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MALATTIA-INFORTUNIO Trattazione in ambito INAIL

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MALATTIA-INFORTUNIO Trattazione in ambito INAIL
SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE
MALATTIA-INFORTUNIO
Trattazione
in ambito INAIL
A cura di:
Mariano INNOCENZI
Fiorella RULLO
Claudia SFERRA
Adriano OSSICINI
ISBN-13: 978-88-7484-102-7
ISBN-10: 978-88-7484-102-7
Tipolitografia INAIL - Milano
Ristampato nel mese di marzo 2007
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
PRESENTAZIONE
La “malattia infortunio” è termine derivato dall’assioma formulato dal Borri nel 1912
con il quale veniva connotato come “causa violenta” la “causa virulenta”.
Questo particolare tipo di infortunio, tuttavia ha cominciato ad avere maggiore importanza pratica solo in tempi recenti ed in particolare da quando (anni 70) sono stati isolati i virus dell’epatite B, C (anni 90) ovvero da quando ha fatto la sua comparsa la
sindrome da immunodeficienza acquisita.
La gravità di questi quadri morbosi sia quoad vitam sia quoad valetudinem, anche se
incidenti in numero relativamente modesto rispetto al totale degli infortuni assume particolare importanza ed ha determinato problemi di carattere medico legale di non poco
conto connessi con la difficoltà, spesso oggettiva, ad individuare il momento infettante.
Le numerose sentenze della magistratura di legittimità che hanno ritenuto valido, in
talune circostanze, il ricorso alle presunzioni semplici ex art.2729 c.c., comporta per
il medico legale dell’Istituto una approfondita conoscenza clinica e delle norme per trattare adeguatamente e correttamente i casi di malattia-infortunio.
L’argomento, già affrontato in recenti convegni e seminari di aggiornamento, meritava
una trattazione organica, completa e approfondita come quella realizzata dagli autori
del testo che presento, nel lodevole intento di offrire ai medici dell’INAIL, ma non
solo, un utile strumento di lavoro.
Giuseppe Cimaglia
III
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
PREFAZIONE
L’ottima riuscita del seminario di aggiornamento su tale tematica e soprattutto l’impatto avuto sui medici della non facile problematica hanno spinto lo scrivente ad invitare gli autori a dare corpo ad un lavoro che in maniera esaustiva mettesse un punto
fermo sull'argomento non solo sul piano normativo ma anche medico-legale.
Un gruppo di lavoro coordinato dallo scrivente aveva portato alla stesura delle Linee
guida di cui alla circolare del dicembre 1998, con il presente lavoro si intende fornire
elementi di chiarezza al fine di concorrere all'opera di armonizzazione dei principi
medico-legali operativi nella definizione dei singoli casi e nello stesso tempo contribuire alla omogeneizzazione dei criteri valutativi.
Si è partiti da un excursus storico, dottrinario sulla fattispecie, e non si poteva sorvolare, perché tale percorso ha coinvolto per circa un secolo la scienza medico-legale assicurativa italiana, entrando poi nel merito del concetto della "presunzione semplice"
che recentemente, e non solo, è stato proposto con vigore dai continui pronunciamenti della Corte di Cassazione ed infine una lettura attenta delle linee guida citate per
concludere con le tabelle valutative da epatite.
E' importante segnalare che tali tabelle, riferentesi esclusivamente al danno da epatite, hanno un valore indicativo ma non potranno che tornare utili non solo a chi è completamente a digiuno della specifica materia ma anche a chi già altre volte con difficoltà
si è dovuto cimentare con tali valutazioni.
Non posso che concludere che il compito dello scrivente è stato solo quello di sollecitare i tre colleghi, M.Innocenzi, F. Rullo e C. Sferra, a dare un corpo unitario alla materia - già trattata nella giusta maniera in situazioni diverse - e di coniugare il diverso
materiale in modo tale che tutta la materia avesse una sua organicità.
Abbiamo la presunzione di dire di esser stati mossi da un solo obiettivo, che non era
quello di una nuova base di approfondimento su cui cominciare a discutere ma, la pretesa, se non di esaurire una volta per sempre tale problematica all'interno dell'INAIL,
almeno di mettere un punto chiaro e preciso sull'argomento che da troppo tempo lo
richiedeva; se ci saremo riusciti il merito va integralmente ai miei collaboratori.
Adriano Ossicini
V
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
PREMESSA
Trattare di “malattia-infortunio” e della sua indennizzabilità in ambito
I.N.A.I.L. è come riproporre un nuovo appuntamento lungo un percorso culturale, ricco di acquisizioni dottrinali, sul quale da oltre un secolo si cimenta la
medicina-legale assicurativa italiana, ma del quale non si coglie il traguardo per
la continua evoluzione scientifica, giuridica e la crescente attenzione sociale
sugli aspetti previdenziali della materia.
In occasione di diversi Seminari di Aggiornamento per Dirigenti Medici organizzati dalla SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE questi argomenti
furono trattati con dovizia di particolari e nel maggio 1999 hanno trovato una
loro soddisfacente risoluzione, anche alla luce di recentissime acquisizioni scientifiche e consolidate pronunce giurisprudenziali.
I continui pronunciamenti della CORTE DI CASSAZIONE, dimostrano, se ve
ne fosse bisogno, da una parte la sempre attualità dell’argomento, dall’altra in
considerazione dell’importanza dei contenuti delle stesse sul tema assicurativoprevidenziale, non possono non influenzare la nostra attività professionale, e
obbligare a validare i criteri di giudizio medico-legale in sede INAIL.
In questo contesto il contributo del presente lavoro è quello di fornire elementi
di chiarezza al fine di concorrere all’opera di armonizzazione tra i nuovi principi
ed i metodi operativi, nello stesso tempo contribuire alla omogeneizzazione dei
criteri valutati del danno indennizzabile.
All’inizio (M. INNOCENZI) vengono illustrati gli aspetti storici, culturali e dottrinari della malattia-infortunio nell’ambito della tutela assicurativa pubblica del
lavoro, e forniti gli elementi conoscitivi di base per una compiuta interpretazione
del fenomeno nel corso dei mutamenti sociali e culturali dell’ultimo secolo.
Vengono evidenziati gli strumenti operativi elaborati dall’INAIL nel corso degli
ultimi anni, individuando gli elementi di novità introdotti dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione in materia.
Successivamente (F. RULLO ) ci si addentra in un terreno ostico, con uno sforzo culturale si introduce meglio e si cerca di spiegare il concetto giuridico della
“Presunzione Semplice” .
Partendo dall’analisi dei vari procedimenti giuridici espone il “Criterio
Presuntivo” dapprima nella sua accezione teorico-nomativa, quindi ripercorrendo le varie Sentenze della Corte di Cassazione indica gli ambiti di applicazione
di tale principio.
Infine (C. SFERRA) vengono forniti - dopo un ampio e puntuale lavoro di ricerca dei più recenti dati scientifici - nuovi elementi per una corretta interpretazione medico-legale dei dati clinici e di laboratorio e proposte tabelle indicative
di riferimento per un’adeguata quantificazione del danno indennizzabile.
VII
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Le ragioni di ordine pratico che hanno indotto la SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE ad affrontare la tematica con questa pubblicazione sono riconducibili essenzialmente:
• alla constatazione di una difformità interpretativa delle norme e delle procedure fornite dall’Istituto sull’argomento;
• all’elevato numero di pareri medico-legali richiesti dalle strutture sanitarie
periferiche ai Settori della S.M.G. confermando il disagio interpretativo ed
applicativo delle disposizioni relative;
• alla divergenza esistente tra l’altissima diffusione delle patologie in oggetto
negli operatori professionali della Sanità ed il numero esiguo dei casi riconosciuti dall’INAIL; aspetto quest’ultimo oggetto di interpellanze parlamentari
alle quali la stessa S.M.G. è stata chiamata a rispondere.
• L’opportunità di illustrare le recenti LINEE GUIDA PER LA TRATTAZIONE DEI CASI DI MALATTIE INFETTIVE E PARASSITARIE in modo tempestivo e pertinente, aiutando così ancor di più i medici che troppo spesso
nelle sedi decentrate si vedono pervenire circolari senza una procedimento
propedeutico ad una corretta lettura delle circolari stesse.
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
INDICE
PRESENTAZIONE
PREFAZIONE
PREMESSA
PRIMA PARTE
RICOSTRUZIONE STORICA, CULTURALE E DOTTRINARIA DEL
CONCETTO MALATTIA/INFORTUNIO ...................................................................... pag. 2
PRESUNZIONE SEMPLICE TRA DIRITTO E MEDICINA LEGALE
(O DAL GIUDICE AL MEDICO LEGALE) ......................................................................... 13
PROCEDIMENTI OPERATIVI PER IL RICONOSCIMENTO ALLA LUCE
DELLE “LINEE GU IDA” ....................................................................................................... 19
LA VALUTAZIONE DEL DANNO ALL’ATTITUDINE AL LAVORO
DA EPATITE ............................................................................................................................ 21
- BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ................................................................................. 32
SECONDA PARTE
RECENTI ACQU ISIZIONI CLINICHE IN TEMA DI EPATITE VIRALE ..................... 34
Allegati
Lettera INAIL 1° luglio 1993 .................................................................................................... 49
Circolare INAIL n. 74 del 1994 ................................................................................................ 51
Linee Guida allegate circ. 1° dicembre 1998 ............................................................................. 53
Sentenze Corte di Cassazione n. 1373 del 10 febbraio 1998 e n. 6390
del 26 giugno 1998 .................................................................................................................... 59
BIBLIOGRAFIA GENERALE ................................................................................................ 65
IX
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
PRIMA PARTE
RICOSTRUZIONE STORICA, CULTURALE E
DOTTRINARIA DEL CONCETTO
MALATTIA/INFORTUNIO
PRESUNZIONE SEMPLICE TRA DIRITTO E
MEDICINA LEGALE (O DAL GIUDICE AL
MEDICO LEGALE)
PROCEDIMENTI OPERATIVI PER IL
RICONOSCIMENTO ALLA LUCE DELLE
“LINEE GU IDA”
TABELLA VALUTATIVA DEL DANNO DA
EPATITE
1
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
RICOSTRUZIONE STORICA, CULTURALE E DOTTRINARIA
DEL CONCETTO DI MALATTIA-INFORTUNIO
Le origini del problema concernente la tutela assicurativa degli infortuni sul lavoro,
nel nostro Paese risalgono intorno al 1870, allorché veniva a svilupparsi una crescente sensibilità sociale conseguente alla grave esperienza del fenomeno infortunistico aggravatosi per la crescente attività industriale ed edilizia successiva alla Unità
d’Italia.
Il processo di industrializzazione che si realizzava in modo difforme sul territorio
nazionale nella seconda metà del XIX secolo, interessando tra i settori produttivi
soprattutto il metalmeccanico, il chimico ed il tessile, coinvolgeva masse progressivamente maggiori di forza lavoro sottratte forzatamente all’agricoltura.
L’attività agricola, per quanto impoverita da masse di lavoratori transitate alle
nascenti attività industriali, continuava a rappresentare una delle maggiori forme di
sostentamento della popolazione, peraltro svolta in condizioni di assoluta precarietà
e di arretratezza di mezzi.
In siffatto contesto produttivo, le condizioni di lavoro caratterizzate dalla mancanza
delle più elementari norme di igiene e sicurezza, prive di ogni forma di regolamentazione, determinavano il proliferare degli eventi infortunistici divenendo una delle
principali preoccupazioni delle nascenti organizzazioni sindacali dei lavoratori, di
riflesso della classe politica nazionale.
Ad una crescente domanda di tutela della salute da parte dei lavoratori organizzati
faceva tuttavia riscontro l’impossibilità da parte delle norme generali del diritto allora vigenti di fornire una efficace ed adeguata risposta; conseguentemente prendeva
corpo nel dibattito sviluppatosi sulla materia la necessità di una normativa specifica
in materia infortunistica.
La creazione di una Cassa Nazionale nel Febbraio 1883 che, senza fini di lucro, avesse potuto gestire un’assicurazione volontaria contro gli infortuni lavorativi sulla base
di una Convenzione Nazionale, si dimostrava assai più proficua rispetto alla soluzione legislativa che per circa un decennio era stata tentata nelle Aule e nelle
Commissioni parlamentari senza successo.
La stipula di polizze, in numero sempre maggiore in un brevissimo arco di tempo
confermava la validità della formula assicurativa fondata sul diretto collegamento
esistente tra attività imprenditoriale e rischio lavorativo.
L’individuazione del cosiddetto “Rischio professionale” e la sua accettazione da parte
del mondo produttivo comportava l’affermazione di un “principio di equità” secondo il quale la domanda di tutela dei lavoratori, lungi dal trovare soddisfazione nella
stipula di polizze a carattere volontario, avrebbe avuto più adeguata risposta nella
obbligatorietà della assicurazione.
Con legge n. 80 del 17 Marzo 1898 veniva inaugurato un iter legislativo di sicurezza sociale in tema di tutela che, sebbene avesse conosciuto nel suo svilupparsi fasi
alterne di interesse e di successi reali, conserva ai giorni nostri un grande interesse
per l’attualità dei problemi affrontati.
Una delle prime conseguenze della legge n. 80 / 1898 era l’emanazione di tre decreti legislativi che realizzavano il nuovo sistema di tutela della sicurezza sul lavoro
mediante l’approvazione di un “Regolamento generale di prevenzione” .
Nell’ambito della normativa delineata per gli eventi infortunistici, emergeva l’esigenza anche di una tutela previdenziale delle malattie professionali. L’argomento era
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
oggetto di studio da parte di una specifica Commissione ministeriale costituita nel
Dicembre 1901 la quale veniva incaricata di studiarne le cause e di proporre provvedimenti idonei alla prevenzione delle stesse.
Detta Commissione, tra l’altro, elaborava una Lista di Malattie Professionali che
comprendeva anche “il CARBONCHIO E LA MORVA” .
Le conclusioni cui era pervenuta la citata Commissione non avevano fortuna, per
cui si rafforzava e prendeva corpo giuridico, anche per effetto dei primi provvedimenti giurisprudenziali e delle opinioni dottrinarie medico-legali allora in auge, la
tutela di siffatte patologie nell’ambito della materia infortunistica.
Il testo Unico n. 51 del 31 Gennaio 1904 riordinando tutta la precedente normativa in materia di infortuni sul lavoro, estendeva la prima forma di tutela anche ad
alcune lavorazioni agricole e sebbene conservasse ancora il carattere della contrattualità assicurativa, introduceva di fatto alcuni elementi indice di un iniziale Stato
Sociale.
Nel suddetto T.U. n. 51 / 1904, il legislatore indicava l’evento coperto dalla assicurazione con la formula: “...l’infortunio che avvenga per causa violenta in occasione
di lavoro”. La dizione “causa violenta” veniva introdotta per la prima volta in questa normativa al fine di circoscrivere il risarcimento ai soli fatti derivanti da situazioni di rischio lavorativo, dovuti a causa accidentale e di rapida azione. In tal modo
veniva ben differenziato l’Infortunio lavorativo dalla Malattia Professionale che, al
contrario, era conseguenza inevitabile di determinate lavorazioni e proveniente da
cause patogene ad azione lenta e progressiva.
Peraltro, non definendo l’infortunio, il Legislatore pur riferendosi alla accezione
comune di evento sfavorevole, non aveva posto limiti cogenti ai caratteri che esso
avrebbe dovuto possedere lasciando all’interprete una certa larghezza di concezione.
La suddetta formula identificativa di infortunio lavorativo veniva sostanzialmente
conservata nel Decreto n. 1450 del 23 Agosto 1917 che estendeva, sotto la pressione dei contadini reduci dalla Prima Guerra Mondiale, la tutela assicurativa anche
alle lavorazioni agricole.
Il R.D. n. 928 del 13 Maggio 1929 introduceva la tutela previdenziale delle malattie
professionali, estendendo ad esse la normativa vigente per gli infortuni sul lavoro;
indicava in un’apposita lista le 6 patologie oggetto della tutela, tra le quali era prevista l’ANCHILOSTOMIASI.
Tale decreto, entrato in vigore il 1° Gennaio 1934 era successivamente inserito nella
riforma complessiva operata in tutto il Settore dell’assicurazione per gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali operata con il R.D. n. 1765 del 17 Agosto 1935,
nell’ambito del quale era confermata l’esclusiva competenza dell’INAIL alla gestione dei casi come precedentemente sancito nel R.D. n. 264 del 23 Marzo 1933.
La legge di riforma del 1935 determinava il carattere pubblicistico dell’assicurazione
ed introduceva i principi cardine della tutela rappresentati dalla costituzione automatica del rapporto assicurativo, l’automaticità delle prestazioni, l’erogazione delle
prestazioni sanitarie, la revisione delle rendite e la nuova disciplina nell’assistenza
dei grandi invalidi.
Nella suddetta legge la formula usata per l’indicazione dell’evento “Infortunio
indennizzabile”, oggetto dell’assicurazione, indicava, all’art. 2, la causa del danno in
un infortunio genericamente inteso; specificava i requisiti essenziali ai fini della
tutela (per causa violenta, in occasione di lavoro), ammetteva il realizzarsi di conseguenze dannose alla attitudine lavorativa.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Nello stesso art. 2 la Legge sanciva doversi considerare il CARBONCHIO infortunio sul lavoro ove fosse risultato che la malattia era stata contratta in seguito a
rischio lavorativo.
Al contrario, non risultava indennizzabile la MALARIA oggetto di una specifica tutela.
***
La dottrina medico-legale delineando la figura dell’evento infortunistico, sin dagli
albori della tutela assicurativo-previdenziale aveva ricondotto il concetto di
Infortunio lavorativo ad un “… avvenimento lesivo causante un danno ed occorso
in occasione di lavoro”.
Il Moriani in un pregevole studio sul concetto di Infortunio sul lavoro (1917) riteneva che esso potesse ammettersi allorché sussisteva il trinomio rappresentato da
“Causa lesiva esterna e violenta, incontro fortuito della stessa con l’organismo
umano, lesione del corpo e della psiche umana ...”.
A questa interpretazione, certamente la più condivisa da parte degli Studiosi dell’epoca, erano state sollevate molteplici critiche; in particolare le riserve avevano
riguardato il concetto d’infortunio limitatamente all’incontro di una causa lesiva
violenta con il corpo umano identificabile nell’attimo in cui l’energia lesiva della
causa si fosse convertita in lesione corporea o psichica.
Il dissenso era stato motivato dalla constatazione che non in tutti i casi l’evento dannoso risultava dall’incontro di una forza lesiva esterna con l’organismo umano; sebbene questa fosse stata riconosciuta come la modalità più ricorrente, tuttavia ben
noti erano casi in cui l’avvenimento lesivo non aveva prodotto di per sé un danno
ma aveva determinato le condizioni perché tale danno, anche a distanza di tempo,
si fosse estrinsecato.
Era per merito soprattutto di Lorenzo Borri (1918) che prendeva corpo e si delineava una nuova classificazione medico-legale delle forze lesive. Questa concezione
della causalità violenta distingueva, sulla base dell’agente etiologico:
I.
- Energie lesive di ordine fisico:
energie meccaniche (traumi);
energie dinamiche (sforzo corporeo);
asfissie da cause fisiche;
energie di natura termica in eccesso e in difetto;
energie di natura barica in eccesso e in difetto;
energie fotiche, da raggi X e da radium;
energia di natura elettrica.
II. - Energie lesive d’ordine chimico:
sostanze caustiche;
tossici esogeni.
III. - Energie lesive d’ordine biochimico:
tossici endogeni;
sostanze anafilattizzanti.
IV. - Energie lesive d’ordine virulento.
V. - Energie lesive d’ordine psichico.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
La concezione etiologica della Causa violenta permetteva di includere tra le
cause determinanti l’infortunio lavorativo non già le modalità di penetrazione
nell’organismo di agenti microbici e parassitari, bensì l’azione lesiva insita nella
loro virulenza.
Così intesa la qualità della violenza causale era pertanto attribuita non più alla
genesi traumatica con cui era avvenuta l’immissione nell’organismo, ma alla
estrinsecazione clinica del potere patogeno degli stessi indipendentemente dalla
via ingresso.
Contro il riconoscimento, quale evento infortunistico tutelato, delle malattie infettive contratte per cause lavorative erano state sollevate varie obiezioni che potevano così riassumersi:
a) nel caso di infezione, il danno non si verificava per l’azione patogena dei soli
germi che erano stati inoculati o che si erano introdotti al momento del trauma
ma per l’azione di un numero assai più elevato degli stessi, conseguenza di un successivo e rapido moltiplicarsi che di fatto modificava il potere lesivo originario;
b) perché si fosse resa manifesta la malattia era necessario un periodo di incubazione più o meno lungo durante il quale si sarebbero sommate le azioni
patogene sviluppate da più generazioni di germi sino a vincere le resistenze
dell’organismo; la presenza di questo intervallo di tempo e la decadenza progressiva delle difese immunitarie avrebbe tolto il carattere della violenza alla
causa lesiva originaria.
c) una malattia infettiva si sarebbe potuta manifestare clinicamente a seguito della
introduzione di ripetute quanto minime cariche di germi patogeni con ciò determinando un meccanismo eziopatogenetico di tipo “non infortunistico”;
d) non poteva ritenersi dimostrato il requisito della concentrazione nel tempo dell’azione lesiva nei casi in cui non era possibile stabilire il momento infettante
responsabile della introduzione dei germi nell’organismo.
In altre parole l’impossibilità di circoscrivere nel tempo il momento del contagio
avrebbe determinato l’incapacità di dimostrare l’effettiva concentrazione e violenza della causa intervenuta ed inoltre avrebbe validamente compromesso la
dimostrazione dell’occasione lavorativa quale ulteriore presupposto ai fini del
riconoscimento assicurativo.
Le argomentazioni medico-legali, esposte in antitesi alle suddette obiezioni, riconoscevano essenzialmente nella continuità del rapporto causale tra evento lesivo /
introduzione di germi e manifestazioni patologiche, la ragione della sussistenza del
diritto alla prestazione assicurativa in quanto era considerata non interrotta la consequenzialità dei vari fenomeni patologici (Borri, Diez).
Relativamente alla quarta obiezione veniva contrapposta la constatazione che alcune tra le infezioni ed infestioni fossero così legate all’ambiente di lavoro per cui la
loro derivazione da un rischio lavorativo era insita nella loro stessa natura.
Per altre infezioni che si sarebbero potute contrarre anche in condizioni estranee al
lavoro, la ricorrenza in determinate categorie di lavoratori operanti in uno specifico
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ambiente ed adibite a specifiche mansioni con la conseguentemente ripetuta esposizione ad uno specifico rischio, la presunzione della origine lavorativa sarebbe stata
così grave da raggiungere quasi la certezza.
Al contrario, la dimostrazione del nesso con il lavoro si sarebbe resa indispensabile
solo per quelle malattie infettive per le quali fosse sussistita un’eguale probabilità di
contagio sia in occasioni lavorative sia in situazioni ambientali extralavorative
(Borri, Diez).
Lo stesso Borri definiva “idiopatiche” quelle malattie infettive di competenza previdenziale-assicurativo per le quali l’evento-infortunio risultava costituito dall’ingresso di microrganismi patogeni indipendentemente dalla via e dalle modalità dell’ingresso e per le quali il requisito della “violenza” si identificava nella “virulenza” degli
agenti infettanti.
Al contrario, Egli considerava “secondarie” le malattie infettive sviluppatesi a seguito della attivazione-riattivazione da parte di fattori esterni all’organismo, ritenendo
“evento infortunistico “non già funzione della virulenza propria del germe quanto
della responsabilità del “fattore esterno” al quale riconosceva il ruolo di causa violenta determinante la virulentazione di microrganismi sino ad allora “quiescenti”.
L’assimilazione della CAUSA VIRULENTA di natura biologica con la CAUSA
VIOLENTA, contemplata a pieno titolo nell’ambito delle cause determinanti un
evento infortunistico lavorativo, era stata ammessa sin dal 1910 anche dalla
Giurisprudenza della Corte di Cassazione di Torino la quale in una specifica sentenza aveva considerato infortunio lavorativo il CARBONCHIO manifestatosi in operaio addetto al trasporto di pelli .
Né mancavano ulteriori pronunciamenti della Corte Medesima in epoche successive come confermato dalla sentenza del 31 Ottobre 1921, FFSS / Migliori, in cui
affermava: “.. nella causa violenta è compresa anche la causa virulenta e che esiste
infortunio ogni qual volta il lavoro abbia esposto l’operaio a quella causa”.
La validità dello stesso principio era successivamente riconosciuta dal Legislatore
dapprima nel R.D. n. 328 del 13 Maggio 1929 quindi nel citato art. 2 del T.U.
n. 1765 del 17 Agosto 1935 allorché sanciva doversi considerare il CARBONCHIO
infortunio sul lavoro ove fosse risultato contratto a seguito di un rischio lavorativo.
Nel medesimo art. 2 era esclusa tra i casi d’infortunio sul lavoro l’evento dannoso
derivante da infezione MALARICA, in quanto regolato da disposizioni speciali. Le
ragioni di tale esclusione andavano ricercate essenzialmente nel fatto che tale malattia rappresentasse un rischio generico al quale erano esposti non soltanto i lavoratori ma anche tutti gli abitanti di determinate zone.
Facendo riferimento soltanto al CARBONCHIO il Legislatore certamente non
intendeva escludere che altre patologie infettive e parassitarie potessero considerarsi infortunio lavorativo se conseguite a causa violenta occorsa in occasione di lavoro; Egli voleva di fatto dettare i principi generali di una nuova tutela assicurativa per
entità nosografiche di difficile inquadramento eziopatogenetico.
La decisione di voler considerare, agli effetti della protezione del lavoratore contro i
rischi del lavoro, le malattie infettive nella tutela infortunistica anziché in quella
delle Malattie Professionali, e ciò nonostante vi fosse stato in precedenza una specifica indicazione dalla 7° Conferenza Ginevrina del B.I.T. (1925), risultava certamente la più proficua sia per il miglior trattamento economico sia per l’ampliamento della copertura assicurativa di tutte le possibili evenienze in luogo dei rigidi schematismi previsti nel sistema della lista chiusa.
In una situazione di collasso totale del Paese prodotto dalla disastrosa seconda guer6
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ra mondiale, nell’ambito di una faticosa opera di ricostruzione della vita sociale
erano emanati numerosi provvedimenti legislativi tendenti, almeno in parte, a sanare le tragiche conseguenze delle operazioni militari e la drammatica svalutazione
nella moneta. Anche la tutela previdenziale del lavoro, nell’immediato dopoguerra,
era oggetto di attenzione da parte del Legislatore il quale con il D.Lgt. n. 85 dell’8
Febbraio 1946 estendeva l’obbligatorietà delle cure mediche e chirurgiche, introdotte nel 1935 per l’industria, anche agli infortuni sul lavoro agricolo.
Con il D.L. n. 14 del 25 Gennaio 1947, migliorava la normativa concernente la rendita di inabilità permanente dettando i criteri valutativi del grado d’invalidità allorché quest’ultimo risultasse aggravato da altre invalidità preesistenti derivanti da fatti
estranei al lavoro o da infortunio non contemplato nel R.D. n. 1765/35.
La disposizione di legge codificava la cosiddetta “Formula del Gabrielli“peraltro già
considerata ed accolta dalla giurisprudenza di merito.
Con il D.L. n. 804 del 29 Luglio 1947 attribuiva il riconoscimento giuridico agli
Istituti di Patronato, ai quali era data una funzione di assistenza sociale “... svolta gratuitamente nei confronti di tutti i lavoratori, senza alcuna limitazione ...”.
Nell’iter storico-legislativo del dopoguerra si collocava l’entrata in vigore della nuova
Costituzione della Repubblica la quale, all’art. 38 sanciva, quale caposaldo della tutela pubblica del lavoro, che “...i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso d’infortunio ...” e che “...gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale ...”.
Contemporaneamente alla promulgazione della nuova legge costituzionale si concludevano i lavori della Commissione per la Riforma previdenziale, nei quali
erano prospettati “... l’adeguamento effettivo delle prestazioni economiche erogate allo stato di bisogno, un’ampia assistenza sanitaria, l’estensione della tutela assicurativa a tutti lavoratori compresi gli artigiani, autonomi e professionisti, la
garanzia della tutela stessa oltre i confini nazionali in favore dei lavoratori emigrati
in paesi esteri...”.
La legge n. 33 /1952 dettava una nuova disciplina per l’Assistenza Personale
Continuativa, ne migliorava gli importi economici ed introduceva una tabella indicante le menomazioni rilevanti ai fini della concessione di tale assegno.
La regolamentazione legislativa del 1929 che assimilava il regime degli infortuni lavorativi e delle malattie professionali nell’industria, già migliorata dal R.D. 1765/35
veniva perfezionata con la Legge n. 1967 del 15 Novembre 1952 ampliandone ulteriormente il numero delle lavorazioni morbigene ed estendendo i periodi massimi di
indennizzabilità anche in epoca successiva all’abbandono della lavorazione.
La legge n. 313 del 21 Marzo 1958 ed il successivo D.P.R. n. 471 del 28 Aprile 1959
introducevano la tutela previdenziali delle malattie professionali in agricoltura, con
notevole ritardo rispetto al settore industriale e limitatamente ad un numero molto
ristretto di tecnopatie ritenute le più note e diffuse e per le quali l’identificazione del
nesso causale di origine professionale avesse presentato minori incertezze.
La suddetta tutela, realizzata con criteri di prudenza e di gradualità analoghi a quelli che avevano ispirato gli stessi provvedimenti nel settore industriale, restringeva di
fatto la competenza a sette patologie connesse all’attività agricola la prima delle
quali era l’ANCHILOSTOMIASI.
Peraltro, mentre per le altre sei tecnopatie tabellate l’individuazione della lavorazione protetta risultava generica, per l’Anchilostomiasi era tassativamente richiesta la
prova da parte dell’Assicurato di aver lavorato “in terreni argillosi ed irrigui”.
La limitazione così marcata posta dalla legge, in modo particolare per quanto con7
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
cerneva le Malattie Infettive e Parassitarie era assai criticata; pur tuttavia non mancavano opinioni a sostegno della validità della scelta tenuto conto che, molte di
queste ultime patologie, assai frequenti in agricoltura (carbonchio, tetano, morva,
leptospirosi, callo suppurato) risultavano già tutelate dalla legge e, per orientamento univoco della giurisprudenza e della dottrina medico-legale (Gabrielli 1915, Borri
1918, Barile 1927, Benassi 1929, Prosperi 1930, Tovo 1932, Diez 1933, Mori 1939,
Grasso-Biondi 1939, Miraldi 1942, Giannini 1943, Leoncini 1944, Sartorelli 1949,
Lorenzoni 1952, Pendini 1955 …), considerate “evento infortunistico lavorativo”
secondo il principio base tendente ad assimilare la causa violenta con il potere di
virulenza dei microrganismi in questione.
Dubbi interpretativi nella eziopatogenesi avevano mantenuto estranee alla tutela
previdenziale altre malattie infettive o trasmissibili, di possibile origine professionale e particolarmente diffuse tra gli agricoltori per le quali sussistevano difficoltà nell’accertamento del nesso causale con l’attività lavorativa rispetto ai rischi connessi
alle generali condizioni di vita dell’ambiente rurale; era il caso della brucellosi, actinomicosi, ecchinoccosi e delle altre zoonosi meno ricorrenti.
Il contributo dottrinario medico-legale ed i ripetuti interventi della giurisprudenza
di merito ampliavano negli anni successivi la tutela previdenziale anche a queste
patologie, ove avesse avuto dimostrazione l’esistenza di una “idonea esposizione ad
un rischio specifico” e ciò pur non essendo documentabile nè il momento esatto né
le modalità dell’introduzione del germe patogeno in questione.
Per ciò che riguardava l’infezione malarica perniciosa, già esclusa nella configurabilità di infortunio lavorativo nell’art.2 del R.D. 1765/35, rimaneva disciplinata a
parte da una nuova normativa speciale (legge n. 160 del 11 Marzo 1953).
La tutela previdenziale delle malattie professionali nel settore lavorativo agricolo,
introdotta con la citata legge n. 313 del 1958, veniva completamente revisionata ed
ampliata nella successiva evoluzione legislativa in concomitanza con quanto accadeva per il settore industriale ed in analogia alla materia infortunistica.
La legge n. 15 del 1963 oltre ad apportare significativi miglioramenti al trattamento economico dei lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, realizzava per il settore
agricolo la piena parificazione retributiva tra uomo e donna; la medesima legge conteneva inoltre due deleghe legislative al Governo delle quali la prima prevedeva la
definizione di un testo unico sulla materia successivamente realizzata con il D.P.R.
n. 1124 del 30 Giugno 1965, la seconda la disciplina dell’infortunio in itinere successivamente prorogata e non attuata.
Il T.U. del 1965 riunificando tutta la normativa esistente in materia confermava ed
ampliava i principi fondamentali dettati a tutela dei rischi delle attività lavorative;
finalizzava l’attività istituzionale dell’INAIL al massimo possibile recupero del lavoratore invalido; dava impulso alle prestazioni assistenziali e di servizio sociale; rafforzava lo stretto legame tra assicurazione e prevenzione degli infortuni.
Sotto l’aspetto della tutela assicurativa, estendeva il diritto alle prestazioni agli artigiani ed ad altri soggetti operanti nel settore autonomo e la previsione di quote integrative delle rendite corrisposte in ragione della composizione familiare del lavoratore infortunato e/o tecnopatico.
Allo stesso T.U. del 1965 erano allegate numerose tabelle di significato medicolegale:
• tabella delle valutazioni del grado percentuale d’invalidità permanente (settore
industria: all.to 1);
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
• tabella di valutazione delle menomazioni dell’acutezza visiva (settori industriale
ed agricolo: all.to 1);
• tabella di valutazione del grado percentuale d’invalidità permanente (settore agricolo: all.to 2);
• tabella delle menomazioni per l’assistenza personale continuativa (settori industriale ed agricolo: all.to 3);
• tabella delle malattie professionali nel settore industriale (all.to 4);
• tabella delle malattie professionali nel settore agricolo (all.to 5);
• tabella delle lavorazioni per le quali era obbligatoria l’assicurazione contro la silicosi e l’Asbestosi (all.to 8).
Il D.P.R. n. 1124 / 65 pur rappresentando una tappa fondamentale nel processo di
ammodernamento della tutela infortunistica e delle malattie professionali, non esauriva l’azione legislativa che compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili ne
ampliava gli ambiti negli auspici ed in conformità ai principi costituzionali.
Il D.P.R. n. 482 del 9 Giugno 1975, modificava le tabelle delle malattie professionali nel settore industriale ed in quello agricolo, senza tuttavia apportare significativi
cambiamenti sui criteri di definizione delle patologie considerate e delle lavorazioni
tutelate.
Anche in questa normativa la tutela assicurativa era circoscritta alle malattie ritenute professionali secondo l’elenco delle apposite liste (una per l’industria ed una per
l’agricoltura) semprechè fossero state contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specificate nelle liste stesse ed in quanto tali lavorazioni rientrassero tra quelle
per le quali ricorreva l’obbligo assicurativo.
L’evoluzione culturale nell’ambito della dottrina medico-legale, ispirata alla crescente domanda di tutela previdenziale del lavoro, vedeva affermarsi con vigore la
soluzione infortunistica nella trattazione delle malattie infettive e parassitarie confermata come strumento di maggior garanzia delle prestazioni indennitarie in luogo
dei rigidi schematismi del sistema tabellare.
Acquisita definitivamente l’assimilazione della causa virulenta con la causa violenta, veniva proposta una classificazione (Diez, Betocchi, 1959) di tali patologie in
base al rapporto esistente tra le diverse infezioni ed i rischi lavorativi, che prevedeva la distinzione, in verità artificiosa, di:
• I° GRUPPO: Infezioni nei riguardi delle quali il contagio avveniva, se non esclusivamente, in gran prevalenza per ragioni di lavoro;
• II° GRUPPO: Infezioni il cui contagio, di regola generico, in determinate circostanze poteva essere facilitato o aggravato dal lavoro.
• III° GRUPPO: Infezioni generalmente decorrenti sotto forma epidemica ma i cui
focolai in determinate circostanze risultavano localizzati soltanto in luoghi ove
solo un lavoratore per ragioni professionali le avrebbe potute contrarre.
Venivano previste nel primo gruppo il Carbonchio, la Morva, il Farcino, il
Tetano, l’Erisipeloide da mal rossino dei suini, il Morbo di Weil, la Leptospirosi
delle risaie, la Malattia dei porcai, il Sodoku, la Tularemia, la Febbre ricorrente,
l’Actinomicosi, l’Echinococcosi.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Nel secondo gruppo venivano considerate l’infezione Tubercolare e l’infezione Sifilitica contratte per ragioni di lavoro; la Febbre Maltese e le altre infezioni da Brucelle, la Sporotricosi, la Rabbia, le infezioni da Virus (Febbre Q,
l’Epatite Epidemica, l’Herper Zoster in rapporto a trauma meccanico, il
Tracoma).
Nel terzo gruppo erano collocate tutte le malattie a carattere epidemico trasmissibili all’uomo per contagio diretto con altri individui infetti oppure a
mezzo di materiale contaminato, quali il Colera, la Meningite cerebrospinale,
il Tifo petecchiale, la Peste etc, che potevano in determinate contingenze
essere contratte in conseguenza di maggiori rischi connesso all’attività lavorativa.
La suddetta impostazione dottrinaria veniva recepita anche dalla Giurisprudenza di
merito circa l’indennizzabilità della malattia infettiva e parassitaria in ambito previdenziale, estendendo di fatto il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative alle fattispecie per le quali era comprovata l’insorgenza della patologia in oggetto
in relazione ad occasioni di lavoro ritenute fonte di un “rischio specifico o quantomeno di un rischio generico aggravato”.
Da notare che l’art.2 del T.U. laddove stabiliva che “…agli effetti del presente decreto è considerata infortunio sul lavoro l’infezione carbonchiosa. Non è invece compreso
tra i casi di infortunio sul lavoro l’evento dannoso derivante da infezione malarica, il
quale è regolato da disposizioni speciali” è decaduto a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n.226 del 4 giugno 1987 relativamente al capoverso sottolineato in quanto né è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, con ciò rafforzando il concetto di infortunio/malattia.
La novità assoluta circa la trattazione delle malattie infettive e parassitarie, però, era
introdotta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 18 Febbraio 1988,
la quale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, 1° comma del T.U.
1124/65 “... nella parte in cui non prevede che l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una
lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché
si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro”.
Analoga valutazione di illegittimità veniva estesa all’art. 211, 1° comma del T.U.
1124/65 relativa alla trattazione delle malattie professionali nell’agricoltura.
L’introduzione del cosiddetto Sistema misto della tutela delle malattie professionali
conseguente alla citata sentenza 179/88, introduceva di fatto la possibilità di considerare la malattia infettiva e parassitaria indennizzabile oltreché nella usuale fattispecie infortunistica anche come tecnopatia nel momento in cui fosse stata apportata dal lavoratore la prova della sua origine professionale.
Oggetto di questa opportunità sarebbero state soprattutto quelle patologie infettive per
le quali non era stato possibile individuare il momento contagiante né che potevano
considerarsi contratte a causa di una “idonea esposizione ad un rischio specifico”.
Tuttavia gli effetti operativi conseguiti alla duplice possibilità di trattazione della
materia non risultavano agevoli essenzialmente per le difficoltà emerse nel soddisfacimento dell’onere della prova che il nuovo sistema poneva a carico del lavoratore.
La necessità di tale dimostrazione quasi sempre rimasta insoddisfatta, vanificava di
fatto l’ampliamento della tutela previdenziale che pure aveva ispirato la Suprema
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Corte al momento della elaborazione della sentenza in oggetto, generando nel contempo un vasto contenzioso giudiziario per differenti comportamenti interpretativi
e per difformità di trattamento delle singole fattispecie da parte della Giurisprudenza
di merito.
La Corte di Cassazione, con le Sentenze n. 8058 del 25 Luglio 1991 n. 3090 del 13
Marzo 1992 definiva finalmente ed in modo compiuto gli ambiti della tutela assicurativa introducendo il ricorso al “Principio della Presunzione Semplice d’Origine”,
così come previsto dall’art. 2729 del Codice Civile.
Tale principio rendeva possibile applicare il procedimento presuntivo sia “.... in
merito alla natura infettante di un evento lesivo indicato come occasione e fonte di
contagio...”, sia “sull’accadimento dell’evento stesso...” Conseguentemente era
introdotto nella tutela previdenziale il principio secondo il quale la prova di un contagio di supposta origine professionale, sebbene non dimostrata, poteva ritenersi
“presunta in presenza di gravi, precisi e convergenti elementi”.
La nuova disciplina conseguita ai pronunciamenti della Corte di Cassazione con le
Sentenze 8058/91 e 3090/92, investiva direttamente l’attività istituzionale
dell’INAIL imponendo la necessità della ridefinizione degli aspetti normativi e procedurali riservati alla trattazione delle malattie infettive e parassitarie nell’ambito
della tutela previdenziale.
Con LETTERA del 1° Luglio 1993 l’Istituto assicuratore, confermava la validità
della criteriologia medico-legale infortunistica storicamente osservata e nel contempo recepiva il nuovo indirizzo giurisprudenziale introdotto con il possibile ricorso al
succitato principio della Presunzione Semplice d’origine.
La constatazione che, nell’ultimo decennio le forme patologiche suscettibili di
inquadramento in qualità di malattia-infortunio avesse riguardato soprattutto gli
Operatori Sanitari esposti al rischio professionale d’infezione per Le EPATITI DA
VIRUS A E B, LA SUPERINFEZIONE DA AGENTE DELTA, l’AIDS induceva
l’I.N.A.I.L. ad allegare alla nuova normativa un Protocollo Operativo al fine di circoscrivere il diritto alle prestazioni previdenziali a chi effettivamente avrebbe potuto contrarre le suddette patologie per il contagio, anche presunto, determinatosi nel
corso dell’attività lavorativa.
Tale protocollo prevedeva ai fini del riconoscimento, nel caso in cui non fosse stato
possibile identificare il momento infettante, il soddisfacimento di tutte le circostanze indicate affinché tale l’evento potesse ritenersi ragionevolmente accaduto nell’ambiente lavorativo in ragione dell’esistenza di un rischio specifico o generico
aggravato.
A tal fine considerava come imprescindibili le seguenti condizioni:
Doversi trattare di Assicurati esposti per motivi professionali al contatto frequente con sangue e sperma (potevano ravvisarsi al riguardo le seguenti figure professionali:
• Se operanti in reparti di malattie infettive:
chirurghi;
medici addetti a manovre diagnostiche e/o terapeutiche invasive (comprese le
manovre connesse ai riscontri autoptici);
infermieri addetti a prelievi di sangue e a terapia iniettiva.
• Personale addetto alla manipolazione di sangue o sperma per accertamenti e/o
ricerche di laboratorio o autoptiche, emodialisi.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
• Personale sanitario e parasanitario addetto ai reparti di Rianimazione, Emodialisi,
Trapianti, Odontoiatria:
• Personale addetto alla pulizia di strumenti inquinati da sangue o sperma;
• Personale addetto al rigoverno di ambienti inquinati da sangue.
Il contatto con sangue o sperma sarebbe dovuto avvenire in tempi compatibili con
il periodo di incubazione della forma virale diagnosticata.
Negli ambienti ove si riteneva essere accaduto il contatto, avrebbe dovuto transitare soggetto in condizioni tali da poter trasmettere i contagio della malattia infettiva
riscontrata nell’assicurato.
L’assicurato non avrebbe dovuto presentare comportamenti extraprofessionali definibili “a rischio”.
Era allegata alla lettera del 1.7.93 una Scheda d’indagine mediante la quale, nei casi
d’infortunio lavorativo, veniva richiesto ai fini del riconoscimento della indennizzabilità dell’evento, la conoscenza di:
Test di laboratorio eseguiti nelle immediatezze dell’evento; notizie anamnestiche
relative:
• alla natura del materiale biologico sospetto infettante;
• la provenienza dello stesso;
• a possibili comportamenti a rischio extraprofessionale.
L’I.N.A.I.L. ritornava sull’argomento con la Circolare n. 74 del 23 Novembre 1995
mediante la quale estendeva l’applicabilità del Criterio della Presunzione Semplice
d’Origine oltreché alle epatopatie da virus B e C, e all’A.I.D.S. anche alle altre patologie infettive e parassitarie, ad eccezione dell’anchilostomiasi considerata ancora
nell’ambito delle malattie professionali.
Erano allegati alla Circolare 74/95 il Codice Nosologico “E “con l’inserimento di
voci specifiche per le patologie infettivo-parassitarie al fine di consentire una più
approfondita conoscenza statistica ed epidemiologica del fenomeno (Allegato 1 e 2)
ed alcune schede cliniche con riferimenti diagnostici per alcune tra le patologie
infettive di possibile origine professionale (Allegati 3,4,5,6,7,8 ) così individuate:
•
•
•
•
•
•
Brucellosi o Febbre melitense;
Echinoccosi o Idatidosi;
Leptospirosi Ittero-Emorragica o Morbo di Weil;
Tetano;
Tubercolosi;
Malattia di Lyme.
L’applicazione del principio della presunzione semplice d’origine nelle procedure
dell’I.N.A.I.L. per i casi di Epatite Virale, dal 1993 al 1998, risultava tuttavia effettuata in modo non uniforme, con diversificazioni sia interpretative che valutative;
la stessa codificazione delle patologie era talvolta effettuata in modo improprio non
fornendo dati complessivamente attendibili.
Stante la situazione sopradescritta, effettuata una verifica sulle modalità operative ed
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
i criteri interpretativi che ne erano alla base, confermata l’esistenza di alcune distorsioni operative, L’Istituto Assicuratore emanava le NUOVE LINEE GUIDA PER
LA TRATTAZIONE DEI CASI DI MALATTIE INFETTIVE E PARASSITARIE
elaborate a cura della Sovrintendenza Medica Generale e la DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI
LA “PRESUNZIONE SEMPLICE” DAL GIUDICE AL MEDICO
LEGALE
Premessa: il problema tra diritto e medicina legale.
Le recenti “Linee guida per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie”,
nel riconfermare il vigente indirizzo giurisprudenziale in base al quale tali affezioni
morbose sono assicurativamente inquadrate nella categoria degli infortuni, hanno
inequivocabilmente affermato la necessità di ricorrere nella loro trattazione, se in
presenza di particolari circostanze, alla “presunzione semplice”.
L’affermazione di tale principio è avvenuta in conseguenza dell’evoluzione giurisprudenziale e dell’ampio dibattito sviluppatosi intorno a questi temi; nelle “Linee guida”
è stato, pertanto, affermato che “la qualificazione come infortunio permette un
pronto e duttile adeguamento dei confini della tutela alle situazioni di rischio professionale, sia già note che emergenti, anche grazie al criterio della presunzione semplice, che consente a determinate condizioni di estendere la protezione assicurativa
pure alle ipotesi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del
contagio si presenti problematica o impossibile”.
La “presunzione semplice”, alle cui modalità applicative viene dedicato il secondo
paragrafo delle citate “Linee guida”, rappresenta, quindi, il criterio giuridico attraverso il quale si snoda, spesso, la tutela di queste patologie. Infatti il ricorso alla sua
applicazione non si rende necessario solo “nei casi in cui l’evento lesivo potenzialmente contagiante è denunciato all’INAIL a ridosso o a breve distanza dal suo accadimento”. Se si tiene conto della limitata ricorrenza di tale presupposto (tempestività della denuncia) rispetto alla totalità dei casi e se nel contempo si considera la
frequenza e l’impatto sociale e assicurativo di tali patologie, di conseguenza si comprende come sia opportuno definire correttamente il concetto giuridico della “presunzione semplice“e il relativo criterio, al quale il medico legale sarà chiamato, spesso, a dare applicazione nella trattazione “assicurativa” delle specifiche patologie in
esame.
Ciò detto, sicuramente il primo quesito che si pone è: in che modo tale “criterio presuntivo” è trasferibile e legittimamente collocabile nel processo medico legale di ricostruzione del nesso di causalità? Quesito, questo, che certo riporta al classico e storicamente dibattuto problema del rapporto esistente tra diritto e medicina legale, rapporto magistralmente illustrato dal Barni secondo il quale “la medicina legale è e resta
scienza della causalità, in forza appunto della sua duplice natura, essendo cioè partecipe della medicina che è soprattutto ricerca delle matrici etiologiche e dei fenomeni patogenetici, tanto della devianza quanto della malattia e delle invalidità quanto
infine del morire stesso, ed essendo contemporaneamente samaritana del diritto che
sussume la disciplina degli effetti dalla dottrina e dalla conoscenza delle cause”. (M.
BARNI, Il rapporto di causalità materiale in medicina legale, Milano, 1991).
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Se si prescindesse dal necessario rapporto interdisciplinare tra diritto e medicina
legale, ne deriverebbe la identificazione di diverse forme di causalità (tecnica, giuridica) potenzialmente non conciliabili, pregiudicando la possibilità di fornire risposte unitarie e risolutive ai numerosi quesiti che quotidianamente si pongono al medico legale e che attengono sempre, pur con le necessarie differenziazioni a seconda
dello specifico ambito applicativo, al rapporto causa-danno di rilevanza giuridica.
Rapporto questo compiutamente esplorabile e definibile solo in una visione unitaria
della causalità la quale “è unica e nella materialità si accosta alla scienza, è talora
considerata e valorizzata dai particolari fini politico-giuridici, che il medico legale
deve tuttavia conoscere, tenendo conto del suo ruolo che non è autonomo ma scientificamente strumentale” (M. BARNI, op. cit.).
La presunzione semplice come mezzo di prova
Riconosciuta, quindi, la necessità di fondare l’attività medico legale sulla conoscenza di quei principi giuridici che ne costituiscono il presupposto e tornando alla tematica specifica in esame, è opportuno analizzare i significati giuridici della “presunzione”. La “presunzione” nell’ambito delle norme che regolano il diritto civile si colloca all’interno “delle prove” (disciplinate dal Titolo II del Libro VI, articoli dal 2697
al 2739, avente ad oggetto “della tutela dei diritti”).
Gli articoli citati (dal 2697 al 2739) congiuntamente al 2907, 1° comma, Titolo IV
dello stesso Libro VI, al successivo articolo 2909 ed agli articoli dal 413 al 447 del
Codice di Procedura Civile, fissano dei principi che è opportuno esaminare in quanto permettono di comprendere in profondità molte tematiche che quotidianamente
si incontrano nello svolgimento della nostra attività medico legale, visto che su di
essi si ancora gran parte della attività istituzionale di un Ente pubblico quale l’INAIL
e, come vedremo, anche la trattazione delle patologie in oggetto.
L’articolo 2907 del Codice Civile fissa, infatti, il cosiddetto “principio della domanda”: “Alla tutela dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte e,
quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio”.
Secondo il “principio della domanda” alla tutela dei diritti la legge (il giudice) provvede, di regola, solo su domanda di parte: principio, questo, esplicitato dall’articolo
99 del Codice di Procedura Civile che recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”.
Strettamente connessa e discendente da tali articoli è tutta la disciplina relativa alla
“prescrizione dei diritti” (artt. 2934 e succ. del Codice Civile) dalle ampie ripercussioni nel nostro ambito istituzionale (art. 112 del T.U. 1124/65 e successive modifiche ed integrazioni).
L’illustrato “principio della domanda” è, a sua volta, un aspetto del più generale principio dispositivo che caratterizza tutto il processo civile, principio definito dall’articolo 115 del codice di procedura civile, secondo cui il giudice deve porre a fondamento della propria decisione le prove che sono state proposte dalle parti e non può
trarre elementi per la sua decisione da fonti che non siano state acquisite al giudizio
con le garanzie del contraddittorio. I fatti devono essere provati dalle parti anche se,
sempre secondo l’art. 115, il giudice “può, tuttavia, senza bisogno di prova, porre a
fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
(A tale riguardo è opportuno evidenziare che il principio dispositivo non trova
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
applicazione nel processo penale il quale è, invece, dominato dall’opposto “principio inquisitorio”. Stante, infatti, il fine pubblicistico che il procedimento penale persegue e l’importanza degli interessi che ne formano oggetto, il giudice, disponendo
di un amplissimo potere-dovere di iniziativa e di impulso deve ricercare la verità
reale indipendentemente dal comportamento delle parti private).
Ancora ispirato al “principio della domanda”, in ambito di diritto civile, risulta l’articolo 2697 relativo all’onere della prova, secondo cui: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. Pertanto i
diritti ricevono protezione giurisdizionale solo e in quanto chi li fa valere in giudizio
fornisce la prova dei fatti sui quali si fondano: e i medici dell’Istituto ben conoscono la problematica dell’onere della prova per le molteplici ripercussioni applicative
in tema di malattie professionali tabellate e non.
La prova dei fatti in ambito giuridico, quindi, si dà mediante specifici mezzi di prova.
Nel diritto civile essi sono: le prove documentali, le prove testimoniali, la confessione, il giuramento, le presunzioni. Una tradizionale classificazione giuridica dei
mezzi di prova distingue: le prove storiche, o dirette, e le prove critiche o indirette.
Le prove storiche sono quelle che hanno direttamente ad oggetto il fatto da provare e sono tali le prove documentali, testimoniali, le confessioni ed il giuramento.
Sono prove critiche le presunzioni nell’ambito delle quali, dalla prova storica di un
fatto diverso da quello da provare, si risale con un ragionamento induttivo, e quindi criticamente, alla indiretta prova del fatto da provare.
Le presunzioni sono, pertanto, mezzi di prova critici o indiretti e consistono nell’indurre (ragionamento induttivo) da un fatto noto l’esistenza di un fatto ignoto.
Recita, infatti, l’art. 2727 del Codice Civile: “Le presunzioni sono le conseguenze
che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato”. Ed,
ancora, il successivo art. 2728 (Prova contro le presunzioni legali): “Le presunzioni
legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite.
Contro le presunzioni sul fondamento delle quali la legge dichiara nulli certi atti o
non ammette l’azione in giudizio, non può essere data prova contraria, salvo che
questa sia consentita dalla legge stessa”.
Le presunzioni legali, in cui è la legge che attribuisce ad un fatto un valore probatorio in ordine ad un fatto diverso, dunque, possono essere assolute o relative.
La presunzione legale assoluta non ammette la prova contraria, ed è definita iuris et
de iure. Un esempio di presunzione legale assoluta, nell’ambito della assicurazione
INAIL, è dato dal disposto dell’art. 83 del T.U. 1124/65: ai sensi di esso la misura
della rendita di inabilità da infortunio può essere sottoposta a revisione, nell’ipotesi
di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro, a condizione che tali modificazioni si verifichino entro dieci anni dalla costituzione della rendita, decorsi i quali,
sorge la presunzione legale assoluta che i postumi non siano più suscettibili di modifica (Cassazione Civile - Sezione Lavoro n. 9515 del 12 novembre 1994).
La presunzione legale relativa, definita iuris tantum, ammette la prova contraria: un
esempio è dato dalla presunzione legale d’origine in tema di malattie professionali
tabellate.
In questo contesto di norme e di principi si colloca, dunque, la presunzione semplice.
E’ l’art. 2729 C.C. che ne dà la definizione “Le presunzioni non stabilite dalla legge
sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni
gravi, precise e concordanti.”. Esse sono, quindi, le illazioni che il giudice trae da un
fatto storicamente provato per formare il proprio convincimento circa i fatti non
provati; sono lasciate alla prudenza dello stesso giudice e devono essere “gravi, pre15
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
cise e concordanti”. Deve, cioè, esserci un rigoroso rapporto di consequenzialità logico-fattuale tra premessa e conclusione.
Sulla interpretazione giurisprudenziale delle caratteristiche che la prova per presunzioni deve avere per essere giuridicamente valida, numerosi sono stati i pronunciamenti della Cassazione. Tra i tanti, particolarmente significativa la sentenza: n. 1494
del 10 marzo 1979: “Per aversi una presunzione giuridicamente valida non occorre
che la relazione tra fatto noto e fatto ignoto presenti il carattere della necessità assoluta ed esclusiva sul piano fenomenico essendo sufficiente che dal dato noto sia
deducibile il fatto ignoto attraverso un procedimento logico basato sull’id quod plerumque accidit.
I requisiti della gravità, precisione e concordanza, richiesti dalla legge per la validità
della prova presuntiva, non devono essere ricercati soltanto nei singoli elementi
indiziari concorrenti a fornire detta prova, ma, vanno viceversa individuati attraverso una valutazione globale dei vari indizi che devono essere esaminati nel loro
complesso al fine di stabilire se presentino o meno le caratteristiche volute dalla
legge perché la presunzione possa essere assunta a mezzo di prova”.
E Cass. n. 5713 del 5 novembre 1973: “La prova per presunzioni è sufficiente a sorreggere anche da sola il convincimento del giudice del merito in quanto la stessa non
è relegata in una posizione inferiore rispetto alle altre prove non essendo configurabile per il nostro ordinamento una gerarchia di efficacia tra i mezzi probatori … omissis … Per aversi una presunzione giuridicamente valida non occorre che i fatti su cui
essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, sicché la relazione tra fatto noto e fatto ignoto presenti il carattere della necessità assoluta ed esclusiva, bastando che il secondo possa
essere dedotto dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un
criterio di normalità”.
E ancora: “Nella deduzione dal fatto noto a quello ignoto il giudice del merito incontra il solo limite del principio di probabilità, che deve considerarsi rispettato quando le circostanze acquisite siano tali da far ritenere, secondo le regole di esperienza,
possibile e verosimile la loro connessione causale con il fatto da accertare” (Cass.
n. 154 del 17 marzo 1981).
Tali principi sono stati riaffermati nelle sentenze n. 4688/86; 4878/89; 7084/90 e
nelle recenti n. 1373 e 6390 del 1998 citate anche nelle “Linee guida” in esame.
La trattazione delle malattie infettive e parassitarie alla luce del
“criterio presuntivo”.
La legittimità del ricorso al criterio presuntivo nella trattazione delle malattie infettive e parassitarie viene sancita con la sentenza della Cassazione Civile - Sezione
Lavoro n. 5764 dell’82. Nello specifico, oltre a ribadire che tra le cause violente
caratterizzanti l’infortunio sul lavoro rientrano anche quelle cause lesive di natura
microbica o virale, veniva affermato che con il ricorso al criterio presuntivo, e stante la concorrenza di determinate circostanze obbiettive (gravi, precise e concordanti), può essere ritenuto dimostrato il rapporto etiologico tra l’agente patogeno e l’effetto invalidante. In particolare, nell’ipotesi di decorrenza di un certo lasso di tempo
tra la penetrazione del fattore patogeno e l’insorgenza dei sintomi, può essere presunto, nei termini esplicitati, che il rapido contatto con tale agente microbico o
virale - contatto che deve essere connesso con lo svolgimento dell’attività lavorati16
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
va - sia stato il fattore determinante dell’alterazione dell’equilibrio anatomo-fisiologico.
Veniva, quindi, affermata la legittimità del ricorso alla presunzione nel valutare il
rapporto etiologico tra l’agente patogeno e l’effetto invalidante; in sostanza, la “presunzione” della natura infettante dell’evento professionale.
La vertenza, da cui è poi scaturito il pronunciamento della Suprema Corte, era
incentrata sulla richiesta, avanzata da una ausiliaria di laboratorio, del riconoscimento del diritto ad una rendita per aver contratto una epatite virale nell’espletamento della propria attività. L’Istituto aveva contestato l’indennizzabilità del caso
sia come malattia professionale sia come infortunio e, in relazione a tale inquadramento assicurativo, aveva affermato la non ricorrenza dei due aspetti cardine per
l’indennizzabilità (occasione di lavoro - causa violenta). Sebbene fossero state
addotte prove testimoniali tendenti a dimostrare che la ricorrente si era procurata in
passato alcune ferite facendo uso di aghi e vetrerie di laboratorio, il Tribunale di
Pistoia, accogliendo la tesi dell’Istituto, aveva respinto l’istanza per il fatto che la
malattia virale si era manifestata in forma lenta e subdola, identificando così erroneamente la causa violenta con la rapidità dell’effetto patologico, e aveva rifiutato
l’ammissione della prova per presunzione tendente a dimostrare il nesso etiologico
tra alcune ferite e l’insorgere della malattia. A causa di tale rifiuto la Suprema Corte
stabiliva la cassazione della sentenza e l’affermazione della legittimità del ricorso a
presunzioni semplici per la dimostrazione del rapporto etiologico tra agente patogeno ed effetto invalidante.
Il principio della presuntività della natura infettante dell’evento viene ulteriormente esplicitato ed esteso con due pronunciamenti, sempre della Cassazione, del 1991
(n° 8058) e del 1992 (n° 3090). Entrambi scaturiscono da procedimenti civili in cui
l’INAIL, quale parte convenuta, aveva sostenuto la inammissibilità all’indennizzo di
epatiti virali, contratte da personale paramedico, eccependo che difettava il requisito della causa violenta (es. ferita, puntura, ecc.) per la quale si fosse determinato il
contagio. Tale impostazione era stata recepita dal giudice, nel procedimento di
primo grado, sulla scorta della motivazione, analoga nei due procedimenti, secondo
cui non trovava conforto, nelle carte processuali, l’asserita esistenza del nesso causale tra l’affezione riscontrata all’assicurato ed il lavoro dallo stesso svolto nell’ospedale, rinvenendosi soltanto indici di una mera possibilità di ricollegare l’affezione con
l’espletamento di detto lavoro; né appariva univoco il fatto che nel periodo in cui
doveva essere avvenuto tale evento nell’ospedale erano stati trattati altri casi di epatite ed il fatto che le mansioni svolte rendessero possibile la contrazione di affezioni
del genere. In particolare era stata ritenuta determinante, per il rigetto dell’istanza,
la non individuazione di un preciso evento lesivo.
La Suprema Corte, cassando la due sentenze di primo grado, enunciava dei principi
dai quali è scaturita la necessità, per l’Istituto, di reimpostare i criteri di trattazione
delle specifiche tipologie di malattie. Infatti, l’ormai definito quadro giurisprudenziale contribuiva a determinare l’emanazione, prima delle disposizioni di cui alla lettera del 1 luglio 1993, poi della circolare n. 74 del 1995 ed ora delle recenti “Linee
guida”. Era stato, in vero, affermato dalla Cassazione che: “Se si considera che nella
insorgenza dell’epatite virale di tipo B ben difficilmente è individuabile, specie per
chi lavora in ambiente ospedaliero, lo specifico episodio che ha generato la malattia, si comprende come sia giustificato ritenere raggiunta la prova della causa violenta quando sia provata, anche attraverso presunzioni, la possibilità che detta causa
violenta si sia verificata” (Cass. n. 8058/91).
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Successivamente “è certamente viziata la sentenza impugnata nella quale, pur
ammettendosi la possibilità di ricollegare l’affezione con l’espletamento delle mansioni svolte dall’appellato si nega l’esistenza di un rapporto causale tra la prima e le
seconde sulla base di argomentazioni del tutto fragili come la mancata individuazione di un preciso evento lesivo” (Cass. n. 3090/92).
In seguito, dunque, a tali pronunciamenti e alla definizione di principi e criteri, la
applicabilità del criterio presuntivo è stata estesa: non più solo presunzione della
natura infettante dell’evento professionale, ma anche dell’accadimento dell’evento
stesso in quanto “è giustificato ritenere raggiunta la prova della causa violenta (intesa come penetrazione del fattore patogenetico) allorché sia provata, anche attraverso presunzioni, la possibilità che detta causa violenta si sia verificata” vale a dire
attraverso l’identificazione di quelle circostanze “gravi, precise e concordanti” che
legittimano il ricorso alla presunzione semplice come mezzo di prova.
Tali criteri sono stati ulteriormente articolati e collegati con le tematiche relative al
rischio professionale nelle recenti sentenze n. 1373 e n. 6390 del 1998; sentenze che
rendono ancor più legittimato il ricorso al criterio presuntivo nella identificazione
degli antecedenti causali dell’evento, in quanto esplicitano che, per tali specifiche
patologie, la possibilità di verificazione della causa violenta (virulenta) configura
uno specifico rischio professionale. Infatti, in tali termini, si è espressa chiaramente
la Suprema Corte nella recentissima sentenza n. 6390 del 27 giugno 1998 con la
quale è stato affermato che il nesso tra lavoro espletato (nello specifico: medico in
un centro trasfusionale) e patologia (epatite) può provarsi a mezzo di presunzioni
semplici essendo sufficiente che “il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto
come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità”. Per
cui ritenere che il ricorrente “in quanto addetto alle trasfusioni e alle analisi di laboratorio conseguenti, incorreva in un rischio specifico di contrarre la malattia oltre
10 volte maggiore del rischio generico della restante popolazione, equivale a dire che
vi furono oltre 9 probabilità su 10 che la malattia fu contratta in funzione e a causa
del lavoro svolto”.
Dal problema alla soluzione: un approccio metodologico.
In conclusione da un punto di vista giuridico il ricorso al procedimento presuntivo,
per le specifiche patologie in esame, non può che essere definitivamente acquisito:
sia in relazione al rapporto etiologico tra evento e malattia sia in relazione all’accadimento dell’evento stesso.
Ciò stabilito, la concreta attuazione del procedimento nell’ambito dell’attività medico-legale non può che risultare particolarmente impegnativa: richiede, infatti, al
medico legale una metodologia di ricerca ed una strumentazione logica e critica
molto affinate. In vero tale attuazione, fondata su una elaborazione dei dati noti per
mezzo di un procedimento logico prevalentemente induttivo, deve scaturire la identificazione ed eventuale acquisizione dell’antecedente causale (accadimento dell’evento in ambito lavorativo e sua potenzialità infettante) della patologia infettiva
avente rilevanza assicurativa. Appare, altresì, chiaro che l’applicazione del criterio
presuntivo si concretizza in una metodologia di ricerca e di indagine che non esclude il ricorso anche ai classici criteri di ricostruzione del nesso di causalità.
Quindi il medico legale, dopo aver contestualmente constatato la ricorrenza del
rischio professionale specifico in periodi compatibili con la comparsa della malattia
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
e l’assenza di fattori etiologici extralavorativi, cioè la presenza di circostanze “gravi,
precise e concordanti”, con un procedimento fondato sulla ragionevole possibilità e
verosimiglianza secondo un criterio di normalità (vedi le Linee guida), è pienamente legittimato a ricorrere alla “presunzione semplice”.
In fine pare opportuno sottolineare due aspetti del tema qui affrontato:
primo, la “presunzione semplice”, pur con le sue difficoltà di attuazione, consente il
riconoscimento di un diritto alla tutela che altrimenti sarebbe negato: e questo è il
senso più profondo di quanto la giurisprudenza ha via via chiarito e affermato in
merito; secondo, il medico-legale, attuando correttamente il procedimento presuntivo, dà una prova “alta” della sua professionalità.
E, senza dubbio, entrambi questi aspetti sono motivi più che validi a ben operare.
PROCEDIMENTI OPERATIVI PER IL RICONOSCIMENTO
ALLA LUCE DELLE “LINEE GUIDA”
Sulla base delle nuove disposizioni, ai fini della tutela assicurativa il diritto alla prestazione erogata dall’I.N.A.I.L. si concretizza nel momento in cui risultano soddisfatti i seguenti presupposti normativi:
L’azione patogena sia risultata in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
I suoi effetti lesivi acuti si siano manifestati in tempi compatibili con il periodo di incubazione della malattia, in rapporto cronologico con l’effettivo espletamento del lavoro;
Gli effetti lesivi a distanza si siano resi evidenti prima della scadenza dei termini di
revisionabilità.
Le Linee Guida di recente pubblicazione hanno introdotto elementi esplicati ed innovativi riguardanti essenzialmente il “Campo di applicazione” del citato criterio della
Presunzione Semplice d’origine e ridefinito l’iter concreto di attuazione dello stesso.
Relativamente al campo di applicazione, il Criterio non si applica allorché l’incidente lesivo risulta denunciato all’I.N.A.I.L. a ridosso o a breve distanza dal suo
accadimento data la possibilità di effettuare indagini sierologiche immediate ed
avendo conoscenza dello stato anteriore dell’Assicurato per le disposizioni prevenzionali in materia di rischio biologico introdotte dal D. Lgs. 626 / 94.
Al contrario, esso risulta di grande ausilio nei casi in cui:
L’Assicurato denunci la patologia collegandola ad eventi lesivi subiti in passato per
i quali non sia possibile reperire riscontri oggettivi in merito alla contagiosità degli
stessi (Presunzione della natura infettante del materiale biologico di quel particolare evento).
L’Assicurato denunci la patologia infettiva o parassitaria ricollegandola alla sua attività professionale, senza poter documentare specifici episodi contagianti
(Presunzione dell’accadimento dell’evento lesivo).
Certamente è questa seconda opportunità che costituisce l’elemento innovativo
delle Nuove Linee Guida chiarendo definitivamente i dubbi che in passato si erano
sviluppati circa l’effettivo ampliamento della tutela previdenziale.
Relativamente all’iter operativo, alla luce delle recenti disposizioni, il Principio
risulterà correttamente applicato allorché sia stata accertata la ricorrenza del rischio
professionale specifico in periodi compatibili con la comparsa della malattia e si sia
constatata la concomitante assenza di fattori etiologici extralavorativi.
Nel raffronto con le disposizioni impartite con la lettera del 1.7.93 e con la Circolare
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
n. 74/95, appare evidente come le Nuove Linee Guida abbiano modificato sostanzialmente i criteri interpretativi e di valutazione del Protocollo Operativo allegato,
attribuendo ad esso il valore di uno “strumento di indirizzo” tendente a garantire l’uniformità e la correttezza dei comportamenti valutativi sul territorio nazionale ed al
quale non potrà essere attribuito un valore vincolante e tassativo come precedentemente effettuato.
A riguardo delle condizioni poste dal citato protocollo, le Nuove linee guida autorizzano a considerare:
• non tassativo l’elenco delle figure professionali riportato al punto 1°, essendo dirimente la prova di un contatto frequente con materiali biologici potenzialmente
infetti, per motivi lavorativi;
• di fondamentale rilevanza, ai fini del riconoscimento dell’origine professionale, la
circostanza riportata al punto 3°, vale a dire il transito di Soggetti o la presenza di
materiali biologici infettanti negli ambienti ove si presume sia avvenuto il contatto.
• l’opportunità di raccogliere notizie relative a possibili comportamenti o alla presenza di ulteriori fattori di rischio extraprofessionale, secondo quanto previsto al
punto 4° mediante un’accurata indagine anamnestica e l’acquisizione di riscontri
oggettivi (es. Cartelle Cliniche, certificazioni, indagini di laboratorio precedenti
etc.) pur tenendo nella dovuta considerazione i limiti posti dalla Legge n. 675 del
31 Dicembre 1995 (cosiddetta Legge sulla privacy).
Oltreché realizzare un effettivo ampliamento dell’ambito lavorativo tutelato, le
Nuove Linee Guida chiariscono alcuni aspetti normativi in merito ai quali in passato si erano registrate difformità interpretative.
In particolare, le nuove disposizioni ribadiscono il principio già previsto dall’art. 52
del T.U. 1124/65 secondo il quale la “...decorrenza delle prestazioni non può essere
precedente alla data della denuncia...” e ciò nel caso in cui il riferimento avvenga
per un episodio realmente accaduto, denunciato e dimostrato infettante.
Al contrario, nel caso in cui non sia stato possibile identificare il momento infettante per cui “l’episodio lesivo “debba necessariamente essere presunto, ai fini operativi appare fondato far coincidere la data dell’infortunio con la data della denuncia, in analogia a quanto già avviene per la malattia professionale.
Relativamente ai tempi prescrizionali, nelle fattispecie della malattia-infortunio, e
comunque secondo le indicazioni fornite dalle Nuove Linee Guida, andranno applicate le stesse direttive esistenti per le Malattie professionali.
Così in dettaglio:
• ... se il grado d’inabilità indennizzato in rendita è stato raggiunto prima della
denuncia all’I.N.A.I.L., la prescrizione decorre dalla data in cui l’Assicurato ha
avuto cognizione, secondo criteri di normale conoscibilità, di essere affetto da
malattia infettiva di probabile origine professionale;
• ... se la malattia non ha provocato l’astensione dal lavoro o si è manifestata dopo
l’abbandono della lavorazione morbigena, la prescrizione decorre dalla data di
denuncia all’Istituto assicuratore;
• ... infine, la prescrizione decorre dalla data in cui i postumi hanno raggiunto la
misura indennizzabile se questa è successiva alla data della denuncia.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
A completamento di quest’excursus normativo, occorre ricordare che per gli
Assicurati emotrasfusi a seguito di lesioni riportate in un infortunio lavorativo, infettati da virus epatitici, o da virus HIV, accertata la competenza dell’I.N.A.I.L., se riconosciuti portatori di danno indennizzabile, sussiste il diritto di cumulare le prestazioni fornite dall’Istituto con l’indennizzo erogato ai sensi della Legge n. 210 del 25
Febbraio 1992 ribadite dalla Legge n. 238 del 25 Luglio 1997.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Ad un’attenta analisi del fenomeno infortunistico della malattia-infortunio, con
particolare attenzione al riguardo delle epatopatie virali e all’A.I.D.S., è fondato
ritenere che il ricorso alla presunzione semplice sarà sempre più circoscritto sia:
• per la nuova disciplina prevenzionale introdotta con il D. Lgs 626/94 in merito al
rischio biologico (che prevede la realizzazione di mappe di rischio, controlli medici mirati, registro degli esposti e registro degli eventi accidentali);
• per un’auspicata collaborazione con le strutture sanitarie territoriali, affinché
siano denunciati tutti gli infortuni compresi quelli che potrebbero sembrare di
scarso interesse clinico;
• per la crescente attenzione sociale e sanitaria nei confronti del problema (presupposti culturali e politici che certamente concorreranno sempre di più all’identificazione dell’episodio contagiante).
LA VALUTAZIONE DEL DANNO ALL’ATTITUDINE AL
LAVORO DA EPATITE VIRALE
L’esigenza di redigere un protocollo valutativo del danno all’attitudine al lavoro conseguente ad infezioni da virus dell’epatite e’ scaturita non tanto dal pur sensibile
aumento delle richieste di ammissione all’indennizzo di casi di epatite virale C
occorsi su lavoratori del comparto sanitario, ma piuttosto dall’ampliamento delle
conoscenze circa l’eziopatogenesi e l’evoluzione delle epatiti virali connesso al perfezionamento delle tecniche bioptiche ed allo sviluppo delle metodiche di ingegneria genetica; le nuove acquisizioni scientifiche, infatti, oltre a fornire elementi idonei ad esperire una valutazione della prognosi quoad vitam e quoad valetitudinem
più attendibile e circostanziata che in passato, hanno condotto ad una riformulazione della classificazione nosologica delle virus epatiti croniche.
Il fatto che le indicazioni valutative sino ad oggi espresse nei diversi rapporti giuridici che si occupano del danno alla persona abbiano perso, per questo, gran parte
della loro attualità, non le ha private di quell’interesse e di quel valore tali da rendere il loro riesame propedeutico alla formulazione di una guida valutativa del danno
epatico post epatitico.
Rilevando preliminarmente come la letteratura di merito non offra, in generale,
indicazioni che consentano di superare un certo empirismo valutativo legato al fatto
che il danno epatico viene per lo più distinto in tre o quattro classi o fasce che vanno
dal minimo interessamento disfunzionale del fegato, ancor privo di ripercussioni
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
sulle condizioni generali dell’epatopaziente, alle più gravi manifestazioni cliniche
della cirrosi epatica, si ritiene doveroso, per una completezza di trattazione, riportare qui quanto di specifico riferimento si rileva nella norma scritta per poi far cenno
ad alcune delle proposte di maggior seguito.
Nell’ambito della disciplina della invalidità civile, il Decreto del Ministero della
Sanità del 5.2.92 (“Approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali di
inabilità per le minorazioni e malattie invalidanti”) identifica, in premessa, quattro
classi di compromissione funzionale dell’apparato digerente a prescindere dalla localizzazione e dalla natura della patologica:
“I CLASSE: la malattia determina alterazioni lievi della funzione tali da provocare
disturbi dolorosi saltuari, trattamento medicamentoso non continuativo e stabilizzazione del peso corporeo convenzionale (rilevato dalle tabelle facenti riferimento al
sesso ed alla statura) su valori ottimali. In caso di trattamento chirurgico non devono essere residuati disturbi funzionali o disordini del transito.
II CLASSE: la malattia determina alterazioni funzionali causa di disturbi dolorosi
non continui, trattamento medicamentoso non continuativo, perdita del peso sino
al 10% del valore convenzionale, saltuari disordini del transito intestinale.
III CLASSE: si ha alterazione grave della funzione digestiva, con disturbi dolorosi
molto frequenti, trattamento medicamentoso continuato e dieta costante; perdita
del peso tra il 10 ed il 20% del valore convenzionale, eventuale anemia e presenza
di apprezzabili disordini del transito. Apprezzabili le ripercussioni socio-lavorative.
IV CLASSE: alterazioni gravissime della funzione digestiva, con disturbi dolorosi e
trattamento medicamentoso continuativo, perdita del peso superiore al 20% del
convenzionale, anemia, gravi e costanti disordini del transito intestinale.
Significative le limitazioni in ambito socio-lavorativo.”
La tabella annessa al citato Decreto, poi, espressamente prevede:
• per l’ “Epatite cronica attiva” la misura fissa del 51%;
• per la “Cirrosi epatica con ipertensione portale“una valutazione in fascia dal 71
all’80%;
• per la “Cirrosi epatica con disturbi della personalità (encefalopatia epatica intermittente)” la misura fissa del 95%;
• per le “Neoplasie a prognosi infausta o probabilmente sfavorevole nonostante l’asportazione chirurgica”, fra le quali può comprendersi l’epatocarcinoma, la misura fissa del 100%.
Utile riportare, qui, per la frequente associazione della epatite C con la crioglobulinemia mista essenziale, l’unico riferimento previsto per le alterazioni della frazione
proteica globulinica concernente la “Gammapatia monoclonale benigna”, valutata
nella misura fissa del 25%.
Nella normativa riguardante la pensionistica privilegiata da causa di guerra o di servizio non sono previste voci esplicitamente riguardanti le epatopatie da primitivo
interessamento della cellula epatica; le previsioni riguardanti la “Colecistite cronica
con disfunzione epatica persistente”, di cui alla settima categoria della Tabella A, e la
“Colecistite cronica ed esiti di colecistectomia con persistente disepatismo”, di cui
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
alla ottava categoria della stessa Tabella, attengono, infatti, a patologia nelle quali il
danno epatico e’ solo secondario alla patologia biliare; non resta che un unico generico riferimento cioè quello che ascrive “le affezioni gastroenteriche e delle ghiandole annesse con grave e permanente deperimento organico” alla seconda categoria
della Tabella A (riduzione della capacita’ lavorativa generica dall’80 al 75%), dovendosi procedere, nella valutazione di pregiudizi più o meno gravi, all’attribuzione ad
una delle diverse altre sette categorie della Tabella A, od alla Tabella B, con criteri di
equivalenza a seconda del grado di riduzione della capacità lavorativa generica.
Un breve inciso per far cenno all’indennizzo concesso dallo Stato (Ministero della
Sanità) ai “danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali” (art. 1 comma 3 L
25.2.92, n.210, L. 25.7.97, n. 238); questo e’ condizionato dall’esistenza di una invalidità almeno ascrivibile alla tabella A (e dunque almeno pari al 20%) e rapportato,
nella sua misura, alla tabella B allegata alla legge 29.4.76, n. 177 e successive modifiche (art. 8 L. 2.5.84, n. 111).
Per quanto attiene alle diverse proposte di valutazione del danno epatico, sia in tema
di responsabilità civile che nello specifico giuridico della infortunistica sul lavoro,
brevemente si rammentano la classificazione dello “JAMA” (1968), la proposta
valutativa di Altamura et al (1984) sulla quale era basato anche un “sistema esperto” (LITO-1) di indicizzazione dello stato funzionale del fegato attraverso l’elaborazione informatica della variazione di alcuni dati ematochimici, nonché quella presentata al 50° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro
(Roma, 1987) e riportata, “… a titolo puramente orientativo…” quale “...indicazione di base per una percentualizzazione del danno…” all’attitudine al lavoro, nel
manuale “Elementi pratici di procedura operativa di infortunistica sul lavoro” (G.
Ercolani, A.G Mezzetti) edito dall’Istituto nel 1989.
Secondo lo JAMA possono distinguersi 4 classi di danno:
• Classe 1 (0-10%): malattia epatica sostanzialmente asintomatica con buono stato
di nutrizione e iniziale alterazione del metabolismo della bilirubina e minime alterazioni degli indici di funzionalità epatica.
• Classe 2 (15-25%): presenza di più sensibili alterazioni biochimiche in presenza,
però, ancora di un buono stato di nutrizione e forza muscolare ed in assenza di ittero, ascite e sanguinamento di varici esofagee negli ultimi cinque anni.
• Classe 3 (30-50%): ittero, ascite e sanguinamento di varici esofagee nel corso dell’ultimo anno con compromissione dello stato di nutrizione.
• Classe 4 (60-90%): malattia epatica cronica progressiva con ascite e ittero persistente, sanguinamento di varici esofago-gastriche, interessamento del SNC e stato
di nutrizione in condizione di grave carenza.
Della proposta di Altamura, desta interesse la previsione di variazioni, nell’ambito
di uno stesso grado d’insufficienza epatica (1), della valutazione percentuale del
danno alla capacità lavorativa e del giudizio di idoneità al lavoro a seconda dell’impegno energetico condizionato dall’attività svolta. A titolo di esempio, per il grado
III, la valutazione varia dal 21- 60%, per individui il cui lavoro comporti leggera attività fisica (fino a 200 Kcal/ora), al 71-100% per addetti a lavori “molto pesanti”
(1) Secondo l’Altamura l’insufficienza epatica può essere di quattro gradi entro cui ricondurre il danno anatomofunzionale: transitoria, piccola, media o grave.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
(con dispendio energetico maggiore di 300 Kcal/ora); da un possibile giudizio di idoneità lavorativa riservato ai primi, si passa, nei secondi, alla sua esclusione.
A parte l’interesse più che attuale delle problematiche di squisita pertinenza del
Medico del Lavoro, e’ chiaro che, nello specifico giuridico dell’assicurazione infortuni non potrà tenersi alcun conto dell’eventuale giudizio di non idoneità determinato da misure di ordine profilattico volte sia verso lo stesso ammalato che verso l’utenza; il parametro di riferimento, infatti, così come vuole giurisprudenza corrente
(2) e così come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale (3), non può che
essere la generica attitudine al lavoro industriale (o agricolo), senza possibilità di
alcuna personalizzazione del danno.
Detto parametro - che non coincide con la generica efficienza psico-fisica a compiere qualsiasi attività, la cui lesione e’ presupposto del danno biologico – consiste
in una validità in astratto impiegata in un lavoro manuale di media gravosità; tant’è
che i valori percentuali di cui alla tabella allegata a vigente T.U. recano un inequivocabile plus valore riservato alle menomazioni degli apparati maggiormente coinvolti nell’espletamento del lavoro manuale (4).
Ed allora, in aderenza ed analogia con il dettato dell’articolo 78 del T.U., nella parte
in cui fa collegare il grado di riduzione dell’attitudine al lavoro al valore lavorativo
della funzione lesa, l’innegabile ruolo svolto dalla funzione digestiva nello svolgimento di attività di tipo fisico (5), anche se comportanti un dispendio energetico
solo di media intensità, impongono di attribuire alla insufficienza funzionale del
fegato un valore aggiunto rispetto al quid valutabile in termini di pregiudizio alla
mera validità (danno biologico).
E se ciò risulta equo ed esatto in riferimento ad una categoria esposta, quale quella
degli operatori ecologici le cui mansioni effettivamente presuppongono un medio
dispendio energetico, per i soggetti maggiormente a rischio, ossia per quei lavoratori del comparto della sanità che vengono frequentemente a contatto con materiali
biologici, che non svolgono mansioni comportanti un dispendio energetico pari a
quello dei lavoratori manuali, il plus valore potrà almeno, solo in parte ed indirettamente, sopperire alla impossibilità della considerazione valutativa della capacità
lavorativa attitudinale che in alcuni casi può essere addirittura abolita in ragione
della perduta idoneità alla specifica mansione per motivi profilattici.
Di tale considerazione si era già tenuto conto nella formulazione dell’indirizzo valu(2) Per tutte: Corte di Cassazione – Sez. lavoro. Sent. N. 8058 del 19.7.91: “…L’accertamento della inabilità permanente va compiuto con riguardo alla capacità lavorativa generica… e non già alla capacità lavorativa specifica
(rapportata al lavoro esercitato al tempo dell’infortunio…) o alla capacità lavorativa attitudinale del singolo soggetto”. La sentenza impugnata riguardava la mancata considerazione valutativa dell’ “opportunità”, per un’assicurata colpita da epatite-infortunio, di “evitare nuove occasioni di contagio” con conseguente abbandono del lavoro
nella cui occasione era stata contratta la malattia infettiva.
(3) Corte Costituzionale – Sent. N. 350 del 21.11.97; “…per attitudine al lavoro” deve “…intendersi la capacità
di lavoro generica riferita a qualunque lavoro manuale medio e non la capacità di lavoro specifica o quella capacità
riferita al tipo di lavoro confacente alla qualificazione attitudinale dell’assicurato”. Il caso di specie riguardava una
parrucchiera affetta da dermatite allergica professionale.
(4) Valga per tutti gli altri l’esempio della percentuale del 5% assegnata agli “esiti di frattura della clavicola bene
consolidata, senza limitazione dei movimenti del braccio”; pur in assenza di alterazioni funzionali e di disturbi legati ad una ipertrofia del callo osseo od ad una viziata posizione dei monconi di frattura e’ riconosciuta comunque una
dignità valutativa in termini di lesa attitudine al lavoro evidentemente ricondotta alla ipotizzata limitazione al carico di gravi sulla regione claveare dovuta ad altrettanto ipotizzate reazioni algiche.
(5) Al riguardo si ponga l’attenzione all’unico riferimento valutativo concernente la funzione digestiva di cui alla
tabella dell’Industria: “Perdita di molti denti in modo che risulti gravemente compromessa la funzione masticatoria: a) con possibilità di applicazione di protesi efficace: 11%; b) senza possibilità di applicazione di protesi efficace: 30%.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
tativo di cui al citato manuale edito dall’INAIL che si riporta, per completezza, in
allegato (all. n. 1).
Così come risulta anche dalla rilettura della letteratura di merito, poiché la valutazione del danno epatico deve basarsi sulla entità del danno funzionale, necessaria premessa alla formulazione di qualsiasi protocollo valutativo delle epatiti croniche virali
deve essere la considerazione che la insufficienza epatica e’ solo in parte correlata, per
gravità, con la estensione del danno anatomico; la grande capacità di riserva funzionale del fegato, infatti, fa sì che l’alterazione dei valori dei parametri ematochimici
volti a saggiare le molteplici funzioni epatiche compaia solo quando la lesione ha interessato gran parte del parenchima; ciò, oltre a porre un non trascurabile limite ad una
valutazione esperita sulla scorta solo di un, per quanto circostanziato, dato anatomopatologico, rende necessaria la considerazione simultanea di più ordini di fattori dalla
quale ottenere un quadro che renda evidente, quanto più fedelmente possibile, l’effettivo stato di disfunzionalità epatica al quale correlare il grado di lesa attitudine al lavoro. La valutazione del danno sarà dunque funzione, innanzi tutto, delle condizioni
generali dell’assicurato, della presenza e dell’entità delle variazioni degli indici bioumorali, delle condizioni anatomiche del fegato e della milza ed, infine, della eventuale presenza di segni o sintomi di ipertensione portale.
Per quanto attiene ai numerosi parametri laboratoristici idonei allo studio della funzionalità epatica, si e’ ritenuto di doverne selezionare alcuni per la loro capacità di
essere considerati fedeli indici di sofferenza funzionale dell’epatocita, elettivamente
colpito dai virus dell’epatite, di infiammazione, di citolisi, di colostasi ed, infine, di
probabile evoluzione neoplastica; questi i parametri considerati:
• Transaminasi: il loro aumento e’ indice di citolisi (danno anatomico).
• Albuminemia: la ridotta protidosintesi è diretto indice di funzione epatocellulare.
• Rapporto colesterolo esterificato/ colesterolo libero: la sua riduzione (vn 2/3) e’
indice di insufficienza funzionale dell’epatocita.
• Tempo di protrombina: il suo aumento (o la diminuzione del % di attività) e’
indice di grave interessamento epatico (ovviamente in soggetti non preesistentemente affetti da coagulopatie e non in trattamento anticoagulante).
• Sideremia: un suo aumento (oltre i 180 mcg/100 ml) e’ indice insieme di citolisi
(liberazione di ferritina dagli epatociti) e di ridotta capacità del fegato di captare
il ferro.
• Gammaglobulinemia; l’aumento, in valori assoluti, della gammaglobuline essendo correlato ad una elevata attività mesenchimale e’ indice di attività infiammatoria.
• Bilirubinemia diretta e fosfatasi alcalina: il loro aumento e’ indice di colostasi.
• α1 Fetoproteina: valori superiori a 200 ng/ml sono suggestivi per la presenza di
un epatocarcinoma.
Per quanto attiene, infine, al quadro di stretta pertinenza anatomo-patologica, qualora non possa disporsi dell’esito di una biopsia (6), le condizioni del fegato potranno essere dedotte, oltre che dalla clinica, dai rilievi ecografici, utili anche per evidenziare le condizioni della milza e della circolazione portale.
(6) Sin troppo ovvia l’annotazione che a fini medico legali non può effettuarsi alcuna indagine invasiva; la biopsia
epatica e’ oggi, comunque, più frequentemente effettuata che in passato, sia per determinare, a fini clinici, il grado
di attività dell’infezione che per monitorare gli effetti della terapia con l’interferone.
25
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Tutto ciò premesso ne risulta la seguente tabella valutativa:
Condizioni
generali
Buone
Discrete
Discrete
Mediocri
Scadute
GOT-GPT x 2-3
GOT-GPT x 3-4
GOT-GPT x 5
Sideremia =/↑
Sideremia ↑
Sideremia ↑
A/G >1
A/G = /< 1
A/G<1
Colest. Est. =/↓
Colest. Est ↓
Colest. Est ↓
Bil. Dir. </= 2 mg/dl
Bil. Dir > 2/3 mg/dl
T. Protr. >/ = 70%
T.Protr. < 70%
Epatomegalia
Epatomegalia
Epatomegalia
Incostante, lieve
splenomegalia
Lieve splenomegalia
Splenomegalia
Splenomegalia
Assente
Assente
Iniziale o
conclamata senza
scompenso
Scompensata
11 – 30%
30 – 50%
Alterazioni
Indici
Modeste ed
Bioumorali
Tutti
Sensibilmente
Alterati
Incostanti
Fegato
Lieve
Modesta
epatomegalia epatomegalia
Milza
Normale
Ipertensione
Assente
portale
Valutazione
5 –11%
50–70%
→
CME
100%
·
·
·
CIRROSI
→
EK
A necessario ulteriore commento della tabella, si vuole sottolineare che l’esprimere,
come si e’ fatto nella ipotesi di cui alla prima fascia percentuale, una valutazione
sotto il minimo indennizzabile, ovviamente quando le condizioni dell’assicurato non
sia tali da determinare l’esistenza di una “essenziale” riduzione dell’attitudine al lavoro (art. 74 T.U. 1124/65), fa scivolare in avanti il termine decennale di cristallizzazione ampliando così la possibilità di tener conto delle tardive più gravi manifestazioni della malattia; queste, evidenziate in uscita dallo schema (cirrosi, associazione
con una crioglobulinemia che ha già determinato coinvolgimenti neurologici e/o
renali, epatocarcinoma), qualora esplichino effetti disfunzionali tali da determinare
“alterazioni delle facoltà mentali che apportino gravi perturbamenti della vita organica e sociale” oppure “…la continua o quasi continua degenza a letto” (punti 7 e 8,
tabella allegato 3 al T.U.), potranno dar titolo all’assegno per l’assistenza personale
continuativa.
In specifico riferimento, poi, alla cirrosi epatica si e’ ritenuto utile trasferire i valori
percentuali propri del protocollo valutativo alla classificazione di Child-Pugh per il
motivo che detta classificazione, per quanto redatta al fine di selezionare, fra i
pazienti cirrotici, quelli candidati alla correzione chirurgica della ipertensione portale (intervento di shunt porto-sistemico), viene oggi generalmente impiegata anche
a fini nosografici generali.
26
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
CLASSE
A (compensata)
B (compensabile)
C (scompensata)
Bilirubinemia
< 2 mg/dl
2-3 mg/dl
>3 mg/dl
Albuminemia
>3,5 g/dl
3 – 3,5 g/dl
<3 g/dl
T.Protrombina
(in % attività)
70 – 90%
50 –70%
<50%
Ascite
Assente
Facilmente
controllabile
Difficilmente
controllabile
Encefalopatia
Grado 0
Grado 1-2
Grado 3 – 4
Stato di Nutrizione
Ottimo
Buono
Scarso
Inabilità
50%
→
70%
→
100%
Ancora in riferimento alla lacunosità della tutela assicurativa di quei casi che manifestino le più gravi conseguenze della epatite virale oltre l’ultimo termine revisionale, pur nella consapevolezza di non poter fare, nello specifico giuridico dell’assicurazione infortuni, alcun esplicito riferimento al danno futuro si ritiene che, in prossimità della scadenza decennale, non possa non tenersi conto del valore prognostico
posseduto dall’intensità della flogosi e dall’entità della fibrosi, direttamente desumibile dalle risultanze dell’esame istologico sempre naturalmente che esso sia disponibile; così, nell’ambito delle sufficientemente ampie fasce valutative espresse nel protocollo, si ritiene che nel corso della revisione al decimo anno la percentuale di
danno debba tanto più avvicinarsi al valore massimo quanto più la prognosi e’ sfavorevole. A parte l’annotazione che il virus C e l’agente Delta sono in grado di
determinare forme epatitiche croniche senz’altro più gravi ed evolutive di quanto
non faccia il virus B, gli indici prognostici più attendibili sono oggi ritenuti essere il
grado di intensità della infiammazione, l’entità della necrosi e la stadiazione della
fibrosi.
Dal momento che e’ proprio su detti indici che si basa la ridefinizione nosografica
delle epatiti virali croniche, tali in presenza di marker positivi e rialzo transaminasico perdurante da oltre sei mesi, sembra opportuno farne breve cenno.
Deve, al riguardo, essere premesso che le principali osservazioni che hanno condotto alla nuova classificazione riguardano la frequente coesistenza, in uno stesso prelievo bioptico, di quadri istologici intermedi tra l’epatite cronica persistente e l’attiva e che la stessa epatite cronica attiva può esprimersi in gradi di intensità di necrosi e di attività infiammatoria assai diversi.
La nuova classificazione, dunque, prevede che venga sempre indicato il virus (od i
virus) responsabile e si basa, come si e’ già detto, sul grado di intensità della necrosi
e della attività infiammatoria (da 0 a 18) e sulla intensità della fibrosi (indice di stadiazione da 0 a 6).
27
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Sulla base del punteggio cumulativo, assegnato dagli istologi sulla base della presenza e dell’intensità di epatite periportale e perisettale, di necrosi confluente e panacinare, di attività infiammatoria lobulare e infiammazione portale (allegato n. 2), l’epatite virale cronica viene così classificata:
Attiva
Attiva
Attiva
Attiva
Minima
Lieve
Moderata
Severa
se ha indice di gradazione numerica da
se ha indice di gradazione numerica da
se ha indice di gradazione numerica da
se ha indice di gradazione numerica da
0a 4
4a 9
10 a 15
16 a 18
Pur ritenendo maggiormente corretta una valutazione del danno all’attitudine al
lavoro esperita sulla base dell’effettiva entità del pregiudizio alla funzione epatica
quale risulta dalla valutazione clinica dell’epatopaziente, si e’ ritenuto comunque
utile attribuire un valore percentuale in termini di lesa attitudine al lavoro ai diversi quadri delle alterazioni anatomo-patologiche secondo la nuova classificazione
delle epatiti croniche, tenuto conto delle afferenze disfunzionali che la letteratura di
merito, in linea generale, riconnette ai diversi quadri bioptici; ne sono derivate le
seguenti indicazioni percentuali che presuppongono di poter disporre di una precisa
valutazione esperita in sede bioptica e che, comunque, devono essere intese come
semplice corollario di raffronto con la tabella valutativa precedentemente illustrata:
EPATITE CRONICA MINIMA SENZA FIBROSI
5% – 11%
EPATITE CRONICA LIEVE SENZA FIBROSI
CON FIBROSI
11% - 20%
21% - 25%
EPATITE CRONICA MODERATA SENZA FIBROSI
CON FIBROSI
20% - 30%
30% - 45%
EPATITE CRONICA SEVERA CON FIBROSI → 3
CON FIBROSI → 6
Da virus C associata a CME
40% - 50%
51% - 70%
50% - 100%
CIRROSI EPATICA
50% - 100%
Ca EPATICO
100%
Deve essere precisato che, nella diversa attribuzione di percentuale di inabilita’, per
le epatiti croniche minima e lieve senza fibrosi, in ragione del più volte richiamato
criterio prognostico, riservato, si intende, all’ultima revisione, assume rilievo valutativo il virus responsabile nel senso che la valutazione si avvicinerà più la valore
massimo previsto se l’epatite e’ sostenuta da virus C o da superinfezione δ.
Da ultimo, e sulla scorta del medesimo criterio prognostico, si vuole sottolineare che
anche la presenza di patologie che comportino una severa controindicazione al trattamento con Interferone, rilevata in prossimità dell’ultimo termine revisionale,
28
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
dovrà possedere una supplementare dignità valutativa. A tale riguardo si e’ ritenuto
utile riportare, in allegato n. 3, le principali controindicazioni alla terapia con IFN,
così come risultano dalle indicazioni bibliografiche.
Per rimanere in tema di terapia con interferone può essere utile qui rammentare,
infine, che nel corso del trattamento possono comparire effetti collaterali di intensità tale, non solo da provocare una assoluta inabilità temporanea, ma anche da
imporre la sospensione del trattamento. Solo accennando che l’intensità dei sintomi propri della sindrome simil-influenzale (episodi caratterizzati da febbre, brividi,
cefalea e malessere della durata di quattro – otto ore), che frequentemente si accompagna alle prime somministrazioni, può essere particolarmente elevata nelle prime
due o tre settimane di trattamento, per l’elencazione degli altri effetti collaterali, più
o meno rari, si rinvia allo schema di cui all’allegato n. 4.
ALLEGATO n. 1: proposta valutativa presentata al 50° Congresso Nazionale SIMLII (Roma, 21-24 ottobre
1987) e pubblicata su “Elementi pratici di procedura operativa in infortunistica sul lavoro“(G. Ercolani, A.G. Mezzetti – INAIL 1989)
TIPO
Epatite A
EVOLUZIONE
VALUTAZIONE
POSTUMI EMATOCHIMICI
INDICATIVI
NOTE
Guarigione
Epatite fulm. - Esito
letale
Non postumi
Rendita ai
superstiti
Non cronicizza
Guarigione
Epatite cronica
persistente
Non postumi
Dall’11% al 30% Mov. Enzimatici –Sideremia
Risparmia la struttura
Fondamentale del fegato
Epatite cronica attiva Dal 30% al 70%
Epatite B
NANB
Mov. Enzimatici –Sideremia
Protidogramma
Rapporto esteri/colesterolo totale
Sovvertimento
e distruzione dell’architettura epatica
Protidogramma – bilirubinemia
Rapporto esteri/colesterolo totale
Fibrosi diffusa e sovvertimento della struttura con
formazioni nodulari
abnormi
Cirrosi
Dal 50 al 100%
Morte
Rendita ai
superstiti
Guarigione
Non postumi
Epatite cronica
persistente
Dall’11% al 30% Mov. Enzimatici –Sideremia
Epatite cronica attiva Dal 30% al 70%
Epatite da
Agente
DELTA
Cirrosi
Dal 50 al 100%
Morte
Rendita ai superstiti
Evolve più facilmente verso
la forma cronica attiva e la
cirrosi
Mov. Enzimatici –Sideremia
Protidogramma
Rapporto esteri/colesterolo totale
Protidogramma – bilirubinemia
Rapporto esteri/colesterolo totale
29
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ALLEGATO n. 2: Indici istologici per lo score di gradazione dell’intensità della necrosi e dell’attività infiammatoria.
EPATITE PERIPORTALE E PERISETTALE
0-4
Perdita degli epatociti all’interfaccia tra parenchima e connettivo associata ad infiltrato linfocitario o plasmacellulare degli spazi portali che distrugge la lamina limitante (Piecemal necrosis)
NECROSI CONFLUENTE E PANACINARE
0-6
Necrosi di gruppi adiacenti di epatociti sino a distruggere l’acino con aree di collasso parenchimale
e addensamento delle fibre reticolari residue che uniscono a ponte gli spazi portali e le vene centrolobulari o che si estendono ai lobuli interposti fra gli spazi portali
ATTIVITA’ LOBULARE
0-4
Necrosi di singoli epatociti e raccolta di elementi flogistici nel lobulo epatico con maggiore evidenza fra gli spazi portali
INFIAMMAZIONE PORTALE
0-4
Accumulo di elementi flogistici (infiltrato in prevalenza linfomonocitario) che generalmente non
supera la lamina limitante e non invade il parenchima
TOTALE
ALLEGATO n. 3: Controindicazioni alla terapia con interferone.
CONTROINDICAZIONI ALLA TERAPIA CON IFN
•
IPERSENSIBILITA’
•
GRAVE PATOLOGIA CARDIACA
•
IMPORTANTE INSUFFICIENZA EPATICA O RENALE
•
MIELODEPRESSIONE
•
EPILESSIA O COMPROMISSIONI SNC
•
PZ IN TRATTAMENTO IMMUNOSOPPRESSIVI
•
EPATITE AUTOIMMUNE
30
0 - 18
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ALLEGATO n. 4: Effetti collaterali della terapia con interferone.
IFN: EFFETTI COLLATERALI
COMUNI
•
•
•
•
•
•
•
•
MALESSERE, ASTENIA, ARTROMIALGIE
CEFALEA, FEBBRE, BRIVIDI
INAPPETENZA, NAUSEA
DISTURBI DELLA CONCENTRAZIONE, DEL SONNO
IRRITABILITA’, ANSIA
ALOPECIA
ERITEMA NEL PUNTO DI INOCULAZIONE
GRANULOCITOPENIA E PIASTRINOPENIA (moderata)
MENO COMUNI
•
•
•
•
•
•
•
•
•
VOMITO, DIARREA
MIELOSOPPRESSIONE
VERTIGINI
DEPRESSIONE, ATTACCHI DI PANICO, PSICOSI
TIROIDITE AUTOIMMUNE
SINDROME DI Sjogren
ARTRITI
PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA
ANEMIA EMOLITICA
RARI
•
•
•
•
•
•
•
•
DIABETE MELLITO
INSUFFICIENZA EPATICA
INSUFFICIENZA RENALE
INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA
CONVULSIONI
IMPOTENZA
STOMATITE
PORPORA DI Henoch – Scholnlein
31
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
B.M. ALTAMURA, L. NATARELLA, T. VINCI, R. TENTARELLI: “La valutazione medico legale delle epatopatie croniche”, Sicurezza Sociale, fasc. 30, anno XXXIX, 1984.
G. AVOLIO, T. CIMINO, G. MOLINO: “Valutazione medico legale del danno biologico da epatite”, Riv
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AUTORI VARI: “Digestive system impairment. Livel and biliary tract.”, JAMA, 188, 2, 167, 1964.
G. CORTESE, F. SALAMONE: “Recenti acquisizioni e conseguenti proposte metodologiche e valutative in
ambito medico-legale assicurativo”, Sett. 1997.
V. J DESMET ET AL: “Classification of cronic hepatitis: Diagnosis, Granding and Staging”, Hepatology.
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V. J. DINDZANS: “Il punto sull’epatite virale.”, Stampa Medica 542 (3), 19 febbraio 1993.
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G. MANCUSO: “Epatite virale e assicurazione INAIL”, Riv Inf e Mal Prof, fasc. 4-5, anno LXXVIII,
1991.
M. MORONI, R. ESPOSITO, F. DE LALLA: “Malattie infettive”, Masson Editore. Milano 1998.
M. PIAZZA: “Epatite virale acuta e cronica”, Ghedini Editore, Milano 1994.
M. PIAZZA: “Epatite virale acuta e cronica. Aggiornamento 1997”, Ghedini Editore, Milano 1997.
W.C. MADDREY: “Diagnosi e trattamento delle epatiti virali croniche”, Minuti Menarini. Maggio 1994.
C. SFERRA, A. G. MEZZETTI, F. GIULIETTI: “Considerazioni medico legali in tema di epatite virale infortunio”, 50° Congresso Nazionale SIMLII, Roma, 21-24 ottobre 1987.
C. SFERRA, A.G. MEZZETTI, F. GIULIETTI: “Proposte valutative in relazione al danno da epatite virale
infortunio”, 50° Congresso Nazionale SIMLII. Roma, 21-24 ottobre 1987.
32
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
SECONDA PARTE
RECENTI ACQU ISIZIONI CLINICHE IN TEMA
DI EPATITE VIRALE
Allegati
33
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
RECENTI ACQUISIZIONI CLINICHE IN TEMA DI EPATITE
VIRALE
Il progresso delle tecniche laboratoristiche, in gran parte legato anche all’evoluzione della ingegneria genetica ha, di recente, consentito una migliore conoscenza
degli agenti eziologici della epatite virale propriamente detta, ossia della epatite causata da virus primitivamente epatotropi (Figura n. 1)
Dal 1990 ad oggi, infatti, sono stati identificati, oltre ai virus A, B e C ed alla frazione δ, almeno altri due virus epatotropi:
il virus E ed il virus G
Il virus E (Calicivirus a RNA a catena singola), clonato e sequenziato nel 1990,
riconosce modalità di trasmissione fecale - orale e, al momento, si presenta in condizioni di diffusione endemica solo nei Paesi a clima caldo ed in popolazioni a basso
livello socio economico; non sembra, però, che gli sporadici casi descritti in Europa,
Italia compresa, possano essere tutti ricondotti a soggiorni nei Paesi endemici.
L’infezione e’ dimostrabile attraverso la precoce positivizzazione anticorpale (ricerca
IgM ed IgG anti HEV con metodo immunoenzimatico); la presenza virale nelle feci,
e dunque la possibilità della diffusione, sembra limitata alla settimana precedente
l’esordio clinico della malattia ed al periodo subito seguente; per quanto non si abbia
certezza circa il potere protettivo degli anticorpi non sono stati descritti casi evoluti in cronicizzazione. Merita menzione la particolare ricorrenza di mortalità in donne
che avevano contratto l’infezione al III trimestre di gravidanza (20%?) forse in conseguenza di una localizzazione del virus anche a livello dei tubuli renali (eclampsia?).
Il virus G (Hepacivirus a RNA a catena singola) e’ stato, invece, identificato nel
1995; in realtà sono stati identificati quasi contemporaneamente, da due diversi
gruppi di ricercatori, due virus denominati rispettivamente GB virus C (per la somiglianza dell’organizzazione genomica con quella del virus C) e HGV, che vengono,
comunque, considerati come isolati di uno stesso virus. Il virus G sembra riconoscere modalità trasmissive parenterali e sarebbe in grado di determinare forme di infezione sia acuta e che cronica; non si dispone di dati clinico- epidemiologici più precisi in quanto i metodi idonei a rilevare la presenza anticorpale (solo nel 1997, e’
stato messo a punto un test immunoenzimatico) sono ancora riservati ai laboratori
di ricerca. La diagnosi eziologica, dunque, e’ limitata alla dimostrazione della presenza di HGV – RNA nel sangue con metodiche di amplificazione genica che non
possono trovare impiego routinario.
Il virus F
L’isolamento di una particella simil-virale nelle feci di un soggetto con epatite non A
non E ha fatto ipotizzare l’esistenza anche di un virus F che potrebbe appartenere alla
famiglia delle Paramyxoviridae. Tale ipotesi, però, non risulta ancora confermata.
Il virus B e la frazione δ
Per quanto attiene alle ulteriori conoscenze dei sistemi antigene - anticorpo nella
34
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
epatite da virus B (Orthoepadnavirus a DNA circolare parzialmente a doppia elica),
risulta di indubbio interesse la dimostrazione dell’esistenza di mutazioni puntiformi
del determinate gruppo specifico “a”, comune a tutti i sieri HBsAg positivi (sostituzione in posizione 145 della glicina con arginina). Tali mutazioni sono state evidenziate in soggetti vaccinati contro la epatite B i quali, di seguito di un episodio contagiante, avevano sviluppato una epatite acuta B. Per quanto raro, il fatto che un
soggetto anti HBs positivo, con titolo anticorpale ritenuto protettivo, possa comunque sviluppare una epatite B (epatite da virus B “a” mutante) riveste notevole interesse medico legale e conferma la necessità di effettuare, al tempo zero, l’assetto completo dei marker anzi che, come vorrebbero alcuni dei protocolli di gestione degli
incidenti occupazionale comportanti esposizione ad agenti infettivi degli operatori
delle aziende ospedaliere, limitare l’indagine al solo HBsAb la cui positività, al titolo considerato protettivo, era sino ad oggi considerata garanzia di immunità. Alla
luce delle nuove acquisizioni, invece, la possibilità di infezione, per quanto remota,
impone di seguire i soggetti sieropositivi per l’anticorpo di superficie alla stessa stregua dei sieronegativi. Ovviamente, nel caso in cui un soggetto asintomatico HbsAb
positivo con anamnesi positiva per evento idoneo al contagio manifesti, in tempi
compatibili con il periodo di incubazione, un rialzo transaminasico sarà di fondamentale rilievo, per l’eventuale ammissione all’indennizzo, poter escludere il preesistere dell’antigenemia (HBsAg).
Un altro dato di notevole importanza diagnostica e’ rappresentato dalla identificazione di virus B precore mutanti in grado di provocare epatiti con peculiare tendenza all’evoluzione cirrotica, scarsa sensibilità all’interferone e tendenza alle recidive alla sospensione del trattamento; l’epatite cronica B precore mutante sembra
abbia assunto prevalenza nei soggetti HBsAg positivi di origine orientale e mediterranea. Nei confronti dell’assetto dei marker ciò comporta che alla sieroconversione
da HBeAg a HbeAb non può più essere interpretata come un indice prognostico
favorevole (1) se le indagini non vengono completate dalla ricerca dell’HBV-DNA;
questo, essendo diretta espressione della presenza virale, ovviamente permarrà elevato nei soggetti affetti da epatite cronica B con variante precore mentre, negli altri
casi, tenderà alla negativizzazione. Purtroppo l’elevato costo delle metodiche con le
quali si effettua la ricerca, quali e quantitativa, dell’HBV-DNA (amplificazione genica – PCR = reazione a catena delle polimerasi) impedisce il loro impiego routinario.
Nel rinviare il riepilogo dell’assetto dei marker nello stato di portatore cronico, nella
immunità post-vaccinica e nelle diverse fasi della epatite B e della coinfezione e
superinfezione δ alla figura n. 2, si concludono queste brevi note sui sistemi antigene/anticorpo specifici del virus B, sottolineando i peculiari significati che assumono
l’HBeAg e l’HBcAb. La presenza di HBeAg riflette la presenza nel sangue dei virioni (dell’HBVDNA nel siero) e la sua quantità e’ proporzionale al grado di attività
replicativa del virus nel fegato; ciò rende tale antigene il più fedele indice di infezione, pur se resta l’eccezione delle forme da virus B precore mutante. Le IgM anti
(1) Dal momento che la presenza dell’antigene HBe riflette quali e quantitativamente la presenza ed il grado di
replicazione virale e’ ovvio che alla sieroconversione HBeAg - HBeAb venga attribuito un valore prognostico del
tutto favorevole specie, quando essa, così come avviene in molti dei casi non ancora evoluti verso la cirrosi epatica, si accompagna ad un miglioramento del quadro anatomopatologico; ma e’ altrettanto ovvio che nei casi infettati con variante precore mutante la negatività dell’antigenemia non corrisponde ad una reale scomparsa del virus
bensì alla incapacità del test di rivelarne la presenza a causa dell’intervenuta mutazione.
35
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
HBc devono, invece, essere considerate marcatore di infezione acuta migliore di
quanto non lo sia l’HBsAg; puo’, infatti, non di rado accadere che il soggetto affetto da una forma acuta ad evoluzione favorevole, giunga all’osservazione quando già
l’antigene di superficie sia stato eliminato ( a volte ciò si verifica ancor prima che
siano trascorse le prime tre o quattro settimane dall’esordio clinico); la forma acuta
riscontrata in un soggetto HbsAg positivo, poi, può trovare eziologia in un diverso
virus della epatite (coinfezione). Le IgG anti HBc, devono, invece, essere considerate i migliori marcatori delle pregresse infezioni per il fatto che permangono tutta
la vita, al contrario della frazione anticorpale di superficie che può essere persa.
Nelle figure da 3 a 6 vengono riassunti i movimenti dei marker e delle transaminasi
(GPT) a seconda della evoluzione della epatite B precisando che la cronicizzazione
atipica e’ sostenuta dal
virus B precore mutante; le figure 7 e 8 mostrano, invece, le variazione degli stessi
parametri in caso, rispettivamente, di coinfezione virus B e frazione δ ad evoluzione
favorevole ed in caso di superinfezione δ con evoluzione in cronicizzazione.
Il virus C
Passando a considerare il virus C (Hepacivirus a RNA a catena singola) si riassume
qui che esso possiede una complessa struttura antigenica che rende ragione della difficoltà di mettere a punto delle metodiche di identificazione della presenza antigenica utilizzabili a livello di screening.
A tutt’oggi, infatti, la diagnosi di epatite C si fonda sull’evidenza della risposta anticorpale; i test immunoenzimatici di attuale comune impiego (ELISA II generazione)
non comprendono, pero’, tutte le frazioni anticorpali rivolte alle diverse componenti del virus (proteine strutturali e non strutturali: figura n. 3 in fondo al testo) il che
determina una non trascurabile frequenza di risultati dubbi e la necessità di ricorrere a, più costosi, test di conferma RIBA (recombinant immunoblast assey) di II e/o
III generazione.
La inapplicabilità routinaria delle metodiche di amplificazione genica atte a evidenziare la presenza quali e quantitativa dell’HCVRNA di fatto limita la possibilità di
formulare una diagnosi precoce (l’anti HCV puo’ essere assente all’esordio clinico)
ed un attendibile giudizio prognostico: mentre l’HCV RNA e’ in stretta relazione
quantitativa con l’entità del danno epatico, l’anti HCV ha una lentissima tendenza
alla negativizzazione ed il ritorno delle transaminasi a valori compresi nei limiti di
norma non e’ sicuro indice di guarigione.
Le recenti acquisizioni in tema di epatite C dimostrano, infatti, che nella maggior
parte dei pazienti HCVRNA positivi con transaminasi normali la biopsia epatica
dimostra l’esistenza di epatite cronica e che, nei rimanenti pazienti, non e’ possibile
escludere la successiva comparsa di epatite cronica. Ciò fa oltretutto relegare la condizione di “portatore sano” ad ipotesi del tutto residuali, quasi eccezionali, tanto da
far preferire, per detta condizione, la terminologia di “portatore asintomatico”.
Deve, poi, essere sottolineata l’elevata variabilità genomica dell’HCV; al momento
si riconoscono almeno quattro genotipi maggiori (I, II, III e IV) dei quali il III sembra essere il meno virulento; al contrario al II, che si presenta in maggiore prevalenza
nei soggetti più anziani ed in quelli infettati da più tempo, sembrano riconnettersi le
forme con più intensa viremia.
L’esistenza di numerosi ceppi virali (al genotipo maggiore si associano molto piu’
36
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
numerose varianti di genotipi minori) oltre a risultare di ostacolo alla messa a punto
di uno specifico vaccino ed a comportare la possibilità di reinfezioni in soggetti precedentemente affetti da epatite C, fa sì che in uno stesso individuo possa coesistere
una popolazione virale eterogenea, costituita da elementi tra loro geneticamente
correlati ma non identici; ne conseguono processi di selezione che conducono all’emergenza di quelle varianti genotipiche che meglio possono sfuggire alla sorveglianza immunitaria rendendo così agevole la cronicizzazione che, nella infezione da virus
C, si presenta con una frequenza dell’ordine del 70 – 80% contro quella del 5 –10%
che caratterizza l’epatite B. Utile sottolineare che gli individui infettati con più
ceppi presentano una scarsa riposta alla terapia con interferone.
Per l’assetto dei marker e del movimento transaminasico (GPT) proprio della frequente evoluzione dell’epatite C in cronicizzazione si rinvia allo schema illustrato
nella figura n. 9; nella figura successiva (n. 10) vengono, invece, mostrate le variazioni degli stessi parametri nella rare forme di evoluzione favorevole.
Il virus C e la Crioglobulinemia Mista Essenziale
Già nota la frequente coesistenza di malattie autoimmuni con l’epatite cronica da
virus C (tiroidite, sindrome di Siögren ecc..), un cenno a parte merita la più recente evidenza della peculiare associazione con la crioglobulinemia mista essenziale
(CME: tipo II con una immunoglobulina monoclonale ed una policlonale; tipo III
con due immunoglobuline policlonali). Si pensi che, secondo alcune casistiche,
addirittura il 96% dei pazienti affetti da tale vasculite sistemica causata da deposizione vasale di immunocomplessi e di frazioni di complemento e caratterizzata dalla
triade sintomatologica astenia, porpora cutanea ed artralgie (malattia di Meltzer e
Franklin), sarebbe HCV positivo.
E’ probabile, dunque, che il virus C abbia una diretta implicazione nella patogenesi
della CME con un meccanismo ipotizzato come essenzialmente imperniato su un’autoreattività cellulare ed umorale allo stimolo rappresentato dai linfociti B infettati
dal virus; ne conseguirebbe una espansione clonale di linfociti e, probabilmente,
anche l’attivazione di oncogeni che favorirebbe la non infrequente evoluzione della
CME verso il linfoma di Hodgkin. Non tutti i pazienti affetti da epatite cronica di
tipo C manifestano, fortunatamente, il quadro clinico della crioglobulinemia mista.
Al riguardo e’ stato ipotizzato che solo determinati genotipi del virus C sarebbero in
grado di rappresentare un siffatto stimolo antigenico, il che parrebbe confermato
dalla evidenza di maggiore frequenza di associazione tra epatite C e CME negli stessi soggetti che risultano contemporaneamente infettati da più ceppi cioe’ in quelli
infettati da più tempo, specie se già in evoluzione cirrotica. Un’altra ipotesi parrebbe, invece, più orientata verso fattori genetici legati all’ospite (HLA, attività dei
linfociti natural killer).
37
38
HEPDNAVIRUS
HBV
FLAVIRIDAE
FLAVIRIDAE
HCV
HGV;
GBV-C
DIFETTIVO
PARAMIXOVIRIDAE
HFV (?)
(δ)
CALICIVIRIDAE
HEV
HDV
HEPATOVIRUS
PICORNAVIRUS
HAV
HEPACIVIRUS
HEPACIVIRUS
DELTAVIRUS
ORTHOEPADNAVIRUS
CALICIVIRUS
GENERE
FAMIGLIA
RNA a catena singola
RNA a catena singola
RNA circolare catena singola
DNA circolare parzialmente
a doppia elica
RNA a catena singola
RNA a catena lineare
GENOMA E STRUTTURA
Parenterale
Parenterale
Parenterale
Parenterale
Fecale-orale
Fecale-orale
Fecale-orale
TRASMIS.
Clonato e sequenziato nel
1990
NOTE
Identificati nel 1995 - isolati
di uno stesso virus
Clonato e sequenziato nel
1988
La capacità infettante dipende
Dalla funzione helper
dell’HBV
Particella simil virale isolata
nelle feci di paziente con epatite
NON A NON E
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI VIRUS EPATICI
VIRUS
Figura 1
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ATIPICA
-**
+ (-*)
-
-
-
+
+/-
+/-
+
-
-
HBsAb
In caso di coinfezione o superinfezione Delta si aggiunge la positivizzazione di Anti HD (IgM ed IgG)
+
+
TIPICA
* Sieroconversione con tendenza alla clearence dell’HBV DNA
** Non si accompagna a clearence dell’HBV DNA
CRONICA
-
VACCINALE
-
-
-
GUARIGIONE
-
-
-
CONVALESCENZA
POST INFEZIONE
+/-
+
INFEZIONE ACUTA
HBeAg
+
HBsAg
+
STADIO
EPATITE B
INCUBAZIONE
IMMUNITA’
Figura 2
+
-(+*)
-
-
+/-
+
-/+
-
HBeAb
-
-
-
-
-
+
+
-
IgM
HBcAB
+
+
-
+
+
+
-
-
IgG
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
39
Figura 3
40
-
-
-
6° - 7° SETTIMANA
3 MESI
10 MESI
-
-
-
+/-
+
+
+
-
-
-
+
HBeAg
(HBVDNA)
HBsAg
ESORDIO CLINICO
INCUBAZIONE
da 50 a 180 gg
PERIODO
+
+↓
vn
-
+
+
+↑
vn
-
-
-
IgM
vn
vn
vn
SGPT
HBcAb
HBV A EVOLUZIONE FAVOREVOLE
+
+
+
+
+
+
-
-
-
-
-
-
HBeAb
-
-
IgG
+
+
-
-
+
-
-
HBsAb
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Figura 4
HBsAg
+
+
+
-
PERIODO
6° - 7° SETTIMANA
dall’episodio acuto
3 MESI
Più di un anno
Ancora più tardi
-
+
+/- ↑
-
+
IgM
+
SGPT
-
-
-
PUÒ EVOLVERE IN GUARIGIONE
-
+
+/-
HBeAg
(HBVDNA)
HBcAb
+
+
+
+
IgG
-
+/-
+
+
HBeAb
+
-
-
-
HBsAb
HBV A EVOLUZIONE IN STATO DI PORTATORE CRONICO ASINTOMATICO
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
41
42
HBsAg
+
+
+
+
PERIODO
6° - 7° SETTIMANA
dall’episodio acuto
3 MESI
Più di un anno
Ancora più tardi
+/-*
+
+
+/-
HBeAg
(HBVDNA)
-
+/- ↑
-
+
+/- ↑
+/-
+
IgM
+
SGPT
HBcAb
+
+
+
+
IgG
HBV A EVOLUZIONE IN CRONICIZZAZIONE (TIPICA)
-/+*
-
+
+
HBeAb
-
-
-
-
HBsAb
* la sieroconversione da HBeAg a HBeAb è considerata un indice prognostico favorevole del decorso di HBV cronica e si accompagna a clearence dell’HBV
DNA con miglioramento (se non già presenti alterazioni irreversibili = cirrosi) del quadro istopatologico.
Figura 5
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
-
+
HBeAgHBVDNA+
+
Ancora più tardi
-
+/- ↑
+
+
Più di un anno
+
+/- ↑
+
+
3 MESI
IgM
+
+
6° - 7° SETTIMANA
dall’episodio acuto
SGPT
+
+/-
HBsAg
PERIODO
HBeAg
(HBVDNA)
HBcAb
+
+
+
+
IgG
HBV A EVOLUZIONE IN CRONICIZZAZIONE (ATIPICA)
+
-
+
+
HBeAb
-
-
-
-
HBsAb
* MUTANTE PRECORE HBV: provoca, non di rado, forme epatitiche con particolare tendenza evolutiva verso la cirrosi e poco sensibili all’ITF; è divenuta
prevalente tra i pazienti affetti da epatite cronica HBsAg+ di origine orientale o mediterranea.
Figura 6
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
43
44
+
+
-
-
-
3° SETTIMANA
4° SETTIMANA
6°-7° SETTIMANA
3 MESI
10 MESI
-
-
-
-
-
+/-
+
+
+
-
-
+
+
+↓
+↓
-
-
-
-
vn
-
+
+
+↓
-
vn
+
+↑
+
-
vn
+
-
-
IgM
vn
vn
SGPT
-
-
HBeAg
HDVRNA
(HBVDNA)
HBcAb
+
+
+
+
+
-
-
-
-
IgG
-
-
+
+
+
IgM
-
-
-
-
HBcAb
HBV-HDV A EVOLUZIONE FAVOREVOLE
+
-
HBsAg
ESORDIO CLINICO
INCUBAZIONE
DA 50 A 180 gg
PERIODO
Figura 7
+
+
+↓
+
+
-
-
-
-
-
HBeAb
+
+
+
-
IgG
+
+
-
-
-
-
-
-
-
HBsAb
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
+
+
+
T.variabile da infezione
con HBV
ESORDIO CLINICO
Frequentemente episodio
EPATITICO ACUTO
4° Settimana
+/-
+/-
+/-
+↑
+
+
+/-
SGPT
+
-
HBeAg
HDVRNA
(HBVDNA)
-
-
-
IgM
HBcAb
+
+
+
IgG
+*
+
IgM
-
HBcAb
+*
-
IgG
+
+
+
HBeAb
-
-
-
HBsAb
* Nella maggioranza dei casi persistono per mesi o anni a titolo elevato (1:10.000 o più). Ciò indicherebbe che il paziente è infettante ed ha una malattia evolutiva. In alcuni pazienti, invece, le HDVAb-IgM scompaiono dopo 60-100 gg e le HDVAb-IgG permangono a basso titolo; in questi casi la malattia non tenderebbe alla evolutività.
HBsAg
PERIODO
SUPERINFEZIONE HDV IN HBsAg + CON EVOLUZIONE IN CRONICIZZAZIONE
Figura 8
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
45
46
conferma
screening
c22-3
↓
C
Figura 9
E1
ES/NS1
ENVELOPE
RIBA (II, III)
- {ELISA III generazione: c22-3, c200, NS5 (60% del genoma)}
- ELISA II generazione: c22-3, c100-3 e c-33c (26% del genoma)
CORE
PROTEINE STRUTTURALI
NS2
NS3
c22-3
c100-3
c200*
↓
NS4
NS5
↓
NS5
PROTEINE NON STRUTTURALI
STRUTTURA ANTIGENICA VIRUS C E RELATIVI ANTICORPI
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
HCVRNA*
+
+
PERIODO
5° - 6° SETTIMANA
dall’episodio acuto
Dopo un anno ancora...
+
+
ANTI HCV
HCV A EVOLUZIONE IN CRONICIZZAZIONE
+/-
+/-
SGPT**
** Benché vi siano evidenze che suggeriscono l’esistenza di portatori asintomatici è molto più frequente che un rialzo delle transaminasi, modesto ed incostante, sia presente ma passi misconosciuto.
* Vi è una stretta correlazione tra viremia e danno epatico; diversamente dall’HBV, l’attività replicativa tende, negli anni, ad aumentare progressivamente.
Figura 10
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
47
48
-
-
5° - 6° SETTIMANA
DOPO 1 ANNO
* Diagnosi precoce!!! metodica di biologia molecolare
non utilizzo routinario.
** Negativizza lentamente anche dopo 5 anni dall’episodio acuto!
+
DOPO L’ESORDIO
+
Poco prima dell’esordio clinico
+
+
+
HCVRNA*
Più tardi
Entro pochi gg dal contagio
PERIODO
+**
+↑
+↓
-
+
+/-
+/-
+
+/-
-
-
Anti C100-3
ANTI HCV
+/-
+/-
-
Anti c22-3
Anti c33-c
Anti NS5
HCV A EVOLUZIONE FAVOREVOLE
ESORDIO CLINICO
INCUBAZIONE
DA 50 A 160 gg
Figura 11
Vn
Vn
+
+↑
Vn
Vn
Vn
SPGT
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
ALLEGATI
Lettera del Servizio Normativo Per Le Gestioni Assicurative
Uff. II Area Eventi Tutelati
Roma 1 luglio 1993
Oggetto:
Modalità di trattazione dei casi di epatite virale a trasmissione parenterale e di AIDS.
Pervengono dalle Unità periferiche frequenti richieste di chiarimenti sulle modalità
di istruttoria delle denunce di malattie infettive (prevalentemente epatiti virali>; in
particolare si chiede se le suddette patologie debbano continuare ad essere trattate
come “malattia-infortunio”, secondo l’indirizzo sempre seguito dall’Istituto, o se
invece possano essere esaminate come tecnopatie non tabellate, a norma della
Sentenza no 179/88 della Corte Costituzionale.
Tali quesiti hanno indotto questa Direzione Generale a prendere in esame il problema sotto un profilo di carattere generale, cogliendo anche l’occasione fornita da due
recenti Sentenze della Corte di Cassazione ( n..8058 del 19.7.1991 e n.3090 del
13.3.1992) che, confermando indirizzi già espressi in passato, fanno ritenere che sul
tema l’orientamento della Suprema Corte sia ormai consolidato.
I punti salienti desumibili dalle suddette pronunce sono i seguenti:
- viene ribadito che deve essere considerata causa violenta di infortunio sul lavoro
anche l’azione di fattori microbici e virali che, penetrando nell’organismo umano,
ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomico-fisiologico, semprechè tale
azione - pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo- sia in rapporto con
lo svolgimento dell’attività lavorativa;
- viene specificato che la mancata dimostrazione dell’episodio specifico di penetrazione nell’organismo del fattore patogeno non può ritenersi preclusiva della ammissione alla tutela, essendo giustificato ritenere raggiunta la prova dell’avvenuto contagio per motivi professionali quando, anche attraverso presunzioni, si giunga a stabilire che l’evento infettante si è verificato in relazione con l’attività lavorativa. E
perché si abbia una presunzione giuridicamente valida non occorre che i fatti su cui
essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal
secondo come conseguenza ragionevole possibile e verosimile secondo un criterio di
normalità (cosiddetta “presunzione semplice”)
Da un lato, dunque, le sentenze della Cassazione costituiscono una ulteriore conferma
del tradizionale orientamento dottrinale e giurisprudenziale che, equiparando la causa
virulenta alla causa violenta, ha da sempre consentito la tutela delle patologie in
esame attraverso il loro inquadramento assicurativo nella categoria degli infortuni.
Dall’altro lato, invece, le suddette pronunce obbligano ad affrontare un problema
nuovo, e cioè quello di disciplinare organicamente l’estensione della tutela anche ai
casi nei quali non sia identificabile l’esatto evento che ha determinato il contagio,
ovverosia di definire, con criteri certi ed omogenei a livello nazionale, quando pos49
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
sano ritenersi ricorrenti quelle circostanze gravi, precise e concordanti“che, in base
all’art. 2729 c.c., configurano la presunzione semplice.
La questione delle presunzioni riguarda, ovviamente, non solo l’epatite virale e
l’AIDS ma qualunque malattia infettiva e parassitaria; si è programmata al riguardo
l’elaborazione di una apposita “guida diagnostica” da utilizzare come supporto per
l’accertamento medico-legale di tutte le infezioni e le infestazioni, che si fa riserva
di distribuire quanto prima possibile.
Nel frattempo, tuttavia, si è ritenuto che fosse improcrastinabile affrontare il problema delle modalità di trattazione delle malattie infettive a trasmissione parenterale, sia
perché esse costituiscono il fenomeno di dimensioni più vaste, sia perché presentano
maggiori difficoltà nell’identificazione delle cause che hanno determinato il contagio.
Si è pertanto predisposto un “protocollo per le presunzioni semplici” nel quale, limitatamente alle epatiti da virus B e C, alla superinfezione epatitica da agente Delta e
all’Aids, sono state individuate le circostanze oggettive concomitanti che devono
ricorrere perché l’evento infettante, di cui sia stato impossibile accertare il preciso
momento di accadimento, possa considerarsi “presunto” (allegato 1).
Allorché ricorrano tutte le suddette condizioni, la malattia infettiva denunciata può
essere ammessa alle prestazioni
Il ricorso alla “presunzione semplice” potrebbe essere evitato, o quantomeno considerevolmente circoscritto, e il riconoscimento della tutela assicurativa sarebbe reso
scientificamente più rigoroso, e probabilmente anche più ampio rispetto alle limitazioni contenute nel protocollo, se fosse possibile, nell’immediatezza dell’evento lesivo lavorativo, eseguire quei test di laboratorio ed acquisire quei dati anamnestici che
permetterebbero di stabilire senza dubbio l’effettiva responsabilità contagiante dell’evento stesso.
Quella sopraindicata sarebbe certamente la soluzione ottimale, ma la sua praticabilità postula l’attivo coinvolgimento delle strutture sanitarie pubbliche e private,
dalle quali dipendono gli operatori che costituiscono le categorie a maggiore rischio,
e alle quali, comunque, si rivolgono di regola i lavoratori cui sia occorso un incidente
lesivo potenzialmente infettante.
Sulla base di queste considerazioni, e ferme restando le disposizioni contenute nella
prima parte della presente lettera, questa Direzione Generale è intenzionata a sperimentare, per il futuro, una diversa procedura istruttoria delle denunce delle patologie in esame, sensibilizzando sul problema le predette strutture sanitarie e sollecitandone la fattiva collaborazione.
Allo scopo è stata predisposta una scheda di indagine diagnostica, nella quale sono
stati individuati gli accertamenti di laboratorio da svolgere e gli elementi conoscitivi da raccogliere nell’immediatezza dell’evento lesivo che l’assicurato dichiara occorso in relazione con l’attività lavorativa ( all. n 2).
Tale scheda dovrà essere distribuita a tutte le strutture sanitarie operanti nel territorio affinché essa, debitamente e tempestivamente compilata, venga sempre allegata
alle denunce di lesioni da strumenti puntutì o taglienti o di sospette contaminazioni congiuntivali, mucose e cutanee per soluzione di continuo.
50
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Nel diffondere il modulo e nel contattare gli operatori del settore, si avrà cura di sottolineare il significato e gli scopi dell’iniziativa assunta dall’Istituto, che sono quelli
di consentire la più ampia e rigorosa applicazione delle garanzie assicurative a tutti i
lavoratori che abbiano contratto la malattia per effettivi motivi di lavoro.
Considerato il carattere, come si è detto, sperimentale dell’iniziativa, per il momento le schede saranno riprodotte direttamente dalle Unità periferiche in quantità da
determinare secondo le esigenze locali; successivamente, si esaminerà l’opportunità
di inserire la scheda stessa, eventualmente integrata o rettificata in relazione alle
indicazioni che emergeranno dalla sua pratica applicazione, nella modulistica ufficiale dell’INAIL.
Si pregano le SS.LL. di seguire la questione particolare attenzione e, dopo un congruo periodo verifica, di riferire sui risultati fornendo altresì utile suggerimento.
Coerentemente con tutto quanto sovraesposto precisa infine che, fino a quando non
interverranno materia nuovi indirizzi legislativi o giurisprudenziali, è possibile prendere in esame casi di epatiti virali o AIDS come malattie professionali non tabellate.
Pertanto, nelle ipotesi di denunce presentate ai sensi della sentenza n. 179/88, si
dovrà procedere comunque all’apertura della pratica e contemporaneamente si
dovrà invitare l’assicurato a riformulare subito la domanda - pena la sua reiezione come denuncia di infortunio.
Eventuali difficoltà dovranno tempestivamente segnalate a questa Direzione
Servizio normativo per le gestioni assicurative.
Allegati
Circolare n.74/1995
Oggetto: Modalità di trattazione delle malattie infettive e parassitarie
Inquadramento assicurativo
Con la lettera del 1° luglio 1993 si dispose tra l’altro, di trattare i casi di epatite virale a trasmissione parenterale e di AIDS come infortuni sul lavoro, e non come
malattie professionali non tabellate.
Viene posto ora il quesito se la suddetta direttiva debba considerarsi valida anche per
tutte le altre malattie infettive e parassitarie, in particolare per quelle a trasmissione
inapparente per le quali è impossibile stabilire il momento contagiante.
E’ noto al riguardo, che la nozione giuridico-dottrinaria di “malattia-infortunio”,
fondata sull’equiparazione della causa virulenta alla causa violenta, ha da sempre
consentito, nella legislazione italiana, la tutela delle patologie in esame attraverso il
loro inquadramento assicurativo nella categoria infortuni.
E’ pur vero, d’altra parte, che grazie al progressivo consolidamento del sistema misto
di tutela delle malattie professionali da un lato, e al sempre più accelerato perfe51
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
zionamento delle metodologie specialistiche di accertamento delle patologie professionali dall’altro, sussistono oggi le premesse per garantire la protezione assicurativa
delle malattie infettive e parassitarie anche senza il ricorso alla suddetta nozione di
“malattia-infortunio”.
In tal senso, d’altronde, sembra muoversi la giurisprudenza che, pur confermando il
tradizionale indirizzo, non esclude tuttavia che questo tipo di affezioni morbose possano essere tutelate anche come malattie professionali non tabellate, ai sensi della
sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988.
Alla luce di quanto sopra questa Direzione generale, anche nella prospettiva di pervenire in materia alla armonizzazione della legislazione italiana con quella comunitaria, ha programmato uno studio sulle problematiche giuridiche e medico-legali
collegate con l’eventuale scelta di inquadrare assicurativamente le patologie di cui
si tratta nell’ambito delle malattie professionali.
Nel frattempo si conferma che tutte le malattie infettive e parassitarie devono
continuare ad essere trattate come infortuni sul lavoro (salvo, ovviamente,
l’Anchilostomiasi).
Si coglie l’occasione per precisare - in relazione a specifici interrogativi formulati da
alcune Unità periferiche - che tra le malattie in esame deve considerarsi rientrante
anche la patologia tubercolare, per la quale la sussistenza della speciale assicurazione
obbligatoria gestita daII’INPS non è preclusiva dell’eventuale tutela INAIL; i due regimi assicurativi, infatti, devono considerarsi coesistenti, con competenza esclusiva ed
inderogabile dell’INAIL in caso di tubercolosi di comprovata origine professionale.
E’ necessario, peraltro, che i casi di tubercolosi riconosciuti di origine professionale,
e conseguentemente ammessi alle prestazioni INAIL, siano tempestivamente segnalati alla locale Sede INPS.
RILEVAZIONE DATI GESTIONALI
Per una corretta gestione del fenomeno delle infezioni ed infestazioni di origine
lavorativa, anche ai fini dello studio che - come sopra detto - si intende svolgere sull’argomento, è necessario disporre di tutte le informazioni circa le sue caratteristiche
e dimensioni.
A tale scopo, si è ritenuto opportuno revisionare il Settore I del vigente codice nosologico degli infortuni (Codice E), per apportarvi le modifiche rese necessarie dall’emergenza di nuove malattie infettive e dagli sviluppi delle conoscenze mediche.
In particolare, sono state inserite nuove patologie (AIDS; Malattia di Lyme; per la
T.B.C.: infiltrato precoce o di Asmann-Redeker; Legionellosi; Infezione da virus
Ebola), sono stati articolati i codici relativi alla epatite infettiva e alla echinococcosi, sono state ridescritte le malattie da rickettsie, sono stati attribuiti sottocodici
specifici alla Meningoencefalite ed alla Aspergillosi.
L’aggiornamento del Settore I del Codice E viene allegato alla presente circolare
(allegati n. i per l’elenco numerico e n. 2 per quello alfabetico) e sarà operante non
appena ultimati i lavori di adeguamento dei programmi nelle procedure automatizzate.
52
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Nel raccomandare la massima attenzione e cura nella individuazione e digitazione
dei dati, si dispone che:
l’area sanitaria identifichi, e annoti nell’apposito riquadro della sottocopertina mod. 11
SS, il codice nosologico della patologia, utilizzando il nuovo Settore I del Codice E;
• l’operatore amministrativo, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni mediche, digiti il codice nosologico nel campo COD. E nella mappa “dati sanitari di
base” della procedura infortuni;
• per tutti indistintamente i casi denunciati, compresi quindi quelli definiti
negativamente, siano acquisite nell’archivio magnetico:
• per la gestione industria: posizione assicurativa, nonché qualifica professionale e
• assicurativa del lavoratore;
• per la gestione agricoltura: attività agricola e genere di lavoro agricolo, nonché
qualifica professionale e assicurativa del lavoratore.
SCHEDE DIAGNOSTICHE
Per fornire un supporto al corretto ed omogeneo accertamento medico-legale delle
malattie di cui trattasi, sono state predisposte, e già inviate alle Unità operative,
apposite schede di indagine diagnostica relativamente alle patologie di più frequente ricorrenza, che con l’occasione si ritiene opportuno ridistribuire (allegati da n. 3
a n. 8).
Tali schede, che vanno ad aggiungersi a quelle a suo tempo trasmesse con la lettera
del 10 luglio 1993 sulle epatiti virali e sulI’AIDS che pure si ridistribuiscono (allegato n. 9), consentono di acquisire in maniera completa ed ordinata tutti gli elementi necessari per esprimere una motivata valutazione in tema di nesso causale.
Nel far riserva di elaborare ulteriori protocolli su altre patologie, si ribadiscono le
linee generali, basilari ed imprescindibili, che vanno seguite indistintamente per
tutti i casi di denunce di infezioni ed infestazioni:
1. effettuare indagini di laboratorio specifiche per la patologia denunciata;
2. accertare se il tipo di mansioni svolte dall’assicurato comporta l’effettivo rischio
di contrarre la malattia;
3. verificare la presenza o meno di identica infezione in colleghi di lavoro, o in
persone assistite, o in animali contattati per motivi di lavoro;
4. verificare la presenza o meno di identica infezione in familiari o animali domestici;
5. svolgere indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni di cui ai precedenti
punti 3 e 4.
Linee guida per la trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie.
1. Conferma dell’inquadramento assicurativo delle malattie infettive e parassitarie nella categoria degli infortuni.
A conclusione dell’approfondimento condotto sul tema delle malattie infettive e
parassitarie anche alla luce degli elementi di valutazione forniti dalle Unità periferi53
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
che nel corso della ricognizione nazionale appositamente effettuata, si è giunti alla
determinazione di confermare il vigente indirizzo in base al quale le suddette affezioni morbose sono assicurativamente inquadrate nella categoria degli infortuni
Tale decisione scaturisce innanzitutto da motivazioni giuridiche e medico-legali; si è
ritenuta, infatti, ancora pienamente attuale la tradizionale equiparazione tra causa violenta e causa virulenta, equiparazione che, identificando il fatto violento nell’azione
biologica concentrata del fattore microbico o virale penetrato nell’organismo, a prescindere dal carattere - traumatico o meno - delle modalità di ingresso del germe patogeno, giustifica la qualificazione assicurativa di queste patologie come infortuni.
Alla suddetta scelta, inoltre, non è estranea la considerazione che l’ eventuale inquadramento nell’ambito della malattie professionali avrebbe, complessivamente, determinato una riduzione della tutela assicurativa in quanto, pur con le più ampie garanzie fornite oggi dal sistema misto, l’ inserimento legislativo in tabella avrebbe
comunque comportato una rigida e tassativa elencazione delle lavorazioni a rischio
e conseguentemente, un gravoso onere probatorio per le categorie di lavoratori
escluse.
Di contro, la qualificazione come infortunio permette un pronto e duttile adeguamento dei confini i della tutela alle situazioni di rischio professionale, sia già note
che emergenti, anche grazie al criterio della “presunzione semplice”, che consente a determinate condizioni - di estendere la protezione assicurativa pure alle ipotesi in
cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica o impossibile.
2. Chiarimenti in ordine alla applicazione del criterio della presunzione semplice.
Sull’argomento è utile innanzitutto riassumere i principi affermati dalla Corte di
Cassazione.
Partendo dal presupposto che, per essere indennizzabile, “la malattia-infortunio deve
costituire una conseguenza dell’esposizione del soggetto infortunato a un determinato rischio professionale” e riconoscendo la “difficoltà della dimostrazione assoluta
del rapporto eziologico tra l’agente patogeno e l’effetto invalidante”, già con sentenza n. 5764/82 la Corte sostenne che a tale difficoltà si può sopperire con il ricorso a “presunzioni semplici e alla concorrenza di determinate circostanze obiettive”;
con questa pronuncia, perciò, la Corte ritenne che fosse possibile presumere, a certe
condizioni, la natura infettante dell’ evento professionale.
Con le successive sentenze nn. 8058/1991 e 3090/1992 la Cassazione ha ulteriormente articolato il suddetto principio, affermando - seppure implicitamente- la possibilità di seguire il procedimento presuntivo con riguardo non solo alla natura infettante dell’evento, ma anche all ‘accadimento dell’evento stesso; infatti, con riferimento ad una fattispecie in cui non era stato provato l’ episodio lavorativo che
aveva determinato la penetrazione del fattore patogenetico nell’organismo, la
Suprema Corte ha statuito che quando non sia individuabile lo specifico episodio
che ha generato la malattia, è giustificato ritenere raggiunta la prova della causa vio54
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
lenta (intesa come penetrazione del fattore patogenetico) allorché “sia provata,
anche attraverso presunzioni, la possibilità che detta causa violenta si sia verificata”.
Ed ha aggiunto che, “al fine di aversi una presunzione giuridicamente valida, non
occorre che i fatti su cui essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come i ‘unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal secondo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile
secondo un criterio di normalità” (presunzione semplice di cui all’art. 2729 c.c.).
Tali principi sono stati confermati con le recenti sentenze nn. 1373 e 6390/1998.
L’ insieme delle argomentazioni contenute nelle soprarichamate sentenze consente di
trarre le seguenti conclusioni, con riferimento sia al campo di applicazione del criterio
della presunzione semplice sia alle modalità da seguire per la sua concreta attuazione.
A - Il criterio della presunzione semplice non si applica nei casi in cui l’ incidente
lesivo potenzialmente contagiante è denunciato all’INAIL a ridosso o a breve
distanza dal suo accadimento. In questa ipotesi, infatti, è possibile per l’istituto effettuare tutte le necessarie indagini per verificare la ricorrenza sia dell’occasione di
lavoro sia del nesso di causalità con la patologia già insorta o che dovesse insorgere,
indagini oggi agevolate della disciplina introdotta in materia di rischio biologico
dalla recente normativa prevenzionale.
B - Invece, quando l’assicurato denuncia la patologia collegandola a uno o più documentati eventi lesivi subiti in passato e, a causa del tempo trascorso, non sia possibile reperire riscontri oggettivi della natura contagiante di quegli eventi, si deve
ricorrere al criterio presuntivo.
C - Sulla base dei principi affermati dalla Corte di Cassazione, ma anche per evidenti ragioni analogiche e per evitare immotivate disparità di trattamento, la presunzione semplice va applicata pure ai casi in cui l’ assicurato denuncia la patologia
ricollegandola alla sua attività professionale senza Indicare -o pur indicandoli senza
essere in grado di documentare- specifici episodi contagianti.
D - Alle suddette situazioni vanno assimilati i casi nei quali le modalità di trasmissione dell’agente eziologico rendono, per definizione, impossibile l’identificazione
dell’evento contagiante.
Quanto al concreto iter di attuazione della presunzione semplice, non può che farsi
riferimento all’insegnamento della Suprema Corte, In base al quale la presunzione è
giuridicamente valida quando si può risalire dall’insieme dei fatti noti e accertabili al
fatto ignoto (e cioè l’evento professionale contagiante), con un procedimento fondato sulla ragionevole possibilità e verosimiglianza secondo un criterio di normalità.
Sotto il profilo operativo ciò significa sostanzialmente che il procedimento presuntivo è correttamente applicato quando si accerta:
- la ricorrenza del rischio professionale specifico in periodi compatibili con la comparsa della malattia;
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
- la contestuale assenza di fattori eziologici extralavorativi.
In questo senso, con la circolare n. 74/1995 furono emanate istruzioni circa le linee
generali, basilari ed imprescindibili, che vanno seguite indistintamente in tutti i casi
di denunce di infezioni ed infestazioni, istruzioni che qui si confermano integralmente.
3 Protocollo delle presunzioni semplici per i casi di epatiti virali a trasmissione
parenterale e di AIDS denunciati da operatori sanitari.
Questo protocollo, distribuito con la lettera del 1° luglio 1993 e poi allegato alla circolare n. 74/1995, si colloca nell’ambito dei principi di diritto sopradescritti e ne
costituisce una concreta attuazione con riguardo ad un settore, quello sanitario, nel
quale si concentra la quantità maggiore di denunce di malattie infettive.
L’esigenza di un protocollo specifico scaturiva, per un verso dalla constatazione che
il rischio di epatiti e di AIDS presenta per gli operatori sanitari un carattere preponderante, e per un altro dal fatto che tali patologie hanno nel nostro paese una
diffusione endemica, per cui era necessario stabilire linee guida il più possibile omogenee a supporto dell’accertamento medico-legale.
Il documento, quindi, costituisce essenzialmente uno strumento di indirizzo finalizzato a garantire uniformità e correttezza di comportamenti sul territorio nazionale;
perciò ad esso non può essere attribuito un valore vincolante, nel senso che’ laddove le indagini consentano di riconoscere l’esistenza delle circostanze “gravi, precise
e concordanti” che configurano la presunzione semplice, l’eventuale mancata corrispondenza con tutte le previsioni del protocollo non può considerarsi preclusiva dell’indennizzabilità del caso.
Con queste precisazioni si ritiene di aver dato risposta alla maggior parte dei quesiti
interpretativi riguardanti i singoli punti del protocollo, circa i quali, comunque, può
essere utile qualche ulteriore chiarimento
A- L’elenco delle figure professionali riportato al punto 1) del Protocollo non ha
carattere tassativo in quanto dirimente è soltanto la provata circostanza che l’assicurato, qualunque siano le sue mansioni, viene frequentemente a contatto con sangue, liquidi biologici e componenti tissutali, per motivi lavorativi
Si è comunque ravvisata l’opportunità di semplificare il suddetto elenco come segue.
- personale sanitario e parasanitario che svolge effettiva attività clinica;
- personale addetto alla manipolazione di sangue, liquidi biologici e componenti
tissutali per accertamenti e/o ricerche di laboratorio o autoptiche;
- personale addetto alla pulizia di strumenti e biancheria inquinati da sangue, liquidi biologici e componenti tissutali;
- personale addetto al rigoverno di ambienti inquinati da sangue, liquidi biologici e
componenti tissutali.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
B- La circostanza riportata al punto 3) del citato Protocollo, e cioè che negli
ambienti dove si presume sia avvenuto il contatto devono essere transitati soggetti
o materiali biologici potenzialmente in grado di trasmettere il contagio, costituisce
un elemento di fondamentale rilevanza ai finì del riconoscimento dell’eziologia professionale.
Tuttavia, qualora non si abbia la possibilità di acquisire riscontri diretti, ogni notizia
che indirettamente consenta di qualificare detti soggetti o materiali come potenzialmente infetti può risultare utile per il convincimento medico-legale.
C- Le notizie su comportamenti extraprofessionali “a rischio” possono essere raccolte soltanto tramite l’anamnesi; si ricorda, però, che sussistono fattori di rischio extralavorativi per i quali è possibile e necessario acquisire riscontri oggettivi (trasfusioni, interventi chirurgici, - trattamenti odontoiatrici, emopatie, ecc.).
4 Scheda di indagine diagnostica per i casi di infortunio da causa virulenta a trasmissione parenterale.
E’ fondato ritenere che, tendenzialmente, la necessità di ricorrere al criterio della
presunzione semplice sarà sempre più circoscritta, considerato che, da un lato la
disciplina introdotta dal D.l.vo n. 626/94 in tema di rischio biologico (documento
valutativo del rischio, mirati controlli medici, registro degli esposti, registro degli
eventi accidentali), dall’altro la complessiva crescita dell’attenzione sociale e sanitaria nei confronti del problema, pongono oggi le condizioni per superare le difficoltà legate alla individuazione dello specifico episodio contagiante e per garantire,
quindi, una effettiva, rigorosa e probabilmente più ampia tutela assicurativa.
Come noto, già dal 1993 l’INAIL si attivò in questa direzione, predisponendo una
scheda di indagine diagnostica da allegare alla denuncia di infortunio da causa virulenta a trasmissione parenterale e distribuendola alle strutture sanitarie pubbliche e
private, dalle quali dipendono i lavoratori che costituiscono le categorie a maggiore
rischio e alle quali si rivolgono di regola gli altri lavoratori coi sia occorso un incidente potenzialmente infettate.
Dalle notizie fornite in occasione della ricognizione nazionale citata al punto I, risulta che l’iniziativa dell’Istituto ha dato complessivamente buoni risultati, anche se
non tutte le Direzioni Regionali hanno riferito sull’argomento.
Si raccomanda di proseguire, o di avviare subito laddove non vi si fosse ancora provveduto adeguatamente, nell’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento delle predette strutture sanitarie, ponendo l’ accento sulla opportunità che all’INAIL vengano subito denunciati - ovviamente con il corredo della scheda diagnostica- anche gli
infortuni di scarso interesse clinico (punture d’ ago, ferite superficiali, ecc.) che non
comportano assenza dal lavoro o hanno una prognosi non superiore a tre giorni.
E ciò anche nel quadro dei recenti indirizzi contenuti nella lettera del 28 luglio u.s.
(avente per oggetto “finalizzazione prevenzionale della missione assicurativa”), mirati a costruire una rete di collaborazioni interattive con gli organismi sanitari territo57
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
riali, presupposto indispensabile per una sempre più completa e rigorosa tutela assicurativa di tutti gli eventi di origine professionale.
Oltre che verso le strutture sanitarie, è opportuno attivare interventi di sensibilizzazione anche nei confronti degli altri datori di lavoro che svolgono attività comportanti la presenza del rischio di coi si tratta, invitandoli - dopo aver adeguatamente
illustrato Il significato e le finalità dell’iniziativa- a rinviare all’INAIL la denuncia/segnalazione degli infortuni potenzialmente infettanti anche quando non determinano astensione dal lavoro o hanno una prognosi non superiore a tre giorni.
Circa le difficoltà che sono state segnalate nei rapporti con le strutture sanitarie, si
rappresentano le seguenti soluzioni, con riserva di ulteriori istruzioni in relazione alle
eventuali problematiche che dovessero emergere.
A- Qualora le strutture sanitarie forniscano i dati contenuti nella scheda diagnostica INAIL utilizzando moduli diversi, autonomamente elaborati, e tali dati non risultino completi a finì medico-legali, le Unità periferiche possono provvedere direttamente alla loro integrazione eseguendo gli accertamenti a cura e spese dell’Istituto.
B- Nei casi in cui le strutture sanitarie che prestano il primo soccorso non abbiano
eseguito gli esami di laboratorio né vi abbiano provveduto autonomamente gli assicurati che hanno subito l’infortunio, le Unità periferiche potranno effettuare gli
esami stessi con onere a carico dell’Istituto ove ne ravvisino la necessità (ad es. per
gli addetti alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti).
C- Se la struttura sanitaria che effettua il primo soccorso e che compila la scheda
non coincide con il datore di lavoro, essa dovrebbe consegnare all ‘assicurato la
scheda stessa invitandolo a presentare il documento direttamente all’INAIL ed a
comunicare i infortunio al datore di lavoro, per la denunciai segnalazione all’Istituto
anche se la prognosi non supera i tre giorni.
D- In modo analogo si dovrebbe procedere nei casi in cui i presidi sanitari non intendano inviare la scheda all’INAIL frapponendo problemi di riservatezza.
5. Determinazione della data dell’evento ai fini amministrativi quando l ‘episodio
infettante viene presunto
Il problema non ha rilevanza ai fini indennitari in quanto le prestazioni non possono comunque decorrere da un momento precedente alla data della denuncia (art. 52
T.U.)
Difficoltà invece potrebbero sussistere per determinare il dies a quo della prescrizione e, sebbene molto più raramente, per stabilire la data di decorrenza del termine
decennale previsto dal penultimo comma dell’art. 83 T.U.
Si ritiene che tali difficoltà possano essere risolte applicando per analogia le disposizioni vigenti in materia di malattie professionali, analogia giustificata da alcune
caratteristiche che le due fattispecie presentano in comune.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
In entrambi i casi, infatti, la manifestazione della patologia può presentare aspetti di
incertezza e di opinabilità, sia quanto al suo momento di emersione, sia quanto alla
sua causa, sia infine quanto alla sua incidenza sulla attitudine lavorativa. Può accadere, dunque, come per le malattie professionali, che il lavoratore tardi a presentare
la denuncia non per inerzia, ma perché non è consapevole di avere una inabilità di
origine lavorativa e non è, quindi, nelle condizioni di esercitare il proprio diritto.
Ciò stante, quando non sia individuabile lo specifico episodio che ha generato la
malattia e l ‘episodio stesso è stato perciò presunto (quando, cioè, ricorrono le ipotesi di cui ai precedenti punti 2B, 2C e 2D), si ravvisa fondato ai fini amministrativi far coincidere la data dell’ infortunio con la data della denuncia.
Ne consegue che, sotto il profilo prescrizionale, vanno applicate le direttive vigenti
in materia di malattie professionali (cfr. Guida alla revisione delle rendite allegata
alla circolare n. 71/1996, paragrafo F, pag. 27); in particolare, se il grado di inabilità
suscettibile di indennizzo in rendita è stato raggiunto prima della denuncia
all’INAIL, la prescrizione decorre dalla data in cui l’ assicurato ha avuto cognizione,
secondo criteri di normale conoscibilità, di essere affetto da malattia infettiva o
parassitaria di probabile origine professionale con danno indennizzabile in rendita.
S’intende, inoltre, che gli oneri relativi alle prestazioni vanno caricati sulla posizione assicurativa del datore di lavoro alle dipendenze del quale l’ assicurato ha “presuntivamente” contratto il contagio.
Sentenze della cassazione sezione lavoro
Sentenza n.01373/98
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 3 settembre 1993 CAPRIO Antonietta chiedeva al Pretore
di Bari la condanna dell’INAIL al pagamento della rendita per la inabilità permanente provocata da una epatopatia di natura professionale, nella misura da accertarsi mediante consulenza tecnica di ufficio. Lamentava che il procedimento amministrativo si era concluso negativamente.
Instauratosi il contraddittorio, l’INAIL costituitosi negava il nesso causale tra l’epatopatia e la lavorazione svolta.
Espletata C.T.U., con sentenza del 18.4.1994 l’adito Pretore, in accoglimento della
domanda, condannava l’INAIL a corrispondere alla Caprio la rendita per una inabilità permanente del 20% a decorrere dal 14.3.1991, oltre svalutazione monetaria,
interessi e spese di lite.
Avverso la sentenza pretorile proponeva appello INAIL, lamentando la insussistenza della prova della natura professionale della malattia e, comunque, la mancanza di
riduzione della capacità lavorativa. La assicurata resisteva.
Con sentenza del 4/10 - 3/11/1994 il Tribunale di Bari, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda della Caprio.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Osservava il Tribunale che la assicurata aveva chiesto il riconoscimento della epatopatia come malattia professionale; che il C.T.U. nominato dal Pretore aveva
riscontrato la malattia (epatite cronica persistente HCV positiva) ma aveva escluso
che potesse qualificarsi come malattia professionale, ritenendo invece possibile un
eventuale riconoscimento sotto l’aspetto infortunistico (presunzione semplice), con
postumi quantificabili nel 20%; che l’infortunio sul lavoro era un punto che esulava dal giudizio, avente, invece, ad oggetto il riconoscimento della epatite quale
malattia professionale.
Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione la sig.ra Caprio.
L’INAIL resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2 e 3 del D.P.R. 30.6.1965 n. 1124 e degli artt. 112 e 113 c.p.c., nonché insufficiente motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Lamenta che il Tribunale, pur sembrando condividere il parere espresso dal consulente del precedente grado - che aveva individuato il nesso di causalità tra l’attività
di perito di laboratorio e l’infermità denunciata, qualificando quest’ultima come
infortunio e non come malattia professionale - aveva poi respinto la domanda per
aver ritenuto che l’infortunio era un fatto che esulava dal giudizio, giudizio avente
ad oggetto il riconoscimento della epatite quale malattia professionale
Assume che, con il ricorso introduttivo, aveva dedotta quale causa petendi, di aver
contratto nell’esercizio dell’attività lavorativa l’epatite virale chiedendo la rendita
relativa (petitum); che la qualificazione dell’evento - se infortunio o malattia professionale - non spettava al richiedente ma al giudicante; che l’assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro e quella contro le malattie professionali sono aspetti del
medesimo rapporto assicurativo; che la differenziazione della disciplina cui sono sottoposte le rendite per infortunio e per malattia professionale (ad esempio per i termini di revisione) attiene ad un momento successivo alla denuncia dell’evento assicurato, evento che nessuna norma impone di qualificare.
Aggiunge che, ove si dovesse invece ritenere che il Tribunale abbia escluso l’esistenza di un nesso di causalità tra attività svolta ed evento, la sentenza risulterebbe
assolutamente carente di motivazione sul punto.
Il ricorso é fondato,
Costituisce principio generalmente accettato, sia in dottrina che in giurisprudenza,
che spetta al giudice, per il principio di legalità della decisione giudiziaria, la qualificazione giuridica della domanda, indipendentemente dalle relative indicazioni di
parte o dalla mancanza di tale indicazioni.
Non ricorre, quindi, il vizio di extrapetizione allorquando il giudice, senza attribuire alla parte un ben diverso o maggiore di quello domandato, deduce in v a di presunzione una determinata conclusione da un fatto che possa ritenersi acquisito al
processo, o quando egli adotti una qualificazione giuridica di fatti o rapporti diversa
da quella che le parti ritengono appropriata (Cass., 25.7.1975 n. 2901; ma anche n.
2831/73, n. 1069/74, n. 1920/74, n. 3350/86)
Nello specifico settore previdenziale va poi ricordato che la classica distinzione tra
infortunio sul lavoro e malattia professionale sotto il profilo delle modalità della
causa lesiva (causalità lesiva concentrata nell’infortunio: c.d. causa violenta; causa60
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
lità, invece, diluita nel tempo nella malattia professionale: c.d. causa lenta) é stata
talora ritenuta artificiosa dal punto di vista medico.
Si é rilevato, infatti, che la stessa causa lesiva, quindi lo stesso fattore eziologico,
può, a secondo che agisca o meno violentemente, dare origine ad infortunio o a
malattia professionale. Si pensi alla ipoacusia e sordità da rumori (n. 44 della tabella all. 4 al D.P.R. n. 1124/65, come modif. con D.P.R. 9.6.1975 n. 482), che può non
essere provocata sia da affaticamento del nervo acustico per una prolungata esposizione a livelli elevati di rumorosità, sia da una brevissima esposizione ad un rumore
di una determinata frequenza ed intensità (c.d. trauma acustico). Nel primo caso l’ipoacusia é, secondo la ricordata classificazione, una tecnopatia; nel secondo caso un
infortunio (c.d. malattia - infortunio).
Ed occorre ancora ricordare che, dopo iniziali incertezze, costituisce ormai ius receptum che fra le cause lesive violente rientrano anche quelle di natura microbica, conseguenti alla penetrazione nell’organismo umano di germi patogeni che determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico - fisiologico, semprechè tale azione - pur
se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo - sia in rapporto (accertabile
anche con ricorso a presunzioni semplici) con lo svolgimento dell’attività lavorativa (Cass. n. 5764/1982).
La difficoltà di qualificazione, in taluni casi, di una malattia come tecnopatia o infortunio sul lavoro impone pertanto all’ Istituto assicuratore e al giudice di valutare e
qualificare caso per caso la malattia denunciata ed i fatti che l’avrebbero determinata, cosi come esposti dal lavoratore, al di là, ripetesi, dell’erronea qualificazione giuridica da questi data.
Si tratta, in effetti, dello stesso principio di economia processuale in campo previdenziale che sta alla base dell’orientamento di questa Corte per cui, in tema di
malattia professionale, non può essere considerata nuova, sia in sede di procedura
amministrativa che in sede giudiziaria, una domanda di prestazione assicurativa per
una malattia professionale la quale, ancorché non coincidente con quella denunciata, rientri sempre nel quadro della sintomatologia allegata e sia correlata alla lavorazione dedotta, trattandosi in tal caso di una diversa qualificazione giuridica del
fatto costitutivo allegato, consentita, in sede giudiziaria, anche al giudice d’appello,
previo esperimento, ove necessario, di nuova consulenza tecnica (Cass., 4.11.1988
n. 5963; 11.2.1991 n. 1702; 13.4.1995 n. 4223).
Nel caso in esame, nel ricorso della Sig.ra Caprio al Pretore - ricorso che é consentito a questa Corte esaminare, essendo stato denunciato un error in procedendo
(violazione dell’art. 112 c.p.c. - il fatto posto a base della richiesta di rendita é indicato come il “contatto con liquidi biologici” nella attività di perito chimico presso
la IRCES di Castellana, contatto che le avrebbe “procurato una epatopatia, riconosciuta, peraltro come causa di servizio dall’Ospedale Militare”.
I giudici di appello avrebbero dovuto valutare se il fatto denunciato andava correttamente qualificato come infortunio sul lavoro (c.d. malattia - infortunio) come
ritenuto dal C.T.U. di primo grado, e procedendo poi, previo eventuale rinnovo
della consulenza, all’accertamento e del nesso causale e della eventuale inabilità permanente al lavoro, contestata dall’INAIL, e non limitarsi a rigettare la domanda
sulla base della erronea qualificazione data a quel fatto dalla ricorrente.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata ad un nuovo
Tribunale, che si indica in quello di Trani, che dovrà giudicare sull’appello
dell’INAIL (in ordine alla lamentata carenza di prova e alla dedotta inesistenza di
61
MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
riduzione della capacità lavorativa) tenendo presente il principio di diritto sopra
affermato in ordine al potere - dovere del giudice di merito di valutare se il fatto
costitutivo denunciato, e posto a base della richiesta di rendita per inabilità permanente, sia da qualificarsi, ai sensi del D.P.R. 30.6.1965 n. 1124, infortunio o malattia professionale.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
al Tribunale di Trani.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 1997.
Sentenza n.06390/98
Svolgimento del processo.
Il dott. Isaia Pazzaglia, con ricorso del 6.11.90 al Pretore di Pesaro, esponeva di aver
contratto, a seguito dell’attività di medico presso il Centro Trasfusioni dell’ospedale
di Città di Castello, una epatite cronica aggressiva. Chiedeva, nei confronti
delI’INAIL, la costituzione di rendita per inabilità permanente.
L’Inail resisteva alla domanda, affermando la natura non professionale della malattia.
Il Pretore, disposta ctu, con sentenza del 17.5.92, accoglieva la domanda a far data
dal 4.3.88 con una percentuale del 30%.
L’Inail proponeva appello,cui resisteva il Pazzaglia.
Il Tribunale di Pesaro, con sentenza depositata il 14.3.97, in riforma della sentenza
del Pretore, rigettava la domanda.
Zandrelli Maria Antonietta, Antonio e Lucio Pazzaglia, vedova e figli dell’originario attore hanno proposto ricorso per cassazione. L’INAIL ha depositato controricorso.
Motivi della decisione.
Con l’unico motivo si deduce l’errata e falsa applicazione 1124/1965 e successive
modifiche ed integrazioni. Omessa ed errata interpretazione delle prove acquisite ex
art. 112 e 416 cpc relazione, anche, agli artt. 2727-2728, 2729 cc.
Omessa, viziata e contraddittoria motivazione della decisione impugnata in n. 3 e 5
cpc.
Si lamenta che il Tribunale abbia ritenuto che “il nesso tra il lavoro espletato dallo
stesso Pazzaglia e l’epatite contratta (e che l’avrebbe poi, portato a morte), sia probabile ma non elevatamente e ragionevolmente probabile”, laddove il ctu di secondo grado, prof. Governa aveva ritenuto “molto probabile che il dott. Pazzaglia abbia
contratto epatite virale durante l’attività lavorativa nei centri trasfusionali”. Che,
inoltre il DM 22.12.88 del Ministero della Sanità elencava come esposti ad un’altissima specificità del rischio da contagio tutto il personale dei Centri Trasfusionali.
Che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale e, cioè, che la qualifica di primario del dr. Pazzaglia lascerebbe intendere una sua ridotta attività lavorativa
manuale, doveva ritenersi all’opposto, che allorquando si tratti di esami che concludono per l’esistenza di gravi patologie gli stessi sono di competenza del primario. Che
il dott. Pazzaglia aveva espletato tali mansioni per oltre 20 anni; che la contrazione
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
dell’epatite è un rischio specifico per gli addetti ai centri trasfusionali e il semplice
contatto manuale con il materiale manipolato può determinarla.
Il motivo è fondato.
Costituisce principio consolidato (Cass.3090 del 92; 8058 del 91; 5764 dell’82)
che causa violenta da infortunio è da considerarsi anche l’azione di fattori microbici o virali che penetrando nell’organismo umano, ne determinano l’alterazione
dell’equilibrio anatomico-fisiologico semprechè tale azione,pur se i suoi effetti si
manifestino dopo un certo tempo - sia in rapporto ( accertabile anche con ricorso
a presunzioni semplici) con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Tale essendo il
principio di diritto applicabile al caso dì specie, va rilevato che il Tribunale ha
dato atto, senza opporre argomentazioni di smentita e, quindi, accettando le relative conclusioni, che il ctu di 20 grado ha ritenuto “molto probabile che il dott.
Pazzaglia abbia contratto epatite virale durante l’attività lavorativa” e ha affermato che, nei centri trasfusionali il personale addetto è esposto al rischio di contrarre l’epatite in misura “10 volte superiore alla popolazione generale” e “maggiore
nel personale di laboratorio.”
Sulla base ditali risultanze, il Tribunale ha ritenuto che “il nesso tra il lavoro espletato dal Pazzaglia e l’epatite sia probabile ma non elevatamente e ragionevolmente
probabile”. Pertanto, ha rigettato la domanda.
Trattasi di motivazione insufficiente e contraddittoria.
Assodato, per quanto detto, che il nesso de quo può provarsi a mezzo di presunzioni
semplici, ci si deve rifare al concetto di presunzioni elaborato dalla giurisprudenza di
questa Corte, che, del resto, il Tribunale ha mostrato di tener presente, facendone
menzione.
In proposito, ha avuto modo di affermare questa Corte (Cass. 7084 del 90; 4878
dell’89; 4688 dell’86) che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto
noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma
è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza
ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità.
Orbene, quando, come nel caso di specie, si accetti il suddetto criterio,come ha
fatto il Tribunale, appare contraddittorio affermare, inizialmente, che un medico
addetto a un centro trasfusionale è esposto, rispetto alla restante popolazione, a un
rischio,di contrarre l’epatite, dieci volte maggiore e, se addetto a un laboratorio, a
un rischio ancora più grande e, poi, escludere che, in base all’id quod plerumque
accidit, cioè in base a ciò che avviene normalmente e non eccezionalmente, il
Pazzaglia abbia contratto la malattia nello svolgimento della sua professione: ritenere, come ha fatto il Tribunale, non disconstandosi dalla ctu, che il Pazzaglia in
quanto addetto alle trasfusioni e alle analisi di laboratorio conseguenti, incorreva
in un rischio specifico di contrarre la malattia oltre 10 volte maggiore del rischio
generico della restante popolazione equivale a dire che vi furono oltre 9 probabilità su 10 che la malattia fu contratta in funzione e a causa del lavoro svolto. Che,
pertanto, vi fu un altissimo grado di probabilità che si trattasse di malattia professionale.
Dunque, il Tribunale non poteva giungere alla conclusione contraria, stante la premessa da cui era partito.
In conseguenza, il ricorso va accolto, la suddetta contraddizione va rilevata, con la
cassazione che ne deriva della sentenza impugnata e la causa va rinviata, per nuovo
esame dei fatti, ad altro Tribunale,il quale, attenendosi ai principi di diritto suesposti,ne tragga conclusioni esenti dalla riscontrata contraddizione.
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MALATTIA-INFORTUNIO - TRATTAZIONE IN AMBITO INAIL
Il medesimo Giudice provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.
PQM
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame,
al Tribunale di Urbino, il quale provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.
Roma 17 febbraio 1998
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