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ico leggi l`estratto
Attilio Speciani, Marina Necchi, Michela Speciani
Colazione e
brunch per il
BENESSERE
Libro_ColazBenessere.indb 2
17/09/14 09.33
Attilio Speciani, Marina Necchi, Michela Speciani
Colazione e
brunch per il
benessere
Libro_ColazBenessere.indb 3
17/09/14 09.33
Responsabile Editoriale Libri: Costanza Smeraldi
Responsabile Redazione Libri: Paola Sammaritano
Responsabile Produzione Libri: Michele Ribatti
Copertina: Roberta Venturieri
Immagini: di pag. 27, 41, 51, 55, 56-57 Fotolia
© LSWR Srl – Tutti i diritti riservati
2014 - Prima edizione (settembre)
2014 - Ristampa (ottobre)
ISBN 978-88-6895-020-0
eISBN 978-88-6895-021-7
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e adattamento totale o
parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per
tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti
del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68,
commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o
comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica
autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni
Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito
web www.clearedi.org.
AVVERTENZA IMPORTANTE
Tutti i consigli e le indicazioni riportati nel presente libro sono stati verificati accuratamente
e secondo scienza e coscienza dagli autori. Non pretendono di sostituirsi al consiglio
competente del proprio medico curante. Ogni lettore è responsabile delle proprie azioni.
Gli autori e la casa editrice non si ritengono responsabili per danni e problemi derivanti
dall‘esecuzione dei consigli pratici contenuti nella presente opera.
LSWR Srl
Via G. Spadolini 7, 20141 Milano
Tel. 02 881841
www.lswr.it
Printed in Italy
Finito di stampare nel mese di ottobre 2014 presso “L.E.G.O.” S.p.A., stabilimento di Lavis (TN)
PrimePagine_Speciani.indd 4
09/10/14 13:45
Colazione e brunch per il benessere, Indice
5
indice
Presentazione8
Gli autori
9
Parte 1 - introduzione generale
Introduzione generale
Erbe aromatiche e spezie
12
16
Parte 2 - pronti? Via...
Capitolo 1 - Grassi e oli:
il buono e il cattivo (Con video esplicativo)20
Capitolo 2 - I lieviti e la fermentazione
22
Capitolo 3 - Proteine… anche a prima colazione
25
Capitolo 4 - Semi oleosi cotti o no
26
Capitolo 5 - Latte, latti e lattosio
28
Capitolo 6 - Lo zucchero e gli zuccheri: cosa comportano
e come imparare a conoscerli e a sceglierli
30
Capitolo 7 - Modulare l’impatto glicemico,
anche quando si sceglie il dolce
32
Capitolo 8 - Calorie sì o no:
capire cosa scegliere e perché
33
Capitolo 9 - Frutta e verdura: come sceglierla,
34
quanta e in quale forma
Capitolo 10 - Le uova: benvenute in tavola
e soprattutto a colazione
36
Capitolo 11 - Tutto il buono di caffè, tè e cioccolato
38
Capitolo 12 - Meno sale in generale
40
Capitolo 13 - Autonomia in cucina:
preparare latti e yogurt vegetali
42
Capitolo 14 - L’infiammazione da cibo:
come guarirne (Con video esplicativo) 44
Capitolo 15 - Il biologico e l’integrale
48
Capitolo 16 - Importanza attuale della gluten sensitivity
per la cucina italiana
52
Parte 3 - organizzazione
Cottura e metodi di cottura
I tempi della prima colazione: l’organizzazione è tutto Come organizzare il frigorifero e la dispensa
58
59
61
Parte 4 - ricette di base
Crêpes (Con video esplicativo)64
Pancakes65
Waffles66
Piadina67
Pizza con farina integrale
68
Loaf al cioccolato
69
Libro_ColazBenessere.indb 5
Pane integrale classico a bauletto
70
Pane integrale a lunga lievitazione con le olive
71
Pane integrale ai semi o alle noci
72
Pita o pane arabo integrale
73
Polenta74
Pastafrolla75
Pasta brisée
76
77
Marmellata senza zuccheri aggiunti
Crema al gianduia fatta in casa
78
79
Crema pasticcera
Glassa al cioccolato
80
Uova al tegamino
81
82
Uova strapazzate
Uova sode e alla coque
83
Maionese 84
Salsa verde senza glutine
85
Ketchup 86
Guacamole87
88
Hummus Castagnaccio89
Parte 5 - menu
Introduzione ai menu 92
Menu Colazione Internazionale
Menu scozzese
96
Uova strapazzate con salmone
Fagioli stufati
Funghi, patate e pomodori
Menu inglese
English muffins
Cookies inglesi 96
96
96
98
98
98
Menu irlandese
100
Menu americano
102
Menu arabo
104
Menu continentale
106
Menu tedesco
108
Menu orientale
110
Scones100
Coppa di avena con frutta di stagione 100
Bagel ripieni al formaggio, prosciutto e pomodori
Loaf cake al cioccolato Frutta con fiocchi di cereali Formaggio con menta (labneh)
Polpette di ceci (falafel)
Torta di cocco (harrissah)
102
102
102
104
104
104
Involtini di bresaola o prosciutto
106
Macedonia106
Patate con uova, prosciutto e cipolla
Strudel di mele Noodles di soia con pesce
108
108
110
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6
Colazione e brunch per il benessere, Indice
Menu giapponese
112
112
112
Polpo con verdurine Sformatini di zucca
Tortino di pane con nocciole
144
144
144
Menu cinese
114
Menu con curry (autunno)
146
Menu messicano 116
Menu con castagne (autunno) 148
Menu greco 118
Menu con polenta (autunno)
150
Menu africano
120
Menu con kiwi (autunno)
152
Menu indiano 122
Menu con riso (inverno) 154
Menu con caco (inverno)
156
Menu con broccoli (inverno)
158
Menu con arancia (inverno)
160
Menu con frittatine (inverno) 162
Menu Vegani
Menu vegano con crema di soia
164
Pancakes giapponesi
Frittata dolce giapponese (tamagoyaki)
Noodles di riso con pollo e verdure
Porridge di patate dolci e miglio
Tortillas farcite (burritos)
Salsiccia con uova (chorizo con huevos)
Banana burritos
114
114
116
116
116
Tzatziki118
Breakfast moussaka
118
118
Yogurt greco e miele
Couscous dolce (o con stufato)
Porridge di riso o miglio conditi (la bouille)
Dolce di banana e cocco
Limonata indiana (nimbu pani)
Semolino con lenticchie (rava upma)
Mint chutney
Menu 4 Stagioni
Menu con crêpes (primavera)
Crêpes di farina di ceci Frittata di riso 120
120
120
122
122
122
124
124
124
Menu con cereali croccanti (primavera) 126
Menu con omelette al prosciutto (primavera)
128
Menu con centrifugato di spinaci (primavera)
130
Menu con frollini integrali (primavera) 132
Frullato di frutta
Carpaccio di carciofi
Cereali croccanti
126
126
126
Centrifugato128
Omelette con prosciutto 128
Budino alla vaniglia
128
Frullato130
Pollo cotto al vapore con salsa verde
130
Barrette di fiocchi e frutta disidratata
130
Frullato/centrifugato132
Uova sode al tonno
132
Frollini integrali
132
Menu con pesce (estate)
Frullato di anguria
Sformatini di pesce con crema di formaggio
Tortina di frutta veloce
Menu con albicocche (estate)
Albicocche con granella di mandorle Pesce al vapore con salsa rosa
Plumcake al limone
Menu con bresaola (estate)
Gazpacho di melone Bresaola con olio, limone e maggiorana
Biscotti ai cereali
Menu con formaggio (estate)
Pesche con ripieno di fiocchi e yogurt Formaggio di capra alle erbette Dolce freddo al cioccolato Menu con uova ripiene (estate)
Frullato Uova ripiene Tonno al sesamo Torta di cacao e albicocche Menu con zucca (autunno)
134
146
146
Frittata di verdura
148
Castagnaccio148
Frutta cotta con miele
Crema pasticcera
Verdure autunnali saltate con pollo e crostini di polenta
150
150
150
Frullato/centrifugato152
Involtini con verdura 152
Torta di zucca
152
Rotoli di crêpes alla frutta fresca Roastbeef al sale
Budino di cioccolato Yogurt con frutta di stagione
Involtini di prosciutto con formaggio e salvia
Torta di caco
Filetti di salmone all’arancia
Broccoli al vapore con acciughe
Biscotti al miele
154
154
154
156
156
156
158
158
158
Frullato/centrifugato160
160
Petti di pollo con riso integrale e verdure Crêpes farcite
160
Frullato162
162
Torta salata di frittatine con finocchi e noci
162
Torta di castagne Frutta di stagione con la crema 164
Verdure di stagione con tofu aromatizzato all’aceto balsamico 164
Yogurt di soia con fiocchi di cereali e noci 164
Menu vegano con involtino 166
Menu vegano con burritos 168
Menu vegano con torta 170
Menu vegano con tofu 172
142
142
142
142
Menu vegano con crêpes
174
144
Menu vegano con waffel
176
134
134
134
136
136
136
136
138
138
138
138
140
140
140
140
142
Centrifugato144
Libro_ColazBenessere.indb 6
Mousse di frutta
Curry di verdura o carne con patate o con riso integrale
Hummus con pane integrale e crêpes
Involtini di verdura con ripieno di seitan in salsa di pomodoro
Budino di soia al cioccolato Frullato di yogurt di soia con banana e anacardi
Tofu strapazzato, anacardi, pomodori freschi e verza
Crema di avena, zucca e semi di zucca Frullato di avocado, frutta fresca e spinaci
Pane integrale alle noci con crema di avocado
Torta allo yogurt di soia Frullato di banana, spinaci, ananas, latte di cocco
Tofu strapazzato con contorno Crêpes all’acqua farcite
Frullato di avocado, frutta di stagione e verdura
Involtini di verdura con ripieno di lenticchie Crêpes alla crema di gianduia
166
166
166
168
168
168
170
170
170
172
172
172
174
174
174
Centrifugato176
17/09/14 09.33
Colazione e brunch per il benessere, Indice
Tofu strapazzato con pomodorini e capperi
su galletta di riso o fetta di pane Waffel di avena e mirtilli 176
176
Menu vegano con omelette
178
Menu vegano con polenta (gluten free)
180
Carpaccio di frutta Omelette con soft tofu Banana muffin Centrifuga Crostini di polenta Ragù di tofu e verdure
Biscotti al cocco Menu Gluten free
Menu con biscotti Frullato in giallo Uova al tegamino con prosciutto, patate e fontina
Biscotti al cioccolato
Menu con riso integrale
Centrifugato o frullato di arancia, carota, limone e mela
Riso al vapore con pesce o gamberetti e verdura di stagione Quinoa cake Menu Ipocalorici
Menu uova (primavera)
Uova sode con salmone
Uova sode al profumo di origano e timo
Menu pesce (primavera)
Fiocchi di avena o cereali ai sapori di primavera
Gamberi saporiti
Spadellata di gamberi allo zenzero
178
178
178
180
180
180
180
182
182
182
182
184
184
184
184
186
186
186
188
188
188
188
Menu manzo (primavera)
190
Menu pesce (estate)
192
Yogurt fantasia
Roastbeef al gusto pizzichino
Frullato di anguria
Filetti di merluzzo in rosso
Pesca alla piastra
Menu crostacei (estate)
190
190
192
192
192
194
Centrifugato di cetriolo
194
194
Spiedini di gamberi
Crêpes194
Menu vegano
196
Menu salumi (autunno)
198
Menu uova (autunno) 200
Menu pesce (autunno)
202
Passato di zucchine e cetrioli
Involtino di melanzana
196
196
Centrifugato198
Bresaola condita
198
Carpaccio di mela
198
Omelette di spinaci
Terrina di banana Frullato di banana
Frullato di ananas
Galletta di riso farcita
Carpaccio di arancia
200
200
200
202
202
202
Menu pollo (inverno)
204
Menu pesce (inverno) 206
Menu uova (inverno) 208
Frullato Petto di pollo farcito
Carpaccio di salmone marinato Insalata di finocchi
Crêpe farcita
Uova strapazzate con contorno
Libro_ColazBenessere.indb 7
204
204
206
206
208
208
Menu Senza Zuccheri
Menu con torta di patate
(gluten free + alternativa vegana)
Frullato di cetrioli, carote e latte di soia
Torta di patate e formaggio
Filetto di petto di pollo al vapore
Menu con zucchine
(vegetariana gluten free + alternativa vegana)
Centrifuga di pomodoro e limone Frittata di zucchine, formaggio e pinoli Frittata al tofu (alternativa vegana)
Menu con tortino
(vegetariana gluten free + alternativa vegana)
Spremuta di arancia
Tortino di riso al forno Tortino di riso (alternativa vegana)
Menu con crêpes
(gluten free + alternativa vegetariana e vegana)
Centrifuga di sedano, carota, finocchio e zenzero
Crêpes al prosciutto e crema di carciofo
Crêpes alla crema di carciofo (alternativa vegetariana e vegana)
Crema di carciofo
Menu con pancakes
(con alternativa vegana)
Centrifuga di finocchio, carota e germogli di soia Pancakes di patate
Pancakes con scarti di centrifuga (alternativa vegana)
Menu ogni occasione è buona
(con alternativa vegana)
7
210
210
210
210
212
212
212
212
214
214
214
214
216
216
216
216
216
218
218
218
218
220
Frullato con vaniglia e cacao
220
Rotolini di pesce con ripieno di verdura
220
Rotolini di zucchine grigliate con ripieno di tofu (alternativa vegana) 220
Menu Occasioni
Menu di Natale Salmone con crostini di pane integrale
Gamberetti olio e limone
Biscotti speziati di natale Menu di Capodanno Centrifuga di semi di melograno, mela verde, arancia, zenzero
Crema di lenticchie Insalata belga del buon augurio
Crêpes farcite con paté di castagne
Menu di S. Valentino Frullato di ananas, vaniglia e frutti rossi disidratati
Pane integrale con speck e paté di olive
Dolce cuore di cioccolato con riso soffiato Menu di Pasqua Frullato di nespole guarnito con fiori di rosmarino
Insalatina pasquale con uova sode
Torta pasqualina
Colombelle all’arancia
222
222
222
222
224
224
224
224
224
226
226
226
226
228
228
228
228
228
Parte 6 - Situazioni Particolari
E suggerimenti
Viaggi, scuola e albergo
Usare al meglio rosticceria e panetteria
Quando i ritmi del lavoro sono diversi
Cibi con glutine
Cibi con nichel
232
233
234
235
236
Indice delle ricette
238
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8
Colazione e brunch per il benessere, Presentazione
Presentazione
Leggere e usare questo libro significa entrare direttamente nella
realtà della nostra famiglia. Vuol dire conoscere Marina, Michela
e Attilio attraverso i colori e le emozioni delle loro ricette e le
fotografie dei piatti (tutte e tutti realizzati da Marina), che ne
anticipano il gusto, il sapore e il profumo. E, in parte, vuol dire
conoscere anche Alessandro e Mila, che in più riprese (anche
senza contribuire al libro) hanno espresso a noi “autori” pareri,
giudizi e consigli sul risultato finale delle ricette e sulle loro
possibili varianti. Per molti mesi la nostra casa è stata invasa da
micro-piatti gustosi e succulenti che non si potevano toccare fino
a quando non fossero state perfezionate fotografie e valutazioni.
Questo è un libro profondamente sensuale, che trasforma
uno dei bisogni più intimi di ogni essere umano (nutrirsi e
assorbire l’energia del Sole che arriva sulla Terra) in piacere del
cibo, stimolando il raggiungimento del benessere e la gioia per
la propria salute. È l’espressione di un cammino di conoscenza
che inizia da lontano e che fa parte da sempre della nostra
famiglia. Attilio scriveva il suo primo libro proprio mentre
conosceva Marina. È un libro che racconta lo sviluppo della
nostra attività scientifica e delle nostre ricerche, applicate nella
quotidianità di ogni pasto, perché traccino direzioni che tutti
possano seguire o almeno conoscere.
La prima colazione è ormai diventata indispensabile per
molti, ed è considerata “mitica” da tutti quelli che si sono
“convertiti” a questa abitudine. Nel corso di questi ultimi anni,
con lo studio progressivo dei segnali infiammatori e le maggiori
conoscenze sulle diete di segnale, l’importanza della prima
colazione (o del brunch) ha ottenuto un riconoscimento sempre
più vasto, affermandosi come una certezza scientifica.
I nostri pazienti continuavano a richiedere esempi,
indicazioni e suggerimenti per miscelare fantasia, gusto e
benessere nel rispetto del proprio profilo alimentare. In
molti cercavano indicazioni per prime colazioni che, tenendo
conto delle personali infiammazioni da cibo e delle eventuali
intolleranze alimentari, consentissero di mangiare in modo
variato e senza mai annoiarsi (basti pensare alla sensibilità al
glutine). Così è nato questo libro.
Michela e Attilio continuano ad applicarsi ogni giorno
nello studio e nella ricerca scientifica e medica su questi temi
(insieme a tutto lo staff di medici e nutrizionisti di SMA e di
GEK), rendendo possibile oggi una nuova conoscenza alimentare
che si sta sviluppando ed espandendo in tutto il mondo. Tutta
l’introduzione generale è frutto della pratica clinica condivisa e
dell’intenso scambio di informazioni tra padre e figlia.
Marina ammaestra ingredienti per rendere possibile e
gratificante, sulla tavola di ogni giorno, l’applicazione di una
filosofia legata al cibo e all’energia. Una filosofia rispettosa della
salute e dei bisogni di ognuno, che sono anche espressi dalle
“coccole” dolci e dal piacere.
Libro_ColazBenessere.indb 8
Tra gli obiettivi di questo libro vi sono anche quelli di
creare un mix di principi che guidino verso la conquista del
benessere e la ricerca della salute, accettando con il buon senso
la trasgressione e il rispetto dei bisogni dell’uomo moderno, e
di aiutare a variare alcune abitudini alimentari per migliorare la
propria salute, indicando strade che sviluppino la consapevolezza
alimentare e educhino ad apprezzare e gustare nuovi sapori.
È un libro da tenere in cucina e da usare per preparare
un brunch o una ricca prima colazione (come suggerisce il
titolo), ma anche per cucinare un pranzo o una cena, facendo
esperienza di sapori, colori e gusti nuovi.
Nell’introduzione ai menu, in cui spieghiamo come utilizzare
nella pratica tutta la parte dedicata alle diverse ricette, scriviamo
con convinzione che il percorso dell’energia passa dalla prima
colazione. Quando si comincia a utilizzare quello spazio per
nutrirsi bene, cambia il rapporto con l’energia (stanchezza e fatica
si riducono), che diventa una parte irrinunciabile della propria
esistenza; la prima colazione (o il brunch, per quelli ancora un po’
pigri) fornisce l’energia per entrare nella giornata.
Abbiamo preparato ricette adattabili ai bisogni di ciascuno
(allergie, infiammazioni da cibo e intolleranze), scegliendo
ingredienti di qualità e segnalando varianti vegetariane, vegane
e onnivore, per dare a tutti la possibilità di modificare a proprio
piacimento le indicazioni suggerite. Ci sono menu dedicati al
“gluten free”, alla cucina “vegan”, all’attivazione metabolica
attraverso “short fasting” (periodi brevissimi di controllo
calorico, una nuova tecnica di segnale per il dimagrimento
che stiamo sviluppando con successo), menu stagionali, senza
zucchero e altri ancora per le occasioni speciali.
Invitiamo tutti a cucinare (ci sono, comunque, ricette
anche per chi non vuole mettersi ai fornelli) e a provare le
ricette presentate in queste pagine. Sono tutte eseguibili a casa
propria e, per la maggior parte, sono semplici. Anche quelle un
po’ più difficili non raggiungono mai difficoltà insormontabili.
Vi invitiamo a integrarle e a entrare nella storia di questo
libro, descrivendo le vostre prove e le vostre varianti anche su
Facebook, comunicando con Marina sulla sua fanpage www.
facebook.com/marinanecchispeciani o sul blog di Eurosalus
“Le ricette di Marina”. È il sito su cui anche Attilio e Michela
scrivono quasi ogni giorno.
Per noi la prima colazione è energia e gioia ed è
un’abitudine che deve diffondersi: è uno spazio di vita che può
diventare uno strumento di benessere per tutti, un momento
gratificante, piacevole, in grado di dare soddisfazione all’occhio
e al palato e di contribuire al mantenimento della salute.
Attilio Francesco Speciani
Marina Necchi Speciani
Michela Carola Speciani
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Colazione e brunch per il benessere, Gli Autori
9
Gli autori
Attilio Francesco Speciani
È riuscito a portare la sua passione per la moderna immunologia e le sue ricerche sull’infiammazione da cibo nel mondo della nutrizione.
Con oltre 35 anni di esperienza in questi ambiti, due docenze universitarie e due specializzazioni (tiene molto a quella in Allergologia
e Immunologia Clinica), lavora oggi sia a Milano sia a Londra. Direttore scientifico di SMA srl e GEK srl, due strutture polispecialistiche
milanesi, è autore e coautore di oltre 30 libri e ogni giorno scrive su www.eurosalus.com, sull’inglese www.docsalus.com e sulla sua
fanpage www.facebook.com/speciani.
Marina Necchi Speciani
La prima scuola di cucina di Marina Teresa Necchi è stata il “Dolce forno”, gioco con il quale, da bambina, ha iniziato a preparare le sue
torte preferite. Da adulta, dopo una laurea in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano, con specializzazione in Marketing,
ha scoperto il piacere di riproporre i piatti di famiglia tipici della tradizione lombardo-piemontese. A fianco del marito Attilio,
ha curato le ricette per intolleranti del libro Le allergie: Cause, diagnosi e terapie (Tecniche Nuove). Grazie alla sua passione per il cibo
sano (e buono) e per la fotografia, gestisce su Eurosalus il blog di ricette http://www.eurosalus.com/blog/le-ricette-di-marina/,
fonte di ispirazione per tutti coloro che soffrono di infiammazioni da cibo o intolleranze, e su Leiweb il blog “Benessere con gusto”.
La sua fanpage www.facebook.com/marinanecchispeciani è un luogo dove creatività, piacere, salute e tecniche di cucina si
intrecciano con gusto.
Michela Carola Speciani
Laureanda in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano, è consulente nutrizionale presso lo Studio Medico SMA di Milano.
Si è occupata per lungo tempo della sezione ricette sane di Wellness, mensile di salute del più celebre Donna Moderna. È tra gli autori
di punta del sito online www.eurosalus.com. Da sempre considera la cucina un modo di espressione rilassante, utile e gustoso.
Crede fermamente che la via della salute passi per le cose buone e che nulla faccia bene davvero se non lascia gli occhi più felici, le labbra
più sorridenti, il cuore più leggero.
Libro_ColazBenessere.indb 9
17/09/14 09.33
Libro_ColazBenessere.indb 10
17/09/14 09.33
Introduzione
generale
1
Parte 1
Libro_ColazBenessere.indb 11
17/09/14 09.33
12
Colazione e brunch per il benessere, Introduzione generale
Introduzione generale
Introduzione Generale
Per un italiano, mangiare non è solo nutrirsi: è stare in
compagnia, condividere i piatti preferiti con le persone care,
essere curiosi e godere del cibo. Una cucina che faccia bene
davvero non può prescindere dal gusto e dal piacere di quello
che si mette in tavola. È il motivo per cui in questo libro si
lascia spazio a preparazioni sane, ma anche e soprattutto
buone: quando ci si mette a “giocare” con qualcosa di
commestibile, è importante che il risultato sia gradevole, per
tutti e in tutti i sensi.
Perché la prima colazione?
Per l’italiano medio, fare colazione vuol dire prendere il caffè.
Senza nulla togliere al buon espresso nazionale, un po’
di cultura alimentare non può che fare bene. La colazione è uno
dei momenti che segnano una svolta nelle giornate, nella forma
fisica e nella salute delle persone. Farla significa predisporsi a
una vita sana; saltarla, vuol dire percorrere la via del disastro
metabolico.
La colazione è uno dei pochi momenti della giornata
in cui ha senso assumere qualche caloria, dello zucchero
o un vizio in più. Chi a colazione si limita al solo caffè o tè,
magari con la bustina o il cucchiaino di zucchero, si fa un
danno davvero grande.
Pensiamo al caso di Maria. Maria è un’impiegata. La mattina
si sveglia, ha giusto il tempo di infilarsi maglia e pantaloni,
lavare i denti e uscire col cappotto in mano. Maria è ben
cosciente dei suoi sette chili di troppo e probabilmente anche
questo è uno dei motivi che la spingono, erroneamente, a non
mangiare nemmeno un biscotto.
Maria sa che la sua è una scelta. La domanda è: i suoi geni,
ne sono a conoscenza?
Colazioni paleolitiche
Immaginiamo Maria qualche decina di migliaia di anni fa, a
metà del paleolitico. Maria-paleolitico, con cui Maria-oggi
condivide gran parte del genoma, ovvero dei suoi cromosomi,
si sveglia al mattino e davanti a sé ha due possibilità: la prima
è avere del cibo a disposizione e mangiarlo, la seconda è
andare a cercarlo, per nutrirsi. La strada percorsa da molte
donne di oggi – “scelgo deliberatamente di non mangiare
perché agosto si avvicina e devo mettere il bikini” – non era
decisamente tra le opzioni a disposizione di Maria-paleolitico
ed è assente anche nei cromosomi di Maria-oggi. L’unico
motivo per cui Maria-paleolitico alla mattina potrebbe non
mangiare è la carestia, e carestia significa fame, deperimento,
morte certa, salvo che l’organismo non metta in atto strategie
di conservazione del grasso.
Millenni di selezione naturale hanno fatto sì che l’organismo
di ciascun Homo sapiens sapiens rispondesse alla carestia
Libro_ColazBenessere.indb 12
mattutina (che significava carestia potenzialmente durevole)
con uno stimolo lipogenetico (produttore di grasso come
scorta) e con un abbattimento del metabolismo (conservazione
delle forze per tempi migliori).
Ecco che la nostra Maria-oggi, uscita di casa quasi senza
mettersi le scarpe per la fretta, avrà la mente molto annebbiata
per tutta la mattina, fino ad arrivare all’ora del pranzo.
A quell’ora (o a quella del primo spuntino), Maria dovrà poi
fare i conti con un metabolismo più basso e con una reazione
di risparmio energetico attuata dal suo organismo che, per
paura di morire di fame, metterà in grasso molto più di quanto
necessario. La mossa “credo-che-così-sarò-pronta-per-la-provacostume” o “sono-troppo-pigra-per-salvarmi-la-vita”
di Maria-oggi l’ha messa nella condizione di ingrassare, e anche,
potenzialmente, di vivere male il proprio lavoro e la propria
mattinata. È anche una questione di grasso o magro, ma le carte
in gioco comprendono temi molto più profondi e, non facendo
colazione, Maria si è davvero fatta del male.
Il buono del primo pasto della giornata
Sono innumerevoli gli studi che, negli anni, hanno valutato gli
effetti della presenza e dell’assenza della prima colazione, ed
è giusto, a questo proposito, riportare alcune scoperte che
coinvolgono adulti, così come adolescenti e bambini.
L’impatto della prima colazione è innanzitutto metabolico.
Anche attraverso un’azione negativa sull’utilizzazione degli
zuccheri, in coloro che saltano il primo pasto peggiorano tutti
gli indici di sindrome metabolica (grasso viscerale, pressione
arteriosa, colesterolo, resistenza insulinica). Tali conseguenze
hanno i loro effetti sul rischio di incorrere in qualunque tipo
di malattia, da quelle cardiovascolari, al cancro, passando per
il diabete e per le malattie infiammatorie croniche, e questi
meccanismi esistono sin dalla primissima infanzia. Ecco come
fa una prima colazione a salvare la vita.
Sono poi moltissimi gli studi che correlano la prima
colazione (soprattutto se ricca di una parte proteica) col
miglioramento del tono dell’umore, dell’attenzione e della
prestazione (a scuola e al lavoro). Una buona prima colazione
riduce il rischio di incorrere in ulcera gastrointestinale e, nelle
donne, si correla a una riduzione dei problemi mestruali,
dell’osteoporosi, delle problematiche legate alla funzione
riproduttiva e alla fertilità.
Anche soggettivamente, le persone (bambini e adulti) che
mangiano appena sveglie, stanno meglio: si sentono più felici,
più socialmente partecipi, più sane, con maggiori energie.
Inoltre, la prima colazione non ingrassa e, anzi, stimola
il dimagrimento, anche attraverso i meccanismi di prevenzione
della sindrome metabolica. La prima colazione stimola il
metabolismo: dopo aver mangiato al risveglio, l’investimento
giornaliero in energia, attenzione, calore sarà molto maggiore.
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Colazione e brunch per il benessere, Introduzione generale
Nelle nostre conferenze citiamo spesso gli studi dello
statunitense John de Castro (J.M. de Castro, Journal of Nutrition,
134, 2004), che afferma: “Quanto più è calorica la prima
colazione, tanto meno è calorico l’introito dell’intera giornata;
quanto meno è calorica la prima colazione, tanto maggiore sarà
l’introito calorico alla fine della giornata”. La realtà è anche più
interessante, perché una buona prima colazione non solo riduce
la fame che porta a rimpinzarsi poi durante il giorno, ma stimola
anche gli ormoni che facilitano il consumo di calorie.
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alimentari naturali. Olio di perilla, inositolo, oli di pesce,
mandorle, nocciole, noci, mirtilli e altri frutti di bosco sono
tutte sostanze contenenti antiossidanti o antinfiammatori
naturali, in grado di regolare e controllare molte delle azioni
negative delle citochine. In pratica, si sta verificando che
un’alimentazione sana e la scelta di alcuni particolari cibi (come
viene proposto in questo libro) possono determinare, in molti
casi, effetti positivi sulla salute molto più evidenti di quelli
ottenuti grazie all’uso di particolari farmaci, evitando così
i possibili effetti collaterali di questi ultimi.
Il fattore più importante da tenere in
considerazione è che questo tipo di regolazione
avviene attraverso messaggi e segnali. L’orario
della prima colazione è un segnale ormonale.
Il giusto bilanciamento di proteine e carboidrati
all’interno del singolo pasto determina un segnale
di specifiche adipochine che vanno a interferire
con la regolazione e con l’assorbimento di zuccheri
e carboidrati. La ricchezza o la scarsità della prima colazione
attivano un messaggio nervoso che arriva ai nuclei
di comando della tiroide, facendola funzionare correttamente
o provocandone un malfunzionamento – e tutti sono
a conoscenza dell’impressionante aumento dei disturbi tiroidei
negli ultimi anni. Si potrebbe continuare a elencare i vari effetti
di questi segnali; l’importante, tuttavia, è sapere che proprio
di segnali si tratta: segnali regolabili e modulabili con semplici
scelte di stile di vita e con la composizione di menu semplici
come quelli che indichiamo in questo libro. Il fatto di scegliere
mandorle o semi oleosi per la colazione, di inserire un uovo
al posto di una fetta di pane, di evitare di cuocere un grasso
sono azioni che non dipendono solo da una scelta estetica
o di gusto, ma dal fatto di dare all’organismo i segnali migliori
per conquistare la salute e mantenere il proprio benessere.
Impostare la giornata
partendo dalla prima colazione
A fronte di alcune calorie assunte in più durante la prima
colazione, quindi, anche tutte quelle introdotte durante le ore
residue della giornata saranno “bruciate” con maggiore facilità.
Le calorie assunte durante la prima colazione hanno, per di più,
a disposizione il resto della giornata per essere consumate.
Il terzo meccanismo attraverso cui la colazione stimola
il dimagrimento è quello, appena segnalato, del giusto controllo
della fame: sono numerosi gli studi che hanno evidenziato
come, mangiando più calorie in occasione della prima colazione,
si tenda ad assumerne complessivamente meno durante tutta
la giornata.
Il meccanismo di regolazione della fame è legato a quegli
stessi geni che controllano la sopravvivenza di Maria-paleolitico
(o anche di un ipotetico Marco-paleolitico): non si può
rischiare, in periodo di carestia, di trovarsi davanti a qualcosa di
potenzialmente commestibile, senza mangiarlo. Senza
la prima colazione, l’organismo si sente “in carestia” e si butta
“giustamente” su tutto quello che è commestibile, talvolta
senza alcun ritegno. Se, invece, la prima colazione è stata ricca,
l’organismo è sicuro della presenza e della disponibilità di cibo
e può mettere in atto dei processi di consumo calorico.
Citochine infiammatorie e messaggi
Questi segnali arrivano all’organismo grazie alla produzione
di particolari molecole chiamate citochine o adipochine.
Molte di queste sono prodotte in risposta all’infiammazione
da cibo (assunzione di cibi non tollerati) oppure a orari
alimentari non adatti all’organismo (come nel caso del “salto”
della prima colazione).
Negli ultimi anni si sta approfondendo la ricerca sull’azione
delle citochine infiammatorie, soprattutto perché si sta
scoprendo che la loro azione può essere modulata da prodotti
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Regolare i segnali
L’azione della prima colazione è, comunque, soprattutto
regolatrice: oltre a stimolare il consumo del grasso corporeo,
facendo dimagrire chi ne ha in eccesso, essa contribuisce
alla strutturazione della massa magra in chi ne ha poca
o è sottopeso. Non fare una prima colazione adeguata
(eventualmente dopo l’allenamento), ad esempio,
è davvero una scelta negativa per chi si sta impegnando nella
costruzione della “tartaruga” o del sedere “da showgirl”.
La disponibilità di cibo, per Maria e Marco-paleolitico,
significava, qualche centinaio di migliaia di anni fa,
la possibilità di cacciare o raccogliere, e la loro necessità
era quella di avere muscoli da usare ed energia da spendere.
Non è da escludere che la prima colazione sia correlata
anche con lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari (la misura
del seno per la donna, ad esempio) e con il desiderio sessuale
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Colazione e brunch per il benessere, Introduzione generale
Introduzione generale
Introduzione Generale
in entrambi i sessi: il contesto migliore per mettere al mondo
felici creaturine giustamente affamate e insaziabili era
caratterizzato da ricchezza alimentare.
Una buona prima colazione
Una prima colazione in grado di muovere tutti i meccanismi
sopra descritti è ricca, completa e sufficientemente
abbondante. Come si definiscono questi criteri? La presenza
di cereali (integrali), abbinati a proteine e grassi (che riducono
l’impatto glicemico), è il primo elemento. Le proteine possono
essere contenute in uova, prosciutto, pesce e pollo (i menu che
seguono declineranno le varie possibilità), ma anche in semi
oleosi e frutta secca.
Frutta e verdura fresche sono sempre e comunque una
componente importante per cominciare la giornata con
la giusta quota di antiossidanti e vitamine e per portarsi avanti,
in questo senso, sul conteggio giornaliero (si veda il capitolo 9).
I dolci possono essere consumati con maggiore libertà
durante la prima colazione, rispetto agli altri pasti, ma vanno
comunque tenuti sotto controllo in un’ottica di gestione della
salute personale.
La variabilità è un altro elemento utile per il controllo
efficace dell’infiammazione generale di base, che ha un ruolo
così importante nella prevenzione di ogni patologia
e nel mantenimento della salute (chi non fosse interessato
a questi ultimi argomenti sappia che ridurre l’infiammazione
contribuisce anche alla riduzione della cellulite). È importante,
quindi, variare il latte vegetale usato, le farine, la frutta, così
come la parte proteica.
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Due considerazioni sulla Gluten
Sensitivity
Per molti anni si è pensato che l’unica forma di reazione
alimentare al glutine fosse la celiachia. Dal 2010, invece,
si hanno conferme crescenti dell’esistenza di una forma
di ipersensibilità al glutine diversa dalla celiachia. Il nome
di questa condizione, indicata come NCGS, è infatti preso
direttamente dall’inglese e significa Non Celiac Gluten
Sensitivity, cioè “intolleranza al glutine non celiaca”. In pratica,
ciò significa che molte persone devono regolare la loro
assunzione di glutine o di frumento (oltre che di kamut, farro
e orzo) per non riceverne un danno. Nelle prossime pagine,
almeno due capitoli del nostro libro (capitoli 14 e 16) sono
dedicati al tema della reazione agli alimenti in generale, quella
che per anni è stata classificata come reazione da “intolleranza”,
e alla reazione al glutine. È importante segnalare che in Italia
quest’ultima condizione va tenuta in seria considerazione (vista
la diffusione di alcune abitudini alimentari), tenendo a mente,
come illustreremo, che, di fronte a fenomeni di infiammazione
da cibo (le vecchie “intolleranze alimentari”), la scelta più
corretta non è certo quella di eliminare l’alimento, ma di
mantenerne un consumo controllato per riportare l’organismo
ad assumerne con serenità attraverso un processo simile
a quello dello svezzamento infantile.
Nessuna paura, quindi, anche in caso di reazioni
di intolleranza al glutine (non celiaca) o a qualsiasi altro gruppo
alimentare. La nostra esperienza scientifica e clinica in questo
campo ci consente di dire che queste reazioni possono essere
diagnosticate (RecallerProgram) e guidate verso la guarigione
attraverso scelte alimentari positive, recuperando il gusto
del cibo, la varietà delle composizioni dei piatti e il piacere
di mangiare.
Partendo da ottime prime colazioni o da brunch piacevoli
e gustosi, come quelli proposti in questo libro.
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Colazione e brunch per il benessere, Erbe aromatiche e Spezie
Introduzione generale
Erbe aromatiche e spezie
Nelle pagine di questo libro troverete spesso ricette arricchite
da erbe aromatiche e spezie. Il fascino misterioso di questi
ingredienti riporta con il pensiero a immagini di sapori antichi,
di pozioni e rimedi curativi, cercati e trovati nella magia della
natura. I profumi del curry e della cannella, ad esempio, fanno
volare verso l’Oriente e ricordano i colori e gli aromi intensi
di quelle regioni. Di certo si può parlare di piante dalle molte
proprietà curative (come la salvia e la curcuma), ma anche di
erbe usate solo per insaporire i cibi e donare loro quel gusto
e quell’aroma, un po’ particolare, in grado di esaltarne
le qualità (come, ad esempio, qualche seme di cardamomo).
Nel libro sono raccontate le une e le altre.
La soddisfazione è massima quando, per preparare
un piatto, si possono usare le proprie erbe, raccolte nell’orto
o sul balcone, come salvia, rosmarino e timo.
La salvia riporta il pensiero all’antichità, quando, ai tempi
dell’Impero Romano, le erano riconosciute numerose virtù
(serviva, in pratica, per curare qualsiasi malattia…) e in molti casi
era addirittura usata come moneta di scambio per altre spezie
o mercanzie. Il mondo femminile è particolarmente sensibile alle
virtù della salvia, spesso usata per la sua azione di controllo delle
vampate della menopausa e per le sudorazioni profuse
in genere, ma ancor prima è bene ricordare la sua azione
depurativa e tonificante.
Per capire il rosmarino bisogna raccoglierne qualche ago
e strofinarlo tra le mani, poi metterle “a conchetta” e annusare
l’aroma e la forza che si sprigionano dai suoi oli essenziali. Insieme
al timo, ha un’azione stimolante, energetica e antinfettiva; il suo
effetto diretto più immediato è quello di ridurre la fermentazione
intestinale. Per questo, ad esempio, quando troviamo delle patate
al forno cotte con il rosmarino, cerchiamo di mangiare,
con le patate, anche tutti gli aghetti usati per cuocerle.
Ecco, allora, che questi aromi possono servire per insaporire
un roastbeef, un arrosto o altre carni, preparati la sera
precedente per essere consumati freddi la mattina.
Senza usare il sale, si può dare un gusto diverso ai petti
di pollo passati sulla piastra calda, aggiungendo una manciata
di questi “sapori” e ottenendo un profumatissimo piatto
preparato con pochi e sani ingredienti.
Una frittata diventa meno banale arricchita con
maggiorana oppure con qualche fogliolina di menta.
Tra le erbe profumate che abbiamo nel nostro orto in
campagna, si espande, fin troppo, la menta, regina dell’estate; essa
finisce spesso per accompagnarsi con le zucchine passate
in padella, oppure con l’acqua e limone per ottenere una bevanda
dissetante, o, ancora, con lo yogurt per creare una salsina in cui
intingere le verdure crude. Senza dimenticare che
è possibile farla essiccare e utilizzarla per preparare un ottimo tè.
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Sia la maggiorana, sia la menta hanno una cosiddetta proprietà
antispasmodica; riescono, cioè, a ridurre gli spasmi e le contratture
della muscolatura liscia. In caso di colite o di dolori addominali
sono quindi sicuramente utili. Nel caso di piatti ricchi, che possono
coinvolgere in modo complesso la digestione, la presenza di menta
e maggiorana (anche da sole, ovviamente), aiuta a rendere i cibi più
“freschi” e sicuramente più digeribili. Entrambe le piante sono anche
degli ottimi tonici nervosi ed energizzanti.
Nel nostro orto delle erbe coltiviamo due varietà di menta:
la menta piperita e la menta glacialis (che hanno due gusti
lievemente differenti). Oltre a usarle fresche, o a farle essiccare per
i tè alla menta invernali (rigorosamente senza zucchero!),
le impieghiamo insieme per prepararci (due volte all’anno) un
mojito, un cocktail a base di rum e lime, oltre che di menta fresca.
Nelle centrifughe e nei frullati ci piace aggiungere lo zenzero
fresco; se non lo trovate, si può usare anche quello in polvere.
Dello zenzero ci piace ricordare l’efficace azione sul sistema
digestivo: è un rimedio antinausea, stimolante della digestione,
antifermentativo. Poi, grazie alla sua azione antiossidante,
possiede importanti virtù antiartritiche. In casa nostra non manca
mai ed è un ingrediente insostituibile per i nostri centrifugati di
frutta e/o di verdura.
Sui formaggi e sulle carni ci piace il sapore dei semi di finocchio,
che uniamo anche all’impasto del pane fatto in casa.
Finocchio e anice sono tra le piante con il maggior potere
antifermentativo. Tutti i piatti che potrebbero “gonfiare” l’addome
possono essere miscelati con i semi di finocchio per ridurre
il possibile fastidio che ne deriva.
Il basilico, compagno di avventura e di stagione dei pomodori,
finisce per esaltarne il sapore sia da cotti sia da crudi,
in insalata.
L’erba cipollina è invece un ottimo sostituto della cipolla;
è più semplice da pulire e non fa venire le lacrime agli occhi.
Entrambe le piante hanno un’azione antispasmodica; l’erba
cipollina, in particolare, aiuta a riequilibrare la flora intestinale.
In cucina usiamo anche molte spezie, e Marina adora sentire
il loro profumo riempire la casa come una magia, mentre
cuociono i dolci che ha preparato.
La cannella è spesso presente nelle torte di mele, ma
esercita tutta la sua azione salutare anche solo aggiunta alla
frutta cotta insieme a qualche seme di garofano.
Nei budini, nelle creme e nei gelati rende i sapori classici più
intensi e intriganti e aiuta a diminuire le dosi di zucchero usate.
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Colazione e brunch per il benessere, Erbe aromatiche e Spezie
La cannella è una spezia con un forte potere euglicemizzante,
tende cioè a riportare rapidamente verso la norma le variazioni
di glicemia. Il suo destino è evidentemente quello di essere
abbinata ai dolci. Soprattutto a Natale, il suo profumo non
ha solo la funzione di riportare alla memoria la magia della
festa, ma anche quello di aiutare gli amanti dei dolci a resistere
efficacemente agli eccessi del periodo.
Le bacche di vaniglia vanno aperte tagliandole a metà
ed estraendo dal baccello i profumati semini con l’aiuto
di un cucchiaino. Si aggiungono alle creme e ai gelati e anche
nel condimento delle insalate condite con olio e aceto
di mele o limone.
Il cardamomo è altrettanto interessante e ha un sapore
intenso; ci piace unirlo al caffè, alle tisane e alla cioccolata calda.
La noce moscata si usa per insaporire le verdure, come ad
esempio la torta di spinaci. Una sua spolverata sta molto bene
anche sulle uova al tegamino e con la frutta cotta; nei dolci
e nelle marmellate solitamente si accompagna alla cannella
e ai chiodi di garofano.
Non possiamo dimenticare il curry, un fantastico insieme
di spezie che, a seconda del luogo di produzione, cambia
composizione e sapore. L’ingrediente più rappresentativo
è la curcuma, cui sono poi aggiunte spezie diverse che
specificano spesso per quale preparazione sia indicato il mix.
Il curry va assaggiato e provato, per conoscerlo.
A questa spezia di origine indiana sono riconosciute qualità
di grande interesse sul piano medico. La curcuma longa ha
dimostrato una potente attività antinfiammatoria naturale
e proprietà antinfettive di estremo interesse (appartiene alla stessa
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famiglia dello zenzero). È quindi un prodotto di spicco sul piano
della modulazione naturale del sistema immunitario. Molte ricerche
recenti hanno dimostrato una sua attività sul piano antitumorale;
questo tubero ha inoltre un ruolo importante nella prevenzione
di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Già così è una
meraviglia, ma ora sappiamo che ha anche proprietà antidepressive,
agendo sul sistema nervoso centrale nella regolazione di due
importanti neurotrasmettitori, come la serotonina e la dopamina,
coinvolti nella modulazione degli stati emotivi. L’azione dei
curcuminoidi (tra le sostanze attive della pianta) è pienamente
sinergica a quella degli antidepressivi chimici e permette di ottenere
una migliore modulazione della concentrazione di serotonina
e dopamina.
Noi acquistiamo curry in tutti i Paesi orientali in cui
ci rechiamo. Suggeriamo a chiunque ne abbia l’occasione,
durante un viaggio di lavoro o una vacanza, di acquistarne
piccole quantità di diversa composizione.
Lo aggiungiamo alle preparazioni salate a base di carne,
ma anche al pesce e alle verdure, e persino in alcuni dolci.
Il curry che preferisce Marina è quello più speziato e meno
piccante. Quello preferito da Attilio è sicuramente il più “hot”.
A Michela piacciono entrambi.
Il “tallone di Achille” di Marina è il piccante, e ritiene che chi
lo desideri deve poterlo aggiungere (a ragione), in qualsiasi piatto
proposto nel libro, anche se nella ricetta non è stato menzionato.
Per quanto riguarda il peperoncino, l’unico cibo per
il quale Marina lo accetterebbe è il gelato al cioccolato,
e infatti lo metterebbe volentieri, sempre in quantità
moderata, anche nella cioccolata calda. Il peperoncino è un
po’ come il prezzemolo: si può aggiungere ovunque e, per chi
lo ama, diventa una presenza indispensabile.
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Parte 2
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 1, Grassi e oli: il buono e il cattivo
Pronti? Via...
CAPITOLO 1
GRASSI E OLI: IL BUONO E IL CATTIVO
Grassi buoni e grassi cattivi
La “colpa” dell’idrogenato
Di solito i grassi (di cui fanno parte anche gli oli) sono distinti
in “buoni” e “cattivi”, con una separazione che risulta già
abbastanza immediata. Il punto è: quali siano da definire “buoni”,
quali “cattivi”, e quali siano i motivi effettivi di tale giudizio.
Il discrimine dipende, fondamentalmente, dal fatto che gli stessi
siano dannosi o benefici per le arterie dei mammiferi.
All’inizio non era proprio così: fino a qualche anno fa, la
principale distinzione era tra grassi vegetali e animali. Questo ha
fatto sì che nel primo dopoguerra molte persone preferissero
friggere qualsiasi cosa nella margarina invece che nel burro,
convinte di agire bene.
Nelle preparazioni industriali i grassi saturi o idrogenati
sono generalmente preferiti poiché “meglio addensanti”: a
temperatura ambiente, essi sono solidi e non liquidi, come i grassi
tendenzialmente insaturi, e permettono quindi di comporre
creme dense e omogenee che non rilasciano olio, mescolandosi
meglio agli altri ingredienti. Il costo etico di una crema siffatta
è tuttavia alto, soprattutto se si tratta di creme e di prodotti
indirizzati ai bambini: i grassi saturi (tendenzialmente i grassi
animali, messi dalla parte dei “cattivi”) alzano l’LDL (il colesterolo
che fa male) lasciando invariato l’HDL (il colesterolo che protegge
dal danno cardiovascolare); i grassi idrogenati (quelli di cui ci
stiamo occupando) fanno anche peggio, alzando il primo e
abbassando anche il secondo, producendo danno cardiovascolare
in maniera più potente. Le differenze tra “saturo” e “idrogenato”
non finiscono qui: ci sono studi che mostrano chiaramente che i
grassi saturi (come quelli della carne) non sono così deleteri per
le arterie e per il cuore quando vengono associati a un almeno
modesto consumo di oli buoni (insaturi) e frutta e verdura
in abbondanza (che hanno un effetto protettivo sulla stessa
mortalità cardiovascolare) (Artaud-Wild S.M. et al, Circulation.
1993; 88: 2771-2779). [http://circ.ahajournals.org/
content/88/6/2771.short].
In teoria, un principio simile potrebbe applicarsi anche
al consumo di grassi idrogenati, ma, di fatto, non si evidenzia,
quindi è meglio in genere evitarli. Il motivo è probabilmente
da ricercarsi nel fatto che, per chi mangia carne, risulta più
facile abbinarvi dell’insalata o qualche goccia di olio crudo; la
merendina ricca di grassi idrogenati è, invece, solitamente il
sostituto di uno spuntino potenzialmente sano che potrebbe
essere fatto con frutta o con qualche noce (grassi buoni); questi
alimenti, quindi, vanno persi e non partecipano all’alimentazione.
Riassumendo, meglio i grassi insaturi dei saturi e meglio i non
idrogenati degli idrogenati, tenendo comunque presente che anche
i grassi considerati “cattivi” possono essere consumati con relativa
serenità, qualora si desse generalmente la preferenza ai grassi
“buoni”, e se gli stessi si consumassero in un contesto comprendente
anche gli antiossidanti e i fattori protettivi di frutta e verdura.
Le margarine e il burro
Oggi sappiamo che la margarina, un grasso che è, sì, vegetale, ma
anche “idrogenato”, è dannosa per le arterie e le membrane cellulari
esattamente quanto il burro, e anche un po’ di più: in essa manca,
infatti, la vitamina D; inoltre, le catene di cui sono composti i suoi
grassi sono più lunghe e quindi meno metabolizzabili rispetto al
corrispettivo animale (un grasso che non viene metabolizzato resta
nelle arterie e fa danno). Inoltre, di partenza, la margarina contiene
più grassi “trans” (grassi super cattivi che generalmente si sviluppano
con la cottura) rispetto al burro.
In realtà esistono diversi tipi di margarina, secondo il livello
di idrogenazione che si è voluto ottenere: margarine più dense e
solide a temperatura ambiente saranno più idrogenate e quindi
potenzialmente più dannose. Quelle più morbide saranno, invece,
meno idrogenate e quindi preferibili, qualora si desideri usarne.
Cos’è un grasso idrogenato?
La margarina è in partenza uguale a un olio e viene “idrogenata”
per farle acquisire, alle normali temperature, una consistenza
più compatta, spalmabile e simile a quella del burro,
naturalmente “idrogenato”. Il termine si riferisce al modo con
cui si modifica la molecola del grasso perché, a temperatura
ambiente, resti adesa alle altre in una forma più o meno solida.
E un grasso saturo?
Un altro modo per dire “idrogenato” è “saturo”, e un altro modo
per dire “non idrogenato” è “insaturo”. Il primo termine si riferisce
alla presenza o assenza del processo chimico sopra accennato,
mentre il secondo prende in considerazione la struttura definitiva
del grasso (saturo, con tanti idrogeni, e insaturo, con pochi idrogeni).
I due termini possono essere usati, quindi, come sinonimi, ma un
grasso saturo può essere sia idrogenato (ottenuto per procedimento
chimico, come la margarina) sia non idrogenato (naturalmente
saturo, come il burro).
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“Grassi vegetali non idrogenati”,
bene ma con cautela
I grassi “buoni” sono generalmente identificati con i grassi vegetali
“non idrogenati”. Tale identificazione è spesso sfruttata dalle
multinazionali che usano tale dicitura (legale) in etichetta senza
specificare il tipo di olio in realtà utilizzato. Non tutti gli oli
vegetali sono necessariamente buoni, anche se non idrogenati.
L’olio di palma, con una percentuale di grassi saturi che arriva anche
a superare l’80%, è, ad esempio, sconsigliato, così come lo è l’olio
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 1, Grassi e oli: il buono e il cattivo
di colza, che contiene acido erucico, dimostratosi tossico per i
mammiferi (oggi esso è utilizzabile in Italia in miscela con altri oli,
in quantità però non superiore al 5%). Un caso particolare tra gli
oli vegetali non idrogenati e comunque riccamente saturi è quello
dell’olio di cocco, contenente un’alta quantità di grassi saturi che
però sono a catena di media lunghezza (come quelli del burro), e
quindi tutto sommato abbastanza facilmente metabolizzabili.
Meglio insaturi, ma dove li trovo?
Gli oli davvero “buoni” sono quelli per lo più insaturi (sia mono
che polinsaturi), di cui fanno parte anche i celebri Omega 3 e
Omega 6, entrambi polinsaturi. Questi ultimi sono detti “essenziali”
perché l’uomo non può costruirli e deve assumerli dall’esterno. Gli
Omega 3 sono presenti in grandi quantità nel pesce, ma anche negli
oli più svariati (anche se l’olio di lino, tra gli oli che si trovano nei
supermercati, è quello che contiene in assoluto più Omega 3, che
sono un po’ più difficili da trovare rispetto agli Omega 6).
È bene, comunque, sapere che Omega 3 e Omega 6 sono presenti
nei semi oleosi e nella frutta a guscio più tipica (da scegliere fresca)
e quindi negli oli di qualunque tipo, dall’extra vergine di oliva
al mais (purché spremuto a freddo), anche se in quantità variabile.
Tali grassi si trovano, tuttavia, anche nei cereali integrali e in alcuni
tipi di frutta e verdura. Una dieta varia, che contenga questi tipi
di alimenti, di solito, soddisfa già tale bisogno.
Perché meglio insaturi, l’attenzione
alla cottura e non solo
Prediligere l’uso di grassi mono e polinsaturi rappresenta un
importante fattore di protezione cardiovascolare e non solo:
essi possono svolgere un’azione antinfiammatoria generale
e si rivelano importanti nella prevenzione e nel trattamento
dell’osteoporosi, delle patologie neoplastiche e dei dolori
articolari, nonché, più semplicemente, del mal di testa,
dell’acne, o delle reazioni allergiche. Attenzione, però: essi
vanno tendenzialmente consumati “a crudo”. Consumare “a
crudo” significa evitare la cottura dell’olio stesso: gli Omega 3,
soprattutto, tendono a modificarsi molto facilmente a mano a
mano che la temperatura si alza.
Tutti i grassi (anche quelli saturi) tendono a modificarsi
con il calore; in particolare, l’effetto è quello di una parziale
deidrogenazione (perdita di atomi di idrogeno), con la
concomitante acquisizione di una forma cosiddetta “trans”
(per la nuova posizione degli idrogeni sulla molecola). Questa
particolare forma del grasso (cotto) è proprio quella che prima
abbiamo definito “del grasso super cattivo”, con un’azione
molto simile a quella spiegata per i grassi vegetali idrogenati
(innalzamento del colesterolo che fa male e abbassamento del
colesterolo che fa bene, con tutto ciò che ne consegue).
Come usare l’olio in cucina
La scelta migliore per cuocere qualsiasi piatto è quella di farlo
senza oli, aggiungendo, se possibile, dell’acqua di tanto in tanto
(in questo modo la temperatura di cottura non supera i 100 °C
dell’ebollizione e si proteggono anche i grassi naturalmente
contenuti nella preparazione), e usando gli oli preferiti, senza
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cuocerli, una volta terminata la cottura. Ciò permette di dare
gusto, omogeneità e sapore al piatto, lasciando intatte le
proprietà nutritive dell’olio e di ciò che si è cucinato (gli Omega
3 contenuti in un eventuale piatto di pesce sono risparmiati se
la cottura è a bassa temperatura).
Grazie a particolari sostanze antiossidanti presenti in varia
misura nei diversi oli, ognuno di essi possiede comunque una
diversa reattività all’azione degli agenti fisici e quindi del calore.
Gli oli che conservano maggiormente le loro caratteristiche, se
sottoposti a più alte temperature, sono l’olio extra vergine di oliva
(in quanto ricco di antiossidanti) e l’olio di arachide (che resiste
bene fino a temperature un po’ più alte degli altri). Questi sono
gli oli da preferire quando “ungere” la padella è “assolutamente
necessario”, ricordando che, anche in questo caso, è meglio
limitare la cottura dell’olio a brevi periodi e che la temperatura di
cottura deve essere mantenuta la più bassa possibile.
Riassumendo
È meglio preferire gli oli vegetali non idrogenati (scegliendoli
“spremuti a freddo” ci si assicura che le modificazioni che
preferiamo evitare in cottura non siano già avvenute durante
l’estrazione: questa è quindi l’opzione ottimale), leggendo,
dove possibile, i valori nutrizionali dell’olio o del prodotto, per
meglio comprendere la quantità di grassi saturi (da evitare) e
insaturi (da preferire) che essi contengono realmente.
I grassi animali non sono necessariamente cattivi. Senza voler
diventare “burrivori”, il burro rappresenta una scelta eccezionale
spalmato su una fettina di pane integrale o appena sciolto su
un pancake. I grassi resteranno saturi (ricordando, peraltro, che
quelli del burro sono a catena di media lunghezza come quelli
dell’olio di cocco), senza tuttavia diventare dannosi come quei
grassi “trans” di cui abbiamo parlato prima, mantenendo le
caratteristiche di golosità utili e apportando anche qualche
vitamina positiva per la memoria, l’umore e le ossa (vitamina D).
È utile ricordare che la loro azione negativa è molto mitigata se
sono assunti in concomitanza con altri grassi insaturi (come, ad
esempio, qualche noce o una fettina di salmone affumicato) e con
gli antiossidanti di frutta e verdura.
Una notazione calorica
Un’ultima notazione riguarda le calorie: i grassi sono gli elementi
nutritivi con il maggior numero di calorie per grammo. Come si
leggerà nel Capitolo 9, è bene ricordare che esse non sono l’unico
metodo per valutare la “forza ingrassante” di un alimento, e che
anzi, talvolta, risultano fuorvianti. L’esempio tipico è quello del
piatto di patate con e senza olio: una persona alla quale non sia
stato ancora posto l’indovinello tenderà a pensare che il piatto
con l’olio ingrassi di più di quello senza. Nella realtà dei fatti
accade invece il contrario: l’aggiunta dell’olio sulle patate riduce
la velocità di assorbimento degli zuccheri e degli amidi presenti
nelle patate stesse e modula, quindi, sia l’appetito successivo sia
la secrezione di insulina (che, tra le altre cose, è anche l’ormone
dell’accumulo). Ecco che le calorie non sono l’unico parametro
di cui tenere conto e che l’aggiunta di qualche goccia di olio
(preferibilmente a crudo) può diventare un’alleata importante nel
controllo della forma fisica e nel supporto della salute.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 2, I lieviti e la fermentazione
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CAPITOLO 2
I LIEVITI E LA FERMENTAZIONE
I lieviti: fermentato o non fermentato?
Si tratta di uno dei temi che affrontiamo più spesso quando
si tratta di discutere o di proporre uno schema alimentare
personalizzato. L’infiammazione da cibo dovuta alle sostanze
fermentate o ai lieviti, insieme alle reazioni al glutine e
ai derivati del latte, è tra quelle più diffuse nel mondo
occidentale, e la necessità di conoscere quali siano i cibi
sostitutivi è sempre più elevata.
Quando si prepara un piatto o si organizza un pasto, anche
una prima colazione, volendo controllare la quantità di sostanze
fermentate introdotte con gli alimenti, è necessario avere
compreso molto bene che cosa significhi “fermentazione”
e quali sono gli alimenti in cui possiamo trovarne traccia.
Fermentazione: avviene anche senza
lievito aggiunto
Per chi cucina, questo è il primo scoglio da superare. I cibi da
controllare nel caso di una reazione ai lieviti non sono solo
quelli che contengono lievito, ma anche quelli che portano in sé
gli effetti di una precedente fermentazione: sostanze, cioè, che
hanno comunque subito un naturale processo di trasformazione
o anche una lievitazione naturale, senza che vi sia stata aggiunta
una specifica sostanza lievitante o fermentante.
Classicamente, dopo poche settimane di dieta “corretta”, molte
persone sono tratte in inganno dalla scoperta (al supermercato,
in farmacia o in erboristeria) di prodotti da forno “senza lievito
aggiunto” e credono erroneamente di avere finalmente trovato
il pane “giusto”. Questo non è vero, e nella maggior parte dei casi chi
comincia un tale tipo di sostituzione si ritrova, in poco tempo,
a riprovare quei sintomi dai quali stava magari guarendo.
Si deve, quindi, prestare la massima attenzione all’acquisto
e all’uso di pani, biscotti, crostini o altro per i quali venga
sbandierata l’assenza di lievito, senza che nulla sia detto della
fermentazione naturale che in essi si sviluppa.
Fermentazione: anche in prodotti
inaspettati
Lo sviluppo della conoscenza passa sempre attraverso
l’esperienza, quella che negli anni abbiamo maturato nei nostri
centri clinici di Milano (SMA e GEK), presentando i nostri dati
su Eurosalus.com e RecallerProgram.com, i siti di riferimento
per chi studia l’infiammazione da cibo. Nel corso del tempo,
il dettaglio degli alimenti fermentati si è gradualmente
accresciuto grazie alla verifica sul campo di reazioni ad alimenti
che inaspettatamente si dimostravano “fermentati” anche se,
fino a 20-25 anni fa, nessuno se lo sarebbe aspettato.
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In particolare, facciamo riferimento al miele, che contiene
lieviti osmofili (come ci hanno insegnato gli apicoltori) e che
quindi, pur essendo un alimento sano e ben composto, può
contribuire a mantenere elevata la reazione nei confronti
di questo gruppo alimentare.
Lo stesso vale per il tè nero, che deve il suo caratteristico
aroma alla presenza di lieviti e muffe particolari (tipici del luogo
di produzione del tè) che si liberano a contatto con l’acqua
calda. Come amiamo spesso dire, una tazza di tè contiene un
infuso di Camelia sinensis cui si aggiunge un “bagnetto”
di quelle muffe e lieviti che danno l’aroma caratteristico di un
“Earl Grey” o di un “Lapsang Souchong” o di infiniti altri.
Va ricordato, inoltre, che il fatto di avere a disposizione un
prodotto biologico e sano (ad esempio, aceto di mele biologico)
non elimina il problema della sua fermentazione. Anche i
migliori aceti di mele biologici, nonostante in molti siti internet
siano spesso indicati nelle diete contro la Candida (si dice
lo stesso perfino dello yogurt), sono comunque fermentati
e devono essere controllati all’interno di un piatto in cui
si voglia evitare la fermentazione.
Lievito chimico e pasta madre
a lievitazione naturale
La fermentazione in sé non è né buona né cattiva.
Semplicemente, esiste, e bisogna prenderne atto per quello
che ci serve. Se abbiamo la necessità di ridurre l’assunzione
di sostanze fermentate, va ridotta anche la fermentazione
naturale indotta dalla pasta madre, per buona e naturale che
sia. Sappiamo perfettamente che la fermentazione naturale
è preferibile a quella indotta dal lievito chimico o dalla
presenza del lievito di birra, ma questo non toglie che sia
comunque una fermentazione, a contatto con la quale un
organismo manifesta una possibile reazione infiammatoria.
Spesso, infatti, dobbiamo discutere a lungo con le persone
che ritengono che la lievitazione naturale non possa essere
che positiva per l’organismo. Quando esiste la necessità
di controllare la lievitazione in alcuni giorni della settimana,
questo va fatto anche nei confronti di quella naturale.
A seguito dell’effettuazione di RecallerProgram, il test che
oggi utilizziamo specificamente per capire quali alimenti
inducano una infiammazione da cibo, in una settimana di
controllo intenso della lievitazione (lo schema più rigido
che viene attuato in questi casi) ci sono comunque ben sette
pasti liberi alla settimana, e normalmente l’evoluzione verso
la guarigione porta in qualche mese al controllo dietetico da
applicare in soli due giorni della settimana. Non si elimina mai
un cibo, e chiunque può usare i suoi prodotti preferiti anche
nelle settimane di dieta “stretta”.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 2, I lieviti e la fermentazione
Un ripasso della scheda dei prodotti
fermentati
Oltre ai cibi che contengono direttamente lieviti, nei quali è
nota e chiara la presenza di lievito di birra, di lievito chimico
o di lieviti madre, l’evidenza clinica ci ha indicato che la maggior
parte delle persone con una infiammazione da cibo dovuta
ai lieviti e alle sostanze fermentate trae giovamento dalla
rotazione o dal controllo nella dieta anche di tutti i prodotti
variamente fermentati. I lieviti vanno ritenuti presenti negli
alimenti di seguito indicati.
a. Tutti i prodotti lievitati da forno: pane, cracker, grissini,
fette biscottate, biscotti, dolci, prodotti di pasticceria
e di panificazione in genere, compresi quelli detti
“a fermentazione naturale”, per i quali si usa comunque
una pasta madre lievitata (che passa giornalmente
da un impasto all’altro). La restrizione sui prodotti da
forno va estesa anche ai cibi cotti in forno in cui sia
contenuta farina. Anche in assenza di lievito aggiunto,
infatti, durante la cottura le farine subiscono una parziale
lievitazione. Questo significa che anche il pane azzimo
o altri tipi di pane e fette, anche se riportano la scritta
“senza lievito”, vanno inclusi nell’elenco (la miscelazione
e la cottura del pane azzimo determinano comunque
un parziale processo di fermentazione, anche se
ridottissimo): le fette tipo Wasa, il pain croustillante,
le piadine, la carta da musica sarda; sono, invece,
ammessi gli estrusi e le fette di cereali soffiati. Un ridotto
processo di fermentazione avviene anche quando si lasci
la pasta fatta in casa, umida, a seccare naturalmente.
Potrebbe essere necessario, in alcuni specifici casi,
controllare anche l’assunzione di questi alimenti
(tagliatelle, orecchiette ecc.), mentre spaghetti, farfalle
o altra pasta di grano duro sono perfettamente
utilizzabili dalle persone che reagiscono ai lieviti.
b. Funghi (essendo essi stessi miceti come i lieviti): sia che
si tratti di champignon, porcini, funghi secchi o altro.
c. Miele
d. Seitan: prodotto proteico ottenuto dalla
fermentazione del glutine.
e. Tutti i formaggi: sia freschi (compresa la ricotta, in un
primo tempo) sia stagionati, il tofu (formaggio di soia),
lo yogurt anche se a fermentazione naturale, sia di latte
vaccino sia di soia.
f. Le bevande fermentate: la birra, il vino, tutti gli
alcolici, il tè, che viene fatto fermentare nei luoghi di
produzione per acquisire il suo particolare aroma (sono
utilizzabili, invece, il tè verde, che non è fermentato, gli
infusi di erbe e il karkadè). In questo gruppo rientrano
anche il bortsch, la tipica minestra russa a base di
barbabietole lattofermentate, e il miso, da controllare
perché è preparato per fermentazione dalla soia.
g. Condimenti: l’aceto (anche quello di mele), i dadi
da brodo (in quasi tutti, anche in quelli naturali, sono
presenti lieviti), la maionese industriale (che quasi
sempre contiene anche aceto).
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h. Salse macrobiotiche (sono quasi tutte fermentate,
come la salsa di soia e tamari e il miso).
i. Frutta o verdura essiccata: pomodorini, olive, uvetta,
albicocche, prugne secche ecc. In genere, anche se
potrebbe essere richiesta una maggiore attenzione
anche per i semi oleosi essiccati (noci, arachidi,
nocciole, mandorle), nelle normali condizioni di uso e
di conservazione, il deposito superficiale di miceti
e funghi è molto ridotto ed è considerato accettabile
per l’uso in chi manifesta reazioni specifiche.
j. Tra i farmaci: gli estratti di lievito, ma anche molti
integratori vitaminici (in particolare quelli del gruppo B)
perché vengono spesso estratti da lieviti.
k. Avanzi di cibo: cibi lasciati a fermentare oppure
ortaggi conservati molto a lungo. Quando un
cibo comincia a diventare acidulo dopo essere
rimasto conservato più o meno a lungo, o perché
già in partenza era stato acidificato anche se con
solo limone, significa che sta producendosi una
fermentazione acida. Alimenti che tendono ad
avviare rapidamente questo tipo di fermentazione
sono alcune verdure cotte, il couscous, le minestre di
fagioli, la frutta a pezzi e la macedonia zuccherata.
Dopo alcuni giorni, anche la frutta e le verdure
conservate all’aria aperta (ma anche i succhi di frutta
conservati aperti in frigorifero) iniziano un processo
di ossidazione che può interferire con l’efficacia
della dieta. Anche le piccole macchie scure che
si formano su frutta e verdura devono mettere in
allarme: si tratta di miceti che in questo tipo di dieta
vanno evitati. Il riso scolato può essere conservato
abbastanza a lungo in frigorifero senza che subisca
specifiche fermentazioni e lo stesso vale per
le patate bollite: entrambi questi alimenti possono
essere usati come sostituti del pane, quindi è bene
sapere che se ne può fare una “relativa” scorta.
l. Acido citrico: è un conservante contenuto in moltissimi
alimenti in sostituzione del succo di limone e utilizzato
in moltissime bevande industriali. Deriva dall’Aspergillus
(un fungo) geneticamente modificato.
m. Attenzione alla masticazione: è bene masticare il più
possibile i cibi prima di deglutirli, perché
i pezzi di cibo ingeriti e non sminuzzati a sufficienza
rimangono inevitabilmente nello stomaco più a lungo,
dando luogo a un inizio di processo di fermentazione.
Non mangiare pane per evitare i cibi fermentati
ha la stessa importanza del non lasciare che un cibo
fermenti dentro lo stomaco a causa della mancata
masticazione. Ricordiamo di aiutarci cercando
di “posare la posata” dopo ogni boccone per rendere
consapevole il gesto di portare alla bocca il cibo,
un atto che troppo spesso viene fatto senza pensare,
d’istinto o per fretta quando non abbiamo ancora
terminato di masticare il boccone precedente. È un
semplice cambiamento, ma di grande aiuto per chi
fatica a mangiare più lentamente.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 2, I lieviti e la fermentazione
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Particolari attenzioni per chi cucina
Gli aspetti più pratici da tenere a mente sono quelli che
riguardano l’aggiunta di sostanze fermentate che fanno parte
della consuetudine culinaria italiana. La semplice aggiunta
di un po’ di formaggio grattugiato non può essere fatta. Una
sostituzione con un po’ di latte, oppure con un po’ di mandorle
grattugiate sarà ottima.
L’uso di un po’ di vino o di aceto nella preparazione di un
cibo va considerato critico (in realtà dopo un po’ di tempo
queste aggiunte saranno perfettamente tollerate dall’organismo,
ma in fase iniziale è bene che l’attenzione sia più precisa).
L’uso di farine di cereali inserite in preparazioni liquide
lasciate in attesa possono determinare fermentazione.
Se si prepara una crêpe (vedi pag. 64) immediatamente dopo
aver miscelato uova, farina e liquidi (latte o acqua), non
si sviluppa fermentazione. Se si prepara la miscela e si aspetta
a usarla, è possibile che la fermentazione inizi a svilupparsi.
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Generalmente farine di ceci, castagne, patate, usate da sole,
non determinano una specifica lievitazione o, quantomeno,
questa rimane nei limiti dell’accettabilità. Se, invece, sono
miscelate con altre farine di cereali, la fermentazione avviene.
Ricordiamo che vanno considerati fermentati anche:
1. prodotti da forno con dicitura “senza lievito aggiunto”;
2. prodotti inaspettati, come il miele, l’aceto di mele,
i diversi tè neri;
3. frutta essiccata (albicocche, prugne ecc.);
4. prodotti a base di farine di riso o avena (simili agli
estrusi), fatti però con farina. Essi traggono spesso
in inganno perché sono in realtà prodotti da forno,
descritti senza aggiunta di lievito, che assomigliano
però alle confezioni di estrusi.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 3, Proteine… anche a prima colazione
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CAPITOLO 3
PROTEINE… ANCHE A PRIMA COLAZIONE
Gli italiani e le proteine
Perché assumerne?
Per noi italiani le proteine sono spesso un grande punto
interrogativo: anche persone di cultura o laureate fanno talvolta
fatica a ricordare che cosa sia una proteina e quale sia il suo
valore. Le informazioni da cui si è bombardati sono spesso
contrastanti, così l’idea che ciascuno si fa sulle proteine è talvolta
diversificata e discutibile, fino ad arrivare alla convinzione dei più:
“Proteine? Io ne assumo tantissime, perché bevo sempre il latte a
colazione”. Affermazione che giustifica l’introduzione di meno del
10% di quelle richieste dall’OMS per una persona di 70 kg di peso.
Il latte, infatti, contiene circa 3 g di proteine per 100 g di prodotto.
Assumendo una tazza abbondante di latte, si assumeranno circa
8 g di proteine del latte, all’incirca il corrispettivo delle proteine
presenti in due fette di pane integrale, che nei casi migliori ne
contiene 14-15 g per etto.
Il latte, quindi, non è forse esattamente la fonte proteica
primaria su cui fare affidamento (si consideri, in ogni caso,
che il latte di soia ne contiene generalmente ancora meno,
anche se la quantità di carboidrati in esso presente è
percentualmente minore).
Tutte le nostre cellule sono costituite da composti proteici e da
aminoacidi (tanti aminoacidi insieme formano una proteina).
Il nostro ricambio cellulare è altissimo (soprattutto se è in corso
un processo infiammatorio), ed ecco che le proteine diventano
essenziali per rendere questo ricambio possibile e funzionale
e per mantenere in salute i tessuti (dalla pelle, all’intestino,
ai legamenti). Assumere una giusta quota di proteine accanto
ai carboidrati usuali permette, inoltre, di bilanciare l’impatto
glicemico di quello che si sta mangiando. Per dirla in parole
facili, aggiungere qualche proteina farà venire meno fame, farà
ingrassare di meno e controllerà il processo infiammatorio che
avrebbe luogo con l’assunzione di soli carboidrati.
Assumere qualche proteina in più darà energia, stimolerà
il metabolismo e manterrà l’organismo tendenzialmente più in
salute… e con più gusto di quello che ci si potrebbe aspettare.
Dove e quante sono?
Di solito si considerano alimenti proteici quelli che contengono
più proteine che carboidrati; in particolare, si tratta di uova,
pesce, carne, crostacei, semi oleosi e frutta a guscio, formaggi
(di latte vaccino o vegetale) e seitan, che è il prodotto della
fermentazione del germe di grano, ad alto contenuto di glutine.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le proteine
da assumere ogni giorno dovrebbero essere circa un grammo per
ogni chilogrammo di peso corporeo. Ciò significa che una persona
che pesi 60 kg dovrebbe assumere almeno 60 g di proteine pure.
Non poco, se si considera che in 100 g di alimento “proteico”
(come il pesce o la carne) ci sono circa 20 g di proteine pure (sono
un po’ di più nei semi oleosi e nella frutta a guscio).
Ecco, quindi, che, per arrivare ad assumerne ogni giorno
la quantità sufficiente, è utile cominciare a introdurre qualche
proteina fin dalla prima colazione e usare abitualmente
carboidrati integrali e leguminose come parte carboidratica
(le leguminose e i cereali integrali hanno circa lo stesso
quantitativo di proteine, per entrambi più alto di quello
dei cereali raffinati).
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La questione economica
Tra le fonti di proteine a basso costo, generalmente denigrate,
ci sono, ad esempio, le uova: a conti fatti, un piatto composto
da due uova, riso integrale bollito e qualche verdura a lato costa
esattamente quanto un caffè con brioche al bar. La differenza
sta nel diverso apporto energetico, nel diverso sostegno alla
salute, nell’evitare di spendere altro in spuntini alle macchinette
e nell’ottenere una maggiore capacità di attenzione sul posto
di lavoro o a scuola. Un vero guadagno per chi abbia scelto la
colazione “più proteica”, allo stesso costo di quella che non lo era.
Una considerazione in più? Un piatto di carne bianca costerà
tendenzialmente un po’ di più di un piatto di pasta con passata
di pomodoro, ma, se cercato con un minimo di attenzione,
quello stesso piatto di carne costerà meno di un pacchetto
di caramelle gommose o di altro tipo. Le proteine, in fondo,
dedicando un po’ di attenzione alla loro ricerca, possono essere
molto più economiche di quanto si pensi di solito.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 4, Semi oleosi cotti o no
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CAPITOLO 4
SEMI OLEOSI COTTI O NO
Una semplice noce, oppure qualche seme oleoso,
sono integratori naturali che possono arrestare il
declino cognitivo e aiutare a prevenire l’Alzheimer
(come pubblicato nel 2012 su Neurochemical Research)
e la demenza senile (British Journal of Nutrition, 2011).
L’uso di mandorle per sostituire il 20% delle calorie
della dieta (50-80 g al giorno) da parte di persone
in sovrappeso, diabetiche e con una notevole
infiammazione diffusa consente di ridurre le necessità
farmacologiche di insulina (e di altri farmaci) grazie
al netto miglioramento della sensibilità insulinica
e alla riduzione dell’infiammazione, facilitando
quindi lo spontaneo riequilibrio delle anomalie degli
zuccheri (European Journal of Nutrition, 2013).
Omega 3 e Omega 6
Tutto questo avviene perché i semi oleosi sono una delle fonti
primarie di Omega 3 e Omega 6 vegetali “buoni” e contengono una
elevata quota di proteine (anche fino al 30-35%), che regolano il
rapporto con i carboidrati, troppo spesso presenti in eccesso nella
dieta, facilitando la resistenza insulinica.
L’importante è che mandorle, nocciole, noci, arachidi,
pinoli, pistacchi e semi di girasole siano al naturale, cioè
non siano tostati, arrostiti o salati, procedimento che altera
profondamente la loro ricchezza nutritiva.
La prevenzione dell’Alzheimer, ad esempio, sembra dovuta
specificamente a un’azione di segnale intercellulare
e, contemporaneamente, di controllo dell’infiammazione; tale
fattore spiega anche l’azione protettiva nei confronti della
degenerazione cerebrale ad opera di sostanze come l’olio
di pesce, la vitamina D3, l’olio di perilla e l’olio di ribes nero.
Mangiare semi oleosi non cotti
Gli oli che assumiamo con i semi oleosi sono, perciò, in grado di
mandare segnali salutari alle cellule dell’organismo, a patto che
siano ben conservati, senza ossidazione e non cotti. Le mandorle,
semplicemente seccate e, possibilmente, biologiche, sono quindi
degli alimenti funzionali importanti. I fantastici gherigli delle noci
sono in grado di rallentare e, a volte, di opporsi alla progressione
della demenza e dell’Alzheimer, forse per la loro forma, che
ricorda gli emisferi cerebrali, o semplicemente per l’analogia di
composizione legata agli oli che la compongono.
Nel momento in cui i semi oleosi sono cotti ad alte
temperature, la maggior parte dei loro benefici si riduce.
Per questo suggeriamo, nelle nostre ricette, di usare
temperature controllate nella cottura o di aggiungere i semi
oleosi (ove possibile) nelle ultime fasi di preparazione.
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Reazione al nichel: attenzione
ai grassi cotti
Da anni, grazie all’esperienza clinica accumulata nei nostri centri
allergologici, segnaliamo che, in caso di intolleranza
o di ipersensibilità alimentare ai composti che contengono
nichel, vanno inseriti nel controllo dietetico anche i grassi
idrogenati vegetali e i grassi vegetali cotti (fritti, soffritti ecc.).
Limitandosi al controllo dei soli prodotti classicamente ricchi di
solfato di nichel (come i pomodori, i kiwi, l’avena e gli spinaci),
spesso non si ottengono i risultati cercati con una dieta, mentre
il controllo effettuato anche sui grassi vegetali idrogenati e sui
grassi vegetali cotti consente di raggiungere l’obiettivo.
In parte questo è spiegato dal fatto che, nella
preparazione dei grassi idrogenati e delle margarine, possono
rimanere dei residui di nichel dovuti alla lavorazione
industriale; in molti casi provocano reazione anche i semi
oleosi, soprattutto se tostati, sebbene il loro contenuto
in nichel non sia elevato.
Conferme scientifiche
La ricerca scientifica ha confermato la nostra esperienza
pratica e clinica. Riteniamo che l’organismo riconosca una
conformazione simile a quella spesso associata al nichel (come
avviene per i grassi vegetali idrogenati) e reagisca anche nei
confronti di miscele di oli che gli assomigliano; per questo nelle
nostre diete di controllo del nichel invitavamo alla cautela
nell’uso dei semi oleosi, soprattutto se cotti o tostati. Un lavoro
pubblicato su Allergy nel 2013 ha precisato che la reazione
allergica nei confronti, ad esempio, della noce brasiliana, può
avvenire solo quando vi sia la contemporanea presenza di una
particolare miscela di grassi correlati con la stessa noce. Sta
facendosi strada, in questo modo, un concetto di reazione al
cibo legato più a teorie evoluzionistiche di riconoscimento
dell’alimento completo piuttosto che all’identificazione pura
della singola microcomponente.
Mandorle, diverticoli e colite
Si ritiene, comunemente, che i semi oleosi non siano
da utilizzare in caso di colite o diverticolite, ma alcuni studi
(JAMA, 2010) hanno invece dimostrato il contrario e, salvo
nelle fasi acutissime di questi disturbi, questi alimenti possono
essere assunti con tranquillità anche da chi abbia o abbia avuto
diverticoli o altri disturbi intestinali.
Questo avviene probabilmente proprio perché le mandorle
e gli altri semi oleosi hanno una forte e naturale azione
antinfiammatoria.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 4, Semi oleosi cotti o no
Uso in cucina
Semi oleosi come antifame
La scelta dei semi oleosi deve cadere su preparazioni che non
abbiano subito ossidazione. Delle noci sgusciate e lasciate per
un anno in un barattolo esposto alla luce, oltre ad avere sapore
di rancido, non hanno più il loro potere. Le mandorle, nella
loro buccia scura, sono più protette. È importante acquistare
prodotti possibilmente biologici, mantenerli protetti e usarli
per tempo. Ove possibile, vanno aggiunti alla fine della cottura
(ad esempio, preparando una torta, è buona norma aggiungerli
come guarnitura finale) oppure predisporre la cottura a
temperatura non elevata. L’aggiunta di una pasta
di mandorle o di pistacchi in un sugo è più salutare se fatta alla
fine della cottura. Nelle prime colazioni i semi vanno aggiunti
così come sono alle numerose preparazioni che abbiamo
presentato in questo libro. Si tratta di una scelta vantaggiosa
per il futuro di tutta la famiglia.
Forse, grazie a produttori del biologico che ci aiutano
a conoscere meglio le produzioni del nostro Sud, riusciremo
a capire che le mandorle non servono solo per fare l’orzata...
Tutti i semi oleosi hanno un ottimo contenuto
di proteine e aiutano chiunque debba bilanciare meglio
il rapporto con i carboidrati a comporre piatti che abbiano un
minore impatto sull’aumento del peso e aiutino a ridurre la
resistenza insulinica.
Alcuni dati scientifici relativi ai semi oleosi sono ben noti:
l’elevato contenuto di proteine li rende uno spuntino ideale,
in grado di spezzare la fame. Mentre uno snack a base
di carboidrati (una barretta, un pezzo di focaccia,
un pacchettino di cracker) determina un immediato picco
glicemico, i semi oleosi hanno un indice glicemico sicuramente
basso e, grazie al loro contenuto di oli vegetali, attivano
anche la colecistochinina, una sostanza in grado di ridurre
la fame senza provocare picchi glicemici che facilitano
l’ingrassamento.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 5, Latte, latti e lattosio
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CAPITOLO 5
Latte, latti e lattosio
La possibilità di soffrire di una intolleranza al
lattosio o di una reazione infiammatoria alle
proteine del latte (due condizioni spesso associate,
ma completamente diverse una dall’altra) è oggi
notevolmente diffusa. Spesso la confusione tra
queste due condizioni è mantenuta volutamente
dalle comunicazioni di marketing dell’industria
lattiero-casearia.
Intolleranza al lattosio
L’intolleranza al lattosio (lo zucchero presente nel latte) non
riguarda il sistema immunitario, ma dipende dall’incapacità
del sistema digerente di digerire completamente il lattosio
(formato dall’unione di due molecole di zuccheri diversi) e di
trasformarlo in uno zucchero semplice. L’unico effetto che può
provocare a chi ne soffre è dato da diarrea e mal di pancia,
e dipende dalla dose assunta.
Consumando poco lattosio, non succede assolutamente
nulla: per avere una reazione reale è necessario assumerne
in buona quantità. Persone che dicono di avere diarrea per il
semplice contatto con una goccia di latte non devono indagare
l’intolleranza al lattosio (si usa di solito un Breath test), ma una
possibile infiammazione da cibo dovuta alle proteine del latte
vaccino (indagabile oggi, insieme alla evidenza del livello di
infiammazione, attraverso un RecallerProgram, ad esempio).
Reazione alle proteine del latte
L’allergia alle proteine bovine (dipendente dalle
Immunoglobuline E) e la reazione infiammatoria al latte
(spesso correlata a un livello elevato di Immunoglobuline G)
dipendono, invece, da una reazione del sistema immunitario
e possono causare sia una reazione allergica (nel caso delle
IgE) sia tutti i sintomi dell’infiammazione da cibo, che vanno
dal meteorismo all’emicrania, dall’artrite al reflusso, dalla
diarrea alla dermatite. Tale reazione non dipende dalla dose
introdotta nell’organismo: a scatenarla possono bastare
piccole quantità di sostanza.
Qualche confusione di termini
Il vero problema nasce dalla terminologia utilizzata. Per anni
la gente ha chiamato “intolleranze alimentari” i fenomeni
infiammatori da cibo dovuti a una reazione immunologica
ritardata; per una condizione come la “Gluten Sensitivity”
(vedi Capitolo 16), infatti, si usa oggi la definizione
di “intolleranza al glutine non celiaca”.
Per questo il termine “intolleranza” resta comunque
legato, nella memoria, alla reazione immunitaria che genera
infiammazione da cibo.
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L’espressione “intolleranza al lattosio”, invece, fa riferimento
solo all’aspetto digestivo di uno zucchero e non coinvolge
minimamente la reazione immunitaria o infiammatoria. Così la
confusione è totale e capita che anche persone che ruotano
intorno al mondo sanitario siano incerte sul significato e sulle
implicazioni delle diverse terminologie.
Cosa fare
Un intollerante al lattosio può bere tranquillamente del latte
delattosato (ad esempio, latte HD e Zymil) o mangiare formaggi
stagionati (in cui il lattosio è stato consumato), senza più avere
diarree, ma continuerà ad avere mal di testa o dolori nel caso
di reazione alle proteine del latte, ben presenti in qualsiasi
latticino, anche se privo di lattosio.
Per contrastare l’intolleranza al lattosio (quella biochimica
digestiva) basta il controllo della dose introdotta o l’uso di
enzimi contenenti lattasi, mentre per la guarigione da una
reazione dovuta alle proteine del latte serve la corretta
individuazione delle reattività alimentari dell’organismo
e l’impostazione di una dieta di rotazione che gradualmente
consenta il pieno recupero della tolleranza alimentare.
In definitiva, quindi, se si è intolleranti al lattosio può essere
suggerita l’assunzione di latte speciale ad alta digeribilità,
o di yogurt e formaggi delattosati, o di formaggi stagionati
a lungo che non ne contengono quasi più.
In caso di infiammazione da cibo dovuta alle proteine del
latte, anche questi alimenti (come i biscotti che contengono
latte o i gelati) devono essere assunti con una dieta specifica per
recuperare la tolleranza verso i prodotti. In alcuni casi dalla dieta
di rotazione potrebbe essere esclusa perfino la carne bovina.
Nella dieta per l’infiammazione da cibo (intolleranza)
dovuta alle proteine del latte, vanno eliminati/ruotati anche
i derivati presenti in numerosissime preparazioni dell’industria
alimentare, come quelle che riportano in etichetta la presenza
di siero di latte, lattoalbumina, lattoglobulina, caseina
o proteine del latte.
Le scelte alternative al latte
Molti sostituiscono il latte vaccino con il latte di altre specie
animali, come quello di capra. Si tratta di una scelta che non dà
buoni risultati in quanto nel latte di qualsiasi animale è presente
una parte terminale della molecola della lattoalbumina che
sembra in grado di determinare una reazione crociata nel giro di
pochissimo tempo.
A fronte di un problema di reazione alle proteine del latte,
appare allora preferibile la reintroduzione controllata del latte
vaccino piuttosto che la sua sostituzione con prodotti di difficile
reperibilità che possono dare un vantaggio solo transitorio.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 5, Latte, latti e lattosio
Latti vegetali
E il calcio?
La disponibilità di latti vegetali è oggi molto aumentata rispetto
al passato. L’industria sta presentando numerose varianti
adatte a tutti i gusti, necessità o profili alimentari. I latti
vegetali sostitutivi sono da ricercare senza aggiunta di zuccheri
(assolutamente inutili) o oli, che li rendono inadatti alla cottura.
In genere i preparati non sufficientemente calorici vengono
addizionati di olio di girasole spremuto a freddo e la cottura
li rende inadatti a chi abbia reazioni al nichel.
I più diffusi sono il latte di soia, di avena, di riso, di miglio,
di kamut, di farro e di cocco. Si trovano anche degli ottimi latti
di mandorla, che spesso sono addizionati di sciroppo d’agave
per una ulteriore inutile dolcificazione. Ognuno di questi latti
può aiutare a risolvere un problema per chi abbia reazioni al
latte vaccino; vale la pena, tuttavia, di fare attenzione al latte
di soia, perché anche la percentuale di individui che reagiscono
alla soia e ai suoi derivati è in crescita tra la popolazione.
Siamo talmente convinti dell’attuale eccesso di calcio nella
dieta umana che non ci spaventa certo il fatto di dover limitare
l’uso di latticini. Come indicato in tutte le nostre precedenti
pubblicazioni, anche nel caso di una reazione infiammatoria
alimentare, fin dalla prima settimana di impostazione dietetica
è possibile usare latticini almeno il mercoledì, il sabato sera
e la domenica, e poi proseguire con la reintroduzione lenta e
progressiva nel corso di qualche settimana o mese, a seconda
delle condizioni cliniche di partenza, fino ad arrivare, alla fine,
a una dieta in cui latte e lattosio (in modo discreto) possano
essere reintrodotti anche nella metà dei giorni della settimana.
Siamo invece contrari all’impiego dei latti vegetali
addizionati di calcio; si tratta di una manovra puramente legata
al marketing dei prodotti, e a tutt’oggi i dati contrari all’eccesso
di calcio nell’alimentazione sono molto più evidenti di quelli
che lo valorizzano.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 6, Lo zucchero e gli zuccheri: cosa comportano e come imparare a conoscerli e a sceglierli
CAPITOLO 6
LO ZUCCHERO E GLI ZUCCHERI: COSA COMPORTANO
E COME IMPARARE A CONOSCERLI E A SCEGLIERLI
Lo zucchero e l’indice glicemico
“Zucchero” è il nome che generalmente si dà al saccarosio.
“Zucchero” è anche un modo per dire “carboidrato” e il
saccarosio è generalmente quello più usato in cucina; da qui
l’appellativo. Il saccarosio è composto di due molecole più
semplici, il glucosio e il fruttosio.
Il saccarosio è uno zucchero, o un carboidrato, che,
da solo, è assorbito molto rapidamente e si rende quasi
immediatamente disponibile nel sangue, provocando un
rapidissimo incremento della glicemia (che è la quantità di
zuccheri presente nel sangue). La velocità di aumento della
glicemia, a seguito dell’assunzione di un carboidrato, è il celebre
“indice glicemico”, che per il saccarosio è di circa 70 su 115
(massimo valore) sulla scala di Montignac. Il valore si colloca tra
i più alti della scala.
La conseguenza di un rapido innalzamento degli zuccheri
nel sangue è un altrettanto rapido incremento dell’insulina
presente, con lo scopo di far entrare lo zucchero nelle cellule
per liberare il circolo. Le cellule usano lo zucchero per produrre
energia. Quello eccedente (in questi casi la maggior parte) è
prontamente trasformato in grasso. Troppo zucchero a livello
vascolare provoca quelle alterazioni del microcircolo tipiche
del diabete, con i temibili danni che ne conseguono a livello
vascolare, del sistema nervoso, renale.
Le conseguenze di una produzione di insulina così rapida
sono diverse e, tra queste, le più preoccupanti sono: la riduzione
degli zuccheri sotto la soglia di normalità (“ipoglicemia
reattiva”) e la necessità di quantità sempre maggiori di insulina
perché le cellule, che si sono abituate allo stimolo, rispondano
(la cosiddetta “insulino-resistenza”).
Il primo di questi due processi porta alla riattivazione
della fame e alla nuova ricerca di zuccheri in un tempo breve;
il secondo alla persistenza dei suddetti zuccheri per un tempo
maggiore, con il conseguente aumento di probabilità del danno
al microcircolo di cui sopra.
A basso indice glicemico, è meglio?
La deduzione naturale è che, per avere meno danni,
si debbano scegliere zuccheri con una velocità di assorbimento
e quindi un “indice glicemico” più bassi. Il ragionamento di base
funziona. Tuttavia, esistono altre variabili in grado di influenzare
le reazioni che non solo lo zucchero, ma la “dolcificazione”
in generale hanno sull’intero organismo. Così si arriva al
paradosso di avere dolcificanti artificiali a indice glicemico
“zero”, che provocano violentemente insulino-resistenza e,
dall’altra parte, zuccheri a indice glicemico piuttosto alto, come
quelli contenuti nella frutta fresca, che però, quando vengono
assunti insieme al resto del frutto, praticamente non variano la
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glicemia. Per valutare lo zucchero e la sua velocità
di assorbimento, all’interno del suo contesto di assunzione,
entra in gioco l’“impatto glicemico”.
L’impatto glicemico
L’impatto glicemico rappresenta la velocità con cui l’alimento
nel suo insieme innalza la glicemia. In termini pratici, come si
diceva, i soli zuccheri della carota hanno un indice glicemico
mediamente alto (40); se, però, si considera la stessa quantità
di zucchero nella carota “intera”, con il suo corredo di fibra
e di acqua, la velocità di variazione della glicemia (a questo
punto “impatto glicemico”) diventa bassissima.
Modi di dolcificare alla moda:
il fruttosio
Il fruttosio ha un indice glicemico più basso rispetto
al saccarosio (zucchero bianco). Ciò nonostante, i nostri antenati
primitivi, con cui condividiamo una gran parte dei geni e dei modi
metabolici, erano abituati a trovarne in concentrazioni molto
basse. Per questo, oggi non esistono nell’organismo umano sistemi
di blocco metabolico per la trasformazione di questa molecola in
grasso, cosa che invece è programmata per lo zucchero classico
(saccarosio). L’utilizzo del fruttosio puro come dolcificante fa
salire i trigliceridi (grassi) nel sangue, con il potenziale danno
vascolare e metabolico che ne consegue, molto più del saccarosio;
in laboratorio, questo stesso dolcificante è usato per far ingrassare
rapidamente i topini da esperimento. Buono il fruttosio, quindi,
ma solo quando è nella frutta o dove è naturale che stia. La frutta,
d’altra parte, è un ottimo metodo per dolcificare naturalmente
un dolce o una preparazione. Il fruttosio lasciato integro, con
il suo corredo di fibra, acqua, minerali e (in parte) vitamine,
usato come parte del frutto intero, porta dolcezza, mantiene il
suo basso impatto glicemico ed evita l’eccessivo innalzamento
dei grassi nel sangue. Per capire come il fruttosio debba essere
considerato con attenzione, basti pensare che, a una analisi
dell’indice glicemico, tre bei bicchieroni di vino figurano con
un indice glicemico molto basso, quasi assente, perché in realtà
non innalzano immediatamente la glicemia, ma, contenendo
fruttosio e i prodotti della sua trasformazione (alcol), arrivano
direttamente al fegato, dove favoriscono l’innalzamento dei
trigliceridi. Nell’esperienza di tutti, però, l’assunzione a ogni pasto
di tre bicchieroni di vino, anche se a basso indice glicemico, porta
a un sicuro aumento di peso e all’ingrassamento.
Reazioni allo zucchero della frutta
Merita una segnalazione il fatto che, in alcune persone,
compaia una reazione infiammatoria all’impiego della frutta,
dovuta verosimilmente a una relativa intolleranza al fruttosio.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 6, Lo zucchero e gli zuccheri: cosa comportano e come imparare a conoscerli e a sceglierli
In queste persone l’uso di succhi e spremute deve essere
ridotto al minimo e, nella preparazione di piani nutrizionali
che aiutino il dimagrimento, la stessa frutta intera deve essere
limitata a qualche unità anziché essere consentita liberamente,
come spesso avviene quando si applicano diete di stimolo del
metabolismo e di segnale.
Sciroppo d’agave, sciroppo d’acero,
stevia, succhi concentrati d’uva, di mela
o altro frutto
Sono spesso utilizzati per dolcificare. Essi contengono per
lo più fruttosio e, benché più ricchi del fruttosio puro dal punto
di vista nutrizionale (contengono anche qualche sale minerale),
è bene non abusarne e utilizzarli con cautela per gli stessi motivi
sopra descritti.
Il miele e lo zucchero integrale
Lo zucchero integrale è di base molto simile allo zucchero
bianco raffinato per quanto riguarda la velocità di passaggio
in circolo e anche perché è composto prevalentemente di
saccarosio; è trasformato in grassi in maniera più bilanciata del
solo fruttosio. Non si tratta, però, di saccarosio al 100%, come
è invece per lo zucchero raffinato: lo zucchero integrale è più
ricco di sali minerali (calcio, fosforo, potassio, zinco e magnesio)
e vitamine (A, B1, B6, C), il che lo rende una scelta di miglior
valore nutrizionale rispetto alla controparte bianca.
Lo zucchero integrale non va confuso con lo zucchero
grezzo (generalmente entrambi si trovano “di canna”).
Quest’ultimo è raffinato esattamente come lo zucchero bianco
di barbabietola e addizionato di melassa o caramello per
guadagnare il tipico colorito beige-marroncino.
Il miele ha le stesse proprietà vitaminiche e minerali dello
zucchero integrale e un indice glicemico un po’ più basso. È una
buona alternativa allo zucchero, da usare però con cautela:
come succede per i malti (assolutamente da evitare, poiché
hanno anche un indice glicemico molto alto), rientra tra gli
alimenti che contengono lieviti. L’uso di prodotti fermentati
o contenenti lieviti è stato correlato a un maggior rischio di
ingrassamento e di ciò che ne deriva. Il miele rappresenta,
perciò, una scelta buona, da tenere in ottima considerazione, ma
usando un minimo di attenzione, poiché contiene lieviti.
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lo zucchero bianco. Alcuni dolcificanti artificiali, testati
sperimentalmente, hanno non solo stimolato l’accumulo di
grasso, ma anche inibito lo scioglimento del tessuto adiposo
(il che è una cosa nuova). Tutti i dolcificanti artificiali testati
hanno comunque stimolato l’ingrassamento del campione che
ne faceva uso.
I dolcificanti a calorie zero sono da utilizzare con estrema
cautela; in uno dei prossimi capitoli sarà affrontato il tema
dell’importanza del conteggio calorico al fine di mantenersi
sani, in forma e in linea. Sembra che, a prescindere dalle calorie
contenute, il gusto “dolce” sia uno di quei segnali che portano
allo sviluppo di insulino-resistenza e all’accumulo di grassi.
La dolcificazione è quindi un processo che va tenuto ben sotto
controllo, a prescindere dal metodo impiegato per farlo.
È opportuno scegliere con attenzione quando dolcificare
e quando no, preferendo comunque i segnali veri e ricchi (miele,
zucchero integrale, frutta) a quelli che ingannano il cervello
e poveri di vitamine e sali minerali (dolcificanti, fruttosio,
zucchero raffinato). Anche le torte e i dessert descritti nelle
pagine a seguire, benché costruiti con sapienza e in modo
da abbassare il più possibile l’impatto glicemico dell’insieme,
sono da assumere con cautela e non tutti i giorni, in quanto
si tratta comunque di segnali “dolci”.
I dolcificanti artificiali e il “dolce”
in generale
I dolcificanti artificiali sono quella categoria di molecole
a indice glicemico quasi nullo, che però stimolano
l’ingrassamento e l’insulino-resistenza almeno quanto
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 7, Modulare l’impatto glicemico, anche quando si sceglie il dolce
CAPITOLO 7
MODULARE L’IMPATTO GLICEMICO,
ANCHE QUANDO SI SCEGLIE IL DOLCE
Tutti i modi per assorbire uno zucchero
Come si è detto nel capitolo sulla dolcificazione, “zucchero”
è anche un modo popolare per intendere “carboidrato”, e i
carboidrati (o gli zuccheri) presenti in frutta, verdura, pasta, pane,
cereali, leguminose (oltre che nei dolcificanti di cui si è trattato)
hanno indice glicemico diverso, secondo la velocità con cui sono
assorbiti. Tendenzialmente, più alto è l’indice glicemico dello
zucchero contenuto nell’alimento, maggiore è il danno. Ci sono,
tuttavia, diverse eccezioni a questa regola, per la quale è bene
introdurre il calcolo dell’impatto o carico glicemico.
Quest’ultimo valuta l’alimento nel suo insieme e non
solo gli zuccheri in esso presenti. Indice glicemico e impatto
glicemico sono diversi perché altre parti dell’alimento o del
pasto, oltre alle caratteristiche dei soli zuccheri presenti,
modulano la velocità con cui questi passano nel sangue. La
presenza di oli, grassi, proteine, fibra rallenta questo passaggio e
rende i carboidrati meno dannosi e più utili.
Quando gli zuccheri sono assorbiti più lentamente, la
glicemia (quantità di zuccheri presenti nel sangue) resta stabile a
lungo, mantenendo così il senso di sazietà, e non provoca danni
alle arterie e al microcircolo. Sono inoltre preservate le funzioni
del pancreas, che può produrre e rendere disponibile l’insulina
in maniera più fisiologica.
C’è dessert e dessert
Quello dell’abbinamento dei carboidrati con altri nutrienti che ne
rallentano l’assorbimento è un sistema che funziona bene in ogni
circostanza e le colazioni proposte nel libro modulano molto bene
questo aspetto. Ai carboidrati sono sempre abbinati le proteine, la
fibra e i grassi buoni, con lo scopo di nutrire bene e in modo il più
possibile salutare (e gustoso). Quando gli abbinamenti sono fatti
con sapienza, la glicemia resta bassa, l’insulina è modulata, così
come l’infiammazione, l’ingrassamento e il danno metabolico.
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Lo stesso meccanismo può essere utilizzato (come
avviene nelle ricette di questo libro) per la costituzione di
una torta che sia a basso impatto glicemico. Si è detto, nel
capitolo riguardante la dolcificazione, che l’assunzione di dolci
di qualsiasi tipo va limitata. Esiste, tuttavia, una profonda
differenza tra una classica merendina industriale e una fetta di
torta o di dolce fatto a regola d’arte.
L’alcol e lo zucchero contenuti nelle tipiche merendine
diventano zuccheri nel sangue a una velocità quasi sorprendente
(gli sciroppi di fruttosio, di mais, gli amidi modificati sono tra
i dolcificanti con l’indice glicemico in assoluto più alto). Se la
loro assunzione non è bilanciata (e, a tale scopo, non bastano
certo l’elevata quantità di grassi idrogenati, né le scarsissime
proteine o la quasi inesistente fibra), l’organismo si trova in
breve tempo con gli zuccheri nel sangue anche più bassi del
normale, perché l’ormone insulina è stato richiamato in maniera
massiva, provocando l’insorgenza di nuova fame e del desiderio
di dolce. Tale situazione di bassi zuccheri nel sangue, o di
“ipoglicemia reattiva”, ha peraltro conseguenze negative anche
sul rendimento scolastico, lavorativo e mentale in genere.
Una torta ben bilanciata evita questo susseguirsi di eventi
spiacevoli e mantiene la glicemia negli opportuni livelli grazie
all’associazione di ingredienti intelligenti. In una torta di
questo tipo sono presenti non solo oli o grassi (comunque
tendenzialmente migliori di quelli presenti nelle merendine),
ma anche fibra, uova, semi oleosi, frutta a guscio (proteine).
Così l’assorbimento degli zuccheri presenti è modulato e un
dessert buono, piacevole e soddisfacente diventa anche un
amico migliore di altri per la salute, il benessere e la linea.
Quando si vuole il dolce, è meglio sceglierlo bene. Se è vero
che il gusto dolce è comunque da limitare, è vero anche che
un dolce ben fatto, in termini di completezza, salute
e benessere, fa molto meglio della merendina industriale
o del cucchiaino di zucchero nel caffè.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 8, Calorie sì o no: capire cosa scegliere e perché
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CAPITOLO 8
CALORIE SÌ O NO: CAPIRE COSA SCEGLIERE
E PERCHÉ
Quanto vale una caloria
Le calorie sono spesso al centro di una vera e propria
ossessione: ovunque uomini e donne in cerca di uno snack
osservano la confezione per trovarne il contenuto calorico. “120
kcal?!” è l’espressione scandalizzata che si legge spesso sulle
labbra o sul volto di chi compie il gesto descritto, a prescindere
dal contenuto calorico dell’alimento in questione.
Le calorie rappresentano la quota dell’alimento
trasformabile in energia e spesso si è pensato che per
dimagrire bastasse inserire meno calorie di quelle
consumate. Così nascevano le diete ipocaloriche. In realtà,
sono altre le variabili che influenzano quanto di ciò che si
mangia è o non è trasformato in grasso. Diversi studi hanno
dimostrato come il valore di forza ingrassante di uno stesso
alimento sia, ad esempio, più basso la mattina appena svegli
o dopo un’ora di corsa, rispetto alla sera prima di andare a
dormire. D’altra parte, le bibite “light” o a “zero calorie” si
sono dimostrate ingrassanti in maniera molto simile a quelle
con lo zucchero (si veda il Capitolo precedente).
La composizione degli alimenti e l’impatto glicemico degli
stessi (la velocità con cui questi fanno alzare gli zuccheri
nel sangue) influenza la quantità di energia inserita (di
calorie) che andrà in grasso piuttosto che in altre funzioni
utili (attenzione, calore, movimento). Più è basso l’impatto
glicemico, grazie alla presenza di proteine, grassi e fibra
nella preparazione, maggiore è la quantità di energia assunta
che sarà consumata e non messa in scorte di grasso.
Quando si esamina una confezione, quello che va
considerato non sono tanto le calorie, quanto, ad esempio,
la quantità di proteine in confronto a quella di carboidrati
(in un prodotto che contiene prevalentemente carboidrati,
è molto più vantaggioso che vi sia una quota elevata di
proteine e poi anche di grassi, in modo da ridurre il potere
ingrassante di quell’alimento; più vicine sono la quota
di proteine e quella di carboidrati, migliore è la scelta).
L’orario dei pasti
Si è sopra accennato al diverso valore che una pietanza assume
al mattino rispetto, ad esempio, alla sera. Si è dimostrato
sperimentalmente che chi fa una colazione ricca è portato a
mangiare, durante l’intera giornata, meno di chi non la fa o si
limita a un pasto povero.
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Chi fa una buona prima colazione (anche con dolci
e alimenti ad alto contenuto calorico) soffre in misura
minore la fame durante la giornata e dimagrisce
maggiormente rispetto a chi non la fa o la limita fortemente.
Questo accade perché una buona prima colazione ha un
effetto positivo sul metabolismo, stimola la produzione
di ormoni connessi all’attivazione metabolica e modula lo
scioglimento del grasso corporeo.
Ecco perché la colazione è così importante e anche
qualche sporadico vizio ha un ruolo strategico.
Sintetizzando
Qualunque sia lo stile calorico adottato, si tratti di una dieta
ipercalorica, ipocalorica, normocalorica o alternata,
il controllo dell’impatto glicemico di quello che si mangia
è un valore che va molto oltre il calcolo delle calorie assunte.
Lo stesso vale per la presenza di una prima colazione ricca,
completa e ovviamente bilanciata, la quale ha un’azione di
stimolo sorprendente ai fini del mantenimento di un buono
stato di salute, del benessere e della linea.
Nota sulle diete solo ipocaloriche
È bene ricordare che una qualsiasi dieta ipocalorica, portata
avanti a lungo, ha effetti spiacevoli, deleteri e poco utili sulla
salute di chiunque la pratichi. L’assunzione ripetuta di poche
o pochissime calorie per giorno porta l’organismo a limitare
i propri consumi, fino ad avere un metabolismo che sia il più
possibile inferiore alle calorie inserite. In questa condizione
di carestia, qualsiasi avanzo calorico è accumulato in grasso
(quello che anche chi mangia davvero poco si sente addosso).
L’organismo è fatto per modulare le proprie spese in relazione
alle entrate. Se è abituato a ricevere poche calorie, farà in modo
di consumarne ancora meno e di accumulare il resto in grasso:
i geni umani da uomini paleolitici non sanno quando potranno
tornare a ricevere una sufficiente dose calorica e un buon
sostentamento. Questa caratteristica è tipica degli esseri umani,
tanto che alcuni utilizzano per i cromosomi umani la definizione
di “genotipo risparmiatore”, tipico cioè di chi è orientato a
conservare il più possibile l’energia (accumulandola sotto forma
di grasso) anziché trasformarla in azione, movimento e calore.
Lo scopo di questo libro è anche quello di insegnare come
fare della prima colazione uno strumento di attivazione del
metabolismo, oltre che di piacere e di benessere.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 9, Frutta e verdura: come sceglierla, quanta e in quale forma
CAPITOLO 9
FRUTTA E VERDURA: COME SCEGLIERLA,
QUANTA E IN QUALE FORMA
Quanta e quale?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia
di consumare ogni giorno almeno 400 g tra frutta e verdura
fresca. Tale quantità corrisponde circa a cinque porzioni ed
esclude dal conteggio i vegetali amidacei come il mais (che,
di fatto, è un cereale), la patata e altri tuberi o radici con simili
caratteristiche.
I vegetali rimanenti sono essenziali non solo per il loro
apporto di fibra, ma anche e soprattutto per le vitamine, gli
antiossidanti e i sali minerali che contengono. Poiché, con la
cottura, i vegetali perdono parte di queste componenti,
è utile che almeno la maggior parte della quantità suggerita sia
consumata cruda. È consigliabile, inoltre, l’uso di frutta il più
possibile stagionale e proveniente da produttori vicini, perché
buona parte delle proprietà antiossidanti di questi alimenti
si esaurisce col passare del tempo.
Quale ruolo ha il biologico?
Idealmente, il biologico è un’istituzione davvero intelligente.
Nella pratica ha un ruolo importante nel mantenimento della
salute anche di chi non ne fa uso e pone grande attenzione sul
rispetto della terra, della giusta collocazione dei rifiuti (raccolta
differenziata) e delle modalità di allevamento degli animali
coinvolti. Si impegna, inoltre, al non utilizzo di OGM (Organismi
Geneticamente Modificati).
Non è, tuttavia, tutto oro quel che luccica e, se è vero
che una mela cresciuta in una struttura biologica contiene
tendenzialmente meno sostanze tossiche di una che non lo è,
è vero anche che i campi per le diverse produzioni si trovano
spesso uno vicino all’altro e che il terreno, le acque e l’aria, se
inquinati, lo sono per tutti.
Meglio il biologico, se si può scegliere, lasciando
comunque alla frutta e alla verdura di coltivazione anche “non
biologica” il proprio ruolo nel mantenimento della salute di
ciascuno.
Cotta e cruda, le differenze
Anche da cotte, la frutta e la verdura mantengono molte delle
loro buone qualità, perdendone però altre. Alcune vitamine,
come la vitamina C, sono molto sensibili al calore, così che, già
a temperature di cottura più basse, perdono le proprie qualità
antiossidanti. I sali minerali vengono, d’altra parte, dispersi
nell’acqua di cottura, che è bene riutilizzare o consumare; in
alternativa, si può scegliere la cottura a vapore, che lascia
i sali quasi interamente al loro posto. Anche gli zuccheri,
con la cottura, si modificano e aumentano la loro velocità
di passaggio nel sangue. La fibra cotta, inoltre, è assorbita in
quota maggiore, perdendo così parte delle sue qualità.
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I processi sopra descritti sono influenzati dalla temperatura
e dal tempo di cottura del vegetale: quando si decide di
cuocere, è meglio scegliere una cottura al dente, che lasci
l’alimento il più “sodo” possibile.
L’impatto glicemico dei vegetali cotti si alza, restando
tuttavia tendenzialmente basso. Ciò rende i vegetali cotti, che
si tratti di frutta o di verdura, un buon complemento o una
buona alternativa a carboidrati di altro tipo, quali cereali,
leguminose o verdure amidacee.
Crudo, vivo e colorato, il mantra
Per molti anni abbiamo continuato a ripetere che
l’assunzione di piccoli pezzi di frutta o verdura cruda prima
di ogni pasto (prima colazione compresa) attiva un’ottima
azione di controllo dell’appetito e stimola un processo di
tolleranza generale nei confronti degli allergeni alimentari più
importanti. La ricerca scientifica più recente ha confermato che
questa sana abitudine (che spesso ripetiamo come un mantra)
ha effetti realmente positivi per il mantenimento della salute
e il raggiungimento del benessere.
Frullati, centrifugati e spremute
Il modo migliore di mangiare un frutto (o un ortaggio)
è consumarlo crudo, ben lavato, con la buccia e la possibilità
di masticarlo. Masticare è utile perché manda al cervello
un messaggio forte e chiaro su quanto si sia effettivamente
mangiato o assunto. Inoltre, è in bocca che avviene la prima
digestione. Masticare bene un alimento garantisce una migliore
digestione, una minore infiammazione e meno aria nella pancia.
Succhi, spremute e frullati riducono i vegetali a preparazioni
nelle quali la masticazione è praticamente nulla. Non ingurgitare
questo tipo di alimento, ma tenerne brevemente in bocca ogni
sorso, eventualmente riducendo a poltiglia le parti fibrose
rimaste, favorisce l’inizio della digestione e il senso di sazietà.
Fra le tre preparazioni considerate, il frullato è sicuramente
quella più vicina al frutto intero. La fibra è infatti interamente
mantenuta (è utile inserire, quando possibile, nel frullatore
anche la buccia dei vegetali scelti). Questo fa del frullato
(che noi preferiamo fare con un frullatore a lame) un ottimo
compagno di stagione, da usare, gustare e apprezzare con
sufficiente serenità. Va tenuta a mente, soprattutto in questo
caso, l’indicazione riguardante la pseudo-masticazione.
Dopo i frullati, in termini di mantenimento della struttura
della frutta o della verdura usate, vengono le spremute. Oggi
esistono macchinari che spremono non più solo le arance,
ma anche, ad esempio, l’ananas, i cetrioli o qualsiasi tipo
di vegetale, e lo fanno senza frammentare il prodotto, ma
spremendolo lentamente in modo da conservarne al meglio
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 9, Frutta e verdura: come sceglierla, quanta e in quale forma
le caratteristiche nutrizionali. I vegetali spremuti, tanto più se
la preparazione è consumata fresca, mantengono le proprie
vitamine e i sali minerali, conservando anche parte della fibra
(è meglio un prodotto meno filtrato). Una spremuta fresca è un
bel modo per far apprezzare frutti e verdure diverse anche a chi
non è abituato a mangiarne e, come il frullato, si sposa bene con
una buona prima colazione.
È bene specificare che il centrifugato si differenzia dalla
spremuta perché toglie tutta la fibra del vegetale, selezionando
solo l’acqua e gli zuccheri. Una buona parte di sali minerali e
vitamine è mantenuta nel prodotto, ma l’impatto glicemico
della preparazione cresce nettamente. Se si considera l’integrità
strutturale dell’alimento, la spremuta vince sicuramente su
quest’ultimo tipo di preparazione. E il frullato vince sicuramente
sulla spremuta. Per inserirli favorevolmente in un programma
di benessere, vanno utilizzati senza abusarne e “gustandoli
profondamente”, in modo da replicare, come già segnalato, un
effetto simile a quello della masticazione.
sufficientemente buoni, da considerare però come l’“ultima
spiaggia” del consumo dei vegetali. Leggere l’etichetta è,
soprattutto nel caso dei succhi, di vitale importanza per
scegliere un prodotto tendenzialmente buono tra la miriade
di confezioni presentate sugli scaffali dei supermercati.
Queste preparazioni sono molto spesso addizionate con
zucchero, dolcificanti, succhi concentrati o altro, che
innalzano ulteriormente un impatto glicemico già alto
per la pastorizzazione e la privazione di parte della fibra.
Qualora la scelta ricada sul succo, è bene assicurarsi che gli
ingredienti siano davvero “sola frutta” e che quest’ultima
sia il meno possibile “concentrata”. I nettari di frutta, spesso
offerti come merenda anche ai più piccoli, si distinguono
dai succhi perché contengono anche una parte di polpa.
Questi sono, però, addizionati con zucchero o dolcificanti, il
che alza notevolmente un impatto glicemico già abbastanza
alto; per questo sono da evitare il più possibile, tanto più se
assunti da soli, senza la compensazione di altri alimenti.
I succhi
Frutta e verdura a prima colazione
Infine, si arriva ai succhi. Con questo termine si fa
di solito riferimento alla spremuta pastorizzata: nei
supermercati si trovano fuori dal reparto frigo e, finché
non sono stati aperti, si conservano bene per lungo
tempo. Per essi valgono le stesse indicazioni riportate per
i vegetali cotti: alcune vitamine e sali minerali restano,
altri elementi positivi della frutta e della verdura fresche
vanno inevitabilmente perduti. Spesso si tratta di prodotti
La prima colazione è un ottimo momento per integrare
le vitamine e i sali minerali che saranno assunti durante la
giornata. Non tutte le colazioni riportate nel libro contengono
una parte di vegetali crudi, ma ognuna di esse può serenamente
essere affiancata (ed è utile che lo sia) da una quota di essi. Una
spremuta, un frullato, una macedonia adempiono in maniera
adeguata al loro compito, così come un semplice frutto
di stagione sgranocchiato con gusto.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 10, Le uova: benvenute in tavola e soprattutto a colazione
CAPITOLO 10
LE UOVA: BENVENUTE IN TAVOLA
E SOPRATTUTTO A COLAZIONE
Le uova devono aver sofferto a lungo di un indubbio
complesso di inferiorità. Per anni sono state additate
come alimenti “terribili”, capaci di indurre malattie
e altre nefandezze in relazione a una loro possibile
azione di aumento del colesterolo nel sangue. Tutto
questo mentre le pubblicità televisive e radiofoniche
continuavano, come oggi, a esaltare il consumo
di dolci, biscotti e dolcetti pieni di grassi saturi, di
zuccheri e di cereali raffinati. Oggi sappiamo che sono
questi ultimi a indurre segnali metabolici che possono
facilitare la comparsa di malattie cardiovascolari e
l’alterazione dei livelli di colesterolo; per lungo tempo,
tuttavia, la scienza ha demonizzato le uova perché
ricche di colesterolo, mentre chi soffre di dislipidemia
ne produce in eccesso per un difetto metabolico, in
modo quasi del tutto indipendente dalla quantità
introdotta con la dieta.
Colesterolo alto: dipende da un’alterata
regolazione, non da una eccessiva
assunzione
Sono ormai numerosi i lavori scientifici che dimostrano che
non sono le uova (anche mangiandone più di una al giorno)
a causare l’aumento del colesterolo. Questo innalzamento è
frutto di un alterato segnale ricevuto dall’organismo piuttosto
che dell’assunzione alimentare di cibi che possono essere
naturalmente ricchi di questo grasso.
Quello che si altera, nelle persone con problemi di
ipercolesterolemia, è la regolazione della produzione interna
da parte del fegato e non l’aumentata assunzione alimentare
di cibi che ne sono ricchi. Dalla lettura dei lavori scientifici più
recenti l’uovo esce completamente assolto. Non è l’uovo che
fa innalzare il valore del colesterolo, ma i segnali anomali che
l’organismo riceve: la scarsità della prima colazione, l’assunzione
eccessiva di carboidrati, la mancanza di movimento.
Importanza della prima colazione
Fin dal 2004, uno studio effettuato da ricercatori statunitensi
(Vanpatten e altri) e pubblicato sul Biochemical Journal ha
documentato che, senza un particolare ormone, la leptina,
stimolato da un’abbondante prima colazione, viene attivata
la produzione a livello epatico di colesterolo. In pratica, una
ricca prima colazione, effettuata entro un’ora dal risveglio,
agisce in un certo senso come una statina, modulando
l’enzima che regola la produzione di colesterolo da parte
del fegato. Come dire che la causa prima di eventuali
ipercolesterolemie è da ricercare in un errato “comando”
ricevuto dal nostro organismo.
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Da questi studi emerge un’innovativa indicazione verso
il ripristino dell’equilibrio ormonale legato ai nostri stili di
vita, piuttosto che verso la riduzione forzata della quantità di
colesterolo assunto con il cibo.
Assoluzione delle uova
La diretta conseguenza di questa interpretazione è chiara:
occorre assolvere il povero uovo (insieme ai prosciutti e ai
formaggi) da molte accuse finora mosse loro. Il che non significa,
ovviamente, prestare meno attenzione a ciò che si mangia, ma
anzi scegliere i cibi con maggiore cura e consapevolezza.
Senza dimenticare che il nostro organismo è in grado
di compiere raffinate regolazioni: quando si introduce una
elevata quantità di colesterolo con l’alimentazione, il corpo
risponde limitando quello autoprodotto. Al contrario,
imponendosi un eccessivo controllo del colesterolo assunto
con l’alimentazione, otteniamo che l’organismo stimoli in
certa misura la produzione interna.
Anche un uovo al giorno (anzi due) leva
il medico di torno
Noi ci battiamo da anni per la valorizzazione delle uova,
un’economica fonte proteica che per anni è stata a torto
additata come la causa di molti gravi problemi di salute.
In realtà le uova non solo non interferiscono con l’aumento
del colesterolo (ne genera molto di più un pacchettino di
cracker), ma per il loro ottimo contenuto di proteine bilanciano
perfettamente il rapporto con i carboidrati, che troppo
spesso sono presenti in eccesso nella dieta, e, grazie al tuorlo,
apportano una buona quantità di vitamina D3.
Un articolo apparso nel 2013 sul British Medical Journal ha
chiarito che nel soggetto sano l’assunzione di un uovo al giorno
non provoca alcun aumento del rischio di sviluppare patologie
cardiovascolari.
Insomma, sembra che le uova stiano andando verso
un’assoluzione totale. Nel nostro centro suggeriamo
serenamente l’utilizzo di un numero giornaliero di uova
anche più elevato, proprio perché ci rendiamo conto che è
stata la parziale cecità del mondo accademico a porre come
concessione estrema il limite di due uova alla settimana, mentre
oggi si è verificato che questo limite è ingiustificato.
Quante uova al giorno?
Non sono convinto che ci si fermerà alla liceità di un uovo
al giorno: a breve qualcuno riuscirà a dimostrare che anche
tre uova al giorno non sono deleterie (facendo attività fisica,
mangiando frutta e verdura in abbondanza e usando cereali
integrali). Come abbiamo già spiegato in queste pagine, i veri
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 10, Le uova: benvenute in tavola e soprattutto a colazione
colpevoli delle ipercolesterolemie non sono certo le uova, ma
l’eccesso di carboidrati raffinati in eccesso, gli zuccheri aggiunti
e la mancanza di attività fisica.
È bene essere pronti a consumare con serenità, durante le
prime colazioni che suggeriamo nel libro, una fantastica frittata
(fatta al forno) o più uova preparate in modo sano e piacevole.
Cuocere le uova per guarire l’allergia
A conclusione di questo capitolo sulle uova mi fa piacere
ricordare che molte persone si cautelano dall’uso dell’uovo.
La conquista della tolleranza alimentare fa invece parte dei
processi naturali che portano ogni essere vivente a potersi nutrire.
Anche di fronte ad allergie un tempo ritenute gravi e
insuperabili, oggi si possono mettere in atto tecniche
di guarigione che, attraverso la riconquista della tolleranza,
consentono in larga misura di tornare a un’alimentazione
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varia e piacevole. Un lavoro pubblicato nel 2012 dal gruppo
americano di Sampson ha dimostrato che questa possibilità
esiste anche nei confronti dell’uovo e che vale anche per
persone che hanno avuto severe reazioni anafilattiche da
uovo. Gruppi di persone gravemente allergiche all’uovo hanno
iniziato a nutrirsi con piccole quantità di uovo cotto (all’interno
di waffle, biscotti, frittata) senza subire reazioni particolari.
La graduale “conoscenza” alimentare dell’uovo, sottoposto a
lievi trasformazioni provocate dal calore e modificato dalla
cottura, ha consentito gradualmente alla maggior parte delle
persone coinvolte nella ricerca di arrivare poi a tollerare
anche l’assunzione di uova crude e di recuperare la tolleranza
alimentare.
In un mondo che sta riaprendo le sue porte alle uova, anche
a chi è o è stato allergico a tale alimento, le prime colazioni
proposte in questo libro possono solo fare piacere.
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Colazione e brunch per il benessere, Capitolo 11, Tutto il buono di caffè, tè e cioccolato
Pronti? Via...
CAPITOLO 11
TUTTO IL BUONO DI CAFFÈ, TÈ E CIOCCOLATO
Ovunque si vada, per la prima colazione agli adulti sono offerti
tè e caffè, ai bimbi la cioccolata.
Caffeina, teina e teobromina, contenute, rispettivamente,
in caffè, tè e cacao, svolgono importantissime azioni antiistaminiche, anti-allergiche e anti-infiammatorie e hanno
dimostrato di avere effetto in più campi di quelli che si possono
immaginare.
Chi beve oltre due tazze di caffè ogni giorno, per esempio,
presenta un numero notevolmente minore di malattie croniche
del fegato, particolarmente diffuse tra chi soffre di diabete,
sindrome metabolica o consuma alcolici, e questa azione è
probabilmente legata all’azione antiallergica e sensibilizzante
all’insulina svolta dalla bevanda. Le donne fertili che bevono
quattro o più tazzine di caffè al giorno presentano un’incidenza
del tumore del seno quasi dimezzata. La caffeina consente,
inoltre, di respirare in modo più profondo (allarga il diametro
dei bronchioli polmonari), attiva alcune aree cerebrali e gioca
sottilmente tra vasocostrizione e vasodilatazione, contribuendo
a mantenere talora uno stato di veglia, talora uno stato di
eccitazione e a proteggere dai rischi cardiovascolari.
Il cacao e il tè (quando è verde) hanno effetti simili,
probabilmente mediati, in parte, anche dall’attività psicoattiva
di queste sostanze. In diversi studi si è dimostrato come la loro
somministrazione riduca il decadimento mentale nell’anziano,
produca un aumento della memoria e dell’attenzione nel
bambino e mantenga in salute i vasi, con uno stimolo modulante
anche sulla pressione arteriosa.
Caffè nero, tè verde, cioccolato fondente (o cioccolata
calda fatta bene) innalzano il livello di attenzione, proteggono
dalle malattie cardiovascolari, stimolano il tono dell’umore,
migliorano il rendimento mentale, regolano la pressione e
abbassano il livello infiammatorio di base. Tali vantaggi esistono
per chi fa uso della sostanza vera, e cioè del cioccolato “molto”
fondente (sopra il 75%) o del cacao amaro, e del caffè o del tè
(verde) al naturale, senza dolcificanti o zucchero aggiunti.
Lo zucchero aggiunto fa spiccare un balzo verso l’alto
a glicemia e insulina, determinando ipoglicemia reattiva e
aumento dell’infiammazione generale. Questi effetti sono
inversi rispetto a quelli prodotti da caffeina, teina e teobromina
in quanto tali, e modificano l’impatto finale.
È da tenere in considerazione che il cioccolato con
percentuale di cacao minore o al latte e alcune preparazioni
vendute specificamente per la cioccolata mattutina dei piccoli
sono per lo più prodotti industriali in cui il cacao dà solo colore.
In casi come questo, gli effetti sulla concentrazione e sulla
salute del bimbo sono per lo più deleteri. Preparazioni di questo
tipo vanno evitate, con enfasi maggiore a mano a mano che lo
zucchero e il latte aumentano e il cacao diminuisce.
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Per quanto riguarda il tè e la teina, è utile distinguere
bene gli effetti dei diversi tipi di tè (nero, bianco e verde). La
differenza tra di essi sta per lo più nel grado di fermentazione
della foglia. Il tè nero fermenta molto durante l’essiccazione
lenta che avviene direttamente nei luoghi di raccolta. La stessa
sorte, anche se in misura minore, tocca al tè bianco. Il tè verde è
invece essiccato molto velocemente, così che la fermentazione
eventualmente presente è minima. Preferire un prodotto meno
fermentato è sempre una scelta utile. Già qualche anno fa si è
dimostrato che lo zucchero e i lieviti provocano infiammazione
e ingrassamento; studi più recenti indicano anche una più
interessante correlazione tra la presenza di anticorpi contro
i lieviti e autoimmunità. In questa prospettiva, è chiaro che
è tendenzialmente preferibile utilizzare un prodotto meno
lievitato o meno fermentato.
Il tè verde è, inoltre, un utile antivirale e sta dimostrando
di avere effetti interessanti anche come inibitore della crescita
tumorale, probabilmente per la maggiore conservazione delle
sostanze antiossidanti in esso contenute, rispetto agli altri due
tipi di tè.
Caffè, tè (verde), cioccolata (o cioccolato) sono sostanze
di cui è bene sfruttare il gusto, il sapore e il calore, con sapienza,
attenzione e sensibilità, per ottenere il meglio dalle cose buone.
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