Le masse contadine costituivano circa il 90 per cento della
popolazione, di cui il 77 per cento erano contadini poveri.
L’ingiusta ripartizione delle terre, lo spietato sfruttamento da
parte dei latifondisti, dei commercianti e degli usurai, delle
istituzioni religiose e dello Stato, nonché l’impiego di strumenti
e di metodi di lavoro primitivi nell’agricoltura, erano all’origine
dell’impoverimento delle masse contadine e della miseria in
cui queste versavano. Conseguentemente al costante deteriora­
mento della loro situazione, gran parte dei contadini poveri
diventavano salariati agricoli o giornalieri, altri prendevano la
via dell’emigrazione.
Generalmente le città erano piccole, economicamente e
socialmente poco sviluppate. La vita che vi si svolgeva era
ancora improntata a sopravvivenze medioevali. Vi prevaleva
la piccola produzione artigianale; tuttavia, sin dal secolo XIX,
nelle città principali, come Shkodër, Berat, Elbasan, Korçë,
erano sorte manifatture capitalistiche. Con l’aumentare della
produzione di merci e con la diffusione dei rapporti di mercato,
la borghesia mercantile aveva accumulato ingenti capitali.
Ma, in generale, essa non investiva capitali nell’industria. Così,
nel giovane Stato albanese appena formato, non v’erano che
25 piccole fabbriche e opifici. Queste aziende erano dotate di
un’attrezzatura primitiva e impiegavano un esiguo numero
d’operai che ammontava a un totale di circa 150 persone.
Nei primi dieci anni immediatamente successivi alla procla­
mazione dell’indipendenza, l’industria si sviluppò a ritmi lentis­
simi. Sorse un numero irrilevante di nuove fabbriche e di
nuovi opifici. Ma neppure le più grandi fabbriche avevano
alle proprie dipendenze più di 30 operai. Il maggior numero
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d’operai si contava nelle saline, nelle segherie, nelle imprese
edilizie, ed anche nella miniera di bitume di Selenicë (Vlorë),
gestita da concessionari stranieri.
La maggior parte degli operai che lavoravano nelle imprese
capitalistiche erano stagionali. Terminato il lavoro, ritornavano
ai villaggio e si dedicavano all’agricoltura. Anche gii operai
delle fabbriche e delle miniere erano d’origine artigiana o
contadina. Essi non costituivano ancora una classe dotata di
una coscienza politica di classe.
Gii operai venivano ferocemente sfruttati dai proprietari
capitalisti. La giornata lavorativa era di 10 e, in molti casi,
di 14 ore, mentre il salario era bassissimo, tanto che gli operai
riuscivano con difficoltà a provvedere al proprio sostenta­
mento e a quello delle loro famiglie. Pur così, tali salari non
erano affatto sicuri: la mano d’opera disponibile, in continuo
aumento, permetteva al proprietario capitalista di abbassarli
o di ritardarne arbitrariamente il pagamento per mesi interi.
Non esisteva alcuna legge protettiva dei lavoro e i proprietari
non si curavano di prendere alcun provvedimento per la sicu­
rezza degli operai.
Agli operai delle fabbriche si aggiungeva la vasta massa
degli apprendisti, dei lavoranti degli opifici artigianali e dei
commessi impiegati presso i commercianti. Il loro sfruttamento
era ancora più pesante, poiché si combinava con forme e
metodi medioevali. Oltre il lavoro nei laboratori o nelle bot­
teghe, essi eseguivano anche tutta una serie d’altri servizi per
il loro padrone.
Sin dai primi anni del XX secolo, gli apprendisti ave­
vano cominciato a lottare in modo più o meno organizzato
contro lo sfruttamento di cui erano vittime da parte dei
proprietari dei laboratori artigianali e da parte dei commer­
cianti. Ma questo movimento, che si sviluppò soprattutto a
Shkodër, aveva un carattere locale e spontaneo. Le idee so­
cialiste che vi si diffusero in tali circostanze erano generalmente
travisate e, in alcuni casi, degeneravano in «socialismo» pic­
colo-borghese. Le prime organizzazioni operaie avevano il carat­
tere di società di mutua assistenza e sviluppavano poco la
lotta contro lo sfruttamento. A queste organizzazioni parteci­
pavano anche artigiani che lavoravano in proprio, i quali
avevano bisogno dell’appoggio degli apprendisti nella lotta con­
tro la borghesia mercantile e i proprietari delle manifatture,
allo scopo di difendere la piccola produzione. Ma tali organiz­
zazioni non duravano a lungo.
13
Nelle condizioni della dominazione straniera il movimento
operaio assunse un carattere spiccatamente patriottico.
Gli avvenimenti immediatamente successivi alla proclama­
zione dell’indipendenza nel 1912, non permisero che lo sviluppo
dello Stato albanese seguisse un corso normale. La lotta poli­
tica interna negli anni 1913-1914 e lo scoppio della Prima
Guerra Mondiale nell’agosto del 1914 fornirono alle potenze
imperialistiche e ai vicini sciovinisti un’occasione propizia per
attuare le loro mire nei confronti dell’Albania. Così l’Albania
venne trasformata in un campo di battaglia, su cui si scontra­
rono gli interessi politici e militari degli Stati belligeranti.
Con l’accordo segreto dell’aprile 1915 le potenze imperialistiche
dell’Intesa decisero di togliere all’Albania la sua indipendenza
e di smembrare il suo territorio. Gli eserciti delle potenze
imperialistiche mantennero l’occupazione di tutto il territorio
del paese sino alla fine del conflitto.
Le occupazioni straniere e le operazioni militari causarono
al popolo albanese innumerevoli sventure. L’economia del paese
andò in rovina. Interi villaggi furono saccheggiati e incendiati.
La carestia si abbattè su tutto il paese. Le epidemie decima­
rono la popolazione.
Mentre il popolo albanese sof­
friva, oppresso e misconosciuto,
e i suoi diritti venivano spieta­
tamente calpestati dagli imperia­
listi, un grande avvenimento scosse il mondo: il trionfo della
grande Rivoluzione Socialista in Russia.
Il 7 novembre (25 ottobre secondo il calendario giuliano)
del 1917 la classe operaia e i contadini poveri della Russia,
guidati dal Partito dei bolscevichi con a capo V. I. Lenin,
rovesciarono il regime dei capitalisti e dei grandi proprietari
terrieri e instaurarono la dittatura del proletariato. La bandiera
del socialismo venne issata su un sesto del mondo.
La Rivoluzione socialista in Russia dischiuse una nuova
epoca nella storia mondiale, l’epoca del rovesciamento del
capitalismo e della vittoria del sistema socialista, l’epoca delle
rivoluzioni proletarie nei paesi capitalisti e delle rivoluzioni di
liberazione nazionale nei paesi coloniali e dipendenti, l’epoca
della formazione del fronte unico rivoluzionario dei proletari
e dei popoli oppressi di tutti i paesi contro l’imperialismo.
L’influenza della grande
Rivoluzione socialista
d’Ottobre in Albania
14
La vittoria del Grande Ottobre era la vittoria del marxi­
smo-leninismo.
L’eco della Rivoluzione d’Ottobre si sentì anche in Al­
bania. Le idee che ispiravano questa Rivoluzione e la politica
seguita dal governo sovietico influirono sull’ascesa del movi­
mento per la liberazione nazionale, per la salvaguardia dell’
integrità territoriale, e sull’estensione del movimento rivoluzio­
nario democratico.
Particolare importanza ebbe la divulgazione, da parte del
governo sovietico, dei trattati segreti delle potenze imperiali­
stiche. Uno di questi, reso pubblico per decisione del II Congres­
so dei Soviet, era precisamente il trattato segreto di Londra
dell’aprile 1915, secondo cui l’Albania doveva essere ripartita
fra l’Italia, la Serbia, il Montenegro e la Grecia. Il contenuto
di questo trattato, immediatamente conosciuto in Albania, su­
scitò una violenta ondata di indignazione fra il popolo albanese.
Il movimento di liberazione antimperialista per ottenere la
libertà, l’indipendenza e la garanzia dell’integrità territoriale,
diretto contro il trattato di Londra, si diffuse ampiamente.
Il congresso nazionale antimperialista di Lushnjë, riunitosi nel
gennaio del 1920 e l’eroica battaglia di Vlorë nell’estate dello
stesso anno, che terminò con la cacciata degli occupatori im­
perialisti italiani dall’Albania, testimoniavano l’alto patriottismo
del popolo albanese nonché l’influenza della politica leninista
antimperialista.
Dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, tra le file
degli operai, degli artigiani e degli intellettuali albanesi co­
minciarono a diffondersi largamente le notizie delle vittorie
dei bolscevichi russi. Il nome di Lenin divenne simbolo degli
«alti princìpi dell’umanità», della nuova società senza sfruttatori
e senza sfruttati. Dall’estero cominciarono a giungere i primi
opuscoli che trattavano dell’Unione Sovietica e del comunismo.
Essi venivano letti in ristretti circoli d’intellettuali e di operai.
Le idee d’Ottobre si diffusero fra le masse diseredate, specie
delle città.
Dopo la cacciata delle forze stra­
niere degli imperialisti e degli
sciovinisti confinanti, in primo
piano della vita politica e sociale si presentò la lotta per
l’instaurazione del sistema democratico e in particolar modo
per la soluzione della questione agraria. A questa lotta parte­
La Rivoluzione di Giugno
del 1924
15
ciparono le masse rurali e i ceti inferiori delle città, compresi
gli operai.
La classe operaia non aveva ancora raggiunto quel grado
di maturità ideologica e politica che potesse permetterle di
creare, se non il proprio partito, almeno le proprie organiz­
zazioni di categoria. Di conseguenza, il movimento operaio in
generale non potè superare le deficienze iniziali. Le nuove as­
sociazioni che si costituirono tra il 1920 e il 1923 conserva­
vano un carattere d’assistenza artigiano-operaia ed erano sem­
pre precarie. A fianco degli apprendisti cominciarono a muoversi
anche gli operai di qualche fabbrica o di qualche miniera.
Ma i loro scioperi erano sempre spontanei e centrati su ri­
vendicazioni puramente economiche. Intanto l’attività controri­
voluzionaria delle classi dominanti, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, assunse proporzioni ancora più ampie.
Il movimento operaio si fuse nel vasto movimento po­
polare che si estese a tutto il paese. Ne costituivano il prin­
cipale nerbo le masse rurali e quelle povere urbane, su cui
gravavano l’oppressione feroce e l’inumano sfruttamento latifondistico-borghese.
Le masse protestavano contro la politica antipopolare del
governo, chiedendo che si assicurasse pane al popolo, che
venissero soppresse le alte tariffe doganali per i cereali e che
fossero aperti i magazzini degli speculatori. In alcuni casi esse
presero d’assalto questi magazzini, s’impadronirono dei cereali
e li distribuirono gratuitamente alla popolazione.
La lotta per la terra aveva assunto un carattere di parti­
colare asprezza e in parecchi casi si manifestò in attachi aperti
da parte dei contadini per strapparla con la violenza ai grandi
proprietari terrieri, allo Stato. Sull’inasprimento della lotta
antifeudale influì anche la soluzione della questione agraria
nella Russia sovietica. In un paese agricolo arretrato com’era
l’Albania, il bolscevismo veniva inteso soprattutto come abo­
lizione senza compenso dei latifondi e distribuzione gratuita
delle terre ai contadini. Ma queste fondamentali rivendicazioni
dei contadini non furono appoggiate dai gruppi politici borghesi
che erano alla testa del movimento democratico. Tali gruppi
concepivano la riforma agraria in maniera molto limitata,
mirando soltanto a conciliare gli interessi dei coloni
con quelli dei latifondisti e a «migliorare» le condizioni dei
coltivatori senza ledere la classe dei latifondisti.
16
Le rivendicazioni fondamentali dei contadini per la terra
furono appoggiate soltanto dalla società «Bashkimi» (Unione),
che raggruppava nel suo seno i democratici rivoluzionari, la
maggior parte dei quali provenivano dalle file degli intellet­
tuali di origine piccolo-borghese. Questa società si impegnò
a sollevare i problemi politici e sociali di più urgente solu­
zione.
L’estendersi del movimento portò nella primavera del 1924
alla creazione di una situazione rivoluzionaria. L’assassinio di
Avni Rustemi, uno dei dirigenti del movimento democratico,
da parte della reazione latifondistica, fu la scintilla dell’insur­
rezione armata.
L’insurrezione che scoppiò in maggio, terminò il 10 giugno
1924 con la vittoria delle forze rivoluzionarie.
Il programma presentato dal nuovo governo comprendeva
una serie di compiti e di riforme che miravano a immettere
il paese nella via dello sviluppo democratico-borghese. In
campo politico, il programma prevedeva l’instaurazione della
democrazia attraverso elezioni libere e dirette, la trasforma­
zione dell’apparato statale, civile e militare. In campo economico-sociale aveva per obiettivo d’estirpare il feudalismo, di
affrancare i contadini dallo sfruttamento latifondistico, di mo­
dificare, in favore del popolo, il sistema fiscale, di facilitare
l’afflusso del capitale straniero, di stimolare e di difendere
il capitale nazionale. Per quanto concerne l’istruzione pubblica,
il programma prevedeva la sua organizzazione su basi nazio­
nali e moderne. In campo internazionale, il governo intendeva
seguire una politica di relazioni amichevoli con tutti i paesi
e in particolar modo con gli Stati confinanti.
Questo programma fu appoggiato dalle larghe masse del
popolo, che ne richiedevano l’applicazione fino in fondo. Esso
però incontrò una violentissima opposizione da parte dei grandi
proprietari terrieri all’interno e da parte della reazione impe­
rialistica. Frattanto i capi della borghesia locale, spaventati
dall’impeto rivoluzionario delle masse, si riavvicinarono ai latifondisti e agli imperialisti opponendosi attivamente, insieme
con essi, all’attuazione del programma ed esercitando una forte
pressione sul governo.
In tali circostanze il governo democratico-borghese, pro­
fondamente scosso, si limitò a seguire una politica di concilia­
zione delle classi, dimostrandosi incapace di portare fino in
fondo la rivoluzione. Esso non si appoggiò sulle masse e non
lottò per attuare il programma che aveva proclamato. Questo
17
causò il suo distacco dalle masse popolari che lo avevano
portato al potere.
Conseguenze positive ebbe l’atteggiamento antimperialista
del governo, derivante dal carattere democratico del suo pro­
gramma. Il governo affrancò il paese dalla sottomissione e
dall’asservimento all’Italia fascista e rigettò le sciovinistiche
pretese jugoslave e greche nei confronti del territorio albanese.
Esso stabilì relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica. Tut­
tavia anche nel campo della politica estera, il governo mancò
di fermezza di fronte alle pressioni dell’imperialismo inglese
e americano.
Gli imperialisti e i governi reazionari dei paesi vicini
scatenarono una vasta campagna contro il movimento demo­
cratico in Albania.
Il 24 dicembre 1924, le forze controrivoluzionarie alba­
nesi condotte da Ahmet Zogu e provenienti in massima parte
dalla Jugoslavia, con il diretto appoggio delle truppe reazio­
narie serbe e delle guardie bianche, entrarono a Tirana e ro­
vesciarono il governo di Fan Noli. In Albania salì al potere
il regime di Ahmet Zogu.
La rivoluzione di Giugno costituiva il primo tentativo su
scala nazionale per una svolta radicale nell’ordinamento poli­
tico e sociale di tipo democratico e antimperialista in Albania.
L’intervento della reazione imperialista internazionale, l’incapa­
cità della nuova borghesia nazionale ed anche la mancanza di
una valida direzione delle forze democratiche rivoluzionarie
fecero fallire questo tentativo.
La Rivoluzione di Giugno era parte integrante ed elemento
attivo del potente movimento rivoluzionario dei popoli, sorto
dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre. Ma essa trionfò
in un periodo in cui le forze della reazione e del fascismo in
Europa erano passate all’attacco ed era iniziato il riflusso del
movimento rivoluzionario. Precisamente in questo momento
l’Albania si trasformò in un focolaio rivoluzionario nei Balcani.
La vittoria della Rivoluzione di Giugno ebbe una portata che
superò i confini del paese. Essa suscitò un particolare interesse
fra i circoli comunisti e democratici europei, i quali apprez­
zarono giustamente il suo carattere rivoluzionario antifeudale
e antimperialistico. Giorgio Dimitrov affermò che la repres­
sione di questa rivoluzione rappresentava la distruzione di
una delle basi del movimento rivoluzionario nei Balcani e
l’estensione del fronte della reazione balcanica.
18
2. NASCITA DEL MOVIMENTO COMUNISTA
Nel gennaio 1925 la cricca zoghista proclamò la repubblica,
con Ahmet Zogu come presidente. Nel settembre 1928 la re­
pubblica venne convertita in monarchia, mentre Zogu si autoproclamava re degli albanesi.
La penosa situazione
economica e sociale
sotto il regime zoghista
Il regime zoghista fu, dal prin­
cipio alla fine, una feroce dit­
tatura antidemocratica dei grandi
proprietari terrieri e della bor­
ghesia reazionaria.
La base interna su cui poggiava tale regime era costituita
dai latifondisti, dalla grande borghesia mercantile, dalle no­
tabilità rurali e dai bajraktar delle regioni di montagna.
Queste forze servirono da base sociale al regime zoghista du­
rante i 15 anni della sua esistenza.
Zogu segui fino in fondo una politica interna ed estera
antipopolare e antinazionale. La dittatura di Zogu mantenne
intatti i residui dei rapporti feudali, rafforzò lo sfruttamento
latifondistico e capitalistico, creò un intero sistema di spolia­
zioni a danno delle masse popolari. Essa frenò lo sviluppo
economico e culturale, lasciando il paese in uno stato d’arretra­
tezza e d’ignoranza.
Zogu soppresse ogni istituzione e ogni libertà democra­
tica, proibì la formazione di organizzazioni e di partiti
politici e soffocò ogni tentativo di libera espressione di pen­
siero e d’organizzazione. Regnò con metodi di terrore e, sotto
la bandiera dell’anticomunismo, combattè ogni idea progressista.
L’apparato oppressivo del regime era corrotto da cima
a fondo. Esso poggiava in particolar modo sulla gendarmeria
e la polizia. L’esercito aveva un carattere profondamente anti­
popolare ed era mantenuto esclusivamente per proteggere il
potere politico latifondistico-borghese dalla rivolta delle masse
lavoratrici. Tutte le forze armate erano organizzate e dirette
da stranieri, agenti dell’imperialismo.
Cosciente dell’instabilità del proprio potere, la cricca zo­
ghista sollecitò l’aiuto degli Stati imperialisti. All’inizio, essa
compensò il governo jugoslavo per l’aiuto fornitole con la
concessione di una parte del territorio albanese, quindi si legò
con l’Italia e l’Inghilterra, due delle grandi potenze imperia­
19
listiche più interessate ai Balcani in generale, e allo sfrutta­
mento delle ricchezze del sottosuolo albanese in particolare.
Nei confronti delle potenze straniere capitalistiche Zogu
seguì la politica della «porta aperta». Questa politica si con­
centrò gradatamente negli stretti legami economici e politici
con l'Italia fascista, la quale non risparmiava i suoi sforzi per
sottomettere l’Albania alla propria totale dipendenza. Tali le­
gami aprirono la strada alla colonizzazione fascista. I gruppi
finanziari italiani presero nelle proprie mani le più importanti
miniere, la maggior parte dei lavori pubblici, le dogane e
quasi tutto il commercio estero del paese. Gli stessi obiettivi
di rapina erano perseguiti anche dai prestiti a tasso elevato
che il governo di Roma accordava alla cricca zoghista e che
servivano innanzitutto ad accrescere le ricchezze personali del
re e della sua cerchia. Il capitale italiano, divenuto così il
vero padrone dell’economia nazionale albanese, convertì il paese
in un mercato di smercio dei suoi prodotti industriali e in
una fonte di materie prime per la propria economia.
Gli accordi economici che aprirono la strada alla penetrazione del capitale italiano furono accompagnati da patti
politici, come quelli di Tirana degli anni 1926-1927. Questi
patti misero la cricca di Zogu a rimorchio dell’Italia fascista.
L’Albania si stava così trasformando in una semicolonia del­
l’imperialismo italiano.
La penetrazione del capitale straniero in Albania diede
alla economia del paese un carattere unilaterale. La politica
colonialistica italiana, le sopravvivenze spiccatamente feudali e
l’assenza di una politica economica nazionale stimolatrice costi­
tuivano altrettante ragioni per cui il paese restò di fatto senza
industria. Nel 1938 in Albania c’erano circa 300 piccole fab­
briche e opifici. Circa la metà di tali stabilimenti impiegavano
meno di 10 operai ciascuno. In queste fabbriche e opifici,
nonché nelle miniere, lavoravano in tutto circa 7.500 operai.
La classe operaia aveva raggiunto adesso un totale di circa
15.000 persone, però essa restava ancora sparsa e legata a
forme primitive di produzione. Una buona parte degli operai
era costituita dagli apprendisti dell’artigianato e dai commessi
del commercio. La massiccia disoccupazione e la mancanza
di qualsiasi legislazione del lavoro permettevano alle società
e ai proprietari capitalisti, protetti dell’apparato statale, di
sfruttare spietatamente gli operai. Nelle imprese che impie­
gavano congiuntamente operai albanesi e stranieri, quelli alba­
nesi erano soggetti a una feroce discriminazione. Per un lavoro
20
uguale, l’operaio albanese percepiva un salario parecchie volte
inferiore a quello di un operaio italiano.
Anche in agricoltura i rapporti capitalistici conobbero un
ulteriore sviluppo. Nonostante il costante rafforzamento dei con­
tadini ricchi, questi non riuscirono mai a trasformarsi in una
evoluta borghesia agraria. I rapporti capitalistisci si difusero
soprattutto nelle aziende agricole statali, nonché in quelle
fondate dalle società capitalistiche italiane. Tali aziende im­
pegnavano alcune migliaia di braccianti a giornata.
L’Albania continuò a essere, sotto il regime zoghista, il
più arretrato paese agricolo d’Europa. Nel 1938, circa 1’87 per
cento della popolazione occupata nella produzione si dedicava
all’agricoltura, mentre soltanto il 13 per cento era impiegata
nell’industria e negli altri rami dell’economia nazionale; la
produzione industriale e artigianale costituiva soltanto il 9,8
per cento della produzione globale, mentre i redditi prove­
nienti dall’iridustria rappresentavano il 4,5 per cento del red­
dito nazionale. La forma capitalistica dell’economia, che com­
prendeva soprattutto il settore del commercio, non riuscì a
divenire la forma preponderante nell’economia nazionale alba­
nese. Le tasse erano pesanti e rovinose per le larghe masse
popolari. L’indigenza e la miseria infierivano su tutto il paese.
L’arretratezza economica comportava anche una profonda
arretratezza culturale. Più dell’80 per cento della popolazione
era costituito da analfabeti. Il numero delle scuole era estre­
mamente ridotto, mancavano interamente l’insegnamento su­
periore e le istituzioni culturali e scientifiche. Nessuna cura
veniva dedicata alla salute del popolo, costantemente minac­
ciato da malattie devastatrici.
La politica antipopolare e anti­
nazionale del regime zoghista
suscitò il generale malcontento
delle masse popolari. La lotta per l’attuazione dei compiti
democratici antimperialistici fu rimessa all’ordine del giorno.
Nonostante le difficili condizioni e il terrore zoghista che si
era scatenato in tutto il paese, questa lotta non ebbe tregua.
Le forze democratiche antizoghiste, gli operai e i contadini, la
proseguirono in varie forme.
In parecchie regioni i contadini si sollevarono contro i
proprietari terrieri che cercavano di cacciarli a viva forza dai
latifondi o di appropriarsi delle loro terre, e allo stesso tempo
contro il gravame delle tasse. Questa lotta assunse in alcuni
La formazione del Gruppo
comunista di Korçë
21
casi il carattere di sanguinosi scontri con la gendarmeria
zoghista.
La classe operaia cominciò a svolgere un ruolo sempre
più importante. Ferocemente sfruttati dalle società appaltatrici
straniere e locali, i lavoratori si erano sollevati contro le
ingiustizie di cui erano vittime; essi protestavano e ogni tanto
scendevano in sciopero reclamando il pagamento regolare dei
salari, che spesso veniva ritardato d’uno o più mesi. L’inter­
vento dei reparti della gendarmeria zoghista obbligava spesso
gli operai a riprendere il lavoro senza ottenere soddisfazione
alle loro giuste rivendicazioni.
In quegli anni vennero formate alcune organizzazioni ope­
raie, come l’«Unione Operaia» di Gjirokastër (1925), l’associa­
zione dei lavoranti sarti «Përparimi» («Progresso») a Tirana
(1927) e l’«Unione dei Lavoratori Sarti» a Korçë (1927). Erano
associazioni di apprendisti che avevano lo scopo di promuovere
la solidarietà e di organizzare la mutua assistenza fra gli operai,
di limitare gli effetti delle sopravvivenze delle corporazioni
medioevali, di risolvere i conflitti fra apprendisti e datori di
lavoro, ecc. Simili associazioni non potevano svolgere, e in
realtà non svolsero, alcuna funzione importante nell’organiz­
zazione del movimento operaio.
La lotta dei contadini e degli operai ebbe, sin dall’inizio,
un contenuto antizoghista. Ma era una lotta disorganizzata e
discontinua poiché le mancava una guida rivoluzionaria.
Il movimento delle forze democratiche, il ravvivarsi del
movimento operaio e il generale malcontento nei confronti
del regime avevano ormai preparato il terreno necessario
per un movimento comunista organizzato. Una funzione im­
portante in tale senso fu svolta anche dalle pubblicazioni
marxiste che circolavano fra i gruppi degli operai, degli arti­
giani e degli intellettuali. Tali pubblicazioni entravano nel
paese ad opera di quegli albanesi che, andati all’estero per
studio o lavoro, avevano abbracciato le idee comuniste e si
sforzavano di diffonderle.
Nel 1928, alcuni elementi progressisti, operai e artigiani,
crearono a Korçë la prima cellula comunista. I suoi membri,
quantunque privi di una buona preparazione teorica e politica,
comprendevano tuttavia che l’organizzazione del movimento
comunista era una condizione indispensabile per il felice svi­
luppo del movimento operaio e della lotta delle masse popolari
contro il regime latifondistico-borghese.
In breve tempo a Korçë furono create anche altre cellule.
22
Questo fatto rese necessaria la riorganizzazione del lavoro. A
tal fine fu tenuta, nel giugno 1929, la riunione dei rappresen­
tanti delle cellule comuniste, in cui venne eletto il comitato
direttivo presieduto dall’artigiano Mihal Lako. Vi fu presa la
decisione di lavorare per la formazione di nuove cellule, che
dovevano diffondere le idee comuniste attraverso i gruppi di
formazione ideologico-politica. La riunione decise inoltre che
le cellule fossero collegate con le masse e con il movimento
operaio attraverso le associazioni legali degli operai. A tale
scopo venne stabilito il compito di formare delle associazioni
operaie rivoluzionarie che lottassero per il soddisfacimento
delle rivendicazioni economiche e politiche.
La riunione del giugno 1929 segna la creazione del Gruppo
Comunista di Korçë, storicamente conosciuto come «Puna» di
Korçë, e l’inizio del movimento comunista organizzato. Sotto la
direzione del comitato il movimento comunista a Korçë si ani­
mò. In breve tempo nella città si misero all’opera 8 cellule con
un totale di 40 membri. Ciascuna di esse dirigeva 3-4 gruppi
di formazione ideologica-politica.
Il Gruppo Comunista di Korçë era la prima organizza­
zione politica rivoluzionaria della classe operaia albanese.
La formazione del Gruppo di Korçë avvenne proprio nel
momento in cui iniziava la crisi economica mondiale del capi­
talismo, la quale doveva avere conseguenze disastrose anche
per l’economia dell’Albania. I latifondisti, i proprietari capi­
talisti tentarono di far ricadere tutto il peso della crisi sulle
spalle dei contadini e degli operai. Il calo dei prezzi dei pro­
dotti agricoli rese ancor più grave la già misera condizione
delle masse lavoratrici rurali. Ciò costrinse molti contadini ad
abbandonare la terra e a cercare mezzi di sussistenza nelle
città. Le aumentate difficoltà di vendita delle merci furono
causa della rovina di numerosi artigiani e piccoli commercianti.
Nel contempo molti stabilimenti e fabbriche sospesero o ridus­
sero la loro produzione. Tutto ciò fece salire al massimo il
numero dei disoccupati e portò alla diminuzione dei salari.
Per tale ragione il movimento scioperistico degli operai per
la difesa dei loro diritti assunse più vaste proporzioni. Nel 1929
e nel 1930 scesero in sciopero i lavoratori dei cantieri per la
costruzione di strade e di ponti a Librazhd, Krujë-Burrel,
Shëngjin, Tirana, Vau i Dejës (Shkodër), Rubik, Sinanaj (Tepelenë), seguiti dagli operai che prendevano parte alla costru­
zione del canale di irrigazione a Kavajë, da quelli che lavoravano
23
alla prospezione del minerale di rame a Pukë, dai marittimi
dei battelli da pesca e al trasporto marittimo, ed altri.
Il peggioramento generale della situazione economica e la
carestia abbattutasi sugli strati poveri della popolazione, resero
ancor più vivo il malcontento verso il regime.
L’estendersi del movimento operaio forniva una buona oc­
casione al Gruppo Comunista di Korçë per allargare la propria
attività e legarsi alle masse. Ma esso rimase staccato da questo
movimento perchè non era ben organizzato, mancava di espe­
rienza e di una appropriata preparazione ideologica. Le pub­
blicazioni sul comunismo, studiate dai membri del Gruppo, non
erano tutte marxiste-leniniste. Vi si trovava anche materiale
trotskista, anarchico e soprattutto archiomairxista1, che veniva
fornito loro dall’organizzazione di un gruppo di intellettuali
trotskisti greci.
Il gruppo fu portato a compiere un’importante svolta nella
propria attività grazie al contributo dell’eminente militante
comunista Ali Kelmendi.
Anche all’estero venivano com­
piuti sforzi per organizzare il
movimento comunista albanese.
La III Internazionale Comunista (Comintern), attraverso la Fe­
derazione Comunista Balcanica, prestò un prezioso aiuto all’
organizzazione dei democratici rivoluzionari albanesi che erano
stati costretti a espatriare dopo la repressione della Rivoluzione
di Giugno e l’instaurazione della dittatura zoghista.
Gli insegnamenti tratti dagli avvenimenti del 1924 permisero ai democratici rivoluzionari albanesi di stabilire corret­
tamente, nelle sue grandi linee, il proprio orientamento politico
nell’arena internazionale, dove operavano due forze mondiali
antagonistiche — l’imperialismo e il socialismo. Essi rivolsero
il loro sguardo verso l’Unione Sovietica, che consideravano «il
naturale difensore di tutti i popoli oppressi» e verso il movi­
mento comunista mondiale. Nel marzo del 1925 formarono a
Vienna, in Austria, l’organizzazione democratica denominata
«Comitato nazionale rivoluzionario» (KONARE), mentre un
gruppo di giovani rivoluzionari, ex-membri della società «Ba­
Il movimento comunista
albanese e il Comintern
1 Archiomarxisti erano i membri di una organizzazione anti­
marxista che svolgeva la sua attività in Grecia. Questa denominazione
proveniva dal titolo del loro organo di stampa «Archio Marxismou»
(«Gli Archivi del Marxismo»).
24
shkimi», si recavano nell’Unione Sovietica. Alcuni di loro, che
avevano abbracciato le idee comuniste, frequentarono scuole e
corsi politici del Comintern per acquisirvi nozioni marxisteleniniste. Nell’agosto del 1928 essi formarono il Gruppo Comu­
nista Albanese nell’Unione Sovietica, che aveva la sua sede a
Mosca. L’VIII Conferenza Comunista Balcanica che si riunì in
quello stesso anno raccomandava ai comunisti albanesi di com­
piere un lungo e accurato lavoro di preparazione per la crea­
zione, in Albania, di gruppi comunisti per «l’organizzazione e
l’unione dei più progrediti elementi operai e contadini», allo
scopo di giungere, in seguito, alla formazione del partito co­
munista albanese*.
Il Gruppo Comunista Albanese nell’Unione Sovietica ela­
borò il proprio statuto che venne approvato dal Comintern.
Secondo questo statuto, il principale compito del gruppo era
di lavorare per la fondazione del partito comunista albanese
come sezione albanese del Comintern.
Il gruppo creò immediatamente in seno al «Comitato di
Liberazione Nazionale» (così fu chiamato il KONARE dopo
l’aprile 1927) la propria frazione comunista, che si adoperò a
conservare lo spirito rivoluzionario dell’organizzazione e del
suo organo «Liria Kombëtare» («La libertà nazionale»).
Per l’attuazione pratica dei princìpi contenuti nel suo sta­
tuto, il Gruppo Comunista Albanese nell’Unione Sovietica aveva
il compito essenziale di svolgere una concreta attività rivolu­
zionaria all’interno dell’Albania e di venire così in aiuto al
movimento comunista. Fra i comunisti che a tal fine rientra­
rono in Patria nel 1930 si distinse particolarmente Ali Kelmendi, il quale cercò di attuare la linea del Comintern.
Egli si mise all’opera per creare nuovi gruppi comunisti
clandestini in Albania. Egli costituì una cellula comunista a Ti­
rana e organizzò la frazione comunista in seno all’associazione
dei lavoranti sarti «Përparimi». Per sua iniziativa vennero for­
mate cellule comuniste anche a Vlorë, Krujë ed Elbasan. Queste
cellule erano generalmente piccole e instabili. I loro membri,
in massima parte elementi d’origine piccolo-borghese — inse­
gnanti, impiegati, militari, artigiani, erano sprovvisti di una
solida preparazione ideologica e politica.
Ali Kelmendi stabilì contatti con il Gruppo Comunista di
Korçë che si era chiuso in se stesso. Lo aiutò ad uscire da
* Lettera di G. Dimitrov indirizzata al CE del Comintern, 12
settembre 1929. ACP.
25
questa situazione, raccomandandogli di combinare il lavoro
illegale con il lavoro legale, di prendere attivamente parte alle
associazioni legali di operai, di estendere la sua attività nelle
altre città e in particolar modo nei centri operai, di tradurre
pubblicazioni marxiste che dovevano servire all’elevamento
ideologico dei comunisti. Quantunque internato dalle autorità
zoghiste in varie città, egli si sforzò di mantenere contatti
con le organizzazioni comuniste e di fornire loro tutto il suo
aiuto. Il suo internamento a Korçë nel 1932 gli diede la pos­
sibilità di collaborare direttamente con il locale Gruppo Comu­
nista. La riunione allargata del comitato direttivo, tenutasi nel
luglio 1932, ed alla quale partecipò anche Ali Kelmendi, aprì al
gruppo più chiare prospettive. Il Gruppo di Korçë da allora
in poi adottò una più solida piattaforma politica ed organiz­
zativa. Di conseguenza, anche la sua attività entrò in una
nuova fase di sviluppo.
Le prime organizzazioni
operaie dirette dai
comunisti
I comunisti si misero in moto
per svolgere un’opera quanto più
proficua possibile fra le masse.
Il perdurare della crisi econo­
mica creava condizioni favorevoli per tale lavoro. Gli scioperi
operai si susseguivano. Gli operai edili continuavano a mante­
nersi all’avanguardia del movimento scioperistico. Era perciò
naturale che il Gruppo di Korçë rivolgesse la propria atten­
zione, innanzitutto, verso questa categoria di lavoratori. Per
sua iniziativa, nel settembre 1933, venne formata a Korçë
l’associazione «Puna» («Lavoro»). Ne facevano parte non solo
gli operai, ma anche i maestri delle varie categorie che si
occupavano di costruzioni, i quali venivano sfruttati dagli im­
prenditori capitalisti. L’associazione «Puna» era diretta dalla
frazione comunista. Suo presidente era Pilo Peristeri, membro
del comitato del Gruppo di Korçë. In breve tempo l’associazione
riunì nelle proprie file circa 500 membri. Per evitare le persecu­
zioni della gendarmeria, l’associazione «Puna», nel suo statuto
approvato dal governo, si presentava come una associazione
assistenziale senza obiettivi politici. Ma il suo vero programma
venne approvato nella riunione semiclandestina organizzata dai
comunisti. Secondo questo programma, l’associazione «Puna» era
un’organizzazione rivoluzionaria che doveva difendere i diritti
degli operai e lottare, nello stesso tempo, contro il regime
zoghista, per la libertà e la democrazia.
26
Questo primo risultato incoraggiò i comunisti del Gruppo
di Korçë a estendere la loro attività. Seguendo l’esempio della
associazione «Puna», per iniziativa dei comunisti, furono create,
durante il 1934, le organizzazioni sindacali dei lavoratori calzo­
lai, sarti, degli autisti, e altre.
Il Gruppo comunista di Korçë estese altresì la propria
influenza tra gli allievi delle scuole medie della città, i quali
si distinguevano per i loro sentimenti patriottici progressisti.
Con gli elementi più rivoluzionari fu anche creata una cellula
comunista.
Ma il gruppo continuava però a rimanere chiuso nella
città di Korçë. I suoi contatti con le altre organizzazioni comu­
niste erano deboli o del tutto inesistenti. Nella riunione del­
l’agosto 1934 esso decise di estendere la propria attività comu­
nista ad altre città del paese, senza però ottenere risultati tan­
gibili.
Parallelamente all’estensione dell’attività rivoluzionaria del
Gruppo di Korçë, s’inasprì anche la lotta ideologica all’interno
delle sue file. Gli elementi trotskisti si scagliarono con furore
contro la linea seguita da Ali Kelmendi e contro la parte
sana del Gruppo. Essi si sforzarono di ostacolare con ogni
mezzo l’estendersi dell’influenza dei comunisti fra le masse.
Il loro principale rappresentante, Niko Xoxi, mirava a impa­
dronirsi della direzione del Gruppo per costringerlo ad accettare
le sue concezioni trotskiste. Al fine di legittimare il proprio
lavoro ostile, egli propagava largamente la «teoria dei quadri»,
presa in prestito dagli archiomarxisti greci. Secondo questa
«teoria», i comunisti non dovevano agire, penetrare fra le
masse e organizzarle, ma dovevano rimanere chiusi nelle pro­
prie cellule occupandosi unicamente della formazione teorica.
Il Gruppo di Korçë non poteva svolgere con successo la
propria attività senza colpire duramente il trotskista Niko Xoxi.
Perciò, la riunione allargata del comitato direttivo decise di es­
pellerlo dal suo seno, permettendogli però di rimanere membro
del Gruppo. Questa mezza misura permise a Niko Xoxi e agli
altri elementi archiomarxisti di intensificare la loro ostile attività
scissionistica all’interno del Gruppo e tra le file delle associa­
zioni operaie. Soltanto il grande lavoro di chiarimento della
parte più salda dei comunisti fece sì che Niko Xoxi venisse
quasi completamente isolato.
27
Il movimento comunista in Al­
bania s’era ormai diffuso in
varie città. Negli anni 1934-1935
nuove organizzazioni comuniste
furono create a Tirana, Shkodër, Fier, Vlorë, Elbasan, Gjirokastër. Ma anche queste organizzazioni non erano composte
di operai, erano piccole e agivano generalmente ognuna per
suo conto. Esse diffondevano le idee comuniste, ma la loro
propaganda era limitata, saltuaria ed estranea ai problemi po­
litici ed economici che si ponevano al paese. Di queste nuove
organizzazioni, soprattutto a Tirana, facevano parte anche al­
cuni ufficiali comunisti.
Per lo sviluppo del movimento comunista in Albania c’era
un terreno molto propizio, dovuto, come scriveva in quel tempo
Ali Kelmendi, «al vivo e irriducibile carattere della lotta del
popolo albanese contro il regime, da una parte e, dall’altra, al
tradimento, all’indecisione e alla passività degli uomini poli­
tici delle altre tendenze»*.
In queste condizioni, il rafforzamento del movimento co­
munista poteva essere assicurato con lo stabilire di solidi legami
fra le diverse organizzazioni comuniste e con l’organizzare un
vasto movimento democratico, antizoghista e antimperialista fra
gli operai, i contadini, i militari e i giovani che costituivano
la schiacciante maggioranza della popolazione e che avevano
profondamente risentito delle conseguenze della politica anti­
popolare e antinazionale di Zogu.
Il Comitato di Liberazione Nazionale, che si era prefisso
di organizzare il movimento antifeudale e antifascista, quan­
tunque avesse svolto un buon lavoro di propaganda mediante
la stampa e la diffusione di volantini, era pur sempre ri­
masto un’organizzazione di fuorusciti e non aveva propaggini
all’interno dell’Albania. Il lavoro clandestino sotto il regime
oppressivo di Zogu esigeva sacrifici, mentre i dirigenti del­
l’organizzazione non s’erano mostrati molto inclini a sopportarne.
D’altra parte, i comunisti all’interno dell’Albania, a causa del
loro orizzonte ideologico generalmente limitato, non comprende­
vano l’impellente necessità di creare un vasto movimento de­
mocratico e antimperialistico. Ma l’odio contro il regime di
Zogu, i loro sentimenti progressisti e rivoluzionari nonché il
La partecipazione dei
comunisti al movimento
democratico antizoghista
* A. Kelmendi, Rapporto inviato al Comintern, 14 dicembre 1936.
ACP.
28
loro patriottismo spinsero i comunisti a prendere attivamente
parte al movimento antizoghista degli anni 1934-1935.
Nel 1934 le relazioni tra l’Albania e l’Italia divennero
molto tese a causa dei tentativi di Zogu di legarsi alle altre po­
tenze imperialiste, il che era in opposizione con i piani colonialistisci dell’Italia. Il governo di Roma, avendo intenzione di
trasformare quanto prima l’Albania in una sua colonia e allo
scopo di costringere Zogu a capitolare, inviò la sua flotta da
guerra nella baia di Durrës. Zogu cedette dinanzi alla pressione
dell’Italia, e ciò diede nuovo impulso al movimento antizoghista.
Sin dall’aprile 1934, un gruppo di ex ufficiali e di intellettuali
borghesi aveva creato un’organizzazione segreta il cui scopo
era di rovesciare la monarchia zoghista, instaurare il regime
repubblicano ed eliminare l’ingerenza italiana in Albania.
Questa organizzazione aveva limitato la sua attività ai circoli
militari e intellettuali borghesi. All’organizzazione segreta ade­
rirono l’organizzazione comunista di Tirana e alcuni ufficiali
comunisti, noti quali militanti antizoghisti.
Il Gruppo Comunista di Korçë, nella sua riunione dell’agosto
1934, avendo esaminato la questione della sua eventuale parteci­
pazione all’organizzazione segreta, decise di approfittare di
questa occasione nell’interesse del movimento democratico antizoghista e, se l’insurrezione fosse esplosa, di parteciparvi come
forza indipendente con un proprio programma particolare. Tale
programma prevedeva: la proclamazione della repubblica de­
mocratica popolare; l’annullamento di tutti gli accordi asser­
venti che legavano il paese all’Italia fascista; la soppressione
dei monopoli e delle concessioni; l’amnistia per i detenuti
politici. Ma il Gruppo di Korçë non si mobilitò per ampliare
il movimento antizoghista ed esercitare su di esso la propria
influenza, rimase invece in una posizione di attendismo.
Il governo di Zogu scoprì l’esistenza del movimento e si
affrettò a prendere provvedimenti. I capi del movimento furono
costretti a dare il via all’insurrezione innanzi tempo, il 14
agosto 1935, a Fier. Ma l’insurrezione fu rapidamente repressa
dalle forze governative. La mancanza d’organizzazione e il
prematuro inizio del sollevamento compromisero gravemente
l’attuazione del piano operativo. Non riuscirono a conseguire il
loro scopo neppure gli insorti guidati dal comunista Riza
Cerova (rientrato in patria dall’Unione Sovietica nel marzo
1935), il quale fu ucciso dai gendarmi di Zogu, mentre combat­
teva convinto, come aveva scritto ai suoi, che il popolo sarebbe
29
divenuto libero solo quando avesse rovesciato le classi sfrut­
tatrici.
L’insurrezione di Fier fallì. Era immancabile che tale fosse
la sua conclusione, poiché le mancava una salda guida rivolu­
zionaria, le mancava l’organizzazione ed era rimasta distaccata
dalle masse popolari urbane e rurali, che non erano state
preparate per essa. L’opposizione antizoghista borghese si di­
mostrò del tutto incapace di organizzare e di dirigere un
vasto movimento popolare. Inoltre, al movimento si erano mes­
colati elementi reazionari fascisti, i quali tentarono di farne un
mezzo per l’attuazione delle mire dell’Italia fascista in Albania.
I comunisti che parteciparono al movimento, quantunque ri­
soluti a portarlo fino in fondo, non riuscirono a porsi alla
sua testa, a prepararlo sotto tutti gli aspetti e a dotarlo di un
chiaro programma politico. Tutte queste circostanze fecero sì
che l’insurrezione si risolvesse in un putsch. Tuttavia essa
costituiva una manifestazione dello sdegno e del malcontento
contro il regime oppressivo latifondistico-borghese. Essa rivestì
un’importanza politica notevole e la sua eco superò i confini
dell’Albania. Contro i provvedimenti terroristici adottati da
Zogu dopo la repressione dell’insurrezione, si sollevò l’opi­
nione democratica sia all’interno del paese che all’estero.
L’insurrezione, come scriveva Ali Kelmendi, era «il battesimo
del fuoco, la pietra di paragone» per i comunisti albanesi.
«Questa prova, essi l’hanno superata con onore, dimostrandosi
degni fratelli dei comunisti degli altri paesi»*.
3. L’ESTENDERSI DEL MOVIMENTO COMUNISTA E LA
LOTTA CONTRO IL PERICOLO FASCISTA
NEGLI ANNI 1935-1939
Negli anni’ 30 la lotta dei popoli sovietici, guidati dal
Partito Bolscevico con alla testa G. Stalin, per la costruzione
della società socialista fu coronata con la vittoria. L’Unione So­
vietica si trasformò in una grande potenza industriale dotata
di un agricoltura socialista avanzata.
* A. Kelmendi. Rapporto inviato al Comintern, 14 dicembre 1936.
ACP.
30
Intanto, la profonda crisi economica degli anni 1929-1933
aveva scosso dalle fondamenta il mondo capitalista, inasprendo
sensibilmente le contraddizioni, che lo dilaniavano. Per uscire
da questa difficile situazione, la borghesia imperialista di pa­
recchi paesi cominciò ad appoggiare il fascismo, e cioè la dit­
tatura terroristica più reazionaria e più sciovinistica del capi­
tale finanzierio. Un pericolosissimo focolaio di guerra si creò in
Germania con l’ascesa al potere dei nazisti nel 1933. I fascisti
si scagliarono furiosamente contro il movimento operaio, comu­
nista e democratico, preparandosi febbrilmente a scatenare
guerre di aggressione. Il pericolo di una nuova guerra mondiale
aumentò ancor più con l’aggressione del Giappone militarista
contro la Cina nel 1931 e dell’Italia fascista contro l’Abissinia
nel 1935.
Il mondo era minacciato dal pericolo fascista, dal peri­
colo di un’altra guerra mondiale. Le potenze occidentali, cosid­
dette «democratiche», come l’Inghilterra, la Francia e gli USA
non solo non presero alcun provvedimento efficace contro tale
pericolo, ma aiutarono anzi il militarismo dei paesi fascisti e,
mediante la loro politica di triste fama del «non intervento»,
stimolarono l’aggressione fascista con lo scopo di indirizzarla
contro l’Unione Sovietica.
Soltanto il governo sovietico e i partiti comunisti dei
vari paesi lottarono con tutte le loro forze per porre un freno
agli aggressori.
La situazione internazionale po­
neva nuovi compiti dinanzi ai
partiti comunisti di tutto il mon­
do. Il VII Congresso dell’Internazionale Comunista, riunitosi
a Mosca nel luglio del 1935, rilevò la necessità di ampliare
il fronte della lotta contro l’offensiva del capitale e del fascismo.
In questo quadro il Congresso pose il compito di lottare per
la creazione di un fronte unico della classe operaia contro
il fascismo, assicurando l’unità d’azione degli operai, e di for­
mare, su tale base, un vasto fronte popolare antifascista. Per
attuare questi compiti i partiti comunisti dovevano superare
una serie di deficienze, quali le manifestazioni di lavoro set­
tario con le masse, migliorare i metodi di agitazione e di pro­
paganda, lanciarsi coraggiosamente nelle azioni rivoluzionarie.
Il Congresso fece appello a tutti i popoli, invitandoli a mobili­
Il VII Congresso dell’In­
ternazionale Comunista
31
tare le loro forze per venire in aiuto ai paesi che lottavano
per la loro indipendenza contro il giogo imperialista.
Le decisioni del VII Congresso del Comintern segnavano
una nuova tappa nell’ulteriore sviluppo del movimento comu­
nista e operaio internazionale. La loro creativa attuazione nelle
concrete condizioni di ciascun paese apriva ai comunisti la
via per mettersi alla testa delle larghe masse popolari e per
divenire la principale forza dirigente del movimento operaio,
democratico e antimperialistico.
Queste decisioni erano di somma importanza per tutti i
paesi e in particolare per quelli che, come l’Albania, erano
direttamente minacciati dal fascismo.
La pressione dell’Italia fascista
sull’Albania e la sottomissione dì
Zogu portarono alla conclusione
degli accordi italo-albanesi del
marzo 1936, che segnavano un importante passo verso il totale
asservimento del paese all’Italia fascista.
In tali condizioni in Albania, parallelamente alla prosecu­
zione della lotta contro lo sfruttamento capitalistico e il regime
zoghista, acquistava un’importanza sempre maggiore la lotta
contro gli oppressori fascisti. La borghesia albanese era stret­
tamente legata al regime zoghista e non poteva guidare la
lotta per la salvaguardia della libertà e dell’indipendenza del
paese. Anche le forze democratiche borghesi che proseguirono
la lotta contro il regime zoghista e contro la sottomissione
all’Italia, dopo il fallimento dell’insurrezione di Fier, non furono
più in grado di dirigere il movimento antizoghista e antifasci­
sta a causa della loro mancanza di decisione e d’organizzazione.
L’unica forza rivoluzionaria capace di assicurare attraverso
la lotta i diritti democratici e la difesa della libertà e dell’indipendenza della patria erano ora i comunisti, i quali si
misero a capo non solo del movimento operaio ma anche del
movimento popolare, antizoghista ed antifascista.
L’insurrezione di Fier aveva scosso il regime zoghista e
screditato la sua politica. Il re, come scriveva Ali Kelmendi,
fu costretto «a intraprendere una manovra demagogica per
guadagnar tempo, per riprender fiato dopo il colpo subito e
preparare una nuova offensiva contro il popolo». Nell’ottobre
del 1935 egli portò al potere un nuovo governo, «liberale», questa
I comunisti alla testa del
movimento
rivoluzionario
in ascesa
32
volta, il quale non mancò di fare clamorose promesse di ri­
forme.
Le libertà da esso proclamate, benché molto limitate
furono messe a profitto dai comunisti per intraprendere nuovi
passi verso l’ulteriore organizzazione della classe operaia e
l’estensione della loro influenza tra le larghe masse del popolo.
Nell’autunno del 1935 cominciò a muoversi il più impor­
tante centro operaio del paese, Kuçovë (oggi Qyteti Stalin), am­
ministrato in quel periodo dall’Azienda Italiana Petroli Albania
(AIPA). Circa 1.600 operai albanesi lavoravano all’estrazione
del petrolio e nei settori ausiliari. Sin dalla metà del 1934 era
stato formato a Kuçovë, su iniziativa dei comunisti, un nucleo
clandestino per l’organizzazione del sindacato degli operai del
petrolio. Nell’ottobre del 1935 esso formò l’associazione «Puna»,
che venne riconosciuta dal governo. Anche se nel suo statuto,
per evitare gli ostacoli che il governo poteva frapporre, si dichia­
rava che l’associazione «Puna» veniva costituita per «difendere
la dignità e gli interessi dei suoi membri e per prestar loro
un’assistenza morale e materiale», essa divenne immediatamente
una organizzazione operaia rivoluzionaria antizoghista e anti­
fascista. Nel giro di un anno essa annoverava nelle sue file
oltre 1500 membri.
L’associazione «Puna» di Kuçova presentò al governo e al
parlamento una petizione con cui si chiedeva l’istituzione della
giornata lavorativa di 8 ore, l’adozione di provvedimenti per
il miglioramento delle condizioni d’alloggio, di vitto e di igiene,
nonché l’adozione di alcuni provvedimenti di previdenza sociale.
Gli operai chiedevano inoltre di non essere più costretti dai
padroni stranieri a fare il saluto romano. Avendo il rappresen­
tante del governo, inviato a Kuçovë, respinto le loro rivendica­
zioni, gli operai protestarono organizzando un breve sciopero
e una manifestazione contro di lui. L’AIPA, appoggiata dal
governo, licenziò i dirigenti e altri attivisti dell’associazione.
Con uno scopo apertamente antialbanese, l’AIPA decise che il
28 novembre 1935, giorno in cui ricorreva la festa dell’indipen­
denza, fosse giornata lavorativa. Quel giorno l’associazione
«Puna» organizzò una potente manifestazione diretta princi­
palmente contro i fascisti italiani.
Nel gennaio del 1936 essa decise di indire uno sciopero
in appoggio alle sue rivendicazioni. L’11 febbraio tale sciopero
assunse un carattere generale. Il governo inviò nume­
rosi reparti di gendarmeria, al comando del ministro degli
33
interni in persona, per reprimere il movimento. Furono arre­
stati 60 operai fra quelli più progressisti e ne vennero allonta­
nati da Kuçova altri 300, che furono trasferiti in varie città.
L’associazione «Puna» praticamente cessò di esistere.
Lo sciopero generale, nonostante il suo fallimento, fu di
grande portata. Per gli operai esso era stato una scuola rivolu­
zionaria. D’altro canto, esso costrinse il governo a chiedere agli
imprenditori, sebbene formalmente, di assicurare più adeguate
condizioni di lavoro ai loro dipendenti.
Parallelamente al movimento di sciopero, nelle altre re­
gioni del paese si diffondeva un potente movimento popolare
contro la carestia e il regime zoghista. Nell’autunno del 1935
la carestia aveva raggiunto il suo culmine. Migliaia di persone
rischiavano di morire di fame. L’esercito dei disoccupati s’era
notevolmente ingrossato. Il malcontento e l’indignazione si era­
no impadroniti di vari strati sociali, specialmente delle masse
indigenti delle città e delle campagne.
Avevano una parte attiva nel movimento gli artigiani che
andavano in rovina per via della concorrenza della produzione
industriale. La loro lotta era alimentata dalle illusioni piccolo­
borghesi sulla possibilità di conservare la piccola produzione e
di far arrestare la produzione delle fabbriche. Quantunque tali
rivendicazioni fossero utopistiche, la lotta era in sostanza di­
retta contro la miseria che s’era abbattuta su tutto il paese.
Il Gruppo Comunista di Korçë seppe trar profitto dalla
situazione che si era venuta a creare, porsi alla testa delle
masse popolari e dare alla loro lotta un carattere politico. Le
frazioni comuniste dell’associazione degli operai edili «Puna»,
dell’associazione dei calzolai, dei sarti, della «Lega degli Impie­
gati Privati», un’altra organizzazione sindacale che fu creata
nel dicembre del 1935, ecc., intensificarono la loro azione per
organizzare il movimento, renderlo più di massa e più compatto
e dirigerlo contro il regime zoghista. Il 21 febbraio 1936 esplose
a Korçë la grande manifestazione antizoghista che è entrata
nella storia con il nome di «manifestazione del pane». Il san­
guinoso scontro con le forze di gendarmeria non impedì agli
operai e agli artigiani, a cui s’erano uniti gli allievi delle scuole
medie, di organizzare nel pomeriggio una nuova manifestazione.
L’urto con i gendarmi assunse un carattere di ancor maggiore
violenza.
La manifestazione del pane a Korça fu una grande azione
popolare antizoghista organizzata e diretta dai comunisti. Essa
ebbe vasta eco in tutto il paese e seminò il panico fra le auto­
34
rità e le classi dominanti; e con il suo esempio, inspirò le
masse popolari delle altre regioni. Manifestazioni contro la
carestia avvennero anche a Gjirokastër, Sarandë, Leskovik, Bilisht, Pogradec e Berat. Altre manifestazioni popolari antizoghiste si svolsero a Vlorë e ad Elbasan.
Nel settembre del 1936 il governo zoghista espulse Ali
Kelmendi dall’Albania. Prima di partire, egli s’incontrò a Gjirokastër con Enver Hoxha, che era appena rientrato in Patria e
si distingueva come attivo militante comunista.
Gli avvenimenti del 1936 testi­
moniavano di quanto l’influenza
dei comunisti si fosse estesa fra
le masse, ma sul piano nazionale tali risultati erano ancora
oltremodo limitati. Spettava quindi alla stampa svolgere un
ruolo particolare per estendere tale influenza. La severa cen­
sura zoghista non dava loro modo di esprimere apertamente
sulla stampa i propri punti di vista. Infatti pochi furono gli
scritti di ispirazione progressista che essi riuscirono a pubbli­
care sugli organi della stampa borghese.
«Liria kombëtare» così come i due opuscoli della frazione
comunista del Comitato di Liberazione Nazionale, pubblicati
rispetivamente nel 1934 e nel 1935, presentavano un programma
rivoluzionario per il rovesciamento del regime di Zogu e per
l’instaurazione della repubblica popolare, mentre i giornali «Populli» e «Sazani», organi del gruppo dei comunisti albanesi di
Lione (Francia), avevano una limitatissima diffusione in Alba­
nia, pervenendo principalmente a ristretti circoli di intellettuali.
La necessità di diffondere ampiamente all’interno del paese
le idee democratiche, antifeudali e antimperialistiche aveva
reso assolutamente necessario l’impiego di nuove forme di la­
voro da parte dei comunisti. Essi avevano cominciato a utiliz­
zare fruttuosamente le associazioni culturali e artistiche. L’as­
sociazione «Besa shqiptare» («Fede albanese»), creata sin dal
1929 dagli allievi del ginnasio di Shkodër, e il gruppo teatrale
dell’associazione «Puna» di Korçë acquistarono vasta popolarità
con le loro rappresentazioni teatrali pervase di spirito patriot­
tico e progressista. Nel frattempo le organizzazioni comuniste
di Tirana e di Korça approfittarono immediatamente delle cir­
costanze createsi dopo l’avvento al potere del governo «liberale»
per pubblicare organi che ebbero una vasta eco in tutto il paese.
Tra questi organi il più importante era «Bota e Re»
La stampa diretta dai
comunisti
35
(«Mondo Nuovo»), che cominciò a uscire a Korçë nell’aprile del
1936. Quantunque nei suoi articoli, a causa della censura, ci
si esprimesse alla maniera di Esopo, «Bota e Re» divenne una
potente arma di critica contro il regime al potere e contro
le piaghe della società albanese. Essa svolse un’aspra lotta
contro l’ideologia reazionaria fascista e trattò con spirito de­
mocratico rivoluzionario i fondamentali problemi sociali e poli­
tici che si ponevano al popolo, invitando l’opinione democratica
albanese a lottare per la loro soluzione. «Bota e Re» divenne
l’organo più caro agli operai, agli artigiani progressisti, ai gio­
vani e agli intellettuali democratici.
Estensione delle organiz­
zazioni comuniste. Il
Gruppo Comunista di
Shkodër
Gli
avvenimenti
rivoluzionari
degli anni 1935-1936 costituivano
un importante successo per il
movimento comunista. Ma essi
avevano messo in luce, nello
stesso tempo, una serie di deficienze nell’organizzazione del
movimento operaio e antizoghista. Il primo compito che s’im­
poneva in simili circostanze era quello di estendere il movi­
mento comunista in tutto il paese, di stabilire più solidi con­
tatti fra le organizzazioni e di coordinarne l’attività.
A tal fine il Gruppo Comunista di Korçë si scelse, nel
dicembre del 1936, un nuovo comitato direttivo che fu incari­
cato di svolgere la sua attività in tutti distretti del paese.
Questo comitato mirava a diventare il centro dirigente del
movimento comunista albanese. Non riuscì però a conseguire
il suo obiettivo. Nuove organizzazioni del Gruppo di Korçë
vennero create soltanto a Berat e a Tirana, dove fu altresì
formata l’associazione degli operai tipografi. Il lavoro compiuto
da questo gruppo nelle varie zone del paese aveva un carat­
tere superficiale e discontinuo. Il reclutamento di nuovi ele­
menti non avveniva in base a una profonda conoscenza dei
candidati. Da ciò, l’infiltrazione nelle file dell’organizzazione
di elementi antimarxisti che recarono pregiudizio al movimento
comunista.
In quel periodo un nuovo e importante focolaio del mo­
vimento comunista albanese si stava formando a Shkodër. La
prima organizzazione comunista fondata in quella città sin dal
1934 aveva esteso la sua attività, nuove cellule e gruppi di
simpatizzanti furono creati. Il Gruppo Comunista di Shkodër
ebbe ramificazioni a Tirana, Elbasan, Gjirokastër, Korçë e al­
36
trove. Per dirigere le organizzazioni, nel 1937 vennero creati
comitati regionali a Shkodër e a Tirana. Capo del gruppo era
Zef Mala, un intellettuale di errate vedute teoriche e con una
visione politica particolarmente confusa.
L’attività del gruppo fra le masse era limitata ai circoli
scolastici, artigianali e ad alcuni centri operai. La creazione
dell’organizzazione della gioventù a Shkodër e a Tirana e la
formazione dell’associazione degli operai falegnami a Tirana
costituiscono alcuni dei suoi successi di maggior rilievo.
Mancavano al Gruppo di Shkodër una chiara e ben defi­
nita linea politica, una forma organizzativa ben determinata,
una solida disciplina e una rigorosa osservanza del segreto
nelle sue file. Le cellule, generalmente composte di tre membri,
si occupavano principalmente della propria preparazione teorica.
Le pubblicazioni impiegate a tale scopo e che comprendevano
una serie di opere dei classici del marxismo-leninismo servi­
rono a diffondere le idee comuniste. Tuttavia, così come avve­
niva negli altri gruppi, anche nelle organizzazioni del Gruppo
di Shkodër circolavano pubblicazioni trotskiste e anarchiche.
Sulla via del suo sviluppo, il movimento comunista alba­
nese dovette affrontare seri ostacoli frappostigli dai trotskisti.
All’inizio del 1937 era giunto in Albania, proveniente da Atene,
Andrea Zisi, — con lo pseudonimo di «Zjarri» («Fuoco»), —
che pretendeva di essere il presidente di un cosiddetto «par­
tito comunista albanese», formato in Grecia e a suo dire ri­
conosciuto dal Comintern! In realtà egli era il dirigente di un
gruppo trotskista creato ad Atene nel 1936 e noto sotto il nome
di Gruppo dello «Zjarri». A. Zisi si prefiggeva di fondere i
vari gruppi comunisti albanesi nel proprio «partito» e di co­
stringerli ad accettare la sua linea antimarxista. Il Gruppo di
Korçë non riconobbe il «partito» dello «Zjarri» e si dichiarò
pronto a collaborare con esso solo nel caso che questo avesse
aderito alla piattaforma del Gruppo. Nel frattempo A. Zisi
stabilì dei contatti con il frazionista N. Xoxi, con cui riuscì
ben presto a intendersi. Ambedue coordinarono la loro lotta
contro il Gruppo Comunista di Korçë.
Da parte sua, a Tirana, Aristidh Qendro aveva cominciato
a svolgere un’attività ostile contro il movimento comunista.
La sua appartenenza al Gruppo di Korçë era del tutto formale
e l’assenza di controllo da parte dei dirigenti gli aveva per­
messo di agire senza venire smascherato. A nome del gruppo
egli aveva reclutato a Tirana un certo numero di membri,
37
cui impartiva un’educazione basata sulle proprie concezioni
antimarxiste. Nel 1937 tutti costoro erano degenerati in un
gruppo di trotskisti.
In quel periodo il Gruppo Comunista di Shkodër fece il
primo tentativo di stabilire contatti con quello di Korçë. Nella
lettera inviata ai comunisti di Korçë nel 1937 esso chiedeva
che questi, avendo maggiore esperienza, gli prestassero il loro
aiuto per quanto concerneva le questioni d’organizzazione. Il
Gruppo di Korçë si mostrò pronto a fornire il proprio contri­
buto, ma N. Xoxi riuscì con le sue mene a sabotare l’attua­
zione di tale collaborazione. Presentandosi quale rappresen­
tante del Gruppo Comunista di Korçë, egli aveva informato il
Gruppo di Shkodër della creazione del «partito comunista
albanese» in Grecia e del prossimo arrivo del suo «comitato
centrale» in Albania. N. Xoxi accusava i dirigenti del Gruppo
di Korçë e Ali Kelmendi d’essere nazionalisti e scissionisti
del movimento comunista. Le sue concezioni trovarono un
terreno favorevole presso i capi del Gruppo di Shkodër fra
i quali dominava la confusione ideologica. Zef Mala e Niko
Xoxi ne divennero infatti i principali dirigenti. Il ravvicina­
mento e la collaborazione fra i due principali gruppi comunisti
furono così compromessi.
La scissione era di grande pregiudizio al movimento co­
munista e, di conseguenza, a tutto il movimento democratico
rivoluzionario. In tali circostanze si scatenò la furiosa cam­
pagna anticomunista, dopo che fu salito al potere, nel novem­
bre del 1936, il nuovo governo reazionario. Questo governo
organizzò violente persecuzioni contro i comunisti e contro
tutti gli elementi progressisti. Esso ordinò lo scioglimento delle
associazioni operaie, vietò la formazione di nuove associa­
zioni e permise soltanto la costituzione di corporazioni ope­
raie di tipo fascista sotto la diretta sorveglianza delle
autorità governative. La stampa progressista fu abolita, mentre
una severa censura veniva imposta su tutti i libri, giornali e
riviste, pubblicati nel paese o provenienti dall’estero. Nel 1937
Zogu fece arrestare la maggior parte degli ufficiali comunisti.
D’altro canto il governo zoghista aveva permesso un’ampia
diffusione del fascismo in Albania. Inviati speciali di Musso­
lini si misero all’opera per organizzare la gioventù albanese
secondo il modello fascista. Essi crearono a Korçë un «comitato
di azione» composto di elementi fascisti albanesi e. in tutto il
paese, una vasta rete d’agenti incaricati di preparare il terreno
al totale soggiogamento del paese da parte dell’Italia. Il clero
38
reazionario cattolico adempiva una particolare missione per il
conseguimento di questo obiettivo.
Zogu appoggiò senza riserve la rivolta controrivoluzionaria
scoppiata nel 1936 in Spagna e riconobbe il governo fascista
di Franco.
La politica filofascista profondamente reazionaria di Zogu
suscitò fra i comunisti e i patrioti albanesi una viva inquietu­
dine sulla sorte riservata all’indipendenza del paese. Di giorno
in giorno, essi si rendevano sempre più conto del pericolo
che il fascismo rappresentava per l’Albania e per tutti gli altri
popoli. Le decisioni del VII Congresso del Comintern avevano
portato un diretto contributo a questa presa di coscienza. I
comunisti albanesi consideravano la giusta lotta del popolo
spagnolo come una lotta svolta anche in difesa degli interessi
dell’Albania. I comunisti e gli antifascisti albanesi espressero
con particolare vigore il loro odio verso il fascismo e dimostra­
rono il loro internazionalismo proletario con la loro risoluzione
a partire volontari per la Spagna. Sin dal 1936 i gruppi co­
munisti vi inviarono parecchi dei propri membri a combattere
al fianco del popolo spagnolo. Nelle file delle brigate interna­
zionali, i volontari albanesi, fra cui Asim Vokshi, Thimjo
Gogozoto, Ramiz Varvarica, Zef Hoti, Musa Fratari ed altri,
si batterono valorosamente contro il fascismo. Molti di essi si
immolarono sul campo di battaglia, mentre Teni Konomi, mem­
bro della direzione del Gruppo Comunista di Korçë, fu ucciso
dai fascisti prima ancora di giungere in terra spagnola.
Nelle condizioni dell’aumentato pe­
ricolo fascista che minacciava l’Al­
bania si rivelavano ormai assolutamente
necessarie
non
solo
la
stretta collaborazione fra i gruppi comunisti, ma anche la
riorganizzazione di tutto il loro lavoro nello spirito delle de­
cisioni del VII Congresso dell’Internazionale Comunista.
I primi tentativi d’attuazione della nuova linea del Co­
mintern furono compiuti dai comunisti albanesi all’estero. Su
iniziativa della frazione comunista del Comitato di Liberazione
Nazionale, con sede a Parigi, venne creato, nel marzo del
1936, il «Fronte Democratico» delle organizzazioni politiche
albanesi all’estero. Ma la parte conservatrice della borghesia
antizoghista in esilio, rappresentata in questo fronte dal «Bashkimi Kombëtar» ed essendo politicamente degenerata, non era
più in grado di compiere azioni patriottiche e rivoluzionarie.
La nuova linea del mo­
vimento comunista al­
banese
39
Di conseguenza il «Fronte democratico» non tardò a sciogliersi.
I gruppi comunisti all’interno del paese non avevano an­
cora stabilito regolari contatti con il Comintern, mancando un
partito ufficialmente riconosciuto quale sua sezione. Tuttavia il
Comintern veniva informato di tanto in tanto sia da Ali
Kelmendi che dai comunisti albanesi residenti in Francia, circa
l’attività dei gruppi comunisti in Albania.
Nel dicembre del 1936, Ali Kelmendi presentò un rapporto
alla riunione dei militanti comunisti albanesi che operavano
all’estero. Questa riunione era stata organizzata a Mosca per
iniziativa della Sezione Balcanica del Comintern per analizzare
la situazione del movimento comunista albanese e per fis­
sare i compiti che gli si prospettavano alla luce delle direttive
del VII Congresso del Comintern. Ali Kelmendi chiedeva che
il lavoro per l’organizzazione e la creazione di un partito comu­
nista venisse intensificato. A tale scopo doveva essere creato
un centro d’organizzazione in Albania, il quale doveva appog­
giarsi ai gruppi communisti esistenti nel paese, e in primo luogo
al Gruppo di Korçë. Questo centro avrebbe avuto per compito
«il rafforzamento e la direzione dei gruppi comunisti esistenti,
l’organizzazione del movimento comunista in tutta l’Albania
nonché la convocazione di un Congresso costituente del partito
comunista d’Albania»*. Con l’iniziativa e sotto la guida dei
comunisti doveva esser creata un’organizzazione clandestina e
centralizzata di carattere democratico e antifascista allo scopo
di lottare contro il regime zoghista e l’imperialismo italiano,
per una repubblica democratica e per l’annullamento degli
accordi asserventi conclusi con l’Italia fascista. Sulla base di
questa organizzazione doveva poi essere creato il fronte popolare.
Dopo l’esame del rapporto, la riunione prese delle decisioni
che furono approvate anche dal Comintern. Secondo queste,
in Albania doveva essere creata un’organizzazione clandestina
di carattere democratico e antifascista. Questa sarebbe stata
diretta da un Comitato Centrale di cui avrebbero fatto parte
comunisti e nazionalisti patrioti. Il nucleo comunista di tale
comitato sarebbe stato composto da cinque persone che avreb­
bero operato all’interno del paese. Questa organizzazione dove­
va servire di appoggio per la creazione del fronte popolare.
Il Comintern si rendeva conto che le vecchie cellule avevano
perduto i contatti con le masse e si erano chiuse in se stesse
* A. Kelmendi. Rapporto inviato al Comintern, 14 dicembre 1936.
ACP.
40
e che, come tali, erano incapaci di attuare la nuova linea.
Perciò esse e i loro organi direttivi dovevano essere tempo­
raneamente sciolti e quindi riorganizzati su base di partito,
dopo che solide fondamenta fossero state gettate fra le masse
in seguito all’attività svolta nelle associazioni legalmente ri­
conosciute. I contatti fra comunisti dovevano essere individuali.
La funzione di centro organizzatore comunista sino alla forma­
zione del partito sarebbe stata assunta dal nucleo comunista
del Comitato Centrale. Il programma minimo dei comunisti,
che doveva servire nello stesso tempo da piattaforma politica
alla nuova organizzazione, si riduceva a due compiti essenziali:
a) lotta per la difesa dei diritti nazionali, e b) lotta per la
difesa dei diritti democratici. Per la difesa dell’indipendenza
nazionale, la nuova organizzazione doveva collaborare con tutte
le classi, con tutti gli strati sociali e tutti gli elementi disposti a
lottare contro l’asservimento fascista. La nuova linea doveva essere
propagata attraverso un organo illegale, pubblicato dai comunisti.
Ali Kelmendi e Koço Tashko furono incaricati di portare
tali istruzioni in Albania. Ali Kelmendi si recò in Francia
per cercare di ottenere il permesso di rimpatrio. In Francia
dovette svolgere un’intensa attività per l’applicazione della nuo­
va linea tra le file dei comunisti e degli emigrati albanesi.
Egli si dedicò particolarmente alla denuncia dell’attività ostile
di Llazar Fundo, membro della frazione comunista del Comitato
di Liberazione Nazionale, il quale si sforzava di render vano
tutto il lavoro compiuto dai comunisti albanesi in Francia.
Llazar Fundo sabotava l’invio di volontari albanesi in Spagna
per combattere il fascismo e, prendendo la difesa dei bukharinisti, dei trotskisti e degli altri nemici condannati dal Partito
comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica finì per dichiararsi
apertamente contro il comunismo. Egli fu denunciato come
rinnegato del comunismo, come provocatore e agente dell’impe­
rialismo ed espulso dalle file del movimento comunista albanese.
Il deteriorarsi delle sue condizioni di salute impedì ad Ali
Kelmendi di rientrare in Patria per compiervi la missione di
cui era incaricato. Morì a Parigi l’11 febbraio 1939.
Nell’autunno del 1937, il Grup­
po di Korçë fu il primo a pren­
dere
conoscenza
delle
nuove
istruzioni del Comintern. Dodo
aver studiato la nuova linea, i dirigenti del Gruppo, nonostante
che avessero accolto con alcune riserve la direttiva concer­
Gli sforzi per l’attuazione
della nuova linea in
Albania
41
nente lo scioglimento delle cellule comuniste e dei comitati e
all’inizio esitassero ad applicarla, accettarono tale linea come
piattaforma per la loro ulteriore attività. Il gruppo designò il
proprio rappresentante nel nucleo comunista del Comitato Cen­
trale. Esso decise di tradurre in pratica le nuove istruzioni
ampliando il lavoro fra le masse all’interno delle organizzazioni
legali, come le associazioni di artigiani, i consigli di quartiere,
il consiglio municipale, il consiglio della camera di commercio,
i gruppi premilitari, le associazioni extrascolastiche della gio­
ventù, nonché attraverso la stampa legale, e così via.
La diffusione della nuova linea nelle altre organizzazioni
comuniste del paese incontrò sin dall’inizio l’opposizione dei
capi del Gruppo di Shkodër. Zef Mala e Niko Xoxi non
accettarono la nuova linea dichiarando che per principio erano
per la rivoluzione sociale e non nazionale, che erano contro
l'imperialismo ma che non volevano collaborare coi naziona­
listi, che erano propensi ad azioni dirette da compiere al mo­
mento opportuno e non ad azioni lente e indirette, e così via.
La nuova linea suscitò altresì l’opposizione dell’organizza­
zione trotskista di Tirana diretta da Aristidh Qendro, il quale, al
pari di Zef Mala, considerava la collaborazione coi nazionalisti
patrioti e la creazione del fronte popolare alla stregua di un
tradimento nei confronti della classe operaia.
L’opera di chiarimento politico e ideologico dei comunisti,
la denuncia dei trotskisti e l’unione delle sane forze comuniste
in un unico partito comunista albanese esigevano un risoluto
e assiduo lavoro. Ma coloro che si erano prefissi tale compito
indietreggiarono dinanzi alle difficoltà. Il nucleo comunista in
seno al Comitato Centrale della costituenda nuova organizza­
zione non agì mai come tale. I suoi membri non erano dotati
di spirito di sacrificio. Lo stesso Koço Tashko, latore delle
nuove direttive e principale responsabile della loro attuazione,
si mostrò assolutamente incapace, sul piano politico e organiz­
zativo, di metterle in pratica.
Da parte sua il Gruppo di Korçë continuò a restar chiuso
nella propria città. Nel marzo del 1938 esso procedette allo
scioglimento delle cellule. Questo provvedimento provocò un
certo sbigottimento e scompiglio nelle file dei comunisti, che
consideravano la cellula come la forma più adatta per formarsi
nell’ideologia marxista e per esaminare collegialmente le que­
stioni del movimento operaio. Tuttavia, sia prima dello sciogli­
mento delle cellule che dopo, i comunisti del gruppo lottarono
42
per applicare nella città di Korçë la nuova linea, ottenendo
importanti risultati in tal senso. Essi si misero alla testa del
movimento democratico della città ed estesero la loro influenza
tra le masse popolari che vedevano nei comunisti i più risoluti
difensori degli interessi del popolo. Ciò fu dimostrato dalle
elezioni dei consigli di quartiere e del consiglio della camera
di commercio e in particolar modo dal lavoro coi giovani e
dalle elezioni municipali. Il gruppo estese ed ampliò la sua
influenza sulla gioventù operaia, artigiana e studiosa e divenne
la guida dell’organizzazione extrascolastica «Rinia Korçare»,
sventando così ogni tentativo del governo zoghista e degli
agenti fascisti di dare a quest’organizzazione un orientamento
controrivoluzionario. Per le elezioni del nuovo consiglio muni­
cipale, che si svolsero nel giugno 1938, i comunisti presenta­
rono una lista di candidati del blocco democratico che compren­
deva, al loro fianco, anche elementi borghesi progressisti. In
queste elezioni essi ottennero una brillante vittoria. La lista
del blocco democratico totalizzò l’86 per cento dei voti, bat­
tendo la lista dietro cui si trovava il gruppo capitalista della
«Società Generale d’Elettricità», quantunque quest’ultima avesse
profuso per le elezioni somme considerevoli e fosse potentemente sostenuta dagli organi statali. Con la loro attività i co­
munisti scossero le masse degli elettori dall’indolenza e dal­
l’indifferenza politica in cui si erano mantenute sino ad allora,
facendole partecipare attivamente alla vita politica. Il nuovo
consiglio municipale di Korçë, diretto dai comunisti, prese
una serie di provvedimenti di carattere democratico senza
precedenti nella pratica dei consigli municipali del paese. Esso
decise di tenere le sue riunioni in pubblico per permettere
agli elettori di controllare la sua attività, epurò l’apparato am­
ministrativo del municipio dai funzionari reazionari e li sosti­
tuì con comunisti e democratici. Una parte dei fondi del muni­
cipio fu devoluta in sussidi finanziari ai poveri, alla costruzione
di strade, di acquedotti, ecc. nei quartieri poveri della città.
Intentò un’azione giudiziaria contro la «Società Generale d’Elettricità» allo scopo di annullare la concessione dei servizi d’elet­
tricità da essa ottenuta mediante bustarelle e altro.
Anche la lista del blocco democratico presentata a Durrës
dalla sezione del Gruppo Comunista di Korçë vinse alle ele­
zioni municipali che si svolsero nel luglio dello stesso anno.
Pari successo riportarono anche le liste democratiche a Gjirokastër e a Peqin.
43
Inasprimento delle diver­
genze tra il Gruppo di
Korçë e quello di
Shkodër
Il Gruppo di Korçë attribuì una
particolare importanza alla lotta
contro il fascismo che minaccia­
va la libertà e l’indipendenza del
paese. Questa lotta costituiva il
fondamentale compito strategico dei comunisti. L’organo ille­
gale «Përpara» («Avanti») che il gruppo cominciò a pubblicare
nell’autunno del 1937 allo scopo di educare i propri membri
e di propagandare la nuova linea, denunciava il fascismo come
regime di sfruttamento, d’oppressione e di guerra, svelava il
vero volto di nemici del popolo dei promotori del movimento
fascista in Albania e dei loro fautori — i latifondisti, i grandi
commercianti e gli usurai. La rivista poneva in guardia i co­
munisti contro il pericolo fascista che minacciava il paese
e faceva loro appello affinché mobilitassero il popolo per la
lotta contro tale pericolo. Il Gruppo Comunista di Korçë non
si limitò alla propaganda per la creazione di un vasto movi­
mento antifascista, ma passò anche direttamente all’azione. Nel
1938 i comunisti si scontrarono nelle strade di Korçë con i
membri del «Comitato Fascista» che agiva in Albania. Essi
fecero fallire il tentativo di organizzare la gioventù secondo
il sistema fascista italiano.
Nei confronti dei problemi interni del paese, il Gruppo di
Korçë seguì una linea generalmente giusta. Basandosi sulle
risoluzioni del VII Congresso del Comintern, esso argomentava
teoricamente, sulle pagine della rivista «Përpara», la necessità
di stabilire stretti contatti fra i comunisti e le larghe masse
popolari, di far dirigere tali masse dai comunisti nella quoti­
diana lotta per soddisfare le più elementari rivendicazioni po­
litiche ed economiche e di creare un fronte popolare che
mobilitasse le masse nella lotta contro il pericolo fascista.
Su tale base il Gruppo di Korçë presentò anche il programma
minimo, che prevedeva la lotta: a) per i diritti nazionali del
popolo contro l’imperialismo; b) per i diritti democratici del
popolo contro la violazione dello statuto nazionale e i tentativi
di diffondere il fascismo in Albania; c) per la pace, contro
la guerra; d) per gli elementari diritti economici del popolo.
«Përpara» metteva in risalto che in un paese semicoloniale
come l’Albania non esisteva soltanto un problema sociale da
risolvere, ma anche un problema nazionale, che quest’ultimo
problema si poneva in primo piano e che il movimento na­
44
zionale, a cui erano interessate le vaste masse popolari, doveva
essere collegato strettamente al movimento sociale della classe
operaia. Questa era l’unica classe capace di guidare le masse
e di difendere fedelmente i loro interessi. Limitarsi all’azione
della classe operaia e combattere soltanto con le proprie forze,
senza mobilitare le forze nazionali sarebbe un’avventura peri­
colosa. «Dobbiamo agire ovunque ci siano persone riunite, nelle
organizzazioni di Stato, nelle scuole, nei circoli, nelle organizza­
zioni religiose, femminili e altrove... Il nostro programma e la
nostra tattica legale ci facilitano il lavoro nelle organizzazioni
legali, autorizzate e create dallo Stato. Dobbiamo agire indiret­
tamente soltanto perché vogliamo riunire delle forze per agire
direttamente. La forza è costituita dal popolo; senza le masse
popolari noi non siamo che un pugno d’uomini...»*.
L’attuazione di questa linea recò al Gruppo comunista
di Korçë una serie di successi, ma unicamente entro la cerchia
della città. Il Gruppo aveva una concezione molto ristretta
della base su cui si doveva formare il fronte popolare in un
paese agricolo arretrato, com’era l’Albania, dove le masse rurali
costituivano la schiacciante maggioranza della popolazione. Ben­
ché predicasse di passare dalla classe operaia agli altri strati
della popolazione, in realtà esso non fece quasi nulla per la
campagna, per l’alleanza della classe operaia con le masse
contadine, senza di che non poteva essere creato il fronte po­
polare.
Il Gruppo di Shkodra, da parte sua, non aveva tratto le
debite conclusioni dai successi che i comunisti avevano ottenuto
dall’attività democratica e antifascista a Korça e altrove. I
principali dirigenti di questo Gruppo, invece di lottare per
l’unione dei comunisti del paese e per l’estensione dei loro
contatti con le larghe masse popolari, seguirono la via della
scissione e della lotta contro il Gruppo che aveva adottato la
nuova linea. L’organo illegale del Gruppo di Shkodër, il «Bollet­
tino verde», che vide la luce nella seconda metà del 1938.
ebbe una parte negativa in questa lotta.
In questo bollettino vennero pubblicati estratti delle opere
dei classici del marxismo-leninismo, materiali che parlavano
delle conquiste ottenute nell’edificazione del socialismo in Unio* Il movimento nazionale
settembre 1938. ACP.
e
il
movimento
sociale,
«Përpara»,
45
ne Sovietica, della superiorità del sistema socialista sul sistema
capitalistico, scritti che denunciavano il regime zoghista, il
fascismo e la politica d’asservimento svolta dall’Italia nei
confronti dell’Albania, e così via. Tali scritti costituivano un
importante contributo al movimento comunista albanese. Ma
d’altra parte il Gruppo Comunista di Shkodër, attraverso il
suo «Bollettino verde», s’ingegnò di argomentare teoricamente
l’errata linea da esso seguita, conservando nei confronti del
fondamentale problema della creazione del fronte popolare
antifascista un atteggiamento antimarxista, impostogli da Zef
Mala e da Niko Xoxi.
Le vedute antimarxiste dei dirigenti del Gruppo di Shkodra
avevano la loro origine in una errata concezione e valutazione
del ruolo delle classi e degli strati sociali nel movimento rivo­
luzionario albanese e della situazione creata in Albania dalla
politica di asservimento perseguita dal fascismo italiano. Essi
dichiaravano che in Albania non esisteva nè un proletariato
né una borghesia propriamente detta, che la parte più rivolu­
zionaria della popolazione era costituita dagli artigiani e che
i contadini sarebbero stati gli alleati del proletariato, quando
questo mercé l’ulteriore sviluppo capitalistico del paese, fosse
divenuto capace di prendere in mano la bandiera della rivo­
luzione socialista. Poiché non esisteva né proletariato, né bor­
ghesia, non poteva neppure svolgersi una vera lotta di classe
e, conseguentemente, non s’erano ancora create le condizioni
per la rivoluzione! Anche il movimento comunista sarebbe nato
in Albania non come una necessità impellente della classe
operaia di lottare contro i capitalisti, ma come risultato del­
l’influenza esterna! In tali circostanze e dal momento che questo
movimento era sorto, i comunisti avevano il dovere di educare
e di preparare i quadri che in seguito avrebbero intrapreso
il vasto lavoro di agitazione tra le masse popolari, trascinato
nella loro scia il proletariato e preso in mano la direzione
della rivoluzione comunista! Con tali quadri, teoricamente
istruiti e preparati, essi cercavano di formare il partito comu­
nista albanese.
I dirigenti del Gruppo di Shkodër non si rendevano con­
to dei cambiamenti politici avvenuti in Albania e nel mondo
per poter elaborare, conformemente a tali condizioni, una
giusta linea rivoluzionaria. Essi respinsero la direttiva del Co­
mintern per la creazione di un fronte popolare, giustificando
46
il loro atteggiamento con il fatto che l’Albania era un paese
semicoloniale, senza classi differenziate, senza proletariato,
senza un partito comunista, senza altri partiti politici, afflitto
da un’ignoranza generale, e così via. I dirigenti del Gruppo di
Shkodër non erano contrari all’instaurazione di un ordine de­
mocratico, antimperialista e antifascista, ma cercavano di orien­
tare i loro principali sforzi verso l’instaurazione d’una demo­
crazia proletaria socialista! Tali punti di vista fecero aumentare
la confusione ideologica tra i membri del gruppo.
Fra i due gruppi s’inasprirono le divergenze ideologiche
e politiche relative all’applicazione del marxismo nelle concrete
condizioni storiche del paese. Questo disaccordo si estese anche
al campo dell’organizzazione e assunse il carattere di un con­
flitto senza princìpi.
Frattanto il pericolo dell’aggressione
fascista italiana contro l’Albania era
in continuo aumento. Nel gennaio
del 1939, il dittatore fascista Benito Mussolini firmava il piano
d’invasione militare dell’Albania. La direzione del Gruppo Co­
munista di Korçë stimò che si fossero create le condizioni
propizie per la formazione di un vasto fronte contro l’imperia­
lismo italiano. Essa compì alcuni tentativi per convincere i
comunisti degli altri gruppi e i nazionalisti patrioti della ne­
cessità di unirsi e di collaborare contro l’aggressione fascista.
Ma questi tentativi non erano costanti e non riuscirono ad
approdare a nulla.
D’altro canto Zogu non aveva assolutamente l’intenzione
di organizzare la resistenza contro l’aggressione italiana e tanto
meno in collaborazione con i comunisti. Fino all’ultimo mo­
mento egli sperò di riuscire a intendersi coi fascisti italiani,
facendo loro nuove concessioni per conservarsi il trono. Frat­
tanto organizzava feroci persecuzioni contro i comunisti. La
gendarmeria zoghista scoprì e arrestò la maggior parte dei
membri del Gruppo di Shkodër. I dirigenti di questo gruppo,
Zef Mala e Niko Xoxi, cedettero di fronte agli inquirenti e
durante il processo zoghista, che si svolse nel gennaio del 1939,
rivelando i nomi dei propri compagni, l’attività del gruppo
e i nomi di una parte dei membri del Gruppo di Korçë. 75
persone imputate di attività sovversiva per il rovesciamento del
governo furono rinviate a giudizio. Il comunista Qemal Stafa,
La lotta contro
l’aggressione fascista
47
allora diciottenne, al pari di molti suoi compagni, si comportò
intrepidamente durante il processo. Egli dichiarò che era e che
sarebbe restato un comunista convinto e che il comunismo
avrebbe portato alla salvezza le masse operaie che erano op­
presse. Il tribunale condannò a pene diverse 52 persone.
Il movimento comunista albanese aveva subito un duro
colpo. Lo doveva soprattutto all’insufficiente segretezza e al
tradimento dei capi del Gruppo Comunista di Shkodër, i quali
non consideravano grave errore il rivelare i nomi dei loro
collaboratori alla polizia e al tribunale. Essi ritenevano che
questo modo d’agire costituisse un mezzo per mettere alla
prova i loro compagni sotto le torture del nemico!
La situazione internazionale si deteriorava sempre più. Gli
Stati fascisti intensificavano i preparativi di guerra. La Ger­
mania hitleriana aveva occupato l’Austria nel 1938 e, alcuni
mesi dopo la capitolazione delle potenze occidentali a Monaco,
invadeva, nel marzo del 1939, la Cecoslovacchia, mentre in
Spagna le truppe fasciste riuscivano a schiacciare le forze
repubblicane spagnole.
Il 23 marzo 1939, l’Italia fascista prendeva la decisione
definitiva di invadere militarmente l’Albania. Zogu si sforzò
di dissimulare con tutti i mezzi la situazione tesa creatasi
nei rapporti albano-italiani. Ciò nonostante, sin dai primi
giorni di aprile il popolo albanese venne a conoscenza dei
tenebrosi piani del fascismo. Una profonda ondata di col­
lera si riversò per tutto il paese. I comunisti albanesi,
benché poco numerosi, divennero gli organizzatori delle im­
ponenti manifestazioni antifasciste che si scatenarono in ogni
dove. A Tirana e in altre città, per iniziativa dei comunisti e
dei nazionalisti patrioti, vennero istituiti centri di reclutamento
di volontari per combattere l’aggressione fascista. I comunisti
carcerati e internati chiesero al governo di essere mandati al
fronte in prima linea, contro gli aggressori. Ma l’organizza­
zione della resistenza popolare venne sabotata da Zogu e dalla
sua cricca. Il popolo albanese, che tutto intero s’era levato
in piedi, pronto a battersi per la difesa della sua libertà e
della sua indipendenza, si trovò senz’armi, tradito dalle classi
dominanti, dal governo e dal re. In questi momenti decisivi
per il destino della Patria, i gruppi comunisti, disuniti e in
lotta fra di loro, non riuscirono a creare una direzione unica
e a mobilitare il popolo per agire con le armi in pugno contro
gli aggressori.
48
Il 7 aprile 1939 le truppe fasciste italiane assalivano l’Al­
bania. Zogu e la sua cricca lasciarono il paese, abbandonandolo
al suo destino. L’esercito albanese, paralizzato dagli specialisti
militari italiani e dagli ufficiali filofascisti, si disgregò senza
opporre resistenza al nemico. Frattanto, gruppi di patrioti
combattevano eroicamente con le armi in pugno contro gli
aggressori a Durrës, Sarandë, Shëngjin, Shkodër, Vlorë, ecc.
Ma le preponderanti forze nemiche schiacciarono tale resi­
stenza. In pochi giorni i fascisti occuparono tutto il paese.
Tuttavia il popolo albanese non si piegò. Esso manifestò aperta­
mente il suo odio profondo contro i soggiogatori italiani e non
riconobbe mai il regime d’occupazione straniera.
L’occupazione dell’Albania era la logica conclusione della
politica aggressiva del fascismo italiano, dell’antinazionale e
antipopolare politica di capitolazione perseguita dal regime
zoghista e della politica di «non intervento» delle potenze
capitalistiche occidentali che riconobbero questa occupazione.
Soltanto l’Unione Sovietica, fedele alla propria politica di
difesa dei paesi minacciati dal fascismo, levò la voce contro
questa aggressione. Un’ondata di indignazione e di proteste si
sollevò dalle colonie degli emigranti albanesi. L’aggressione
italiana contro l’Albania fu condannata anche dall’opinione
progressista del mondo intero.
4. LA CREAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA —
INDEROGABILE NECESSITA’ STORICA NELLE
CONDIZIONI DELLA LOTTA PER LA
LIBERAZIONE NAZIONALE
L’occupazione dell’Albania si integrava nel piano generale
che le potenze fasciste avevano cominciato ad attuare nell’
intento di stabilire il loro dominio sul mondo. La politica di
continui cedimenti praticata dall’Inghilterra, dalla Francia e
dagli USA aveva maggiormente incoraggiato le mire aggres­
sive del fascismo. Le trattative che, sotto la pressione dell’opi­
nione pubblica, l’Inghilterra e la Francia avevano iniziato nel
1939 con l’Unione Sovietica, furono utilizzate dalle potenze
occidentali come una cortina per dissimulare i loro tentativi
d’accordarsi con Hitler. Perciò l’Unione Sovietica, allo scopo
di guadagnar tempo, di rafforzare la sua difesa e di non
impegnarsi sola in una guerra su due fronti, contro la Ger­
49
mania e il Giappone, concluse nell’agosto del 1939 il patto di
non aggressione con la Germania. Avendo gli hitleriani attac­
cato la Polonia al principio di settembre, l’Inghilterra e la
Francia, di fronte all’aggressione fascista che si rivolgeva
anche contro di esse, dichiararono guerra alla Germania na­
zista.
La Seconda Guerra Mondiale cominciò come una guerra
fra i due principali blocchi imperialistici. Essa era la conse­
guenza delle inevitabili contraddizioni del sistema capitalistico
nell’epoca della sua crisi generale. Ma, d’altro canto, contro
l’aggressione e la schiavitù fascista s’erano levati i popoli. La
lotta che essi conducevano per la difesa della loro libertà e
indipendenza e per l’affrancamento dal giogo straniero era
una giusta lotta antifascista.
Con l’occupazione dell’Albania da
parte dell’Italia ebbe inizio, per
il popolo albanese, il duro pe­
riodo della schiavitù fascista. Gli invasori italiani mantennero
intatto l’ordine fondato sulla dominazione dei latifondisti e
della borghesia. D’altro canto essi attuarono immediatamente
un vasto piano di provvedimenti politici, economici e ammi­
nistrativi, tendenti a legalizzare e a rafforzare il regime di
occupazione.
I fascisti italiani si sforzarono di conseguire tale obiettivo
sia mediante la demagogia, sia con la violenza. Allo scopo di
camuffare l’annessione, essi riunirono a Tirana una «Assemblea
Costituente», che proclamò «l’unione personale» dell’Albania al­
l’Italia, offrì al re Vittorio Emanuele III la corona d’Albania e
creò un governo fantoccio albanese, presieduto dal grande pro­
prietario terriero Shefqet Vërlaci. In realtà, l’Albania divenne
una provincia dell’impero italiano, posta sotto la dittatura fa­
scista. La «Luogotenenza Generale» italiana, applicando fedel­
mente gli ordini del governo di Roma, esercitava in nome del
re tutto il potere statale. Il governo fantoccio albanese non era
altro che un semplice vettore della volontà del dittatore fascista
Mussolini e del Luogotenente generale. Il ministero albanese
degli Esteri fu soppresso, e le sue attribuzioni furono assunte
dal suo omologo italiano. Gli altri ministeri erano in realtà
diretti dai «consiglieri» italiani. Le forze armate albanesi furono
integrate nell’esercito imperiale e passarono alle dipendenze del
comando italiano. La convenzione sulla «parità di diritti civili
Instaurazione del regime
fascista d’occupazione
50
e politici» in Albania tra cittadini italiani e albanesi fu accompa­
gnata dall’afflusso di decine di migliaia di coloni italiani (operai,
contadini, specialisti, insegnanti, imprenditori, commercianti,
impiegati, ecc.). Con le truppe d’occupazione essi costituivano la
forza che, fra le altre cose, mirava alla totale colonizzazione e
fascistizzazione del paese.
Gli occupatori italiani proclamarono ufficialmente l’Italia e
l’Albania come costituenti «un unico territorio». Il capitale ita­
liano, affluendo senza alcun ostacolo in Albania, divenne l’onni­
potente padrone dell’economia albanese e trasformò l’intero
paese in una fonte di materie prime e in uno sbocco riservato
ai propri prodotti.
Il governo italiano iniziò inoltre preparativi febbrili per far
dell’Albania una base militare che avrebbe servito come punto
di partenza per l’aggressione contro i paesi vicini dei Balcani.
Nella sua politica d’occupazione e di trasformazione dell’Al­
bania in una provincia italiana, il governo di Mussolini trovò
il pieno appoggio delle classi dominanti reazionarie del paese.
Già prima del 1939 l’Italia fascista aveva creato fra queste classi
e nelle file dei profughi politici borghesi un importante gruppo
di agenti che la servirono fedelmente per l’asservimento del po­
polo albanese. I grandi proprietari terrieri albanesi, furono sem­
pre legati ai vari dominatori stranieri che assicuravano loro
privilegi di classe, e propensi a subordinare gli interessi della
nazione ai propri interessi materiali. Nella loro qualità di porta­
tori tradizionali della corruzione politica, trovando nel fascismo
italiano il difensore dei loro interessi di classe, non si fecero
alcuno scrupolo di abbandonare Zogu, di legarsi strettamente
con gli occupatori italiani e di sostenere senza riserve la loro
politica in Albania. Anche i bajraktar, obbedendo ai medesimi
interessi, si gettarono in braccio al fascismo. Gli occupatori ita­
liani fecero di loro dei ciechi strumenti del fascismo in Albania.
Gli interessi della Patria furono traditi anche dalla borghe­
sia reazionaria albanese, la cui massima parte era costituita
dalla grande borghesia mercantile. Avendo da tempo rinunciato
alla lotta per la difesa della libertà e dell’indipendenza del
paese, essa era divenuta una forza controrivoluzionaria e anti­
nazionale. L’occupazione fascista diede impulso allo sviluppo del
commercio. I grandi commercianti albanesi, unitamente ai latifondisti e gli alti funzionari fascisti, divennero intermediari e
collaboratori dei monopoli italiani per lo sfruttamento del po­
polo albanese. Inoltre parecchi proprietari di quelle fabbriche
51
del paese, chiuse a causa delle difficoltà create dalla concorrenza
dell’industria italiana, passarono al commercio accumulando
ingenti capitali. La grande borghesia divenne così un’appendice
degli occupatoli. Anche il clero reazionario si fece strumento
del fascismo.
Ai rappresentanti di queste classi e di questi ceti sociali,
che costituivano la reazione albanese, gli occupatori assegnarono
cariche importanti nell’amministrazione fascista, sperando di as­
sicurarsi, per il loro tramite, un tranquillo dominio del paese.
Il popolo albanese non tardò a sentire le conseguenze del­
l’instaurazione del regime fascista. Infatti esso perse compietamente la sua libertà e la sua indipendenza nazionale. Sin dai
primi tempi, centinaia di patrioti furono mandati in prigione o
al confino in Italia. I fascisti crearono un potente apparato
poliziesco per sorvegliare le «persone sospette al regime». Gli
impiegati furono costretti, pena il licenziamento, a giurare fe­
deltà al re. Le leggi fasciste crearono in tutto il paese un’at­
mosfera di terrore e di insicurezza.
D’altro canto, ben presto si dissipò l’illusione di un miglio­
ramento delle condizioni economiche, nata nei primi mesi del­
l’occupazione con l’ampiamento dei lavori edilizi, soprattutto di
carattere militare, che avevano assorbito temporaneamente la
mano d’opera disoccupata, e con l’afflusso sul mercato di pro­
dotti italiani meno cari di quel che non fossero in precedenza.
Le botteghe artigiane, non potendo far fronte alla forte con­
correnza dell’industria italiana, cominciarono a chiudere i bat­
tenti l’una dopo l’altra. La rovina degli artigiani assunse un
carattere generale. Gli operai albanesi erano costretti a lavorare
10 ore al giorno per un compenso che, nelle condizioni del
continuo aumento dei prezzi, era un salario di fame. La discri­
minazione tra operai albanesi e italiani assunse, dopo l’occupa­
zione, proporzioni ancora più rilevanti. Gli operai albanesi non
godevano di alcuna protezione, né di alcuna sicurezza sul la­
voro. Le imprese italiane avevano la facoltà di prolungare la
giornata lavorativa quando ciò veniva giudicato necessario.
Le sistematiche depredazioni lesero gravemente anche gli
interessi dei contadini. La consegna obbligatoria dei prodotti
agricoli a bassissimi prezzi, l’esproprio dei piccoli contadini da
parte delle banche italiane e l’appropriazione di migliaia d’ettari
di terre per le necessità militari, accentuarono il processo di
impoverimento delle masse contadine.
52
Inizio del movimento di
liberazione nazionale. Al­
l’ordine del giorno: l’unio­
ne dei comunisti
La perdita della libertà e del­
l’indipendenza nazionale toccò
nel vivo i tradizionali senti­
menti di ardente amor patrio
e di fierezza nazionale del po­
polo albanese. L’odio contro gli occupatori era in continuo au­
mento. Quest’odio si manifestava in varie forme: nel sabotaggio
dei piani d’italianizzazione e di fascistizzazione del popolo al­
banese. nel rifiuto di aderire al partito e alle altre organizza­
zioni fasciste, nella resistenza alle leggi del regime d’occupazione
e così via. Soprattutto gli operai e la gioventù studiosa si
distinguevano in questa resistenza antifascista.
Il movimento operaio, nelle condizioni dell’occupazione, ac­
quistò uno spiccato carattere politico antifascista. Le fabbriche
e i grandi cantieri divennero focolai di lotta contro gli sfrutta­
tori capitalisti e contro gli occupatori. Numerosi e frequenti
scioperi scoppiarono in varie città. Con tale mezzo gli operai
non solo si battevano per le loro rivendicazioni economiche, ma
manifestavano altresì il loro rancore contro gli occupatori e
sabotavano la produzione.
Le scuole medie divennero culla d’un ardente movimento
contro il fascismo. Anche prima dell’occupazione la gioventù
studiosa s’era distinta per i suoi sentimenti patriottici e demo­
cratici. Influenzata e guidata dai gruppi comunisti essa com­
batteva risolutamente il regime zoghista, l’oscurantismo e il
fascismo. Inoltre, essa s’era fatta veicolo delle idee comuniste
e democratico-rivoluzionarie fra le masse. Dopo l’occupazione, i
giovani delle scuole furono tra i primi a manifestare con grande
energia il loro odio contro gli occupatori fascisti. Essi respinge­
vano e sabotavano la diffusione della cultura fascista, si mette­
vano alla testa delle manifestazioni e dei movimenti di protesta
contro il fascismo, propagavano le idee del patriottismo mili­
tante e del comunismo. In tal modo, la gioventù studiosa serviva
di solido appoggio al movimento comunista e antifascista nel
suo insieme.
La nuova situazione, creatasi dopo l’occupazione, poneva
come compito fondamentale il sollevamento di tutto il popolo
nella lotta per sventare il piano fascista di italianizzazione e di
depredamento del paese, per liberare l’Albania e conquistare
l’indipendenza nazionale.
Per l’attuazione di questo compito occorreva una direzione
53
rivoluzionaria, che elaborasse la piattaforma politica deila lotta
antifascista, mobilitasse e organizzasse il popolo in tale lotta.
Una simile direzione mancava. I gruppi comunisti erano le
sole organizzazioni politiche cui incombeva di preoccuparsi del
destino della Patria e del popolo in quei difficili momenti. Que­
sti gruppi tennero un fermo atteggiamento contro il regime
d’occupazione, ma la loro disunione impediva loro di elaborare
una comune linea per la lotta di liberazione, di legarsi alle
masse popolari e di porsi alla loro testa.
L’unione dei gruppi e la formazione di un unico partito
comunista si affermavano come una necessità urgente e impe­
riosa. L’attuazione di questo compito non era affatto facile.
Bisognava superare grandi ostacoli per eliminare le divergenze
e la scissione, mantenute soprattutto dai dirigenti, quantunque
la necessità dell’unione fosse adesso profondamente sentita dalla
maggior parte dei comunisti.
Ma per giungere all’unione delle forze comuniste e all’orga­
nizzazione della lotta antifascista venne seguita la vecchia via,
quella dei colloqui fra capi. In questi colloqui si scontrarono
di nuovo le due linee opposte quanto al carattere della lotta.
I dirigenti del Gruppo di Korçë erano sempre propensi all’or­
ganizzazione della lotta di liberazione nazionale con la parteci­
pazione di tutte le classi e di tutti i strati sociali che volevano
combattere gli occupatori stranieri. I capi del Gruppo di Shkodër e delle altre organizzazioni, che non avevano rinunciato al
loro atteggiamento settario, adattarono i loro antichi punti di
vista alla nuova situazione. Essi ritenevano che l’Albania, con
l’occupazione italiana, s’incamminava sulla via di un rapido svi­
luppo capitalistico. Conseguentemente, l’incremento della classe
operaia avrebbe creato la base per la rivoluzione socialista!
Le discussioni fra i capi del Gruppo di Korçë e quelli del
Gruppo di Shkodër portarono alla formazione, nell’autunno
del 1939, di un cosiddetto «Comitato Centrale» comune, com­
prendente un numero uguale di membri delle due parti, due
per ogni gruppo. Questo accordo non era altro che «un com­
promesso social-democratico»*. Esso non prevedeva la fusione
dei gruppi in un’unica organizzazione. I gruppi continuavano a
restare separati, conservando ciascuno i suoi punti di vista e
senza procedere all’epurazione delle loro file dagli elementi
* Risoluzione della riunione dei Gruppi Comunisti, novembre 1941.
Documenti principali del PLA, vol. I, 1971, p. 17.
54
antimarxisti. I dirigenti del Gruppo di Shkodër accettarono sol­
tanto di espellere il trotskista Niko Xoxi. Costruita su basi tal­
mente marce, questa «unione» realizzata dall’alto restò pura­
mente formale.
Nel frattempo in tutto il paese cresceva il movimento popo­
lare antifascista. I comunisti si mantenevano alla sua testa.
Con l’occupazione del paese, nella loro coscienza s’era operata
una svolta radicale. I semplici membri dei gruppi si rendevano
conto sempre meglio che l’unione non si poteva attuare attra­
verso sterili discussioni fra capi, bensì nella lotta comune contro
gli occupatori fascisti. Ne seguì che, a poco a poco, le divergenze
politiche e ideologiche passassero in secondo piano. L’autorità
e l’influenza dei capi sui semplici membri dei gruppi erano in
ribasso. I comunisti si gettarono nella lotta contro gli occupa­
tori stranièri e divennero agitatori per la lotta di liberazione.
Sotto la loro guida, in occasione della festa nazionale del 28 no­
vembre 1939, esplosero manifestazioni antifasciste di massa
nelle principali città del paese. Le manifestazioni si svolsero
all’insegna delle parole d’ordine: «Viva l’Albania libera!», «O
morte, o libertà!». I comunisti erano gli ispiratori e i dirigenti
del movimento antifascista degli operai e della gioventù studiosa.
«Nella lotta e negli scontri con l’occupatore e con i quisling,
uniti per un solo scopo, la liberazione del paese dall’occupatore,
i veri comunisti della base dei vari gruppi, dimenticando con­
trasti e rancori, si serravano in vincoli di sangue; la giusta
linea dèi comunisti si cristallizzava in loro ed essi reclamavano
l’unione in un unico partito, condizione sine qua non per orga­
nizzare la lotta di liberazione e per assicurarne la direzione»*.
I successi ottenuti dai comunisti nell’organizzazione del mo­
vimento antifascista durante i primi mesi che seguirono l’occu­
pazione del paese, stimolarono il Gruppo di Korçë a rafforzare
e a estendere la sua attività in altre regioni, ponendo fine al
campanilismo. Agli inizi del 1940 esso organizzò una propria
sezione a Tirana. La direzione ne fu affidata a Enver Hoxha.
Enver Hoxha è nato il 16 ot­
tobre 1908 a Gjirokastër. Egli
trascorse l’infanzia in un periodo particolarmente difficile per il
paese, in cui gli occupatori stranieri che si succedevano l’uno
Enver Hoxha
* Enver Hoxha. Rapporto del CC del PCA al I Congresso del
Partito Comunista d’Albania, 8 novembre 1948. Opere, vol. 5, p. 245.
55
dopo l’altro misero a fuoco e devastarono intere regioni, ucci­
dendo in massa la popolazione e seminando ovunque la desola­
zione. La vita gli insegnò a odiare i nemici della Patria; benché
giovanissimo, prese parte al movimento democratico del 1924.
Al liceo di Korçë, ove terminò gli studi medi nel 1930,
Enver Hoxha conobbe per la prima volta la violenza delle
autorità zoghiste e la prigione, per aver organizzato insieme
con i suoi compagni una manifestazione di protesta contro le
malversazioni commesse a danno degli allievi.
Egli si recò quindi in Francia per compiervi gli studi uni­
versitari. Le sue marcate tendenze democratiche fecero di
Enver Hoxha un simpatizzante del movimento comunista fran­
cese. A Parigi entrò in contatto con la redazione del giornale
«L’Humanité», organo del Comitato Centrale del Partito Comu­
nista Francese, a cui cominciò a collaborare con scritti denun­
cianti il regime zoghista in Albania.
La soppressione della sua borsa di studio costrinse Enver
Hoxha a recarsi in Belgio, dove per un certo tempo lavorò
presso il consolato d’Albania a Bruxelles, proseguendo contem­
poraneamente gli studi. Ma gli agenti di Zogu all’estero sco­
prirono la sua attività antizoghista. Fu licenziato e costretto a
rientrare in Albania nel 1936.
Ormai Enver Hoxha era diventato comunista e come tale
si dedicò alla lotta per la liberazione del popolo. Il giuramento
che egli pronunciò nel 1936, sulla tomba del patriota Bajo
Topulli a Gjirokastër, di lottare con tutti i giovani «per
un’Albania migliore», «per la prosperità della Patria», «per la
vera unione della nazione», costituiva per lui un programma
di lotta.
Enver Hoxha iniziò la propria attività rivoluzionaria in
Patria come insegnante al ginnasio di Tirana e poi al liceo di
Korçë. Egli stabilì contatti con il Gruppo Comunista di Korçë
e ne divenne uno dei membri più attivi. Impiegò magistral­
mente la tribuna offertagli dalla scuola per inculcare agli allievi
le idee democratiche e comuniste. Divenne altresì uno dei prin­
cipali educatori dell’organizzazione extrascolastica «Rinia Korçare» e un instancabile militante per l’unione del movimento
comunista albanese.
Alla vigilia dell’occupazione fascista, Enver Hoxha si dedicò
con ogni energia, insieme con gli altri compagni del Gruppo,
all’organizzazione della resistenza popolare. Proseguì questi sforzi
anche dopo l’occupazione del paese. La sua attività rivoluziona­
ria fu notata dagli occupatori fascisti, che lo licenziarono con
56
la motivazione: «elemento contrario al regime». Per decisione
del centro del Gruppo Comunista di Korçë fu inviato a Tirana
con il compito di allargare su solide basi l’attività del Gruppo,
organizzando il movimento antifascista nella capitale e in altre
regioni del paese.
Apprezzando la determinazione dei semplici membri dei
gruppi comunisti di lottare contro il fascismo e il loro ardente
desiderio di giungere all’unificazione del movimento comunista
e alla fondazione del partito, Enver Hoxha, contrario allo spi­
rito di gruppo, svolse fra loro, con pazienza e saggezza, un’in­
stancabile opera di chiarimento e d’organizzazione. Contempora­
neamente stabilì contatti con i nazionalisti patrioti che odiavano
l’occupatore fascista ed erano pronti a combatterlo.
Nuove difficoltà sulla via
dell’unione. Il Gruppo dei
«Giovani»
Precisamente nel momento in
cui l’unione dei gruppi e la
creazione di un unico partito
comunista
erano
divenute
un’imperiosa necessità, sorsero nuove difficoltà sulla via che
portava all’attuazione di tale proposito. Una frazione che già
prima dell’occupazione aveva cominciato a formarsi in seno al
Gruppo Comunista di Korçë, si presentò, dal febbraio 1940,
come un gruppo distinto. Più tardi essa prese il nome di Grup­
po dei «Giovani». La nascita di questo nuovo gruppo era stata
favorita dalla scissione e dalle altre deficienze del movimento
comunista, fattori che creavano un terreno propizio all’attività
degli elementi antimarxisti.
Alla testa del gruppo s’erano posti Anastas Lula e Sadik
Premte, elementi di spiccate tendenze trotskiste e anarchiche.
Sfruttando la mancanza di solidi legami tra il Gruppo di Korçë
e le sue organizzazioni a Tirana, Anastas Lula e Sadik Premte
erano riusciti a convincere gli elementi da essi reclutati che
la direzione del Gruppo di Korçë era incapace di guidare il
movimento comunista e che le sue concezioni ideologiche e la
sua linea politica erano errate. Molto presto essi ebbero l’op­
portunità di ingrossare le file della loro frazione con elementi
intellettuali d’origine borghese e piccolo-borghese, presso i quali
le concezioni antimarxiste, in parte prese in prestito dai capi
del Gruppo di Shkodër, misero subito radici. Il Gruppo dei
«Giovani» creò sezioni nelle principali città del paese ed anche
a Korçë, dove trasse profitto dal malcontento e dal disorienta­
mento che lo scioglimento delle cellule aveva provocato fra una
parte dei comunisti.
57
Il Gruppo dei «Giovani» cominciò a trasgredire apertamente
le decisioni comuni del «Comitato Centrale». I capi del Gruppo
di Shkodër, ritenendo che questi frazionisti agissero secondo le
istruzioni del Gruppo di Korçë, di cui formalmente facevano
parte, accusarono questo d’insincerità e di slealtà. Essi ne fecero
un pretesto per abbandonare il «Comitato Centrale», provocan­
do in tal modo il suo scioglimento.
Così l’accordo dell’autunno 1939 fu rotto. Invece di giungere
all’avvicinamento e all’unione, non si fece che approfondire il
fossato fra i gruppi. Il Gruppo dei «Giovani» dichiarò aperta
guerra al Gruppo di Korçë e stabilì contatti con il Gruppo di
Shkodër. Le piccole organizzazioni comuniste si fusero a poco
a poco nei tre principali gruppi comunisti.
La direzione del Gruppo dei «Giovani» si presentò con una
piattaforma ideologica e politica antimarxista. Essa diceva che
in Albania mancasse il proletariato, non esistesse la lotta di
classe, dunque non vi fosse neppure una base per la forma­
zione del partito comunista, che i contadini fossero conservatori,
reazionari e non potessero divenire gli alleati della classe ope­
raia. Questa direzione aveva fatto sua la teoria trotskista sul­
l’educazione e la salvaguardia dei quadri. Considerava dannosi i
contatti con le masse e il lavoro con esse, poiché mettevano
in pericolo i quadri! Al pari di Zef Mala e di Niko Xoxi, i capi
del Gruppo dei «Giovani» ritenevano che l’occupazione fascista
avrebbe promosso lo sviluppo del capitalismo, l’incremento del
proletariato, il rafforzamento dei legami tra operai albanesi
e operai italiani e in tal modo si sarebbe sviluppata la lotta di
classe, creando condizioni adatte alla fondazione del partito
comunista che avrebbe guidato la lotta per il socialismo!
I capi del Gruppo dei «Giovani» e una parte dei loro
seguaci degenerarono in una setta di anarchici.
La confusione suscitata dalla formazione del Gruppo dei
«Giovani» aumentò ancora di più in seguito alla creazione con­
temporanea, all’interno dell’Albania, delle organizzazioni del
Gruppo dello «Zjarri». Il trotskista Andrea Zisi, dopo aver
ostacolato con tutti i mezzi, in nome del «partito comunista
albanese», il rientro in Patria dei giovani antifascisti albanesi
di Atene che desideravano combattere con le armi in pugno
l’aggressione italiana, ritornò in Albania per sabotare il movi­
mento comunista e antifascista. Egli formò un «comitato cen­
trale» a Korçë e due «comitati regionali» rispettivamente uno
a Tirana e l’altro a Vlorë. Andrea Zisi aveva inventato una
58
nuova «teoria», secondo cui la fortezza fascista doveva essere
conquistata dall’internò e per tale ragione i comunisti, invece
di lottare apertamente contro l’occupatore, dovevano integrarsi
nel suo apparato politico e amministrativo. Queste concezioni,
su istigazione di Bedri Spahiu, furono abbracciate anche da al­
cuni ufficiali comunisti.
Nel giugno del 1940, mentre i
veri
comunisti
dei
diversi
gruppi
d’Albania
lottavano
contro il fascismo e contro i
trotskisti per l’unione del mo­
vimento comunista, l’Italia en­
trava in guerra a fianco della Germania hitleriana. I fascisti
italiani tentarono di trascinare con sè gli albanesi per usarli
come carne da cannone. Il 28 ottobre 1940, le truppe italiane,
partite dall’Albania, attaccarono la Grecia. Dopo una irrile­
vante avanzata iniziale, esse furono costrette, sotto i colpi dell’e­
sercito greco, a ritirarsi evacuando Korça nel novembre e Gjirokastra agli inizi del dicembre 1940.
La guerra italo-greca fu causa di nuove sofferenze e de­
vastazioni per il popolo albanese. Non solo esso non solidarizzò
con l’aggressione fascista contro la Grecia, ma fece l’impossibile
per aiutare il popolo greco fratello nella sua lotta di liberazione.
L’azione dei comunisti e dei patrioti antifascisti fece fallire in
pieno i piani fascisti di mobilitazione militare e di «mobilita­
zione civile» degli albanesi. I soldati albanesi, inviati a forza
dai fascisti italiani sul fronte greco, si rifiutarono di combattere
e disertarono in massa. Anche nelle retrovie i sabotaggi contro
la macchina militare fascista si moltiplicarono. Le popolazioni
delle zone occupate dalle forze greche, avendo con queste il
fascismo italiano per comune nemico, le aiutarono del loro
meglio. Ma il governo greco si comportò in modo apertamente
sciovinistico nei confronti del popolo albanese. Esso tentò di
attuare i vecchi progetti della borghesia gran-greca miranti al­
l’annessione di Korçë e di Gjirokastër.
I comunisti di Korçë si trovarono anch’essi di fronte a
questo ostile atteggiamento delle autorità greche d’occupazione.
Subito dopo l’evacuazione di Korçë da parte dell’esercito italiano,
i comunisti formarono il «Comitato per la Difesa della Città» e
crearono, per assicurare l’ordine, una piccola unità armata com­
posta di comunisti e di simpatizzanti del gruppo. Sin dal primo
L’atteggiamento dei comu­
nisti e del popolo albanese
nei confronti dell’aggres­
sione fascista contro i
popoli vicini
59
incontro tra il «Comitato di Difesa» e le autorità militari greche
nacque un conflitto sulla natura dell’occupazione greca. Il Comi­
tato rigettò la richiesta di Atene di considerare l’arrivo delle
truppe greche come «liberazione di Korçë greca». Dal canto
loro, i greci respinsero la proposta del Comitato per la forma­
zione di alcuni battaglioni albanesi, che avrebbero combattuto,
sotto la loro bandiera nazionale, contro gli occupatori italiani.
Essi costrinsero il Comitato a sciogliersi. Il 28 novembre 1940,
festa dell’indipendenza, i comunisti organizzarono una grande
manifestazione nella città di Korçë per tener alto il morale
della popolazione e per dimostrare al governo greco che se
Korçë, come l’intero popolo albanese, aborriva i fascisti ita­
liani. non accettava neppure le pretese degli sciovinisti greci
sul territorio albanese.
L’occupazione greca delle regioni meridionali non durò a
lungo. Il corso degli avvenimenti nella primavera del 1941 mo­
dificò totalmente la situazione nei Balcani. La Germania hit­
leriana, dopo aver invaso la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda,
il Belgio e la Francia, faceva entrare le proprie truppe in Fin­
landia, in Romania e in Bulgaria, e attaccava nell’aprile del
1941 la Jugoslavia e la Grecia. In pochi giorni, l’esercito tedesco
occupava questi paesi, permettendo alle truppe italiane di rioc­
cupare l’Albania meridionale e di entrare in Grecia.
La guerra italo-greca, che aveva trasformato l’Albania in
un campo di battaglia, fu gravida di conseguenze per il paese.
Le perdite umane, gli ingenti danni materiali e l’accentuarsi della
politica colonialistica di rapina degli occupatori aggravarono
al massimo le condizioni delle masse popolari. Ma le disfatte
subite dall’Italia in questa guerra misero a nudo il marciume
del fascismo italiano, screditandolo totalmente agli occhi del
popolo albanese.
L’Italia allargò la sua zona d’occupazione creando la «Gran­
de Albania», in cui era compresa anche una parte dei territori
albanesi attribuiti alla Serbia dalla conferenza degli ambasciatori delle potenze imperialistiche riunitasi nel 1913 a Londra.
Allo scopo di consolidare le proprie posizioni nei Balcani, gli
occupatori fascisti tedeschi e italiani rinfocolarono le antiche
dispute nazionali e lo sciovinismo delle classi reazionarie dei
paesi balcanici. Ma i comunisti e il popolo intero non caddero
nel tranello della demagogia fascista. Denunciando la politica
provocatrice della «grande Albania», essi seguirono la via del­
l’intensificazione della lotta contro gli occupatori fascisti e della
60
collaborazione con i popoli vicini nella lotta di liberazione con­
tro il nemico comune, basandosi sul diritto di autodetermina­
zione dei popoli.
Il regime fascista in Albania
aveva subito una grave scossa.
Il periodo in cui esso ora en­
trava era segnato da una crisi politica in continuo approfondi­
mento che si espresse, oltre tutto, nella sua incapacità di repri­
mere il movimento popolare antifascista. Nella primavera del
1941, la formazione comandata dal patriota Myslim Peza aveva
intrapreso azioni armate contro gli occupatori fascisti. Ai suoi
colpi di mano, compiuti in marzo e in maggio, gli occupatori
risposero con la prima spedizione punitiva a Pezë. Le diser­
zioni in massa cominciarono ad assottigliare le file dei reparti
albanesi. In maggio l’odio popolare contro gli oppressori stra­
nieri si manifestò con un atto significativo. Nel cuore della
capitale, il giovane Vasil Laçi sparò contro il re d’Italia Vittorio
Emanuele III, allora in visita ufficiale in Albania.
In Albania la situazione rivoluzionaria si maturava sempre
più. Gli occupatori fascisti moltiplicarono le misure repressive.
Migliaia di patrioti furono arrestati e gettati in carcere. Per
salvarsi dalle persecuzioni della polizia o dall’arruolamento for­
zato, una parte di questi s’erano dati alla macchia e agivano
contro il nemico, isolati o in piccoli gruppi armati.
Enver Hoxha e i suoi compagni, valutando l’importanza
della formazione patriottica di Pezë, decisero di inviarvi alcuni
comunisti, che le avrebbero dato un carattere organizzato, ele­
vando altresì la coscienza politica dei suoi combattenti. Nel
corso degli incontri che Enver Hoxha ebbe con Myslim Peza,
questi accettò di buon grado la proposta di far entrare dei
comunisti nelle file della sua unità.
La decisione dei comunisti di darsi alla macchia per orga­
nizzare e allargare il movimento di liberazione nazionale segna­
va l’inizio di una nuova tappa nella loro attività. I comunisti
presero l’iniziativa e si adoperarono per organizzare il movi­
mento antifascista armato anche nelle altre regioni del paese.
Vaste proporzioni assumeva il loro lavoro di propaganda
fra le masse popolari. Oltre l’agitazione individuale, i manife­
stini e gli appelli, che cominciarono a essere diffusi nelle città
e poi anche nelle campagne, costituirono un’importante forma
di comunicazione dei comunisti con le masse. Alcuni di questi
L’unione dei comunisti in
lotta contro il fascismo
61
scritti però contenevano parole d’ordine politicamente sbagliate:
«Per l’Albania sovietica!», «Per l’Albania comunista!», «Per l’or­
ganizzazione dell’esercito rosso albanese!», parole d’ordine che
avevano la loro origine nell’inesatta valutazione della situazione
creatasi in Albania.
Lo sviluppo del movimento e l’insistenza dei comunisti, che
reclamavano l’unione, incitarono allora il Gruppo di Korçë e
quello di Shkodër a compiere un nuovo tentativo per stabilire
una reciproca collaborazione. Allo scopo di coordinare la loro
azione antifascista, le due parti crearono una «commissione
d’arbitraggio» come primo passo per giungere in seguito al­
l’unione completa. Però neppure questo tentativo portò a risul­
tati soddisfacenti.
Da parte sua, la sezione del Gruppo Comunista di Korçë a
Tirana aveva spiegato una vasta attività tra le file dei comunisti
e nei circoli dei nazionalisti patrioti, stabilendo con essi solidi
contatti. Enver Hoxha, animato dall’ardente desiderio di realiz­
zare quanto prima l’unione dei comunisti albanesi in un solo
partito, non era indietreggiato dinanzi ai nuovi ostacoli inter­
posti dall’opera frazionistica del Gruppo dei «Giovani» e dello
«Zjarri». Egli trovò un linguaggio comune con gli eminenti
militanti del Gruppo di Shkodra, Vasil Shanto e Qemal Stafa.
La sezione di Tirana, diretta da Enver Hoxha, divenne a poco
a poco un vero centro organizzativo per tutto il movimento
comunista e antifascista in Albania. Essa emerse sopra i gruppi.
Intorno a questa sezione s’erano riuniti parecchi risoluti co­
munisti dei vari gruppi. L’azione rivoluzionaria nella lotta
contro il fascismo aveva fatto differenziare i comunisti e soprat­
tutto i capi dei gruppi. La lotta comune contro il principale
nemico del popolo albanese e di tutti i popoli divenne così una
base reale per l’unione dei comunisti. Alla questione dell’unione
dei comunisti diede un validissimo contributo l’elaborazione, da
parte di Enver Hoxha, delle linee fondamentali della piatta­
forma della lotta antifascista di liberazione nazionale sulla quale
avrebbe poggiato tale unione.
Mentre la resistenza antifascista del popolo albanese au­
mentava di giorno in giorno, un importante avvenimento modi­
ficò radicalmente la situazione politica internazionale. Il 22
giugno 1941, la Germania hitleriana aggredì a tradimento
l’Unione Sovietica. L’imperialismo tedesco aveva deciso di di­
struggere il primo Stato socialista.
Il popolo sovietico, guidato dal Partito Comunista con a capo
G. Stalin, si levò come un sol uomo nella sua Grande Guerra
62
Patriottica per difendere la libertà e l’indipendenza delia sua
patria socialista. Questa guerra giusta aprì una nuova tappa
nella Seconda Guerra Mondiale, rafforzò il carattere antifascista di liberazione della lotta dei popoli contro il blocco
fascista e gettò le basi per l’unione in un unico fronte di tutte
le forze antifasciste del mondo.
In tutto il mondo le masse degli sfruttati erano interessate
alla vittoria dell’Unione Sovietica. I popoli dei paesi asserviti
vedevano a buon diritto in essa la principale garanzia che la
guerra antifascista sarebbe stata combattuta sino in fondo, sino
alla loro liberazione dagli occupatori fascisti. Di fronte a un
nemico così pericoloso come la Germania hitleriana e sotto la
sempre crescente pressione dei loro popoli che reclamavano la
creazione d’una potente coalizione antifascista, i governi delle
due più grandi potenze capitalistiche, l’Inghilterra e gli USA, si
allearono all’Unione Sovietica, che divenne la forza principale
di questa alleanza antifascista.
La proditoria aggressione fascista contro il popolo sovietico
e l’inizio della Grande Guerra Patriottica ebbero una profonda
eco in Albania. Gli occupatori italiani, i quali avevano anch’essi
dichiarato guerra all’Unione Sovietica, e la reazione interna,
inebriati dalle prime vittorie naziste, scatenavano una furiosa
campagna antisovietica e anticomunista, mentre le larghe masse
dei patrioti albanesi accoglievano con indignazione l’aggressione
hitleriana.
L’affetto che i patrioti albanesi nutrivano per l’Unione
Sovietica aveva le sue ragioni storiche. Nella sua secolare lotta
contro gli oppressori stranieri il popolo albanese s’era quasi
sempre trovato solo, senza alleati. Gli Stati capitalisti, o ave­
vano tenuto nei suoi confronti un atteggiamento apertamente
ostile, oppure gli s’erano mostrati «amici» con lo scopo di pu­
gnalarlo alla schiena e di sottometterlo al proprio controllo. Sol­
tanto l’Unione Sovietica socialista aveva difeso i diritti dell’Al­
bania e alzato la sua voce contro le ingiustizie commesse a suo
danno. Con l’entrata dell’Unione Sovietica in guerra contro il
fascismo, il popolo albanese, per la prima volta nella sua storia,
acquistava un potente e sincero amico e alleato di lotta e, al
pari degli altri popoli oppressi, una solida garanzia dell’ine­
vitabile rovina del blocco fascista. «La nostra lotta, — ha detto
il compagno Enver Hoxha, — non è cominciata dopo l’entrata
in guerra dell’Unione Sovietica, ma fu dopo l’entrata in guerra
63
dell’Unione Sovietica che il nostro popolo senti che il sangue
versato, non sarebbe stato sparso invano»*.
Nelle nuove contingenze, createsi con la coalizione anti­
fascista dei popoli di cui l’Unione Sovietica era l’avanguardia,
ai comunisti albanesi incombeva una grande responsabilità sto­
rica: assicurare al più presto al popolo albanese una direzione
politica, costituendo il partito comunista come condizione fon­
damentale per l’organizzazione, la direzione e l’estensione delia
lotta antifascista di liberazione nazionale. Altra via non c’era e
nessuno, all’infuori dei comunisti, nelle concrete condizioni sto­
riche del paese, sarebbe stato in grado di assumersi un tale
compito. Nei vari gruppi, i comunisti con saldi princìpi inter­
nazionalistici, ne erano pienamente coscienti. Indipendentemente
dalle divergenze ideologiche che esistevano fra loro, i comunisti
albanesi erano uniti dall’amore senza limiti che tutti nutrivano
per la loro Patria, e dall’affetto che provavano per l’Unione
Sovietica. Questi sentimenti divennero un fattore estremamente
importante per il loro ravvicinamento e per la loro stretta col­
laborazione, e diedero, in questo modo, la spinta decisiva alla
fusione dei gruppi in un solo partito comunista. Allora «... ci si
rese conto più che mai, soprattutto alla base, del grave pregiudi­
zio recato al movimento comunista dalla sterile lotta fra i grup­
pi e si sentì l’imperioso bisogno di por fine a questa lotta e di
realizzare le condizioni necessarie per l’unità del movimento in
Albania»**.
La lotta contro il fascismo, lotta che doveva assicurare
l’unione dei comunisti, assunse vaste proporzioni. In seguito al­
l’aggressione hitleriana contro l’URSS, il desiderio di bat­
tersi dei comunisti della base non poteva più essere contra­
stato neppure dai dirigenti del Gruppo di Shkodër, i quali
avevano espresso l’opinione che «i comunisti dovevano pren­
dere parte alla lotta quando l’Unione Sovietica si fosse impe­
gnata nella Seconda Guerra Mondiale». Il principale ruolo nel
Gruppo Comunista di Shkodër era ormai esercitato da Qemal
Stafa e da Vasil Shanto, il quale aveva cominciato ad agire di
concerto con Enver Hoxha. La linea della Lotta Antifascista di
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato alla riunione della Presi­
denza del Consiglio Generale di Liberazione Nazionale, 15 aprile 1944.
Verbali della riunione. ACP.
** Risoluzione della Riunione dei Gruppi Comunisti. Documenti
principali del PLA, vol. I, p. 18.
64
Liberazione Nazionale era divenuta la linea preponderante in
questo Gruppo. Nelle istruzioni impartite in quell’epoca ai mem­
bri del Gruppo, fra l’altro si raccomandava: «Da uomini che
amate il vostro paese, penetrate fra le masse, guadagnatevi la
loro simpatia, la loro comprensione, e preparatele per un movi­
mento nazionale armato»*.
Tutto ciò rese possibile la conclusione, nell’agosto del 1941,
di un accordo fra il Gruppo Comunista di Korça e il Gruppo
Comunista di Shkodra sulla loro fusione in un solo partito,
che sarebbe stata preceduta dall’organizzazione concordata di
una serie di azioni antifasciste. Con questo accordo solidarizzò
in seguito anche il Gruppo dei «Giovani», mentre il Gruppo
dello «Zjarri» non rispose all’invito di collaborazione. Fra le
azioni antifasciste svolte congiuntamente dai gruppi, la più im­
portante fu la grande manifestazione antifascista del 28 ottobre
1941 a Tirana, in occasione della ricorrenza fascista della «mar­
cia su Roma». Enver Hoxha fu il principale organizzatore di
questa manifestazione, a cui presero parte le larghe masse po­
polari
della
capitale.
I
fascisti
reagirono
ferocemente.
Enver Hoxha, perseguitato, fu costretto a passare alla clande­
stinità. Le autorità fasciste lo condannarono a morte in contu­
macia. La manifestazione di Tirana era stata la pietra di para­
gone dell’unione dei comunisti albanesi. Essa dimostrò la forza
di questa unione nel fuoco della lotta contro il fascismo e la
sua grande importanza per la mobilitazione delle masse popo­
lari nel Movimento di Liberazione Nazionale.
La manifestazione di Tirana fu seguita, l’8 novembre 1941,
a Korçë, da un’altra grande manifestazione di protesta analoga,
ugualmente organizzata dai gruppi comunisti per protestare con­
tro gli arresti in massa operati dai fascisti nella capitale. Il
suo esito fu un sanguinoso scontro con i carabinieri e con la
polizia fascista. In tale occasione fu ucciso Koci Bako, veterano
del Gruppo di Korçë.
Il successo politico di queste manifestazioni influì enorme­
mente sull’opinione pubblica del paese, elevando sensibilmente
il prestigio dei comunisti fra la popolazione. D’altro canto, il
loro successo preoccupò profondamente le autorità fasciste d’oc­
cupazione, le quali si rendevano conto di aver da fare con
* Istruzione del Gruppo di Shkodër, indirizzata ai propri membri.
ACP.
65
un avversario che, di giorno in giorno, diventava più forte e
più minaccioso.
Furono i comunisti albanesi stessi che con la loro lotta
crearono tutte le condizioni favorevoli alla fondazione del loro
partito. In seno ai gruppi comunisti si erano formati quadri
rivoluzionari di professione, i quali erano riusciti a elevarsi al
di sopra delle divergenze fra i gruppi, avevano risolutamente
abbracciato la linea della lotta senza compromessi contro gli
occupatori fascisti e i traditori del paese e si erano battuti per
l’unione del movimento comunista albanese su tale base. Con
la loro instancabile lotta, questi quadri prepararono ideologica­
mente e organizzativamente la formazione del Partito Comu­
nista d’Albania.
La lotta antifascista dei comunisti appartenenti ai vari
gruppi aveva scosso dalle fondamenta il settarismo e lo spirito
di gruppo che erano prevalsi fino a quel momento. Questa
lotta e la loro comune ideologia divennero, per i principali
gruppi comunisti, i fattori determinanti che li portarono a con­
cludere un accordo sull’organizzazione di una riunione dei loro
rappresentanti, con il compito di risolvere la questione della
fusione dei gruppi stessi e della fondazione del Partito Comu­
nista d’Albania.
5. FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA D’ALBANIA
La Riunione dei Gruppi Comunisti per la fondazione del
partito fu tenuta, in forma clandestina, a Tirana, dall’8 al 14
novembre 1941. Vi partecipavano 15 persone, fra cui
Enver Hoxha, Qemal Stafa, Vasil Shanto, Pilo Peristeri ed
altri.
Il compito principale, per cui era stata organizzata la Ri­
unione, fu risolto in linea di principio sin dall’inizio. Difatti
l’8 novembre fu presa la storica decisione di realizzare la fu­
sione dei gruppi e di fondare il Partito Comunista d’Albania
(PCA).
Alla Riunione furono presentati i rapporti concernenti l’at­
tività di ciascun gruppo, messi in luce i successi e le deficienze
del movimento comunista in Albania e dibattuti i vitali proble­
mi che si prospettavano al Partito.
La maggior parte dei rappresentanti espressero la loro de­
terminazione di porre fine alla scissione e di edificare un unico
66
partito marxista-leninista, dotato di una solida unità organiz­
zativa e ideologica e di una combattiva linea politica.
Soltanto Anastas Lula e Sadik Premte, principali capifila
e rappresentanti del Gruppo dei «Giovani», tentarono di osta­
colare il conseguimento di questo obiettivo. Non osando espri­
mersi apertamente contro l’unione dei gruppi comunisti, dato
che una tale unione veniva insistentemente sollecitata dal
basso, presentarono e difesero i ben noti punti di vista trotskisti del loro Gruppo e degli altri traditori del marxismo-lenini­
smo. Essi si sforzarono soprattutto di dimostrare «l’inesistenza
del proletariato», «il carattere reazionario e conservatore dei
contadini», «la mancanza di quadri preparati», «il pericolo rap­
presentato per i quadri da un’aperta propaganda e agitazione
contro il fascismo», «la vanità di contare sull’aiuto e sull’appog­
gio dell’Unione Sovietica»! Con ciò essi miravano a crear l’idea
che la costituzione di un unico partito comunista sarebbe stata
un atto puramente formale e che questo partito non sarebbe
mai riuscito a diventare la guida del popolo albanese e a diri­
gere la lotta per la liberazione nazionale.
Appoggiato da Qemal Stafa e da altri partecipanti alla Ri­
unione, fedeli alle posizioni marxiste-leniniste, Enver Hoxha si
mise a capo della lotta di principio contro tali tesi liquidatrici.
Vedendosi battuti, Anastas Lula e Sadik Premte accettarono,
pro forma, di sottomettersi alla maggioranza e s’impegnarono
a eseguire le decisioni della Riunione.
La Riunione dei Gruppi Comunisti definì le basi ideologi­
che e organizzative del Partito ed elaborò le questioni essenziali
della sua linea generale per il periodo della Lotta Antifascista
di Liberazione Nazionale.
Alla direzione del Partito fu eletto un Comitato Centrale
provvisorio composto di 7 membri. Enver Hoxha fu incaricato
di assumerne la direzione, quantunque la Riunione non avesse
designato alcun segretario.
Secondo quanto era stato convenuto, nessuno degli ex
dirigenti principali (presidente e vicepresidente) dei vari gruppi,
fu chiamato alla direzione del Partito. Ciò non era la conse­
guenza di un semplice accordo, ma un’esigenza dello sviluppo
del movimento comunista e rivoluzionario. I capi dei gruppi, im­
bevuti di spiccato spirito di gruppo, per lungo tempo avevano
costituito un ostacolo all’unione dei comunisti albanesi in un
unico partito e s’erano dimostrati incapaci di dirigere i comu­
nisti e le masse rivoluzionarie.
67
La Riunione condannò i punti
di vista socialdemocratici sul
partito della classe operaia,
punti di vista che principalmente Llazar Fundo s’era sforzato
di diffondere in Albania; essa denunciò la linea e l’attività del
tutto trotskiste del Gruppo dello «Zjarri» che cercava di farsi
riconoscere come «partito comunista albanese» e decise irrevoca­
bilmente che il Partito Comunista d’Albania venisse organizzato
e rafforzato come un partito di tipo nuovo: «Il Partito non
deve diventare un partito del vecchio tipo, un partito simile a
quelli della II Internazionale socialdemocratica, in cui regna­
vano la corrosione interna, la passività, il nepotismo, il frazio­
nismo e il tradimento degli interessi della classe operàia. Vo­
gliamo un partito... che sia capace di guidare la classe operaia
in lotta fino alla vittoria...»*.
Nello stesso tempo la Riunione stigmatizzò tutti i punti di
vista errati ed estranei all’ideològia marxista-leninista che erano
penetrati nelle file dei gruppi comunisti. In particolar modo fu
denunciata la «teoria dei quadri» come una teoria disfattista e
opportunistica che allontanava i comunisti dalle masse del po­
polo, li teneva in coda a queste, li trasformava in Una setta e
portava, infine, all’annientamento del partito.
Fu stabilito che la teoria d’avanguardia, da cui sarebbe
stato guidato il Partito nell’elaborazione del programma e in
tutta la propria attività, doveva essere il marxismo-leninismo.
A tale proposito venne fissato il seguente compito: «Dobbiamo
insistere energicamente nell’opera di elevazione ideologica dèi
quadri sul piano teorico e politico, mediante lo studio e l’assi­
milazione della teoria marxista-leninista...»**.
Il Comitato Centrale provvisorio fu incaricato di epurare
tutta la letteratura dei gruppi comunisti dal materiale anti­
marxista, trotskista e anarchico e di organizzare la pubblicazione
in lingua albanese, la diffusione e lo studio del «Breve corso
di storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell’URSS», nonché
di un certo numero di opere di K. Marx, F. Engels, V.I. Lenin
e G. V. Stalin.
Le basi ideologiche e orga­
nizzative del Partito
* Risoluzione della Riunione dei Gruppi Comunisti. Documenti
principali del PLA, vol. I, p. 23.
** Ibidem, p. 24.
68
In tal modo il Partito Comunista d’Albania rilevò sin dal­
l’inizio l’importanza della teoria marxista-leninista e della co­
scienza comunista dei suoi membri, quale forza che dà vita e
vigore, apre nuovi orizzonti e ìndica la via della vittoria al
movimento operaio, al movimento di liberazione delle masse
sfruttate e oppresse.
La Riunione decise di por fine una volta per tutte al mar­
ciume organizzativo dei gruppi comunisti, all’indisciplina, allo
spirito di frazione e di gruppo e di creare un partito su salde
basi organizzative marxiste-leniniste. Una solida organizzazione
fu considerata come il principale mezzo che avrebbe reso invin­
cibile il Partito e assicurato l’attuazione della sua linea politica.
Il primo compito che venne fissato fu l’obbligo di trasferire
al Comitato Centrale provvisorio tutti i collegamenti esistenti
fra le direzioni dei gruppi comunisti e i loro membri. A partire
da quel momento i comunisti erano tenuti ad applicare unica­
mente le norme organizzative stabilite dalla Riunione e dal
Comitato Centrale in base al principio del centralismo demo­
cratico, principio fondamentale d’organizzazione per un partito
marxista-leninista.
Fu impartita la direttiva di creare, entro brevissimo tem­
po, in sostituzione delle vecchie cellule ristrette e composte da
due o tre membri, cellule nuove in cui sarebbero stati am­
messi gli ex membri dei gruppi, dopo un previo esame di ogni
singolo caso. Coloro che avevano manifestato spiccate tendenze
di settarismo, di opportunismo e di spirito di gruppo non sareb­
bero stati ammessi nelle file del Partito. Parallelamente all’organizzazione delle cellule, era necessario istituire comitati pro­
vinciali del Partito e fra questi e le cellule dovevano essere
mantenuti solidi contatti. La Riunione raccomandava alle cellule
di dar prove della massima iniziativa, di penetrare fra le larghe
masse delle città e delle campagne e ai comitati di aiutarle e
di controllarle costantemente nella loro attività.
Nello stesso tempo, allo scopo di rafforzare il Partito, si
giudicò indispensabile potenziare le sue file di nuovi membri,
risoluti combattenti, operai e contadini poveri, spogliandosi di
ogni apprensione e di ogni settarismo nei confronti della loro
ammissione.
Per l’ammissione di nuovi membri al Partito fu scelta la
nota formula di Lenin, che la Riunione redasse in questi ter­
mini: «Membro del Partito può essere soltanto chi ne accetta
69
il programma, partecipa attivamente in una delle sue organiz­
zazioni (cellule) e paga le sue quote»*.
Particolare attenzione fu dedicata all’unità e alla disciplina
del Partito. «Senza una ferrea disciplina e senza l’unità del
partito, il nostro Partito, che conta un gran numero di nemici,
non potrebbe guidare con successo la lotta»**.
Allo scopo di assicurare una salda unità e una forte di­
sciplina, si raccomandava ai comunisti di tenere gli occhi aperti
per non permettere l’infiltrazione nelle file del Partito di ele­
menti arrivisti, intriganti, di spirito spiccatamente piccolo-bor­
ghese, che non sopportano la disciplina e creano il terreno per
attività antipartito. Contemporaneamente si incaricavano le or­
ganizzazioni del Partito di espellere senza esitazione dalle pro­
prie file chiunque fosse di tendenze antimarxiste, opportunisti­
che, liquidatrici. Fu rilevato che il nepotismo, lo spirito di grup­
po, di frazione, la mancanza di disciplina, non possono trovar
posto nel Partito.
Una questione fondamentale discussa dalla Riunione, a cui
si attribuiva un’importanza primaria, riguardava i legami del
Partito con le masse. Fu chiesto insistentemente che a tale pro­
posito la cancrena dei gruppi venisse assolutamente sanata.
La Riunione raccomandò ai comunisti albanesi di non di­
menticare mai le parole di G. Stalin: «Se non si staccano dal
popolo, madre che li ha generati, i comunisti saranno invinci­
bili».***
La Riunione indicava ai comunisti la via da seguire per
stabilire i contatti con le larghe masse delle città e delle cam­
pagne. della gioventù e delle donne, per convincere tali masse
della giustezza della linea politica del Partito: compiere opera
di propaganda e di agitazione combattiva e intensa fra tutti gli
strati della popolazione; svolgere azioni politiche e combattive
quanto più vivamente possibile; combinare il lavoro politico di
chiarimento e le attività politiche e combattive con l’organiz­
zazione delle masse da parte del Partito.
Allo scopo di assicurare solidi legami con le masse, la Riu­
nione chiedeva che venisse compiuta una svolta nel lavoro fra
la gioventù e fra le donne, che fossero eliminati l’indolenza, il
settarismo e altri errori dei gruppi in tal senso. Il Comitato
Centrale Provvisorio fu incaricato di creare quanto più presto
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 24.
** Ibidem, p. 25
*** Ibidem, p. 23.
70
l’organizzazione della Gioventù Comunista, attraverso la quale
tutta la gioventù albanese doveva essere mobilitata nella lotta
antifascista. Per quel che riguardava le donne, il compito fissato
era di svolgere fra di esse un lavoro attento, di ammettere al
Partito delle lavoratrici e di mobilitare le masse femminili
nella lotta di liberazione.
La Riunione dedicò altresì una particolare attenzione alla
protezione del Partito dagli attacchi dei nemici che avrebbero
fatto di tutto per distruggerlo. Gli occupatori fascisti italiani e i
loro servi albanesi avrebbero cercato di colpire il Partito Comu­
nista con maggior violenza di quel che non avessero fatto nei
confronti dei gruppi. In tal senso essi venivano aiutati anche
dai trotskisti del Gruppo dello «Zjarri» e da tutti i rinnegati
del comunismo. Perciò nel corso della Riunione fu stabilito che
i membri del Partito avevano il dovere di dar prova della mas­
sima vigilanza, di conservare a ogni costò i segreti del Partito,
di osservare la massima segretezza, di abituare il Partito a
operare nelle condizioni d’una totale illegalità. A tale proposito
furono severamente condannate le concezioni di alcuni oppor­
tunisti e traditori nelle file dei gruppi, i quali sostenevano che
i comunisti, messi alla tortura, possono anche fare delle con­
fessioni alla polizia e ai carabinieri, senza per questo commet­
tere un tradimento. Fu deciso che tali concezioni, estranee al
partito del proletariato, si dovevano far scomparire senza pietà.
Pur chiedendo ai comunisti di agire nella massima segre­
tezza la Riunione rilevava nello stesso tempo che ciò doveva
venir compreso giustamente, senza per altro farne un motivo
di limitazione dell’attività fra le masse. «Noi lavoriamo nella
clandestinità per proteggere la nostra organizzazione dal nemico
e non per nasconderci dietro le quinte e per rinchiuderci in noi
stessi»*.
La linea politica del Partito
prese corpo nei compiti po­
litici elaborati dalla Riu­
nione dei Gruppi Comuni­
sti. L’obiettivo strategico del Partito per il periodo storico che
il paese stava attraversando, fu così definito: Combattere per
l’ipdipendenza nazionale del popolo albanese e per un governo
popolare democratico in un’Albania libera dal fascismo**.
La linea politica tracciata
per la Lotta di Libera­
zione Nazionale
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 25.
** Ibidem, p. 26. (Sottolineatura della Red.).
71
La definizione di quest’obiettivo strategico si fondava sulla
contraddizione antagonistica fondamentale che esisteva allora in
Albania e che reclamava una soluzione urgente al fine di ab­
battere gli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo sociale,
economico e culturale della nazione: la contraddizione fra il
popolo e gli occupatori fascisti. Esisteva anche un’altra contrad­
dizione: quella tra le masse popolari e le classi sfruttatrici, ma
in quel tempo essa era passata in secondo piano. Tuttavia, nelle
concrete condizioni del momento, quest’ultima contraddizione
non poteva venir risolta separatamente dalla contraddizione an­
tagonistica fondamentale, per il fatto che i grandi proprietari
terrieri, i bajraktar e la borghesia reazionaria costituivano il
sostegno sociale degli occupatori nel paese. Gli interessi delle
principali classi sfruttatrici del paese erano strettamente legati
a quelli degli occupatori fascisti. Perciò il conseguimento
dell’obiettivo strategico del Partito non poteva non toccare
anche gli interessi di queste classi, strumenti dei soggiogatori
stranieri.
Gli onnipotenti dominatori dell’Albania erano i fascisti ita­
liani, che erano, pertanto, i principali nemici del popolo albanese
in quel periodo. Tutti coloro che parteggiavano per gli occupa­
tori e si erano posti al loro servizio per opprimere il popolo
albanese, furono dichiarati traditori, strumenti del fascismo e a
loro fu dichiarata guerra lo stesso che all’invasore.
Le forze principali e maggiormente interessate al consegui­
mento dell’obiettivo strategico erano gli operai e i contadini,
sulle cui spalle gravava il maggior peso della schiavitù fascista.
Per tale ragione il Partito stabilì che uno dei suoi più impor­
tanti compiti doveva essere «la creazione e l’ampliamento del­
l’unità combattiva tra le masse lavoratrici delle città e deile
campagne»*.
Alla conquista dell’indipendenza nazionale erano del pari
interessati anche gli strati non lavoratori di patrioti. Il Partito
non poteva lasciarli da parte e assegnò quale compito di svol­
gere un’incessante lavoro per mobilitarli nel Movimento di Libe­
razione Nazionale. «...Uniamoci con tutti i nazionalisti1 che
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 26.
1 Nazionalisti venivano generalmente chiamati quei patrioti che
amavano la Patria e volevano la sua liberazione dagli occupatori stra­
nieri. Ma nazionalisti si autodefinivano anche gli pseudopatrioti pro-
72
vogliono realmente un’Albania libera, con tutti gli albanesi
onesti che vogliono combattere il fascismo»*.
Con ciò veniva lanciata l’idea del Fronte di liberazione na­
zionale, idea che sarebbe stata elaborata più profondamente e
che avrebbe acquistato una forma più definitiva e concreta
durante lo sviluppo della lotta.
Prevedendo che gli occupatori fascisti e la reazione interna
avrebbero fatto ricorso a ogni mezzo per non permettere l’unità
combattiva del popolo albanese, la Riunione dei Gruppi Comu­
nisti raccomandò di denunciare e di sventare tutte le mene dei
fascisti italiani e del governo quisling miranti a disgregare il
Fronte di liberazione nazionale del popolo albanese.
All’atto della fondazione del Partito Comunista, in Albania
non esisteva alcun partito politico antifascista che potesse rap­
presentare gli interessi della borghesia o di qualche altra classe
o ceto. Tuttavia la Riunione, in linea di principio, si dichiarò
favorevole alla collaborazione del Partito Comunista con altri
partiti politici antifascisti sulle questioni d’organizzazione della
lotta contro gli occupatori, nel caso che simili partiti venissero
formati.
Per quel che concerneva la liberazione del paese e l’instau­
razione della democrazia popolare in Albania, la Riunione dei
Gruppi Comunisti pervenne alla conclusione che la sola via
reale e sicura da seguire nelle concrete condizioni del paese
era l’insurrezione armata contro il fascismo. Essa decise «... di
preparare politicamente e militarmente il popolo all’insurrezione
generale armata, riunendo nella lotta tutte le forze patriottiche
e antifasciste»**.
Pur scegliendo come principale forma di lotta l’insurrezione
generale armata, il Partito non trascurò affatto le altre forme
di lotta, gli scioperi, le manifestazioni antifasciste, i sabotaggi,
lo smascheramento a voce e per iscritto dei nemici, e così via.
Però queste forme avevano tutte lo scopo di preparare il popolo
all’insurrezione generale armata.
L’organizzazione della lotta armata esigeva inoltre, a ogni
venienti dalle file dei grandi proprietari terrieri, dei bajraktar e della
borghesia reazionaria. Per tale ragione i veri patrioti, per non essere
confusi con gli elementi reazionari e traditori, si chiamavano anche
«nazionalisti onesti», «nazionalisti patrioti».
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 14, (Sottolineatura
della Red.)
** Ibidem, p. 26.
73
costo, la preparazione delle forze armate, dell’esercito di libera­
zione nazionale. La Riunione rilevò che senza la creazione di un
vero esercito popolare, capace di colpire senza tregua il nemico,
di distruggere il suo apparato militare e politico, non si poteva
neppure concepire l’insurrezione armata, non si poteva neppure
parlare di liberazione del paese, di conquista dell’indipendenza
nazionale né di instaurazione d’un governo democratico po­
polare.
Nelle condizioni dell’occupazione dell’Albania e della Se­
conda Guerra Mondiale, era impossibile che l’insurrezione ar­
mata esplodesse in maniera generale e istantanea, che l’esercito
popolare rivoluzionario venisse creato immediatamente. Lo svi­
luppo dell’insurrezione armata e la creazione dell’esercito di
liberazione nazionale avrebbero costituito un intero processo.
Questa idea era chiaramente illustrata in uno dei compiti poli­
tici definiti dalla Riunione per l’organizzazione del movimento
partigiano: la formazione di unità di guerriglia e di distacca­
menti, come ossatura del futuro esercito popolare e base reale
per la preparazione dell’insurrezione generale.
Conformemente al suo obiettivo strategico e alle nuove
contingenze
internazionali
risultanti
dall’entrata
dell’Unione
Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale, il Partito Comunista
d’Albania definì anche gli alleati esterni del popolo albanese e
l’atteggiamento da tenere verso tali alleati.
Su scala internazionale, la Lotta di Liberazione Nazionale
albanese era parte integrante della lotta antifascista mondiale.
Con la sua lotta, il popolo albanese doveva inserirsi fra i più
attivi partecipanti alla grande coalizione antifascista.
A tale proposito, la Riunione dei Gruppi Comunisti definì
quali alleati del popolo albanese nella sua Lotta di Liberazione
Nazionale l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti
d’America e tutti i popoli soggiogati che lottavano contro il
comune nemico — il fascismo tedesco, italiano e giapponese. Essa
fissò quale compito di collegare la Lotta di liberazione nazionale
albanese con la grande guerra antifascista mondiale.
Il Partito valutò nel più giusto dei modi l’alleanza dell’Unione Sovietica con la Gran Bretagna e gli USA, giudican­
dola un’alleanza militare imposta dalle circostanze per salvare
il mondo dal pericolo della schiavitù fascista. Contemporanea­
mente esso espresse differenti apprezzamenti sui suoi vari al­
leati e adottò nei loro riguardi un atteggiamento differenziato.
Nell’appello indirizzato al popolo albanese il Comitato Centrale
74
provvisorio del PCA dichiarava: «Dobbiamo, in primo luogo,
collegare strettamente la nostra Lotta di Liberazione Nazionale
con l’eroica lotta dei popoli dell’Unione Sovietica che si man­
tiene in prima linea nella lotta di liberazione contro il fascismo»*.
Il Partito Comunista d’Albania considerava l’Unione Sovietica
come l’alleata fedele e sincera del popolo albanese, che lo
avrebbe anche aiutato a instaurare e a consolidare il potere
popolare in Albania. Mentre invece la Gran Bretagna e gli
Stati Uniti d’America non erano che alleati provvisori nella
lotta contro gli Stati fascisti.
La Riunione dei Gruppi Comunisti per la fondazione del
Partito fissò quale compito di «promuovere l’affetto per l’Unione Sovietica», mettendo in risalto la sua funzione d’avanguardia
nella lotta contro il fascismo e, contemporaneamente a ciò, le
sue grandi conquiste nell’edificazione del socialismo.
Essa raccomandò altresì di «sviluppare l’amicizia e la stretta
collaborazione militante del popolo albanese con tutti i popoli
dei Balcani, soprattutto con i popoli serbo, greco, montenegrino
e macedone»**, che si erano levati nella lotta antifascista di li­
berazione.
Infine la Riunione espresse la convinzione che il Partito
Comunista di recente creazione avrebbe liquidato entro breve
tempo lo stato malsano nel movimento comunista d’Albania, si
sarebbe inserito nelle prime file della lotta di liberazione na­
zionale e sociale, diventando capace di assolvere i grandi com­
piti storici che gli si prospettavano, come guida del popolo
albanese in tale lotta.
La storica importanza della Riunione dei Gruppi Comunisti
consiste nel fatto che essa fondò il Partito Comunista d’Albania
come partito rivoluzionario marxista-leninista della classe
operaia.
Essa armò il Partito di un programma politico chiaro, ri­
spondente alle esigenze e alle aspirazioni delle larghe masse
popolari, del paese, del socialismo. Tale programma non era
ancora completo e i compiti che esso prospettava non erano
elaborati dettagliatamente poiché per far ciò sarebbe stata ne­
cessaria una più vasta esperienza di lavoro e di lotta rivolu* Primo appello del CC del PCA, novembre 1941. Documenti prin­
cipali del PLA, vol. I, p. 31.
** Risoluzione della Riunione dei Gruppi Comunisti. Documenti
principali del PLA, vol. 1, p. 27
75
zionaria da parte del Partito e delle masse popolari. Tuttavia
questo programma era stato elaborato su basi scientifiche marxiste-leniniste.
I risultati della Riunione segnano la vittoria del marxismoleninismo sul trotskismo e sull’opportunismo nel movimento
operaio e comunista in Albania.
Il Partito Comunista d’Albania, essendo in primo luogo il
rappresentante degli interessi della classe operaia, prese su di
sè il compito di difendere nello stesso tempo gli interessi di
tutte le masse lavoratrici, del popolo asservito dell’Albania.
Perciò la fondazione del Partito fu una grande vittoria per il
popolo albanese.
Per tutte queste ragioni la Riunione dei Gruppi Comunisti
assunse l’importanza di un congresso costitutivo.
76
CAPITOLO II
IL PARTITO COMUNISTA D’ALBANIA —
ORGANIZZATORE E GUIDA DELLA
LOTTA PER LA LIBERAZIONE DEL
PAESE E L’INSTAURAZIONE
DEL POTERE POPOLARE
(1941-1944)
1. ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO. SFORZI PER UNIRE
E MOBILITARE LE MASSE NELLA LOTTA
DI LIBERAZIONE NAZIONALE
Dinanzi al Partito si prospettavano difficoltà e ostacoli par­
ticolarmente gravi nell’attuazione dei suoi compiti storici.
Il Partito aveva avuto in retaggio dai gruppi comunisti,
che lo avevano generato, debolissimi legami con le masse.
Nel paese imperava un terrore selvaggio. Le forze armate
italiane dislocate in Albania per tenere in piedi il regime d’oc­
cupazione, ammontavano a circa 100.000 uomini. Nel dicembre
del 1941 a capo del governo quisling fu nominato Mustafa
Kruja, vecchio servitore e agente del fascismo, considerato una
«mano di ferro», capace di distruggere le organizzazioni comu­
niste e di piegare il popolo albanese. Il lavoro del Partito era
altresì ostacolato dalla quinta colonna e dai capifila dello «Zjarri», passati al servizio dell’occupatore, nonché da altri nemici.
In tali circostanze, tutta l’attività del Partito non poteva essere
svolta che illegalmente.
Per condurre la lotta armata, il Partito non aveva né armi,
né mezzi finanziari, né quadri militari.
77
Essendo un partito di recente creazione, non possedeva la
necessaria esperienza per esplicare la sua funzione, di guida
politica e i suoi membri non erano ancora dotati di una pro­
fonda e vasta preparazione teorica.
Ma tali ostacoli e difficoltà, ben noti al Comitato Centrale
e a tutti i comunisti albanesi, non impedirono al Partito di
proseguire coraggiosamente il suo cammino in avanti. Esso non
scelse la via sbagliata, non aspettò d’aver prima preparato i
suoi quadri, d’essersi procurato le armi e il denaro necessari,
d’aver accumulato un’esperienza sufficiente e d’essersi elevato
sul piano teorico prima di intraprendere il lavoro e la lotta.
Tutto ciò se lo sarebbe assicurato nel corso della lotta stessa,
poggiando sulla situazione rivoluzionaria creatasi nel paese, sul­
l’alto patriottismo del popolo, sulla fedeltà dei comunisti alba­
nesi al marxismo-leninismo e alla causa del comunismo. La
fiducia del Partito nella vittoria delle forze antifasciste mon­
diali, e, in primo luogo, in quella dell’Unione Sovietica sul fa­
scismo, rendeva ancora più ferma la sua convinzione di poter
assolvere con successo i propri compiti.
Il più impellente compito del
Partito era di procedere alla
propria organizzazione. Tutti i
membri del Comitato Centrale si diramarono nelle varie regioni
per formarvi nuove cellule, per organizzarvi le conferenze di
partito e crearvi i comitati regionali. Circa 200 comunisti, scelti
fra i membri degli ex gruppi comunisti, furono ammessi nelle
cellule. Furono costituiti otto comitati regionali, per la maggior
parte scaturiti dalle conferenze di partito. Nelle cellule e nelle
conferenze di partito, i comunisti appoggiarono con vigore la
fusione dei gruppi e la loro unione in un unico partito comu­
nista albanese, in quel partito che da tempo essi reclamavano.
Essi aderirono alla linea politica del Partito, definita dalla
Riunione dei Gruppi Comunisti, ed espressero la determina­
zione di lottare con tutte le loro forze sotto la guida del Co­
mitato Centrale provvisorio.
Le prime cellule furono quasi tutte formate nelle città. I
primi membri del Partito erano soprattutto operai, artigiani e
intellettuali. Presso ogni cellula furono costituiti gruppi di for­
mazione ideo-politica composti di militanti fedeli alla causa del
popolo e del comunismo e giudicati capaci di diventare membri
I primi provvedimenti or­
ganizzativi
78
del Partito. Furono altresì organizzati gruppi di simpatizzanti.
L’organizzazione del Partito fu grosso modo completata nel
gennaio del 1942.
Durante questo periodo il Comitato Centrale provvisorio
provvide inoltre a creare l’organizzazione della Gioventù Comu­
nista Albanese, che venne formata il 23 novembre 1941 dall’at­
tivo dei giovani comunisti che erano collegati con i vari gruppi
comunisti. Qemal Stafa, membro del Comitato Centrale del
Partito, fu eletto segretario politico della Gioventù Comunista.
Il Comitato Centrale e il compagno Enver Hoxha stesso si adope­
rarono direttamente perché l’organizzazione della Gioventù Co­
munista fosse edificata su basi marxiste-leniniste. A essa fu
affidato il compito di divenire la più fedele e più potente colla­
boratrice del Partito Comunista d’Albania per l’educazione delle
larghe masse della gioventù albanese nello spirito del patriotti­
smo e secondo le idee comuniste, per la mobilitazione di tali
masse nella lotta di liberazione antifascista. La gioventù alba­
nese racchiudeva nel proprio seno inesauribili energie rivo­
luzionarie. In essa il Partito vedeva la più importante fonte
delle più vivaci forze rivoluzionarie antifasciste. Rispondendo
al saluto che la Gioventù Comunista, in occasione della sua
creazione, inviava al Comitato Centrale del PCA, il compagno
Enver Hoxha scriveva: «Il Partito nutre le più vive speranze
che la Gioventù comunista albanese sarà degna della fiducia
che in essa ripone il nostro giovane Partito e che saprà attuare
in modo rivoluzionario l’alto compito assegnatole ... in ferrea
unità d’intenti e di cuore con il Partito, organizzare e guidare
in modo rivoluzionario la gioventù albanese asservita verso un
radioso avvenire, verso la liberazione dalle medioevali catene
della schiavitù fascista e verso una nuova vita di progresso,
di cultura e di felicità»*.
Allo scopo di promuovere l’elevazione ideologica dei mem­
bri del Partito e dei giovani comunisti, fu organizzato nelle
cellule del Partito, nei gruppi di formazione ideopolitica, in
quelli dei simpatizzanti e negli attivi della Gioventù Comunista,
lo studio della storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell’URSS e delle questioni fondamentali del marxismo-leninismo.
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 33.
79
Parallelamente
all’opera
svolta
per gettare e consolidare le basi
organizzative e ideologische, il
Partito Comunista si dedico con tutte le sue forze al lavoro
per stabilire solidi legami con le masse popolari e per
convincerle della giustezza della propria linea politica. Esso
pose in primo piano questo compito, come chiave per risolvere
il problema dell’unione e della mobilitazione del popolo nella
lotta.
Immediatamente dopo la creazione del Partito, il Comitato
Centrale provvisorio si rivolse all’intero popolo albanese con un
appello che risuonò come un’esortazione alla riscossa: «... ci ri­
volgiamo a tutti gli albanesi onesti che amano veramente l’Alba­
nia affinché le loro e le nostre forze si uniscano e vengano poste
al servizio della lotta per la liberazione nazionale. La lotta
aperta è il solo atteggiamento possibile nei confronti dell’inva­
sore. Che ogni figlio di questo paese sia un combattente della
Lotta di Liberazione Nazionale. Per abbattere il nemico, la
nostra lotta deve essere organizzata, unita e potente...
Tutti uniti nella lotta! PER LA LIBERAZIONE NAZIO­
NALE, CONTRO L’INVASORE FASCISTA!»*.
Il PCA dedicò una cura particolare alla propaganda e al­
l’agitazione attraverso la stampa e oralmente. Il Comitato Cen­
trale si rivolgeva continuamente con appelli e volantini a tutto
il popolo albanese o separatamente ai contadini, ai militari,
alle donne, ai giovani. Appelli e volantini indirizzati al popolo
venivano diffusi anche dai comitati regionali del Partito. Sin
dall’inizio del 1942 questi comitati pubblicarono anche comu­
nicati e bollettini periodici sugli sviluppi della lotta antifascista
all’interno del paese e all’estero.
Mai nessun gruppo o organizzazione politica in Albania
aveva svolto una propaganda e un’agitazione così vaste e com­
battive, di contenuto ideologico talmente saldo, chiaro e con­
creto, come la propaganda e l’agitazione che il Partito Comu­
nista d’Albania cominciò a svolgere tra le masse degli operai,
dei contadini, degli intellettuali, dei giovani, delle donne, dei
militari. Mediante questo instancabile lavoro il Partito rendeva
chiara la sua linea generale, spiegava la situazione internazio­
nale e quella interna, smascherava il fascismo, gli invasori itaCompito primo: i legami
con le masse
* Primo appello del CC del PCA. Documenti principali
vol. I, pp. 31-32.
80
del PLA,
liani, gli aggressori hitleriani e i traditori del popolo albanese.
Fra tutte le forme d’agitazione e di propaganda, al primo
posto si trovava l’agitazione orale: discussioni a due o in piccoli
gruppi, dibattiti nelle riunioni d’operai, di contadini o di gio­
vani. Tale forma di agitazione portava ai risultati più soddisfa­
centi. I comunisti s’introducevano ovunque ci fossero le masse.
Per penetrare fra il popolo, essi facevano uso d’ogni mezzo e
d’ogni opportunità, mettendo largamente a frutto ogni vecchia
e nuova conoscenza, le feste nazionali e popolari, i giorni di
mercato, le feste nuziali, i legami di parentela, e così via.
Basandosi sulla linea generale del Partito, il Comitato Cen­
trale provvisorio elaborò le principali parole d’ordine che veni­
vano diffusi attraverso le sue pubblicazioni, nel corso delle
manifestazioni antifasciste e mediante l’agitazione orale. Que­
ste parole d’ordine rispondevano alle esigenze e alle aspira­
zioni delle masse popolari, erano comprese e accettate dal
popolo. La parola d’ordine «Morte al fascismo! Libertà al po­
polo!» divenne il motto fondamentale della Lotta di Libera­
zione Nazionale.
Grazie al lavoro di propaganda del Partito, cominciò a de­
linearsi chiaramente la necessità dell’unione e di una lotta or­
ganizzata contro gli occupatori. Questo fatto si espresse nel­
l’entusiasmo rivoluzionario che si diffuse soprattutto tra le
masse della gioventù. I giovani comunisti riuscirono a far scio­
gliere le società sportive e culturali della gioventù istituite dai
fascisti italiani, e a formare nuove organizzazioni direttamente
guidate dalla Gioventù comunista.
La propaganda e l’agitazione combattive costituivano una
efficacissima arma per attirare le masse, ma ciò non era suf­
ficiente. Il PCA aveva tratto preziosi insegnamenti dalle carenze
manifestatesi nel lavoro dei gruppi comunisti e sin dall’inizio
s’era reso chiaramente conto che le masse riescono a capire e
ad assimilare ciò che il Partito dice soltanto alla prova di nu­
merosi fatti, di molte opere concrete che rispondano direttamente alle loro esigenze, ai loro interessi e alle loro aspirazioni.
In principio una parte della popolazione, soprattutto nelle
campagne, non comprendeva gli scopi e il senso dell’attività
politica dei comunisti, perché il Partito non era ancora ben co­
nosciuto ed esistevano pregiudizi nei confronti dei comunisti e
del comunismo, diffusi fra il popolo dalla propaganda borghese.
Il Comitato Centrale raccomandava ai comitati regionali del
Partito di organizzare e di compiere il maggior numero possibile
81
di azioni politiche e belliche, di manifestazioni antifasciste, di
scioperi, di sabotaggi, di azioni armate, e così via, come prin­
cipali mezzi per consolidare il Partito e per moltiplicare i propri
contatti con le masse. Esso chiedeva ai comunisti di costituire
un esempio per gli altri con il loro valore, la loro risolutezza
e la loro fedeltà al popolo e alla Patria.
Nel dicembre del 1941 e all’inizio del 1942, in quasi tutte
le città furono istituiti e cominciarono ad agire i nuclei di
guerriglia urbana sotto la guida diretta dei comitati regionali
del Partito. I primi nuclei furono composti di comunisti, di
membri della Gioventù Comunista e di simpatizzanti. Erano
piccoli gruppi armati, costituiti di 5-10 persone. In generale i
loro membri non erano ancora passati all’illegalità.
Al principio del 1942, a Tirana, Korçë, Vlorë, Shkodër,
Gjirokastër e in altre città, i nuclei di guerriglia uccisero decine
di ufficiali e di gerarchi fascisti italiani, di spie e di traditori
albanesi. Essi assalirono e distrussero numerosi depositi e altri
obiettivi militari del nemico. Sotto la direzione dei comitati
regionali si svolsero manifestazioni antifasciste a Shkodër, Ti­
rana, Durrës, Elbasan, Vlorë e altrove. Nel corso degli scontri
coi nemici si ebbero i primi caduti fra i membri del Partito.
Le azioni belliche dei nuclei di guerriglia avevano per scopo
non soltanto di nuocere al nemico, ma, in primo luogo, di pro­
curare vantaggi politici al Movimento di Liberazione Nazionale,
di influire sull’elevamento della coscienza politica delle masse.
Le azioni armate e le manifestazioni antifasciste suscitarono
fra le larghe masse popolari un sincero affetto per i comunisti
e accrebbero rapidamente l’autorità del PCA. Il valore senza
pari e la maturità che i comunisti dimostrarono nella lotta
contro il fascismo, avvicinarono sempre più le masse al Partito
facendo sì che il popolo prestasse fede alla sua parola.
All’inizio del 1942, il Comitato Centrale del Partito dispose
affinché si provvedesse all’organizzazione dei reparti partigiani
non appena si fossero create le condizioni indispensabili come,
in particolare, le basi del movimento nelle campagne. I reparti
partigiani dovevano essere in grado di compiere azioni più
vigorose e su più vasta scala dei nuclei di guerriglia.
Alla propaganda e all’agitazione militanti, all’azione politica
e militare, il Partito affiancò il lavoro d’organizzazione del po­
polo. Quest’opera esso non l’iniziò con la creazione delle orga­
nizzazioni di massa, per la ragione che le masse dovevano prima
venir preparate politicamente. Come forma iniziale di organiz­
82
zazione del popolo ci si avvalse dei contatti individuali dei
membri del Partito, dei giovani comunisti e dei simpatizzanti
con gli operai, i contadini, gli artigiani, gli intellettuali, le
donne, gli allievi delle scuole medie, utilizzando altresì i circoli
sportivi e culturali dei giovani, i corsi di cucito delle donne, le
riunioni educative. Tali forme d’azione permisero di assicurare
la partecipazione delle masse alle riunioni e alle conferenze
clandestine, la loro presa di coscienza politica e l’ardente ade­
sione al movimento antifascista.
Nel febbraio del 1942, il Comitato Centrale del Partito
lanciò per la prima volta la direttiva per la costituzione dei
consigli di liberazione nazionale, quali mezzi d’organizzazione e
di mobilitazione del popolo per la lotta antifascista e nello
stesso tempo come «embrioni del nostro futuro governo».* I
consigli avrebbero avuto la funzione di importantissimi nodi di
collegamento del Partito con le larghe masse popolari nonché di
anelli della loro unione nel Fronte di Liberazione Nazionale.
Il giusto atteggiamento del PCA nei confronti dei naziona­
listi patrioti costituì un fattore di particolare importanza per il
suo collegamento con il popolo. Una parte di questi avevano
influenza in vari strati della popolazione, soprattutto nelle cam­
pagne. La collaborazione con i nazionalisti onesti dava la possi­
bilità di mobilitare nella lotta le masse che si trovavano sotto
la loro influenza. Il Comitato Centrale e i comitati regionali del
Partito davano prova di prudenza, di molta pazienza e di tatto
nel loro lavoro con i nazionalisti.
Pur mirando all’unione e alla sincera collaborazione coi na­
zionalisti, il PCA ebbe sempre presente l’irresolutezza e i ten­
tennamenti che si manifestavano in una parte di costoro, la
discontinuità dei loro proponimenti circa la lotta rivoluzionaria
e la democratizzazione del paese, le tendenze al compromesso
con gli occupatori, che si palesavano in alcuni di essi. Il Partito
si pose il compito di eliminare i tentennamenti e di neutraliz­
zare l’influenza di quei nazionalisti che, per una ragione o per
un’altra, non accettavano di prender parte alla Lotta Antifa­
scista di Liberazione Nazionale, pur non collaborando con l’occupatore fascista.
Nel quadro del lavoro svolto fra le masse, venne organiz­
zata anche la raccolta degli aiuti materiali. Nessuno, all’infuori
del popolo, poteva aiutare il Partito e la Lotta di Liberazione
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 45.
83
Nazionale a far fronte alle necessità finanziarie e materiali.
Ogni aiuto volontario, per quanto modesto, in denaro o in na­
tura, dato al Partito dall’operaio, dall’artigiano, dal contadino,
dal piccolo o medio commerciante, dal maestro di scuola o da
qualsiasi altro patriota, significava nello stesso tempo l’adesione
alla sua linea ed era un ponte di collegamento con le masse.
Le campagne svolte dalle organizzazioni del Partito per la rac­
colta di aiuti per il Partito e per la Lotta di Liberazione Na­
zionale servirono altresì per compiere un vasto lavoro polìtico
di chiarimento fra il popolo. Una tale campagna, per esempio,
venne organizzata nel gennaio del 1942 in tutta l’Albania, sotto
il nome di «Settimana del Partito Comunista».
La popolarizzazione del Partito Comunista, la sua aumentata
autorità fra le masse, le coraggiose azioni delle unità di guerri­
glia, le manifestazioni antifasciste, misero in allarme gli occu­
patori fascisti e i traditori. Le autorità d’occupazione e il go­
verno quisling presero in fretta e furia una serie di provvedi­
menti straordinari allo scopo di smantellare il Partito Comunista.
Vennero impartiti ordini speciali per l’applicazione di «una
energica politica verso gli elementi sovversivi», e per la procla­
mazione dello stato d’assedio.
D’altro canto, gli oppressori italiani ricorsero a nuove ma­
novre per ingannare il popolo albanese e soprattutto i nazio­
nalisti e i giovani. La propaganda fascista presentava il movi­
mento di liberazione nazionale come un movimento esclusivamente «comunista» e «antinazionale». Mustafa Kruja si sforzava
di convincere l’opinione pubblica che l’Italia fascista aveva for­
giato la «grande Albania» e difendeva l’indipendenza nazionale
del popolo albanese! Mussolini impartì al Luogotenente italiano
a Tirana l’ordine di «concedere maggiore autonomia agli alba­
nesi». Gli occupatori decisero di togliere dalla bandiera albanese
i fasci littori e la corona di Savoia, considerando tali simboli
come «causa dell’indignazione e della rivolta dei patrioti alba­
nesi». Alla denominazione «Partito Fascista Albanese» venne
aggiunta la parola «Nazionale».
Ma il terrore e la demagogia dei fascisti non erano in grado
di ostacolare l’ascesa del Movimento di Liberazione Nazionale
e dell’autorità del Partito Comunista d’Albania.
I successi furono evidenti sin dai primi mesi di vita del
Partito. Tuttavia tali successi non erano considerati soddisfa­
centi. Nel lavoro dei comunisti si riscontravano sintomi di set­
tarismo, un male ereditato dal passato. Poco era stato fatto
84
per l’organizzazione degli operai, ma le maggiori carenze si
costatavano soprattutto nell’opera svolta tra i contadini. Le vec­
chie concezioni che ancora permanevano nei gruppi, secondo
cui le masse rurali si trovavano al di fuori della sfera d’azione
dei comunisti, ostacolavano enormemente una giusta compren­
sione della decisiva importanza che rivestiva il collegamento
delle masse rurali con il Partito e la loro attiva partecipazione
alla Lotta di Liberazione Nazionale. Parecchi membri del Partito
erano riluttanti a recarsi nelle campagne e attendevano che il
contadino venisse in città per svolgere con lui opera di per­
suasione.
Il Comitato Centrale rilevava che l’attività del Partito ve­
niva ostacolata non solo dalle sopravvivenze dei vecchi metodi
di lavoro dei gruppi, ma anche dallo spirito di gruppo che
continuava a essere ancora molto evidente, nonché dall’opera
frazionistica e antipartito svolta dai trotskisti A. Lula, S. Premte e da alcuni dei loro compagni, ex membri del Gruppo dei
«Giovani».
Tali sintomi denotavano che in seno al Partito si stava
cristallizzando una pericolosa corrente antimarxista, liquidatoria.
Lo spirito di gruppo e l’attività ostile dei trotskisti all’interno e fuori del Partito costituivano un serio ostacolo per il
lavoro d’ampliamento e di consolidamento dei legami con le
larghe masse popolari, per la loro unione e partecipazione alla
lotta antifascista.
Per superare tale ostacolo e per
dare un nuovo impulso al lavoro
del Partito, il Comitato Centrale
prima Riunione consultiva dell’Attivo
La
Riunione
consultiva
dell’Attivo del PCA
provvisorio convocò la
del PCA.
La Riunione consultiva diede inizio ai suoi lavori il 12
aprile 1942 a Tirana e si svolse sotto la direzione del compagno
Enver Hoxha. Vi parteciparono i membri del Comitato Centra­
le, i segretari politici e organizzativi dei comitati regionali,
alcuni membri del CC della Gioventù Comunista e un certo
numero d’altri quadri comunisti. Tutte le questioni esaminate
s’imperniavano sul problema dello stretto collegamento del
Partito con le masse, dell’organizzazione e della mobilitazione di
queste nella Lotta di Liberazione Nazionale.
Ponendo in risalto i successi del lavoro politico del Partito,
la prima Riunione consultiva dell’Attivo del PCA rilevava che
85
nel paese «si sta formando e rafforzando l’idea dell’insurrezione
generale e il popolo comincia a comprendere che solo con le
proprie forze esso deve e può conquistare la libertà»*.
Tuttavia i successi conseguiti furono definiti soltanto come
i primi passi. Il Partito avrebbe stabilito più vasti e più forti
legami con le masse, se non ne fosse stato ostacolato dallo spi­
rito di gruppo, se non fossero avvenute violazioni della disci­
plina e se non fossero state diffuse teorie erronee da parte
di elementi malsani e frazionisti.
Considerando inammissibili i legami non sufficientemente
solidi fra le organizzazioni del Partito e le masse operaie, la
Riunione rilevava: «Come può esser forte il nostro Partito senza
operai, mentre sono precisamente gli operai che debbono co­
stituirne la base?»**.
A tale proposito fu assegnato ai comunisti il compito di
svolgere tra gli operai un assiduo lavoro politico di chiari­
mento e d’organizzazione per stringere quanto più possibile le
loro file intorno al Partito e per preparare fra di essi quadri
dirigenti della Lotta di Liberazione Nazionale.
L’Attivo del Partito dedicò particolare attenzione al lavoro
per guadagnarsi la simpatia delle masse rurali e per mobilitarle
nella lotta. Come condizione necessaria per superare gli ostacoli
che s’incontravano in tale campo, fu chiesto ai comunisti di
combattere le vecchie concezioni disfattiste a proposito delle
masse rurali, di penetrare profondamente nelle campagne, di
rendersi conto della vita dei contadini e di sapersi compenetrare
delle loro piaghe e dei loro problemi.
La Riunione consultiva raccomandò alle organizzazioni del
Partito di eliminare ogni traccia di quel ch’era vecchio nel loro
lavoro fra i giovani e fra le donne, di perfezionare e di raffor­
zare la propria attività in tali settori. La gioventù e le donne
dovevano diventare un solido appoggio del Partito.
L’Attivo del Partito stimò giusta la pratica seguita dal
Comitato Centrale, che metteva in primo piano le azioni politi­
che e belliche. «Senza azioni non c’è partito comunista... Ciò
che fa crescere e che fortifica il Partito, è l’azione e la lotta;
non possiamo collegarci con il popolo se non gli dimostriamo
che siamo capaci di guidarlo».***
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 58.
** Ibidem, p. 62.
*** Ibidem, p. 63.
86
Per l’ampliamento della lotta armata furono definiti di
urgente necessità l’aumento e il rafforzamento dei nuclei di
guerriglia urbana, la creazione dei reparti partigiani.
La Riunione consultiva permise di concretizzare meglio
l’idea dell’unione delle masse popolari nel fronte di liberazione
nazionale e della creazione dei consigli di liberazione nazionale.
Il collegamento con le masse fu considerato dalla Riunione
consultiva come il miglior indice della forza e della capacità
di un partito marxista-leninista, della giustezza della sua po­
litica, e come una condizione indispensabile per proteggere il
Partito dagli attacchi dei suoi nemici.
L’Attivo pose al centro dell’attenzione del Partito la lotta da
svolgere per neutralizzare gli sforzi dei fascisti i quali, sotto
la maschera del nazionalismo e dell’autonomia, cercavano di far
cadere il popolo albanese in un tranello, nell’intento di provo­
care la lotta fratricida nel suo seno e di inimicargli i suoi vicini.
La Riunione consultiva prospettò, come principale proble­
ma concernente la vita interna del Partito, l’eliminazione dello
spirito di gruppo e dell’attività frazionistica. Essa ammonì A.
Lula e S. Premte, esortandoli a rompere tutte le loro vecchie
relazioni e a rientrare sul retto cammino, avvertendoli che sa­
rebbero stati presi i più severi provvedimenti se avessero
agito diversamente. L’Attivo pose quale compito l’epurazione
del Partito, espellendone senza pietà tutti gli incorreggibili e
facendo nello stesso tempo tutto il possibile per riportare sul
retto cammino gli elementi fuorviati.
Per quel che concerne l’ammissione al Partito di nuovi
membri, provenienti in particolare dalle file degli operai e dei
contadini poveri, venne disposto di non considerare quale osta­
colo il basso livello delle loro conoscenze teoriche e politiche.
Questi uomini risoluti sarebbero stati istruiti ed educati, nelle
file del Partito, come ardenti combattenti per la causa del
popolo e del comunismo.
Pur lottando con tutte le forze per l’eliminazione della
corrente trotskista all’interno del Partito, la Riunione consul­
tiva raccomandò ai comunisti di non dimenticare la lotta contro
i rinnegati esterni, soprattutto contro il gruppo trotskista dello
«Zjarri». Essi dovevano altresì vigilare per neutralizzare i ten­
tativi del fascismo italiano e della reazione interna di far pe­
netrare i propri agenti e provocatori nelle file del Partito Co­
munista.
87
2. ANNIENTAMENTO DELLA CORRENTE
FRAZIONISTICA LIQUIDATORIA E
INSTAURAZIONE DELL’UNITA’
NEL PARTITO
Dopo la Riunione consultiva dell’Attivo del Partito, A. Lula
e S. Premte, lungi dal rinunciare alla loro attività sovvertitrice
contro il Partito, la intensificarono. La promessa fatta alla Riu­
nione dei Gruppi Comunisti per la fondazione del Partito di
sottomettersi alla volontà della maggioranza e alle direttive del
Comitato Centrale non era che una menzogna. Approfittando
delle gravi difficoltà che il giovane Partito Comunista era co­
stretto a superare, essi sabotavano con ogni mezzo e in ogni
modo il rafforzamento organizzativo del Partito e l’attuazione
da parte di questo dei propri compiti politici. Essi continuavano
a mantenersi in contatto con buona parte degli ex membri del
Gruppo dei «Giovani», organizzavano con questi riunioni «orga­
nizzative» e «educative», violando così le regole e le norme
stabilite dal Partito e impartendo ai partecipanti direttive in
contrasto con quelle del Comitato Centrale. Inoltre essi non
avevano consegnato al Partito tutti gli scritti teorici e propa­
gandistici e neppure il materiale tipografico e i mezzi finanziari
del loro Gruppo.
I frazionisti continuarono a combattere con accanimento
la linea generale del Partito e a sabotare in tutti i modi l’atti­
vità pratica del Comitato Centrale, dei comitati regionali e
delle cellule.
Il compito che essi avevano fissato ai membri della loro
frazione era di accedere a posti di direzione, avvalendosi della
loro «maggiore capacità» e della loro «superiore preparazione
teorica»! Da tali posizioni dovevano poi lottare per prendere in
mano le redini del Comitato Centrale.
Per conseguire il loro scopo, i frazionisti avevano designato
come principali obiettivi dei loro attacchi i dirigenti del Partito
nella capitale e in provincia, presentandoli come gente inca­
pace, senza istruzione, che sa soltanto comandare e non diri­
gere! Essi si sgolavano a proposito dell’«ingiustizia» commessa
nei confronti del Gruppo dei «Giovani», il quale, secondo loro,
non era sufficientemente rappresentato né al Comitato Centrale
e neppure nei comitati regionali del Partito, e chiedevano che
questa situazione venisse modificata.
A. Lula, S. Premte e soci attizzavano deliberatamente il
malcontento degli ambiziosi, degli arrivisti e dei presuntuosi,
88
ex membri degli altri gruppi comunisti, sforzandosi di attirarli
nella propria cerchia. Essi li incitavano a chieder conto del
perché non fossero stati affidati loro incarichi di responsabilità
nel Partito, secondo i loro meriti e la loro capacità!
Il gruppo frazionista svolgeva la propria attività ostile in
tutto il paese, ma era a Tirana che esso si mostrava più attivo.
Non v’era alcun dubbio sul fatto che in seno al Partito
s’era formata una corrente frazionistica antipartito, avente i
propri legami organizzativi e la propria piattaforma politica. La
piattaforma politica dei frazionisti era costituita dalle note tesi
liquidatorie sull’impossibilità di svolgere la lotta armata, sul­
l’impossibilità di compiere un proficuo lavoro con i nazionalisti
e con i contadini, sulla mancanza di fiducia nell’alleanza anti­
fascista e soprattutto nel ruolo di liberatrice dell’Unione So­
vietica nella guerra, e così via.
La situazione era davvero inquietante. Esposto ai colpi dei
fascisti italiani e dei trotskisti del Gruppo dello «Zjarri» dal­
l’esterno e agli attacchi dei frazionisti liquidazionisti dall’inter­
no, il giovane Partito Comunista d’Albania era minacciato di
annientamento. Si scorgevano altresì i sintomi dell’opera di
qualche agente o provocatore fascista tra le file del Partito.
Tali infiltrazioni avevano permesso alla polizia di arrestare e
di gettare in prigione un certo numero di comunisti e di patrio­
ti senza partito. Tramite l’attività di spionaggio, i nemici riu­
scirono a scoprire la base clandestina dove si trovava Qemal
Stafa, segretario politico del Comitato Centrale della Gioventù
Comunista. Accerchiato dai militi e dai carabinieri, egli cadde
eroicamente il 5 maggio 1942, a Tirana. I fascisti riuscirono a
scoprire la tipografia e l’archivio del Comitato Centrale e del
Comitato Regionale di Tirana e a impossessarne.
Nel Partito mancava la completa unità. Senza una salda
unità ideologica e organizzativa, senza una ferrea disciplina
ugualmente vincolante per tutti i suoi membri, il Partito non
sarebbe stato in grado di guadagnare a sè e di dirigere le
masse e, conseguentemente, l’unione del popolo intorno al Par­
tito e la vittoria sui nemici sarebbero state impossibili. Privo
dell’unità, il Partito o si sarebbe trasformato in un partito
trotskista o social-democratico, oppure si sarebbe disgregato.
La Conferenza Straordina­
ria del Partito
una
Conferenza
straordinaria
Per ovviare al grave pericolo
che minacciava il Partito, il
Comitato
Centrale
convocò
che si tenne il 28 e 29 giugno
89
1942 a Tirana. Vi parteciparono membri del Comitato Centrale
del Partito, membri del Comitato Centrale della Gioventù Co­
munista, membri del Comitato Regionale e alcuni comunisti di
Tirana. Vi furono invitati anche A. Lula e S. Premte. La Con­
ferenza era presieduta dal compagno Enver Hoxha.
La Conferenza Straordinaria esaminò una sola questione:
le misure da prendere per annientare la corrente frazionistica
liquidatoria e instaurare l’unità nel Partito.
I molteplici tentativi compiuti dal Partito per riportare sul
retto cammino i frazionisti non avevano dato alcun risultato
ostinandosi questi a non rinunciare alle loro mene di sabotaggio
e di liquidazione. Ormai «il vaso è colmo, trabocca!», osservava
la Conferenza.
L’attività improntata allo spirito di gruppo e l’assenza di
unità non potevano più essere tollerate nel Partito, soprattutto
nei decisivi e storici momenti che attraversava il paese, allorché
il Movimento di Liberazione Nazionale era in rapida ascesa
verso l’insurrezione generale e l’unione del popolo albanese
intorno al Partito appariva più indispensabile che mai.
La Conferenza impartiva la seguente direttiva: «Affinché
possiamo attuare compiti così difficili e gravi come quelli che
ci si prospettano, dobbiamo assolutamente essere guidati da un
unico pensiero e da identiche vedute sia nel lavoro politico che
nell’organizzazione stessa (in tutti i partiti del tipo leninistastaliniano deve esistere l’unità, dunque il nostro Partito deve
poggiare su queste basi, poiché l’unità è indispensabile, è la
condizione essenziale per il successo del Partito)»*.
Al fine di assicurare l’unità e il consolidamento del Partito,
fu deciso di epurarlo da tutti i frazionisti incorreggibili, espel­
lendoli immediatamente. La Conferenza raccomandò alle orga­
nizzazioni del Partito di mostrarsi spietate verso coloro che
avevano voluto scavare la fossa al Partito.
Il Comitato Centrale, dopo aver giudicato le colpe di A. Lu­
la e di S. Premte, nonché dei loro più stretti collaboratori,
decise, conformemente agli apprezzamenti e alle proposte
espressi nel corso della Conferenza, di sospenderli dal Partito
per un tempo indeterminato. Alcuni altri frazionisti furono so­
spesi per tre mesi.
Con una speciale lettera circolare il Comitato Centrale
* Circolare del CC del PCA. Documenti principali del PLA, vol.
I, p. 85.
90
portò a conoscenza di tutto il Partito i lavori della Conferenza
Straordinaria e i provvedimenti adottati a carico dei principali
dirigenti della corrente frazionistica liquidatoria. Contempora­
neamente raccomandò di provvedere a espellere dal Partito
tutti i frazionisti operanti in provincia.
I frazionisti espulsi dal Partito, raccomandava il Comitato
Centrale, non dovevano tuttavia venire respinti del tutto, bi­
sognava dar loro una mano perché intendessero le proprie colpe
e fare tutto il possibile per riportare nelle file del Partito coloro
che si sarebbero emendati. Mentre verso chi avrebbe proseguito
nella sua attività ostile, sarebbero state applicate le più severe
sanzioni.
Infine, il Comitato Centrale chiedeva che l’epurazione intra­
presa fosse giustamente compresa, come un affrancamento del
Partito dai frazionisti liquidatori allo scopo di instaurare l’uni­
tà del Partito e non come un colpo inferto all’ex Gruppo dei
«Giovani». In nessun modo bisognava parlare contro il Gruppo
nel suo insieme, per l’unica ragione che ne provenivano A.
Lula, S. Premte e la maggior parte dei frazionisti. Il Gruppo
dei «Giovani» comprendeva numerosi comunisti che non s’erano
immischiati coi frazionisti, che avevano dato prova di deter­
minazione e di devozione al Partito e si mantenevano in prima
linea nella lotta al fianco degli altri compagni.
Le decisioni della Riunione consultiva dell’Attivo del Par­
tito e quelle della Conferenza Straordinaria, nonché le direttive
del Comitato Centrale, incontrarono la piena approvazione da
parte delle organizzazioni del Partito in tutto il paese. In breve
tempo il Partito fu epurato dai frazionisti e dagli scissionisti.
Nelle sue file entrarono centinaia di nuovi membri provati nella
lotta, fedeli alla causa del popolo e del comunismo. Parecchi
seguaci della corrente frazionistica compresero profondamente
la propria colpa, si separarono dai capifila trotskisti e diedero
di tutto cuore al Partito la loro parola di procedere risolutamente sulla sua giusta via.
L’annientamento della corrente frazionistica liquidatoria
rafforzò la vigilanza dei comunisti e diede nuovo vigore alla
vita interna del Partito.
La lotta contro i frazionisti mise nel contempo in luce
anche altro marciume e altre deficienze che ostacolavano il
lavoro del Partito e il suo rafforzamento.
Nello stesso tempo il Comitato Centrale condannò l’attività
scissionistica di Mustafa Gjinishi, Koço Tashko e di alcuni altri,
91
scontenti di non essere stati eletti al Comitato centrale e ai
comitati regionali del Partito. Nel corso di conversazioni con
membri del Partito o con persone senza partito, essi biasima­
vano quasi ogni direttiva del Partito, stimandola a volte affret­
tata, a volte tardiva, a volte settaria, a volte opportunistica,
ravvivando l’eventuale malcontento dell’uno o dell’altro. Essi
agivano in tal modo allo scopo di suscitare la sfiducia nei con­
fronti della direzione del Partito. Essi furono ammoniti parec­
chie volte dal Comitato Centrale perché desistessero dalla loro
attività antipartito.
Nel corso della lotta per l’annientamento della corrente
frazionistica e per l’instaurazione dell’unita nel Partito, si fecero
palesi tendenze secessionistiche in seno al Comitato Regionale
di Gjirokastër. Questo Comitato o non applicava, oppure de­
formava le direttive del Comitato Centrale sulla lotta armata
e sui reparti partigiani, sui consigli di liberazione nazionale,
sulla gioventù, e così via. Esso non riferiva al Comitato Centrale
sulla propria attività e non lo teneva al corrente delle disposi­
zioni e del principale materiale propagandistico che diramava.
Il principale colpevole nel favorire tali tendenze era Bedri
Spahiu, allora segretario politico del Comitato Regionale.
Il Comitato Centrale dedicò a questo fatto una particolare
importanza, condannò severamente le tendenze secessionistiche
in seno al Comitato regionale di Gjirokastër, ne ordinò lo
scioglimento e organizzò l’elezione di un nuovo comitato.
Gli energici provvedimenti presi dal Comitato Centrale
provvisorio e il pieno appoggio che tali provvedimenti ricevet­
tero in tutte le organizzazioni del Partito, permisero di estirpare
lo spirito di gruppo e di frazione, di scongiurare il pericolo che
minacciava il giovane Partito Comunista e di assicurare una
solida unità, una unità combattiva sulle basi del marxismoleninismo.
3. CREAZIONE DEL FRONTE DI LIBERAZIONE
NAZIONALE. NASCITA DEL POTERE
POPOLARE E ESTENSIONE DELLA
LOTTA ARMATA
La Riunione consultiva dell’Attivo del Partito e la Confe­
renza Straordinaria diedero nuovo vigore al lavoro dei comu­
nisti fra le vaste masse per l’illustrazione della linea politica
92
del Partito, per la denuncia della nuova tattica dei nemici e
per la mobilitazione del popolo nella lotta.
Su iniziativa del Partito e sotto la sua direzione in parec­
chi villaggi furono istituiti i primi consigli di liberazione na­
zionale. Oltre a quelli già esistenti nelle città, vennero organiz­
zati nuclei di guerriglia anche in una serie di regioni. Sin dalla
primavera del 1942 era stata iniziata la costituzione di reparti
partigiani. Nel luglio di quello stesso anno operavano già i
reparti partigiani di Pezë, Kurvelesh, Gorë, Skrapar, Mokër,
Shkodër, Devoll, Dibër e Mat. Essi spazzarono via dalle prime
regioni del paese le autorità militari e civili degli occupatori
fascisti e dei traditori. Conformemente alle istruzioni del Co­
mitato Centrale, il 24 luglio nell’Albania intera furono tagliate
e distrutte le linee telefoniche e telegrafiche. Ogni giorno av­
venivano colpi di mano contro gli automezzi militari in tran­
sito sulle strade, venivano attaccati sezioni di carabinieri e di
milizia fascista, distrutti depositi di materiale bellico, incendiati
uffici fascisti e altre opere del nemico, e così via. Simultanea­
mente a queste azioni, proseguivano le manifestazioni, le pro­
teste, gli scioperi e gli atti di sabotaggio.
Questa ininterrotta attività seminò panico tra le file dei
nemici. A Roma e a Tirana affluivano senza posa notizie e
rapporti inviati dagli organi militari e civili su «l’allarmante
situazione in Albania», sulla «situazione disperata», su «l’infil­
trazione delle idee comuniste nell’animo del popolo». I nemici
ripresero ad arrestare e imprigionare i patrioti, a deportare le
famiglie dei partigiani e di coloro che erano passati alla clan­
destinità, emanarono nuove e più severe ordinanze che preve­
devano la pena di morte per chiunque si rendesse colpevole di
attività antifascista. Altri comunisti caddero da martiri, dando
prova del più sublime eroismo nel corso degli scontri armati
coi nemici, nelle prigioni, sotto le torture, davanti al plotone di
esecuzione o sulla forca.
Le azioni compiute senza tregua contro gli occupatori ita­
liani e i traditori aiutarono il popolo ad abbracciare sempre più
la linea politica del Partito e a divenirne fautore e sostenitore.
«Zëri i popullit» (La voce del popolo),
organo del Partito Comunista d’Alba­
nia, il cui primo numero uscì il 25 agosto 1942, esplicò la fun­
zione di una potente arma politica fra le mani dei comunisti.
Fondato per decisione del Comitato Centrale, esso era diretto
dal compagno Enver Hoxha.
93
«Zëri i popullit»
Nell’articolo di fondo del suo primo numero, l’organo del
PCA si poneva come obiettivo «di riunire l’intero popolo alba­
nese intorno a quest’organo, di riunirvi tutto quel che vi è nel
paese di onesto e di antifascista, indipendentemente dalle cre­
denze religiose, dai vari gruppi politici e dalle diverse correnti...
per un’Albania indipendente, libera e democratica»*.
«Zëri i popullit» divulgava la linea politica del Partito,
propagandava la lotta antifascista del popolo albanese e degli
altri popoli, spiegava quale fosse la via da seguire per ottenere
la liberazione nazionale, denunciava la politica e l’attività degli
occupatori fascisti e dei traditori albanesi. Vi si pubblicavano
articoli e appelli del Partito, commenti sulla situazione interna
e internazionale, cronache dei principali avvenimenti e corri­
spondenze dalla provincia.
La pubblicazione dello «Zëri i popullit» fu accolta con molto
favore dalle masse popolari. Per il tramite dei membri del Par­
tito, dei giovani comunisti e dei militanti patrioti senza par­
tito, lo «Zëri i popullit», la parola del Partito, si diffondeva
in tutto il paese. Veniva letto con vivo interesse e ben presto
divenne il giornale più caro al popolo albanese.
Mediante il suo lavoro di chia­
rimento, di mobilitazione e d’or­
ganizzazione nella lotta contro gli occupatori, il Partito, entro i
primi mesi della propria esistenza, riuscì a gettare le fondamenta dell’unione combattiva del popolo albanese. Allo scopo
di consolidare tali fondamenta, di dotare l’unione del popolo
di salde basì politiche e organizzative su scala nazionale, il CC
del PCA organizzò la convocazione della Conferenza di Libe­
razione Nazionale Albanese.
La Conferenza fu tenuta il 16 settembre 1942 a Pezë. Vi
parteciparono, oltre ai comunisti, anche nazionalisti di varie cor­
renti. Una parte di questi si manteneva molto vicina al Partito
Comunista di cui aveva abbracciato la linea politica, e lottava
strenuamente contro gli occupatori. Il rimanente, quantunque
si pronunciasse per la liberazione del paese e per l’unione del
popolo nella lotta contro i dominatori stranieri, non era passato
all’azione e si manteneva sull’aspettativa. A tale categoria ap­
partenevano anche gli zoghisti con il loro principale esponente,
Abaz Kupi.
Il Partito Comunista invitò inoltre a partecipare alla ConLa Conferenza di Pezë
* Documenti principali del PCA, vol. I, pp. 94-95.
94
ferenza anche un’altra categoria di nazionalisti, come Mithat
Frashëri e altri, i quali non avevano ancora dichiarato aperta­
mente la propria posizione, ma questi non accettarono l’invito
e cercarono di boicottare la Conferenza.
La Conferenza di Liberazione Nazionale prospettò e di­
scusse il problema dell’unione e dell’organizzazione del popolo
albanese nella lotta contro gli occupatori fascisti. I partecipanti,
fra cui la quasi totalità dei nazionalisti, posero in risalto l’in­
tensa attività e la grande funzione organizzativa del Partito
Comunista nella Lotta di Liberazione Nazionale. Fu messo in
evidenza che i fascisti italiani e Mustafa Kruja non erano riu­
sciti a isolare il Partito dai nazionalisti patrioti, che i comunisti
s’erano conquistati l’affetto e la fiducia del popolo, che la pro­
paganda nemica sul «pericolo comunista» era stata smascherata
e che «il comunismo in Albania non è più uno spauracchio
per la parte onesta del nostro popolo, non è più uno spaurac­
chio per il contadino, per il proprietario medio, per l’intellet­
tuale, i comunisti non sono «senza patria» come il fascismo
vorrebbe presentarli al popolo»*.
Abaz Kupi e con lui qualche altro nazionalista, non osarono
dichiararsi apertamente contrari alla funzione dirigente che il
PCA aveva cominciato a esplicare nella lotta. Essi si sforzarono
di ostacolare l’accrescersi della sua autorità disapprovando al­
cune manifestazioni esterne che portavano l’impronta del Par­
tito, come la qualifica di «partigiani» data ai reparti armati e
la stella rossa che contraddistingueva i loro combattenti. Queste
obiezioni e alcuni punti di vista divergenti circa la partecipa­
zione in massa della gioventù alla lotta, nonché circa il tenore
di alcuni passi della risoluzione, furono superati grazie alla
pacata analisi delle proprie giuste concezioni fatta dai rappre­
sentanti del PCA.
La Conferenza elesse il Consiglio Generale di Liberazione
Nazionale (provvisorio) e adottò all’unanimità la piattaforma
della Lotta di Liberazione Nazionale, così com’era stata elabo­
rata dal Partito comunista. Tale piattaforma comprendeva i
seguenti punti essenziali:
svolgere una intransigente lotta contro gli occupatori fa­
scisti e i traditori per un’Albania libera, indipendente e de­
mocratica;
* Risoluzione della Conferenza di Pezë. Documenti degli organi
supremi del Potere rivoluzionario di liberazione nazionale, p. 12.
95
tener presente che le vere basi dell’unione del popolo
albanese sono state gettate e verranno consolidate soltanto nel
fuoco della lotta contro l’occupatore;
attuare una salda organizzazione di tutti gli autentici al­
banesi, senza distinzione di classe, di convinzioni politiche, di
fede religiosa o di regione, in un fronte comune di liberazione
nazionale;
istituire da per tutto i consìgli di liberazione nazionale
in qualità di organi d’unione e di mobilitazione del popolo
nella lotta e di organi del Potere popolare;
divulgare l’idea dell’insurrezione generale armata del po­
polo come ultima tappa, come logica conseguenza della lotta
partigiana, e preparare tale insurrezione;
svolgere una lotta organizzata contro la Banca Agricola,
le società anonime italiane e tutti gli sfruttatori i quali, per il
tramite degli occupatori, si assicurano grossi profitti a spese
del popolo.
La Conferenza di Pezë creò il Fronte di Liberazione Na­
zionale e pose le fondamenta del Potere popolare. Essa ribadì
la funzione dirigente del Partito Comunista d’Albania nella
Lotta di Liberazione Nazionale e segnò in tal modo la prima
grande vittoria politica del Partito.
La Conferenza di Pezë non era una conferenza di partiti
politici. In quanto tale, vi partecipava soltanto il Partito Co­
munista, che ne era anche il promotore. Non esistevano altri
partiti politici antifascisti.
Dunque il Fronte di Liberazione Nazionale non fu creato
come una coalizione di partiti politici. La Conferenza di Pezë
sancì l’unione volontaria delle larghe masse popolari, le cui
fondamenta erano state gettate dal basso nella lotta contro gli
occupatori. Artigiano di questa unione e dirigente diretto e uni­
co del Fronte era il Partito Comunista. Il Fronte poggiava
sull’alleanza della classe operaia con i contadini, i quali ne co­
stituivano la base più larga. I nazionalisti patrioti videro nel
programma del Partito la realizzazione delle loro immediate
rivendicazioni nazionali e aderirono al Fronte in quanto cor­
renti o a titolo personale.
La Conferenza di Pezë adottò
come base per l’edificazione dei
consigli di liberazione nazionale
le tesi del compagno Enver Hoxha esposte nel suo rapporto:
I consigli
nazionale
96
di
liberazione
«I consigli di liberazione nazionale, organi d’unione e di lotta
del popolo albanese», presentato a tale conferenza.
Nelle regioni non ancora liberate i consigli erano organi
che raggruppavano tutte le forze popolari antifasciste. Essi com­
pivano opera di chiarimento tra le masse sollevandole alla
lotta e preparandole all’insurrezione generale, raccoglievano aiuti
materiali necessari alla lotta e informazioni sui movimenti e
sulla consistenza dei reparti nemici, organizzavano la lotta eco­
nomica contro le società capitalistiche italiane e sabotavano
l’ammasso dei prodotti agricoli da parte dei fascisti.
Nelle regioni liberate i consigli svolgevano le funzioni di
organi del Potere popolare. Essi assicuravano l’ordine e la quie­
te pubblica, si prendevano cura dello sviluppo economico, degli
approvvigionamenti di viveri, del commercio, delle semine e del
raccolto dei cereali, organizzavano l’insegnamento, la stampa e il
lavoro culturale fra le masse, risolvevano i contrasti e riconci­
liavano coloro che erano separati da inimicizie di sangue, man­
tenevano desta la disposizione della popolazione a combattere,
e così via.
«L’importanza dei consigli di liberazione nazionale, — sot­
tolineava la Conferenza di Pezë, — è grande. E’ per il loro
tramite che si costituisce il governo, si mobilita il popolo alla
lotta e all’insurrezione»*.
Per quel che concerne l’organizzazione dei consigli, il PCA
disponeva dell’esperienza dei soviet. Però, beninteso, esso non
ne fece una rigida imitazione. Innanzi tutto si basò sulle con­
crete circostanze in cui si sviluppava l’insurrezione popolare
antifascista in Albania. In sostanza gli organi di tale insurre­
zione furono adattati al suo carattere di liberazione nazionale.
Di questi consigli, specificava il Comitato Centrale nel giugno
del 1942, debbono far parte i rappresentanti militanti di tutte
le forze antifasciste, di tutte le correnti politiche, senza distin­
zione di classe. L’idea dei consigli era accettabile per le masse
popolari d’Albania. Dai tempi più antichi era una tradizione
per gli albanesi il riunirsi a «convegno» o a «consiglio» ogni
qual volta dovessero levarsi in lotta contro gli occupatori stra­
nieri o risolvere i propri problemi interni. Ma i consigli di
liberazione nazionale, a differenza dei «convegni» o dei «con­
sigli» dei tempi passati, erano, per il loro contenuto e la loro
* Documenti degli organi
liberazione nazionale, p. 13.
supremi
del
Potere
rivoluzionario
di
97
organizzazione, istituzioni del tutto nuove. Essi nacquero e creb­
bero come organi democratici rivoluzionari, direttamente creati
dalle masse popolari sotto l’unica direzione del Partito Comuni­
sta. Essi erano la negazione di tutti gli organi e di tutte le
organizzazioni di Stato antipopolari e di sfruttamento.
In quanto tali, i consigli di liberazione nazionale acquista­
rono una vasta popolarità fra le masse. Dopo la Conferenza di
Pezë, il loro numero si accrebbe rapidamente nelle zone libe­
rate, nonché in quelle non ancora libere. Il popolo vedeva in
essi i difensori dei suoi interessi e di quelli della Patria.
Fu nelle campagne che i consigli cominciarono a esercitare
le loro funzioni di organi del Potere popolare, poiché, nel 1942,
solamente un certo numero di regioni rurali erano state libe­
rate, mentre le città si trovavano ancora sotto l’occupazione
dei fascisti italiani. I consigli divennero importanti anelli per lo
stretto collegamento del Partito con le massi rurali.
Parallelamente all’unione del po­
polo nel Fronte di Liberazione
Nazionale, e all’istituzione dei consigli, si allargava e si intensi­
ficava la lotta armata partigiana.
La lotta partigiana era una forma di lotta ben conosciuta e
sperimentata nel corso dei secoli sia in Albania che in altri
paesi. Il popolo albanese conservava vive le antiche e salde
tradizioni della lotta patriottica, dei combattimenti impegnati
dai suoi distaccamenti con gli invasori stranieri. La Conferenza
di Pezë espresse la convinzione che la gloriosa via tracciata
dagli avi sarebbe stata seguita con ardimento e fierezza.
Pur utilizzando l’esperienza della lotta degli antichi distac­
camenti di patrioti albanesi, il PCA conferì alla lotta partigiana
contro gli occupatori fascisti e i traditori un contenuto pro­
fondamente popolare e rivoluzionario.
La lotta partigiana aveva avuto per prima scuola i nuclei
di guerriglia operanti nelle città. Con la formazione e l’entrata
in azione dei reparti partigiani, la lotta partigiana si intensificò
e si estese a tutto il paese.
La creazione dei reparti partigiani seguì generalmente que­
sta via: dalle città, i comitati regionali del Partito inviavano
nelle campagne (sulle montagne) un certo numero di membri
del Partito, di giovani comunisti e di simpatizzanti, esperti nella
lotta dei nuclei di guerriglia, con il compito di organizzare i
reparti partigiani. Intorno a questo nucleo centrale, i reparti
I reparti partigiani
98
si ingrossavano soprattutto con l’apporto dei contadini. Le cam­
pagne divennero la base e la riserva principale dei reparti
partigiani.
Nessuna restrizione era prevista circa la composizione di
classe di tali reparti. Vi si accettavano tutti coloro che deside­
ravano combattere contro il nemico. Non vi erano ammessi gli
elementi che avevano un passato oscuro, i delinquenti e i bri­
ganti, che il popolo considerava con odio e disprezzo. Tutti i
partigiani erano volontari, e ogni reparto si componeva di circa
50-60 combattenti. A capo di esso si trovavano il comandante
e il commissario politico che ne dirigevano insieme l’attività e
rispondevano della preparazione politica dei partigiani e della
loro efficienza bellica. Nella maggior parte dei casi il coman­
dante non era membro del Partito, mentre invece il commis­
sario era il rappresentante del Partito nel reparto.
In ogni reparto esisteva una cellula del Partito, la quale
costituiva il cuore della formazione.
I reparti partigiani svolgevano un’intensa attività di com­
battimento contro gli occupatori fascisti e i traditori. Nello stesso
tempo essi svolgevano anche un’instancabile attività politica,
nonché un lavoro culturale e educativo, e questo non solo fra
i partigiani, ma anche fra la popolazione delle zone in cui
operavano. I reparti partigiani avevano la loro base nelle re­
gioni liberate, ove in precedenza avevano abbattuto il vecchio
regime d’oppressione e aiutato il popolo a formare i consigli
di liberazione nazionale. Essi prestavano il loro aiuto ai conta­
dini nei lavori agricoli e costituivano il sostegno armato dei
consigli per il mantenimento dell’ordine e della quiete pubblica.
Per la prima volta, le masse popolari vedevano nei reparti
partigiani il proprio esercito, il difensore dei loro interessi.
Esse appoggiavano in tutto e per tutto questo esercito. I reparti
partigiani ricevevano alloggio e vito dai contadini. Essi riceve­
vano inoltre aiuti materiali di varia specie anche dalla popola­
zione delle città. Senza un tale aiuto, senza un tale generoso e
multiforme appoggio da parte del popolo, non avrebbe potuto
essere organizzata la lotta partigiana né creato l’esercito popo­
lare rivoluzionario.
Oltre ai reparti partigiani, dopo la Conferenza di Pezë ven­
nero organizzati nelle regioni liberate distaccamenti territoriali
(i soldati del popolo), in ragione di uno per ogni grande
villaggio o per due o tre piccoli villaggi. Si trattava di unità
di autodifesa, non regolari, che prendevano le armi ogni qual
99
volta venissero chiamati dai reparti partigiani per sferrare un
attacco importante o per far fronte alle operazioni del nemico
nelle zone liberate. Queste formazioni servivano nello stesso
tempo come riserva per completare gli effettivi dei reparti re­
golari di partigiani.
Dopo la Conferenza di Pezë il numero dei nuclei di guerri­
glia urbana, dei reparti partigiani e territoriali aumentò rapi­
damente. Alla fine del 1942 le forze partigiane annoveravano
circa 2.000 combattenti, oltre ad alcune migliaia d’altri che
facevano parte dei nuclei di guerriglia urbana e dei distacca­
menti dei villaggi.
Nell’intento di annientare i reparti partigiani, gli invasori
italiani, con l’impiego di forze considerevoli, compirono, dal
settembre al dicembre del 1942, varie spedizioni punitive in 27
province dell’Albania meridionale, centrale e settentrionale, in­
cendiando centinaia di case contadine, massacrando donne, vec­
chi e bambini, senza tuttavia conseguire il loro scopo: soffocare
il movimento partigiano. Al contrario, il terrore fascista non
fece che infiammarlo maggiormente. A Pezë, Skrapar, Dibër,
Mat, Korçë, Kurvelesh, Vlorë e altrove, uomini e donne a mi­
gliaia si levarono al fianco dei partigiani per combattere le orde
italiane. Nel corso di accaniti e ineguali combattimenti resta­
rono uccisi centinaia di soldati, di militi e di ufficiali fascisti.
I successi della lotta partigiana e il pieno fallimento delle
operazioni militari fasciste nel 1942, misero a nudo tutto il
marciume dell’occupatore, l’invincibile forza del popolo alba­
nese, confermando la giustezza della politica del Partito Comu­
nista. In Albania era iniziata una vera rivoluzione popolare.
L’eco di questa eroica lotta superò i confini del paese. Essa
venne accolta con ammirazione e fu altamente apprezzata dai
popoli e dai paesi che combattevano contro il fascismo. Nel
dicembre del 1942 il governo dell’Unione Sovietica, in una di­
chiarazione ufficiale espressamente dedicata all’Albania, espri­
meva la sua simpatia per la lotta di liberazione del popolo alba­
nese, non riconosceva alcuna pretesa dell’imperialismo italiano
sul territorio albanese e formulava l’augurio di veder l’Albania
libera e indipendente. Nello stesso tempo i governi degli USA
e della Gran Bretagna pubblicavano, anch’essi, dichiarazioni uf­
ficiali in riconoscimento della lotta antifascista del popolo al­
banese, quantunque intenzionalmente non si dichiarassero con­
tro le pretese imperialistiche sull’Albania. Tali dichiarazioni, e
soprattutto quella sovietica, costituivano un appoggio per il
100
popolo albanese; esse rafforzarono la sua fede nella vittoria e
contribuirono a una nuova estensione della lotta armata contro
i soggiogatori fascisti.
L’impetuosa ascesa della lotta an­
tifascista sotto la direzione del
Partito Comunista mise in movi­
mento tutte le classi, tutti i grup­
pi e tutte le correnti politiche in Albania. L’ondata di indignazio­
ne il movimento antifascista delle masse che si concretizzavano
nella lotta partigiana, erano all’origine dell’irreversibile crisi
politica verificatasi tra le file dei nemici. Tale crisi non poteva
non coinvolgere anche le classi reazionarie del paese e i loro rap­
presentanti che avevano legato il proprio destino a quello degli
occupatori. Mortalmente atterriti dall’impeto rivoluzionario della
lotta antifascista e dall’accrescersi dell’autorità del Partito Co­
munista, essi scorgevano in questi fenomeni una minaccia per i
loro privilegi. La Conferenza di Pezë e la creazione del Fronte di
Liberazione Nazionale costituivano un duro colpo per essi. Im­
mediatamente dopo la Conferenza la reazione gridò al «pericolo
comunista», invitando alla lotta per scongiurarlo. I rappresen­
tanti della borghesia reazionaria e dei latifondisti, sostenuti
dagli occupatori fascisti, si affrettarono a proclamare, nel no­
vembre 1942, la creazione di una organizzazione politica direttamente opposta al Fronte di liberazione nazionale, denominata
Balli Kombëtar (Fronte nazionale). Alla sua testa s’insediò lo
pseudopatriota Mithat Frashëri.
Al Balli Kombëtar aderirono intellettuali borghesi reazio­
nari, latifondisti e grandi commercianti, membri del clero rea­
zionario, contadini ricchi, e così via. Entrò a farne parte anche
il Gruppo trotskista dello «Zjarri».
Il Balli Kombëtar era una multicolore unione politica delle
varie correnti politiche reazionarie, dotata di una organizza­
zione putrida. Il compagno Enver Hoxha caratterizzava in modo
esemplare questa unione. «Il Balli Kombëtar è un ramassis1 di
elementi di differenti tendenze senza alcun fondamento, ma
che per predilezione hanno in bocca la parola nazionalismo...
Al suo interno, il Balli è come un canestro di granchi (...ciascuno
tira dalla sua parte)... Altri sono partigiani delle «99 furberie
L’atteggiamento del
nei confronti del
Kombëtar
PCA
Balli
1 In francese nel testo; accozzaglia — N.d.R.
101
per un atto di valore», altri ancora partigiani dello suonare a
stormo e altri ancora delle grandi frasi, ma del niente di fatto»*.
Questa gente non era unita che dal suo comune interesse
di classe, dal suo odio per il Partito Comunista e per il movi­
mento rivoluzionario popolare.
Il Balli Kombëtar proclamò immediatamente di non ri­
conoscere la Conferenza di Pezë e pubblicò il suo programma
fatto da cima a fondo di pura demagogia. In termini magnilo­
quenti i capifila ballisti si vantavano pretendendo di combattere
«per un’Albania dotata d’un sistema economico e sociale senza
sfruttatori né sfruttati». In fretta e furia crearono sulle mon­
tagne alcuni «distaccamenti illegali», che avevano l’incarico
non di combattere gli occupatori, ma di ostacolare l’attività
combattente e politica dei reparti partigiani, di propagare la
politica del Balli e di intimidire i contadini. Essi formarono nelle
campagne dei «consigli» del Balli Kombëtar che avrebbero do­
vuto sostituire i consigli di liberazione nazionale. I capifila del
Balli impiegarono altresì numerosi altri mezzi e forme d’azione
analoghi a quelli che erano impiegati dal Partito Comunista e
che godevano di una vasta popolarità. Spacciandosi per «ardenti
patrioti», sconsigliavano il popolo albanese dal combattere con
le armi contro gli occupatori italiani, poiché, a parer loro, una
simile lotta avrebbe portato all’annientamento della nazione
albanese! La principale parola d’ordine del Balli Kombëtar
era: «Aspettare il momento opportuno». I ballisti scatenarono
una feroce campagna contro il Fronte di Liberazione Nazionale
e il Partito Comunista, contro il comunismo e l’Unione Sovietica.
Il solo scopo del Balli Kombëtar era di staccare le masse
popolari, e in special modo quelle rurali, dal Partito Comuni­
sta, di distruggere il Fronte di Liberazione Nazionale, di soffo­
care il Movimento di Liberazione Nazionale e di assicurarsi
tutto il potere politico alla fine della guerra.
Per conseguire i suoi obiettivi, il Balli scelse la via della
collaborazione con gli occupatori. Non poteva agire diversamente, dato che i suoi disegni nei riguardi del Partito Comu­
nista coincidevano con quelli dell’invasore e che i fascisti ita­
liani non avrebbero permesso un’attività indipendente dei balli­
sti. Tuttavia, l’interesse d’ambo le parti esigeva che la loro
collaborazione restasse a ogni costo segreta. Diversamente, nes­
suno si sarebbe lasciato ingannare.
* Enver Hoxha. Opere, vol. I, pp. 169-171.
102
L’apparizione del Balli complicò considerevolmente la situa­
zione all’interno del paese. Lenin insegna che le situazioni com­
plicate sono inerenti alla rivoluzione, che «la rivoluzione stes­
sa, durante il suo sviluppo, crea sempre situazioni estremamente
complicate»*.
Nella complessa situazione creatasi dopo la nascita del Balli
Kombëtar, il Partito Comunista d’Albania doveva agire con la
massima circospezione, saggezza e lungimiranza. Soltanto con
l’applicazione di una tattica oltremodo avveduta nei confronti
del Balli, il Partito avrebbe potuto conservare i successi otte­
nuti, rinsaldare ulteriormente i suoi legami con le masse e
condurre in tal modo il popolo albanese alla piena conquista
dell’indipendenza nazionale e all’edificazione di un’Albania
democratica popolare.
Il Partito Comunista sapeva bene che il Balli Kombëtar
era un rampollo della reazione e uno strumento dell’occupatore
fascista. Di fronte all’opera di sabotaggio compiuta dai ballisti,
alcune cellule del Partito e persino alcuni comitati regionali,
chiedevano con insistenza che si facesse ricorso alle armi contro
di essi.
Il Comitato Centrale del Partito si atteneva al principio che
non v’era maggior pericolo per il partito proletario dell’edificare
la propria tattica su desideri soggettivi. Rispondendo a coloro
che chiedevano di dichiarare immediatamente guerra al Balli,
il compagno Enver Hoxha, a nome del Comitato Centrale, dira­
mava la seguente direttiva: «...è vero che esso (il Balli Kombëtar N.d.R.) costituisce un grande ostacolo poiché non si
deve dimenticare l’influenza personale di cui godono in Albania
alcuni dei suoi membri, che sono riusciti a creare fra il popolo
la psicosi dell’esistenza di una organizzazione nazionalista con
cui i comunisti debbono entrare in contatto e intendersi... Non
dimentichiamo che vi si trovano parecchi buoni elementi, riso­
luti, i quali vogliono realmente l’unione e la lotta»**.
E’ precisamente per tali motivi che all’inizio il Partito Co­
munista d’Albania stabilì la seguente tattica da seguire nei con­
fronti del Balli Kombëtar: denunciare la parola d’ordine di­
sfattista: «Non è giunto il momento di prendere le armi contro
gli italiani»; richiedere pubblicamente al Balli Kombëtar di ac­
cettare l’unione di tutte le forze antifasciste del paese sulla
* V. I. Lenin.. Opere, vol. 26, p. 117 (ed. albanese).
** Enver Hoxha. Opere, vol. I, p. 171.
103
base della lotta immediata, senza riserve e senza compromessi,
contro gli occupatori fascisti italiani; chiedere al Balli di por
fine immediatamente alla sua propaganda contro il Partito Co­
munista e il comunismo; avere con esso contatti sulle questioni
concernenti la lotta contro gli occupatori; smascherare agli
occhi del popolo alcuni capifila ballisti compromessi come fa­
scisti e traditori.
Con questa tattica il Partito intendeva operare una dif­
ferenziazione nelle file del Balli Kombëtar, attirando alla lotta
contro gli occupatori tutti coloro che vi erano disposti; costrin­
gere così dal basso l’intero Balli a entrare nel Movimento di
Liberazione Nazionale; denunciare la politica antinazionale e
l’atteggiamento dei capifila che volevano «tenere un piede in
due staffe»; far condannare dalle masse e isolare tutti coloro
che avrebbero ostacolato l’unione del popolo e la lotta contro
gli occupatori.
Il punto più debole del Balli Kombëtar consisteva soprat­
tutto nella questione della lotta armata senza riserve contro gli
occupatori italiani, per il semplice fatto che in realtà il Balli
era contrario a questa lotta. Perciò, allo scopo di smascherare
i capifila del Balli, il PCA decise di sferrare il suo attacco
principale su questo punto debole. Le masse popolari che chie­
devano che si lottasse contro gli occupatori, dovevano rendersi
conto per propria esperienza che il «patriottismo dei capi balli­
sti suonava falso e che tutte le loro urla isteriche di «patriotti­
smo» non eran altro che pura demagogia.
Stabilendo una tale tattica nei confronti del Balli Kombëtar, il CC del PCA raccomandava alle organizzazioni del Partito
di applicare rigorosamente le sue istruzioni. Esso considerava
la questione dell’atteggiamento da tenere nei riguardi del Balli
Kombëtar come una questione molto complessa e che richie­
deva la massima attenzione. Da un lato, il Comitato Centrale
raccomandava di agire con pazienza e lungimiranza, di conser­
vare in ogni caso il sangue freddo, di non cadere nella trappola
delle provocazioni del nemico, di tener presente che «...non pos­
siamo svolgere la lotta da soli, ma insieme con tutto il popolo,
e perciò dobbiamo considerare seriamente i nostri rapporti con
questi nazionalisti»*.
D’altro canto, il CC raccomandava di non indietreggiare
d’un solo passo sulla via stabilita, non essendo possibile realiz* Enver Hoxha. Opere, vol. I, p. 174.
104
zare l’unione di tutte le forze del paese che sulla base della
lotta armata senza pietà contro gli occupatori e non attraverso
compromessi con i nazionalisti; e di «non tollerare che si calpesti
la dignità (sia pure d’un capello) del nostro Partito, nè permet­
tere che vengano posti bastoni fra le ruote alla Lotta di Libe­
razione Nazionale... sforziamoci di reprimere il loro (dei ballisti
— N.d.R.) impeto, prima con il ragionamento e la persuasione,
e poi ricorrendo alla ’manière forte’ (in francese nel testo —
N.d.R.)»*.
La situazione creatasi in seguito alla costituzione del Balli
Kombëtar era gravida di grandi pericoli per il Partito e per la
Lotta di Liberazione Nazionale. Si notava una certa confusione
politica in vari ceti. Mediante la demagogia e l’intimidazione, i
ballisti riuscirono a guadagnarsi una parte della popolazione, so­
prattutto nelle campagne. Un certo numero di contadini indecisi
si staccarono dal Fronte di Liberazione Nazionale per passare
con il Balli. In queste circostanze, raccomandava il compagno
Enver Hoxha, «ci vuole molta, molta attenzione». «Se riusciamo
a cavarcela con successo, la nostra causa vincerà, se facciamo
un passo falso, ci romperemo l’osso del collo»**.
4. LA I CONFERENZA NAZIONALE DEL PCA.
L’ORIENTAMENTO PER L’INSURREZIONE
GENERALE
La decisione di convocare una Conferenza nazionale del
Partito per eleggere il Comitato Centrale definitivo e per de­
finire gli ulteriori compiti da attuare, era stata presa sin dal­
l’aprile del 1942 alla Riunione consultiva dell’Attivo del PCA.
Conformemente a tale decisione, la Conferenza si doveva tenere
soltanto dopo che il Partito fosse stato epurato dai frazionisti
e dagli scissionisti e che una salda autorità vi fosse stata sta­
bilita. Questo obiettivo era ormai raggiunto.
Nel dicembre del 1942, il Partito Comunista d’Albania ri­
cevette le direttive del Comitato Esecutivo dell’Internazionale
Comunista sulla Lotta di Liberazione Nazionale. Vi si poneva
in risalto la necessità di organizzare la lotta di liberazione
nazionale contro gli occupatori italiani e tedeschi, di unire il
* Enver Hoxha. Opere, vol. I, p. 198-199.
** Ibidem, p. 199.
105
popolo in un solo fronte di liberazione nazionale, di far parte­
cipare alla lotta e alla direzione di questa il maggior numero
possibile di patrioti e nazionalisti onesti, e si chiedeva che le
parole d’ordine del Partito fossero improntate allo spirito della
lotta di liberazione nazionale.
Questo avvenimento rivestiva una grande importanza per
il giovane Partito Comunista d’Albania. Tali direttive dimostra­
vano che la linea politica del Partito, stabilita sin dalla Riu­
nione tenuta per la sua fondazione e in seguito concretizzata
nelle direttive del Comitato Centrale, era giusta. Inoltre il PCA
veniva riconosciuto come un reparto del movimento comunista
internazionale.
In tali circostanze, verso la fine di dicembre del 1942, il
Comitato Centrale provvisorio decise di convocare per il marzo
del 1943 la I Conferenza Nazionale del PCA.
Mentre il Partito si stava pre­
parando alla propria Conferen­
za nazionale, gli avvenimenti,
tanto sul piano internazionale
che su quello interno, precipitavano.
Nella seconda metà del 1942 gli occhi degli albanesi, come
quelli di tutti i popoli del mondo, erano rivolti a Stalingrado,
dove si decideva il destino della lotta antifascista mondiale.
L’eroica resistenza dei difensori di Stalingrado costituiva una
fonte d’ispirazione per i partigiani e per i patrioti albanesi nella
loro lotta di liberazione contro gli occupatori
Il 2 febbraio 1943 la battaglia di Stalingrado si concludeva
con la luminosa vittoria dell’Esercito Rosso. Questa vittoria
segnò una svolta radicale non solo nella Grande Guerra Patriot­
tica dell’Unione Sovietica, ma in tutta la Seconda Guerra Mon­
diale. A Stalingrado cominciò «il declino dell’esercito fascista
tedesco»*.
Questo avvenimento influì fortemente sull’estensione del
movimento di liberazione nazionale nei paesi occupati dagli Stati
fascisti, rinsaldando in tutti i popoli la fiducia nella totale e
ineluttabile disfatta della Germania hitleriana.
La vittoria di Stalingrado ebbe una grandissima impor­
tanza anche per l’Albania. Nelle favorevoli circostanze create
Approfondimento della cri­
si politica nelle file dei
nemici
* G. V. Stalin. «Sulla Grande Guerra
Sovietica», 1952, p. 100 (ed. albanese).
106
Patriottica
dell’Unione
da tale vittoria per tutte le forze antifasciste nel mondo, la
lotta di liberazione del popolo albanese si allargò e s’inasprì
ancora di più.
La lotta armata fu portata a un più alto livello, passando
dalle isolate azioni di combattimento a azioni coordinate di
due o più reparti partigiani. Tali furono fra l’altro, con la par­
tecipazione di parecchi reparti, i combattimenti contro i fascisti
italiani a Voskopojë, Snosëm di Gramsh (gennaio 1943), Patos,
Selenicë di Vlorë, Libohovë, sulla via Kukës-Pukë presso Shëmëri (febbraio). Nello spazio di tre mesi l’estensione delle zone
liberate fu quasi raddoppiata.
Parallelamente all’ampliamento e al rafforzamento del mo­
vimento partigiano, cresceva e si consolidava il potere dei con­
sigli di liberazione nazionale. Furono istituiti consigli clande­
stini anche in parecchie città. Le masse popolari consideravano
sempre più i consigli come i soli organi del loro potere, non
accettando che le loro decisioni e le direttive da essi impartite.
Alla vigilia della I Conferenza Nazionale, il PCA ottenne
un altro importante successo nella lotta contro il trotskismo e
e l’opportunismo in Albania: all’inizio del marzo 1943 il gruppo
dello «Zjarri» fu completamente liquidato. Il colpo decisivo gli
fu inferto dall’articolo del compagno Enver Hoxha «Qualche
parola su alcuni servi del fascismo» — «il Gruppo dello ’Zjarri’»,
pubblicato in gennaio sullo «Zëri i popullit». In questo articolo
veniva denunciata la tattica trotskista dei capifila dello «Zjarri»,
i quali a volte si presentavano con parole d’ordine di sinistra
sulla «rivoluzione proletaria», sulla «lotta contro il capitale»,
sulla «dittatura del proletariato» allo scopo di guadagnarsi la
fiducia delle masse lavoratrici, simpatizzanti del comunismo; a
volte come «nazionalisti», allo scopo di staccare i nazionalisti
patrioti dalla Lotta di Liberazione Nazionale e dal Partito Co­
munista. L’articolo dimostrava, fatti alla mano, che i capifila del
Gruppo erano nemici del comunismo e del popolo albanese, pro­
vocatori e strumenti degli occupatori.
Molti membri del gruppo, resisi conto del tradimento dei
capi, lo abbandonarono e passarono incondizionatamente al PCA.
Parecchi di essi furono rieducati dal Partito.
L’annientamento del Gruppo dello «Zjarri» costituiva un
duro colpo anche per il Balli Kombëtar, in seno a cui gli
zjarristi, in qualità di «comunisti ballisti», fungevano da pro­
pagandisti e da difensori della causa della borghesia reazio­
naria.
107
L’impetuosa ascesa del Movimento di Liberazione Nazionale
sotto la guida del PCA nonché le disfatte degli eserciti fascisti
sul fronte orientale e sugli altri fronti della Seconda Guerra
Mondiale, resero ancor più grave la crisi nelle file degli occu­
patori e dei traditori in Albania. Nel gennaio del 1943, i fascisti
italiani esonerarono dall’incarico il primo ministro Mustafa Kruja per la sua incapacità di reprimere il Movimento di Libera­
zione Nazionale e formarono un nuovo governo quisling. Ma
appena un mese più tardi si vedevano costretti a sostituire que­
sto governo con un altro, anch’esso di brevissima durata. Frat­
tanto cominciarono a verificarsi diserzioni in massa tra le file
dei soldati, dei militi e dei carabinieri albanesi.
Gli stessi governanti italiani erano costretti a riconoscere
il fallimento della loro politica in Albania. Da parte sua, Hitler,
nel febbraio del 1943, scriveva a Mussolini che gli albanesi,
come pure gli altri popoli dei Balcani, «s’erano mostrati pochis­
simo degni di fiducia» e definiva come una «dura realtà» «l’odio
illimitato» che il popolo albanese nutriva contro la Germania
e l’Italia*.
Per conservare il loro regime d’occupazione, i fascisti ita­
liani ritenevano indispensabile intensificare ed estendere l’uso
della violenza. Nel febbraio del 1943, il luogotenente generale
fascista Jacomoni fu sostituito con il generale Pariani, conside­
rato l’uomo «che sa parlare con la forza delle armi e che è
capace di servirsene». Il comando italiano elaborò il piano di
una serie d’operazioni su più vasta scala in varie regioni del
paese.
In questo tentativo, gli occupatori chiesero e ottennero
l’aiuto del Balli Kombëtar. Nel marzo del 1943 il Comitato Cen­
trale del Balli Kombëtar sottoscriveva con il comandante gene­
rale italiano un protocollo segreto, conosciuto sotto il nome di
«protocollo Dalmazzo-Këlcyra»1, con cui s’impegnava di non per­
mettere alcun attacco contro le truppe italiane e di sostenere
le spedizioni punitive di queste nell’Albania meridionale.
Nello stesso tempo i fascisti italiani nominavano un espo­
nente del Balli Kombëtar a capo del governo di tradimento2,
* «Les lettres secrètes échangées par Hitler et Mussolini», Paris,
1946, p. 150.
1 Il protocollo fu così chiamato poiché venne firmato da Renzo
Dalmazzo, comandante generale delle forze italiane d’occupazione,
e da Ali Këlcyra, membro del Comitato Centrale del Balli Kombëter.
2 Maliq Bushati.
108
proclamavano la creazione dell’«esercito nazionale albanese» e
della «gendarmeria albanese», il ripristino delle relazioni diplo­
matiche fra lo Stato italiano e lo «Stato albanese», la sostitu­
zione del «Partito Nazionale Fascista Albanese» con la «Guardia
della Grande Albania», ecc., sempre nel quadro dell’«unione del­
l’Albania all’Italia» e con Vittorio Emanuele III «re d’Albania».
Questa idea mistificatrice della «creazione dello Stato alba­
nese indipendente» veniva diffusa nell’interesse sia dei fascisti
italiani che cercavano di rinsaldare la scossa fiducia dei nazio­
nalisti reazionari per trarne il maggior profitto nella repressione
del Movimento di Liberazione Nazionale, sia della reazione con
alla testa il Balli Kombëtar, che sperava di assicurarsi il potere
politico, qualunque fosse l’evolversi della situazione,
La profonda crisi che trava­
gliava i nemici, l’estensione
della lotta armata, l’elevarsi a
un più alto livello della co­
scienza patriottica rivoluzionaria del popolo e le favorevoli con­
tingenze internazionali, erano altrettanti fattori che ponevano
all’ordine del giorno l’organizzazione dell’insurrezione generale
popolare e dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese.
La I Conferenza nazionale del PCA tenutasi a Labinot, nei
pressi di Elbasan, dal 17 al 22 marzo 1943, svolse un ruolo
storico nell’attuazione di tale compito. Vi parteciparono 70 dele­
gati e invitati. I delegati erano stati eletti dalle conferenze
regionali del Partito, svoltesi in febbraio e ai primi di marzo, e
rappresentavano circa 700 membri del Partito.
La Conferenza approvò pienamente l’operato del Comitato
Centrale provvisorio e giunse alla conclusione che la linea poli­
tica del Partito era giusta, cosa che era stata confermata nella
pratica.
Tutti i lavori della Conferenza furono dominati dal proble­
ma della preparazione del popolo all’insurrezione generale po­
polare e dell’organizzazione di quest’ultima.
Ponendo in risalto i grandi progressi compiuti nella lotta
antifascista, la I Conferenza nazionale attirava l’attenzione delle
organizzazioni del Partito sulle difficoltà da superare, sui com­
plessi problemi da risolvere per organizzare l’insurrezione ge­
nerale e assicurare la piena vittoria, invitando le organizzazioni
a rendersi pienamente conto di tali difficoltà e di tali problemi.
All’ordine del giorno: l’or­
ganizzazione
dell’insurre­
zione generale
109
Le masse popolari si trovavano sotto là diretta pressione dell’òstile propaganda del Balli Kombëtar e degli altri gruppi rea­
zionari, sotto la costante minaccia del terrore fascista. Come
conseguenza di ciò, si notavano qua e là dei tentennamenti, un
atteggiamento indifferente o una inesatta comprensione del­
l’essenza della politica del PCA, mentre una parte della popo­
lazione veniva ingannata dal Balli Kombëtar.
Gli ulteriori compiti circa il consolidamento dei legami
del Partito con le larghe masse e la preparazione di queste al­
l’insurrezione generale furono elaborati attraverso una sana
critica delle manifestazioni di settarismo e di opportunismo.
Ricordando ai comunisti che gli operai sono i pilastri su
cui poggia il Partito, la Conferenza chiedeva alle organizzazioni
del Partito di penetrare maggiormente tra le masse degli ope­
rai nelle miniere, nelle fabbriche, nei cantieri di costruzione e
altrove, soprattutto nei principali centri industriali di Kuçovë,
Selenicë, nei porti, ecc.
Partendo dalla concezione marxista, la Conferenza condannò
l’errata opinione sull’assenza di proletariato in Albania, espressa
da Tuk Jakova. Questa infondata concezione era stata rigettata
sin dalla Riunione dei Gruppi Comunisti. La classe operaia
albanese aveva ormai il proprio Partito Comunista attraverso
cui svolgeva la sua funzione dirigente nella Lotta di Libera­
zione Nazionale.
La Conferenza mise in risalto i progressi compiuti nel la­
voro fra i contadini, la maggior parte dei quali consideravano
il Partito Comunista come il proprio partito. Tuttavia in al­
cune regioni del paese, (soprattutto nel settentrione), le masse
rurali non partecipavano tutte vivacemente alla lotta contro gli
occupatori e i traditori, né riconoscevano unanimemente la di­
rezione del Partito. Il Balli Kombëtar aveva concentrato i suoi
sforzi nelle campagne. Dinanzi al Partito si prospettava l’ur­
gente compito di mantenere e di consolidare i legami con i con­
tadini, di isolare il Balli Kombëtar dalle masse rurali. Dalla
felice attuazione di tale compito dovevano dipendere in gran­
dissima misura l’organizzazione e lo scatenarsi dell’insurre­
zione generale.
Ponendo in risalto l’importantissima funzione dei contadini
nella Lotta di Liberazione Nazionale, la Conferenza diramava
la seguente direttiva: «Dedicare particolare importanza al la­
voro nelle campagne, poiché le masse rurali costituiscono l’enor110
me maggioranza del nostro popolo e dovranno essere la riserva
principale delle nostre forze per la lotta attuale»*.
La Conferenza definì l’alleanza della classe operaia e dei
contadini come la più sicura arma al servizio della Lotta di
Liberazione Nazionale. Essa raccomandò ai comunisti di estendere
e di perfezionare il lavoro politico di chiarimento e di organiz­
zazione nelle campagne. In primo luogo si richiedeva di ravvi­
vare i consigli di liberazione nazionale e di attrarre quanti più
contadini possibile nei reparti partigiani e nei distaccamenti
territoriali. Nello stesso tempo era necessario far sollevare i
contadini contro ogni tassa, multa, speculazione, spoliazione o
qualunque altra forma di oppressione e di sfruttamento da
parte del fascismo e dei suoi strumenti in Albania; organizzare
nelle campagne la lotta contro l’analfabetismo e diffondervi la
cultura.
Quantunque la maggior parte dei contadini ricchi si fos­
sero schierati e continuassero a schierarsi con il Balli Kombëtar, contro la Lotta di Liberazione Nazionale, la Conferenza
richiese, com’era stato fatto antecedentemente, che le larghe
masse rurali fossero sensibilizzate e poi coinvolte nella lotta,
senza distinzione di classe.
La Conferenza dedicò un’importante parte dei suoi dibattiti
al lavoro da svolgere fra la gioventù e le masse femminili.
Vi si pose in risalto l’entusiasmo e lo spirito rivoluzionario
della gioventù albanese, la sua disposizione a compiere qual­
siasi sacrificio, l’instancabile lavoro delle organizzazioni del
Partito e della Gioventù Comunista fra le larghe masse della
gioventù. Vennero formulate critiche concernenti alcune insuf­
ficienze riscontrate in questo campo, e precisamente il settari­
smo, la concentrazione quasi esclusiva del lavoro sulla gioventù
studentesca, l’insufficiente lavoro svolto fra la gioventù rurale e,
infine, alcune tendenze della direzione della Gioventù Comuni­
sta verso l’assunzione di attribuzioni parallele a quelle del
Partito. La Conferenza rilevò che la gioventù costituiva la viva
sorgente delle giovani forze del Partito, l’inesauribile nerbo
della Lotta di Liberazione Nazionale. Perciò si richiedeva una
più profonda comprensione della linea del Partito nei confron­
ti della gioventù, una più energica attività fra le masse della
* Risoluzione della I Conferenza Nazionale
principali del PLA, vol. I, p. 140.
del
PCA.
Documenti
111
gioventù nelle città e nelle campagne, una maggiore cura da
parte del Partito a questo settore di particolare importanza.
Il problema delle donne fu considerato come un problema
di primo piano ed esaminato sotto i suoi due aspetti principali:
la partecipazione delle masse femminili al Movimento di Libe­
razione Nazionale e la loro emancipazione sociale. Le donne
potevano e dovevano svolgere un’importante funzione nella
lotta antifascista e nella vita sociale. Per giungere a ciò era
necessario innanzi tutto che la donna albanese si rendesse
profondamente conto della secolare schiavitù e della pesante
oppressione che gli invasori avevano imposto al popolo albanese,
che si ribellasse a questo stato di cose divenendo una decisa
combattente per la liberazione nazionale e per la conquista di
un radioso avvenire. Fu particolarmente raccomandato ai co­
munisti di non limitare il loro lavoro alle donne intellettuali,
ma di penetrare tra le masse femminili contadine, nonché tra le
operaie e le casalinghe delle città.
Per quel che concerneva il lavoro da svolgere fra la gio­
ventù e le donne, la Conferenza pose in primo piano la que­
stione della loro organizzazione. Essa impartì le necessarie istru­
zioni per la costituzione dell’organizzazione della gioventù anti­
fascista albanese e del fronte antifascista delle donne.
Una particolare cura fu dedicata all’atteggiamento da tenere
verso i nazionalisti e alla collaborazione con essi.
Lo sviluppo rivoluzionario della Lotta di Liberazione Nazio­
nale continuava a setacciare le file dei nazionalisti. Buona parte
di essi, soprattutto rappresentanti della media borghesia, s’erano
schierati e continuavano a schierarsi con il Fronte di Libera­
zione Nazionale. Altri si mantenevano su posizioni neutrali, e
non avendo fiducia nelle forze del popolo, non comprendevano
a fondo il carattere della Lotta di Liberazione Nazionale e du­
bitavano della disfatta del fascismo. Quei gruppi di nazionalisti
che rappresentavano gli interessi della borghesia reazionaria e
dei latifondisti, o si riunirono nel Balli Kombëtar, oppure re­
starono in attesa di un momento più propizio per adottare un
netto atteggiamento ostile alla Lotta di Liberazione Nazionale.
Un settore di tale complessità, com’era quello del lavoro
da svolgere fra i nazionalisti, presentava il pericolo di rilevanti
errori e di spiccate manifestazioni di settarismo o di opportuni­
smo. La I Conferenza del Partito Comunista d’Albania criticò
l’impazienza e la mancanza di tatto di alcuni comunisti e di
alcune organizzazioni nei riguardi dei nazionalisti tentennanti o
112
neutrali e di quelli che facevano parte del Balli Kombëtar.
Essa raccomandò di dar prova d’una grande pazienza e di
realizzare l’unione sincera o la collaborazione con i nazionalisti.
I comunisti furono incaricati di lavorare instancabilmente con
tutti coloro che odiavano l’occupatore e volevano combatterlo,
anche con quelli che si mostravano recalcitranti, per convincerli
e per farsene degli alleati, fossero pure instabili.
Con energia ancora maggiore vennero criticati quei co­
munisti che avevano manifestato tendenze di cedimento di fron­
te alla pressione della borghesia reazionaria. Simili elementi
indecisi avevano espresso l’opinione secondo cui il Partito avreb­
be dovuto rinunciare alla propria identità e fondersi nel Mo­
vimento di Liberazione Nazionale. «Queste opinioni, — rilevava
la Conferenza, — portano alla liquidazione del Partito»*.
Essa stabilì quale compito il rafforzamento dell’identità e
della funzione dirigente del Partito nel Fronte di Liberazione
Nazionale, l’ulteriore popolarizzazione del Partito Comunista
quale portabandiera della lotta per la liberazione del popolo
dal fascismo e per la conquista dei diritti degli strati poveri.
La Conferenza si soffermò in particolar modo sull’atteggia­
mento da tenere nei confronti del Balli Kombëtar. Il Balli per­
seguiva una politica reazionaria, antinazionale, a doppia faccia.
I suoi capifila vennero definiti profondamente conservatori e
reazionari, disposti a qualunque specie di collaborazione con
gli occupatori. Essi si opponevano alla Lotta di Liberazione
Nazionale, poiché questa lotta apriva gli occhi al popolo, lo
rendeva cosciente di sé stesso e lo staccava da tutti coloro che
l’ingannavano, l’opprimevano e lo sfruttavano.
Tuttavia tra le file del Balli Kombëtar c’erano molti, soprat­
tutto nelle campagne, che volevano combattere contro l’invasore.
«Con costoro, — rilevava la Conferenza, — è possibile costituire
un comune fronte combattente di liberazione nazionale»**.
Soltanto la partecipazione del Balli Kombëtar alla lotta ar­
mata contro gli occupatori fascisti avrebbe reso possibile la
sua adesione al Fronte di Liberazione Nazionale. Per conse­
guire tale scopo bisognava impiegare qualsiasi mezzo, ivi com­
presi i colloqui con rappresentanti del Balli. Però la Conferen­
za criticò come manifestazioni di opportunismo le concezioni
secondo cui tutto il lavoro da svolgere con il Balli e i naziona* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 137.
** Ibidem, p. 131.
113
listi in genere doveva ridursi ai colloqui e ai compromessi. Si
pose nuovamente in risalto che la massima importanza doveva
essere attribuita al lavoro da compiere fra gli onesti aderenti
del Balli, allo scopo di stabilire relazioni combattive con essi
e di spingerli all’azione contro il fascismo. La pressione dal
basso e la lotta armata contro gli occupatori avrebbero operato
la differenziazione in seno al Balli Kombëtar e allontanato le
masse dai capifila reazionari.
Il Partito doveva proseguire con maggior vigore la denun­
cia della propaganda disfattista del Balli Kombëtar, soprattutto
della parola d’ordine «Non è ancora giunto il momento»; com­
battere tutti i collaboratori del fascismo, ivi compresi anche
quei capifila ballisti che si erano dichiarati o si dichiaravano
apertamente tali; denunciare la tattica della reazione che par­
lava di uno «Stato albanese indipendente» sotto l’egida dell’Italia
fascista.
Allo scopo di ampliare e rafforzare il Fronte di Liberazione
Nazionale e di progredire con passo deciso verso l’insurrezione
generale, la Conferenza chiedeva innanzi tutto alle organizza­
zioni del Partito d’aver costantemente presente il carattere di
liberazione nazionale e antifascista della lotta e di non permet­
tere alcuna deformazione della politica del Partito in qualsi­
voglia campo. «Noi non siamo opportunisti, — poneva in risalto
il compagno Enver Hoxha, — e non abbiamo assolutamente
dimenticato i nostri compiti a lungo termine, ma prima di giun­
gere a quella fase, dobbiamo attuare il nostro compito imme­
diato: la Lotta di Liberazione Nazionale»*.
La Conferenza definì l’organizzazione dell’Esercito di Li­
berazione Nazionale elemento essenziale dell’insurrezione gene­
rale. Questo esercito, come conseguenza dell’impetuoso sviluppo
della lotta partigiana, era in fase di formazione. In tali circo­
stanze, fu deciso: «Di creare, a partire dalle unità partigiane e
volontarie, un Esercito regolare di Liberazione Nazionale che
costituirà una forza terribile da impiegare contro l’occupatore
e la più potente e sicura garanzia per la liberazione del po­
polo»**.
Conformemente a ciò vennero elaborate le questioni del­
l’organizzazione dell’esercito, dei reparti e delle unità militari,
* Enver Hoxha. Rapporto presentato alla riunione
PCA, febbraio 1943. Opere, vol. I, p. 230.
** Documenti principali del PLA, vol. I, p. 140.
114
del
CC
del
degli stati maggiori regionali e dello Stato Maggiore Generale,
furono esaminati i problemi dei rifornimenti di armi, muni­
zioni, vestiario e viveri, discusse le questioni relative alla tat­
tica di combattimento e alla preparazione politica dei combat­
tenti, ecc.
Ponendo in risalto l’impellente necessità di formare l’Esercito di Liberazione Nazionale e la sua importanza decisiva per
l’insurrezione generale e la vittoria sul nemico, la Conferenza
chiese ai comunisti di rendersi profondamente conto che il
principale settore d’attività del Partito era, in quel momento,
l’esercito.
Ulteriore
consolidamento
dell’unità del Partito
La Conferenza esaminò i pro­
blemi organizzativi del Partito
in stretta connessione con la
sua linea politica e con la questione fondamentale: l’insurre­
zione generale.
Il consolidamento dell’unità del Partito fu definito come la
più grande vittoria della sua vita interna. Questa unità era asso­
lutamente necessaria per assicurare l’unione combattiva del po­
polo e la direzione del Partito nella Lotta di Liberazione
Nazionale. La Conferenza stimò giuste le decisioni della Con­
ferenza Straordinaria del giugno 1942, le misure prese dal Co­
mitato Centrale Provvisorio per annientare la corrente frazioni­
stica liquidatoria, nonché la sua posizione marxista-leninista nei
confronti del Gruppo dello «Zjarri».
Anche dopo la loro espulsione dal Partito, A. Lula e S.
Premte non cessarono, ma al contrario intensificarono la pro­
pria attività ostile contro il Partito Comunista d’Albania e il
Movimento di Liberazione Nazionale. Ormai l’atteggiamento da
tenere verso costoro sarebbe stato identico a quello tenuto nei
riguardi di tutti gli altri traditori e nemici del Partito, del po­
polo e del comunismo. La Conferenza raccomandava ai comu­
nisti di tenere sempre gli occhi aperti, di combattere senza
pietà ogni idea estranea, antimarxista, ogni trotskista o devia­
tore e ogni disertore dalle file del Partito e del Movimento di
Liberazione Nazionale, e di non dimenticare che il nemico
avrebbe insistito nei suoi sforzi per introdurre i propri agenti
nel Partito.
La Conferenza definì la ferrea disciplina in seno al Partito
come prima condizione per la conservazione e l’ulteriore conso­
lidamento della sua unità. Nello stesso tempo, nonostante le
115
circostanze createsi a causa della guerra, essa si interessò alla
questione dello sviluppo della democrazia interna del Partito,
ponendo il compito di combattere ogni atteggiamento autorita­
rio nel Partito e di rafforzarvi la critica e l’autocritica. I comu­
nisti, le cellule e gli organi inferiori del partito non dovevano
aspettarsi tutto dall’alto. Il consolidamento della democrazia e
lo sviluppo dell’iniziativa avrebbero accresciuto le capacità dei
comunisti e delle organizzazioni del Partito, elevato il livello
della loro funzione dirigente, ulteriormente sviluppato il senso
di responsabilità dei quadri e assicurato più stretti contatti
con le masse.
Un particolare compito del Partito consisteva nell’istituire,
su vasta scala, le organizzazioni del Partito nelle campagne,
«poiché senza di esse l’azione del Partito e della Lotta di Libe­
razione Nazionale non avrà successo»*.
La Conferenza raccomandò di migliorare la composizione
dei quadri, elevando senza alcun timore a posti di responsa­
bilità giovani comunisti che avevano dato prova d’un raro
spirito d’abnegazione e di fedeltà alla causa del popolo e del
comunismo.
La Conferenza attribuì grande importanza alla preparazione
ideologica e politica dei comunisti. Essa rilevò che i giovani
comunisti albanesi non avrebbero potuto degnamente portare
a termine i loro difficili compiti nelle complesse situazioni in
cui venivano a trovarsi, se non avessero assimilato gli insegnamenti marxisti-leninisti. Vennero criticate le concezioni di un
certo numero di comunisti i quali ritenevano che in tempo di
guerra quel che ci voleva non era il libro ma il fucile. «Insieme
con il fucile è necessario anche il libro», poneva in risalto la
Conferenza, stabilendo il compito di superare ogni ostacolo e
ogni difficoltà per assicurare lo studio del marxismo-leninismo.
Al termine dei suoi lavori la Conferenza elesse il Comitato
Centrale del PCA, composto di 15 membri e di 5 candidati. La
Conferenza elesse altresì l’Ufficio politico del CC, e Enver Hoxha
Segretario Generale del PCA.
Tutte le decisioni della Conferenza furono prese all’unani­
mità.
Nel concludere i suoi lavori, la I Conferenza Nazionale
espresse il suo convincimento che il Partito Comunista d’Albania
avrebbe marciato risolutamente in avanti sotto la bandiera del
* Documenti principali del PLA, vol. I, p. 143.
116
marxismo-leninismo, assolvendo con onore i suoi gravi compiti
e assicurando la vittoria totale al popolo albanese. «Non permet­
teremo ad alcuna forza, — scrivevano i delegati al Comitato
Esecutivo del Comintern, — di allontanare il nostro Partito dai
grandi ideali di Marx, Engels, Lenin e Stalin, dagli ideali del­
l’Internazionale comunista»*.
Le decisioni della I Conferenza svolsero un importante ruo­
lo storico nel generale consolidamento del PCA come partito
marxista-leninista rivoluzionario. La Conferenza elaborò più
profondamente e più ampiamente la linea generale del Partito
sulla base dell’esperienza acquisita.
5. ORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE
NAZIONALE E DELL’INSURREZIONE
GENERALE POPOLARE
Dopo la I Conferenza Nazionale, il lavoro politico e orga­
nizzativo del Partito si concentrò principalmente sulla prepa­
razione del popolo all’insurrezione generale e in primo luogo
sull’organizzazione dell’Esercito di Liberazione Nazionale.
Il
Partito lanciò un appello al popolo albanese, agli operai,
ai contadini, ai cittadini, alla gioventù, alle donne, ai nazionali­
sti e agli intellettuali patrioti, perché unissero tutte le loro
forze per metterle al servizio della lotta contro gli occupatori
fascisti e i traditori, perché passassero in numero sempre mag­
giore nelle file dei partigiani, al fine di creare nuove unità,
di intensificare la lotta armata, procedendo così verso l’insur­
rezione generale. Il Partito insegnava al popolo che «il destino
del paese dipende dalla lotta che stiamo svolgendo, e quanto
più la nostra lotta contro l’invasore sarà ampia e accanita, tanto
più prossimo sarà il giorno della liberazione»**.
Smascherando i propagandisti del Balli, i quali strombazza­
vano ai quattro venti che gli albanesi non erano in grado di
combattere contro l’Italia, né era necessario che lo fossero, poi­
ché questa sarebbe stata schiacciata dagli alleati, che avrebbero
recato la libertà e l’indipendenza anche all’Albania (!),
Enver Hoxha scriveva nello «Zëri i popullit»: «Che cosa acca­
drebbe se tutti ragionassero come questi illustri politicanti’»?...
* Verbali della I Conferenza Nazionale del PCA, ACP.
** Documenti principali del PLA, vol. I, p. 149.
117
Una cosa semplicissima... la piccola Albania... diverrebbe per
sempre vassalla di Mussolini...
Uno per tutti e tutti per uno. La Russia, l’Inghilterra, l’Ame­
rica, fanno la guerra con grandi eserciti, carri armati e aero­
plani; ma ciò non esclude che noi facciamo la guerra con quel­
l’unico fucile che abbiamo... La guerra non si fa né a colpi di
rose né a colpi di piume, e la libertà non si conquista né con
le parole, né coi compromessi, ma a prezzo di sofferenze e di
sangue»*.
Parallelamente alla vasta attività da essi svolta tra le
larghe masse del popolo, i comunisti intensificarono il loro la­
voro clandestino tra le file dei soldati, dei gendarmi e dei poli­
ziotti albanesi, di tutti coloro che, vittime dell’inganno degli oc­
cupatori, s’erano messi al loro servizio, nonché tra le file dei sol­
dati e degli operai italiani che si trovavano in Albania. Mani­
festini redatti in lingua italiana venivano diffusi fra questi
ultimi.
In risposta all’appello del Partito e grazie all’intensa attività
dei comunisti, centinaia di giovani combattenti venivano a in­
grossare le file dei reparti partigiani. Buona parte degli allievi
delle scuole medie si diedero alla macchia e si unirono ai com­
battenti della libertà. Del pari si unirono ai partigiani i patrioti
che avevano disertato dalle formazioni militari nemiche. In
meno di tre mesi il numero dei partigiani raddoppiò. Nel mag­
gio del 1943 vennero formati i primi battaglioni nonché i primi
stati maggiori regionali. Nel mese di luglio, 20 battaglioni e 30
reparti partigiani operavano in tutto il paese.
Mentre tutto il Partito era oc­
cupato ad attuare i compiti
fissati dalla I Conferenza Na­
zionale per preparare l’insur­
rezione generale, i nemici del popolo e del comunismo Sadik
Premte e Pali Tërova, organizzarono sottomano nella regione
di Vlorë una frazione ostile al PCA. Per l’esattezza, essi ave­
vano già cominciato a formare questa frazione precisamente
quando i principali dirigenti regionali del Partito erano assenti,
essendosi recati alla I Conferenza del PCA. Approfittando di ciò
e della mancanza di vigilanza, di disciplina e di solida prepara­
zione marxista-leninista tra le file dei comunisti, essi riuscirono
Annientamento della fra­
zione formatasi nella re­
gione di Vlorë
* Enver Hoxha. Opere, vol. I, pp. 246-247.
118
a ingannare e a guadagnarsi un certo numero di membri del
Partito, nonché il comando del reparto partigiano «Çeta Plakë»
di Vlorë. In aprile i frazionisti dichiararono di non riconoscere
il Comitato Regionale del Partito e affermarono di voler indire
una cosiddetta «conferenza del partito» che avrebbe rovesciato
il comitato ed eletto un nuovo comitato regionale composto da
Sadik Premte e dai suoi più stretti collaboratori.
La frazione ostile aveva per obiettivo di prendere in mano
le redini dell’organizzazione del Partito, nonché il comando dei
reparti partigiani della regione di Vlorë, di sterminare i comu­
nisti risoluti e in primo luogo i quadri dirigenti, di soffocare la
lotta di liberazione nella regione e di proseguire poi ulterior­
mente la propria attività sovvertitrice nelle altre zone del paese,
di rovesciare il Comitato Centrale e di annientare il Partito
Comunista. I traditori s’erano accordati con i capifila del Balli
Kombëtar per agire di concerto con essi nel raggiungimento del
loro scopo. Ricorrendo all’astuzia e alla calunnia, forti dell’ap­
poggio dei ballisti, essi tentarono di sollevare la popolazione
delle campagne per attacare con le armi il Partito e i reparti
partigiani. Nello stesso tempo si rivolsero per lettera a parecchi
comunisti in varie regioni nonché al Comitato regionale di Gjirokastër, portando a pretesto della rivolta le «ingiuste» deci­
sioni prese dal Partito contro A. Lula, S. Premte e gli altri
frazionisti, e sollecitando il loro appoggio.
La grave situazione creatasi nell’organizzazione del Partito
della regione di Vlorë, a giusto titolo venne giudicata dal Comi­
tato Centrale come un grande pericolo per tutto il Partito. Il
Segretario Generale Enver Hoxha si recò sul posto per dirigervi
la lotta contro la frazione.
La lotta per lo smantellamento di questa frazione fu orga­
nizzata sotto la parola d’ordine: «Il Partito al di sopra di tutto».
Il compagno Enver Hoxha, unitamente al compagno Hysni Kapo,
segretario politico del comitato regionale, spiegarono innanzi
tutto ai membri del Partito, nel corso di riunioni e di contatti
individuali, il vero obiettivo della frazione e il grave pericolo
che rappresentava la sua attività ostile. Quasi tutti i comunisti
che si erano lasciati ingannare dai traditori riconobbero la loro
colpa e ruppero ogni rapporto con essi. Anche la popolazione
della regione di Vlorë e di Mallakastër fu messa al corrente
del tradimento di S. Premte e prese attivamente parte, al fianco
del Partito, all’annientamento della frazione. In maggio tutto
era finito. S. Premte, smascherato come nemico del popolo e del
119
Partito, riusciva a salvarsi riparando a Vlorë occupata dai fa­
scisti italiani.
Dopo la liquidazione della frazione ostile nella regione di
Vlorë, il Comitato Centrale del Partito, mediante una circolare
speciale del giugno 1943, in cui venivano scoperte le origini e gli
obiettivi di questa frazione, raccomandava a tutti i comunisti:
«Questa prova serva di lezione a tutte le organizzazioni del
Partito e soprattutto all’organizzazione di Vlorë... La nostra lotta
contro questi subdoli nemici dev’essere condotta con la maggiore
asprezza ... dobbiamo aborrire questi elementi e colpirli senza
pietà ovunque li incontreremo e in qualunque occasione si ma­
nifestino...»*.
La faccenda di Vlorë servì veramente di lezione a tutto il
Partito. Esso aiutò i comunisti a comprendere più a fondo il pe­
ricolo rappresentato dai nemici del Partito, a rafforzare la di­
sciplina, la vigilanza e lo spirito combattivo nella loro attività
rivoluzionaria. Avvenimenti simili a quello di Vlorë non si pro­
dussero più sino alla fine della guerra.
Mentre il Partito lottava per
annientare la frazione di S.
Premte, in tutto il paese i par­
tigiani e i volontari sottoponevano a reiterati attacchi gli oc­
cupatori fascisti. I più potenti furono sferrati contro le truppe
italiane in prossimità delle miniere di Selenicë (aprile 1943), a
Leskovik (maggio), sulla strada Strugë-Dibër (giugno), a Përmet-Kuqar-Grykë e Mezhgoranit-Qafë e Kiçokut (principio di
luglio). Il 6 luglio, i partigiani albanesi compirono la loro prima
azione contro le truppe tedesche a Barmash, sulla strada KorçëGiannina. Contemporaneamente, i reparti partigiani, unitamente
con la popolazione delle campagne, fronteggiavano le operazioni
militari condotte dai fascisti italiani a Kurvelesh e Mesaplik
(aprile), a Pezë, a Mallakastër, a Tepelenë e a Shpirag (giugno).
Gli occupatori impegnarono intere divisioni in queste operazioni
contro i partigiani e la popolazione, massacrando migliaia di
donne, vecchi e bambini, dando alle fiamme centinaia di villaggi,
razziando intere mandrie di bestiame, senza però trarre alcun
vantaggio militare e politico. Al contrario, non fecero che at­
tizzare ancor più l’odio e l’indignazione del popolo.
Creazione dello Stato Mag­
giore Generale
* Circolare del CC del PCA, 17 giugno 1943. Documenti principali
del PLA, vol. I, pp. 172-173.
120
Nella situazione caratterizzata dallo straordinario slancio
rivoluzionario che regnava in tutto il paese, il Comitato Centrale
del PCA propose al Consiglio Generale di Liberazione Nazionale
di esaminare i problemi della lotta contro il fascismo che ri­
chiedevano una più urgente soluzione. Il problema principale
riguardava l’organizzazione dell’Esercito di Liberazione Nazio­
nale Albanese.
La riunione del Consiglio Generale fu tenuta il 4 luglio 1943
a Labinot. Vi si decise all’unanimità di formare lo Stato Mag­
giore Generale dell’Esercito di Liberazione Nazionale. Il Segre­
tario Generale del PCA, Enver Hoxha, venne eletto commissario
politico dello Stato Maggiore. Il 10 luglio, con un proclama spe­
ciale, il Consiglio e lo Stato Maggiore comunicavano al popolo
questo importante avvenimento.
Lo Stato Maggiore Generale procedette all’organizzazione
dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese (ELNA) e ac­
centrò nelle proprie mani la direzione strategica e operativa
della lotta armata contro gli occupatori e i traditori, elaborando
nel contempo la tattica di questa lotta. Allo scopo di centraliz­
zare la direzione dei reparti partigiani nelle province furono
creati Stati maggiori regionali e lo Stato maggiore della I Zona
operativa. Il 15 agosto 1943 fu creata la I Brigata d’assalto.
Al tempo in cui fu formato lo Stato Maggiore Generale,
l’ELNA annoverava nelle proprie file circa 10.000 combattenti,
organizzati in reparti partigiani permanenti. Un numero quasi
doppio di combattenti comprendevano i distaccamenti territo­
riali di autodifesa nei villaggi liberati e i nuclei di guerriglia
delle città e delle regioni occupate.
Un altro provvedimento di grande importanza, preso dallo
Stato Maggiore Generale, fu l’organizzazione del potere militare
partigiano delle retrovie. Quali organi di tale potere vennero
istituiti i «comandi regionali» e i «comandi locali». Questi or­
gani esercitavano nelle zone liberate le funzioni di polizia po­
polare, come fermo sostegno e coadiutori dei consigli di libe­
razione nazionale e dei reparti partigiani.
Con la creazione dello Stato Maggiore Generale la lotta
armata entrò in una nuova tappa, la tappa d’una più perfetta
organizzazione e d’una impetuosa espansione, la tappa dell’insur­
rezione generale popolare. In tutto il paese i reparti dell’Esercito di Liberazione Nazionale e i distaccamenti territoriali di
autodifesa, unitamente alle masse popolari, si gettarono nella
lotta contro le forze armate italiane d’occupazione e contro le
121
forze tedesche che avevano cominciato a penetrare e a operare
in territorio albanese. Sino a che gli eserciti degli invasori
italiani e tedeschi, ordinava lo Stato Maggiore Generale, «non
avranno capitolato senza condizioni, sino a che sul territorio
delia nostra amata Patria si troverà sia pure un solo fascista ar­
mato, la nostra lotta deve continuare con la massima asprezza»*.
A luglio, ad agosto e agli inizii di settembre la lotta di
liberazione contro gli occupanti italiani raggiunse l’apice della
sua asprezza. Le nuove operazioni militari da essi organizzate a
Mallakastra e a Tepelena fallirono vergognosamente. L’ELNA,
unitamente al popolo armato, impegnò sanguinosi combattimenti
contro l’esercito degli occupanti fascisti a Pojskë di Pogradec;
a Burrel, a Qafa e Shtamës e a Qafa e Buallit (Mat); a Zerqan
e a Sofraçan, nella regione di Dibra; a Kardhiq, a Mashkullore,
Libohovë e a Konispol, nella regione di Gjirokastër; a Llogara e
Tragjas di Vlorë; a Vithkuq di Korça; a Reç di Shkodra; e sulla
strada Elbasan-Tiranë e altrove.
Spaventati dall’insurrezione scatenatasi nell’intero paese, gli
occupatori fascisti proclamarono, in luglio, tutto il territorio al­
banese zona d’operazioni. Il comandante in capo italiano era co­
stretto a riconoscere che «il popolo albanese, nella sua maggio­
ranza e senza distinzione di classi, si è sollevato contro l’Italia
e contro la permanenza delle nostre truppe in Albania»**. Per
poter fronteggiare la situazione creatasi nel paese, egli chiedeva
al suo centro, a Roma, di aumentare i contingenti delle truppe
d’occupazione.
L’Esercito di Liberazione Na­
zionale Albanese — esercito
popolare rivoluzionario
Attraverso lo Stato Maggiore
Generale il Partito Comunista
mise in pratica in modo più
completo, nelle condizioni del­
l’Albania, gli insegnamenti del marxismo-leninismo sull’insurrezione popolare armata e avviò a soluzione i fondamentali pro­
blemi militari, politici e organizzativi dell’ELNA.
Anche dopo la creazione dello Stato Maggiore Generale,
l’Esercito di liberazione era obbligato a svolgere la lotta partigiana come principale forma di combattimento contro il nemi* Ordine, 30 luglio 1943. Documenti dello Stato Maggiore Generale
e del Comando generale dell’ELNA, vol. I, 1976, p. 32.
** Comando 9° Armata. Notizie mensili, N. 8, agosto 1943.
122
co, e ciò a cagione della superiorità numerica delle forze ar­
mate d’occupazione e soprattutto della loro superiorità in tecnica
militare, in munizioni, mezzi di trasporto e di collegamento,
in viveri e equipaggiamento. In tali condizioni, la lotta fron­
tale sarebbe stata un suicidio per l’insurrezione armata popolare.
Le operazioni militari dei reparti e delle unità partigiane
avevano un carattere offensivo, si sviluppavano senza tregua, si
distinguevano per l’abile ricorso ad agili manovre e ad attacchi
di sorpresa, per la grande iniziativa dei comandi di brigata, di
gruppo o di battaglione, per un perfetto sfruttamento del terreno.
Mediante la sua lotta partigiana, l’ELNA assolveva altressi
compiti strategici di natura particolare1. Il Partito gli aveva af­
fidato la missione di liberare tutto il paese con le proprie forze,
assicurando nello stesso tempo l’instaurazione del Potere po­
polare e servendo di sostegno armato a questo potere.
Soltanto un esercito regolare è in grado di portare a ter­
mine l’attuazione di simili compiti. Questa è la ragione per cui
il PCA compì tanti sforzi per creare l’ELNA e per convertirlo
in esercito regolare del popolo albanese.
All’inizio la più grande formazione dell’esercito regolare
popolare fu la brigata. Lo Stato Maggiore Generale preparò un
piano speciale per la progressiva creazione di una serie di bri­
gate, le quali avrebbero raggruppato di volta in volta la mag­
gior parte dei reparti, dei battaglioni e dei gruppi partigiani
operanti nelle varie regioni.
L’organizzazione dell’ELNA e la sua incessante ascesa erano
accompagnate dall’aumentato bisogno di quadri militari e poli­
tici. Il Partito non disponeva di quadri. Nelle condizioni della
lotta, lo Stato Maggiore Generale e il Consiglio Generale non
avevano la possibilità di aprire scuole per la preparazione degli
ufficiali. Comandanti e commissari venivano preparati nel fuoco
degli aspri combattimenti contro il nemico. Essi provenivano
dalle file degli operai, dei contadini e degli intellettuali patrioti,
dei partigiani più onesti, più coraggiosi e più devoti al popolo
e alla Patria.
La principale sorgente di rifornimento dei partigiani in armi
e munizioni, anche dopo la creazione dello Stato Maggiore Ge­
nerale e sino alla fine della guerra, rimase sempre il nemico,
l’esercito e i depositi degli invasori, a cui questo materiale ve­
niva tolto mediante la lotta.
1 Cioè non connessi ai vari fronti della Seconda Guerra mondiale.
123
Per quanto concerne i rifornimenti dei reparti e delle unità
dell’ELNA in vestiario e viveri, essi erano principalmente assi­
curati dagli aiuti della popolazione delle città e soprattutto
delle campagne, e in parte dal bottino conquistato in combatti­
mento. I partigiani venivano ospitati in casa dei contadini e dei
cittadini delle zone liberate.
Il Partito dedicò estrema importanza al mantenimento d’un
alto morale nell’esercito. Ogni partigiano era pronto a dare la
propria vita per la libertà, per la Patria, per il Partito Comu­
nista. Questa forza morale affondava le sue radici nell’alta co­
scienza dei combattenti. Essi sapevano bene perché si battevano,
comprendevano a fondo la giustezza della linea politica del Par­
tito, erano pienamente coscienti delle difficoltà, delle privazioni e
dei sacrifici che esigeva la lotta, e animati da una incrollabile
fede nella vittoria della causa che difendevano.
La figura morale del partigiano spiccava ancor più per la
sua disciplina cosciente, il suo amore per il popolo, il suo affetto
per i compagni, la sua profonda onestà e il suo esemplare con­
tegno nei confronti della popolazione, la sua estrema cura di
conservare le buone costumanze e tradizioni del paese.
Le alte qualità morali, politiche e militari dei partigiani
avevano una tale stabilità poiché poggiavano sulla convinzione
politica e sulla democrazia. A differenza di ciò che avviene
negli eserciti di vecchio tipo, che difendono gli interessi delle
classi reazionarie, nell’ELNA i semplici combattenti godevano,
al pari dei comandanti e dei commissari, dell’uguaglianza dei
diritti e d’una intera libertà di partecipare alla vita politica del
paese e alla soluzione dei problemi militari, politici e organiz­
zativi dell’esercito. Tutte le operazioni militari dei reparti, il
lavoro politico, l’attività dei comandi, il comportamento dei
partigiani e dei quadri, erano sottoposti al giudizio e alla critica
del collettivo. Gli ordini dei comandi esprimevano le esigenze
dei combattenti e del popolo. Affinché tali ordini, come pure
le decisioni e le direttive del Partito, venissero applicati nel
migliore dei modi, si organizzavano vasti dibattiti e scambi di idee.
La democrazia nell’ELNA era l’espressione del suo carattere
popolare ed emanava dal principio secondo cui sono le masse
che svolgono il ruolo decisivo nella loro qualità di artefici della
storia.
Questa democrazia, lungi dall’indebolire minimamente la
disciplina militare, la rafforzava e la rendeva più cosciente; non
pregiudicava la direzione centralizzata, ma concorreva alla sua
pratica attuazione.
124
L’abile impiego delle norme tattiche della guerra partigiana
e l’altissimo morale dell’ELNA consentivano al nostro esercito
di neutralizzare la superiorità numerica e tecnica del nemico
e di aver la meglio su di essa.
Artigiano delle alte qualità morali, politiche e militari dei
combattenti dell’ELNA era il Partito Comunista.
Il lavoro politico del Partito era diretto dai commissari di
brigata, di gruppo, di battaglione e di compagnia (già reparto).
Il commissario era nello stesso tempo anche membro del co­
mando del reparto partigiano. I vicecommissari esercitavano le
funzioni di segretari del Partito. Al fine di sviluppare il lavoro
politico nell’Esercito, il Partito vi inviò buona parte dei suoi
quadri migliori.
Parallelamente alle organizzazioni del Partito nell’esercito,
vennero create le organizzazioni della Gioventù comunista come
ausiliarie degli organi e delle cellule del Partito.
I commissari, i vicecommissari, le organizzazioni del Partito
e della Gioventù svolgevano, nei reparti partigiani, un vasto la­
voro di educazione politica, assicuravano la funzione di avan­
guardia dei comunisti e dei giovani comunisti nell’adempi­
mento delle missioni di combattimento. Essi educavano i com­
battenti nello spirito del patriottismo e della fedeltà alla Pa­
tria, al popolo, al Partito Comunista, secondo le tradizioni guer­
riere e rivoluzionarie del popolo albanese, secondo le idee del
marxismo-leninismo, i princìpi dell’internazionalismo proletario,
nell’affetto per tutti i popoli che lottavano contro il fascismo.
Essi inculcavano nello spirito dei partigiani e della popolazione
la certezza nella vittoria, assicuravano l’esecuzione degli ordini
dello Stato Maggiore Generale e dei comandi partigiani.
Il Partito Comunista godeva della massima fiducia e auto­
rità tra le file dei combattenti e dei quadri dell’ELNA. Tale
fiducia e autorità il Partito se l’era acquistata con l’esempio che
i comunisti davano in combattimento e con il loro contegno.
Tutte le questioni concernenti l’edificazione, la strategia,
la tattica e le operazioni militari dell’esercito venivano risolte
conformemente alle direttive e alle istruzioni del Comitato Cen­
trale. Enver Hoxha, Segretario Generale del Partito, era il
principale organizzatore, dirigente ed educatore dell’ELNA.
La creazione dell’ELNA costituiva una grande vittoria poli­
tica e militare del Partito. Il Partito Comunista d’Albania era
così riuscito a risolvere uno dei suoi più decisivi e ardui com­
piti.
125
Denuncia del falso patriot­
tismo del Balli Kombëtar
Questa vittoria fu ottenuta non
soltanto nel fuoco della lotta ar­
mata contro gli occupatori e i
traditori, ma anche attraverso un’accanita lotta politica contro la
reazione interna, contro il Balli Kombëtar.
Al fine di sabotare la lotta armata contro gli occupatori, il
Balli Kombëtar impiegò tutti i mezzi e tutti i metodi a cui
ricorrevano i nemici del popolo e della rivoluzione: calunnia,
demagogia, intimidazione con lo «spauracchio comunista», mi­
nacce, intrighi, menzogne, false promesse, proditorie uccisioni
di comunisti, di partigiani e di membri dei consigli, accordi
segreti con gli occupatori per coordinare con essi le azioni da
svolgere contro le forze rivoluzionarie, e così via. In alcuni casi,
i ballisti riuscirono a ingannare interi villaggi. V’erano dei
contadini che, per istigazione e sotto la minaccia del Balli
Kombëtar, si rifiutavano di dar asilo ai partigiani nei loro vil­
laggi, di prender parte ai conflitti a fuoco contro le truppe
italiane nel corso delle operazioni, e che non riconoscevano i
consigli di liberazione nazionale.
Simili casi, se non fossero rimasti isolati, avrebbero con­
dotto alla neutralizzazione delle masse rurali, della maggior
base e riserva di forze della Lotta di Liberazione Nazionale,
mettendo così in forse la vittoria in questa lotta. Tale pericolo
fu scongiurato grazie alla presa di posizione e all’azione allo
stesso tempo risolute e ben ponderate del Partito, basate su di
una profonda conoscenza delle condizioni oggettive della situa­
zione concreta all’interno del paese.
La schiacciante maggioranza dei contadini voleva battersi
contro l’occupatore per la liberazione della Patria. Soltanto il
Partito Comunista rispondeva a tale desiderio con le sue azioni
quotidiane. Il Balli Kombëtar era contrario alla lotta contro i
fascisti. Questo atteggiamento era in opposizione alle aspirazioni
ed esigenze dei contadini e del popolo nel suo insieme.
Nella primavera del 1943, un certo numero di contadini,
mistificati dai capifila ballisti e seguendo i loro «consigli», ri­
masero nei propri villaggi senza prendere le armi contro le
truppe italiane quando queste vi entrarono, credendo realmente
che i fascisti non li avrebbero toccati. Invece questi diedero
alle fiamme i villaggi e massacrarono barbaramente le donne,
gli uomini e i bambini che non s’erano allontanati. Fu un’ama­
ra lezione per tutti coloro che s’erano lasciati ingannare dalla
reazione.
126
Allo scopo di distruggere il Fronte di Liberazione Nazio­
nale, il Balli Kombëtar si ravvicinava sempre più agli occupa­
tori e partecipava al loro fianco alle azioni contro i consigli e
i reparti partigiani. Le bande balliste sostennero direttamente
l’esercito italiano nelle sue spedizioni punitive contro i parti­
giani e la popolazione. Questo comportamento dei ballisti suscitò
l’indignazione del popolo.
Il Partito Comunista appoggiò i contadini nella loro lotta
per impedire ai fascisti di rapinare i cereali, i latticini, la
lana. Frattanto i ballisti, non contenti di consigliare ai conta­
dini di non opporsi alla consegna dei loro prodotti agricoli agli
occupatori e al governo quisling, aiutarono il nemico a depre­
dare gli abitanti delle campagne. Questo modo di agire del
Balli, gli alienava sempre più le masse.
Il Partito Comunista, attraverso un vasto lavoro politico,
propagandava la propria linea e il programma del Fronte di
Liberazione Nazionale, denunciava le manovre degli oppressori
fascisti e dei traditori, svelava il contenuto e il reale scopo di
ogni azione e atteggiamento antinazionale e antipopolare dei
capifila del Balli e delle sue bande.
Così i contadini si convinsero a poco a poco, a proprie spese,
che una vera vittoria contro gli occupatori fascisti e i traditori
non poteva essere riportata che sotto la guida del Partito Co­
munista. Essi si rendevano sempre più profondamente conto
che i loro secolari sogni di libertà e di possesso della terra
non potevano divenir realtà che ad opera del Partito, mentre il
Balli non era per l’abolizione dell’oppressione e dello sfrutta­
mento.
Più la demagogia e il tradimento del Balli Kombëtar ve­
nivano denunciati e più i contadini e gli altri strati della po­
polazione si raccoglievano intorno al Partito. In tutta l’Albania
le masse popolari si prendevano gioco del Balli dicendo:
«Aspetta ciuccio mio che l’erba cresca, ecco il consiglio del Balli
Kombëtar» e dandogli inoltre il soprannome di «bisht kombëtar» (coda nazionale).
La situazione che s’era venuta
a creare imponeva di fare tutto
il possibile per scongiurare la
lotta fratricida che gli occupatori fascisti attizzavano in vari
modi. Su proposta del Comitato Centrale del PCA tale questione
fu esaminata dal Consiglio Generale nel corso della sua riunione
La denuncia
di Mukje
dell’accordo
127
tenutasi nel luglio 1943. Il Consiglio decise che un ultimo sforzo
doveva essere tentato per stornare il Balli Kombëtar, in quanto
organizzazione, dalla via del tradimento e farlo partecipare alla
Lotta di Liberazione Nazionale. A tal fine, una delegazione fu
incaricata di discutere con i capifila del Balli le questioni se­
guenti: immediata partecipazione del Balli Kombëtar alla lotta
contro l’occupatore e cessazione della sua lotta contro il Movi­
mento di Liberazione Nazionale e il Partito Comunista; epura­
zione dei fascisti, dei briganti e dei criminali che militavano
nelle sue file; riconoscimento da parte sua dei consigli di libe­
razione nazionale; convocazione, nel fuoco della lotta e degli
scontri con il fascismo, di una conferenza nazionale a cui do­
veva partecipare anche il Balli Kombëtar e in cui sarebbero
state discusse e risolte tutte le questioni concernenti l’unione.
Il primo incontro con i capifila del Balli ebbe luogo a Tapizë, in prossimità di Tirana, mentre il secondo si svolse a
Mukje, nei pressi di Krujë, il 1° e il 2 agosto.
I ballisti accettarono di incontrarsi con la delegazione del
Consiglio Generale di Liberazione Nazionale unicamente per
rafforzare le loro posizioni, profondamente scosse dalla denun­
cia del loro tradimento, e per assicurarsi il potere politico alla
capitolazione dell’Italia, che appariva imminente dopo la caduta
di Mussolini avvenuta il 25 luglio.
Nel corso di questi colloqui, Ymer Dishnica, membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale, che guidava la delega­
zione, cedette alla pressione e alla demagogia della borghesia
reazionaria e dei latifondisti. Invece di difendere tenacemente
la linea del Partito Comunista e il giusto atteggiamento che il
Consiglio Generale aveva deciso di osservare nei confronti del
Balli Kombëtar, egli addivenne a Mukje ad un accordo che era
in opposizione diretta con gli interessi della Lotta di Libera­
zione Nazionale e del popolo albanese. Un altro membro della
delegazione, Mustafa Gjinishi, che sostenne con calore le ri­
chieste della borghesia reazionaria, ebbe una parte estremamente negativa in questa faccenda.
L’accordo di Mukje faceva apparire il Balli Kombëtar, che
aveva sabotato la Lotta di Liberazione Nazionale e aveva aiu­
tato in vari modi l’occupatore, come un’organizzazione che
aveva combattuto contro il fascismo, alla pari con il Fronte di
Liberazione Nazionale. Invece di esigere che il Balli Kombëtar
s’impegnasse nella lotta contro gli occupatori, Ymer Dishnica
e Mustafa Gjinishi accondiscesero alla demagogica richiesta dal
128
Balli circa la «proclamazione dell’indipendenza» e il rovescia­
mento dell’«assemblea fascista del 12 aprile», assemblea di cui
avevano fatto parte quasi tutti i capifila del Balli e che il
popolo non aveva mai riconosciuto. Essi accettarono l’ingan­
nevole slogan dell’«Albania etnica» che il fascismo e la reazione
usavano quale arma per mistificare il popolo albanese, fargli
dimenticare il principale nemico del momento e inimicargli i po­
poli vicini. Essi accettarono la proposta della reazione circa la
creazione di un «Comitato per la Salvezza dell’Albania», com­
posto da un ugual numero di rappresentanti del Balli Kombëtar
e del Fronte di Liberazione Nazionale e che doveva essere inve­
stito delle attribuzioni di un governo provvisorio.
Il Consiglio Generale e, nell’insieme, il potere dei consigli
di liberazione nazionale, generati dalla lotta rivoluzionaria del
popolo, venivano completamente dimenticati. Senza esserne au­
torizzati dal Consiglio Generale e dal Comitato Centrale del
Partito, Ymer Dishnica e Mustafa Gjinishi diedero il proprio
consenso alla diffusione di un proclama del «Comitato per la
Salvezza dell’Albania» che portava a conoscenza del popolo le
decisioni di Mukje. In tal modo essi caddero in pieno nella
trappola preparata dalla reazione.
Il Partito Comunista d’Albania non era contro ogni accordo
con il Balli Kombëtar. Esso aveva compiuto molti sforzi per
farlo partecipare alla lotta contro gli occupatori e collegarlo,
su tale base, con il Fronte di Liberazione Nazionale; aveva
avviato colloqui con il Balli, aveva accettato la formazione delle
«commissioni di coordinamento» per la lotta contro il fascismo,
e così via. La decisione del luglio 1943 del Consiglio Generale,
di iniziare colloqui con i capifila ballisti, era uno degli ultimi
tentativi per allontanare il Balli dalla via del tradimento e por­
tarlo su quella della lotta contro gli occupatori. Questo tenta­
tivo veniva compiuto nell’interesse della Patria e della Lotta
di Liberazione Nazionale. Mentre invece l’accordo raggiunto a
Mukje era contrario agli interessi del popolo e della Patria.
Esso disorientava la popolazione, ne stornava l’attenzione dalla
lotta contro gli occupatori e creava l’idea d’una falsa unione,
edificata in base a mercanteggiamenti al vertice. L’accordo di
Mukje tirava una croce sopra le grandi vittorie conseguite nella
lotta antifascista sotto la guida del Partito Comunista e, quel
ch’era peggio, apriva la strada al passaggio del potere politico
nelle mani della borghesia reazionaria, che non aveva sparato
un solo colpo di fucile e non si impegnava a battersi contro gli
129
oppressori stranieri, ma che, ai contrario, aveva collaborato e
collaborava ancora con essi. Conseguentemente, un tale accordo
costituiva un tradimento verso il popolo e la rivoluzione.
Per questa ragione, su iniziativa del compagno Enver Hoxha,
il Comitato Centrale e l’intero Partito rigettarono immediata­
mente e senza esitazione l’accordo di Mukje.
Appena ebbe ricevuto la prima comunicazione, redatta in
termini oscuri, il Segretario Generale del Partito comprese che
alia riunione di Mukje «era stato il Balli a dirigere l’orche­
stra», e, esprimendo una viva inquietudine a tale proposito,
metteva in guardia Ymer Dishnica: «...Non dimenticare gli in­
teressi del nostro Partito, esso deve restare quel che è sempre
stato: l’organizzatore e la guida della Lotta di Liberazione
Nazionale, rimanere tale e non divenire una frazione in questa
lotta»*. Quando il tradimento apparve chiaramente, egli definì
l’accordo «una completa capitolazione dinanzi al Balli» e scrisse
a Ymer Dishnica: «Tu ti sei interamente allineato sulle posi­
zioni del Balli...». Questo accordo che «calpesta interamente la
nostra linea politica, viene denunciato dal Comitato Centrale»**.
Rendendo nota ai comunisti questa grave violazione delle
decisioni del Consiglio Generale e della linea politica del Par­
tito, il Comitato Centrale dichiarava il suo fermo proposito di
non ammettere in alcun caso la divisione delle conquiste della
lotta di liberazione del popolo albanese e del potere democratico
con il Balli Kombëtar e tutti gli altri avversari di questa lotta
e di questo potere.
La sottomissione di Ymer Dishnica e di Mustafa Gjinishi
aiutò il Balli Kombëtar a sfruttare l’accordo di Mukje per la
lotta contro il Partito Comunista e per diffondere la confu­
sione tra le masse popolari. Le organizzazioni del Partito dovet­
tero compiere un grande lavoro di chiarimento per denun­
ciare il contenuto reazionario di tale accordo e gli obiettivi del
Balli Kombëtar che mirava a togliere al popolo albanese, con
l’aiuto degli occupatori, i frutti della sua lotta di liberazione.
*
1943.
**
1943.
130
Enver Hoxha. Lettera indirizzata a Ymer Dishnica, 6 agosto
Opere, vol. I, p. 334.
Enver Hoxha. Lettera indirizzata a Ymer Dishnica, 9 agosto
Opere, vol. I, p. 340.
I consigli di liberazione
nazionale — unico potere
del popolo
Allo scopo di consolidare ul­
teriormente l’unione del popo­
lo albanese nella lotta anti­
fascista, dal 4 al 9 settembre
1943 si riunì, a Labinot, la II Conferenza di Liberazione Na­
zionale.
La Conferenza esaminò la questione del potere democratico
popolare, considerandola come questione chiave. Con l’appro­
fondirsi del processo rivoluzionario della lotta, tale questione
acquistava un’importanza sempre maggiore, tanto più che il
Balli Kombëtar e la reazione in generale facevano ogni sforzo
per prendere nelle proprie mani il potere politico.
In queste condizioni la Conferenza lanciò la parola d’ordine:
«I consigli di liberazione nazionale siano riconosciuti come uni­
co potere del popolo in Albania»*.
La II Conferenza di Liberazione Nazionale adottò una serie
di provvedimenti miranti al consolidamento, all’allargamento
della base democratica e alla centralizzazione del potere popo­
lare. Essa elevò il numero dei membri del Consiglio Generale da
7 (eletti alla Conferenza di Pezë) a 62, redasse e adottò lo
Statuto e il Regolamento dei consigli di liberazione nazionale,
documenti questi di importanza costituzionale. Fu decisa la co­
stituzione di organi esecutivi, dotati del loro apparato ammi­
nistrativo ed economico, presso il Consiglio Generale e i consigli
regionali.
La Conferenza riconobbe le organizzazioni dell’Unione della
Gioventù Antifascista, dell’Unione delle Donne Antifasciste, del­
l’Unione degli Universitari Antifascisti (create poco tempo pri­
ma sotto la direzione del Partito Comunista), come facenti parte
del Fronte di Liberazione Nazionale e raccomandò che a esse
venisse dato il massimo aiuto e appoggio. Queste erano organiz­
zazioni che comprendevano le masse giovanili e femminili delle
varie classi e dei diversi ceti del paese e avevano per programma
quello stesso del Fronte.
La Conferenza di Labinot denunciò pubblicamente l’ac­
cordo di Mukje come un atto che violava i fondamentali prin­
cìpi della Conferenza di Pezë e che era contrario agli interessi
della lotta e dell’unione del popolo albanese.
Dato che il Balli Kombëtar proseguiva la sua attività ostile
* Risoluzione della II Conferenza di Liberazione Nazionale, 8 set­
tembre 1943. Documenti degli organi superiori del Potere di libera­
zione nazionale, p. 58.
131
a danno del Movimento di Liberazione Nazionale e la sua colla­
borazione con i fascisti italiani, fu deciso di tenere nei suoi
confronti un atteggiamento reciso: denunciare sino in fondo la
sua politica antinazionale, antipopolare, la sua propaganda de­
magogica per l’unione, le sue mene tendenti a seminar discordia
e a provocare la lotta fratricida. Nello stesso tempo fu impar­
tita la direttiva di non desistere dagli sforzi miranti a sfruttare
la benché minima possibilità di collaborazione con il Balli e
con le altre correnti politiche al di fuori del Movimento di
Liberazione Nazionale, ma unicamente sulla base della piatta­
forma della Conferenza di Pezë e, innanzi tutto, sulla base
della partecipazione alla lotta, senza compromessi e senza tre­
gua, contro gli occupatori, nonché del riconoscimento dei consi­
gli di liberazione nazionale come unico potere del popolo.
Un tale atteggiamento avrebbe fatto aprire gli occhi a colo­
ro ch’erano stati ingannati, staccandoli dai capifila reazionari.
La Conferenza di Labinot non nutriva alcuna speranza di
vedere il Balli Kombëtar abbandonare la via del tradimento.
Essa dimostrò al popolo che i capifila ballisti si spingevano
sempre più avanti sulla via della collaborazione con gli occupa­
tori e della lotta aperta contro il Movimento di Liberazione
Nazionale.
Appoggiando le decisioni della Conferenza di Labinot, il
Comitato Centrale del PCA raccomandava ai comitati regionali:
«...di presentare chiaramente al popolo il Balli quale fautore
della divisione e della lotta fratricida, di far sì che il popolo
comprenda bene che la politica del Balli ci porterà a uno
scontro armato, di far sì che l’intero popolo si ribelli a ciò e che
in tal modo le responsabilità storiche... ricadano, a giusto ti­
tolo... sul Balli Kombëtar; di prepararsi e preparare tutti
coloro che partecipano al Movimento di Liberazione Nazionale,
di preparare tutto il popolo a uno scontro con il Balli; lo stesso
Balli sta preparando questo scontro e non deve trovarci con
le mani in mano...»*.
Il giorno in cui la Conferenza terminava i suoi lavori,
giunse la notizia della capitolazione dell’Italia fascista. Questo
evento mutò la situazione esistente in Albania. Nella nuova
situazione che si era venuta a creare, nuovi compiti si prospet­
tavano al Partito Comunista d’Albania.
* Direttive del CC del PCA, 10 settembre 1943. Documenti prin­
cipali del PLA, vol. I, p. 196.
132
6. GLI SFORZI PER INTENSIFICARE LA LOTTA CONTRO
I NUOVI INVASORI, I TEDESCHI. E PER SCHIACCIARE
LA REAZIONE
La capitolazione dell’Italia fascista fu resa nota l’8 settem­
bre 1943.
Il popolo albanese, che per quattro anni e mezzo aveva con­
dotto un’aspra lotta per scuotersi di dosso il giogo degli occupa­
tori italiani, aveva direttamente fornito il proprio prezioso con­
tributo al compiersi di questo evento.
Lo Stato Maggiore Generale,
conformemente all’accordo di
capitolazione, lanciò immedia­
tamente un appello all’esercito
italiano d’occupazione, invitan­
dolo a consegnare le armi, o a
unirsi all’ELNA contro la Germania hitleriana. Ma il coman­
dante in capo italiano non rispose a questo appello. Egli ordinò
alle truppe italiane di stanza in Albania di arrendersi ai tede­
schi. Soltanto 15.000 soldati e ufficiali italiani non eseguirono
tale ordine, arrendendosi invece all’ELNA. Il Partito Comunista
d’Albania ebbe cura che tutti costoro fossero accolti ovunque
fraternamente, nonostante gli atti di crudeltà commessi dal­
l’esercito fascista italiano in Albania. I principali responsabili
di questi atti di barbarie dovevano invece render conto dei
loro misfatti ed essere severamente puniti in qualsiasi momento
venissero catturati, durante o dopo la guerra.
Circa 1.500 soldati, fra quelli che si erano arresi alle forze
dell’ELNA, accettarono di combattere con le armi in pugno
contro i nazisti tedeschi nelle file delle unità partigiane alba­
nesi. Venne formato il battaglione «Antonio Gramsci» che fu
incorporato nella I Brigata d’Assalto dell’ELNA. Gli altri sol­
dati, che non desideravano combattere, trovarono asilo nelle
zone liberate del paese, dove furono generosamente accolti dai
contadini, nonostante le eccezionali difficoltà economiche che
questi attraversavano.
Il posto degli occupatori italiani fu preso, in Albania, dagli
invasori tedeschi. Il loro arrivo fu segnato ovunque da aspri
combattimenti. Sulla strada Strugë-Librazhd, a Drashovicë nei
pressi di Vlorë, al Ponte di Kardhiq vicino a Gjirokastër, lungo
la strada Elbasan-Tirana, a Krujë, a Konispol, a Delvinë e a
La nuova situazione dopo
la capitolazione dell’Italia
e l’occupazione del paese
da parte dei nazisti
tedeschi
133
Sarandë, a Bilisht, lungo la strada Korçë-Leskovik e in altre
località, i reparti dell’Esercito di Liberazione Nazionale causarono
sensibili perdite ai nuovi occupatori e non permisero loro di
espandersi su tutto il territorio dell’Albania. La maggior parte
delle regioni e parecchie città rimasero libere.
Le forze tedesche dislocate in Albania ammontavano a circa
70.000 uomini. Appena installate nel paese, esse si misero al­
l’opera per soffocare il Movimento di Liberazione Nazionale e
per fare del popolo albanese un satellite della Germania. Per
conseguire il proprio scopo, in principio i nazisti impiegarono
una tattica che mirava a camuffare il regime d’occupazione e a
ingannare il popolo con l’illusione della conquistata «indipen­
denza nazionale» e della «creazione dello Stato albanese sovra­
no». Essi proclamarono fragorosamente di esser venuti da «ami­
ci», precisamente «per affrancare l’Albania dal giogo dell’Ita­
lia», e che l’esercito tedesco «avrebbe garantito l’indipendenza
del popolo albanese se quest’ultimo l’avesse aiutato nella sua
lotta contro il comunismo»! Essi lanciarono un appello a tutti
coloro che si trovavano in montagna affinché consegnassero le
armi e rientrassero alle loro case, dato che la loro missione
era slata pienamente assolta con l’aiuto dell’esercito tedesco!
Gli hitleriani incitarono e aiutarono i traditori a proclamare
«la separazione dell’Albania dall’Italia» e a creare gli organi
dello «Stato albanese indipendente», quali il «comitato esecuti­
vo», la «reggenza», il «governo albanese», l’«esercito albanese»,
la «gendarmeria albanese», e così via. Questa manovra fu ac­
compagnata da un altisonante propaganda da parte dei rea­
zionari.
Ma qualunque fosse la tattica a cui ricorrevano, gli hitle­
riani non riuscivano a dissimulare in alcun modo la loro aggres­
sione contro l’Albania. Da tempo il Partito Comunista aveva
chiaramente fatto intendere al popolo albanese quali feroci
nemici del genere umano fossero i nazisti tedeschi. Il giorno
stesso in cui, nel luglio 1943, avevano posto piede per la prima
volta in Albania, essi avevano raso al suolo l’intero villaggio
di Borovë e sterminato tutta la sua popolazione, compresi i
bambini in fasce.
Neppure i tedeschi stessi erano in grado di camuffare il
feroce regime d’occupazione da essi instaurato in Albania. Paral­
lelamente ai proclami sul «rispetto» e sulla «garanzia» dell’indipendenza nazionale dell’Albania, essi ne emisero altri che
ordinavano il disarmo di tutta la popolazione e avvertivano che
134
da 10 a 30 albanesi sarebbero stati fucilati o impiccati per ogni
soldato tedesco ucciso, per ogni atto di sabotaggio, per ogni
arma, materiale militare o per il minimo quantitativo di viveri
nascosti! Dappertutto fu instaurato lo stato d’assedio. La «reg­
genza» e il governo quisling non potevano prendere alcuna
decisione senza l’approvazione del comando tedesco d’occupa­
zione. Gli hitleriani presero possesso della Banca Nazionale e di
tutte le risorse economiche del paese.
Il popolo albanese, sotto la guida del Partito Comunista,
non si lasciò ingannare dalla demagogia a cui ricorrevano i
nazisti. Esso proseguì con ancor maggiore ardore la sua lotta
contro i nuovi invasori. Nello spazio di un mese gli hitleriani
si convinsero dell’implacabile ostilità del popolo albanese contro
di essi, contro qualsiasi reggenza e qualsivoglia governo alba­
nese collaborazionista.
Nell’autunno del 1943, in tutte le regioni del paese, i reparti
e le unità dell’ELNA sferravano violenti attacchi contro le trup­
pe hitleriane e le forze reazionarie. Il 18 ottobre, l’artiglieria
dell’ELNA cannoneggiò l’assemblea dei quisling, riunita per ini­
ziativa del comando tedesco. Questa azione fu accompagnata
dalla diffusione, quel giorno stesso, a Tirana, di un manifestino
del Partito Comunista d’Albania, intitolato: «Come risponde il
popolo albanese all’assemblea della Gestapo? Col CANNONE!»*.
Parallelamente alle operazioni dell’ELNA i nuclei di guerri­
glia portavano a termine nelle regioni e città occupate varie
azioni di diversione, divenute sempre più frequenti e meglio
organizzate.
Il Comitato Centrale del Partito dedicava la massima atten­
zione a ciò che la lotta armata contro i nuovi occupatori fosse
condotta senza tregua e con accanimento in ogni angolo d’Al­
bania. Alla notizia che lo Stato Maggiore della Regione di Berat, comandato da Gjin Marku, aveva provvisoriamente per­
messo ai soldati tedeschi di entrare liberamente in Berat libera­
ta, esso definì quest’atto come un crimine e lo condannò se­
veramente. «Qualunque cosa ci potevamo aspettare da un co­
mando partigiano, — scriveva in quel periodo il compagno
Enver Hoxha allo Stato Maggiore Regionale, — ma che scen­
desse a patti, sia pure per un solo istante, con il peggiore ne­
mico del nostro popolo e del genere umano, questo non ce lo
saremmo mai potuto immaginare... Aveste pure perduto tutte
* Appelli e manifestini del PCA, 1941-1944, 1962, p. 310.
135
le vostre truppe, messo in pericolo tutte le vostre conquiste,
mai e poi mai dovevate accordarvi con i barbari nazisti»*.
Con l’occupazione del paese da parte delle truppe tedesche
in Albania s’era venuta a creare una nuova situazione. Il più
caratteristico e principale aspetto di tale situazione era il ra­
duno, intorno ai nuovi invasori, di tutti i gruppi, correnti e
forze della reazione e il loro passaggio alla lotta armata dichia­
rata e generale contro il Movimento di Liberazione Nazionale.
La reazione interna si sentiva sempre più incapace di far
fronte alla situazione con le proprie forze. Questa incapacità
della reazione e la concordanza dei suoi scopi con quelli degli
occupatori tedeschi, portarono i traditori albanesi a sollecitare
apertamente l’aiuto e la protezione dei nazisti, mettendo tutte
le proprie forze sotto il comando di questi ultimi.
L’annientamento della rea­
zione interna — condizio­
ne per condurre vittoriosa­
mente la lotta contro gli
occupatori
Immediatamente il Balli Kombëtar, i bajraktar, l’alto clero
e in particolare modo quello
cattolico, i politicanti fascisti
al completo, si unirono agli
invasori
tedeschi.
Esponenti
del Balli Kombëtar, del clero e rappresentanti delle altre cor­
renti reazionarie entrarono a far parte della Reggenza, del
governo e di altri organi superiori collaborazionisti.
Ora che il Balli Kombëtar, addentrandosi sulla strada del
tradimento, s’era impegnato, al fianco dei nazisti tedeschi, in
una aperta lotta armata contro il Movimento di Liberazione
Nazionale, il Partito Comunista e il Consiglio Generale erano
costretti a rispondere a questo strumento degli occupatori facen­
do anch’essi ricorso alla lotta armata. «L’unione con il Balli
Kombëtar, — era detto in una direttiva del Comitato Centrale
del Partito Comunista d’Albania, — è ormai cosa morta e non
vale più la pena di parlarne. Ciò che invece bisogna fare adesso,
è sgominare il Balli Kombëtar»**.
Fu precisamente in quel periodo che si manifestò aperta­
mente il tradimento di Abaz Kupi e degli zoghisti. Dopo essersi
* Lettera indirizzata allo Stato Maggiore della Regione di Berat,
5 novembre 1943. Documenti dello Stato Maggiore Generale, vol. I,
1976, p. 145.
** Lettera del Comitato Centrale del PCA, 1° ottobre 1943. Docu­
menti principali del PLA, vol. I, p. 211.
136
rifiutato di prender parte alla Conferenza di Labinot, Abaz
Kupi disertò dal Fronte di Liberazione Nazionale. Egli vi aveva
aderito con scopi ben determinati, per rialzare il prestigio di
Zogu e per impedire l’accrescersi dell’autorità, dell’influenza e
della funzione dirigente del Partito Comunista. Egli aveva sem­
pre agito secondo le istruzioni degli imperialisti inglesi, i quali
miravano, per il tramite degli zoghisti, a stabilire il proprio
controllo sul Movimento di Liberazione Nazionale e quindi, dopo
il conflitto, su tutta l’Albania. Non essendo riuscito a conseguire
il suo scopo, nella situazione che si era venuta a creare dopo
la capitolazione dell’Italia, Abaz Kupi stimò giunto il momento
favorevole per annientare il Fronte di Liberazione Nazionale e
il Partito Comunista. Con l’appoggio degli inglesi, egli procla­
mò, nel mese di settembre, la formazione del «partito zoghista»
che dopo un mese venne battezzato con il nome di Legaliteti, e
a novembre riunì un cosiddetto congresso di questa organiz­
zazione. Il Legaliteti si assunse il compito di staccare il popolo
albanese dal Partito Comunista e di riunirlo attorno a sè per
restaurare il regime di Zogu. A tal fine gli zoghisti scatenarono
una vasta campagna di propaganda, presentando questo regime
come unico regime «legale» e idealizzandolo come un «regime
di libertà, di tranquillità, d’ordine, di pace e di giustizia»!
Essi invitarono i vari partiti politici, ivi compresi il «movimento
di liberazione nazionale» e il Partito Comunista, a raccogliersi
sotto la bandiera del Legaliteti! Contemporaneamente, Abaz
Kupi unì le proprie forze a quelle del governo quisling e del
Balli Kombëtar, assicurandosi l’appoggio degli occupatori te­
deschi.
I nazisti, quantunque sapessero bene che Abaz Kupi e il
Legaliteti erano strumenti degli inglesi, si mostrarono pronti
ad accordare loro aiuto e sostegno. Hitleriani e zoghisti erano
uniti da un immediato e comune obiettivo: distruggere il Par­
tito Comunista e soffocare il Movimento di Liberazione Na­
zionale.
Il Partito Comunista fece di tutto, non trascurando alcuna
delle possibilità che gli si presentavano, per persuadere Abaz
Kupi e gli zoghisti a rinunciare al loro atteggiamento ostile nei
riguardi del Movimento di Liberazione Nazionale e a gettarsi
nella lotta armata contro i tedeschi, integrandosi nel Fronte di
Liberazione Nazionale. Dopo la proclamazione del Legaliteti,
esso spiegò ancora una volta di non essere contrario alla crea­
zione di un partito zoghista o di un altro partito politico nel
137
paese. Ma ogni partito eventualmente creato doveva obbliga­
toriamente combattere l’occupatore e partecipare al comune
Fronte di Liberazione Nazionale.
Nel caso concreto, nessun partito, nessuna organizzazione e
nessuna forza armata al di fuori del Fronte poteva mantenersi
neutrale; immancabilmente sarebbe passata al servizio del ne­
mico. Perciò tutti gli sforzi di Abaz Kupi per seguire le istru­
zioni degli inglesi che gli raccomandavano di non esporsi come
collaboratore degli occupatori tedeschi, erano vani. Al principio
di dicembre, il Consiglio Generale di Liberazione Nazionale,
avendo esaminato l’attività criminale antinazionale di Abaz
Kupi, decise ufficialmente la sua espulsione dal Consiglio Ge­
nerale e dallo Stato Maggiore Generale. Nello stesso tempo
raccomandava di smascherare Abaz Kupi come nemico del po­
polo albanese e il Legaliteti come una organizzazione di tra­
ditori.
Il passaggio di tutta la reazione alla lotta aperta e armata
contro l’ELNA e il Fronte di Liberazione Nazionale al fianco
degli occupatori tedeschi, indicava la profonda differenziazione
operatasi tra le forze interne politiche e di classe. Queste
forze erano passate al vaglio del movimento rivoluzionario che
le aveva separate in due blocchi mortalmente nemici. Da una
parte si trovava la schiacciante maggioranza del popolo albanese:
la classe operaia, le masse rurali povere e medie, la piccola
borghesia e la maggior parte della media borghesia delle città,
gli intellettuali patrioti, uniti e organizzati nel Fronte di Libe­
razione Nazionale sotto la guida del Partito Comunista. Il
Fronte aveva come base le masse popolari armate, come princi­
pale forza d’urto l’Esercito di Liberazione Nazionale e come ap­
poggio esterno la guerra mondiale antifascista, in primo luogo la
Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica. Dall’altra parte
stavano la classe dei latifondisti, i bajraktar, la borghesia rea­
zionaria, la maggior parte dei contadini ricchi, la parte reaziona­
ria degli intellettuali e del clero, riuniti in organizzazioni e
gruppi eterogenei, senza solidi legami fra loro. La reazione
aveva come forza armata i reparti di gendarmeria e le bande
dei ballisti, degli zoghisti e dei bajraktar. Le organizzazioni e
le forze armate reazionarie non costituivano un blocco distinto,
indipendente, facevano parte del fronte hitleriano e si man­
tenevano in piedi grazie soprattutto all’aiuto degli occupanti.
In tali circostanze, il Partito Comunista impartì la direttiva
di sgominare con le armi le organizzazioni e le forze armate
138
reazionarie, cioè le forze rimaste al di fuori del Fronte di
Liberazione Nazionale, e di considerare la lotta contro la rea­
zione come parte integrante della lotta generale contro gli oc­
cupatori. Lo Stato Maggiore Generale diede ordine ai reparti
e alle unità partigiane di spazzar via i reazionari da tutte le
regioni liberate. Non si potevano combattere vittoriosamente i
nazisti tedeschi senza combattere nello stesso tempo i loro
servi.
Le larghe masse popolari sostennero immediatamente la
presa di posizione del Partito per la distruzione del Balli Kombëtar, del Legaliteti e delle altre forze reazionarie. Erano esse
stesse a reclamare ciò, convinte com’erano per propria espe­
rienza del tradimento di tali organizzazioni.
Pur costretto a combattere con le armi in pugno contro il
Balli Kombëtar e il Legaliteti, il PCA non abbandonò la sua
linea generale stabilita alla Riunione di fondazione e alla I
Conferenza Nazionale. Come in precedenza, si mantennero intatti
il carattere di liberazione nazionale della lotta e il principio
dell’unione nel Fronte di Liberazione Nazionale di tutto il po­
polo albanese senza distinzione di classi, di convinzioni politi­
che, di credenza religiosa o di regione. Le porte del Fronte re­
starono aperte anche per quei ballisti, zoghisti e gendarmi che
non s’erano macchiati le mani di sangue e che abbandonavano
le file delle organizzazioni e delle forze armate reazionarie.
Furono impartite istruzioni affinché fossero compiuti incessanti
sforzi per staccare dai capifila del tradimento coloro che erano
stati ingannati.
In particolar modo il Partito aveva costante cura che non
si affievolisse la lotta contro gli occupanti tedeschi, i quali
rimanevano pur sempre il principale nemico, e che questa lotta
non si trasformasse in una guerra civile, cosa che gli oppres­
sori hitleriani, al pari di quelli italiani in precedenza, incita­
vano in tutti i modi.
Nell’autunno del 1943 la Lotta
Antifascista di Liberazione Na­
zionale del popolo albanese si
trovò di fronte a un altro pe­
ricolo, proveniente dagli alleati anglo-americani.
Sin dal maggio del 1943 erano venuti in Albania (senza
esservi stati invitati) alcuni rappresentanti del Comando angloamericano del Mediterraneo. Una missione militare britannica
Nessuna ingerenza esterna
negli affari della Lotta di
Liberazione Nazionale
si stabilì presso lo Stato Maggiore Generale, seguita, più tardi,
da una missione militare americana. Ufficiali inglesi si trovavano
altresì presso alcuni comandi partigiani. Essi presentarono la
loro venuta in Albania come dettata dai comuni interessi mi­
litari della lotta contro gli hitleriani e s’impegnarono, a parole,
ad aiutare l’ELNA con armi e con altro materiale militare di
cui avesse bisogno. In realtà essi erano venuti in Albania con
scopi eminentemente politici. Perseguendo tali obiettivi, essi
svolsero un’attività sovvertitrice e ostacolarono la lotta contro
gli occupatori e i loro strumenti nel paese. Gli angloamericani
fornirono il loro più considerevole aiuto agli avversari del
Movimento di Liberazione Nazionale, alle forze reazionarie. Essi
stabilirono presso tali forze missioni militari speciali, rifornen­
dole inoltre di armi, munizioni, vestiario e oro. Quando il Balli
Kombëtar e il Legaliteti si unirono ai tedeschi contro il Fronte
di Liberazione Nazionale, le missioni militari angloamericane
non si staccarono da essi e neppure sospesero i loro aiuti. Il
comando delle truppe angloamericane del Mediterraneo comin­
ciò a esercitare forti pressioni sullo Stato Maggiore Generale
affinché le forze reazionarie non venissero attaccate in alcun
caso. Esso chiese che agli ufficiali inglesi e americani fosse
riconosciuto il ruolo di arbitri negli affari interni del popolo
albanese.
Come in pratica venne poi dimostrato, i governi della Gran
Bretagna e degli USA non avevano assolutamente intenzione
di aiutare realmente i movimenti di liberazione nazionale nei
Balcani. Essi miravano unicamente a impedire la vittoria delle
forze popolari rivoluzionarie, e scalzare l’autorità e l’influenza
dei partiti comunisti, a stabilire il controllo angloamericano sui
paesi balcanici.
Il Partito Comunista definì l’ingerenza angloamericana come
un pericolo per la vittoria della rivoluzione e l’indipendenza
nazionale e adottò senza esitare un atteggiamento deciso nei
confronti di questo intervento. Tramite lo Stato Maggiore Ge­
nerale le missioni alleate furono recisamente diffidate dall’ingerirsi negli affari interni politici e militari dell’Albania e dall’ostacolare lo sviluppo della lotta del popolo albanese contro
l’occupatore hitleriano e i suoi servitori. Tutti gli ufficiali bri­
tannici e americani che avessero protratto la loro permanenza
presso le forze reazionarie, sarebbero stati considerati nemici.
In una direttiva impartita ai comitati regionali del Partito, il
Comitato Centrale dichiarava che le missioni alleate «non deb­
140
bono immischiarsi nei nostri affari interni, non debbono in al­
cun modo essere prese come arbitre tra noi e la reazione. Se
la nostra lotta contro la reazione è di loro gradimento, tanto
meglio, altrimenti possono benissimo andarsene»*.
Ogni rappresentante alleato che non avesse rispettato il
principio della non-ingerenza negli affari interni dell’Albania,
sarebbe stato accompagnato sotto scorta allo Stato Maggiore
Generale e quindi espulso dal territorio albanese.
Questo atteggiamento rivoluzionario, deciso e giusto, nei
confronti degli alleati angloamericani, ebbe una grandissima
importanza per l’ulteriore sviluppo della Lotta di Liberazione
Nazionale e per i destini della rivoluzione popolare.
Il rafforzamento del potere ri­
voluzionario e dell’Esercito di
Liberazione Nazionale era di
un’importanza
decisiva
non
solo per la distruzione dei piani dei nuovi occupanti tedeschi e
dei traditori, ma anche per l’annientamento dei piani controri­
voluzionari che gli angloamericani avrebbero cercato di met­
tere in atto nel caso di un eventuale sbarco delle loro truppe
in Albania, oppure attraverso le loro agenzie di spionaggio e le
loro missioni militari. Fallito il pericolosissimo tentativo com­
piuto a Mukje per minare il potere dei consigli e la funzione
dirigente del Partito Comunista, la reazione fece ricorso a nuovi
mezzi per distruggere tale potere. I consigli di liberazione na­
zionale sarebbero distrutti con la forza delle armi. Al loro
posto sarebbe stato ristabilito l’antico potere latifondisticoborghese, con l’approvazione e il sostegno dell’occupatore tede­
sco. I nazisti appoggiarono senza la minima opposizione l’idea
di un regime di Zogu, proposta dal Legaliteti. Ne erano chiara
testimonianza la creazione, da parte loro, della «Reggenza»
quisling, la nomina di zoghisti a cariche importanti nel governo
e nella gendarmeria collaborazionista, la libertà di cui godeva
il Legaliteti di pubblicare e di diffondere i propri organi di
stampa e di esercitare la sua influenza nelle città e nelle re­
gioni rurali occupate dalle truppe tedesche. Ma la restaurazione
del regime di Zogu fu soprattutto appoggiata dai governi briAl primo posto: il raffor­
zamento del Potere e dell’ELNA
* Direttiva del CC del PCA, 3 novembre 1943.
cipali del PLA, vol. I, p. 232.
Documenti
prin­
141
tannico e americano. In quel periodo Churchill ebbe conversa­
zioni con Zogu a Londra circa la formazione di un governo
monarchico albanese in esilio.
Il Partito Comunista e il popolo albanese infersero un colpo
decisivo a tali manovre. Di fronte a questa situazione, il Co­
mitato Centrale del Partito disponeva: «Al primo posto ci si
presenta la questione del potere... l’insediamento, dappertutto, dei
consigli di liberazione nazionale, il loro consolidamento e la
loro difesa da qualsiasi tentativo del Balli o di qualunque altro
partito di sabotarli o di combatterli apertamente. A tale propo­
sito non ci devono essere equivoci: deve esistere un solo po­
tere, quello dei consigli, e nessun altro; su questo punto non è
concepibile alcun compromesso, alcun dualismo»*. I comitati
regionali di Berat e di Gjirokastër furono severamente criticati
per non aver preso, all’indomani della capitolazione dell’Italia
fascista, immediati provvedimenti per distruggere l’apparato del
vecchio potere in queste città liberate, permettendo che tale
apparato fosse posto sotto il controllo del Balli Kombëtar e da
esso utilizzato. In seguito a tale critica, fu immediatamente
posto riparo a questo errore, conformemente alla raccomanda­
zione del Comitato Centrale.
Le organizzazioni del Partito svolsero una vasta opera di
propaganda e di agitazione per smascherare il vecchio regime,
come regime di miseria e d’oppressione. Esse spiegarono an­
cora più chiaramente alle masse popolari che il potere politico
non viene mai offerto o ceduto, ma che bisogna impossessarsene
con la forza; che il popolo albanese doveva decidere del pro­
prio destino con le armi in pugno e non permettere che gli
venisse imposto il regime di Zogu; che gli inglesi e gli ameri­
cani non avevano nessun diritto d’immischiarsi nelle questioni
del regime, né negli affari politici e militari del popolo albanese.
Per il consolidamento del potere popolare fu adottata una
serie di provvedimenti in base alle decisioni della II Conferen­
za di Liberazione Nazionale, allo Statuto e al Regolamento dei
consigli, approvati alla Conferenza. In tutte le città e regioni
liberate furono organizzate le elezioni per i nuovi consigli di
liberazione nazionale e in alcune regioni vennero tenute con­
ferenze regionali di liberazione nazionale. I consigli furono epu­
rati dagli elementi vacillanti. La loro composizione fu accre* Lettera del CC del PCA, 1° ottobre 1943. Documenti principali
del PLA, vol. I, p. 204.
142
sciuta numericamente e rafforzata. Con l’istituzione degli organi
esecutivi e dell’apparato amministrativo ed economico loro an­
nesso, migliorò e rinvigorì l’attività di governo del Consiglio
Generale, dei consigli delle provincie, delle regioni e delle città
liberate.
In tutta la loro attività i consigli di liberazione nazionale
godevano del potente appoggio delle masse popolari.
L’unione delle masse popolari intorno al Partito e ai con­
sigli di liberazione nazionale fu ancora più solidamente cemen­
tata con l’istituzione dei consigli della Gioventù Antifascista e
delle Donne Antifasciste in tutto il paese.
Il principale problema della Lotta di Liberazione Nazionale,
da cui dipendeva la conquista dell’indipendenza nazionale e
l’instaurazione del potere popolare, restava pur sempre quello
del rafforzamento dell’Esercito. Nell’autunno del 1943, confor­
memente alle istruzioni del Comitato Centrale, la maggior parte
dei membri del Partito e dei giovani comunisti si arruolarono
nell’Esercito di Liberazione Nazionale. Migliaia di giovani con­
tadini, operai e studenti, risposero all’appello del Partito Co­
munista che li invitava a ingrossare le file delle unità e dei
reparti partigiani.
Dal 10 luglio 1943, l’ELNA aveva raddoppiato i suoi effet­
tivi. In autunno furono formate due nuove brigate d’assalto
(la seconda e la terza).
Lo Stato maggiore generale assicurava la guida delle ope­
razioni militari, dirigeva e seguiva con la massima cura l’attua­
zione dei propri piani per la formazione di nuove brigate, di
nuovi gruppi e battaglioni, per la preparazione dei quadri, per
provvedere viveri e vestiario in previsione dell’inverno. Esso
criticava e faceva tornare sulla retta via quei comandi parti­
giani che violavano o non applicavano a dovere le norme della
lotta rivoluzionaria partigiana. Dagli errori rilevati nell’attività
dei reparti e delle unità esso ricavava preziosi insegnamenti,
di cui faceva partecipi tutti gli stati maggiori e comandi, chie­
dendo loro di metterli in pratica. Lo Stato Maggiore Generale
criticò soprattutto severamente alcuni comandi che non attac­
cavano il nemico, ma lo aspettavano trincerati nelle proprie
posizioni. Ricavò importanti lezioni dagli sforzi compiuti dai
comandi tedeschi per applicare la tattica della lotta antiparti­
giana. I provvedimenti presi fecero fallire in pieno tale piano
del nemico. Del pari furono votati all’insuccesso i tentativi dei
nazisti di inchiodare i reparti partigiani in una lotta frontale.
143
Il vittorioso sviluppo della lotta contro i nuovi occupatori
tedeschi, l’estensione e il consolidamento del potere popolare
accrebbero ancor più l’autorità del Partito Comunista d’Albania.
Gli sforzi degli hitleriani, della reazione interna e della reazione
imperialistica angloamericana per isolare il Partito dal popolo
fallirono. Le masse popolari divennero ancora più coscienti della
necessità di svolgere una lotta senza compromessi contro il
nemico sino alla vittoria finale.
Era ben naturale che gli invasori tedeschi e i traditori non
accettassero una tale situazione e impegnassero tutte le loro
forze per mutarla a proprio vantaggio, colpendo spietatamente
il Partito Comunista e l’ELNA.
Il Comitato Centrale raccomandava alle organizzazioni del
Partito di non lasciarsi inebriare dai successi ottenuti, di esa­
minare oggettivamente e di ben comprendere la situazione, di
far attenzione a non lasciarsi prendere alla sprovvista, di pre­
pararsi e preparare i partigiani e tutto il popolo a fronteggiare
le gravi difficoltà che bisognava ancora superare. Soprattutto si
esigeva che il Partito fosse saldo come l’acciaio. «Il carico che
grava sulle spalle del nostro Partito è eccezionalmente pesante
e per portarlo vittoriosamente alla meta, bisogna che la nostra
colonna vertebrale sia solida, bisogna che il nostro Partito sia
organizzato e potente, che i nostri compagni siano politicamente
e militarmente all’altezza dei loro compiti, per potere, in queste
ore e in queste situazioni delicate e decisive, far fronte a ogni
imprevisto e orientarsi senza sbagliare»*.
7. IL PCA, ORGANIZZATORE DELL’EROICA LOTTA DEL
POPOLO ALBANESE PER L’ANNIENTAMENTO DEI
PIANI DEL NEMICO NELL’INVERNO
1943-1944
Gli occupatori tedeschi, con l’aiuto dei traditori albanesi,
decisero di intraprendere una grande offensiva generale allo
scopo di annientare il Partito Comunista, il Movimento di Libe­
razione Nazionale e la loro forza d’urto — l’Esercito di Libera­
zione Nazionale.
* Direttiva del CC del PCA, 3 novembre 1943. Documenti prin­
cipali del PLA, vol. I, p. 231.
144
In questa offensiva il comando
tedesco
impegnò
direttamente
quattro divisioni e parecchie mi­
gliaia di ballisti e di zoghisti, per un totale di circa 45.000
uomini.
Gli effettivi dell’ELNA ammontavano, in quel periodo, a
circa 20.000 combattenti. Sapendo di avere come avversari non
soltanto i partigiani, ma tutto il popolo, gli occupatori hitleriani
ritenevano insufficiente il numero delle forze di cui dispone­
vano per condurre a buon fine la loro offensiva generale attra­
verso una operazione unica e simultanea. Quindi ritenevano
come via più adatta quella di intraprendere una serie di ope­
razioni successive, nelle varie zone del paese, al fine di
annientare passo passo la Lotta di Liberazione Nazionale del
popolo albanese.
La prima di questa serie di operazioni fu quella che si
svolse a Peza nel mese di novembre del 1943. Dopo Peza i ne­
mici intrapresero operazioni a Dibra e a Mallakastër (sempre a
novembre), nella Valle di Shushica e nella zona ÇermenikëShëngjergj-Martanesh (dicembre), nella zona Korçë-Berat (gen­
naio 1944) e nei distretti di Vlorë e di Gjirokastër (gennaio-feb­
braio). L’offensiva generale nemica si concluse con l’operazione
che si svolse nella Malësia e Gjakovës (febbraio).
La zona dove si svolgeva l’operazione veniva contempora­
neamente attaccata in modo concentrico da parecchie direzioni
con un numero di truppe molte volte superiore al numero
dei partigiani operanti in quella stessa zona.
Nello stesso tempo i nemici continuavano a svolgere ope­
razioni anche nelle principali città del paese come a Vlora,
Durrës, Elbasan, Shkodra, Korçë, Tirana, ecc. che erano ancora
occupate. Attraverso speciali operazioni essi riuscirono ad oc­
cupare le città di Pogradec, Berat, Peshkopi, Dibra e Madhe,
Gjirokastra ecc., che erano state liberate dopo la capitolazione
dell’Italia fascista.
Le truppe nemiche si urtarono, ovunque, con l’eroica
resistenza dei partigiani e del popolo. I reparti e le unità dell’ELNA, sebbene in condizioni estremamente difficili, di fronte
ad un avversario ben tre-quattro volte superiore numericamente
e fortemente avvantaggiato per quanto riguarda l’equipaggia­
mento militare, non gli permisero in nessun caso di
entrare nelle zone liberate senza impegnarlo in duri combat­
timenti. La stragrande maggioranza delle brigate, dei gruppi
Il fallimento dell’offensiva
generale nemica invernale
145
e dei battaglioni partigiani e territoriali rimasero compatti,
conservarono la capacità e l’efficienza combattive e, attraverso
abili manovre, riuscirono a rompere l’accerchiamento e a col­
pire duramente di sorpresa l’avversario ai fianchi e alle spalle,
costringendolo a ritirarsi.
L’offensiva generale nemica dell’inverno 1943-1944 ebbe
conseguenze più gravi per l’Esercito di Liberazione Nazionale nelle
zone dell’Albania centrale e settentrionale. Le truppe hitleriane
e le bande reazionarie causarono pesanti perdite ai battaglioni
del circondario di Elbasan. di Dibër, della regione di Krujë,
di Mat, del distretto di Tirana, e alla II e III Brigata. Tuttavia
i partigiani, nell’Albania centrale e settentrionale, non vennero
annientati. Dopo questa operazione, essi si trovarono costretti
ad operare in piccole formazioni nelle zone occupate e bloccate
dai nemici. Il gruppo di Pezë, nonostante le perdite subite,
conservò il grosso delle proprie forze, affrontando coraggiosa­
mente cinque operazioni dei tedeschi e dei traditori, transfor­
mando la propria zona di operazioni in una citadella inespu­
gnabile.
Una situazione estremamente pericolosa venne a crearsi per
la direzione del Comitato Centrale e dello Stato Maggiore
Generale con a capo il compagno Enver Hoxha, che rimase
bloccata dal nemico nella zona Çermenikë-Shëngjergj-Martanesh. Nazisti, ballisti e zoghisti non lasciarono nulla d’intentato
pur di scoprire e di annientare la direzione della Lotta di
Liberazione Nazionale, senza però riuscirvi. Molti contadini
erano a conoscenza delle basi dove essa s’era rifugiata, ma
nessuno di loro fu intimorito dalle minacce del nemico, né
tradì il Partito Comunista e lo Stato Maggiore Generale. I
dirigenti del Partito e del popolo, affrontando con eroismo
e sangue freddo le straordinarie difficoltà, riuscirono, aiutati
dai contadini, a uscire dall’accerchiamento senza alcun danno.
Gli occupatori tedeschi accompagnarono la loro vasta of­
fensiva con una tale ondata di terrore quale l’Albania non
aveva mai conosciuto. Interi villaggi furono messi a sacco e
ridotti in cenere. Migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini
vennero fucilati, massacrati, bruciati vivi, imprigionati e inviati
nei campi di sterminio. In realtà tutte le città albanesi si
trasformarono in campi di concentramento. I nazisti tedeschi,
i gendarmi e i ballisti, in ogni ora del giorno o della notte,
sfondavano le porte ed entravano nelle case, saccheggiavano,
rapinavano quanto potevano, trascinavano via ragazzi e ragazze,
146
donne e vecchi, li malmenavano, li passavano per le armi
senza processo, gettando poi i loro cadaveri in mezzo alla
strada o nei fossi. I corpi dei partigiani uccisi dopo essere
stati catturati, o dissotterrati, venivano caricati su animali e
portati in giro per le vie delle città o esposti nelle piazze del
mercato. Il giorno del grande massacro del 4 febbraio a Tirana,
la stampa del nemico dichiarava: «Il sangue è un rimedio
radicale per gli infetti. Il sangue deve scorrere a rivoli nelle
strade di Tirana, se vogliamo ristabilire la quiete. Un giorno
di terrore assicura dieci anni di calma». Ma il terrore che
scatenarono contro il popolo albanese, non assicurò neppure
un minuto di pace ai carnefici hitleriani e ai traditori albanesi.
Nelle città, il movimento insurrezionale di liberazione invece
di spegnersi si ravvivò ancora di più.
Oltre al terrore e ai saccheggi, i nazisti tedeschi e i rea­
zionari tentarono di costringere con la fame il popolo albanese
ad abbandonare le armi. Essi organizzarono il blocco delle
città e dei villaggi che producevano cereali affinché nemmeno
un chicco di granturco o di grano potesse giungere nelle zone
di montagna, basi dei partigiani. Ma anche questo tentativo
fallì come i precedenti.
Per disorientare la popolazione, gli occupatori ed i loro
strumenti proclamarono più d’una volta con grande strepito
che i partigiani erano stati sgominati e il Partito Comunista
annientato. Ma precisamente in quel periodo l’Esercito di Libe­
razione Nazionale stava prendendo in mano l’iniziativa delle
operazioni e passava al contrattacco. Durante i mesi di feb­
braio e di marzo i reparti e le unità partigiane rastrellarono,
nell’Albania meridionale, la quasi totalità delle regioni dov’erano
passate le forze tedesche e reazionarie nel corso dell’opera­
zione. La marcia eroica d’una parte delle forze della I Brigata
(febbraio-marzo), che penetrò profondamente nelle retrovie del
nemico attraverso Çermenikë, Gollobordë, Mat, Shëngjergj, Pezë e Dumre, rinsaldò la fiducia della popolazione nell’ELNA
e contribuò a ravvivare il Movimento di Liberazione Nazio­
nale nelle regioni settentrionali del paese.
Il popolo insorto e il suo Esercito di Liberazione Nazionale
sventarono il piano dell’offensiva generale dell’inverno 19431944, preparato dagli occupanti e dai traditori. Più di 1.000
partigiani avevano immolato la loro vita negli scontri sui
campi di battaglia, oppure erano morti di freddo, di malattia
o in seguito alle gravi ferite riportate, ma le file dell’Esercito
147
di Liberazione Nazionale, lungi dall’assottigliarsi o dall’indebolirsi, non fecero, al contrario, che ingrossare e rafforzarsi.
L’applicazione del piano dello Stato Maggiore Generale circa
la creazione di nuove brigate non fu sospesa. Nel corso del­
l’inverno furono formate la IV, V, VI e VII Brigata. Gli scontri
con il nemico, le difficoltà e le sofferenze che dovette af­
frontare, temprarono l’Esercito di Liberazione Nazionale ed
elevarono il suo morale a un grado mai raggiunto in prece­
denza. Comandanti, commissari e semplici combattenti acquista­
rono una ricca esperienza militare e politica. D’altro canto,
i reparti e le unità partigiane videro migliorato il proprio
armamento grazie alla cattura di nuove armi tedesche nel
corso dei combattimenti.
Gli occupatori e i traditori subirono perdite in uomini
circa tre volte superiori a quelle dei partigiani. Ma i danni
da essi subiti erano soprattutto politici. In particolar modo
le forze reazionarie cominciarono, in massima parte, a rendersi
più chiaramente e profondamente conto di quanto fosse vana
la lotta da esse condotta contro il Fronte di Liberazione Na­
zionale e a dubitare seriamente della propria vittoria in tale
lotta.
Per quel che riguarda l’immensa maggioranza dei consigli di
liberazione nazionale, i nemici non riuscirono né a distruggerli né
a far sì che sospendessero la loro attività. I consigli prestarono un
considerevole aiuto all’Esercito di Liberazione Nazionale procu­
randogli viveri, vestiario, mezzi di trasporto e soprattutto ri­
fornendolo di nuovi volontari. I consigli svolsero una intensa
attività per mantener alti il morale e lo spirito combattivo
del popolo, per soccorrere i sinistrati di guerra e per non lasciar
morire di fame le masse contadine.
Fronteggiando l’offensiva generale nemica dell’inverno 19431944, il Partito Comunista, l’Esercito di Liberazione Nazionale
e l’intero popolo albanese superarono la più importante e più
difficile prova che mai si fosse prospettata loro durante tutta
la Lotta di Liberazione Nazionale.
In questa prova l’Esercito di Liberazione Nazionale Alba­
nese dimostrò di essere un’esercito organizzato, disciplinato,
con un altissimo morale, indefettibilmente devoto alla Patria
e al popolo. Quantunque costretti a battersi e a marciare giorno
e notte, mal vestiti, scalzi, digiuni, all’aperto sulle alte montagne
coperte di neve, i combattenti dell’Esercito di Liberazione
Nazionale non si lamentarono mai delle difficoltà e delle pri­
148
vazioni, non persero mai la fede nella vittoria e nella giustezza
della causa che difendevano. Partigiani isolati o gruppi di
partigiani, accerchiati da tutte le parti, preferivano mille
volte morire di freddo e di fame, o cadere combattendo, piut­
tosto che arrendersi al nemico. Non v’era nulla che stesse
loro più a cuore che mantenere alti e immacolati il nome e
l’onore di combattenti dell’Esercito di Liberazione Nazionale.
Comandanti e commissari dimostrarono di possedere grande
maestria nell’applicazione della tattica partigiana, capacità, ma­
turità politica nell’apprezzare le situazioni e nel prendere le
debite decisioni, nonché iniziativa per agire indipendentemente.
Lo Stato Maggiore Generale, per il tramite dei suoi membri
distribuiti nelle varie zone del paese, seguiva l’esecuzione delle
istruzioni e degli ordini da esso impartiti, faceva il punto
della situazione sotto l’aspetto militare e politico e comunicava
le nuove direttive che si rendevano necessarie. Nonostante il
grande decentramento delle forze, in nessuna occasione il
controllo, l’appoggio e la direzione dello Stato maggiore gene­
rale vennero a mancare all’esercito. Il maggior pericolo, in
quei momenti, era di veder diminuire lo spirito combattivo,
d’urto, dei reparti e delle unità e di veder nascere in essi il
desiderio di una sosta, di un rilassamento dopo l’operazione.
Lo Stato Maggiore Generale evitò un tale pericolo, chiedendo
all’Esercito di Liberazione Nazionale di sferrare immediata­
mente la controffensiva. L’attacco, insegnava lo Stato Mag­
giore, tiene alto il morale delle truppe, fa risparmiar tempo
ed energie, demoralizza il nemico, neutralizza la sua superiorità
numerica e tecnica. L’attacco è la sola forma di combattimento
che convenga a un esercito rivoluzionario. Lo spirito offensivo
dei combattenti si sviluppa nell’incessante lotta contro l’occupatore e la reazione, ricercando il combattimento e non aspet­
tando di esservi coinvolto.
Il penoso periodo dell’inverno 1943-1944 dimostrò l’alta
coscienza del popolo albanese e quanto esso fosse pronto a far
fronte ai numerosi sacrifici che esigeva la lotta di liberazione,
nonche la sua ferrea unione intorno al Partito nel Fronte di
Liberazione Nazionale. Furono l’aiuto e il sostegno delle masse
popolari che salvarono l’Esercito di Liberazione Nazionale dall’annientamento, che lo rincuoravano, gli moltiplicavano le forze
e lo facevano riuscir vittorioso in una lotta ineguale. I conta­
dini non chiusero mai la porta ai partigiani sfiniti dai combat­
timenti, dividendo con essi l’ultimo pezzo di pane che avevano
149
conservato per i loro bambini. Nelle città ragazzi e ragazze,
donne e pionieri, sfidando i pericoli, distribuivano il materiale
di propaganda del Partito, partecipando al mantenimento dei
contatti fra gli organi del Partito e l’Esercito di Liberazione
Nazionale. Numerosi giovani, donne e pionieri diedero la loro
vita, molti ne furono imprigionati o deportati, ma il terrore
nemico non riuscì a piegarli.
I traditori e i nazisti tedeschi tentarono soprattutto di
staccare la gioventù dal Partito Comunista e di obbligarla
a desistere dalla lotta. Ecco come la gioventù rispondeva al­
l’appello e alle minacce del nemico: «Per la Gioventù Anti­
fascista Albanese c’è una sola via, una sola determinazione:
la lotta fino alla vittoria... La Gioventù Antifascista non
impallidisce dinanzi al capestro, non batte ciglio dinanzi al
plotone d’esecuzione, non si perde di coraggio dinanzi agli
attacchi del nemico e dei traditori. Essa è convinta che la
vittoria arriderà alla sua causa, alla causa del popolo. Essa
ha deciso di vincere a ogni costo. E vincerà»*.
Chiara prova della giu­
stezza della linea politica
del PCA
Ispiratore e organizzatore della
resistenza e della lotta eroica
dell’ELNA, dell’intero popolo al­
banese, nel periodo più difficile,
l’inverno 1943-1944, fu il Partito Comunista.
In questo periodo, in modo ancor più chiaro, si ebbe la
dimostrazione di quanto solidi e indissolubili fossero i vincoli
che univano il Partito alle masse, di quanto giusta fosse la
sua linea politica. In nessun momento i combattenti dell’Esercito di Liberazione Nazionale e le masse popolari persero la
fiducia nel Partito. Figli e figlie del popolo albanese morivano
sui campi di battaglia, sul patibolo o fra le torture, con il
nome del Partito Comunista sulle labbra. Per salvare il Par­
tito dai colpi dei nemici, migliaia di semplici uomini del po­
polo erano pronti a compiere qualsiasi sacrificio.
Durante l’inverno 1943-1944, i legami del Partito con le
masse si rinsaldarono ancor più. Il popolo albanese vide ancora
più chiaramente, comprese ancora più profondamente che il
Partito Comunista era l’unica forza dirigente, capace di assicu­
rare l’affrancamento dal giogo straniero, di conquistare la
* «Risposta». Manifestino dell’UGAA, 17 gennaio 1944. ACP.
150
libertà e l’indipendenza nazionale, di difendere gli interessi del
popolo albanese.
Nei momenti più difficili e più critici, i combattenti dell’ELNA e le masse del popolo, ovunque, nelle campagne come
nelle città, nelle zone libere e in quelle occupate, sentivano
vicinissima l’ala protettrice del Partito, vedevano che il Partito
non li aveva abbandonati, si nutrivano ogni giorno dei suoi
insegnamenti e della sua parola di salvezza.
Anche nel periodo dei più accaniti combattimenti, anche
durante le marce forzate, i commissari, le sezioni politiche e
le organizzazioni del Partito svolgevano un lavoro politico
multilaterale e vivace, mantenendo in tal modo sempre alto
il morale e lo spirito combattivo dei partigiani, senza permet­
tere che venisse indebolita la loro certezza nella vittoria. Le
riunioni delle organizzazioni del Partito si tenevano in ogni
situazione per quanto critica potesse essere. Vi si prendevano
decisioni collegiali per assicurare il successo delle operazioni
militari, la funzione d’avanguardia dei comunisti, tanto in
combattimento che di fronte alle sofferenze e alle privazioni.
Durante l’inverno 1943-1944 il numero dei membri del Partito
nell’esercito si accrebbe di comunisti agguerriti negli scontri
col nemico e nelle più complicate situazioni.
Nelle città e nelle regioni occupate, quantunque non vi
fossero rimasti che pochi comunisti, l’attività del Partito non
conobbe alcun rilassamento. I comitati del Partito riorganizza­
rono il lavoro delle cellule e degli attivi della Gioventù Co­
munista conformemente alla situazione di terrore e di feroci
persecuzioni creati dai nemici. Nelle città occupate, le orga­
nizzazioni del Partito non sospesero in alcun caso la pub­
blicazione e la diffusione dei bollettini, dei comunicati, dei
manifestini e degli appelli rivolti al popolo. I nemici erano
furiosi per il fatto di non riuscire né a scoprire le stamperie
clandestine che pubblicavano questo materiale, né a distrug­
gere le organizzazioni del Partito, i consigli di liberazione na­
zionale, le organizzazioni antifasciste della gioventù e delle
donne, i nuclei di guerriglia. Le audaci azioni compiute dai
nuclei di guerriglia secondo il piano dei comitati regionali
non concedevano alcun momento di tregua al nemico e mante­
nevano alto il morale delle popolazioni urbane. I comitati
regionali del Partito seguivano con grande e costante attenzione
l’attività di ogni comunista, tenevano i membri del Partito
costantemente al corrente degli avvenimenti, non permettevano
151
loro di adagiarsi nell’inazione, impartendo direttive e assegnan­
do compiti concreti. I comunisti si mostravano molto solleciti
particolarmente nei confronti degli elementi tentennanti, rin­
cuorandoli e non permettendo che cedessero alle pressioni del
nemico. Essi si mantenevano in contatto con i detenuti politici
e i partigiani isolati, ammalati o feriti, che si erano stabiliti
in città. Cellule del Partito operavano altresì nelle prigioni
e nei campi di concentramento. I comitati regionali organizza­
vano la raccolta di aiuti materiali, di vestiario e di medicinali
per l’Esercito di Liberazione Nazionale, raccoglievano informa­
zioni sulla situazione e sui piani del nemico per trasmetterle
agli stati maggiori partigiani.
Durante l’inverno 1943-1944 si evidenziò nel più luminoso
dei modi l’abnegazione dei comunisti albanesi, la loro fedeltà
al Partito, al popolo e al comunismo. Numerosi membri del
Partito, nove membri di comitati regionali, un commissario di
brigata e un membro supplente del Comitato Centrale, Vasil
Shanto, immolarono da veri eroi la propria vita nel corso di
sanguinosi scontri con gli hitleriani e i reazionari. L’esempio e
l’eroismo dei comunisti ispiravano le masse popolari nella loro
resistenza e nella loro lotta contro l’occupatore e i traditori.
In questi difficili momenti e in quella complessa situazione,
rivestì un’estrema importanza il fatto che il movimento fu
diretto ininterrottamente dal Comitato Centrale del Partito, dal
compagno Enver Hoxha in persona. Essi si tenevano perma­
nentemente in contatto con i comitati regionali e con gli
organi politici dell’Esercito di Liberazione Nazionale. Dal canto
suo, il Segretario Generale non interruppe mai i suoi collegamenti con i membri del Comitato Centrale, disseminati in
tutte le zone del paese per guidare da presso la lotta. Questi
collegamenti venivano mantenuti superando mille ostacoli e
pericoli e non furono interrotti nemmeno quando i principali
dirigenti del Partito si trovavano accerchiati nelle montagne
di Çermenikë e di Shëngjergj. La direzione del Comitato
Centrale studiava con la massima attenzione i rapporti e le
comunicazioni che le pervenivano, ne traeva le debite conclu­
sioni e formulava apprezzamenti di carattere generale circa la
situazione nel suo insieme, nonché sulla situazione e l’attività
del Partito su ogni terreno e in ogni reparto militare. Sulla
base di questi dati elaborava e diramava le necessarie istru­
zioni, criticava gli errori e le insufficienze e indicava ai com­
pagni il miglior modo per risolvere i più complessi problemi.
152
Il Segretario Generale informava tutti i membri del Comitato
Centrale circa gli importanti problemi da risolvere, chiedendo
loro di esprimere la propria opinione e di formulare proposte
per la soluzione di tali problemi.
Là dov’è il popolo, dobbiamo essere anche noi, per quanto
forte sia la reazione, indicava il Comitato Centrale. Questo
era il principio fondamentale che guidava le organizzazioni
del Partito nella loro attività pratica per impedire che le mas­
se si perdessero d’animo nei duri momenti che attraversava il
paese, per neutralizzare la pressione del nemico sulla popola­
zione. In quel periodo la direzione del Partito criticò il Co­
mitato regionale di Vlorë, per aver perduto per qualche tempo
i contatti con la città.
Il Comitato Centrale dedicava particolare cura alla gio­
ventù, affinché questa non cedesse e non si ritirasse dalla
lotta, poiché precisamente su di essa il nemico aveva con­
centrato massimamente la sua attenzione. Grazie all’azione
diretta della direzione del Partito, tutti i tentativi degli oc­
cupatori e dei traditori per costringere la gioventù ad allonta­
narsi dall’Esercito di Liberazione Nazionale fallirono. Venne
smascherata la vera essenza dell’assordante rumore fatto dai
nazisti e dai reazionari a proposito di alcune dichiarazioni anti­
comuniste, da essi compilate, e firmate da alcuni giovani isolati
che avevano ceduto in momenti difficili. Non ebbero maggior
successo gli sforzi del nemico per attirare a sè la gioventù
per mezzo di associazioni e di circoli sportivi e culturali. Fu
sgominato, ancora in embrione, il tentativo di creare la cosid­
detta organizzazione della «Gioventù indipendente».
Il compagno Enver Hoxha, appena informato che al Comi­
tato regionale di Tirana era stata espressa l’opinione che alcuni
giovani, per sfuggire alla prigione o alla deportazione, avreb­
bero potuto essere autorizzati a dichiarare che «non si occu­
pavano di politica», criticò severamente questo punto di vista
e raccomandò la massima attenzione per non cadere in alcun
caso nei tranelli tesi dai nemici. La direzione del Comitato
Centrale rigettò del pari una proposta concernente la formazione
di un «partito repubblicano democratico», comprendente ele­
menti del Fronte di Liberazione Nazionale, con la pretesa di
attirare nel Fronte membri del Balli Kombëtar che erano
contrari ai loro capi. La costituzione di un simile partito fu
definita come un’iniziativa del tutto artificiale e nociva per
la lotta di liberazione.
153
Il Comitato Centrale dedicava la massima attenzione af­
finché i dirigenti del Partito, in quelle circostanze così diffi­
cili, non cadessero nel pessimismo e non perdessero la fiducia
nelle proprie forze, nelle forze dell’intero Partito e del popolo.
Criticando alcune manifestazioni di pessimismo, rilevate qua e
là nel corso dell’inverno 1943-1944, il compagno Enver Hoxha
diramava la seguente direttiva: «In effetti la situazione è dif­
ficile, molto difficile..., ma proprio in queste situazioni diffi­
cili dobbiamo sforzarci di non perdere il nord...»*.
Trattando la questione delle perdite subite da alcuni repar­
ti partigiani, egli considerava un grave errore lasciarsi abbat­
tere da queste perdite, rilevando che non v’è lotta senza danni
e perdite. L’essenziale è di non perdere la testa, di non per­
dere la fiducia nelle proprie forze e in quelle del popolo, di
saper raggruppare le forze, manovrare con abilità, colmare
le perdite, esser preparati a far fronte alle peggiori circostanze
ed esser capaci di far volgere la situazione a proprio van­
taggio. Nulla è più pericoloso che lo scompiglio e la passività
nelle situazioni critiche.
Sopra ogni cosa il Comitato Centrale aveva cura di pre­
servare il Partito, di mantenere la purezza e la solidità delle
sue file. Esso raccomandava ai quadri dirigenti di lavorare
non solo con audacia, ma anche con intelligenza e di non
esporsi inutilmente ai pericoli. In primo luogo essi dovevano
affermarsi come dirigenti politici avveduti e accorti, saper
organizzare il lavoro adattandolo alle circostanze, mostrarsi
vigilanti nei riguardi delle tattiche e dei mezzi impiegati dal
nemico per liquidare i quadri dirigenti e per sgominare le
organizzazioni del Partito. Il Comitato Centrale esigeva costan­
temente che il Partito si guardasse dai provocatori che il ne­
mico poteva intenzionalmente introdurre nelle sue file, tenendo
d’occhio altresì tutti coloro che in passato avevano manifestato
un accentuato spirito di gruppo, poiché c’era il pericolo che
questo spirito si ridestasse in quelle difficili contingenze. Grazie
alla vigilanza del Partito e alla tempra politica dei comunisti,
pericoli di questa specie poterono essere scongiurati.
Anche nella grave situazione dell’inverno 1943-1944 il Comi­
tato Centrale trovò il tempo e il modo di organizzare a Panarit,
nella regione di Korçë, un corso teorico a cui parteciparono
* Enver Hoxha. Lettera al
Opere, vol. 2, pp. 115-116.
154
compagno
Nako Spiru,
marzo
1944,
quadri superiori del Partito in servizio presso l’Esercito di
Liberazione Nazionale e quadri del Partito operanti nelle lo­
calità.
Grazie alla sollecitudine e all’intensa attività del Comitato
Centrale e di tutti gli organi dirigenti del Partito nelle lo­
calità e nell’esercito, mai in precedenza il lavoro del Partito
era stato talmente fruttuoso e mai il Partito s’era dimostrato
tanto monolitico e maturo quanto in questo periodo. Tutti i
tentativi dei nemici per distruggere o indebolire il Partito
Comunista si infransero contro la sua forza e la sua autorità.
Furono vani gli sforzi della Gestapo hitleriana e del Balli
Kombëtar per creare un «partito comunista genuino» e un
«partito social-democratico» che avrebbero dovuto soppiantare
il Partito Comunista d’Albania.
Gli accaniti combattimenti e le dure sofferenze dell’inverno 1943-1944 rafforzarono la tempra rivoluzionaria del Par­
tito Comunista, dell’Esercito di Liberazione Nazionale, dei con­
sigli di liberazione nazionale e di tutto il popolo albanese,
preparandoli alle decisive battaglie nella lotta contro gli occu­
patori nazisti e i traditori.
8. FONDAZIONE DEL NUOVO STATO DI
DEMOCRAZIA POPOLARE
Dopo il fallimento dell’offensiva generale nemica dell’inverno, la Lotta di Liberazione Nazionale in Albania acquistò, nella
primavera del 1944, un nuovo impulso. Sin dal mese di marzo
l’iniziativa delle operazioni militari era passata alle unità e ai
reparti partigiani. Conformemente all’ordine dello Stato Mag­
giore Generale, in data 5 aprile, l’ELNA passò dalla difesa al
contrattacco strategico. Le truppe naziste d’occupazione e le
forze reazionarie furono nuovamente costrette a trincerarsi nelle
loro caserme nelle città o nei centri fortificati disposti lungo
le strade principali e il littorale, sotto la costante minaccia
degli attacchi dei combattenti dell’ELNA.
L’impetuosa ascesa della Lotta di Liberazione Nazionale
nel paese aggravò all’estremo la crisi nelle file dei nemici. Lo
scompiglio cominciò a diffondersi in seno alle organizzazioni
e alla forze armate reazionarie.
Nel mese di maggio del 1944, gli effettivi dell’ELNA ave­
vano raggiunto i 35.000 combattenti. Esso era pienamente in
155
grado di sferrare l’offensiva generale per la liberazione delle
città e dell’intero paese.
Questa prospettiva appariva ancora più chiara alla luce
delle splendide vittorie dell’Esercito Rosso sull’esercito tedesco.
Sin dal gennaio 1944 le truppe sovietiche avevano iniziato
sul Fronte orientale una gigantesca offensiva. Proseguendo
senza interruzione la loro avanzata verso occidente, in aprile
esse entravano in Romania. Le truppe tedesche, dislocate nei
Balcani, si trovarono cosi minacciate d’accerchiamento.
In questa situazione di crisi e di
allarme i nemici cercarono con
tutti i mezzi di trovare una via
d’uscita e di modificare la situazione a proprio vantaggio.
Essi avevano riposto grandi speranze in una nuova operazione
generale contro l’Esercito di Liberazione Nazionale. Gli hitle­
riani intendevano intraprendere questa operazione in aprile.
Se essi non vi riuscirono ciò fu dovuto al fatto che l’ELNA
sventò i loro piani con la sua controffensiva, e anche perché
i loro tentativi di reclutare nuovi mercenari naufragarono
dinanzi alla recisa opposizione della popolazione.
Nello stesso tempo i traditori albanesi tentarono di giuocare nuove carte. Essi si sforzarono di creare una coalizione
della reazione greco-albanese, con la prospettiva di trasfor­
marla in seguito in alleanza militare greco-turco-albanese. Gli
sforzi dei traditori furono neutralizzati sul nascere dalla forza
della lotta rivoluzionaria del popolo albanese.
Il tentativo dei reazionari di mistificare il popolo con la
roboante proclamazione di alcuni provvedimenti di carattere
economico, quali la «riforma agraria» e la creazione di una
«società per lo sviluppo economico del paese», subì la stessa
sorte. Questi provvedimenti, secondo le promesse dei traditori,
avrebbero dovuto far uscire il paese dal suo stato di arretra­
tezza economica che era, secondo loro, la ragione della grave
crisi abbattutasi sull’Albania! Ma queste belle promesse non
potevano ingannare il popolo albanese. Esso era ormai con­
vinto che soltanto la vittoria sul fascismo e l’annientamento
dei traditori gli avrebbero permesso di realizzare i propri sogni
e le proprie aspirazioni.
In quei momenti della grave crisi che stavano attraversando,
i collaborazionisti albanesi beneficiarono dell’aiuto della rea­
zione imperialista angloamericana. Il comando interalleato del
Gli sforzi per sventare le
nuove mene dei nemici
156
Mediterraneo accrebbe i suoi aiuti in armi e altro materiale
alle forze reazionarie del Legaliteti, del Balli Kombëtar e dei
bajraktar traditori. La missione militare britannica si sforzò
di persuadere lo Stato Maggiore Generale dell’ELNA a non
intraprendere alcun movimento di forze verso l’Albania settentrionale, essendo questa zona d’azione del Legaliteti!
A Londra, il governo britannico raddoppiò i suoi sforzi
per la creazione di un nuovo governo albanese reazionario
in esilio.
Nella primavera del 1944, il Partito Comunista considerò
i momenti che attraversava il paese come decisivi per i destini
della rivoluzione popolare in Albania. In tali contingenze ap­
pariva indispensabile neutralizzare ogni tentativo dei nemici
per modificare la situazione a proprio vantaggio, far giocare
a vuoto tutte le loro carte alla reazione interna e a quella
esterna, prendere provvedimenti militari e politici atti ad as­
sicurare la piena liberazione del paese e il trionfo della rivolu­
zione popolare. Nelle concrete condizioni, il Comitato Centrale
defini elemento di massima importanza il consolidamento e la
legalizzazione del potere dei consigli di liberazione nazionale
come unico potere legittimo del popolo albanese, la creazione
del nuovo Stato albanese con un proprio governo democratico
e un proprio esercito regolare.
A tal fine fu deciso di convocare
il I Congresso Antifascista di Li­
berazione Nazionale, che avrebbe
preso in esame i problemi politici
e militari prospettati dalla situazione che si era venuta a creare
nonché i necessari provvedimenti per risolverli. La proposta
del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Albania di con­
vocare il Congresso venne discussa e approvata alla riunione
della Presidenza del Consiglio Generale di Liberazione Nazionale
tenuta nell’aprile del 1944.
Nello stesso tempo, lo Stato Maggiore Generale, conforme­
mente alle direttive del Comitato Centrale, cominciò a ela­
borare il piano di trasformazione di tutto l’Esercito di Libera­
zione Nazionale in esercito regolare e il piano operativo e
strategico per la liberazione di tutto il territorio albanese dai
nazisti tedeschi e dai traditori.
Questi grandi problemi politici e militari furono esaminati
alla riunione del Plenum del Comitato Centrale del PCA tenutasi
Il Congresso di Përmet. La
creazione dello Stato di
democrazia popolare
157
il 15 maggio 1944 a Helmës, nella regione di Skrapar. Il Ple­
num approvò la decisione della direzione del Comitato Centrale
e della Presidenza del Consiglio Generale sulla convocazione
del I Congresso Antifascista. Vennero trovati del tutto giusti
i provvedimenti miranti alla creazione del governo democratico
provvisorio e alla trasformazione di tutto l’Esercito di Libe­
razione Nazionale in esercito regolare. Il Comitato Centrale
stimò giustamente la gravità del pericolo che l’attività ostile
dei governi inglese e americano costituivano per la Lotta di Libe­
razione Nazionale, per l’indipendenza nazionale e la rivoluzione
popolare. Esso riaffermò la sua determinazione di non permette­
re ad alcuno degli alleati, chiunque esso fosse, di immischiarsi
negli affari interni, politici o militari, del popolo albanese.
Per prevenire gli sviluppi della situazione e tenendo pre­
senti alcune opinioni errate manifestatesi qua e là o che in
avvenire potevano sorgere nel Partito, nell’esercito o in seno
al Fronte, il Plenum attirò l’attenzione su due questioni impor­
tanti concernenti la linea del Partito. Esso mise in guardia
contro qualsiasi modificazione delle parole d’ordine del Partito
e raccomandò di conservare alla lotta il suo carattere di libe­
razione nazionale. Venne fissato il compito di popolarizzare
ancora di più la funzione dirigente del Partito Comunista,
ma sempre entro la linea della Lotta di Liberazione Nazionale.
Il Comitato Centrale giustificò questo atteggiamento con il
fatto che la tappa antifascista, antimperialistica, democratica
della rivoluzione non era ancora terminata e non poteva termi­
nare senza che fossero assicurate la totale liberazione dell’Al­
bania e l’instaurazione e il rafforzamento del potere democratico
popolare. D’altro canto esso raccomandò di combattere qualsiasi
opinione secondo cui ogni cosa sarebbe terminata con la fine
della Lotta di Liberazione Nazionale e che i combattenti dell’Esercito di Liberazione Nazionale, con la partenza dei tedeschi,
avrebbero deposto le armi e sarebbero rientrati alle loro case.
Il Plenum chiedeva che fosse chiaramente reso noto al popolo
che esso avrebbe continuato a tenere le armi in pugno anche
dopo la liberazione del paese per assicurare la libertà, per
distruggere tutti i nemici, difendere le vittorie conseguite e
svilupparle ulteriormente. Esso raccomandò al Partito di stu­
diare attentamente le nuove circostanze che si sarebbero venute
a creare, di prevedere in tempo le posizioni e i provvedimenti
da adottare.
Il Plenum condannò all’unanimità la capitolazione di Ymer
158
Dishnica a Mukje e il compromesso di Gjin Marku con i te­
deschi a Berat. Per queste gravi colpe ambedue furono espulsi
dal Comitato Centrale del Partito.
Le masse popolari accolsero con entusiasmo la decisione
di convocare il Congresso. In ampi comizi e riunioni, il popolo
esprimeva la sua fedeltà e il suo affetto al Partito Comunista,
ringraziava il Partito per la sua giusta direzione e per l’eroica
lotta da esso condotta in difesa degli interessi della Patria,
si mostrava pronto a combattere fino in fondo contro gli oc­
cupatori e i traditori appoggiando la decisione sulla convoca­
zione del Congresso e la costituzione di un governo democratico
provvisorio.
A causa dello stato di guerra, le elezioni dei delegati al
congresso si svolsero con votazione palese. Tuttavia, queste
erano le prime elezioni democratiche in Albania. Vi partecipa­
rono anche le donne. Per la prima volta nella storia del paese,
durante la Lotta di Liberazione Nazionale, esse acquistavano
il diritto di votare alle elezioni per il potere politico. Per la
prima volta i rappresentanti del popolo non furono eletti in
funzione della loro posizione sociale o economica, ma sulla
base dei meriti acquistati combattendo i nemici della Patria e
del popolo. I delegati al Congresso rappresentavano le masse
popolari insorte.
Le elezioni per il Congresso dimostrarono la maturità poli­
tica e l’alta coscienza delle masse popolari. Esse costituivano
una nuova prova dei saldi vincoli che univano il Partito Co­
munista al popolo.
Hitleriani e reazionari fecero di tutto per scoprire il luogo
della riunione, per poter sferrare un attacco armato contro il
Congresso, ma non vi riuscirono. Gli imperialisti angloamericani
esercitarono una forte pressione e non lasciarono nulla d’in­
tentato per sabotarne la convocazione. Il governo britannico
qualificò «illegale» la convocazione del Congresso antifascista
e diede ordine al capo della missione militare inglese in Albania
di declinare l’invito che il Consiglio Generale di Liberazione
Nazionale gli aveva fatto, di assistervi in qualità di rappresen­
tante alleato. Attlee, vicepremier e più tardi primo mi­
nistro di Gran Bretagna, prendendo la parola alla Camera dei
Comuni alla vigilia dell’apertura del Congresso, attribuì i meriti
della coraggiosa lotta del popolo albanese sotto la guida del
Partito Comunista, sopratutto al Legaliteti e al Balli Kombëtar,
che in realtà erano i nemici di questa lotta.
Il Partito Comunista, che seguiva con attenzione e chia159
roveggenza l’evolversi della situazione, fece fallire tutti i ten­
tativi dei nemici e il Congresso potè svolgere i suoi lavori con
pieno successo secondo il piano prestabilito.
Il I Congresso Antifascista di Liberazione Nazionale d’Al­
bania si svolse dal 24 al 28 maggio 1944 nella libera città
di Përmet.
I lavori del Congresso furono caratterizzati da uno spirito
profondamente rivoluzionario e da una piena identità di vedute.
I delegati discussero animatamente intorno al rapporto «Sullo
svolgimento della Lotta di Liberazione Nazionale del popolo
albanese in relazione con gli avvenimenti internazionali», rap­
porto presentato dal compagno Enver Hoxha a nome del Con­
siglio Generale di Liberazione Nazionale. Essi espressero la
loro unanime approvazione a tutte le proposte presentate.
Il Congresso elesse il Consiglio Antifascista di Liberazione
Nazionale (CALN) come supremo organo legislativo ed esecutivo
in Albania, come rappresentante della sovranità del popolo
e dello Stato albanese. Il Consiglio Antifascista eletto a Përmet
era la prima assemblea popolare d’Albania. Il Congresso in­
caricò il Consiglio Antifascista di formare il Comitato Anti­
fascista di Liberazione Nazionale con le attribuzioni di un
governo democratico popolare provvisorio. Il Comitato Anti­
fascista, la cui costituzione fu approvata al Congresso, era il
primo governo democratico popolare d’Albania. Presidente del
Comitato fu nominato il Segretario Generale del PCA,
Enver Hoxha.
Creando gli organi supremi del potere popolare, il
Congresso di Përmet prese le seguenti decisioni: «Edificare la
nuova Albania democratica popolare secondo la volontà del
popolo, quale è stata oggi espressa solennemente al Consiglio
Antifascista di Liberazione Nazionale»; proibire il ritorno del­
l’ex re Zogu in Albania; non riconoscere alcun altro governo
che potesse essere formato nel paese o all’estero contro la
volontà del popolo albanese; proseguire con ancora maggiore
accanimento la lotta contro gli occupatori tedeschi e i traditori
albanesi sino al loro completo sfacelo e all’instaurazione del
potere di democrazia popolare in tutto il paese.
Il Consiglio Antifascista prese, sin dalla sua prima riu­
nione, una serie di importantissime decisioni, che furono ap­
provate dal Congresso e che costituiscono le prime leggi dello
Stato albanese di democrazia popolare. Particolare importanza
ebbe la rivoluzionaria decisione di annullare tutti gli accordi
160
politici ed economici conclusi dal governo di Zogu con i paesi
stranieri, che erano contrari agli interessi del popolo albanese.
Il Consiglio creò una speciale commissione statale incaricata di
scoprire i criminali di guerra, nonché di accertare tutti i cri­
mini commessi dagli occupatori e dai traditori.
In stretta connessione con le questioni relative all’organiz­
zazione del potere popolare a un livello più elevato, il Congres­
so analizzò e risolse i problemi concernenti l’ulteriore rafforza­
mento e il perfezionamento dell’Esercito di Liberazione Na­
zionale, come principale arma per la completa liberazione del
paese e la difesa del nuovo potere. Il Congresso decise di
unificare il comando supremo dell’Esercito di Liberazione Na­
zionale e di istituire i gradi militari. Il compagno Enver Hoxha
fu nominato Comandante Generale. Il Congresso emanò la diret­
tiva per la creazione delle divisioni e dei corpi d’armata. Il
Comando Generale proclamò la formazione della I Divisione
d’Assalto.
Il Congresso di Përmet espresse la sua riconoscenza verso
l’Unione Sovietica e l’Esercito Rosso, guidati da G. Stalin, che,
con la loro eroica lotta, stavano accelerando la liberazione
dell’Albania e degli altri paesi asserviti dai fascisti. Esso riafermò la fedeltà del popolo albanese alla grande alleanza
antifascista e la sua amicizia con tutti i popoli di questa
alleanza. A differenza dei congressi e delle assemblee degli
albanesi tenuti del passato, il Congresso di Përmet non sollecitò
l’aiuto di nessuno per risolvere i problemi che si prospetta­
vano al paese e per decidere dei destini dell’Albania. Al
contrario, esso prevenne le potenze imperialistiche che era per
sempre passato quel tempo in cui l’Albania serviva da moneta
di scambio e che il popolo albanese non avrebbe più permesso
che si mercanteggiasse a suo danno. D’ora in poi avrebbe de­
ciso da sè dei propri destini. Il Congresso denunciò pubblica­
mente i tentativi degli alleati angloamericani di ingerirsi negli
affari interni politici e militari dell’Albania.
Le storiche decisioni del Congresso di Përmet furono ac­
colte con grande gioia e immediatamente adottate dalle larghe
masse popolari.
Gli sforzi del Partito Comunista per distruggere il vecchio
regime antipopolare e per edificare il nuovo potere democra­
tico popolare nel fuoco della Lotta di Liberazione Nazionale,
erano stati coronati con una grande vittoria. La Conferenza
di Pezë aveva gettato le basi di questo potere. La Conferenza
161
di Labinot lo aveva centralizzato e proclamato unico potere
politico in Albania. Il Congresso di Përmet aveva risolto il
problema del potere politico a vantaggio del popolo insorto,
fondando lo Stato di democrazia popolare. Le decisioni dei
Congresso costituiscono la base della costituzione di tale Stato.
Oramai la reazione interna non era più in grado, con le
sue proprie forze e neppure con l’appoggio degli occupatori
hitleriani, di restaurare il regime latifondistico-borghese.
Nel periodo in cui si svolgeva il Congresso di Përmet, la
metà dell’Albania si trovava ancora sotto il controllo degli
occupatori nazisti tedeschi e dei traditori. Nelle regioni e nelle
città occupate i consigli di liberazione nazionale operavano
nella clandestinità. In parecchie regioni non c’erano affatto
consigli. Ma non era questo l’essenziale. L’essenziale consisteva
nel fatto che dopo il Congresso di Përmet il popolo albanese,
sia nelle zone liberate che in quelle che ancora non lo erano,
riconosceva in effetti per proprio governo unicamente il Co­
mitato Antifascista, obbedendo ai suoi ordini nonché alle deci­
sioni del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale.
L’ELNA difendeva il potere democratico popolare contro gli
attacchi dei nemici ed era in grado di assicurare con le proprie
forze e con il potente appoggio del popolo insorto, in un futuro
molto prossimo, la completa liberazione dell’Albania e l’instau­
razione di questo potere nell’intero paese.
Le decisioni del I Congresso Antifascista sulla creazione
dello Stato di democrazia popolare, sulla costituzione del Con­
siglio Antifascista e del governo democratico provvisorio non
erano semplici decreti. Il nuovo Stato albanese e i suoi organi
supremi erano il prodotto della Lotta di liberazione rivoluzio­
naria del popolo albanese sotto la guida del Partito Comunista.
Il potere dei consigli di liberazione nazionale in Albania
era totalmente diverso dal vecchio regime, sia per la forma
che per il contenuto. Esso non aveva inoltre niente di comune
con alcuna specie di potere in atto nelle repubbliche parlamen­
tari borghesi. Come tipo di potere politico, assomigliava alla Co­
mune di Parigi e ai soviet. Tuttavia esso conservava una in­
tera originalità conformemente alle oggettive condizioni del­
l’Albania e alle circostanze della Lotta di Liberazione Nazionale
del popolo albanese.
Conformemente alle decisioni del Congresso di Përmet, i
consigli e il Comitato Antifascista erano incaricati di prestare
ogni aiuto all’Esercito di Liberazione Nazionale per la totale
162
liberazione del paese; di assicurare in tutta l’Albania il trionfo
della democrazia popolare rendendo impossibile la restaura­
zione del regime di Zogu o di qualunque altro regime rea­
zionario; di spazzar via i rimasugli del fascismo e i vecchi
metodi di governo, di organizzare la vita sociale e la trasfor­
mazione della Patria in tutti i campi, lo sviluppo dell’economia
nazionale e della cultura.
Per il suo contenuto di classe e per le funzioni che eser­
citava, il potere dei consigli di liberazione nazionale costituiva
una dittatura democratica delle forze rivoluzionarie sotto la
diretta ed esclusiva guida del Partito Comunista.
La soluzione del problema del potere popolare dimostrava
che uno dei compiti strategici del Partito era stato felicemente
portato a termine. Tuttavia, questo problema non si poteva
considerare definitivamente risolto sin tanto che un altro
compito strategico non fosse stato adempiuto — la totale li­
berazione dell’Albania dagli occupatori tedeschi.
Le decisioni del Congresso di Përmet costituivano un duro
colpo per gli occupatori, per la reazione interna e per la rea­
zione imperialista angloamericana. Esse erano di una estrema
importanza per scuotere il giogo imperialistico e assicurare
l’affrancamento sociale del popolo albanese.
9. TOTALE LIBERAZIONE DELL’ALBANIA. VITTORIA
DELLA RIVOLUZIONE POPOLARE
Il 28 maggio 1944 il Comandante Generale, Enver Hoxha,
dava ordine all’Esercito di Liberazione Nazionale di sferrare
una offensiva generale per la totale liberazione dell’Albania
dagli occupatori tedeschi e per la completa distruzione del
Balli Kombëtar, del Legaliteti e di tutte le forze reazionarie.
In base al piano operativo strategico, minuziosamente elaborato
dallo Stato Maggiore Generale, la I Divisione d’Assalto veniva
incaricata di passare all’offensiva contro i nemici a nord dello
Shkumbini.
Il piano del Comando Generale per la totale liberazione
del paese aveva, al tempo stesso, lo scopo di assicurare il
fallimento dei tentativi del Comando angloamericano del Mediterraneo, che mirava a impedire all’ELNA di passare all’offen­
siva generale onde evitare la distruzione delle forze reazionarie.
Il piano prevedeva altresì l’inseguimento delle truppe hitleriane
al di là delle frontiere del paese.
163
Il 28 maggio 1944, il giorno stesso
in cui il compagno Enver Hoxha
aveva dato l’ordine alle forze
dello ELNA di passare all’offen­
siva generale, il nemico iniziava una nuova grande operazione.
Gli occupatori impegnavano direttamente in questo attacco
quattro divisioni e mezzo tedesche e alcune migliaia di gen­
darmi, ballisti, e zoghisti: in tutto 50.000 uomini. Secondo i
calcoli del comando delle truppe tedesche di occupazione, la
nuova offensiva generale sarebbe stato realizzata attraverso
una sola operazione, che doveva durare due settimane o al
massimo un mese. Ma l’ELNA, unitamente al popolo insorto,
da tempo preparati sotto tutti gli aspetti a fronteggiare questa
nuova offensiva generale dei nemici, sventarono loro tutti
i piani, proprio come avevano fatto nell’inverno del 19431944.
L’offensiva nemica si svolse nella zona di Korçë-ElbasanBerat-Përmet dal 28 maggio fino al 10 giugno. Hitleriani e
reazionari urtarono contro l’accanita resistenza della I Divisione
e degli altri reparti e unità dell’ELNA. I partigiani, spesso di­
struggevano intere coione e interi reparti di tedeschi e di tra­
ditori. La I Divisione d’Assalto, bloccata dalle forze tedesche
a Tomorricë, ruppe l’accerchiamento e nello spazio di pochi
giorni soltanto, riuscì a riguadagnare tutte le posizioni perdute
in precedenza.
Dal 10 fino a 24 giugno l’operazione nemica si svolse sul
territorio della I Zona Operativa Vlorë-Gjirokastër. Per i reparti
partigiani che operavano in questa zona venne a crearsi una
situazione grave e pericolosa. Essi furono accerchiati da tutti i
lati dalle truppe hitleriane, ma grazie al proprio valore e alla
coraggiosa giuda dei comandanti e dei commissari, le forze partigiane manovrando con abilità sfondarono l’accerchiamento dei
nemici.
L’offensiva generale del giugno 1944 costituì una nuova e
grande dimostrazione dell’invincibile forza dell’Esercito di Libe­
razione Nazionale e del popolo albanese. Da questa operazione
l’esercito popolare uscì ancora più maturo e più forte, il popolo
ne uscì ancora più risoluto a proseguire la lotta sino alla
vittoria, con fede ancora più profonda nella direzione del Par­
tito Comunista.
L’essenziale, in quelle circostanze, era di conservare le
forze vive, la compattezza e l’efficienza bellica dell’Esercito
Il fallimento
zione nemica
1944
164
dell’opera­
del giugno
di Liberazione Nazionale e di fare in modo che l’attuazione
del piano operativo strategico dello Stato Maggiore Generale
non venisse ostacolato. L’ordine dato alla I Divisione d’Assalto
di passare all’offensiva al di là dello Shkumbini restava sempre
in vigore. Nella concreta situazione del momento, il Comando
Generale considerava il passaggio di questa divisione nell’Al­
bania centrale come un atto di straordinaria importanza strate­
gica. Mentre le truppe tedesche proseguivano le loro operazioni
militari a sud della Vjosa, il Comando Generale stimò esser
quello il momento più propizio per la I Divisione d’Assalto
di iniziare l’esecuzione dell’ordine ricevuto.
Il 25-26 giugno 1944 la I Divi­
sione d’assalto passava lo Shkum­
bini, sferrando la sua offensiva.
I nemici, colti di sorpresa, non
furono in grado di resistere a
questo colpo. Coordinando la loro azione con i reparti parti­
giani territoriali, le forze della divisione penetrarono profonda­
mente all’interno dell’Albania centrale e proseguirono senza
soste la loro avanzata verso Dibër. Verso la metà di luglio
erano state liberate tutte le regioni indicate nell’ordine del
Comandante Generale. Le popolazioni dell’Albania centrale e
della regione di Dibër furono di valido appoggio alla I Di­
visione e si levarono, al suo fianco, in lotta contro i sog­
giogatori tedeschi e i traditori. Le brigate della divisione si
accrebbero di migliaia di nuovi volontari delle regioni appena
liberate, mentre i piccoli reparti partigiani che operavano nelle
zone controllate dal nemico nell’Albania centrale e settentrio­
nale, si trasformarono subito in battaglioni, per diventare in
breve tempo brigate dell’ELNA.
L’offensiva della I Divisione d’assalto nel nord risultò tal­
mente inattesa per gli occupatori e i traditori, che all’inizio
essi credettero di aver a che fare con «rimasugli» delle forze
partigiane sgominate nel sud, passati in queste regioni per
salvarsi. Ma ben presto si accorsero della verità. In preda
alla costernazione, cominciarono a trasferire frettolosamente le
loro truppe dal sud al nord per distruggere la I Divisione
d’Assalto.
Nel luglio e nell’agosto del 1944 i nemici intrapresero,
l’una dopo l’altra, due operazioni contro la I Divisione. Ambe­
due si conclusero con un fallimento completo. I combattenti
Offensiva
l’ELNA,
dei piani
interna ed
generale
del­
annientamento
della reazione
estera
165
dell’ELNA sgominarono le forze hitleriane e reazionarie e libe­
rarono definitivamente tutta la regione di Dibër, con le città
di Peshkopi e di Dibër, e una parte della Mirdita.
Il vittorioso sviluppo dell’offensiva della I Divisione dell’ELNA non potè essere arrestato neppure dalle pressioni del
Comando delle forze angloamericane del Mediterraneo, il quale, a
parecchie riprese, aveva chiesto in tono minaccioso la sospen­
sione delle azioni belliche contro le forze del traditore Abaz
Kupi, pretendendo che i partigiani intervenivano cosi nei suoi
piani strategici! Il Comando Generale dell’Esercito di Libera­
zione Nazionale respinse le richieste e le minaccie degli alleati
angloamericani e portò senza ritardo a compimento la mis­
sione di cui lo avevano incaricato il Comitato Centrale del
Partito e il Congresso di Përmet.
In agosto venne creata la II Divisione d’Assalto, la quale,
di concerto con la I Divisione, passò immediatamente all’of­
fensiva nell’Albania del nord contro le truppe d’occupazione
tedesche e le bande dei traditori. Queste due divisioni e la
totalità delle forze partigiane dell’Albania centrale e settentrio­
nale, a eccezione del Gruppo di Pezë, furono incorporate nel
I Corpo d’Armata dell’ELNA. Il Comitato Centrale del Partito
assegnò l’incarico di commissario politico del corpo d’armata
al compagno Hysni Kapo, membro del CC del PCA.
Frattanto, nell’Albania del sud, le altre unità dell’Esercito
di Liberazione Nazionale avevano anch’esse sferrato una of­
fensiva generale.
L’arrivo in Albania, nel mese di agosto, della missione
militare sovietica, in risposta alla richiesta formulata dal Con­
gresso di Përmet, fu apprezzata dal PCA come un aiuto che
l’Unione Sovietica accordava alla Lotta di liberazione del po­
polo albanese e come riconoscimento della sua sovranità.
Questa era inoltre una testimonianza dell’amicizia e dell’alleanza rivoluzionaria fra il popolo albanese e i popoli sovietici,
forgiate nella comune lotta contro il fascismo.
Tutto il territorio dell’Albania, da cima a fondo, non era
che un vulcano in eruzione. Le guarnigioni tedesche, le bande
reazionarie e le linee di comunicazione del nemico erano quoti­
dianamente sottoposte ai distruttivi attacchi dell’ELNA. Nel­
l’incapacità di far fronte alla sua offensiva generale, i nemici
abbandonavano l’una dopo l’altra le regioni e le città che ave­
vano occupato. Sin dal 24 ottobre, gli hitleriani erano stati
spazzati via da tutto il sud del paese. A nord dello Shkumbini,
166
gli occupatori tedeschi non conservavano più che le città
di Elbasan, Tirana, Durrës, Kukës e Shkodër.
Su richiesta del Comando Generale dell’Esercito di Libe­
razione Nazionale Jugoslavo, due brigate dell’Esercito di Libe­
razione Nazionale Albanese (la V e la III), sin dal 5 ottobre
avevano superato la frontiera per operare contro i nazisti
tedeschi in Kosova.
Oltre la liberazione della maggior parte del territorio e
le grandi perdite inflitte alle truppe tedesche, una delle piu
importanti conseguenze dei primi mesi dell’offensiva generale
dell’ELNA fu la completa disfatta della reazione interna. Il
Balli Kombëtar, il Legaliteti, le loro bande armate e i reparti
di gendarmeria furono sgominati sotto i colpi delle brigate e
delle divisioni d’assalto. La reggenza e il governo quisling ven­
nero completamente paralizzati.
Un nuovo tentativo degli ufficiali britannici per formare
un governo fantoccio albanese con la partecipazione dei capi
della reazione, come contromisura alla costituzione del go­
verno provvisorio rivoluzionario, non ebbe alcun successo.
I resti delle forze reazionarie, riuniti intorno ai loro capi,
sotto la protezione dell’esercito tedesco, avevano riposto la loro
unica speranza di salvezza in un eventuale sbarco delle truppe
angloamericane in Albania e nell’appoggio da parte di tali truppe.
Ma anche quest’ultima speranza dei traditori andò delusa.
Il Comando Generale dell’Esercito di Liberazione Nazionale,
applicando fedelmente le direttive del Comitato Centrale del
Partito, respinse fermamente le reiterate richieste del Comando
angloamericano del Mediterraneo che intendeva inviare in Al­
bania reparti di paracadutisti e speciali, con la pretesa di
partecipare alla lotta contro i tedeschi. L’ELNA era in grado
di liberare tutto il paese con le sue proprie forze, senza aver
bisogno dell’aiuto delle forze armate straniere. Quando i com­
mandos inglesi sbarcarono a Sarandë dopo l’annientamento della
guarnigione hitleriana da parte delle brigate dell’ELNA, il
Comando Generale obbligò lo stato maggiore britannico ad
allontanare senza indugio le proprie forze dal littorale albanese.
Venne così scongiurato il grave pericolo che avrebbe co­
stituito per il trionfo della rivoluzione popolare un eventuale
sbarco delle truppe angloamericane in Albania. Il Comitato
Centrale del Partito e il suo Segretario Generale, Enver Hoxha,
Comandante Generale dell’ELNA, diedero prova di maturità,
di saggezza e di ardimento rivoluzionario di fronte alla forte
167
e costante pressione degli alleati angloamericani, non permet­
tendo loro in alcun caso di immischiarsi negli affari interni
del popolo albanese. Un tale coerente atteggiamento di prin­
cipio e l’impeto rivoluzionario della lotta, fecero fallire tutti
i tentativi dei governi della Gran Bretagna e degli USA, non­
ché delle loro missioni militari in Albania, di prendere in mano
la direzione del Movimento di Liberazione Nazionale Albanese, di
distruggere il Fronte e il Partito Comunista e di occupare il
paese sbarcandovi le loro truppe.
La
liberazione
della
maggior
parte del paese rese possibile
l’ampliamento e il rafforzamento
del potere popolare, una intensificazione senza precedenti del­
l’attività dei consigli di liberazione nazionale. Il Comitato Anti­
fascista, parallelamente ai compiti assuntisi nella lotta armata
contro l’occupatore, svolgeva una vasta attività per organizzare
l’ordine statale e sociale, risollevare il paese devastato, impian­
tare l’economia, sviluppare il commercio. In tutte le regioni
e le città liberate si rianimò la vita economica. I distaccamenti
e i battaglioni di lavoro si misero all’opera per ricostruire le
strade e i ponti distrutti, le scuole e le case incendiate. Furono
aperte le scuole e venne organizzato il servizio sanitario. Le
presidenze dei consigli assunsero la gestione di tutti gli stabi­
limenti di particolare importanza economica e il controllo dei
materiali da costruzione.
Il Comitato Antifascista decise la confisca dei beni mobili
e immobili dei traditori. Esso dispose il censimento delle terre
e la compilazione di statistiche delle terre arabili e del bestiame,
dei loro proprietari e dei contadini senza terra. Questo prov­
vedimento costituiva il primo atto preparatorio della riforma
agraria, che doveva essere attuata subito dopo la liberazione
del paese.
Le masse popolari appoggiarono con tutte le loro forze
l’opera del Comitato Antifascista e dei consigli di liberazione
nazionale.
Dimostrando
la
propria
fiducia
al
Comitato
Antifascista, esse reclamavano che questo prendesse immedia­
tamente la denominazione che corrispondeva alle sue funzioni,
e cioè quella di Governo Democratico d’Albania. Questa esi­
genza era dettata dall’aumentata autorità del Comitato in
quanto unico governo del popolo albanese e per il fatto che
la totale liberazione di tutta l’Albania era ormai vicinissima.
Consolidamento delle basi
della democrazia popolare
168
La questione fu esaminata alla Seconda Riunione del
Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale che svolse i
suoi lavori dal 20 al 23 ottobre 1944 nella città liberata di
Berat.
Il Consìglio Antifascista di Liberazione Nazionale decise
all’unanimità di trasformare il Comitato antifascista in Governo
Democratico d’Albania. Nel suo programma, approvato dalla
Riunione del Consiglio, il Governo Democratico si impegnava
dinanzi al popolo albanese ad applicare fedelmente le decisioni
del Congresso di Përmet. Esso si impegnava a sviluppare e
rafforzare ulteriormente la lotta per la rapida e totale libera­
zione dell’Albania, a salvaguardare l’indipendenza dello Stato
albanese, a dare maggior potere ai consigli di liberazione na­
zionale, a garantire e difendere i diritti dei cittadini. Il Go­
verno doveva procedere alla revisione degli accordi politici,
militari ed economici, conclusi dal regime di Zogu con i paesi
stranieri, e denunciare tutti quelli che ledevano gli interessi
del popolo e dello Stato albanesi. Il suo programma prevedeva
inoltre di stabilire relazioni e una stretta collaborazione con
l’Unione Sovietica e tutti gli altri paesi membri della coalizione
antifascista. Il Governo si impegnava a organizzare, dopo la
Liberazione del paese, elezioni democratiche per un’Assemblea
Costituente, la quale avrebbe definitivamente stabilito la forma
del regime ed elaborato la Costituzione del nuovo Stato albanese.
La Riunione di Berat approvò la legge sui consigli di liberazione nazionale, nonché quella sulle elezioni dei consigli.
Sino a quel tempo, i consigli erano stati sia organi di potere
che organi del Fronte di Liberazione Nazionale. Da allora in
poi essi avrebbero esercitato unicamente le funzioni di organi
del potere democratico popolare. Il Fronte avrebbe creato le
proprie organizzazioni distinte.
Una delle più importanti decisioni della Riunione di Berat
fu l’adozione della «Dichiarazione dei diritti dei cittadini».
Essa assicurava a tutti i cittadini la parità di diritti dinanzi alla
legge: libertà di riunione, di parola, d’associazione, di stampa,
libertà religiosa e libertà di coscienza, uguaglianza di diritti
riconosciuta alla donna, diritto di eleggibilità sin dall’età di
18 anni, diritto di ricorso, e così via. La «Dichiarazione dei
diritti dei cittadini» rappresentava un documento costitutivo del
nuovo Stato di democrazia popolare.
Le decisioni della Seconda Riunione del CALN erano il
complemento e l’ulteriore concretizzazione delle storiche de­
169
cisioni del Congresso di Përmet e segnavano una nuova vittoria
politica del popolo albanese sul fascismo e sulla reazione
interna. Esse infliggevano un nuovo colpo ai tentativi degli
imperialisti angloamericani di stabilire il loro controllo in
Albania.
La lotta rivoluzionaria sotto la guida del Partito Comu­
nista aveva sradicato e spazzato via il regime collaborazionista
latifondistico-borghese.
Nel periodo in cui si svolgeva la Riunione di Berat, l’ELNA
si era già interamente trasformato in un esercito regolare del
popolo e del nuovo Stato albanese. Esso aveva allora un ef­
fettivo di 70 mila combattenti, organizzati in brigate, divisioni
e corpi d’armata. Le donne costituivano il 9 per cento di queste
forze, i giovani circa l’80 per cento e i contadini circa il 90 per
cento.
Le unità dell’Esercito di Liberazione Nazionale stavano svol­
gendo le ultime operazioni contro le truppe tedesche in Albania
e nella Kosova. Di queste operazioni, la più importante era
quello per la liberazione di Tirana. L’ordine del Comandante
Generale mirava ad annientare il nemico, a impedire il sacheggio e la distruzione della città da parte dei tedeschi e a liberare
Tirana a ogni costo. La direzione dell’operazione fu incaricata
al Comando del I Corpo d’Armata.
L’operazione per la liberazione della capitale proseguì 19
giorni. Il 17 novembre la bandiera della vittoria venne issata su
Tirana. Tale operazione dimostrò l’alto livello d’organizzazione,
di disciplina e l’elevato morale dell’Esercito di Liberazione Na­
zionale. Al fianco delle brigate d’assalto, il popolo della capitale
partecipò attivamente alla battaglia per la liberazione di Tirana.
Frattanto, il 18 novembre le forze dell’ELNA che opera­
vano al di là dei confini in collaborazione con le brigate locali,
avevano terminato di spazzar via le truppe hitleriane da tutto
l’altipiano di Dukagjin e liberato dopo accaniti combattimenti,
Junik, Deçan, Gjakovë, Prizren e Pejë, estendendosi nella mag­
gior parte della Kosova.
Brutale
ingerenza
della
direzione del PC Jugo­
slavo negli affari interni
del PCA
Il 23 novembre, alla vigilia della
totale liberazione del paese, si
riunì a Berat il 2° Plenum del
Comitato Centrale del PCA. Il
numero dei membri del Partito
era allora salito a circa 2.800. La convocazione del Plenum era
170
necessaria per fare il bilancio del lavoro e delle vittorie del
Partito e del popolo nella Lotta Antifascista di Liberazione Na­
zionale e per definire i compiti da attuare nella nuova tappa
della rivoluzione che si iniziava con la liberazione dell’Albania.
Ma i lavori del Plenum presero un corso totalmente falsato
a causa della brutale ingerenza della direzione del Partito Co­
munista di Jugoslavia (PCJ) negli affari interni del Partito Co­
munista d’Albania.
Durante la Seconda Guerra mondiale, il popolo albanese
e i popoli della Jugoslavia, che conducevano una eroica lotta
contro il comune nemico, l’occupatore fascista, stabilirono fra
loro fraterni e militanti rapporti. Il PCA e il PCJ annodarono
stretti vincoli.
Su richiesta del CC del PCJ un certo numero di quadri
del PCA furono inviati in Kosova per organizzarvi il partito
e la lotta contro gli occupatori fascisti. Nelle città di Dibër,
Gostivar, Tetovë, Kërçovë e nei loro circondari, l’organizzazione
del PCA della regione di Dibër prestò un considerevole aiuto
nell’organizzare la lotta di liberazione.
Miladin Popović, comunista internazionalista jugoslavo, che
i comunisti albanesi avevano liberato nell’autunno del 1941 da
un campo di concentramento fascista a Peqin, rimase in Al­
bania per mantenere il collegamento fra i due partiti. Nelle
relazioni fra il PCA e PCJ egli appoggiò, in ogni circostanza,
l’atteggiamento internazionalista del Comitato Centrale del Par­
tito Comunista d’Albania1.
La direzione del PCJ cercò di sfruttare gli stretti vincoli
creatisi tra il popolo albanese e i popoli della Jugoslavia per
imporre al PCA la propria volontà e attuare le proprie mire
sciovinistiche verso l’Albania.
Nell’estate del 1943, Vukmanović Tempo, uno dei principali
dirigenti del PCJ, il quale era giunto in Albania con la mis­
sione speciale di crearvi lo «Stato maggiore balcanico»2 accusò
1 Miladin Popović lasciò l’Albania nel settembre del 1944 per
ordine della direzione del PCJ. Veniva ucciso nel marzo del 1945, a
Prishtina, in un attentato ordito dai servizi segreti jugoslavi.
2 La creazione dello «Stato maggiore balcanico» fu intrapresa per
iniziativa di Tito. La direzione jugoslava mirava con ciò a porre
sotto il proprio comando le forze armate di liberazione di Grecia,
d’Albania e di Bulgaria. I tentativi per creare lo «Stato maggiore
balcanico» non ebbero successo in seguito all’opposizione dei partiti
comunisti dei Balcani.
171
ingiustamente e in modo del tutto inammisibile il Comitato
Centrale del Partito Comunista d’Albania di aver adottato un
atteggiamento opportunistico nei riguardi del Balli Kombëtar.
Questa grossolana calunnia veniva lanciata con uno scopo ben
determinato: creare l’opinione che il CC del PCA non sarebbe
stato in grado di adempiere in maniera indipendente le sue
funzioni di direzione, che non poteva evitare di commettere
gravissimi errori se non riceveva le direttive della «più speri­
mentata direzione» del Partito Comunista di Jugoslavia!
Questa diabolica accusa venne respinta in quel tempo dal
Comitato Centrale del PCA come del tutto infondata. Tuttavia,
il primo tentativo della direzione jugoslava di sottomettere il
PCA non mancò di lasciare le sue tracce. Koçi Xoxe, membro
dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale e Sejfulla Malëshova, membro supplente del Comitato Centrale, appoggiarono
la falsa concezione di Tempo e si mostrarono pronti a sotto­
mettersi alla linea e agli ordini dei dirigenti sciovinisti jugo­
slavi. Da quel momento Koçi Xoxe cominciò effettivamente
a servire la direzione jugoslava in qualità di suo agente in
seno al PCA.
Nell’autunno del 1943 Vukmanović Tempo manifestò net­
tamente la sua concezione sciovinistica. Permeato di tale con­
cezione, egli stimava nociva l’attività autenticamente internazio­
nalista dell’organizzazione del PCA nella regione di Dibër e
nelle città e regioni d’oltre confine abitate da albanesi e da
macedoni, nonché la grande autorità di cui godevano tale
organizzazione e lo Stato maggiore regionale di Dibër presso
le popolazioni locali. Dalla Macedonia, Vukmanović Tempo
inviava al Comitato Centrale del PCA, l’una dopo l’altra, due
lettere d’estrema violenza, in cui accusava di «sciovinismo
oltre ogni limite» e di fautori dell’idea della «Grande Albania»
i comunisti e i partigiani albanesi, il comandante dello Stato
maggiore regionale, Haxhi Lleshi, e lo stesso Comitato Centrale
del PCA. Egli esigeva brutalmente che tutti i partigiani alba­
nesi viventi in Jugoslavia abbandonassero i battaglioni dell’ELNA operanti nella regione di Dibër, per mettersi alle di­
pendenze dello Stato maggiore jugoslavo; che Haxhi Lleshi si
allontanasse dalla città di Dibër per ritornarvi soltanto quando
lo Stato maggiore jugoslavo ne chiedesse l’aiuto; che il Consiglio
di Liberazione Nazionale di Dibër rompesse i contatti con lo
Stato maggiore albanese e si mettesse alle dipendenze dello
Stato maggiore jugoslavo. «Diversamente, — minacciava Tempo,
172
— avverranno scontri, a cui parteciperanno anche i comunisti»(!)
Il Comitato Centrale del PCA, profondamente indignato
da un tale intollerabile intervento, rigettò le calunnie e le
accuse di Tempo, esprimendo la sua più grande sorpresa per
il tono talmente brutale e per nulla comunista delle sue let­
tere e per simili mostruose invenzioni. Nello stesso tempo esso
prevenne Tempo che non ammetteva in alcun modo che ele­
menti estranei dessero ordini ai reparti partigiani albanesi e
dettassero la loro volontà al Partito Comunista d’Albania.
Anche in Kosova, si rilevavano pronunciate manifestazioni
di sciovinismo fra i dirigenti jugoslavi dell’esercito e del par­
tito. Non tenendo in alcun conto la volontà della popolazione
albanese, essi combattevano in vari modi l’idea, talmente dif­
fusa durante la guerra, del diritto di autodeterminazione dei
popoli, compiendo spesso azioni discriminatorie e massacri di
albanesi in Kosova e in Montenegro, come facevano anche i cetnici di Mihajlović. Il Comitato Centrale del PCA e le organiz­
zazioni del Partito di Shkodër e di Tropojë avevano ripetutamente elevato obiezioni e criticato gli atteggiamenti sciovinistici
dei vari dirigenti jugoslavi e criticato questi atteggiamenti come
di grande ostacolo allo sviluppo della lotta contro gli occu­
patori, italiani e tedeschi, in Kosova.
Tuttavia il Partito Comunista d’Albania manteneva un
coerente atteggiamento internazionalistico, senza permettersi la
benché minima manifestazione di sciovinismo, aiutava con tutte
le sue forze lo sviluppo della lotta antifascista in Kosovë, com­
batteva per l’affratellamento, su basi marxiste-leniniste, del
popolo albanese con i popoli della Jugoslavia. Circa il pro­
blema della Kosova e delle altre regioni abitate da albanesi
in Jugoslavia, il PCA non aveva mai ammesso lo slogan fas­
cista della «Grande Albania». Esso scorgeva la giusta soluzione
di questo problema nella vittoria della rivoluzione popolare
sia in Albania che in Jugoslavia. Il PCA aveva pubblicamente
proclamato che con la vittoria della rivoluzione nei due paesi
il popolo di Kosova avrebbe acquistato il diritto di decidere
esso stesso del proprio destino. In caso contrario, esso avrebbe
combattuto contro quella Jugoslavia che avesse tentato di op­
primerlo e di asservirlo.
In quel periodo il Partito Comunista d’Albania ancora non
sospettava che la direzione del PCJ nutrisse mire sciovinistiche,
non potendo concepire che i dirigenti di un partito che si
definiva marxista-leninista potessero perseguire simili obiettivi,
173
a cui non tèndono che i partiti social-sciovinisti, gli imperialisti
e i loro strumenti. Esso riteneva che le manifestazioni sciovi­
nistiche di Tempo e di alcuni dirigenti del partito e dei reparti
partigiani in Serbia e in Macedonia, durante la guerra, non
fossero che deformazioni imputabili ad alcuni elementi isolati
e non azioni esprimenti la politica del PCJ.
Nel 1944, la pressione del Comitato Centrale del PCJ sul
PCA si accrebbe in modo ancora maggiore. Il CC del PCJ ten­
tava in vari modi di diffondere tra il popolo albanese l’idea
che esso doveva tutto, persino la creazione del PCA, persino
la Lotta di Liberazione Nazionale, all’«aiuto» del Partito Comu­
nista Jugoslavo, a Tito, che la nuova Albania doveva consi­
derare il proprio avvenire legato con i destini della Jugoslavia,
e unicamente della Jugoslavia!
Questa politica antimarxista della direzione jugoslava in­
contrò la giusta opposizione del PCA.
La direzione jugoslava riteneva come principali ostacoli
alla realizzazione delle sue mire in Albania la linea marxistaleninista del PCA, il Segretario Generale Enver Hoxha, e altri
membri del CC che difendevano fermamente questa linea e
non ammettevano alcuna ingerenza straniera negli affari interni
del Partito e del paese.
Il CC del PCJ si sforzò di superare tali ostacoli in oc­
casione del 2° Plenum del CC del PCA nel novembre del 1944.
Per conseguire il proprio scopo, la direzione jugoslava inviò
appositamente in Albania Velimir Stojnić, in qualità di capo
della missione militare jugoslava, incaricato altresì del collega­
mento tra il PCJ e il PCA. Appena giunto in Albania, Veli­
mir Stojnić sferrò il proprio attacco contro la lìnea generale
del PCA, definendola una linea assolutamente errata ed esi­
gendo che fossero apportati senza alcun ritardo cambiamenti
radicali sia alla linea che nella direzione. Questa calunniosa
accusa e questa ingerenza negli affari interni del Partito ven­
nero contrastate dal Segretario Generale, compagno Enver Hoxha,
ma nello stesso tempo furono appoggiate da due dei membri
dell’Ufficio Politico, Koçi Xoxe e Nako Spiru.
Il perfido attacco della direzione jugoslava trovò un solido
appoggio nell’Ufficio Politico del CC del PCA, soprattutto in
seguito alla cooptazione, in violazione delle norme organizza­
tive, di Sejfulla Malëshova e di Pandi Kristo come membri
dell’Ufficio Politico, in cui venne così a formarsi una maggio­
ranza filojugoslava.
174
Con il concorso di questi elementi arrivisti e ambiziosi, al­
l’insaputa del Comitato Centrale e del Segretario Generale,
Velimir Stojnić elaborò la piattaforma che doveva essere pre­
sentata al Plenum contro la sperimentata linea marxista-le­
ninista del PCA.
La bandiera dell’attacco antipartito fu levata al Plenum
da Sejfulla Malëshova e dal rappresentante jugoslavo1, piena­
mente appoggiati da Koçi Xoxe e dagli altri partecipanti al
complotto.
Il Partito Comunista d’Albania, che aveva combattuto
con tanto eroismo e conseguito vittorie decisive nella lotta rivo­
luzionaria, fu definito dai cospiratori «un partito comunista
non autentico», dotato «di una linea e di una direzione non
marxiste-leniniste». La sua gloriosa via, sperimentata nel fuoco
della lotta, che aveva portato alla liberazione della Patria e
all’instaurazione del potere popolare, fu offuscata e presentata
come «una via cosparsa di errori e di deformazioni», che oscil­
lava costantemente dal «settarismo all’opportunismo» e vice
versa. Enver Hoxha, fondatore e educatore del Partito, guida
ed eroe della Lotta di Liberazione Nazionale, fu dipinto dai
rinnegati come «la sintesi di tutti gli errori». Sejfulla Malëshova sostenne che era necessario avere un «capo del Partito»,
e tale carica avrebbe dovuto essere assunta da una persona
«dotata di una profonda preparazione teorica»(!), e ciò dicendo
aveva presente sé stesso.
Velimir Stojnić definì il lavoro di Miladin Popović in Al­
bania come un’attività sbagliata, disapprovata dalla direzione
del PCJ e presentò una «nuova linea» che tale direzione «rac­
comandava» al Partito Comunista d’Albania.
Qualificando settario il lavoro compiuto per popolarizzare
il PCA come guida del popolo albanese, egli prospettò la tesi
secondo cui in avvenire non avrebbe più dovuto essere popolarizzato il Partito come tale, bensì il Fronte. Egli chiese che
negli organi dirigenti del Fronte fossero ammessi rappresen­
tanti influenti della borghesia reazionaria e dell’alto clero, sen1 Velimir Stojnić fu invitato a partecipare alla riunione del Plenum
come rappresentante di un partito fratello. Forte dell’appoggio dei
cospiratori in seno al CC del PCA, intervenne brutalmente negli
affari interni del Partito, violando tutte le norme che regolano i
rapporti fra partiti comunisti.
175
za tener conto del loro atteggiamento ostile durante la Lotta
di Liberazione Nazionale. Tali raccomandazioni della direzione
jugoslava collimavano con i piani degli imperialisti angloamericani, i quali facevano pressione sul Governo Democratico
d’Albania perché accettasse nel proprio seno e nel Consiglio
Antifascista, rappresentanti della reazione, di cui essi contavano
servirsi in seguito come di punti d’appoggio per rovesciare il
potere popolare.
Il delegato jugoslavo offuscò completamente l’attività dei
consigli di liberazione nazionale, dell’Esercito di Liberazione
Nazionale, dei commissari politici e richiese che l’esercito fosse
dotato di una «potente testa politica» e di un «forte comando
militare». Insistendo particolarmente sulle relazioni jugoslavo­
albanesi, basate sulla «fraternità balcanica», Velimir Stojnić
dichiarò: «L’Albania non può edificare la propria economia né
svilupparsi indipendentemente, poiché l’imperialismo ne farebbe
un solo boccone», e perciò «non le si offre altra via che la
sua unione alla Jugoslavia in una confederazione, e anzi qual­
cosa di più che questa»! Per giungere a ciò, egli riteneva in­
dispensabile preparare le masse popolari albanesi a questa unio­
ne e popolarizzare Tito come il «simbolo della liberazione dei
popoli dei Balcani e dell’Europa»*.
Gli urgenti compiti che si prospettavano al PCA per l’ul­
teriore sviluppo della rivoluzione dopo la liberazione del paese
furono sommersi, al Plenum, sotto gli attacchi di coloro che
complottavano contro la linea generale del Partito e non furono
quasi affatto dibattuti. Il delegato jugoslavo e Sejfulla Malëshova dichiararono che l’Albania, per lungo tempo ancora,
«non avrebbe potuto portare avanti la rivoluzione socialista
né procedere verso il socialismo» !
Ignorando tutto del complotto organizzato dietro le quinte
e delle diaboliche intenzioni della direzione jugoslava, un certo
numero di membri e di candidati del Comitato Centrale si
mostrarono molto vacillanti al Plenum, accettando sino a un
certo punto le tesi dell’inviato jugoslavo e del gruppo anti­
partito.
In tal modo, la riunione del 2° Plenum del CC del PCA
fu minata dal CC del PCJ. Gli orientamenti e le decisioni
che ne derivarono erano lesivi degli interessi del Partito e
del popolo albanese.
* Verbali del 2° Plenum del CC del PCA, novembre 1944, ACP.
176
La sola decisione giusta presa dal Plenum fu quella del­
l’espulsione di Liri Gega dalle file del Comitato Centrale per
settarismo e avventurismo pronunciati. Senza la minima base,
ma con scopi ben determinati, i cospiratori imputarono queste
colpe unicamente alla linea del Partito e definirono il set­
tarismo come il principale pericolo che minacciava il PCA!
Al Plenum fu deciso che il Comitato Centrale accrescesse la
sua composizione di 7 nuovi membri e di 11 nuovi candidati.
Il Plenum di Berat costituiva un duro colpo per l’unità
in seno alla direzione del Partito. Vi venne aperta la via per
l’introduzione, nel Partito, di forme organizzative e di metodi
antileninisti, revisionistici, propri della direzione jugoslava. Vi
fu creato un terreno favorevole per l’intervento su vasta
scala dei revisionisti jugoslavi negli affari interni del Partito
e del paese.
Se il complotto dei titisti a Berat non conseguì comple­
tamente gli obiettivi fissati, ciò fu dovuto alla ferma resistenza
del compagno Enver Hoxha e di altri membri del Comitato
Centrale che difesero la linea marxista-leninista del Partito.
La direzione jugoslava non riuscì a conseguire il suo princi­
pale obiettivo, quello di rovesciare il Segretario Generale,
poiché la maggioranza dei membri del Plenum respinse la
richiesta dei cospiratori di esonerare il compagno Enver Hoxha
da tale incarico ed esaltò i suoi grandi meriti come fondatore
del PCA e dirigente del Partito e della Lotta di Liberazione
Nazionale. Tuttavia, questo complotto costituiva il primo ten­
tativo di minare le fondamenta del Partito marxista-leninista
albanese, creando un grave pericolo per l’indipendenza del­
l’Albania e la rivoluzione popolare.
Mentre il 2° Plenum del CC del PCA svolgeva i suoi
lavori a Berat, l’Esercito di Liberazione Nazionale portava
a termine la cacciata degli occupatori nazisti dal territorio
albanese. Inseguendo il nemico e infliggendogli dure perdite,
esso liberava, il 29 novembre, l’ultima città, Shkodër, e con
essa l’intera Albania. Il potere di democrazia popolare era
ormai instaurato in tutto il paese. Il 29 novembre 1944 segna
la totale liberazione della Patria e il trionfo della rivoluzione
popolare.
Subito dopo la Liberazione dell’Albania, per decisione del CC
del PCA e per ordine del Comandante Generale Enver Hoxha,
due divisioni dell’ELNA (la V e la VI) continuarono a inse­
guire le truppe hitleriane in Jugoslavia. Partigiani albanesi
177
e jugoslavi, combattendo a fianco a fianco contro le orde
naziste, liberarono nel dicembre del 1944 e nel gennaio-feb­
braio del 1945 il Montenegro, il Sangiac e la Bosnia meri­
dionale. Con il loro contegno profondamente internazionalista,
la loro educazione comunista e il loro eroismo senza pari in
combattimento, i partigiani albanesi si guadagnarono in Ju­
goslavia i cuori e il profondo rispetto sia delle popolazioni
albanesi che di quelle della Macedonia, del Montenegro e del
Sangiac. Centinaia di combattenti dell’ELNA immolarono la
loro vita per la liberazione dei popoli della Jugoslavia.
10. BILANCIO DELLA LOTTA ANTIFASCISTA DI
LIBERAZIONE NAZIONALE E CAUSE DELLA VITTORIA
La Lotta di Liberazione Nazionale contro gli occupatori
italiani e tedeschi e i traditori, che si protrasse per più di
cinque anni e mezzo, è la lotta più ardita e più brillante che mai
gli albanesi abbiano combattuto durante tutta la loro storia.
Il popolo albanese di un milione di abitanti impegnò più
di 15 divisioni italiane e tedesche, mettendo fuori combat­
timento 70.000 nemici, tra uccisi, feriti e prigionieri. In tal
modo l’Albania, uno dei più attivi membri della coalizione
antifascista mondiale, considerata l’esiguità del suo territorio
e della sua popolazione, diede un prezioso contributo alla
storica vittoria sul fascismo. Essa dovette sopportare un grave
peso: il suo territorio di 28.000 km2 fu calpestato, durante
la Seconda Guerra Mondiale, da circa 700.000 soldati fascisti,
che le arrecarono danni e distruzioni enormi. L’Albania oc­
cupa uno dei primi posti per quel che concerne le perdite
in uomini e soprattutto in beni materiali nel corso della
Seconda Guerra Mondiale.
Gli eroici sforzi del popolo albanese, il suo sangue sparso
e le gravi perdite da esso subite nella lotta, furono coronati
dalla vittoria finale sui nemici esterni e interni.
Il 29 novembre 1944, con la totale liberazione della Patria
e con il trionfo della rivoluzione popolare, terminava in Al­
bania la dominazione fascista; contemporaneamente venne abo­
lita ogni dipendenza dai paesi imperialisti, venne soppresso
ogni rapporto o accordo di asservimento con tali potenze; il
popolo albanese conquistò la sua piena indipendenza nazionale
178
e rovesciò ai tempo stesso il dominio politico dei latifondisti
e delia borghesia. L’Albania si staccò per sempre dal sistema
capitalistico mondiale.
Questa fu la più grande vittoria conseguita dal popolo
albanese nel corso di tutta la sua storia.
La Lotta Antifascista di Liberazione Nazionale rimase fino
in fondo una rivoluzione antimperialistica, democratica. Tuttavia
nel suo seno si svilupparono anche elementi della rivoluzione
socialista, come l’esclusione della borghesia dal potere politico,
l’instaurazione della direzione esclusiva del Partito Comunista
nel nuovo potere, e così via. Questo si produsse come conse­
guenza del continuo inasprimento della lotta contro le princi­
pali classi sfruttatrici del paese e dell’intrecciarsi di tale
lotta con quella contro gli invasori. Questo approfondì in
misura ancora maggiore il carattere rivoluzionario della Lotta
di Liberazione Nazionale.
Il Partito Comunista non fece nulla per inasprire la lotta
tra le classi all’interno del paese; esso non lanciò parole
d’ordine incitanti alla lotta contro i latifondisti, i bajraktar e
la borghesia, rivolgendo invece, e fino in fondo, i suoi più
duri colpi contro gli occupatori fascisti. La lotta di classe
fu inasprita dall’aperto tradimento delle classi sfruttatrici.
Le organizzazioni politiche che rappresentavano gli inte­
ressi di queste classi, Balli Kombëtar, Legaliteti, ecc., furono
annientate dall’Esercito di Liberazione Nazionale, solamente
perché s’erano poste al servizio degli occupatori fascisti. A
causa del loro atteggiamento apertamente antinazionale e anti­
popolare le ex classi dominanti persero ogni diritto di parteci­
pare al potere politico.
Il nuovo potere politico, instaurato in Albania ancor prima
del termine della Lotta di Liberazione Nazionale, si trovava
interamente in mano alle forze rivoluzionarie democratiche
aventi per unica guida il Partito Comunista. Durante la guerra,
questo potere non costituiva semplicemente una dittatura de­
mocratica delle forze rivoluzionarie, ma un potere che conte­
neva in sè il germe in rapido sviluppo della dittatura del
proletariato.
Con la storica vittoria nella Lotta di Liberazione Nazio­
nale la rivoluzione non era stata compiuta che in campo po­
litico. Restavano ancora da risolvere, dopo la guerra, i problemi
economici e sociali della rivoluzione antimperialistica demo­
cratica.
179
Le principali forze sociali che furono le motrici della
Lotta Antifascista di Liberazione Nazionale, erano la classe
operaia e le masse rurali povere e medie. La piccola e la media
borghesia delle città presero altresì parte alla lotta.
La classe operaia svolse la funzione dirigente nella Lotta
di Liberazione Nazionale. Essa adempiva a tale sua funzione
per il tramite del Partito Comunista d’Albania.
La classe operaia albanese era poco numerosa, sparsa, non
costituita come proletariato industriale, tuttavia essa era la
classe più progressista alla quale apparteneva l’avvenire. E,
soprattutto, nessun’altra classe nel paese riuscì a formare un
partito con una solida organizzazione, con una giusta politica
edificata su fondamenta scientifiche, come il partito che si era
creato la classe operaia.
Se il numero degli operai negli organi direttivi della Lot­
ta di Liberazione Nazionale, come pure nella composizione del
Partito, era ridotto, ciò non impedì alla classe operaia di espli­
care la sua funzione dirigente in questa lotta. Il Partito Co­
munista d’Albania educò i propri membri, quantunque buona
parte di essi provenissero dalla piccola borghesia e soprattutto
dai ceti rurali, in un profondo spirito proletario rivoluzionario,
in una estrema determinazione a difendere gli interessi del
proletariato, del socialismo. Questi interessi, nelle concrete cir­
costanze del momento, si fondevano in un tutto unico con gli
interessi della Lotta di Liberazione Nazionale, con gli interessi
di tutto il popolo albanese e dell’asservita nazione albanese.
Le masse rurali divennero le principali riserve e le princi­
pali forze armate della Lotta di Liberazione Nazionale, il più
solido appoggio della classe operaia e del Partito Comunista
d’Albania.
L’immensa maggioranza della popolazione albanese era com­
posta di contadini. Le masse rurali erano, certamente, arretrate
dal punto di vista economico e culturale, ma racchiudevano
nel loro seno immense capacità rivoluzionarie, acquisite nel­
l’incessante lotta per la libertà e la terra, contro l’oppressione
e lo sfruttamento dei latifondisti, contro i commercianti usurai,
contro i precedenti regimi antipopolari e, soprattutto, contro i
dominatori stranieri. I contadini, più che ogni altro ceto o
classe in Albania, possedevano solide tradizioni di lotta patriot­
tica. Tenendo conto di tutto ciò, il Partito Comunista apprez­
zò molto giustamente la parte decisiva avuta dalle masse rurali
nella guerra: «Nelle condizioni del nostro paese, — ha detto
180
il compagno Enver Hoxha, — avrebbe vinto la guerra quella
classe che avesse avuto con sè i contadini»*.
Le masse rurali accettarono il programma e la guida del
PCA poiché s’erano convinte, per propria esperienza, che questo
era l’unica organizzazione politica impegnata in una risoluta
lotta contro gli invasori, la sola che traducesse le proprie
parole in atti e che fosse in grado di assicurare la vittoria
sugli invasori fascisti e sui traditori, nonché di realizzare le
aspirazioni dei contadini alla libertà e al possesso della terra.
Sotto la guida del Partito, esse diedero prova di un alto patriot­
tismo e d’eroismo.
Durante tutto il periodo della Lotta di Liberazione Nazio­
nale il Partito Comunista agì secondo la parola d’ordine della
mobilitazione di tutte le masse rurali, senza distinzione di
classe. Tuttavia i contadini ricchi, i maggiorenti dei villaggi,
come classe, non accettarono il programma e la funzione diri­
gente del Partito Comunista d’Albania. Generalmente essi si
legarono con le organizzazioni di traditori, borghesi e latifondiste, con il Balli Kombëtar e il Legaliteti e divennero il
loro appoggio nelle campagne, con la speranza di poter così
conservare i propri privilegi dopo la guerra.
La piccola e la media borghesia delle città parteciparono
alla Lotta di Liberazione Nazionale senza il tramite di alcun
proprio partito politico, al pari dei contadini. Troppo eterogenee,
economicamente impotenti e soprattutto sprovviste di decisione,
di maturità e di esperienza nella lotta politica, esse non crea­
rono, né potevano creare, un proprio partito politico. Per tale
ragione erano incapaci di esplicare una funzione dirigente nella
Lotta di Liberazione Nazionale. Esse accettarono il programma
del Partito Comunista, poiché vi videro espresse le proprie
immediate rivendicazioni politiche.
La piccola borghesia, che costituiva l’immensa maggioranza
della popolazione cittadina, quantunque non sembrasse troppo
decisa e pronta a sacrificarsi, si gettò quasi tutta nella Lotta
di Liberazione Nazionale dando prova di chiaro patriottismo.
La sua parte migliore annodò solidi vincoli con il Partito
Comunista.
La media borghesia manifestò una spiccata instabilità. Tra
le sue file si notavano tendenze al compromesso con gli oc­
cupatori. Tuttavia, trovandosi nella morsa delle leggi d’occu* Enver Hoxha. Opere, vol. 17, p. 434.
181
pazione, soggetta alla pressione del capitale straniero e all’in­
fluenza del tradizionale patriottismo del popolo albanese, essa
si pronunciò, in maggioranza, contro la schiavitù e prese parte
alla Lotta Antifascista, ma senza dimostrarsi particolarmente
attiva. Solo una piccola parte di questa classe si schierò con gli
occupatori, entrando a far parte del Balli Kombëtar e del
Legaliteti.
Gli intellettuali albanesi, la maggior parte dei quali prove­
nivano dagli strati superiori e medi della popolazione, si
mostrarono generalmente patrioti e antifascisti. I più progres­
sisti fra questi si distinsero per il loro patriottismo, la loro
risolutezza e il loro profondo spirito rivoluzionario, abbraccia­
rono la linea del Partito Comunista e lottarono per la sua
attuazione. Soltanto un esiguo numero di intellettuali, impre­
gnati di ideologia borghese fascista, si unirono agli occupatori.
Essi furono gli ideologi del Balli Kombëtar e del Legaliteti.
La più viva forza della Lotta di Liberazione Nazionale era
la gioventù. Essa si manteneva in prima linea nella lotta contro
gli occupatori e i traditori nelle città, nelle campagne e nelle
file dell’Esercito Popolare.
La schiacciante maggioranza della gioventù si distinse nello
stesso tempo per un alto sentimento di patriottismo e uno
spirito progressista profondamente rivoluzionario. Essa si unì
strettamente al Partito Comunista e si battè con ardore per
le grandi idee del marxismo-leninismo.
La prima a gettarsi nella lotta di liberazione fu la gio­
ventù studiosa e operaia delle città.
La gioventù studiosa proveniva principalmente dalla media
e piccola borghesia urbana. Militando al fianco della gioventù
operaia nelle file della Gioventù Comunista, essa fornì un
importante contributo alla propagazione della linea del PCA
tra le masse popolari. Nello stesso tempo, era per suo tramite
che il Partito esercitava la propria influenza sulla piccola e
media borghesia urbana.
Tuttavia la grande massa della gioventù antifascista era
costituita dalla gioventù contadina, la qualle, sull’esempio della
gioventù cittadina, si gettò nella lotta con raro impeto e con
estrema risolutezza rivoluzionaria. I giovani contadini costitui­
vano in effetti la maggioranza degli effettivi dell’Esercito di
Liberazione Nazionale.
La donna albanese era una grande forza nella lotta anti­
fascista. La sua partecipazione raggiunse un livello mai toccato
182
nelle precedenti lotte di liberazione. Le donne albanesi abbrac­
ciarono la linea del Partito Comunista e, a fianco degli uomini,
lottarono energicamente per la sua attuazione poiché vi trova­
vano non soltanto la via sicura che portava alla liberazione
nazionale e sociale del popolo, ma anche la strada per la
conquista della loro parità di diritti con l’uomo, per il loro
affrancamento da tutti i ceppi del passato, che le avevano te­
nute in schiavitù.
La grande vittoria nella Lotta di Liberazione Nazionale
fu conseguita, in primo luogo, grazie all’abnegazione e al­
l’eroismo senza pari dimostrati dal popolo albanese. Mai prima
d’allora esso era stato così unito, così risoluto e così sicuro
della vittoria, come in questa lotta contro gli occupatori italiani
e tedeschi e i traditori. Mai prima d’allora esso aveva così
profondamente preso coscienza degli scopi della sua lotta né
era stato tanto pronto a sopportare ogni sacrificio e privazione
in nome della vittoria finale.
La Lotta di Liberazione Nazionale fece apparire in tutta
la loro forza le capacità creatrici delle masse popolari nella
vita politica e militare del paese. Nel fuoco delle accanite bat­
taglie si rivelarono le loro inestinguibili forze e le loro grandi
attitudini. Dalla carne e dal sangue del popolo, dalle file degli
uomini semplici, degli operai, dei contadini, degli intellettuali
patrioti, sorsero magnifici combattenti e dirigenti di masse,
comandanti e commissari, membri di consigli e ministri. Questi
figli del popolo, spesso senza una sufficiente istruzione, supe­
rarono in capacità e in coraggio e sconfissero i generali e gli
ufficiali istruiti del nemico, i politicanti di professione del
vecchio regime latifondisto-borghese.
«La nostra lotta di liberazione, — scriveva il compagno
Enver Hoxha alla vigilia della liberazione. — ha chiamato il
popolo alla propria testa ed è in ciò, e soltanto in ciò, che si
trova la ragione della vittoria»*.
Con l’eroica lotta da esso svolta, il popolo albanese ha
nello stesso tempo liberato la Patria e sé stesso.
Alcuni fattori ebbero una parte molto importante nel con­
seguimento della vittoria, come le luminose tradizioni patriot­
tiche e guerriere del popolo albanese, la ricca esperienza ac* Enver Hoxha. Le storiche decisioni della II Riunione del CALN,
novembre 1944. Opere, vol. 2, p. 375.
183
quisita nel corso dei secoli nei suoi combattimenti per la
libertà e l’indipendenza, tradizioni ed esperienze ulteriormente
rafforzate e sviluppate nell’ultima Lotta di Liberazione Na­
zionale.
Ispiratore, organizzatore e guida della Lotta Antifascista di
Liberazione Nazionale, artigiano della vittoria fu il Partito Co­
munista d’Albania.
Nelle sue precedenti lotte di liberazione, il popolo albanese
non era mai riuscito a formarsi una direzione compatta e
coerente. Questa era una delle principali ragioni per cui non
era riuscito a conquistare prima la sua libertà e la sua piena
indipendenza, dando modo agli imperialisti, ai feudali e alla
borghesia del paese di. rapirgli i frutti dei suoi sforzi. Tuttavia
dalle lotte, dalle sofferenze e dalla miseria esso aveva tratto
un grande insegnamento: senza una direzione rivoluzionaria il
sangue che aveva versato e le sue sofferenze non potevano
essere coronate da una vittoria definitiva. Questo sogno, esso
lo realizzò soltanto con la fondazione del Partito Comunista
d’Albania, che generò, elevò e temprò nella lotta. Nascendo
dal seno del popolo albanese, questo partito marxista-leninista
ne ha ereditato le luminose tradizioni patriottiche e una ricca
esperienza di lotta, ha saputo raccogliere e sviluppare ulterior­
mente queste tradizioni e questa esperienza, conferire loro un
profondo contenuto rivoluzionario e porle in pratica per as­
sicurare la libertà e l’indipendenza nazionale, la vittoria della
rivoluzione.
Il Partito Comunista elaborò e applicò con spirito di
continuità, risolutezza e ardimento rivoluzionario una giusta
politica basata sui fondamentali princìpi marxisti-leninisti e
sulle condizioni oggettive interne ed esterne, politica che ri­
spondeva direttamente alle urgenti esigenze politiche, ai vitali
interessi del popolo, della Patria e del socialismo.
Fu il Partito a far germogliare tra le masse del popolo
una così alta coscienza degli obiettivi della lotta e della giustez­
za della sua politica. Fu il Partito che scoprì, sviluppò e uti­
lizzò a vantaggio della lotta contro il fascismo tutte le energie
e le capacità creative delle masse popolari.
Le masse si persuasero per propria esperienza che il Par­
tito Comunista era il vero difensore dei loro interessi e di
quelli della nazione albanese, un combattente fedele e coerente
per l’indipendenza nazionale, la libertà, la democrazia e la
terra.
184
Il Partito Comunista risolse con rara maestria i tre compiti
chiave la cui attuazione doveva portare alla vittoria: unire
le larghe masse nel Fronte di Liberazione Nazionale; organiz­
zare l’insurrezione generale, armare il popolo e creare un Eser­
cito regolare di Liberazione Nazionale; abbattere il regime
degli occupatori, dei latifondisti e della borghesia, organizzare
e instaurare il potere di democrazia popolare.
Il Partito assicurò al popolo albanese alleati esterni, nume­
rosi e potenti, e lo educò nello spirito dell’internazionalismo
proletario, dell’amicizia e della fraternità con tutti i popoli che
lottavano contro il fascismo. Esso applicò nei confronti degli
alleati esterni una politica giusta, edificata su princìpi rivolu­
zionari. Insegnò al popolo a operare una distinzione fra gli
alleati e a collegare la propria lotta in primo luogo con la
Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica. Il Partito non
permise mai che qualsivoglia dei suoi alleati intervenisse nelle
questioni interne politiche e militari del paese. Esso mandò a
vuoto il piano della reazione imperialista angloamericana che
tentava di impedire la vittoria della rivoluzione e di stabilire
il proprio controllo sull’Albania. Pur conservando un atteggia­
mento leale nei confronti dei suoi alleati e apprezzando al loro
giusto valore l’aiuto e l’appoggio esterni, il Partito non si è
mai aspettato che altri venissero a portare la libertà al popolo
albanese. Esso ha attuato con fermezza il principio di poggiare
innanzitutto sulle proprie forze, dimostrando al popolo la pro­
fonda verità del fatto che la libertà non ci viene regalata da
nessuno ma che dobbiamo conquistarla a prezzo del sangue
versato, di innumerevoli sofferenze e sacrifici.
Il Partito Comunista d’Albania è nato, è cresciuto e si è
agguerrito come guida di una capacità e autorità senza pari,
nella lotta rivoluzionaria contro gli occupatori e i traditori.
Esso non ha atteso d’aver prima imparato la teoria marxistaleninista per gettarsi nella lotta. Questa teoria esso l’ha con­
temporaneamente imparata e attuata fedelmente e in modo
creativo nel fuoco della lotta, nelle situazioni più complesse.
Il fattore esterno decisivo della storica vittoria del popolo
albanese fu la grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica
e la sua grande vittoria contro il fascismo, indipendentemente
dal fatto che l’Esercito Rosso non si spinse fino in Albania.
L’Unione Sovietica, sotto la direzione di Stalin, ha sopportato
il maggior peso nella Seconda Guerra mondiale e ha avuto
la parte principale nella distruzione del fascismo. Le grandi
185
vittorie dell’Esercito Rosso sulla Germania hitleriana crearono
le condizioni necessarie affinché il popolo albanese si levasse
tutto intero assicurando con la propria eroica lotta la sua
piena indipendenza nazionale e l’instaurazione del potere po­
polare nel proprio paese.
186
CAPITOLO III
IL PARTITO COMUNISTA D’ALBANIA IN LOTTA PER
LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE E LO SVILUPPO
DELLA RIVOLUZIONE SOCIALISTA
(Dicembre 1944-1948)
1. DIFESA E CONSOLIDAMENTO DEL POTERE
POPOLARE
Il potere popolare, instaurato durante la Lotta Antifascista
di Liberazione Nazionale, subito dopo la guerra cominciò ad
esercitare le funzioni di dittatura del proletariato. Sotto la
direzione esclusiva del Partito Comunista, tale potere doveva
assicurare la salvaguardia delle conquiste della rivoluzione
antimperialista democratica ed il suo ininterrotto e immediato
sviluppo in rivoluzione socialista. Ai paese si apriva così la pro­
spettiva sicura di guarire rapidamente le piaghe della guerra e di
liquidare l’arretratezza ereditata dal passato, di assicurare l’im­
petuoso sviluppo dell’economia e della cultura popolare nonché di
liberare le masse lavoratrici dall’indigenza e dallo sfruttamento.
Per la realizzazione dei grandi compiti che si prospettavano
dopo la Liberazione, il Partito doveva assolutamente tener
presente sia la situazione interna che quella internazionale.
Radicale mutamento del
rapporto delle forze nel
mondo a vantaggio del so­
cialismo
Quando l’Albania venne liberata
dal giogo degli occupatori stra­
nieri, la Seconda Guerra Mon­
diale non era ancora finita. Essa
si concluse con la capitolazione
senza condizioni della Germania hitleriana il 9 maggio 1945, e
del Giappone militarista il 2 settembre 1945.
187
L’aspetto del mondo subì profondi mutamenti.
L’Unione Sovietica socialista aveva subito perdite in
uomini e materiali più di qualsiasi altro paese. Tuttavia essa
usciva da questa guerra politicamente e militarmente più po­
tente. La sua autorità e il suo prestigio internazionale s’erano
considerevolmente accresciuti.
In parecchi paesi d’Europa e d’Asia, la vittoria della rivolu­
zione portò al potere nuovi regimi democratici popolari.
Il distacco di questi paesi dal sistema capitalistico mondiale
portò ad un mutamento radicale del rapporto delle forze a
favore del socialismo su scala internazionale.
Tali condizioni impressero un vigoroso impulso al movi­
mento di liberazione nazionale e anticoloniale. Il processo di
disgregazione del sistema coloniale si estese a vaste zone del
globo. In Asia e in Africa nascevano numerosi nuovi Stati
nazionali.
Questi grossi mutamenti approfondirono molto la crisi ge­
nerale del capitalismo, creando più favorevoli condizioni per il
trionfo del socialismo su scala mondiale.
Mutamenti che portarono alla rottura dell’equilibrio all’interno del sistema capitalistico mondiale, si verificarono anche
nel rapporto delle forze tra le stesse potenze imperialiste. La
Germania, il Giappone e l’Italia, i paesi vinti della Seconda
Guerra Mondiale, persero le loro posizioni politiche e militari
di un tempo. La loro economia era stata gravemente danneg­
giata. Anche la Gran Bretagna e la Francia si erano molto
indebolite dal punto di vista economico, militare e politico. Non
esplicavano più la loro antica funzione di grandi potenze.
Soltanto gli Stati Uniti d’America uscirono dalla guerra più
forti di prima. Il notevole accrescimento del loro potenziale eco­
nomico e militare ne faceva adesso il principale centro del
mondo capitalistico.
Le potenze imperialistiche non potevano conciliarsi con
l’ascesa delle forze socialiste e democratiche nel mondo e lo
sviluppo del movimento di liberazione anticoloniale. Avendo
a guida l’imperialismo americano, il quale mise in moto la sua
gigantesca macchina burocratico-statale ed il suo notevole po­
tenziale economico, finanziario e militare, queste potenze mo­
bilitarono tutte le loro forze e tutti i loro mezzi, fecero in­
sorgere l’intera reazione mondiale in una dura lotta contro
l’Unione Sovietica socialista e contro i paesi a democrazia po­
188
polare, nonché contro tutte le forze rivoluzionarie, democra­
tiche e antimperialistiche.
Caratteristica principale della situazione internazionale nel
dopoguerra fu la creazione di due campi: del campo democra­
tico antimperialistico e del campo imperialistico antidemocra­
tico, l’uno e l’altro con obiettivi strategici diametralmente
opposti.
Il campo democratico antimperialistico, con alla testa
l’Unione Sovietica, perseguiva lo scopo di difendere il socia­
lismo, la democrazia, la libertà e l’indipendenza nazionale in
tutti quei paesi dove queste erano state conquistate, di appog­
giare i movimenti rivoluzionari e di liberazione nazionale che
miravano alla liquidazione del dominio borghese e imperialista,
alla salvaguardia della pace nel mondo. Questi obiettivi potevano
essere conseguiti attraverso una inconciliabile lotta contro l’im­
perialismo e la reazione mondiale, ed anche contro i loro servi,
facendo partecipare a questa lotta il proletariato mondiale, le
forze democratiche progressiste e i popoli amanti della libertà.
Il campo imperialista antidemocratico aveva come forza
dirigente gli USA. Lo scopo a cui mirava questo campo era
di salvare e di mantenere il vecchio sistema capitalista, di
risollevare il capitalismo dell’Europa Occidentale e giapponese,
di soffocare ogni movimento rivoluzionario e di liberazione
nazionale, di restaurare il capitalismo in Unione Sovietica e
nei paesi a democrazia popolare. Lo stesso imperialismo ame­
ricano mirava a stabilire la sua egemonia ovunque nel mondo.
Partendo da questo obiettivo, l’imperialismo internazionale,
con alla testa gli USA, scatenava una dopo l’altra delle furiose
campagne ostili contro il campo democratico antimperialista e
contro i partiti comunisti dei paesi capitalistici. Essa intervenne
direttamente, con le armi, e soffocò nel sangue il movimento
insurrezionale democratico in Grecia. Nel contempo esso colpì
duramente il movimento democratico rivoluzionario in Francia,
in Italia e altrove. Gli USA cominciarono ad applicare una
politica apertamente aggressiva, militarista, preparandosi così
a una nuova guerra mondiale. La «dottrina Truman» e il
«piano Marshall» furono particolari espressioni di questa po­
litica e di questi preparativi che abbracciavano tutti i princi­
pali settori: il campo politico, quello economico e militare.
Gli imperialisti americani installarono nel territorio di nume­
rosi paesi stranieri, in Europa, in Asia, e altrove, delle basi
militari, si servirono del loro temporaneo monopolio dell’arma
189
atomica come d’un mezzo per intimorire i popoli e fare pres­
sione su di essi. La politica aggressiva imperialista e reazio­
naria fu accompagnata da un’aggressione ideologica anticomu­
nista e da una vasta attività sovversiva per minare dall’interno
l’Unione Sovietica, i paesi a democrazia popolare, i partiti
comunisti operai, per conseguire la loro degenerazione borghese.
Anche la nuova Albania Democratica Popolare era oggetto
di forti pressioni ostili da parte degli imperialisti.
La liberazione trovò il paese in
condizioni pietose. L’economia era
scossa dalle fondamenta. Manca­
va l’energia eletrica, le miniere erano fuori uso. Persino quelle
poche fabbriche che erano scampate alla distruzione, non fun­
zionavano per la mancanza di materie prime. Il nemico aveva
fatto saltare in aria tutti i ponti grandi o piccoli. Le strade,
i porti e la rete telefonica erano stati distruitti. La disoccupa­
zione si era diffusa ovunque.
Anche l’agricoltura era in uno stato molto grave. Una parte
dei terreni coltivabili era rimasta incolta, un terzo del bestiame,
soprattutto gli animali da lavoro, era stato annientato.
Il commercio era paralizzato dalla miseria e dalla mancan­
za di mezzi di comunicazione, le casse dello Stato erano vuote.
L’oro della banca d’emissione era stato rapito dagli invasori.
L’inflazione aveva raggiunto proporzioni senza precedenti. La
popolazione aveva bisogno di vestiario, di alloggi e di pane.
Il pericolo della carestia e delle epidemie incombeva su tutto
il paese.
Questa situazione era resa ancor più grave dalla lotta
che le forze della reazione interna e esterna imperialista, uniti
in una stretta alleanza controrivoluzionaria, conducevano contro
il potere popolare.
Le missioni americana e inglese, che rimasero in Albania
anche dopo la Liberazione con il pretesto di preparare il ri­
conoscimento del nuovo governo, si transformarono in centri di
spionaggio, di complotti e di sabotaggio.
La reazione interna, appoggiata dagli imperialisti americani
e inglesi, concentrò la sua attività soprattutto nell’organizza­
zione di sollevamenti armati, controrivoluzionari, servendosi
delle bande di criminali di guerra latitanti, che si erano dis­
persi in tutto il paese e specialmente nelle regioni settentrionali.
Queste bande cercavano di creare un’atmosfera di incertezza,
Difficoltà
interna
190
nella
situazione
di intimidire i contadini e di impedire l’instaurazione dell’or­
dine e della tranquillità. Esse compivano atti di terrorismo
contro i comunisti e gli attivisti del potere popolare. Nel
gennaio del 1945, rimasugli di forze reazionarie attuarono
persino un colpo di mano contro la località di Koplik, ma
furono sgominati nello spazio di alcune ore.
Rappresentati della borghesia reazionaria e dei proprietari
terrieri costituirono gruppi ostili clandestini, come il gruppo
«monarchico», «socialdemocratico», «democristiano» e altri, di­
retti dalle missioni inglese e americana di Tirana. Questi gruppi
organizzarono atti di sabotaggio causando danni all’economia.
Dopo la Liberazione, il popolo albanese si aspettava a
buon diritto di veder stabilire normali relazioni statali con
tutti i suoi alleati della Lotta Antifascista di Liberazione Na­
zionale. Ma i governi degli USA e d’Inghilterra ostacolavano con
ogni mezzo l’allacciamento di tali relazioni. Il loro obiettivo
era quello di rovesciare il potere popolare in Albania.
A tal fine gli imperialisti americani e inglesi avevano
l’intenzione di intraprendere un intervento armato. Nel gen­
naio del 1945 essi chiesero di aumentare il personale delle
loro missioni militari a Tirana e di far venire in Albania
per maggio-giugno 1.500-1.700 ufficiali e tecnici della «Military
Liaison» (M.L.), i quali si sarebbero occupati della distribuzione
dei «soccorsi». Queste richieste furono fermamente respinte dal
Governo Democratico d’Albania.
L’imperialismo si valse anche della Grecia monarco-fascista nella sua azione contro la nuova Albania. Direttamente
istigato dagli USA e dall’Inghilterra, il governo ellenico, su­
bito dopo la liberazione, scatenò una vasta campagna che
riesumava le sue antiche preteste d’annessione dell’Albania
meridionale, organizzò sistematicamente numerose provocazioni
al confine e si dedicò a preparativi d’ogni specie per una
aggressione armata che avrebbe dovuto essere accompagnata
da uno sbarco di forze britanniche.
Di fronte a questo nuovo pericolo che minacciava il paese,
il popolo serrò ancor più strettamente le file attorno al Partito,
per difendere ad ogni costo l’indipendenza e l’integrità terri­
toriale della Patria, per risolvere nello stesso tempo i compiti
dell’ulteriore sviluppo della rivoluzione e della ricostruzione
economica.
La direzione del popolo da parte del Partito per la realiz­
zazione di questi compiti non era meno importante e meno
191
difficile che la guida della Lotta di Liberazione Nazionale.
Però il Partito aveva piena fiducia che sarebbe stato in grado
di superare tutte le difficoltà e di realizzare i nuovi compiti
che gli si prospettavano. Questa fiducia poggiava sulla sua de­
terminazione di portare la rivoluzione fino in fondo, sull’espe­
rienza acquisita durante la guerra, sui suoi stretti legami con
le masse popolari e sull’entusiasmo di queste.
In queste circostanze, l’anello
principale della catena di compiti
che si prospettavano al Partito
era la salvaguardia e il consoli­
damento del potere popolare. Il
CC del PCA impartiva le seguenti direttive: «Dopo ogni guerra
e ogni rivoluzione, la questione più importante e più ardua è
quella della presa del potere e della sua conservazione. Anche
per noi, per il nostro Partito, la questione più importante è
quella del potere: essa rappresenta il nostro problema cen­
trale. Perciò oggi il nostro principale obiettivo è... di consoli­
darlo e di marciare con esso di vittoria in vittoria, di riforma
in riforma»*.
Per il conseguimento di tale obiettivo rivestiva par­
ticolare importanza il rafforzamento della base politica del
potere, dei consigli di liberazione nazionale, affinchè questi
fossero pienamente capaci di diventare «il motore di ogni passo
in avanti nei campi politico, economico e sociale». A tal fine ser­
virono le elezioni degli organi del potere locale, svoltesi in
tutto il paese nel maggio del 1945.
Nel corso della campagna elettorale, il Partito svolse un
vasto lavoro politico fra le masse per meglio spiegare loro il
carattere popolare del nuovo potere e i compiti che gli incombe­
vano. Esso denunciò la propaganda della reazione sulla «inca­
pacità» del potere e le mire di questa tendenti a far passare
la direzione dei consigli nelle mani di rappresentanti «esperti»
delle classi rovesciate.
Ai consigli furono eletti uomini sperimentati nella lotta,
risoluti, fedeli agli interessi del popolo e che godevano la sua
fiducia.
Parallelamente a ciò, il Partito organizzò la completa edi­
ficazione dell’apparato statale, nuovo sia in quanto alla forma
che al contenuto. Furono erette su nuove basi le istituzioni
Il problema
salvaguardia
damento del
lare
centrale: la
e il consoli­
potere popo­
* Circolare del CC del PCA, dicembre 1944, ACP.
192
amministrative i tribunali popolari, fu creata la polizia po­
polare, vennero riorganizzati e rafforzati gli organi della Sicu­
rezza dello Stato, e così via.
Il Partito scelse tra i suoi quadri migliori quelli da desti­
nare agli incarichi nel nuovo apparato statale. Certamente, a
costoro mancava l’esperienza di governo, ma in compenso
essi erano decisi ad attuare fedelmente la linea del Partito.
L’arte di governare, essi l’avrebbero imparata durante il loro
lavoro.
Contemporaneamente entrarono a far parte del nuovo
apparato statale anche impiegati della vecchia amministrazione,
persone politicamente legate al Partito e al popolo, ma con
una cultura, una pratica e una mentalità borghesi. Essi diedero
il loro contributo al funzionamento del nuovo apparato sta­
tale, ma nello stesso tempo introdussero inconsapevolmente nel
metodo e nello stile di lavoro del nuovo apparato elementi del
metodo e dello stile del vecchio apparato, alcune forme d’or­
ganizzazione burocratica del lavoro, incompatibili con il carat­
tere rivoluzionario del potere.
La massima forza armata della rivoluzione e del potere
era l’Esercito di Liberazione Nazionale. Le classi rovesciate e
la reazione esterna vedevano nell’esercito il principale ostacolo
al conseguimento delle loro mire contro il potere popolare. I
nemici tentavano di farlo sopprimere, chiedendo la smobilita­
zione dato che l’Albania non era minacciata da alcun pericolo
e che costituiva un grave peso per lo Stato e per tutta l’eco­
nomia del paese!
Il Partito considerava la conservazione e il rafforzamento
dell’esercito come una questione vitale per la rivoluzione, per
la difesa del potere popolare, della libertà e dell’indipendenza
del paese. Perché l’esercito fosse in grado di adempiere alla
sua alta missione, il PCA chiedeva che esso si perfezionasse,
si modernizzasse e divenisse «un esercito esemplare, un esercito
dotato di tutte le qualità necessarie per essere degno... di
difendere il proprio popolo e il proprio potere, eretto a prezzo
di tanti sacrifici e di tanto sangue»*.
Ogni sacrificio del popolo e dello Stato compiuto per
l’esercito popolare era pienamente giustificato.
In conformità alle istruzioni del Comitato Centrale, l’eser* Enver Hoxha. Il nostro Esercito di Liberazione Nazionale, novem­
bre 1944. Opere, vol. 2, p. 416.
193
cito si dedicò a una sistematica preparazione per rendersi
padrone dei princìpi della guerra moderna. Scuole e corsi rego­
lari furono aperti per l’elevamento delle capacità militari e poli­
tiche dei comandanti e dei commissari. Fu istituito il servizio
militare obbligatorio. Allo scopo di far elevare la coscienza ri­
voluzionaria dei combattenti, il Partito affiancò all’opera di
rafforzamento e di modernizzazione dell’esercito un vasto lavoro
politico in tutti i campi.
Sotto la direzione del Partito, l’esercito divenne un sicuro
bastione del nuovo Stato democratico popolare.
Un compito di urgente attuazione era costituito dalla radi­
cale ripulitura del paese dai rimasugli delle forze dei traditori.
Il Partito fece dell’esecuzione di tale compito una grande azione
politica, facendovi partecipare tutto il popolo. Con l’appoggio
delle masse contadine, gli organi del potere e i reparti militari
annientarono le principali bande armate della reazione. I tri­
bunali rivoluzionari del popolo inflissero la punizione meritata
ai criminali di guerra. I processi si trasformarono in un grande
atto d’accusa su scala nazionale contro la linea di tradimento
seguita dalle classi sfruttatrici. Essi costituirono un duro colpo
non solo per la reazione interna, ma anche per gli imperia­
listi che l’appoggiavano.
I nuovi compiti storici che si
prospettavano al Partito non po­
tevano essere attuati senza che
l’unione delle masse del popolo intorno a esso, unione realizzata
nella Lotta Antifascista di Liberazione Nazionale, fosse stata
conservata e ulteriormente rinsaldata.
Nelle nuove condizioni questa unione doveva comprendere,
oltre alle vaste masse popolari che avevano partecipato attiva­
mente alla Lotta di Liberazione Nazionale, anche tutti coloro
che si erano tenuti in disparte o erano stati ingannati dai
capifila reazionari.
Il Fronte di Liberazione Nazionale, grazie al ruolo decisivo
svolto nella vittoria sui nemici, aveva giustificato la propria
esistenza come una utilissima organizzazione rivoluzionaria nella
realizzazione dell’unione combattiva delle vaste masse popo­
lari. In questo campo, il Partito aveva accumulato una preziosa
esperienza che lo avrebbe aiutato a sviluppare ulteriormente
la tradizione della diretta unione e organizzazione delle masse
nel Fronte sotto la propria direzione.
Il Fronte
d’Albania
194
Democratico
L’ulteriore rafforzamento del Fronte costituiva la più adatta
via democratica che avrebbe portato alla distruzione dei tentativi
dei nemici interni ed esterni tesi a creare in Albania partiti
«democratici» reazionari, allo scopo di dividere il popolo è di
privarlo delle sue conquiste.
Sotto la parola d’ordine dell’unione nazionale, il PCA organizò il I Congresso del Fronte che fu tenuto nell’agosto dei
1945. Il Congresso definì i compiti spettanti al Fronte Demo­
cratico d’Albania, ora così denominato, e i provvedimenti per
il suo ulteriore rafforzamento.
Il Fronte, in quanto incarnazione dell’unità del popolo
intorno al Partito, divenne il principale sostegno del potere
popolare nella lotta per la salvaguardia della libertà e del­
l’indipendenza nazionale, per la ricostruzione del paese, per il
suo sviluppo economico, sociale e culturale sulla via del so­
cialismo.
Il Congresso del Fronte, interpretando la volontà del po­
polo, chiese che fossero organizzate le elezioni per l’Assemblea
Costituente. Dopo la fondazione dello Stato democratico popolare
al Congresso di Përmet e ora, quando l’intero paese era stato
liberato, l’Assemblea doveva sanzionare la forma del regime
politico e proclamare la Costituzione. Tale compito era stato
stabilito sin dalla II Riunione del CALN, nell’ottobre del 1944.
Il Congresso e le elezioni dei nuovi consigli del Fronte
diedero nuovo impulso all’organizzazione e resero più impor­
tante il suo ruolo nella vita del paese.
Tuttavia, la linea del Partito nei riguardi del Fronte fu
sviata dall’atteggiamento opportunistico di Sejfulla Malëshova
e dall’ingerenza della direzione del PCJ. Sotto la maschera
della «lotta contro il settarismo», le porte del Fronte vennero
aperte anche a elementi ostili. La reazione ne approfittò per
far penetrare i propri agenti nel Fronte allo scopo di minarlo
dall’interno e di condurre, da tali posizioni, la lotta contro
il potere popolare. Ma la vigilanza del Partito e delle larghe
masse del popolo si levò come una insormontabile barriera
contro l’attività ostile degli elementi della reazione all’interno
del Fronte.
La forza dirigente, nel Fronte, era la classe operaia, dinanzi
a cui si schiudeva adesso la vasta prospettiva di crescere e di
trasformarsi in una classe operaia industriale dotata di un’alta
coscienza socialista. Sin dal febbraio del 1945 essa aveva inoltre
creato le proprie organizzazioni professionali (i sindacati). Le
195
unioni professionali erano incaricate dal Partito di svolgere
un’importante funzione per l’educazione comunista degli operai
e degli impiegati, diventando un «solido pilastro del Fronte
Democratico e del Potere popolare»*.
Come in precedenza, la più larga base del Fronte rima­
neva costituita dai lavoratori delle campagne, che avevano
sopportato il maggior peso della Lotta di Liberazione Nazionale.
Con l’instaurazione del potere popolare si erano create tutte
le possibilità per la realizzazione dei loro sogni secolari: pren­
der possesso della terra e uscire dallo stato di miseria e di
arretratezza in cui versavano.
L’Unione della Gioventù Antifascista Albanese e l’Unione
delle Donne Antifasciste Albanesi, che agivano in seno al
Fronte Democratico, erano chiamate a esplicare una partico­
lare funzione, in quanto potenti leve del Partito per la mobi­
litazione e l’educazione politica delle masse.
La gioventù albanese, come parte più attiva e più combat­
tente della popolazione, doveva essere in prima fila nella nuova
battaglia per la ricostruzione e l’edificazione socialista del
paese. Apprezzando l’importante funzione che essa doveva
svolgere, il compagno Enver Hoxha si rivolgeva alla gioventù,
nel II Congresso della Unione della Gioventù Antifascista
Albanese, con queste parole: «Il Governo Democratico, che
ha riposto in voi le sue speranze, è convinto che voi sarete
sempre all’avanguardia, vi dedicherete al lavoro con lo stesso
impeto che vi ha caratterizzato nella lotta, studierete e vi
istruirete con grande zelo per il vostro bene e per il bene del
popolo, rafforzerete e aiuterete il nostro esercito, scudo d’ac­
ciaio a difesa degli interessi del popolo, difenderete il potere
per cui avete versato tanto sangue...»**.
Con la sua partecipazione e il suo contributo alla lotta,
la donna albanese aveva dimostrato di essere un indispensabile
fattore nello sviluppo della vita politica e sociale del paese.
Il primo grande passo verso il suo affrancamento, compiuto
nel corso della guerra, doveva servire da punto di partenza
per la totale emancipazione di tutte le masse femminili, per
*
gresso
vol. I,
**
1945.
196
Istruzioni del
dei sindacati,
p. 326.
Enver Hoxha.
Opere, vol. 3,
CC del PCA sul lavoro preparatorio al I Con­
2 settembre 1945. Documenti principali del PLA,
Discorso al II Congresso della Gioventù. 16 aprile
p. 38.
fare di esse una grande forza nell’edificazione della nuova
società. Il Partito chiedeva adesso che la parità di diritti della
donna con l’uomo, parità sancita nella riunione del CALN a
Berat, divenisse realtà. A tal fine, il Comitato Centrale rac­
comandava al Partito di compiere un instancabile lavoro per
elevare il livello politico delle donne, per dar loro la possibilità
di istruirsi e di acquisire maggiore cultura, per eliminare il
settarismo nell’ammissione delle donne al Partito e le esita­
zioni circa la loro promozione a cariche direttive. L’attiva
partecipazione delle donne alla vita economica del paese, in
primo luogo alla produzione, doveva avere una parte decisiva
nella loro emancipazione.
Il consolidamento del nuovo Stato de­
mocratico popolare richiedeva anche
il rafforzamento della sua posizione internazionale, conquistata
con il contributo fornito dal popolo albanese alla comune
causa della vittoria sul fascismo. Ora l’Albania non poteva più
essere impiegata come moneta di scambio ed oggetto di mer­
canteggiamenti delle grandi potenze imperialistiche. Essa era
apparsa sull’arena internazionale come Stato libero e so­
vrano.
Alla base della politica estera del Governo Democratico
fu posta l’amicizia con l’Unione Sovietica e gli altri paesi a
democrazia popolare. Il Partito considerava l’amicizia e la stret­
ta collaborazione con questi paesi come un fattore esterno molto
importante per assicurare la libertà e l’indipendenza nazionale,
per rafforzare la posizione internazionale del nuovo Stato de­
mocratico. Essa apprezzava in particolar modo l’appoggio poli­
tico e morale dell’Unione Sovietica in campo internazionale
e il suo aiuto economico. Attribuiva altresì grande importanza,
in quel periodo, all’allacciamento di rapporti di amicizia e di
collaborazione con la nuova Jugoslavia, con i cui popoli il
popolo albanese era legato dalla comune lotta e dal sangue
versato combattendo contro gli invasori fascisti.
Il Partito Comunista d’Albania seguiva con inquietudine
l’evolversi degli avvenimenti in Grecia, dove la reazione in­
terna e internazionale avevano sferrato un furioso assalto
contro il Fronte di Liberazione Nazionale greco, a cui il popolo
albanese era legato anche dalla comune lotta contro il fascismo.
Il Partito e il Governo Democratico d’Albania tennero un
atteggiamento internazionalistico allora, prestando aiuto e appogLa politica estera
197
gio alle forze proggressiste greche nella loro giusta lotta per
tener testa alla reazione e instaurare la democrazia.
Il PCA era pronto a stabilire relazioni statali normali
anche con i paesi capitalisti, sulla base del rispetto dell’indipendenza nazionale e dell’integrità territoriale, della non inge­
renza negli affari interni e del reciproco vantaggio economico.
Su tale base il Governo Democratico si sforzò di normalizzare
le sue relazioni con gli USA, la Gran Bretagna, e altri paesi,
urtando però contro la politica aggressiva degli imperialisti
americani e inglesi.
Con il loro atteggiamento perfido e ostile gli USA e l’Inghil­
terra impedirono che l’Albania venisse invitata alla Conferenza
di San Francisco per la fondazione dell’Organizzazione delle Na­
zioni Unite. L’Albania non fu chiamata neppure alla Conferenza
di Londra per le riparazioni dovute dall’Italia. I rappresentanti
inglesi e americani cercarono di impedire la sua partecipazione
anche alla Conferenza di Parigi, in cui dovevano essere fissate
le riparazioni dovute dalla Germania. Ma questa volta non
ci riuscirono. All’Albania venne riconosciuto il diritto di ot­
tenere le riparazioni dovute dalla Germania. L’Albania non ven­
ne neppure invitata a partecipare ai negoziati per l’elaborazione
del Tratatto di Pace con l’Italia. In tutte queste assemblee
essa avrebbe dovuto occupare il posto che le spettava e che
si era guadagnato a prezzo del sangue versato.
Gli USA e l’Inghilterra minacciavano l’indipendenza e la
sovranità del paese. Con delle calunnie essi tentarono di presen­
tare la piccola Albania nuova che stava conducendo una riso­
luta lotta per la pace, la libertà e l’indipendenza dei popoli,
contro la politica agressiva e guerrafondaia degli imperialisti,
come un paese che turbava la pace e la sicurezza nei Balcani.
Ma tutti questi tentativi dell’imperialismo americano e inglese
per minare la posizione internazionale del nuovo Stato albanese
fallirono.
Il popolo albanese, guidato dal Partito, fece fronte con
risolutezza alla pressione imperialistica. La coraggiosa difesa
della propria indipendenza, dei suoi legittimi diritti, della via
che aveva intrapreso e la sua appartenenza al campo democra­
tico e antimperialistico, consolidarono la posizione internazio­
nale della nuova Albania.
198
2. MOBILITAZIONE DELLE MASSE PER LA
RICOSTRUZIONE DEL PAESE. PRIME
TRASFORMAZIONI ECONOMICHE
E SOCIALI
L’Albania era stata devastata dalla guerra. In tali circo­
stanze, uno dei problemi di più urgente soluzione era quello
di ricostruire e di normalizzare tutta la vita economica e cul­
turale del paese.
Per risolvere questo problema occorrevano grandi mezzi
materiali e finanziari. Dinanzi al PCA si poneva ora la que­
stione: dove trovare tali mezzi.
Gli imperialisti americani e inglesi
cercarono di sfruttare per i loro
fini la difficile situazione economica
dell’Albania e si affrettarono a offrire il loro «aiuto». Il PCA
respinse categoricamente tale «aiuto» di asservimento e scelse
la via della costruzione del paese appoggiandosi innanzi tutto
sulle forze interne, nonché sul fraterno aiuto fornitole dall’Unione Sovietica e dai paesi a democrazia popolare.
La questione della ricostruzione e dello sviluppo econo­
mico e culturale del paese fu elevata dal Partito a problema
di tutto il popolo. Operai, contadini, intellettuali, donne, orga­
nizzarono dappertutto squadre, compagnie, battaglioni e brigate
di lavoro volontario. Per venire in aiuto ai sinistrati di guerra,
la gente spartiva con essi il proprio nutrimento, offriva de­
naro, cereali, oggetti di vestiario e ogni altra cosa che potesse
contribuire ad alleviare le loro sofferenze. Il Governo, grazie
anche ai soccorsi in grano dell’Unione Sovietica, assicurò
l’approvvigionamento del pane per la popolazione.
In condizioni estremamente difficili e nonostante la grande
penuria di mezzi tecnici e di quadri, la popolazione lavorò con
abnegazione per ricostruire innanzi tutto i ponti distrutti e le
strade impraticabili e per ristabilire rapidamente le comuni­
cazioni.
Sin dal 1945, grazie agli sforzi degli operai, una parte
delle fabbriche, delle centrali elettriche e delle miniere furono
rimesse in servizio e cominciarono a produrre. Il Partito mo­
bilitò i contadini per la semina delle terre lavorabili e la
ricostruzione delle case incendiate, con importanti contributi
dello Stato. Iniziarono la loro attività gli istituti d’insegna­
L’appoggio sulle forze
interne
199
mento e di cultura, vennero aperte nuove scuole, soprattutto
nei villaggi. Fu intrapresa una grande campagna con il precipuo
scopo di eliminare l’analfabetismo tra gli adulti, questa gra­
vissima piaga del passato. In questa campagna si impegnarono,
prestando volontariamente la loro opera, oltre ai vecchi maestri,
anche migliaia di giovani insegnanti preparati in corsi speciali.
Durante il lavoro di ricostruzione si fece notevolmente
sentire la penuria di quadri tecnici delle varie professioni. Allo
scopo di colmare rapidamente queste lacune, furono istituiti
corsi per la formazione di tecnici e per l’elevamento profes­
sionale degli operai.
Il maggior peso dell’opera di ricostruzione fu assunto dalla
gioventù. Ragazzi e ragazze di città e di campagna furono i
primi a ingrossare le file delle brigate volontarie di lavoro.
Essi furono all’avanguardia nelle azioni per la costruzione delle
strade, dei ponti e delle case incendiate, in prima linea nella
lotta per la diffusione dell’istruzione e della cultura.
I grandi profitti realizzati durante la guerra avevano per­
messo ai capitalisti di accumulare capitali considerevoli, specialmente in oro e in partite di merci. In tali circostanze, il Go­
verno trovò giusto e indispensabile che buona parte di questi
profitti passasse nelle mani dello Stato e venisse impiegata per
le necessità del popolo e della ricostruzione del paese. A tal
fine nel gennaio del 1945 venne promulgata la legge dell’im­
posta straordinaria sui profitti di guerra. Questa imposta era
progressiva. La legge prevedeva altresì la confisca senza inden­
nizzo dei beni di coloro che si fossero rifiutati di pagare
l’imposta. La legge era così diretta anche contro la potenza
economica dei capitalisti.
Commercianti, fabbricanti, tutti coloro che furono tassati,
fecero grandi sforzi per sottrarsi al pagamento dell’imposta.
Essi nascosero il loro oro e le loro merci, tentarono di presen­
tare questo provvedimento come «spoliazione del popolo» e si
adoperarono con ogni mezzo per conservare le loro ricchezze,
accumulate a spese dei lavoratori.
Il Comitato Centrale raccomandò alle organizzazioni del
Partito di non fare alcuna concessione e di lottare tenacemente
per la rigorosa applicazione della legge. Ogni cedimento in
questa questione avrebbe nociuto al prestigio del potere.
Le rispettive commissioni, appoggiate dalle masse, obbliga­
rono i commercianti e tutti gli altri capitalisti a pagare l’imposta
prevista dalla legge. Nel 1945, le entrate provenienti dall’im­
200
posta straordinaria sui profitti di guerra costituivano più
della metà di tutte le entrate del bilancio statale.
I beni di tutti i capitalisti che non pagarono l’imposta
furono confiscati. In tal modo lo Stato accumulò nelle sue
mani una grande quantità di merci d’ogni specie. Su tale base
furono istituiti i negozi di Stato. L’apertura di tali negozi
segnò la nascita del settore statale socialista nel commercio.
Parallelamente alla promulgazione della legge relativa al­
l’imposta straordinaria sui profitti di guerra, fu varata anche
una serie di altri provvedimenti rivoluzionari. Fu promulgata
la legge sulla requisizione dei generi alimentari e dei materiali
necessari alla ricostruzione. Al libero giuoco dei prezzi si
sostituì il sistema dei prezzi amministrati. Venne organizzato
il controllo dei prezzi da parte del popolo e fu svolta un’ac­
canita lotta contro la speculazione e il mercato nero. L’am­
masso dei cereali a scopo di rivendita da parte dei commer­
cianti privati, fu vietato. Fu istituito il monopolio statale
sull’ammasso e la vendita delle granaglie e vennero fissati
prezzi unificati per l’acquisto e la vendita di queste da parte
dello Stato. Con l’applicazione di un timbro sui vecchi biglietti
di banca fu attenuata in certo qual modo l’inflazione lasciata
dietro di sè dagli occupatori e venne istituito il controllo sulle
vecchie banconote in circolazione. Questi provvedimenti furono
rafforzati con l’imposizione del controllo statale sul com­
mercio estero, il quale più tardi doveva divenire monopolio di
Stato.
In tal modo fu risolto per un certo tempo il problema
finanziario a vantaggio della ricostruzione del paese, la vita
economica si normalizzò e, nello stesso tempo, si indebolirono
le posizioni economiche della borghesia.
Il Potere popolare non poteva
sussistere poggiando sulla vecchia
base economica e sociale. Con
tali fondamenta esso non poteva adempiere con successo i com­
piti della ricostruzione, tanto meno quelli prospettati dallo
sviluppo del paese sulla via del socialismo.
Tale sviluppo richiedeva assolutamente profonde trasforma­
zioni economiche e sociali nonché l’edificazione di una base
nuova, socialista, dell’economia.
E’ ben vero che subito dopo la Liberazione, nel campo delle
trasformazioni economiche e sociali il compito più urgente
Creazione del settore so­
cialista dell’economia
201
erano le trasformazioni di carattere democratico, antimperialista
e antifeudale, in quanto inevitabile e logica continuazione della
rivoluzione popolare.
Tuttavia, nelle nuove condizioni politiche in cui il Potere
aveva cominciato a esercitare le funzioni della dittatura del
proletariato, il Partito non poteva aspettare, e difatti non aspet­
tò, che tutti i compiti democratici fossero completamente risolti
prima di affrontare la soluzione dei compiti di carattere so­
cialista nel campo socio-economico. Il rapporto delle forze poli­
tiche e classiste in Albania permetteva che, parallelamente
alla attuazione delle trasformazioni democratiche, si passasse
immediatamente anche all’attuazione delle trasformazioni di
carattere socialista.
Di tali trasformazioni, la più importante e decisiva era
la socializzazione dei principali mezzi di produzione mediante
la loro nazionalizzazione.
Il controllo dello Stato sulla produzione e la distribuzione,
istituito sin dal dicembre 1944, servì da primo passo, da misura
preparatoria alla nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione. Questo controllo costituiva, al tempo stesso, una forma
di controllo operaio. Esso comprendeva le imprese a capitale
nazionale ed estero che risultavano importanti per tutta l’eco­
nomia popolare.
Tale controllo veniva esercitato mediante i commissari
designati dallo Stato.
Gli operai, sotto la guida del Partito e con l’aiuto dei com­
missari, parteciparono attivamente all’organizzazione della pro­
duzione e alla direzione delle imprese. Essi ebbero così la possibi­
lità di collaudare le proprie forze e di acquistare l’esperienza
necessaria per dirigere la produzione. Il controllo operaio permise
di conoscere le capacità produttive delle imprese, le fonti e le
riserve di materie prime, di materiali e di combustibili. La
classe operaia si preparò così a prendere in mano le imprese
e ad assumerne la direzione dopo la loro nazionalizzazione.
Nel dicembre del 1944 si procedette alla nazionalizzazione
delle miniere e dei beni degli emigrati politici. Un mese più
tardi fu promulgata la legge sulla confisca dei beni dei sud­
diti italiani e tedeschi in Albania. Con l’applicazione di tale
legge la Banca Nazionale, le altre banche e i beni delle 111
società per azioni dei capitalisti stranieri passavano, senza alcun indennizo, nelle mani dello Stato albanese, divenendo
patrimonio comune del popolo albanese. Nell’aprile del 1945,
202
tutti i mezzi di trasporto appartenenti a proprietari privati
furono requisiti dietro un indennizzo stabilito.
Queste nazionalizzazioni rivestirono una grande importanza.
La liquidazione delle posizioni economiche del capitale stra­
niero pose termine alla dipendenza economica del paese dalle
potenze imperialistiche, consolidando ancor più la sua indipen­
denza politica.
Dal punto di vista della forma, le nazionalizzazioni del
1945 erano provvedimenti di carattere generale democratico.
Mentre per il loro contenuto economico e sociale, esse rappre­
sentavano trasformazioni che superavano tali limiti. Le nazio­
nalizzazioni vennero attuate nell’interesse delle masse lavoratrici
e i mezzi nazionalizzati furono messi interamente e direttamente al loro servizio. Perciò tali nazionalizzazioni costituivano,
in sostanza, una socializzazione di carattere socialista dei prin­
cipali mezzi di produzione. Sulla loro base sorse il settore
statale socialista nell’economia popolare.
Nel luglio del 1945, nelle città furono istituite le prime coo­
perative di consumo per gli operai e gli impiegati. Erano le
prime organizzazioni economiche di massa. Nelle condizioni
in cui il settore statale nel commercio era ancora molto limi­
tato, esse assolvevano un’importante funzione per il regolare
approvvigionamento dei lavoratori delle città, per la lotta
contro la speculazione e il mercato nero. Parallelamente al­
l’istituzione delle cooperative di consumo, il Partito svolgeva
una vasta opera di chiarimento e di persuasione tra gli arti­
giani per convincerli alla cooperazione.
La creazione dei settori socialisti dell’economia fu accom­
pagnata da importanti provvedimenti in favore degli operai
e degli impiegati. Fu istituita la giornata lavorativa di 8 ore.
Fu stabilito salario uguale per lavoro uguale, indipendentemente
dall’età e dal sesso, nonché il diritto alle ferie pagate di 15
giorni all’anno. La disoccupazione scomparve quasi totalmente.
Queste conquiste rivoluzionarie migliorarono in una certa
misura le condizioni di vita dei lavoratori e rassodarono il
terreno per nuove vittorie nello sviluppo economico e sociale
del paese su basi socialiste.
Nel settore dell’agricoltura, il più
acuto problema, la cui soluzione
non poteva essere rimandata, era
quello dell’abolizione dei vecchi rapporti agrari. Tale problema
Per l’abolizione dei vecchi
rapporti agrari
203
aveva attinenza con la radicale risoluzione della contraddizione
antagonistica tra i contadini lavoratori e i grandi proprietari
terrieri, cioè con la più importante trasformazione democràtica
rimasta ancora da compiere. Era questo, adesso, il principale
campo d’azione per il rafforzamento dell’alleanza della classe
operaia con le masse rurali. Perciò il Partito dedicò all’attua­
zione di tale compito una cura particolare.
Durante il primo semestre del 1945 furono adottate al­
cune misure che alleviavono in qualche misura la difficile
situazione economica delle masse contadine lavoratrici. Venne
promulgata la legge che annullava tutti i vecchi fitti non
ancora pagati, e fissava, per quelli degli anni 1944-1945, una
riduzione sino al 75 per cento. Ma questa non era che una
mezza misura, la quale non incontrò l’unanime approvazione
dei contadini poveri che non pagarono le percentuali fissate
per i fitti. Di lunga più importanti furono i seguenti provvedi­
menti: la nazionalizzazione di tutto il sistema d’irrigazione
(sino allora privato), che fu dato in uso comune ai contadini;
l’annullamento di tutti i debiti a tasso usurario (contratti fino
alla Liberazione del paese), che gravavano principalmente sui
contadini poveri.
Il PCA si rendeva conto che questi erano soltanto prov­
vedimenti transitori perche il provvedimento fondamentale che
avrebbe capovolto la situazione in favore delle masse conta­
dine lavoratrici, era la riforma agraria, dando loro la terra.
Immediatamente dopo la Liberazione, il Partito lanciò la parola
d’ordine: «La terra a chi la lavora!»
La Legge sulla Riforma Agraria fu promulgata nell’agosto
del 1945. A termini di tale legge, i latifondi demaniali, le
proprietà delle istituzioni religiose e tutti i terreni privati di
superficie superiore a quella prevista, venivano espropriati e
alienati. La superficie massima lasciata ai vecchi proprietari
èra fissata a 40 ha in caso di conduzione modello diretta dal
proprietario stesso; a 20 ha quando questi lavorava o gestiva
personalmente la terra; a 7 ha quando il proprietario non
la coltivava personalmente, ma s’impegnava di farlo entro il
termine di due anni.
Nelle condizioni dell’Albania, dove la superficie totale delle
terre coltivabili era molto ridotta, l’estensione di 20-40 ettari
lasciata ai proprietari era eccessiva. Con fondi tanto estesi,
parecchi grandi proprietari terrieri conservavano le loro posi­
zioni nelle campagne, la potenza economica del contadino
204
ricco (del kulak) non era assolutamente menomata, mentre,
d’altro canto, molti contadini poveri restavano senza terra.
Questo difetto della Legge della Riforma Agraria era una
diretta conseguenza dell’influenza di Sejfulla Malëshova e delle
sue concezioni opportunistiche, nonché dei rappresentanti del
PCJ.
Le terre che superavano l’estensione stabilita venivano
espropriate senza indennizzo. Esse vennero distribuite gratuita­
mente, a titolo di proprietà privata, ai contadini che avevano
poca terra o che non ne possedevano affatto. Ogni capo fa­
miglia riceveva sino a 5 ha di terra. La vendita, l’acquisto e
il fitto dei fondi erano vietati.
Una parte delle terre espropriate divenne proprietà dello
Stato. Su tali terre furono create le aziende agricole statali,
che segnarono la nascita del settore statale socialista in agri­
coltura. Inoltre divennero proprietà comune del popolo le
foreste, le acque e le risorse del sottosuolo.
Prima e dopo la promulgazione della Legge sulla Riforma
Agraria, il Partito compì, soprattutto fra i comunisti delle
campagne e i contadini lavoratori, un grande lavoro di chiari­
mento circa gli scopi di questa riforma.
Esso li mise in guardia avvertendoli che la reazione avreb­
be fatto uso di tutti i mezzi per ostacolare l’applicazione della
Riforma Agraria, per far scemare l’entusiasmo dei contadini
e per presentare il Governo Democratico come incapace agli
occhi del popolo. Il Comitato Centrale raccomandava di consi­
derare la Riforma Agraria come una grande azione politica.
La sua applicazione avrebbe stretto ancor più le masse rurali
intorno al Partito.
Per una sollecita e giusta applicazione della Riforma Agra­
ria, il Partito creò i comitati dei contadini poveri. Questi
esplicarono un’importante funzione nell’esatta delimitazione del­
le terre statali, delle terre dei latifondisti e dei nemici del
popolo e nella compilazione degli elenchi delle famiglie conta­
dine senza terra o con poca terra. Essi aiutarono a spartire
le terre espropriate e soprattutto a mobilitare le masse lavora­
trici delle campagne per scoprire e combattere l’attività ostile
dei grandi proprietari terrieri e delle altre forze reazionarie
che si erano levate sin dall’inizio contro la riforma. La crea­
zione dei comitati dei contadini poveri e il gran lavoro da essi
compiuto aiutarono notevolmente a elevare la coscienza politica
di classe dei contadini poveri.
205
3. CONSOLIDAMENTO DELLO STATO DI DEMOCRAZIA
POPOLARE COME FORMA DI DITTATURA
DEL PROLETARIATO
Nel settembre del 1945 il Consiglio Antifascista di Libera­
zione Nazionale promulgò la legge sulle elezioni per l’Assemblea
Costituente.
Ai termini di tale legge, le elezioni, fissate per il 2 dicembre
1945, sarebbero state democratiche e libere, a suffragio univer­
sale, uguali, dirette e a scrutinio segreto. Il diritto di voto
era riconosciuto a tutti i cittadini albanesi, senza distinzione
di sesso, che avessero compiuto i 18 anni d’età. I combattenti
dell’Esercito di Liberazione Nazionale godevano di questo diritto
senza limiti di età. La legge escludeva dal diritto di voto gli
ex ministri dei governi quisling, i criminali di guerra e tutti
coloro che erano stati privati dei diritti civili.
Le elezioni per l’Assemblea Co­
stituente erano per il Partito
la più importante azione poli­
tica, una grande prova della sua maturità e delle sue capacità or­
ganizzative, dei suoi legami con le masse e della risolutezza
del popolo a procedere sulla via del Partito. Il PCA mobilitò
tutte le proprie forze per vincere questa nuova battaglia poli­
tica con la parola d’ordine: «Per la Repubblica Popolare».
Al IV Plenum del CC che esaminò la questione delle ele­
zioni per l’Assemblea Costituente, il compagno Enver Hoxha
diceva: «Il popolo deve vedere concretamente che gli uomini
che hanno liberato la Patria dall’occupatore e dai traditori
sono in grado di governare, sono in grado di ricostruire e di
migliorare la vita economica e sociale del paese. I compagni
debbono uscire dalla campagna elettorale avendovi acquistato
una grande esperienza; sia questa per essi una scuola e li
armi per la soluzione degli altri grandi problemi che dovranno
affrontare»*.
Il Partito diede la direttiva di trasformare le elezioni in un
grande plebiscito popolare, di assicurare la totale partecipazione
degli elettori e la completa vittoria del Fronte a queste eleIl popolo risoluto a proce­
dere sulla via del Partito
* Enver Hoxha. Rapporto al IV Plenum del CC del PCA, 17 otto­
bre 1945. Opere, vol. 3, pp. 164-165.
206
zioni. Esso decise che fosse presentata un’unica lista di can­
didati del Fronte. Però, in seguito alle deviazioni opportunisti­
che di Sejfulla Malëshova, un certo numero di rappresentanti
della reazione furono inclusi in questa lista e venne proposta
al clero cattolico una coalizione elettorale.
Le forze reazionarie interne ed esterne si sforzarono di
sfruttare per i propri fini la campagna elettorale.
Approfittando delle disposizioni di legge, la reazione in­
terna decise in principio di presentarsi alle elezioni con le
proprie liste, come blocco contro il Fronte. Ma quando questo
primo tentativo fallì, non avendo trovato alcun appoggio fra
il popolo, la reazione cambiò tattica e decise di boicottare le
elezioni, invitando il popolo ad astenersi dal voto con il pre­
testo che «non c’era democrazia», che si era in presenza della
«dittatura di un solo partito». In questo quadro Gjergj Kokoshi,
uno dei principali portavoce della reazione e ex membro del
CALN, abbandonò in modo dimostrattivo il Fronte. L’organizazione illegale «Bashkimi Shqiptar» («l’Unione Albanese»), di­
retta dal clero cattolico reazionario, giunse a far uso persino
del terrore, in collaborazione con i criminali di guerra latitanti.
Altri rappresentanti della reazione che erano rimasti nel
Fronte non si sentivano forti a sufficienza per creare un’op­
posizione aperta. Perciò decisero di rimanervi sino alla fine
delle elezioni, con l’intenzione di essere eletti all’Assemblea
sotto la bandiera del Fronte, e creare in seguito al suo interno
un gruppo, una opposizione «legale» o un partito distinto.
I diretti ispiratori e organizzatori dell’attività ostile della
reazione interna erano gli imperialisti americani e inglesi, i
quali non lasciarono nulla d’intentato affinché il Fronte subisse
una sconfitta politica alle elezioni. Orchestrarono una campagna
di propaganda contro il Fronte e il PCA e chiesero arrogante­
mente al Governo Democratico di permettere agli ufficiali delle
loro missioni militari a Tirana di controllare la campagna
elettorale, senza esserne ostacolati. Utilizzarono in particolar
modo la questione del riconoscimento del Governo Democra­
tico d’Albania come mezzo di pressione. I governi americano
e britannico fecero sapere che avrebbero riconosciuto il go­
verno albanese solo quando «si fossero assicurati che le elezioni
sarebbero state libere». Ciò costituiva un tentativo di ingerirsi
negli affari interni del paese, poiché infatti la legge elettorale
e tutta l’attività del potere popolare garantivano lo svolgersi
di elezioni completamente libere.
207
li governo americano pose anche un’altra condizione. Esso
chiese in tale occasione che fossero riconosciuti tutti gli ac­
cordi conclusi fra gli Stati Uniti d’America e l’Albania prima
del 7 aprile 1939.
Il PCA respinse con fermezza tutti i nuovi tentativi degli
imperialisti e non permise alcuna ingerenza negli affari interni
dell’Albania. Esso denunciò gli obiettivi e la tattica della rea­
zione esterna ed interna, riuscendo a isolare le forze avverse
e consolidando così ancor di più l’unione politica del popolo
intorno a sè.
Nel periodo in cui la campagna elettorale era al suo cul­
mine, nel novembre 1945, il governo dell’Unione Sovietica
riconobbe ufficialmente il Governo Democratico dell’Albania.
Così fecero pure la Jugoslavia e la Polonia, e poi la Bulgaria,
la Cecoslovacchia, la Francia ed altri paesi. Ciò rafforzò la
posizione internazionale del potere popolare in Albania, conso­
lidando la fiducia delle masse popolari nell’avvenire del paese.
Alle elezioni del 2 dicembre presero parte circa il 90 per
cento degli iscritti. Il 93 per cento dei votanti si pronunciarono
per i candidati del Fronte democratico. Queste furono le prime
elezioni democratiche sotto tutti gli aspetti che mai si fossero
svolte nel paese. Esse costituirono una grande scuola politica
per il popolo, per il Fronte e per il Partito stesso. Il PCA
conseguì una grande vittoria, mentre la reazione subì una
grande sconfitta.
Questa vittoria esprimeva la piena approvazione della po­
litica del Partito da parte del popolo albanese libero e sovrano
e la sua risoluzione a procedere senza esitazione sulla via
tracciatagli dal Partito.
L’11 gennaio 1946 l’Assemblea
Costituente, esperimendo la vo­
lontà del popolo, proclamò al­
l’unanimità l’Albania Repubblica
Popolare e designò il nuovo governo con a capo il compagno
Enver Hoxha.
Il PCA sottopose il progetto di Costituzione, elaborato dal
governo, all’apprezzamento di tutto il popolo. La pubblica
discussione di tale progetto, proseguì per due mesi. Le proposte
presentate dalle masse popolari costituivano un prezioso contri­
buto al rafforzamento del contenuto rivoluzionario della Costi­
tuzione. Il 14 marzo 1946, l’Assemblea adottò la Costituzione.
Proclamazione della Re­
pubblica Popolare d’Alba­
nia
208
Dopo di che, l’Assemblea Costituente si trasformò in Assem­
blea Popolare, quale supremo organo del Potere statale della
Repubblica Popolare d’Albania.
La nuova Costituzione democratica sanciva le storiche con­
quiste realizzate e rifletteva i mutamenti avvenuti nel sistema
politico ed economico del paese dopo l’instaurazione del potere
popolare. Essa incarnava gli inizi del processo di sviluppo del
paese sulla via del socialismo e schiudeva nuovi orizzonti per
ulteriori trasformazioni economiche e sociali.
Innanzi tutto, la Costituzione definiva il principio fondamentale della struttura e dell’attività del potere popolare: il
potere emana dal popolo e appartiene al popolo.
In base alla Costituzione i principali mezzi della produ­
zione sociale erano costituiti dal patrimonio comune del popolo,
dal patrimonio cooperativistico e da quello privato. Il settore
privato era sottoposto al controllo dello Stato.
Come base del sistema socio-economico veniva stabilita
la proprietà sociale (i settori socialisti dell’economia — il settore
statale e quello cooperativistico). Affinchè l’economia socialista
si potesse sviluppare e consolidare costantemente la Costitu­
zione prevedeva il diritto dello Stato di limitare e di espro­
priare il patrimonio privato, quando ciò fosse richiesto dal­
l’interesse generale della società. Su tali basi giuridiche era
possibile nazionalizzare interi rami deireconomia o particolari
aziende economiche. La creazione dei monopoli, dei trusts e dei
cartelli era vietata.
Al fine di difendere gli interessi vitali del popolo e di
elevare il livello del suo benessere, lo Stato veniva incaricato
di dirigere la vita e lo sviluppo del paese sulla base di un
piano generale. Per la realizzazione di tale piano, lo Stato si
basava nella diretta partecipazione delle masse lavoratrici.
La Costituzione proclamava il lavoro un onore e un dovere
per tutti. Essa sanciva il principio secondo cui ogni cittadino
ha il diritto di essere rimunerato in base al lavoro prestato
e alle sue capacità.
La Costituzione enunciava il principio di elezioni libere a
suffragio diretto, universale, uguale e a scrutinio segreto. Es­
sa riconosceva agli elettori il diritto di revocare i loro rappresen­
tanti nei vari organi del Potere, garantiva la libertà di riunio­
ne, di organizzazione, di parola e di credenza, nonché le condi­
zioni necessarie per la salvaguardia e l’effettiva applicazione
di questi diritti.
209
Tali erano alcuni dei fondamentali princìpi della prima
Costituzione della Republica Popolare d'Albania. Con l’adozione
della Costituzione fu portato a compimento il processo di orga­
nizzazione politica del sistema di democrazia popolare come
Stato di dittatura del proletariato.
La dittatura del proletariato, come viene definita dalla
teoria marxista-leninista, è una legge generale, una necessità
storica per il passaggio dal capitalismo al comunismo. Anche
in Albania essa avrebbe servito come arma principale per la
distruzione del vecchio sistema di sfruttamento latifondisticoborghese e per la costruzione della società socialista senza
sfruttamento dell’uomo dall’uomo, al fine di portare questa so­
cietà in avanti fino al socialismo, dove le classi si estinguono
completamente.
Un aspetto particolare della dittatura del proletariato nel
nostro paese consiste nel fatto che essa nacque e si sviluppò
in quanto Stato di democrazia popolare.
Questa forma era dettata dalle condizioni storiche della
rivoluzione, che assunse un carattere popolare sempre più pro­
fondo e ampio, come rivoluzione democratica antimperialistica
nella sua prima tappa e che, sviluppandosi senza interruzione,
divenne rivoluzione socialista subito dopo la Liberazione del
paese. La dittatura del proletariato nella forma di democrazia
popolare era il prodotto della rivoluzione popolare ininterrotta,
era la continuazione del potere popolare creato durante la
Lotta di Liberazione Nazionale, dopo la distruzione dalle fondamenta dell’apparato statale degli occupanti e delle principali
classi reazionarie latifondistico-borghesi.
I consigli popolari, diretti continuatori dei consigli di libe­
razione nazionale, divennero la base politica della dittatura del
proletariato.
L’alleanza della classe operaia e dei contadini, come su­
premo principio della dittatura del proletariato, si incarnò nel
Fronte Democratico, diretto continuatore del Fronte di Libera­
zione Nazionale.
La rivoluzione democratica antimperialista e la rivoluzione
socialista in Albania costituiscono, quindi, gli anelli di un’ unica
rivoluzione, portata a termine sotto la guida esclusiva e inscindi­
bile del partito marxista-leninista della classe operaia. Il conse­
guimento della piena indipendenza nazionale e l’instaurazione
del potere democratico, che erano gli obiettivi strategici della
rivoluzione democratica antimperialista, gettarono le basi e
210
crearono le condizioni indispensabili per l’immediato passaggio
alla rivoluzione socialista. Nella nuova tappa della rivoluzione
quale obiettivo strategico del Partito divenne la soppressione
della base economica del capitalismo e l’edificazione delle basi
del socialismo tramite la dittatura del proletariato.
4. ORIENTAMENTI DEL PARTITO PER
L’APPROFONDIMENTO DELLA RIVOLUZIONE
E LA COSTRUZIONE DELLE BASI DEL
SOCIALISMO. ELIMINAZIONE DELLE
MANIFESTAZIONI OPPORTUNISTICHE
Le trasformazioni socio-economiche dell’anno 1945 avevano
posto le prime fondamenta dello sviluppo dell’Albania sulla
via del socialismo. Si trattava adesso di procedere a rapidi
passi su tale via.
Tuttavia la soluzione di questo problema era ostacolata
dalle vedute e dagli atteggiamenti opportunistici che si erano
manifestati nell’applicazione della linea del Partito. Portatore
di questi era Sejfulla Malëshova, ex membro dell’Ufficio Po­
litico del CC del Partito. L’opportunismo di Sejfulla Malëshova era una diretta manifestazione di cedimento dinanzi
alla forte pressione esercitata dalle classi rovesciate e soprat­
tutto dagli imperialisti americani e inglesi sul Governo Demo­
cratico e sulla direzione del PCA.
Le manifestazioni di opportunismo erano state severa­
mente criticate e condannate alla riunione dell’Ufficio Politico
del dicembre 1945, ma Sejfulla Malëshova, sebbene non avesse
trovato alcun sostegno alle sue vedute, continuava a sostenerle
ostinatamente.
Nel febbraio 1946 venne convo­
cato il 5° Plenum del CC del
PCA, onde definire gli orienta­
menti del Partito attinenti all’approfondimento della rivolu­
zione e alla costruzione delle basi del socialismo.
Il Plenum pose in evidenza che la linea del Partito era
stata gravemente danneggiata dalle vedute opportunistiche so­
stenute da Sejfulla Malëshova in campo politico ed economico.
Sejfulla Malëshova professava l’opinione secondo cui il
nuovo sistema democratico instaurato in Albania avrebbe do­
Il 5° Plenum del CC del
PCA
211
vuto essere un sistema del tipo democratico borghese. Egli
preconizzava l’attenuazione della lotta di classe, sopravvalutava
la forza delle classi rovesciate e non aveva fiducia nella forza
del Partito e del popolo. Era per una piena libertà d’azione
nel settore capitalistico privato, per il suo incontrollato e illimi­
tato sviluppo, si pronunciava contro l’appoggio al settore coope­
rativistico nelle città e nelle campagne. Egli era, in essenza,
contrario all’edificazione del socialismo e fautore del libero
sviluppo del capitalismo.
In materia di politica estera, stando alle sue opinioni, i de­
stini della libertà e dell’indipendenza dell’Albania, i destini del
Potere popolare dipendevano dalle concessioni politiche ed econo­
miche che si dovevano accordare all’imperialismo americano e
inglese. Chiedeva che non si facesse alcuna distinzione tra
l’Unione Sovietica, da una parte, e gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna, dall’altra, e che si tenesse lo stesso atteggiamento nei
rapporti con essi.
Con le proprie vedute opportunistiche di destra, Sejfulla
Malëshova era divenuto l’interprete e il difensore degli interessi
della borghesia locale e dell’imperialismo in seno al Partito,
trasformandosi in loro servitore. Tali concezioni, se non fos­
sero state smascherate e combattute, avrebbero messo in peri­
colo la linea del Partito e ostacolato l’edificazione del socia­
lismo in Albania. La loro eliminazione era divenuta una que­
stione urgente e di vitale importanza.
Il 5° Plenum del CC del PCA stigmatizzò e rigettò senza
esitare tali concezioni. Dato che Sejfulla Malëshova continuava
a insistere nelle proprie convinzioni, il Plenum lo espulse
dall’Ufficio Politico e dal Comitato Centrale del Partito.
Dopo aver annientato l’opportunismo di Sejfulla Malëshova,
il Comitato Centrale orientò il Partito verso lo sviluppo in
profondità della rivoluzione socialista sul fronte politico, econo­
mico e ideologico. Esso definì nelle loro grandi linee le princi­
pali direttrici per l’edificazione delle basi del socialismo.
Il primo compito prospettato concerneva il totale passaggio
dell’industria, del commercio interno all’ingrosso e del com­
mercio estero nelle mani dello Stato. Nelle città e nelle cam­
pagne sarebbero state istituite le cooperative di produzione e
di consumo. Lo Stato doveva esercitare un rigoroso controllo
sul settore privato e limitare costantemente gli elementi ca­
pitalisti. Il compagno Enver Hoxha definì come segue il corso
che doveva seguire il Partito in economia: «Ogni cosa per il
212
rafforzamento del settore di Stato, lotta spietata al capitale
privato, massimo aiuto possibile dello Stato alle cooperative
di consumo e di produzione...»*.
Al fine di assicurare lo sviluppo delle forze produttive
e lo sfruttamento delle risorse naturali, fu impartito l’orienta­
mento generale di creare l’industria socialista, di sfruttare le
miniere e le industrie esistenti, nonché di aprire nuove miniere
ed altre imprese.
Nella via iniziata per la soppressione dei vecchi rapporti
agrari, fu deciso che la riforma agraria doveva essere compiuta
in modo radicale, che bisognava portarne l’applicazione fino in
fondo e cominciare la collettivizzazione dell’agricoltura. Con­
temporaneamente dovevano essere istituite aziende agricole sta­
tali modello. Lo Stato doveva assistere i lavoratori delle cam­
pagne con mezzi finanziari e attrezzi da lavoro, nonché limitare
i kulak. Come principali indirizzi di sviluppo delle forze pro­
duttive nelle campagne, vennero stabiliti: la meccanizzazione
dell’agricoltura, la soppressione del suo carattere unilaterale,
la diffusione di
nuove colture, lo sviluppo della zootecnia, il
miglioramento e la bonifica dei terreni.
Al fine di approfondire la rivoluzione nel campo dell’istru­
zione e della cultura, in quanto parte integrante della rivo­
luzione socialista, il Plenum raccomandò che la riforma del­
l’insegnamento fosse compiuta sulle seguenti basi: l’istruzione e
la cultura dovevano diventare patrimonio delle grandi masse
del popolo e non esser più privilegio di una minoranza, la
scuola doveva essere spogliata del suo vecchio spirito e impre­
gnata d’uno spirito nuovo, rivoluzionario. Soprattutto, era ne­
cessario eliminare l’analfabetismo.
La formazione di una nuova intellighenzia plasmata con
la concezione marxista-leninista del mondo rivestiva un’impor­
tanza decisiva per l’edificazione del socialismo.
Nel campo della politica estera, venne rilevato che il Partito
doveva lottare per la difesa della libertà e dell’indipen­
denza della Patria, per il rinsaldamento dell’amicizia con
l’URSS e i paesi a democrazia popolare, per la difesa della
pace nel mondo. Il Plenum raccomandò particolarmente di
adottare un atteggiamento reciso, risoluto e di principio nei
confronti dell’imperialismo americano e inglese, da cui prove* Enver Hoxha. Rapporto presentato al 5° Plenum del CC del
PCA, 21 febbraio 1946. Opere, vol. 3, p. 272.
213
niva il principale pericolo per l’indipendenza nazionale e il
regime democratico popolare.
L’arma decisiva per affrontare i nuovi compiti prospettati
dallo sviluppo socialista era pur sempre il potere popolare.
Il Plenum espresse l’orientamento di rafforzare e democratiz­
zare il potere non solo nel suo contenuto, ma anche nella sua
struttura, nella composizione dell’apparato amministrativo. I
vecchi specialisti, che lavoravano in questo apparato, dovevano
esser mantenuti sotto costante controllo al fine di evitare la
penetrazione dei metodi burocratici. Allo scopo di rafforzare il
Fronte, vennero date istruzioni per la radicale epurazione delle
sue file dagli elementi ostili.
Infine, l’attuazione di tutti i compiti per l’approfondimento
della rivoluzione e l’edificazione delle basi del socialismo esi­
geva necessariamente il rafforzamento del Partito stesso, l’ele­
vamento a un più alto livello della sua funzione direttiva e
organizzativa in tutta la vita del paese. Per tale motivo venne
accettata l’idea prospettata dal 4° Plenum, nell’ottobre del 1945,
per la convocazione del I Congresso del Partito e fu stabilito
che tale congresso sarebbe stato tenuto il 25 maggio 1946. Però,
a causa dell’ingerenza della direzione del PCJ, questa decisione
restò lettera morta e il congresso venne rimandato a tempo
indeterminato.
Le direttive del 5° Plenum del
CC vennero immediatamente
rispecchiate nella Costituzione
della Repubblica Popolare d’Al­
bania, il cui progetto era, in quel periodo, sottoposto all’esame
del popolo.
Dopo il Plenum ebbe inizio una nuova fase di nazionaliz­
zazioni. Le centrali elettriche, l’industria dei materiali da
costruzione e tutta l’industria leggera e alimentare esistenti,
per la maggior parte di proprietà della borghesia locale, pas­
sarono allo Stato. Alla fine del 1946, i principali mezzi di
produzione nelle città erano divenuti proprietà sociale e la
parte del settore statale costituiva l’87 per cento del volume
globale della produzione industriale. Alla fine del 1947, la
produzione dell’industria capitalistica privata era quasi comple­
tamente eliminata.
La socializzazione di carattere socialista dei principali mezzi
di produzione pose fine al dominio economico della borghesia.
Approfondimento delle tra­
sformazioni economiche, so­
ciali e culturali
214
Essa gettò le basi economiche della dittatura del proletariato.
Su tali fondamenta sorsero la proprietà sociale, i rapporti
socialisti di produzione e il settore socialista dell’economia nel­
l’industria, nel commercio, nei trasporti e nelle finanze. Le
aziende nazionalizzate divennero aziende socialiste.
La nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione in
Albania fu compiuta con ritmo celere e senza indennizzo. Ciò
avvenne come risultato della profonda differenziazione di classe
operatasi durante e dopo la Lotta di Liberazione Nazionale e
che aveva portato alla liquidazione del dominio politico della
borghesia. In tal modo era stato rimosso anche il principale
ostacolo per l’eliminazione della sua base economica.
Grazie ai provvedimenti presi anticipatamente dal Partito
e dal potere popolare, le nazionalizzazioni furono attuate senza
scosse e danni per l’economia.
Parallelamente al settore socialista di Stato, venne istituito
e si sviluppò anche il settore cooperativistico. Nel corso del
1946 vennero create decine di nuove cooperative di consumo
nelle città e di cooperative di compravendita nei villaggi. Alla
fine del 1946, le cooperative dell’artigianato comprendevano più
della metà di tutti gli artigiani.
Allo scopo di assicurare l’approvvigionamento di pane per
la popolazione, nel giugno del 1946 venne istituito il sistema
statale di compera, ammasso e vendita dei cereali. Tale prov­
vedimento rendeva impossibile ai commercianti privati qualsiasi
speculazione sul pane del popolo.
Nel luglio del 1946 fu attuata la Riforma monetaria, che
fissava una somma massima convertibile in nuovi biglietti
di banca per ogni famiglia. Questo provvedimento tolse di
mano agli elementi capitalisti buona parte dei mezzi monetari
di cui disponevano ed eliminò le gravi conseguenze dell’infla­
zione che pesavano sulle masse lavoratrici.
Il sistema di razionamento messo in vigore nel settembre
del 1946, assicurò una più giusta e regolare distribuzione dei
generi alimentari.
In un periodo in cui le scorte di generi alimentari erano
ridotte, l’istituzione del sistema di razionamento era indispen­
sabile. Questo sistema assicurava alle masse lavoratrici la
soddisfazione delle loro necessità essenziali, sbarrando la via
alla speculazione sui generi alimentari razionati. Il Partito
considerava giustamente il sistema di razionamento come un
215
provvedimento che sarebbe stato abolito non appena le nuove
condizioni economiche lo avrebbero permesso.
La creazione e l’estensione del settore socialista rese in­
dispensabile la direzione e l’organizzazione pianificata di tutta
la vita economica del paese. Nell’agosto del 1946 fu promulgata
la legge sul piano generale economico dello Stato e sugli
organi di pianificazione. La Commissione della pianificazione,
istituita nel 1945, fu riorganizzata e si mise subito all’opera per
preparare il piano economico generale per il 1947.
Nel maggio del 1946 la Legge sulla Riforma Agraria subì
alcune modifiche che le conferivano un più profondo contenuto
rivoluzionario. Tutti i terreni, le vigne, gli oliveti, i frutteti,
i fabbricati e gli attrezzi agricoli, di proprietà di persone che
non lavoravano essi stessi la terra, venivano espropriati. I
coltivatori e i proprietari che lavoravano personalmente la
loro terra, potevano conservare una superficie non superiore
a 5 ettari. L’alienazione e l’ipoteca dei terreni, a qualsiasi titolo,
erano vietate.
Queste modifiche assicuravano la piena applicazione del
principio «la terra appartiene a chi la lavora», abolivano la
grande proprietà terriera e ledevano la posizione economica
dei kulak.
Queste modifiche incontrarono un’aspra resistenza da parte
delle classi sfruttatrici. I grandi proprietari terrieri e i kulak
fecero ricorso a tutti i mezzi per ostacolare l’attuazione della
Riforma Agraria. Minacciando i contadini, essi li incitavano
a rifiutare la terra loro assegnata dalla riforma, intimidendoli
con lo slogan: «Il governo non verrà riconosciuto dalle grandi
potenze e il potere popolare sarà presto rovesciato». Il clero
reazionario propagandava l’idea che «la terra è sacra» e che
«chi la tocca verrà punito da Dio». In particolar modo svolge­
vano un’attività ostile una parte dei tecnici borghesi e i rap­
presentanti delle classi rovesciate che erano riusciti a infiltrarsi
nei comitati dei contadini poveri, nell’apparato statale e negli
organismi dell’agricoltura. Essi cercavano di lasciare ai grandi
proprietari fondiari e ai kulak le terre migliori o una superficie
superiore a quella loro assegnata dalla legge. I ricchi proprie­
tari cominciarono a sgozzare il bestiame e a distruggere gli
attrezzi da lavoro che dovevano essere consegnati ai contadini.
In alcuni casi, essi ricorsero a palesi atti di terrorismo contro
i militanti del Partito e del potere. Essi erano direttamente
sostenuti nella loro azione dalle missioni americana e inglese
216
a Tirana, le quali cercarono di sabotare la riforma, in particolar modo nella Myzeqe.
L’intero Partito, sollevando le masse dei contadini poveri
e organizzando un’aspra lotta contro il nemico di classe, si
mise in movimento per assicurare la piena attuazione della
Riforma Agraria. I lavoratori della città vennero a prestar man
forte ai contadini. Nel novembre del 1946, la riforma era stata
compiuta in tutta l’Albania. I contadini divennero i veri padroni
di quella terra su cui avevano lavorato e sparso il loro sudore
di generazione in generazione. Il Partito aveva realizzato il
loro sogno secolare. Circa il 90 per cento delle terre espropriate,
la metà degli ulivi e tutti gli animali da lavoro vennero distri­
buiti gratuitamente a 70.000 famiglie contadine, totalmente
sprovviste di terra o che ne avevano poca.
La riforma agraria fu la prima rivoluzione nei rapporti
economici e sociali delle campagne. La sua essenza era costituita
dalla trasformazione democratica dei rapporti agrari nelle cam­
pagne. Essa fece scomparire la grande proprietà terriera, spazzò
via per sempre i rimasugli del feudalismo e la classe dei
latifondisti. La limitazione della proprietà privata sulla terra,
il divieto di alienazione, affitto o ipoteca della terra, costitui­
vano altrettanti provvedimenti che impedirono la differenzia­
zione dei contadini in due poli opposti e ridussero all’estremo
i limiti del loro sfruttamento da parte dei kulak. Conseguente­
mente, la riforma agraria racchiudeva al tempo stesso elementi
di accentuato carattere anticapitalistico. Ciò avveniva per il
fatto che essa veniva attuata dalla dittatura del proletariato.
In tali circostanze, la Riforma Agraria, pur conservando
la piccola proprietà privata dei contadini che coltivavano la
terra, e accrescendo il numero dei contadini medi, riduceva le
possibilità di sviluppo del capitalismo nelle campagne.
L’attuazione della Riforma Agraria dimostrò che soltanto
la classe operaia e il suo partito sono in grado, dopo l’assun­
zione del potere politico, di compiere radicali trasformazioni
nei rapporti agrari.
La Riforma agraria rinsaldò in modo ancora maggiore,
su basi economiche, l’alleanza della classe operaia e delle masse
dei lavoratori agricoli, consolidando anche il potere popolare
stesso che aveva per base tale alleanza. I lavoratori delle
campagne serrarono ancor più le proprie file intorno al Partito
e si persuasero ancor più profondamente di quanto giusta fosse
la sua linea politica. Tutto ciò costituiva un importantissimo
217
sostegno per il Partito nella sua opera di progressiva trasfor­
mazione socialista delle campagne. Il lavoro compiuto dal PCA
per diffondere le idee di collettivizzazione fra i contadini, diede
i suoi frutti con l’istituzione, sin dal 1946, delle cooperative
agricole di produzione, la prima delle quali venne formata
a Krutje, nella Myzeqe.
Le trasformazioni economiche e sociali crearono nuove con­
dizioni che facilitavano lo sviluppo della rivoluzione culturale,
mentre l’attuazione dei nuovi compiti che prospettava l’edifi­
cazione socialista esigeva che tale rivoluzione si compisse rapi­
damente. La rivoluzione culturale trovò la sua prima espres­
sione nella Riforma dell’insegnamento dell’agosto 1946. In virtù
di questa Riforma, l’insegnamento diventava generale, gratuito,
uguale, laico e doveva essere impartito nella lingua materna.
La scuola assunse pienamente il carattere di un’istituzione
statale unificata. Le tasse scolastiche vennero abolite. L’insegna­
mento elementare divenne obbligatorio in tutta la Repubblica.
I nuovi piani, programmi e testi scolastici furono elaborati
dando loro un contenuto nuovo. Vennero aperte scuole elemen­
tari in tutti i villaggi. Parallelamente a ciò venne intensificata
la campagna di lotta per la soppressione dell’analfabetismo.
Uno dei fondamentali problemi che dovevano risolvere la
rivoluzione culturale e la rivoluzione socialista nel suo insieme,
era la creazione di una nuova intellighenzia. La soluzione di
questo problema, data l’estrema penuria di intellettuali alba­
nesi, rivestiva una vitale importanza. A tal fine un gran nu­
mero di figli del popolo furono inviati a compiere i loro studi
superiori all’estero, soprattutto in Unione Sovietica. Nonostante
le difficoltà economiche, lo Stato creò agli specialisti adatte
condizioni di lavoro, d’attività creatrice e d’esistenza. Il lavoro
costruttivo, educativo e il generoso appoggio del Partito per­
misero di rieducare numerosi vecchi quadri, di far loro abbrac­
ciare l’ideologia marxista-leninista e accettare la funzione diri­
gente del Partito.
Le nuove trasformazioni socialiste in campo economico,
sociale e culturale furono accompagnate dall’epurazione degli
elementi ostili dagli organi del potere popolare e dalle organiz­
zazioni del Fronte Democratico.
Una speciale legge estese i diritti e le attribuzioni degli
organi locali del potere e creò la Commissione di Controllo
dello Stato. Questa doveva permettere un più intenso controllo
delle masse lavoratrici sull’attività degli organi statali.
218
I nuovi provvedimenti rivoluzionari migliorarono la compo­
sizione sociale del Fronte Democratico. Questo era ormai esclu­
sivamente un’organizzazione politica delle masse lavoratrici.
Le trasformazioni socialiste e l’impeto rivoluzionario delle
masse permisero di ricostruire, nel corso del 1946, le principali
opere distrutte dalla guerra. Alla fine di tale anno la produ­
zione, sia industriale che agricola, raggiunse il livello del 1938.
Inoltre venne iniziata la costruzione di nuove opere, facendo
affidamento principalmente sul lavoro volontario. La gioventù
costruì la strada carrozzabile che congiunge Kukës a Peshkopi.
La palude di Maliq venne bonificata e furono aperti nuovi
canali d’irrigazione e di drenaggio. Nell’entusiasmo che ani­
mava l’opera di ricostruzione del paese, l’iniziativa e l’attività
creatrice delle masse lavoratrici presero nuovo impulso, ven­
nero organizzate le competizioni socialiste e nacque il movi­
mento d’urto, espressione di un nuovo atteggiamento nei con­
fronti del lavoro.
Il 5° Plenum del CC, che elaborò
le direttrici fondamentali dell’edi­
ficazione socialista e inferse un
grave colpo all’opportunismo, purtuttavia non scoperse né sop­
presse le radici di tale opportunismo: gli errati apprezzamenti
e orientamenti del 2° Plenum di Berat. Esso non denunciò né
eliminò l’ingerenza jugoslava negli affari interni del Partito,
non ristabilì l’unità e la guida collegiale nella direzione del Par­
tito. Conseguentemente, il Comitato Centrale incontrava grandi
ostacoli nel suo lavoro di direzione di tutta la vita del Partito
e del paese. Per il tramite dei loro agenti nel PCA, i revisionisti
jugoslavi compivano ogni sforzo per allontanare il Segretario
Generale dalla direzione degli affari del Partito, con il pretesto
che egli fosse sovraccarico di lavoro nella sua qualità di Presi­
dente del Consiglio dei Ministri. Tutta la direzione del Partito
era di fatto accentrata nelle mani di Koçi Xoxe, segretario
organizzativo del CC. S’era in tal modo creata una dualità
partito-potere. Ma in realtà Koçi Xoxe, facendo leva sull’auto­
rità del Partito, tentava di impossessarsi anche della gestione
del potere. Era riuscito a stabilire un tale sistema di lavoro
che ordinanze, decreti e leggi non potevano avere esecuzione
se non dopo esser stati corredati da particolari direttive del­
l’apparato del Comitato Centrale, recanti la sua firma. Questo
Le tesi per la revisione del
Plenum di Berat
219
metodo di lavoro aveva considerevolmente indebolito la fun­
zione degli organi statali, alimentava il burocratismo e ostaco­
lava la giusta e rapida soluzione dei problemi.
Tale situazione non offriva alcuna garanzia per la conserva­
zione della purezza della linea generale e per la felice attuazio­
ne da parte del Partito dei grandi compiti dell’edificazione socia­
lista e della difesa della libertà e dell’indipendenza nazionale.
Il compagno Enver Hoxha, il quale non era mai stato
convinto della giustezza degli apprezzamenti e delle decisioni
del Plenum di Berat, era giunto alla conclusione che questi
dovevano essere riveduti e corretti. Soltanto così si sarebbe
potuta ristabilire l’unità nella direzione del Partito. L’Ufficio
Politico e il Comitato Centrale avrebbero funzionato normal­
mente come organi dirigenti del Partito e della vita del paese
e sarebbe stata assicurata l’esecuzione delle direttive impartite
dal 5° Plenum circa l’edificazione delle basi del socialismo.
A tale scopo egli presentò, nel giugno del 1946, un parti­
colare rapporto sulla revisione del 2° Plenum del Comitato
Centrale.
Le principali tesi di tale rapporto erano le seguenti:
— La preparazione dei lavori del 2° Plenum era stata fatta
violando gravemente le norme della vita interna del Partito.
Le questioni sottoposte all’esame dell’Ufficio Politico prima del
Plenum non erano state prospettate collettivamente e in ma­
niera comunista, ma decise al di fuori dell’Ufficio, senza una
approfondita analisi marxista-leninista, sotto l’impeto delle pas­
sioni e dei pregiudizi e senza esser state precedentemente sot­
toposte a un libero dibattito d’opinioni. Esse erano state imposte
sotto la forma di un «colpo di Stato».
— Gli apprezzamenti e le conclusioni del Plenum di Berat
erano totalmente errati.
— Il Plenum di Berat aveva «offuscato, deprezzato, con­
dannato» la luminosa tappa della Lotta di Liberazione Nazionale.
— Era stata gravemente lesa l’indipendenza del PCA.
— I principali responsabili di ciò erano Velimir Stojnić
e Sejfulla Malëshova. «Velimir Stojnić si prendeva giuoco del
nostro Partito e della nostra gente». Fu lui a «dirigere e a far
prendere un indirizzo errato ai lavori del Plenum».
— Gli orientamenti del Plenum di Berat hanno avuto gravi
conseguenze per il Partito, e, se fossero stati mantenuti, sareb­
bero diventati estremamente pericolosi per esso.
220
Il compagno Enver Hoxha non sapeva ancora nulla del
retroscena di Berat, del complotto ordito dalla direzione del
Partito Comunista Jugoslavo, dell’identità di tutti i partecipanti
a tale complotto. Egli riteneva che i principali responsabili di
questo stato di cose fossero Velimir Stojnić e Sejfulla Malëshova,
coloro che avevano innalzato la bandiera dell’attacco antipartito
al 2° Plenum del Comitato Centrale. Koçi Xoxe, Pandi Kristo
e Nako Spiru non venivano criticati nel rapporto che per l’ap­
poggio da essi prestato a Velimir Stojnić e a Sejfulla Malëshova. Comunque, benché ignorasse i retroscena, il compagno
Enver Hoxha, analizzando da marxista i lavori del Plenum
di Berat, aveva acquistato la piena convinzione che la linea
del Partito vi era stata condannata senza alcuna giustifica­
zione, che il Partito non aveva commesso errori politici, che
la sua linea era stata giusta. Perciò egli chiedeva che le deci­
sioni di tale Plenum fossero annullate, che la verità storica
fosse ristabilita e venisse scongiurato il pericolo che minac­
ciava l’indipendenza del Partito e la sua linea marxista-leninista.
Queste giuste tesi del compagno Enver Hoxha incontrarono
l’opposizione dell’Ufficio Politico e non furono accettate da
Koçi Xoxe e Pandi Kristo. Costoro temevano infatti che una
minuziosa disamina di tali tesi e la loro eventuale adozione
ponessero in evidenza la loro attività antipartito e l’ostile in­
tervento del PCJ negli affari interni del PCA.
Neppure Nako Spiru ebbe il coraggio di rivelare franca­
mente la propria attività e quella degli altri partecipanti al­
l’organizzazione del retroscena di Berat. Sperando che il tempo
avrebbe cancellato il suo errore e che avrebbe avuto modo
di riscattare la sua colpa con il proprio lavoro, Nako Spiru,
dopo la presentazione delle tesi del compagno Enver Hoxha,
effettuò una svolta e cominciò ad appoggiare in ogni occasione
le giuste vedute del Segretario Generale. Da allora in poi
egli si battè risolutamente per la linea del Partito sulla questione
dell’edificazione del socialismo.
Non essendo state approvate le tesi presentate nel rapporto,
il compagno Enver Hoxha, sempre allo scopo di creare condi­
zioni che permettessero di correggere gli errori commessi e di
ristabilire l’unità in seno all’Ufficio Politico, chiese che questo
venisse ampliato con l’aggiunta di nuovi membri, sperimentati
nella lotta e nel lavoro. Ma anche quest’ultima proposta fu
contrastata da Koçi Xoxe e da Pandi Kristo e non venne
adottata.
221
Gli sforzi per normaliz­
zare la vita interna del
Partito
Le nuove condizioni createsi nel
paese dopo il trionfo della rivolu­
zione popolare, i nuovi compiti
storici che si prospettavano al
Partito, rendevano necessarie la soppressione delle restrizioni
del tempo di guerra nella democrazia interna del - Partito e
l’applicazione di tutte le norme marxiste-leniniste nella sua
vita organizzativa. Ma l’intervento della direzione jugoslava
e l’imitazione da parte di Koçi Xoxe dei suoi metodi e forme
trotskisti-revisionisti non permettevano l’attuazione di tale prov­
vedimento e avevano anzi portato a rilevanti deviazioni e
manchevolezze nella linea organizzativa. Per correggere questi
difetti e normalizzare la situazione, il compagno Enver Hoxha
propose che si procedesse a un’analisi del lavoro organizzativo
del Partito e dei rapporti fra Partito e Potere. Koçi Xoxe
stesso fu incaricato di presentare all’Ufficio Politico un rap­
porto su tale questione, ma su istigazione della direzione del
PCJ egli si sottrasse a tale compito e il rapporto richiesto non
venne mai presentato. E ciò per evitare che lo stesso Koçi Xoxe,
responsabile in prima persona delle deformazioni sulle questioni
organizzative, venisse colpito e per evitare che fosse svelata
l’ingerenza della direzione jugoslava e che venisse rettificata la
linea distorta che tale dirigenza imponeva al Partito Comunista
d’Albania.
Su istanza del compagno Enver Hoxha e di altri compagni
della direzione, il Comitato Centrale adottò tuttavia alcuni
provvedimenti per la normalizzazione della vita organizzativa
del Partito. In mancanza di uno statuto, esso emanò direttive
dettagliate che regolavano la vita interna del Partito, l’ammis­
sione di nuovi membri e i rapporti del Partito con il potere
e le organizzazioni di massa. Ma queste direttive non facevano
assolutamente menzione delle elezioni degli organi del Partito.
Più tardi, nel marzo del 1947, il Comitato Centrale decise che
si procedesse alle elezioni soltanto per i segretari delle cellule,
ma anche in questo caso non furono osservate tutte le norme
organizzative, poiché i segretari vennero eletti con voto palese.
Per gli uffici e i comitati del Partito non vi furono elezioni.
Un provvedimento di particolare importanza per la vita
interna del Partito fu l’epurazione delle sue file (la revisione)
attuata durante il 1946, e la distribuzione delle tessere. Al
termine della revisione, 1,246 persone, rappresentanti il 10 per
cento del numero totale dei membri e dei candidati, furono
222
espulse dal Partito. Molti di costoro non erano degni dell’alto
titolo di membro del Partito. Tuttavia la revisione non fu
pienamente attuata in base alle norme organizzative marxisteleniniste. In seguito ad una serie di errori, rimasero nel Partito
membri indegni di appartenervi, mentre altri ne furono in­
giustamente espulsi.
Dopo la revisione, il numero dei membri del Partito co­
minciò ad aumentare rapidamente. Nello spazio di un anno
esso crebbe a più di tre volte e mezzo. Questo fatto dimostrava,
da un lato, l’accresciuta autorità del Partito, ma d’altro canto
indeboliva la sua composizione e il suo spirito combattivo,
per il fatto che si badò soltanto all’aumento numerico trascu­
rando la questione della qualità. Ne derivò che persone as­
solutamente estranee o addirittura ostili al Partito vi penetras­
sero nuovamente. Mentre per quel che concerneva l’ammissione
delle donne, soprattutto nelle campagne, fu tenuto un atteggia­
mento settario.
Parallelamente ai suoi sforzi per normalizzare la vita orga­
nizzativa del Partito, il Comitato Centrale prese provvedimenti
anche per l’elevamento del livello teorico dei comunisti, il
quale era abbastanza basso. Questo compito era tanto più
urgente, in quanto molte organizzazioni del Partito non consi­
deravano lo studio della teoria marxista-leninista come un’im­
periosa necessità. A tal fine vennero istituiti corsi e circoli
teorici, organizzando altresì lo studio individuale. Oltre a ciò
venne ampliata l’agitazione e la propaganda tra le masse
popolari, impiegando per questo nuove forme e nuovi mezzi.
L’opera di approfondimento del­
la rivoluzione incontrò la tenace
resistenza dei nemici di classe.
Gli imperialisti e la reazione interna, nonostante gli scacchi subiti
in Albania, non potevano accettare né l’esistenza del potere po­
polare, né le trasformazioni rivoluzionarie economiche e sociali.
Non avendo potuto raggiungere lo scopo prefissosi in occasione
delle elezioni per l’Assemblea Costituente, i governi americano
e inglese elaborarono un nuovo piano di misure contro la
Repubblica Popolare d’Albania, al fine di creare una situazione
tesa nel paese. Questa situazione doveva permettere di pro­
vocare incidenti che servissero di pretesto agli imperialisti per
compiere un intervento armato dall’esterno e per giustificare
tale intervento dinanzi all’opinione pubblica internazionale.
Inasprimento della lotta di
classe
223
Cosi la propaganda imperialistica scatenò una furiosa cam­
pagna contro il regime di democrazia popolare, incitando il
popolo albanese a sollevarsi contro di esso. I centri di spionag­
gio angloamericani riunirono in campi speciali, in Grecia e
in Italia, i fascisti, gli zoghisti e i ballisti fuggiti all’estero,
istruendoli a compiere azioni militari e di diversione e prepa­
randoli così al prossimo attacco comune che doveva essere
sferrato dall’estero e dall’interno contro i «comunisti». Unità
della marina inglese incrociavano in modo dimostrativo nelle
acque territoriali della RPA, sparando di tanto in tanto in
direzione della costa albanese.
Frattanto, le missioni militari americana e inglese in Al­
bania mettevano in movimento la reazione interna. Esse orga­
nizzarono in un gruppo distinto alcuni reazionari che erano
stati eletti deputati nel dicembre del 1945. Costoro si pronun­
ciavano apertamente contro le trasformazioni socialiste e s’in­
gegnavano di creare ogni sorta d’ostacoli all’adozione e all’ap­
plicazione delle leggi.
La missione americana in particolare si era incaricata di
disorganizzare l’economia mediante atti di sabotaggio diretti
contro le principali opere di costruzione e di produzione. Grup­
pi di sabotatori, composti di specialisti borghesi venduti allo
straniero, agivano sotto la sua direzione a Maliq (dove si
lavorava per il prosciugamento della palude), nei cantieri di
costruzione dei ponti, all’azienda del petrolio di Kuçovë, alla
miniera di rame di Rubik e altrove.
Nel settembre del 1946, le bande controrivoluzionarie sfer­
rarono un attacco armato contro la città di Shkodër. Nelle
intenzioni dei suoi organizzatori, questo colpo di mano doveva
servire come punto di partenza per un intervento militare
dall’estero. Ma i conti non tornarono per i nemici, poiché le
bande reazionarie furono annientate nello spazio di un giorno.
A ottobre gli imperialisti organizzarono contro l’Albania una
provocazione di carattere internazionale. Mentre una forma­
zione di navi da guerra inglesi costeggiava il litorale albanese
con palesi scopi di provocazione, due unità urtarono delle mine,
collocate sin dal periodo della guerra nel Canale di Corfù,
e vennero danneggiate. Accusando il Governo Democratico
albanese di aver collocato le mine nel canale, i governi britan­
nico e americano tentarono di sfruttare l’incidente di Corfù
per giustificare un eventuale sbarco di truppe in Albania. Frat­
224
tanto, il governo monarco-fascista greco moltiplicava le sue
provocazioni terrestri e aeree alle frontiere della RPA.
L’intensificarsi dell’attività degli imperialisti e della rea­
zione interna accresceva il pericolo che minacciava la rivolu­
zione popolare in Albania. Il PCA e le masse lavoratrici, che
avevano acquistato una grande esperienza nella lotta contro
i nemici di classe, interni ed esterni, sapevano ora mantenersi
sempre sul chi vive e a esser pronti ad affrontare ogni peri­
colo. Il «gruppo dei deputati» e gli altri nemici all’interno
del paese non trovarono alcun appoggio presso le masse. Con­
giuntamente con gli organi della Sicurezza di Stato e i reparti
militari, i lavoratori delle città e delle campagne contribuirono
attivamente a snidare e ad annientare i nemici. Traditori e
sabotatori furono tradotti davanti ai tribunali popolari, dove
resero conto dei loro crimini e ricevettero il castigo che si
meritavano. Essi furono costretti a svelare interamente il piano
ordito contro la RPA dai governi americano e britannico e a
confessare pubblicamente il loro tradimento.
Nello stesso tempo, gli imperialisti non riuscirono a con­
seguire lo scopo a cui miravano con la loro provocazione del
Canale di Corfù. Nonostante avessero messo in moto le orga­
nizzazioni internazionali, loro docili strumenti, come la Corte
dell’Aja, essi non riuscirono a convincere l’opinione mondiale
della colpevolezza dell’Albania nell’incidente di Corfù. Il Go­
verno Democratico della RPA dimostrò al mondo intero che
non aveva alcuna responsabilità di questo incidente, che si
trattava di una provocazione organizzata con scopi ostili dal
governo britannico contro la RPA.
La convinzione del popolo albanese che gli USA e la Gran
Bretagna agivano come suoi nemici giurati, fu maggiormente
rafforzata dagli ostinati sforzi dei governi americano e inglese
volti a negare alla RPA il suo legittimo posto nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Difatti essi fecero uso del diritto
di veto al Consiglio di Sicurezza contro l’ammissione dell’Al­
bania in tale organizzazione.
Inoltre gli imperialisti americani e inglesi non lasciarono
nulla d’intentato per impedire la partecipazione dell’Albania
alla Conferenza della Pace che si aprì a Parigi nel luglio del
1946, ma non riuscirono nel loro intento.
Una delegazione albanese, guidata dal compagno Enver
Hoxha, si recò a Parigi per esporvi il punto di vista del go­
verno albanese sul Trattato di Pace con l’Italia. La delegazione
richiese che l’Italia fosse obbligata a rispettare non soltanto
225
la sovranità e l’indipendenza dello Stato albanese, come pro­
posto nei progetto di trattato, ma anche la sua integrità terri­
toriale; che venisse restituito all’Albania l’oro rapinatole dagli
occupatori tedeschi e le fossero corrisposte adeguate riparazioni
dall’Italia; che la RPA fosse definita potenza associata. Sotto
la pressione delle delegazioni inglese e americana, queste legit­
time richieste vennero respinte dalla Conferenza, ma grazie
alla perseveranza del Governo Democratico, esse furono accolte,
nel novembre del 1946, dal Consiglio dei ministri degli esteri
delle grandi potenze alleate.
I rappresentanti angloamericani tentarono di costringere la
Conferenza della Pace a esaminare le rivendicazioni territoriali
della Grecia nei confronti dell’Albania e a definire quest’ultima
come «paese vinto», ma il fermo atteggiamento della delega­
zione albanese fece fallire anche questo tentativo. «Io dichiaro
solennemente, — disse il compagno Enver Hoxha, — che né
la Conferenza di Parigi, né la Conferenza dei Quattro, né qua­
lunque altra conferenza può discutere delle frontiere del nostro
paese, all’interno del quale non vi è un solo palmo di terra
straniera. Le nostre frontiere sono indiscutibili e nessuno
oserà toccarle... Il mondo intero sappia... che il popolo alba­
nese non ha inviato a Parigi la sua delegazione per rendere
conto, ma per chieder conto a coloro che gli hanno causato
danni tanto gravi e contro i quali esso ha aspramente combat­
tuto fino in fondo»*.
L’appoggio che i paesi amici, e in particolare l’Unione
Sovietica, diedero alla RPA, ebbe una parte importante nel­
l’ottenimento dei suoi successi sull’arena internazionale.
Il PCA trasse grandi insegnamenti dall’esperienza acquisita
lottando contro la reazione nei primi anni che seguirono la
Liberazione. I comunisti si persuasero in pratica e persuasero
anche le masse lavoratrici che la rivoluzione non può svilup­
parsi né il socialismo può essere edificato che mediante,
«un’aspra e spietata lotta contro i nemici interni e gli imperia­
listi che li appoggiano dall’esterno»**. Il Partito non si lasciò
mai inebriare dalle vittorie riportate dalle masse popolari
* Enver Hoxha. Dichiarazione rilasciata ai rappresentanti della
stampa a Parigi il 16 settembre 1946. Opere, vol. 3, pp. 448-449.
** Direttive del CC del PCA, 17 giugno 1947. Documenti principali
del PLA, vol. I, p. 456.
226
sotto la sua guida né dagli scacchi subiti dai nemici. Il Comi­
tato Centrale insegnava che «l’attività del nemico dev’essere
seriamente tenuta in conto e per ciò occorre vigilanza, una
vigilanza continua e rivoluzionaria»*.
La socializzazione dei principali
mezzi di produzione e la Riforma
Agraria modificarono la strut­
tura economica e sociale del paese
a vantaggio del socialismo. L’eco­
nomia si presentava adesso sotto tre forme principali: la forma
socialista, la forma della piccola produzione e la forma capi­
talistica.
La forma socialista comprendeva l’industria, le miniere,
le centrali elettriche, il trasporto e le telecomunicazioni, il
sistema finanziario, il commercio estero, il commercio interno
all’ingrosso, le aziende statali e cooperativistiche di commercio
al minuto, le aziende agricole statali e le cooperative agricole,
le stazioni di macchine e trattori, le acque e le foreste e il
sottosuolo. Alla fine del 1947 questo settore occupava posizioni
di comando nell’economia. La sua parte nel volume globale
della produzione raggiungeva il 95 per cento.
La piccola produzione mercantile comprendeva la maggio­
ranza della popolazione attiva e costituiva circa l’80 per cento
del volume globale della produzione dell’economia nazionale.
Essa era composta dalle aziende dei contadini poveri e medi e
degli artigiani che non impiegavano mano d’opera sala­
riata. Tutti costoro vivevano essenzialmente dei proventi del
loro lavoro.
La forma capitalistica comprendeva le economie dei kulak
nelle campagne, i commercianti e i trafficanti, nonché gli
artigiani e i piccoli imprenditori delle città, i quali impiegavano
mano d’opera salariata. La sua parte nel volume totale del­
l’economia nazionale era del 5 per cento circa. Questa forma
di economia si concentrava principalmente nel campo della
circolazione delle merci. Nel 1947, il commercio privato costi­
tuiva circa l’80 per cento del volume globale della circola­
zione delle merci al minuto.
A queste tre forme d’economia corrispondevano tre classi
Modifica della struttura
economica e sociale e primi
risultati nello sviluppo so­
cialista dell’economia
* Direttive del CC del PCA, 17 giugno 1947. Documenti principali
del PLA, vol. I, p. 458.
227
sociali: la classe operaia, i lavoratori delle campagne e la
borghesia. La classe operaia e i lavoratori delle campagne
erano diventati le due principali classi della società. La bor­
ghesia, avendo perduto il potere politico e il possesso dei
principali mezzi di produzione, si era trasformata in una classe
secondaria. Tuttavia, per difendere i propri interessi di classe,
essa conduceva un’aspra lotta contro il potere popolare e l’edi­
ficazione socialista del paese, avendo inoltre, in tale lotta, l’ap­
poggio dell’imperialismo internazionale.
Ma il Partito era convinto che sarebbe uscito vittorioso
nella lotta contro i nemici di classe, interni ed esterni, ed
avrebbe felicemente avviato a soluzione i grandi compiti del­
l’edificazione socialista.
I fondamentali fattori che assicuravano la soluzione di
questi compiti erano: la giusta linea marxista-leninista del
Partito e la sua inscindibile guida in tutta la vita del paese;
la dittatura del proletariato; la salda unione delle masse lavora­
trici urbane e rurali intorno al Partito in seno al Fronte
Democratico; la tempra rivoluzionaria di queste masse, acquisita
nella lotta per la liberazione nazionale e sociale nonché per
la difesa delle vittorie conseguite in questa lotta. Di un grande
aiuto al Partito erano l’esperienza dell’edificazione socialista
nell’Unione Sovietica, l’appoggio politico, economico e morale
di quest’ultimo e dei paesi a democrazia popolare; il sostegno
del movimento mondiale comunista, operaio e di liberazione.
Nel contempo il Partito teneva presente anche gli ostacoli
e le difficoltà che derivavano non solo dall’attività controrivo­
luzionaria dei nemici di classe, ma anche dalle condizioni
oggettive interne ed esterne nelle quali doveva essere costruito
il socialismo. Tali condizioni erano: lo stato agricolo semifeodale del paese; l’accentuata arretratezza nel campo culturale
ed educativo; la mancanza di una classe operaia industriale
sviluppata; la penuria di quadri tecnici e di ingegneri; le scarse
risorse materiali e finanziarie; l’accerchiamento del paese da
parte degli imperialisti e di quegli Stati vicini che tenevano
nei suoi riguardi un atteggiamento ostile.
In tali circostanze, il Partito prospettò come principale
compito per l’edificazione del socialismo il rapido sviluppo
delle forze produttive mediante la valorizzazione e l’impiego
di tutte le possibilità e di tutte le risorse interne. L’attuazione
di questo compito costituiva al tempo stesso una condizione
determinante per la limitazione e la liquidazione degli ele­
228
menti capitalistici, per la costruzione della base materiale del
socialismo e l’ampliamento dei rapporti socialisti di produzione.
Le trasformazioni nella struttura economica e sociale del pae­
se permisero al PCA di prendere concreti provvedimenti per lo
sviluppo pianificato dell’economia e della cultura. I primi piani
degli anni 1947-1948 avevano per scopo il consolidamento del­
l’economia socialista attraverso il prioritario sviluppo delle mi­
niere e dei vari rami dell’industria leggera. Nel settore del­
l’agricoltura si prevedeva l’ampliamento delle superfici coltivate,
l’aumento della produzione di cereali panificabili e la diffusione
di nuove colture industriali. Nel settore della cultura, al primo
posto si ponevano la diffusione dell’istruzione, l’eliminazione
dell’analfabetismo e la preparazione di specialisti.
Allo scopo di attuare con buon esito i compiti inerenti
alla direzione pianificata dell’economia, il CC del Partito e
il governo vararono nel 1947 una serie di provvedimenti. Le
imprese industriali di Stato furono organizzate sulla base del
calcolo economico. Questo era un nuovo metodo di direzione
pianificata dell’attività economica delle aziende, il quale ri­
chiede che l’azienda faccia fronte a tutte le spese con i pro­
venti della vendita dei suoi prodotti e che assicuri, nello stesso
tempo, una quota di accumulazione.
La gestione su tali basi delle aziende economiche fu com­
pletata dall’organizzazione del lavoro sulla base delle norme
di rendimento e dal nuovo sistema di retribuzione secondo il
lavoro effettivamente compiuto.
Allo scopo di centralizzare l’accumulazione e la distribu­
zione, si procedette alla riorganizzazione del sistema finanziario,
del bilancio, delle imposte e delle funzioni del sistema bancario.
Spogliandosi del suo carattere quasi amministrativo, il bilancio
si mutò in un piano finanziario fondamentale di tutta l’econo­
mia nazionale. Le imposte persero del pari il loro carattere
fiscale. Le entrate del bilancio dello Stato ebbero per principali
sorgenti l’imposta sul giro d’affari delle aziende economiche
e l’eccedenza dei loro profitti. La banca divenne l’unico centro
di credito e contabilità.
I diritti e i doveri degli operai furono definiti nella nuova
legge del lavoro e delle assicurazioni sociali dei lavoratori.
Questa legge regolava inoltre la conclusione dei contratti col­
lettivi tra le direzioni d’azienda e gli operai, la remunerazione
del lavoro, la durata del lavoro e delle ferie. In particolare
essa difendeva i diritti dei minorenni e delle donne, come
229
operaie e come madri. Ogni lavoratore beneficiava delle as­
sicurazioni sociali garantite dallo Stato in caso di malattia,
di infortuni sul lavoro, di vecchiaia, di gravidanza e di parto.
Apprezzando al suo giusto valore il ruolo del settore coo­
perativistico nell’edificazione dell’economia socialista, il Partito
stigmatizzò le deformazioni che costituivano una manifesta
deviazione dalla sua linea economica.
Nelle cooperative dell’artigianato venne vietata la distribu­
zione di tutti gli utili fra i membri senza prima riservarne
una parte per l’espansione della produzione, e venne istituita
la remunerazione del lavoro su basi socialiste.
Alle cooperative di consumo delle città fu categoricamente
vietato di rivendere ai commercianti privati le merci da esse
ammassate, come era accaduto in alcuni casi.
Le cooperative di compravendita furono incaricate non solo
di portare i prodotti industriali nelle campagne, ma anche di
ammassare prodotti agricoli per assicurare il regolare approv­
vigionamento delle città. Questo provvedimento eliminava gli
intermediari e gli speculatori privati.
L’adozione di questi provvedimenti nel settore cooperati­
vistico aveva un’importanza economica e politica, poiché aiutava
a porre il movimento cooperativistico su giuste e solide basi
e a sbarrare la via allo sfruttamento delle deficienze da parte
di elementi capitalisti, che combattevano la linea del Partito
per l’edificazione del socialismo.
Senza sottovalutare la funzione e l’importanza della co­
operazione nell’ambito della circolazione, il Partito considerava
ciò soltanto come un primo passo, un punto di partenza per
passare alla cooperazione nel settore della produzione agricola.
Per tale ragione, durante gli anni 1947-1948 venne proseguito
il lavoro per l’istituzione delle cooperative agricole di produ­
zione fondate sul libero consenso dei loro membri.
Per divenire economie socialiste esemplari e moderne,
queste prime cooperative agricole avevano bisogno di una pro­
gredita base materiale e tecnica. A tal fine, sin dal 1947, ven­
nero istituite le prime stazioni di macchine e trattori (SMT).
Le SMT sin dall’inizio furono create come aziende socialiste
statali operanti nel settore agricolo. Esse rappresentavano una
particolare forma dell’importante aiuto che lo Stato forniva
in modo organizzato ai contadini, allo scopo di favorire la
nascita e il consolidamento del nuovo sistema cooperativistico
nelle campagne. Le SMT costituivano la prima pietra basilare
230
per l’edificazione della nuova base materiale e tecnica dell’agri­
coltura socialista. Esse costituivano un potente mezzo econo­
mico, politico e organizzativo per la trasformazione socialista
delle campagne.
Un grande problema politico ed economico si prospettava
al Partito e al potere: quello di assicurare il pane alla popola­
zione. Per risolverlo, il potere popolare fu costretto a emettere
speciali ordinanze, per le quali i produttori rurali erano tenuti
a vendere allo Stato tutte le eccedenze di cereali di cui si
trovavano in possesso dopo aver trattenuto la quantità, fissata
per legge, occorrente per la semina e per la sussistenza di ogni
famiglia.
Lo Stato riuscì in tal modo ad ammassare la quantità di
cereali necessaria. Tuttavia l’applicazione delle ordinanze dovet­
te superare le difficoltà causate dall’opposizione dei produttori
rurali e dai tentativi dei nemici di sfruttare tale opposizione
a proprio vantaggio. D’altro canto, questo sistema di ammasso
non suscitava presso i contadini alcun interesse né li stimolava
materialmente perché aumentassero le superfici coltivate e la
produzione agricola. Per queste ragioni, nel 1948 a tale sistema
di ammasso vennero apportate alcune modifiche. Secondo il
nuovo sistema, per ogni azienda contadina veniva fissato il
quantitativo di cereali che essa aveva l’obbligo di consegnare
allo Stato a prezzi unificati. I contadini potevano conservare
per sé le eccedenze, oppure venderle allo Stato a prezzi più
elevati di quelli dell’ammasso obbligatorio. Questo sistema
creava in qualche misura per il contadino, una specie di stimolo
materiale ad accrescere la produzione agricola. Tuttavia non
risolveva interamente il problema, lasciando adito ad anomalie
che conducevano all’ammasso obbligatorio di tutte le eccedenze
dei prodotti, oppure lasciavano ai contadini quantitativi supe­
riori a quelli previsti dalle ordinanze.
Le frequenti modifiche del sistema degli ammassi nel
periodo 1946-1948 erano la conseguenza non solo delle diffi­
coltà incontrate per assicurare il pane alla popolazione, ma
anche della mancanza di esperienza nella ricerca delle forme
più adatte di legami economici tra la città e la campagna ed
anche dell’ingerenza jugoslava.
Durante gli anni 1947-1948, le masse lavoratrici compirono
imponenti sforzi per la realizzazione dei piani. Nello spazio
di questi due anni furono costruiti nuovi stabilimenti industriali,
la ferrovia Tiranë-Durrës-Peqin e vennero ampliate le capacità
231
produttive delle miniere. Nel 1948, il volume globale della
produzione industriale era raddoppiato nei confronti del 1938.
In tale periodo, anche la produzione agricola superò il
livello d’anteguerra. Nella vecchia struttura dell’agricoltura si
verificarono cambiamenti lenti, ma sicuri, caratterizzati dalla
diffusione di nuove colture industriali. Furono compiuti i primi
passi per il prosciugamento delle paludi e per l’irrigazione e
il drenaggio dei terreni.
Le trasformazioni economiche e sociali di carattere demo­
cratico e socialista, realizzate in Albania all’indomani della
liberazione, furono profonde, rapide, impetuose. Ciò costituiva
una prova della forza dirigente del Partito Comunista e della
vitalità della dittatura del proletariato. Altra ragione ne era la
vasta base sociale della rivoluzione socialista. Nella loro opera
di trasformazione rivoluzionaria del paese, il Partito e il po­
tere vennero fermamente appoggiati non solo dalla classe ope­
raia e dai contadini poveri, ma anche dai contadini medi e dalla
piccola borghesia delle città.
La totale disfatta militare e politica, subita dai latifon­
disti e dalla borghesia reazionaria nel 1944, nonché le solide
basi che possedeva il potere popolare tra le vaste masse, fu­
rono. dopo la liberazione, fattori che impedirono alle rovesciate
classi sfruttatrici, nonostante i grandi sforzi compiuti soprat­
tutto dall’imperialismo americano e inglese, di portare la loro
lotta di classe sino al livello della guerra civile. Dopo la li­
berazione, queste classi subirono un’altra grande disfatta in
campo politico, economico e sociale.
5. LIQUIDAZIONE DELL’INTERVENTO OSTILE DEI
REVISIONISTI JUGOSLAVI. SMASCHERAMENTO
DELL’ATTIVITÀ’ ANTIPARTITO DEL GRUPPO
DI KOÇI XOXE
I successi ottenuti nei primi anni che seguirono la libera­
zione sarebbero stati ancora maggiori, se non ci fosse stato
l’intervento flagrante della direzione del PCJ negli affari in­
terni del PCA e dello Stato albanese. Con le sue azioni ostili
essa recò grave pregiudizio all’edificazione del socialismo in
Albania.
Basandosi sulla coerente politica internazionalista del PCA,
232
che mirava al rafforzamento dei fraterni rapporti con l’Unione
Sovietica e i paesi a democrazia popolare, il Governo della
RPA concluse, nel luglio del 1946, con il Governo jugoslavo
un Trattato di amicizia, di cooperazione e di mutua assistenza.
Alcuni mesi più tardi venne firmata anche una Convenzione
economica.
Il PCA considerava con fiducia l’alleanza tra il popolo
albanese e i popoli jugoslavi, che avevano combattuto fianco
a fianco contro lo stesso nemico e per gli stessi scopi. Il Partito
stimava che la stretta cooperazione e la reciproca assistenza
tra la RPA e la RFPJ costituivano un fattore esterno impor­
tante per la costruzione del socialismo in Albania e per la
salvaguardia dell’indipendenza nazionale del paese.
Tuttavia, il Segretario Generale e altri compagni del Co­
mitato Centrale consideravano con inquietudine gli interventi
dei rappresentanti jugoslavi negli affari interni del Partito e
dello Stato albanese. Essi però ancora non sospettavano che
tali interventi fossero compiuti secondo le direttive del Comi­
tato Centrale del PCJ. Opponendosi a un simile modo d’agire
in tutti quei casi in cui i diplomatici e i militari jugoslavi
in Albania s’immischiavano negli affari interni dello Stato e del
Partito, essi tentavano di dissipare ogni malinteso e di rimuo­
vere ogni ostacolo nei rapporti fra i due paesi e i due partiti.
Ma i loro sforzi erano contrastati dall’atteggiamento
antimarxista, antialbanese della direzione jugoslava. Tale at­
teggiamento, che la propaganda jugoslava s’ingegnava di pre­
sentare come una politica di «aiuto fraterno e disinteressato»,
nascondeva il suo reale obiettivo: la soppressione dell’indipen­
denza del PCA e dello Stato albanese.
All’inizio del 1947, gli accordi
conclusi conformemente alla Con­
venzione economica entrarono in
vigore. Il primo provvedimento previsto da tali accordi
era la parificazione monetaria. Per iniziativa del compagno
Enver Hoxha, il Comitato Centrale del Partito e il governo
albanese sollevarono sin dal primo momento un’opposizione di
principio contro tale provvedimento, essendovi numerosi osta­
coli al raggiungimento di una reale parità. Il livello di svi­
luppo economico, le paghe dei lavoratori e i prezzi delle merci
erano molto diversi. Ma la direzione del PCJ stimò priva di
fondamento tale opposizione, definendola come un’espressione
La resistenza del PCA
all’intervento jugoslavo
233
di diffidenza verso lo spirito della Convenzione. In seguito
alla pressione da essa esercitata, la parità del lek e del dinaro
fu stabilita, su basi del tutto arbitrarie e a totale beneficio
del dinaro.
Il secondo provvedimento messo in pratica fu l’unifica­
zione dei prezzi. Anche su questo punto il Comitato Centrale del
Partito e il Governo albanese sollevarono obiezioni fondate
sul fatto che le strutture del fondo di base dell’industria,
dell’agricoltura e degli altri rami della produzione materiale
nei due paesi erano totalmente differenti. La produttività del
lavoro e le spese generali per unità di produzione erano
anch’esse ben diverse. La direzione del PCJ considerava questi
fattori privi d’importanza. Come conseguenza della pressione
da essa esercitata, furono stabilite analoghe norme d’accumu­
lazione per le merci dei due paesi, le quali dovevano venir
scambiate in base ai prezzi interni e non a quelli del mercato
internazionale.
Il terzo provvedimento consisteva nell’unione doganale. Il
PCA fece tutto il possibile affinché tale unione servisse a
facilitare gli scambi fra i due paesi. Nello stesso tempo la
direzione del PCJ snaturava il contenuto dell’accordo e, in
seguito ad altre pressioni, giungeva a ottenere che qualsiasi
azienda o qualsiasi commerciante privato jugoslavo avesse il
diritto di acquistare, senza alcuna restrizione, merci sul mercato
albanese e che il dinaro fosse liberamente scambiato con il
lek albanese. Di conseguenza le aziende e i commercianti privati
jugoslavi fecero piazza pulita di tutto quel che trovarono sul
mercato albanese. L’esaurimento del mercato interno creò una
situazione oltremodo penosa per l’economia e per i lavoratori
albanesi. Esso provocò la minaccia di una nuova inflazione per
il paese e portò a un generale aumento dei prezzi sul mercato
libero.
Venne formata un’apposita commissione per coordinare i
piani economici e assicurare l’applicazione degli altri accordi eco­
nomici. La direzione jugoslava chiedeva che questa commissione
fosse investita di diritti e di attribuzioni che ne avrebbero
fatto virtualmente un governo al di sopra del governo albanese.
Tali richieste furono respinte dal Comitato Centrale del PCA.
Nel quadro degli accordi economici vennero create società
miste albano-jugoslave. Esse abbracciarono i principali rami
dell’economia popolare. Tali società erano apparentemente
costituite su di un piano d’uguaglianza. Però, mentre la parte
234
albanese aveva versato alle società miste la totalità dell’importo
convenuto, la parte jugoslava, dal canto suo, non investì un
soldo nel fondo di base. Di conseguenza, le società operavano
unicamente con i fondi di base dello Stato albanese, e tuttavia
la parte jugoslava si appropriava della metà dei benefici.
Tutti questi accordi violavano inoltre le più elementari
norme che regolano i rapporti fra due Stati sovrani, causando
grave pregiudizio all’economia della Repubblica Popolare d’Al­
bania.
Per l’applicazione degli accordi economici, il governo ju­
goslavo aveva promesso di accordare all’Albania un credito
di due miliardi di lek per il 1947. In realtà tale credito non
raggiunse nemmeno la metà di quella somma. Anche le merci
fornite a credito dalla Jugoslavia erano calcolate a prezzi da
due a quattro volte più elevati di quelli internazionali. Tutto
il cosiddetto aiuto jugoslavo si limitava a quattro piccole fab­
briche, antiquate e da tempo ammortizzate. Inoltre, il credito
venne utilizzato come mezzo di pressione sul Partito e sullo
Stato albanese, nonché allo scopo di suscitare la diffidenza
nei loro confronti con il pretesto che essi erano incapaci di
dirigere lo sviluppo pianificato dell’economia. Tutto ciò osta­
colò considerevolmente la realizzazione del piano per il 1947,
predisposto tenendo conto anche dell’aiuto jugoslavo. Il governo
jugoslavo non accordò alla RPA neppure il credito promesso
per il 1948.
Per far fronte alle esigenze del piano, il governo si vide
costretto a impiegare tutte le riserve di materie prime, di
materiali da costruzione e di articoli di largo consumo, ma
tali riserve erano limitate e la situazione economica e finan­
ziaria del paese divenne sempre più grave.
Parallelamente ai suoi sforzi per impadronirsi di impor­
tanti posizioni nell’economia, la direzione del PCJ iniziava i
suoi interventi per mettere le mani sull’esercito albanese. Forte
dell’appoggio di cui godeva presso la Direzione Politica del­
l’esercito, essa concentrò i suoi attacchi contro la giusta linea
del Partito in materia militare e l’indipendenza dell’Esercito
Popolare. Anche sulle questioni militari i punti di vista e le
esigenze della direzione del PCJ incontrarono l’opposizione
della parte ideologicamente sana del CC del Partito, guidata
dal compagno Enver Hoxha.
Allo scopo di superare la resistenza del CC del PCA, la
direzione del PCJ gli indirizzò, nel giugno del 1947, una let­
235
tera provocatoria. In questa lettera Tito, Segretario Generale
del PCJ, attaccava apertamente il Comitato Centrale del PCA,
accusandolo di deformare la linea del Partito e pretendendo
che in Albania «si stava cristallizzando una seconda linea d’orien­
tamento antijugoslavo». Nel lanciare tale accusa, la direzione
jugoslava mirava a rafforzare le sue indebolite posizioni in
seno al PCA e a fornire al suo agente, Koçi Xoxe, un’arma
per combattere il Segretario Generale e gli altri compagni di
sani princìpi della direzione, i quali indirettamente venivano
tacciati di essere i principali responsabili della deformazione
della linea del Partito.
La lettera del CC del PCJ fu sottoposta all’esame dell’Ufficio Politico. Koçi Xoxe e Pandi Kristo non si opposero al­
l’accusa della direzione jugoslava, ma neppure osarono levarsi
apertamente in sua difesa. L’Ufficio Politico la respinse. Esso
diede mandato al compagno Enver Hoxha di redigere la risposta
al CC del PCJ, definendo l’accusa di quest’ultimo totalmente
infondata e come una flagrante ingerenza negli affari interni
del PCA.
In seguito la situazione si inaspri ancor più. La direzione
del PCJ moltiplicò i suoi atti di ingerenza negli affari interni
del PCA e accentuò le sue pressioni. Per sostenere tale azione,
essa inventò nuovi pretesti.
All’inizio del 1947, il CC del PCA impartì agli organi
statali la direttiva di procedere all’elaborazione di un piano
biennale (1948-1949) di sviluppo dell’economia. Il Partito partiva
dal reale stato di cose in Albania: dalle possibilità interne,
dal livello degli studi che erano stati compiuti in materia
e dall’esperienza che avevano potuto acquistare gli organi sta­
tali per l’elaborazione di un piano a non molto lungo termine.
Senza assolutamente tener conto di tale situazione, la di­
rezione del PCJ pretese ostinatamente che anche l’Albania
elaborasse un piano quinquennale, così come stava facendo
anche la Jugoslavia. Spingendosi ancora più in là, essa fissò
al governo della RPA l’orientamento da seguire per l’elabo­
razione del piano, considerando l’Albania alla stregua di una
repubblica jugoslava. Secondo questo orientamento, l’economia
della RPA non si doveva sviluppare in modo indipendente ma
integrarsi nell’economia della Jugoslavia. L’Albania non doveva
creare e sviluppare la propria industria nazionale, ma limi­
tarsi a produrre le materie prime agricole e minerarie destinate
a essere trasformate in Jugoslavia. In cambio, l’Albania avreb­
be ricevuto dalla Jugoslavia i prodotti industriali che le neces­
236
sitavano. Tale orientamento mirava a sottomettere e a sfruttare
l’economia albanese, trasformandola in un semplice appendice
di quella jugoslava.
Il Comitato Centrale del PCA respinse immediatamente
questo orientamento. Esso accettò che fosse elaborato un piano
quinquennale, raccomandando però al governo che tale piano
mirasse alla creazione e allo sviluppo dell’industria nazionale,
all’elettrificazione del paese, allo sviluppo dell’agricoltura su
basi socialiste e fosse principalmente basato sulle forze interne
nonché sull’aiuto dell’Unione Sovietica e dei paesi a democra­
zia popolare.
Il Partito compì passi concreti per il rinsaldamento e
l’ampliamento delle relazioni politiche ed economiche della
RPA con l’URSS e con i paesi a democrazia popolare. Però
tali passi incontrarono l’opposizione della direzione del PCJ,
che mirava a mantenere l’Albania isolata dall’Unione Sovietica
e dai paesi a democrazia popolare.
Nel luglio del 1947, una delegazione governativa, guidata
dal compagno Enver Hoxha, si recò a Mosca per conferire
con il governo sovietico. Alla conclusione dei colloqui, l’Unione
Sovietica accordava alla RPA un credito per dotare l’agricoltura
di trattori e di altre macchine agricole, nonché per la costru­
zione di alcune importanti opere industriali.
La direzione jugoslava, invocando a pretesto il Trattato di
amicizia, di collaborazione e di reciproca assistenza esistente
fra i due paesi, cercò di ostacolare la conclusione dell’accordo
con l’URSS. Essa giunse sino a far chiedere alla missione
albanese, dal rappresentante della Jugoslavia a Mosca, di con­
segnargli le copie di tale accordo, avvertendola in tono di
minaccia che non doveva concludere alcuna convenzione senza
l’approvazione del governo jugoslavo. Il governo albanese pro­
testò contro questa nuova ingerenza negli affari interni del
paese.
La giusta direttiva impartita al governo dal CC del Partito
per l’elaborazione del piano e l’invio della delegazione governa­
tiva a Mosca, servirono di pretesto a Tito per formulare la
sua seconda accusa contro il PCA. Nel novembre del 1947,
egli accusò il governo albanese di aver elaborato un piano
quinquennale autarchico e non realistico, il quale distaccava
l’economia albanese da quella jugoslava. Egli condannò in
forma indiretta l’aiuto materiale e morale ricevuto direttamente dall’URSS e accusò apertamente il compagno Enver Hoxha
237
di aver mutato, al suo ritorno da Mosca, la politica albanese nei
confronti della Jugoslavia. L’orientamento verso l’Unione Sovie­
tica era definito come un orientamento antijugoslavo. Veniva
imputato al Partito Comunista d’Albania di aver permesso la
creazione in Albania di un fronte antijugoslavo; di essere
responsabile del grave deterioramento dei rapporti fra il popolo
albanese e i popoli della Jugoslavia. Infine il compagno Nako
Spiru in particolare era accusato di collaborare con il nemico!
Queste nuove accuse costituivano un altro durissimo colpo
contro il PCA. Esse scossero profondamente la direzione del
Partito e aggravarono al massimo la già tesa situazione creatasi
in seno all’Ufficio Politico. Queste accuse davano in mano alla
frazione di Koçi Xoxe una mina per far saltare in aria il
Partito dalle fondamenta. In verità Koçi Xoxe, Pandi Kristo
e Kristo Themelko1 divennero i più ardenti sostenitori delle
tesi jugoslave. Allo scopo di privare il compagno Enver Hoxha
di ogni appoggio e sostegno, Koçi Xoxe omise di convocare
alcuni membri dell’Ufficio Politico che prese in esame tali
accuse.
Inoltre, invece di svelare le ragioni dell’ingerenza della
direzione jugoslava e di respingere le accuse inventate di sana
pianta, Koçi Xoxe e Pandi Kristo sostennero e misero tutto
l’accento sul «tradimento» di Nako Spiru. Ciò non era che una
manovra destinata a camuffare il duro colpo inferto al PC
d’Albania e al suo Segretario Generale, da parte della direzione
jugoslava, nonché gli obiettivi di quest’ultima.
In una situazione talmente grave e in circostanze così pe­
nose per lui, il compagno Nako Spiru fu incapace di resistere,
come debbono saper fare i comunisti di fronte a qualsiasi
situazione, e si uccise.
Allo scopo di rinsaldare le relazioni con i paesi che proce­
devano sulla via del socialismo, una delegazione governativa
albanese, con a capo il compagno Enver Hoxha, si recò, nel
dicembre del 1947, a Sofia, dove stipulò un Trattato d’amici­
zia, di collaborazione e di reciproca assistenza tra la Repubblica
Popolare d’Albania e la Repubblica Popolare di Bulgaria.
La direzione del PCJ cercò di ostacolare la conclusione di
questo Trattato. Per il tramite di Koçi Xoxe, che era membro
1 Kristo Themelko riconobbe i suoi errori e fece la propria
autocritica davanti al Partito, dopo che fu pienamente scoperto il
tradimento della direzione del PC di Jugoslavia nel giugno del 1948.
238
della delegazione albanese, essa si sforzò di farne formulare
il testo in modo che ogni azione comune dell’AIbania e delia
Bulgaria fosse subordinata a una preliminare approvazione
della Jugoslavia. Questa insistente richiesta di Koçi Xoxe fu
respinta. Nell’impossibilità di impedire la conclusione del Trat­
tato e di alterarne il sano spirito, la direzione jugoslava fece
di tutto per sminuirne il valore.
Pronunciandosi per il rinsaldamento dei vincoli con i par­
titi comunisti fratelli sulla base dei princìpi dell’internaziona­
lismo proletario, il Plenum del PC del PCA, nell’ottobre del
1947, approvò pienamente la Dichiarazione e la Risoluzione del­
la Conferenza consultiva di alcuni partiti comunisti e operai,
tenutasi a Varsavia alla fine di settembre del 1947, e la crea­
zione dell’Ufficio d’informazione risultante dalla Conferenza
consultiva. Il PCA si mostrò pronto a far scambio della propria
esperienza e, in caso di necessità, a coordinare le sue azioni
con quelle dei partiti comunisti e operai fratelli. Il Comitato
Centrale avrebbe sollecitato, al momento opportuno, l’affiliazione
del PCA all’Ufficio d’informazione.
Il suicidio di Nako Spiru recò
grande pregiudizio al Partito e
rese ancor più grave la già tesa
situazione creatasi nella direzione
del Partito. La cricca revisionista
jugoslava sfruttò questa faccenda come «una prova della fonda­
tezza» delle sue accuse e sferrò un nuovo attacco contro la
linea del PCA, contro la sua unità e il suo Segretario Generale.
In tali circostanze, Koçi Xoxe, atteggiandosi a «salvatore»
del Partito, con il diretto appoggio della direzione del PCJ,
preparò l’8° Plenum del CC del PCA. Le tesi antimarxiste e antialbanesi del CC del PCJ, espresse in forma di programma in un
discorso pronunciato da Koçi Xoxe alla Scuola del Partito,
servirono da piattaforma a questo Plenum. Durante i pre­
parativi per il Plenum, Koçi Xoxe intensificò le persecuzioni
contro i quadri sani e sperimentati del Partito che ne difende­
vano la giusta linea e scatenò una campagna denigratoria
contro i comunisti intellettuali. Attraverso gli organi della
Sicurezza di Stato che dirigeva personalmente, egli raccoglieva
e fabbricava accuse a carico dei quadri dirigenti che per lui
erano indesiderabili e dovevano essere condannati all’8° Plenum.
Precisamente in questo momento, la direzione jugoslava,
Lo
smascheramento
dei
piani antimarxisti e antialbanesi
della
direzione
jugoslava
239
per il tramite di Savo Slatić, suo rappresentante in RP d’Al­
bania, presentò al CC del PCA il suo piano di «unione del­
l’Albania e della Jugoslavia su basi federative». La progettata
federazione doveva comprendere anche «gli altri popoli dei
Balcani, e particolarmente la Bulgaria». Secondo tale piano,
al principio la federazione doveva prender corpo nel campo
delle «relazioni economiche» con la «fusione delle economie
nazionali» e la «elaborazione di piani comuni». Doveva altresì
venir attuata la «unificazione degli eserciti». Più tardi sarebbe
stata esaminata la possibilità della «creazione di uno Stato
unico», che avrebbe rispecchiato «la volontà dei popoli e dei
partiti»1. Le tesi di questo piano vennero poste dal gruppo
di Koçi Xoxe alla base dei preparativi per il Plenum.
L’attività ostile dei titisti e dei loro agenti, con a capo
Koçi Xoxe, raggiunse la sua massima intensità all’8° Plenum
del CC del PCA, tenutosi nel febbraio del 1948.
Koçi Xoxe e Pandi Kristo considerarono infatti il com­
pagno Enver Hoxha di essere il principale responsabile della
via, secondo loro, errata, seguita dal Partito. Koçi Xoxe denun­
ciò una cosiddetta frazione alla testa del Partito, che agiva
«sotto il naso del Segretario Generale»! Egli giunse persino a
insinuare che a capo di tale frazione si trovava il compagno
Enver Hoxha in persona ! Ciò costituiva un duro colpo alla
posizione di questi e all’unità del Partito.
Il Plenum approvò che fra l’Albania e la Jugoslavia fossero
stabiliti legami economici di natura tale da portare in pratica
alla liquidazione dello Stato albanese. Vi fu lanciata l’idea
dell’unificazione dei due eserciti. Vennero compiuti palesi ten­
tativi di distaccare l’Albania dall’Unione Sovietica e si mani­
festarono tendenze antisovietiche.
L’8° Plenum rese ancor più gravi gli errori nella struttura
e nella vita interna del Partito. I metodi organizzativi di di­
rezione del Partito vennero sempre più sostituiti con metodi
militari e polizieschi.
La resistenza del CC del PCA fu infranta, a questo Ple­
num, dalla pressione della direzione jugoslava. Il Plenum ac­
cettò le accuse di Tito, formulate nel novembre del 1947. La
giusta linea politica ed economica del Partito fu gravemente
1 Tesi di Savo Slatić sull’unione dell’Albania e della Jugoslavia,
presentate al CC del PCA il 5 dicembre 1947. Appunti presi durante
i colloqui. ACP.
240
violata. Vennero direttamente messe in pericolo l’indipendenza
e la sovranità nazionale. L’8° Plenum creò il terreno favore­
vole per l’attuazione del piano jugoslavo di colonizzazione del­
l’Albania. Questo Plenum costituisce una nera macchia nella
gloriosa storia del PCA.
Dopo il Plenum, il gruppo di Koçi Xoxe si dedicò con
tutte le proprie energie a mettere in pratica il piano jugoslavo.
Esso affrettò i preparativi per gettare il discredito sui quadri
dirigenti del Partito e dello Stato che si opponevano all’inge­
renza e alle pressioni dei revisionisti jugoslavi, e persino per
eliminare fisicamente tali quadri.
La direzione e l’attività delle organizzazioni di massa
furono incamminate su di una falsa strada. Si manifestarono
tendenze miranti alla disgregazione dell’organizzazione della
gioventù. Le Unioni Professionali persero parecchi dei loro attri­
buti e si trasformarono in un apparato puramente burocratico.
Nell’apparato statale furono introdotti metodi polizieschi.
Gli organi della Sicurezza di Stato furono posti al di sopra
del Partito.
I titisti, credendo di aver completamente sottomesso il PCA,
intervennero in modo ancora più aperto e brutale negli affari
interni del Partito e dello Stato albanese. La commissione di
coordinamento dei piani si trasformò quasi in un secondo
governo. Le società miste albano-jugoslave si tramutavano in
aziende puramente jugoslave. Un’apposita commissione di con­
trollo giunse dalla Jugoslavia con il compito di aiutare l’inte­
grazione dell’economia albanese in quella jugoslava, cosa che
sarebbe servita di base per l’unione politica dei due paesi.
Frattanto, il gruppo di Koçi Xoxe scatenò una vasta campagna
di propaganda per «l’unione e l’affratellamento» con la Jugo­
slavia, al fine di presentare tale unione come un atto compiuto
di propria volontà dal popolo albanese.
La direzione jugoslava e la frazione di Koçi Xoxe chiesero
con insistenza al CC del Partito e al governo di allontanare
i consiglieri militari sovietici. Infine essi sottoposero all’Ufficio
Politico del CC del PCA la questione della creazione di un
unico comando generale dell’esercito albanese e di quello ju­
goslavo con a capo Tito e chiesero che venisse approvata
l’applicazione del piano per l’unione dell’Albania con la Ju­
goslavia. Nonostante la grave situazione creatasi in seno all’Ufficio Politico e la straordinaria pressione esercitata dai
titisti e dai loro sostenitori, queste richieste antimarxiste e
241
antialbanesi furono respinte in seguito alla ferma opposizione
di principio del compagno Enver Hoxha.
La direzione jugoslava, rendendosi conto che le sue inten­
zioni potevano venir rapidamente scoperte e considerando la
resistenza opposta dal PCA, si sforzò di pervenire ai suoi fini
con l’intimidazione. Essa chiese di poter inviare d’urgenza
alcune divisioni dell’esercito jugoslavo in Albania prendendo
a pretesto l’ipotetico pericolo di un prossimo attacco della
Grecia contro il nostro paese. In tal modo l’occupazione mi­
litare dell’Albania sarebbe diventata un fatto compiuto, permet­
tendo ai titisti di infrangere la resistenza alla sua annessione.
Tale richiesta venne sostenuta da Koçi Xoxe e dal suo gruppo.
Unitamente a Ranković, uno dei più prossimi collaboratori
di Tito, Koçi Xoxe aveva persino progettato di annunciare pub­
blicamente la venuta delle truppe jugoslave, dopo che esse si
fossero stabilite in territorio albanese, come un atto compiuto
in base al Trattato di amicizia, di collaborazione e di reciproca
assistenza!
Però neppure questo piano jugoslavo venne portato a
termine. Il compagno Enver Hoxha sottopose la questione al­
l’esame della direzione del Comitato Centrale. Su sua proposta,
fu deciso di non accettare che le divisioni jugoslave entrassero
in Albania. Questa storica decisione salvò il paese dallo spargi­
mento di sangue che avrebbe causato la venuta delle truppe
jugoslave e da una nuova schiavitù.
Il compagno Enver Hoxha informò G. Stalin della ri­
chiesta della direzione jugoslava di inviare alcune divisioni
in Albania e del rifiuto opposto a tale richiesta dal Co­
mitato Centrale del PCA, così come l’aveva in precedenza
informato dei gravi interventi di Tito e dei vari funzionari
jugoslavi negli affari interni del Partito Comunista d’Albania
e dello Stato albanese.
Il Partito e lo Stato attraversavano momenti estremamente
difficili. Precisamente in questo periodo il PCA fu messo al
corrente delle lettere che il CC del PCUS aveva inviato al
Comitato Centrale del PCJ.
In queste lettere la direzione jugoslava veniva severamente
criticata per il suo atteggiamento antisovietico, per il fatto
che seguiva una linea opportunistica che portava alla restau­
razione del capitalismo, per la violazione delle norme leni­
niste nella vita interna del Partito e per l’arroganza e la
presunzione dei dirigenti del PCJ.
242
Queste lettere ebbero una grande importanza per il PCA
e per il popolo albanese. «Nel più grave momento dell’aspro
conflitto esistente fra il Comitato Centrale del Partito Comu­
nista d’Albania e i dirigenti del Partito Comunista Jugoslavo,
conflitto provocato dai dirigenti antimarxisti jugoslavi, l’aiuto
che il Partito Bolscevico dell’Unione Sovietica... ha prestato
al nostro Partito e a tutti gli altri partiti fratelli comunisti,
è stato salutario per il nostro popolo e il nostro Partito Co­
munista»*.
Alla luce di queste lettere, il CC del Partito comprese
chiaramente il carattere e gli scopi dell’ingerenza jugoslava in
Albania.
La riunione dell’Ufficio d’informazione del giugno 1948
contribuì notevolmente a smascherare l’attività revisionistica
e sciovinistica della direzione del PCJ. L’Ufficio d’informazione
giunse alla giusta conclusione che la direzione del PCJ si era
allontanata dal marxismo-leninismo portandosi sulla via della
sua revisione, che essa aveva tradito il socialismo ed era
passata sulle posizioni del nazionalismo borghese. Partendo
da questa situazione, l’Ufficio d’informazione condannò la di­
rezione del PCJ come traditrice della causa del socialismo e
dell’internazionalismo proletario.
Il CC del PCA approvò pienamente la risoluzione dell’Ufficio d’informazione «Sulla situazione in seno al Partito Comu­
nista Jugoslavo». Con uno speciale comunicato esso condannò
la via di tradimento, antisovietica e antialbanese della direzione
del PCJ.
Questo atteggiamento del Comitato Centrale fu approvato
da tutto il Partito. Tutte le organizzazioni del Partito espres­
sero, nelle loro riunioni, l’incrollabile fiducia che riponevano
nel Comitato Centrale e nel Segretario Generale, compagno
Enver Hoxha.
Dopo la scoperta delle mire ostili
dei revisionisti jugoslavi, le rela­
zioni
economiche
e
politiche
fra l’Albania e la Jugoslavia do­
vevano essere epurate da ogni
elemento di sfruttamento e dì
sottomissione sia nel loro spirito che nel loro contenuto con-
L’11° Plenum del CC del
PCA. Liquidazione dell’ingerenza jugoslava e del­
l’attività ostile di Koçi
Xoxe
* Comunicato del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Al­
bania, 29 giugo 1948. Documenti principali del PLA, vol. I, p. 476.
243
creto. A tale scopo il PCA chiese che, a eccezione del Trattato
d’amicizia, di collaborazione e di reciproca assistenza, tutti gli
altri accordi fossero riveduti. Non avendo la direzione jugoslava
dato seguito a tale giusta richiesta, il governo albanese si vide
costretto a dichiarare decaduti gli accordi economici conclusi
fra la Repubblica Popolare d’Albania e la Repubblica Federativa
Popolare di Jugoslavia.
Allo scopo di estirpare dalle radici l’ingerenza jugoslava
e le deformazioni nella linea politica e organizzativa del Partito,
nel settembre del 1948 si riunì l’11° Plenum del CC del PCA,
a cui parteciparono anche quei membri e candidati del Comi­
tato Centrale che erano stati ingiustamente esclusi dall’8°
Plenum.
Il Plenum procedette a una vasta analisi della linea po­
litica e dell’attività del Partito, mise a nudo le cause degli
errori commessi e stabilì i provvedimenti da prendere per
operare la svolta dettata dalle nuove circostanze storiche.
Il Plenum stimò giusta la linea politica seguita dal Partito
sin dalla sua fondazione. Le isolate deviazioni manifestatesi dopo
la Liberazione erano conseguenza dell’ingerenza jugoslava. Tale
ingerenza, nonché l’attività trotskista di Koçi Xoxe, fecero sì
che la linea organizzativa del Partito, nel periodo consecutivo
alla guerra, si mutasse in una linea generalmente non giusta.
Le principali decisioni del 2° Plenum e tutte le decisioni
dell’8° Plenum furono definite antimarxiste, nocive e, come
tali, condannate e invalidate.
Il Plenum si soffermò lungamente sulle relazioni del Par­
tito e dello Stato albanese con il Partito e lo Stato jugoslavo.
Esso condannò severamente le mire nazionalsciovinistiche e
colonialistiche dei revisionisti jugoslavi nei confronti della RPA.
D’altro canto, il Comitato Centrale procedette alla propria
autocritica per l’eccessiva fiducia riposta nella direzione del
PCJ.
Il Plenum stimò ingiustificato il mantenimento del Partito
in una condizione di semi-illegalità anche dopo che era divenuto
partito dirigente al potere. Il fatto che il programma del
Partito si dissimulava sotto quello del Fronte Democratico,
che i membri del Partito conservavano il segreto sulla loro
qualità di membri e che le direttive del PCA venivano rese
pubbliche come decisioni del Fronte, fu qualificato come un
grave errore. Tali forme, prese in prestito dal PCJ, indeboli­
244
vano la funzione dirigente del Partito in tutta la vita del
paese e portavano allo sfacelo del Partito stesso.
La mancanza di uno statuto del Partito, che aveva per­
messo l’arbitraria introduzione nel suo seno delle pratiche e
dei metodi antimarxisti della direzione jugoslava, fu giudicata
nociva e perciò fu prospettata la necessità di compilare tale
documento fondamentale.
Il Plenum affermò la grave responsabilità di Koçi Xoxe
per aver appoggiato senza riserve i titisti e per aver deformato
la linea organizzativa del Partito. Cumulando le funzioni di
segretario organizzativo del Partito e quelle di ministro del­
l’interno, Koçi Xoxe approfittò di questa doppia carica per
porre il Partito sotto il controllo degli organi della Sicurezza
di Stato e per applicarvi metodi di direzione polizieschi.
Tale pratica aveva causato gravi violazioni del centralismo demo­
cratico e il soffocamento della critica e dell’autocritica di prin­
cipio. Gli organi dirigenti del Partito non venivano eletti, ma
nominati dall’alto. Essi non rendevano regolarmente conto del
loro operato davanti alla massa dei comunisti. Mancava il
controllo di questi sugli organismi dirigenti. In molti casi, i
diritti dei membri del Partito venivano calpestati. La disciplina
era piuttosto meccanica che cosciente. La direzione collegiale
del Partito era stata sostituita dagli ordini e dalle direttive
individuali.
Gravi mancanze ed errori si rivelavano nella politica
seguita nei confronti dei quadri. In questo campo dominavano
il settarismo, il campanilismo e il favoritismo. I quadri non
erano stimati quale prezioso tesoro del Partito. Il lavoro
per la lóro educazione e per l’elevamento delle loro capacità
era quasi completamente trascurato. Tutti i vecchi quadri,
capaci e aventi autorità, erano raggruppati al centro, mentre
gli organi locali del Partito e del Potere erano considerevol­
mente indeboliti.
Questa grave situazione in seno al Partito aveva altresì
lasciato profonde tracce in tutta la vita del paese. Nella sua
qualità di ministro dell’interno, Koçi Xoxe aveva tollerato
gravi violazioni della legalità socialista e dei diritti democra­
tici dei lavoratori. Gli organi del ministero dell’interno, e
soprattutto quelli della Sicurezza di Stato, erano diventati
organi onnipotenti essenti da qualsiasi controllo. Con le loro
azioni arbitrarie e nocive, questi organi si stavano distaccando
dal popolo.
245
In varie occasioni gli organi del Partito e dello Stato ave­
vano adottato un atteggiamento politico errato nei confronti
della piccola borghesia patriota e dello strato degli intellet­
tuali. Severi provvedimenti economici, che portavano alla pre­
matura eliminazione per via amministrativa dei piccoli com­
mercianti, erano stati presi a loro carico. Patrioti provenienti
dagli strati medi urbani e rurali, che avevano combattuto
sotto la guida del Partito per la liberazione della Patria, erano
stati ingiustamente proclamati nemici. A causa dell’attività
ostile di isolati elementi intellettuali, era stata colpita in modo
arbitrario una vasta cerchia di intellettuali.
Questi erano errori che portavano a gravissime conse­
guenze e suscitavano tra le masse popolari un sentimento
d’insicurezza, indebolendo i vincoli del Partito con le masse
e con il Fronte Democratico.
L’11° Plenum del CC del PCA pose fine a tutte le defor­
mazioni e a tutti gli errori nella linea politica e organizzativa
del Partito.
Esso riabilitò il compagno Nako Spiru come militante del
Partito e adottò sanzioni nei confronti di Koçi. Xoxe, Pandi
Kristo e alcuni altri membri del gruppo frazionista. Fu deciso
che tutti coloro i quali, secondo gli orientamenti dell’8° Ple­
num, erano stati promossi a posti di direzione nel Partito e
nell’amministrazione dello Stato, dovessero ritornare ai loro
precedenti uffici. Tutti coloro invece che erano stati oggetto
di sanzioni ingiuste furono scagionati e reintegrati nelle loro
funzioni antecedenti. I membri del Partito che ne erano stati
espulsi in contrasto con le sue norme, vi furono riammessi.
L’11° Plenum riaffermò la sua incrollabile decisione di
perseguire anche in avvenire una politica d’amicizia e di stret­
ta e fraterna collaborazione con l’Unione Sovietica e il Partito
Bolscevico, guidati da G. Stalin, che erano alla testa del campo
socialista e di tutto il movimento operaio rivoluzionario demo­
cratico e antimperialista nel mondo. Al Partito si prospettava
il compito di studiare l’esperienza dell’edificazione socialista
nell’Unione Sovietica e di applicarla in modo creativo nelle
condizioni dell’Albania.
Le organizzazioni del Partito furono incaricate di svolgere
un vasto lavoro di propaganda per far comprendere alle masse
lavoratrici che i principali nemici della RPA e dell’intera uma­
nità erano gli imperialisti americani e inglesi, per spiegare
loro il tradimento di cui si era macchiata la direzione revi­
246
sionista jugoslava, con a capo Tito, nei confronti del marxismoleninismo e del campo socialista, nonché l’attività ostile della
stessa, nei confronti del PCA e della RP d’Albania.
Il Plenum decise di riprendere la pubblicazione dello
«Zëri i popullit», organo del CC del Partito.
Allo scopo di normalizzare la vita del PCA fu deciso di
legalizzarne immediatamente l’esistenza, di convocare il I Con­
gresso e di attuare praticamente i princìpi marxisti-leninisti
sulle questioni organizzative.
L’11° Plenum del CC del PCA segnò l’inizio di una svolta
decisiva nella vita del Partito, molto importante per i destini
del paese. Esso ristabilì l’unità nella direzione, accrescendo
enormemente l’autorità del Partito. Le decisioni del Plenum
che, per la prima volta, apparvero sulla stampa, scossero e mi­
sero in movimento tutte le organizzazioni del Partito, stimola­
rono l’iniziativa e il coraggio dei comunisti e aumentarono la
loro fiducia nelle proprie forze.
Furono presi vari provvedimenti allo scopo di eliminare
l’influenza dei revisionisti jugoslavi nel settore socialista del­
l’economia. Fu compilato il nuovo statuto delle cooperative
agricole e furono altresì promulgate nuove leggi per regolamen­
tare e incentivare lo sviluppo economico delle campagne sulla
via del socialismo. Furono eliminati alcuni elementi di coope­
razione capitalista, presi in prestito dai revisionisti jugoslavi.
Fu così soppressa nelle cooperative agricole la ripartizione dei
profitti a seconda della superficie del terreno, lasciando unica­
mente la remunerazione in base al lavoro compiuto; fu limitato il
numero degli animali da produzione e la superficie degli appez­
zamenti individuali dei membri delle cooperative agricole. Lo
Stato dedicò maggior cura all’organizzazione e al buon anda­
mento delle cooperative.
In quel periodo tutta l’attenzione del Partito e dei lavo­
ratori era concentrata sui preparativi dei I Congresso del PCA.
Le masse si dedicarono con raddoppiato ardore al lavoro crea­
tivo, in modo da accogliere il Congresso con il piano econo­
mico realizzato. L’entusiasmo rivoluzionario che si era impa­
dronito di tutto il popolo aiutò molto il Partito a portare a un
alto livello la preparazione per il suo Congresso.
247
CAPITOLO IV
LA LOTTA DEL PARTITO PER LA TRASFORMAZIONE
DELL’ALBANIA DA PAESE AGRICOLO ARRETRATO
IN PAESE AGRICOLO-INDUSTRIALE
(1948-1955)
1. IL I CONGRESSO DEL PCA — STORICA SVOLTA
NELLA VITA DEL PARTITO E DEL PAESE
Il I Congresso del PCA svolse i suoi lavori a Tirana dall’8 al 22 novembre 1948. Vi partecipavano 563 delegati con
voto deliberativo e 299 delegati con voto consultivo, rappresen­
tanti 29.137 membri del Partito e 16.245 candidati.
Il rapporto sull’attività del Comitato Centrale fu presentato
dal Segretario Generale del Partito Enver Hoxha. Egli vi ana­
lizzava l’intera attività del Partito sin dalla sua fondazione,
definendo nel contempo la sua politica per il periodo succes­
sivo. Lo spirito di partito proletario che improntava il rapporto
e l’atteggiamento di principio marxista-leninista adottato nei
confronti dei fondamentali problemi, fornirono ai delegati del
Congresso un giusto orientamento e determinarono il buon
andamento dei suoi lavori.
La denuncia e la condanna
dei revisionisti jugoslavi
Il Congresso si soffermò in particolar modo nella denuncia e nel­
la condanna delle vedute e delle
pratiche antimarxiste dei revisionisti jugoslavi, per il fatto che,
come viene rilevato nella sua Risoluzione, tutti i gravi errori
verificatisi nella vita del Partito avevano la loro origine nella
«pressione e nell’illecita ingerenza della direzione trotskista
jugoslava». Senza denunciare e condannare i suoi atteggiamenti
248
e le sue azioni antimarxisti e antialbanesi, non si poteva por­
tare fino in fondo né realizzare completamente la svolta comin­
ciata all’11° Plenum del CC.
Il PCA rilevava che molti atteggiamenti della direzione
jugoslava dopo la Liberazione, non concordavano con la teoria
marxista-leninista e il socialismo scientifico, che in Jugoslavia
non si procedeva sulla via leninista della costruzione socialista.
Quando il Partito venne a conoscenza del contenuto delle let­
tere che Stalin aveva inviato al CC del PCJ, esso si convinse
pienamente che in Jugoslavia lungi dal costruire il socialismo,
si stava sviluppando il capitalismo.
Lo Stato jugoslavo del dopoguerra non era uno Stato di
dittatura del proletariato, ma lo Stato di una nuova classe
borghese in alleanza con la vecchia borghesia jugoslava. In
questo Stato avevano assunto funzioni onnipotenti l’esercito, il
ministero dell’interno con la UDB, sotto forma di dittatura
del tipo fascista.
Anche il PCJ si trovava sotto il diretto controllo del mi­
nistero dell’interno e della UDB. Tutte le norme marxisteleniniste riguardanti l’edificazione e il ruolo dirigente del
partito proletario venivano violate. E così il partito s’era
trasformato in un organo statale per reprimere la classe operaia
e le altre masse lavoratrici.
I titisti, rilevava il Congresso, avevano cercato con tutti
i mezzi e con tutte le forze d’imporre al Partito Comunista
d’Albania l’ideologia, la politica e i loro metodi antimarxisti.
A tal fine essi avevano organizzato, tra l’altro, anche il gruppo
dei cospiratori di Koçi Xoxe. Conseguentemente, essi avevano
influito sul PCA per introdurvi molte vedute e pratiche estranee
al marxismo-leninismo e al socialismo scientifico, specialmente nel
campo dei problemi organizzativi, ma in molti casi anche in
quello delle questioni economiche e politiche. Risultato di tale
influenza fu anche la posizione non legalizzata del Partito, che
rimasse in semi-illegalità nei primi anni successivi alla Libera­
zione. Tuttavia, le pressioni e l’ingerenza dei revisionisti jugo­
slavi non avevano potuto intaccare la politica proletaria del
Partito sulla lotta di classe, la politica economica e la sua linea
politica rivoluzionaria nel suo insieme.
Smascherando e denunciando i revisionisti jugoslavi, il Con­
gresso portò a compimento anche l’annientamento del gruppo
di traditori di Koçi Xoxe.
Durante la discussione della Risoluzione dell’11° Plenum
249
nelle organizzazioni del Partito furono scoperti molti fatti e
documenti che facevano piena luce sull’attività ostile di Koçi
Xoxe, Pandi Kristo ed atri, che aggravavano ancora di più le
loro colpe in quanto servitori della direzione revisionista ju­
goslava. Per questa ragione i comunisti, giudicando lievi le
pene inflitte loro dall’11° Plenum del CC, chiesero che venissero
adottate delle misure più gravi e più radicali nei loro confronti.
Il Congresso, esprimendo la volontà di tutti i comunisti, espulse
dalle file del Partito Koçi Xoxe e Pandi Kristo i quali attra­
verso la loro attività ostile «in piena e coordinata collaborazione
con il gruppo nazional-trotskista di Tito e di Ranković cercarono
di annientare il nostro Partito, di distruggere l’indipendenza del
nostro paese e di trasformare la nostra Repubblica Popolare
in una colonia jugoslava e in una repubblica borghese vasalla
dell’imperialismo...»*.
Per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti della Ju­
goslavia, il Congresso si espresse risolutamente per il manteni­
mento dell’amicizia coi popoli di Jugoslavia nata durante la
comune lotta di liberazione contro gli invasori fascisti e per
svolgere, nello stesso tempo, una inconciliabile lotta ideologica
e politica contro il gruppo dei traditori revisionisti di Tito.**
Orientamenti fondamenta­
li per l’edificazione delle
basi del socialismo
Il Congresso prospettò con grande
forza la necessità di portare fino
in fondo la lotta contro le de­
formazioni della lìnea politica,
derivanti dall’ingerenza ostile della direzione jugoslava, e
definì i principali orientamenti per la costruzione delle basi
del socialismo.
In campo economico, il compito fondamentale consisteva
nel far uscire il paese dalle sue condizioni di grande arretra­
tezza mediante un rapido sviluppo delle forze produttive.
L’industrializzazione socialista e l’elettrificazione del paese
costituivano gli elementi principali per l’attuazione di tale compito. L’industrializzazione era un’assoluta necessità dettata dal
bisogno di creare una base materiale e tecnica completamente
nuova nell’economia nazionale, di ampliare la produzione di
merci nel paese, di preparare le condizioni per la riorganiz­
zazione dell’agricoltura su basi socialiste, di far crescere la
* Risoluzione del I Congresso del PCA. Documenti principali del
PLA, vol. I, p. 575.
** Ibidem, p. 563-564.
250
classe operaia in modo che questa potesse consolidare le proprie
posizioni direttive. L’industrializzazione socialista doveva servire
direttamente alla difesa delle conquiste della rivoluzione e
garantire la costruzione della società socialista.
L’industrializzazione socialista doveva essere attuata a ritmo
celere, per permettere di ricuperare entro il più breve tempo
il ritardo ereditato dal passato, di assicurare lo sviluppo indipendente dell’economia e di ottenere un sensibile elevamento
del livello di vita materiale e culturale delle masse lavoratrici.
La realizzazione di questo compito si basava innanzi tutto
sullo sfruttamento quanto più completo possibile delle risorse
del suolo e del sottosuolo, unitamente all’incremento e alla
riorganizzazione dell’industria esistente nonché alla costruzione
di nuove opere e all’impianto di nuovi rami industriali.
Parallelamente all’industrializzazione socialista, il Congresso
considerò molto importante svincolare l’agricoltura dal suo stato
di arretratezza e promuoverne lo sviluppo. L’unica via che
potesse assicurare la piena attuazione di questo compito era
quella della riorganizzazione, su basi socialiste, delle campagne.
Dopo l’analisi critica degli errori commessi nel campo della
collettivizzazione, il Congresso raccomandò al Partito di orien­
tarsi «verso il rafforzamento del settore socialista nell’agri­
coltura (aziende agricole statali) e verso la graduale, ponderata
e volontaria collettivizzazione della terra nelle campagne me­
diante le cooperative agricole di produzione, che dovranno es­
sere sostenute dallo Stato sul piano politico, economico e orga­
nizzativo...»*. Non essendo ancora mature le condizioni per la
collettivizzazione su vasta scala, l’attività del Partito in questo
campo doveva essere guidata dalla parola d’ordine «in materia
di collettivizzazione non dobbiamo né affrettarci, né segnare
il passo».
Dato il basso livello di sviluppo dei poderi individuali che
costituivano il più diffuso tipo di conduzione in agricoltura,
si giudicò necessario fornire un multiforme aiuto al contadino
coltivatore individuale per promuovere l’aumento della produ­
zione agricola.
Nello stesso tempo il Congresso raccomandò di non di­
menticare neppure per un istante il pericolo dello sviluppo
del capitalismo nelle campagne, nelle condizioni di predominio
* Risoluzione del I Congresso del PCA. Documenti principali del
PLA, vol. I, p. 565.
251
delle aziende private. Esso impartì la direttiva di applicare una
politica di limitazione economica e di isolamento politico degli
elementi capitalisti rurali.
Nell’attuazione della sua politica nelle campagne, il Partito
doveva essere guidato dalla parola d’ordine leninista: «Appog­
giarsi sul contadino povero, allearsi con il contadino medio,
lottare contro il kulak».
Lo sviluppo del paese sulla via del socialismo esigeva la
prosecuzione della lotta per liquidare l’arretratezza nel campo
della cultura, per approfondire la rivoluzione culturale e ideo­
logica. In relazione a ciò, bisognava prendere tutti i prov­
vedimenti atti ad assicurare l’istruzione elementare obbligatoria,
l’ampliamento dell’insegnamento medio soprattutto di quello
medio professionale, nonché la creazione delle necessarie condi­
zioni per lo sviluppo dell’insegnamento superiore e la prepa­
razione di quadri superiori nel paese e all’estero.
Dopo aver criticato i tentativi dei revisionisti jugoslavi e
del gruppo di Koçi Xoxe tendenti a introdurre nel campo del­
l’istruzione, dell’arte e della cultura, uno spirito di negazione
delle tradizioni e dei valori culturali del popolo albanese, il
Congresso diede in tale materia i principali orientamenti che
avrebbero costituito il nucleo di sviluppo della rivoluzione
culturale. L’istruzione e la cultura dovevano divenire patri­
monio del popolo e servire le larghe masse lavoratrici, e, pur
basandosi su valori nazionali, dotarsi di un profondo contenuto
socialista. Nel campo dell’insegnamento, dell’arte e della cultura,
il Partito doveva lottare contro l’influenza dell’ideologia bor­
ghese e appoggiarsi fortemente sulla scienza marxista-leninista.
Il Congresso esaminò e approvò le direttive concernenti il
piano biennale di sviluppo economico e culturale del paese
per gli anni 1949-1950. La pratica attuazione di questo piano
doveva gradualmente preparare le condizioni che avrebbero per­
messo di passare allo sviluppo dell’economia mediante piani ad
ancora più lungo termine.
Nel piano biennale particolare attenzione veniva dedicata
allo sviluppo dell’industria, a cui fu devoluto il 47 per cento
di tutti gli investimenti del piano biennale. Al primo posto
figurava l’aumento della produzione mineraria, e in particolar
modo del petrolio e del bitume. Al secondo posto si trovava
lo
sviluppo dell’industria leggera. Si prevedeva di costruire, in
questi due anni, un complesso tessile a Tirana, lo zuccherificio
di Maliq, la centrale idroelettrica di Selitë e una serie di altre
252
opere. Lo sviluppo dell’artigianato e una più vasta cooperazione
in questo settore dovevano avere una parte importante per
superare le difficoltà verificatesi nell’approvvigionamento della
popolazione con articoli industriali.
Nel settore dell’agricoltura si prevedeva l’aumento della
produzione mediante l’ampliamento delle superfici seminate,
l’incremento del rendimento, l’estensione dei lavori di bonifica,
della meccanizzazione agricola e così via.
Il Congresso pose l’accento sul
fatto che per costruire le basi
del socialismo era assolutamente
necessario consolidare e democra­
tizzare ulteriormente il potere, rafforzare l’Esercito Popolare
e gli organi della Sicurezza di Stato.
La divisione del potere in consigli di distretto e in con­
sigli di città, di cui i primi si occupavano essenzialmente dei
problemi delle campagne e i secondi soprattutto di quelli delle
città, fu definita un errore di principio. Questo provvedimento
amministrativo, preso in prestito dai revisionisti jugoslavi, aveva
portato ad una separazione artificiale fra i lavoratori delle città
e quelli delle campagne. Allo scopo di por rimedio a questo
inconveniente, il Congresso dispose affinché fossero immedia­
tamente fusi insieme i consigli di distretto e quelli di città, di
modo che gli organi locali del potere si occupassero di tutti
i problemi della vita economica e politica del distretto.
Il Congresso criticò il dualismo potere-partito e l’irregolare
situazione creatasi per effetto di tale dualismo, che si trovava
all’origine della sottovalutazione e dell’indebolimento degli or­
gani del potere, dell’accentuazione della burocrazia e del ritardo
che si verificava nell’espletamento delle pratiche correnti. I
consigli popolari unitamente ai comitati esecutivi dovevano
usufruire di tutti i diritti a essi conferiti dalla legge per elevare
il loro ruolo.
Le intenzioni e l’attività ostile degli imperialisti e dei loro
servitori contro la RP d’Albania, circondata da tutti i lati da
paesi nemici, ponevano davanti al Partito e al popolo il grande
compito di mantenersi sempre vigilanti e ad accrescere costan­
temente la capacità difensiva del paese.
A tal fine, il Congresso impartì la direttiva di provvedere
al rafforzamento in tutti i sensi dell’Esercito Popolare, all’ac­
crescimento della sua efficienza bellica e del popolo. Esso
Rafforzamento e ulteriore
democratizzazione del po­
tere popolare
253
raccomandò che la preparazione militare e politica dell’eser­
cito venisse sviluppata secondo programmi compilati sulla base
dell’ideologia e della scienza militare marxista-leninista, del­
l’esperienza dell’ELNA e dell’arte militare staliniana, tenendo
conto delle concrete condizioni del paese.
Uno dei più ardui problemi in quei periodo era quello di
eliminare gli errori rilevati nell’attività degli organi della Sicu­
rezza di Stato, di riportare sulla giusta via e di rafforzare ulte­
riormente tali organi che negli anni trascorsi avevano subito più
di ogni altro settore l’influsso dell’ingerenza jugoslava e dell’attività trotskista di Koçi Xoxe. Il Congresso approvò tutti i prov­
vedimenti adottati dal Partito dopo l’11° Plenum del CC per
l’eliminazione dei metodi polizieschi degli organi della Sicurezza
e per la loro epurazione dagli elementi che avevano commesso
gravi colpe. In particolare, esso rilevò che l’arma della Sicurezza
doveva svolgere la propria attività sotto la guida e il diretto
controllo del Partito, nel rispetto della legalità socialista.
Nello stesso tempo il Congresso raccomandò che l’analisi
degli errori in cui erano incorsi gli organi della Sicurezza
di Stato venisse compiuta in uno spirito di partito. Questa
arma aveva reso un prezioso servizio per la salvaguardia delle
conquiste della rivoluzione. La condanna degli errori non
doveva assolutamente mettere in causa l’indispensabilità degli
organi della Sicurezza di Stato né trasformarsi in lotta contro
le persone appartenenti a essa. Coloro che avevano sbagliato
dovevano venir aiutati dal Partito a correggere i loro errori.
Il Congresso avvertì che il nemico di classe avrebbe tentato
di sfruttare la situazione che si era venuta a creare per
indebolire gli organi della Sicurezza di Stato, mentre «Il Partito
deve operare affinché l’arma della Sicurezza di Stato si raf­
forzi quanto più possibile, poiché essa è l’arma prediletta del
potere diretta dal Partito, l’arma che protegge il Partito e il
potere dall’attività ostile dei nemici esterni e interni»*.
In conformità alla politica interna rivoluzionaria, il Con­
gresso definì una politica estera marxista-leninista che derivava
dalla natura stessa dello Stato socialista e rispondeva agli
interessi del popolo e della Patria. Questa politica aveva per
primi obiettivi l’amicizia e la collaborazione con l’Unione So­
vietica e gli altri paesi socialisti, il sostegno da fornire alla
* Risoluzione del I Congresso del PCA. Documenti principali del
PLA, vol. I, p. 567.
254
lotta dei popoli contro l’imperialismo per conservare e garan­
tire la loro indipendenza nazionale, gli sforzi da compiere per
salvaguardare la pace e stabilire relazioni di buon vicinato con
gli altri paesi.
La giusta linea politica del Par­
tito poteva venir messa in pra­
tica soltanto a patto che fossero eliminate tutte le deformazioni
organizzative e venisse elaborata una linea organizzativa mar­
xista-leninista. Il ripristino delle norme marxiste-leniniste avreb­
be reso completa la svolta nella vita del Partito.
Il Congresso decise di mutare la denominazione del «Par­
tito Comunista d’Albania» in quella di Partito del Lavoro d’Al­
bania (PLA). Tale cambiamento era connesso alla struttura
sociale del paese e del Partito e non alterava il carattere e gli
scopi di questo. In Albania, la maggior parte della popolazione,
circa l’80 per cento, era composta di contadini. Ciò si rifletteva
anche nel Partito, dove la schiacciante maggioranza dei suoi
membri era costituita da lavoratori delle campagne. Il Partito
del Lavoro d’Albania doveva essere la prosecuzione del Partito
Comunista.
Le norme e le regole strutturali della vita interna del
Partito si incarnarono nello Statuto del Partito del Lavoro
d’Albania, che venne approvato dal Congresso.
L’introduzione dello Statuto enunciava nelle loro grandi
linee gli scopi perseguiti dal Partito: lo scopo immediato —
l’edificazione del socialismo, lo scopo finale — l’edificazione del
comunismo.
Lo Statuto poneva in risalto la funzione direttiva del Par­
tito sia nel potere, sia in tutta la vita politica, economica e
culturale del paese.
La struttura del Partito e tutta la sua vita interna si basa­
vano sul principio del centralismo democratico. Le contingenze
della Lotta di Liberazione Nazionale non avevano permesso in
quel periodo che una limitata applicazione di tale principio
fondamentale. Dopo la Liberazione, esso fu gravemente violato
dall’ingerenza dei revisionisti jugoslavi e dall’attività del grup­
po di Koçi Xoxe. Il Congresso raccomandò che questo principio
«sia applicato e difeso come la pupilla dei propri occhi»*.
Lo Statuto del PLA
* Risoluzione del I Congresso del PCA.
PLA, vol. I, p. 570.
Documenti principali del
255
Lo Statuto assicurava l’unità organizzativa e ideologica
del Partito, definendola una condizione indispensabile perché
il Partito potesse conservare e consolidare l’unione delle masse
lavoratrici intorno a sè ed essere in grado di conseguire i
propri scopi.
In questo documento fondamentale erano formulati per la
prima volta i doveri dei membri del Partito in quanto com­
battenti d’avanguardia nella lotta per l’edificazione socialista
del paese, per il continuo rafforzamento dell’unione del popolo
nel Fronte Democratico e per la difesa della RPA. In particolar modo vi si rilevava che ogni comunista aveva il dovere
di essere un «esempio di buona condotta e di morale», nonché
di mantenere e rinsaldare i legami con le masse e di distin­
guersi come dirigente delle masse.
Lo Statuto definiva le regole per l’ammissione al Partito
in base alle condizioni sociali del paese nella tappa della
costruzione delle basi del socialismo. Chiunque sfruttasse il
lavoro altrui non poteva essere ammesso al Partito. Per l’am­
missione dei lavoratori erano previste esigenze varianti a
seconda dell’origine e dell’appartenenza sociale dell’interessato,
accordando la priorità agli operai e ai contadini poveri.
L’approvazione dello Statuto costituiva un grande avveni­
mento per il Partito, la cui vita interna era stata regolata
per sette anni consecutivi unicamente sulla base di decisioni,
circolari e direttive.
Lo Statuto costituiva una ferma garanzia per non permet­
tere in avvenire infrazioni delle regole e delle norme leniniste
nella vita interna del Partito. Il Congresso fissava il compito
«di combattere tutte le manifestazioni tendenti a violare le
regole e i princìpi organizzativi del Partito, sanciti nel suo
Statuto»*.
Allo scopo di rafforzare il lavoro ideologico, il Congresso
impartì direttive e stabilì misure concrete per promuovere lo
studio del marxismo-leninismo e della storia del Partito attra­
verso le forme di educazione praticate nel Partito, attra­
verso i corsi della Scuola del Partito e lo studio individuale.
Il Congresso elesse il nuovo Comitato Centrale del Partito
composto di 21 membri e di 10 candidati. All’Ufficio Politico
* Risoluzione del I Congresso del PCA. Documenti principali del
PLA, vol. I, p. 573.
256
furono eletti 9 membri. Enver Hoxha fu rieletto Segretario
Generale del Partito.
I lavori del Congresso si svolsero a un alto livello ideologico,
in un sano spirito di critica e di autocritica. La vasta e attiva,
partecipazione dei delegati alla discussione dei problemi, ba­
sata sui princìpi del marxismo-leninismo, contribuì alla giusta
soluzione delle questioni fondamentali della politica e della
vita interna del Partito.
Nel condannare l’ingerenza dei revisionisti jugoslavi e l’at­
tività trotskista di Koçi Xoxe, il Congresso non permise che
si scivolasse all’estremo opposto. Esso definì particolarmente
nocivi e condannò i tentativi di Gjin Marku di dare un orien­
tamento completamente distorto ai lavori del Congresso. Spe­
culando sul fatto che il Partito aveva dichiarato guerra al
trotskismo e al revisionismo, Gjin Marku si sforzò di confutare
tutta la precedente linea politica del Partito, accusò tutti i
principali quadri dirigenti del Partito di essere essi stessi affetti
da trotskismo e tentò di includerli nello stesso calderone con
Koçi Xoxe e di farli condannare severamente. Con ciò egli
mirava a far cambiare la direzione del Partito, a presentarsi
come «salvatore» del Partito e a porsi alla sua testa. Simil­
mente agirono anche alcuni altri che avevano commesso gravi
colpe nei confronti del Partito, sperando in tal modo di dis­
simulare la propria responsabilità e di apparire innocenti. Il
compagno Enver Hoxha, nel suo intervento, aiutò i delegati
a scoprire le vere intenzioni di Gjin Marku e degli altri ele­
menti malsani, a superare ogni confusione e a conservare
fino in fondo ai lavori del Congresso il loro spirito rivolu­
zionario e di principio.
Il I Congresso del PCA accentuò ulteriormente e confermò
la svolta inaugurata dall’11° Plenum del CC nella vita interna
del Partito e del paese. Esso dotò il Partito di una giusta
linea generale marxista-leninista e armò i lavoratori di un
programma scientifico per l’edificazione delle basi del socia­
lismo.
Il Congresso coronò la vittoria del marxismo-leninismo sul­
l’opportunismo e il trotskismo e armò il Partito di una grande
esperienza di lotta contro il revisionismo moderno.
Esso consolidò l’unità del Partito e affermò la sua fedeltà
al marxismo-leninismo e all’internazionalismo proletario.
Il I Congresso previde inoltre le grandi difficoltà econo­
257
miche e politiche che il Partito avrebbe incontrato nell’at­
tuazione dei compiti assegnatigli. Esso lo preparò ad affrontare
tutti gli ostacoli.
I materiali del Congresso vennero studiati e discussi con
tutto il popolo. Le masse lavoratrici abbracciarono totalmente
la linea del Partito, criticarono arditamente gli errori commessi
in precedenza, espressero la propria fedeltà al Partito e la
determinazione di applicare il suo programma.
2. RINSALDAMENTO DEI LEGAMI FRA LA CLASSE
OPERAIA E I CONTADINI NELLA LOTTA CONTRO
LE DIFFICOLTA’
Il Comitato Centrale del Partito prese immediatamente una
serie di provvedimenti indispensabili per l’attuazione della
svolta segnata dal Congresso. Si procedette alla revisione di
tutte le leggi, ordinanze e simili. Quadri dotati di esperienza
e che godevano di autorità furono inviati dal centro alla base
presso gli organi locali del Partito e del potere. La fusione dei
consigli di città e di quelli dei distretti pose fine alla frattura
creatasi tra città e campagne.
Le organizzazioni di base del Partito vennero istituite al
livello dei centri di produzione. Il Partito mise sulla buona
strada le organizzazioni di massa. Si rimediò agli errori com­
messi nei confronti del Fronte, ne furono definite correttamente la struttura organizzativa e i compiti, che vennero
rispecchiati nel nuovo Statuto del Fronte Democratico d’Al­
bania. Il Partito liquidò sollecitamente le tendenze manifesta­
tesi dopo il Congresso fra alcuni comunisti, i quali ritenevano
che il Fronte doveva venir soppresso, dato che il lavoro politico
con le masse veniva svolto dalle Unioni Professionali, dalle
organizzazioni della gioventù e dalle donne! Il Fronte Demo­
cratico, in quanto forma di organizzazione delle vaste masse
popolari, divenuto ora una solida tradizione, doveva svolgere
anche nel futuro un grande ruolo per la salvaguardia e l’inar­
restabile rafforzamento dell’unità politica del popolo nella lotta
per l’edificazione socialista e la difesa della patria.
Conformemente all’orientamento impartito dal I Congresso
del PCA, il Congresso di Unificazione della gioventù, tenutosi
a Shkodër nel settembre 1949, decise la fusione della Gioventù
258
Comunista e della Gioventù Popolare1 in un’unica organizzazione
che prese il nome di Unione della Gioventù del Lavoro d’Al­
bania (UGLA). Il Partito assegnò come principale compito all’UGLA di mantener vivo e di sviluppare ulteriormente tra le
larghe masse della gioventù l’alto spirito rivoluzionario che l’ave­
vano caratterizzata durante la Lotta di Liberazione Nazionale e
nei primi anni che seguirono la liberazione. Trovandosi essa in
prima linea sul fronte dell’edificazione socialista, alla gioventù
incombeva il compito di rivolgere la sua attenzione all’insegnamento, alla cultura, alla tecnica, al fine di fornire nuovi quadri
dotati di un’alta preparazione ideologica e tecnico-professionale.
Il Partito dedicò grande attenzione all’educazione della classe
operaia che stava crescendo costantemente sotto la spinta
dell’industrializzazione socialista del paese, al fine di agguerrirla
in quanto classe dirigente nella costruzione della società socia­
lista. Questo orientamento trovò la propria espressione al II
Congresso delle Unioni Professionali, tenutosi nell’ottobre del
1949.
Il problema più urgente, che in
quel periodo costituiva l’anello
principale della catena di compiti
da portare a termine, era il raf­
forzamento dei legami economici fra la classe operaia e le
masse contadine, nonché l’immediato incremento delle forze
produttive in agricoltura. In un paese come l’Albania, in cui
predominava la piccola proprietà contadina, era impossibile
svincolarsi dall’arretratezza e edificare il socialismo senza mi­
gliorare le condizioni dell’agricoltura, senza svilupparla e farla
progredire. Non si poteva creare l’industria senza assicurare
il suo approvvigionamento in materie prime e quello della
classe operaia in prodotti alimentari.
Per raggiungere questo scopo era necessario innanzitutto
applicare una politica tale che stimolasse l’incremento dei pro­
dotti agricoli e zootecnici.
L’allora vigente sistema di ammassi e di approvvigiona-
La politica del Partito in
relazione agli ammassi e
agli approvvigionamenti
1 «Gioventù popolare» era il nuovo appellativo che l’Unione della
Gioventù Antifascista Albanese si era data al suo III Congresso tenuto
nell’ottobre del 1946.
259
mento, lungi dal poter risolvere questo problema, era divenuto
un ostacolo per lo sviluppo delle forze produttive nelle cam­
pagne.
Anche se la legge riconosceva al contadino il diritto di
vendere liberamente le eccedenze dei principali prodotti agricoli,
dopo aver consegnato allo Stato le quote obbligatorie stabilite,
in realtà al contadino rimanevano poco o niente affatto ecce­
denze di prodotti agricoli, soprattutto di cereali. E così il con­
tadino non prestava il dovuto interessamento all’aumento della
produzione. In tal senso influiva inoltre negativamente il vec­
chio sistema di tesseramento che concedeva anche ai contadini
tessere per l’approvvigionamento in prodotti industriali. In
queste condizioni, il contadino produttore non si sentiva in
dovere di consegnare alle cooperative di compravendita i pro­
dotti non soggetti all’ammasso obbligatorio. A causa della
penuria di prodotti industriali sul mercato libero, i contadini
esitavano a consegnare allo Stato le quote obbligatorie stabilite.
Di tale situazione approfittavano i kulak e gli speculatori. Sic­
come lo Stato assicurava loro gli articoli di prima necessità
per mezzo delle tessere di cui erano muniti, essi si dedica­
vano al mercato nero dei prodotti agricoli e industriali, sfrut­
tando le masse lavoratrici delle città e delle campagne.
I legami economici fra la campagna e la città si venivano
indebolendo. L’operaio cominciò a considerare il contadino co­
me uno speculatore. Da parte loro, gli organi del potere erano
spesso costretti ad adottare nei riguardi dei contadini provve­
dimenti amministrativi allo scopo di assicurare l’ammasso dei
prodotti. Veniva messa in pericolo l’alleanza della classe ope­
raia e dei contadini.
Per evitare tale pericolo e per rafforzare ulteriormente
l’alleanza con i contadini, il CC del Partito prese una serie
di importanti provvedimenti economici a favore delle campagne,
quali l’aumento del credito agrario, l’estensione dei lavori di
bonifica, l’aiuto fornito attraverso le stazioni di macchine
e trattori, e altri. Nondimeno, questi provvedimenti non pote­
vano pienamente risolvere il problema nelle condizioni di pre­
dominio della piccola proprietà privata contadina. Questa al­
leanza poteva essere ulteriormente rafforzata, principalmente
attraverso l’intensificazione dei rapporti economici in campo
commerciale, mediante lo scambio dei prodotti industriali con
quelli agricoli. Questi legami erano più comprensibili e più
vantaggiosi per i contadini. Il Partito concretizzò la sua politica
260
in questo campo con l’istituzione del nuovo sistema di ammasso
e di approvvigionamento approvato dal Comitato Centrale nel
gennaio del 1949.
Secondo il nuovo sistema di ammasso, il quantitativo di
prodotti che il contadino era obbligato a consegnare allo Stato
veniva determinato in base all’estensione e alla qualità del
terreno coltivabile. Egli non era obbligato a consegnare tutte
le eccedenze dei suoi prodotti agricoli e di allevamento, ma
solo una parte di esse, potendo liberamente disporre del rimanente. Questo sistema stimolava lo sviluppo delle forze produt­
tive in agricoltura e in zootecnia. In tali condizioni il conta­
dino, sapendo in precedenza la quantità dei prodotti da con­
segnare allo Stato, si sforzava di produrre il più possibile per
poter disporre di maggiori eccedenze.
Questo nuovo sistema di ammasso assicurava allo Stato buo­
na parte del fabbisogno interno in prodotti agricoli e zootecnici.
Inoltre lo Stato assicurava un’altra parte di tali prodotti grazie
all’applicazione del nuovo sistema di approvvigionamento, che
regolava lo scambio dei prodotti industriali e di quelli agro-zootecnici nonché garantiva l’approvvigionamento degli articoli di
prima necessità ai lavoratori della città. Tale sistema si basava
sull’organizzazione di tre tipi di mercato. Il mercato garantito
statale approvvigionava, in base alle tessere di razionamento,
i lavoratori delle città. Il mercato reciproco riforniva i conta­
dini di articoli industriali, mediante lo scambio delle eccedenze
dei loro prodotti. Il mercato libero, dove i prezzi erano molto
più alti, mirava ad approvvigionare la categoria di persone
sprovviste di tessere e di soddisfare la domanda per le merci
che non si trovavano al mercato garantito e al mercato reci­
proco.
Il nuovo sistema di approvvigionamento operò una dif­
ferenziazione fra i lavoratori e i parassiti, stimolò il passaggio
alla produzione di una maggiore forza di lavoro sia nelle cam­
pagne che nelle città, contribuì a risparmiare un maggiore
quantitativo di cereali che in precedenza venivano distribuiti
senza alcun criterio o sperperati.
L’applicazione del nuovo sistema di ammasso e di approv­
vigionamento richiedeva il rafforzamento e l’attivazione del
commercio statale e cooperativistico. Conformemente a questo
sistema, si procedette alla riorganizzazione del commercio.
Inoltre, le nuove forme di commercio servirono direttamente
ad attivare e a sviluppare l’industria leggera.
261
Per una migliore organizzazione del commercio, per una
giusta e rapida distribuzione delle merci, il Partito dedicò
una particolare cura alla preparazione dei quadri e lanciò la
seguente parola d’ordine: «I comunisti imparino a fare il
commercio».
Un nuovo atteggiamento venne adottato anche nei con­
fronti del piccolo commercio e dell’artigianato privato. Dato
che il commercio e l’industria socialista non erano in grado di
soddisfare tutte le richieste dei lavoratori, si rendeva neces­
saria l’attivazione in una certa misura anche del piccolo mer­
cato privato. Ciò si faceva allo scopo di meglio provvedere ai
bisogni dei lavoratori.
Permettere lo sviluppo del piccolo commercio e dell’artigianato privato significava permettere un certo ravvivamento
degli elementi capitalisti. Ma qualsiasi pericolo per l’econo­
mia socialista, proveniente dal settore capitalistico, era scongiu­
rato grazie al sistematico controllo esercitato dallo Stato su
tale settore. D’altronde, il settore capitalistico non incideva
in modo rilevante sull’economia nazionale e non era in grado
di entrare in concorrenza con l’economia socialista.
Il nuovo sistema di ammasso e di approvvigionamento
costituiva un importantissimo elemento della politica economica
del Partito, che aiutava direttamente lo sviluppo di tutti i rami
dell’economia popolare. Questo sistema risolveva correttamente
il problema del rafforzamento dell’alleanza fra la classe operaia
e i contadini.
L’attuazione pratica del nuovo
sistema di ammasso e di approv­
vigionamento incontrò gravi dif­
ficoltà. In questo sistema s’incar­
nava anche la politica del Partito
rivolta alla limitazione degli elementi capitalisti della città
e della campagna a beneficio delle masse lavoratrici. Le
nuove ordinanze colpivano il kulak con imposte comple­
mentari e gli tagliavano la strada della speculazione. Questa
fu una delle principali ragioni per cui i kulak, sin dal­
l’inizio, si levarono contro il nuovo sistema di ammasso e
di approvvigionamento. Essi tentarono di falsarne il contenuto
e di suscitare l’ostilità dei contadini verso il potere popolare,
approfittando del fatto che in principio il contadino ignorava
i vantaggi di tale sistema e che la propaganda del Partito in
Lotta contro le difficoltà
per
l’applicazione
del
nuovo sistema di ammasso
e di approvvigionamento
262
questo campo era ancora debole. Essi lanciarono slogans come
«il nuovo sistema è buono soltanto per gli operai e gli impie­
gati», «il potere ha lasciato i contadini senza pane e senza
indumenti, perciò non lavorate le vostre terre», «per i contadini
poveri è venuto il tempo di morir di fame», «non consegnate
i cereali»! Allo scopo di dissimulare la loro attività ostile, da
un lato i kulak stessi adempivano tutti i loro obblighi, mentre
dall’altro spingevano i contadini poveri e medi a non consegnare
i prodotti all’ammasso. Alcuni contadini, istigati dai kulak, si
rifiutarono di seminare le colture cerealicole pianificate, pen­
sando di potersi così esimere dall’obbligo di consegnare i
cereali all’ammasso, senza comprendere che le quote obbligatorie
non venivano fissate in base alla quantità dei prodotti raccolti,
ma a seconda della superficie arativa.
Nelle campagne si manifestò la resistenza anche contro
l’applicazione delle ordinanze governative sulle consegne ob­
bligatorie di altri prodotti agricoli e zootecnici, soprattutto
della carne. In tal senso influì negativamente anche il fat­
to che, durante l’analisi della risoluzione del I Congresso,
alcuni funzionari di Partito, criticando gli errori commessi nel
passato, avevano lasciato capire che in avvenire le quote di
ammasso obbligatorio sarebbero state soppresse.
Anche alcuni comunisti caddero nella rete tesa dai kulak.
Non comprendendo l’importanza del nuovo sistema, né le pro­
spettive che esso apriva allo sviluppo dell’economia in gene­
rale e dell’agricoltura in particolare, essi temevano che
questo sistema potesse recar danno ai contadini poveri. Vi
furono segretari di organizzazioni di base, comunisti e membri
di consigli popolari, i quali, subendo le pressioni dei kulak,
scivolarono su posizioni opportunistiche e indietreggiarono da­
vanti alle difficoltà sorte durante l’applicazione delle ordinanze
relative all’ammasso. Altri caddero nel pessimismo, rivolgendo
«lamentele» al Comitato Centrale e al compagno Enver Hoxha
ed esprimendo l’opinione che «le ordinanze del governo concer­
nenti l’ammasso non erano giuste», che «l’agricoltura andava
in rovina», che «i contadini erano scontenti», e così via.
Per cambiare la situazione che si era venuta a creare,
molto importante fu la lettera aperta del compagno Enver Hoxha
«Su alcuni problemi delle campagne», pubblicata nel marzo
1949 sullo «Zëri i popullit». Questa lettera spiegava perché
il nuovo sistema era indispensabile e rilevava soprattutto le
263
prospettive che esso schiudeva allo sviluppo dell’agricoltura e
di tutta l’economia nazionale.
Il compagno Enver Hoxha attirò l’attenzione delle organiz­
zazioni del Partito sull’attività ostile dei kulak. Questi non
erano in grado di sostenere con le proprie forze la lotta
contro il potere popolare, avevano bisogno di alleati, di gente
che abbracciasse e propagasse i loro slogans. Perciò essi si
sforzarono di generalizzare il proprio malcontento, di trasfor­
marlo in malcontento di tutti i contadini, sollevandoli contro
il potere popolare. La lettera lanciava un appello ai comunisti
perché si mantenessero in prima linea nella lotta per l’attua­
zione del nuovo sistema di ammasso e di approvvigionamento,
perché non cedessero dinanzi alle difficoltà e neutralizzassero
con la loro opera chiarificatrice l’influenza dell’attività dei
nemici di classe nelle masse contadine.
Il compagno Enver Hoxha criticò quei comunisti che non
avevano una visione chiara dello sviluppo delle campagne sulla
via del progresso e del benessere, che restavano schiavi di
mentalità retrograde, pretendendo che «il nostro contadino non
chiede altro all’infuori del petrolio e del sale, che vengono
prodotti nel paese». Egli denunciò il carattere reazionario di
questa tesi, che stornava i contadini dal loro obiettivo e dai
loro sforzi per elevare il proprio benessere, che oscurava
le prospettive di sviluppo dell’agricoltura e di edificazione
del socialismo nelle campagne. Egli spiegò che «il Partito
conduce il popolo al socialismo, verso una vita felice e prospera,
e non lo riporta al medioevo. Il Partito lavora per l’oggi e
per il domani». Le condizioni di vita del contadino non possono
migliorare senza che vengano costruite fabbriche, officine,
centrali elettriche, senza che l’agricoltura venga meccanizzata
in tutti i settori, e a ciò non si può giungere se l’agricoltura
non è in grado di fornire alle città i necessari prodotti agricoli
e all’industria le materie prime.
Il male, spiegava il compagno Enver Hoxha, non stava
nel contenuto delle ordinanze sull’ammasso e sull’approvvi­
gionamento, ma nei deboli legami fra i comunisti e le masse
contadine, nella mancanza di una multiforme opera di chiari­
mento nelle campagne.
La lettera «Su alcuni problemi delle campagne» rese più
intensa la lotta delle organizzazioni di base e dei comitati del
Partito nei vari distretti per una giusta e piena applicazione
della decisione del Comitato Centrale del Partito e delle ordi­
264
nanze del governo sul nuovo sistema di ammasso e di approv­
vigionamento.
In seguito alla lettera del compagno Enver Hoxha, quei
comitati del Partito che in precedenza avevano ritenuto im­
possibile l’attuazione dei compiti prospettati dall’ammasso nel­
l’insieme, si ricredettero e abbandonarono tale atteggiamento.
Vennero adottati svariati provvedimenti per convincere i con­
tadini della opportunità del nuovo sistema e per svolgere una
fruttuosa e organizzata lotta contro il nemico di classe.
L’attuazione del nuovo sistema di ammasso e di approv­
vigionamento era inoltre ostacolata dall’insufficienza delle ri­
serve di articoli industriali di cui disponeva lo Stato per
scambiarli con i prodotti agricoli. Parimenti, la distribuzione
delle merci non avveniva in modo regolare, a causa delle
carenze che si riscontravano nel funzionamento delle aziende
commerciali.
Tali deficienze avevano la loro origine anche nel fatto
che le organizzazioni del Partito si interessavano scarsamente
delle questioni economiche. Dopo il I Congresso, la loro atten­
zione si concentrò sulle questioni interne del Partito, le quali
furono sottoposte a una attenta analisi e risolte in modo giusto.
Mentre queste organizzazioni prestavano poca cura alla solu­
zione dei compiti economici. Inoltre, le organizzazioni del Par­
tito avevano ancora poca esperienza nel campo della gestione
dell’economia. Da ciò derivava la loro mancanza di iniziativa
e la loro posizione di attesa che ogni problema venisse risolto
dagli organi centrali. Spesso le questioni economiche venivano
considerate da un’angolazione angusta, con il solo scopo di
soddisfare i bisogni più immediati.
Il Comitato Centrale criticò questi atteggiamenti errati e
chiese alle organizzazioni del Partito di concentrare la loro
attenzione al fine di assicurare una solida organizzazione delle
attività economiche e della direzione politica di queste atti­
vità, di rigettare il concetto secondo cui ogni cosa poteva es­
sere risolta mediante comizi e manifestazioni. Venne parimenti
criticata l’errata concezione che aveva cominciato a diffondersi
fra alcuni quadri del Partito e dello Stato, secondo cui l’eco­
nomia sarebbe stata in grado di progredire appoggiandosi prin­
cipalmente sull’aiuto esterno.
In tali condizioni, il Partito dovette svolgere un intenso
lavoro per rinsaldare la fiducia dei quadri e dei lavoratori nelle
proprie forze, per radicare nella loro coscienza la convinzione
265
che il fattore decisivo per l’edificazione del socialismo in Al­
bania era costituito dalle risorse e dalle forze interne, e che
l’aiuto esterno non rappresentava che un importante fattore
complementare.
Per soddisfare le necessità dei lavoratori in prodotti in­
dustriali e agricoli, il Partito prese provvedimenti al fine di
rafforzare l’artigianato cooperativista. Allo scopo di incremen­
tare la produzione agricola e zootecnica, il Consiglio dei Mi­
nistri stanziò per le semine autunnali del 1949 un credito
speciale e ridusse del 15 per cento il fondo globale delle con­
segne obbligatorie di prodotti agli ammassi per l’anno in corso,
mediante la rettifica della classificazione dei terreni.
Il Partito si rendeva chiaramente conto che i grandi com­
piti che gli si prospettavano potevano essere portati a termine
unicamente fruendo del potente appoggio delle masse. Esso
espose apertamente al popolo tutte le difficoltà che il paese
attraversava e che avrebbe continuato ad attraversare e chiese
il suo aiuto per superarle. Rispondendo a questo appello,
migliaia di lavoratori delle città e delle campagne si arruola­
rono nelle brigate di volontari per la costruzione del complesso
tessile «Stalin», dello zuccherificio di Maliq e di altre opere
del piano biennale. La determinazione del popolo di edificare
il socialismo si manifestò ancora una volta in occasione del­
l’emissione del primo prestito statale. La sottoscrizione a tale
prestito si trasformò infatti in una grande azione politica, in
cui si rivelò la coesione fra popolo e Partito e la fedeltà del
popolo alla linea del Partito.
Gli imperialisti e i revisionisti
jugoslavi sfruttarono in tutti i
modi le gravi difficoltà econo­
miche che attraversava il paese dopo la storica svolta segnata
dal I Congresso. Essi ritenevano che il PLA non sarebbe stato
in grado di far fronte alla difficile situazione che si era ve­
nuta a creare e che era giunto il momento più propizio per
attuare i loro tenebrosi piani nei confronti dell’Albania, geogra­
ficamente accerchiata da paesi ostili.
La radio e la stampa degli Stati Uniti, della Gran Bre­
tagna, della Jugoslavia, della Grecia, ecc., scatenarono una
sfrenata campagna di calunnie e di menzogne contro la RPA
che esse qualificavano come «aggressore». Servendosi delle vie
aeree e di altri mezzi, le agenzie di spionaggio imperialiste e
Fallimento dei piani dei
nemici esterni ed interni
266
jugoslave diffondevano continuamente manifestini che incita­
vano il popolo albanese a sollevarsi contro il suo Partito e
contro il potere popolare.
Parallelamente alla loro attività propagandistica, i nemici
esterni riunirono e organizzarono i reazionari albanesi in esilio.
Gli imperialisti e i revisionisti jugoslavi formarono con essi
nuove organizzazioni di sovversione. Centinaia di albanesi fug­
giti all’estero vennero inviati in Albania per compiere attività
controrivoluzionarie.
Dal cielo, dalla terra e dal mare, lungo tutte le frontiere
del nostro paese, venivano compiute incessanti provocazioni.
Tutta questa attività mirava a preparare il terreno a diretti
attacchi armati contro la RPA.
I servizi segreti americano, inglese, italiano, greco e jugo­
slavo coordinavano i loro piani e le loro mene contro l’Al­
bania.
La direzione revisionista jugoslava mise in moto i suoi
agenti in Albania per il tramite della propria rappresentanza
diplomatica a Tirana. Questa rappresentanza divenne un centro
d’organizzazione di azioni sovvertitrici e di sabotaggio econo­
mico. Ricorrendo alla propaganda e all’intimidazione, essa orga­
nizzava la fuga in Jugoslavia di cittadini albanesi.
Le centrali di spionaggio straniere crearono delle bande
di sovvertimento con dei criminali espatriati giuti dall’estero
o con quelli che si trovavano nel paese. Queste bande furono
utilizzate per compiere azioni terroristiche, assassinare mi­
litanti del Partito e del potere, fra cui anche il deputato dell’Assemblea Popolare Bardhok Biba, primo segretario del comi­
tato del Partito per il distretto di Mirditë. Inoltre i criminali
misero il fuoco a magazzini di cooperative agricole, ad uffici
statali e scuole nelle campagne.
Sul piano diplomatico i dirigenti titisti ricorsero a pres­
sioni e a ricatti d’ogni specie, nel tentativo di isolare la RPA.
Essi interruppero il traffico aereo fra questa e gli altri paesi
socialisti, denunciarono unilateralmente il Trattato di amicizia,
collaborazione e mutua assistenza fra la Jugoslavia e l’Albania
e, in fine, chiesero l’allontanamento della legazione d’Albania
da Belgrado.
I nemici di classe, all’interno del paese, a cui l’intensifi­
carsi dell’attività imperialista e revisionista ridava coraggio,
fecero tutto il possibile per creare un’atmosfera di paura e di
incertezza. Essi diffusero gli slogans: «presto scoppierà la guer­
267
ra», «esistono disaccordi in seno al governo e al Comitato
Centrale», «fra breve la situazione cambierà», e altri.
Approfittando degli errori commessi in precedenza, gli ele­
menti ostili tentarono di colpire la linea del Partito nel suo
insieme, gli organi e i quadri dirigenti del Partito e del Po­
tere, pretendendo d’essere stati «colpiti ingiustamente» dalle
riforme e dalle leggi dello Stato, facendo finta di «preoccuparsi
per la sorte del popolo» e affermando di «desiderare la ripa­
razione di tutti i torti commessi»! L’avvertimento dato dal I
Congresso sulle distorsioni che i nemici di classe potevano fare
alla giusta lotta del Partito contro gli errori e le manchevolezze,
onde assicurarsi vantaggi personali da tale lotta, fu di aiuto a
scoprire in tempo la tattica e le speculazioni dei nemici, a difen­
dere così il Partito e il potere e specialmente gli organi della
Sicurezza.
In queste dure circostanze della lotta di classe, il 2 agosto
1949, truppe delle forze armate greche appoggiate dall’artiglie­
ria e dall’aviazione, attaccarono di sorpresa l’Albania, spingen­
dosi a 300-400 metri all’interno del nostro territorio. Questa
provocazione, vero atto d’aggressione, era stata concepita nel­
l’intento di mettere in pratica le sciovinistiche pretese greche
su Korçë e Gjirokastër. Le forze armate della RPA fecero fronte
a questa aggressione, la respinsero e sgominarono totalmente
il nemico.
Nel momento in cui l’esercito greco violava le frontiere
dell’Albania, il governo jugoslavo dal canto suo intensificava
la propria attività ostile con intimidatori movimenti di truppe
ai confini settentrionali dell’Albania, nei distretti di Strugë e
di Ohri. Contemporaneamente i servizi segreti americano, inglese
e italiano paracadutavano un maggior numero di agenti di di­
versione al fine di provocare disordini nelle retrovie dell’Esercito Popolare. Elementi reazionari del paese si erano preparati
a darsi alla macchia. Il governo jugoslavo si era impegnato ad
armarli. Questi gruppi, composti di rimasugli del Balli Kombëtar e del Legaliteti, vennero annientati prima ancora che potes­
sero scatenare la loro «insurrezione».
Tutti questi fatti attestavano che la RPA si trovava di
fronte a un’attività aggressiva coordinata dei monarco-fascisti
greci, dei revisionisti jugoslavi, dei neofascisti italiani, sotto
la guida e con l’appoggio degli imperialisti americani e inglesi.
In quei difficili momenti, il popolo albanese si strinse ancor
più saldamente intorno al Partito. Esso manifestò la sua deci­
268
sione di difendere a ogni costo le conquiste della rivoluzione
popolare. Migliaia di persone chiesero di partire volontari per
combattere con le armi in pugno contro gli aggressori. Per
decisione del CC del Partito e del Governo, vennero distribuite
armi a decine di migliaia di contadini, i quali parteciparono, a
fianco delle forze della Sicurezza e delle guardie confinarie,
all’annientamento delle bande di agenti di diversione e di cri­
minali. Le masse lavoratrici testimoniarono la loro fedeltà al
Partito e al potere popolare dedicando tutte le proprie forze
all’attuazione dei compiti economici.
La visita del compagno Enver Hoxha nelle regioni del nord,
nel settembre del 1949, e i suoi incontri con il popolo ebbero una
parte importante nel rinsaldamento dei vincoli fra il Partito e
le masse e nell’ulteriore rafforzamento della fiducia del popolo
nel Partito e nel potere popolare.
3. LA LOTTA PER LA SALVAGUARDIA E IL
RINSALDAMENTO DELL’UNITA’ IDEOLOGICA
E ORGANIZZATIVA, PER LA REALIZZAZIONE
DEL PIANO BIENNALE
La lotta contro i nemici interni ed esterni di classe e
contro le difficoltà venne ad intrecciarsi con la lotta per la
salvaguardia e il rafforzamento della unità ideologica e organiz­
zativa del Partito e con la lotta per la realizzazione dei piani
della produzione.
La comprensione talvolta er­
ronea della democrazia notata
dopo la svolta nella vita in­
terna del Partito, nonché la
pressione esercitata dai nemici interni ed esterni di classe por­
tarono a violazioni e deformazioni della linea del Partito, a
infrazioni della disciplina e a un abusivo impiego della critica
e dell’autocritica.
Il Comitato Centrale del Partito adottò immediatamente
provvedimenti per porre fine a queste manifestazioni, esigendo
la rigorosa applicazione dello Statuto del Partito.
Venne risanata la malsana situazione creatasi nell’organiz­
zazione del Partito del distretto di Lushnjë, dove si erano radicati
lo spirito di gretta rivalità, la presunzione, il carrierismo, il
Eliminazione delle defor­
mazioni e delle violazioni
della linea del Partito
269
liberalismo nei confronti dei kulak, situazione sfruttata a pro­
prio vantaggio dai nemici di classe. Il Comitato del Partito
venne sciolto e i principali colpevoli furono esclusi dagli organi
dirigenti ed espulsi dal Partito. Quadri inviati dal CC rinforza­
rono la direzione del Partito in tale distretto.
Il Partito denunciò le manifestazioni di opportunismo rive­
latesi in alcuni elementi degli organi giudiziari, i quali, specu­
lando sul carattere di indipendenza di questi organi, sottova­
lutavano il controllo del Partito e nella pratica del loro lavoro
non avevano presente che tali organi hanno carattere di classe
e non possono agire al di fuori della lotta di classe e della
direzione del Partito.
In quel periodo venne scoperto il gruppo antipartito di
Abedin Shehu e Niazi Islami. Sua caratteristica era la prostra­
zione dinanzi alla pressione della borghesia, il disfattismo e la
mancanza di fiducia nella linea economica del Partito. Esso
considerava non realistico il piano biennale e diffondeva uno
spirito di smobilitazione fra i quadri e fra gli operai. L’opera
disfattista dei membri del gruppo influì negativamente sulla
realizzazione del piano nei settori dell’industria, del petrolio e
dei trasporti, in cui essi ricoprivano cariche direttive. Inoltre,
essi sottovalutavano la storia del popolo albanese, si comporta­
vano in modo sprezzante nei confronti delle masse lavoratrici e
particolarmente della classe operaia albanese. Non avevano fi­
ducia nella capacità difensiva del paese e nella preparazione
militare dell’Esercito Popolare.
Il Plenum del Comitato Centrale del PLA riunito nel feb­
braio del 1950, denunciò le concezioni e l’attività del gruppo
antipartito e prese molteplici provvedimenti al fine di eliminare
lo spirito di disfattismo propagato da tale gruppo.
La vigilanza del Comitato Centrale permise di scoprire in
tempo e di colpire anche l’attività antipartito di Gjin Marku e
di Nexhip Vinçani, i quali deformavano la politica del Partito
e ne minavano la funzione dirigente nell’esercito.
Allo scopo di sbarrare la via alle violazioni della linea del
Partito, di preservare e di rafforzare l’unità, era indispensabile,
fra l’altro, allontanare dal Partito un certo numero di membri
non degni di tale qualifica. Perciò, nel gennaio del 1950 il
Comitato Centrale del PLA adottò la decisione sulla verifica
dei documenti del Partito.
La verifica dei documenti del Partito costituiva un impor­
tante provvedimento organizzativo che servì a epurare le file
270
del Partito, a raccogliere dati esatti e completi su ogni comu­
nista, a metter ordine nelle questioni amministrative del Par­
tito. Nello stesso tempo contribuì a rinvigorire tutta la vita
interna del Partito e costituì una scuola per educare i comu­
nisti.
Parallelamente, il Partito dedicò la massima cura alla pre­
parazione ideologica e politica dei suoi membri e in particolar
modo di quelli che erano stati prematuramente ammessi nelle
file del Partito, di quelli il cui livello di preparazione ideologica
e politica era poco elevato ma che erano fedeli al Partito e
decisi ad attuarne la linea. Contemporaneamente il Partito
prese importanti provvedimenti per elevare il livello di istru­
zione dei comunisti.
I lavori della II Conferenza
Nazionale del PLA, tenuta nel­
l’aprile del 1950 a Tirana, fu­
rono dedicati ai mezzi per superare le difficoltà che ostacola­
vano la realizzazione del piano biennale e al potenziamento
della funzione direttiva del Partito.
La Conferenza procedette alla valutazione della situazione
internazionale e interna creatasi dopo il I Congresso del Partito.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in qua, il rap­
porto delle forze nel mondo si modificò enormemente a van­
taggio del socialismo e della liberazione dei popoli e a svan­
taggio del capitalismo e dell’imperialismo.
Il processo delle trasformazioni rivoluzionari di carattere
politico ed economico-sociali nei paesi a democrazia popolare
si andava costantemente approfondendo e portò, conseguente­
mente, alla trasformazione di questi in paesi socialisti. Si era
creato il potente campo socialista di cui facevano parte l’Unione
Sovietica, l’Albania, la Bulgaria, la Cecoslovacchia, la Repub­
blica Democratica Tedesca, l’Ungheria, la Repubblica Democra­
tica Popolare di Corea, la Mongolia, la Polonia, la Romania e
la Repubblica Democratica del Vietnam.
Anche la Cina entrò a far parte di questo campo dopo il
trionfo della rivoluzione cinese e la proclamazione della Re­
pubblica Popolare cinese il 1° ottobre 1949. Il PLA, come tutto
il movimento comunista internazionale, considerò allora questo
avvenimento come la più importante conquista dopo quella
della Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Ma il tempo confermò
che la rivoluzione cinese non superò i limiti di una rivoluzione
democratica borghese, che la Cina non si incamminò sulla via
dello sviluppo socialista.
271
La II Conferenza Nazio­
nale del Partito
Tuttavia, il trionfo della rivoluzione cinese costituiva una
grande conquista per tutte le forze antimperialistiche e demo­
cratiche del mondo.
Intanto, il capitalismo mondiale, l’imperialismo con alla
testa gli USA, intensificarono i loro tentativi per reprimere
qualsiasi movimento rivoluzionario e di liberazione nazionale,
in particolar modo per distruggere il campo socialista. A tale
scopo essi avevano creato nel 1949 il blocco militare aggressivo
della NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico).
Essi sfruttarono anche il revisionismo jugoslavo per raggiun­
gere i loro fini.
L’attacco imperialista e revisionista contro l’Albania, per il
rovesciamento del Potere popolare, era anch’esso collegato di­
rettamente all’intensificarsi dell’attività minatoria contro il so­
cialismo. I nemici reputavano che la RP d’Albania, trovandosi
isolata geograficamente dal campo socialista, ne costituisse
il punto più debole. Ma il popolo albanese, guidato dal Partito,
mandò a vuoto i piani dei nemici. In relazione a questo falli­
mento dei nemici, il compagno Enver Hoxha ha detto: «Ci sono
al mondo uomini che pongono questa domanda: «Come ha
fatto un piccolo popolo, com’è il popolo albanese, accerchiato
da tutte le parti da quelle belve fasciste che si lanciarono per
sbranarlo e soffocarlo, a resistere eroicamente, a combattere su
tutti i fronti e a trionfare?». La risposta è semplice: il popolo
albanese ha saputo resistere e combattere, ha trionfato e trion­
ferà sempre sui suoi nemici esterni ed interni, perché a gui­
dare è il suo glorioso Partito...»*.
I nemici avevano fallito, rilevava la Conferenza, ma essi
non avevano gettato ancora le armi, anzi avrebbero intensifi­
cato i loro sforzi per distruggere il socialismo in Albania. Il
rafforzamento della situazione interna sotto tutti gli aspetti:
politico, economico, militare e organizzativo, costituiva una
garanzia per sventare anche nel futuro i piani dei nemici.
Analizzando la situazione interna, la Conferenza pose in
rilievo che, nonostante i progressi compiuti, il piano di produ­
zione per il 1949 nell’industria e in particolare per l’estrazione
del petrolio non era stato realizzato. Questo stato di cose era
dovuto ad alcune ragioni: gli specialisti jugoslavi avevano de­
gassificato i campi petroliferi prima di andarsene. L’attività
* Enver Hoxha. Rapporto presentato alla II Conferenza del
Opere, vol. 7, p. 140.
272
PLA
disfattista del gruppo antipartito aveva esercitato un’influenza
negativa. Un’altra ragione era costituita dalle manchevolezze
nella gestione dell’industria e dalla penuria di mano d’opera.
Neppure in agricoltura erano stati realizzati i compiti
fissati.
Allo scopo di porre rimedio alla situazione che si era venuta
a creare e di assicurare la realizzazione del piano biennale, la
Conferenza impartì la direttiva di superare il piano del 1950 in
tutti i campi, in modo da coprire i deficit del 1949, ovunque
ciò fosse possibile.
Nel settore dell’agricoltura, la Conferenza assegnò al Partito
come principale compito di compiere pazientemente una vasta
opera di chiarimento e di organizzazione, al fine di convin­
cere i contadini a seminare quelle colture di cui l’economia
nazionale aveva bisogno e che erano comprese nel piano statale.
Nello stesso tempo, essa raccomandava di non trascurare
la questione della collettivizzazione, che non doveva tuttavia
venir affrettata. Essa richiedeva che si dedicasse una cura
particolare «al consolidamento delle cooperative agricole, in
modo che queste siano di esempio e di incitamento alla costitu­
zione di nuove cooperative nelle zone di pianura»*.
Allo scopo di elevare il ruolo dirigente del Partito, la Con­
ferenza raccomandava di migliorare il metodo di lavoro e la
direzione collegiale, di combattere il burocratismo e di dedicare
maggior cura alla direzione politica delle questioni economiche
e statali. Criticando i casi di sostituzione delle organizzazioni
del Partito agli organi statali ed economici, essa chiese che la
direzione del Partito fosse assicurata non attraverso una siffatta
sostituzione, ma attraverso una sana opera politica e un costante
appoggio e controllo nello spirito del Partito.
La Conferenza criticò alcuni casi isolati di disistima delle
organizzazioni di massa, il comportamento arrogante di alcuni
comunisti verso i cittadini. Essa sottolineò la necessità di un
incessante lavoro per rinsaldare i legami fra il Partito e le
masse, per attivare maggiormente le organizzazioni sociali e i
consigli popolari, al fine di accrescere la partecipazione dei
lavoratori delle città e delle campagne alla soluzione dei pro­
blemi del governo e dell’economia.
* Risoluzione della II Conferenza Nazionale,
Documenti principali del PLA, vol. 2, p. 156.
14
aprile
1950.
273
Le decisioni della II Confe­
renza Nazionale aiutarono a
colmare molte lacune nel la­
voro del Partito e a mobili­
tare maggiormente i comunisti
e tutti i lavoratori per la realizzazione del piano biennale.
Di conseguenza, il piano della produzione industriale per
il 1950 fu superato. Tuttavia, i deficit del 1949 non furono
completamente coperti. Conseguentemente, il piano biennale
venne realizzato soltanto per il 91 per cento. Nonostante ciò,
il tasso medio annuo di crescita del 10,5 per cento costituiva
un grande successo se si tiene conto delle eccezionali difficoltà
incontrate in quel periodo. Nel 1950 la produzione industriale
era aumentata di 4 volte rispetto al 1938.
Nel frattempo la produzione agricola, durante lo stesso
biennio 1949-1950, si era accresciuta ad un tasso molto ridotto,
rispettivamente del 2 e del 2,2 per cento. Ciò era dovuto al
grande spezzettamento delle terre, con una netta prevalenza
della piccola azienda individuale (nel 1950 c’erano solo 90 coope­
rative agricole rispetto a 145.000 aziende individuali). Nonostante
ciò, grazie all’applicazione del nuovo sistema di ammasso e
all’ampio lavoro politico di chiarimento svolto dal Partito fra
le masse contadine lavoratrici, si riusci ad assicurare la maggior
parte del fondo statale di cereali e di altri prodotti agricoli.
Questi successi nel campo della produzione e dell’ammasso
influirono sul miglioramento delle condizioni di vita delle masse
lavoratrici. Nel 1950 fu deciso un notevole ribasso dei prezzi
sul mercato statale.
Nel corso della dura lotta contro le difficoltà e contro i
nemici interni ed esterni, per l’adempimento dei compiti poli­
tici, economici, culturali, militari, ecc, venne rinsaldata l’al­
leanza della classe operaia e le masse contadine lavoratrici
sotto la guida della classe operaia e l’unità Partito-popolo. Una
chiara espressione di ciò furono le elezioni per l’Assemblea Po­
polare nel maggio 1950, a cui parteciparono più del 99 per
cento degli elettori e votarono per i candidati del Fronte
Democratico, cioè per la linea rivoluzionaria del Partito, oltre
il 98 per cento dei votanti.
Nel luglio del 1950, l’Assemblea Popolare decise di appor­
tare alcune aggiunte e varie modifiche alla Costituzione della
Repubblica Popolare d’Albania. Tali aggiunte e modifiche ave­
vano attinenze alle trasformazioni socio-economiche avvenute
La realizzazione del piano
biennale 1949-1950. Il con­
solidamento della situa­
zione interna
274
in Albania nel corso dei quattro anni trascorsi dall’adozione
della Costituzione. Alla Costituzione venne aggiunto l’articolo:
«La Repubblica Popolare d’Albania è uno Stato degli operai e
dei contadini lavoratori». Un altro nuovo articolo sanciva la
funzione dirigente del Partito in tutta la vita del paese.
Nel contempo il Partito si era mantenuto fedele alla sua
politica estera rivoluzionaria.
Nel luglio del 1950, l’Assemblea Popolare prese la deci­
sione di aderire all’appello di Stoccolma in sostegno del movi­
mento per la pace nel mondo e pubblicò, nello stesso tem­
po, una dichiarazione che condannava l’intervento armato degli
imperialisti americani in Corea. Nel gennaio del 1951, essa
promulgò una legge che condannava ogni istigazione alla guerra
d’aggressione e ogni propaganda in tale senso definendoli «cri­
mini gravi contro l’umanità, contro la pace fra i popoli e contro
la patria».
Intanto gli imperialisti ameri­
cani e inglesi, insieme con i
loro strumenti, i circoli reazio­
nari al potere in Italia e Gre­
cia nonché i revisionisti jugoslavi, continuavano a svolgere la
loro sfrenata attività ostile contro la RPA. La CIA americana
aveva elaborato un piano speciale per rovesciare il potere po­
polare in Albania e per staccare quest’ultima dal «blocco comu­
nista». A tal fine i nemici esterni intensificarono la loro pro­
paganda ostile, le provocazioni al confine, l’invio di bande di
agenti di diversione e soprattutto di agenti di spionaggio. Gli
agenti di diversione compirono una nuova serie di atti terro­
ristici, di sabotaggio e di rapina a danno dell’economia statale
e cooperativistica. In particolare i nemici ricorsero alla tattica
della pressione diretta sui comunisti, soprattutto su quelli delle
campagne. Ad alcuni inviavano lettere minatorie, ad altri in­
viavano di sorpresa agenti di diversione in casa. Ai comitati
di Partito affluivano lagnanze provocatorie contro questo o
quel comunista, contro questo o quel provvedimento grave adot­
tato ingiustamente chiedendo il loro annullamento. Spingevano
vari membri del Partito a infrangere la morale comunista, a
sperperare e a rubare la proprietà socialista. I kulak cercavano
di legarsi ai comunisti mediante matrimoni, «aiuti» materiali e
simili.
Di fronte a tale pressione, un certo numero di comunisti
Contro le manifestazioni
di conciliazione col ne­
mico di classe
275
tentennarono, e alcuni finirono per piegarsi. Ciò ebbe per ef­
fetto il verificarsi di manifestazioni di indulgenza, di clemenza
e di tolleranza nei confronti dei kulak e degli altri nemici di
classe e si notò presso alcuni una certa tendenza alla concilia­
zione con essi.
Sotto la pressione dei nemici di classe cedettero anche
alcuni membri del Comitato Centrale, fra cui Tuk Jakova,
membro dell’Ufficio Politico e segretario del CC per le questioni
d’organizzazione. Questo suo cedimento non era casuale. La
sua attività di comunista era stata sempre improntata a un
profondo opportunismo, alla mancanza di vigilanza rivoluziona­
ria, alla negligenza nell’attuazione dei compiti e all’indifferenza
circa l’elevamento ideologico.
Al I Congresso del PCA, egli aveva approfittato dell’occasione offertagli dalla condanna dell’attività ostile di Koçi
Xoxe per presentarsi come uno dei comunisti più perseguitati
da quest’ultimo e dissimulare così, per un certo tempo, i propri
atteggiamenti contrari alla linea del Partito.
Dopo il Congresso, come in precedenza, Tuk Jakova cedette
alla pressione della borghesia, recando grave pregiudizio all’at­
tività del Partito col suo atteggiamento opportunistico nei con­
fronti del nemico di classe. Secondo lui, la lotta di classe si
avviava all’estinzione; nessun pericolo proveniente dagli impe­
rialisti americani e dai revisionisti jugoslavi minacciava la RP
d’Albania. Egli incitava in vari modi all’attuazione di una poli­
tica di moderazione verso i kulak; interveniva presso gli organi
statali per procurare facilitazioni agli elementi nemici, per
farli uscire dal carcere e sottovalutava completamente l’atti­
vità ostile del clero reazionario cattolico, sostenendolo in mille
modi.
Tuk Jakova si opponeva alla linea economica del Partito,
che anteponeva lo sviluppo dell’industria pesante e in parti­
colare di quella mineraria, disapprovando soprattutto gli stan­
ziamenti in favore dell’industria petrolifera. Egli riteneva che il
piano economico, in alcuni settori, non era realistico. Il suo
atteggiamento opportunistico e disfattista aveva ostacolato il la­
voro delle organizzazioni del Partito e delle masse per la realiz­
zazione del piano di Stato.
Tuk Jakova aveva inoltre commesso imperdonabili errori
nelle questioni di organizzazione del Partito. La sua negligenza
e acquiescenza nell’applicazione delle norme dello Statuto e
delle decisioni del Partito, la sua direzione burocratica, ave­
276
vano portato a seri difetti nell’attuazione della politica dei
quadri, nel metodo di lavoro degli organi, degli apparati del
Partito e delle organizzazioni di massa. Ciò aveva ugualmente
portato alla violazione delle norme per l’ammissione al Partito,
all’infrazioni della disciplina e all’indebolimento della critica e
della vigilanza.
Egli aveva sostenuto l’opinione errata secondo cui la veri­
fica dei documenti del Partito doveva avvenire fuori dal con­
trollo della massa dei comunisti, senza la diretta partecipazione
delle organizzazioni di base.
Il 9° Plenum del Comitato Centrale, tenutosi nel febbraio
del 1951, analizzando la situazione politica e l’attività del Par­
tito, mise a nudo le cause di queste manifestazioni di opportu­
nismo nei confronti del nemico di classe e indicò le vie da
seguire per combatterle. Esso denunciò gli atteggiamenti anti­
marxisti e i gravi errori di Tuk Jakova, destituendolo dalla
carica di segretario del CC ed espellendolo dall’Ufficio Politico.
In questa occasione, il Comitato Centrale procedette a una
sana critica marxista-leninista del proprio lavoro, riparando
immediatamente alle manchevolezze che aveva tollerato sotto
l’influenza del contegno sdegnoso e opportunistico di Tuk Ja­
kova. Vennero presi provvedimenti atti a migliorare la dire­
zione collegiale, a rafforzare la critica e l’autocritica, a far sì
che i membri del Plenum rendessero maggiormente conto del
loro operato e affinché fosse esercitato un più sistematico e più
stretto controllo sulla pratica applicazione delle decisioni.
Il Partito si mobilitò con nuovo vigore per sbarrare la
strada a qualsiasi tendenza e a qualsiasi manifestazione di
conciliazione con il nemico di classe. Le organizzazioni del Par­
tito si attestarono su posizioni più combattive. L’analisi marxista-leninista della situazione politica e del lavoro del Partito,
compiuta dal Comitato Centrale, il suo severo atteggiamento di
principio nei confronti dell’opportunismo, aiutarono i comunisti
a comprendere più a fondo e più concretamente la necessità
oggettiva della lotta contro i nemici di classe, a meglio guar­
darsi dallo scivolare su posizioni di conciliazione con essi.
Particolare attenzione venne dedicata alla giusta applica­
zione della politica del Partito sulla limitazione economica e
l’isolamento politico dei kulak, mobilitando nella lotta contro
di essi, su più vasta scala, i contadini poveri e medi. A ciò
fu di ausilio uno speciale provvedimento che prescrìveva la
precisa identificazione di tutti i kulak. Questi vennero privati
277
di tutti gli aiuti che lo Stato accordava ai contadini, furono
colpiti con imposte più pesanti. Fu deciso che, in caso di con­
fisca dei loro beni, un quarto di questi sarebbe stato gratuita­
mente distribuito ai contadini poveri.
Lottando contro la conciliazione con il nemico di classe,
nello stesso tempo il Partito colpì tutte le manifestazioni di
settarismo che provocavano confusione politica fra le masse e
ostacolavano la loro mobilitazione per la realizzazione dei com­
piti politici ed economici, la loro attiva partecipazione alla
lotta contro i nemici. Severe critiche vennero rivolte a quei
comitati del Partito che in pratica deformavano la sua politica
e permettevano l’adozione di prematuri provvedimenti ammi­
nistrativi per l’immediata liquidazione dei kulak come classe
e, a maggior ragione, quando nella categoria dei kulak veni­
vano compresi anche contadini medi. Il Partito era contrario
a qualsiasi provvedimento che potesse portare a una artificiosa
acutizzazione della lotta di classe, poiché da tali provvedimenti
non ne avrebbero tratto vantaggio altri che i nemici stessi.
Nella sua lotta contro le difficoltà, contro gli imperialisti e
i revisionisti jugoslavi, contro il nemico interno di classe, contro
l’opportunismo, il Partito conservò e consolidò la propria unità
ideologica e organizzativa, arricchì la propria esperienza di di­
rezione politica dell’edificazione socialista del paese.
Uno dei problemi che continua­
va a preoccupare maggiormente
il
Partito
era
l’arretratez­
za dell’agricoltura. I provvedi­
menti adottati negli anni 1949-1950, nonostante il loro effetto
benefico, non risolsero il problema. I ritmi di sviluppo del­
l’agricoltura erano ancora lenti, la sproporzione fra lo sviluppo
dell’agricoltura e dell’industria continuava ad approfondirsi.
Tale stato di cose aveva creato difficoltà per la soddisfazione
dei bisogni delle masse lavoratrici in prodotti agricoli e per
l’approvvigionamento dell’industria con materie prime.
Il problema degli sforzi da compiere per trarre l’agricoltura
dall’arretratezza venne esaminato dal Plenum del CC del PLA,
tenutosi nell’aprile 1951. Tuttavia il Plenum trattò questo pro­
blema in modo unilaterale, giungendo all’inesatta conclusione
che le piccole aziende contadine avevano esaurito tutte le loro
possibilità di accrescere la produzione agricola. Partendo dal
giusto concetto che la cooperazione è il principale mezzo per
Gli sforzi per trarre l’agri­
coltura dal suo stato di
arretratezza
278
trarre l’agricoltura dal suo stato di arretratezza, il Plenum de­
cise il passaggio alla collettivizzazione in massa. Questa era
però una decisione prematura che rischiava di compromettere
la collettivizzazione, non essendo state ancora create le con­
dizioni per la riorganizzazione socialista di tutta l’agricoltura.
Il Partito rettificò in tempo questa decisione affrettata. In mag­
gio vi fu una nuova riunione del plenum del Comitato Centrale.
Esso rilevò che, date le concrete condizioni del paese, il com­
pito essenziale non consisteva nell’estensione della collettivizza­
zione nelle campagne, ma nel rafforzamento delle cooperative
agricole già esistenti e nello sfruttamento di tutte le possibilità
che offrivano le piccole aziende agricole per accrescere la pro­
duzione.
Il Partito, apprezzando in modo giusto tutte le condizioni,
le possibilità e i mezzi esistenti, giunse alla conclusione che
la miglior via per far progredire l’agricoltura in tale periodo
era l’ulteriore consolidamento e perfezionamento delle relazioni
economiche fra la città e la campagna e la soppressione delle
sperequazioni fra industria e agricoltura.
Nel 1951 vennero incrementati gli aiuti concessi alle cam­
pagne. Furono presi provvedimenti per correggere gli errori
commessi nel catasto e nella classificazione dei terreni. I quan­
titativi di cereali dovuti all’ammasso obbligatorio furono ridotti
mediamente del 25 per cento e vennero esentati dall’imposta i
fondi agricoli individuali che disponevano di modeste entrate
annuali.
Dato che la sperequazione fra i prezzi degli articoli indu­
striali e di quelli agricoli non stimolava i contadini ad accre­
scere la produzione e a smerciare i loro prodotti totalmente
sul mercato reciproco, il CC del Partito decise di ribassare i
prezzi degli articoli industriali. Nel 1951 i prezzi degli articoli
industriali furono nuovamente ribassati, riducendo così fino a
un certo punto la sproporzione esistente.
Nello stesso tempo si lavorò al rafforzamento delle coope­
rative di compravendita, aiutando in tal modo a trasformarle
in potenti organizzazioni di massa che avrebbero più salda­
mente collegato economicamente e politicamente la campagna
alla città.
I provvedimenti economici, adottati per liquidare l’arretra­
tezza dell’agricoltura, furono accompagnati da un vasto lavoro
politico e organizzativo da parte del Partito.
279
4. IL II CONGRESSO DEL PLA. I COMPITI PER LA
TRASFORMAZIONE DELL’ALBANIA IN UN PAESE
AGRICOLO-INDUSTRIALE
Il II Congresso del PLA svolse i suoi lavori dal 31 marzo
al 7 aprile del 1952. Vi parteciparono 592 delegati con voto
deliberativo e 142 con voto consultivo, in rappresentanza di
44.418 membri e candidati del Partito. L’effettivo del Partito
in quel periodo era di poco inferiore a quello esistente in oc­
casione del I Congresso, soprattutto a causa del fatto che nel
corso della verifica dei documenti, l’8 per cento dei membri
ne erano stati espulsi.
Le direttive del
piano quinquennale
primo
Il Congresso giudicò che lo svi­
luppo economico e culturale del
paese, in conformità a un piano
a più lungo termine, era pienamente possibile e approvò le
direttive del primo piano quinquennale per il periodo 1951-1955.
Prima di venir approvate dal Congresso, tali direttive fu­
rono discusse per più di due mesi nelle organizzazioni del
Partito e nel corso di riunioni pubbliche dei lavoratori nelle
città e nelle campagne.
L’elaborazione del piano poggiava innanzitutto sulle pro­
prie forze del paese, sulle risorse interne e le capacità dei
quadri locali. Il piano si basava altresì sull’aiuto dell’Unione
Sovietica, in primo luogo, e degli altri paesi socialisti. L’aiuto
che in quel periodo l’Unione Sovietica prestava alla Repub­
blica Popolare d’Albania, tendeva principalmente allo sviluppo
delle forze produttive del paese, al fine di permettere all’eco­
nomia popolare di procedere con le proprie forze. Il Partito
apprezzava tale aiuto come un fattore esterno importante per
l’edificazione del socialismo.
Il primo piano quinquennale poneva quali principali com­
piti da attuare: l’accelerazione dei ritmi di costruzione della
base economica del socialismo e dello sviluppo delle forze pro­
duttive, affinché, allo scadere del quinquennio, l’Albania avesse
compiuto la sua trasformazione da paese agricolo arretrato in
paese agricolo-industriale; il consolidamento dell’alleanza fra
la classe operaia e le masse lavoratrici delle campagne nonché
l’elevamento del livello di vita materiale e culturale delle masse
lavoratrici.
Il Partito definì quale principale anello per l’attuazione di
280
tali compiti la creazione della nuova industria socialista. In
effetti, l’industrializzazione del paese era stata iniziata sin dal
piano biennale, ma fu soltanto al II Congresso che venne ela­
borato un grande e vasto programma per la costruzione delie
basi dell’industria socialista.
Il Partito apprezzò al suo giusto valore il principio secondo
cui la produzione dei mezzi di produzione esplica una funzione
decisiva nello sviluppo dell’industria e di tutta l’economia po­
polare. Conformemente a tale principio, fu annessa grande
importanza allo sviluppo e alla creazione di rami dell’industria
pesante. L’obiettivo prefisso non prevedeva tuttavia il simul­
taneo sviluppo di tutti i rami di questa industria, dato che il
paese non aveva le possibilità economiche e tecniche per at­
tuarlo. I macchinari occorrenti dovevano venir forniti dai paesi
socialisti attraverso gli scambi commerciali e i crediti accordati.
In Albania sarebbero stati sviluppati quei rami dell’industria
pesante, per i quali esistevano risorse naturali, economicamente
più redditizi e di particolare importanza dal punto di vista
strategico. Nelle concrete condizioni del paese, l’industria pe­
sante doveva comprendere principalmente le miniere, l’industria
meccanica, l’industria elettrica e l’industria dei materiali da
costruzione. Era previsto che precisamente lo sviluppo di tali
rami doveva compiersi a ritmo più celere. Al primo posto si
trovava l’industria mineraria.
Dato che il paese aveva grande e urgente necessità di arti­
coli di largo consumo e allo scopo di diminuire le importazioni,
nel piano fu assegnato un importante posto allo sviluppo del­
l’industria leggera e alimentare, che doveva soprattutto ba­
sarsi sullo sfruttamento delle materie prime locali.
Al fine di assicurare il rapido incremento della produ­
zione industriale, così come stabilito dal piano, gli investimenti
previsti erano tre volte superiori a quelli degli anni 1946-1950.
I compiti assegnati dal II Congresso al settore dell’industria
potevano venir attuati soltanto superando i due principali osta­
coli: primo, la lentezza di sviluppo dell’agricoltura, e secondo,
la penuria di quadri tecnici e il basso livello d’istruzione e di
preparazione tecnica degli operai. Particolare cura venne dedi­
cata al superamento di questi ostacoli.
Al fine di accelerare lo sviluppo della produzione agricola,
il Congresso analizzò in modo più dettagliato e concreto le
direttive del Partito per il rafforzamento delle cooperative agri­
cole, per il consolidamento e ampliamento delle aziende agri­
281
cole e zootecniche, per l’estenzione delle SMT e della meccaniz­
zazione in agricoltura, per l’aumento degli aiuti in crediti agrari
o altri mezzi che lo Stato doveva accordare ai contadini lavo­
ratori. Le campagne dovevano essere approvvigionate con un
maggior quantitativo di articoli industriali. A tal fine si dove­
vano adottare provvedimenti per l’ulteriore adeguamento dei
prezzi degli articoli industriali e agricoli.
Il principale compito che si proponeva in agricoltura era
l’aumento della produzione dei cereali panificabili. Nel contempo
bisognava incrementare anche la produzione delle piante indu­
striali, in quanto esigenza legittima dello sviluppo stesso del­
l’industria.
A fine di assicurare la realizzazione dei compiti nel settore
dell’agricoltura, gli investimenti previsti per questo periodo
erano il doppio di quelli stanziati per gli anni 1946-1950.
In stretta connessione con lo sviluppo dell’economia si
doveva sviluppare ad un ritmo più accelerato la rivoluzione
culturale. Nel corso del primo quinquennio, la rete dell’insegna­
mento doveva estendersi considerevolmente, il numero totale
degli alunni doveva aumentare più di tre volte e mezzo rispetto
al 1938, quello degli agronomi più di cinque volte e quello
degli ingegneri 18 volte. Inoltre si doveva assicurare la forma­
zione di più di 8.500 tecnici medi e di circa 54.000 operai qua­
lificati.
Il Congresso attrasse l’attenzione del Partito sull’arretra­
tezza delle regioni settentrionali, come quelle di Kukës, Tropojë, Mirditë, Pukë e altre ancora, raccomandando di dedicare
una particolare cura al loro sviluppo culturale.
Il piano quinquennale prevedeva la liquidazione dell’anal­
fabetismo.
L’incremento della produzione industriale e agricola doveva
contribuire ad aumentare il benessere delle masse lavoratrici e
a creare le condizioni per l’abolizione del sistema di raziona­
mento.
Per assicurare l’elevamento del benessere materiale e lo
sviluppo culturale del popolo, lo Stato doveva stanziare fondi
di circa tre volte e mezzo superiori a quelli investiti nel periodo
quinquennale 1946-1950.
Il primo piano quinquennale segnava una nuova fase nello
sviluppo economico e culturale del paese a ritmi accelerati.
La sua realizzazione doveva creare le condizioni indispensabili
per l’ingresso nella fase definitiva di costruzione della base
economica del socialismo.
282
Il problema del perfezionamento
del metodo di direzione politica
del Partito fu analizzato dal Con­
gresso in quanto problema di
grande rilevanza nel quadro della realizzazione del primo
piano quinquennale e degli altri grandi compiti. Esso criticò le
manifestazioni di opportunismo nei confronti dei nemici di
classe, il burocratismo, l’accaparramento delle attività spettanti
agli organi statali da parte dei comitati del Partito, la pratica
di un lavoro puramente verbale, l’insufficiente lavoro politico
genuino, l’inadeguata attivazione di tutti i comunisti e delle
organizzazioni di massa, e così via. Il compagno Enver Hoxha
stigmatizzava la tendenza a risolvere i problemi mediante ri­
unioni e decisioni a non finire, con queste parole: «Si fanno
riunioni su riunioni che durano ore e giornate intere, ma sul
setaccio rimane ben poca cosa»*.
«Si prendono decisioni, anzi si prendono molte decisioni,
ma esse non vengono tutte applicate. Allora si prendono quasi
altrettante decisioni per applicare quelle adottate in precedenza.
Si prendono inoltre nuove decisioni su questioni già decise, ma
di cui non ci si ricorda più. Questo significa prendersi giuoco
del lavoro e delle decisioni, far finta di lavorare partorendo
decisioni, ma in realtà così non si fa nulla, si rimane sul posto
e si ostacola il lavoro»**.
Basandosi sull’esperienza acquisita, il Congresso definì la
condizione essenziale per assicurare la realizzazione del primo
piano quinquennale come segue: «Migliorare e rafforzare la
direzione del Partito nell’economia. Rafforzare e migliorare il
lavoro per uno stretto collegamento dei problemi economici con
il lavoro politico. Esercitare senza posa un sistematico e rigoroso
controllo sull’applicazione delle decisioni e l’attuazione dei com­
piti del Partito e dello Stato. Lottare per un lavoro ben organiz­
zato e per l’eliminazione del burocratismo nel lavoro»***
Gli organi centrali e locali, nonché le organizzazioni del
Partito, furono incaricati di rivedere e migliorare il proprio
Migliorare il metodo di
direzione politica del Par­
tito
* Enver Hoxha. Rapporto al II Congresso
9, p. 185.
** Ibidem, p. 184.
*** Risoluzione del II Congresso
del PLA, vol. 2, p. 271-272.
del
del
PLA.
PLA,
Opere,
Documenti
vol.
principali
283
metodo di lavoro nel suo complesso. Si ritenne indispensabile
che i princìpi leninisti di direzione collegiale, del rendere conto
degli organi dirigenti davanti alla massa dei comunisti che li
avevano eletti, di critica e di autocritica, della funzione delle
masse lavoratrici come edificatrici del socialismo e delle loro
organizzazioni come potenti leve del Partito, di preparazione
sistematica marxista-leninista dei membri del Partito, non do­
vevano restare soltanto delle formule teoriche ammesse e pro­
pagandate da tutti, ma venir applicati in pratica con perseve­
ranza e nel più completo dei modi.
Nello stesso tempo, il Congresso raccomandò particolar­
mente ai comunisti di tenere sempre gli occhi aperti, di non
dimenticare per un solo istante la minaccia che la pressione
degli imperialisti e dei titisti dall’esterno, dei kulak e degli
altri nemici di classe dall’interno, facevano pesare sul Partito.
L’esperienza acquisita dal Partito nella lotta contro le deviazioni
e contro i suoi nemici interni dopo la liberazione, soprattutto
nell’intervallo fra i due Congressi, insegnava che il principale
pericolo era costituito dall’opportunismo di destra, quale pro­
dotto della sottomissione davanti alla pressione imperialistica e
revisionistica. «Che la deviazione di destra, l’opportunismo, sia
considerata come il maggior pericolo per il nostro Partito... sen­
za dimenticare affatto il pericolo della deviazione di sinistra... La
pressione della borghesia sul nostro Partito deve venir consi­
derata come un pericolo molto serio che bisogna combattere
costantemente e con il massimo vigore»*.
In una mano il piccone,
nell’altra il fucile
Il Congresso avvertì il Partito
e il popolo che nei loro sfòrzi
per la realizzazione del primo
piano quinquennale avrebbero incontrato molte difficoltà, per
vincere le quali si richiedeva una multiforme preparazione
morale e materiale, politica e militare.
Le difficoltà erano di varia natura. Le difficoltà di crescita
si ricollegavano all’arretratezza che il paese aveva ereditato dal
passato, alla mancanza di esperienza, all’insufficiente prepara­
zione tecnica e culturale dei quadri e degli operai in generale.
Queste difficoltà sarebbero state superate contrapponendovi l’or­
ganizzazione, la disciplina, il lavoro per convincere le masse
* Risoluzione del II Congresso
del PLA, vol. 2, p. 277.
284
del
PLA.
Documenti
principali
delia giustezza della linea del Partito e la mobilitazione di que­
ste ultime.
Difficoltà avrebbero creato i nemici interni, i quali, con
l’appoggio dei nemici esterni, avrebbero cercato di minare lo svi­
luppo del paese sulla via del socialismo. Queste difficoltà dove­
vano essere superate attraverso una dura e giusta lotta di classe,
sotto tutti gli aspetti, nelle campagne e nelle città, contro i
kulak, la borghesia, i sabotatori, i rapinatori, contro l’ideologia
borghese, il burocratismo, l’opportunismo e il settarismo. Per
tutti doveva essere chiaro, rilevava il Congresso, che «la lotta
di classe non si è estinta né si estinguerà finché nel nostro
paese esistono le classi, e durerà fino al trionfo completo del
socialismo»*
Nel medesimo tempo, il Partito e il popolo dovevano essere
pienamente preparati ad affrontare le difficoltà che sarebbero
state create dagli imperialisti e dai revisionisti jugoslavi con
la loro attività ostile, diretta, multiforme e incessante, contro
la RPA. I nemici esterni ordivano nuove trame per distruggere
il sistema di democrazia popolare in Albania. Il governo jugo­
slavo, unitamente ai governi greco e turco, su istigazione e con
il concorso degli imperialisti americani, stavano mettendo a
punto il Patto balcanico, patto aggressivo diretto contro l’Al­
bania.
Partendo da questa situazione, il Congresso riaffermò la
parola d’ordine del Partito, divenuta il principale motto delle
masse popolari nella loro attività susseguente alla Liberazione:
«Edifichiamo il socialismo, tenendo in una mano il piccone e
nell’altra il fucile»**. Il Congresso assegnò il compito di intensi­
ficare la vigilanza e di attribuire la massima importanza al­
l’incessante consolidamento dell’unità del popolo intorno al Par­
tito. Esso chiese che nulla fosse risparmiato pur di accrescere
la capacità difensiva della Patria e di perfezionare ulterior­
mente l’Esercito Popolare, le Forze di confine e della Sicurezza
di Stato.
Condannando l’aggressione degli imperialisti statunitensi
in Corea e la loro politica bellicista e aggressiva nel suo insie­
me, il Congresso raccomandò di lavorare senza tregua per ac­
crescere l’odio del popolo albanese contro l’imperialismo, soprat* Enver Hoxha. Rapporto presentato al II Congresso
Opere, vol. 9, p. 265.
** Documenti principali del PLA, vol. II, p. 289.
del
PLA.
285
tutto contro l’imperialismo americano, e per il suo totale sma­
scheramento. Il Congresso definì la lotta da svolgere contro
l’imperialismo come condizione essenziale per la salvaguardia
e il consolidamento della pace.
Del pari venne espressa la solidarietà con la classe operaia
internazionale e con tutti i popoli che lottavano per il proprio
affrancamento dal giogo dell’imperialismo. Venne fissato come
compito l’ulteriore rafforzamento dell’amicizia e della collaborazione con i paesi socialisti, e rilevata l’assoluta necessità di
smascherare la cricca di Tito quale agente dell’imperialismo.
Il Congresso elesse il Comitato Centrale del Partito con
27 membri e 12 candidati. Enver Hoxha fu rieletto Segretario
Generale del Partito.
5. PER LA RIDUZIONE DEL DIVARIO FRA INDUSTRIA
E AGRICOLTURA E PER IL MIGLIORAMENTO DELLE
CONDIZIONI DI VITA DELLA POPOLAZIONE
La pratica attuazione del primo piano quinquennale si trovò
dinanzi alcuni ostacoli che non erano stati debitamente pre­
visti. Il piano di sviluppo dell’economia per il 1951 e il 1952
non fu pienamente realizzato. Il previsto grado di migliora­
mento del benessere dei lavoratori non fu raggiunto. La produ­
zione agricola procedette con ritmi più lenti di quanto stabilito
dal Congresso. Quantunque le superfici sotto cultura fossero
state ampliate in base al piano, il loro rendimento, con parti­
colare riferimento ai cereali, era inferiore agli indici stabiliti.
Si costatava un sensibile calo negli allevamenti di bestiame.
Risultò che il divario fra industria e agricoltura, invece di
diminuire, come previsto dal piano, si era ulteriormente accen­
tuato.
Le cause del divario fra
industria e agricoltura
Questa situazione suscitò viva
inquietudine in seno al Comi­
tato Centrale. Esso le dedicò
un attento esame scoprendo le cause che erano all’origine di
tale stato di cose.
L’arretratezza dell’agricoltura, retaggio del passato, il basso
livello d’istruzione e di cultura delle masse contadine e l’esisten­
286
za della piccola proprietà privata nelle campagne ostacolavano
l’impiego su vasta scala della tecnica e lo sfruttamento di tutte
le possibilità create per l’incremento della produzione agricola.
Il giusto orientamento verso un più rapido sviluppo dell’agri­
coltura e una riduzione del divario esistente fra industria e
agricoltura, dato dal II Congresso, non fu tenuto debitamente
presente e non venne totalmente rispecchiato nelle cifre del
piano. Gli investimenti previsti per l’agricoltura erano addirit­
tura inferiori a quelli previsti per i trasporti. Tutto ciò non
rispondeva al compito stabilito dal Congresso per aumentare
del 171 per cento la produzione agricola alla fine del quin­
quennio, grazie soprattutto a un maggiore rendimento delle
colture.
D’altro canto, la costruzione delle nuove opere industriali
ascquistò un’ampiezza che esulava dalle forze e dalle possibilità
del paese. Il ritmo stabilito per il compimento di alcune im­
portanti opere risultò insostenibile. Tali lavori richiedevano
un fortissimo incremento di mano d’opera, calcolata in media a
26.000 lavoratori all’anno. Per procurare questa forza lavoro,
fu necessario che un gran numero di contadini abbandonassero
l’agricoltura.
Oltre alle deficienze di pianificazione, sullo sviluppo del­
l’agricoltura influivano negativamente anche le quote obbliga­
torie, dovute dai contadini all’ammasso statale, che erano alte,
nonché le imposte agricole ancora gravose. Specie a causa della
siccità degli anni 1950-1952, i contadini si trovavano nell’impos­
sibilità di consegnare all’ammasso obbligatorio lo stabilito quan­
titativo di prodotti.
La siccità fu causa di gravi danni per l’agricoltura e portò
anche alla diminuzione del bestiame. Il numero di fondi rurali
che non possedevano buoi da lavoro raggiunse un terzo del
totale nazionale, in un periodo in cui le superficie coltivate erano
aumentate e il volume e la varietà dei lavori agricoli si erano
ampliati, mentre i macchinari agricoli non erano ancora suf­
ficienti.
I rendimenti previsti nella produzione dei cereali non fu­
rono raggiunti poiché, fra l’altro, i terreni migliori vennero in
parte riservati alle colture industriali. Le superfici seminate a
tali colture furono ampliate malto alla leggera, spesso senza
tener conto della disposizione dei contadini né della mano
d’opera necessaria al buon andamento di esse.
Nonostante i provvedimenti adottati dal Partito, la spere­
287
quazione dei prezzi fra prodotti industriali e agricoli non era
ancora pienamente scomparsa. Il reddito dei contadini difficil­
mente permetteva loro l’acquisto di attrezzi agricoli. Oltre a
ciò, il rifornimento dei contadini in attrezzi agricoli era reso
difficile anche dal fatto che l’industria e l’artigianato non ne
avevano prodotto il quantitativo stabilito.
Il mancato raggiungimento dei progressi previsti in agri­
coltura ostacolava direttamente l’attuazione dei compiti per la
produzione degli articoli di largo consumo. Questo stato di cose
causava difficoltà nell’approvvigionamento della popolazione e
impediva il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori
delle città e delle campagne.
L’aumento del benessere era altresì ostacolato da alcune
altre circostanze. Mirando al massimo dei benefici, le coope­
rative di consumo effettuavano le operazioni di ammasso, la
distribuzione degli articoli agricoli e la vendita degli attrezzi,
principalmente attraverso il mercato libero, senza assicurare in
tal modo le merci necessarie al mercato garantito e al mercato
reciproco. Il forte aumento di operai provenienti dalle campagne
e che si installavano nelle città, rendeva necessari nuovi inve­
stimenti per dare loro e alle loro famiglie una casa, nonché per
l’approvvigionamento di tutti costoro con articoli razionati.
D’altro canto, a far diminuire le merci sul mercato aveva in­
fluito negativamente anche il tentativo di sopprimere il piccolo
commercio privato mediante prematuri provvedimenti ammini­
strativi, senza tener conto dell’orientamento dato in proposito
dal Comitato Centrale.
Il Partito non poteva permet­
tere che la realizzazione del
primo piano quinquennale fos­
se messa in pericolo e che si
indebolisse l’alleanza della clas­
se operaia e dei contadini. Nel marzo del 1953 il Comitato
Centrale decise l’adozione di una serie di provvedimenti mi­
ranti all’eliminazione degli ostacoli che si frapponevano al pro­
gresso dell’agricoltura e all’aumento della produzione agricola.
Conseguentemente, vennero accresciuti in una certa misura gli
aiuti alle campagne, si assicurò il compimento delle opere di
bonifica entro i termini stabiliti, fu migliorato il lavoro nelle
stazioni di macchine e trattori e accelerata la preparazione dei
quadri per l’agricoltura.
I provvedimenti in favore
dell’agricoltura e per l’in­
cremento
del
benessere
dei lavoratori
288
Risultò tuttavia che tali provvedimenti erano insuffi­
cienti e non potevano risolvere pienamente il problema, per
il fatto che non assicuravano le nuove risorse che avrebbero
permesso allo Stato di ampliare il suo aiuto alle campagne
come un anello essenziale nella catena dei compiti da attuare
per far progredire l’agricoltura.
Da tale esperienza, il Partito trasse l’insegnamento che la
soluzione dei problemi delle campagne doveva essere conside­
rata più seriamente e da tutti come una grande questione poli­
tica; al tempo stesso bisognava varare provvedimenti meglio
studiati e più radicali in tal senso.
In tal modo, per iniziativa del Comitato Centrale e sotto
la sua diretta guida, durante il 1953 il Consiglio dei Ministri
adottò nuovi e importantissimi provvedimenti in favore del­
l’agricoltura, tendenti nello stesso tempo a migliorare le con­
dizioni di vita dei lavoratori delle campagne e delle città.
La ripartizione degli investimenti del primo piano quin­
quennale per i principali rami dell’economia fu riveduta. Alcune
opere industriali, la cui costruzione era prematura, furono
cancellate dal piano. Il ritmo di costruzione di altre opere venne
rallentato. La maggior parte degli investimenti resi liberi dal­
l’industria furono trasferiti all’agricoltura, mentre un’altra parte
di essi venne assegnata all’aumento della produzione di articoli
di largo consumo e alla costruzione di abitazioni.
Vennero dichiarate estinte tutte le obbligazioni arretrate
dei contadini fino al 1952 in cereali e altri prodotti agricoli e
zootecnici, così come tutte le imposte finanziarie arretrate per
tutti i membri delle cooperative agricole e delle aziende agri­
cole individuali che non disponevano di buoi da lavoro, mentre
quelle che ne disponevano beneficiarono di una riduzione del
75 per cento. Le consegne obbligatorie furono ridotte per tutte
le categorie dei terreni. Poco dopo venne proclamata una ridu­
zione del 25 per cento delle imposte gravanti su tutte le aziende
agricole. I prezzi degli attrezzi agricoli di fabbricazione nazio­
nale vennero ugualmente ridotti e i prezzi di acquisto, da parte
dello Stato, delle olive, del cotone, del tabacco e delle barbabietole da zucchero furono aumentati.
Contemporaneamente fu deciso di elevare in misura note­
vole il credito agrario e di dotare l’agricoltura di un maggior
numero di trattori.
L’apparato dell’amministrazione statale e delle organizza­
zioni di massa subì una riduzione di personale del 30 per cento,
289
un certo numero di quadri dell’amministrazione passarono alla
produzione e parecchi vennero inviati nelle campagne.
Le ordinanze che portavano all’eliminazione del piccolo
commercio privato furono abrogate e vennero adottati provvedi­
menti atti a rianimarlo fino a un certo punto. Nello stesso tem­
po fu rafforzato il commercio statale e cooperativistico. Prose­
guendo i suoi sforzi tendenti a migliorare le condizioni di vita
dei lavoratori, il Partito, senza rinunciare allo sviluppo dell’in­
dustria pesante, dedicò particolare cura a quello dell’industria
leggera, al fine di far aumentare la produzione degli articoli
di largo consumo. Al fine di soddisfare quanto meglio le
necessità delle campagne in articoli industriali, venne sti­
molato l’artigianato privato e si lavorò a istituire l’artigianato
nelle campagne.
Tutti questi provvedimenti attestavano la forza del Partito,
la sua capacità di rivedere con occhio critico e di rettificare
tempestivamente le proprie decisioni per adattarle alle condizioni
concrete. Il Partito si rendeva chiaramente conto che non
si poteva dirigere l’edificazione del socialismo senza rivedere
di tanto in tanto i compiti antecedentemente stabiliti, senza
abrogare le decisioni ormai superate, senza colmare le lacune
che via via si manifestavano. V. I. Lenin, ai suoi tempi, spie­
gava che il socialismo non può essere edificato «senza moltis­
sime ripetizioni, senza ritornare alcune volte sui propri passi,
senza controllare il lavoro, senza apportarvi particolari corre­
zioni, senza nuovi metodi...»*.
Nonostante la loro grande importanza, i provvedimenti
adottati nel 1953 dal CC del Partito e dal Governo, resta­
vano pur sempre provvedimenti provenienti dall’alto.
Al fine di realizzare gli auspicati progressi nello sviluppo
dell’economia e in particolar modo dell’agricoltura, era neces­
sario procedere a una mobilitazione totale di tutte le risorse
materiali e umane, portare a un più alto livello l’impeto rivo­
luzionario e l’iniziativa creatrice delle masse. Tale obiettivo
poteva essere raggiunto se la direttiva del II Congresso, che
raccomandava al Partito di migliorare radicalmente il suo
metodo di direzione politica nell’economia, fosse stata praticamente attuata.
Allo scopo di migliorare il metodo di direzione, il Partito
* V. I. Lenin, Opere, vol. 31, dell’ed. alb., p. 572.
290
concentrò il proprio lavoro, innanzitutto, nel risolvere due
importanti contraddizioni.
La prima era quella che si manifestava tra l’insufficiente
preparazione tecnica, professionale e scolastica dei quadri di­
rigenti e le sempre crescenti esigenze per la direzione del­
l’economia popolare nel suo impetuoso sviluppo in tutti i
sensi. Il ritmo di formazione dei quadri, l’elevamento del
loro livello d’istruzione e tecnica, l’aumento delle loro capa­
cità organizzative dovevano rispondere alle esigenze di una
perfetta direzione degli affari economici e statali.
L’altra contraddizione era quella esistente fra l’elevato
livello tecnologico della produzione e il basso livello tecnico
e professionale degli operai e del personale di ingegneri e
tecnici. La nuova industria in corso di costruzione in Al­
bania era caratterizzata da complicati processi di produzione
e fondata su di una tecnica moderna, mentre la formazione
degli operai, dei tecnici e degli ingegneri non era in grado di
far fronte alle esigenze di tale industria. Ne derivava l’in­
completo sfruttamento delle capacità dei macchinari, il basso
rendimento del lavoro e l’elevato costo di produzione.
Al fine di risolvere queste contraddizioni, il Comitato
Centrale del Partito riesaminò il grado di preparazione e di
qualificazione dei quadri e degli operai, criticò le carenze in
tale campo e prese provvedimenti per fornire a tale lavoro
basi più solide.
Questi provvedimenti non tardarono a portare a notevoli
e soddisfacenti risultati. Nel 1954 il piano della produzione
industriale fu superato in misura superiore a quella di qual­
siasi anno precedente. Del pari aumentarono le superfici col­
tivate, nonché la produzione dei cereali. Il declino degli alle­
vamenti venne arginato ed ebbe inizio un notevole aumento
del bestiame. La superficie abitativa assegnata ai lavo­
ratori era del 27 per cento superiore a quella del 1953. La
circolazione generale delle merci registrò un incremento di più
del 13 per cento in un anno. Vennero ampliati gli scambi fra
la città e la campagna.
Tutti questi risultati portarono al rafforzamento dell’al­
leanza della classe operaia con le masse rurali e prepararono
il terreno per la totale realizzazione del piano quinquen­
nale.
291
6. RAFFORZAMENTO DEL LAVORO IDEOLOGICO E
LIQUIDAZIONE DEI TENTATIVI DI REVISIONE DELLA
LINEA MARXISTA-LENINISTA DEL PARTITO
Dopo il I Congresso del Partito e soprattutto durante gli
anni del primo piano quinquennale, la rivoluzione culturale
e ideologica si estese e si approfondì in ogni senso. Giunsero
a un più alto livello l’istruzione e la cultura dei lavoratori.
L’istruzione e la cultura erano veramente divenute patrimonio
del popolo. L’intero paese era coperto da una fitta rete di
scuole, di teatri, di cinema, di case e di centri di cultura.
Erano stati aperti i primi istituti d’insegnamento superiore. Un
abitante del paese su sette frequentava la scuola. Il tradizio­
nale patriottismo del popolo albanese si arricchiva di un con­
tenuto nuovo, socialista. Nella coscienza dei lavoratori si era­
no operati profondi cambiamenti. Si era affermato un atteg­
giamento nuovo, socialista, nei confronti del lavoro e del pa­
trimonio sociale, i lavoratori si erano liberati da molti pre­
giudizi arretrati, religiosi, borghesi e piccolo-borghesi.
Ciononostante il livello di preparazione ideologica e cul­
turale dei comunisti e di tutti i lavoratori rimaneva ancora
abbastanza basso. Ciò appariva nel loro lavoro e nel loro
modo di vita. Le manifestazioni estranee alla morale comu­
nista, la poca cura dedicata da ciascuno di essi al proprio
elevamento ideologico, il basso livello del lavoro ideologico e
politico, il tirarsi indietro di fronte alle difficoltà per acquisire
istruzione e cultura, costituivano altrettanti fattori che osta­
colavano l’edificazione socialista del paese.
La svolta iniziata nel campo del­
l’aumento della produzione e del­
la direzione dell’economia, la di­
fesa e l’incessante sviluppo delle
conquiste della rivoluzione socialista, esigevano che l’attiva
partecipazione delle masse alla vita politica, economica e cul­
turale del paese fosse portata a un livello più elevato e,
conseguentemente, che venisse temprata la loro coscienza so­
cialista. L’Albania si era incamminata sulla via dello sviluppo
socialista nelle condizioni di un grande ritardo economico e
culturale, con una classe operaia poco numerosa, mentre il
livello d’istruzione e di cultura dei lavoratori era ancora basso
e la loro concezione del mondo nettamente piccolo-borghese.
Elevamento
dell’educazione ideologica, politica e
culturale
292
Il paese edificava il socialismo nelle condizioni dell’accerchìamento capitalista, mentre l’imperialismo e i suoi agenti eser­
citavano sul popolo e sul Partito una potente pressione in tutti
i campi, conducevano una vasta campagna di calunnie e di
minacce allo scopo di rovesciare il potere popolare.
Il Comitato Centrale del Partito, considerando l’educa­
zione ideologica e politica marxista-leninista dei comunisti e
dei lavoratori come uno dei propri compiti fondamentali, esa­
minò tale questione con particolare cura e provvide a orga­
nizzarla in modo migliore e a portarla su posizioni più com­
battive.
Venne criticata la tendenza a sostituire, nel lavoro fra
le masse, il metodo della persuasione con i metodi ammi­
nistrativi. Fu condannata l’errata opinione secondo cui il Par­
tito, quando si pone a capo del potere, comanda e dà ordini.
In particolar modo fu condannato il contegno di alcuni comu­
nisti nelle campagne, i quali, invece di compiere opera di
persuasione fra i contadini per indurli a consegnare le loro
quote di cereali all’ammasso, agivano in modo sbrigativo com­
piendo atti arbitrari, come chiusura dei mulini, divieto ai
contadini di immagazzinare le messi senza aver prima liquidato
le loro obbligazioni, e così via.
I comitati del Partito organizzarono un più vasto e più
concreto lavoro per spiegare la linea politica del Partito.
L’opera di chiarimento politico venne strettamente collegata
ai problemi economici, all’attuazione dei compiti per la realiz­
zazione dei piani dell’azienda, del villaggio o dell’istituzione.
Particolare attenzione venne dedicata a educare i lavoratori a
comportarsi in modo socialista nei confronti del lavoro e del
patrimonio sociale. Il Partito affrontò con maggiore oculatezza
il problema della lotta di classe in quanto anello essenziale
nella catena dei problemi prospettati dall’educazione ideologica.
Esso fece risaltare ancor meglio come questa lotta fosse in­
dispensabile e non permise che nello spirito dei comunisti e
dei lavoratori mettesse radici l’idea antimarxista della «estin­
zione della lotta di classe nel periodo dell’edificazione socialista»,
idea che diffondevano i revisionisti jugoslavi e che veniva ap­
poggiata da vari ideologi in alcuni partiti comunisti e operai,
ivi compreso il PCUS. Il Comitato Centrale richiedeva di incul­
care a fondo nella coscienza dei comunisti e dei lavoratori la
conclusione del II Congresso del PLA che la lotta di classe
proseguirà senza interruzione durante tutto il periodo di edi­
293
ficazione del socialismo. Le classi sfruttatrici, anche dopo aver
perduto il potere, non rinunciano mai ai loro tentativi di
restaurare il proprio dominio, mentre la borghesia internazionale
ha per obiettivo principale di impedire la vittoria del socialismo
su scala mondiale, di schiacciare le rivoluzioni socialiste là
dove hanno trionfato o là dove esse esplodono. A tale propo­
sito, il Partito intensificò ancor più la propaganda e l’agitazione
per smascherare i disegni degli imperialisti e dei loro accoliti,
le nuove forme d’azione che essi impiegavano per giungere
ai loro fini. Questo lavoro fece sì che i lavoratori si rendes­
sero meglio conto delle varie forme che assumeva la lotta di
classe, attirando la loro attenzione sul fatto che una manifesta­
zione della lotta di classe erano anche il furto, il danneggia­
mento e la dilapidazione della proprietà socialista.
Si provvide a migliorare il lavoro della stampa e della
radio, in quanto potenti armi di educazione e di mobilitazione
nelle mani del Partito. Il sistema di educazione in seno al
Partito venne riorganizzato. La pubblicazione di opere marxisteleniniste fu ampliata. Parallelamente alle opere di Stalin, che
venivano pubblicate sin dal 1952, fu decisa e iniziata la pub­
blicazione delle opere complete di Lenin. In particolar modo
venne curato l’elevamento del livello ideologico, culturale e
professionale dei lavoratori degli apparati di Partito e dei
quadri degli organi statali ed economici. Tutti i quadri e tutti
i comunisti furono maggiormente attivizzati nel lavoro di
educazione ideologica e politica, in opposizione all’opinione del
tutto sbagliata e nociva secondo cui tale compito incombeva
unicamente agli organi di agitazione e di propaganda.
Al fine di far progredire la rivoluzione culturale, il Partito
concentrò la propria attenzione sullo sviluppo di tale rivolu­
zione soprattutto in profondità, senza tuttavia trascurare il
suo ulteriore ampliamento. Particolare cura venne dedicata al
consolidamento del contenuto scientifico, ideologico e politico
della scuola.
Conseguentemente alla preparazione della nuova intellighen­
zia e alla creazione di centri scientifici nel paese, il Partito
prospettò ora il compito di collegare più strettamente la scienza
con la produzione, di modo che le recerche scientifiche contribuis­
sero a risolvere i principali problemi dello sviluppo socialista
del paese. Vennero adottati particolari provvedimenti per sti­
molare ancor più gli studi nel campo della storia dell’Albania
e della linguistica.
294
Precisamente in questo periodo fu creata una serie di nuove
istituzioni scientifiche, culturali e artistiche, come l’istituto di
Storia del Partito, l’istituto di Storia e di Linguistica, il
Teatro dell’Opera e del Balletto, e altre.
Nel momento in cui il Comitato
Centrale del Partito, al suo Ple­
num dell’aprile 1955, esaminava
il potenziamento del lavoro ideo­
logico e culturale, Tuk Jakova tentò di sfruttare l’occasione
per colpire la linea generale del Partito, avanzando le proprie
concezioni revisionistiche.
L’autocritica da lui fatta al 9° Plenum e ripetuta al II
Congresso si rivelò insincera. In realtà, egli continuava a es­
sere in contrasto con la linea del Partito. Continuava a essere
scontento e nutriva un odio profondo contro la direzione del
Partito e la sua linea marxista-leninista. A suo giudizio la
lotta del Partito contro l’opportunismo e le misure prese contro
i nemici di classe erano ingiuste. Valutando da una posizione
antimarxista, revisionistica gli avvenimenti internazionali degli
ultimi anni, egli aveva iniziato il suo lavoro di revisione della
linea del Partito. A tal fine si era avvicinato a elementi condan­
nati dal Partito per attività antimarxista.
Tuk Jakova chiese che fosse riveduta tutta la linea poli­
tica e organizzativa del Partito, poiché, secondo lui, esistevano
gravi deformazioni a cui bisognava por rimedio al più presto!
Prefiggendosi lo scopo di colpire la direzione del Partito e in
particolare il compagno Enver Hoxha, egli riprese la ben nota
tesi ostile dei dirigenti revisionisti jugoslavi, secondo cui sareb­
bero stati loro a creare il Partito Comunista d’Albania e ren­
dere possibili tutte le vittorie conseguite dal popolo albanese
nella sua Lotta Antifascista di Liberazione Nazionale! Egli
chiese la revisione di tutti i giudizi espressi dal Partito sin
dalla sua fondazione sul lavoro dei gruppi comunisti, insistendo
soprattutto perché fossero attenuati gli aspetti negativi del
Gruppo di Shkodër, di cui era stato, per un certo tempo,
membro della direzione.
Egli era contrario alla politica del Partito per quel che
concerneva la lotta di classe. Sosteneva la tesi dell’estinzione
della lotta contro il nemico di classe e si sforzava in vari modi
di far cessare su tutta la linea la lotta contro l’ideologia, le
tendenze e gli atteggiamenti ostili al Partito, per far così acLa vigilanza del Partito
per impedire la penetra­
zione del revisionismo
295
cettare la coesistenza pacifica con le concezioni borghesi in
seno al Partito.
Tuk Jakova aveva spinto la sua ostilità nei confronti del
Partito sino al punto di far suo, nella lotta che svolgeva contro
di esso, lo slogan reazionario della divisione del popolo alba­
nese in «gegë» e in «toskë».
Tuk Jakova chiese apertamente la sostituzione dei com­
ponenti del Comitato Centrale del Partito e la designazione
alla sua testa di gente condannata per gravi colpe e attività
antimarxista. Contemporaneamente, egli si pronunciava per la
riabilitazione di tutti gli elementi ostili al Partito.
Le sue mire erano palesi: sostituire la linea marxista-leninista del Partito del Lavoro d’Albania con un nuovo corso,
analogo a quello dei revisionisti jugoslavi, far apparire Tuk
Jakova come il «salvatore» della situazione, un «ardente mili­
tante» di questo corso, come un uomo che meritava di essere
posto alla testa del Partito.
Le tesi revisionistiche di Tuk Jakova incontrarono l’adesione
di Bedri Spahiu.
Nel corso della sua vita di membro del Partito, Bedri
Spahiu era stato criticato a più riprese per il suo pronunciato
opportunismo e per i gravi errori commessi nella sua attività.
Ma ogni qualvolta aveva fiutato il pericolo di vedersi sma­
scherare, «spontaneamente» aveva chiesto di allontanarsi dalla
direzione del Partito allo scopo di cancellare le proprie colpe.
Egli aveva sempre alimentato il nazionalismo borghese e tacita­
mente sostenuto la via opportunistica e liquidatoria preconiz­
zata da Sejfulla Malëshova e da Ymer Dishnica.
Anche Bedri Spahiu era contrario alla politica del Partito
sulle classi e la lotta di classe, aveva ceduto dinanzi alla
pressione della borghesia e chiedeva l’estinzione della lotta di
classe. Al pari di Tuk Jakova, egli era per la revisione della
linea generale del Partito, per la sostituzione della sua dire­
zione con una direzione antimarxista che doveva essere capeg­
giata da Tuk Jakova e comprendere altri elementi ostili al
Partito.
Al II Congresso del Partito, Bedri Spahiu non fu rieletto
membro dell’Ufficio Politico, e ciò a causa dei suoi passati
gravi errori politici che vennero pienamente scoperti durante
la verifica dei documenti. Da allora il suo odio per il Partito
non fece che aumentare e non aspettava altro che il momento
propizio per vomitare il suo fiele contro di esso.
296
L’attività e le vedute opportunistiche di Tuk Jakova e di
Bedri Spahiu vennero smascherate e condannate senza la mi­
nima esitazione dal Plenum del CC del Partito, tenutosi nel
giugno del 1955. Tuk Jakova venne espulso dal Comitato
Centrale e più tardi anche dal Partito, mentre Bedri Spahiu,
il quale tenne al Plenum un atteggiamento profondamente
ostile, venne immediatamente espulso sia dal Comitato Centrale
che dal Partito.
Nel prendere questa decisione, il Comitato Centrale rac­
comandava: «...di intensificare costantemente la vigilanza ri­
voluzionaria e la lotta contro l’opportunismo e gli opportunisti
e di schiacciare in embrione ogni loro azione a danno del
Partito e del popolo»*. In tal modo venne difesa l’unità del
Partito e conservata la purezza della sua linea generale marxista-leninista. Il Comitato Centrale preparò le organizzazioni
del Partito e tutti i comunisti a combattere le vedute dei
nemici che cercavano di diffondere nel Partito un pericoloso
senso di tranquillità e l’idea dell’estinzione della lotta di
classe.
L’attività revisionistica di Tuk Jakova e di Bedri Spahiu
non era affatto casuale. Essa aveva le sue radici nella vasta
attività di diversione dei revisionisti jugoslavi contro i partiti
marxisti-leninisti e contro l’unità del campo socialista. Essa
era strettamente connessa alla preparazione dell’attacco gene­
rale dei revisionisti moderni contro il marxismo-leninismo e
il movimento comunista internazionale.
Dopo la morte di Stalin nel marzo del 1953, gli elementi
revisionisti nei partiti comunisti e operai, ivi compreso il Par­
tito Comunista dell’Unione Sovietica, cominciarono ad attiviz­
zarsi, a corrodere le fondamenta dei loro partiti e a minare
l’unità del movimento comunista internazionale.
Nei primi anni susseguenti a tale avvenimento, essi si
adoperarono a consolidare le proprie posizioni e a impossessarsi
della direzione del Partito, allontanando dalla direzione gli
elementi sani mediante la calunnia, l’intrigo e il complotto. A
tale scopo Krusciov scatenò la campagna di lotta contro il
cosiddetto «culto della personalità». Il PLA, pur condannando
il culto della personalità «come una pratica antimarxista e
nociva», non cadde però nella trappola preparata da Krusciov
* Decisione del Plenum del CC del PLA, 17 giugno 1955. Docu­
menti principali del PLA, vol. II, p. 541.
297
per revisionare la linea politica del Partito e preparare il terreno al cambio della direzione. La risposta da esso data in
tale occasione era la seguente: «Nel Comitato Centrale e nelle
altre istanze dirigenti del nostro Partito il lavoro è stato sempre
caratterizzato dallo spirito di collegialità e vi si è costantemente combattuto affinché il lavoro collegiale si rafforzi ogni
giorno di più. Il Comitato Centrale del nostro Partito è unito
come un masso di granito e guida il Partito con saggezza e
ardimento sulla gloriosa via del socialismo e del comunismo.
L’unità del nostro Partito è come un blocco d’acciaio che nes­
suna forza ostile, interna o esterna, potrà scalfire»*.
Negli anni 1954-1955, i preparativi dei revisionisti per l’at­
tacco generale contro il marxismo-leninismo assunsero vaste
proporzioni. La loro attività si concentrò principalmente su
tre direttrici: la diffusione dell’idea di estinzione della lotta
di classe; il ravvicinamento alla cricca di Tito e la riabilitazione
di quest’ultima; la sostituzione della lotta dei popoli per la
difesa della pace con la collaborazione con i capi dell’imperia­
lismo.
Per effetto di tale attività, in Ungheria e in alcuni altri
paesi europei a democrazia popolare vennero fatte notevoli
concessioni agli elementi capitalisti delle città e soprattutto
delle campagne, e venne permessa la diffusione dell’ideologia e
della cultura borghesi. Nella Repubblica Popolare d’Albania,
frattanto, non solo non fu fatta la minima concessione al ne­
mico di classe, ma la lotta contro di esso venne ulteriormente
rafforzata.
Nella via seguita dai revisionisti jugoslavi, i revisionisti
moderni scorgevano il modello della loro via comune, e nella
cricca di Tito il loro più sicuro alleato nella lotta contro il
marxismo-leninismo. In quel periodo Krusciov e, sulla sua scia,
altri dirigenti di paesi socialisti, cominciarono ad avere grande
stima per la politica estera della Jugoslavia, nonché per «i
suoi sforzi per assicurare la coesistenza pacifica e conservare
la pace». Krusciov tentò di dimostrare che la politica estera
della Jugoslavia non differiva da quella dei paesi socialisti.
Cominciò ad affacciarsi l’opinione che le questioni che univano
i partiti marxisti-leninisti e i revisionisti jugoslavi erano più
* Rapporto dell’Ufficio Politico, approvato al Plenum del CC del
PLA, 12 luglio 1954. ACP.
298
numerose e più importanti di quelle che li dividevano. Furono
fatti tentativi d’ogni genere per provare che era indispensabile
riabilitare la direzione revisionista jugoslava. Nel maggio del
1955, Krusciov, senza chiedere l’approvazione degli altri partiti,
decise di invalidare le decisioni dell’Ufficio d’informazione e
gli apprezzamenti di tutti i partiti comunisti e operai sul tradi­
mento della cricca di Tito e di recarsi a Belgrado a capo di
una delegazione del partito e del governo sovietico. Krusciov si
sforzò di imporre anche agli altri partiti questa decisione unila­
terale, ingiusta e arbitraria. Solo due giorni prima della
sua partenza, egli informò il Partito del Lavoro d’Albania di
questo fatto compiuto, chiedendo la sua approvazione all’annullamento della risoluzione dell’Ufficio d’informazione del
novembre 1949 e alla revisione di quella del giugno 1948, che
mettevano a nudo il tradimento della direzione jugoslava. Nello
stesso tempo egli chiedeva l’approvazione del testo di una
«decisione» su tale questione, da lui stesso redatto e che doveva
essere pubblicato a nome dell’Ufficio d’informazione senza che
questo si fosse neppure riunito! Il Comitato Centrale del PLA,
nonostante la grande fiducia che aveva nel Partito Comunista
dell’Unione Sovietica, considerò con grande diffidenza questo
gesto di Krusciov e, a mezzo di una lettera, inviata al Comitato
Centrale del PCUS il 25 maggio 1955, si pronunciò contro il
viaggio di Krusciov in Jugoslavia e contro la riabilitazione
della cricca di Tito. «Noi riteniamo, — era detto in questa
lettera, — che vi è molta differenza fra il tenore della vostra
lettera del 23 maggio 1955 e la tesi principale del nostro co­
mune atteggiamento nei confronti degli jugoslavi fino a oggi...
La quotidiana esperienza del nostro Partito nelle relazioni con
gli jugoslavi, sia prima della rottura con essi nel 1948, sia
in seguito e fino a oggi, dimostra chiaramente e perfetta­
mente, con numerosi fatti concreti, che il contenuto di principio
di tutte le risoluzioni dell’Ufficio d’informazione concernenti
la questione jugoslava è stato assolutamente giusto, con qualche
eccezione di importanza tattica. La procedura che ci viene
proposta per approvare l’abrogazione della risoluzione della ri­
unione dell’Ufficio d’informazione del novembre 1949 non
ci sembra giusta... A nostro giudizio una decisione così
rapida (e precipitata) su di una questione che riveste una
grande importanza di principio, senza procedere prima a una
profonda analisi unitamente a tutti i partiti interessati a tale
questione, e a maggior ragione la sua pubblicazione sulla
299
stampa e la sua proclamazione al termine dei colloqui di Bel­
grado, sarebbe non solo prematura, ma recherebbe grave danno
all’orientamento generale... Noi siamo convinti che questa linea
generale del nostro Partito nelle relazioni con la Jugoslavia
è giusta, con qualche eccezione di secondaria importanza»*.
Il Comitato Centrale del PLA chiedeva al Comitato Cen­
trale del PCUS che tali questioni venissero esaminate nel corso
di una riunione dei partiti membri dell’Ufficio d’informazione,
a cui il PLA doveva essere invitato per esprimere la propria
opinione.
Secondo la decisione già presa, N. Krusciov si recò in Ju­
goslavia, riconobbe umilmente dinanzi a Tito che «erano stati
commessi gravi errori nei confronti del PCJ e della direzione
jugoslava» (!) e di fatto li riabilitò. Questo era un fatto senza
precedenti nella storia del movimento comunista internazionale,
una flagrante violazione delle comuni decisioni dei partiti
fratelli, un atteggiamento sprezzante nei confronti degli altri
partiti.
Nel corso revisionistico della cricca di Tito, Krusciov trovò
l’incarnazione del proprio desiderio di ravvicinamento all’imperialismo americano e dei propri sforzi in tal senso. Nel suo
discorso di Belgrado egli fece chiaramente capire che il suo
scopo era precisamente questo. La politica di collaborazione
della Jugoslavia con i paesi dell’Occidente, disse, «incontra la
nostra piena comprensione». Durante un colloquio con alcuni
giornalisti americani, Krusciov espresse l’opinione secondo cui
la lotta per la pace è una concezione politica che sussiste al di
fuori della lotta di classe e che sia i Stati socialisti, sia quelli
capitalisti, sono interessati alla garanzia della pace. Tale sua
interpretazione del problema della pace era di fatto in netto
contrasto con la ben nota tesi leninista, secondo cui l’imperia­
lismo è una sorgente di guerre.
Sforzandosi di elevare a teoria questa loro concezione
antimarxista, i revisionisti moderni tentarono di paralizzare
la lotta attiva delle masse per la pace contro l’imperialismo
e cominciarono a predicare che la «principale forma» di lotta
per garantire la pace consisteva negli incontri e nei colloqui
con i capifila dell’imperialismo. Sotto l’influenza di questi
* Lettera del CC del PLA inviata al CC del PC dell’URSS, 25
maggio 1955. ACP.
300
tentativi, durante il 1955 l’attività delle organizzazioni interna­
zionali per la difesa della pace si affievolì notevolmente. In­
vece della lotta per la pace, i revisionisti portavano adesso in
primo piano il pacifismo.
Krusciov definì la Conferenza dei capi di governo delle
quattro grandi potenze, URSS, USA, Inghilterra e Francia,
tenutasi a Ginevra nel luglio del 1955, come una nuova tappa
nelle relazioni fra Stati, come una svolta nei tentativi di
assicurare la pace, e i capi dei governi imperialisti che vi
presero parte come persone sensate che si adoperavano per
garantire la pace. Egli cominciò a parlare dappertutto dello
«spirito di Ginevra».
Influenzati e istigati da Krusciov, gli elementi revisionisti
divennero più attivi anche in altri paesi. Imre Nagy, in Unghe­
ria, levandosi direttamente contro lo sviluppo socialista delle
campagne, contro i princìpi del centralismo democratico e la
funzione dirigente del partito, divenne un grave pericolo per
il Partito dei Lavoratori Ungheresi e per il potere popolare.
Anche Tuk Jakova e Bedri Spahiu avevano voluto agire in
modo analogo in Albania.
Difendere il marxismo-leninismo in quel periodo e non
permettere la trasformazione del revisionismo in una omogenea
corrente internazionale, significava conservare la purezza della
linea marxista-leninista innanzi tutto nel proprio Partito, epu­
randolo dagli elementi revisionisti e conservando intatta la
sua unità.
Il PLA, espellendo dalle proprie file Tuk Jakova e Bedri
Spahiu e sgominando l’opportunismo di destra, non solo impedì
che fosse aperta la strada al revisionismo nel suo seno, ma
si preparò a meglio sostenere la futura lotta contro le mani­
festazioni di opportunismo di destra in seno al movimento
comunista internazionale.
La lotta del Partito sul fronte
politico e ideologico fu strettamente collegata alla lotta per la
realizzazione del primo piano quinquennale.
I provvedimenti d’ordine economico adottati allo scopo di
far uscire l’agricoltura dal suo stato di arretratezza vennero
integrati con altri provvedimenti volti ad assicurare l’ul­
teriore perfezionamento della pianificazione agricola. Secondo
il nuovo metodo di pianificazione, il piano di Stato per lo
Realizzazione
del
piano quinquennale
primo
301
sviluppo dell’agricoltura stabiliva il volume degli ammassi di
prodotti agricoli e zootecnici in base alle consegne obbliga­
torie, il volume dell’acquisto delle eccedenze e il volume dei
compensi in natura da corrispondere alle SMT per il loro lavoro.
Nello stesso tempo, ogni azienda agricola statale, cooperativistica
e individuale, in collaborazione con gli organi statali dell’agri­
coltura e le SMT pianificava direttamente la propria produzione
agricola, avendo per obiettivo il massimo sfruttamento delle
condizioni del suolo e del clima in ciascuna regione. Il nuovo
metodo liberava dal lavoro burocratico molti specialisti del­
l’agricoltura e aumentava la responsabilità dei quadri statali
dei distretti nella direzione delle attività agricole.
Tutti questi provvedimenti portarono a notevoli progressi
nella produzione agricola. La produzione dei cereali panificabili
era nel 1955 superiore del 53 per cento a quella del 1950.
Anche la produzione industriale segnò uno sviluppo più
rapido, aumentando mediamente nel corso del primo quinquen­
nio ad un tasso annuo del 23 per cento. Nel 1955, il volume
globale della produzione industriale era 15,5 volte superiore a
quello del 1938.
L’impetuoso sviluppo dell’economia e l’incremento della
produzione industriale e agricola resero possibile il migliora­
mento delle condizioni di vita materiale dei lavoratori. Il red­
dito nazionale aumentò nello stesso periodo del 70 per cento
circa. E così alla fine del quinquennio fu decretata l’abrogazione
parziale del sistema di tesseramento.
Importanti risultati furono ottenuti nello sviluppo della
cultura e dell’istruzione. Venne estesa la rete delle scuole e
si accrebbe in forti proporzioni il numero degli alunni e degli
studenti. L’analfabetismo fu totalmente debellato fra tutte le
persone di età inferiore ai 40 anni.
Il principale compito del primo piano quinquennale per
la trasformazione dell’Albania da paese agricolo arretrato in
paese agricolo-industriale fu, nell’insieme, felicemente attuato.
Vennero gettate le basi della nuova industria socialista, fu
ampliato il settore socialista dell’agricoltura, furono preparate
le condizioni necessarie per accelerare i ritmi di collettiviz­
zazione dell’agricoltura e per portare a termine la costruzione
della base economica del socialismo nel corso del quinquennio
seguente.
Durante il primo quinquennio, il Partito acquistò una
preziosa esperienza di direzione dello Stato e dell’economia per
302
l’edificazione socialista del paese. Del pari esso fece tesoro di
una grande esperienza nella sua azione di mobilitazione delle
masse e nella lotta politica e ideologica contro i nemici di
classe interni ed esterni nonché contro l’opportunismo di destra.
303
CAPITOLO V
IL PARTITO DEL LAVORO D’ALBANIA IN LOTTA PER
PORTARE A TERMINE LA COSTRUZIONE DELLA BASE
ECONOMICA DEL SOCIALISMO
(1956-1960)
1. IL III CONGRESSO DEL PLA. L’ORIENTAMENTO PER
UNA PIU’ SOLLECITA COLLETTIVIZZAZIONE
DELL’AGRICOLTURA
Nel dicembre del 1955, il Comitato Centrale decise di
convocare il III Congresso del PLA, che doveva stabilire i
nuovi compiti per il susseguente quinquennio. Esso si presen­
tava al Partito e al popolo con un ricco bilancio di successi
al proprio attivo, avendo svolto una risoluta lotta di principio
per l’applicazione della linea marxista-leninista, con chiare
prospettive sulla via dell’edificazione socialista del paese. Du­
rante i preparativi per il nuovo Congresso, il PLA si trovò di
fronte agli acuti problemi che il XX Congresso del PCUS aveva
fatto sorgere in seno al movimento comunista internazionale,
e sottoposto alla pressione che la direzione sovietica esercitava
su di esso per imporgli il proprio corso revisionistico.
Al XX Congresso del PCUS, te­
nutosi nel febbraio del 1956, il
gruppo di Krusciov, dopo tre anni
di preparativi, sferrò un violento attacco contro i princìpi
fondamentali del marxismo-leninismo e contro la linea generale
Il corso revisionistico del
XX Congresso del PCUS
304
marxista-leninista seguita dal PCUS sotto la direzione di G.
Stalin.
Il rapporto del CC del PCUS, presentato al Congresso da
N. Krusciov, conteneva una serie di tesi, qualificate come «nuo­
ve», che costituivano un preteso «sviluppo creativo della teoria
marxista-leninista nelle condizioni sorte dalla modificazione del
rapporto di forze nel mondo a vantaggio del socialismo». Queste
tesi costituivano in realtà una deviazione dal marxismo-leninismo, una revisione di questo.
Krusciov deformò gli insegnamenti leninisti sulla guerra e
la pace; egli elevò «la coesistenza pacifica fra i due sistemi» a
«linea generale della politica estera» dell’Unione Sovietica e di
tutti i Stati socialisti. Lenin insegnava che il principio fondamentale della politica estera di un paese socialista e di un partito
comunista consisteva nell’internazionalismo proletario e non
nella coesistenza pacifica, nella «alleanza con i rivoluzionari
dei paesi progrediti e con tutti i popoli oppressi contro gli
imperialisti d’ogni risma»*. Krusciov pose i Stati socialisti, il
movimento operaio e comunista internazionale, tutti i popoli,
davanti all’alternativa: «o la coesistenza pacifica, oppure la
più distruttiva guerra della storia. Una terza via non esiste».
In tal modo, per amor della coesistenza pacifica a ogni costo
con l’imperialismo, la direzione sovietica propagandava la rinun­
cia alla lotta di classe su scala mondiale, alla lotta rivoluzionaria
di liberazione dei popoli dal giogo imperialista e la cessazione
dell’aiuto che i paesi socialisti e il movimento operaio e comu­
nista internazionale dovevano, con ogni mezzo, prestare ai po­
poli amanti della libertà del mondo. Essa subordinava la solu­
zione dei problemi della pace e della libertà dei popoli alla
«instaurazione di relazioni amichevoli fra le due grandi potenze
mondiali — l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America».
Da una parte, egli diffondeva in tal modo l’illusione che
l’imperialismo americano, il peggiore e più feroce nemico della
pace e della libertà, avesse rinunciato o potesse rinunciare alle
sue mire di rapina e d’aggressione, che il socialismo avrebbe
dovuto trionfare su scala mondiale attraverso la coesistenza e
la competizione pacifica dei due sistemi — il sistema capitalista
e quello socialista! D’altra parte, il gruppo di Krusciov lasciava
* V. I. Lenin. «La politica estera della rivoluzione russa». Opere,
vol. 25, p. 86 dell’ed. alb.
305
intendere agli imperialisti americani che le posizioni dominanti
economiche e militari degli USA in vari paesi non sarebbero
state affatto messe in questione, che gli USA avrebbero dovuto
accettare la spartizione del dominio mondiale fra le due grandi
potenze, che queste potenze dominanti, in stretta collaborazione
fra di esse, «avrebbero assicurato la pace», ricorrendo a tutto
il loro grande potenziale economico e militare, a tutti i mezzi
di propaganda e alle organizzazioni internazionali come l’ONU,
e altre!
Facendo dipendere il passaggio al socialismo dalla coesi­
stenza pacifica, Krusciov mise tutto l’accento sul «passaggio pa­
cifico», attraverso «la via parlamentare». Egli dichiarava che,
nelle condizioni attuali, «la classe operaia può guadagnare la
maggioranza stabile al parlamento e trasformarlo, da organo
della democrazia borghese, in espressione dell’autentica vo­
lontà del popolo, in strumento di vera democrazia, di demo­
crazia per i lavoratori»! Nello stesso tempo, egli qualificava la
via della Rivoluzione d’Ottobre come «giusta soltanto in quelle
particolari condizioni storiche»! Queste tesi costituivano la scon­
fessione della rivoluzione socialista e della dittatura del pro­
letariato.
Nel rapporto del CC del PCUS, la Jugoslavia veniva aperta­
mente definita come un «paese socialista», dove «durante il
processo di edificazione del socialismo si creano forme originali
e concrete di gestione dell’economia e di strutturazione del­
l’apparato statale»! Tali apprezzamenti rendevano carta straccia
le risoluzioni dell’Ufficio d’informazione sul tradimento della
direzione jugoslava e appoggiavano la via jugoslava di elimi­
nazione del partito marxista-leninista e della dittatura del pro­
letariato, la via della restaurazione del capitalismo.
Un colpo ancora più duro venne inferto al Partito, alla rivo­
luzione e alla dittatura del proletariato nel rapporto «segreto»
«Sul culto della persona e le sue conseguenze», di cui diede
lettura N. Krusciov ai delegati del XX Congresso. Questo
rapporto offuscava il glorioso cammino percorso dal Partito
Bolscevico dopo la morte di. Lenin, definendolo come una
strada «piena d’errori, di gravi deviazioni e di mostruosi delitti».
La responsabilità di tutto ciò veniva fatta ricadere su G. Stalin,
che aveva guidato per trent’anni di seguito il Partito e lo Stato
sovietico con tanta saggezza e abilità verso vittorie di importanza
storica mondiale e che l’intero movimento comunista internazio­
nale riconosceva quale grande marxista-leninista e grande rivolu­
306
zionario. Ricorrendo alle più vili invenzioni e calunnie, pog­
gianti su di un’arbitraria interpretazione dei documenti e su
dichiarazioni di elementi ostili al socialismo, Krusciov accusò
Stalin di «feroce arbitrarietà», di «distacco dalla vita e dalla
realtà», qualificandolo «despota», «terrorista», «ignorante». Con­
temporaneamente, egli proclamava la riabilitazione dei nemici
dell’ordine socialista, condannati come agenti degli Stati impe­
rialisti.
L’attacco contro Stalin veniva sferrato con uno scopo ben
determinato: giustificare la sconfessione della linea marxistaleninista del PCUS elaborata nei suoi precedenti congressi,
adottare una linea politica nuova, revisionistica, procedere alla
revisione del marxismo-leninismo. Al fine di preparare il terreno
per il conseguimento di tale obiettivo, il gruppo di Krusciov
aveva assoluta necessità di ripudiare Stalin, il quale aveva
difeso il marxismo-leninismo con tanta fermezza, sviluppandolo
ulteriormente nelle nuove condizioni che si erano venute a
creare nel mondo con il trionfo della Rivoluzione Socialista
d’Ottobre, con l’edificazione della società socialista nell’Unione
Sovietica e la costituzione del campo socialista dopo la Seconda
Guerra Mondiale.
Stalin era contrario al culto della persona e lo aveva
spesso criticato, avendo una giusta stima della funzione delle
masse e attenendosi sempre al principio della collegialità nella
direzione del Partito e dello Stato sovietico. Tuttavia egli non
provvide a sufficienza a por freno agli eccessivi elogi, del tutto
superflui, che la propaganda sovietica, seguendo l’esempio e
sotto la spinta malintenzionata dei nemici camuffatti nella
direzione del Partito, tributava al suo nome, specialmente negli
ultimi anni della sua vita. Krusciov e soci sfruttarono questo
stato di cose per i propri fini, fabbricando il cosiddetto «culto
della persona di Stalin» e servendosene come di un’arma es­
senziale nella lotta contro la rivoluzione e il socialismo, nonché
speculando con il fatto che il culto della persona è estraneo al
marxismo-leninismo e odiato da esso.
Krusciov e il suo gruppo proclamarono il corso revisio­
nistico del XX Congresso quale linea generale del movimento
comunista internazionale e ricorsero a qualsiasi mezzo nell’intento di renderla obbligatoria per tutti i partiti comunisti e
operai.
Le conclusioni del XX Congresso divennero un alimento
ideologico per i revisionisti di tutti i paesi. Esse costituivano
307
un’importantissima arma che veniva posta nelle mani degli
imperialisti e di tutti i reazionari per combattere i paesi so­
cialisti, il comunismo, il movimento rivoluzionario di libera­
zione. Rianimati da queste conclusioni, i nemici del socialismo
sferrarono una furiosa campagna contro il marxismo-leninismo,
soprattutto contro la rivoluzione e la dittatura del proletariato.
In particolar modo, essi attaccarono l’ordine socialista in Unione
Sovietica e negli altri paesi, come pure i partiti comunisti nei
paesi capitalisti. I revisionisti jugoslavi, costatando che il corso
del XX Congresso coincideva con la via su cui essi procedevano
da tempo, si distinsero in questa campagna. In seno al movi­
mento comunista internazionale si stava creando una situa­
zione tesa.
Fallimento dei tentativi di
revisione della linea del
PLA
Il XX Congresso del PCUS rin­
corò e mise in movimento anche
in Albania gli elementi antipar­
tito e ostili al regime. Rinac­
quero in essi grandi speranze di veder modificare il corso marxista-leninista del PLA e di poter riacquistare le posizioni per­
dute, in altre parole, di veder iniziare il medesimo processo
che già si sviluppava nell’Unione Sovietica e in alcuni paesi
di democrazia popolare. Questi elementi beneficiavano del di­
retto appoggio della cricca di Tito, particolarmente per il tra­
mite della legazione jugoslava a Tirana. Sotto la direzione di
quest’ultima cominciò a organizzarsi un movimento controri­
voluzionario clandestino che mirava a sovvertire la situazione
e a prendere in mano le redini del Partito e del potere po­
polare. Tale movimento comprendeva anche un certo numero
di membri del Partito, i quali erano stati colpiti per aver
commesso colpe gravi o che erano agenti camuffati degli impe­
rialisti e dei revisionisti jugoslavi. Gli elementi ostili e antipartito
propagandavano più di chiunque il XX Congresso e si sforza­
vano di creare in seno al Partito un ambiente favorevole alla
revisione della linea politica marxista-leninista e alla riabili­
tazione di Koçi Xoxe, Tuk Jakova, Bedri Spahiu e di altri
nemici del Partito e del popolo. Essi tentavano di offuscare
le conquiste politiche ed economiche assicurate sotto la guida
del Partito, parlavano dell’esistenza del «culto della persona»,
di «trasgressione alle norme leniniste», di «comportamento trop­
po severo nei confronti dei kulak e degli altri nemici di classe»,
308
di «esitazioni e lungaggini nel migliorare i rapporti con la
Jugoslavia». Essi consideravano tutto ciò «conseguenza delle
concezioni e della pratica erronea di G. Stalin» e prospettavano
la necessità di abbandonare questa linea, di prendere prov­
vedimenti a carico dei responsabili di un tale stato di cose!
A Tirana, gli elementi antipartito approfittarono della mancan­
za di vigilanza e di altre rilevanti manchevolezze del Comitato
del Partito della città.
I revisionisti sfruttarono la Conferenza del Partito della città
di Tirana, tenutasi nell’aprile del 1956, per sferrare il loro
attacco contro la linea e la direzione marxista-leninista del
Partito. Per il tramite dei loro rappresentanti che erano riusciti
a farsi eleggere delegati, essi vi presentarono la propria piat­
taforma antimarxista. Contemporaneamente reclamarono l’ag­
giornamento del III Congresso, con il pretesto che era necessario
un certo tempo per rivedere la linea e procedere a nuovi
preparativi nello spirito del XX Congresso del PCUS! Come
si seppe in seguito, tutte queste manovre venivano orchestrate
dietro le quinte dalla legazione jugoslava.
Gli elementi antipartito, abusando della democrazia in­
terna del Partito e approfittando del comportamento passivo
del delegato del CC, Beqir Balluku, crearono in tal modo
alla Conferenza una situazione tesa. Le concezioni revisionistiche
vennero respinte dalla maggior parte dei delegati, ma ve ne
furono anche di quelli che restarono scossi dalla sottile dema­
gogia di questi elementi.
Giustamente il Comitato Centrale giudicò la situazione
estremamente seria, giungendo all’immediata conclusione che
tutto questo era opera dei nemici del Partito e del socialismo.
Esso inviò alla Conferenza il compagno Enver Hoxha, il quale
vi denunciò le mire dei revisionisti ed espose il fermo atteggia­
mento del PLA nel conservare la purezza della sua politica e
della sua pratica rivoluzionaria. I delegati appoggiarono piena­
mente questo atteggiamento del Partito e denunciarono i tenta­
tivi dei nemici tendenti ad allontanarlo dalla sua linea mar­
xista-leninista. La Conferenza costrinse gli elementi antipartito
a confessare con la propria bocca gli scopi e la natura della
loro attività controrivoluzionaria. Il complotto revisionistico fallì.
Traendo da questo evento gli insegnamenti del caso, il
Comitato Centrale raccomandava a tutto il Partito: «...Non ci
è assolutamente permesso un benché minimo allentamento della
309
vigilanza, non ci è permesso di cedere ad alcun sentimento di
autocompiacimento e di lasciar campo d’azione ai nemici»*.
Questa vicenda fece aprire ancor meglio gli occhi ai co­
munisti, mobilitandoli in una lotta ancor più rivoluzionaria
per la difesa della linea del Partito e per l’attuazione dei
compiti fissati.
Frattanto Krusciov, da parte sua, premeva sul Comitato
Centrale del PLA perché rivedesse la sua linea generale nello
spirito delle conclusioni del XX Congresso del PCUS e adottasse
una nuova linea al suo III Congresso. All’inizio, egli esercitò
questa pressione a Mosca, per mezzo di Suslov, membro del
gruppo revisionista sovietico. A nome del Comitato Centrale
del PCUS, Suslov chiese, per il tramite di Liri Belishova, alla
direzione del Partito del Lavoro d’Albania di rivedere soprat­
tutto il proprio atteggiamento nei confronti dei revisionisti
jugoslavi e le sanzioni adottate contro Koçi Xoxe, Tuk Jakova
e gli altri elementi antipartito, con il pretesto che «potevano
esser stati commessi degli errori per effetto del culto della
persona di Stalin». Questa richiesta venne ripetuta in modo
più aperto e insistente dal presidente della delegazione del
PCUS, venuto a Tirana per partecipare al III Congresso.
Il Plenum del Comitato Centrale respinse all’unanimità,
senza alcuna esitazione, ogni tentativo di rivedere la giusta
linea del Partito ed espresse la sua risoluzione a procedere
costantemente sulla via seguita sino ad allora dal PLA.
Il III Congresso del PLA iniziava i suoi lavori il giorno
stabilito, 25 maggio 1956, proseguendoli fino al 3 giugno. Vi
partecipavano 670 delegati con voto deliberativo e 121 con voto
consultivo, in rappresentanza di 41.372 membri e di 7.272 can­
didati del Partito.
Il Congresso analizzò l’attività del Comitato Centrale e del­
l’intero Partito, adottò alcune modifiche dello Statuto del Partito
ed approvò le direttive del 2° piano quinquennale.
Nelle condizioni dell’attacco gene­
rale sferrato dal revisionismo in­
ternazionale contro il marxismoleninismo e della pressione eserci­
tata da Krusciov sul PLA, la questione principale era di sapere:
Il Partito risoluto a prose­
guire il corso marxistaleninista
* Lettera del CC del PLA indirizzata a tutte le organizzazioni
del Partito, 21 aprile 1956. ACP.
310
su quale via doveva procedere il Partito? Su quella del XX
Congresso del PCUS o sulla propria via marxista-leninista?
Contrariamente a quello che chiedevano i revisionisti, «il III
Congresso del Partito del Lavoro d’Albania, dopo aver ascoltato
e discusso il rapporto sull’attività del Comitato Centrale, pre­
sentato dal compagno Enver Hoxha, Primo Segretario del
Comitato Centrale del PLA, decide di approvare pienamente la
linea politica e l’attività pratica del Comitato Centrale, nonché
le proposte e le conclusioni contenute in tale rapporto.
Il Congresso constata con soddisfazione che la linea generale
politica, economica e organizzativa seguita fino a oggi dal Partito
è stata giusta»*.
Il Congresso denunciò risolutamente l’attività degli elementi
antipartito alla Conferenza del Partito della città di Tirana
e ogni tentativo di revisione della linea politica del PLA.
Esso stimò perfettamente giusti i provvedimenti adottati dal
Partito, applicando con la massima scrupolosità le norme
marxiste-leniniste «contro tutti i gruppi ed elementi antipartito
e deviazionisti, revisionisti, trotskisti, opportunisti»**
Trattando la questione della lotta di classe, come una delle
questioni più importanti su cui verteva la lotta fra il mar­
xismo-leninismo e il revisionismo, il Congresso ritenne essere
«un errore il pensare che la lotta di classe si stia estinguendo
e che le classi rovesciate rinunceranno volontariamente alla
lotta»***.
Il Congresso raccomandò ai comunisti di non affievolire
per un solo istante la loro vigilanza e li avvertì che vi sareb­
bero stati elementi che «ritengono che col cambiare delle
situazioni deve cambiare anche la disciplina del Partito, la
vigilanza del Partito, e che tutto ciò deve essere sostituito da
una moderazione opportunistica nella linea, dall’estinsione della
lotta di classe... che «sia giunto il momento in cui, sotto la
maschera della democrazia, essi possano calpestare la vera
democrazia...»****
Il Congresso si premuniva in tale modo contro la situa­
zione tesa che si stava creando nel movimento comunista in­
ternazionale in seguito al XX Congresso del PCUS.
* Risoluzione del III Congresso del PLA. Documenti principali
del PLA, vol. 2, p. 593.
** Ibidem, p. 609.
*** Ibidem, p. 609.
**** Ibidem, p. 610.
311
A tale proposito venne fissato il compito di proseguire
una implacabile lotta contro le manifestazioni di opportunismo,
contro il pericolo delle deviazioni di destra e di difendere
come il bene più prezioso l’unità e la compattezza delle file
del Partito.
Il III Congresso decise all’unanimità e senza la minima
esitazione di perseverare, in tutti i sensi, nel corso marxistaleninista che il Partito aveva seguito sin dalla sua fondazione.
Tutte le conclusioni e le decisioni del III Congresso del
PLA erano pervase da uno spirito rivoluzionario marxistaleninista che era, nella sua essenza, diametralmente opposto
allo spirito revisionistico a cui erano improntate le conclusioni
e le decisioni del XX Congresso del PCUS.
Tuttavia il III Congresso non denunciò apertamente le tesi
antimarxiste del XX Congresso. Il Comitato Centrale del PLA
aveva reso note alla direzione sovietica la sua opposizione e
le sue riserve a proposito di una serie di tesi e di azioni di
questa. Nello stesso tempo, la stampa del PLA formulava di
proposito, su tali questioni, apprezzamenti differenti, praticamente opposti a quelli del XX Congresso. Il PLA non poteva
però esprimere pubblicamente, al suo Congresso, la propria op­
posizione alle conclusioni del XX Congresso del PCUS e le
sue riserve in merito, per la buona ragione che un tale modo
di agire sarebbe stato in quel momento utile soltanto ai ne­
mici del comunismo, i quali avevano sferrato un furioso at­
tacco contro l’Unione Sovietica, contro l’unità del campo so­
cialista e del movimento comunista internazionale. I comunisti
albanesi hanno sempre considerato come loro alto dovere in­
ternazionalista di difendere il primo Stato socialista creato nel
mondo e l’intero campo socialista. Inoltre, in quel momento
non era ancora ben conosciuto il vero obiettivo a cui tendeva
il gruppo di Krusciov col prospettare le sue nuove tesi.
L’essenziale è che il Partito del Lavoro d’Albania, a dif­
ferenza di quel che avvenne in parecchi altri partiti comunisti
e operai, non fece alcuna concessione di principio di fronte
alla pressione del gruppo di Krusciov e non adottò come base
della propria linea il corso revisionistico del XX Congresso
del PCUS. Esso conservò intatta la sua linea generale mar­
xista-leninista.
Le modifiche introdotte nello Statuto del Partito dal III
Congresso non intaccavano le norme e i princìpi marxisti-le­
ninisti. Nel nuovo Statuto venivano definiti meglio i doveri
312
e i diritti dei membri del Partito. In esso si riversò la grande
esperienza acquisita dal Partito nelle questioni organizzative
e ideologiche e nella direzione politica dell’edificazione socialista
del paese.
Nell’approvare le direttive del
secondo piano quinquennale per
il periodo 1956-1960, il III Con­
gresso ne definiva i principali compiti: lo sviluppo dell’industria,
e soprattutto di quella mineraria, principalmente in base al
totale impiego delle capacità produttive esistenti e nello sfrut­
tamento delle riserve interne; il rapido sviluppo dell’agricol­
tura, principalmente mediante la riorganizzazione socialista della
produzione agricola; l’elevamento del livello di vita materiale
e culturale della popolazione.
Alla realizzazione di questi compiti doveva corrispondere,
secondo le previsioni, un aumento del volume globale della
produzione industriale a un tasso medio annuo non inferiore al
14 per cento. Era particolarmente previsto un rapido incremento
dell’estrazione del petrolio, del minerale di cromo, del carbon
fossile e della produzione dell’energia elettrica, nonché di quella
dei beni di largo consumo.
Il Congresso impartì inoltre la direttiva di incrementare
notevolmente la produzione agricola e zootecnica. Nondimeno,
il principale compito che esso stabiliva nel settore dell’agricol­
tura e per tutta l’economia nazionale era l’estensione della
collettivizzazione agricola, allo scopo di portare a compimento
la costruzione della base economica del socialismo in tutto il
paese e di assicurare uno sviluppo rapido e generale delle
campagne.
Il Congresso stimò pienamente giusto e tempestivo l’orientamento impartito dal Plenum del CC del dicembre 1955, con­
cernente una più sollecita collettivizzazione dell’agricoltura.
Esistevano ormai tutte le condizioni politiche, organizzative ed
economiche per il passaggio a questa nuova tappa della riorga­
nizzazione socialista delle campagne. Le masse rurali si erano
convinte dei vantaggi della grande produzione collettiva agri­
cola. Parallelamente alla preparazione di quadri qualificati,
era stata ampliata la base dei mezzi tecnici agricoli. Il Partito
e lo Stato erano pienamente in grado di far fronte ai compiti
che sorgevano con l’estendersi della collettivizzazione dell’agri­
coltura. L’esistenza delle condizioni necessarie per passare alla
Le direttive del secondo
piano quinquennale
313
riorganizzazione socialista su vasta scala delle campagne era
altresì chiaramente confermata dal fatto che il compito as­
segnato dal Comitato Centrale del Partito nel dicembre del
1955 di raddoppiare il numero delle cooperative prima della
fine del 1956, era stato portato a termine sin dalla vigilia
del Congresso.
Tenendo conto di tali condizioni, il III Congresso prospettò
il compito di completare nelle sue linee principali la collet­
tivizzazione dell’agricoltura entro il secondo quinquennio.
La collettivizzazione doveva venir estesa in primo luogo alle
zone di pianura e in parte a quelle collinari. Nelle zone di
montagna sarebbero state principalmente costituite collettività
agricole e cooperative pastorizie.
Il Congresso raccomandò di procedere alla collettivizzazione
nel più stretto rispetto del principio leninista del libero con­
senso da parte del contadino. Esso chiese che le organizza­
zioni del Partito e gli organi del potere impiegassero unicamente
il metodo della persuasione, propagando l’esempio delle coo­
perative agricole già esistenti. Ogni altro metodo di lavoro
che ledesse sia pure minimamente il principio del libero con­
senso veniva considerato estraneo alla politica del Partito e,
come tale, condannato.
Lo Stato doveva appoggiare la collettivizzazione dell’agri­
coltura sviluppando ulteriormente la meccanizzazione, esten­
dendo la superficie arativa con il dissodamento delle terre
vergini, ampliando i lavori di bonifica e aiutando con ogni
mezzo le cooperative agricole.
Le direttive del piano miravano al continuo miglioramento
delle condizioni di vita e all’elevamento del livello culturale
dei lavoratori. L’aumento della produzione industriale e agri­
cola doveva permettere la totale soppressione del sistema di
razionamento nel corso del secondo quinquennio e un ribasso
annuale dei prezzi degli oggetti di maggior consumo.
Esortandoli ad attuare nel miglior modo possibile i compiti
del secondo piano quinquennale, il Congresso lanciò un ap­
pello ai comunisti e a tutti i lavoratori affinché tenessero ben
presente che «il posto d’onore, il fronte della lotta per l’edi­
ficazione del socialismo è sul luogo dove si producono i beni
materiali, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle aziende agricole,
nelle SMT, nelle cooperative»*.
* Documenti principali del PLA, vol. 2, p. 607.
314
Concludendo i suoi lavori, il Congresso elesse il nuovo Co­
mitato Centrale del Partito, con una composizione maggiore
di quella precedente e che comprendeva ora 43 membri e 22
candidati. Enver Hoxha fu rieletto Primo Segretario1.
Il III Congresso difese la politica rivoluzionaria del Partito
e, nello spirito di questa politica, definì i nuovi compiti da
attuare sulla via della costruzione della base economica del
socialismo, dando la priorità al completamento della collet­
tivizzazione dell’agricoltura.
2. LA LOTTA DEL PLA CONTRO IL REVISIONISMO
MODERNO — PERICOLO PRINCIPALE PER IL
MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE
Dopo
pericolosa
comunista
ficarsi del
il suo III Congresso, il PLA dovette fronteggiare la
situazione che si era venuta a creare nel movimento
internazionale in seguito al diffondersi e all’intensirevisionismo moderno.
Questa situazione, creatasi du­
rante il secondo semestre del
1956, era la conseguenza del XX
Congresso del PCUS. Una pro­
fonda confusione ideologica si impadronì della maggior parte
dei partiti comunisti e operai. Il gruppo di Krusciov, valendosi
del grande prestigio e dell’autorità del PCUS e dello Stato
sovietico, esercitava continue pressioni sulle direzioni degli altri
partiti per far sì che queste sostituissero al loro precedente
corso marxista-leninista il corso revisionistico del XX Congresso.
Esso ordiva complotti per allontanare dalla direzione dei par­
titi chiunque si opponesse alla diffusione del revisionismo. La
cricca di Tito, dal canto suo, faceva un grande scalpore a
proposito del «trionfo della via jugoslava» e interveniva in
mille modi ovunque lo potesse, per accelerare la disgregazione
dei partiti marxisti-leninisti e dell’ordinamento socialista. Di­
rigenti sovietici e revisionisti jugoslavi collaboravano strettaL’intensificarsi del revi­
sionismo nel movimento
comunista internazionale
1 La carica di Segretario Generale del Partito era stata sostituita
con quella di Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito
per decisione del Plenum del CC del PLA, il 12 luglio 1954.
315
mente nella grande campagna anticomunista sferrata dal revi­
sionismo internazionale sotto gli slogans della lotta contro lo
«stalinismo», contro il «dogmatismo», contro il «culto della
persona». Krusciov si incontrò con Tito per coordinare l’azione
in questa campagna e per stabilire chi fra i dirigenti di questo
o di quel partito doveva venir eliminato e chi doveva esserne
posto a capo.
Favoriti da questa situazione, in seno ai vari partiti co­
munisti e operai levarono il capo gli opportunisti, i quali, con
il diretto appoggio della direzione sovietica e dei titisti, si
lanciarono all’assalto contro il marxismo-leninismo. Furono ria­
bilitati gli elementi antipartito, molti dei quali erano notoria­
mente conosciuti come controrivoluzionari.
Nei paesi capitalisti, gli opportunisti italiani, con alla testa
Paimiro Togliatti, si distinsero nella campagna contro il mar­
xismo-leninismo e l’ordinamento socialista. Essi prospettarono
la necessità della creazione nei paesi socialisti di un «regime
di democrazia senza limitazioni». Sotto il manto della «lotta
contro l’egemonia di un solo partito», essi architettarono la
tesi del «policentrismo», cioè della creazione di parecchi centri
nel movimento comunista internazionale. Essi lanciarono lo
slogan della «via italiana al socialismo», via riformista parla­
mentare, che escludeva qualsiasi insurrezione rivoluzionaria e
qualsiasi tentativo di distruggere il potere borghese. Secondo
i revisionisti italiani, una tale via era l’unica adatta per tutti
i paesi capitalisti dell’Occidente.
Nei paesi socialisti, il revisionismo si propagò e si sviluppò
in profondità soprattutto in Polonia e in Ungheria. Grazie
all’appoggio del gruppo di Krusciov, alla testa dei partiti operai
di questi paesi comparvero elementi antimarxisti, condannati
per le loro concezioni e attività revisionistiche, antisocialiste.
La dittatura del proletariato fu paralizzata. Venne permesso il
diffondersi su vasta scala dell’ideologia e della cultura borghese
occidentale.
Gli imperialisti sfruttarono questa situazione. L’imperia­
lismo internazionale e i revisionisti organizzarono di comune
accordo in Polonia la rivolta controrivoluzionaria di Poznan,
nel giugno del 1956, nonché l’insurrezione controrivoluzionaria
in Ungheria dell’ottobre-novembre dello stesso anno.
La democrazia popolare ungherese corse il perìcolo di venir
totalmente distrutta. Il Partito dei Lavoratori Ungheresi fu
smantellato. I comunisti e i lavoratori ungheresi, traditi dai
316
revisionisti, opposero una resistenza disperata. La controrivolu­
zione in Ungheria attizzò l’isterismo anticomunista in tutto il
mondo. Il sistema socialista dovette affrontare una difficile
prova.
I popoli dei paesi socialisti e le forze rivoluzionarie del
mondo intero manifestavano una viva inquietudine circa il des­
tino del socialismo in Ungheria. Quantunque nella Repubblica
Popolare d’Ungheria stazionassero truppe sovietiche, il gruppo
di Krusciov esitava a farle intervenire. Fu solamente per
effetto della forte pressione esercitata dal basso e, soprattutto,
quando constatò che l’Ungheria si stava svincolando dalla sua
sfera d’influenza, che esso fu infine costretto a permettere
all’Esercito Sovietico di reprimere la controrivoluzione armata.
La controrivoluzione fu così schiacciata.
La controrivoluzione ungherese era un prodotto del revi­
sionismo, che godeva dell’appoggio degli imperialisti. I revisio­
nisti jugoslavi, che erano stati i più ardenti sostenitori dei
revisionisti ungheresi, esposero la bandiera a mezz’asta dopo
il suo fallimento. Tito la definì come «una insurrezione popo­
lare», che fu repressa da «un intervento feroce e inammissi­
bile». Imre Nagy, capo dei controrivoluzionari, trovò asilo al­
l’ambasciata jugoslava di Budapest.
Frattanto la direzione sovietica, non meno responsabile
della preparazione della controrivoluzione di quel che non fosse
la cricca di Tito, dopo la disfatta fece di tutto per far sparire
le tracce della sua grave colpa. Sacrificò Imre Nagy, che essa
stessa aveva posto a capo dello Stato ungherese, e fu costretta,
a differenza dei titisti, a definire l’insurrezione «controrivoluzio­
naria», cosa che questa effettivamente era. Tuttavia ne rendeva
responsabili i «dogmatici» e non i veri colpevoli — i revisionisti.
Il male però era che la controrivoluzione armata unghe­
rese fu schiacciata dai controrivoluzionari, i quali restaurarono
il capitalismo ma in forma camuffata, cosi come avevano fatto
i revisionisti kruscioviani nel loro paese, ingannando così i lavo­
ratori rivoluzionari ungheresi.
Il PLA espresse, senza la minima
riserva, la propria solidarietà con
i lavoratori rivoluzionari unghe­
resi e fece sorgere in piedi l’in­
tero popolo per venire in loro aiuto con qualsiasi mezzo. At­
traverso il quotidiano «Zëri i popullit» esso dichiarava: «Il
L’atteggiamento rivoluzio­
nario internazionalista del
PLA
317
popolo albanese denuncia con indignazione le sanguinarie azioni
degli imperialisti e dei controrivoluzionari fascisti che mirano
a distaccare l’Ungheria dal campo del socialismo, a rovesciare
il potere degli operai e dei contadini e a instaurare la feroce
dittatura del capitale»*. Intanto il governo della RPA in una
sua apposita dichiarazione, lanciava il seguente appello: «Nelle
attuali circostanze, le conquiste socialiste del popolo ungherese,
conseguite nel corso di questi ultimi anni, debbono essere difese
con risolutezza»**.
A differenza della direzione sovietica e della nuova dire­
zione ungherese, che consideravano responsabili della controrivoluzione i cosiddetti «dogmatici» e «la precedente direzione
ungherese», il Partito del Lavoro d’Albania, nell’analizzare
questo disgraziato avvenimento, indicava i veri e principali
colpevoli nei revisionisti, criticandoli per «i continui e repentini
cambiamenti nella direzione (in Ungheria — N.d.R.) che lasciavano
di fatto il Partito e lo Stato senza uno stato maggiore diri­
gente, senza una direzione forte e fidata»***.
Il PLA trasse dagli avvenimenti d’Ungheria importanti in­
segnamenti per la sua attività nel quadro nazionale e interna­
zionale. «La tragedia del popolo ungherese, — dichiarava il
compagno Enver Hoxha subito dopo il fallimento della controrivoluzione, — sarà sicuramente una grande lezione per tutte
le persone oneste nel mondo intero, sarà una lezione per tutti
coloro che dormono sugli allori e che, di fronte alle belle frasi
degli imperialisti e della reazione, di fronte agli slogans de­
magogici, perdono la loro vigilanza e la sostituiscono con un
atteggiamento di opportunismo e di pericolosa indulgenza...
Perciò, oggi più che mai, al nostro Partito si impone il do­
vere di rafforzare la sua lotta risoluta di principio per con­
servare la purezza della teoria marxista-leninista, per fortifi­
care ideologicamente e organizzativamente le proprie file, per
rinsaldare la solidarietà dei lavoratori, ed esso considera che
la lotta per la difesa dei princìpi marxisti-leninisti, la lotta che
si basa su questi princìpi, è l’unica lotta giusta»****.
* Articolo di fondo dello «Zëri i popullit», 30 ottobre 1956.
** Dichiarazione del Governo della RP d’Albania, 3 novembre 1956.
«Zëri i popullit», 4 novembre 1956.
*** Articolo di fondo dello «Zëri i Popullit», 5 novembre 1956.
**** Enver Hoxha. Discorso alla riunione solenne organizzata per la
ricorrenza dell’8 novembre 1956. Opere, vol. 14, pp. 123, 126.
318
La già grave situazione internazionale conseguente alla
controrivoluzione in Ungheria subì un ulteriore deterioramento
a seguito dell’aggressione anglo-franco-israeliana sferrata nel­
l’ottobre del 1956 contro l’Egitto. Questo atto costituiva un
nuovo elemento dell’offensiva generale dell’imperialismo e della
reazione contro le forze amanti della libertà.
In tali circostanze, il PLA riteneva indispensabile elevare
lo stato di preparazione proprio e del popolo al fine di poter
far fronte alla raddoppiata pressione imperialista-revisionistica.
Nel dicembre del 1956, tramite una sua delegazione capeg­
giata dal compagno Enver Hoxha e recatasi appositamente a
Mosca, il Comitato Centrale del PLA espose alla direzione del
PCUS tutta la sua preoccupazione per il grande pericolo che
rappresentava la diffusione del revisionismo moderno, mettendo
l’accento sulla necessità di condurre una lotta risoluta contro
tale pericolo. Esso espresse la sua opinione critica anche a pro­
posito di una serie di atteggiamenti della direzione sovietica nei
confronti dell’attività scissionistica e minatoria dei revisionisti
jugoslavi contro il campo socialista e il movimento comunista
internazionale, nei confronti degli avvenimenti d’Ungheria e
di Polonia, atteggiamenti che il PLA riteneva errati. Krusciov
e soci tentarono di calmare la delegazione del PLA ricorrendo
ad ogni tipo di inganno e di convincerla che, secondo loro, le
cose andavano per il meglio! Ma il PLA non poteva essere
ingannato né poteva rinunciare alle sue opinioni e ai suoi atteg­
giamenti di principio circa la pericolosissima situazione che si
era venuta a creare per il movimento comunista internazionale.
«Tale situazione, — diceva il compagno Enver Hoxha, — c’im­
pone la necessità di lottare contro i nemici di classe, contro i
titisti jugoslavi e gli altri elementi nemici del marxismo-leni­
nismo... Perciò dobbiamo essere non solo vigili, ma anche pre­
pararci bene per colpire sempre decisamente i nemici del co­
munismo...»*.
A tale scopo servì il Plenum del CC del PLA, che svolse
i suoi lavori nel febbraio del 1957. In tale occasione, il com­
pagno Enver Hoxha procedette ad una approfondita analisi
marxista-leninista della situazione nel movimento comunista in­
ternazionale e mondiale, riconfermando i compiti che incombe* Enver Hoxha. Rapporto all’Ufficio Politico sul colloqui di Mosca,
3 gennaio 1957. Opere, vol. 14, pp. 196-197.
319
vano al Partito nella sua lotta rivoluzionaria contro l’imperia­
lismo e il revisionismo.
Gli imperialisti e i vari revisionisti, jugoslavi, italiani, po­
lacchi, ungheresi e altri, avevano preso di mira l’Unione So­
vietica, al fine di scindere il campo socialista e il movimento
comunista internazionale, di negare l’importanza universale degli
insegnamenti e dell’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre e
dell’edificazione socialista, nonché dei princìpi marxisti-leninisti.
Contro questi insegnamenti e princìpi, contro questa esperienza
erano ugualmente dirette anche le tesi e le decisioni revisio­
nistiche del XX Congresso del PCUS. In tale situazione, il
PLA riteneva che la lotta per la difesa dell’Unione Sovietica,
strettamente legata alla lotta per la difesa dell’unità del campo
socialista e del movimento comunista internazionale, era una
lotta per la difesa del socialismo, per la difesa del marxismoleninismo. Tale atteggiamento, in quel tempo, il nostro Partito
lo considerava una grande questione di principio, e nello stesso
tempo anche una mossa tattica contro i kruscioviani e contro
il revisionismo moderno in generale.
Nelle condizioni che si erano venute a creare, come rac­
comandava il Comitato Centrale, in primo piano si prospettava
la lotta contro il revisionismo.
Il primo luogo era necessario soprattutto denunciare i tenta­
tivi del revisionismo internazionale di seminare la confusione
ideologica a proposito degli insegnamenti marxisti-leninisti sulla
funzione dirigente del partito della classe operaia, sulla dit­
tatura del proletariato e sulla lotta di classe.
L’esperienza storica, rilevava il compagno Enver Hoxha, ci
insegna che «la funzione dirigente del partito marxista-leninista
è una necessità vitale per portare a termine la rivoluzione
socialista e per edificare il socialismo e il comunismo»*.
Negare la funzione guida del partito marxista-leninista
significa lasciare la classe operaia senza uno stato maggiore
che la diriga, significa disarmarla completamente e perpetuare
la dominazione della borghesia.
Denunciando i revisionisti che propagandavano a gran voce
la liquidazione della dittatura del proletariato o la sua «libera* Enver Hoxha. Rapporto presentato al Plenum del CC del PLA,
13 febbraio 1957. Documenti principali del PLA, vol. 3, 1972, p. 37.
320
lizzazione», il PLA dichiarava: «Non dobbiamo liquidare la dit­
tatura del proletariato, ma rafforzarla il più possibile, non dob­
biamo permettere il suo indebolimento, la sua «liberalizzazione»,
non dobbiamo permettere che la confusione e la disorganizza­
zione penetrino tra le sue file, poiché è precisamente questo
che desiderano i nemici»*. Rigettare la dittatura del proletariato
significa rigettare tutto il marxismo-leninismo e passare nel
campo dei nemici del comunismo.
Il Plenum del CC mise ugualmente l’accento sul grave
pericolo che costituiva la diffusione ad opera dei revisionisti
della «teoria» della negazione della lotta di classe. Questa
«teoria» mirava a disarmare gli operai nella lotta contro l’im­
perialismo americano e contro la borghesia reazionaria locale. Il
PLA si atteneva sempre alla tesi marxista secondo cui la lotta
di classe «è una realtà oggettiva»**, e che essa verrà proseguita
finché esisteranno le classi e il capitalismo su scala mondiale.
Il revisionismo camuffava la sua lotta contro il marxismoleninismo sotto tre principali slogans demagogici: «per lo svilup­
po creativo del marxismo-leninismo e per la lotta contro il
dogmatismo», «per la creativa applicazione del marxismo-lenini­
smo nelle particolari condizioni di ogni paese» e «lotta contro lo
stalinismo» ovvero «il culto della persona».
Diversamente dai revisionisti, che non fanno che speculare
con la giusta tesi dello sviluppo e dell’applicazione creativa del
marxismo nelle nuove circostanze e nelle particolari condizioni
di ogni paese, «I marxisti-leninisti, — rilevava il compagno
Enver Hoxha, — concepiscono lo sviluppo creativo del marxismo-leninismo non come una negazione delle sue basi, ma
come l’arricchimento di questa teoria con nuove conclusioni e
tesi tratte dall’esperienza della lotta della classe operaia e dallo
sviluppo delle scienze... Il marxismo è una scienza e le leggi
oggettive da esso scoperte sono verità assolute... Esse non
possono invecchiare o decadere... le questioni fondamentali
dell’edificazione del socialismo sono comuni a tutti i paesi, le
leggi dello sviluppo della società non conoscono confini na­
zionali. L’esperienza storica dimostra che tali questioni comuni
sono: la dittatura del proletariato, cioè l’instaurazione del potere
* Enver Hoxha. Rapporto presentato al Plenum del CC dei PLA,
13 febbraio 1957. Documenti principali del PLA, vol. 3, p. 43.
** Ibidem, p. 44.
321
politico della classe operaia sotto la guida del partito marxistaleninista, il consolidamento con ogni mezzo dell’alleanza della
classe operaia con i contadini e con gli altri strati di lavoratori,
la liquidazione della proprietà capitalistica e l’istituzione della
proprietà sociale sui principali mezzi di produzione, l’organizza­
zione socialista dell’agricoltura, lo sviluppo pianificato dell’eco­
nomia, la funzione guida della teoria rivoluzionaria marxistaleninista, la risoluta difesa delle conquiste della rivoluzione socia­
lista dagli attacchi delle ex classi sfruttatrici e degli Stati im­
perialisti»*.
Il PLA mise ancora una volta in evidenza che la lotta
contro il «culto della persona di Stalin», contro «i suoi errori»,
contro «lo stalinismo», era in realtà una lotta contro il marxismo-leninismo, la quale mirava a preparare il terreno per
la sostituzione del corso rivoluzionario con un corso opportu­
nistico, riformista, in tutti i partiti comunisti e operai, per
portarvi a capo i revisionisti. «Noi non siamo d’accordo con
tutti coloro che rigettano tutta l’attività rivoluzionaria di
Stalin... G. V. Stalin, com’è noto, era un grande marxista;
egli ha difeso, dopo Lenin, il marxismo-leninismo da tutti
i nemici e i revisionisti, dando un prezioso contributo all’ulte­
riore sviluppo di questa scienza»**.
Il Partito, in quel periodo, diresse la sua punta di lancia
contro il revisionismo jugoslavo, portabandiera dell’offensiva
contro il marxismo-leninismo. Non era, tuttavia, difficile com­
prendere che questa lotta era diretta contro il revisionismo
in ogni paese ed in ogni partito, che le tesi del rapporto del
compagno Enver Hoxha si contrapponevano alle tesi revisio­
nistiche del XX Congresso.
La risolutezza dimostrata dal PLA nel non adottare il corso
del XX Congresso, nel conservare intatta la propria linea ge­
nerale rivoluzionaria, e, soprattutto, la pubblicazione sullo «Zëri
i popullit» del rapporto del compagno Enver Hoxha «Sulla
situazione internazionale e i compiti del Partito», presentato al
plenum del CC, suscitarono viva inquietudine in seno alla
direzione sovietica. Per questo essa chiese che fosse tempesti­
vamente inviata a Mosca una delegazione di alto livello del
PLA, col proposito di piegarla e sottometterla.
Durante i colloqui con i principali dirigenti sovietici, mentre
* Documenti principali del PLA, vol. 3, pp. 31-32.
** Ibidem, p. 33.
322
la delegazione albanese, guidata dal compagno Enver Hoxha,
esponeva la situazione e la lotta del PLA nelle condizioni di
allora, Krusciov, indispettito e molto irritato dall’atteggiamento
rivoluzionario del PLA, intervenne dicendo: «Voi albanesi, a
quanto pare, cercate di riportarci sulla via di Stalin»! Egli
definì l’atteggiamento del PLA nei confronti dei revisionisti
jugoslavi come «un atteggiamento non oggettivo» derivante dalla
«gonfiatura del dissenso» e chiese di «non prendersela ingiusta­
mente con essi»! Egli non esitò ad assumere la difesa di alcuni
nemici del Partito e del popolo albanese, reclamando la loro
riabilitazione. Irritato dalla fermezza con cui il compagno
Enver Hoxha e gli altri membri della delegazione difendevano
le concezioni e le azioni marxiste-leniniste del PLA, Krusciov
disse loro in tono minaccioso: «Voi albanesi siete testa calde,
settari»!! «Con voi non è possibile intendersi. Interrompiamo
i colloqui»!!! Questo episodio costituiva il primo scontro diretto
fra la linea rivoluzionaria marxista-leninista del PLA e il corso
revisionistico del gruppo di Krusciov.
Nonostante tutte queste minacce, la direzione sovietica non
osò por fine ai colloqui. Il gruppo di Krusciov contava ferma­
mente che il PLA avrebbe smesso di dimostrarsi «cocciuto»
e si sarebbe piegato al suo diktat. Uno dei mezzi che intendeva
usare per conseguire il proprio scopo, consisteva nell’aiuto eco­
nomico che l’Unione Sovietica prestava all’Albania e senza il
quale, pensava Krusciov, l’Albania non poteva fare nemmeno
un passo! A tal fine l’Unione Sovietica rinunciò al rimborso
dei crediti ammontanti a 422 milioni di vecchi rubli che essa
aveva accordato alla Repubblica Popolare d’Albania dalla libe­
razione al 1955. Come in seguito venne confermato, la direzione
sovietica non fu guidata in ciò da un sentimento di vera ami­
cizia o dai princìpi dell’internazionalismo proletario. Tuttavia,
il PLA, il governo della RP d’Albania e l’intero popolo albanese
consideravano questo aiuto non come un’elemosina, ma come
un aiuto fraterno, internazionalista dei popoli sovietici a un
paese socialista.
Né minacce, né «doni» furono in grado di scuotere la deter­
minazione della direzione marxista-leninista del PLA a difen­
dere fino in fondo la sua linea generale rivoluzionaria. «La
difesa della purezza del marxismo-leninismo, la lotta contro
il revisionismo, il rafforzamento della vigilanza, — dichiarò il
compagno Enver Hoxha a Mosca — sono tra i principali compiti
del Partito del Lavoro d’Albania. Il nostro Partito... procederà
323
decisamente sulla sua giusta via verso l’edificazione con successo
del socialismo in Albania»*.
«...Noi non desisteremo neanche un solo momento dalla
nostra lotta contro coloro che cercano di sottoporre a revisione
le idee del marxismo-leninismo, siano essi jugoslavi, albanesi
o altri»**, ripeteva egli ai suo ritorno a Tirana.
Il PLA ribadì il suo atteggiamento rivoluzionario interna­
zionalista anche alla Conferenza dei Partiti Comunisti e Operai,
che si tenne a Mosca nel novembre del 1957.
In tale Conferenza, il grupo di Krusciov, sostenuto da
notori elementi revisionisti facenti parte delle varie delegazioni,
tentò di legittimare come linea generale del campo socialista
e dei movimento comunista internazionale il corso revisionistico
del XX Congresso del PCUS.
La delegazione del PLA, guidata dal compagno Enver Hoxha,
diede un importante contributo al fallimento di questi tenta­
tivi. Essa si oppose alle vedute dei revisionisti, che considera­
vano come superati gli insegnamenti marxisti-leninisti sull’im­
perialismo, la guerra e la pace, sull’insurrezione armata, la
rivoluzione e l’edificazione socialista e sulla dittatura del pro­
letariato, sottolineando il valore sempre attuale di tali insegnamenti. La nostra delegazione insistette perché venisse respinta
la loro richiesta di non definire nei documenti della Conferenza
l’imperialismo americano come il principale nemico della pace
e dei popoli e anzi perché l’imperialismo non fosse neppure
menzionato.
In questa situazione i kruscioviani, interessati a mantenere
ad ogni costo «l’unità», almeno apparentemente, furono costretti
a ripiegare. E così, alla base dei documenti approvati dalla
Conferenza, furono posti i princìpi rivoluzionari del marxismoleninismo.
Contrariamente al loro desiderio, la conferenza definì il
revisionismo, l’opportunismo di destra, come il più grave peri­
colo per il movimento comunista internazionale. Essa ne scoprì
anche le origini: all’interno, l’influenza delle concezioni borghesi
e, all’esterno, il cedimento di fronte alla pressione dell’imperia­
lismo.
Mentre aderivano al contenuto rivoluzionario della Dichia* Enver Hoxha. Discorso pronunciato al comizio per l’amicizia
albano-sovietica a Mosca. «Zëri i popullit», 17 aprile 1957.
** Enver Hoxha. Discorso pronunciato al comizio organizzato a
Tirana. «Zëri i popullit», 14 maggio 1957.
324
razione, la delegazione del PLA e le altre delegazioni che ave­
vano difeso il marxismo-leninismo consentirono che vi sus­
sistesse una formulazione non corretta che definiva il XX Con­
gresso del PCUS come preteso promotore di una nuova fase
nel movimento comunista internazionale. In verità ciò costi­
tuiva una concessione, ma essa era giustificata dalla necessità
di difendere l’Unione Sovietica dalla furiosa offensiva sferrata
contro di essa dai nemici del comunismo e di conservare l’unità
in seno al movimento.
Nonostante tutto, la Dichiarazione di Mosca del 1957 si
contrapponeva, nelle sue grandi linee, al corso revisionistico
del XX Congresso. La sua approvazione era una vittoria delle
forze rivoluzionarie marxiste-leniniste.
Il PLA approvò pienamente l’azione della sua delegazione
alla Conferenza dei partiti comunisti e operai, definendo tale
azione come un contributo internazionalista. Esso si dichiarò
solidale con le tesi rivoluzionarie della Dichiarazione emessa
da questa Conferenza.
3. LA LOTTA DEL PARTITO PER L’ISTITUZIONE DEI
RAPPORTI SOCIALISTI NELLE CAMPAGNE E PER
LA REALIZZAZIONE DEL SECONDO PIANO
QUINQUENNALE
Pur ponendo in primo piano la lotta politica e ideologica,
il Partito non trascurò i compiti economici e sociali prospettati
dal III Congresso. Esso considerava invece l’attuazione di tali
compiti innanzitutto come una grande questione politica e ideo­
logica.
Il lavoro compiuto per la
collettivizzazione in massa
dell’agricoltura
Il PLA dedicava una speciale at­
tenzione alla realizzazione del
grande compito posto dal suo III
Congresso per la collettivizzazio­
ne in massa dell’agricoltura. A tale scopo gli organi e le orga­
nizzazioni del Partito, attraverso un denso lavoro di direzione,
d’organizzazione e di convinzione, appoggiavano con tutti i mezzi
ogni iniziativa dei contadini volta alla costituzione di nuove
cooperative, nonché a far entrare nuovi membri nelle coope­
rative già esistenti.
Il Comitato Centrale del Partito incaricò appositamente
325
tutti i suoi membri e molti altri quadri dirigenti di prestare
aiuto ai contadini e ai comunisti delle campagne nell’opera
di collettivizzazione. Al movimento di trasformazione socialista
delle campagne diedero il loro contributo le aziende statali e
in primo luogo quelle agricole, nonché le organizzazioni del
partito delle città. Molti comunisti e specialisti agricoli del­
l’amministrazione statale furono inviati nelle campagne per
lavorare nelle coopperative agricole.
Nel frattempo, il Partito combatteva con fermezza le man­
chevolezze e le carenze che si constatavano nell’opera di col­
lettivizzazione. Esso stigmatizzò l’errata tendenza di un certo
numero di contadini e di alcuni comunisti delle campagne che
approvavano la formazione delle cooperative solamente con la
speranza che lo Stato li avrebbe riforniti di pane, provvedendo
inoltre a ogni altra loro necessità. Venne altresì combattuta
anche un’altra tendenza: quella di conservare per uso personale
appezzamenti più vasti di quanto consentito dallo Statuto delle
cooperative agricole. Furono adottati provvedimenti per supe­
rare i casi di esitazione manifestati dai contadini circa l’agreggiamento del bestiame, i quali spesso prima di entrare in
cooperativa ammazzavano o vendevano il loro bestiame. Casi di
impiego del metodo amministrativo nella costituzione delle
cooperative e di violazione del principio del libero consenso
furono ugualmente condannati.
In particolar modo il Partito fu mobilitato per schiacciare
ogni tentativo dei nemici di classe mirante a ostacolare la
collettivizzazione. I kulak, anche su istigazione degli agenti di
diversione inviati dagli imperialisti e dai revisionisti jugoslavi,
tentarono di commettere atti di sabotaggio e di provocare ogni
sorta di disordini. I nemici ricorsero a vari slogans, come:
«non affrettatevi a costituire le cooperative; il termine ultimo
è fissato per il 1960», «in cooperativa morirete di fame»,
«la collettivizzazione non è che un mezzo per spogliare i conta­
dini della loro terra», e altri. Di nascosto essi si sforzavano
di persuadere i contadini a non aderire alle cooperative. Quando
la cooperativa veniva costituita, essi incitavano i membri a
non rispettarne lo Statuto, fomentavano i malcontenti e si
sforzavano di seminare la discordia fra i contadini cooperativisti,
si davano da fare per sabotare le consegne obbligatorie allo
Stato, ecc.
Grazie al lavoro del Partito e all’impeto rivoluzionario
delle masse contadine, i tentativi dei kulak e degli altri nemici
326
restarono frammentari e furono schiacciati. I kulak e gli altri
nemici vennero isolati e smascherati. La collettivizzazione pro­
cedette sulla via e con il ritmo stabiliti dal Partito. Il movi­
mento per la collettivizzazione dell’agricoltura divenne una
grande questione patriottica.
Il 1957 fu l’anno di una radicale svolta nella collettiviz­
zazione dell’agricoltura. La superficie delle terre collettivizzate,
in tutta la Repubblica, raggiunse il 58 per cento. Molti
villaggi si trasformarono interamente in cooperative. In alcuni
distretti, la collettivizzazione raggruppò il 90 per cento dei
terreni agricoli. A Vlorë, Bilisht, Kolonjë, Cërrik, Sarandë e
altrove, vennero costituite cooperative agricole in tutti i villaggi.
Il settore socialista divenne il settore preponderante in agri­
coltura. La sua parte nella produzione totale dei cereali pani­
ficabili era di circa la metà, in quella del cotone dei 3/4 e in
quella della barbabietola da zucchero del 90 per cento.
Intanto la collettivizzazione dell’agricoltura proseguiva con
ritmo celere. Alla fine del 1959, le superfici collettivizzate
superavano l’83 per cento della superficie arativa del paese.
In tal modo la collettivizzazione dell’agricoltura era compiuta
nel suo complesso. Soltanto i poderi situati nelle zone d’alta
montagna non si erano ancora costituiti in cooperative. L’orien­
tamento impartito dal III Congresso del Partito fu così attuato
un anno prima del termine stabilito. Ciò dimostrò quanto giusto
e tempestivo fosse stato tale orientamento.
Il compimento della collettivizzazione dell’agricoltura costi­
tuiva una delle più importanti vittorie storiche della rivoluzione
socialista sul fronte economico e sociale. Esso portò alla crea­
zione di rapporti di produzione nuovi, socialisti, nelle campagne.
La collettivizzazione dell’agricoltura era la seconda rivoluzione,
la più radicale svolta nei rapporti economici e sociali delle campa­
gne. Essa apri la via a un celere sviluppo delle forze produttive e
a trasformazioni fondamentali nella vita sociale e culturale delle
campagne.
Rispetto alla collettivizzazione dell’agricoltura, il PLA ha
sempre tenuto presenti le condizioni dello sviluppo economico
e politico del paese. A tali condizioni vennero adattate
anche le forme, i metodi e i ritmi di attuazione della coopera­
zione in agricoltura.
La collettivizzazione fu iniziata e portata a termine in con­
dizioni caratterizzate dall’esistenza della piccola proprietà privata
contadina della terra. Essa venne attuata in un periodo in
327
cui la nuova industria socialista non era ancora in grado di
dotare l’agricoltura di mezzi di lavoro moderni. Il PLA era
convinto che la collettivizzazione non doveva venir ostacolata
artificialmente nell’attesa che fosse portata a termine l’indu­
strializzazione, così come non doveva neppure essere affrettata
in modo altrettanto artificiale prima che si verificassero le
indispensabili condizioni materiali e spirituali.
Seguendo questo corso rivoluzionario, il Partito adottò tem­
pestive misure per creare la necessaria base meccanica alla
grande produzione collettiva nelle campagne, base che andò
costantemente crescendo con l’estenzione e il rafforzamento del
sistema cooperativistico socialista. I mezzi meccanici, concentrati
nelle mani dello Stato, furono fatti venire dai paesi socialisti,
a titolo di scambio commerciale o in base ai crediti accordati.
La collettivizzazione dell’agricoltura fu iniziata e portata
a termine poggiando unicamente sulla cooperativa agricola di
produzione, che si basava sulla socializzazione della terra, del
lavoro e dei mezzi di produzione.
La ripartizione dei proventi veniva effettuata unicamente
in funzione del lavoro compiuto da ogni membro a vantaggio
dell’economia collettiva.
Durante il processo di collettivizzazione furono fatti ten­
tativi di impiegare anche alcune forme iniziali di cooperazione
nella produzione, come le collettività agricole, basate unica­
mente sulla socializzazione del lavoro. Tuttavia queste forme,
che dovevano servire da anello di congiunzione per il pas­
saggio alla cooperativa agricola di produzione, ebbero vita breve
e non si diffusero largamente nelle campagne. I contadini pas­
sarono immediatamente e direttamente alla cooperativa agricola
di produzione.
Nelle campagne albanesi non vi erano tradizioni del movi­
mento cooperativistico. Perciò le masse rurali accettarono quella
forma di cooperazione della produzione che il Partito presentò
loro come la più idonea. I contadini albanesi avevano una
grande fiducia nel Partito. Unicamente sotto la sua guida essi
si erano affrancati dal giogo dello straniero, del latifondista
e dell’usuraio albanesi ed erano divenuti padroni della terra.
Per propria esperienza, essi erano convinti che il Partito
aveva loro sempre indicato la giusta via e che difendeva
risolutamente i loro interessi. Ed è per questa ragione che
essi accettarono la cooperativa agricola di produzione.
Nelle campagne albanesi, dopo la Riforma Agraria, non
328
esisteva una grande differenziazione economica fra i contadini
riguardo all’estensione dei terreni e agli attrezzi agricoli in loro
possesso. Perciò la loro unione nelle cooperative non provocò
quegli importanti conflitti di interessi economici che avrebbero
reso indispensabile il ricorso a forme intermedie di cooperazione.
La collettivizzazione in massa dell’agricoltura non fece mu­
tare affatto la politica del Partito nei confronti dei kulak.
Anche in questa fase la lotta contro i kulak fu guidata dalla
precedente politica che tendeva alla loro limitazione economica,
al loro isolamento politico e alla loro liquidazione. L’attuazione
di tale politica portò alla scomparsa in generale dei kulak come
classe, senza che fosse necessario ricorrere nei loro confronti
all’esproprio in massa. La forza e la violenza non venivano
impiegate contro i kulak che nei casi in cui essi non obbedi­
vano alle leggi e alle ordinanze del potere popolare o quando
si rendevano colpevoli di crimini politici.
Nel 1960 esistevano ancora circa 1.500 proprietà di kulak,
pari a meno dell’1 per cento del totale dei fondi rustici. Esse
avevano ormai perduto la loro antica base economica. Ciascuna
di queste proprietà disponeva in media di meno di 3 ettari di
terreno, 1 capo di bestiame grosso e meno di 10 capi di bestiame
minuto. Per effetto di tale politica il numero dei kulak continuò
a diminuire e il loro potere economico a indebolirsi. Paralle­
lamente all’attuazione della sua politica di limitazione dei
kulak il Partito dedicò importanza alla loro rieducazione, spe­
cialmente dei giovani e delle giovani provenienti da famiglie
di kulak, senza però mai allentare la propria vigilanza e senza
esitare a colpire severamente nei casi in cui ciò si rendeva
necessario.
Il compimento della collettivizzazione in agricoltura e il
rafforzamento del commercio socialista resero possibile la di­
minuzione in proporzioni molto maggiori degli elementi capi­
talisti nella città. I piccoli commercianti privati si organizza­
rono in collettivi commerciali, la cui attività fu posta sotto il
controllo dello Stato. La maggior parte di quei pochi artigiani
che ancora esercitavano privatamente il loro mestiere aderirono
alle cooperative dell’artigianato.
All’inizio del processo di collettivizzazione venne costi­
tuita una cooperativa agricola distinta per ogni villaggio, grande
o piccolo che fosse. Per quel periodo, quando i mezzi erano
pochi e il numero dei quadri dirigenti e degli specialisti era
esiguo, e non si possedeva ancora un’esperienza di gestione
329
collettiva dell’economia, la loro costituzione su tale base costi­
tuiva una fase indispensabile.
Quando la collettivizzazione dell’agricoltura volgeva al ter­
mine, le piccole cooperative cominciarono a poco a poco a non
rispondere più alle esigenze del loro consolidamento economico
e organizzativo e di un sollecito sviluppo delle forze produttive
nelle campagne. Tali circostanze resero oggettivamente neces­
sario il loro ingrandimento e il loro rafforzamento. I contadini
cooperativisti se ne rendevano conto e lo chiedevano essi stessi.
Perciò il Partito stabilì il compito di ingrandire le cooperative
mediante la loro unione, raccomandando però che l’unione
venisse compiuta a passi misurati e sempre sulla base del
libero consenso e della piena persuasione dei contadini coope­
rativisti. Questo era un compito a lungo termine, che non
doveva venir attuato affrettatamente, sotto forma di campagna.
Nonostante ciò, all’inizio del 1959, alcuni distretti, lascian­
dosi travolgere dall’entusiasmo dei contadini, proclamarono
l’unione delle cooperative come principale problema d’attua­
lità e considerarono che tale processo d’unione dovesse com­
piersi nello spazio di uno o due anni. L’unione delle cooperative
si estese anche alle zone di montagna. Alcune cooperative
riunite comprendevano da 10 a 15 villaggi, con una superfice
totale sino a 4.000 ettari. E così venivano disorti gli orienta­
menti del Partito.
Il Comitato Centrale scoprì tempestivamente quest’azione
affretata ed errata, fece rilevare il danno che poteva causare
alla questione della collettivizzazione, raccomandò di procedere
a una particolareggiata analisi delle condizioni oggettive e
soggettive di ogni villaggio e di non decidere circa la loro
eventuale unione che in conformità a tali condizioni.
Dopo di che, il processo di unione in cooperative veniva at­
tuato in seguito ad uno studio ponderato e unicamente nelle
zone pianeggianti. All’inizio, le cooperative ingrandite non com­
prendevano più di 2 o 3 villaggi. Nello stesso tempo, lo Stato
rese più consistente l’aiuto economico che prestava loro sotto
forma di macchinari agricoli, di credito agrario e di specialisti. Al
fine di rafforzare la gestione delle cooperative riunite, il
Partito inviò dalle città nelle campagne numerosi quadri che
furono designati a dirigere tali cooperative.
La costituzione di grandi cooperative attraverso la fusione di
quelle piccole creava nuove possibilità per il loro consolida­
mento economico e organizzativo, al fine di utilizzare di più i
330
vantaggi creati dal sistema nuovo, socialista, in agricoltura.
Conseguentemente furono rafforzati i rapporti economici fra
lo Stato e le cooperative.
La collettivizzazione dell’agricoltura creò una nuova base
economica e sociale propizia alla formazione di una concezione
socialista del mondo tra le masse rurali. Tuttavia questa for­
mazione non poteva compiersi spontaneamente e subito, senza
un lavoro educativo da parte del Partito e senza l’adozione di
altri provvedimenti economici e organizzativi. I contadini erano
abituati da secoli a vivere e lavorare in un sistema di economia
individuale, perciò su di essi gravavano i sentimenti e le
abitudini inerenti alla proprietà privata. Ciò si rifletteva nelle
carenze e nei difetti che si rilevavano in campo organizzativo
e per quel che concerne l’atteggiamento nei confronti del
lavoro e della proprietà collettiva.
In tali circostanze, il Partito intensificò il lavoro educativo
fra i contadini cooperativisti per far sì che essi concentrassero
tutti i loro sforzi per lo sviluppo dell’economia comune, ac­
crescessero la loro partecipazione alla produzione e rafforzas­
sero la disciplina sul lavoro. Inoltre vennero presi anche spe­
ciali provvedimenti in materia d’organizzazione, di rimunera­
zione del lavoro e per l’applicazione dello Statuto delle coope­
rative.
La collettivizzazione dell’agricoltura trasse seco anche il
mutamento delle condizioni di vita materiali e culturali nelle
campagne. Nel solo periodo dal 1956 al 1960 i contadini
costruirono circa 30.000 nuove case d’abitazione. Nel 1959,
vi erano nelle campagne più di 2.500 scuole di insegnamento
generale e circa 1.300 case o centri di cultura. Vi lavoravano
centinaia di quadri specializzati, dotati di istruzione media e
superiore.
Parallelamente al lavoro che svol­
geva per portare a termine la
collettivizzazione
dell’agricoltura,
il Partito lottava per assicurare
la realizzazione del secondo piano quinquennale in tutti i rami
dell’economia nazionale.
Conseguentemente a tale lotta e grazie allo slancio rivolu­
zionario della classe operaia e delle masse contadine, il 1957
portò ad una svolta non solo nell’ambito della collettivizzazione,
La realizzazione anticipata
del secondo piano quin­
quennale
331
ma anche nella produzione industriale e agricola. Rispetto al
1956, la produzione agricola aumentò del 26 per cento.
Il piano fu largamente superato in tutti i rami dell’in­
dustria. La produzione agricola segnò un incremento del 15 per
cento.
Questi successi resero possibile, sin dall’ottobre del 1957,
la totale soppressione del sistema di razionamento e un ribasso
dei prezzi delle merci. Tutto ciò costituiva una grande vittoria
nel campo economico e politico.
Analizzando l’attuazione del piano nei due primi anni del
secondo quinquennio, il Partito giunse alla conclusione che
all’interno del paese esistevano potenti riserve non sfruttate
che bisognava scoprire e mettere a profitto di un più rapido
sviluppo dell’economia e della cultura. Questo problema fu
posto in discussione fra le larghe masse lavoratrici. Contempo­
raneamente, gli organi statali di pianificazione furono incari­
cati di rivedere gli indici del piano quinquennale allo scopo
di aumentarli. Il dibattito popolare permise di scoprire quantità
di riserve interne tali che superavano le previsioni della Com­
missione del Piano di Stato.
Il Plenum del Comitato Centrale, nel febbraio 1958, basan­
dosi principalmente sulle proposte dei lavoratori, prese la de­
cisione di elevare tutti gli indici del secondo piano quinquen­
nale. Questi aumenti degli indici si basavano principalmente
sulle accumulazioni e le riserve interne.
Per portare fino in fondo la svolta iniziata, il Partito mo­
bilitò le proprie forze e le inesauribili energie dei lavoratori
delle città e delle campagne. Il lavoro di direzione, di organiz­
zazione e di chiarimento delle organizzazioni di base e dei
comitati di Partito migliorò sensibilmente. La loro composizione
si rinvigorì con l’ammissione di nuovi membri, provenienti
dalle file degli operai e dei contadini cooperativisti, dalle file
delle donne lavoratrici, sperimentati nell’opera di edificazione
socialista, nella lotta contro i nemici di classe.
Le
Unioni
Professionali
dedicarono
maggiore
solle­
citudine all’educazione comunista dei lavoratori. Esse amplia­
rono la loro propaganda a favore della produzione e perfe­
zionarono la loro attivittà per l’accessione dei lavoratori alla
direzione dell’economia. Le riunioni dei lavoratori sui problemi
della produzione acquisirono maggiore vivacità. Nacquero e si
diffusero nuove forme di emulazione e si accrebbe l’iniziativa
creatrice dei lavoratori. Si propagò il movimento per una mag­
332
giore durata dei macchinari, per l’attuazione di un regime
di economie in tutti i campi e per il massimo sfrut­
tamento delle capacità produttive. Molti operai d’avanguardia,
senza tener conto del proprio interesse personale, abbandona­
rono le brigate avanzate per inserirsi in altre allo scopo di
trarle dal loro stato di arretratezza. Nacque il movimento
1 + 2 (ogni operaio qualificato si impegnava a qualificarne
altri due).
Nelle campagne si diffuse il movimento per cui ogni con­
tadino cooperativista si impegnava a compiere 300 giornate
lavorative all’anno. Gli operai addetti alla mecanizzazione agri­
cola fecero propria l’iniziativa di avanguardia consistente nel
prolungare la durata dei trattori e nel risparmiare il carburante.
Il superamento dell’aumentato piano di produzione indu­
striale per l’anno 1958 mostrava quanto fosse giusta la decisione
del CC del Partito di aumentare gli indici del secondo piano
quinquennale.
Pur lottando per la realizzazione del piano in quantità, il
Partito concentrò soprattutto la sua attenzione sulla qualità in
generale.
Nei primi anni dell’edificazione socialista, il livello molto
basso delle forze produttive, le molteplici difficoltà che il
paese attraversava, esigevano necessariamente che il massimo
sforzo fosse rivolto soprattutto alla quantità dei prodotti. Ora
invece era giunto il momento di dedicare una maggior cura
alla qualità. Il Partito non considerava tale questione unica­
mente come un problema economico, ma anche come un pro­
blema politico e ideologico. La qualità della produzione è il
vero indice del progresso economico e culturale d’un paese.
Nelle condizioni dell’ordine socialista, essa è l’espressione del
grado di elevamento della coscienza socialista nel lavoro, sti­
mola il patriottismo socialista e rafforza la fiducia del popolo
nelle proprie forze.
Il Comitato Centrale del Partito, nel dicembre del 1959,
lanciò la parola d’ordine: «Rivolgiamoci verso la qualità, senza
voltare la schiena alla quantità!».
Al fine di attuare praticamente questo orientamento, ven­
nero presi numerosi provvedimenti economici miranti a perfe­
zionare l’organizzazione e la rimunerazione del lavoro. Ven­
nero rivedute le norme di lavoro e le qualifiche degli operai.
In tutti i rami dell’economia il compenso del lavoro venne
a dipendere strettamente dalla qualità del lavoro prestato.
333
Venne stabilito un più giusto rapporto fra stimoli materiali
e morali, partendo dal principio della subordinazione dell’inte­
resse personale agli interessi della società. Le organizzazioni
del Partito, unitamente alle organizzazioni sociali, svolsero un
vasto lavoro politico fra i lavoratori per chiarirli sull’importanza rivoluzionaria di questi provvedimenti, per spiegare quale
pregiudizio recasse alla causa del socialismo la tendenza, riscon­
trata presso taluni, di correre dietro al denaro e l’opinione
errata che «senza denaro, non c’è emulazione».
Nel 1960 sorse e si diffuse in tutto il paese il movimento
delle squadre e delle brigate del lavoro socialista. Esso aveva
per motto la parola d’ordine del Partito: «Lavoriamo, studiamo
e viviamo in maniera socialista». Questo movimento divenne
una grande forza che incitava i lavoratori ad accrescere la
produzione, a migliorare la qualità dei prodotti, a elevare il
proprio livello tecnico e professionale e a rendere più salda
la loro coscienza socialista. Il movimento delle invenzioni e
razionalizzazioni ricevette anch’esso un nuovo impulso.
Il secondo piano quinquennale venne realizzato e superato.
I compiti da esso prefissati furono notevolmente oltrepassati
soprattutto nell’industria, nei trasporti, negli investimenti e
nelle costruzioni di base. Il volume della produzione industriale
globale, che fu realizzato in quattro anni e nove mesi, nel
1960 era 2,2 volte più elevato di quello del 1955 e 25 volte
maggiore di quello del 1938. Conseguentemente, la struttura
delle varie branche dell’industria registrò un sensibile miglio­
ramento.
Durante il secondo quinquennio furono costruite 250 grandi
opere economiche e culturali. Venne iniziato lo sfruttamento
di nuovi giacimenti di petrolio e di nuove miniere di ferronichel, di cromo, di rame e di carbon fossile. La costruzione
di tali opere portò alla creazione di nuove città.
In agricoltura, la principale vittoria di storica importanza
era la conclusione della collettivizzazione nel suo complesso.
Nel 1960, il settore socialista in agricoltura comprendeva l’87
per cento delle terre coltivate. Nonostante lo sfavorevole an­
damento stagionale, soprattutto nel corso degli ultimi due anni
del quinquennio, la produzione agricola nel 1960 era superiore
del 25 per cento a quella del 1955.
L’incremento della produzione industriale e agricola, l’au­
mento della produttività del lavoro e la riduzione del costo
dei prodotti costituirono i principali fattori che determinarono
334
un sensibile elevamento del benessere materiale e del livello
culturale della popolazione. La retribuzione reale degli operai
e degli impiegati nonché gli introiti reali dei contadini au­
mentarono più di quanto previsto dal piano. Durante gli anni
del secondo quinquennio furono decretati 6 ribassi dei prezzi
delle merci di largo consumo, da cui la popolazione trasse un
profitto di 7 miliardi e 200 milioni di lek (vecchi). Il volume
della circolazione delle merci si accrebbe a un ritmo di 2-3
volte superiore al tasso naturale di crescita della popolazione.
L’istruzione si è elevata ad un livello superiore nel suo
complesso. Nel 1957 venne fondata l’Università di Tirana, il
più grande centro d’istruzione scientifico del paese. Nel 1960,
una persona su cinque andava a scuola. Il numero dei quadri
superiori raggiunse il triplo di quello del 1955. La durata media
della vita della popolazione salì a 62 anni.
L’attuazione dei compiti del secondo piano quinquennale
creò nuovi punti di partenza per l’ulteriore sviluppo dell’economia e della cultura sulla via dell’edificazione socialista del
paese.
4. CRITICA DELLE VEDUTE REVISIONISTICHE
E DELL’ATTIVITÀ’ SCISSIONISTICA DELLA
DIREZIONE SOVIETICA
La Conferenza dei Partiti Comunisti e Operai del novembre
1957 non fece altro che frenare per un certo tempo il revisio­
nismo, senza tuttavia arrestarne la diffusione e lo sviluppo in
profondità in seno al movimento comunista internazionale.
I revisionisti jugoslavi definirono
apertamente la Dichiarazione del­
la Conferenza «come una sconfes­
sione del XX Congresso del
PCUS», come «un passo indietro», «un ritorno allo stalinismo».
Essi si impegnarono in un’aspra lotta contro il suo contenuto
rivoluzionario e non tardarono a opporvi il loro «programma»
antimarxista che pubblicarono nel 1958 presentandolo come
un «manifesto internazionale».
Frattanto la direzione sovietica, con a capo Krusciov, senza
tener assolutamente conto delle conclusioni rivoluzionarie della
Dichiarazione comune, continuava invece a propagandare e a
Ulteriore
diffusione
del
revisionismo
internazio­
nale
335
mettere in pratica le conclusioni revisionistiche del XX Con­
gresso. Essa non si lasciava sfuggire occasione di ravvicinarsi
sempre più agli imperialisti americani e di stabilire una stretta
collaborazione con questi. Krusciov dichiarò pubblicamente che
considerava ingiusta e inumana qualunque specie di guerra
nelle condizioni presenti! Egli chiese all’ONU la pratica attua­
zione del «disarmo generale e completo» di ogni paese e di
ogni popolo, a eccezione della polizia «per tutelare l’ordine
pubblico»(!) in ogni Stato, e delle «forze armate internazionali»
che dovevano essere costituite presso l’ONU, naturalmente per
reprimere le guerre e le insurrezioni popolari. Egli propagava
l’opinione erronea che a partire dal 1960 si sarebbe creato «un
mondo senz’armi, senza eserciti e senza guerre!».
La politica perseguita dal gruppo di Krusciov aveva un
carattere demagogico, eclettico e contraddittorio, proprio di
ogni specie di revisionismo. Ora incensava gli USA e cercava
di collaborare strettamente con essi, ora li ingiuriava, taccian­
doli di aggressori e di gendarmi del mondo. A volte definiva
il presidente degli Stati Uniti un «amico», un «grand’uomo»,
una persona «sensata» e «amante della pace» e a volte un
«carnefice», un uomo «neppure capace di dirigere un giardino
d’infanzia». In un’occasione portava al cielo Tito e l’esperienza
jugoslava, in un’altra affermava che il revisionismo jugoslavo
era un «cavallo di Troia» e che Tito «non marciava al passo
con il resto del plotone». Del pari, era costretto a denunciare
a mezza voce il programma antimarxista della Lega dei Comu­
nisti di Jugoslavia (LCJ). Così il gruppo di Krusciov procedeva
sulla via del revisionismo sforzandosi di confondere le idee
alla gente, passando dall’opportunismo all’avventurismo e vice­
versa, e preparandosi a dare la decisiva pugnalata alla schiena
al campo socialista e al movimento comunista internazionale.
Il processo di diffusione e di approfondimento del revisio­
nismo si sviluppava incessantemente anche in altri partiti co­
munisti e operai di alcuni paesi socialisti e capitalisti.
La linea e l’attività dei revisionisti, soprattutto di quelli
della direzione sovietica, avevano fatto aumentare la confu­
sione ideologica in seno al movimento comunista internazionale.
Gli imperialisti americani, tutto il capitalismo internaziona­
le, sfruttavano la situazione confusa che esisteva nella maggior
parte dei paesi socialisti e in seno ai partiti comunisti e operai
per mettere in atto la loro strategia volta a distruggere il siste­
ma socialista mondiale e il movimento comunista, a reprimere
336
ì movimenti rivoluzionari di liberazione, ricorrendo sia alla
tattica della controrivoluzione pacifica che a quella dell’in­
tervento armato. Il governo americano di Eisenhower aveva
appositamente elaborato anche un piano per rovesciare il potere
popolare in Albania.
La lotta senza compromessi
Il Partito del Lavoro d’Al­
bania seguiva con grande in­
per smascherare e annien­
quietudine il diffondersi del
tare il revisionismo mo­
revisionismo e considerava la
derno
lotta contro quest’ultimo come uno dei propri doveri di mag­
giore importanza.
La pubblicazione del programma della LCJ gli fornì l’oc­
casione propizia per colpire il revisionismo internazionale in
tutti i settori della sua attività e della sua ideologia antimar­
xista. Denunciando il programma jugoslavo come un’accozzaglia
di putride teorie prese in prestito da Proudhon, Bernstein,
Kautsky, Trotsky, Bukharin e altri e presentate sotto un nuovo
travestimento, il Partito lanciò la parola d’ordine: «Lotta senza
compromessi per smascherare e annientare teoricamente e poli­
ticamente il revisionismo modèrno»*.
Alludendo all’atteggiamento opportunistico tenuto da Kru­
sciov e da altri revisionisti in vari partiti comunisti e operai,
il PLA rilevava: «Questa parte interpretata dal revisionismo
jugoslavo al servizio degli imperialisti, soltanto chi chiude deli­
beratamente gli occhi non la vede»**.
Esso fece pubblicare una serie di articoli che criticavano
severamente le concezioni dei revisionisti, esponevano le de­
formazioni degli insegnamenti fondamentali del marxismo-le­
ninismo di cui costoro erano responsabili, difendevano il par­
tito della classe operaia e la sua funzione dirigente, la dit­
tatura del proletariato e la via rivoluzionaria di passaggio
al socialismo.
Nello stigmatizzare il revisionismo internazionale in campo
ideologico e politico, la direzione del PLA seguiva con la
massima attenzione l’atteggiamento e l’attività di N. Krusciov e
* Cf. la decisione del Plenum del CC del PLA del 20 giugno 1958,
Documenti principali del PLA, vol. 3, p. 208.
** Enver Hoxha. Il revisionismo moderno deve essere combattuto
senza pietà sino al suo totale annientamento teorico e politico. Opere,
vol. 16, p. 58.
337
del suo gruppo. Essa li vedeva allontanarsi sempre più dai
princìpi marxisti-leninisti. Il processo di ravvisamento del re­
visionismo continuava ad approfondirsi. La direzione del PLA
sentiva aumentare sempre più i suoi dubbi e le sue riserve
nei confronti della direzione del PCUS. Tale atteggiamento
aiutò molto il Partito a non cadere in nessuna delle trappole
preparate da Krusciov per piegarlo e trascinarlo sulla via
revisionistica. La direzione revisionista sovietica nutriva invano
la speranza che le cose sarebbero cambiate dopo la firma del­
l’accordo che prevedeva la concessione alla Repubblica Popolare
d’Albania di un nuovo credito per la realizzazione del suo terzo
piano quinquennale, soprattutto in seguito alla visita di
Krusciov in Albania, nel maggio del 1959.
Lungi dall’aderire all’insistente richiesta della direzione
sovietica che lo esortava ad abbracciare il suo corso revisio­
nistico, il PLA proseguiva risolutamente sulla propria via
marxista-leninista, intensificando la lotta per la denuncia del
revisionismo jugoslavo e del revisionismo moderno in generale.
Nonostante tutto, sino a metà del 1960 le divergenze ideo­
logiche fra il PLA e la direzione sovietica non erano state
rese pubbliche né estese al campo delle relazioni statali fra
i due paesi.
Contemporaneamente, il PLA non rilassava per un solo
istante la sua vigilanza al fine di neutralizzare i piani e l’at­
tività ostile degli imperialisti americani e della cricca di Tito
contro la RPA. Nell’estate del 1960 venne scoperta e annientata
un’organizzazione clandestina antistatale, a cui partecipavano
vecchi agenti dei servizi di spionaggio stranieri che erano riusciti
a infiltrarsi nel Partito, negli organi statali e nell’esercito. In
tal modo fu sventato un complotto per l’organizzazione di
un sollevamento controrivoluzionario e di un intervento armato
coordinato della VI Flotta americana, del monarco-fascisti greci
e dei revisionisti jugoslavi. Nello stesso tempo falliva anche
il piano della direzione revisionista sovietica, che era a co­
noscenza del complotto, lo aveva sostenuto e contava di sfrut­
tarlo per i propri fini.
Verso la fine del 1959-l’inizio
del 1960 il PLA si era piena­
mente convinto che la direzione
sovietica con a capo Krusciov era
revisionista, traditrice, che i suoi
punti di vista e i suoi atteggiamenti errati non costituivano
L’atteggiamento di princi­
pio marxista-leninista del
PLA alla Riunione di Bu­
carest
338
deviazioni irrilevanti ma un allontanamento dal marxismoleninismo.
Con tale convinzione, nel giugno del 1960 partì per Buca­
rest la delegazione del PLA, guidata dal compagno Hysni Kapo,
che avrebbe assistito ai lavori del Congresso del Partito Operaio
Rumeno ed anche ad una riunione dei rappresentanti dei partiti
comunisti dei paesi del campo socialista. In tale riunione, se­
condo un’intesa preliminare, si sarebbe fissata la data e il
luogo di una conferenza dei partiti comunisti e operai del
mondo. Inaspettatamente Krusciov chiese l’organizzazione di
una riunione delle delegazioni di tutti i partiti, che assiste­
vano al Congresso del Partito Operaio Rumeno, per discutere
immediatamente i dissensi sorti tra il PCUS e il PCC in base
ad un documento pieno di accuse calunniose contro quest’ul­
timo, che fu distribuito ai partecipanti solo alcune ore prima
della riunione.
Il CC del PLA era venuto a conoscenza di queste profonde
divergenze attraverso le polemiche indirette apparse nella
stampa nonché nel corso dei colloqui avvenuti tra alcuni
membri dell’Ufficio Politico del CC del PLA con dirigenti
sovietici e cinesi a Mosca e a Pechino.
Appenna avuto notizia delle divergenze esistenti tra i
due più grandi partiti comunisti, la direzione del PLA definì
fermamente il suo atteggiamento: Tali divergenze dovevano
essere discusse e risolte quanto prima in via marxista-leninista fra il PCUS e il PCC. Nel caso che tale discussione non
avesse portato ad alcune risultato, allora sarebbe stata neces­
saria la convocazione di una riunione dei rappresentanti dei
partiti comunisti del campo socialista. Infine i loro punti di
vista e i loro atteggiamenti avrebbero dovuto essere esaminati
da una riunione allargata dei partiti comunisti e operai, come
quella che si tenne a Mosca nel 1957*. Il PLA riteneva la
soluzione in via marxista-leninista delle divergenze tra il PCUS
e il PCC come una questione di grande importanza per l’unità
del campo socialista e del movimento comunista internazio­
nale, per l’avvenire di questo campo e di questo movimento.
Di fronte a questa gravissima situazione, la delegazione
del PLA, la quale ben sapeva quale atteggiamento rivoluzionario
doveva addottare, mise immediatamente al corrente il CC.
* Enver Hoxha. Lettera diretta al compagno Hysni Kapo a Buca­
rest, 22 giugno 1960. Opere, vol. 19, p. 13.
339
Quest’ultimo giunse alla giusta conclusione che Krusciov stava
tramando un grande complotto contro il campo socialista e
il movimento comunista internazionale. Il PLA doveva adoperar­
si con ogni mezzo per far fallire questo complotto. Nella
Riunione di Bucarest, la sua delegazione doveva difendere con
risolutezza il suo atteggiamento marxista-leninista. «La riunio­
ne che ci viene proposta di tenere ora a Bucarest con tutti
i rappresentanti dei partiti comunisti e operai, che si trovano
sul posto per partecipare al Congresso del Partito Operaio
Rumeno, al fine di esaminare le divergenze fra il PCUS e il
PCC, scriveva il compagno Enver Hoxha rispondendo all’informazione del compagno Hysni Kapo circa la tenuta di tale
riunione, la nostra direzione la considera prematura e molto dan­
nosa»*. La delegazione del PLA, ribadendo alla Riunione di
Bucarest tale valutazione ed attuando le altre istruzioni impar­
tite dal CC in merito, la definì una riunione in netta opposizio­
ne con le regole organizzative e le ben note pratiche che reggono
i rapporti fra i partiti comunisti e operai.
Krusciov e compagni andarono su tutte le furie di fronte
al grande coraggio della delegazione del PLA, definendo tale
atteggiamento un «atto di ribellione».
Nonostante i suoi sforzi ostinati, la direzione sovietica non
riuscì, alla Riunione di Bucarest, a raggiungere il suo scopo.
Vi fu deciso di convocare per il mese di novembre del 1960
una riunione di tutti i partiti comunisti e operai. Della sua
preparazione venne incaricata una speciale commissione di cui
facevano parte i rappresentanti di 26 partiti, e fra questi
anche il PLA.
Il complotto internazionale ordito dal gruppo revisionista
di Krusciov era fallito. A Bucarest esso aveva subito la sua
prima sconfitta. Questa era una sconfitta per tutto il revi­
si nismo moderno.
Ciò rafforzò ancora di più la convinzione del PLA che
la direzione del PCUS con a capo N. Krusciov rappresentava
una cricca di traditori e costituiva un grave pericolo per il
marxismo-leninismo e il socialismo.
Il Plenum del CC del PLA, che svolse i suoi lavori nel
luglio del 1960, giudicò che la sua delegazione aveva tenuto
a Bucarest un atteggiamento di
principio marxista-leninista,
* Enver Hoxha.
p. 13-14.
340
Lettera
del
22
giugno
1960.
Opere,
vol. 19;
in difesa degli interessi del socialismo e del movimento comu­
nista internazionale. Esso fece conoscere a tutto il Partito come
si erano svolti i lavori della Riunione di Bucarest e quale
complotto vi fosse stato ordito da N. Krusciov. Le organizza­
zioni di base del Partito furono unanimi nello stimare piena­
mente fondato l’atteggiamento del CC e della delegazione del
PLA in quella riunione. Tale atteggiamento era la logica
conseguenza di tutta la linea rivoluzionaria seguita dal PLA.
Subito dopo la Riunione di Bu­
carest, la direzione sovietica si
lanciò in un furioso attacco contro
il PLA per forzarlo a piegarsi.
Gli attacchi furono sferrati in parecchie direzioni. Il Co­
mitato Centrale del PLA fu il primo a esser preso di mira.
La direzione sovietica tentò di provocarvi una scissione, di
soggiogarlo e di costringerlo a ogni costo a sconfessare il
proprio atteggiamento a Bucarest, prendendo provvedimenti
contro i «responsabili».
A tal fine il gruppo di Krusciov si servì di Liri Belishova,
ex membro dell’Ufficio politico del CC del PLA, compenetrata
di una malsana ambizione di natura piccolo-borghese e di uno
spiccato sentimento d’arrivismo. Manipolata a Mosca e incitata
da questo gruppo, ella si mise in opposizione alla linea del
Partito, facendosi veicolo della linea antimarxista della dire­
zione sovietica. Ma i suoi sforzi si infransero contro la ferrea
unità del Comitato Centrale, contro la sua determinazione a
non fare alcuna concessione in merito agli atteggiamenti ri­
voluzionari e alla linea rivoluzionaria marxista-leninista del
Partito. Così il tentativo del gruppo di Krusciov di modificare
o di scuotere le posizioni del Comitato Centrale risultò del
tutto vano.
La direzione sovietica, sfruttando l’illimitato affetto dei
comunisti albanesi per il Partito Bolscevico e per l’Unione
Sovietica, si sforzò di seminare la confusione fra di essi e di
sollevarli contro la direzione marxista-leninista del loro Partito.
Essa utilizzò il personale della sua ambasciata a Tirana, il
quale godeva di ampia libertà d’azione in Albania, per entrare
in contatto con ufficiali e generali, con quadri del Partito e
degli organi statali, con lavoratori dell’economia e della cultura.
Gli agenti di Krusciov espressero a costoro la loro «inquietu­
dine» a proposito dell’«allontanamento dalla linea marxista-leni­
La ferma resistenza del
PLA di fronte agli attacchi
della direzione sovietica
341
nista» e del «tradimento dell’amicizia sovieto-albanese» da parte
della direzione del PLA! Quindi li provocavano con domande di
questo genere: «Rimarrete con l’Unione Sovietica o passerete
nel campo avverso, come fa la vostra direzione»? Il gruppo
di Krusciov aveva soprattutto riposto le sue speranze sui quadri
che avevano compiuto gli studi nelle scuole sovietiche. Ma del
tutto vani furono i suoi sforzi e le sue speranze. I revisionisti
kruscioviani non trovarono e non riuscirono a creare alcuna
breccia nelle file del Partito. Ed era precisamente contro questa
unità d’acciaio del Partito intorno al suo Comitato Centrale
che vennero a infrangersi i loro piani.
Il CC del PLA protestò presso il CC del PCUS per tali
pressioni e palesi ingerenze negli affari interni del PLA e
dello Stato albanese. Esso protestò anche quando apprese at­
traverso la stampa greca che Krusciov, nel corso di un collo­
quio con Venizelos, aveva dichiarato al politicante reazionario
di aver visto durante la sua visita in Albania dei greci a
Korça, incoraggiando in tal modo le sue mire sciovinistiche
circa l’«autonomia del Vorioepiro». Proteste vi furono anche
contro gli atteggiamenti antialbanesi assunti da vari dirigenti
e funzionari sovietici.
Oltre a Liri Belishova, il gruppo di Krusciov mise in
azione contro il PLA anche un suo altro agente, Koço Tashko,
ex presidente della Commissione di Revisione del PLA. Egli
aveva già manifestato seri vacillamenti ed era stato cri­
ticato spesso per deviazioni dalla linea del Partito e per il
suo atteggiamento opportunistico. Tanto l’una che l’altro ven­
nero espulsi dal Partito come suoi nemici.
La direzione sovietica estese i suoi attacchi anche al campo
economico e culturale. Senza tener conto delle convenzioni
concluse fra i governi della Repubblica Popolare d’Albania e
dell’Unione Sovietica, essa diradò, e in alcuni casi sospese del
tutto l’invio di merci e di attrezzature industriali in Albania.
Essa respinse anche la richiesta fattale di inviare un certo
quantitativo di cereali necessario ad assicurare il pane che
scarseggiava a causa dell’eccezionale siccità del 1960. Ritenendo
che la fame avrebbe costretto il popolo albanese a sollevarsi
contro il Partito, il gruppo di Krusciov impiegò tale situazione
come un mezzo di pressione per obbligarlo a sottomettersi.
Esso minacciò il Partito e il governo della RPA di sospendere
la fornitura di armi e di dotazioni militari all’Esercito Popo­
342
lare Albanese, dichiarando: «La vostra appartenenza al Patto
di Varsavia è solo temporanea».
Nell’agosto del 1960, la direzione sovietica inviò al Comi­
tato Centrale del PLA una lettera con cui chiedeva che «il
Partito del Lavoro d’Albania e il Partito Comunista dell’Unione
Sovietica si recassero alla prossima conferenza del mese di
novembre in piena unità di propositi»! In altre parole, il PLA
doveva rinunciare all’atteggiamento di principio che aveva
tenuto a Bucarest e alla propria linea marxista-leninista. Il
gruppo di Krusciov formulava la minaccia che, in caso con­
trario, «la scintilla del disaccordo» apparsa a Bucarest «avreb­
be provocato il fuoco»!
Il PLA non poteva in alcun modo accettare una simile
«unità», che non sarebbe stata altro che una criminale com­
plicità. Perciò esso rigettò la diabolica richiesta della direzione
revisionista sovietica.
Frattanto, la delegazione del PLA alla commissione dei
26 partiti incaricata di preparare e redigere la dichiarazione
della Conferenza generale dei partiti comunisti e operai di
tutto il mondo, si opponeva con fermezza ai tentativi dei
revisionisti sovietici di formulare un documento di ispirazione
antimarxista. In questa lotta essa applicava l’orientamento del
CC del Partito: «Noi non siamo dell’opinione di «salvare il
salvabile». Noi siamo del parere di andare fino in fondo alla
questione... Il revisionista deciso non cambia strada... Ogni
compromesso con lui non serve la nostra causa»*.
Intanto a Tirana la delegazione del PLA, che avrebbe
partecipato alla Conferenza, si stava preparando in vista del
duro scontro a Mosca.
La delegazione del PLA alla
Conferenza degli 81 partiti Co­
munisti e Operai, tenutasi nel no­
vembre del 1960 a Mosca, era gui­
data dal compagno Enver Hoxha.
Per la nostra delegazione era del tutto chiaro che si era
recata in un paese dove il potere era nelle mani dei revisio­
nisti, i quali si sarebbero comportati da nemici nei suoi con­
fronti. Ciò fu confermato appena vi giunse a Mosca. Essa fu
Critiche rivolte dal PLA
contro i revisionisti kruscioviani alla Conferenza
degli 81 partiti a Mosca
* Enver Hoxha. Lettera inviata al compagno Hysni Kapo a Mosca,
13 ottobre 1960. Opere, vol. 19, pp. 329-330.
343
oggetto di pressioni e provocazioni aperte. I kruscioviani ricor­
sero ad ogni mezzo per sottometterla e, nel caso che non vi
riuscissero, almeno di costringerla a non opporsi apertamente,
durante la Conferenza, al XX e XXI Congresso del PCUS e
a non parlare dei crimini da essi perpetrati contro il Partito
e il popolo albanese. A tale scopo essi si comportarono da veri
trafficoni, usando tutte le manovre possibili e promettendo
più consistenti aiuti economici, ammettendo qualche errore «che
avevano potuto fare i funzionari sovietici». Essi proferirono la
minaccia di sospendere ogni aiuto e sostegno e di «impostare
d’ora in poi i rapporti tra l’Unione Sovietica e l’Albania su
nuove basi»!
Ma. né le pressioni né le manovre non smossero la dele­
gazione albanese dalla ferma decisione di esprimere senza
riserve, alla Conferenza, i punti di vista rivoluzionari marxistileninisti del PLA circa le questioni fondamentali sulle quali
erano sorti dei disaccordi, circa le questioni fondamentali della
tattica e della strategia del movimento comunista internazionale,
denunciando nel contempo le tesi e gli atteggiamenti revisio­
nistici del gruppo di Krusciov relativi a tali questioni, nonché i
metodi antimarxisti che questo gruppo impiegava per costringere
gli altri partiti a sostenere tali tesi e tali atteggiamenti.
Nel discorso pronunciato alla Conferenza, a nome del CC
del PLA, il compagno Enver Hoxha rigettò i punti di vista
controrivoluzionari circa un preteso mutamento della natura
del capitalismo e dell’imperialismo nelle nuove condizioni,
punti di vista sostenuti da Krusciov e gli altri revisionisti,
al fine di giustificare la collaborazione con gli imperialisti
americani nella edificazione di un «mondo senz’armi, senza
eserciti e senza guerre»! L’imperialismo e in primo luogo l’im­
perialismo americano, dichiarò il compagno Enver Hoxha, non
ha cambiato né la pelle né il pelo, né la propria natura. Esso
è aggressivo e rimarrà aggressivo, anche quando non gli re­
stasse che un solo dente in bocca; di conseguenza, esso è ca­
pace di precipitare il mondo nella guerra. Non esiste nessuna
garanzia assoluta che non ci sarà un’altra guerra mondiale.
Questo sarà possibile solo quando il socialismo avrà trionfato
nel mondo o nella maggior parte dei paesi. «Chi non vede
ciò, è cieco, chi invece lo vede ma lo nasconde, è un traditore
al servizio dell’imperialismo».*
* Enver Hoxha. Opere, vol. 19, p. 387.
344
Considerando la salvaguardia della pace come un compito
della massima importanza, il compagno Enver Hoxha sostenne
il punto di vista rivoluzionario del PLA che la pace non po­
teva essere salvaguardata attraverso vuote discussioni con i
capi dell’imperialismo, facendo complimenti, moine e conces­
sioni agli imperialisti americani e capitolando di fronte alle
loro pressioni. Affinchè la pace fosse salvaguardata e consoli­
data, era necessario condurre una risoluta lotta politica e ideo­
logica per mandare a vuoto i piani aggressivi degli imperia­
listi, contrapponendo loro tutte le colossali forze unite del
campo socialista, del proletariato internazionale e di tutti paesi
e popoli amanti della libertà e della pace.
Il compagno Enver Hoxha criticò duramente la direzione
sovietica per il modo opportunistico con cui concepiva e appli­
cava la questione della coesistenza pacifica fra Stati aventi
sistemi sociali differenti, definì antimarxista la sua concezione
che presentava la coesistenza pacifica come linea di con­
dotta generale dell’Unione Sovietica e dell’intero campo socia­
lista, come la principale via per il trionfo del socialismo sul
capitalismo. La coesistenza pacifica, egli sottolineava, non costi­
tuisce che uno degli aspetti della politica estera di un paese
socialista. Gli altri e più importanti aspetti di questa politica
sono: la fraterna collaborazione e la reciproca assistenza fra
i paesi socialisti, l’appoggio senza riserve della lotta rivoluzio­
naria di liberazione delle masse lavoratrici dei popoli oppressi
contro l’imperialismo e la reazione. A nome della coesistenza
pacifica non si doveva rinunciare alla lotta di classe su scala
nazionale e internazionale, come facevano i kruscioviani, non
si doveva passare alla conciliazione di classe e alla coesistenza
ideologica «Al contrario, la lotta di classe deve continuare; la
lotta politica e ideologica contro l’imperialismo, contro l’ideo­
logia borghese e revisionista, deve rafforzarsi sempre più»*.
Il PLA stimava che i partiti comunisti di tutti i paesi
capitalisti dovevano avere come compito essenziale di sollevare
le masse nella lotta contro l’imperialismo e tutti i suoi servitori
all’interno dei propri paesi per minare il loro dominio, per
distruggere, qualora esistesse una situazione rivoluzionaria, il
loro potere politico, per instaurare il potere del popolo, per
consolidare e sviluppare tale potere come dittatura del pro­
letariato.
Soltanto così, attraverso la via rivoluzionaria e con la
* Enver Hoxha, Opere, vol. 19, p. 391.
345
violenza, sarebbe stato assicurato il passaggio dal capitalismo
al socialismo e non attraverso la via pacifica, parlamentaria.
«Sino ad ora, poneva in risalto il compagno Enver Hoxha,
nessun popolo, nessun proletariato, nessun partito si è impa­
dronito del potere senza spargimento di sangue e senza vio­
lenza»*. Tale questione è stata ben chiara per i marxisti-leninisti, mentre Krusciov l’aveva falsata e complicata nel senso
desiderato dagli opportunisti.
In particolar modo, il compagno Enver Hoxha criticò il
gruppo di Krusciov per il suo atteggiamento controrivoluzio­
nario verso Stalin. Egli considerava la condanna di Stalin, pro­
nunciata al XX Congresso, come un’azione arbitraria e
un errore grave. La questione di Stalin concerneva tutto il
movimento comunista internazionale. Il PLA, in quanto reparto
di tale movimento, era del parere che «tutti dobbiamo difen­
dere la feconda e imperitura opera di Stalin. Chi non la
difende, è un opportunista e un codardo».**
Stalin e l’Ufficio d’informazione, sottolineò il compagno
Enver Hoxha, avevano avuto pienamente ragione nel condan­
nare e smascherare il revisionismo jugoslavo, in quanto corrente
controrivoluzionaria antimarxista e un’agenzia di spionaggio al
servizio dell’imperialismo. Il tempo aveva pienamente confer­
mato questa valutazione, quindi la lotta contro tale corrente
restava un costante compito per i partiti comunisti. Ma il
revisionismo, poneva in risalto il compagno Enver Hoxha, non
esisteva e infieriva soltanto in Jugoslavia. Esso si stava dif­
fondendo in modo inquietante anche in altri paesi. I revisionisti
non erano altro che nemici giurati del proletariato, della ri­
voluzione e del socialismo, scissionisti del movimento comunista
internazionale, e del campo socialista. Perciò il PLA ribadiva
la necessità di mantenere la valutazione fatta dalla Confe­
renza di Mosca nel 1957 che aveva definito il revisionismo
moderno come il principale pericolo del movimento comunista
internazionale, e non di rinunciare a tale valutazione, come
chiedevano Krusciov ed altri, che consideravano scongiurato (!)
questo pericolo.
Dopo aver dimostrato, fatti alla mano, il grande pericolo
che rappresentava il revisionismo, accenando agli avvenimenti
* Enver Hoxha. Opere, vol. 19, p. 392.
** Ibidem, p. 457.
346
accaduti in Ungheria, Polonia e altrove, e di cui erano direttamente responsabili non soltanto i revisionisti ungheresi, polac­
chi e jugoslavi, ma anche la stessa direzione sovietica, il com­
pagno Enver Hoxha diceva: «Ci poniamo l’interrogativo:
perché sono avvenute simili cose in seno al movimento comu­
nista internazionale, in seno al nostro campo dopo il XX
Congresso?
«Noi dobbiamo essere estremamente preoccupati di un tale
stato di cose, cercare l’origine del male e guarirlo. Certamente,
non si guarisce il male dando delle manate sulle spalle al
rinnegato Tito e neppure annotando nella Dichiarazione che il
revisionismo moderno è stato definitivamente sconfitto, come
pretendono i compagni sovietici»*.
Per sbarrare il passo al revisionismo, particolare impor­
tanza assumeva la questione di porre fine ai metodi delle pres­
sioni, delle ingerenze e dei complotti nei rapporti fra i partiti
comunisti. Era necessario condannare in particolar modo il com­
plotto ordito dal gruppo di Krusciov alla Riunione di Bucarest,
che il PLA considerava «una macchia nel movimento comunista
internazionale»; nello stesso tempo bisognava condannare tutti
gli sforzi da sciovinisti di grande Stato dei dirigenti sovie­
tici per costringere gli altri partiti ad imboccare la loro via
errata. Il compagno Enver Hoxha condannò particolarmente il
comportamento egemonistico da trafficanti dei dirigenti sovietici
nei confronti dell’Albania socialista. Falliti i suoi tentativi di
sottomettere la delegazione del PLA, Krusciov aveva dichiarato,
fra l’altro, alla delegazione cinese: «Noi abbiamo perduto l’Al­
bania e ve la siete guadagnata voi»!!
Il compagno Enver Hoxha, portando a conoscenza della
Conferenza tale modo di agire profondamente antimarxista
del gruppo di Krusciov, si rivolgeva a costui con le seguenti
parole. «Cosa sono questi... modi di trattare da mercante
nei confronti del nostro Partito, del nostro popolo, e di un
paese socialista, come se lo si potesse perdere e vincere come
sul tavolo da gioco?... Voi considerate l’Albania come una
merce da baratto... Vi fu un tempo, è vero, in cui l’Albania
era considerata tale, quando gli altri pensavano che dipendesse
da loro se l’Albania sarebbe esistita o no, ma quel tempo è
finito da quando le idee del marxismo-leninismo hanno trion­
fato nel nostro paese»**.
* Enver Hoxha. Opere, vol. 19, pp. 459-460.
** Ibidem, pp. 424-425.
347
La delegazione del PLA precisò che, in questa severa cri­
tica di principio rivolta alla direzione sovietica, essa non era
mossa che dall’intenzione di conservare l’unità del movimento
comunista internazionale e del campo socialista. Non si poteva
mantenere l’unità senza porre in evidenza gli errori e le mani­
festazioni dannose, senza denunciarli severamente e senza cor­
reggerli su basi marxiste-leniniste. A coloro che tentavano di
mettere il bavaglio al Partito del Lavoro d’Albania, il com­
pagno Enver Hoxha replicava: «...nessuno si illuda che, es­
sendo l’Albania un piccolo paese e il Partito del Lavoro d’Al­
bania un piccolo partito, essi seguiranno le istruzioni di qual­
cuno, quando sono convinti che questo qualcuno sbaglia...
«Il diritto di dire la nostra parola ci è stato dato dal
marxismo-leninismo e questo diritto nessuno ce lo può togliere,
né con pressioni politiche o economiche, né con le minaccie
o con gli epiteti che possono affibiarci»*.
Nessun altro partito fece una simile difesa coraggiosa del
marxisrmo-leninismo e una così severa denuncia di principio
della linea e dell’attività antimarxiste dei kruscioviani. Gli
altri partiti non fecero una cosa simile, perchè chi più, chi
meno erano contaggiati dal male del revisionismo, mentre il
PLA aveva mantenuta pura la sua opinione e la sua linea
rivoluzionaria.
Contro il gruppo di Krusciov parlò anche la delegazione
cinese. Ma il suo atteggiamento si fondava su posizioni di
attesa, di conciliazione opportuniste e non su posizioni combat­
tive e d’attacco. Come risultò più tardi, la dirigenza del PCC,
a differenza del PLA, non aveva come scopo la difesa del
marxismo-leninismo e gli interessi del comunismo internazio­
nale, ma la difesa dei gretti interessi sciovinisti, egemonisti,
al pari dei kruscioviani.
Il discorso del compagno Enver Hoxha ebbe un effetto
straordinario e inatteso sui dirigenti sovietici e gli altri revi­
sionisti. Esso distrusse la diabolica tattica di Krusciov volta a
dissimulare le contraddizioni e i profondi dissensi in seno al
movimento comunista internazionale, ad evitare le critiche e
la denuncia del suo corso revisionista e della sua attività scis­
sionistica. Attraverso questa tattica il gruppo di Krusciov mi­
rava, da una parte, a riversare tutta la colpa sul Partito del La­
voro d’Albania e il PC cinese, i quali erano stati duramente at* Enver Hoxha. Opere, vol. 19, p. 394, 422.
348
taccati e calunniati in un materiale diffuso alle delegazioni alla
vigilia dell’apertura della Conferenza, e, dall’altra, a uscire esso
stesso dallo scontro come alfiere del marxismo-leninismo e del­
l’unità! I kruscioviani, come ha scritto più tardi il compagno
Enver Hoxha, volevano svolgere il ruolo di «procuratori» in que­
sta Conferenza e mettere sotto accusa la delegazione del PLA.
«Ma contrariamente ai loro desideri, fummo noi a diven­
tare i procuratori e gli accusatori dei rinnegati e dei traditori.
Furono loro che finirono per trovarsi al banco degli accusati.
Noi stavamo a fronte alta, perché eravamo con il marxismoleninismo. Krusciov, invece, teneva la testa fra le mani quando
gli piombavano le bombe del nostro Partito»*.
La diretta critica di principio della delegazione albanese
fece accendere la polemica. Le delegazioni degli altri partiti
furono costretti ad esprimere le loro opinioni sui problemi in
discussione. I feroci contrattacchi che i revisionisti sovietici
ed altri scatenarono contro il PLA, allo scopo di neutralizzare
l’effetto-bomba che provocò la voce del PLA, non fecero altro
che rendere questa più forte, più travolgente. L’influenza della
lotta condotta dalla delegazione del PLA fu rifle a anche
nella Dichiarazione comune approvata dalla Conferenza.
Questo documento internazionale esprimeva, nelle sue
grandi linee, i princìpi rivoluzionari marxisti-leninisti. Il ten­
tativo dei revisionisti kruscioviani di imporre al movimento
comunista internazionale la linea revisionista era fallita. La
linea marxista-leninista aveva conseguito una nuova vittoria.
La definizione che la Conferenza di Mosca aveva dato
dell’essenza della nostra epoca come «passaggio dal capitalismo
al socialismo», venne completata nella nuova Dichiarazione in
questi termini: «La nostra epoca, la cui essenza è costituita
dal passaggio del capitalismo al socialismo, iniziata con la
Rivoluzione Socialista d’Ottobre, è l’epoca della lotta fra due
opposti sistemi sociali, l’epoca delle rivoluzioni socialiste e delle
rivoluzioni di liberazione nazionale, l’epoca del crollo dell’im­
perialismo, della liquidazione del sistema coloniale, l’epoca del
passaggio di altri popoli sulla via del socialismo, del trionfo
del socialismo e del comunismo su scala mondiale»**.
* Enver Hoxha, «I kruscioviani», p. 454 dell’ed. italiana (Casa
editrice «8 Nëntori»).
** Dichiarazione della Conferenza degli 81 Partiti Comunisti e
Operai, novembre 1960.
349
In tal modo tu tolta ai revisionisti la possibilità di spe­
culare su di una definizione incompleta dell’essenza delia nostra
epoca e di presentarla come un’epoca di coesistenza pacifica
e di competizione economica senza rivoluzioni e senza lotte
di liberazione.
Vennero altresì respinte numerose tesi revisionistiche con­
tenute nel progetto di dichiarazione formulato dalla direzione
sovietica e che essa applicava in pratica. Tali erano, fra
l’altre, le tesi secondo cui «la coesistenza pacifica è la linea
generale della politica estera dei paesi socialisti»; «le possi­
bilità di passaggio pacifico al socialismo aumentano costantemente»; «al tempo d’oggi è possibile impedire qualsiasi guerra»,
e altre.
Contrariamente al desiderio dei revisionisti kruscioviani,
la Dichiarazione della Conferenza conteneva, nettamente de­
finite, le seguenti tesi: — la natura dell’imperialismo non è
mutata ed esso rimane la base delle guerre d’aggressione;
— l’imperialismo americano è la principale forza d’aggressione
e di guerra; — esso è contemporaneamente baluardo della
reazione mondiale e gendarme internazionale, nemico dei po­
poli di tutto il mondo; — per scongiurare il pericolo di una
guerra mondiale è necessario che tutti i popoli si levino alla
lotta contro l’imperialismo, dirigendo il loro colpo principale
contro l’imperialismo americano e creando un fronte antim­
perialista; — le lotte di liberazione nazionale costituiscono
un’importante forza per prevenire una guerra mondiale; —
queste lotte devono godere del totale appoggio dei paesi so­
cialisti, del movimento operaio e comunista internazionale;
— tutti i partiti marxisti-leninisti sono indipendenti e uguali
fra loro; — essi elaborano mediante consultazioni i loro co­
muni punti di vista e coordinano le loro azioni nella lotta per
gli stessi scopi; e altre.
Fallirono altresì i molteplici sforzi dei revisionisti kruscioviani per non riprendere la formulazione della Dichiarazione
del 1957 che definiva il revisionismo come il principale peri­
colo. Tale definizione venne mantenuta nella nuova Dichiara­
zione. Inoltre, vi era detto che «i partiti comunisti hanno
unanimemente condannato la forma jugoslava dell’opportunismo
internazionale, che è l’espressione condensata delle teorie del
revisionismo attuale. Dopo aver tradito il marxismo-leninismo...
i dirigenti della LCJ hanno staccato il loro paese dal campo
socialista, lo hanno posto alla dipendenza del cosiddetto «aiuto»
350
degli imperialisti americani e degli altri imperialisti... L’ul­
teriore denuncia dei dirigenti revisionisti jugoslavi e la lotta
attiva per difendere il movimento comunista, nonché il movi­
mento operaio, dalle idee antileniniste dei revisionisti jugoslavi,
continuano a essere un imperativo dovere per i partiti marxistileninisti»*.
Nondimeno, nella Dichiarazione si rispecchiavano anche
alcuni apprezzamenti non giusti, come quello concernente il
XX Congresso del PCUS, che rimase immutato nella sua for­
mulazione della Dichiarazione del 1957, nonché altre tesi errate.
Per quanto riguardava questi apprezzamenti e queste tesi errate,
il PLA aveva opinioni del tutto contrarie che esso aveva es­
presso apertamente nel corso della Conferenza. La delegazione
del PLA pose la propria firma in calce alla Dichiarazione
tenendo conto del fatto che il suo contenuto era, nelle sue
grandi linee, corretto.
Il Plenum del Comitato Centrale del PLA tenutosi nel
dicembre 1960 approvò unanimemente e pienamente l’attività
della sua delegazione alla Conferenza degli 81 partiti comunisti
e operai. Esso definì l’atteggiamento della delegazione «risoluto
e di principio», e i suoi interventi e tutta la sua attività
«molto positivi e utili».
Il coraggioso atteggiamento marxista-leninista di principio
delle delegazioni albanesi alla Riunione di Bucarest e alla Se­
conda Conferenza di Mosca, nelle circostanze così complesse
che l’attività dei revisionisti kruscioviani aveva creato, dimostrò
l’elevato grado di maturità rivoluzionaria del PLA. Tale atteg­
giamento divenne un alto esempio per tutti i comunisti alba­
nesi nell’aspra lotta scatenatasi fra il marxismo-leninismo e
il revisionismo moderno. La simpatia delle forze marxiste-le­
niniste rivoluzionarie del mondo intero per il PLA, e il sostegno
che esse gli davano, non fecero che aumentare.
* Dichiarazione della
Operai, novembre 1960.
Conferenza
degli
81
Partiti Comunisti e
351
CAPITOLO VI
IL PARTITO DEL LAVORO D’ALBANIA IN LOTTA PER
L’EDIFICAZIONE INTEGRALE DELLA SOCIETÀ’
SOCIALISTA NELLE CONDIZIONI DEL BLOCCO
IMPERIALISTA-REVISIONISTA
(1961-1965)
1. IL IV CONGRESSO DEL PARTITO. ORIENTAMENTO
VERSO L’EDIFICAZIONE INTEGRALE DELLA
SOCIETÀ’ SOCIALISTA
Il IV Congresso del Partito svolse i suoi lavori a Tirana
dal 13 al 20 febbraio 1961. Partecipavano al Congresso 754
delegati con voto deliberativo e 54 delegati con voto consultivo,
in rappresentanza dei 50.802 membri e dei 2.857 candidati
del Partito.
Il Congresso fece il bilancio delle trasformazioni econo­
miche e sociali compiute, stabilì l’orientamento della nuova
tappa dell’edificazione socialista del paese e approvò le diret­
tive del terzo piano quinquennale.
La trasformazione dei principali
mezzi di produzione e di circola­
zione in proprietà sociale comune,
nonché il passaggio, realizzato nelle sue grandi linee, alla coope­
razione socialista in agricoltura, avevano portato su vasta scala
allo svincolo dall’economia multiforme esistente in precedenza,
la quale cedette il campo a un sistema unico, socialista, del­
l’economia. Nel 1960 la parte del settore socialista era rispet­
Costruzione della base eco­
nomica del socialismo
352
tivamente del 99 e dell’80 per cento nella produzione industriale
e nella produzione agricola globale; essa comprendeva la totalità
del commercio all’ingrosso e il 90 per cento del commercio
al minuto. Il 90 per cento circa del reddito nazionale veniva
assicurato dal settore socialista. Il IV Congresso del Partito,
basandosi su queste radicali trasformazioni economiche e so­
ciali, giunse alla conclusione che nella Repubblica Popolare
d’Albania era stata costruita la base economica dei socialismo
sia nelle città che nelle campagne.
Con il trionfo dei rapporti socialisti nella produzione scom­
parvero le classi sfruttatrici, in quanto classi, nonché lo sfrut­
tamento dell’uomo da parte dell’uomo.
«L’aspetto più caratteristico e fondamentale della struttura
delle classi nei nostro paese nella tappa attuale, poneva in ri­
salto il Congresso, è l’esistenza di due classi amiche, la classe
operaia e le masse rurali cooperaliviste, la loro alleanza sotto
la direzione della classe operaia e il consolidamento, su tale
base, dell’unità del popolo»*.
I rapporti fra queste due classi erano adesso divenuti rap­
porti di fraterna collaborazione e di reciproco aiuto fra lavora­
tori affrancati da qualsiasi specie di sfruttamento.
Nel 1960, gli operai e le loro famiglie rappresentavano
il 22,5 per cento della popolazione totale, i lavoratori delle
campagne il 62,8 per cento e l’intellighenzia popolare il 13,6
per cento. L’instaurazione del sistema di economia socialista
nelle città e nelle campagne portò al consolidamento della
base economica e sociale della dittatura del proletariato, della
democrazia socialista e dell’unità del Partito e del popolo.
Le grandi trasformazioni economiche e sociali, il lavoro di
edificazione socialista, la multiforme attività educativa del Par­
tito portarono a uno spiccato mutamento della figura morale
dell’uomo lavoratore, della sua coscienza e della sua psicologia
verso il lavoro e la proprietà sociale, del suo comportamento
nei riguardi della società e della famiglia. L’ideologia socialista,
in quanto ideologia dominante, operava ormai come una grande
forza nell’ulteriore trasformazione socialista della società, della
coscienza degli uomini e della loro vita materiale.
L’instaurazione dei rapporti socialisti di produzione aprì
* Risoluzione del IV Congresso
del PLA, vol. 3, p. 532.
del
PLA.
Documenti principali
353
vasti orizzonti all’impetuoso sviluppo delle forze produttive e
ai rafforzamento del potere difensivo del paese.
Con la costruzione della base eco­
nomica del socialismo, l’Albania
entrò in una nuova fase storica
della rivoluzione. L’obiettivo stra­
tegico di questa tappa era l’edificazione integrale della società
socialista. Il IV Congresso del Partito stabilì le direttrici di svi­
luppo del paese in tale fase.
Il compito fondamentale per questa fase consisteva nel
portare a termine la costruzione della base materiale e tecnica
del socialismo, sviluppando e elevando a un nuovo e più alto
livello le forze produttive. I primi passi verso la costruzione
della base materiale e tecnica del socialismo erano stati già
compiuti con la nazionalizzazione dei principali mezzi di pro­
duzione e con lo sviluppo dell’economia socialista nel corso
dei precedenti quinquenni. Il Congresso impartì la direttiva
di portare a compimento la totale costruzione di questa base
materiale e tecnica nei quinquenni successivi, durante i quali
l’Albania doveva trasformarsi da paese agricolo-industriale in
paese industriale-agricolo.
La prosecuzione dell’industrializzazione del paese venne
definita principale anello di congiunzione per la piena costru­
zione della base materiale e tecnica del socialismo. Il Congresso
raccomandò di mantenere anche in avvenire la funzione diri­
gente dell’industria socialista nell’economia nazionale. Per lo
sviluppo dell’industria, il Congresso raccomandò di far uso
principalmente delle materie prime esistenti nel paese stesso.
Esso impartì la direttiva di mantenere la priorità dell’industria
pesante, della produzione dei mezzi di produzione.
Il Congresso disponeva di accelerare, parallelamente allo
sviluppo dell’industria, anche quello dell’agricoltura, mirando
a eliminare la sproporzione di sviluppo fra queste due princi­
pali branche dell’economia nazionale. In agricoltura, il principale
compito da portare a termine consisteva sempre nell’in­
cremento della produzione di cereali al fine di assicurare sul
posto le necessità del paese. Il Congresso esigeva nello stesso
tempo un aumento anche degli altri prodotti agricoli per
meglio soddisfare le crescenti richieste della popolazione, i
bisogni dell’industria in materie prime, nonché per incrementare
le nostre esportazioni. La via principale stabilita per lo sviluppo
Per
l’edificazione
inte­
grale delia società socia­
lista
354
dell’agricoltura era quella del continuo aumento dei rendimenti,
senza che per altro fosse sospeso il lavoro di dissodamento
delle terre vergini.
In seguito alio sviluppo e all’elevamento ad un livello
superiore delle forze produttive, fu impartito l’orientamento
di estendere e perfezionare senza soluzione di continuità i
rapporti socialisti di produzione.
Si doveva rafforzare e ampliare la proprietà sociale, —
fondamento dei rapporti socialisti. E a questo si sarebbe giunti
accrescendo nei limiti dei possibile l’accumulazione interna,
collettivizzando le economie agricole individuali nelle zone di
montagna, ragruppando le pìccole cooperative in unità più
grandi, consolidando dal punto di vista economico e organizza­
tivo le cooperative agricole, salvaguardando la proprietà so­
cialista dai danni e dallo sperpero.
Il Congresso diede la direttiva di perfezionare il sistema
di lavoro con le norme, di rafforzare la collaborazione e l’as­
sistenza reciproca fra le varie branche della produzione, fra le
aziende e i collettivi di lavoro, di migliorare il sistema di pia­
nificazione, di organizzare la diffusione dell’esperienza avanzata.
Nel campo della ripartizione, l’orientamento indicato era
di perfezionare l’applicazione del principio della retribuzione
in base alla quantità e alla qualità del lavoro compiuto, di
stabilire le debite proporzionalità nella ripartizione del red­
dito nazionale (tra fondo di accumulazione e fondo di utilizza­
zione), nonché una giusta proporzione fra la ripartizione indi­
viduale e sociale del fondo di utilizzazione.
Sulla base dell’incessante sviluppo delle forze produttive
e dei rapporti di produzione, la classe operaia si sarebbe
accresciuta e rafforzata, l’alleanza della classe operaia e dei
lavoratori delle campagne, sotto la direzione della classe operaia,
doveva temprarsi ulteriormente e il livello di vita materiale
e culturale della popolazione elevarsi costantemente.
In questa nuova tappa dell’edificazione socialista acquistava
grande importanza l’educazione comunista dei lavoratori. «La
piena edificazione della società socialista — rilevava il com­
pagno Enver Hoxha — non può essere concepita senza la
contemporanea formazione dell’uomo nuovo, dotato di idee nuo­
ve, di alte qualità ed eccelse virtù morali»*.
Il Congresso raccomandò che la lotta del Partito per l’edu* Enver Hoxha. Rapporto al IV Congresso del PLA. Opere, vol.
20, p. 267.
355
cazione comunista mirasse innanzi tutto a promuovere un atteg­
giamento profondamente socialista verso il lavoro e la proprietà
sociale, a svellere le concezioni e le abitudini borghesi e piccolo-borghesi radicate nelle coscienze, i pregiudizi religiosi,
le superstizioni e le costumanze retrograde, a inculcare nei
lavoratori una concezione scientifica materialistica del mondo.
Altro compito fondamentale era la salvaguardia delle con­
quiste ottenute e il conseguimento di nuove vittorie nell’edi­
ficazione socialista contro qualsiasi tentativo di sminuire o
di rendere vane tali conquiste, e di restaurare il regime lati­
fondista-borghese.
A tale proposito era chiaro che la scomparsa delle classi
sfruttatrici nel paese non aveva portato all’estinzione della
lotta di classe. Tale lotta doveva svilupparsi aspramente anche
nel corso della fase dell’edificazione integrale della società
socialista. Conseguentemente maggior importanza acquistava la
lotta di classe sul fronte ideologico. Il Congresso pose in ri­
salto che l’attenuazione o la cessazione della lotta di classe,
prepara il terreno alla controrivoluzione all’interno e all’inter­
vento armato dall’esterno e, di conseguenza, alla restaurazione
del capitalismo.
Era indispensabile considerare la lotta di classe all’interno
in stretta relazione con la lotta di classe che si svolge sull’arena
internazionale fra il socialismo, i popoli oppressi e il marxismoleninismo, da una parte, e l’imperialismo, la reazione e il revi­
sionismo dall’altra. L’imperialismo e il revisionismo esercita­
vano una continua pressione sul PLA e sul popolo albanese.
Essi non avevano rinunciato alle loro mire né desistito dai
loro tentativi di rovesciare l’ordine socialista in Albania.
Il costante rafforzamento e perfezionamento della ditta­
tura del proletariato vennero definiti come condizioni indispen­
sabili per l’edificazione integrale della società socialista e per
la difesa del sistema socialista.
Conformemente alle nuove condizioni createsi, le funzioni
essenziali dello Stato socialista dovevano essere estese e ulte­
riormente perfezionate.
Le funzioni di ordine economico e organizzativo, culturale
e educativo, che lo Stato albanese socialista stava esercitando
sin dalla sua fondazione, furono sviluppate in profondità ed
estese nella sfera dell’attività statale. Affinchè tali funzioni
fossero convenientemente esplicate, si doveva migliorare il me­
todo di direzione dell’economia e della cultura da parte degli
356
organi del potere popolare, perfezionare la loro attività di
pianificazione e di organizzazione.
La funzione di difesa della Patria socialista da parte
dello Stato conservava tutta la sua importanza precedente. A
tal fine venne fissato il compito di aumentare la potenza
difensiva del paese, di rafforzare l’Esercito Popolare e tutte
le forze armate, di assicurare la sistematica preparazione mili­
tare dell’intero popolo.
La funzione repressiva, anche dopo la liquidazione delle
classi sfruttatrici, restava una delle principali funzioni dello
Stato. La repressione per via amministrativa era diretta contro
i rimasugli delle classi sfruttatrici e tutti i nemici di classe,
contro gli agenti dell’imperialismo e del revisionismo e contro
gli elementi che attentavano gravemente alla proprietà socia­
lista e alla morale comunista, che violavano le leggi dello
Stato.
Come in precedenza, anche nella fase della edificazione
integrale della società socialista, il Partito del Lavoro d’Al­
bania restava il dirigente e l’organizzatore di tutta la vita
del paese. In connessione con ciò venne fissato come perma­
nente compito fondamentale l’incessante accrescimento delle
capacità di direzione, di organizzazione e di educazione del
Partito, il consolidamento della sua unità, della sua tempra
ideologica e della sua composizione sociale.
La costruzione della base economica del socialismo, la
modificazione della struttura di classe della società, avevano
reso indispensabile la modificazione degli articoli dello Statuto
del Partito concernenti le condizioni di ammissione. Il IV
Congresso abolì la differenziazione dei requisiti per l’ammis­
sione al Partito a seconda dell’origine sociale e stabilì una
norma unica per tutti coloro che chiedevano di esservi ammessi.
L’abolizione dei requisiti differenziati non significava affatto
che il Partito non dava importanza all’origine sociale dei suoi
nuovi membri. Esso avrebbe guidato e diretto, come sempre,
le ammissioni al Partito con la massima cura, ingrossando le
proprie file con i militanti più rivoluzionari, più attivi, più
legati alle masse e più devoti alla causa del Partito e del
popolo. Anche in avvenire la schiacciante maggioranza dei
nuovi aderenti sarebbe stata composta da elementi occupati
nei settori della produzione nelle città e nelle campagne, in
primo luogo da operai dell’industria, delle miniere e dei tra­
sporti, e quindi da membri delle cooperative agricole.
357
Il Congresso elaborò le direttive
del terzo
piano
quinquennale
(1961-1965) di sviluppo economico
e culturale, tenendo presente quale orientamento generale l’edi­
ficazione integrale della società socialista. Queste direttive sta­
bilivano i seguenti compiti principali: il terzo quinquennio do­
veva costituire un importante passo in avanti nella costruzione
della base materiale e tecnica del socialismo; l’Albania doveva
progredire più rapidamente sulla via della sua trasformazione
da paese agricolo-industriale in paese industriale-agricolo; la
produzione agricola doveva aumentare a ritmi ancora più
celeri e, conseguentemente, il livello materiale e culturale delle
masse lavoratrici elevarsi maggiormente.
Il volume globale della produzione industriale, secondo le
previsioni, doveva aumentare ad un tasso medio annuo dell’8,7
per cento. Come sempre, la precedenza sarebbe andata allo
sviluppo dell’industria pesante e soprattutto a quello dell’in­
dustria d’estrazione e di lavorazione dei minerali e del petrolio.
La produzione agricola sarebbe aumentata ad un tasso
medio del 15,5 per cento, dando la precedenza alla produzione
delle colture cerealicole.
Per portare a termine i compiti fissati dal piano, lo Stato
doveva aumentare gli investimenti del 51 per cento in rapporto
a quelli del secondo piano quinquennale. L’82 per cento di
tali investimenti sarebbero stati stanziati a beneficio dei set­
tori produttivi.
L’aumento del reddito nazionale, della retribuzione reale
degli operai e degli impiegati, nonché degli introiti delle masse
contadine, nella misura prevista dal piano, avrebbe assicurato
un notevole elevamento del tenore di vita materiale e culturale
dei lavoratori. I crediti stanziati per le assicurazioni sociali,
per le pensioni di vecchiaia, per l’istruzione e la cultura, per i
giardini e i nidi d’infanzia dovevano essere ancora più ingenti,
mentre l’assistenza medica gratuita doveva venir estesa a tutta
la popolazione, contadini compresi.
Il terzo piano quinquennale prevedeva una grande svolta
nell’organizzazione dell’insegnamento popolare e delle attività
di ricerca al fine di unire più strettamente la scuola e la
scienza alla pratica dell’edificazione socialista, alla vita. Il
numero dei quadri preparati dagli istituti di insegnamento
secondari e superiori doveva aumentare tanto da superare il
doppio di quelli esistenti nel 1960.
Le direttive del
piano quinquennale
358
terzo
La realizzazione del terzo piano quinquennale si basava
principalmente sull’impiego delle risorse, dei mezzi e delle
forze del paese, sull’aumento della produttività del lavoro,
sullo sfruttamento totale delle capacità produttive, sulla sco­
perta e la valorizzazione di tutte le riserve, sulla diminuzione
delle perdite e la soppressione delle spese superflue, e così
via. Contemporaneamente essa si basava anche sull’aiuto che
i paesi socialisti avrebbero fornito all’Albania in virtù degli
accordi conclusi o in via di conclusione.
Il IV Congresso svolgeva i suoi
lavori in condizioni contraddis­
tinte dall’inasprimento della lot­
ta
fra
il
marxismo-leninismo
e il revisionismo in seno al mo­
vimento comunista internazionale.
Il revisionismo era dive­
nuto un gravissimo e diretto
pericolo per le grandi vittorie storiche conseguite dal pro­
letariato, per il socialismo, per il marxismo-leninismo. Al
revisionismo titista s’erano aggiunti il revisionismo kruscioviano e altre correnti. A differenza del vecchio revisio­
nismo di Bernstein, di Kautsky e altri, che era vissuto
grazie alle elemosine della borghesia dominante, il revisionismo
moderno era un revisionismo al potere che disponeva di una
grande potenza economica e militare. Per di più questo revi­
sionismo era a capo dell’Unione Sovietica, del primo Stato
socialista e del Partito Comunista di Lenin e di Stalin. Ciò
costituiva la più grande tragedia che avesse conosciuto il
movimento comunista internazionale. La comune ideologia bor­
ghese nonché l’identità di interessi in molti campi avevano
avvicinato e univano sempre più strettamente i revisionisti
moderni e gli imperialisti, i socialdemocratici e tutti i vari
servitori dell’imperialismo nella lotta contro il comunismo,
contro la rivoluzione.
I revisionisti kruscioviani cestinarono la Dichiarazione del­
la Conferenza dei Partiti Comunisti e Onerai del novembre
1960 sin dall’indomani di tale riunione. Essi applicavano in
tutti i campi il loro corso revisionistico e svolgevano un’atti­
vità scissionistica ricorrendo a brutali forme e metodi di
pressione e di ingerenza negli affari interni dei paesi socialisti
e dei partiti comunisti e operai per imporre loro la propria
Senza combattere il revi­
sionismo non si può com­
battere con successo l’imperialismo, non si può con­
servare l’unità del movi­
mento comunista interna­
zionale
359
linea antimarxista e organizzare un blocco contro tutti quelli
che si opponevano al revisionismo.
In queste condizioni il PLA considerava come uno dei
suoi principali doveri di difendere con vigilanza e di attuare
con continuità la propria linea generale rivoluzionaria, conser­
vare la purezza del marxismo-leninismo, difendere e propa­
gandare i princìpi fondamentali marxisti-leninisti presi a ber­
saglio dai revisionisti.
La lotta fra il marxismo-leninismo e il revisionismo si
svolgeva principalmente intorno ai grandi problemi dell’evo­
luzione mondiale posti sul tappeto e discussi alla Conferenza
degli 81 Partiti Comunisti e Operai, dove il PLA aveva chia­
ramente espresso la sua posizione rivoluzionaria su questi
problemi. Il IV Congresso sanzionò tale posizione. Esso di­
chiarò di approvare pienamente l’operato della delegazione del
PLA, guidata dal compagno Enver Hoxha, alla Conferenza di
Mosca del 1° novembre 1960, nonché gli storici documenti che
vi furono adottati.*
Il Congresso condannò severamente le concezioni revisio­
nistiche sulla collaborazione e la coesistenza delle classi con
interessi opposti nonché gli sforzi di tutti coloro che tentavano
di presentare l’epoca attuale come un’epoca di tranquillità e
di generale armonia, in cui il mondo intero passerà al socia­
lismo senza rivoluzioni, senza insurrezioni e senza guerre di
liberazione. Esso denunciò in particolar modo gli sforzi dei
revisionisti tesi ad annientare la dittatura del proletariato
anche nei paesi socialisti, ribadendo che non solo l’annienta­
mento, ma anche il più piccolo indebolimento di questa, la
sua liberalizzazione per quanto minima, equivarrebbero a un
suicidio per tali paesi.
Secondo l’orientamento del Congresso, il Partito del Lavo­
ro d’Albania doveva tenere sempre alta la bandiera del marxismo-leninismo e del socialismo trionfante e non cessare la
lotta per la salvaguardia e il consolidamento dell’unità del
movimento comunista internazionale.
Il IV Congresso del PLA considerava che per difendere
il marxismo-leninismo e l’unità del movimento comunista in­
ternazionale era indispensabile svolgere una risoluta lotta contro
il revisionismo moderno, annientare la sua attività scissionistica
* Risoluzione del IV
del PLA, vol. 3, p. 547.
360
Congresso
del
PLA.
Documenti
principali
e minatoria. Esso condannò l’atteggiamento dei dirigenti di
alcuni partiti comunisti e operai che avevano rinunciato alla
definizione del revisionismo quale pericolo principale nel movi­
mento comunista internazionale e alla denuncia del revisio­
nismo jugoslavo quale espressione concentrata del revisionismo
moderno, come deciso all’unanimità alla Conferenza di Mosca.
«Senza smascherare spietatamente il revisionismo... non si può
smascherare pienamente l’imperialismo»*. Per tutte queste ra­
gioni il Congresso raccomandava che «la lottà contro il revi­
sionismo continui e venga portata a un livello ancora più alto,
fino alla sua totale liquidazione ideologica e politica. Lottando
risolutamente contro il revisionismo quale pericolo principale,
il Partito deve combattere qualsiasi manifestazione di dogma­
tismo e di settarismo»**.
Pur mantenendo un rigoroso atteggiamento di principio
contro il revisionismo e denunciandone le vedute revisionistiche, il IV Congresso non criticò tuttavia apertamente la
direzione sovietica a proposito di tali vedute, della sua attività
scissionistica in seno al movimento comunista e al campo
socialista, e delle sue attività antialbanesi. Questo il PLA
l’aveva già fatto alla Conferenza di Mosca che era un’as­
semblea di partiti fratelli, nonché nelle riunioni a porte chiuse
del suo Comitato Centrale e delle sue organizzazioni. Esso
non desiderava rendere pubbliche le proprie divergenze con
il PCUS e con alcuni altri partiti. Si atteneva rigorosamente
al principio di appianare i dissensi sorti fra i partiti fratelli
mediante consultazioni, com’era stato deciso all’ultima Confe­
renza di Mosca.
La denuncia dei punti di vista antimarxisti dei revisionisti
moderni da parte del IV Congresso incontrò l’opposizione diret­
ta dei rappresentanti della direzione del PCUS e di alcuni altri
partiti comunisti e operai che partecipavano al Congresso. Al
corrente della posizione marxista-leninista e della risoluta lotta
che la delegazione del PLA aveva sostenuto contro il revisio­
nismo moderno all’ultima Conferenza di Mosca, questi rap­
presentanti erano venuti al IV Congresso del PLA, con la
speciale missione di esercitare una pressione sui delegati del
* Enver Hoxha. Rapporto al IV Congresso del PLA. Opere, vol.
20, p. 283.
** Risoluzione del IV Congresso del PLA. Documenti principali
del PLA, vol. 3, p. 547.
361
Congresso, inducendoli a opporsi alla linea marxista-leninista
rivoluzionaria del loro Partito e a schierarsi all’opposizione nei
confronti della sua direzione.
A tal fine il rappresentante sovietico e alcuni altri pre­
sentarono nei loro interventi tesi contrarie a quelle contenute
nel rapporto del CC del PLA. Ricorrendo al ricatto e alla
demagogia, essi si sforzarono di costringere anche i rappresen­
tanti degli altri partiti comunisti e operai a modificare il
testo dei loro interventi e a non appoggiare la linea del PLA.
Questi atti d’ingerenza dei revisionisti moderni provoca­
rono una viva indignazione fra i delegati al Congresso. Essi
risposero a tale ingerenza esprimendo la propria determina­
zione a proseguire con ancor maggiore vigore la lotta per
la conservazione della purezza del marxismo-leninismo, per
attuare la linea politica rivoluzionaria del PLA e le decisioni
del IV Congresso, rafforzando ancor più l’unità del Partito
intorno al Comitato Centrale con a capo il compagno
Enver Hoxha.
Prima di concludere i suoi lavori il Congresso elesse all’
unanimità il Comitato Centrale del PLA composto di 53 membri
e di 29 candidati. Enver Hoxha venne rieletto alla carica di
Primo Segretario.
Il IV Congresso del PLA è entrato nella storia come il
Congresso che ha aperto una nuova tappa nello sviluppo del
paese, la tappa della piena edificazione della società socialista
e che ha preparato il Partito a sferrare un attacco ideologico
generale contro il revisionismo moderno.
In questo Congresso si manifestò altresì l’unità monolitica
marxista-leninista delle file del Partito e la risoluzione di
questo a conservare e rafforzare questa unità contro qualsiasi
mira e attacco dei revisionisti moderni. Tale unità si espresse
con particolare vigore nei vari interventi il cui sano contenuto
era pervaso da un profondo spirito combattivo e nell’unanime
adozione dei rapporti, della risoluzione e delle direttive circa
il terzo piano quinquennale nonché nell’elezione all’unanimità
dei supremi organi direttivi del Partito.
362
2. IL PARTITO IN LOTTA PER LA REALIZZAZIONE DEI
COMPITI DEL TERZO PIANO QUINQUENNALE.
L’ANNIENTAMENTO DELLE MIRE OSTILI DEI
REVISIONISTI CONTRO LA RPA
La classe operaia, i contadini cooperativisti e l’intellighen­
zia popolare fecero immediatamente proprie le decisioni del
IV Congresso del Partito e mobilitarono tutte le loro forze
per la loro pratica attuazione. Il profondo spirito rivoluzionario
che permeava i lavori e le decisioni del Congresso, suscitò
grande entusiasmo fra le larghe masse lavoratrici e le sostenne
nella loro lotta per superare le difficoltà e gli ostacoli e per
attuare i compiti del terzo piano quinquennale.
Per realizzare i compiti posti dal
terzo piano quinquennale, il Par­
tito concentrò la sua attenzione
sulla migliore utilizzazione possibile di tutte le risorse materiali
e finanziari, sull’instaurazione di un severo regime di risparmio
nell’economia nazionale e in tutta l’attività statale e sociale
del paese.
Il regime di risparmio, in quanto metodo di gestione nel­
l’economia socialista, deriva dal modo socialista di produzione.
La trasformazione socialista dell’economia nazionale, la crea­
zione della proprietà socialista nelle città e nelle campagne,
avevano permesso di estendere la sfera di applicazione del
regime di risparmio, di scoprire nuove riserve all’interno e di
trasformarle in risorse supplementari per lo sviluppo dell’econo­
mia e della cultura D’altro canto, il più razionale sfruttamento
delle riserve interne aiutava direttamente a superare le dif­
ficoltà causate dall’accerchiamento capitalista-revisionistico del
paese.
Inoltre, il Partito prevedeva che in avvenire il gruppo di
Krusciov e i suoi seguaci avrebbero intensificato la loro attività
minatoria contro l’Albania socialista. Ciò rendeva ancor più ne­
cessario l’impiego su più vasta scala e con maggiore parsimonia
delle risorse, delle forze e dei mezzi finanziari interni.
Il PLA sottopose questo problema cosi importante al giu­
dizio delle masse lavoratrici per sollecitare il loro pensiero
creativo e farne in tal modo un problema di tutto il popolo.
Nel corso della vasta consultazione popolare organizzata nel
giugno del 1961, tutti i collettivi di lavoratori delle varie
Rafforzamento
di risparmio
del
regime
363
aziende fecero proposte concrete e di grande valore per l’in­
cremento della produzione senza spese supplementari. L’inizia­
tiva di lavorare tre mesi all’anno con le riserve interne, senza
impiegare pezzi di ricambio e altro materiale d’importazione,
si estese ovunque nel paese. Conseguentemente alla diminu­
zione del costo di produzione, alla riduzione degli investimenti
superflui e prematuri nonché all’adozione di altre misure venne
risparmiata una somma che costituiva il 6 per cento del bilancio
statale.
La consultazione popolare sul regime di risparmio dimostrò
l’elevazione a un più alto livello della maturità politica e del
patriottismo socialista del popolo albanese, la sua prontezza
a rispondere alle esigenze del momento politico. Questa con­
sultazione dimostrò altresì che era indispensabile che le aziende
e le istituzioni statali dimostrassero maggiore attenzione nel­
l’elaborazione dei piani economici al fine di meglio scoprire
e sfruttare le possibilità di sviluppo dell’economia nazionale.
Il Comitato Centrale del Partito analizzò i risultati di
questa consultazione popolare e procedette alla sua sintetizzazione. Su tale base venne posto il compito di dedicare la
massima cura all’impiego con economicità dell’attrezzatura
produttiva, assicurandone un impiego più razionale, sostituendo
le materie prime e i materiali di importazione con quelli locali,
senza peraltro nuocere alla qualità. Importanti economie doveva­
no venir realizzate assicurando un ininterrotto processo di pro­
duzione, il pieno impiego dei macchinari e delle installazioni, il
razionale sfruttamento delle ore di lavoro, la diminuzione delle
spese nella sfera improduttiva, l’aumento dei redditi provenienti
dall’esportazione.
Vaste possibilità di risparmio e molteplici riserve esistevano
anche nel campo degli investimenti. A tale proposito incombeva
alle istituzioni statali di compiere studi approfonditi per sta­
bilire esattamente la convenienza economica delle nuove opere
in progetto, senza trascurarne l’importanza politica.
Il PLA di fronte al sel­
vaggio attacco della dire­
zione revisionista sovietica
Il Partito e le masse lavoratrici
avevano appena iniziato l’attua­
zione dei compiti del terzo piano
quinquennale, quando la direzio­
ne sovietica sferrò un attacco generale contro la RPA sul
fronte politico ed economico, estendendo le divergenze ideo­
logiche anche al campo delle relazioni fra Stato e Stato.
364
Il governo sovietico ruppe unilateralmente tutti gli accordi
regolarmente stipulati fra i due paesi. Esso soppresse totalmente
i crediti che in virtù degli accordi conclusi si era impegnata
a fornire all’Albania dal 1961 al 1965, denunciò tutti gli
accordi commerciali, tecnico-scientifici e culturali, richiamò in
patria in maniera dimostrativa e minacciosa tutti gli specia­
listi sovietici.
Questo comportamento antimarxista, antialbanese, fu ac­
compagnato nell’aprile del 1961 da una lettera del governo dell’URSS al governo della RPA, in cui fra l’altro era detto
che l’Albania «non poteva sperare in avvenire di ricevere come
in passato dall’Unione Sovietica un aiuto a cui hanno diritto
unicamente i veri amici e fratelli»!. In altri termini, la dire­
zione revisionista sovietica proclamava apertamente quel che
già attuava in pratica, e che cioè aveva rinunciato a mantenere
con l’Albania relazioni fraterne e di reciproco aiuto quali
sono confacenti a paesi socialisti. Subito dopo, in maggio,
essa ruppe arbitrariamente gli accordi bilaterali in vigore con­
clusi con l’Albania circa gli impegni assunti nel quadro del
Trattato di Varsavia, sopprimendo completamente l’invio di
armi e di altri mezzi tecnici necessari all’Esercito popolare
albanese. Essa ritirò dinanzi agli occhi del mondo intero le
sue unità navali dalla base di Vlorë e si appropriò degli 8
sommergibili e delle navi da guerra albanesi in riparazione
a Sebastopoli. Queste azioni indebolivano il potere difensivo
della RPA e del campo socialista, eccitavano oltremodo le
brame degli imperialisti americani, dei monarco-fascisti greci
e dei revisionisti cospiratori jugoslavi.
Tuttavia il PLA non condannò pubblicamente questi atti
ostili della cricca di Krusciov. Al contrario, il CC del PLA,
ancora nel luglio del 1961, scriveva al CC del PCUS: «Bisogna
evitare di estendere le divergenze ideologiche esistenti fra
i nostri due partiti al campo delle relazioni fra Stato e Stato,
sia sul piano economico che sul piano politico e militare»*.
Ma i revisionisti kruscioviani non presero in alcuna consi­
derazione questa richiesta e neppure desistettero dai loro at­
tacchi ostili contro il Partito e il popolo albanese. Essi an* Lettera del CC del PLA e del Consiglio dei Ministri della RP
d’Albania indirizzata al CC del PCUS, 6 luglio 1961. Documenti prin­
cipali del PLA, vol. 4, p. 60.
365
nullarono l’Accordo sull’istruzione dei cittadini deila RP d’Al­
bania negli istituti d’insegnamento dell’Unione Sovietica, sop­
pressero le borse di studio di tutti gli studenti regolari albanesi,
civili e militari, espellendoli dall’Unione Sovietica. Sin da allora
essi esclusero di fatto la RP d’Albania dal Trattato di Varsavia,
senza tenere in alcun conto la sovranità del popolo albanese.
Conseguentemente negarono alla delegazione plenipotenziaria
del PLA, guidata dal compagno Ramiz Alia, segretario del
Comitato Centrale, il diritto di partecipare alla riunione dei
rappresentanti dei partiti comunisti e operai dei paesi membri
del Trattato di Varsavia, riunione tenutasi a Mosca nell’agosto
del 1961.
In tal modo i revisionisti kruscioviani organizzarono contro
l’Albania socialista un feroce blocco economico, politico e mi­
litare, accompagnato da una multiforme attività ostile palese e
mascherata. Con ciò essi miravano a creare nella RP d’Al­
bania una situazione d’insicurezza, obbligando il Partito del
Lavoro e il popolo albanese a piegarsi, ad abbandonare la via
marxista-leninista e ad abbracciare il corso revisionistico.
Questo disegno dei revisionisti kruscioviani apparve ancora
più chiaramente al XXII Congresso del PCUS riunitosi nell’ot­
tobre del 1961. Violando brutalmente le Dichiarazioni di Mosca
del 1957 e del 1960 nonché le più elementari norme delle
relazioni fra partiti comunisti e operai fratelli, N. Krusciov
attaccò pubblicamente il PLA con le più vili calunnie e le
più basse accuse. Nel suo rapporto al Congresso, egli giunse al
punto di tacciare la direzione del PLA di «agente dell’imperialismo», «venduta per 30 denari» e di incitare i comunisti alba­
nesi e il popolo albanese alla controrivoluzione!
La direzione revisionista sovietica mirava a sollevare contro
il PLA la totalità dei delegati al Congresso e tutti i rappre­
sentanti dei partiti comunisti e operai del mondo. Ma essa
non riuscì nel suo intento. Parecchi rappresentanti degli altri
partiti e numerosi delegati che presero la parola non si pro­
nunciarono a favore di questo atteggiamento antimarxista della
direzione sovietica.
Intanto Chou En-lai, che cappeggiava la delegazione cinese
al Congresso sovietico, criticò sì l’attacco aperto contro il PLA,
ma solo per quello che riguardava il metodo seguito da
Krusciov, metodo che sbandierava al nemico i dissensi tra i
partili, e non disse nemmeno una parola in difesa degli at­
teggiamenti corretti e della giusta linea del PLA. Egli chiese
366
che la polemica fosse cessata proprio nei momento in cui il
gruppo revisionista di Krusciov aveva brutalmente attaccato il
PLA, che difendeva con risolutezza il marxismo-leninismo. La
cessazione della polemica in quelle circostanze andava solo
a vantaggio del revisionismo moderno. L’atteggiamento di Chou
En-lai dimostrava che la direzione cinese tentennava, che non
era per la lotta risoluta contro il revisionismo kruscioviano.
Svelando così pubblicamente e unilateralmente i disaccordi
esistenti e lanciando apertamente il suo attacco contro il PLA,
il gruppo di Krusciov armò la mano dei nemici assumendosi
in tal modo una responsabilità storica, quella della scissione
dell’unità del campo socialista e del movimento comunista
internazionale.
In queste condizioni il PLA non
poteva tacere. Esso aveva non
solo il diritto, bensì anche il do­
vere di far conoscere pubblica­
mente il proprio punto di vista, di rivelare al movimento
comunista internazionale e all’opinione pubblica mondiale la
verità sulle relazioni fra il PLA e la direzione revisionista
sovietica, sull’attività ostile, antialbanese, di tale direzione.
Attraverso il discorso pronunciato dal compagno Enver
Hoxha il 7 novembre 1961 alla vigilia del 20° anniversario della
fondazione del PLA e del 44° anniversario della Rivoluzione
socialista d’Ottobre, il PLA sottoponeva ad una profonda ana­
lisi marxista-leninista le relazioni albano-sovietiche, dimo­
strava chiaramente, con l’appoggio di fatti, che la tensione
esistente in tali relazioni era causata dalla politica antimarxista
e sciovinistica di grande potenza perseguita da Krusciov e dal
suo gruppo revisionista. Questo gruppo aveva tradito il marxismo-leninismo e la politica tradizionale che il Partito Bolsce­
vico e il governo sovietico avevano seguito senza interruzione
sotto la direzione di Lenin e di Stalin.
Durante i vent’anni della sua esistenza, il PLA aveva
costantemente lottato per rafforzare l’amicizia che univa il
popolo albanese e il popolo sovietico, per stabilire legami
quanto più stretti possibile fra la RPA e l’URSS. Esso aveva
educato i comunisti e il popolo albanese in uno spirito di
fedeltà e di affetto infiniti verso il grande Partito di LeninStalin e verso il primo Stato socialista. L’esperienza del PCUS
Il PLA in lotta aperta con­
tro la direzione revisio­
nista sovietica
367
era stata una fonte d’ispirazione e un prezioso insegnamento
per la rivoluzione popolare e per l’edificazione socialista. La
RP d’Albania aveva ricevuto importanti aiuti internazionalisti,
sebbene insufficienti, dall’Unione Sovietica. Fino all’estate del
1960 la collaborazione tra i due partiti e i due paesi si era
svolta normalmente in linea di massima, indipendentemente
dalle divergenze e dalle opinioni contrarie del PLA su una serie
di azioni e di punti di vista errati del gruppo di Krusciov.
Esprimendo il desiderio e la determinazione del Partito e
dell’intero popolo albanese, il compagno Enver Hoxha rilevò
che anche in avvenire si sarebbero conservati intatti in Al­
bania i sentimenti di schietta amicizia per i popoli sovietici.
Nondimeno il PLA non si sarebbe assolutamente conciliato
con il corso revisionistico del gruppo di Krusciov, non avrebbe
mai accettato di rinunciare alle sue vedute e alle sue convin­
zioni marxiste-leniniste e non si sarebbe mai sottomesso al
diktat kruscioviano.
Il PLA vedeva nella direzione kruscioviana non solo un
nemico suo proprio e dell’intero popolo albanese, ma soprattutto
un nemico del marxismo-leninismo e dell’Unione Sovietica
stessa.
Il compagno Enver Hoxha fece osservare che il criterio
della fedeltà agli insegnamenti del marxismo-leninismo e del­
l’internazionalismo proletario, dell’affetto verso l’Unione Sovie­
tica, non consiste nell’atteggiamento adottato nei confronti del
XX Congresso o del programma approvato dal XXII Congresso
del PCUS. Le decisioni dei congressi di un partito non sono
vincolanti che per i suoi membri. I partiti comunisti e operai
sono uguali e indipendenti. Essi elaborano la loro politica
partendo dalle concrete condizioni dei propri paesi e appog­
giandosi sugli insegnamenti del marxismo-leninismo. I tenta­
tivi dei revisionisti kruscioviani di presentare le tesi oppor­
tunistiche del XX Congresso come norme internazionali obbli­
gatorie per tutti i partiti comunisti e operai non avevano
nulla in comune con gli insegnamenti del marxismo-leninismo
e costituivano inoltre una diretta violazione del principio del­
l’eguaglianza e dell’indipendenza dei partiti marxisti-leninisti.
Contemporaneamente il Comitato Centrale del PLA lan­
ciava un altro appello al nuovo Comitato Centrale del PCUS,
eletto al suo XXII Congresso, perché analizzasse oggettivamente
e con spirito di equità leninista la grave situazione che si
368
era venuta a creare nelle relazioni sovieto-albanesi, a causa
dell’attività antimarxista del gruppo di Krusciov, e prendesse
i provvedimenti necessari alla normalizzazione di tali rela­
zioni*.
A questa richiesta, presentata in uno spirito di franco
cameratismo, il gruppo revisionista di Krusciov rispondeva con
un nuovo atto ostile, senza precedenti nei rapporti fra Stati
socialisti: con la rottura delle relazioni diplomatiche con la
Repubblica Popolare d’Albania. Per giustificare tale atto esso
ricorse all’artificioso pretesto secondo cui «il governo albanese
aveva scatenato nel suo paese una campagna diffamatoria e
ostile contro l’URSS», «questo governo applica con premedita­
zione misure tendenti a ostacolare la normale attività del­
l’ambasciata e della rappresentanza commerciale dell’URSS in
Albania» e così via. In realtà tale atto testimoniava il fallimento
degli sforzi dei dirigenti sovietici per costringere il PLA a
rinunciare alla lotta di principio che esso conduceva contro
il corso revisionistico, nonché dei loro tentativi di imporre a
ogni costo tale corso ad esso.
Impegnandosi in una lotta aperta contro il revisionismo
kruscioviano, il PLA se ne assumeva tutta la responsabilità
sia dinanzi al popolo albanese che dinanzi al movimento co­
munista internazionale. Esso entrava in questa lotta con la
convinzione di uscirne vittorioso, poiché difendeva una causa
giusta, la causa del marxismo-leninismo, la causa del socia­
lismo, poiché, in questa lotta, esso aveva al suo fianco i
comunisti e tutte le forze rivoluzionarie del mondo intero.
Contemporaneamente, per prevenire ogni illusione che ci si
potesse fare circa una facile e rapida vittoria, il Comitato
Centrale preavvertiva che «la lotta che viene imposta al nostro
Partito e al nostro popolo sarà lunga e difficile. Ma le diffi­
coltà non hanno mai fatto paura al nostro Partito e al nostro
popolo»**.
* Lettera del CC del PLA indirizzata al CC del PCUS approvata
nella riunione del Plenum il 12 ottobre 1961 e consegnata all’amba­
sciata delll’URSS a Tirana l’11 novembre 1961. Documenti principali
del PLA, vol. 4, p. 151.
** Dichiarazione del CC del PLA, 20 ottobre 1961, Documenti prin­
cipali del PLA, vol. 4, p. 154.
369
I revisionisti kruscioviani ritene­
vano che, a causa della rottura
delle relazioni diplomatiche e del
blocco economico impostole, l’Al­
bania sarebbe rimasta compietamente isolata e avrebbe finito per piegarsi, essendo un piccolo
paese e, come tale, incapace di far fronte alle pressioni esterne.
Secondo i revisionisti sovietici all’Albania non restavano che
due vie da seguire: o accettare il corso antimarxista del XX
e del XXII Congresso e sottomettersi al loro diktat, oppure
gettarsi fra le braccia dell’imperialismo. Essi avevano fatto
molto male i loro conti sperando che il popolo albanese, spinto
dal suo amore per l’Unione Sovietica, si sarebbe sollevato
contro la direzione rivoluzionaria del suo Partito e del suo
Stato.
I revisionisti kruscioviani miravano altresì a dare una
lezione agli altri paesi di democrazia popolare, mostrando che
se non si fossero sottomessi al loro diktat, sarebbero state
adottate le stesse misure anche nei loro confronti.
L’attività ostile del gruppo di N. Krusciov, svolta in tutte
le direzioni, in campo economico, militare, politico e culturale,
portò grave pregiudizio al popolo albanese. I crediti che do­
vevano venir corrisposti alla Repubblica Popolare d’Albania
in virtù di regolari accordi conclusi con il governo sovietico
costituivano una parte importante degli investimenti del terzo
piano quinquennale. La totale sospensione di tali crediti met­
teva in forse la costruzione di alcune importanti opere di
questo piano. Il volume delle importazioni e delle esportazioni
da e verso l’Unione Sovietica aveva rappresentato per 12
anni consecutivi il 50 per cento degli scambi con l’estero. La
totale rottura delle relazioni commerciali con l’Albania da parte
del governo sovietico creava gravi difficoltà per l’esportazione
dei prodotti albanesi e per l’importazione di macchinari e di
altri prodotti estremamente necessari per lo sviluppo dell’eco­
nomia nazionale. Inoltre, la sospensione dell’aiuto militare
costringeva il governo albanese a gravare oltre misura sull’eco­
nomia del paese per rafforzare il potere difensivo della Patria.
In questa difficile congiuntura le poteneze imperialistiche,
dal canto loro, credettero venuto il momento di attirare la
RP d’Albania nel campo imperialista. A tal fine esse non
tardarono a offrirle crediti mostrandosi pronte a soddisfare le
varie richieste provenienti da essa!
La ferrea unità del popolo
intorno al Partito in lotta
contro i revisionisti kru­
scioviani
370
Però, al pari dei revisionisti kruscioviani, anche gli impe­
rialisti si erano sbagliati di grosso nei loro conti e nelle loro
speranze. Nel suo discorso del 7 novembre 1961 il compagno
Enver Hoxha aveva espresso molto chiaramente i sentimenti
del popolo albanese e la sua decisione di procedere sulla via
del socialismo senza spaventarsi delle difficoltà e degli ostacoli.
«...Il popolo albanese e il suo Partito del Lavoro, egli rile­
vava, vivranno anche di sola erba se sarà necessario, ma non
si venderanno mai per «trenta denari»; essi preferiscono mo­
rire in piedi e nell’onore che vivere nella vergogna e in
ginocchio»*.
All’incitamento dei revisionisti kruscioviani a rovesciare la
direzione del Partito e dello Stato, ai loro attacchi, alle pres­
sioni e ai ricatti, i comunisti albanesi e le larghe masse dei
lavoratori risposero raddoppiando gli sforzi per realizzare i
compiti del piano e serrando ancor più le file intorno al
Partito e al suo Comitato Centrale. La ferrea unità del popolo
e del Partito si elevò a un livello ancora più alto.
Nonostante le difficoltà create dalla soppressione dei cre­
diti e dal rimpatrio degli specialisti sovietici, venne assicurato,
nel suo insieme, la prosecuzione dei lavori nelle opere in via
di costruzione; fu realizzato il piano del 1961 e superata la
produzione industriale, la produzione agricola aumentò del 22
per cento a paragone con l’anno precedente.
Questi risultati resero possibile, pur nelle difficili condi­
zioni del blocco, di non incidere sul livello di vita della
popolazione. Conformemente alle previsioni del piano, nell’ot­
tobre del 1961 si procedette ad un altro ribasso dei prezzi
di vendita al minuto degli articoli industriali.
Il Partito aveva ora dinanzi a sè un altro compito di
grande importanza: assicurare la realizzazione dei piani degli
anni seguenti del quinquennio. Ma per riuscirvi esso doveva
superare grandi e numerose difficoltà.
Queste difficoltà si aggravarono ancor più nel 1962 in
seguito alla soppressione dei crediti accordati in precedenza
all’Albania da parte dei governi di alcuni paesi di democrazia
popolare d’Europa che seguivano il corso e l’esempio del go­
verno sovietico. Pur non interrompendo del tutto, come aveva
fatto il gruppo di Krusciov, i loro rapporti economici con
la EPA, questi governi tardarono intenzionalmente a stipu* Enver Hoxha. Opere, vol. 22, p. 127.
371
lare accordi commerciali con essa e rifiutarono di scambiare
i loro prodotti tanto necessari allo sviluppo dell’economia
albanese con i prodotti albanesi d’esportazione.
Nelle condizioni create dal blocco e dalle pressioni di ogni
specie esercitate dai revisionisti moderni, il poggiare sulle pro­
prie forze acquistava un significato politico più profondo. Ap­
pariva indispensabile rafforzare maggiormente l’ottimismo ri­
voluzionario del popolo, inculcargli una fede incrollabile nelle
proprie forze e nelle proprie capacità creative, la profonda convizione che esso era capace di combattere, di lavorare e di
edificare con successo il socialismo, di conquistare la vittoria e
in qualsiasi situazione, anche la più critica.
Per fronteggiare la situazione che si era venutta a creare,
cioè le difficoltà che dovevano essere superate, per realizzare i
compiti dell’edificazione socialista, dello sviluppo economico e
culturale, nonché della difesa della Patria, servì la consultazione
popolare organizzata dal Partito.
La classe operaia, le masse contadine cooperativiste, l’in­
tellighenzia e la gioventù, rispondendo all’appello del partito,
diedero il via ad un ampio movimento patriottico rivoluzionario
per non lasciare inadempiuto nessun compito. Nel contempo
le masse assieme al Partito proseguivano la lotta contro il
revisionismo kruscioviano e il revisionismo moderno nel suo
complesso, in difesa del marxismo-leninismo e per l’applica­
zione della linea del Partito.
L’incrollabile unità del popolo con il Partito nell’azione
rivoluzionaria per la realizzazione dei compiti, nella lotta contro
l’imperialismo e il revisionismo, si manifestò con tutta la sua
forza nelle elezioni del 3 giugno 1962 per l’Assemblea popolare,
a cui parteciparono e votarono circa 100 per cento degli elettori
per i candidati del Fronte Democratico, per la linea marxistaleninista del Partito.
Nelle condizioni del blocco imperialista-revisionista, un
carattere di ancora maggiore accutezza acquistava la prepara­
zione dei quadri e l’elevamento tecnico e professionale dei
lavoratori.
Questi problemi, così importanti per la completa edifica­
zione della società socialista, vennero esaminati dal Comitato
Centrale in una apposita riunione del suo Plenum. Furono
adottati provvedimenti aventi per obiettivo la preparazione,
durante il quinquennio in corso, di non meno di 118 mila operai
qualificati e l’elevamento del grado di istruzione degli operai
372
al livello richiesto dalla tecnica avanzata. Particolare atten­
zione fu dedicata ad un migliore formazione dei tecnici medi e
all’elevamento del loro ruolo. Inoltre fu migliorato il lavoro per
la preparazione e l’ulteriore qualificazione e specializzazione
dei quadri superiori. Un maggior numero di specialisti fu im­
piegato nel lavoro di ricerca scientifica.
Contemporaneamente fu ampliato il lavoro per la tempra
ideologica rivoluzionaria dei quadri e dei specialisti in tutti
i rami. Questo fu d’aiuto agli intellettuali e a tutti i quadri
per l’approfondimento delle loro convinzioni rivoluzionarie
marxiste-leniniste, per la loro più attiva partecipazione alla
lotta contro l’influenza dell’ideologia borghese e delle teorie
opportunistiche e revisionistiche.
Il lavoro ideologico del Partito e l’azione rivoluzionaria
svilupparono ulteriormente in tutti i lavoratori lo spirito di
sacrificio e di abnegazione, la determinazione a superare le
difficoltà.
Parallelamente alla lotta per la realizzazione dei compiti
economici del terzo piano quinquennale, il PLA dedicò una
particolare attenzione all’accrescimento del potere difensivo del
paese e alla creazione delle riserve di Stato per essere in grado
di far fronte a ogni situazione, a qualsiasi imprevisto.
3. I COMPITI PER L’ULTERIORE SVILUPPO
DELL’AGRICOLTURA SOCIALISTA
Il problema della campagna, del suo sviluppo, restava
sempre un problema di particolare importanza.
Negli anni che seguirono la Liberazione, grandi trasforma­
zioni erano state compiute in agricoltura. Nel 1961 la produ­
zione agricola globale era raddoppiata nei confronti del 1938.
Nella prima fase dell’edificazione socialista, il PLA perseguì
principalmente una politica di estensione dell’agricoltura. In
quel periodo esso non poteva fare altrimenti, essendo il paese
privo di mezzi meccanici, di un sistema di bonifica e di irriga­
zione, di quadri qualificati, di concimi chimici, e così via. Sino
al 1961, l’aumento generale della produzione agricola derivava
nella misura del 62 per cento dall’ampliamento delle superfici
lavorabili e solo del 38 per cento dal maggiore rendimento delle
colture. Lo sviluppo dell’agricoltura in questa via non rispon­
deva più alle esigenze derivanti dal rapido accrescimento della
373
popolazione, dall’aumentato potere d’acquisto, nonché dall’espan­
sione dell’industria e delle esportazioni. Affinchè l’agricoltura
si sviluppasse a ritmi accelerati, era necessario che essa imboc­
casse la via della sua intensificazione.
Per lo sviluppo intensivo
dell’agricoltura
Tale importante problema venne
esaminato dal Plenum del Co­
mitato Centrale del Partito, nel­
l’ottobre del 1962.
Il processo dello sviluppo intensivo dell’agricoltura, rile­
vava il Plenum, è un processo multiplo. Esso richiedeva il si­
stematico aumento degli investimenti, un maggior numero di
mezzi meccanici, l’estensione delle superfici bonificate e del
sistema di irrigazione, un largo impiego di concimi chimici e
organici, il continuo progresso della tecnica agricola per ren­
dere più fertili i terreni e ottenere dalle stesse superfici una
maggiore produzione agricola e pastorizia con una spesa minima.
La collettivizzazione dell’agricoltura, la creazione delle gran­
di aziende socialiste, la loro dotazione di potenti mezzi mecca­
nici, la costruzione di vasti sistemi di irrigazione e di drenaggio,
l’impiego su larga scala di sementi selezionate, l’aumento del
numero dei quadri specializzati, il dissodamento delle terre
vergini, ecc., costituivano le condizioni preliminari indispensabili
per il passaggio a un’agricoltura intensiva.
Per assicurare la realizzazione del grande compito costituito
dallo sviluppo intensivo dell’agricoltura, il Comitato Centrale
incaricava gli organi del Partito e dello Stato di esigere ferma­
mente l’applicazione di una tecnica agricola moderna nonché
la mobilitazione di tutte le riserve interne al fine di garantire
un costante incremento della produzione agricola, un’aumentata
partecipazione al lavoro e l’impiego ottimale della forza lavoro
durante tutto l’anno, lo sfruttamento massimo degli attrezzi
di lavoro e dei terreni disponibili.
Il passaggio da un’agricoltura estensiva a un’ agricoltura
intensiva rappresentava un altro grande passo, una nuova tappa
nell’ulteriore sviluppo socialista dell’agricoltura.
Il Partito condusse un apposito lavoro di organizzazione e
di chiarimento affinché le direttive del Comitato Centrale per
l’intensificazione dell’agricoltura fossero applicate. Di conse­
guenza crebbe sensibilmente la mobilitazione dei lavoratori in
agricoltura e la media annuale delle giornate lavorative com­
piute da ogni cooperativista, furono ammassati maggiori quan374
tita di concimi organici e impiegati su più vasta scala. Inoltre
l’irrigazione fu estesa ad altre migliaia di ettari di terreno colti­
vabile; la piantaggione degli alberi frutticoli, delle vigne e
degli agrumi assunse il carattere di un movimento di massa.
Frattanto lo Stato proseguiva su più vasta scala i lavori di
bonifica, di scavo di nuovi canali di drenaggio e di irrigazione.
Superando gli ostacoli frapposti dal blocco, esso non cessò la
sua opera di rafforzamento e di sviluppo della meccanizzazione
agricola, quantunque non pienamente nella misura prevista dal
piano quinquennale.
Nello stesso tempo continuava anche il lavoro per il disso­
damento delle terre vergini, specialmente nelle zone collinari.
Però in questo campo le riserve esistenti erano superiori al
previsto e nel periodo 1961-1965 non vennero sufficientemente
sfruttate.
La trasformazione socialista
delle campagne richiedeva
non solo lo sviluppo delle
forze produttive in agricol­
tura, l’aumento della pro­
duttività del lavoro, ma anche un radicale miglioramento della
situazione economica, sociale e culturale delle campagne, il per­
fezionamento dei rapporti socialisti di produzione.
Le nuove condizioni create nelle campagne avevano por­
tato vari mutamenti nel modo di vita dei contadini. Si era veri­
ficata un’evoluzione nella maniera di alimentarsi e di vestire.
Il numero delle scuole, degli alunni e degli istituti sanitari e
culturali era aumentato ed erano stati istituiti nidi e giardini
d’infanzia.
Ma tutto ciò non costituiva che un primo passo sulla lunga
via che bisognava percorrere per liquidare le spiccate disparità
essenziali fra la campagna e la città, disparità che dipendono
dal grado di sviluppo delle forze produttive, della socializza­
zione degli attrezzi di lavoro e del lavoro stesso, dalle condizioni
e dal modo di vita, dallo sviluppo della cultura, dell’istruzione,
della sanità pubblica, e così via.
Il problema del radicale miglioramento della situazione eco­
nomica, sociale e culturale delle campagne, la riduzione del
divario fra città e campagna, venne analizato dal Plenum del
Comitato Centrale del Partito nel giugno del 1963. «Il Partito
pone oggi con tale forza questo grande problema, — venne
Per un radicale migliora­
mento
della
situazione
economica, sociale e cultu­
rale nelle campagne
375
ribaditto al Plenum — poiché la sua soluzione costituisce una
necessità oggettiva, dettata dalla stessa nuova fase dello sviluppo
storico del nostro paese — l’edificazione integrale della società
socialista.»*
Il miglioramento del benessere delle campagne doveva so­
prattutto poggiare sullo sviluppo delle forze produttive, sull’incremento della produzione agricola e zootecnica, principal­
mente attraverso l’aumento dei rendimenti, applicando in tal
modo l’orientamento sull’intensificazione dell’agricoltura.
Un’altra via verso tale obiettivo doveva essere il perfezio­
namento dei vari aspetti dei rapporti di produzione, in primo
luogo la determinazione di proporzioni ottimali nella distribu­
zione della produzione agricola e zootecnica, in modo da garan­
tire al massimo l’ampliamento della riproduzione allargata, le
necessità generali dello Stato nonché quelle degli stessi con­
tadini.
Il Plenum dedicò particolare attenzione all’armonizzazione
dei rapporti tra il fondo di accumulazione e il fondo di consu­
mo nelle cooperative agricole. Vennero criticate le tendenze
errate riscontrate in alcune cooperative, come la fissazione del
fondo di accumulazione a un livello inferiore alle possibilità
economiche di riproduzione allargata, o le spese eccessive nei
settori improduttivi.
Il Plenum rilevò che in alcune cooperative agricole delle
zone di montagna i profitti derivanti dagli appezzamenti indi­
viduali erano pari o anche superiori a quelli dell’azienda collet­
tiva. Per eliminare questo fenomeno transitorio, gli organi del
Partito e dello Stato furono incaricati di studiare in modo parti­
colare questo problema e di prendere i debiti provvedimenti
per incrementare il reddito dell’azienda collettiva. Contem­
poraneamente si raccomandò di procedere con prudenza in tale
questione poiché ogni azione precipitata poteva portare a con­
seguenze negative. Perciò bisognava continuare a curare che gli
appezzamenti individuali venissero sfruttati il meglio possibile
affinché i contadini potessero aumentare i loro redditi e miglio­
rare il proprio benessere.
Allo scopo di aumentare i redditi dei contadini fu inoltre
giudicato necessario farli partecipare quanto più largamente
* Enver Hoxha. Rapporto «Sulla situazione economica, sociale e
culturale della campagna e le misure tendenti al suo ulteriore miglio­
ramento». Documenti principali del PLA, vol. 4, p. 302.
376
possibile al lavoro produttivo, limitare al minimo il numero
delle giornate di lavoro nei settori improduttivi organizzare
su vasta scala in ogni cooperativa delle attività ausiliarie alio
scopo di assicurare ai suoi membri un reddito supplementare.
Il Plenum definì quale importantissimo problema sociale
la trasformazione e il miglioramento del modo di vivere nelle
campagne, essendo questo rimasto indietro in paragone ai rap­
porti socialisti di produzione. Tale contraddizione aveva la sua
origine nel livello relativamente basso della produzione, nelle
concezioni antiquate ereditate dal passato ed esistenti nella
coscienza degli uomini, nel basso livello culturale delle masse
rurali.
Per ottenere il cambiamento di questo modo di vita, il Ple­
num impartì la direttiva di giungere progressivamente a un
radicale miglioramento della struttura dei prodotti alimentari,
del modo di preparare e di usare il cibo da parte dei contadini,
a un miglioramento del vestiario, a un più largo impiego di
mobili e di utensili casalinghi per rendere la vita al villaggio
più igienica e più progredita. Venne fissato il compito di diffon­
dere sempre più ampiamente i servizi comunali e artigianali
nelle campagne, di assicurare la sistemazione dei villaggi secon­
do un piano regolatore, la costruzione di case belle, igieniche e
a buon mercato, la diffusione dell’illuminazione elettrica, l’ap­
provvigionamento di acqua potabile, l’ampliamento della rete
di comunicazioni e di telecomunicazioni fra i villaggi e le città
e fra i villaggi stessi nonché della rete delle istituzioni sanitarie
e di rendere gratuita anche per i contadini l’assistenza medica
presso gli istituti di cura.
Per assicurare l’elevamento del livello d’istruzione e di
cultura delle masse contadine, venne fissato il compito di ampliare la rete delle scuole di otto anni nelle campagne adope­
randosi a farle frequentare da tutta la gioventù contadina. Il
Comitato Centrale esigeva il rafforzamento del ruolo della scuola
in quanto centro principale di diffusione della cultura e del
sapere fra la popolazione rurale.
Un altro compito fondamentale, rilevava il Plenum, era l’af­
francamento delle masse contadine dalla vecchia psicologia piccolo-borghese, dal sentimento della proprietà privata e la sua
educazione secondo le norme della morale socialista.
Per raggiungere tale obiettivo il Partito doveva compiere
sforzi e condurre un’intensa e continua lotta contro le conce­
zioni, i pregiudizi e i costumi retrogradi, specie contro i costu­
377
mi retrogradi che avvilivano la donna, al fine di farne una
degna combattente nella lotta per l’edificazione della società
socialista.
Uno dei più importanti obiettivi dell’opera politica di chia­
rimento del Partito doveva essere la distruzione della mentalità
predominante nelle campagne, che consisteva nell’accontentarsi
di poco. Questo modo di pensare ostacolava gli sforzi delle
masse rurali tendenti a migliorare il loro benessere, a trasfor­
mare il loro modo di vita e a sviluppare le forze produttive.
Le decisioni dei Plenum del CC del PLA dell’ottobre 1962 e
del giugno 1963 armarono il Partito e tutti i lavoratori di un
combattivo programma di lotta per l’ulteriore sviluppo del­
l’agricoltura per il radicale miglioramento delle condizioni eco­
nomiche, sociali e culturali delle masse contadine, per la ri­
duzione delle differenze essenziali tra città e campagna durante
il periodo della completa edificazione della società socialista.
4. RAFFORZAMENTO DEL LAVORO ORGANIZZATIVO
E IDEOLOGICO DEL PARTITO PER L’EDUCAZIONE
COMUNISTA DEI LAVORATORI. FELICE
ATTUAZIONE DEI COMPITI ECONOMICI
I duri anni di lotta che seguirono il IV Congresso, confer­
marono ancora più chiaramente la giustezza della linea generale
del PLA, dimostrarono la sua determinazione e quella dell’intero
popolo di procedere sulla via tracciata dal Congresso.
Ma la felice attuazione dei grandi compiti che si prospetta­
vano, nelle condizioni dell’ostile accerchiamento del paese e
della lotta contro l’imperialismo e il revisionismo moderno era
indispensabile rafforzare ulteriormente il Partito tanto sul piano
organizzativo che su quello ideologico, elevare ancor più la sua
funzione dirigente, perfezionare l’opera di educazione rivolu­
zionaria dei lavoratori.
Alla soluzione dei problemi organizzativi e ideologici il
Partito dedicò un’attenzione maggiore di quanto non avesse
mai fatto in precedenza.
L’ulteriore
rafforzamento
organizzativo del Partito
La lotta per l’ulteriore raffor­
zamento organizzativo del Par­
tito si sviluppò secondo varie
direttrici: verso la fedele applicazione dei princìpi marxistileninisti sulla struttura e sulla funzione del partito rivoluzio­
378
nario della classe operaia; verso lo smascheramento delle tesi
revisionistiche sul Partito; contro la violazione delle norme dello
Statuto; verso il miglioramento della composizione del Partito
e l’ingrossamento delle sue file; verso il rafforzamento della
direzione politica degli organi e delle organizzazioni di base
del Partito; verso l’elevamento del livello ideologico dei co­
munisti.
«Ogni allontanamento dai princìpi leninisti, — rilevava il
Comitato Centrale, — ogni menomazione della funzione dirigente
del Partito, creano il grave pericolo che la classe operaia resti
disarmata nella sua lotta. Questo è all’origine dei mali e delle
manifestazioni estranee alla nostra dottrina in seno al Partito,
della sua degenerazione ideologica e organizzativa, della sua
decomposizione e quindi della sua liquidazione»* Di ciò si aveva
una perfetta dimostrazione nella degenerazione dell’ex partito
comunista jugoslavo in un partito social-sciovinista borghese.
Su tale via i revisionisti kruscioviani avevano portato il Par­
tito comunista dell’Unione Sovietica.
Il PLA condannò la tesi kruscioviana proclamata al XXII
Congresso del PCUS sulla sostituzione del partito del proleta­
riato con il «partito di tutto il popolo», come una tesi profon­
damente antimarxista. Una simile tesi di contenuto social-democratico era stata a suo tempo confutata dallo stesso V. I.
Lenin. La lotta rivoluzionaria del proletariato e di tutte le
masse oppresse aveva pienamente dimostrato la giustezza degli
insegnamenti di Marx, Engels, Lenin e Stalin sul ruolo del par­
tito della classe operaia in quanto avanguardia di questa classe,
dirigente della rivoluzione socialista e dell’edificazione della
società socialista e comunista. Solo quando le classi saranno
del tutto scomparse (tenendo altresì conto dei fattori esterni),
soltanto allora non sarà più necessaria la presenza di un par­
tito politico della classe operaia e avrà termine la funzione di
avanguardia della classe operaia e del suo Partito.**
La proclamazione del partito come «partito di tutto il po­
polo» e la sostituzione della dittatura del proletariato con lo
«Stato di tutto il popolo» portarono alla liquidazione del ruolo
dirigente della classe operaia in Unione Sovietica. A tal fine
* Rapporto dell’Ufficio Politico «Sull’ulteriore rafforzamento del
Partito», presentato al Plenum del CC del PLA, 13 dicembre 1963.
Documenti principali del PLA, vol. 4, p. 390.
** Ibidem, p. 392.
379
servì anche la riorganizzazione del partito unicamente sulla
base della produzione, che il gruppo di Krusciov mise in atto
(dopo il XXII Congresso) liquidando gli organi del partito esi­
stenti e istituendo, al loro posto, comitati e istanze industriali
e agricole nonché procedendo alla loro fusione con gli organi
statali.
Il PLA denunciò e si oppose a queste tesi e pratiche revi­
sioniste sul Partito. Tale lotta lo aiutava a mettere meglio e
più correttamente in pratica gli insegnamenti marxisti-leninisti
sul partito rivoluzionario della classe operaia, insegnamenti a
cui si ispiravano le direttive impartite dal IV Congresso per
l’ulteriore perfezionamento e consolidamento organizzativo del
Partito.
In conformità con tali direttive, la schiacciante maggioranza
dei nuovi ammessi al Partito dopo il IV Congresso era composta
da persone impegnate nel lavoro produttivo, provenienti dalle
file della classe operaia e delle masse lavoratrici delle cam­
pagne. Durante tale periodo la composizione del Partito, in
riferimento all’origine sociale dei suoi membri, subì ulteriori
mutamenti: gli operai costituivano il 33 per cento del numero
totale dei membri del Partito, i cooperativisti rurali il 26 per
cento, gli impiegati il 37 per cento e gli altri il 4 per cento.
L’accrescimento numerico delle file del Partito e il rinvi­
gorimento della sua composizione riflettevano i mutamenti av­
venuti nella struttura delle classi, la crescita quantitativa e
qualitativa della classe operaia, la trasformazione socialista delle
campagne. L’arricchimento del Partito in operai e, più general­
mente, in uomini della produzione, portò al consolidamento
della vita interna delle organizzazioni del Partito e all’eleva­
mento a un più alto livello della loro funzione dirigente nel­
l’economia. Ciò costituiva altresì la prova degli stretti legami
esistenti fra il Partito e le masse lavoratrici.
La dinamica, generalmente soddisfacente, della crescita e
della composizione sociale del Partito, attestava l’accurato la­
voro delle sue organizzazioni per infondervi sangue nuovo.
Nonpertanto, si verificarono alcuni casi indicanti che le racco­
mandazioni del IV Congresso e del Comitato Centrale non erano
state osservate dappertutto e per ogni nuovo aderente. Non era
stato tenuto presente ovunque come criterio d’ammissione al
partito le qualità che doveva avere il candidato. A tale propo­
sito testimoniava anche il fatto che il 18 per cento dei
membri espulsi dal partito durante gli anni 1961-1965 era co­
380
stituito da comunisti ammessi nel corso dello stesso quinquen­
nio. Non si poteva considerare normale il fatto che le donne
costituivano solo il 12,5 per cento del numero totale dei comu­
nisti e solo il 3 per cento del totale delle donne aventi rap­
porti di lavoro (città e campagne comprese), mentre questa
percentuale per gli uomini raggiungeva il 16 per cento. Ciò
indicava che le organizzazioni del Partito non rispondevano a
dovere all’impeto rivoluzionario delle donne e alla loro attiva
partecipazione in tutti i campi dell’edificazione socialista.
Il Partito dedicò una particolare attenzione all’estensione
delle sue organizzazioni di base e delle sue forze in funzione dei
compiti dell’edificazione socialista. La massima parte delle or­
ganizzazioni di base create dopo il Congresso operavano nei
settori produttivi dello Stato. Nello stesso tempo, pochissimi
villaggi rimasero ancora privi di organizzazioni di base del
Partito. Tuttavia la ripartizione delle forze del Partito non po­
teva essere considerata pienamente attuata secondo criteri
scientifici. Il 68 per cento dei comunisti risiedevano nelle città,
e soltanto il 32 per cento nelle campagne, quantunque la popo­
lazione rurale fosse il doppio di quella urbana. Non si poteva
neppure ritenere giusto che in alcuni distretti il numero dei
comunisti fosse più elevato nelle zone di montagna che in quelle
di pianura, maggiore nel commercio che nell’industria, nel­
l’edilizia e nei trasporti.
Il Comitato Centrale attirò l’attenzione dei membri sui pro­
blemi posti in risalto dall’esperienza della lotta per il rafforza­
mento organizzativo del Partito e chiese che a tale questione
fondamentale fosse dedicata una cura più intensa.
L’instaurazione dei rapporti so­
cialisti e il vasto lavoro politico­
educativo svolto dal Partito ave­
vano costantemente ristretto la
sfera d’influenza dell’ideologia borghese. Nella coscienza dei
lavoratori si stava inculcando sempre più l’ideologia proletaria.
Tuttavia, tra i lavoratori esistevano ancora, in misura va­
riabile, concezioni ereditate dal passato, costumanze abitudini
e mentalità feudali e patriarcali che si manifestavano nella loro
vita e nel loro lavoro quotidiano. Altre manifestazioni nocive
avevano la loro origine nella diversione ideologica imperialistarevisionista che si era intensificata molto in seguito al tradi­
mento dei kruscioviani e della diffusione del revisionismo mo­
L’educazione comunista dei
lavoratori — fondamen­
tale compito del Partito
381
derno in seno al movimento comunista internazionale. Le con­
cezioni e le manifestazioni estranee alla nostra ideologia costi­
tuivano un grande pericolo interno per il socialismo in Albania,
una base su cui poggiava il nemico di classe.
Per sbarare il passo a tale pericolo e per andare avanti
sulla via della completa costruzione della società socialista,
era necessario rafforzare il lavoro per l’educazione comunista
dei lavoratori, secondo l’orientamento impartito dal IV Con­
gresso del Partito. Il Comitato Centrale del Partito sollevò tale
questione d'importanza fondamentale in un’aperta riunione del
suo Plenum, del luglio del 1964.
In base alle direttive impartite dal Plenum furono addottati
provvedimenti affinché il Partito svolgesse un più intenso più
vivo e più fruttuoso lavoro educativo e ideopolitico.
Il principale scoppo di questo lavoro doveva essere l’edu­
cazione degli uomini a un atteggiamento socialista verso il
lavoro. Per il conseguimento di tale obiettivo il Partito e le
sue leve concentrarono la loro attenzione nella lotta per assi­
curare una partecipazione quanto più attiva di ogni cittadino
abile a un lavoro sociale utile, estirpando le manifestazioni, di
pigrizia e di parassitismo, e radicando nella coscienza di cia­
scuno il concetto che bisogna vivere col proprio sudore e porre
tutte le proprie capacità fisiche e intellettuali al servizio del
socialismo e della difesa del paese. Ciò esigeva il rafforza­
mento dell’amore per ogni genere di lavoro e il rispetto per
tutti i lavoratori all settore produttivo, educando la gente ad
esser pronta a lavorare in ogni settore dell’economia e ovunque
lo richiedessero gli interessi del socialismo. Tutto ciò richie­
deva anche una disciplina e un ordine esemplari sul lavoro,
il massimo sfruttamento del tempo di lavoro, un lavoro di alto
rendimento e di alta qualità.
Il Partito si impegnò inoltre a legare strettamente l’atteg­
giamento socialista dei lavoratori verso il lavoro al loro atteg­
giamento socialista verso la proprietà sociale. Poggiando forte­
mente sulla base economica del socialismo in città e in campagna
ed anche sulla proprietà sociale, il Comitato Centrale chiese
che fosse intensificato e perfezionato il lavoro di educazione
ideologica e politica coi lavoratori volto a sradicare dalla loro
coscienza il sentimento della proprietà privata, la psicologia
piccolo-borghese creata da secoli. Questo sentimento e questa
psicologia erano all’origine delle molte manifestazioni estranee
alla psicologia socialista, quali i danneggiamenti, lo sperpero e
382
l’appropriazione indebita della proprietà socialista, l’insufficiente
sfruttamento delle capacità produttive, la dissimulazione delle
riserve, ecc. In base alle raccomandazioni del CC, fu approfon­
dita la lotta contro tali manifestazioni, migliorato il lavoro volto
a creare e rafforzare la psicologia socialista sulla proprietà, in
modo che ogni lavoratore considerasse la proprietà sociale come
base intangibile dell’ordinamento socialista e la custodisse come
la pupilla dei suoi occhi, rafforzandola e ampliandola senza posa.
La subordinazione dell’interesse personale all’interesse ge­
nerale di tutto il popolo, del socialismo, costituiva l’essenza del­
l’atteggiamento socialista verso il lavoro e la proprietà sociale.
Ponendo l’accento sull’interesse generale, il Partito non mette
da parte l’interesse personale. Esso lavora per stabilire legami
sempre più giusti fra l’interesse generale e l’interesse personale,
e conseguentemente anche fra l’incentivo morale e l’incentivo
materiale.
Il CC spiegò chiaramente che il rapporto fra l’incentivo
morale e l’incentivo materiale deve necessariamente modificarsi
di pari passo con il progresso socialista del paese. Il consolida­
mento dell’ordinamento socio-economico socialista, l’elevamento
del tenore di vita del popolo e del grado della sua coscienza
socialista, rendono possibile elevare sempre più il ruolo pre­
valente dell’incentivo morale.
A tale proposito, il PLA condannò i punti di vista dei revi­
sionisti moderni, i quali distorcono intenzionalmente gli insegnamenti di Lenin sul ruolo dell’incentivo materiale, lo pongono al
di sopra di tutto e lo proclamano principale forza motrice del­
l’attività produttiva dei lavoratori nel socialismo.
La lotta volta a porre l’interesse generale al di sopra del­
l’interesse personale fu combinata con la lotta che veniva svol­
ta per conservare la purezza della figura morale dei comunisti
e di tutti i lavoratori, in quanto rivoluzionari dotati di qualità
morali e politiche comuniste, in quanto uomini onesti, giusti e
attaccati ai princìpi. Tale lotta prese a bersaglio soprattutto
le tendenze che si manifestavano in alcuni lavoratori e comu­
nisti, e cioè di assicurarsi una vita facile, profitti e privilegi
illeciti sia per sé che per i propri parenti, abusando della fun­
zione di cui il Partito e il popolo li avevano investiti nonché
le manifestazioni di burocratismo, di nepotismo, di favoritismo,
di intercessioni ingiustificate, di sregolatezza della vita familiare,
di avvilimento della personalità della donna, di conservatori­
smo, di costumi retrogradi, di pregiudizi religioni ecc.
383
Questo lavoro evidenziò che solo un passo separa la dege­
nerazione morale dalla degenerazione politica.
Il Partito pose anche un altro importante obiettivo nel
campo dell’educazione: mantenere e sviluppare incessantemente
il patriottismo tradizionale del popolo albanese, dotare tale
patriotismo di un contenuto proletario, socialista. Nel quadro
di questa lotta furono colpite alcune manifestazioni dannose e
pericolose, quantunque isolate, fra cui ogni atteggiamento sprez­
zante verso ciò che è albanese, ogni idealizzazione e ammira­
zione servile di ciò che è straniero, ogni espressione di disistima
delle capacità degli specialisti, dei lavoratori e dei contadini
albanesi, ogni sopravalutazione degli specialisti stranieri, ogni
prosternazione davanti all’arte, alla letteratura e alla musica
occidentali, ecc.
Per l’educazione dei lavoratori nel sentimento del patriot­
tismo socialista, il Partito diede una grandissima importanza
politica, nelle condizioni concrete del momento, alla più pro­
fonda comprensione del principio di poggiare sulle proprie forze.
«Il principio di poggiare sulle proprie forze è un principio mar­
xista-leninista, rivoluzionario e internazionalista. Esso deriva dal
fatto che la questione della rivoluzione e dell’edificazione socia­
lista è soprattutto una questione interna di ogni paese e che
le forze interne rivoluzionarie di ogni popolo costituiscono il
fattore decisivo del suo successo»*.
L’educazione patriottica rivoluzionaria dei lavoratori, come
sempre, fu strettamente connessa con l’educazione delle masse
nello spirito dell’internazionalismo proletario, della solidarietà
e dell’amiciza con i popoli dei paesi socialisti, con la classe
operaia e con i popoli e le forze rivoluzionarie, antimperialiste
del mondo intero.
Il lavoro educativo mirava nel far radicare nella coscienza
e nell’attività pratica degli uomini il metodo dell’analisi di clas­
se, della visione, dei vari fenomeni sociali attraverso il prisma
della classe, mettendo al di sopra di ogni altra cosa gli interessi
di classe del proletariato, del popolo, del socialismo. Il metodo
dell’analisi di classe permette ai comunisti e ai lavoratori di
non cadere nel tranello della propaganda borghese e revisionistisca, di non scivolare nell’opportunismo e nel settarismo,
* Rapporto dell’Ufficio Politico «Sull’ulteriore rafforzamento del
lavoro ideologico del Partito per l’educazione comunista dei lavo­
ratori», presentato al Plenum del CC del PLA, luglio 1964. ACP.
384
li aiuta ad accrescere la loro vigilanza rivoluzionaria, ad essere
attaccati ai princìpi e combattivi nella lotta, sul lavoro e nella
vita.
Il Partito dedicò particolare attenzione all’educazione rivo­
luzionaria delia gioventù in uno spirito di classe, la quale ha
costituito e costituirà sempre la forza più attiva della rivo­
luzione e del socialismo.
In tutto il suo lavoro di educazione rivoluzionaria dei la­
voratori, il Partito si è guidato dal principio marxista-leninista,
secondo il quale le condizioni materiali, le trasformazioni so­
cio-economiche socialiste, creano una coscienza socialista, ma di
un livello molto basso; l’alta coscienza rivoluzionaria, necessa­
ria alla costruzione del socialismo, non nasce né può nascere
spontaneamente; «essa si forma ad opera della scienza del
marxismo-leninismo, e poi viene trafusa alle masse dal Partito
attraverso tutto il suo quotidiano lavoro educativo»*.
Nello stesso tempo il Partito teneva presente il fatto che
il lavoro educativo non avrebbe mai potuto raggiungere il suo
scopo se non si collegava in modo organico al lavoro, all’azione
rivoluzionaria, alla pratica della rivoluzione e della costruzione
della società socialista. «La formazione dell’uomo nuovo —
sottolineò il compagno Enver Hoxha al Plenum del CC — ... non
può nè deve mai essere dissociata dal problema del lavoro, non
può mai essere concepita al di fuori del lavoro»**.
La formazione e il rafforzamento della coscienza socialista
costituiscono un lungo processo di educazione e di rieducazione
degli uomini. Il Comitato Centrale spiegò ancora una volta che
in questo processo il primo posto spettava sempre al metodo
della persuasione.
Il Partito chiedeva di fare una esatta distinzione fra due
tipi di contraddizioni, quelle fra l’ideologia socialista e le con­
cezioni e manifestazioni estranee a questa ideologia nelle co­
scienze, da una parte, e quelle fra l’ideologia socialista e i por­
tatori di tali concezioni dall’altra. Le contraddizioni fra l’ideolo­
gia socialista e le concezioni e manifestazioni estranee nelle
coscienze sono contraddizioni fra due ideologie opposte, con­
traddizioni antagonistiche di classe. Si doveva dunque svolgere
contro tali concezioni una lotta senza quartiere. Al contrario le
contraddizioni fra l’ideologia socialista e i portatori di conce* Ibidem.
** Enver Hoxha. Opere, vol. 27, p. 124.
385
zioni e manifestazioni estranee a questa ideologia sono, nella
loro stragrande maggioranza, contraddizioni non antagonistiche.
I portatori di tali concezioni sono, in generale, persone strettamente legate al potere popolare. Perciò la lotta di classe non
doveva essere diretta contro costoro, ma contro le concezioni e
manifestazioni estranee al socialismo nei loro atteggiamenti,
comportamenti e nelle loro azioni. Solo nei casi di attività pe­
nalmente perseguibili di violazione delle leggi dello Stato e delle
norme della società socialista, di infrazione della disciplina
proletaria, il metodo della persuasione e dell’educazione doveva
cedere il posto al metodo della coercizione.
La letteratura e le arti sono potenti mezzi di educazione
dell’uomo nuovo con gli ideali del socialismo e le norme della
morale comunista.
L’ulteriore sviluppo della letteratura e delle arti, il per­
fezionamento del loro contenuto socialista, relevamento della
loro qualità ideologica e artistica acquistavano un’importanza
ancora maggiore nelle condizioni della piena edificazione della
società socialista, dell’inasprimento della lotta politica e ideolo­
gica contro l’imperialismo e il revisionismo moderno su scala
mondiale.
Durante gli anni di potere popolare in Albania si era as­
sistito al sorgere di una nuova letteratura, di una nuova arte
musicale operistica e coreografica, di una pittura e di una scul­
tura nuove, di una nuova cinematografia, e così via. Queste arti
si distinguevano per la loro purezza ideologica, per il loro com­
battivo spirito rivoluzionario e per la loro schietta forma na­
zionale.
Appoggiandosi sui successi ottenuti e sull’esperienza acqui­
sita, il Partito si impegnò a rafforzare e a perfezionare il suo
lavoro per rendere le lettere e le arti mezzi più efficaci di
educazione rivoluzionaria. Come conseguenza diretta di questo
lavoro fu possibile rappresentare più ampiamente e più pro­
fondamente nelle opere letterarie e artistiche, musicali e cine­
matografiche, ecc. il lavoro, la lotta e l’attività rivoluzionaria
del popolo, elevando in tal modo il livello ideologico e artistico
delle creazioni.
Lottando per il rafforzamento del contenuto rivoluzionario
della letteratura e delle arti e per relevamento del loro livello
artistico, il Partito preavvertì la minaccia che incombeva sulla
creazione artistica come conseguenza della grande diffusione
nel mondo borghese e revisionista di varie correnti decadenti,
386
controrivoluzionarie, antisocialiste in tali campi. Esso fece acuire
il fiuto rivoluzionario, lo spirito di partito proletario e la vigi­
lanza fra gli scrittori e gli artisti, preavvertendoli di tale peri­
colo ed inculcando loro più a fondo nella coscienza la nozione
che il metodo del realismo socialista è l’unica giusta via rivolu­
zionaria per lo sviluppo delle lettere e delle arti nell’Albania
socialista, e che l’attuazione di tale metodo richiede che gli
scrittori e gli artisti siano sempre più strettamente collegati con
i lavoratori, per conoscere più a fondo la realtà e la vita del
popolo. «Nel popolo — insegnava il compagno Enver Hoxha
— dobbiamo attingere la nostra ispirazione, le melodie delle
nostre canzoni, il ritmo delle nostre danze, la purezza della
nostra lingua, lo slancio al lavoro, l’ispirazione della nostra crea­
tività, gli esempi di eroismo e di sacrificio, le alte virtù popo­
lari di semplicità e di giustizia, e così via. Nel campo delle arti
e della cultura, come in ogni altra cosa, la creazione deve pog­
giare su di una base popolare»*.
Per attuare i compiti del terzo
piano quinquennale bisognava
superare non solo le naturali
difficoltà di crescita, ma soprattutto quelle create dal blocco
revisionistico e imperialistico, dalla malevola e incessante atti­
vità ostile dei revisionisti kruscioviani, dei revisionisti titisti e
degli imperialisti. Per questa ragione la lotta per la realizza­
zione del piano fu organicamente combinata con la lotta ideolo­
gica e politica di principio contro il revisionismo, con la lotta
contro l’imperialismo al fine di mandare a vuoto i loro piani e
neutralizzare la loro attività ostile.
Il Partito e il popolo, agendo insieme, spezzarono il blocco
e sventarono i complotti. Facendo principalmente assegnamento
sulle proprie forze, essi superarono le difficoltà e attuarono, nel
loro insieme, i compiti del terzo piano quinquennale. I principali
obiettivi prefissati furono raggiunti.
Nonostante le difficoltà causate dall’attività ostile della dire­
zione revisionista sovietica, il piano della produzione industriale
globale non fu realizzato solo nella misura di 3 per cento.
In cinque anni furono costruiti e messi in funzione 430 opere
La realizzazione del terzo
piano quinquennale
* Enver Hoxha. Discorso di chiusura al Plenum del CC del PLA,
26 ottobre 1965. ACP.
387
industriali, agricole e socio-culturali. Nel 1965 la produzione
industriale globale era circa 35 volte superiore a quella del 1938.
La produzione agricola globale segnò un aumento del 36
per cento. Il volume dei lavori agricoli eseguito con mezzi mec­
canizzati crebbe dell’82 per cento. Fu rafforzata, nel suo in­
sieme, la base necessaria per l’intensificazione dell’agricoltura.
Nel campo del benessere materiale non furono raggiunti
tutti i traguardi fissati, soprattutto a causa delle difficoltà cau­
sate dal blocco imperialista-revisionista che costrinse il Partito
e lo Stato ad elevare la norma di accumulazione del reddito
nazionale al di sopra dei limiti stabiliti in precedenza. Nono­
stante ciò il Partito non permise mai che il livello di vita
dei lavoratori subisse un calo o si mantenesse qual’era. La
popolazione urbana e rurale fu regolarmente rifornita delle
principali merci di largò consumo. Non vi fu alcun aumento
di prezzi ed in alcuni casi questi furono invece ribassati. Il
potere d’acquisto del lek aumentò. La durata media della vita
raggiunse i 65 anni. Inoltre fu superato il numero totale
di scolari e di studenti previsto dal piano e l’università superò
la cifra stabilita, mentre il numero dei quadri superiori ri­
sultava raddoppiato. Questi successi costituivano una vittoria,
che i paesi dominati dai revisionisti non conobbero nello stesso
periodo.
La realizzazione dei principali obiettivi del terzo piano
quinquennale provò l'incrollabile solidità della base su cui era
costruita l’economia socialista dell’Albania e la giustezza della
linea seguita dal Partito nell’edificazione socialista del paese.
Nella lotta per la realizzazione del piano, mentre questa lotta
si intrecciava con l’aspra lotta politica e ideologica contro l’im­
perialismo e il revisionismo, l’unità del popolo intorno al Partito
si temprò ulteriormente, si accrebbe la loro fiducia nelle proprie
forze e nelle proprie capacità. L’esperienza del Partito e del
popolo negli anni 1961-1965 confermò che l’edificazione socia­
lista del paese poteva essere conseguita anche nelle dif­
ficili condizioni create dall’accerchiamento e dalle pressioni de­
gli imperialisti e dei revisionisti.
388
5. LA LOTTA DEL PLA PER SMASCHERARE LA
DEMAGOGIA E LE MENE DEI REVISIONISTI
KRUSCIOVIANI
La direzione revisionista sovietica, capeggiata da Krusciov,
continuava a violare i princìpi fondamentali del marxismoleninismo, a combattere con accresciuto vigore i partiti comunisti e operai che si mantenevano su posizioni rivoluzionarie.
In particolar modo i revisionisti kruscioviani, titisti, ecc., avevano preso di mira il Partito del Lavoro d’Albania, che si tro­
vava alla testa della lotta contro il revisionismo moderno.
Nella loro lotta contro il marxismo-leninismo i revisionisti
kruscioviani facevano ricorso a una sfrenata demagogia, sfrut­
tando a proprio favore la grande autorità internazionale che il
PCUS si era acquistata sotto la direzione di Lenin e di Stalin,
speculando soprattutto sul nome di Lenin per diffondere le loro
tesi e le loro teorie antimarxiste, per trarre in inganno le masse.
La politica e l’attività opportunistiche, controrivoluzionarie
dei revisionisti kruscioviani approfondivano sempre più la scissione nel campo socialista e nel movimento comunista interna­
zionale, minavano il movimento rivoluzionario dei popoli contro
l’imperialismo. Gli imperialisti americani e la reazione mondiale
al gran completo sfruttavano al massimo le debolezze e i cedimenti dei revisionisti, la loro attività scissionistica.
La lotta per l’annienta­
mento ideologico e poli­
tico del revisionismo kruscioviano — imperioso do­
vere dettato dal momento
storico
In queste circostanze, il PLA
considerava la lotta per l’annientamento, ideologico e poli­
tico del revisionismo kruscipviano come un imperioso do­
vere dettato dal momento sto­
rico. Esso stimava necessario
smascherare innanzitutto la demagogia e le mene di cui si ser­
viva per mettere così a nudo la sua politica e la sua ideologia
controrivoluzionaria.
L’aperto attacco della direzione sovietica contro il PLA non
faceva affatto parte di una polemica di princìpio sui fondamentali problemi del momento a proposito dei quali erano sorti
profondi disaccordi in seno al movimento comunista interna­
zionale. Al contràrio, il gruppo di Krusciov, non sentendosi
abbastanza forte per affrontare un simile dibattito, evitata in
389
tutti i modi la discussióne sui problemi di principio. Esso faceva
ricorso alle calunnie e alle menzogne continuamente ritessute
dalla propaganda revisionistica, agli intrighi e ai complotti, ad
atti di diversione e ad altre azioni fra le più vili contro il PLA.
Lo scopo dei revisionisti era di isolare e di espellere il PLA
dal movimento comunista internazionale per dare «una buona
lezione» a tutti coloro che avessero osato opporsi al loro corso
antimarxista.
Il PLA non fece il giuoco dei revisionisti e non si appigliò
alle futilità e alle volgarità. Esso proseguì la lotta contro i
revisionisti kruscioviani in campo ideologico smascherando le
loro vedute antimarxiste e. nel contempo, la loro mancanza
di serietà, il loro eclettismo, le loro oscillazioni dall’opportuni­
smo all’avventurismo e i loro atti di diversione. Gli articoli
dello «Zëri i popullit» contro il revisionismo,1 ripubblicati in
forma di opuscoli, tradotti in parecchie lingue e diffusi per
radio, servirono di potente e acuta arma nelle mani del Partito
nella sua lotta di principio per la difesa del marxismo-leninismo.
Questo materiale del PLA e altri documenti ancora, infersero colpi schiaccianti alla demagogia del gruppo di Krusciov
e misero a nudo il suo vero volto di traditore del marxismoleninismo, di trasgressore delle dichiarazioni comuni dei partiti
comunisti e operai, di disgregatore del campo socialista e del
movimento comunista internazionale.
Il PLA smascherò i tentativi dei revisionisti kruscioviani
tesi a presentare il programma del PCUS (codice del re­
visionismo approvato dal XXII Congresso) come un «manifesto
mondiale del comunismo».
La direzione revisionista sovietica si sforzò di giustificare
di fronte all’opinione pubblica mondiale la riabilitazione ar­
bitraria della cricca di Tito, la propria conciliazione e la colla­
borazione con questa accampando il pretesto che i dirigenti
jugoslavi «avevano riparato molti dei loro passati errori» e
«avevano sensibilmente modificato la loro politica interna ed
esterna». Mentre Tito e gli altri dirigenti revisionisti jugoslavi
dichiaravano di tanto in tanto che non avevano cambiato
nulla, né la loro politica, né il loro programma, e che non
avevano affatto l’intenzione di cambiare qualche cosa in avve­
nire. Gli unici che avevano cambiato il proprio atteggiamento,
1 La maggior parte di questi articoli sono stati scritti dal com­
pagno Enver Hoxha.
390
rilevava il PLA, erano i revisionisti kruscioviani, che avevano
fatto causa comune con la cricca di Tito.
Il PLA svelò il vero senso dello strepito che i revisionisti
kruscioviani facevano intorno alla «lotta contro il dogmatismo
e il settarismo, quali principali pericoli incombenti sul movi­
mento comunista internazionale». Questo non era che un mezzo
per attaccare il PLA e gli altri partiti rivoluzionari marxistileninisti, per camuffare la lotta contro il marxismo-leninismo
e giustificare il loro allontanamento dalla decisione comune
della Conferenza di Mosca, che definiva il revisionismo come
il principale pericolo nel movimento comunista internazionale.
La «lotta contro il dogmatismo» è una vecchia e ben nota tat­
tica, impiegata in ogni tempo dai revisionisti contro il marxi­
smo-leninismo.
Il PLA spinse più oltre ancora la sua denuncia della politica controrivoluzionaria di riconciliazione con l’imperialismo
americano. Esso dimostrò chiaramente che la linea dei revi­
sionisti kruscioviani aveva per propria essenza la collabora­
zione sovietico-americana, l’alleanza dell’imperialismo americano
e del revisionismo sovietico (trasformato in un nuovo imperia­
lismo) per il dominio del mondo.
Questa politica portò la direzione revisionista sovietica a
inginocchiarsi vergognosamente dinanzi all’imperialismo ameri­
cano. Nel 1962, sotto la minaccia americana, essa ritirò da
Cuba i missili e gli aerei che vi aveva inviato poco prima,
accettando nello stesso tempo il controllo «internazionale» degli
USA sulle navi sovietiche e il territorio cubano. Del pari essa
rinunciò totalmente alla conclusione del trattato di pace con
la Germania, alla soluzione del problema tedesco in generale,
compiendo così un atto di alto tradimento nei confronti del
popolo tedesco, del campo socialista, dei popoli dell’Europa e
del mondo intero.
Un altro atto di grave tradimento da parte del gruppo di
Krusciov fu, nell’agosto del 1963, quello della firma con i capi­
fila dell’imperialismo americano e inglese del famigerato Trat­
tato di Mosca sulla parziale interdizione degli esperimenti con
armi nucleari. Il PLA denunciò tale atto come un complotto
imperialista-revisionistico, come una mistificazione dei popoli,
come un provvedimento che non assicurava né la proibizione
dell’uso, né la distruzione delle armi nucleari. Al contrario, que­
sto trattato permetteva agli imperialisti americani di accre­
scere gli arsenali di tali armi, incoraggiava l’aggressione impe­
391
rialistica e aggravava il pericolo delle guerre di rapina. Il
tempo confermò pienamente queste valutazioni del PLA.
Il PLA mise a nudo le mire rapaci di grande potenza della
direzione revisionista sovietica che calpestava l’indipendenza
economica e la sovranità nazionale dei paesi socialisti aderenti
al «Consiglio di Mutua Assistenza Economica», sotto la masche­
ra «della divisione internazionale del lavoro, della cooperazione
e della specializzazione».
Nel contempo il PLA denunciò la linea di ravvicinamento
e di collaborazione dei revisionisti kruscioviani con i socialdemocratici e con tutte le altre forze dell’anticomunismo. Tale
ravvicinamento e collaborazione avevano per naturale fonda­
mento l’ideologia antimarxista comune ad entrambe le parti.
Pur lottando per la difesa del marxismo-leninismo, il PLA
difese in quel periodo anche il PC Cinese dagli attachi che il
gruppo di Krusciov aveva sferrato contro di esso.
I revisionisti kruscioviani, in quanto socialsciovinisti giurati,
vedevano nella Cina un rivale e il principale nemico per la
realizzazione dei loro piani espansionistici e di rapina. Di
conseguenza, ogni loro azione nell’arena intemazionale portava
il suggello anticinese.
Il PLA, pensando di difendere un partito marxista-leninista
e un paese socialista, giudicava la difesa della Cina come una
questione di grande importanza per il comunismo internazio­
nale, per la lotta contro il revisionismo moderno.
Nel contempo esso non poteva conciliarsi in nessun modo
con l’atteggiamento di attesa, pieno di tentennamenti di Mao
Tsetung e degli altri dirigenti cinesi, i quali erano contrari
alla polemica con i kruscioviani «in nome dell’unità», ma al
tempo stesso erano per la conciliazione e l’unità con essi «nella
lotta contro l’imperialismo americano».
Il CC del PLA aveva fatto loro osservazioni amichevoli
proposito di tale atteggiamento, ma essi insistevano affinchè
fosse cessata la polemica. Tale questione fu prospettata ufficial­
mente, nel giugno 1962, a una delegazione del PLA che si era
recata e Pechino per discutere col CC del PCC di importanti
questioni della strateggia e della tattica comune da adottare
nell’arena internazionale. La delegazione del PLA considerò non
giusto l’atteggiamento cinese e non lo approvò.
Il fermo atteggiamento del PLA era la lotta senza compro­
messi contro il revisionismo kruscioviano e contro ogni altra
variante del revisionismo moderno. Sin dal 1962 esso aveva lan­
392
ciato la parola d’ordine: «Tracciare una volta per sempre i con­
fini con il revisionismo in tutti i campi».*
Questa era un’imperiosa necessità che veniva dettata dai
supremi interessi del proletariato mondiale e dei popoli, del
marxismo-leninismo, della rivoluzione e del socialismo su scala
internazionale. La rivoluzione e la controrivoluzione, l’ideologia
proletaria e l’ideologia borghese, una variante della quale è
anche il revisionismo, non possono coesistere in seno a un par­
tito e neppure in seno a tutto il movimento comunista.
La risoluta lotta del PLA contro il revisionismo, lotta
improntata alla solida logica dei princìpi marxisti-leninisti,
alla verità dei fatti, ha trovato una vasta eco nel mondo intero.
Il PLA riceveva dall’estero migliaia di lettere di comunisti
rivoluzionari, di uomini progressisti, che lo ringraziavano della
sua lotta giusta, coraggiosa e di principio contro il revisionismo
kruscioviano e che chiedevano gli articoli dello «Zëri i popu­
llit» e altri documenti del Partito.
Intanto, di fronte alla pressione della massa dei comunisti e
dei popoli, di fronte al pericolo di vedersi completamente
smascherato, il gruppo di Krusciov, per camuffare la sua atti­
vità scissionistica e controrivoluzionaria, si mise a manovrare e
a ricorrere a nuove forme di demagogia. Cominciò levando un
gran rumore circa la salvaguardia dell’unità. All’inizio del suo
attacco contro il PLA, esso definiva la polemica come «la più
alta manifestazione dello spirito di principio leninista», mentre
nel gennaio 1963, al Congresso del Partito Socialista Uni­
ficato Tedesco, inaspettatamente, dopo aver schizzato tutto il
suo fiele sul PLA, chiese che la polemica cessasse(!).
Il PLA denunciò questa tattica della direzione sovietica
definendola pura mistificazione e ipocrisia. Esso spiegò chiara­
mente che non vi può essere unità con gli scissionisti e con
i rinnegati del marxismo-leninismo, titisti, togliattiani o kru­
scioviani. L’unità in seno al movimento comunista interna­
zionale può essere raggiunta soltanto su basi rivoluzionarie,
senza revisionisti e in lotta senza quartiere contro il revisioni­
smo. L’unità vera e durevole può essere costruita soltanto sulle
fondamenta dell’ideologia proletaria.
Non era la prima volta che il movimento operaio e comu* Enver Hoxha. «Grande tradimento contro il marxismo-leninismo». Articolo pubblicato sullo «Zëri i popullit», 13 ottobre 1962,
Opere, vol. 23, p. 478. (Sottolineatura della Red.)
393
nista si trovava di fronte a un grave tradimento, come questo
dei revisionisti moderni. Lenin e i leninisti avevano rotto tutti
i ponti con i capi traditori della II Internazionale ed erano
riusciti a creare una unità d’acciaio del movimento comunista
internazionale soltanto gettandone fuori i rinnegati e lottando
arditamente e senza pietà contro l’opportunismo e il revisioni­
smo d’ogni risma.
Per far meglio risaltare il carattere fallace della richiesta
di unità avanzata dai revisionisti, il PLA propose alla dire­
zione sovietica: di avere il coraggio di fare pubblicamente, così
come aveva ingiustamente attaccato il PLA, la sua autocritica
sconfessando tutta la sua attività antialbanese; di ritrattare l’ap­
pello alla controrivoluzione lanciato al popolo albanese, l’appello
a rovesciare la direzione del PLA e tutte le mostruose calunnie
e accuse all’indirizzo dell’Albania; esso propose che il PLA e il
PCUS pubblicassero congiuntamente tutto il materiale e i do­
cumenti ufficiali concernenti i disaccordi sorti fra i due partiti,
al fine di aiutare i comunisti e i lavoratori dei due paesi a
giudicare oggettivamente chi fosse nel giusto; che la direzione
sovietica creasse condizioni di completa uguaglianza nel caso di
eventuali conversazioni bilaterali fra il PLA e il PCUS.
Ma il gruppo di Krusciov, come ci si poteva aspettare, non
rispose neppure a queste proposte, poiché non era affatto inten­
zionato ad intavolare conversazioni su di un piede d’uguaglian­
za, né aveva interesse a un giusto accomodamento dei disac­
cordi, né voleva una unità basata sul marxismo-leninismo e
sull’internazionalismo proletario.
Pretendendo di ricercare «l’unità», esso proseguiva rab­
biosamente la sua molteplice attività ostile contro il PLA e il
popolo albanese, ed anche contro la Cina.
Intanto la direzione cinese continuava a tacere. Non paga
di questo, essa faceva anche dei tentativi per organizzare una
riunione dei partiti comunisti e operai del mondo, al fine di
«ristabilire l’unità» e di «creare il fronte antimperialista» con
i revisionisti! Approfittando di questi atteggiamenti tenten­
nanti, che dimostravano quanto deboli fossero le posizioni dei
dirigenti cinesi, nel luglio del 1963 i kruscioviani scatenarono un
attacco frontale e aperto contro di essi, proprio nel momento in
cui una delegazione cinese guidata da Deng Hsiaoping si trovava
a Mosca dove si era recata per avviare la riconciliazione. Ma
anche in seguito a tale fatto, essa si mostrò riluttante a dare
una risposta a questo duro attacco. A tal proposito il compagno
394
Enver Hoxha scriveva nel suo diario politico: «Che cosa aspet­
tano? (i dirigenti cinesi — N.D.R.) Questo è un mistero. In questo
consiste l’interrogativo per il futuro. O lotta contro i revisioni­
sti, o capitolazione. Noi andremo avanti lottando».*
Il PLA salutò la decisione del PCC di pronunciarsi final­
mente in modo aperto contro il revisionismo kruscioviano at­
traverso una serie di articoli che cominciarono ad essere
pubblicati sin dal settembre 1963, e che colpivano giustamente
questo revisionismo. Questa lotta comune contro i revisionisti
kruscioviani e contro l’imperialismo fu contrassegnata da un
altro passo avanti nelle relazioni amichevoli tra i nostri due
partiti e paesi.
Ma non passò molto tempo e apparvero di nuovo i tenten­
namenti, gli atteggiamenti opportunistici e persino sciovinistici
dei dirigenti cinesi.
Il PLA non poteva concigliarsi con il telegramma di auguri
molto cordiale che Mao Tsetung inviò a Krusciov nell’aprile
del 1964, in occasione del suo compleanno e della sua decora­
zione con le più alte onorificenze da parte dei suoi lacchè. Il
PLA definì tale atto «un errore di classe, politico e ideològico»**.
Nell’estate di quello stesso anno, Mao Tsetung e Chou Enlai risollevarono la questione della revisione dei confini dell’Unione Sovietica con la China ed altri paesi. Tale atteggia­
mento era un’espressione dello spirito sciovinista di grande po­
tenza e dimostrava che la lotta dei dirigenti cinesi contro il
revisionismo kruscioviano non aveva affatto un carattere rivo­
luzionario e di principio.
Il OC del PLA definì scandaloso il loro atteggiamento. Par­
tendo sempre dagli interessi del comunismo, esso inviò, nel
settembre del 1964, una lettera amichevole al CC del PC Cinese,
dove esponeva i propri punti di vista in merito a tale questione.
«Noi riteniamo che sollevare nelle attuali circostanze questioni
territoriali con l’Unione Sovietica, significa pregiudicare grave­
mente la nostra lotta. Agendo in tal modo, non facciamo altro
che mettere nelle mani del nemico una potente arma che esso
impiegherà contro di noi paralizzando in tal modo la nostra
avanzata.
«... noi siamo del parere che... non dobbiamo dichiarare
* Enver Hoxha, «Riflessioni sulla Cina», vol. I, p. 55 dell’edizione
italiana. (Casa editrice «8 Nëntori»).
** Ibidem, p. 74.
395
guerra ed entrare in polemica a proposito della questione se
l’Unione Sovietica si è impossessata o no di terre altrui. La
nostra lotta concentrata deve essere diretta unicamente contro
le grandi piage che sono l’imperialismo e il revisionismo mo­
derno, i gruppi traditori di Krusciov, Tito e tutti i loro se­
guaci».*
Nel frattempo Krusciov e compagni chiesero la convocazione
di una cosiddetta «conferenza internazionale dei partiti comu­
nisti e operai», che doveva essere tenuta nel dicembre del 1964
anche senza la partecipazione di quei partiti che non avrebbero
accettato di andare alla conferenza.
Il PLA denunciò i tentativi dei dirigenti revisionisti sovie­
tici per la convocazione di questa conferenza scissionistica.
Il PLA spiegò chiaramente ancora una volta che era pro­
penso unicamente a una riunione dei partiti comunisti e operai
convocata sulla base dei princìpi marxisti-leninisti e dei princìpi
rivoluzionari delle Dichiarazioni di Mosca, una riunione che
potesse servire a stabilire una vera unità e non a sanzionare
una scissione. Nessuna riunione poteva aver luogo e nessuna
unità poteva realizzarsi sulla base del revisionismo. La congiun­
tura creatasi non permetteva una riunione dei partiti comunisti
e operai sulla base del marxismo-leninismo. Se i revisionisti
riuscivano a tenere la loro riunione separatista, sarebbe stato
tanto di guadagnato, poiché essi sarebbero stati bollati con il
marchio del tradimento e della scissióne.
In questa situazione il CC del PLA giudicò opportuno
indirizzare, il 5 ottobre 1964, una lettera aperta ai membri del
PCUS
In questa lettera, dopo aver esposto l’atteggiamento rivo­
luzionario del PLA in merito alla conferenza che il gruppo li
Krusciov intendeva organizzare, con l’appoggio di fatti venivano
dimostrati il danno colossale e i mali incalcolabili che tale
gruppo aveva arrecato e stava arrecando all’Unione Sovietica
e al comunismo internazionale. La presentazione del periodo
susseguente alla morte di G. Stalin come il «periodo della mar­
cia vittoriosa verso il comunismo», come l’«inizio della vera
storia dell’Unione Sovietica» non era che una menzogna. Le
cosiddette riforme e le misure adottate di tanto in tanto in
campo economico e in altri campi erano le componenti del corso
* Lettera del CC del PLA indirizzata al CC del PCC, 10 settembre
1964. ACP.
396
revisionistico che portava l’Unione Sovietica non verso il comu­
nismo, ma verso la restaurazione del capitalismo.
Il PLA faceva appello ai comunisti sovietici affinché com­
prendessero bene il grave pericolo che minacciava l’Unione So­
vietica, affinché sentissero la responsabilità storica che incom­
beva loro in quei momenti che stava attraversando il paese, e
si sollevassero nella lotta per salvare la patria del grande Otto­
bre, l’onore del glorioso Partito Bolscevico di Lenin e di Stalin
per sventare il complotto revisionistico e imperialistico ordito
contro l’ordinamento socialista e il marxismo-leninismo. Esso
ribadiva ancora una volta che l’Unione Sovietica, creatura della
Rivoluzione d’Ottobre, restava sempre cara ai comunisti alba­
nesi, ma non era d’accordo con coloro che sostenevano «dobbia­
mo sempre essere con l’Unione Sovietica, sia pure su una strada
errata»* Solo i traditori possono pensare in questo modo. Il
PLA considerava come suo dovere internazionalista di lottare
fino in fondo per annientare il revisionismo kruscioviano, per
difendere il socialismo in Unione Sovietica, di lottare contro
il gruppo di Krusciov che si era impadronito della direzione
del PCUS, nonché per la difesa del marxismo-leninismo.
Ma quale fu l’atteggiamento della dirigenza cinese in merito
a questa conferenza separatista che Krusciov cercava di con­
vocare in fretta e furia? Essa si esprimeva, da un canto, contro
la tenuta di una simile conferenza, poiché, naturalmente, qui
sarebbe stata condannata la Cina e, dall’altro, in collaborazione
con la direzione del PC del Giappone e del PC dell’Indonesia,
proponeva la convocazione di una nuova riunione degli 81 par­
titi per discutere e decidere la creazione di un «fronte antiimperialista» sempre unitamente ai revisionisti! Il PLA defi­
nì tale proposta «una deviazione revisionista» con «gravi e
pericolose conseguenze per il marxismo-leninismo, per il socia­
lismo e il comunismo».*
L’atteggiamento intransigente di
principio, la maturità marxistaleninista del PLA nella lotta
contro il revisionismo moderno
si manifestarono con una forza
ancora maggiore in occasione della caduta del gruppo di Kru­
sciov nell’ottobre del 1964.
Nessuna illusione sui nuovi
dirigenti sovietici. Lotta a
oltranza contro il revisio­
nismo kruscioviano
* Enver Hoxha. «Riflessioni sulla Cina», vol. I, p. 129, dell’ed. ita­
liana. (Casa editrice «8 Nëntori»).
397
Krusciov e i suoi seguaci non solo non riuscirono a
tenere la loro conferenza «di salvezza» fissata per il dicembre
del 1964, ma subirono anche una serie di disfatte di carattere
politico, economico e ideologico, sul piano nazionale e su quello
internazionale. Inoltre, in seno agli stessi revisionisti scoppia­
rono contrasti e disaccordi e si giunse alla scissione. Ciò apparì
chiaramente nel «testamento» di Togliatti, il quale auspicava
che i partiti comunisti e operai si affrancassero dalla tutela
del gruppo di Krusciov, sostituendola con il policentrismo.
Nello stesso tempo egli si pronunziava per una più profonda e
più rapida liberalizzazione del potere sovietico. Il revisionismo
kruscioviano era in crisi.
Per evitare la completa disfatta della loro linea antimar­
xista, i revisionisti sovietici furono costretti a eliminare dalla
scena politica N. Krusciov, il loro capo, l’artefice del corso
revisionistico del XX Congresso e del programma antimarxista
del XXII Congresso del PCUS.
La caduta di Krusciov costituiva un duro colpo per l’in­
sieme del revisionismo moderno e una grande vittoria per il
marxismo-leninismo e per tutte le forze rivoluzionarie mon­
diali. Questo avvenimento confermava la giustezza della linea
marxista-leninista del PLA e della sua lotta di principio contro
il revisionismo kruscioviano.
La nuova direzione sovietica, ora con a capo Brezniev,
tentò di far passare la destituzione di Krusciov come un prov­
vedimento improntato a «un alto spirito di principio leninista»
e di creare l’illusione che essa poneva riparo a tutti gli «eccessi»,
alla «arbitrarietà» e all’«intollerabile soggettivismo» dell’azione
del tristemente famoso capo. Tuttavia essa non formulò alcuna
critica aperta nei confronti di Krusciov e dichiarò di voler se­
guire senza esitazione la linea dei Congressi XX, XXI e XXII
del PCUS, linea congiuntamente elaborata da Krusciov e Brez­
niev e gli altri capifila revisionisti.
Anche dopo l’allontanamento di Krusciov dalla scena poli­
tica, il PLA non nutrì la minima speranza che la nuova dire­
zione sovietica avrebbe riparato i suoi errori e seguito un corso
marxista-leninista. «La destituzione di Krusciov, — poneva in
risalto il compagno Enver Hoxha, — è una grande vittoria, ma
essa non segna la fine del revisionismo kruscioviano né del
revisionismo moderno in generale... Insieme con lui (Krusciov
— N. d. R.) non sono stati liquidati il corso, la politica, le radici
398
sociali ed economiche del revisionismo, lo stesso revisionismo
kruscioviano... Perciò il Partito del Lavoro d’Albania, come del
resto tutti i veri rivoluzionari, non deve nutrire e non nutrirà
alcuna illusione in tal senso»*.
La svolta era possibile soltanto se si annullava la piatta­
forma ideologica e politica del revisionismo, il corso kruscio­
viano del XX e del XXII Congresso del PCUS, soltanto se si
poneva riparo a tutti i mali che i revisionisti kruscioviani ave­
vano causato al campo socialista e al comunismo internazionale.
In primo luogo, bisognava rettificare la questione di G.
Stalin, riabilitarlo totalmente, riconoscerlo come un grande
marxista-leninista.
Per poter ristabilire l’unità nel campo socialista, la diri­
genza sovietica doveva rinunciare alla sua politica e alla sua
pratica egemonistiche nelle relazioni con i paesi socialisti e gli
altri partiti comunisti. Il governo sovietico doveva riconoscere
pubblicamente i suoi errori e i danni materiali che aveva cau­
sato all’Albania con le proprie azioni unilaterali, antimarxiste
e antialbanesi.
Non vi poteva essere altresì vera unità fintantoché i nuovi
dirigenti sovietici avrebbero seguito ostinatamente la linea
kruscioviana di collaborazione e di affratellamento con la
cricca di Tito, questo patentato covo d’agenti dell’imperialismo
americano.
La vera unità del campo socialista e del movimento comu­
nista internazionale sarebbe stata ottenuta soltanto mediante
la risoluta lotta di principio dei marxisti-leninisti contro il
revisionismo moderno, kruscioviano, titista, ecc., fino al loro
totale annientamento.
Dopo la caduta di Krusciov, i revisionisti sovietici fecero
ricorso a un’altra tattica, differente da quella del loro capo.
Essi rinunciarono alle dichiarazioni magniloquenti, alla pubbli­
cità, ai fuochi di artificio dimostrativi usati da Krusciov. Essi
posero termine alla «polemica» aperta, proseguendo, con meno
rumore ma con maggiore perseveranza, il corso revisionistico
kruscioviano, la loro palese o velata collaborazione con l’impe­
rialismo americano in tutti i campi, la loro attività ostile contro
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato in occasione del XX anni­
versario della liberazione della Patria, 28 novembre 1964. Opere,
vol. 28, pp. 207-208.
399
l’Albania socialista e la Cina. Essi ricorsero a una demagogia
ancora più intensa e più raffinata per ingannare le masse, per
disarmare e neutralizzare i tentennanti. Cominciarono a parlare
con tono più elevato dell’«unità del campo socialista e del
movimento comunista», a porre in risalto che «i disaccordi non
riguardano le fondamentali questioni di principio», che «ciò
che ci unisce e più importante di ciò che ci separa»! Non era
difficile allora trovare nei discorsi dei nuovi dirigenti sovietici
e nella propaganda revisionistica dichiarazioni sull’«appoggio
alla lotta di liberazione nazionale dei popoli», sul «fronte comu­
ne antimperialista», sulla «condanna degli atti d’aggressione del­
l’imperialismo americano». Beninteso, tutto ciò era molto mi­
surato, si faceva con molto tatto e con gran cura per non
offendere i capi dell’imperialismo.
Il PLA denunciò la demagogia dei nuovi dirigenti kru­
scioviani, condannò le loro mene mistificatrici e mise in guar­
dia contro il pericolo rappresentato dalla loro nuova tattica.
Esso dimostrò con l’appoggio di fatti inoppugnabili che essi erano
per l’unità soltanto a parole, le loro azioni indicavano che erano
scissionisti; essi appoggiavano le lotte di liberazione soltanto
a parole, mentre con le loro azioni le minavano; essi erano
antimperialisti solo a parole, mentre il loro modo d’agire pro­
vava che erano invece filoimperialisti.
In questi momenti critici per le forze rivoluzionarie inter­
nazionali, allorché queste si trovavano davanti a un grande
bluf sconvolgente e dovevano serrare le file per infliggere
altri duri colpì all’imperialismo e al revisionismo, apparve chia­
ro nuovamente l’atteggiamento indeciso, opportunistico, capito­
lante e disfattista dei dirigenti cinesi. Essi definirono la caduta
di Krusciov come un «cambiamento radicale», come un avveni­
mento che avrebbe influito positivamente non solo in Unione
Sovietica, ma anche nel movimento comunista internazionale!
Perciò essi salutarono e sostennero tale cambiamento attra­
verso un telegramma inviato alla nuova dirigenza revisionista
sovietica, guidata da Brezniev. Inoltre decisero di inviare a
Mosca una delegazione a livello di partito e di governo per
partecipare alle celebrazioni del 7 Novembre. Essi tentarono
d’imporre tale loro atteggiamento opportunistico anche al Par­
tito del Lavoro d’Albania. Chou En-lai, in nome del CC del
PCC e del Consiglio di Stato della RPC, chiese all’ambasciatore
400
della RPA a Pechino di rendere noto al CC del PLA l’atteggia­
mento cinese in occasione del cambiamento avvenuto nella diri­
genza sovietica e di informarlo che aveva proposto ai sovietici
di invitare anche l’Albania alle celebrazioni del 7 Novembre!
Egli insistette affinché i «compagni albanesi» accettassero l’in­
vito di inviare a Mosca una delegazione a livello di partito e
di governo, poiché questa era «una buona occasione per tendere
la mano ai sovietici e unirsi a loro nella lotta contro il
nemico comune»!
Il Comitato Centrale del PLA definì questo atteggiamento e
quest’atto della dirigenza cinese come «antimarxisti, capitolazionistici», che «portano verso la via del tradimento del marxismo-leninismo», mentre i loro tentativi volti ad imporli al
PL d’Albania furono da esso considerati come tentativi derivanti
«dalla presunzione piccolo-borghese» e dallo «spirito sciovinistico
di grande Stato e di grande partito».*
Attraverso un’apposita lettera inviata al CC del PC cinese,
il PLA respinse la proposta circa l’invio di una delegazione a
Mosca. «Noi riteniamo — si diceva nella lettera — che non è
ammissibile da parte nostra, né marxista e neppure decoroso
per uno Stato sovrano che in queste condizioni, quando il go­
verno sovietico ha interrotto di propria iniziativa le relazioni
diplomatiche ed ha compiuto contro di noi terribili azioni anti­
marxiste, ignorare tali fatti per l’unica ragione che la persona
di Krusciov è stata messa da parte». Nel frattempo «... La po­
lemica aperta di principio per la costante denuncia del revi­
sionismo moderno — veniva sottolineato nella lettera — deve
essere proseguita oggi, sempre e fino a quando il revisionismo
sarà completamente sepolto come ideologia...». Il ritiro da queste
posizioni conquistate con la lotta «sarebbe una perdita per noi
e un vantaggio per i revisionisti».**
Chou En-lai si recò a Mosca a capo della delegazione cinese
con l’obiettivo di legarsi ai nuovi dirigenti sovietici ma, com’è
noto pubblicamente, egli vi subì una vergognosa disfatta. E così
la direzione cinese cominciò di nuovo la polemica con i revisioni­
sti sovietici. Il tempo confermò molto presto quanto giusto fosse
l’atteggiamento del PLA e quanto errato quello dei cinesi.
* Enver Hoxha. Riflessioni sulla Cina, vol. I, p. 144, dell’ed. ita­
liana. (Casa editrice «8 Nëntori»).
** Lettera del CC del PLA, il 5 novembre 1964. ACP.
401
Proseguendo con risolutezza, e sempre da posizioni di prin­
cipio, la lotta contro il revisionismo moderno, il PLA sventò
qualsiasi tentativo della nuova direzione revisionista sovietica
con a capo Brezniev volto a far cadere in trappola il PLA.
Nel gennaio del 1965, per il tramite del governo polacco,
essa invitò, come se nulla fosse accaduto, la RP d’Albania
a partecipare a una riunione del Comitato politico consultivo
del Trattato di Varsavia.
Era del tutto naturale che il governo albanese rifiutasse
di partecipare alla riunione del Comitato politico consultivo del
Trattato di Varsavia fintantoché alla Repubblica Popolare
d’Albania, in quanto membro di tale Trattato, fossero stati vio­
lati i suoi diritti sovrani. Esso spiegò chiaramente che la RPA
avrebbe partecipato alla riunione del Trattato di Varsavia so­
lamente quando tutti i diritti stabiliti da questo Trattato le fos­
sero stati garantiti; quando tutte le violazioni di questo Trat­
tato da parte della direzione sovietica fossero state condannate,
quando il governo sovietico avesse indennizzato la Repubblica
Popolare d’Albania di tutti i danni materiali causatile, quando
tutti gli Stati membri del Trattato avessero provveduto a nor­
malizzare le relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare
d’Albania, quando i verbali di tutte le decisioni e di tutti i
protocolli di carattere politico, economico e militare, firmati dai
paesi membri del Trattato di Varsavia in assenza del governo
albanese, li fossero stati consegnati.
Nello stesso tempo, il governo albanese riteneva doveroso
esprimere la sua opinione sulla questione all’ordine del giorno
di tale riunione.
In primo luogo essa chiedeva che in seno al Patto di Var­
savia la politica sciovinistica di diktat e di dominio, imposta
dalla dirigenza sovietica sui paesi aderenti ad esso, nonché la
politica di collaborazione con l’imperialismo americano a scapito
della sovranità dei popoli, fosse sostituita con una politica
rivoluzionaria comune che mirasse alla distruzione dei piani
aggressivi degli imperialisti americani e dei revanscisti tedeschi.
I revisionisti kruscioviani non potevano naturalmente ac­
cettare le proposte della RPA, come non potevano rinunciare
alla loro politica sciovinistica di collusione con l’imperialismo
americano, poiché non a caso essi perseguivano una simile
politica.
L’ipocrisia dei revisionisti sulla questione dell’unità apparve
chiaramente allorché, conformemente a un piano elaborato da
402
Krusciov stesso, essi organizzarono a scopo di scissione una riu­
nione che ebbe luogo nel marzo del 1965. Fu per pura dema­
gogia che i successori di Krusciov non la chiamarono «confe­
renza», ma «incontro consultivo» dei partiti comunisti e operai.
D’altro canto, essi non manifestarono le loro mire ostili in que­
sto «incontro» con quella brutalità che avevano progettato. Alla
riunione non presero parte 7 dei 26 partiti invitati dai revisio­
nisti. Fra questi era anche il PLA.
Il PLA condannò immediatamente questa riunione come
totalmente illecita, poiché era stata convocata arbitrariamente
e perseguiva scopi controrivoluzionari e sciovinistici. I lavori
della riunione avevano un contenuto filoimperialista, quantun­
que per demagogia vi si pronunciassero alcune moderate frasi
contro l’imperialismo. Nessuna delle azioni filoimperialiste del
governo sovietico vi fu condannata. Al contrario, venne espressa
la risoluzione di seguire ancora più caparbiamente la linea
generale di coesistenza pacifica e di collaborazione con gli USA,
ignorando il fatto che tre settimane prima gli imperialisti ame­
ricani avevano iniziato con pirateschi bombardamenti la loro
aggressione contro un paese socialista — la Repubblica Demo­
cratica del Vietnam.
L’attegiamento a doppia faccia della direzione sovietica e
degli altri revisionisti nei confronti dell’aggressione americana
contro il Vietnam: a parole — appoggio al popolo vietnamita,
nei fatti — collaborazione con gli aggressori americani contro
il popolo vietnamita, illustrava chiaramente il loro grande tradi­
mento nei confronti del movimento rivoluzionario mondiale.
Il PLA smascherò l’assordante rumore che si levava circa
«l’aiuto sovietico» al Vietnam. Questo era un aiuto ben misero
per un popolo eroico, per un paese socialista, un aiuto in quan­
tità minima, a paragone delle grandi possibilità dell’Unione
Sovietica, e del tutto inadeguato per quanto riguardava la sua
qualità. Mediante tale aiuto i dirigenti sovietici miravano innan­
zitutto ad acquisire il «diritto» di ingerirsi nella questione del
Vietnam.
Il PLA e tutto il popolo albanese definirono immediata­
mente la criminale aggressione americana contro il popolo viet­
namita fratello come un’aggressione contro il proprio paese,
contro il campo socialista e tutti i popoli amanti della libertà
nel mondo. Essi espressero la loro solidarietà totale con il popolo
vietnamita, sia del sud che del nord, prestandogli senza rispar­
mio tutto l’aiuto e il sostegno possibili.
403
Il PLA svelò il vero volto dei revisionisti kruscioviani, ne­
mici di tutti i popoli che conducono una lotta rivoluzionaria
contro l’imperialismo.
Il Partito considerava la lotta di principio senza compromessi
per la vittoria totale sul revisionismo come una lotta per il
trionfo totale del socialismo in Albania e su scala mondiale.
404
CAPITOLO VII
LA LOTTA DEL PLA PER L’ULTERIORE
RIVOLUZIONARIZZAZIONE PROPRIA
E DI TUTTA LA VITA DEL PAESE
(1966-1971)
1. IL V CONGRESSO DEL PLA. I COMPITI PER
L’ULTERIORE RIVOLUZIONARIZZAZIONE DEL
PARTITO E DELLA VITA DEL PAESE
Il PLA andava al suo V Congresso con un ricco bilancio di
risultati nella lotta di principio contro il revisionismo moderno
e in particolar modo contro il suo capofila, il revisionismo kru­
scioviano. Questa lotta gli aveva consentito di sconvolgere i
piani della direzione controrivoluzionaria sovietica miranti ad
allontanare il PLA dal marxismo-leninismo. Inoltre essa costi­
tuiva un’importantissimo fattore che garantiva l’Albania da
qualsiasi ritorno indietro, al capitalismo, così come avvenne in
Unione Sovietica e negli altri paesi ex socialisti, e gli permet­
teva di procedere sempre sulla via del socialismo.
Ma per assicurare lo sviluppo ininterrotto del paese sulla
via del socialismo, oltre alla lotta contro il revisionismo mo­
derno, contro l’imperialismo e contro l’accerchiamento imperia­
lista e revisionista, un altro fattore decisivo era la lotta per
impedire la creazione all’interno di un terreno favorevole alla
nascita e allo sviluppo del revisionismo e del capitalismo. Ne­
anche la lotta contro il revisionismo e l’imperialismo inter­
nazionale poteva essere condotta con successo senza una lotta
risoluta e sistematica contro le sopravvivenze del passato nella
405
società socialista, contro l’influenza borghese e revisionista sulla
vita e l’attività del Partito, dello Stato e delle masse popolari,
contro le concezioni estranee all’ideologia proletaria e al so­
cialismo.
Per questa ragione, di pari passo con il rafforzamento e
l’ulteriore perfezionamento della lotta contro l’imperialismo e
il revisionismo moderno, il PLA si adoperò ad intensificare e
a perfezionare la lotta per il consolidamento generale dell’ordinamento socialista attraverso l’ulteriore rivoluzionarizzazione
della vita del paese. L’esperienza aveva mostrato che quando la
situazione all’interno del paese è sana, sempre rivoluzionaria,
si può scongiurare ogni male che minaccia il socialismo e l’in­
dipendenza nazionale, annientare qualsiasi pressione e influen­
za controrivoluzionaria, regressiva, interna o esterna, sul Partito
e il popolo.
L’ulteriore rivoluzionarizzazione doveva coinvolgere tutte
le sfere della vita: politica, economica, ideologica, culturale,
militare, organizzativa, e avere come obiettivo principale il
rafforzamento della dittatura del proletariato, il perfeziona­
mento dei rapporti socialisti di produzione in stretta connes­
sione organica con lo sviluppo a ritmi celeri dell’economia
e della cultura popolare, nonché il potenziamento della capa­
cità di difesa del paese. L’accento doveva essere posto sull’ele­
vamento della coscienza socialista degli uomini, in quanto con­
dizione indispensabile per l’adempimento con successo dei com­
piti dell’edificazione socialista e della difesa del paese nel nuovo
stadio di sviluppo della società e per fronteggiare la forte pres­
sione dell’ideologia borghese e revisionista proveniente dal­
l’esterno.
I princìpi del marxismo-leninismo e l’esperienza rivolu­
zionaria del Partito e delle masse lavoratrici avrebbero costi­
tuito, come sempre, la base della lotta per la continua rivolu­
zionarizzazione della vita del paese.
Decisioni di portata storica All’inizio la punta di diamante
della lotta per la continua rivo­
luzionarizzazione della vita del
paese fu diretta principalmente contro il burocratismo.
Il PLA aveva combattuto ininterrottamente il burocrati­
smo, considerandolo, come lo definisce anche Lenin, un ne­
mico del socialismo, un male molto pericoloso che indebolisce
e rompe i legami del partito proletario con le masse, che di­
406
strugge la dittatura del proletariato. Grazie a questa lotta, il
male del burocratismo non aveva potuto mettere radici nel
Partito e nello Stato socialista.
Nonostante ciò, nell’attività degli organi del potere, degli
organismi economici e degli stessi organi del Partito venivano
rilevate manifestazioni preoccupanti di burocratismo. Alcuni
lavoratori dell’apparato centrale e locale di questi organi dava­
no più importanza agli atti, ai regolamenti, alle leggi che al
lavoro vivo fra la gente. Spesso, nell’attività pratica, le que­
stioni invece di essere analizzate da posizioni di classe seguendo
la politica proletaria del Partito, venivano considerate dal
punto di vista del tecnocrate, dell’impiegato professionista. Si
manifestarono così tendenze a feticizzare l’amministrazione e le
misure amministrative. Per sbarrare il passo a tali manifesta­
zioni e al pericolo che esse rappresentavano, occorreva inten­
sificare e approfondire la lotta contro il burocratismo e con­
durre questa lotta con metodi rivoluzionari più perfezionati.
Per condurre questa lotta il PLA trasse insegnamento, tra
l’altro, anche dall’amara esperienza dell’Unione Sovietica, dove
il burocratismo costituiva uno dei principali fattori della de­
generazione e della liquidazione della dittatura del proletariato.
Nel dicembre 1965 l’Ufficio Politico del Comitato Centrale
del Partito esaminò la questione del rafforzamento e del per­
fezionamento della lotta contro il burocratismo.
Analizzando e denunciando le deformazioni burocratiche,
esso giunse alla conclusione che queste deformazioni avevano
le loro radici non solo nelle sopravvivenze del passato, ma
anche nella sottovalutazione in pratica della pericolosa malattia
del burocratismo; esse erano un’espressione della pressione ideo­
logica e politica del nemico di classe sul Partito e sull’apparato
statale. La presenza di manifestazioni burocratiche dimostrava
che il pericolo del burocratismo minacciava continuamente il
Partito e lo Stato socialista.
La direzione del Partito considerava la lotta contro il bu­
rocratismo come una delle importanti direttrici della lotta di
classe e sottolineava che questa lotta doveva essere condotta
«nello stesso modo come quella contro il nemico di classe». A
tal fine essa decise di prendere «severe misure rivoluzionarie»,
procedendo ad «un’intervento profondo, sensibile e forte»*.
* Decisione dell’Ufficio Politico del CC del PLA, 24
1965. Documenti principali del PLA, vol. 4, pp. 603-604.
dicembre
407
L’essenza di questa lotta consisteva nel perfezionare e vi­
vacizzare sotto ogni aspetto il lavoro ideologico e politico, di
chiarimento, di persuasione, di organizzazione e di mobilita­
zione fra la gente, al fine di sensibilizzare le vaste masse alle
questioni del governo del paese e della gestione dell’economia.
Il Comitato Centrale del Partito raccomandava a tutti i la­
voratori, e in primo luogo ai comunisti, di prendere piena­
mente coscienza del pericolo che rappresentava il burocratismo
e della necessità di condurre una lotta spietata e sistematica
contro di esso. Al Partito incombeva quindi il compito di edu­
carli e insegnare loro ad essere avversi ad ogni deformazione
burocratica, di colpire energicamente le lungaggini e i rinvìi
burocratici, il favoritismo e il nepotismo, l’abuso di potere,
l’indolenza, la tracotanza, la presunzione, i comportamenti ar­
roganti e di trascuraggine verso i lavoratori, la tendenza a sof­
focare la voce delle masse.
Gli organi superiori del Partito e dello Stato dovevano
porre fine ad ogni tipo di tutela burocratica sugli organi infe­
riori. I comitati distrettuali di partito e le organizzazioni di
base dovevano non solo eseguire le direttive emesse dall’alto
ma anche agire di propria iniziativa, ispirandosi ai princìpi
della politica proletaria del Partito e assumendo piena respon­
sabilità nell’adempimento dei compiti loro affidati; i consigli
popolari e i loro organi esecutivi dovevano fare uso di tutte le
competenze e di tutti i diritti riconosciuti loro dalla legge.
Le decisioni, i regolamenti, le evidenze, le statistiche, gli
atti sono sempre utili, ma quando oltrepassano la misura, di­
ventano nocivi, ostacolano la corretta soluzione dei problemi e
dei compiti. Perciò qualsiasi eccesso in tal senso doveva essere
eliminato.
Inoltre il Comitato Centrale considerava indispensabile una
più adeguata distribuzione dei comunisti e dei quadri, raffor­
zando così la produzione e la base con quadri qualificati, ridu­
cendo e semplificando gli organici degli apparati e dell’ammini­
strazione in generale.
Era necessario procedere ad una revisione critica, conforme­
mente al nuovo stadio di sviluppo della società socialista, di
tutte le leggi e di tutti i decreti statali. La direzione del Partito
poneva il compito di rivedere queste leggi e questi decreti con
la larga partecipazione delle masse, eliminando gli articoli inutili
e superati, le formulazioni confuse, al fine di renderli quanto
più semplici, comprensibili e educativi.
408
Di grande importanza per la continua rivoluzionarizzazione
della vita del passe furono anche le decisioni del Comitato Cen­
trale del Partito relative all’adeguamento del rapporto fra i sa­
lari alti e quelli medi e bassi, all’istituzione dei comitati di
partito nell’esercito, al ripristino della funzione del commissario
politico e all’abolizione dei gradi militari.
L’adeguamento del rapporto fra le remunerazioni del la­
voro concerneva unicamente gli alti stipendi di un certo numero
di lavoratori dell’apparato statale e del Partito, della scienza
e della cultura, senza modificare i salari medi e bassi. Nell’Alba­
nia socialista la differenza fra salari alti e bassi non è mai stata
molto accentuata. Nonostante ciò. il Partito riteneva necessaria
un’ulteriore riduzione del rapporto fra alti e bassi salari. Questo
provvedimento era dettato dalla necessità di ravvicinare quanto
più possibile il livello di vita dei quadri dirigenti e dei lavora­
tori di alta categoria della cultura e della scienza al livello di
vitta di tutti i lavoratori del paese. Con questo provvedimento
si sbarrava il passo alle tendenze a sopravvalutare il lavoro
d’ufficiò, che sono di stimolo alla ricerca di una vita comoda e
di vantaggi personali, alla creazione di un terreno favorevole
alla degenerazione piccolo borghese e alla diffusione delle
concezioni revisioniste. Nel medesimo tempo il Partito ebbe cura
di evitare il passaggio all’egualitarismo. Il lavoro di direzione
e il lavoro qualificato sarebbero stati apprezzati anche in av­
venire, ma sempre in conformità al principio e alla direttiva
del Partito di non permettere la creazione di strati privilegiati.
La creazione dei comitati di partito, il ripristino della fun­
zione del commissario politico e la soppressione dei gradi nel­
l’esercito miravano a salvaguardare e a rafforzare ulteriormente
il carattere rivoluzionario e popolare delle Forze Armate della
Repubblica e ad elevare il livello di direzione del Partito nel­
l’esercito.
I gradi militari e i comandi unificati, nonostante tutti i
vantaggi che recarono a loro tempo per conferire all’Esercito
di Liberazione Nazionale, appena uscito dalla guerra partigiana,
il carattere di un esercito moderno, costituivano nelle nuove
condizioni un ostacolo per l’attuazione della linea rivolu­
zionaria del Partito nell’esercito. Essi impedivano lo stabilirsi
di stretti rapporti fra quadri dirigenti e soldati, frenavano lo
sviluppo dell’iniziativa creativa, alimentavano la presunzione,
la prepotenza e la boria, l’arroganza e altri vizi borghesi; com­
portavano quindi il pericolo di vedere gli ufficiali e i generali
staccarsi dal popolo.
409
Le nuove decisioni del Comitato Centrale relative all’eser­
cito scongiuravano tale pericolo, aprendo la via all’ulteriore
elevamento del livello di formazione ideologica e politica, di
preparazione militare e di pronta disposizione delle Forze Ar­
mate, nonché al potenziamento della capacità difensiva della
Patria.
Il Comitato Centrale si adoperò soprattutto affinchè le sue
decisioni fossero comprese correttamente e a fondo dal Partito
e dal popolo, che fossero eseguite nella piena consapevolezza
della loro necessità e del loro carattere rivoluzionario, liqui­
dando nel contempo ogni possibile speculazione del nemico tesa
a presentare tali decisioni come un cambiamento della linea
del Partito o un’imitazione di qualche pratica straniera.
Dopo l’analisi fatta alle decisioni rivoluzionarizzatrici del
Comitato Centrale da parte delle organizzazioni del Partito, il
compagno Enver Hoxha trasse importantissime conclusioni che
contribuirono a portare fino in fondo l’applicazione di tali
decisioni.
La pratica ha dimostrato, egli rilevava, che la linea del
Partito era stata e continuava ad essere giusta, e ciò che con­
tava era il bilancio positivo della sua azione; tuttavia, nel­
l’attività pratica del Partito e del potere si erano verificati
anche errori e distorsioni. «Di fronte a queste manchevolezze
noi dobbiamo comportarci da marxisti, dobbiamo guardare in
faccia senza paura queste manchevolezze, analizzarle, criticarle
e correggerle senza provare quella «vergogna» piccolo bor­
ghese»*.
Il Partito chiedeva che le decisioni e le misure adottate
nella lotta contro il burocratismo fossero correttamente valu­
tate dal punto di vista ideologico e politico, e non fossero con­
siderate come semplici misure amministrative volte unicamente
a ridurre le pratiche e gli organici. Se non venissero così valu­
tate, rilevava il compagno Enver Hoxha, le pratiche e gli or­
ganici sarebbero aumentati di nuovo, indipendentemente dalle
decisioni prese. L’obiettivo principale di questa lotta è di fare
sì che il potere politico rimanga sempre un potere popolare, un
potere proletario, che non si trasformi mai in un potere buro­
cratico borghese-revisionista.
Il sostegno da parte del popolo sarebbe stato come sempre,
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato all’Ufficio Politico, febbraio
1966. Rapporti e discorsi 1965-1966, pp. 208-209.
410
come per ogni altra decisione e direttiva del Partito, una ga­
ranzia per l’attuazione delle decisioni relative alla continua rivo­
luzionarizzazione della vita del paese. Il compagno Enver Hoxha
riteneva quindi necessario che il Comitato Centrale, oltre che
chiarire ai comunisti e alle masse popolari la necessità delle re­
centi misure nel nuovo stadio della rivoluzione, si presentasse in
quest’occasione davanti a loro per fare la sua autocritica. Nel
contempo il Partito doveva svolgere un lavoro vivo e intelligente
fra la gente, per chiarire dal punto di vista ideologico i
problemi chiave contenuti nelle sue decisioni.
«Sono convinto — concludeva il compagno Enver Hoxha —
che le cose andranno bene perchè il nostro è un partito di ferro,
marxista-leninista, rivoluzionario...»*.
Il 4 marzo 1966 il Plenum del Comitato Centrale del Partito
decise di indirizzare una lettera aperta ai comunisti, ai lavora­
tori, ai soldati e agli ufficiali, per informarli dei provvedimenti
rivoluzionari che aveva adottato negli ultimi mesi e chiedere
loro di combattere con tutte le forze per l’adempimento dei
compiti che scaturivano da tali provvedimenti.
Nella lettera si faceva una sintesi marxista-leninista del­
l’attività e dell’esperienza del Partito nel corso degli ultimi
anni, anni che erano stati caratterizzati da un intenso lavoro e
da un’aspra lotta rivoluzionaria. Pur evocando le vittorie e i
successi conseguiti, il Partito parlava al popolo francamente
anche delle proprie manchevolezze e dei propri errori.
Al fine di assolvere degnamente i compiti che gli si pro­
spettavano, il Comitato Centrale chiedeva che la linea di massa
fosse attuata costantemente e con perseveranza in tutti i campi
della vita, in tutta l’attività del Partito e del potere popolare.
Anche in questo caso, come sempre, il Partito avrebbe trovato
nel popolo la soluzione dei suoi compiti futuri.
Per questa ragione, si sottolineava nella lettera, «ogni co­
munista e ogni lavoratore deve lavorare e pensare da rivolu­
zionario ogni giorno e in ogni ora, qualunque sia il lavoro che
compie o la funzione che esercita, si deve sentire sempre un
devoto servitore del popolo, unito per la vita e la morte con
l’operaio, il contadino o il soldato, essere sempre pronto a sacri­
ficare, in nome del popolo, della patria, della rivoluzione e del
comunismo, anche la propria vita... Ciò è importante non solo
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato all’Ufficio
1966. Rapporti e discorsi 1965-1966, p. 245.
Politico,
febbraio
411
per il presente, ma anche per il futuro della nostra patria
socialista...». «Il popolo al di sopra di tutto. Questo è il principio
basilare che ha guidato e guida il Partito e gli organi del potere
popolare in tutta la loro attività»*.
Il Comitato Centrale esprimeva la convinzione che i provve­
dimenti che il Partito aveva preso e che avrebbe preso per
l’ulteriore rivoluzionarizzazione della vita del paese, sarebbero
stati correttamente compresi da tutti come provvedimenti volti
a sviluppare ininterrottamente la rivoluzione e a rafforzare
sotto ogni aspetto la società socialista, rendendo invincibile la
difesa della patria. Tali provvedimenti scalzavano il terreno
all’attività dei nemici di classe, sventavano i loro piani per il
rovesciamento dell’ordinamento socialista e la restaurazione del
capitalismo.
La Lettera aperta del Comitato Centrale divenne una for­
midabile arma nelle mani dei comunisti e di tutti i lavoratori.
Essa suscitò un grande entusiasmo rivoluzionario in tutto il
paese.
Di pari passo con l’ampio lavoro ideologico e politico di
educazione, si procedette in brevissimo tempo, con il concorso
delle masse lavoratrici, alla riorganizzazione su basi più solide
e rivoluzionarie dell’apparato statale e del Partito al centro e
nei distretti. Fu migliorata anche l’organizzazione delle ammini­
strazioni delle aziende statali e delle cooperative agricole. I
quadri dirigenti e gli altri lavoratori dell’amministrazione rispo­
sero in massa all’appello del Partito di lavorare sul fronte
principale, nella produzione. Il Partito sostenne questa iniziativa
rivoluzionaria, che era una manifestazione di patriottismo so­
cialista. Circa 15 mila quadri dell’amministrazione andarono a
lavorare nella produzione, soprattutto nelle campagne. Un gran
numero di quadri, e fra questi anche quadri superiori del Par­
tito e dello Stato, furono inviati dal centro alla base. Il perso­
nale dell’amministrazione statale al centro fu dimezzato. La
semplificazione dell’apparato amministrativo fu seguita dalla
riduzione della corrispondenza, il che consentì l’estensione e l’ap­
profondimento del lavoro vivo fra la gente. Semplificazioni
furono apportate anche al sistema della pianificazione, delle
evidenze, della contabilità, ecc.
Fu vivacizzato il lavoro nel campo economico. Per quanto
* Lettera aperta del CC del PLA, 4 marzo 1966. Documenti prin­
cipali del PLA, vol. 5, pp. 24, 30.
412
riguarda la maggior parte delle colture agricole, soprattutto i
cereali panificabili, la produzione segnò incrementi di molto
superiori a quelli degli anni precedenti. Nel 1966 molte coope­
rative agricole di montagna produssero, per la prima volta,
una quantità di cereali capace di soddisfare le loro necessità
di pane per tutto l’anno. Anche il piano della produzione indu­
striale per il 1966 fu superato.
Ebbe inizio un grande movimento per collegare il lavoro
intellettuale con quello manuale, con la produzione. Lavoratori
intellettuali andarono in massa e volontariamente ad aiutare
le masse contadine nei lavori agricoli. Conformemente alla de­
cisione del Comitato Centrale fu riorganizzato su più solide basi
il lavoro degli intellettuali direttamente nella produzione; tutti
i funzionari e i lavoratori dei settori scientifici e culturali
cominciarono a lavorare un mese all’anno nella produzione.
Inoltre decine di migliaia di giovani delle scuole medie e supe­
riori parteciparono alle azioni volontarie di costruzione e di
produzione.
La preparazione militare e fisica della popolazione si in­
tensificò ancora di più. Le masse si rendevano conto sempre
meglio del problema della difesa, considerandolo una questione
d’importanza vitale per il destino dell’indipendenza del paese e
del socialismo in Albania. Il carattere popolare e rivoluzionario
dell’esercito fu approfondito ulteriormente. Tale approfondi­
mento consisteva principalmente nel rafforzare i legami del­
l’esercito con il popolo.
Venne così inferto un duro colpo al burocratismo, che aprì
la via ad una svolta rivoluzionaria nel modo di pensare, di
vivere e di agire dei lavoratori.
Il Partito però considerava i provvedimenti adottati nel
1966 per l’ulteriore rivoluzionarizzazione propria e di tutta la
vita del paese non come un passo finale, ma come elementi di
un lungo processo rivoluzionario in continua ascesa.
Il V Congresso del PLA, che svolse i suoi lavori a Tirana
dal 1° all’8 novembre 1966, avrebbe dato un’ulteriore spinta a
tale processo.
Al Congresso parteciparono 791 delegati con voto delibe­
rativo e 43 delegati con voto consultivo, rappresentanti 63.013
membri del partito e 3.314 candidati.
Il Congresso passò in rassegna l’attività del Partito nelle
condizioni del blocco imperialista-revisionista e fissò i compiti
per il continuo approfondimento della propria rivoluzionarizza413
zione e della rivoluzionarizzazione della vita di tutto il paese,
in stretta connessione con la lotta contro l’imperialismo e il
revisionismo a livello internazionale. Esso apportò alcune modi­
fiche allo Statuto del Partito e approvò le direttive del quarto
piano quinquennale.
L’approfondimento della ri­
voluzione ideologica
nel
quadro dello sviluppo del­
la rivoluzione socialista in
tutti i campi
Le decisioni adottate e le misure
prese dal Partito per la sua ul­
teriore
rivoluzionarizzazione
e
per la rivoluzionarizzazione di
tutta la vita del paese erano col­
legati in primo luogo con l’ap­
profondimento della rivoluzione ideologica.
La rivoluzione ideologica era stata sempre considerata dal
Partito come una componente organica della rivoluzione socia­
lista in generale.
L’esperienza della rivoluzione socialista non solo in Albania,
ma anche negli altri paesi, aveva ormai pienamente confer­
mato la tesi di Marx e di Lenin secondo cui tale rivoluzione non
terminava né con la vittoria nel campo politico, cioè con l’in­
staurazione del potere proletario, né con la vittoria nel campo
economico, cioè con la costruzione della base economica del
socialismo nelle città e nelle campagne. «Visto che il trionfo
completo della rivoluzione socialista nel campo dell’ideologia e
della cultura, ribadiva il V Congresso, non è ancora assicurato,
anche le conquiste della rivoluzione socialista nel campo politico
ed economico non possono essere garantite»*.
Il Congresso definì come principale obiettivo della rivolu­
zione ideologica la lotta volta «a radicare e far trionfare piena­
mente l’ideologia socialista e proletaria nella coscienza di tutto
il popolo lavoratore, a svellere dalle radici l’ideologia borghese,
a educare l’uomo nuovo e assicurare in tutti i sensi la sua
tempra rivoluzionaria e comunista, fattore determinante per
la soluzione di tutti i problemi importanti e complessi del­
l’edificazione socialista e della difesa del paese»**.
Ma la rivoluzione non si sviluppava soltanto nel campo
ideologico. Essa si sviluppava anche nel campo politico per sal­
vaguardare, rafforzare e perfezionare la dittatura del proleta-
* Enver Hoxha. Rapporto sull’attività del CC del PLA, presentato
al V Congresso del PLA. Documenti principali del PLA. Vol. 5, p. 151.
** Documenti principali del PLA, vol. 5, p. 150.
414
riato, ed anche nel campo economico per salvaguardare, raffor­
zare e perfezionare i rapporti socialisti di produzione nonché
per assicurare la completa costruzione della base materiale e
tecnica del socialismo, ma sempre come un processo rivoluzio­
nario unico e indivisibile, politico, economico, ideologico e cul­
turale.
La rivoluzione ideologica in Albania, quale compo­
nente organica della rivoluzione in generale, ebbe inizio, sotto
la guida del Partito, nello stesso tempo in cui si diede il via
alla rivoluzione politica (durante la Lotta Antifascista di Libe­
razione Nazionale). Dopo l’instaurazione della dittatura del pro­
letariato, quando la classe operaia esercitava già il proprio
dominio politico, l’ideologia proletaria, il marxismo-leninismo,
divenne l’ideologia dominante, ma questo non significava che
essa fosse divenuta l’unica ideologia operante nel paese. La
vecchia ideologia borghese, feudale e patriarcale non era stata
ancora svellata dalla coscienza delle masse popolari, continuava
ad avere profonde radici. Nelle condizioni della dittatura del
proletariato, la rivoluzione ideologica prese un ampio sviluppo.
La costruzione della base economica del socialismo nelle città
e nelle campagne costituiva non solo una vittoria storica nel
campo socio-economico, ma anche una grande vittoria politica
ed ideologica. Con il conseguimento di questa vittoria, la rivo­
luzione ideologica entrò in una fase nuova, più elevata, della
lotta contro l’ideologia borghese, per il suo trionfo totale, che
doveva segnare nel contempo anche la piena vittoria della ri­
voluzione socialista in generale.
Ecco come il V Congresso valutava l’importanza della rivo­
luzione ideologica: «La lotta sul fronte ideologico per l’annien­
tamento totale dell’ideologia borghese e revisionista si ricollega,
in ultima analisi, alla questione secondo cui sarà o no possibile
costruire il socialismo e il comunismo ed evitare la restaura­
zione del capitalismo, oppure si aprirà o no la strada alla dif­
fusione dell’ideologia borghese e revisionista, permettendo così
il ritorno indietro verso il capitalismo»*.
Il Congresso ribadì inoltre che la lotta sul fronte ideologico
è parte integrante della lotta generale di classe per portare fino
in fondo la rivoluzione sociale in tutti i campi. Solo compren­
dendo bene e conducendo correttamente, da posizioni marxisteleniniste. la lotta di classe in generale, si possono comprendere
e condurre correttamente anche la lotta sul fronte ideologico,
la rivoluzione ideologica.
* Documenti principali del PLA, vol. 5, p. 151.
415
I revisionisti moderni, seguendo la politica di conciliazione
con i nemici di classe, interni ed esterni, cercavano di dimo­
strare che nelle condizioni attuali dello sviluppo mondiale, gli
insegnamenti di Marx e di Lenin sulla lotta di classe sareb­
bero ormai invecchiati! In modo particolare essi presentavano
come superata la lotta di classe nel socialismo. Essi attaccavano
aspramente Stalin, il quale aveva difeso e arricchito la teoria
marxista-leninista della lotta di classe e l’aveva applicata con
fedeltà nelle condizioni dell’Unione Sovietica.
Anche la direzione cinese, dal canto suo, propagava conce­
zioni contrarie alla teoria marxista-leninista della lotta di
classe. Oltre alla teoria dello «sbocciare di cento fiori e del
contendere di cento scuole», teoria che costituisce una negazione
flagrante della lotta di classe, essa sosteneva la tesi secondo
cui la borghesia, come classe, non scompare con la costruzione
della base economica del socialismo, ma continua ad esistere,
accanto alla classe operaia, durante tutto il periodo di tran­
sizione dal capitalismo al comunismo! Con questa tesi i diri­
genti cinesi cercavano di giustificare il fatto di aver mantenuto
integra la classe capitalista nella «società socialista» cinese, la
quale, come divenne chiaro più tardi, non era affatto socialista.
Essi cercarono d’imporre questa tesi antimarxista al Par­
tito del Lavoro d’Albania durante i colloqui che ebbero luogo a
Pechino, nel maggio 1966, fra una delegazione albanese e la dele­
gazione cinese capeggiata da Chou En-lai. Quest’ultimo chiese
con insistenza che la tesi dell’esistenza della classe capitalista
in Albania (!), così come in Cina, fosse inserita nella dichia­
razione comune cino-albanese, giungendo al punto da conside­
rare l’accettazione di tale richiesta come condizione per la
sottoscrizione della dichiarazione da parte sua. Ma i rappresen­
tanti del PLA non si piegarono davanti alla pressione cinese.
Essi sostennero risolutamente le tesi marxiste-leniniste sulle
classi e la lotta di classe.
Un mese più tardi Chou En-lai venne personalmente a
Tirana, dove espose di nuovo alla direzione del PLA la tesi
di Mao Tsetung sull’esistenza della borghesia in quanto classe,
durante tutto il periodo dell’edificazione socialista, cercando di
provare la «fondatezza» della tesi cinese e gli «errori» di Stalin
a proposito della lotta di classe ! Il compagno Enver Hoxha re­
spinse con argomenti scientifici tutti questi ragionamenti da
sofisti, difendendo le giuste concezioni marxiste-leniniste espres­
se dal PLA su questa questione al suo IV Congresso, dove era
416
stato dichiarato che la base economica del socialismo in Albania
era stata costruita sia nelle città che nelle campagne. Questa
storica vittoria nello sviluppo della rivoluzione socialista signifi­
cava la liquidazione delle classi sfruttatrici in quanto classi.
Partendo dalla grande importanza che aveva la corretta
comprensione e l’applicazione rivoluzionaria della teoria mar­
xista-leninista sulla lotta di classe per la completa costruzione
della società socialista, il Congresso considerò opportuno chia­
rire meglio l’atteggiamento del Partito sulla lotta di classe
nel socialismo, «Il Partito, ribadiva il Congresso, pensa che la
lotta di classe, anche dopo la liquidazione delie classi sfruttat­
rici, rimane una delle maggiori forze motrici della società...
Questa lotta nel socialismo, come lo dimostra anche l’esperienza
del nostro paese, è un fenomeno oggettivo e ineluttabile»*.
La lotta di classe all’interno del paese non solo non si inter­
rompe né si estingue, ma prosegue aspra, con flussi e riflussi,
intrecciandosi con la lotta di classe sul fronte esterno. Essa
coinvolge tutti i campi della vita.
La lotta di classe è diretta contro i nemici interni ed ester­
ni, contro i residui delle classi sfruttatrici, che continuano a
opporre resistenza ai lavoratori e a esercitare su di loro con
tutti i mezzi possibili la loro pressione. Essa è diretta anche
contro i nuovi elementi borghesi e degeneri, che nascono in
seno alla società socialista, così come contro le manifestazioni e
le deformazioni burocratiche, contro gli atteggiamenti liberali
e conservatori. Essa è diretta contro i furti e lo sperpero della
proprietà socialista, contro ogni tipo di manifestazione estranea
al socialismo, contro le concezioni, le abitudini e i costumi
retrogradi di contenuto patriarcale, feudale e borghese, contro
la psicologia piccolo borghese e i pregiudizi religiosi. Essa è di­
retta contro l’ideologia borghese e revisionista, contro le pres­
sioni e le influenze politiche e ideologiche dell’imperialismo e
del revisionismo, che diventano fonte di atteggiamenti e di
concezioni estranee, reazionarie, regressive sul lavoro, nella so­
cietà, nel modo di vivere, nelle scienze, nelle arti e nella let­
teratura.
La lotta di classe, ribadiva il Congresso, si riflette anche
all’interno del Partito, sebbene esso sia un partito monolitico
della classe operaia. I comunisti stessi non sono completamente
* Documenti principali del PLA, vol. 5, pp. 151-152. (Sottolineatura
della Red.).
417
scevri né immuni dalle concezioni, dai costumi e dalle abitudini
del passato, di cui portatore è l’ambiente sociale in cui sono
vissuti e continuano a vivere. D’altronde essi non sono immuni
neanche dagli influssi dell’ideologia borghese e revisionista pro­
venienti dall’esterno. Di conseguenza, anche dalle fila del Partito
possono emergere ed emergono elementi che finiscono per de­
generare e attestarsi anche su posizioni ostili, antipartito e antisocialiste. I nemici perseguono inoltre l’obiettivo specifico di
corrompere e di reclutare specialmente quadri comunisti facenti
parte degli organi dirigenti del Partito e del potere, al fine
di appianare il terreno alla realizzazione dei loro fini volti ad
annientare l’ordinamento socialista attraverso l’aggressione ar­
mata o la controrivoluzione pacifica. Donde la necessità di con­
durre una lotta sistematica di classe, anche all’interno del Par­
tito, contro gli elementi antipartito, contro le deviazioni dal­
l’ideologia e dalla linea politica proletaria del Partito, contro le
distorsioni e la violazione delle sue decisioni e delle sue diretti­
ve, contro la trasgressione dei princìpi e delle norme dello
Statuto, contro le manchevolezze e gli errori nel lavoro degli
organi dirigenti e delle organizzazioni di base del Partito, con­
tro l’opportunismo, il settarismo, il dogmatismo e tutte le con­
cezioni antimarxiste estranee al socialismo.
Per tutti questi motivi, il V Congresso ribadiva con forza
che «ogni allontanamento dalla lotta di classe è foriero di con­
seguenze disastrose per le sorti del socialismo», che pur prose­
guendo questa lotta contro i nemici esterni, gli imperialisti e i
revisionisti, non si deve mai trascurare nè dimenticare la lotta
di classe all’interno del paese. «Altrimenti la storia ci punirebbe
severamente».*
Secondo il Congresso l’accettazione o la non accettazione
della lotta di classe nel socialismo costituiva in sè la linea di
demarcazione tra i marxisti-leninisti e i revisionisti, tra i ri­
voluzionari e i traditori della rivoluzione.
Nelle condizioni concrete dell’offensiva frontale che il Par­
tito aveva intrapreso per la rivoluzionarizzazione propria e della
vita del paese, ribadendo la necessità di proseguire la lotta di
classe «ogni giorno e in ogni campo della vita», esso considerò
come elemento principale della sua azione la lotta ideologica
per far progredire la rivoluzione in tutti i campi.
La realizzazione dei grandi e difficili compiti della costru* Ibidem, p. 152.
418
zione completa della società socialista, l’aspra lotta di classe
su scala nazionale e internazionale non possono essere condotte
a buon fine senza uomini dotati di alta coscienza socialista,
affrancati dalle concezioni e dai costumi patriarcali, feudali e
borghesi nonché dai pregiudizi religiosi, senza uomini plasmati
con l’ideologia proletaria e dotati di una forte tempra e di una
grande fermezza rivoluzionaria.
La rivoluzione ideologica sarebbe servita al Partito e alla
classe operaia anche da potente arma per rivoluzionarizzare
tutta la sovrastruttura della società. Essa avrebbe liberato la
dittatura del proletariato e tutte le istituzioni politiche, econo­
miche e sociali da un buon numero di disposizioni giuridiche,
di forme e di metodi di lavoro adatti sì alla prima fase dell’edi­
ficazione socialista del paese, ma ormai invecchiate e che osta­
colavano l’impetuosa marcia in avanti. La rivoluzione ideologica
avrebbe ripulito la sovrastruttura da qualsiasi elemento estra­
neo al socialismo che vi fosse penetrato e avrebbe illuminato
la strada per scoprire e applicare norme, forme e metodi di
lavoro nuovi, più rivoluzionari, per poter meglio realizzare il
ruolo guida della classe operaia e assicurare la diretta parte­
cipazione di tutte le masse lavoratrici al governo del paese e
alla gestione dell’economia, nonché per rafforzare la dittatura
del proletariato.
Nel quadro della lotta politica e ideologica per il rafforza­
mento della dittatura del proletariato, il Congresso pose il
compito di proseguire il lavoro e gli sforzi per il continuo raf­
forzamento e perfezionamento dell’Esercito Popolare, degli orga­
ni dipendenti dal Ministero degli Interni e di tutte le Forze
Armate della Repubblica avendo come obiettivo primario il
loro sempre più stretto legame con il popolo, la loro ulteriore
tempra rivoluzionaria, la loro sistematica preparazione politica,
ideologica e militare, affinché fossero sempre capaci e pronti a
difendere le vittorie della rivoluzione, la patria socialista. Nel
medesimo tempo fu ribadita la necessità di perfezionare il
lavoro per la tempra militare di tutto il popolo e per una sua
migliore preparazione al combattimento.
L’approfondimento della rivoluzione ideologica doveva ele­
vare a un più alto grado il ruolo trasformatore delle idee
rivoluzionarie marxiste-leniniste nello sviluppo di tutta la so­
cietà. L’assimilazione dell’ideologia proletaria da parte delle
larghe masse lavoratrici avrebbe inciso enormemente sul per­
fezionamento dei rapporti socialisti di produzione e della base
419
economica della società, sulla salvaguardia, sull’estensione e il
consolidamento della proprietà socialista, sull’approfondimento
del carattere socialista della distribuzione, sulla continua rivo­
luzionarizzazione della gestione dell’economia nonché sullo svi­
luppo delle forze produttive e della rivoluzione tecnica e scien­
tifica.
Un altro obiettivo importante della rivoluzione ideologica,
del quale il Congresso si occupò in modo particolare, era la
questione della completa emancipazione della donna basandosi
sui rilevanti risultati già conseguiti in questo campo. Il Con­
gresso definì tale questione come «uno dei problemi più impor­
tanti della costruzione socialista, come una grande questione
politica, ideologica e sociale»*.
La rivoluzione ideologica doveva essere condotta sotto la
parola d’ordine «Pensare, lavorare e vivere da rivoluzionari»**,
parola d’ordine che avrebbe costituito l’essenza dell’educazione
comunista, il contenuto fondamentale di tutto il lavoro educa­
tivo dell Partito.
All’educazione comunista dei lavoratori, all’approfondimento
della rivoluzione ideologica doveva assolutamente rispondere un
lavoro più organizzato e più perfezionato per l’apprendimento
e l’assimilazione della teoria marxista-leninista da parte dei co­
munisti, dei quadri, della classe operaia e di tutti i lavora­
tori. Per questa ragione, il Congresso raccomandava «di con­
durre un’aspra lotta contro la concezione intellettualistica bor­
ghese e reazionaria, secondo cui la teoria, la filosofia, la scienza
e l’arte sono difficili, quindi inaccessibili alle masse, che pos­
sono essere comprese soltanto dai quadri e dall’intellighenzia...
Il marxismo-leninismo non è un privilegio nè il monopolio di
una «élite» capace di capirlo. Il marxismo-leninismo è l’ideolo­
gia scientifica della classe operaia e delle vaste masse lavora­
trici, e solo quando le vaste masse dei lavoratori si impadroni­
scono delle sue idee, esso non rappresenta più qualcosa di
astratto, ma diventa un’immensa forza materiale per la trasfor­
mazione rivoluzionaria del mondo»***.
La rivoluzione nel campo della cultura che si sviluppava in
unità e organica connessione con la rivoluzione ideologica,
serviva direttamente a quest’ultima. «Tutto il lavoro nel
* Documenti principali del PLA, vol. 5, p. 142.
** Ibidem, p. 159 (sottolineatura della Red.).
*** Ibidem, p. 162.
420
campo della cultura, dell’istruzione e dell’arte ci deve ser­
vire, in primo luogo, a realizzare lo scopo fondamentale —
l’educazione dei comunisti e di tutti i lavoratori nell’alto spirito
rivoluzionario marxista-leninista di classe»*. Pertanto il Con­
gresso assegnava all’arte e alla cultura il compito di poggiare
saldamente sul terreno nazionale, di trarre ispirazione dal po­
polo e di essere interamente al suo servizio. Il Partito del
Lavoro d’Albania, come sempre, si atteneva fedelmente al prin­
cipio leninista dello spirito di partito proletario nelle arti, nelle
lettere e in tutta la vita spirituale della società. La cultura e
l’arte borghesi decadenti, il cosmopolitismo sono alieni al so­
cialismo. Nel retaggio culturale e artistico del popolo albanese
gli intellettuali e gli artisti dovevano continuare ad attingere,
come prima, unicamente ciò che era progressivo, patriottico,
democratico. Il popolo albanese si è creato nel corso dei secoli
un ricco tesoro di vita spirituale con contenuto sano e pro­
gressivo, in quanto preziosa fonte e terreno fertile per le arti,
la letteratura e la nuova cultura socialista in generale. Nel
medesimo tempo il Congresso rilevava che le arti e la cultura
nell’Albania socialista hanno tratto e continueranno ad avvalersi,
anche in avvenire, dall’esperienza dell’arte e della cultura pro­
gressiste universali. Ma la nuova cultura albanese non doveva
diventare mai schiava della cultura straniera nè ricevere nulla
da essa senza un’analisi approfondita e una valutazione critica
nello spirito di classe.
La continua rivoluzionarizzazione della scuola doveva coin­
volgere tutto il sistema d’istruzione, il contenuto e i metodi
di insegnamento e di educazione. Come problemi di primordiale
importanza emergevano la tempra rivoluzionaria politica e ideo­
logica della gioventù, la sua preparazione diretta alla vita e al
lavoro, la connessione dello studio con l’attività produttiva,
l’educazione comunista attraverso il lavoro.
Il rafforzamento e la tempra
del Partito, in quanto partito
rivoluzionario della classe ope­
raia, la crescita del suo ruolo
guida in tutta la vita del pae­
se, furono definiti dal V Congresso come condizione essenziale
per poter ininterrottamente sviluppare e portare fino in fondo
la rivoluzione socialista.
La continua rivoluziona­
rizzazione del Partito e le
qualità comuniste dei suoi
membri
* Ibidem, p. 159.
421
Il PLA aveva cura di mantenere sempre solida la sua base
ideologica e organizzativa marxista-leninista, indipendentemente
dal fatto che vi fossero organizzazioni che non svolgevano come
si deve il loro ruolo guida, che alcuni membri di partito ave­
vano perduto le qualità del comunista e non davano più l’esem­
pio di militanti d’avanguardia. «Ma noi, ribadiva il Congresso,
in nessun momento e in nessun campo dobbiamo permettere
che il nostro Partito si disarmi, si lasci inebriare dai successi
e cadere nell’indolenza, si faccia soffocare dalla polvere, dalla
routine e dal burocratismo»*.
Era necessario approfittare quanto più possibile dall’amara
esperienza dell’Unione Sovietica, dove il Partito comunista si era
immerso a poco a poco nel burocratismo, nella routine, nel for­
malismo e nell’indolenza, che lo avevano privato del suo spirito
rivoluzionario e lo avevano reso incapace di impedire ai revi­
sionisti di impadronirsi del potere e di incamminare il paese
sulla via della restaurazione del capitalismo.
Al fine di salvaguardare il Partito del Lavoro d’Albania
dal burocratismo e da altri mali, di rafforzarlo e rivoluzionarizzarlo ininterrottamente, il Congresso diede orientamenti e
fissò compiti per il continuo miglioramento della sua compo­
sizione proletaria e per l’ulteriore ampliamento delle forze del
Partito, per l’elevamento del ruolo guida delle organizzazioni
di base, per l’approfondimento della linea di massa, avendo
particolarmente in vista le qualità rivoluzionarie che devono
caratterizzare i comunisti.
Nel corso di 25 anni il popolo albanese aveva visto nel
comunista la persona più onesta e più fedele, più decisa a
portare fino in fondo la causa della rivoluzione e del socialismo,
l’aveva sempre visto in prima linea, sempre pronto a impe­
gnarsi in prima persona là dove la lotta e il lavoro sono più
difficili, intrepido di fronte ai nemici, alle difficoltà e agli osta­
coli. E grazie all’esempio dei suoi membri come militanti d’a­
vanguardia, il Partito si era conquistato il cuore del popolo,
aveva stabilito e continuava a mantenere stretti legami con
le ampie masse mobilitandole continuamente per la rivoluzione,
per la costruzione socialista e la difesa del paese.
Partendo proprio da questa ricca esperienza inerente al­
l’attività, agli atteggiamenti e ai comportamenti rivoluzionari
dei membri del PLA, il compagno Enver Hoxha definì i loro
* Ibidem, p. 122.
422
tratti distintivi che rispondevano alle nuove esigenze per la
crescita del ruolo guida del Partito e, di conseguenza, alla rea­
lizzazione dei grandi compiti per la completa edificazione della
società socialista. Tali tratti furono riflessi nel rapporto del
Comitato Centrale presentato al Congresso, il quale li inserì
nello Statuto del PLA.
I membri del PLA devono dimostrare nei fatti la loro fe­
deltà al marxismo-leninismo e al Partito, la determinazione di
servire il popolo, la rivoluzione e il socialismo — questo è il
criterio fondamentale dei loro tratti comunisti.
L’appartenenza al Partito non assicura alcun privilegio al
comunista nè alla sua famiglia, non gli conferisce diritti mag­
giori di quelli che godono tutti gli altri cittadini nell’Albania
socialista; essa comporta soltanto doveri più gravosi, maggiori
responsabilità.
Il comunista deve porsi alla testa delle masse e guidarle,
ma tale posizione non gli viene assicurata automaticamente
dalla sua qualità di membro del Partito. Per diventare diri­
gente delle masse, conquistarsi la loro fiducia, egli deve lavo­
rare e vivere in mezzo alle masse, ascoltare con la massima
attenzione la loro voce e imparare da esse; egli dev’essere sem­
plice, giusto, onesto, franco, amabile con la gente, nemico della
presunzione, dello spirito di comando e di arroganza; egli deve
porsi alla testa delle azioni, nell’adempimento dei doveri per
quanto difficili siano, senza arretrare dinanzi a qualsiasi sacri­
ficio.
Il comunista si contraddistingue per una ferrea e cosciente
disciplina nell’applicazione dei princìpi, delle norme e della
linea marxista-leninista del Partito e, nel contempo, per lo spi­
rito creativo nella propria attività rivoluzionaria, nell’esecu­
zione delle decisioni e delle direttive.
Il comunista dà costantemente e in ogni caso prova di
un’alta vigilanza nella difesa e nell’applicazione della linea del
Partito, conduce una lotta inconciliabile contro ogni tendenza a
violare e a distorcere tale linea e le leggi dello Stato. Egli
conduce senza paura e con saggezza la lotta di classe all’in­
terno e fuori del Partito, conformemente alla linea del Partito
e senza cadere nell’opportunismo o nel settarismo. Da un can­
to, egli si mostra spietato verso i nemici e, dall’altro, molto
paziente con i compagni e la gente del popolo che hanno sba­
gliato per ricondurli sulla retta via e correggerli.
Il comunista si adopera instancabilmente ad elevare il
423
proprio livello ideologico, politico e culturale, considerando ciò
come condizione indispensabile per essere sempre un militante
d’avanguardia.
Il Congresso esigeva che queste qualità, incarnate nella
maggior parte dei comunisti, diventassero una seconda natura
per tutti i membri del Partito, senza alcuna eccezione. «Altri­
menti, indicava il Congresso, non si può mantenere vivo lo spi­
rito rivoluzionario del Partito, non si può nemmeno parlare di
rivoluzionarizzazione della vita del nostro paese»*.
Al fine di inculcare tali qualità anche nei nuovi membri del
Partito, fu deciso non solo di fare una scelta più accurata dei
candidati, ma anche di prolungare il loro tirocinio, che è un
periodo di prova molto importante, da un anno che era a due
o a tre anni, a seconda della condizione sociale, del carattere
del lavoro e della preparazione ideologica e politica di ciascun
candidato.
Per l’ulteriore rivoluzionarizzazione della vita interna del
Partito, il Congresso ribadiva la necessità di rafforzare la critica
e l’autocritica, traendo insegnamento dalla critica e dall’auto­
critica fatte dal Comitato Centrale riguardo agli errori e alle
manchevolezze del Partito esposti nella sua Lettera aperta del
marzo 1966. «Il nostro Partito — diceva il compagno
Enver Hoxha nel suo rapporto — non ha mai nascosto i suoi
errori e le sue manchevolezze. Esso gli ha svelati e criticati
apertamente e coraggiosamente... Ciò ha forse scosso la fiducia
del popolo nel Partito? Ha forse indebolito lo spirito combattivo
del Partito, dei quadri, dei lavoratori? Al contrario, il popolo
si è legato più strettamente attorno al Partito; il suo amore
per il Partito e la fiducia nei suoi confronti si sono decupli­
cati...»**.
Il Congresso elaborò ugual­
mente le direttive del 4° piano
quinquennale nello spirito del­
la continua rivoluzionarizzazione di tutta la vita del paese.
Principali compiti del piano quinquennale furono definiti i
seguenti: Accelerare la completa costruzione della base mate­
riale e tecnica del socialismo, proseguendo l’industrializzazione
Le direttive del 4° piano
quinquennale
* Documenti principali del PLA, vol. 5, p. 128.
** Ibidem, p. 134.
424
socialista e aumentando la produzione industriale mediante un
più efficiente impiego delle esistenti capacità produttive e la
costruzione di nuove opere, concentrando le forze per uno
sviluppo più rapido della produzione agricola, soprattutto cerea­
licola, in primo luogo mediante l’intensifinazione dell’agricoltura;
elevare il benessere materiale e il livello culturale della
popolazione e accrescere il potenziale difensivo della patria;
perfezionare ulteriormente, in via rivoluzionaria, i rap­
porti socialisti di produzione, ridurre gradualmente le diffe­
renze tra città e campagna, tra classe operaia e masse conta­
dine, tra industria e agricoltura e tra lavoro intellettuale e
lavoro manuale;
approfondire la rivoluzione nel campo dell’ideologia e della
cultura, rafforzare la dittatura del proletariato, l’unità del po­
polo intorno al Partito, promuovere la rivoluzione socialista
in tutti i campi.
In tal modo il Congresso collegava organicamente lo svilup­
po economico e culturale del paese con l’ulteriore rivoluziona­
rizzazione della sua vita. La rivoluzionarizzazione sarebbe ser­
vita quindi da solida base per il raggiungimento dei grandi
obiettivi di sviluppo delle forze produttive e per il perfeziona­
mento dei rapporti socialisti di produzione. E viceversa, lo svi­
luppo di queste forze e di questi rapporti socialisti costituiva
la base materiale indispensabile per l’adempimento dei compiti
che impone la rivoluzionarizzazione.
La produzione industriale doveva segnare un incremento
del 50-54 per cento rispetto al 1965. A ritmi più celeri si
sarebbero sviluppate specialmente l’industria chimica, meccanica,
energetica, del rame e del ferro-nikel. Per la prima volta sareb­
bero stati prodotti in Albania laminati metallici, concimi azotati
e fosfatici, carta di varia qualità, lampadine elettriche e parecchi
altri articoli. Il quarto quinquennio segnava l’ingresso del nostro
paese in una nuova fase d’industrializzazione, nella fase di
sviluppo dell’industria pesante e di trasformazione.
L’industrializzazione rimaneva pertanto, come prima, un
compito d’importanza vitale, «...la cui realizzazione — osser­
vava il Congresso era indispensabile per far progredire la
rivoluzione socialista sul fronte economico»*. Ma nel contempo
il Partito si atteneva alla linea di sviluppo simultaneo dell’indu* Ibidem, p. 92.
425
stria e dell’agricoltura, poiché per avere un’economia nazionale
forte e indipendente, questa doveva poggiare su entrambi i
piedi, l’industria e l’agricoltura.
Si prevedeva di realizzare nel 1970 una produzione agri­
cola del 71-76 per cento superiore a quella del 1965. Assicuran­
do tassi di incremento più elevati per la produzione agricola
rispetto alla produzione industriale, il Partito mirava ad atte­
nuare le differenze fra agricoltura e industria, a ridurre il
divario fra città e campagne.
Al fine di assicurare la crescita della produzione agricola,
l’accento fu posto sull’incremento dei rendimenti. Di pari passo
con l’intensificazione dell’agricoltura, sarebbero state dissodate
nuove terre in misura due volte maggiore rispetto al terzo
quinquennio. Il Congresso lanciò la parola d’ordine: «Attacchia­
moci alle colline e alle montagne, rendiamole belle e fertili
come le pianure».
Oltre a questi compiti, il Congresso impartì la direttiva
secondo la quale il Partito e lo Stato dovevano contribuire al
raggruppamento in cooperative agricole di tutti i poderi non
ancora collettivizzati e che rappresentavano circa il 10 per cento
delle terre dei contadini.
Per la realizzazione dei compiti del 4° quinquennio fu
stabilito di aumentare del 34 per cento gli investimenti di base
rispetto al quinquennio precedente. L’80 per cento di tali inve­
stimenti sarebbero stati devoluti ai settori produttivi.
Il reddito nazionale sarebbe aumentato del 45-50 per cento,
di cui il 28,2 per cento doveva essere destinato al fondo di
accumulazione e il 71,8 per cento al fondo di consumo sociale
e individuale. Il reddito reale pro capite degli operai e degli
impiegati sarebbe aumentato del 9-11 per cento, e quello delle
masse contadine del 20-25 per cento. Il problema del migliora­
mento del benessere delle masse è stato sempre uno degli obiet­
tivi principali della politica rivoluzionaria del Partito. Per il
PLA assicurare l’elevamento del benessere non significava soddi­
sfare i capricci piccolo borghesi, non significava permettere ad
alcuni strati e gruppi privilegiati di vivere nel lusso, ma soddi­
sfare i bisogni materiali, culturali e spirituali di tutto il popolo
e ciò non solo nel presente, ma anche nel futuro. La soddisfa­
zione di questi bisogni è in funzione del livello generale di
sviluppo economico del paese, delle esigenze della riproduzione
allargata e della difesa.
426
Nel trattare i problemi economici, il Congresso si soffermò
anche sulla questione del perfezionamento della gestione piani­
ficata dell’economia. Esso denunciò la pratica seguita dai paesi
revisionisti e consistente nel sostituire la direzione centraliz­
zata dell’economia con la decentralizzazione anarchica, pratica
che apre la strada all’azione delle leggi del capitalismo e alla
completa trasformazione dell’economia socialista in economia
capitalista. Il Congresso espresse la determinazione del PLA di
attuare costantemente la direzione centralizzata dell’economia,
basandosi su un piano statale unico e generale. Al tempo stesso,
esso pose l’accento sul fatto che tale direzione statale e cen­
tralizzata fosse profondamente democratica, coordinata con la
partecipazione organizzata, ampia e diretta delle masse, ed
anche con l’estensione dei diritti e delle competenze degli or­
gani statali ed economici a tutti i livelli.
Il Congresso impartì anche la direttiva di impiegare con
maggiore impegno e in modo sistematico gli elementi e le
categorie economiche che regolano l’attività delle imprese, come
il costo di produzione, il profitto, i prezzi, ecc. Ma in tutto ciò
gli organi statali ed economici dovevano avere come guida la
politica proletaria del Partito, gli interessi generali del socia­
lismo, e la difesa della patria.
Gli obiettivi del 4° piano quinquennale, come quelli di tutti
i piani quinquennali precedenti, si basavano sulle solide fondamenta della politica economica rivoluzionaria del Partito. An­
che questa politica, dal canto suo, poggiava fortemente sulle
leggi oggettive economiche della società socialista, sulle concrete
condizioni interne ed esterne, sulle possibilità reali di sviluppo
dell’economia e della cultura popolare, sulle risorse, sui mezzi
e le forze del paese. Essa rispondeva alle necessità presenti e a
lungo termine del costante progresso del paese, sempre in
avanti, sulla via del socialismo.
Il V Congresso fece un’approfondita analisi marxista-lenini­
sta della situazione internazio­
nale. Da quest’analisi trasse la
conclusione essenziale che la
lotta senza compromessi contro l’imperialismo, con a capo l’im­
perialismo americano e contro il revisionismo moderno, capeg­
giato dal revisionismo sovietico, costituiva un compito d’im­
Portare ad un livello su­
periore la lotta contro
l’imperialismo e il revisio­
nismo moderno
427
portanza decisiva per i destini della libertà e dell’indipendenza,
per i destini del socialismo, su scala nazionale e internazionale.
La cristallizzazione di una nuova alleanza fra l’imperiali­
smo americano e l’imperialismo sovietico era uno degli aspetti
fondamentali della situazione internazionale.
Quest’alleanza aveva per fondamenta interessi e obiettivi
strategici comuni, che consistevano nella spartizione delle zone
d’influenza e nell’istaurazione del dominio delle due più grandi
potenze nel mondo.
L’alleanza sovietico-americana si stava consolidando sem­
pre più e coinvolgeva tutti i campi attraverso i vari trattati e
accordi, aperti o segreti, conclusi fra le controparti.
Ma quest’alleanza non si sviluppava senza difficoltà e senza
contraddizioni. Queste contraddizioni avevano la loro origine
nelle mire egemoniche e espansionistiche dei due imperialismi,
nei tentativi di ciascuno di essi per assicurarsi la supremazia
sull’altro.
Esistevano anche profonde contraddizioni fra l’imperialismo
americano e il revisionismo sovietico, da un canto, e i loro
alleati dall’altro: fra gli USA e la Francia, che si era messa
sulla via dell’opposizione aperta, ed anche fra gli USA e l’In­
ghilterra, la Germania Occidentale, il Giappone, ecc.; fra
l’Unione Sovietica e gli altri paesi revisionisti e i partiti revi­
sionisti dell’Europa Occidentale capitalista, dove prendevano
sempre più corpo le tendenze alla secessione, gli attriti e gli
sforzi per affrancarsi dal diktat di Mosca e assicurarsi così
una vita libera e indipendente.
Per annientare tutti i piani aggressivi dell’imperialismo
americano, del revisionismo kruscioviano e di tutta la reazione
mondiale, per condurre con maggiore successo la lotta contro
di essi, il V Congresso sollevò come una necessità oggettiva
di grande importanza internazionale la questione dell’unione
dei popoli in un ampio fronte antimperialista mondiale.
E perchè questo fronte avesse un carattere veramente an­
timperialista, era ovvio che ad esso dovevano aderire tutti
quelli che. in un modo o nell’altro, mantenevano un atteggia­
mento antimperialista, nei fatti e non a parole, tutti quelli che
in qualche modo lottavano contro l’imperialismo. «I revisionisti
kruscioviani, — rilevava il Congresso, — con tutta la loro politi­
ca e la loro attività, si sono messi fuori dal fronte antimperia­
lista. Introdurre in questo fronte i revisionisti, significa intro­
durvi la quinta colonna, il «cavallo di Troia», e minarlo dal­
428
l’interno»*. Questo atteggiamento rivoluzionario del PLA era al
tempo stesso una risposta agli atteggiamenti volubili dei diri­
genti del PCC su tale questione, e alle loro tendenze ad unirsi
con i revisionisti di ogni stampo, perfino con i revisionisti
sovietici, in un unico fronte «antimperialista».
Nel suo V Congresso, il PLA espresse ancora una volta e
in maniera risoluta la sua volontà di non accettare alcun tipo
di unità d’azione con i revisionisti kruscioviani. Agendo diversamente, non avrebbe fatto che tradire il suo popolo, il sociali­
smo, il marxismo-leninismo. Il revisionismo moderno, con a
capo il revisionismo sovietico, costituiva ormai non solo il
principale pericolo ma anche il nemico principale del movi­
mento comunista e operaio internazionale, del socialismo, delia
libertà e dell’indipendenza dei popoli.
Partendo da posizioni di principio, il Congresso criticò aspra­
mente tutti quelli che non combattevano il revisionismo pro­
priamente detto, ma la sua ombra, che chiudevano gli occhi
davanti alla realtà, che fingevano di non vedere il tradimento
dei dirigenti revisionisti, che predicavano la conciliazione e
l’unità con i revisionisti o che assumevano un atteggiamento
centrista. «Il nostro Partito è dell’opinione che ora, all’ordine
del giorno, si pone quale problema cruciale non la conciliazione
e l’unità con i revisionisti, ma la separazione, il divorzio de­
finitivo con loro»**.
Il Congresso salutò la creazione di una serie di nuovi par­
titi e gruppi marxisti-leninisti in diversi paesi del mondo. La
creazione di questi nuovi partiti e gruppi marxisti-leninisti era
l’esito naturale della lotta tra il marxismo-leninismo e il revi­
sionismo. Due ideologie e due linee opposte non possono mai
convivere in seno ad un partito marxista-leninista, in partico­
lare, e in seno al movimento comunista internazionale in ge­
nerale.
Al Congresso fu espressa la disponibilità del PLA di aiutare
con tutti i mezzi di cui disponeva le nuove forze marxisteleniniste. «Noi consideriamo ciò come un nostro grande dovere
internazionalista, perchè nella crescita e nello sviluppo di tali
nuove forze rivoluzionarie noi vediamo l’unica via giusta per
il trionfo del marxismo-leninismo e la distruzione del revi­
sionismo»***.
* Ibidem, p. 191.
** Ibidem, p. 194.
*** Ibidem, p. 186.
429
I nuovi partiti e gruppi marxisti-leninisti fondavano le loro
speranze soprattutto nel sostegno del Partito e della RP cinesi
in quanto «grande partito marxista-leninista» e «grande paese
socialista». In generale, essi rimasero delusi quando si accorsero
di non avere l’immediato appoggio che speravano di ottenere.
In realtà, come si venne a sapere più tardi, all’inizio Mao Tse­
tung e compagni non approvarono la loro creazione e non
ebbero fiducia in essi. Ma quando videro che questi nuovi par­
titi e gruppi si erano già costituiti e si stavano consolidando
contro il volere dei dirigenti cinesi, questi cambiarono tattica
e si prefissero lo scopo di strumentalizzarli per i loro gretti
interessi. Per questa ragione essi li riconobbero tutti quanti,
partiti e gruppi, senza eccezione, uno o più di uno in un solo
paese, purché si autodefinissero «marxisti-leninisti» «rivolu­
zionari», «guardie rosse» ecc., purché si autoproclamassero se­
guaci del «maotsetungpensiero». Nel frattempo il PLA mante­
neva un atteggiamento cauto, basandosi sui fatti e non sulle
parole di questo o di quell’altro partito o gruppo, attenendosi
al principio che ogni paese deve avere solo un vero partito
marxista-leninista.
Per il rinnovamento rivoluzionario e il rafforzamento del
comunismo internazionale, il Congresso considerò indispensabile
la necessità di stabilire tempestivamente stretti rapporti di col­
laborazione e di creare l’unità ideologica e d’azione tra i partiti
e tutte le forze marxiste-leniniste dei vari paesi sulla base del
marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.
Al termine dei suoi lavori, il V Congresso elesse all’unani­
mità il Comitato Centrale del PLA, composto di 61 membri e di
36 membri supplenti ed anche la Commissione Centrale di Con­
trollo e di Revisione. Primo Segretario del CC del PLA fu rie­
letto il compagno Enver Hoxha.
Il Congresso mise in evidenza la monolitica unità, la matu­
rità e la determinazione del Partito di portare la rivoluzione
socialista fino in fondo. Generalizzando la grande esperienza
della lotta rivoluzionaria nell’ultimo quinquennio, esso arricchì
e sviluppò ulteriormente la linea marxista-leninista del Partito
per la completa costruzione della società socialista.
Il Congresso espresse la determinazione del PLA di prose­
guire ininterrottamente la lotta contro l’imperialismo e il revi­
sionismo moderno.
La partecipazione dei rappresentanti dei nuovi partiti e
430
gruppi rivoluzionari marxisti-leninisti al V Congresso del Par­
tito del Lavoro d’Albania costituiva un’avvenimento importante
per il movimento comunista internazionale, il quale si era in­
camminato sulla via del suo rinnovamento su basi marxisteleniniste.
2. LA REALIZZAZIONE DEI COMPITI PER LA
RIVOLUZIONARIZZAZIONE DEL PARTITO E
DEL POTERE E PER IL RAFFORZAMENTO
DELL’UNITA’ PARTITO-POPOLO
L’analisi scientifica dei grandi problemi di carattere nazio­
nale e internazionale del momento da parte del V Congresso ed
i suoi orientamenti aprirono nuovi orizzonti sulla via della
completa costruzione della società socialista.
Tutto il Partito e le sue leve si mobilitarono per spiegare
quanto meglio possibile al popolo gli orientamenti dati e i
compiti fissati dal Congresso, per realizzarli il più ampiamente e
profondamente possibile. Il discorso del compagno Enver Hoxha
«Sull’ulteriore rivoluzionarizzazione del Partito e del potere»,
pronunciato il 6 febbraio 1967, svolse un ruolo importante in
tal senso.
La ferma e costante applica­
zione dei princìpi e delle nor­
me marxiste-leniniste del Par­
tito è stata una delle princi­
pali fonti delle grandi vittorie
da esso conseguite. Ma nelle
circostanze del diffondersi del revisionismo e dell’inasprimento
della lotta fra il marxismo-leninismo e il revisionismo su scala
internazionale, nelle condizioni del nuovo slancio rivoluzionario
che era esploso in Albania, l’applicazione rivoluzionaria di tali
princìpi e norme rivestiva particolare importanza per la salvaguardia e il rafforzamento del carattere proletario del Partito,
e per l’ulteriore sviluppo della rivoluzione socialista in tutti i
campi.
Il partito della classe operaia non può avere una giusta
linea marxista-leninista se nel medesimo tempo non poggia su
norme e princìpi organizzativi comunisti e non li applica in
modo rivoluzionario. Quando il Partito Comunista dell’Unione
L’applicazione
rivoluzio­
naria dei princìpi e delle
norme del Partito per il
rafforzamento del suo ca­
rattere proletario
431
Sovietica si allontanò dall’ideologia e dalla politica leninista-sta­
liniana, esso rinunciò anche all’applicazione rivoluzionaria delle
norme e dei princìpi marxisti-leninisti del Partito, i quali si
trasformarono in formule senza vita.
Nel suo discorso del 6 febbraio, il compagno Enver Hoxha
criticò il sentimento di autocompiacimento manifestatosi in al­
cuni comunisti e quadri in seguito alle vittorie conseguite;
tale sentimento impediva loro di scoprire i difetti, gli errori
e la violazione dei princìpi e delle norme dello Statuto. Esso
aveva le sue radici nel concetto idealista e metafisico, secondo
il quale gli organi e i quadri dirigenti del Partito e del potere
sono infallibili e al riparo di qualsiasi critica. Donde il carat­
tere spesso superficiale e del tutto formale della critica e
dell’autocritica nelle organizzazioni di partito, nonché della
critica all’indirizzo degli organi e dei quadri dirigenti. Simili
debolezze ostacolavano la continua rivoluzionarizzazione del
Partito.
«La rivoluzionarizzazione del Partito, insegnava il compa­
gno Enver Hoxha, può essere realizzata soltanto attraverso la
corretta conoscenza del profondo senso filosofico e dell’applicazione rigorosa e in via rivoluzionaria dei princìpi marxistileninisti che fanno da guida al Partito, nonché delle norme le­
niniste che regolano la sua vita e quella dei comunisti.
Tale questione d’importanza vitale non dev’essere intesa
formalmente e non possiamo permettere che questi princìpi sia­
no applicati meccanicamente e imparati come formule prive di
anima e di vita»*.
Poggiando su questo insegnamento e sugli orientamenti del
V Congresso, il Partito concentrò la sua attenzione particolar­
mente in alcune direzioni.
Particolare cura fu dedicata alla vivacizzazione e all’appro­
fondimento dello spirito rivoluzionario nelle organizzazioni di
base. Fu chiesto ai comunisti di prepararsi meglio prima di
andare alle riunioni, di esporvi coraggiosamente le loro opinioni,
di fare osservazioni, critiche, previsioni e proposte, di chiedere
dapprima conto a sé stessi del proprio operato e poi ai loro com­
pagni. Furono colpiti anche tutti i casi di atteggiamenti opportu­
nistici consistenti nel non criticare i propri compagni o supe­
riori per motivi di familiarità, di conformismo, di servilismo,
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato il 6 febbraio 1967. Rapporti
e discorsi 1967-1968, p. 22.
432
ed anche per paura di vendetta. Furono prese severe misure
nei confronti di coloro che sfruttavano il loro posto di dirigente
per vendicarsi in un modo o nell’altro di quelli che li avevano
criticati. Nel contempo fu svolto un intenso lavoro per far me­
glio capire che non può continuare ad essere comunista colui
che ha paura di criticare e di esprimere apertamente ciò che
pensa a proposito di qualsiasi problema, colui che soffoca la
critica e le osservazioni dei suoi compagni. In tal modo crebbe
il ruolo delle organizzazioni di base, in quanto centri di educa­
zione e di tempra rivoluzionaria e organismi dirigenti.
Il mantenimento e il rafforzamento dell’unità ideologica e
organizzativa del Partito costituiva una questione alla quale era
sempre stata dedicata una cura particolare. Il Comitato Cen­
trale chiedeva che a proposito di tale questione di vitale im­
portanza si desse continuamente prova della massima vigilanza.
Uno degli obiettivi permanenti dei nemici esterni ed interni
è la distruzione dell’unità interna del Partito. I revisionisti so­
vietici, titisti e altri ricorrevano ad ogni mezzo per minare le
fondamenta della ferrea unità tradizionale del PLA, per creare
spaccature nelle sue file, al fine di far sviare il Partito dalla
via marxista-leninista alla via revisionista. Dal canto suo anche
Mao Tsetung, il quale da tempo aveva eretto a teoria, come un
fenomeno oggettivo, l’esistenza di frazioni e di linee opposte e
anche la lotta tra le linee all’interno del partito, si sforzò tra­
mite Chou En-lai nel giugno 1966, in occasione della visita di
quest’ultimo in Albania, di imporre questa «teoria» antimarxista
al Partito del Lavoro d’Albania pure.
Il PLA, applicando il grande principio dell’unità del partito
marxista-leninista, non aveva permesso mai il cristalizzarsi nel
suo seno di correnti frazioniste e di linee revisioniste opposte,
aveva scoperto e distrutto tempestivamente attraverso una lotta
rivoluzionaria di principio gli elementi e le concezioni ostili, i
gruppi frazionisti antipartito, prima che si trasformassero in cor­
renti e linee opposte. Facendo la sintesi di quest’esperienza e
rispondendo indirettamente alla direzione cinese, il compagno
Enver Hoxha dichiarava: «Un partito marxista-leninista, che si
fa rispettare come tale, non può permettere resistenza di due
linee nel suo seno; non può quindi permettere resistenza di una
o più frazioni. E anche se si manifestasse un fenomeno del ge­
nere, esso non può né deve permettere la sua esistenza, sia
pure per breve tempo. Una frazione nel Partito, in contrasto
con l’unità di pensiero e di azione marxista-leninista, tende a
433
trasformare il partito in un partito socialdemocratico e il
paese socialista in un paese capitalista»*. La pratica ha dimo­
strato che il cristallizzarsi di ideologie e di linee opposte nel
partito dimostra che tale partito o non è un vero partito marxista-leninista o, essendo tale, non ha condotto correttamente,
in modo coerente e deciso la lotta di classe nel suo seno.
Per preservare e rafforzare l’unità del Partito, seguendo
le idee del Congresso e gli insegnamenti del compagno
Enver Hoxha, la lotta fu principalmente concentrata nell’attua­
zione rivoluzionaria dei princìpi e delle norme del partito pro­
letario. Lottando contro la violazione di tali princìpi e norme,
nel contempo furono denunciati i casi di litigi, di spirito di
parte, di clan e di familiarità nociva, che creano un terreno
propizio alla mancata applicazione dello Statuto, all’indeboli­
mento dell’unità di pensiero e d’azione, ed anche al manife­
starsi di attività ostili in seno all’organizzazione, che non con­
sentono a questa di svolgere il suo ruolo guida.
Una questione d’importanza capitale e che diede un nuovo
impulso alla rivoluzionarizzazione del Partito fu l’ammissione
dei nuovi membri. Il V Congresso aveva espresso la sua disap­
provazione a quelle organizzazioni del Partito, che non avevano
ammesso da molto tempo nuovi candidati. Negli anni 19651966 gli effettivi del Partito erano cresciuti rispettivamente
solo dell’1.9 e dello 0.2 per cento. Si trattava di un incremento
del tutto insoddisfacente. Anche nel 1967, nonostante le insi­
stenti raccomandazioni del Comitato Centrale, tale incremento
era stato del 2,7 per cento e non poteva essere assolutamente
ritenuto sufficiente.
Nell’analisi fatta dal Comitato Centrale a questo problema
il compagno Enver Hoxha rilevava: «Questa è una questione
molto seria, compagni, stiamo commettendo un grave errore...»**.
Poi egli chiese che il problema fosse preso seriamente in con­
siderazione, che ogni organizzazione o comitato di partito si
mettesse all’opera per studiarlo e risolverlo. La questione delle
nuove ammissioni al partito fu esaminata anche dallo stesso
Comitato Centrale, a livello di tutto il Partito, e su questa
* Enver Hoxha. Discorso pronunciato il 6 febbraio 1967. Rapporti
e discorsi 1967-1968, p. 40.
** Enver Hoxha. Intervento alla riunione del Segretariato del CC
del PLA, 21 aprile 1967. Rapporti e discorsi 1967-1968, p. 84.
434
base esso impartì gli orientamenti necessari. Tutto ciò accelerò
il ritmo delle ammissioni. Nel corso del quinquennio 1967-1971
andarono ad ingrossare le file del Partito 20.658 comunisti. In
tal modo gli effettivi del Partito aumentarono del 31 per cento,
mentre durante il precedente quinquennio tale incremento era
stato solo del 3.24 per cento.
Ma il successo più rilevante fu il rafforzamento della com­
posizione del Partito con elementi operai. Nel 1970 i comunisti
di condizione sociale operaia, con una percentuale del 36.08 sul
numero totale dei membri del Partito, ebbero per la prima
volta il sopravvento sui comunisti intellettuali e contadini cooperativisti che rappresentavano rispettivamente il 34.68 e il
29.24 per cento. Tutto ciò testimoniava la grande cura del Par­
tito di essere proletario non soltanto sotto il profilo ideologico,
ma anche per quanto riguardava la sua composizione di classe.
Questa è un’altra caratteristica che contraddistingue il PLA, in
quanto partito rivoluzionario della classe operaia, dai partiti
revisionisti dove dominano sotto ogni aspetto, compreso quello
della loro composizione sociale, i funzionari burocrati e la tec­
nocrazia.
Negli anni 1967-1971 si ebbe una svolta qualitativa anche
nella composizione sociale degli organi dirigenti del Partito.
Nell’analisi che il Comitato Centrale del Partito fece a tale
questione verso la fine del 1967, esso considerò come irregolare
il fatto che fra i 1.450 membri di plenum dei comitati di par­
tito soltanto 220 erano operai. Poco soddisfacente si presentava
anche la composizione degli uffici dei comitati di partito, mentre
la composizione sociale degli uffici e dei segretari delle organiz­
zazioni di base era un po’ migliore, quantunque lasciasse ancora
a desiderare.
La direzione del Partito trasse la conduzione che si doveva
senz’altro migliorare la composizione sociale degli organi diri­
genti, e impartì a tal fine gli orientamenti necessari. Ne seguì
un cambiamento della situazione sin dalle elezioni del 1968 nel
Partito, mentre nel 1971 i comunisti di condizione, provenienza
e origine operaia rappresentavano il 55 per cento della totalità
dei membri di plenum dei comitati di Partito. Gli operai comu­
nisti rappresentavano l’85.2 per cento dei membri degli uffici
delle organizazioni di base delle imprese economiche e l’86.3
per cento dei segretari. Tutto ciò aveva un grande significato
di principio per il fatto che sbarrava il passo alla degenerazione
borghese degli organi dirigenti del Partito, preveniva il male
435
che aveva stretto alla gola il Partito Comunista dell’Unione
Sovietica, dove gli organi dirigenti erano stati gonfiati di intel­
lettuali e di impiegati burocrati e tecnocrati, che avevano finito
per strappare il potere politico dalle mani della classe operaia.
Importanti miglioramenti furono realizzati anche per quan­
to riguarda l’estensione e la ripartizione delle forze del Partito.
E così nel 1971 non c’era settore d’impresa statale o di coope­
rativa agricola che non avesse la propria organizzazione di
base, non c’era villaggio dove non ci fossero membri del Par­
tito. Il 61 per cento dei comunisti lavoravano nella sfera della
produzione materiale, di cui l’80 per cento direttamente nella
produzione. Rispondendo all’appello del Partito, circa 2.000 co­
munisti passarono volontariamente dall’amministrazione all’at­
tività produttiva, dai fronti facili a quelli più difficili, dalla
città alla campagna. In tal modo fu inferto un duro colpo
alla concezione non marxista, secondo cui «tutti i comunisti
debbono assolutamente svolgere funzioni ufficiali».
Tutta la lotta per la continua rivoluzionarizzazione del
Partito assunse un carattere accentuato di educazione rivolu­
zionaria non solo per i membri del Partito, ma anche per le
vaste masse. Tale lotta non era soltanto espressione dell’attua­
zione fedele e in modo creativo del marxismo-leninismo, ma
anche dell’assimilazione della teoria marxista-leninista in stretta
connessione con la pratica rivoluzionaria.
«La storia del Partito del Lavoro d’Albania», che fu pub­
blicata nel 1968, così come le Opere del compagno Enver Hoxha,
i primi due volumi delle quali uscirono in quell’anno, servirono
da importantissima arma nella lotta per la rivoluzionarizzazione
e l’educazione ideologica, politica e rivoluzionaria dei comunisti
e delle vaste masse popolari. Fino al 1971 erano apparsi otto
volumi di queste Opere, che sarebbero seguiti da tanti altri. In
quel periodo videro la luce due nuovi volumi (il III ed il IV)
con i principali documenti del Partito, mentre il primo volume
fu ristampato. Per la prima volta ebbe inizio la pubblicazione
in albanese dell’opera geniale di K. Marx «Il Capitale» (negli
anni 1968-1971 apparvero nelle edicole i tre libri del primo
volume); inoltre furono pubblicati o ristampati altri 35 volumi
delle opere di K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin e di G. V. Stalin.
La complessa lotta condotta per la rivoluzionarizzazione del
Partito fu ricca di insegnamenti e contribuì ad elevare a un
livello superiore il lavoro di direzione, di organizzazione e di
educazione del Partito, conformemente ai grandi e difficili com­
436
piti che si prospettavano sulla via della completa costruzione
della società socialista.
L’ulteriore rivoluzionariz­
zazione del potere
Al fine di rivoluzionarizzare
ulteriormente il potere statale,
conformemente agli orienta­
menti del V Congresso l’attenzione fu principalmente centrata
sulla prosecuzione della lotta contro il burocratismo.
Dopo l’intensa campagna condotta nel 1966, la lotta contro
il burocratismo rischiava di venir rallentata o considerata ter­
minata. Al fine di prevenire tale pericolo, il compagno
Enver Hoxha, nel suo discorso del 6 febbraio 1967, si soffermò
particolarmente sulla necessità di continuare la lotta contro il
burocratismo, sottolineando che «questa lotta non cesserà mai,
che essa continuerà finché esisteranno le classi e la lotta di
classe»*. Egli sottolineò inoltre che la lotta contro il burocra­
tismo, per essere fruttuosa, innanzi tutto doveva essere com­
presa correttamente come una lotta volta a sradicare le con­
cezioni idealistiche, antimarxiste e reazionarie, nonché le pra­
tiche antipopolari in materia di governo che derivano da tali
concezioni. Questa è un’aspra lotta politica, ideologica e organiz­
zativa, alla quale partecipano direttamente le masse, sotto la
guida del Partito, colpendo duramente le concezioni e le defor­
mazioni burocratiche, i burocrati, indipendentemente dalle ca­
riche che coprono o dai gradi che hanno. Il burocratismo e i
burocrati sono nemici del popolo, sono i peggiori e i più astuti
nemici del Partito marxista-leninista e, «in quanto tali, esso deve
combatterli costantemente, con tenacia e senza tregua»**.
L’accento posto di nuovo dalla direzione del Partito sul­
l’importanza della lotta contro il burocratismo, conferì a tale
lotta il carattere di un vasto movimento popolare avente come
obiettivo il consolidamento della dittatura del proletariato.
La diretta partecipazione delle masse alla lotta contro il
burocratismo rese indispensabile il rafforzamento ed il perfe­
zionamento del controllo delle masse, e in modo particolare
del controllo operaio sugli organi, gli apparati e i quadri del
potere e dell’economia.
* Enver Hoxha. Rapporti e discorsi 1967-1968, p. 42.
** Ibidem, p. 43.
437
Questo controllo si era pressoché ridotto ad alcune commis­
sioni, aventi soltanto il nome di «controllo operaio», mentre
in realtà erano dirette dal personale dell’amministrazione. Cri­
ticando questa concezione tanto ristretta del controllo operaio,
nell’aprile del 1968 il Comitato Centrale si soffermò particolar­
mente su questa grande questione di principio: «Il problema...
supera di gran lunga la questione delle commissioni operaie.
La direzione e il controllo della classe operaia e del Partito su
ogni cosa e su chiunque — sui quadri, le varie autorità, le am­
ministrazioni, le commissioni, devono essere completi, senza
falle, decisivi»*.
La completa realizzazione del controllo della classe operaia
e delle altre masse lavoratrici non soltanto in teoria, ma anche
nella pratica, è condizione determinante per il conseguimento
del successo nella lotta contro il burocratismo e le sue mani­
festazioni, sotto forma di tecnocratismo, intellettualismo, eco­
nomismo, ecc.
Le decisioni del Plenum del Comitato Centrale del Partito,
riunitosi nel settembre 1968, diedero un nuovo slancio all’appli­
cazione della direttiva del V Congresso relativa alla lotta contro
il burocratismo e al rafforzamento del controllo operaio su
basi rivoluzionarie.
In base agli orientamenti del Comitato Centrale e grazie
alla lotta delle organizzazioni di Partito per la loro messa in
atto, fu ampliata e intensificata la partecipazione delle masse
al governo del paese e alla gestione dell’economia. Il controllo
operaio fu epurato dagli elementi burocratici. Inoltre furono
eliminate le cosiddette «commisioni operaie» avendo queste as­
sunto forme burocratiche, come anche la «triade» composta dal
direttore, dal segretario della organizzazione di base del Partito
e dal presidente del comitato delle unioni professionali, un’al­
tra forma di burocratismo, la quale, sotto la maschera della
«direzione operativa», violava la democrazia, le regole e la linea
del Partito. Tutte queste forme, che ostacolavano l’attuazione
delle direttive del Partito sul ruolo guida della classe operaia,
furono sostituite con nuove forme e nuovi metodi del controllo
operaio diretto. Tutto ciò fu accompagnato da una maggiore
cura nell’educare gli operai con l’ideologia e il coraggio rivolu­
zionario di classe.
* Enver Hoxha. Discorso tenuto al Segretariato del CC del PLA,
9 aprile 1968. Rapporti e discorsi 1967-1968, p. 394.
438
La partecipazione delle larghe masse popolari alla lotta
contro il burocratismo e alla soluzione di tutti i problemi del
governo del paese attraverso il loro controllo, e specie attra­
verso il controllo della classe operaia, fu contrassegnata da im­
portanti progressi nella rivoluzionarizzazione del potere statale.
Un maggior numero di persone provenienti dal fronte della
produzione, che avevano dato prova di fedeltà al popolo e al
socialismo, di risolutezza, di coraggio e di spirito militante
nella difesa e nell’attuazione della linea del Partito e delle leggi
dello Stato, fu eletto negli organi rappresentativi del potere.
Così crebbe l’autorità e in generale il ruolo degli organi rap­
presentativi eletti del potere. I comitati esecutivi dei consigli
popolari e i loro rispettivi apparati furono posti meglio sotto
il controllo degli organi elettivi. Gli organi esecutivi e ammi­
nistrativi dovevano regolarmente rendere conto del loro operato
dinanzi agli organi elettivi, e quest’ultimi davanti agli elettori.
Gli organi elettivi perfezionarono il loro lavoro non solo
per quanto riguarda l’adozione delle decisioni e l’approvazione
delle leggi, ma anche per quanto riguarda il controllo della loro
applicazione, e ciò attraverso una migliore organizzazione e una
più accurata divisione del lavoro, nonché attraverso una mag­
giore attivizzazione dei deputati e dei consiglieri.
Si procedette ad una revisione generale della legislazione.
In tal modo si giunse all’annullamento di oltre 400 atti legisla­
tivi, che furono sostituiti da altri più semplici, più concisi e
studiati più accuratamente in conformità alle nuove condizioni.
I disegni di legge più importanti, dopo la loro rielaborazione,
furono sottoposti al giudizio delle masse popolari. Nel mede­
simo tempo fu allargata la partecipazione delle masse lavora­
trici all’istruzione e al giudizio delle cause penali. Ciò fu realiz­
zato soprattutto con l’istituzione di tribunali di villaggio, di città
e di quartieri.
Intanto la continua rivoluzionarizzazione del potere non
procedeva senza ostacoli. Essa andava incontro a difficoltà,
perfino ad un’opposizione ora nascosta, ora anche aperta, da
parte del burocratismo e dei burocrati, che ricorrevano ad ogni
mezzo pur di impedire la perfetta applicazione delle decisioni e
delle direttive del Partito riguardanti la riduzione e la sempli­
ficazione dell’apparato statale e la partecipazione delle vaste
masse al governo del paese e alla gestione dell’economia.
Il Comitato Centrale rilevò che i dicasteri e le amministra­
439
zioni delle varie aziende, dopo le riduzioni operate nel dicembre
1965 conformemente alle dicisioni del Partito sulla lotta contro
il burocratismo, avevano di nuovo considerevolmente gonfiato
gli elenchi del personale. Esso definì irregolari tali aggiunte
e incaricò (nel febbraio 1970) il Consiglio dei Ministri di esa­
minare questi casi uno per uno, al fine di procedere di nuovo
alle possibili e necessarie riduzioni. Raccomandò ai comitati e
alle organizzazioni del Partito di avere più cura e di compiere
maggiori sforzi per l’attuazione delle direttive del Partito relati­
ve alla lotta contro il burocratismo, poggiando fortemente sulle
masse e facendole partecipare più efficacemente a questa lotta.
La pratica della lotta contro il burocratismo per l’ulteriore
rivoluzionarizzazione del potere, rese indispensabile la necessità
di perfezionare la direzione e di ampliare ancora di più le
competenze degli organi statali e economici.
Dopo aver esaminato questa questione nel dicembre 1970,
il Comitato Centrale prese la decisione di varare i necessari
provvedimenti che allargavano le competenze dei comitati ese­
cutivi dei consigli popolari, delle aziende statali, delle coope­
rative agricole e delle altre istituzioni della base, senza violare
per tanto il principio fondamentale del centralismo democratico
nella direzione. Frattanto gli organici dei dicasteri centrali e delle
altre istituzioni statali furono di nuovo ridotti ed i quadri
coinvolti da questa misura furono trasferiti alla base.
Tali provvedimenti non significavano un cambiamento radi­
cale nell’organizzazione dello Stato, nè la messa in atto di una
riforma. Essi miravano ad una democratizzazione più marcata
del potere, ad un miglioramento della direzione degli affari
statali ed economici. Essi erano dettati dal nuovo stadio di svi­
luppo raggiunto dalla società socialista, quando i rapporti socia­
listi di produzione si erano rafforzati, perfezionati e estesi,
quando la base materiale e tecnica si era sviluppata e raffor­
zata, quando la coscienza socialista della classe operaia e delle
masse contadine cooperativiste si era elevata e consolidata, quan­
do l’intellighenzia popolare era cresciuta e rinsaldata, e la base
aveva accumulato una ricca esperienza di direzione.
Nel contempo il Partito dedicò una grande attenzione al
lavoro di rivoluzionarizzazione dell’Esercito Popolare, delle
Guardie di Frontiera, della Polizia Popolare e della Sicurezza
dello Stato.
Gli sforzi compiuti in tal senso portarono ad un avvicina­
440
mento di questi organi con le masse popolari e a legami più
stretti fra loro, permettendo ad essi di acquisire maggiore pro­
fessionalità e soprattutto una preparazione ideologica, politica
e rivoluzionaria più elevata.
Tuttavia nell’Esercito si notava un accentuato formalismo
nell’applicare le decisioni rivoluzionarie sulle Forze Ar­
mate prese dal CC del Partito nel 1966, come anche le altre
direttive miranti all’ulteriore rivoluzionarizzazione della vita
del paese. Il Comitato Centrale e il compagno Enver Hoxha
avevano criticato spesso tale fenomeno. Come risultò più tardi,
tale formalismo era dovuto al fatto che i nemici, che opera­
vano nell’Esercito, si adoperavano in tutti modi a sabotare que­
ste decisioni e direttive. Essi facevano un grande rumore per
far credere che le misure rivoluzionarizzatrici venivano attuate
meglio nell’esercito che in ogni altro settore, e ciò allo scopo
di ingannare il Partito e di nascondere le tracce del loro tradi­
mento, che sarebbe stato scoperto e schiacciato negli anni suc­
cessivi.
Il Partito ha considerato il
mantenimento e il rafforza­
mento dell’unità del popolo at­
torno a sé come un processo continuo, in stretta connessione
con le tappe e le concrete condizioni storiche della rivoluzione.
La base politica di quest’unione, gettata negli anni della Lotta
di Liberazione Nazionale, si era andata consolidando ogni gior­
no di più nella lotta per l’edificazione del socialismo. Dopo la
liberazione del paese, l’unione politica del popolo era stata
dotata anche della propria base economica e sociale socialista.
Anche la sua base ideologica si era rafforzata via via che le
idee marxiste-leniniste e la morale proletaria andavano impri­
mendosi sempre più profondamente nella coscienza della gente.
Tale unione venne ulteriormente temprata e si trasformò così
in una ferrea unità delle masse lavoratrici (della classe operaia,
dei contadini cooperativisti e dell’intellighenzia popolare) con
il Partito.
Le vie da seguire per il consolidamento dell’unità del popolo
attorno al Partito, nelle condizioni della completa costruzione
della
società
socialista,
furono
elaborate
dal
compagno
Enver Hoxha e presentate al IV Congresso del Fronte Democra­
tico che svolse i suoi lavori nel settembre 1967.
L’unità si tempra attraverso un grande lavoro di chiari­
L’ulteriore
tempra
l’unità Partito-popolo
del­
441
mento e di persuasione fra le masse per far loro comprendere
il profondo significato del contenuto politico e ideologico della
linea del Partito, di ciascuna delle sue direttive, attraverso la
mobilitazione del popolo per l’applicazione pratica di questa
linea e di queste direttive. Il Partito chiese a tutte le sue orga­
nizzazioni di rinunciare alla pratica del lavoro chiuso, di tenere
regolarmente al corrente le masse delle decisioni che prendeva,
di chiarirle in merito a tali decisioni, di dare maggiore ascolto
alla loro voce, alle loro critiche, di rendere loro conto del
proprio operato, di rimproverare duramente tutti quei comunisti
e quadri, i quali, sebbene si atteggiassero a difensori dei prin­
cìpi e delle leggi, non porgevano ascolto alla loro voce e alle
loro critiche e, peggio ancora, tentavano di soffocarle.
L’unità si tempra nella lotta per il continuo rafforzamento
del potere popolare, per la sua ulteriore democratizzazione, at­
traverso una più viva partecipazione delie masse al governo
del paese.
L’unità si consolida nella lotta per l’adempimento dei grandi
compiti fissati per lo sviluppo dell’economia e della cultura.
L’unità si rinsalda radicando sempre più profondamente
nel cuore e nello spirito delle masse l’amore e la fedeltà per
la Patria socialista, mantenendo sempre vive e sviluppando
ulteriormente le tradizioni patriottiche e rivoluzionarie del po­
polo albanese, rendendo costantemente più forte l’odio contro i
nemici di classe, contro gli imperialisti e i revisionisti, ed ele­
vando incessantemente il livello di preparazione morale, politica,
economica e militare del popolo per la difesa del paese.
Ma nella nuova tappa della completa costruzione della
società socialista, sottolineava il compagno Enver Hoxha, prin­
cipale fattore per l’ulteriore rafforzamento dell’unità del popolo
intorno al Partito «è la lotta per radicare e far pienamente
trionfare l’ideologia proletaria nella coscienza di tutti i lavora­
tori»*. Il consolidamento della base ideologica dell’unità del
popolo incide direttamente sul rafforzamento della sua base
politica e socio-economica, assicura la realizzazione dei compiti
del Partito in campo politico, economico, sociale, culturale e
in quello della difesa.
* Enver Hoxha. Rapporto presentato al IV Congresso del Fronte
Democratico d’Albania. Rapporti e discorsi 1967-1968, p. 185.
442
L’unità si rafforza attraverso la lotta di classe, attraverso
la giusta soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni nella
società socialista. «Considerare la questione dell’unità al di fuori
della lotta di classe, negare la lotta di classe sotto il pretesto
di agire nell’interesse di quest’unità..., vuol dire addormentare
la vigilanza politica e ideologica del Partito e dei lavoratori,
minare l’unità stessa e la causa del socialismo»*.
Detto questo occorre senz’altro distinguere bene le contrad­
dizioni antagoniste fra il popolo e i nemici di classe dalle
contraddizioni non antagonistiche in seno al popolo, al fine di
non confondere coi nemici coloro che, pur conservando ancora
nella loro coscienza concezioni estranee alla nostra dottrina,
sono fedeli al Partito e al socialismo. Altrimenti si rischia di
menomare l’unità e di indebolire i legami del Partito con le
masse.
Il Fronte Democratico rimaneva pur sempre l’incarnazione
dell’unità del popolo attorno al Partito. L’esperienza di 25 anni
del Fronte aveva confermato la grande importanza che rivestiva
quest’organizzazione per creare, conservare e consolidare costan­
temente i ferrei legami del Partito con le masse, per mobilitarle
nell’attuazione del programma del Partito, per superare le dif­
ficoltà. vincere i nemici e conseguire la vittoria. Il Partito fis­
sava il compito di rafforzare il Fronte Democratico sul piano
organizzativo, di elevare lo spirito combattivo e d’iniziativa delle
sue organizzazioni e di migliorare il loro metodo e stile di
lavoro. La vivacizzazione e l’ulteriore rafforzamento del Fronte
dovevano costituire il mezzo principale per la continua rivolu­
zionarizzazione della vita del paese.
Grande rilevanza teorica e pratica ebbe la generalizzazione
fatta dal compagno Enver Hoxha al IV Congresso del Fronte
circa il posto e il ruolo del partito marxista-leninista nel fronte
unitario delle forze patriottiche rivoluzionarie e socialiste. Trat­
tando questo problema, egli intendeva denunciare le concezioni
antimarxiste e le tattiche mistificatrici dei vari revisionisti,
che sostenevano e propagavano con zelo il pluralismo ideologico
e politico, i compromessi di tradimento con i partiti borghesi,
le concezioni e le tattiche dirette contro il ruolo egemone della
classe operaia e contro la direzione del partito proletario, mi­
rando in tal modo a perpetuare il sistema capitalistico.
* Ibidem, p. 182.
443
E’ noto che in Albania il Fronte fu creato come un’unione
volontaria diretta delle masse intorno al Partito della classe
operaia e restò costantemente tale, e non come una coalizione
di partiti politici, come negli altri paesi dove era esistito o
esisteva un fronte nazionale patriottico rivoluzionario. Da noi
non esisteva alcun altro partito politico all’infuori del Partito
Comunista (del Lavoro) d’Albania e ciò, come ha rilevato il
compagno Enver Hoxha, «è stato per noi un grosso vantaggia
di incalcolabile valore e una grande sventura, una grande per­
dita fatale per la borghesia e per la reazione nazionale e inter­
nazionale»*. Ciò non significa che il PLA sia stato per principio
contrario alla collaborazione con i partiti antifascisti o progres­
sisti; se caso mai simili partiti fossero stati creati, esso si sa­
rebbe unito ad essi in un fronte unico, contro il nemico comu­
ne, i fascisti invasori e i traditori del paese, senza però rinun­
ciare alla propria identità e alla sua indipendenza politica, ideo­
logica, organizzativa, senza rinunciare ai mantenimento del
ruolo guida conquistato nella rivoluzione attraverso l’opera di
persuasione delle masse sulla giustezza della sua linea.
Ma per quanto tempo possono durare la coesistenza con i
partiti politici non proletari, nonché la collaborazione e l’unione
del partito della classe operaia con questi in un fronte unico?
A tale questione di principio il compagno Enver Hoxha rispose
basandosi sulla teoria marxista-leninista e sull’esperienza delie
rivoluzioni sociali che avevano avuto luogo fino allora. «Dopo
l’instaurazione e il consolidamento della dittatura del prole­
tariato..., egli dice, l’esistenza per un lungo periodo degli altri
partiti, siano questi anche «progressisti», nel fronte o fuori di
esso, non ha alcun senso, nessuna ragione di essere, sia pur
formalmente, nemmeno con il pretesto delle loro tradizioni... La
rivoluzione capovolge un mondo intero, e non già una tra­
dizione... Sarebbe una cosa assurda e opportunistica prolun­
gare la presenza degli altri partiti non marxisti-leninisti..., spe­
cialmente dopo la costruzione della base economica del sociali­
smo. Tale principio non viola assolutamente la democrazia, anzi
contribuisce al rafforzamento della vera democrazia proletaria.
Il carattere democratico di un ordinamento sociale non si va­
luta in nessun modo dal numero dei partiti, ma dalla sua base
economica, dalla classe che è al potere, da tutta la politica e
* Enver Hoxha. Rapporti e discorsi 1967-1968, p. 157.
444
l’attività dello Stato, giudicando se essa è o non è nell’interesse
delle vaste masse popolari, se serve tali interessi o no»*. Con­
sentire la presenza degli altri partiti politici, significa conser­
vare la borghesia in quanto classe.
Questa conclusione era diretta anche contro le teorie di
Mao Tsetung sulla presenza e la coesistenza di molti partiti,
sulla presenza di molte linee nel partito comunista, nonché
sullo sbocciare di cento fiori e sul contendere di cento scuole
nella rivoluzione e nel socialismo.
Nell’Albania socialista l’unione volontaria e diretta del po­
polo nel Fronte Democratico, sotto l’esclusiva direzione del Par­
tito del Lavoro d’Albania, avrebbe continuato a servire da for­
za garante per la salvaguardia delle grandi vittorie rivoluzio­
narie conseguite nonché per la conquista di nuove vittorie sulla
via del socialismo e del comunismo.
3. I GRANDI MOVIMENTI RIVOLUZIONARI
Il discorso del compagno Enver Hoxha, pronunciato il 6
febbraio 1967, e l’intera lotta del Partito per attuare in pratica
le decisioni del V Congresso, diedero un maggiore impulso
all’attività rivoluzionaria delle masse lavoratrici. Grandi e pic­
coli si levarono in piedi per far coraggiosamente l’autocritica e
criticare gli altri, per combattere le manchevolezze, le carenze
e gli errori, per epurare la società socialista dalle sopravvivenze
della vecchia società e dalle influenze dell’ideologia borghese e
revisionista, nonché per inculcare ai lavoratori nella vita e sul
lavoro le norme e gli atteggiamenti rivoluzionari socialisti, gli
insegnamenti proletari del Partito. Cosi i lavoratori presero pre­
ziosissime iniziative che si concretizzarono in un gran numero di
azioni concrete e si trasformarono in vasti movimenti rivolu­
zionari.
Questi movimenti erano la diretta conseguenza della linea
marxista-leninista, di tutto il lavoro compiuto e della lotta
rivoluzionaria condotta continuamente dal Partito per lo sviluppo
ininterrotto della rivoluzione socialista.
All’avanguardia di questi movimenti stava la classe operaia
con il suo partito marxista-leninista.
* Ibidem, p. 176-177.
445
Il movimento per far pre­
valere ovunque l’interesse
generale su quello perso­
nale
L’essenza di questo movimento
consisteva
nell’attacco
generale
lanciato contro la psicologia pic­
colo borghese per elevare la co­
scienza socialista dei lavoratori.
Basandosi sui grandi progressi fatti dopo la Liberazione
nella formazione dell’uomo nuovo secondo la concezione rivo­
luzionaria del mondo, il Partito riteneva necessario dare una
nuova e più potente spinta alla lotta contro le concezioni e
gli atteggiamenti piccolo borghesi, che costituiscono un ostacolo
serio sulla via di sviluppo socialista, nonché contro la base
materiale che li alimentava, sebbene tale base si fosse ora con­
siderevolmente ristretta.
La tendenza a correre dietro il gretto interesse personale
era l’espressione più caratteristica della psicologia piccolo bor­
ghese. Proprio per questo motivo, nella lotta contro tale psico­
logia quale obiettivo principale fu stabilito il rafforzamento
del sentimento di porre l’interesse generale al di sopra di quello
personale.
Il movimento volto a far prevalere ovunque l’interesse
generale su quello personale si manifestò in parecchi campi e
seguì diverse forme.
Attraverso una più grande mobilitazione e un lavoro pieno
d’abnegazione, la classe operaia prese un gran numero di ini­
ziative allo scopo di raggiungere due o tre anni prima del ter­
mine i principali obiettivi economici previsti per il 1970, senza
intaccare le scorte statali di sicurezza e senza consumare materie
prime e articoli importati oltre i limiti stabiliti dal piano, e così
via. Nei vari processi di produzione furono rivedute le vecchie
norme in vigore, che erano rimaste indietro rispetto al pro­
gresso generale delle forze produttive, e furono stabilite nuove
norme di produzione più perfette e più mobilitanti. Lavoratori
d’avanguardia andarono a lavorare nelle brigate rimaste indietro
per elevare anche queste al livello delle altre.
La più importante iniziativa rivoluzionaria presa nelle cam­
pagne fu quella di ridurre gli appezzamenti individuali dei cooperativisti. In tutte le cooperative tali appezzamenti furono
ridotti nella misura del 50-66 per cento e il numero dei capi di
bestiame di proprietà personale dei cooperativisti fu dimezzato.
Nelle cooperative delle zone di pianura tale riduzione fu ancora
più marcata. Questo provvedimento, adottato col libero con­
senso dei cooperativisti, rispondeva alle direttive del V Con­
446
gresso del Partito che raccomandavano la graduale riduzione
degli appezzamenti individuali dei cooperativisti in seguito alle
aumentate possibilità dell’economia collettiva di soddisfare le
necessità delle famiglie dei cooperativisti. Tale provvedimento
si rivelò molto utile nella lotta per sradicare dalla coscienza
dei contadini la psicologia del piccolo proprietario, per raffor­
zare in loro il sentimento di collettivismo e legarli più strettamente alla proprietà comune, che costituiva la principale fonte
dell’esistenza e del benessere dei cooperativisti.
Nell’ondata crescente del moviment
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