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Gaetani Amedeo - Gesu` di Nazaret, compagno dell`uomo

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Gaetani Amedeo - Gesu` di Nazaret, compagno dell`uomo
GESU' DI NAZARETH, COMPAGNO DELL'UOMO
PRESENTAZIONE
Gesù di Nazareth ha voluto essere amico dell'uomo e ha vissuto tutta la sua
vita come un uomo normale. Un Uomo amico dell'uomo.
Per mezzo di Gesù, l’uomo con le sue ansie, con le sue sofferenze, con la sua
indelebile propensione alla ricerca della felicità, è stato visitato da Dio che ne
vuole l’emancipazione, l’esaltazione, la liberazione da schiavitù sociali e
religiose. Dio stesso, attraverso l’Incarnazione, si è immerso nella Creazione e
ha scelto di ripartire da zero a fianco dell’Uomo, per accompagnarlo durante il
lungo cammino di Evoluzione che l’Essere umano è chiamato a fare in questo
mondo e persino oltre la morte in una prospettiva di ricongiunzione piena con il
suo Creatore, quando ogni Coscienza umana sarà inserita nell’abbraccio
cosmico.
La nostra meravigliosa avventura umana ha, dunque, uno sbocco positivo che
supera perfino la morte e ci proietta nella dimensione eterna. Per scoprirne
tutto il fascino, è necessario un ritorno ai Vangeli, redatti in lingua greca. Si
scoprono, in Essi, tesori di straordinario valore umanistico.
Gesù, il Logos di Dio, incarnato, è la Chiave per interpretare la Coscienza
dell'Uomo-Donna, nel cammino di Evoluzione dell'intera Umanità.
L'Incarnazione è il Motore che muove l'Evoluzione dell'Umanità, dal punto Alfa
al punto Omega, dalla Bio-sfera alla Noo-sfera, secondo quanto diceva Teilhard
de Chardin. In questo testo si evince che l'Incarnazione investe la Coscienza di
ogni individuo e non ha bisogno di alcuna intermediazione umana, ponendo la
Coscienza stessa in diretto contatto con il Creatore". Il testo mira, inoltre, a far
capire che Gesù Cristo lo si può seguire senza regole religiose, senza
necessarie appartenenze a comunità parrocchiali, gruppi o movimenti religiosi,
senza disagi e senza rinunce ai propri interessi e distrazioni ma a condizione
che si ami il prossimo. Gesù Cristo è l’Uomo che vuole parlare, in modo diretto,
alla
1
Coscienza
di
ogni
Uomo-Donna,
senza
bisogno
di
intermediari.
INTRODUZIONE GENERALE
La Fede cristiana ha le sue radici nel Cristo Incarnato; essenzialmente
nell’Incarnazione come Evento specifico che è a fondamento di ogni riflessione
teologica sull’Uomo, sulla sua comparsa sulla Terra e sulla sua sorte futura.
L’Evento Cristo e la sua Incarnazione sono la Chiave per decifrare il cammino
evolutivo dell’Uomo dal Punto Alfa (Creazione) al Punto Omega (ParusìaCompimento dell’Evoluzione). Gesù Cristo, dunque, è la Chiave di lettura del
complicatissimo Crittogramma umano e ne svela il Significato. Il perché della
presenza umana e dell’Evoluzione della sua Coscienza, nell’Universo fisico,
trova la sua risposta nell’Incarnazione della Seconda Persona della Trinità,
nell’anno 7 prima dell’era cristiana. Si parte, allora, da questo dato se si vuole
capire il Significato della Vita umana, del suo Inizio, della Sofferenza, del Dolore
degli Innocenti, della Morte stessa; realtà, tutte, che restano pur sempre un
mistero insondabile, se valutate con la sola ricerca razionale, ma che sono
illuminate,
se
lette
con
l’ausilio
della
Rivelazione
evangelica.
Solo
l’Incarnazione può gettare una luce esplicativa su dette realtà, svelandone i
significati e spiegandone le ragioni, altrimenti urtanti nei confronti della sola
Ragione umana considerata in sé, escludendo i dati della Fede che fanno
riferimento ai Vangeli.
L’Evento Incarnazione, ha il pregio, tra i tanti, di aver ricreato un’indissolubile
Conciliazione tra la Fede e la Ragione, cosicché anche i temi su citati possano
essere ricollocati nel giusto alveo della Ragione proprio perché illuminati dalla
Fede.
La Conciliazione e la conseguente Simbiosi Fede-Ragione ci portano, in ogni
caso, ad affermare che la Fede non sta in fondo ad una ricerca razionale; in
altre parole, la Fede non è il risultato di una ricerca razionale ma, essendo una
risposta libera dell’Uomo a Dio che lo interpella nel profondo della sua
Coscienza, è pur sempre una decisione razionale che implica proprio l’uso della
Ragione. Facciamo un esempio. La Resurrezione di Cristo è un evento storico
non dimostrabile razionalmente ma, al tempo stesso, è una Verità di Fede che
non svaluta la Ragione.
La Resurrezione è il risultato di una Vita dedicata all’Amore per il prossimo, in
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tutte le dimensioni che l’Umanità ci presenta. La Fede ci dice che Gesù Cristo è
risorto dalla Morte dopo aver annunciato che chi ama non muore, ma continua
a vivere una Vita Ultraterrena che è il risultato dell’Amore vissuto in questo
Mondo e che si fa continuazione di questa Vita, oltre la Morte. Questa
affermazione di Fede non è contraria alla Ragione, ma la eleva verso mete che
vanno oltre la vita fisica, svelando ad Essa, ora, teologicamente, ciò che la
Ragione stessa non ha ancora svelato scientificamente. Possiamo, allora,
affermare che la Fede ci annuncia, ora, nella Storia, realtà metastoriche che la
Ragione, con il prosieguo dell’Evoluzione dell’Umanità e della sua Coscienza,
scoprirà, in futuro, attraverso la ricerca scientifica. Se la Resurrezione, come già
detto, è un dato di Fede che fa da supporto a ciò che la Ragione, oggi, non può
dimostrare, ebbene la Ragione stessa dimostrerà, in un futuro certamente non
quantificabile, con l’Evoluzione dell’Uomo, che, ciò che la Fede ci ha anticipato,
è la Pura Verità Scientifica che riguarda l’Uomo, chiamato ad evolvere dal Punto
Alfa della Creazione al Punto Omega della Ricapitolazione finale, di là della
morte, quando Dio sarà Tutto in Tutti. Il cammino che mi prefiggo di percorrere
è proprio dimostrare, alla luce del Vangelo, che la Scienza-Ragione e la Fede ci
parlano della stessa Realtà (la Vita dell’Uomo sulla Terra e il suo Significato) da
due ottiche diverse. La prima procede con il metodo della Ricerca scientifica; la
seconda con il metodo della Ricerca teologico-biblica. E’ necessario, però,
spogliare Gesù Cristo di quella veste religiosa con la quale è stato coperto,
lungo la storia. Bisogna, dunque, ridargli il ruolo che gli spetta. Gesù Cristo non
ha fondato una nuova religione, né, tanto meno, un’istituzione religiosa che si
fregia del Suo nome per opprimere l’umanità attraverso regole religiose da
osservare, pena il sentirsi in peccato o, peggio ancora, lo spettro di un inferno,
inventato di sana pianta, in seguito a grossolani errori di traduzione, proprio da
quei religiosi che vogliono schiavizzare le Coscienze, attraverso la paura
dell'inferno e del demonio che constateremo essere inesistenti. Prima della
passione di Gesù, Pilato fece, inconsapevolmente, una grande profezia e ci
rivelò chi è veramente Gesù. Disse: <<Ecce Homo>>. “Ecco l’Uomo” (Giovanni
19,5). Certo.
Gesù è l’Uomo “pensato” dalla Trinità divina, già prima della Creazione. Gesù è
il
3
Modello
dell’Uomo
completamente
evoluto.
Noi,
in
questo
stadio
dell’Evoluzione
e,
nelle
ulteriori
fasi
della
stessa,
siamo
in
via
di
perfezionamento, chiamati a diventare come Lui. Gesù è il nostro punto
d’arrivo. Egli è, già adesso, ciò che noi saremo alla fine dell’Evoluzione.
Analizzerò alcuni passi del Vangelo secondo Marco, che ci mostrano l’intento,
da parte di Gesù, di rimettere l’Uomo, ormai privato della sua dignità e del suo
Libero
Arbitrio
da
una
tirannide
religiosa
capitanata,
in
quel
tempo,
dall’istituzione scribo-farisaica, al Centro della Creazione.
Mi avvarrò, per quest’analisi, di due passi dell’Apostolo Paolo: La lettera ai
Galati al capitolo 4,4-5 e la lettera ai Filippesi al capitolo 2,6-11; due autentiche
“Perle” che ci mostrano il vero volto di Gesù. Un Gesù laico che ci rivela che Dio
non è incasellato nelle leggi religiose, ma vuole far partecipi gli uomini-donne
di tutti i tempi, della Sua Vita divina. Queste due lettere di Paolo, infatti, ci
aiuteranno a sviluppare una linea teologica fondamentale, per capire come,
dalla Creazione alla Parusìa (esito finale dell’Evoluzione della Coscienza
umana), il progetto di Dio-Trinità, che ha come motore l’Amore, consista nella
Creazione, nello Sviluppo e nella Divinizzazione della Persona umana, che si
realizzerà pienamente al di là della Morte, in una prospettiva di Comunione
piena con Dio, già vissuta al di qua della Morte stessa. La Persona umana,
creata quale Essere semplice e sviluppatasi attraverso un lunghissimo processo
biologico, permeato dallo Spirito di Dio (Amore), sul modello del futuro CristoIncarnato, che Dio-Padre prevedeva già come Presente nel Mondo, è chiamata
a realizzarsi attraverso una lunga e graduale Coscientizzazione di Sé e del
Cosmo, fino ad arrivare, attraverso la propria Evoluzione Psico-Fisico-Spirituale,
allo stato di Pura Coscienza; quando, come dice Paolo Apostolo: <<(Dio sarà
Tutto in Tutti>> (cfr. I lettera ai Corinzi capitolo 15,28) ed ogni Persona, in una
situazione di Pienezza di Coscienza, che sarà l’Evento finale del processo di
Trasformazione-Evoluzione
di
ogni
Essere
umano,
vivrà
nell’Eternità,
partecipando al Plèroma (Pienezza) della Vita trinitaria. La Pura Coscienza o,
come già detto, Pienezza di Coscienza di ogni Essere- umano, sarà il punto di
arrivo di una Vita fondata sull’Amore, così come ha fatto intendere Gesù, prima
della Sua Passione, quando ci ha detto: <<Amatevi gli uni gli altri come Io ho
amato voi>> (Giovanni capitolo 15,12). L’Amore verso il Prossimo, allora, è,
per noi, L’Energia positiva che ci permetterà di evolvere sempre più nel Bene e
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assomigliare sempre più al Mo- dello-Gesù, fino ad arrivare al Punto Omega,
con una Coscienza talmente limpida, la quale è la condizione necessaria per
vivere in eterno un’Esistenza Intra-trinitaria (quella che noi siamo abituati a
chiamare “Vita Eterna”), insieme al Padre, a Gesù-Figlio Incarnato e allo Spirito
Santo.
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INTRODUZIONE AI VANGELI
Interpretazione storica o interpretazione teologico-simbolica? I quattro Vangeli
vanno letti e interpretati, oltre che storicamente, soprattutto teologicamente.
Che cosa vuol dire leggere un Vangelo storicamente e leggerlo teologicamente?
Se leggiamo un episodio del Vangelo storicamente, lo stesso episodio esaurisce
la sua portata e il suo significato nella descrizione letterale dell’evento e non ci
dice più nulla, se non ciò che storicamente è accaduto ed è descritto
nell’episodio stesso. Facciamo un esempio: quando Marco ci presenta, al cap.
1,29-31, la guarigione della suocera di Pietro, egli ci dice che Gesù, entrando
nella casa di Pietro, vede la suocera a letto con la febbre, le va vicino, la prende
per mano, la guarisce e lei si mette a servirli. Questo episodio, letto e
interpretato solo storicamente, ci dice che Gesù compie una guarigione, certo
eclatante per quei tempi, ma che non ci insegna nulla, se non che Gesù avesse
un grande potere di guarigione.
Se al giorno d’oggi interpretassimo lo stesso episodio affermando di nuovo lo
stesso potere di guarigione di Gesù, senza preoccuparci minimamente del
gesto che Gesù ha posto in atto per operare detta guarigione, ci renderemmo
subito conto che il miracolo di Gesù non ha più alcun valore, alla luce della
consapevolezza che, oggi, noi abbiamo riguardo alla medicina attuale, la quale
ha fatto dei progressi tali che, per curare gli ammalati, oggi esistono farmaci
che possono risollevare chiunque dai più svariati malanni, compresa la febbre
di cui ci parla il Vangelo.
Se è così, noi non abbiamo bisogno più di Gesù e del suo potere taumaturgico.
Questo vuol dire che la febbre, di cui ci parla Marco, non è la febbre come la
intendiamo noi, ma è ben altro. Ma procediamo per gradi. Che cosa ha da dirci,
oggi, questo episodio? Per capirlo dobbiamo ricorrere all’interpretazione non
più storica, ma teologica.
Per capire
che cosa
significa
interpretare
teologicamente un episodio
evangelico, bisogna fare una premessa. Gesù Cristo, durante tutta la sua vita
pubblica, compie gesti e pronuncia parole che, oltre al significato storico, di cui
abbiamo già parlato, hanno una valenza “simbolica”, in altre parole, hanno un
significato che va oltre ciò che appare e ciò che è udito nell’immediatezza
6
dell’episodio stesso. I Vangeli, quindi, non sono un resoconto storico della vita
di Gesù, ma elaborazioni teologiche di un fatto storico realmente accaduto,
altrimenti non si spiegano neanche le diversità di narrazione dei quattro
Vangeli. Se non fosse così, al punto tale che ogni evangelista avesse raccontato
uno stesso episodio in modo diverso, senza tener conto del messaggio
simbolico conseguente, quale sarebbe la verità che verrebbe fuori dall’episodio
stesso? Ad esempio: nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci,
raccontato dai quattro evangelisti in maniera diversa, qual è la verità? Quella
raccontata da Marco? O piuttosto da Luca? O Matteo? O Giovanni? Ebbene tutti
hanno scritto la verità, connotando lo stesso episodio con caratteristiche
proprie dell’autore e secondo l’uditorio per il quale l’autore stesso ha scritto.
Dunque, tutti e quattro i Vangeli sono Verità, la stessa Verità espressa in
maniera diversa dai quattro evangelisti, tenendo conto, come già detto, della
propria propensione teologica nel raccontare uno stesso fatto storico, ma
anche della capacità di ricezione da parte delle persone a cui il racconto è
indirizzato. Facciamo un esempio: se ci troviamo, in quattro persone, in una
stanza dove qualcuno ci racconta una storia veramente accaduta, noi quattro
ascoltiamo con interesse la storia ma, successivamente, la elaboriamo per
poter, a nostra volta, raccontare la stessa storia ad altri. Ovviamente il nostro
racconto conterrà varianti, arricchimenti letterari che, se anche renderanno le
quattro storie letteralmente diverse, conterranno comunque, in sé, lo stesso
insegnamento. Tornando ai Vangeli e applicando ad essi questo ultimo
esempio, possiamo dire che la verità evangelica, anche se espressa in modi
diversi, contiene in sé un medesimo insegnamento teologico-simbolico. Proprio
attraverso i gesti simbolici, espressi da Gesù, ognuno dei quattro evangelisti ha
costruito una propria narrazione che facesse risaltare ciò che Gesù voleva
comunicarci e che abbracciasse ogni tempo storico. In questo modo, attraverso
un episodio accaduto una volta sola in un dato contesto storico, noi riusciamo a
trarre, da esso, un insegnamento teologico (capace di farci riflettere sulla
nostra vita profonda e sulle nostre decisioni) che supera la storia e che riesce
ad interpellare la coscienza dell’essere umano di ogni tempo. Nel nostro
cammino di comprensione dei Vangeli, ci serviremo spesso del “simbolo”. Esso
deriva dal greco “sunballein” (trascritto: symbàllein)che significa “mettere7
insieme”. Infatti il simbolo è una realtà che mette insieme due elementi: l’uno
visibile e l’altro invisibile; l’elemento visibile ci mostra (ma ci nasconde al
tempo stesso) l’elemento invisibile. Che cosa significa? Facciamo un esempio:
noi sappiamo che l’Eucaristia è un pezzo di pane (elemento visibile) che ci
mostra-nasconde Gesù Cristo (Elemento invisibile). Ovviamente tutto questo
avviene perché Gesù stesso lo ha promesso. L’atto di fede in Gesù, che ce lo ha
promesso, ci fa credere che quel pezzo di pane è Gesù. Allora, il simbolo, in
questo caso, è il Pane-Gesù; il Pane(visibile)-Gesù(invisibile) è quella “UnicaRealtà” di cui abbiamo parlato sopra, dunque il “Simbolo”. Portando questo
concetto, fondamentale per la nostra comprensione dei Vangeli, a livello
generale e applicandolo a tutta la vita di Gesù, ai suoi gesti, ai suoi miracoli, a
quelli che Giovanni Evangelista chiama “Segni” operati da Gesù durante tutta
la sua vita pubblica, noi riusciremo a capire il Vero insegnamento di Gesù per
gli uomini e le donne di tutti i tempi.
Ora, se tutto il discorso fatto finora lo applichiamo all’episodio della guarigione
della suocera di Pietro, che abbiamo interpretato solo storicamente, vediamo
che il gesto di Gesù di alzare la donna, prendendola per mano, ha un significato
simbolico: quello di resuscitare l’umanità. Se storicamente Gesù ha rialzato la
donna dalla febbre prendendola per mano (elemento visibile), teologicamente
Gesù ha risuscitato l’umanità dalla condizione di insoddisfazione di chi si sente
lontano da Dio (elemento invisibile). Possiamo dire questo in base ai termini
che Marco usa per comunicarci che Gesù ha guarito quella donna. L’evangelista
usa il verbo greco “egeirein” (trascritto: eghèirein) che significa “risorgere”.
Marco ha voluto assicurarci che Gesù, facendo rialzare la donna, ci ha
simbolicamente trasmesso la sua intenzione di risuscitare l’umanità a nuova
vita.
Il gesto visibile di rialzare la donna dal letto, ci fa capire la volontà di rialzare
l’umanità dalla morte, per resuscitarla. Ecco il “Simbolo”. E il Vangelo che
analizzeremo è pieno di simboli. Di un’altra cosa bisogna tener conto,
all’interno del contesto simbolico della realtà: la Scrittura, su cui rifletteremo, è
Parola di Dio data all’uomo per coinvolgerlo nella comunione divina, attraverso
una vita fondata sull’amore. Ma forse è parola dettata all’uomo? Quasi che
fosse una sorta di scrittura automatica suggerita all’uomo da uno spirito
8
divino? No! Infatti, spesso, nella storia, e la tentazione c’è anche oggi, si è
voluta leggere la realtà umana alla luce di versetti biblici interpretati alla
lettera e, quel che è peggio, si è pensato di estrapolare un dato versetto biblico
o capitoli interi della Bibbia per “usarli” come un manuale di pronto intervento,
al fine di giudicare la realtà storica presente.
Facendo questo si è creata una frattura tra la realtà storica dell’oggi (con le sue
vicissitudini) e la Parola di Dio, la quale, interpretata letteralmente e non
simbolicamente
e
applicata
alla
realtà
di
oggi,
senza
la
necessaria
attualizzazione simbolica di cui la stessa Parola di Dio necessita, ha generato,
spesso, “fondamentalismi” esasperati. Facciamo un esempio eclatante: E’ nota,
a tal proposito, la consuetudine ormai affermata, da parte di un buon numero
di credenti sparsi nel mondo e non appartenenti alla tradizione cristiana, di
negare le trasfusioni di sangue agli individui che ne hanno bisogno, per avere
interpretato
“alla
lettera”
un
comando
del
Libro
del
Levitico
(Antico
Testamento), che vietava di mangiare il sangue degli animali perché nel sangue
“c’è la vita”. Il comando del Levitico poteva andare bene per il mille avanti
Cristo, quando c’era una consapevolezza errata, sia pure in buona fede, perché
frutto dell’ignoranza, riguardo alle conoscenze mediche. Oggi, con l’evoluzione
della fisiologia medica, si è capito che il sangue è una delle tante componenti
anatomiche dell’uomo; quindi c’è un abisso di differenza, nella concezione della
vita del mille avanti Cristo rispetto ai nostri tempi, proprio riguardo alla
“collocazione fisica” della vita nell’uomo. Allora, il comando del Levitico non è
adatto più al giorno d’oggi, in cui si è capito che la vita è tutta altra realtà, che
non la semplicistica collocazione di Essa in un sia pur importantissimo apparato
del corpo umano, come quello della corrente sanguigna.
Ma se, nonostante questa nuova conoscenza della medicina, noi ci ostiniamo a
dire che l’uomo non può ricevere una trasfusione di sangue, da un altro uomo,
allora noi pecchiamo di “fondamentalismo”, cioè vogliamo, forzatamente, far
coincidere due realtà che sono su due piani diversi. Proprio l’interpretazione
teologico-simbolica dei Vangeli ci affranca da questa tentazione sempre
presente anche nel mondo cattolico, soprattutto in alcuni movimenti ecclesiali
che interpretano alla lettera i Vangeli. Io vorrei proprio essere lontano anni-luce
da questa interpretazione letterale dei Vangeli, per leggerli, invece, secondo
9
l’interpretazione
teologico-simbolica.
Questo
lavoro
sarà
portato
avanti
minuziosamente attraverso il testo greco dei Vangeli, con cui gli evangelisti
hanno voluto trasmetterci la Buona Novella.
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Traduzione dei Vangeli dai testi originali scritti in greco.
Prima di addentrarci nell’analisi di alcuni passi del Vangelo secondo Marco è
necessario conoscere i testi originali e la lingua usata dagli evangelisti per
scrivere i Vangeli. Questo è un passaggio fondamentale che richiede una
sufficiente conoscenza della lingua greca antica. Ci soffermiamo su questo
tema importante per la comprensione autentica del messaggio che Gesù ha
voluto trasmetterci e ci renderemo conto, strada facendo, come, spesso, la
traduzione italiana, che noi possediamo, si discosta molto dal significato che i
termini
greci
originali
vogliono
trasmetterci.
Questa
comprensione
del
significato dei termini originari ci aiuterà a capire meglio su quali fondamenta
noi costruiamo la nostra vita di fede.
Intanto dobbiamo dire che il testo che abbiamo noi è il risultato di diverse
traduzioni che, nel tempo, si sono succedute soprattutto per la necessità di
rendere accessibile, nei vari tempi storici, il linguaggio originario biblico alle
culture che, via via, cambiavano nel tempo. C’è anche da dire, però, che,
spesso, ci si è fossilizzati su una traduzione, la quale, non essendo aggiornata
secondo
i
cambiamenti
culturali,
ha
generato
uno
scollamento
tra
l’insegnamento che le Scritture proponevano e la necessità della gente comune
di usufruire della Parola e della sua potenza illuminante. Questo forse perché le
Scritture non avevano più nulla da insegnare alle generazioni che si
susseguivano lungo la storia? No! Affatto! E’ accaduto tutto questo perché le
Scritture non sono state adeguatamente presentate secondo le necessità della
società corrente. Spieghiamoci meglio: La Sacra Scrittura è Parola di Dio scritta
in modo umano, secondo lo stile e il linguaggio del tempo in cui è stata redatta.
La Scrittura è una forma di Incarnazione di Dio, ma lo è per l’umanità del tempo
che l’accoglie, quindi usa il linguaggio dell’umanità del suo tempo.
Ora, siccome è pur sempre Parola di Dio, contiene in sé un insegnamento che
abbraccia tutti i tempi storici. Questo insegnamento non risalta all’occhio
immediatamente all’approccio con il testo, se i tempi storici sono cambiati, per
cui c’è bisogno di una reinterpretazione continua al passo con i cambiamenti
storici. Per fare questo lavoro c’è bisogno di studiare bene gli stili linguistici
usati dagli autori sacri, i modi di dire dei tempi in cui la Scrittura è stata
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redatta, gli slogans che gli stessi autori usavano, il linguaggio figurato, il
linguaggio anche ironico, i paradossi ecc.
Non è, comunque, in questo libro che affronterò questi temi, se non in maniera
rapida, altrimenti la lettura diventa oltremodo pesante e rischia di perdere il
suo obiettivo: dare degli input a chi leggerà questo trattato, affinché ognuno,
alla luce di ciò che legge, possa essere indirizzato ad una più profonda
riflessione personale sulla propria fede, oltre che, naturalmente a verificare se
le proprie convinzioni di fede reggono ad un vaglio critico oppure bisogna
rivedere tutto ciò che ci è stato insegnato dalla gerarchia cattolica e che,
spesso si è accettato in modo acritico, solo perché, magari, spaventati dallo
spettro del demonio e dell’inferno o, per lo meno, dal ritenere peccato un
proprio convincimento personale e non in linea con il magistero ecclesiale.
Affinché l’umanità di tutti i tempi capisca la Sacra Scrittura, bisogna
scandagliare in profondità tutti i vari significati che i termini originari
propongono, per adattare la stessa in un diverso tempo storico. C’è anche da
dire, però, che il cammino evolutivo dell’umanità, permeato dallo Spirito di Dio,
presenta continue novità esistenziali, per cui, dovendo dare una risposta a tutti
gli interrogativi dell’uomo di ogni tempo, la Scrittura stessa è in continua
evoluzione al passo con i cambiamenti storici. Questo è accaduto anche per la
stesura dei Vangeli. Gli stessi non sono stati scritti di getto, ma sono il frutto di
un’evoluzione nella predicazione apostolica e post-apostolica.
I Vangeli, con il passare del tempo, sono stati aggiornati tenendo conto
dell’Evoluzione della società di quei tempi. E’ noto che il primo Vangelo, quello
di Marco è molto più stringato, nell’esposizione, del Vangelo di Matteo, che è
successivo. Il Vangelo di Luca presenta molti più particolari sia rispetto a Marco
che a Matteo. Il Vangelo di Giovanni, scritto addirittura intorno all’anno 100,
presenta un’esposizione che si allontana di molto rispetto ai primi tre.
Ritenendo valido il discorso fatto poc’anzi, riguardo alla diversità di narrazione,
operata dagli evangelisti, in base alla diversità di stile degli stessi, all’uditorio a
cui dette narrazioni erano indirizzate ma, anche, a rielaborazioni teologiche
della vita di Gesù, ebbene, l’aggiornamento continuo dei Vangeli è stato dovuto
anche all’Evoluzione della società e delle richieste di modernità, che, anche in
quei tempi erano pressanti. Facciamo un esempio per intenderci meglio.
12
Riguardo alla questione del divorzio, Marco, al capitolo 10,9 riporta quanto
segue: <<Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi>>.
Marco ha scritto il Vangelo intorno all’anno 60. Se prendiamo in esame Matteo
al capitolo 5,32, Gesù afferma: <<Chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso
di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata,
commette adulterio>>. Matteo ha scritto il Vangelo intorno all’anno 70. Chi ha
ragione? Marco? Matteo? Gesù forse ha detto due cose diverse?
Questo è il tipico esempio di come i Vangeli non sono Scrittura normativa, ma
Essi si costruiscono con il progredire dell’Evoluzione dell’Uomo. Matteo si era
reso conto che la comunità dell’anno 70 aveva delle necessità e delle richieste,
non diverse, ma più moderne, rispetto a quella dell’anno 60. Matteo ci dà un
testimonianza di come la Sacra Scrittura si modella sull’Uomo e sulle sue
necessità e non il contrario. Matteo ammette un’eccezione all’indissolubilità
matrimoniale. Fermo restando che non si riesce ancora a capire che cosa
volesse
dire
con
quel
termine
greco
“pornèia”,
che
è
l’eccezione
all’indissolubilità e che quindi non prenderemo in considerazione, a noi basta
sapere che la Scrittura stessa non è statica ma deve dare risposte all’Uomo in
Evoluzione.
Noi, quindi abbiamo a che fare con una Scrittura evolutiva. L’unico
comandamento che Gesù ha lasciato come monolite indistruttibile è di amarci
gli uni gli altri. Ma un cammino di Evoluzione dell’Umanità, che rispetti questa
unica norma, che è propria della natura umana, non potrà mai svalutare le
pressanti richieste dell’Uomo ad una vita sempre migliore, dove i diritti della
Persona umana stanno all’apice. Da qui viene fuori un discorso per certi versi
sconcertante.
Il magistero ecclesiale si ostina a tenere ben salda la dottrina del creazionismo
a tutti i costi, al punto tale da affermare che Dio, ormai, ha creato tutto ciò di
cui avevamo bisogno, ci ha dato la sua legge da rispettare e ci ha messo
accanto persone che fanno da guardiani della nostra fede.
Questo è il motivo profondo per cui la gerarchia ecclesiale non accetta
l’Evoluzionismo della Coscienza dell’uomo e dell’Universo intero, altrimenti non
può più avere padronanza sulle Coscienze, perdendo così quell’autorità che
Gesù Cristo non ha assolutamente dato ad essa.
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Se tutto concorre al bene dell’Uomo, per il raggiungimento della felicità piena,
la Parola di Dio non è quella che gli si oppone attraverso una norma morale
ricavata dalla stessa Scrittura.
Parola di Dio è la risposta di Dio all’uomo e alle esigenze del suo tempo. Gesù
stesso, che è la Parola autentica di Dio, fatta Carne, non si irrigidì mai di fronte
alle necessità dell’Uomo che incontrava lungo il suo cammino, in Terra di
Palestina. Semmai fu la legge farisaica, spacciata per parola di Dio a frenare
l’Evoluzione dell’Uomo attraverso leggi capestro che impoverivano l’Uomo e la
sua Libertà nel costruirsi una vita degna di questo nome. Gesù soddisfece le
richieste di tutti, dando perfino da mangiare il suo Pane (Eucaristia) a
cinquemila persone, senza contare le donne e i bambini, come affermano tutti
e quattro gli evangelisti. Erano, forse, tutti santi, quelli che mangiarono i Pani?
O erano andati da Giovanni Battista per confessarsi, prima di accostarsi al
Pane-Gesù? No! Avevano bisogno di Lui e Lui si è dato a tutti, sotto forma di
Pane, senza chiedere ad alcuno quale vita morale conducesse. Allora, in forza
di quale passo evangelico, che io non conosco, si rifiuta la Comunione
eucaristica a persone che, rispettando il comandamento dell’Amore, cercano di
vivere una vita, la più degna possibile e che si vedono, invece, negare un
sacrosanto diritto da uomini che si autoproclamano sostituiti stessi di Dio?
Gesù era continuamente in conflitto nei confronti di scribi e farisei, che
avevano fossilizzato la Parola di Dio in una somma di norme morali a cui tutti
dovevano sottostare e che bloccavano il cammino di Evoluzione di quella
società. Il problema si ripresenta anche oggi, quando il magistero ecclesiale
pretende di normare la vita di tutti gli individui attraverso lo stesso Vangelo,
fatto diventare norma morale e che ha perso, così, la Sua Forza di Parola che si
modella sull’Uomo.
D’altronde, se l’Uomo è abitato da Dio, come potrebbe chiedere, in forza della
sua modernità, cose contrarie alla Spirito divino che è il Motore di questa
modernità? Se si nega l’Evoluzione dell’Uomo, che si realizza all’interno della
sua Coscienza, per opera dello Spirito di Cristo, inevitabilmente si riduce il
Vangelo a una norma morale. Così come lo stesso Cristo si va costruendo con
l’Uomo,
per
accompagnarlo
lungo
tutto
il
cammino
di
Evoluzione-
Perfezionamento (lo vedremo in uno dei capitoli che seguono) allo stesso modo
14
il Vangelo si costruisce continuamente con l’Uomo e con le sue esigenze di
cambiamento dettato dallo Spirito stesso interiore all’Uomo. Questo modo di
intendere la Scrittura, che resta Parola di Dio, sta a fondamento di tutto il
discorso che si dipanerà da questo momento in poi. Quando, storicamente, non
si sono accettati i cambiamenti societari e sono stati giudicati negativi, la Sacra
Scrittura è stata usata solamente per contrastare questi cambiamenti,
generando uno scollamento tra le richieste di modernità della società e una
Sacra Scrittura fossilizzatasi nei tempi passati, per cui la Scrittura stessa è
diventata, spesso, una norma morale per giudicare negativamente i tempi
correnti con le sue novità. Anche oggi si corre questo rischio se non
analizziamo bene i segni che il mondo ci presenta sotto forma di novità, in tutti
i campi. Giovanni XXIII ci insegnò a riconoscere i “Segni dei Tempi”, vale a dire
quei cambiamenti storici e anche quei mutamenti dei costumi umani, delle
consuetudini che interpellano la chiesa di Cristo e che, quindi, non possono
essere liquidati con il ricorso a sterili leggi preconfezionate, ma bisogna sedersi
a tavolino e discuterne. Sul letto di morte, Giovanni XXIII si espresse in questo
modo: <<E’ giunto il momento in cui siamo chiamati a servire l’Uomo in
quanto tale e non solo la chiesa cattolica. Non è il Vangelo che cambia. Siamo
noi che cominciamo a comprenderlo meglio>>. Quella che abbiamo oggi,
dunque, è una traduzione temporanea; le traduzioni sono sempre temporanee
e devono essere al passo con i mutamenti storici, per far sì che la Scrittura
risponda sempre alle necessità dell’uomo di ogni tempo storico. Teniamo conto
di un altro fatto fondamentale, per capire come dobbiamo attualizzare la
Parola: Tutta la Parola converge verso Gesù Cristo, che è la ricapitolazione di
tutto l’Antico Testamento, ma è anche, come abbiamo detto nell’introduzione
generale, l’unica Chiave di lettura per capire l’uomo nella sua interiorità e per
decifrare questo complicatissimo crittogramma umano, nel suo sviluppo
storico. C’è, allora, da tenere presente che Gesù parlava l’aramaico, una sorta
di dialetto ebraico; che gli evangelisti hanno scritto in greco ciò che Gesù ha
detto in aramaico e che, poi, quattrocento anni dopo la morte e resurrezione di
Gesù, Girolamo ha tradotto tutta la Scrittura in latino (la Vulgata). Ogni cultura,
poi, ha tradotto, a sua volta, nelle varie lingue tra cui l’italiano, la Scrittura
interamente tradotta, precedentemente, in latino. Il testo su cui generazioni di
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vescovi, presbiteri e religiosi hanno studiato è, allora, il testo latino di Girolamo.
Questo significa che i testi originali in greco, che sono il fondamento apostolico
della nostra fede, sono stati completamente ignorati.
Se, dunque, Girolamo avesse sbagliato a tradurre, come è accaduto, alcuni
termini o interi versetti della bibbia greca, in latino, noi ci ritroveremmo in una
particolare situazione: quella di constatare che milioni di cristiani avrebbero
orientato la loro vita su traduzioni completamente non in linea con ciò che gli
evangelisti volevano trasmetterci. E non ci troviamo di fronte ad errori che non
incidono nella nostra vita; per esempio, se un matematico sbaglia una formula
e trasmette la stessa ad altri, ci sarà senz’altro, dopo poco tempo, qualche
altro matematico che correggerà la formula , ma, di là di questo, non accadrà
nulla alla vita del matematico, che, pure se magari perderà la sua reputazione,
tuttavia non rovinerà la vita di nessun altro.
Diverso è il discorso riguardo ai testi su cui milioni di cristiani, lungo la storia,
hanno fondato e continuano a fondare la loro vita. Se Gesù ha detto
determinate cose in aramaico, che gli evangelisti hanno riportato in greco, in
modo fedele (questo è avvenuto), ma che poi Girolamo (da solo) ha tradotto in
latino in maniera discutibile (lo vedremo tra poco) e tutta la predicazione si è
fondata, certamente in buona fede, sul testo di Girolamo, vuol dire che,
intanto,non si è riusciti ancora a cogliere o non si vuole ancora cogliere il
significato autentico delle parole , ma vuol dire anche che tutto deve essere
rivisto e la predicazione deve fondarsi solo sui testi evangelici in lingua
originale greca. Questa operazione richiede molta più fatica, per il fatto che noi
tutti siamo nati e vissuti con degli schemi mentali già legati a filo doppio ad
una concezione negativa della fede cristiana, figlia, questa, della concezione a
sua volta negativa, non dei Vangeli in greco, ma della Vulgata in latino.
Consideriamo solo tre esempi, anche eclatanti, che prendiamo dai Vangeli;
confronteremo, per il primo esempio, il testo greco con quello latino e con la
conseguente traduzione italiana. Negli altri due esempi confronteremo il testo
greco direttamente con quello italiano, che pure ha le sue gravi pecche e che
ancora oggi viene presentato, erroneamente, come il testo più affidabile.
Avremo modo, però, più avanti, di constatare che il testo odierno, tradotto dalla
CEI (Conferenza Episcopale Italiana), è lontano ancora anni luce dal vero
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significato che gli evangelisti hanno voluto trasmetterci. Questa analisi sarà più
approfondita quando interpreteremo alcuni passi scelti del Vangelo di Marco.
Avremo modo di constatare, così, le profonde divergenze di “senso” tra i
versetti dei testi greci e quelli tradotti in italiano. Il primo esempio che
consideriamo è Marco1,14-15; prendiamo la versione italiana. Gesù afferma
quanto segue: <<Il tempo è maturo, il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e
credete al Vangelo>>. Dobbiamo notare che oggi cogliamo meglio il significato
del termine greco tradotto con “convertitevi”; quindi alcuni passi avanti sono
stati fatti. Ma fino a non molti anni fa il termine “convertitevi” era tradotto “fate
penitenza”, che, a sua volta, proveniva dal termine latino “poenitèmini”. Ma
vediamo meglio la versione greca originale e poi quella italiana. Per comodità
scriverò le frasi in greco trascritte in lettere a noi comprensibili perché la lingua
greca è costituita da lettere completamente diverse dalla lingua italiana. In
greco abbiamo: <<Peplèrotai o’ kairòs kai hènghiken hè basilèia tòu Teòu;
“metanoèite” kai pistèuete èn tò euanghelìo>>; la versione italiana l’abbiamo
già scritta. Come abbiamo già evidenziato, fino a non molti anni fa il termine
greco “metanoèite”, tradotto in latino “poenitèmini”, era tradotto, in italiano,
“pentitevi-fate penitenza”, prendendo a riferimento il testo latino e ignorando
assolutamente il testo greco originale.
Ora, che Gesù abbia affermato “fate penitenza” è una contraddizione, perché il
termine greco “metanoèite” significa letteralmente: “andate oltre il vostro
intelletto”. Infatti “metanoèite” è composto da due termini: “mèta” e “nous”; il
primo termine significa “oltre” e il secondo “intelletto”. Oggi il testo italiano
traduce “convertitevi”, che, però, non spiega in pieno il significato del termine
greco, soprattutto per l’accostamento mentale con un termine, “convertitevi”,
che ci dà l’idea di un cammino ascetico da seguire e già questo non è
evangelico, a meno che non cambi la nostra associazione di idee che ci fa
pensare che conversione=cammino ascetico. Dunque non è necessario che
cambino solo le traduzioni, ma che sia dato alle nuove traduzioni anche il senso
che esse trasmettono alla nostra mente.
Ebbene, bisognerebbe far capire che il termine “convertirsi” significa ben altro
che non cammino ascetico; significa fare un atto di fede che si fa attraverso
l’intelletto ma che, al tempo stesso, supera il proprio intelletto. Quindi sarebbe
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auspicabile che coloro che sono preposti alle traduzioni mettessero in nota il
vero significato, oppure che scrivessero, finalmente, nel testo italiano, il
significato autentico del termine greco originario. Immaginiamo allora, quando,
fino al Concilio Vaticano II, la traduzione “fate penitenza” ha indotto molti
cristiani ad inserire, nella propria vita di fede, anche la penitenza corporale,
ripeto, certamente operata in retta coscienza, ma i tempi cambiano e oggi una
realtà del genere non è più proponibile. Gesù non ha mai chiesto penitenze;
non ha chiesto altro all’uomo, che di “superare il proprio intelletto” per aderire
a Lui con un assenso di fede. Superare il proprio intelletto significa, per noi,
avere la certezza che Gesù ci chieda quanto segue: “Fidati di me e delle cose
che ti dico”. Non puoi dimostrare le cose che ti dico perché appartengono alla
sfera profonda-spirituale e l’intelletto non è in grado di razionalizzarle, quindi
cerca di concretizzarle attraverso un atto di fede”. Dov’è la richiesta di
penitenza? Ma la cosa che più deve farci riflettere è che le persone, oggi, sono
molto più acculturate. Devono, quindi, sapere che c’è bisogno ancora di
un’ulteriore
analisi
riguardo
al
termine
“metanoèite”,
tradotto
con
“convertitevi”. Questa traduzione, seppur migliore di “fate penitenza”, come
già detto, dà l’idea di un cammino ascetico da eseguire per il raggiungimento
della
salvezza.
Ma
Gesù
non
ha
detto
neanche
“convertitevi”,
ma
semplicemente “abbiate fede in me e nelle cose che vi dico”. Ecco la
dimostrazione di una teologia positiva che, ancora oggi, deve farsi largo per
affermarsi e confrontarsi continuamente con una teologia negativa dai tratti
ancora medievali. Spiegherò, in seguito, la differenza tra le due teologie e le
metterò a confronto. In Marco 1,14-15 Gesù ha semplicemente affermato che:
<<Il tempo di Grazia (ò Kairòs) è Pieno, cioè è nella sua piena Evoluzione
(peplèrotai) e Dio è presente, si è fatto visibile (hènghiken he basilèia tou
Teoù); superate il vostro intelletto e fate un atto di fede (metanoèite) e credete
alla buona notizia (pistèuete èn tò euanghelìo)>>.
Abbiamo già accennato al fatto che la buona notizia è il Vangelo; di seguito
diremo, più chiaramente, qual è questa buona notizia. Come si nota, il senso
del discorso cambia completamente se traduciamo direttamente dal testo
greco senza passare attraverso il testo latino, il quale è la causa di tutta la
stortura inerente il termine “metanoèite” che non vuol dire “fate penitenza”.
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Neanche il testo italiano, con “convertitevi”, coglie l’essenza positiva del
messaggio di Gesù. In definitiva abbiamo capito che il termine greco
“metanoèite” significa: “fai un atto di fede in me”. La fede infatti è la risposta
libera dell’uomo a Gesù che è venuto a cercarlo per dare a lui tutto l’amore che
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nutrono per le loro creature.
Vediamo un altro esempio ancora dal Vangelo di Marco; al capitolo 1,21-28
Marco descrive la visita di Gesù ad una Sinagoga (luogo di preghiera degli
ebrei). Gesù incontra un uomo che, secondo la traduzione italiana, è
“posseduto da” uno spirito impuro. La traduzione è completamente divergente
dal testo originale greco. Vediamo. Il testo greco, specificamente al versetto 23,
scrive così: <<Eutùs hèn èn thè sunagoghè autòn àntropos “èn” pnèumati
akatàrto kai anèkracsen...>>.
Tradotto letteralmente il testo ci afferma: <<C’era nella loro sinagoga un uomo
“in-dentro”, immerso in uno spirito impuro e si mise a gridare....>>.
La traduzione odierna porta invece: << C’era nella loro sinagoga un uomo
“posseduto da” uno spirito impuro e si mise a gridare....>>.
Risalta subito all’occhio la divergenza tra le due traduzioni. Il testo originale
greco ci assicura che quest’uomo era “dentro uno spirito impuro”, mentre il
testo italiano afferma che quest’uomo era “posseduto da uno spirito impuro” e
traduce il termine greco “en” proprio con “posseduto da”. Come è possibile
tradurre un complemento di stato in luogo come “en” in un verbo come
“posseduto da”? Non è solo una questione di termini. Qui entra in ballo una
situazione sostanziale. Affermare che un uomo è “dentro” uno spirito impuro,
significa avere la consapevolezza che quest’uomo era inserito in un’atmosfera
impura, identificabile con la Sinagoga ebraica. Infatti Gesù libererà le persone
proprio dalla legge ebraica simboleggiata dalla Sinagoga, per ridare loro la
libertà piena e affrancarle da una legge farisaica diventata, ormai, “impura”.
Affermare, invece, che quest’uomo è “posseduto da uno spirito impuro”,
significa creare, dal nulla, una situazione di possessione demoniaca che il
Vangelo esclude categoricamente.
Che cosa significa tutto questo, alla luce di quanto abbiamo detto? Significa
aver creato, nel tempo, una mentalità che contempla la presenza del demonio,
di cui nei Vangeli non c’è traccia.
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E spiegheremo tutto questo nel prossimo paragrafo. Consideriamo adesso un
altro esempio che prendiamo dal Vangelo di Giovanni; al capitolo 15,1-2. Gesù,
secondo il testo italiano, afferma: <<Io sono la vera Vite e il Padre mio è il
vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che
porta frutto, lo “pota” perché porti più frutto>>. Gli stessi versetti nel testo
greco affermano: <<Ego èimi hè àmpelos hè alhetinhè kai ò Patèr mou o’
gheorgòs estin. Pàn klèma en emoi mhè fèron karpòn aìrei autò karpòn fèron
“katàirein” autò ìna karpòn pleìona fèrhe>>.
La traduzione italiana è buona, ma cambia in maniera radicale nel termine
greco “kataìrein” che è tradotto, in italiano, con “pota”. Se rileggiamo tutto il
passo in italiano, noi capiamo che Gesù afferma che: Ogni tralcio (l’uomodonna) che, in Lui, porta frutto, il Padre lo “pota”perché porti più frutto. In
questa traduzione noi capiamo che quando un uomo-donna vive una vita felice
in comunione con Gesù Cristo, deve, da un momento all’altro, aspettarsi una
“potatura” da parte del Padre.
Quando noi pensiamo ad un’operazione di potatura, ci viene subito alla mente
l’agricoltore che, per far crescere la pianta, taglia molti rami fino a ridurla ad un
arbusto con pochissimi rami, così la pianta cresce meglio perché è più leggera;
infatti, dovendo fortificare il fusto, dev’essere alleggerita dei rami perché non
ne
sopporterebbe
il
peso.
Ora,
attribuendo
alla
vita
dell’uomo-donna
quest’operazione di potatura, noi crediamo che, qualora dovessimo vivere una
vita tranquilla in comunione con Gesù Cristo, saremmo, prima o poi, privati di
qualche gioia (una sofferenza, un lutto, una disgrazia, una sorte avversa)
perché il Padre ci metterebbe alla prova per vedere se abbiamo fede.
Questa concezione della vita di fede intanto deturpa l’immagine positiva del
Padre, poi mette in netto contrasto, ovviamente, la figura misericordiosa di
Gesù con quella del Padre, il quale diventa un esigente consulente del lavoro
che vuole vedere come noi lavoriamo per metterci il bastone tra le ruote e per
metterci alla prova, per vedere se facciamo bene il nostro lavoro e, in ultimo,
ma non ultimo per importanza, infonde nel cuore dell’uomo la paura d’essere
felice e di aspirare alla felicità piena, come invece vuole Gesù, perché prima o
poi potrebbe abbattersi su di lui una sciagura inaspettata. Gesù, che non
avrebbe mai potuto affermare questo, che lo porrebbe in netto contrasto con
20
l’Essenza del Padre, ci parla di “purificazione” e non di “potatura”.
D’altra parte la sofferenza non è un valore e il Padre non può volerla, nell’uomo
e in ogni creatura; Gesù Cristo è l’acerrimo nemico della sofferenza, altrimenti
non si spiegherebbero le guarigioni riportate dai Vangeli. L’intenzione di Dio è
quella di operare una purificazione dalla tendenza al male che connota il cuore
dell’uomo libero; perciò, più l’uomo ama e più si purifica. Più ama e più diventa
buono. Si realizza nel cuore dell’uomo questo processo fatto di due componenti
che agiscono, in lui, in modo inversamente proporzionale, come direbbero i
matematici; in altri termini, più l’uomo ama, più si purifica dal male che
inevitabilmente compie a causa della sua natura imperfetta. Ne consegue che
più aumenta la sua capacità d’amare e più diminuiscono, in lui, quelle
potenzialità che lo inducono a compiere liberamente il male, il male che viene
dall’uomo stesso, male che è una possibilità che l’uomo può porre in essere,
per la sua natura ontologicamente inferiore a quella divina. Nel prossimo
paragrafo vedremo come il male non ha alcuna derivazione satanica; infatti
vedremo lo sviluppo della credenza nel demonio e come questo essere
immaginario ha preso corpo nella visione cristiana della vita.
21
Il diavolo e l’inferno: Rivelazione o letteratura ?
Affrontiamo un argomento che desterà, quasi sicuramente, sconcerto, ma
anche meraviglia per il peso che esso può avere nella vita del cristiano
abituato, ormai da secoli, a pensare che la Rivelazione evangelica ammetta, al
suo interno, la presenza di un essere spirituale (chiamato diavolo o lucifero o
demonio o satana) che, già dalla creazione, sarebbe il responsabile di tutti i
mali del mondo, riconosciuto come colui che avrebbe istigato i progenitori
biblici alla disobbedienza nei confronti di Dio.
C’è da notare, effettivamente, che nella Bibbia è presente questa creatura fin
dalle origini. Infatti, già in Genesi se ne parla come di un essere che, prima di
tutti, ha disubbidito a Dio avendo avuto la presunzione di diventare lui stesso
Dio. Per questo motivo, Dio lo ha precipitato all’inferno, non solo ma, secondo
l'attuale teologia cattolica, ogni tanto gli darebbe modo di tormentare l’uomo,
per qualche tempo, fino alla sua eterna dannazione all’inferno. Vedremo, però,
tra breve, che l’autore biblico è condizionato dalla mentalità del tempo, quindi
questo fantomatico essere è il frutto di una invenzione letteraria. Ma andiamo
per gradi.
I cristiani, oggi, molto più che in passato, quando si affronta il tema del
demonio e dell’inferno, inevitabilmente si pongono delle domande ragionevoli
che mettono in crisi questa visione ancora medievale del cristianesimo, che
ammette al suo interno la presenza del demonio e dell’inferno. Nella mia
esperienza di ascolto dei giovani, laureati e non, constato il loro grande disagio
rispetto ad una teologia alquanto negativa, fondata sul terrore e che li porta ad
allontanarsi dalla comunità cristiana. Le domande che porrò tra breve cercano
di interpretare i sentimenti di questi giovani che hanno una notevole apertura
mentale e che rifiutano categoricamente una fede cristiana a loro dire “oscura,
piena di insidie e che insinua nell’animo solo tristezza”. Nella nostra analisi di
questo tema molto delicato, ci chiediamo subito: Come può esistere un luogo di
dannazione per un angelo ribelle a Dio? Se Dio l’ha destinato all’inferno (solo
perché questo angelo voleva essere come Dio) significa che c’era un inferno
già esistente? Ma può Dio aver creato un inferno eterno prima che Lucifero
peccasse? Dio non può creare una realtà negativa. Ma può esistere un inferno
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“al di fuori” di Dio? E poi, nei confronti di Dio, si può dire che esista un “dentro”
e un “fuori”. Allora Dio non è Tutto? Oppure, è la ribellione dell’angelo stesso
(Lucifero) a generare un inferno?
Ma può un peccato, anche se grande, nei confronti di Dio, generare un inferno
eterno? Può, un peccato commesso da un angelo, che è pur sempre una
creatura “finita” e “imperfetta”, generare un luogo di pena “infinito”, infinito in
quanto la pena è “eterna”, quindi anch’essa infinita?
Non c’è troppa sproporzione tra la colpa commessa (Lucifero è pur sempre una
creatura) e la pena eterna conseguente a tale colpa?
Se tocchiamo ora il tema della libertà su cui si fondano i Vangeli, in riferimento
alla fede dell’uomo come risposta “LIBERA” a Dio che lo interpella, vedremo che
sorgono domande a cui non c’è risposta e capiremo tutto. Vediamo: Se Dio ha
dato la libertà alle sue creature, per cui esse possono decidere liberamente di
ribellarsi a Dio ma anche di obbedirgli, come è possibile che, dopo una sola
ribellione al Creatore, l’angelo ribelle non ha più la facoltà di pentirsi per
ritornare a Dio?
Forse che Dio ha tolto all’angelo ribelle il dono della libertà, dopo che questi ha
peccato? Ma allora Dio prima fa dono della sua libertà ad una creatura e poi se
la riprende indietro? Stando così le cose, allora, il Creatore muta nei suoi
sentimenti verso la creatura ribelle? Ma se è così anche noi siamo spacciati
quando commettiamo una colpa grave? La teologia cattolica non ci assicura,
però, che ad ogni peccato può seguire un pentimento e un ravvedimento? Se
sono vere entrambe le cose, Dio allora usa due pesi e due misure,
condannando l’angelo ribelle all’inferno e perdonando, invece, l’uomo che si
pente? E’ possibile che l’uomo possa pentirsi e Lucifero no? Questo significa
che Lucifero non è più libero di aderire a Dio, dopo aver commesso un peccato
di ribellione a Lui?
Ma se questo è vero e Lucifero viene privato della libertà di pentirsi, non viene
ridotto, Lucifero stesso, ad un automa senza libertà? A questo punto non può
più chiamarsi “creatura”, poiché ciò che caratterizza lo stato di creatura è
proprio la “libertà”. Ora, se Lucifero non ha più la libertà di pentirsi, come fa ad
avere ancora la libertà di tentare gli uomini? Dunque, se è vero anche questo,
egli è soggetto a Dio; ma se è soggetto a Dio perché privato della libertà e non
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può, per lo stesso motivo, tentare l’uomo, da chi viene tentato l’uomo? Forse
da Dio? Cerchiamo di spiegare meglio: La libertà, in una creatura, permette,
alla stessa, di avere la facoltà di compiere il bene e il male nella stessa misura.
Se Dio lo priva della libertà di poter tornare pentito a Lui, cacciandolo
all’inferno che è eterno, vorrà dire che Lucifero non potrà più fare il bene, ma,
allora, non può fare più neanche il male, se è vero che essere liberi significa
poter scegliere liberamente il bene o il male! Con queste premesse, come
facciamo ancora ad affermare che Egli tenta l’uomo al male e, cosa ancora più
grave, che abbia la possibilità di possedere un uomo? Se Lucifero non può fare
più nulla, né il bene né il male, perché privato della libertà, chi è che tenta
l’uomo? Forse Dio? Impossibile. Forse Dio, servendosi di Lucifero ridotto a
marionetta eseguitrice di ordini da parte di Dio? Allora Dio è un tiranno? E la
figura del Padre misericordioso presentataci da Gesù che fine fa? Gesù, in
definitiva, ci ha mentito sul Padre? Oppure Gesù ci ha mostrato una
misericordia che era solo sua e non corrisponde al voto del Padre?
Ci rendiamo conto che più andiamo avanti nelle domande e più ci cacciamo in
un vicolo cieco?
Ma continuiamo pure a porci delle domande inquietanti che ci fanno intuire
sempre più che Lucifero è un falso storico e troppi, ancora oggi, lo “usano”
come strumento per avere ancora padronanza sulle coscienze. Basta con il
delegare ad altri le responsabilità della propria coscienza.
Ognuno ragioni con la propria testa e si renderà conto, per lo meno, che certe
verità di fede non reggono al vaglio della Ragione. Ma continuiamo con le
domande: Ammesso che sia stato Lucifero a crearsi un inferno eterno, ma le
domande precedenti ci convincono del contrario, la misericordia infinita di Dio
può conciliarsi con l’esistenza di un inferno eterno e di un angelo decaduto che
vi abita e che fa di tutto per portarci dentro più persone possibili? Alla fine dei
tempi, quando Dio sarà tutto in tutti, come ci assicura Paolo, lo stesso Dio potrà
essere tutto in tutti eccetto l’iferno e coloro che vi abitano, primo fra tutti
Lucifero? Dio, può permettere che l’uomo, durante tutta la sua vita, sia
disturbato da un essere così cattivo al punto tale che, in determinati casi,
possono manifestarsi fenomeni di possessione diabolica?
Se Dio, l’intera Trinità, come vedremo nei prossimi paragrafi, abita nel cuore di
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ogni Creatura, frutto, questo, dell’Incarnazione, evento fondante della fede
cristiana, come può questo presunto diavolo prendere il posto di Dio nel cuore
dell’uomo, dando così luogo ad una possessione demoniaca? Dio, può
permettere questo? Non genera, tutto questo, una penosa consapevolezza
nell’uomo? Quella, in pratica, di essere alla mercé di un essere personale
malvagio, nonostante la sua fede in Dio? E tutto ciò non genera, forse, nel
cuore dell’uomo, la paura che affidarsi a Dio non basti più? Può, Dio,
permettere che l’uomo stesso possa pensare che Dio non sia sufficiente ad
assicurargli la felicità in questo modo, a causa dell’imprevedibilità del diavolo
che metterebbe in atto qualunque strategia per occupare il cuore dell’uomo? E
Dio si farebbe cogliere di sorpresa da questo Lucifero, per poi aver bisogno
dell’esorcista per scacciarlo? O dovremmo credere che Dio prima permette al
diavolo di possedere un uomo e poi all’esorcista di scacciarlo? Ma che Dio è
questo che gioca a dadi con gli esseri umani? Si dice, spesso, che il diavolo
tenta e tormenta i più buoni, i più santi (è nota nella letteratura delle vite dei
santi, la strenua lotta tra il santo e il diavolo).
Allora non conviene essere buoni? O aspirare alla Santità? O non sarà forse
vero che certe manifestazioni di lotte contro il diavolo non sono altro che
fenomeni isterici o genericamente psicosomatici che il cervello umano, ancora
ai primordi per quanto riguarda la manifestazione dei suoi eccezionali poteri,
può manifestare all’esterno? Non ci assicura forse, la scienza, che il cervello
umano, che è in Evoluzione, lavora solo ad una bassissima percentuale rispetto
alle potenzialità infinite che possiede in se? Questo è il motivo per cui il
cervello umano manifesta anche poteri incontrollabili e incontrollati, che spesso
vengono fuori senza che ne conosciamo i meccanismi.
Nel cervello c’è tutta la scienza divina “in potenza”, in altre parole tutta la
potenzialità divina buona, che lo stesso essere umano può manifestare
all’esterno in modo buono se ama, in maniera cattiva se odia. Ma il cervello
può anche manifestare situazioni assurde come la parvenza di possessione
demoniaca se qualcuno è convinto di essere posseduto, così come l’esaltazione
mistica se qualcuno è convinto di essere il prediletto di Dio.
Ne sono prova i fenomeni isterici di massa per le visioni e i fenomeni di
autosuggestione di massa quando si assiste alle cosiddette messe di
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guarigione. Ma ci sono anche fenomeni di autosuggestione negativa , quando
l’uomo è convinto di essere posseduto, solo perché qualcuno, privo di scrupoli,
gli ha inculcano,da secoli, che il diavolo può impossessarsi di lui.
E’ la scienza che deve rivelarci, volta per volta, che cosa accade nel nostro
cervello in evoluzione e non l’esorcista.
Ma torniamo alle domande provocatorie e nel contempo logiche: Spesso si
afferma, riguardo al diavolo, che Dio mette alla prova i suoi. Servendosi del
diavolo? Allora il diavolo è soggetto alla volontà di Dio? Se è così, come mai
Dio, poi, lo precipita all’inferno? Se il diavolo è uno strumento di Dio, perché
Dio lo dannerà in eterno? A questo punto il diavolo potrebbe anche dire a Dio:
“Io ti ho aiutato a far crescere l’uomo attraverso la tentazione e la sofferenza
che vengono da me.
Ora l’uomo è cresciuto come volevi tu, quindi io ti sono stato d’aiuto, ora
perché mi cacci all’inferno per tutta l’eternità? No! Così non ne usciamo. Già a
rigor di logica (è la logica è dono di Dio) non riusciamo a rispondere a queste
domande senza mettere in crisi la figura di Dio, che assumerebbe così la
parvenza di un tiranno.
D’ altra parte se salviamo l’idea di un Dio buono-misericordioso-infinito amore,
automaticamente crolla la figura del diavolo. E’ necessario rispondere alle
suddette domande? Credo di No! Gli stessi interrogativi contengono la risposta!
Le domande fatte hanno il compito di risvegliare in noi la COSCIENZA CRITICA
POSITIVA, ormai addormentata da una pressante predicazione negativa e da un
bombardamento mentale che hanno generato, nel cuore dei cristiani di tutti i
tempi, la paura di Dio, il terrore del diavolo e la paura della vita stessa, per cui
tutti si aggrappano alla figura della Madre di Dio come a colei che, sola, può
salvarci da questo stato di cose. Certa predicazione, avendo svalutato in pieno
la figura del Padre, che lavorerebbe a braccetto con il demonio, di cui si serve
per mettere alla prova gli uomini, avendo svalutato la stessa figura del Figlio,
che obbedendo al Padre ricalca le sue orme, ha generato un attaccamento
morboso
ad
alcune
presunte
apparizioni
mariane,
dove
la
madonna
incoraggerebbe gli uomini ad aver fiducia di lei. E’ certamente grande il ruolo di
Maria nella Storia della Salvezza e lo ricorda anche la “Lumen Gentium”
(Costituzione dogmatica sulla Chiesa, del Concilio vaticano II) ma non diamole
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dei compiti che non le appartengono.
Se facciamo questo che senso ha il Vangelo? Nel Vangelo Maria è grande
proprio perché è di poche parole. Con il passare del tempo si è arrivati al punto
di proiettare la figura materna protettiva, di cui ogni uomo ha bisogno, verso la
madre di Dio che, sola, può “fermare il braccio del Figlio” adirato con l’umanità.
In certe presunte apparizioni la madonna affermerebbe proprio questa
assurdità. Verrebbe da chiedersi: Ma la madonna è più buona di Dio Padre e del
Figlio?
Può una creatura, per quanto grande come Maria, essere più buona del suo
Creatore? Le domande che ci siamo poste hanno anche il compito di farci
esclamare una volta per tutte: BASTA! Ciò che ci hanno insegnato deve fare i
conti con le continue domande che la logica razionale suggerisce nell’animo
delle persone. La consapevolezza di ciò l’abbiamo solo riflettendo a rigor di
logica, senza interpellare la Sacra Scrittura. Adesso, avendo già acquisito la
consapevolezza delle forti contraddizioni che vengono fuori dal discorso logico
fin ora fatto, vedremo come, con l’ausilio della Scrittura, riusciamo ad avere
tutti gli strumenti per dare corpo ad una nuova conoscenza di Dio e
dell’infondatezza biblica dell’esistenza del demonio e dell’inferno. Se non altro
riusciremo a mettere in crisi la visione negativa della fede cristiana che, come
già affermato, ammette l’esistenza di uno spirito personale malvagio che
farebbe di tutto pur di impedire l’evoluzione dell’uomo-donna verso il
raggiungimento del Bene e l’affermazione dell’Amore universale.
L’idea dell’esistenza del diavolo, nella Scrittura, è nata durante il 1° esilio di
Israele in Babilonia (721 a.c. per opera di Sargon II). L’autore sacro, riflettendo
sulla penosa situazione d’Israele e credendo che detta situazione è il risultato
dell’infedeltà d’Israele a Dio, lungo la storia, elabora una situazione di peccato
conseguente alla creazione, per istigazione di un angelo decaduto.
La disobbedienza continua a Dio avrebbe generato l’esilio. Da qui nasce questa
convinzione: Il peccato è punito da Dio con l’esilio. Come già accennato prima,
l’autore biblico si chiede: “Da dove viene questo peccato d’Israele? Non certo
da Dio, ritenuto il “tre volte Santo”. A questo punto l’autore biblico, non avendo
una conoscenza dell’antropologia e della psicologia del profondo e non
potendo, quindi, attribuire all’uomo stesso la capacità di compiere il male per
27
una propria carenza ontologica, in quanto l’uomo non è un essere perfetto,
l’autore sacro, dicevamo, ha elaborato, aiutato anche da una tradizione orale, il
fatto che l’uomo fosse stato vittima di una tentazione da parte di un qualche
essere spirituale che, non potendo essere Dio, doveva preesistere alla
creazione per poter avere l’opportunità di tentare l’uomo a porsi contro Dio già
all’atto della Creazione stessa. L’autore biblico aveva una sola conoscenza
della vita: quella religiosa. Tutta la vita dell’uomo, secondo lo stesso autore,
ruotava attorno alla concezione religiosa dell’esistenza. Quindi tutto il bene che
l’uomo faceva veniva attribuito a Dio; ma quando l’uomo si comportava male,
non potendo ascrivere a Dio il male commesso lo attribuiva ad un essere
spirituale in netta opposizione a Dio. L’autore biblico, dunque, ha elaborato,
alla luce delle sue conoscenze religiose, una teologia negativa, in quanto ha
permesso a quest’ipotetico avversario di Dio di entrare nella tradizione
religiosa ebraica che, prima dell’esilio non contemplava questa presenza. Dopo
il 2° esilio di
Babilonia (586 A. C. per opera di Nabucodonosr), il popolo
d’Israele si trova disperso in tutta la regione del Mediterraneo (diaspora).
Comincia a nascere la necessità di tradurre la Bibbia dall’ebraico in greco;
infatti, gli ebrei abitavano in massima parte in Alessandria d’Egitto e avevano
cominciato ad imparare la lingua greca che era la parlata predominante nel
Mediterraneo insieme con quella latina. Gli ebrei a differenza degli altri popoli
avevano, secondo la tradizione, l’abitudine di alfabetizzare i bambini già in
tenera età. Essendo la legge mosaica il fondamento della vita d’Israele,
sorgeva la necessità di tradurre la stessa dall’ebraico in greco, per essere
compreso dai bambini già in tenera età.
Ad Alessandria d’Egitto c’era la più grande biblioteca del mondo allora
conosciuto e anche gli ebrei erano acculturati; da qui il desiderio di avere una
Bibbia tradotta in greco, per non interrompere la tradizione dei Padri e poter
adorare Dio anche in un luogo straniero. A tal proposito furono designati
Settanta sapienti d’Israele per tradurre tutta la Scrittura in greco. Nel frattempo
la Scrittura si era popolata di esseri semi-divini, importati dal mondo mitologico
dell’antichità;
non
solo,
ma
anche
delle
cosiddette
divinità
straniere
(inesistenti) del mondo extrabiblico, di cui la Scrittura ha sempre parlato.
Israele, infatti, credeva, sì, che il suo Dio fosse l’unico, ma per potenza e non
28
per numero; infatti, gli ebrei credevano che anche le nazioni straniere avessero
i loro dei. Ad esempio il dio dei cananei era Baal, spesso nominato nella Bibbia,
il dio egizio era Aton. Infatti, nel Salmo 96,5 si dice che: <<Gli dei delle nazioni
sono nulla>>. Ora, i Settanta (LXX), cominciando a tradurre, si resero conto
che nella Scrittura c’era un buon numero di questi nomi fantasiosi e, non
sapendo come tradurli in greco, hanno tradotto tutti i termini sconosciuti con
“daimon” (demonio), che pure aveva un significato positivo nel mondo greco
(spirito dell’uomo, genio, nume tutelare).
Ma l’errore più grave l’ha compiuto Girolamo quando ha tradotto in latino
l’intera Bibbia dal greco che, ormai, conteneva già il termine “daimon”.
Prendendo a riferimento il testo del profeta Isaia, al capitolo 14,12, egli snatura
totalmente il significato di tale passo; vediamo come. Isaia lanciando
un’invettiva sarcastica verso il re dei babilonesi Nabucodonosor, gli dice: <<Sei
caduto dal cielo stella del mattino?>>. Isaia si riferiva al Re e lo chiama in
ebraico “hèlel” (la prima stella del mattino che i latini chiamavano Venere). Qui
i LXX tradussero bene con “èosphoros” (portatore dell’aurora). Ora, Girolamo
tradusse un nome comune, che indicava la qualità della stella del mattino, con
un nome proprio: “Lucifero”; facendo credere che il passo d’Isaia si riferisse
all’angelo decaduto di cui abbiamo parlato e che era già presente nella
tradizione ebraica, per opera dell’autore della Genesi, come abbiamo già
descritto. Questa traduzione ha fatto nascere la consapevolezza errata che
Lucifero fosse il nome dell’angelo decaduto che , a sua volta, ha istigato l’uomo
a commettere il peccato originale. Diverso è il discorso per il termine “satan”
ebraico, che vuol dire avversario. C’è un racconto nella Bibbia dove i filistei
chiamano Davide con il nomignolo “satan” cioè avversario. Lo stesso Salomone
chiama i re suoi nemici “satan”.
Gesù stesso chiama Pietro “satan”, nell’episodio che segue la professione di
fede di Pietro. Se i “satan” sono uomini come fanno ad essere “il diavolo”?. Il
termine ebraico “satan” è stato tradotto in greco “diabolos”, che significa “colui
che divide”. Ma se il significato del termine originario, in ebraico, è
“l’avversario”, la sua traduzione in greco con “diabolos” non cambia la
sostanza del significato. Dunque, quando incontriamo in greco il termine
“diabolos”, questo significa lo stesso “avversario”, cioè colui che crea divisione.
29
Risultato? Noi oggi indichiamo con un solo personaggio, vale a dire l’angelo
ribelle e decaduto, chiamato Lucifero, indifferentemente i termini “satan”,
“diabolos”, “daimon”; ma abbiamo visto che ognuno di questi ha una storia a
se: Il termine “daimon” racchiude in sé tutti gli dèi immaginari dei popoli
extrabiblici, opposti al Dio d’Israele e questo concetto viene rafforzato dal fatto,
come già detto, che Israele aveva già elaborato un ipotetico avversario di Dio
che fa cadere l'uomo originariamente (colui che conosciamo con il nome di
Lucifero), mentre “satan” ebraico, con il corrispondente “diabolos” greco,
indicano l’avversario umano in guerre, lotte, dispute. Gesù si serve di questi
termini per indicare chi avversa il suo progetto d’amore nei confronti dell’uomo,
in pratica coloro che volevano che Gesù combattesse al loro fianco per la
liberazione del popolo d’Israele dal dominio straniero. Un altro errore è stato
commesso, da Girolamo, nel tradurre la parola greca “Ade”, già tradotta così
dall’ebraico “Shèol”, con il termine latino “inferno”. Lo “Shèol” per gli ebrei era
il regno dei morti, così come era l’ “Ade” per i greci. Ora, Girolamo traduce
“inferno” invece di “inferi”; questo ultimo era il corrispettivo del regno dei morti
in latino. Non solo, ma dà al termine “inferno” quella caratteristica negativa di
luogo dove doveva, per forza di cose, relegare quel Lucifero inventato da lui
per grossolani errori di traduzione.
C’è da tener presente, comunque, che nei Vangeli si parla di “inferno” ma solo
nella traduzione italiana. Infatti, come già affermato, il testo greco parla di
“Ade”.
Molti affermano che Gesù stesso ha parlato dell’inferno in molti suoi discorsi.
Qui entra in gioco un’altra questione importante: Gesù, quando parla della
condanna di chi non agisce bene in questo mondo, usa la parola “Geenna”. La
Geenna è il luogo dove si bruciavano i rifiuti di Gerusalemme; Gesù introduce
questo termine, nei suoi discorsi, a puro scopo pedagogico. L’Incarnazione
presuppone un’identificazione anche linguistica, da parte di Gesù, con la
cultura del tempo.
E’ inevitabile, quindi, che Gesù usi il linguaggio del suo tempo anche riguardo a
questo spinoso argomento, seppure in pochissime occasioni, ma lo fa
soprattutto a scopo educativo. Per Gesù c’è il rischio reale che l’uomo possa
fallire nel suo rapporto con Dio, se si ostina ad odiare, nonostante gli inviti
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pressanti all’Amore vicendevole. In questo caso Gesù prevede la “possibilità” di
un fallimento totale della persona che, pur creata per amare e pur avendone la
consapevolezza, si ostina ad odiare. In questo caso Gesù parla di Geenna ed è
come se dicesse: “Se ti ostini a fare del male al tuo prossimo, la tua vita non ha
alcun senso, ti blocchi nell’evoluzione verso la vita e la tua esistenza si spegne
piano piano. Alla tua morte verrai gettato nella Geenna perché non avendo
dato alla tua Coscienza la possibilità di evolvere nel bene, sei rimasto solo
“carne” e la tua carne, alla morte, si decompone e la tua esistenza svanirà
nella totale distruzione, così come avviene nella Geenna quando si brucia
l’immondizia”. Gesù, dunque, paragona l'uomo che non ama ad un rifiuto, ad
“immondizia”.Non è l’inferno, è solo una possibilità di fallimento riguardo alla
salvezza della persona oltre la morte, per il semplice fatto che la persona
stessa non avrà sperimentato alcuna evoluzione benefica verso il bene. Ci dà
l'idea di annientamento totale. La figura della Geenna, infatti, dà l'idea
dell'annullamento totale così come i “rifiuti” quando vengono gettati nel
bruciatore. Non resta nulla. Ma, ripetiamo, è solo una possibilità.
Gesù parla della possibilità di fallimento, ma non è detto che ciò accada e,
sicuramente, la Trinità divina fa di tutto perché questo non accada, stimolando
continuamente la Coscienza dell’Uomo- Donna al Bene. Potremmo dire ancora
tante altre cose riguardo a questi temi. Ritengo, tuttavia, che sia sufficiente
tutto ciò che ho esposto, perlomeno per far capire ai nostri cristiani
contemporanei
che la Rivelazione cristiana è ben altro che non gli errori di
traduzione fatti passare per verità di fede ma, ancor più, per dire agli stessi
cristiani che sarebbe ora di aprire gli occhi e le orecchie, per ragionare secondo
la propria COSCIENZA che , come dice il Concilio Vaticano II, è il SACRARIO più
importante dell’uomo, dove abita la TRINITA’ stessa e che nessuno ha il diritto
di violare, perché lì la Trinità parla ad ogni uomo-donna-creatura. Con questa
lunga preparazione possiamo, ora, apprestarci ad analizzare alcuni passi del
Vangelo di Marco e conosceremo gli aspetti positivi della Rivelazione di Gesù.
31
INTRODUZIONE AL VANGELO DI MARCO
Analisi di Marco capitolo1,1
Iniziamo questo breve ma intenso cammino in compagnia del Vangelo secondo
Marco. Al capitolo 1,1 Marco, secondo la traduzione italiana, esordisce così:
<<Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio>>. Questo versetto ci farà da
introduzione per la comprensione dei passi che analizzeremo.
Ma questo stesso versetto ci aprirà la porta alla comprensione di altri temi
teologici fondamentali che tratteremo dopo i passi analizzati. Ma procediamo
per gradi.
Intanto diciamo subito che in questo primo versetto è racchiuso “in nuce” tutto
l’insegnamento su Gesù e il significato profondo della sua missione nel mondo.
L’Incarnazione assume il suo aspetto rilevante proprio riflettendo sul primo
versetto del capitolo 1. Se analizziamo però i singoli termini, nel testo greco,
vediamo che ogni termine ha un significato che va oltre il dato linguistico che il
Vangelo stesso ci presenta. Analizziamo il testo greco: <<Archè tou Euanghelìu
Iesù Cristòu Uiòu tou Teoù>>. C’è da rilevare subito che la traduzione italiana
del termine “Archè” non rivela tutta la portata teologica che l’Archè greco vuole
comunicarci. Ci si è limitati a tradurre detto termine con “Inizio”, cosicché il
primo ver- setto, nel suo insieme, sembra dirci: Così inizia il Vangelo di Gesù
Cristo Figlio di Dio. Questo modo di tradurre è assolutamente riduttivo e rischia
di far dire a Marco ciò che Egli non intendeva dire, vale a dire che il primo
versetto del suo Vangelo ci descrive solo, a mò di titolo, il resoconto della vita
di Gesù. Ma, per le ragioni già descritte in precedenza, il Vangelo è una
elaborazione teologica di un fatto storico realmente accaduto e, in quanto tale,
anche il primo versetto, ma soprattutto il termine Archè, che ne spiega il
significato, non è assolutamente il titolo della storia di Gesù ma un vero e
proprio trattato di teologia biblica, fondato sull’Evento Incarnazione. “Archè”
non significa “Inizio” nel senso temporale del termine ma “Principio”.
Che cosa significa, secondo il testo greco, questo termine messo da Marco
all’inizio del suo Vangelo?
Rileggiamo il primo versetto sostituendo al termine Inizio la parola Principio;
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avremo quest’affermazione: <<Principio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di
Dio>>. Certamente anche il termine Principio può, a prima vista, essere
frainteso e assumere lo stesso significato temporale del termine Inizio; ma
ricordiamoci che il termine “Archè” viene inteso in greco come Principio Primo,
che ha tutto un altro significato. Il Principio Primo di una realtà è l’Essenza di
quella realtà stessa, cioè il Motivo stesso per cui quella data realtà esiste;
facciamo un esempio: Se costruiamo una casa, questa deve avere delle buone
fondamenta per poter reggere. Allora, si può affermare che le fondamenta sono
il Principio, l’Essenza, il Motivo fondamentale per cui questa casa può resistere
alle intemperie e sussistere al passare del tempo. Ora, il Vangelo sta a Gesù
Cristo come la casa sta alle sue fondamenta. Il Vangelo, allora, può sussistere
perché Cristo ne è il fondamento, altrimenti è lettera morta. Questo ci porta ad
affermare che, nel Vangelo di Marco, noi possiamo leggere così: <<Principio
Primo del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio>> ; approfondendo ancora si può
leggere: <<Principio Primo del Vangelo che è Gesù Cristo Figlio di Dio>>. Alla
luce di questa nuova ottica del primo versetto del cap.1, si può finalmente
affermare ciò che Marco voleva realmente intendere nella presentazione del
suo Vangelo: <<Gesù Cristo Figlio di Dio è il Principio Primo (L’ESSENZA) del
Vangelo>>. Ora, se il Vangelo è la traduzione del termine greco “Euanghèlion”,
che significa Buona Notizia, possiamo senza ombra di dubbio affermare che:
<<Gesù Cristo Figlio di Dio è il Principio Primo (L’Artefice, Il Fondamento, Il
Portatore, L’Essenza, Il Criterio Primo e Ultimo, L’Alfa e L’Omega) della Buona
Notizia>>.
Si tratta ora di sapere qual è questa Buona Notizia, da dove ci arriva e dove
vuole condurre l’Umanità intera di tutti i tempi. Questa sarà la ricerca che ci
accingiamo a fare, attraverso la lettura e la meditazione del Vangelo di Marco.
Prima di addentrarci in questa ricerca, bisogna fare un’ ulteriore premessa: Il
termine Archè lo troviamo sia all’inizio della Bibbia, nel racconto della Genesi,
sia nel Prologo del Vangelo di Giovanni; in Genesi la prima parola con cui
esordisce la Bibbia, al capitolo 1,1, per descriverci in termini simbolici la
Creazione, è “Be-rishìt” (anche qui il significato è “In Principio” ); in Giovani la
prima parola del suo Prologo, al capitolo 1,1, è “En Archè”. Bisogna notare
come, in entrambi i casi, il termine Principio è preceduto dalla particella “In”.
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Vediamo le due affermazioni nel loro sviluppo linguistico: Genesi dice in
ebraico: <<Be-rishìt Barà Elohim Et Ashamahim We-et Aares>> vale a dire:
<<In Principio Dio Creò Il Cielo e La Terra>>; in greco: <<En Archè Tehòs
epòiesen ton Uranòn kai then Ghèn>>.
Se applichiamo all’Archè il significato datogli in precedenza e cioè: Gesù Cristo
è il Principio Primo (è Lui l’Archè), avremo una Nuova Rivelazione già nel primo
versetto della Genesi e leggeremo: << In Gesù Cristo Dio Creò il Cielo e la
Terra>>.
Analizziamo ora il Prologo di Giovanni; abbiamo in greco: <<En Archè Hen O’
Logos>>, cioè:
<<In Principio Era il Logos>> (in greco il Logos è il Figlio di
Dio, prima dell’Incarnazione, ma è pur sempre Colui che sarà Il Gesù Cristo
Incarnato nella storia).
Anche qui, per le ragioni suddette, possiamo tradurre: <<In Gesù Cristo, Era
(nel senso di “c'era”) il Logos>>; perché “Era”? Perché il Logos si identifica in
Gesù Cristo già prima della Creazione, in quanto Giovanni, nel suo Prologo ci
descrive la Preesistenza di Gesù come Logos Divino, Il Figlio del Padre, La
Seconda Persona della Trinità. Abbiamo visto, dunque, che sia in Genesi, sia in
Giovanni, L’Archè s’identifica con Gesù Cristo. Allora possiamo definitivamente
affermare, con Genesi, che: <<Il Cielo e la Terra sono stati Creati In Gesù
Cristo>>, vale a dire, tenendo conto della Sua Incarnazione futura che il Padre
già prevedeva; ma possiamo anche affermare con Giovanni che: <<In Gesù
Cristo Era il Logos>>; in altri termini Gesù Cristo Incarnato “è“ (si identifica
con) lo stesso Logos Divino (la Seconda Persona della Trinità), prima
dell’Incarnazione.
Allora la riflessione sul primo versetto del capitolo 1 di Marco tiene conto di
questi due pilastri della Sacra Scrittura che stanno a fondamento del nostro
studio.
Torniamo adesso al primo versetto del cap. 1 di Marco, perché, con le premesse
fatte, abbiamo tutti gli strumenti per poter interpretare nel modo giusto lo
stesso versetto, che contiene in sé, a mò di Codice Genetico, tutta la verità che
Marco poi svilupperà, riguardo alla vita di Gesù e al suo insegnamento, nel
prosieguo del suo Vangelo. Riprendiamo il versetto: <<Gesù Cristo Figlio di Dio
è il Principio dell’Euanghelion>>. Ho scritto “Vangelo” così come lo conosciamo
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noi, ma, traducendo dal greco “Euanghelion”, dovremmo scrivere “Evangelo”,
per far capire meglio il senso di questa Parola che contiene in sé molto più di
quanto Essa ci dice traducendola semplicemente con “Vangelo”.
Quando noi pronunciamo questa Parola pensiamo subito ad un libretto che
contiene la vita di Gesù, ma dimentichiamo o non sappiamo affatto che, come
ho già scritto, “Vangelo” viene dal greco “Euanghelion”, che è costituito da due
termini: “Eu” che significa: “Buon-buono-buona” e “Anghelos” che ha il
significato di: “Notizia-annuncio-messaggio”. In ogni modo, per comodità e
anche perché è un termine a noi più familiare, scriverò sempre “Vangelo”. Ma
chiediamoci allora: Qual è questa Buona Notizia? Chi ne è il mittente? Che cosa
vuole comunicarci? Qual è lo scopo per cui Essa ci viene trasmessa?
Cercheremo di capirlo dall’analisi di alcuni passi del Vangelo di Marco, che ci
faranno capire meglio chi è Gesù di Nazareth e qual è il significato della sua
presenza nel mondo.
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ANALISI DI ALCUNI PASSI SCELTI DEL VANGELO DI MARCO
Marco cap. 1,40-45:
Gesù purifica un lebbroso (interpretazione storica)
Gesù ridona dignità all’uomo emarginato (interpretazione teologica).
Attraverso l’interpretazione di questi testi di Marco, che mi accingo ad
analizzare, coglieremo quei fondamenti positivi che gli evangelisti ci hanno
trasmesso su Gesù Cristo, in base ai suoi gesti e alla sua predicazione e che
danno uno sbocco positivo a tutte le vicende umane, anche le più complicate.
In questo passo Marco ci presenta Gesù che incontra un lebbroso. Bisogna
tenere presente, innanzitutto, ciò che abbiamo detto nell’introduzione ai
Vangeli e cioè che ogni episodio va letto ed interpretato non solo storicamente,
ma soprattutto in modo teologico-simbolico. Allora bisogna fare una premessa
riguardo alla figura del lebbroso ai tempi di Gesù, alla sua condizione di malato,
alla condizione sociale e al rapporto con l’istituzione scribo-farisaica.
Riguardo alla sua condizione di malato diciamo subito che la lebbra era, per la
mentalità ebraica, una malattia considerata come conseguenza dello stato di
peccato da parte di chi ne era affetto.
Il lebbroso, constatata la contagiosità della lebbra, era catalogato come
maledetto da Dio.
Secondo questa mentalità Dio puniva i peccatori attraverso le più svariate
malattie. La lebbra era la più eclatante, in quanto contagiosa; quindi chi n’era
affetto veniva emarginato, espulso dalla comunità, non solo per il pericolo che
altri potessero infettarsi, ma soprattutto perché ritenuto impuro dal punto di
vista rituale-religioso. Questa ultima condizione era la più emarginante, per il
lebbroso, poiché alla sua emarginazione sociale si aggiungeva, in lui, la
sofferenza nel sentirsi “fuori” dai puri, in altre parole religiosamente maledetto
da Dio. C’è da tener presente che Gesù ha sempre svalutato la tradizione che
la malattia fosse una punizione da parte di Dio. Ma la cosa terribile sta nel fatto
che quest’uomo era considerato maledetto da Dio proprio in base ad una legge
religiosa, una legge attribuita a Dio, ma che era solo una delle tantissime
regole che i dottori della legge avevano codificato dal decalogo attribuito a
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Mosè.
La conseguenza disumana era che un uomo veniva assoggettato ad una legge.
Gesù, infatti, nella sua predicazione, avrà sempre l’ansia di liberare l’uomo
dalla schiavitù nei confronti delle regole religiose scribo-farisaiche che, in
questa maniera, classificavano le persone in “pure” ed “impure” a seconda del
loro stato di salute. Gesù inveirà sempre contro gli scribi, i farisei e i dottori
della legge, che riducevano l’uomo ad una marionetta eseguitrice di ordini,
pena l’esclusione dalla comunità religiosa. Succedeva né più né meno che ciò
che accade oggi nelle istituzioni religiose moderne.
Queste premesse sono necessarie per comprendere, in profondità, l’episodio,
altamente simbolico, al di là della guarigione fisica di quest’uomo. L’incontro
tra Gesù e il lebbroso è l’incontro tra Dio e l’uomo, ritenuto impuro proprio nei
confronti di Dio. Possiamo, dunque, immaginare la paura di quest’uomo
nell’avvicinarsi a Gesù. Ma nel profondo del suo cuore egli crede che Gesù
possa fare, per lui, tutto ciò che altri non erano riusciti a fare; crede di potersi
avvicinare a Gesù, nonostante si senta maledetto da Dio. Ciò significa che
quest’uomo ha ancora, in sé, uno spazio di Coscienza incontaminato dalle
regole che egli stesso subisce; quello spazio di Coscienza che è ancora in grado
di comunicare con il suo Creatore.
Diciamo, in termini percentuali, che un buon ottanta per cento di quest’uomo si
sente maledetto da Dio, perché contaminato dall’ossessione della legge scribofarisaica, che lo espelle dalla comunità in nome di Dio. Ma il venti per cento
della sua Coscienza crede ancora che, in fondo, Dio lo ama. E’ per questa
ragione che osa avvicinarsi a Gesù, chiedendogli la guarigione.
Se notiamo bene dal testo greco, il lebbroso dice a Gesù: <<eàn tèlhes dùnasai
me katarìsai.>>.
Il termine katarìsai, che in italiano è tradotto con “guarire” (se vuoi puoi
guarirmi), significa, letteralmente, “purificare” (se vuoi puoi purificarmi). Il
lebbroso chiede a Gesù, non di essere guarito, ma di essere purificato. In
questo termine è racchiusa l’ansia del lebbroso di essere reinserito nella
comunità religiosa, perché questo sarebbe il segno simbolico della sua
riconciliazione con Dio. Gesù acconsente, ma non per riconciliare l’uomo con
Dio. Per Gesù l’uomo è costantemente amato da Dio, dunque non c’è nulla da
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riconciliare.
Semmai c’è da operare una riconciliazione dell’uomo con se stesso, in quanto
diviso, in se stesso, a causa della legge. Gesù, con questo gesto, vuol far
capire, al lebbroso e agli scribi-farisei, che è un grave abuso di potere avere la
presunzione di allontanare l’uomo da Dio in forza di leggi disumane, ritenute
sacre. E allora Gesù fa intendere che Egli tiene proprio alla rivalutazione
dell’uomo.
Infatti, non si limita a restituirgli la salute, ma, come dice il Vangelo, lo “tocca”.
Dio tocca l’uomo e lo “ricrea”, non perché è un peccatore ma perché “rovinato”
dalle leggi scribo-farisaiche. Lo rimette a nuovo nel senso che riapre, a lui, la
porta interiore di comunicazione con il suo Creatore; porta che era stata chiusa
da uomini religiosi che si arrogano il diritto di emarginare un uomo, in virtù di
un potere religioso affermato e presuntuosamente attribuito alla legge di Mosè,
di cui loro erano i depositari. Diciamo, allora, che Gesù purifica quell’ottanta
per cento del lebbroso contaminato dalla legge e dai sensi di colpa che la legge
suscita nella Coscienza dell’uomo e che, nel tempo, lo rende erroneamente
consapevole di essere ripudiato da Dio. Gesù rinnova la sua Coscienza e la
riporta allo stato di purezza originaria, pronta per riprendere il suo cammino di
Evoluzione, nella piena libertà al cospetto di Dio. Un’altra caratteristica viene
fuori da questo episodio; su questa espressione c’è ancora qualche perplessità.
L’espressione riferita a Gesù è, in greco “splanknistèis”.
Il testo italiano traduce “mosso a compassione”. Molti biblisti affermano,
invece, che Gesù “indignatosi” purifica, poi, il lebbroso. Ma dicono anche che
Gesù fosse indignato con il lebbroso per il fatto che aveva osato avvicinarsi a
lui, contravvenendo così alla legge ebraica che lo teneva lontano dal consesso
umano. Questa ipotesi mi sembra contraddittoria, non solo con il gesto
misericordioso di Gesù, ma soprattutto con lo stile di Gesù, che è “Il
Misericordioso”. A mio parere, se questo verbo è tradotto con “indignatosi”,
una ragione, forse, c’è. Direi piuttosto che Gesù è indignato con coloro che
hanno ridotto in quel modo quel povero lebbroso. Personalmente penso che
quest’ipotesi si accordi benissimo con lo stile di Gesù che, continuamente,
inveisce contro scribi e farisei che si sono appropriati la legge di Dio per
controllare le azioni degli uomini, impedendo loro, così, di crescere in piena
38
libertà.
Da
quest’episodio
risalta
la
caratteristica
fondamentale
dell’Incarnazione: Gesù Cristo è venuto a rimettere al centro dell’attenzione
l’uomo deturpato, non dal peccato, ma dalla legge scribo-farisaica.
Questa è la volontà della Trinità: che nessun uomo, per quanto appartenente
ad un’istituzione religiosa affermata, può arrogarsi il diritto di dirigere la
Coscienza di un altro uomo. La Coscienza umana è in diretto contatto con Dio e
Gesù Cristo n’è l’unico decifratore. Ancor più: nessun uomo può escludere un
suo simile, per quanto può essere ritenuto peccatore, dalla comunità dei
credenti.
39
Marco cap. 2,1-12:
Gesù guarisce il paralitico (interpretazione storica)
Gesù ridona all’uomo la libertà d’autodeterminarsi (interpretazione
teologica).
Siamo alle prese con un miracolo molto simbolico, di là dalla sua valenza
storica (un uomo completamente paralizzato). La situazione è questa: In una
casa, Gesù sta insegnando e la folla (ebrei) circonda la casa a tal punto che
anche la porta d’ingresso è occupata e non è facile entrare. Alcuni scribi sono
dentro la casa ad ascoltare Gesù e sono “seduti”, vale a dire in funzione di
maestri della legge. D’improvviso un uomo completamente paralizzato, che
giace su di un lettuccio, è portato da quattro (persone) con l’intento di
presentarsi davanti a Gesù per essere guarito.
Non potendo entrare dalla porta, perché l’ingresso è occupato, i quattro
scoperchiano il tetto e calano il paralitico davanti a Gesù. Le cose che voglio
rilevare, a parte il discorso di Gesù sulla propria facoltà di assolvere i peccati
che non prendiamo in considerazione, sono: la scena che si svolge per
presentare il paralitico a Gesù, l’avvenuta guarigione e le parole finali con le
quali Gesù invita il paralitico, ormai guarito, a prendere il suo lettuccio e
tornare a casa sua.
Analizziamo simbolicamente le varie fasi di quest’episodio. Intanto il testo
greco ci afferma che il paralitico era portato da “quattro”, ma non specifica se
sono persone, mentre la traduzione italiana specifica che erano “quattro
persone”. Il fatto che il testo greco non menziona le quattro persone, ma solo il
numero “quattro” è significativo. I “quattro” che portano il paralitico sul
lettuccio, non essendo persone secondo il testo greco, c’indicano che il
paralitico simboleggia l’uomo proveniente dai quattro angoli della terra (lo
stesso numero dei portatori). In effetti, il paralitico e i quattro sono la stessa
realtà, cioè rappresentano l’essere umano che giunge da ogni parte della terra
e che ha bisogno di Gesù. In un’unica immagine Marco ci presenta un uomo
infermo che rappresenta l’umanità bisognosa d’aiuto (i quattro).
Inferma perché senza l’Incarnazione l’uomo è realizzato a metà e non avrebbe
mai la forza di giungere alla fine della propria Evoluzione. Assodato che l’uno e
40
i quattro sono la stessa realtà, vediamo gli sviluppi dell’episodio. Quest’uomo,
totalmente paralizzato, giace su un lettuccio e questo sta significando che è
impedito, ormai, nel vivere quotidiano e nel prendere le decisioni libere per la
sua vita. Qui la paralisi è il simbolo dell’impossibilità interiore dell’uomo
d’autodeterminare la propria vita. Infatti, è il lettuccio che determina la sua
esistenza; l’uomo non riesce a fare nulla senza il suo lettuccio.
Abbiamo, allora, capito che, simbolicamente, il quadro è questo: Gesù è
circondato dalla folla degli ebrei e davanti a lui “siedono”, in funzione di
maestri della legge religiosa, gli scribi. Fuori di questa cerchia c’è un’umanità
che è impedita dall’accedere alla comunione con Gesù proprio dagli ebrei stessi
che circondano la casa, ma anche da quegli scribi, maestri religiosi, che
giudicano in maniera negativa la Misericordia di Gesù verso il paralitico, infatti,
affermano che Gesù bestemmia nell’annunciare il perdono nei confronti di
quest’uomo, ritenuto peccatore proprio dall’istituzione scribo-farisaica. Avviene
ancora che il paralitico, portato dai quattro si presenta davanti a Gesù,
scavalcando la folla degli ebrei che, anche qui, simboleggia la legge che
accerchia Gesù, che lo tiene nascosto, prigioniero in casa. Significato? Marco ci
assicura che per entrare in contatto con Gesù bisogna scavalcare la legge
ebraica che impedisce a Gesù di esprimersi e di incontrare gli uomini,
circondato com’è dalla folla, simboleggiante la legge che lo rinchiude in casa
perché la sua Parola non si esprima all’esterno. Il quadretto, infatti, ci rivela che
la Parola di Gesù è impedita dal diffondersi all’esterno, al mondo intero, proprio
da quell’istituzione che lo circonda-nasconde e che presume d’essere la sola
voce di Dio a beneficio degli uomini.
Tutto ciò genera una mancanza di libertà (libertà di incontrare il vero Dio)
anche da parte di chi non aderisce alla legge ebraica (coloro che sono
all’esterno della casa), ma che vorrebbero conoscere Dio attraverso i dettami
della propria Coscienza.
Il paralitico simboleggia quell’umanità proveniente dai quattro angoli della
Terra, privata anch’essa della libertà di incontrare Dio presumibilmente anche
attraverso strade diverse, perché è fatto credere loro che Dio s’incontra
solamente
aderendo
ad
un’istituzione
costituita
da
Dio
stesso
come
intermediatrice a favore dell’umanità. Tutto ciò causa, in taluni, un’incapacità
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d’autodeterminazione della propria vita, per questo può accadere che molti,
per paura dei castighi aderiscono, essendo così manovrati dall’istituzione e
altri, invece, rifiutano quest’adesione e agli occhi dell’istituzione sono tacciati
d’ateismo, perché hanno il coraggio di proclamarsi atei nei confronti di una
visione “distorta” di Dio.
Se analizziamo la situazione odierna possiamo constatare come la maggior
parte dell’umanità atea non afferma di non credere in Dio, ma afferma di non
credere nella figura di Dio presentata dalle istituzioni religiose. In pratica, però,
tutti gli atei vivono in una straordinaria coerenza con la propria Coscienza e,
pur rifiutando Dio attraverso l’intermediazione umana, vivono in un’altrettanta
straordinaria coerenza con il Vangelo.
Il paralitico che incontra Gesù per “vie traverse”, in pratica scavalcando la folla
ed entrando dal tetto, simboleggia, per certi versi, anche quell’umanità atea,
bloccata (nel senso che c’è incompatibilità) dinanzi all’istituzione religiosa, ma
che si sblocca solo, quando riesce a dialogare con Cristo nell’intimo della
propria Coscienza, cioè all’interno della casa. Qui è proprio la casa che
simboleggia la Coscienza dell’uomo. Ciò significa che proprio quando l’ateo
rifiuta l’istituzione religiosa, solo allora il Creatore, che, avendo creato ogni
uomo-donna a sua immagine e somiglianza a prescindere dall’appartenenza
culturale ad un’istituzione spacciantesi per divina, vuole incontrare ogni uomodonna , a qualunque cultura, popolo, colore e nazionalità appartengano, solo
allora l’ateo, il rifiutato, oggi possiamo dire il laico-non religioso-ateo, riesce ad
incontrare Gesù Cristo nella propria Coscienza e conformarsi in tutto al suo
Messaggio a favore degli uomini e delle donne; senza dover necessariamente
dire: “Signore, Signore” ma facendo del bene a tutti come realmente fanno
secondo l’insegnamento evangelico; a differenza di tanti che, dietro il
paravento
della
loro
dichiarata
fede,
fanno
le
cose
più
deprecabili..........all’ombra del tempio.
Gesù direbbe: <<chi ha orecchie intenda>>.
Ai tempi di Gesù tutti quelli che non aderivano alla legge scribo-farisaica
(l’umanità al di fuori del giudaismo) erano considerati peccatori. Per questo
motivo Marco ci presenta l’immagine del paralitico come il peccatore lontano
dalla legge (lo scomunicato diremmo oggi).
42
Infatti, nell’episodio si fa l’accostamento peccato=paralisi. Gesù dicendo a
quest’uomo: <<alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua>> e collegando
questa situazione con il suo potere di rimettere i peccati, fa capire agli scribifarisei che quell’uomo, ritenuto malato perché peccatore, in effetti non è
malato, è solo visto come un paralitico dagli ebrei, ma a contatto con Gesù non
lo è più.
Mi spiego meglio: Gesù dimostra che, coloro che sono ritenuti dei buoni a nulla
(in questo caso il paralitico) solo perché non aderiscono alla legge religiosa, in
effetti, dinanzi a Cristo in persona riescono a farsi vedere per ciò che
veramente sono, in pratica “sani” nella Coscienza.
Il modo con cui Marco presenta quest’episodio è volutamente drammatizzato e
le immagini sono forti, catturano l’attenzione, per far capire meglio che, ciò che
dinanzi alla legge religiosa è ritenuto impuro, peccato (il paralitico sul
lettuccio), dinanzi a Gesù Cristo è “puro” e “sano” (l’uomo che prende il suo
lettuccio).
Ma da questo stesso passo del vangelo possiamo cogliere un’altra sfumatura
altrettanto importante che si intreccia con ciò che abbiamo appena detto. Qui
consideriamo un’altra categoria di persone: quella a cui è impedita una sana
visione di fede, la quale, se fosse espressa, contrasterebbe con l’istituzione
religiosa. In questo caso abbiamo a che fare con credenti in Dio che, però, sono
ritenuti eretici solo perché non in linea con la dottrina ufficiale. Quando l’uomo,
in questo caso, non riesce, a causa di altri uomini, a ricevere la Parola di Gesù
(monopolizzata dall’istituzione religiosa) così com’è, senza sovrastrutture
religiose, resta bloccato nelle sue libere scelte di vita (paralisi) e la sua vita
resta paralizzata perché determinata da altri (il lettuccio).
Prima di arrivare da Gesù è il lettuccio che porta l’uomo. Dopo il contatto con
Gesù è l’uomo, su invito di Gesù (nota importante), che prende il suo lettuccio
e se ne va a casa. Ritrova anche la sua casa. E’ lui, adesso, l’artefice della sua
vita. E’ il Risveglio dell’uomo a contatto con Cristo, ancor più è una
Resurrezione. Marco, per indicare il gesto di Gesù che rimette a nuovo questa
persona, usa il termine greco “eghèirein”. L’espressione è: <<sòi lègo: ègheire,
àron tòn kràbatton sou kai paghe eis tòn oikòn sou>>. Il testo italiano traduce
il termine greco “ègheire” con il comando di Gesù: <<“alzati” prendi il tuo
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lettuccio e vai a casa tua>>. Questa traduzione non rende affatto il senso del
miracolo di Gesù, il quale dice: <<égheire>>, cioè : <<Risorgi>>. Gesù,
guarendo quest’uomo (elemento visibile), resuscita quell’umanità privata della
sua identità (elemento invisibile). In questo, il gesto di Gesù è simbolico: Egli
ridona a quest’uomo la capacità d’autodeterminarsi attraverso l’esercizio del
proprio libero arbitrio. Il miracolo di Gesù sta nel restituirgli la libertà di vivere
secondo le proprie scelte. Non è più condizionato da nessuno e può riprendere
a dialogare, nella propria Coscienza, in modo del tutto intimo e segreto con il
suo Creatore. Allora, alla fine di quest’analisi, possiamo affermare quanto
segue: C’è una paralisi ritenuta tale dal religioso, nei confronti dell’uomo laico,
libero dalle istituzioni religiose e c’è una paralisi causata, nell’uomo credente,
dall’istituzione stessa. In ambedue i casi, come abbiamo già visto, Gesù ci fa
vedere che, nel primo caso, i nostri pensieri non sono come i suoi; Egli non può
essere racchiuso in un’istituzione religiosa, infatti solo nella Coscienza
dell’uomo si realizza il vero rapporto con Dio. Nel secondo caso ci mostra che
Egli non ha bisogno d’alcuna intermediazione umana per farsi conoscere, in
quanto Egli stesso è l’Unico mediatore tra la Trinità e l’Umanità e questa
mediazione si realizza pienamente nella Coscienza.
L’unica mediazione che Gesù Cristo ammette è quella di coloro (laici come Lui)
che si sforzano di far conoscere al mondo che c’è un Dio che ci ama e che, a
duemila anni di distanza dall’Incarnazione del Figlio, Gesù Cristo opera ancora
nel cuore di
tutti gli uomini, per portarli al pieno sviluppo e compimento
dell’Evoluzione, che condurrà tutti ad incontrare la Trinità divina.
Questa mediazione non richiede né osservanza di regole religiose né, tanto
meno, adesione dottrinale a determinati dogmi ma richiede solo Amore per
l’umanità: <<Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi>>.(Matteo
cap.25,35-36). In questo passo Gesù si immedesima persino con il carcerato,
cioè con il peccatore, altroché il perbenismo moralista dei capi religiosi.
Che se Gesù Cristo tornasse oggi in carne ed ossa, sarebbe trattato né più né
meno che alla stregua di un peccatore e, magari, alla sua morte, non gli
farebbero neanche i funerali religiosi.
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Marco cap. 2,13-17:
Gesù mangia e beve con i peccatori(interpretazione storica)
Gesù dona la sua amicizia a coloro ritenuti maledetti da Dio
(interpretazione teologica).
Affrontiamo, adesso, il discorso, forse più importante, riguardo al rapporto DioUomo.
Più importante certamente con riferimento anche alla mentalità odierna che,
influenzata dalla visione religiosa della fede cristiana, ancor oggi, stenta a
capire e ad accogliere la Bontà infinita di Gesù Cristo per i peccatori. Molti
cristiani, infatti, ammantati dal proprio perbenismo religioso-morale-rituale, si
scandalizzano del fatto che Gesù accolga i peccatori e, ancor più, che Gesù
doni la vita eterna a coloro che si convertono a Lui in punto di morte. Io mi
chiedo intanto: Questi cristiani perbene, se fanno fatica ad accogliere una
conversione a Cristo nell’ultimo istante di vita, come faranno ad accogliere chi
non è cristiano o chi è addirittura ateo, constatando che alla fine Dio sarà tutto
in tutti e salverà tutti quelli che, in accordo con la propria Coscienza, avranno
operato il bene, compreso i non cristiani e gli atei?
Non si è ancora capito che la fede cristiana è la fede nell’Evoluzione della
Coscienza umana, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, che è solo
un fatto culturale. Non si è capito ancora, dopo duemila anni dall’Incarnazione,
che Gesù Cristo è il modello dell’uomo buono, che esiste in tutte le religioni e in
ogni cultura e razza.
I cristiani ne hanno fatto un capo religioso da opporre agli altri leaders religiosi.
Ma Gesù non è il fondatore di una religione, Egli che è venuto per abbattere le
barriere religiose e razziali. Ecco allora che, con il passare del tempo, questa
visione esclusivista-religiosa della fede cristiana ha generato da una parte
l’ateismo e dall’altra parte le guerre di religione.
Sento dire spesso dai cristiani, che dovrebbero guardare unicamente a Gesù
nel loro rapporto con il prossimo: “Troppo comodo! Hanno fatto la bella vita, ed
ora in punto di morte, si convertono e Gesù li salva”? Questo modo di pensare
è ricorrente, nei cristiani “della domenica” e denota l’insoddisfazione di costoro
che, recriminando per la salvezza all’ultimo istante dei peccatori incalliti,
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dimostrano, così, che la loro vita “virtuosa” è stata vissuta con sofferenza e con
tristezza, ma con un solo consolante pensiero: “Amo Gesù Cristo perché, così,
mi dona il paradiso”.
Con questo pensiero è inevitabile che, poi, si recrimini verso Gesù, perché dona
il paradiso anche a coloro che sono ritenuti indegni e che, in vita, hanno
ignorato, del tutto, le norme religiose. Ci troviamo di fronte al tipico
atteggiamento religioso di chi pensa che basti il rispetto di norme morali-ritualiliturgiche, che nulla hanno a che fare con il comandamento dell’Amore
reciproco, per guadagnarsi il paradiso. Ma, in questo modo, si diventa i peggiori
giudici del proprio prossimo, che non vive alla stessa maniera. La visione
religiosa della vita non indica per niente una relazione autentica d’Amore tra
l’uomo e Dio. L’uomo religioso ama Dio per interesse (il paradiso) così come
l’operaio rispetta il suo datore di lavoro perché gli dà lo stipendio. Se uno ama
Gesù ma lo ama per amore, si rallegrerà se Gesù, che ama tutti alla stessa
maniera, darà in eguale misura la ricompensa eterna sia a colui (a qualunque
popolo e cultura appartenga) che si sforza di amare il prossimo e di
promuoverlo nel bene e sia a colui che, peccatore incallito, in un momento di
apertura della propria Coscienza al bene, si converte anche alla fine della vita.
Ma la visione di fede ci fa andare ancora oltre: Gesù ama tutti, ma soprattutto i
peccatori ma i peccatori non sono coloro che infrangono le norme religiose ma
sono coloro che fanno il male agli uomini-donne-creature. E Gesù Cristo ama
anche questi e molto di più, perché essi hanno bisogno di un surplus d’amore
per far sì che, a livello della loro Coscienza, possano sentire quell’Amore di Dio
che hanno già in loro ma che è stato offuscato con le loro opere malvagie e per
far sì che quest’Amore, una volta riemerso, possa dare loro nuovo impulso e
rinnovata capacità d’amare, recuperando, in pieno, in se stessi, ciò che era
nascosto (Amore di Dio), per i più svariati motivi e renderlo nuovamente
operativo.
Amare i peccatori significa, per Gesù, concedere loro la possibilità di far
riemergere, dai loro cuori, quel tesoro prezioso che tutti possediamo e che,
solo, può darci la forza di evolvere, nel bene, per far sì che, l’Evoluzione, in
cammino verso la Spiritualizzazione della propria Coscienza, possa riprendere il
suo corso, eventualmente interrotto con le opere malvagie.
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E’ questo il motivo profondo, teologico, per cui Gesù ama i peccatori in modo
“singolare”.
Nei Vangeli abbiamo tanti esempi di questo genere; innanzitutto nel presente
episodio della chiamata di Levi-Matteo, peccatore anche lui, insieme con tutti
quelli che siedono a mensa con Gesù: prostitute, pubblicani e peccatori in
genere. Ma un esempio eclatante lo abbiamo nel ladrone crocefisso con Cristo,
che è “recuperato”, cioè è reso consapevole del tesoro che possiede in sé,
proprio in punto di morte. Ottenere la salvezza da Dio, allora, non consiste nella
quantità di cose fatte per Lui. Dio non ha bisogno di nulla; né dei nostri sacrifici,
né dei nostri riti, né dei nostri “fioretti”, né dell’astinenza dalle carni nei venerdì
di quaresima, né di processioni in suo onore, né di novene, tridui e adorazioni
eucaristiche, né di cospargimento di cenere sui capi, né di solennità sontuose,
né di folle oceaniche che acclamano i suoi rappresentanti (presunti) in terra.
Ottenere la salvezza di Dio consiste nella “qualità” dell’Amore che una persona
riesce ad esprimere. Nel momento in cui, una persona, diventa “consapevole”
di poter amare, in quel medesimo istante è già salva. E’ la logica della fede e
non della religione. La logica della fede è quella che non è accettata dagli
scribi-farisei che partecipano al pasto di Gesù con Levi-Matteo e con i peccatori.
Paradossalmente, essi, che si ritengono giusti, si bloccano nel cammino
d’evoluzione nel bene, perché si sentono arrivati e depositari della verità divina
e non hanno dubbi di fede.
Le persone che non hanno dubbi di fede sono le più pericolose; avere certezze
di fede vuol dire aver incasellato Dio in dogmi e formule astratte rese
presuntuosamente immutabili e, con queste, avere la presunzione di giudicare
tutto e tutti.
E non si chiederanno mai, a meno di una conversione veramente eclatante,
ancor più di quella del ladrone sulla croce, se sia o no l’Amore che muove le
persone a vivere e non l’osservanza di precetti religiosi fatti passare per
volontà di Dio.
Ma Gesù sta bene con i peccatori anche per un motivo prettamente intrinseco
alla sua Persona: Gesù è Buono e riflette, in modo visibile, la Bontà della Trinità
invisibile. Chi è buono vede il bene anche dove c’è oscurità e tenebre. Gli
antichi affermavano che “omnia munda mundis”, cioè “tutto è puro per i puri”.
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Ma chi ha l’occhio torvo vedrà il male anche dove c’è il bene, figurarsi dove il
bene fa fatica ad emergere. Gesù dice in Matteo, cap. 5,29 : <<se il tuo occhio
ti è di scandalo cavalo......>>. La bontà di Gesù fa riemergere, dal cuore dei
peccatori, l’Amore della Trinità, nascosto e spesso ignorato. E’ la bontà del
Creatore che richiama la bontà della creatura fatta a sua immagine.
La sentenza finale di Gesù afferma proprio ciò che abbiamo appena detto:
<<Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono
venuto per chiamare i giusti ma i peccatori>>. Attraverso quest’espressione
capiamo che cosa Gesù chiede a coloro che dicono di amarlo: Amare tutti,
indistintamente, ma soprattutto coloro che, a torto o a ragione, sono ritenuti
peccatori, tenendo sempre presente ciò che Egli afferma in Matteo, cap. 7,1-3 :
<<Non giudicate per non essere giudicati, perché col giudizio con cui giudicate
sarete giudicati e con la misura con la quale misurate sarete misurati.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti
accorgi della trave che hai nel tuo occhio>>? Questa affermazione non va
intesa in senso moralistico ma in senso ontologico. Cerchiamo di capire meglio.
Se io mi pongo nella condizione di giudicare me stesso, posso farlo, perché di
me stesso conosco sia il comportamento, sia il mio cuore, che mi spinge a
determinati comportamenti; ne consegue che, di me stesso, conosco l’“interno”
e l’“esterno”.
Ma se mi pongo nella condizione di giudicare l’altro, questo non posso farlo,
perché, pur conoscendo il comportamento, magari biasimevole, dell’altro, non
sarò mai in grado di conoscere il suo cuore e quali sono le motivazioni profonde
che lo hanno spinto a comportarsi male. Ora, se metto insieme le due
conoscenze che io ho, vale a dire di me stesso e dell’altro, ne viene fuori che
dell’altro conosco la pagliuzza, mentre di me conosco la trave. Conoscere la
pagliuzza dell’altro significa vedere solo una sua parte e non il tutto (ecco
perché Gesù paragona la conoscenza, che ho dell’altro, ad una pagliuzza che è
più piccola della trave). Allo stesso modo, conoscere la trave che è in me vuol
dire, simbolicamente, sapere tutto di me, che è molto di più rispetto a ciò che
conosco dell’altro (ecco allora perché Gesù paragona la conoscenza che ho di
me stesso, ad una trave, che è più grande della pagliuzza). Ecco il motivo
profondo per cui posso giudicare me stesso ma mai l’altro: per impossibilità
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ontologica a conoscere il suo cuore.
Proprio per questo motivo può accadere che, agli occhi di Dio, sia migliore
l’altro che io giudico, pur senza conoscerne il cuore, che non io, che pure mi
reputo migliore di lui, solo perché, magari, il mio comportamento esteriore è
migliore del suo. E se lui si comporta male perché ha una sofferenza estrema,
nel cuore, che lo induce a fare il male? E se, per contro, io mi comporto bene
perché ho, nel cuore, tanto di quell’orgoglio che va alla ricerca del plauso
esterno? Chi sarà, di fronte a Dio, il vero giusto e il vero peccatore?
L’impossibilità, allora, di conoscere il cuore dell’uomo, che ci mette nella
condizione di non giudicare nessuno, a livello della sua Coscienza (esula da
questa riflessione l’aspetto giuridico, che non prendo in considerazione), ci
pone nella consapevolezza del fatto che la volontà di Dio è che tutti, peccatori
e non, facciano il proprio cammino d’evoluzione nel bene.
Questo è il motivo profondo per cui Gesù è venuto a chiamare i peccatori, per
svegliarli dal torpore e ridare loro nuovo vigore per camminare, nella vita, con
quell’amore che è la sola energia che ci farà superare la morte per continuare
ad evolverci anche oltre la morte e non incorrere nella morte seconda, che è la
fine di tutto, l’annientamento totale.
49
Marco cap. 3,1-6:
Gesù, nella sinagoga, in giorno di sabato, guarisce un uomo con una
mano paralizzata (interpretazione storica)
Gesù
rimette
l’uomo
al
centro
della
creazione
(interpretazione
teologica).
Siamo arrivati, così, al termine della nostra analisi di Marco.
In quest’ultima interpretazione del passo 3,1-6 vedremo che Gesù rimette
l’uomo al centro della creazione. Se consideriamo l’episodio dal punto di vista
storico, ci troviamo di fronte alla guarigione di un uomo che ha la mano
paralizzata. Storicamente questa è una guarigione importante, perché la mano
è segno di forza e, guarire una mano paralizzata, significa ridare all’uomo la
facoltà di lavorare, che gli era preclusa prima della guarigione. Ma noi
consideriamo il simbolismo teologico, attraverso ciò che Gesù dice all’uomo e,
ancor più, attraverso il gesto di Gesù operato in giorno di sabato, ritenuto sacro
dall’istituzione religiosa scribo-farisaica.
Intanto, Gesù, con la sua azione, mostra, agli scribi sempre presenti, che
l’uomo è più importante di qualsiasi legge, inclusa la norma più importante, per
gli ebrei, vale a dire la sacralità del sabato; infatti, secondo la legge mosaica,
se qualcuno operava qualunque lavoro in giorno di sabato, poteva anche
essere messo a morte. Gesù, volutamente, infrange questa regola che proviene
direttamente dal terzo comandamento, che troviamo sia in Esodo al cap. 20 sia
in Deuteronomio al cap. 5.
Per semplificare riepiloghiamo il comandamento in ciò che anche noi
conosciamo come: <<Ricordati di santificare la festa>>.
Gesù si comporta così perché vuole ricordare, agli ebrei osservanti, che l’uomo,
e solo lui, ha un valore inestimabile di fronte a Dio e non la legge. C’è da notare
un particolare: Prima che Gesù guarisca l’uomo, guarda con indignazione coloro
(scribi e farisei) che stavano lì soltanto per controllare se Gesù infrangesse la
legge del sabato. L’indignazione di Gesù dimostra che l’infinita Misericordia di
Dio per i peccatori si muta in indignazione per coloro che si ritengono giusti e
che hanno sempre da recriminare. Gli scribi e i farisei non sopportano Gesù
che, con i suoi gesti, dimostra un’infinita libertà d’azione che svaluta la loro
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pretesa giustizia, fondata sulla tradizione dei padri e il loro perbenismo rituale
e morale. Passiamo, ora, alla fase centrale dell’episodio. Gesù dice all’uomo:
<<ègheire èis to mèson>>. Il testo italiano traduce: <<mèttiti nel mezzo>>.
Quest’ultima traduzione non coglie assolutamente il significato del termine
“ègheire”, che abbiamo incontrato spesso in questa trattazione. Questo
termine significa letteralmente “risorgi”.
Allora Gesù, secondo il testo greco afferma:<<risorgi nel mezzo>>, cioè “al
centro”. Un attimo prima Gesù aveva chiesto, al versetto 4: <<E' lecito, in
giorno di sabato, fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?>>. Gesù, in
pratica, afferma che si può anche uccidere un’anima (dal greco “psichèn”),
tradotto, in italiano, “una vita”. Come? Negando all’uomo l’operosità (simbolo
della mano inaridita), attraverso la privazione della creatività, della fantasia e
della libertà di decisione; tutto questo in forza di una legge arida, che
inaridisce, a sua volta, l’operosità dell’uomo, che, in fondo, rappresenta la
stessa operosità di Dio.
Gesù rivaluta l’uomo e lo rimette “al centro dell’Universo”, quindi al centro
delle attenzioni da parte della Trinità, oltre che degli uomini.
Possiamo fermarci qui, perché ritengo che sia sufficiente, per capire che la
missione terrena di Gesù di Nazareth non consiste tanto nel guarire le persone,
che già è un segno della sua infinita bontà, come già detto, quanto nell’andare
oltre, cioè nel voler trasmetterci, attraverso queste guarigioni, o “segni”, come
li chiama l’evangelista Giovanni, la volontà, da parte della Trinità, di rivalutare,
in profondità, la Persona Umana, svalutata dalla tradizione religiosa. Questa è
una tentazione sempre presente, anche oggi, in tutte le istituzioni religiose, che
pretendono di regolare la vita degli esseri umani legiferando, con norme
religiose, su tutti gli aspetti della loro vita. Da quest’analisi di Marco verranno
fuori, ora, nei capitoli successivi, delle implicazioni teologiche positive, che
fanno dell’Incarnazione l’Evento fondamentale della Rivelazione Evangelica.
Vedremo come Gesù, che è l’Artefice dell’Incarnazione, diventa, Egli stesso, il
Fenomeno-Universale-di-Salvezza, essendo il Principio e la Fine dell’Evoluzione
della Coscienza Umana.
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IMPLICAZIONI TEOLOGICHE
Dio è Amore.
Dopo l’analisi generale e, in alcuni contesti, anche letterale, dei passi
commentati, possiamo essere certi di avere capito profondamente quali sono le
intenzioni di Gesù Cristo. A questo punto cerchiamo di rispondere alle domande
che ci siamo posti nella trattazione del capitolo 1,1 di Marco.
Qual è questa buona notizia?
La buona notizia è questa: Dio è Amore, nella Sua Essenza e ama tutta la
creazione uscita dalle sue mani e, in misura infinita, l’Essere umano posto
all’apice della creazione stessa. Quando parliamo di Dio bisogna far sempre
riferimento alla Trinità per poter parlare d’amore. Dire “Amore di Dio” non ci dà
l’esatta valutazione della portata di quest’amore. Quando pensiamo a Dio,
bisogna intenderlo, secondo come lo rivela Gesù nel Vangelo secondo Giovanni,
cioè: La novità della Rivelazione cristiana del volto di Dio, consiste, da parte di
Gesù, nell’averci presentato la divinità come un unico Dio secondo la Natura, in
Tre Persone secondo il principio d’individualità personale. Cerchiamo di
ampliare il discorso e di semplificarlo, senza avere la presunzione di capire
tutto su un mistero, comunque insondabile, che però può essere intuito.
Vediamo. Storicamente per arrivare alla comprensione di un Dio-Trinitario,
fermo restando l’insegnamento che troviamo nel capitolo 16 del Vangelo
secondo Giovanni, ci si è posta la seguente domanda: “Come può, Dio, essere
Amore se è concepito come unità individuale?”.
Infatti, al tempo di Gesù gli ebrei concepivano Dio come un’unica Persona. Ora
se Dio è Amore e l’Amore è il frutto di una Relazione Personale intensa, non è
possibile che la Fonte dell’Amore (DIO) sussista come un Essere Unico nella
Natura e Unico nella Personalità.
Un Dio solo con se stesso, alla maniera aristotelica, come fa ad amare? Se
l’amore è frutto di una relazione personale tra diverse individualità, come fa
Dio ad amare se è solo? Qualcuno afferma: “Dio ama la sua Creazione”. Ma la
creazione è già il frutto dell’amore, dunque l’amore è causa della creazione, ma
se Dio è un essere solo e, in quanto tale, non può amare, perché amerebbe
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solo se stesso, allora come ha fatto a creare, se la creazione è la conseguenza
di un amore già preesistente ad essa? La novità della Rivelazione biblica sta
proprio nell’averci consegnato un’Idea nuova di Dio. La verità è questa: Dio è
“Unico” nella sua Natura e “Tri-personale” nella sua operatività. Che cosa
significa tutto questo?
Partiamo da un dato biblico fondamentale, secondo la Genesi. Ad un certo
punto della creazione, come dice l’autore sacro, Dio creò l’uomo e la donna
dicendo: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza>>. E
poi l’autore continua: <<...ad immagine di Dio lì creò, maschio e femmina lì
creò>> (Genesi capitolo 1,26-27). Guardiamo bene il plurale usato dall’autore;
questo plurale ci dice proprio che la creazione è conseguente ad una
deliberazione divina fatta da una pluralità di persone. Questa affermazione
unita alla rivelazione prettamente evangelica consegnataci da Gesù, anche
attraverso la sua stretta relazione con Dio che chiama Suo Padre, ci conferma
nella consapevolezza che il Dio cristiano è connotato da una Relazione d’amore
stretta e indissolubile. Il risultato è questo, il Padre ama il Figlio (il Gesù di
Nazareth storico-incarnato), il Figlio ama il Padre; questo amore è un amore
infinito, talmente infinito, che, in quanto tale, genera (di una generazione
eterna, cioè da sempre) un’altra persona essa stessa infinita: lo Spirito Santo,
quindi anch’Egli Dio. Solo così possiamo intendere l’amore come il connotato
fondamentale di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo sono legati da un’indissolubile
relazione d’amore che è la sorgente attraverso la quale anche le donne e gli
uomini di tutti i tempi possono amarsi tra loro. Infatti, è proprio questo dato
storico inconfutabile e cioè gli esseri umani che si amano tra loro, a farci capire
che, se gli uomini e le donne di tutti i tempi trovano la loro realizzazione
profonda nell’amarsi vicendevolmente e se sono stati creati ad immagine e
somiglianza di Dio, vuol significare che la loro capacità d’amare proviene
proprio da Dio.
Se dunque l'uomo e la donna sono una “relazione” anche Dio sarà una
“Relazione”. Quindi pluralità di Persone in un Unica Natura divina. Ma non
basta; il versetto della Genesi, che abbiamo appena letto, ci consegna un’altra
verità fondamentale, ancora oggi ignorata dall’istituzione cattolica.
Oggi, attraverso la profonda comprensione della teologia biblica, possiamo
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affermare che Dio Padre in effetti è Padre-Madre, che il Figlio in pratica è FiglioFiglia e che lo Spirito Santo è l’Amore che unisce le altre due Persone, che
hanno in sé i caratteri della mascolinità e della femminilità.
Se la Realtà divina non fosse questa noi non potremmo essere maschi e
femmine. La società, da sempre maschilista, ha portato ad intendere Dio solo
con i connotati maschili (Padre, Figlio).
La mascolinità di Gesù è solo un dato storico, essendo la Sua divinità portatrice
sia del carattere maschile sia di quello femminile. Apro, adesso, una porta che
ci fa entrare in un terreno minato, almeno per la chiesa istituzionale, ma la
richiudo immediatamente con la certezza, comunque, che quest’interrogativo
susciterà una seria riflessione da parte di tutti. L’interrogativo è questo: Se
nella Natura divina del Figlio-Figlia sono contenuti i caratteri maschile e
femminile, in base a quale fondamento biblico resta preclusa alla donna
l’accesso al presbiterato? In base al fatto che Gesù Cristo era maschio? Questa
tesi non regge, poiché abbiamo affermato che la mascolinità di Gesù è un dato
storico che non esaurisce la portata della personalità divina di Gesù di
Nazareth. Se così non fosse dovremmo pensare che Gesù Cristo è il Motore
dell’Evoluzione solo per l’uomo e non per la donna. Altra importante
considerazione potremmo farla in riferimento allo Spirito Santo e che andrebbe
oltre la mia stessa descrizione fatta appena sopra. Lo Spirito Santo, questo
“sconosciuto” teologico, secondo alcuni è proprio la parte femminile della
Trinità, la così chiamata “Dea Madre” che nella Trinità è l'aspetto fondamentale
che fa della stessa Trinità la vera natura divina “simile” a quella umana e che
dà alle creature, maschio e femmina la ragione di esistere.
E' senz'altro un argomento da prendere in considerazione per il proseguo della
ricerca teologica che, non dimentichiamo è sempre ricerca. La teologia, quella
vera, è ricerca e non dottrina conclamata e dogmatica. Il teologo è colui che
afferma di essere alla ricerca dell tracce di Dio e non colui che pretende di
avere Dio in tasca e poterlo descrivere attraverso verità di fede che di vero
hanno poco o nulla e, attraverso queste, gestire il potere o, peggio ancora,
dettare legge agli individui, in nome di
che,
Essendo
Dio-Trinità
Dio. Mi fermo qui e concludo dicendo
essenzialmente
Amore
e
volendo
condividere
quest’Amore con la sua Creazione, la Trinità stessa ha deliberato che una delle
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Persone divine si “incarnasse” per rendere partecipi le creature dello stesso
Amore-Intratrinitario; lo vedremo nel prossimo paragrafo.
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L’Incarnazione: Fenomeno di Salvezza Universale.
Per comprendere a fondo questo importante tema, ci avvaliamo anche di due
citazioni bibliche fondamentali, entrambe dell’apostolo Paolo, che ci faranno da
guida. La prima è tratta dalla lettera ai Galati al capitolo 4,4-5 ; leggiamo il
testo: <<Quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge>>.
La prima cosa importante che viene fuori da questo gioiello di Paolo è che Gesù
non è venuto al mondo per restringere l’attività dell’uomo alla sola osservanza
della legge mosaica e conseguentemente renderlo schiavo di regole da
osservare, così come gli ebrei, che erano diventati schiavi delle leggi farisaiche,
fatte passare per legge di Dio; ma è venuto al mondo ad annunciarci la grande
Misericordia di Dio per l’umanità e, come dice Paolo, a riscattare proprio coloro
che erano sotto la legge, la quale restringeva il campo d’azione
dell’uomo,
rendendolo succube di un’autorità religiosa, quella scribo-farisaica, che si era
autoproclamata depositaria della verità divina e quindi come una necessaria
mediazione per il raggiungimento della salvezza eterna. Seguendo la citazione
di Paolo scopriamo che Gesù è venuto a liberare l’essere umano proprio da
questa schiavitù religiosa. Allora possiamo dare voce a Gesù in questi termini:
“Uomini! Donne! Io sono venuto al mondo non per darvi un insegnamento da
seguire per conseguire la vita eterna, ma per annunciarvi che il Padre (secondo
le mie intenzioni accennate appena sopra, anche la Madre) vi ama follemente e
vuole la vostra felicità piena. Egli mi ha incaricato di potenziare tutte le vostre
aspirazioni interiori alla felicità e rendervi liberi di poter amare la Trinità che vi
ama e di cui io sono il rappresentante, ma anche potervi amare gli uni gli altri
senza misura”.
Certo gli uomini e le donne d’ogni tempo si sono sempre chiesti qual è lo scopo
per cui sono venuti al mondo. I più grandi pensatori della storia umana, poi,
hanno cercato di rispondere a questa domanda attraverso la speculazione
filosofica.
Molti lo hanno fatto attraverso le religioni che, nel tempo, sono nate per
cercare di dare all’umanità una risposta in merito alle grandi questioni che
riguardano la vita, la sofferenza, la morte e l’eventuale continuazione della vita
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di là della morte. Ma nessuno, per quanto abbia potuto alleviare l’ansia
d’immortalità degli esseri umani, attraverso una ricerca spasmodica di un
eventuale Dio che dà significato alla vita sulla terra, è stato in grado di dare
risposte esaurienti in merito. Ad un certo momento della storia, quando venne
la pienezza dei tempi, come ci dice Paolo, Dio-Trinità si è rivelato agli uomini,
proprio perché conosceva l’impossibilità da parte degli uomini di cercare e di
trovare Dio. Questa Rivelazione è avvenuta attraverso l’Incarnazione della
Seconda Persona della Santissima Trinità e cioè il Figlio.
Per comprendere meglio cosa è accaduto prendiamo a riferimento la lettera
dell’apostolo Paolo ai Filippesi al capitolo 2,6-11; ecco il testo: <<Cristo Gesù,
pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza
con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo
simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e
gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di
Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua
proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre>>.
Paolo ci annuncia qualcosa di inaudito, di meraviglioso: Per la prima volta nella storia dell’umanità qualcuno ci annuncia che Uno della Trinità, il Figlio, si è
Incarnato e si è fatto Uomo. Questa novità non era assolutamente presente
negli schemi religiosi dell’umanità, quindi nessuno mai avrebbe potuto
inventarsi una vicenda del genere: Dio che viene incontro all’uomo perché sa
che l’uomo non può andare incontro a Dio. Marco è l’unico evangelista che ci
presenta l’Euanghelion (la buona notizia che il Figlio di Dio-Padre viene a
trovare gli uomini e a stare con loro in carne e ossa) già all’inizio del suo scritto,
contrariamente a quanto fanno gli altri evangelisti e questo per dirci che tutta
la sua opera letteraria ha come fondamento proprio questa buona notizia. Ma
analizziamo meglio il passo della lettera ai Filippesi. Intanto Paolo ci descrive la
ferma volontà del Figlio di Dio di venire a visitare l’Umanità. Quell’umanità
uscita dalle sue mani è oggetto di un’infinita attenzione da parte del Figlio di
Dio; abbiamo visto, in Genesi, come il cielo e la terra sono stati creati “In Gesù
Cristo” , vale a dire nel Figlio.
Immaginiamo dunque quanta premura Egli debba avere per i suoi figli, per i
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figli di tutti i tempi, per tutti gli uomini e le donne che si sono succeduti sulla
Terra, buoni, cattivi, poveri, ricchi, sfruttati, sfruttatori. Tutti! Indistintamente!
Ecco il motivo per cui il Figlio, d’accordo con il Padre e lo Spirito Santo, prese la
deliberazione di visitare, in un dato momento storico, l’Umanità, quando venne
la Pienezza dei Tempi, in altre parole, quando la stessa umanità era pronta a
recepire il Suo Messaggio d’Amore e di Misericordia.
La Trinità ha atteso che l’Uomo-Donna avesse piena Coscienza, in sé, di aver
bisogno di Dio in Persona, di vederlo, di toccarlo, di contemplarlo (cfr. I lettera
di Giovanni al capitolo 1) per poter continuare a vivere sperando in uno sbocco
positivo di quelle promesse che Dio stesso aveva fatto all’umanità riguardo
all’Avvento di un Messia, di un Salvatore che desse a tutti gli esseri umani un
uovo slancio, una nuova carica interiore d’Amore necessaria a far progredire
l’umanità e a permettere alla Coscienza dell’uomo di evolvere nel Bene.
Questa è l’Incarnazione: La presenza del Dio Figlio, nel mondo, in mezzo agli
uomini e le donne di un determinato tempo storico, per prendere per mano
l’umanità e condurla al Padre-Madre. Questa presenza storica si realizza nella
Persona di Gesù di Nazareth, Logos divino preesistente alla Creazione, che
conseguentemente a deliberazione trinitaria, porta nel mondo la Luce
dell’Eternità presente in Dio. Gesù di Nazareth rende presente agli uomini e le
donne la divinità fattasi “immanente”. In Gesù Cristo il cielo e la terra
(simbolicamente) si abbracciano per sempre in un amore che non finirà mai e
che accompagnerà l’umanità nell’Evoluzione dal Punto Alfa a Punto Omega. Un
Amore che è il nuovo “motore” presente nel cuore dell’uomo e che permetterà
alla sua Coscienza di evolvere fino allo stato di Pura Coscienza, sviluppatasi nel
bene e nell’amore reciproco. L’Incarnazione dunque è Gesù Cristo, che, dopo
essersi presentato al mondo come Uomo, l’Uomo nuovo, il modello della nuova
umanità in forza del quale la Trinità ha creato l’Universo, con la Sua Morte e
Risurrezione darà nuova Consapevolezza agli esseri umani che Egli abita
stabilmente nel Cuore di tutti, abbracciando l’umanità di ogni tempo, passato,
presente e futuro; ma anche in tutte le creature che hanno popolato, popolano
e popoleranno l’Universo fisico, fino alla Ricapitolazione finale e condurrà ogni
Essere Vivente al superamento della morte stessa, per vivere l’eterna
beatitudine del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
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Tutta la vita terrena di Gesù è intenta al raggiungimento di questo scopo.
Dunque tutte le Parole, i Gesti, i Miracoli che Gesù pone in atto, ci mostrano
l’intenzione trinitaria di portare l’intera Creazione alla partecipazione piena
della vita divina già adesso in questo mondo e di là della morte. Un lungo
cammino, dunque, fatto di nascite, di morti, di nuove nascite e nuove morti, fin
quando, dopo una lunghissima Evoluzione, necessaria per far progredire anche
il Cervello umano con le sue eccezionali potenzialità, ancora non espresse,
l’uomo stesso arriverà, senza la necessità che torni Cristo, come erroneamente
annunciato per errata interpretazione del credo apostolico, a vedere Dio faccia
a faccia. E’ questo il momento di massima Spiritualizzazione dell’essere umano
che si manifesterà a Dio così come l’Evoluzione avrà permesso che diventi e
così come Dio voleva che diventasse. Con queste considerazioni comprendiamo
meglio che cosa voleva dirci Paolo attraverso il Cantico dell’Incarnazione che
abbiamo preso dalla lettera ai cristiani di Filippi.
Se rileggiamo, ora, questo cantico, esso ci parla proprio del Cammino
Discendente-Ascendente del Figlio di Dio.
Vediamolo e cerchiamo di rendere accessibile al nostro intelletto ciò che Paolo
ha voluto comunicarci: La seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio,
coeterno con il Padre, pur essendo Egli stesso Dio, non considerò un privilegio,
rispetto all’uomo, il suo essere di natura divina, ma spogliò se stesso, cioè
accettò di venire a visitare il mondo, senza dare assolutamente nessun giudizio
morale
sul
comportamento
degli
uomini,
ma
scese
al
nostro
livello
esclusivamente per rivelarci che Dio esiste veramente e che l’ansia dell’uomo
per la sua sorte futura aveva uno sbocco: la Resurrezione dalla morte, evento,
quest’ultimo, da sempre temuto dall’uomo d’ogni tempo. Ovviamente dopo la
sua nascita al mondo, il Figlio di Dio Padre, storicamente conosciuto come Gesù
di Nazareth, chiamato Il Cristo (l’Inviato del Padre), dopo una lunga
preparazione intellettuale, una crescita psicologica e spirituale della durata di
trent’anni e dopo aver preso gradatamente Coscienza del suo essere Dio, si
presenta in carne ed ossa in mezzo agli uomini e alle donne del suo tempo.
Paolo ci assicura che , apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Questa obbedienza di Gesù al
Padre bisogna intenderla a partire dal progetto di cui abbiamo già parlato e che
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riguarda l’ansia della Trinità di portare l’uomo a livello di Dio, dando a lui
l’Amore necessario per vivere una vita felice in questo mondo, fino ad
oltrepassare la morte per ricongiungersi con il suo Creatore.
Gesù spenderà tutta la sua vita pubblica per annunciare quest’amore, che è il
necessario motore dell’uomo per condurlo al Padre. Gesù Cristo rimane
obbediente a questo progetto del Padre a favore dell’umanità, ma per la novità
sconvolgente che quest’amore, di cui Cristo è Portatore, reca in sé, Gesù stesso
sarà messo in croce. Tutto questo a causa di un insegnamento nuovo
straordinario, meraviglioso che, nello stesso momento in cui apre il cuore dei
pagani, dei peccatori e dei reietti dell’umanità alla felicità di una nuova Vita, al
tempo stesso chiude il cuore di coloro che credevano di essere i depositari della
verità divina, i quali si vedevano così ridimensionati e costretti a vedere le loro
secolari trazioni, attribuite erroneamente e superbamente a Dio stesso,
sfaldarsi sotto i colpi dell’Amore di Gesù per coloro che le stesse tradizioni
religiose disprezzavano relegandoli a spazzatura dell’umanità.
E qui tocchiamo un altro argomento fondamentale e d’estrema importanza per
la comprensione del Vangelo. Allora ci chiediamo, per aprire la porta a questo
nuovo argomento: la Croce di Cristo è una deliberazione del Padre, voluta dallo
stesso per mettere riparo al peccato originale commesso dall’uomo o è una
scelta libera dell’uomo religioso del suo tempo, che non accetta la novità
dell’Incarnazione e che, quindi, si pone nella condizione di uccidere Gesù,
ritenuto scomodo, per mantenere il prestigio di chi si sente prediletto da Dio
stesso e vede sovvertita tutta la tradizione conseguente alla legge mosaica?
Questo sarà il tema del prossimo argomento.
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Teologia della Redenzione (negativa) o
Teologia della Rivelazione-Salvezza (positiva) ?
Abbiamo già affermato che l’Incarnazione è un evento positivo d’Amore da
parte della Trinità verso l’Umanità di tutti i tempi.
Basterebbe quest’argomento per liquidare la questione e per capire che, in
effetti, abbiamo già dato una risposta a quest’interrogativo. Ma dobbiamo fare i
conti con un fatto a dir poco sconcertante. Se interroghiamo la maggior parte
dei cristiani sul motivo dell’Incarnazione, sul perché il Figlio di Dio è venuto al
mondo, ci sentiamo rispondere che lo ha fatto per venire a riparare il peccato
originale commesso dall’uomo ai primordi dell’umanità, dopo la creazione. Il
Battesimo stesso è considerato dai cristiani il rimedio al peccato originale, al
punto
tale
che,
anche
nel
rituale
del
battesimo,
si
pone
l’accetto
principalmente sulla rinascita del bambino da una condizione di peccato
trasmesso attraverso la generazione umana.
Questa concezione del Cristianesimo è la dolorosa conseguenza di una
predicazione continuata e ostinata, che parte proprio dal considerare il
Cristianesimo, solo come il rimedio al peccato. La conseguenza di questo stato
di cose è che si crea nella Coscienza delle persone sensi di colpa a non finire,
perciò la vita stessa diventa una continua attenzione a non commettere il
peccato, pena il sentirsi in colpa nei confronti di Dio. Per spiegare meglio
questa penosa situazione è necessario fare un’analisi accurata sul significato
della Teologia della Redenzione, tutt'ora presente, non solo nella Coscienza di
molti cristiani ma soprattutto nella predicazione dei pastori della chiesa.
Vedremo, tra breve, che questa teologia non ha alcun fondamento evangelico e
la confronteremo con la Teologia della Rivelazione-Salvezza, che ha come
caratteristica fondamentale l’Evento Incarnazione, che, a differenza della
Teologia della Redenzione, ha un solido fondamento non solo evangelico ma
anche in alcuni tratti della teologia paolina (non tutta) e, in generale, in tutto il
Nuovo Testamento.
Allora analizziamo adesso la Teologia della Redenzione, che chiameremo
“negativa” e spiegheremo anche le ragioni della sua negatività per la vita
dell’uomo-donna. Descrivere la teologia negativa della redenzione significa
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osservare, come già detto, la realtà dei cristiani d’oggi, per vedere come vivono
la loro fede e quale fondamento ha questa fede.
Siamo cresciuti tutti con questa mentalità: la teologia cattolica corrente, legata
ancora a doppio filo alla teologia tridentina (Concilio di Trento), nonostante
viviamo nel post-Concilio Vaticano II che ha riaffermato con forza la positività
dell’Incarnazione, afferma che Gesù Cristo in un dato momento storico è
venuto al mondo, per volontà del Padre, al fine di “riparare” il peccato originale
commesso dall’uomo, così come ci descrive il libro della Genesi. Ma il libro della
Genesi è stato scritto nel periodo del primo esilio del popolo d’Israele in terra di
Babilonia intorno al 700 avanti Cristo, come abbiamo già descritto.
L’autore sacro, considerando la sorte capitata agli ebrei, riflette su questa
condizione e si chiede: “Se il popolo eletto si trova in esilio, vuol che Dio l’ha
abbandonato a se stesso. Ma può Dio abbandonare il popolo che si è scelto? Se
è avvenuto questo, significa che il peccato d’Israele è la punta dell’iceberg di
un peccato che l’uomo si porta dentro”. Fin qui la riflessione è buona. Ma, a
partire da questa consapevolezza, l’autore della Genesi descrive lo stato di
peccato “originario” dell’uomo come un peccato di ribellione a Dio che ha fatto
sì che il popolo eletto, intensificando tale peccato con il passare del tempo,
cadesse in quelle misere condizioni sociali dell’esilio in terra straniera. Questo
stato di cose però non significa nulla, in altre parole non ha alcuna forza per
dare corpo a ciò che chiamiamo “Peccato Originale”. Ci dice solo che l’uomo è
di sua natura fragile, limitato, ed essendo dotato di libero arbitrio può compiere
il male, quello che noi chiamiamo peccato. Basta ragionare un po’ e acuire la
logica razionale per capire che è proprio il libero arbitrio (dono di Dio) che
permette all’uomo di fare una scelta tra il comportarsi bene o fare del male.
Dunque il libro non ci dice altro che questo: l’uomo è limitato e può peccare;
ma questo fa parte della sua creaturalità. Quindi l’autore del libro della Genesi
ha interpretato il peccato delle origini alla luce della situazione di peccato del
popolo d’Israele e non perché avesse una visione chiara della realtà creaturale
dell’uomo. Come abbiamo detto in precedenza, l’autore biblico non era un
antropologo; questa scienza infatti era a lui sconosciuta, così come tutte le
altre scienze umane.
Questa ignoranza delle scienze umane (giustificata dai tempi storici in
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questione) portava l’autore biblico a spiegare il male commesso dall’uomo a
livello esclusivamente “Religioso”. Non potendo attribuire a Dio l’origine del
male, l’autore sacro, che non conosceva la psicologia e l’antropologia,
rimandava ad un essere superiore la causa dei mali commessi dall’uomo. Ma
siccome la causa del peccato non poteva essere Dio, a questo punto non
poteva che essere una creatura malvagia decaduta che era il capro espiatorio
di tutti i mali che l’uomo era in grado di compiere.
Così è nata la tradizione dell’angelo ribelle a Dio, che, secondo la concezione
dell’autore biblico, permise ai nostri progenitori di disubbidire a Dio come
aveva fatto quest’angelo ribelle e malvagio, simboleggiato poi dal serpente,
prima della creazione. Il serpente era il simbolo del dio dei cananei.
Comprendiamo , allora, perché l’autore della Genesi lo adotta per farne il
simbolo “personificato” del male, per contrapporlo al Dio d’Israele.
Da qui è nata, come abbiamo già esaminato prima, la tradizione sulla presenza
del “Diavolo”.
Da questa situazione ma ancora di più per opera di Girolamo, che con la
traduzione di tutta la bibbia in latino ha accentuato ancora di più la certezza
della presenza del diavolo tentatore dell’uomo, è venuta fuori quella linea
teologica negativa, ormai presente nella Chiesa da secoli e che è parte
integrante degli schemi mentali di molti cristiani e che ha generato nelle menti
degli uomini e delle donne una consapevolezza negativa circa la figura del
Padre che, intanto, avrebbe relegato l’angelo decaduto all’inferno e quindi, in
seguito, avrebbe preteso, dal Figlio, l’espiazione dei peccati dell’umanità per
placare la sua ira e per soddisfare la sua infinita giustizia. Da qui viene fuori la
figura di un Dio vendicativo, che, pur creando l’uomo per amore, come ci
hanno sempre annunciato i padri della Chiesa fin dal periodo post-apostolico,
essendo stato non corrisposto dall’uomo fin dalle origini, generando così il
peccato originale, avrebbe preteso dall’uomo stesso la riparazione al danno
fatto nel rapporto tra lui e Dio.
La stessa teologia continua affermando che: “Siccome l’uomo era incapace di
riparare ad un peccato di superbia così grande nei confronti del suo Creatore,
era necessario che venisse al mondo il Figlio di Dio a soffrire per i peccati
dell’umanità e per ricevere Lui stesso la punizione destinata all’uomo”. In
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questo modo è soddisfatta la giustizia di Dio Padre. Questa è la “teologia
negativa della redenzione” che ha prodotto nel cristiano, lungo i secoli, una
mentalità deleteria verso la figura di Gesù Cristo che, pur essendo amato da
tutti, viene a tutt’oggi visto come colui che ci giudicherà secondo le nostre
azioni buone o cattive che siano. Gesù è amato per paura.
La teologia negativa nel suo sviluppo storico ha creato l’uomo religioso, vale a
dire l’uomo che per ottenere la salvezza eterna deve necessariamente
rispettare delle regole comportamentali e rituali per aggraziarsi Dio ed essere
preservato dal peccato.
Dunque, ci è stato insegnato quanto segue: “Gesù Cristo è morto per noi per
riconciliarci con il Padre, il quale ha preteso che il Figlio andasse in croce per
noi (al
posto nostro) per riscattarci dal peccato”. La conseguenza di questa
affermazione, ancora oggi presente nella Coscienza delle persone, è che, i
cristiani, essendo stati riscattati da Cristo a caro prezzo, a loro volta devono
soffrire, come Cristo ha sofferto, per i peccati dell’umanità e per guadagnarsi il
Paradiso. Questo modo di concepire la fede in Cristo genera, nella Coscienza
dell’uomo, scrupoli e sensi di colpa nei confronti del sempre più attuale
decalogo, che, ancor oggi, è messo al primo posto nella catechesi di iniziazione
cristiana per i bambini, ragazzi e adulti; dimenticando che Gesù aveva già
sostituito la legge mosaica, negativa (fatta solo di divieti), con la dinamica
dell’Amore presente nelle Beatitudini descritteci nel Vangelo secondo Matteo,
al capitolo 5.
Ma dallo sviluppo delle scienze umane, in particolar modo della Psicologia del
profondo,
della
Pedagogia
e dell’Antropologia,
conosciamo
che
non
è
assolutamente possibile osservare, alla lettera, tutti i precetti religiosi senza
creare, nell’animo delle persone, una situazione di profondo disagio interiore
che ha, come conseguenza, l’ossessione di andare continuamente ad
emendarsi ad un Ministro della Chiesa attraverso la confessione sacramentale,
solo ed esclusivamente per essere perdonati dai presunti peccati commessi e
ricevere la soddisfazione dell’assoluzione, con conseguente penitenza (che non
ha alcun fondamento evangelico), che soddisfa il penitente di turno solo
temporaneamente, ma che, poi, lo proietta di nuovo nell’ossessione di non
commettere più quei peccati, che, erroneamente ritenuti peccati, non sono
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altro che le naturali fragilità che la natura umana ci presenta nelle sue svariate
forme di comportamento morale .
Questa prassi religiosa è il risultato di una teologia non fondata sulla Bibbia ma
esclusivamente su una speculazione filosofica, che, facendo leva sul racconto
biblico della caduta originaria, si è legata, nel suo sviluppo storico, alla visione
platonica della realtà e del corpo dell’uomo.
Infatti la filosofia di Platone è stata ripresa più volte anche da alcuni padri della
Chiesa (per esempio Agostino) per insegnarci che l’anima è prigioniera del
corpo, ritenuto strumento di peccato e anela alla liberazione totale da lui per
ricongiungersi al Dio trascendente, iperuranico.
Un’altra conseguenza di ciò è la visione trascendente di Dio nel cristiano, in
continuità con la religione ebraica che voleva che tra Dio e l’uomo ci fosse un
abisso profondo, causato dal peccato originale, che poteva essere colmato solo
con l’osservanza di precetti religiosi, gestiti dall’istituzione religiosa del tempo
(farisei, scribi, anziani del popolo).
Questa visione negativa della realtà, compattatasi nel tempo attraverso la
fusione, in un unico blocco teologico, di tutte le realtà negative di cui abbiamo
già parlato, ha portato alla formazione di una solida teologia negativa ripresa in
blocco dalla tradizione medievale post-costantiniana e portata ancora avanti
per secoli fino ai giorni nostri, resistendo perfino all’evidenza evangelica
dell’Amore e della Misericordia predicati da Gesù.
La stessa teologia negativa è stata il fondamento di tutta l’educazione religiosa
e non, ricevuta dai nostri progenitori. La teologia negativa ha portato ad una
visione a sua volta negativa dell’essere umano e che, avallata dalla morale
cattolica, che fa capo proprio alla teologia della redenzione, ancora in voga, ha
generato il terrore di Dio, la paura dell’inferno, come possibilità data all’uomo
peccatore, la paura del demonio e, ancor più, la paura del peccato, anche nelle
sue minuzie e ha destabilizzato la Coscienza umana, nonostante questa fosse
uscita come un Gioiello dalle mani del Creatore.
Inoltre, nel suo sviluppo storico, questa visione negativa dell’uomo, da parte
del suo simile, ha senz’altro generato sfiducia reciproca tra gli esseri umani al
punto tale che, non è azzardato affermare che la delinquenza dell’uomo è
aumentata a dismisura proprio per una visione negativa, reciproca, tra esseri
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della stessa specie; è nato, così, anche l’ateismo per il rifiuto , da parte di molti
uomini e donne, della figura di questo Dio tiranno che esige il sangue del Figlio
per avere giustizia e la sofferenza dell’uomo per la salvezza della propria
anima. Da qui è nata la pressante richiesta, nei confronti dell’uomo credente, di
digiuni, penitenze, astinenze, visione negativa della sessualità perché il corpo è
strumento di peccato.
Tutto questo ha menomato l’uomo nella sua interiorità, lo ha reso infelice, triste
ma, al tempo stesso, sempre desideroso di felicità, anche questa ritenuta un
peccato.
E allora si ritiene, erroneamente, che l’uomo di oggi, l’uomo di fede che si dice
cattolico, abbia bisogno di essere accompagnato continuamente da qualcuno,
nella sua ricerca di Dio, un ipotetico Dio che nessuno sa dov’è. E viene
prospettata, all’uomo cattolico, un cammino cosiddetto privilegiato per la
ricerca di Dio. Un cammino che va ancora, ostinatamente, nella direzione
sbagliata e che porta l’uomo, ancora oggi, alla negatività della visione di Dio e
cioè verso un cammino pseudo-spirituale fatto essenzialmente di rispetto delle
norme rituali, liturgiche e morali che spersonalizzano sempre di più il credente,
il quale, spaventato da eventuali presunti castighi se non fa digiuno, se non
prega, se non partecipa alla messa, se va in spiaggia a divertirsi, se “tocca” la
fidanzata o il fidanzato prima del matrimonio, se si masturba, se è omosessuale
ecc. ebbene, questo povero credente, ridotto ad una larva umana, finisce per
accettare di obbedire ad uomini che si arrogano il diritto di dirigere le
Coscienze secondo un cammino, cosiddetto spirituale, che non ha nulla di
evangelico.
Accade così, anche oggi, come succedeva ai tempi di Gesù, quando i farisei, gli
scribi e i dottori della legge si ritenevano gli unici possessori della legge divina
e si sentivano autorizzati a dividere l’umanità in buoni e cattivi e a dirigere le
Coscienze secondo la loro visione di Dio. Il fatto straordinario è che costoro,
mentre insegnano ai credenti come vivere la propria fede, non vivono secondo
ciò che insegnano. Scandaloso. Ipocrisia. Falsità.
Oggi Gesù si esprimerebbe in questi termini.
Qual è la conseguenza di tutto questo discorso? L’uomo è diventato nevrotico a
causa della sua fede. Più che di fede parleremo, in questo caso, di religione.
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L’uomo religioso pensa solo alla sua salvezza, osservando i precetti religiosi,
che diventano, per lui, la cosa più importante della sua vita, in quanto sarebbe
proprio l’osservanza dei precetti e delle norme a dargli in premio, secondo la
sua concezione religiosa della vita, quell’agognato paradiso che gli sarebbe
stato promesso da Gesù.
Dico “sarebbe” perché Gesù non ha promesso il paradiso a nessuno che osservi
dei precetti religiosi. Gesù ha solo affermato che chi Ama ha la Vita Eterna; in
altri termini, solo chi ama vive in eterno e non chi rispetta delle regole sterili e
magari non ama nessuno ma, il più delle volte, si erge a giudice spietato nei
confronti di coloro che, dette regole, non le osservano (vedi il figlio maggiore
della parabola del Padre misericordioso, impropriamente chiamata parabola del
figlio prodigo, in Luca al capitolo 15). L’uomo di fede, invece, ama perché Dio è
Amore. Amare vuol dire già Salvezza, già in questo mondo e che diventa
Motore per costruirsi quella Personalità Eterna in grado di resistere alla morte
stessa e di vivere oltre la morte.
Ora, nella Sacra Scrittura, essenzialmente nel Nuovo Testamento, la visione
dell’uomo è Positiva. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, al capitolo 3,16-18 nel
colloquio tra Gesù e Nicodemo, Gesù afferma quanto segue: <<Dio ha tanto
amato il mondo da mandare il suo figlio unigenito, perché chi crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il figlio nel mondo per
giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui>>.
Quest’espressione contrasta profondamente con la teologia negativa che
concepisce il Figlio di Dio solo ed esclusivamente come un restauratore di
un’umanità perduta a causa del peccato originale. Chiediamoci inoltre: Quale
portata poteva avere questo peccato origina- le commesso da uomini per lo più
culturalmente limitati e che non avevano certamente una conoscenza limpida
di Dio? Ragionando su tale contraddizione vediamo l’infondatezza di questa
teologia ormai vecchia, non più al passo con i tempi storici che viviamo.
C’è da constatare, però, che, già dai tempi di San Francesco d’Assisi e proprio
per merito della teologia francescana, si sviluppò, in seno alla Chiesa, la
teologia positiva dell’Incarnazione.
In che cosa consiste? Abbiamo già descritto il passo del vangelo secondo
Giovanni, che fa da fondamento alla teologia positiva che, per altro, abbiamo
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già presentato per sommi capi nel paragrafo dell’Incarnazione. Come abbiamo
già affermato, la Teologia Positiva della Rivelazione-Salvezza, a differenza di
quella negativa della redenzione, ci assicura che il Figlio di Dio si è incarnato,
nel mondo, per un motivo assolutamente positivo. Vediamo.
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, prima della Creazione dell’Universo (dire
“prima” della creazione fa parte del linguaggio simbolico; se, infatti, il tempo
non esisteva prima della creazione, siamo fuori d’ogni concezione temporale
della realtà, ma è pur sempre necessario usare questo linguaggio figurato per
capirci); ebbene questa Trinità ha deliberato di creare il Mondo e di visitarlo per
dare all’uomo creato la certezza che la sua presenza nel mondo e la sua stessa
vita fossero il frutto di una decisione fondata sull’amore. Cerchiamo di spiegarci
meglio: avendo accertato già che l’amore è la caratteristica fondamentale che
lega le Tre Persone divine all’interno della medesima natura divina (siamo
sempre nel linguaggio figurato), è necessario dire ancora che la prerogativa
essenziale di un rapporto d’amore è la comunicazione della vita. La Vita,
dunque, all’interno della Trinità divina, richiede una partecipazione “all’esterno”
di questo rapporto reciproco d’amore, per dar esistenza ad una realtà diversa,
non interna alla Trinità stessa.
La Creazione dell’Universo e quindi anche della Terra è, allora, il Frutto di
quest’Amore tra le Tre Persone divine ed è, al tempo stesso, la conseguenza di
questa deliberazione Intra-Trinitaria; quella, cioè, di creare una realtà ExtraTrinitaria. Questa semplice constatazione ci dice già che l’Universo fisico è
frutto d’amore. Se è così, la Trinità ha creato per l’unico motivo possibile:
trasmettere la Vita e far sì che questa vita, perfezionandosi dopo lunga
Evoluzione terrena, si ripresenti a Dio “Perfetta”, per poter partecipare e gioire
di quello stesso amore presente nella Trinità.
L’Essere umano, in modo eminente, ma anche tutte le creature presenti
nell’Universo fisico, sono chiamati alla Vita proprio per partecipare alla Gioia
divina.
Tornando al discorso fatto in precedenza, la Trinità crea l’universo attraverso
quelle leggi fisiche che rappresentano le caratteristiche che la Scienza stessa ci
descrive volta per volta nella sua sapienziale evoluzione storica; dopo di ché la
Trinità stessa imprime nella Creazione la Sua Immagine e la sua Somiglianza.
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Questa descrizione che il libro della Genesi ci presenta al capitolo 1,26-27 in
modo simbolico, ci dà la consapevolezza che la Trinità infonde, nella Creazione
e fondamentalmente nell’Uomo-Donna primordiale, la sua Energia dinamica
che permette all’Uomo di prendere sempre più Coscienza di esistere.
La Trinità, ben conscia che l’Uomo, durante la sua Evoluzione si sarebbe
continuamente chiesto: “Chi sono, da dove vengo, dove vado, qual è la finalità
della mia esistenza, perché vivo”, ma non avrebbe mai potuto dare una
risposta definitiva alla sua ansia di conoscere; ebbene la Trinità decide già,
all’atto della Creazione, che il Figlio (Seconda Persona) si incarni e diventi un
Uomo storico, per consegnare agli uomini, tutte le informazioni necessarie al
raggiungimento della felicità piena e della soddisfazione di una vita serena che
evolva sempre più nel Bene. Infatti, dopo la Creazione e dopo una lunga
Evoluzione, secondo le intenzioni del Creatore, l’Uomo-Donna primordiale
arriva alla Sapienza necessaria per riflettere su di Sé, fino al punto in cui,
quando i Tempi sono maturi, come dice l’apostolo Paolo, avviene l’Incarnazione
con la nascita del Figlio di Dio, storicamente conosciuto come Gesù di
Nazareth. A questo punto, dopo lunga preparazione dell’umanità, attraverso
leggi di convivenza che potessero mettere ordine, dall’esterno, alle relazioni
interpersonali, l’Incarnazione porta una grande novità: Gesù Cristo dà all’UomoDonna la Capacità interiore di progredire più speditamente verso il Punto finale
dell’Evoluzione (Punto Omega). Possiamo sintetizzare il tutto secondo il
seguente schema:
•
•
Creazione = Punto Alfa
Incarnazione = Punto Intermedio, dove l’Amore trinitario portato da
Gesù si interiorizza nell’Uomo-Donna e in tutte le Creature, per diventare il
Motore che porterà l’Uomo-Donna e le Creature, in genere, sia i viventi sia
coloro che sono già morti e che sono sempre presenti, ma in un’altra
dimensione, ad evolvere nel Bene fino al Punto di congiungimento finale di
tutto l’Universo con la Trinità, che si realizza nel Punto Omega.
•
Parusia = Punto Omega: Incontro finale tra Dio e l’Universo pienamente
evoluto.
In questo stadio finale dell’Evoluzione l’Uomo-Donna sarà Pura Coscienza, in
seguito ad un processo di Spiritualizzazione all’interno dell’Evoluzione Cosmica.
69
Come afferma il grande Teologo-Filosofo-Paleontologo Teillhard de Chardin,
questo Stadio finale dell’Evoluzione dell’Uomo-Donna sarà la conseguenza
“Naturale” della Trasformazione-Spiritualizzazione impercettibile ma Reale,
dell’Essere umano, dalla Sfera biologica (Bio-sfera) alla Sfera intellettiva (Noosfera). Questo rappresenta lo Stato di Pura Coscienza che renderà l’UomoDonna in grado di comunicare pienamente con il Padre, con il Figlio e con lo
Spirito Santo.
L’insegnamento di Gesù, allora, fondato sull’Amore reciproco, è l’unica realtà
che l’Essere umano è chiamato a vivere, per progredire fino al Punto d’incontro
con Dio, alla Fine dei Tempi: Il Punto Omega-Parusìa-Stato-di-Pura-Coscienza
dell’Uomo-Donna-Creature.
La Missione storica di Gesù consiste, dunque, nell’abolire tutte le leggi
farisaiche (e questo vale per ogni tempo storico, perché i farisei ci sono
sempre) che impedivano e che impediscono, all’Uomo-Donna, di crescere
nell’Amore; consiste, ancora, nel liberare l’essere umano dalle catene della
legge mosaica (sempre presente) e nel dargli la Libertà interiore necessaria per
amare e per essere amato. In Luca, capitolo 4,18-19 (la prima predicazione di
Gesù nella sinagoga di Nazareth) si riassume tutto il mandato di Gesù: <<Lo
Spirito del Signore è sopra di me. Per questo Egli mi ha consacrato con
l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio. Per
proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in
libertà gli oppressi e predicare un tempo di Misericordia del Signore>>.
L’unico impegno, quindi, che Gesù chiede agli uomini e le donne è questo:
<<Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi >> (cfr. Giovanni 15,12). Se
faremo questo non ci saranno più oppressi, prigionieri di leggi religiose e
poveri. Chiediamoci a questo punto della nostra riflessione: “Chi è che ha
voluto la Croce per Gesù Cristo?”. L’uomo! Ma l’uomo religioso del tempo di
Gesù, i sommi sacerdoti, i farisei e anche quella buona porzione di popolo che
preferì la liberazione di Barabba a quella di Gesù.
Tutti costoro hanno messo in croce Gesù perché non hanno accettato il
Radicale cambiamento, portato da Gesù, nel rapporto tra Uomo e Dio. Ma da
quella Croce, prevista dalla Trinità, Gesù Cristo ha dimostrato chi realmente era
ed è.
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Ce ne danno testimonianza le cose accadute all’atto della Crocifissione: Il
centurione romano si converte a lui, il ladrone al suo fianco, crocifisso con lui,
gli chiede di partecipare alla sua Gloria; lo stesso Gesù che dice: <<Padre
perdona loro perché non sanno quello che fanno>> (Luca 23,34).
E’ come se Gesù avesse voluto dirci, in sostanza: <<Uomo, mi hai crocifisso
perché ti ho annunciato l’Amore di Dio, ma io non ti imputo alcuna colpa, però
sappi che ciò che ti ho detto e insegnato durante la mia vita è la Verità e
adesso te lo dimostrerò quando Risorgerò Vivo da questo patibolo. Vivi,
dunque, con Amore, come ti ho insegnato e sarai Felice e io sarò sempre con te
e in te e ti condurrò per mano, fino al superamento della morte stessa, perché
tu stia con me per tutta l’Eternità>>.
La croce di Cristo, voluta dall’Uomo, è strumento di Salvezza non perché ci ha
redento dal peccato originale ma perché apre, definitivamente, la Porta di
comunicazione tra la Trinità divina e l’Umanità di tutti i tempi. Per questo
motivo la croce è strumento di salvezza.
E’ una motivazione positiva; si riesce a cogliere il paradosso più convincente e
più straordinario che si sia mai avuto nella Storia dell’Umanità: Cristo salva
l’Uomo con quello stesso strumento con il quale l’Uomo ha liberamente ucciso
Dio.
Gesù, attraverso il patimento della sua crocifissione, voluta dall’Uomo, si serve
di questo delitto per aprire la strada di Comunicazione piena tra la Trinità che
ha creato l’Uomo e l’Uomo che ha ucciso Uno della Trinità.
Una sola volta nella storia, l’Uomo ha commesso la più grande atrocità di tutti i
tempi, quella di mettere in croce il suo stesso Creatore. E lì si realizza la
Comunione piena tra Creatore e Creatura. Ecco perché l’Apostolo Paolo può
affermare: <<Dove ha abbondato il peccato dell’Uomo ha sovrabbondato la
Misericordia di Dio>> (Romani 5,20). Proprio questo è il paradosso della fede
evangelica. Era tutto “previsto” dalla Trinità e non “predestinato”.
La predestinazione alla crocifissione di Cristo è legata alla visione negativa
della redenzione, come salvezza dal peccato originale, voluta dal Padre, ecco
perché, predestinato. La predestinazione alla crocifissione di Cristo voluta dal
Padre, apre la porta ad una pericolosa valutazione della fede cristiana. Intanto
si svaluta in pieno la libertà dell’Uomo. Vediamo un esempio eclatante: Se la
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crocifissione fosse stata voluta dal Padre, Giuda sarebbe stato uno strumento di
Dio nelle sue mani e, quindi, verrebbe svalutata la stessa libertà di Giuda nel
consegnare il Maestro al Sinedrio (tribunale ebraico).
Consegnare! Questo è il termine adatto. Giuda consegnò il suo Maestro ai
sommi sacerdoti, con i quali si era messo d’accordo. Ma l’accordo aveva due
facce diverse. Giuda, che aveva capito che Gesù era il Salvatore, volle
“consegnare” Gesù ai sommi sacerdoti perché credeva che Gesù avrebbe
dimostrato ad essi chi era veramente.
Giuda pensava, come anche gli altri apostoli, che Gesù fosse venuto a liberare
gli ebrei dalla dominazione romana. Per questo motivo consegna Gesù ai
sacerdoti, pensando che il Maestro si rivelasse. I sommi sacerdoti, invece,
fecero l’accordo con Giuda per arrestare Gesù. Quando Giuda si rende conto di
essere stato raggirato, pentitosi, gridò: <<Ho peccato, perché ho tradito
sangue innocente>> (Matteo 27,4) e andò ad impiccarsi.
Se fosse stato Dio-Padre a volere la morte del Figlio, in croce, di conseguenza,
come già affermato, Giuda sarebbe stato una pedina di Dio affinché tutto si
realizzasse. Allora, come mai Giuda si pente del suo gesto e va ad impiccarsi?
Dobbiamo credere che Dio-Padre, dopo averlo reso suo strumento, per far
crocifiggere il Figlio, dà a Giuda la possibilità di pentirsi fino a fargli fare quella
morte ingloriosa? Se fosse stato realmente una sua pedina doveva preservarlo
anche dal pentimento e dall’impiccagione.
Siccome nella tradizione cristiana Giuda è visto come colui che si è dannato,
dobbiamo credere che Dio, prima lo rende strumento per far andare Gesù in
croce e poi lo danna all’inferno?
Quante contraddizioni sorgono se pensiamo alla croce di Cristo come
conseguenza
della
volontà
del Padre
di riparare il
peccato
originale.
Svalutiamo, così facendo, la coerenza di Dio nell’agire e la libertà dell’uomo.
Giuda è stato libero nel consegnare Gesù al Sinedrio ed ha provato un sincero
pentimento quando si è visto tradito, lui sì, tradito, dal Sinedrio che,
approfittando del gesto di Giuda, fatto in buona fede, ha arrestato Gesù.
Questa è la previsione-preveggenza della crocifissione di Gesù, che genera la
Teologia positiva della Salvezza.
Vediamo in che cosa consiste: La Trinità sapeva che l’Uomo avrebbe crocifisso
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Gesù, ma era talmente grande la motivazione dell’Incarnazione, come
Rivelazione dell’Amore Trinitario da portare agli uomini, che la Trinità stessa ha
inglobato in sé questo delitto, “previsto” da Dio ma “voluto” dall’Uomo, per
farne strumento di salvezza. Nel momento del più grande delitto dell’Uomo, si
rivela, allo stesso Uomo, la più grande dimostrazione d’Amore da parte della
Trinità, rappresentata, in Terra, da Gesù di Nazareth.
Solo così l’Uomo può convertirsi: Quando nel peggiore momento della sua
malvagità si sente dire da Dio: <<Io ti amo>>.
Applichiamo questo discorso alla vita dell’Uomo sulla terra. Facciamo parlare
Gesù Cristo. L’Uomo ama non quando Gesù gli dice: <<Sono venuto al mondo
per morire per te, per riparare il tuo peccato; ora cambia vita perché sarai
giudicato, alla fine della vita, proprio da me, perché il Padre mi ha mandato a
morire al posto tuo, per riscattare il tuo peccato>>.
No. Così l’uomo si irrigidisce ancora di più.
L’Uomo, invece, ama quando Gesù gli dice: <<Ti abbiamo creato per Amore; ti
abbiamo messo al mondo per farti evolvere dal tuo stato d’imperfezione
iniziale (ciò che viene chiamato erroneamente peccato originale ma è solo
carenza ontologica creaturale) verso la perfezione finale, perché ti vogliamo
incontrare al di là della morte. Ad un certo punto della storia Io mi sono
incarnato per mostrarti, attraverso il mio Volto, il Volto del Padre e per dirti che
sono venuto a prenderti per mano per farti vivere felice, in questo mondo, per
permetterti di evolvere più speditamente verso l’incontro con Dio. Ti ho
mostrato, con il mio Amore, che solo amando potrai infrangere la barriera della
morte e continuare ad evolverti verso la Luce di Dio. Ma tu non mi hai creduto
(l’uomo di quel tempo storico) e mi hai crocifisso. Ma noi, Io e il Padre non te ne
facciamo una colpa.
Eri talmente legato alle tue tradizioni che non hai creduto in me. Credevi che io
fossi venuto a distruggere il tuo rapporto con Dio? No. Volevo rinnovarlo, dal di
dentro. Volevo farti capire, finalmente, che Dio è altro rispetto a ciò che tu
pensavi, che Dio è Amore e non una somma di regole da osservare, che Dio si
accoglie amando e non si merita per l’osservanza di regole religiose. Volevo
dirti ancora che non devi assoggettare, a te, il tuo simile, attraverso regole
religiose.
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Ho voluto insegnarti ad amare anche coloro che non la pensano come te. Ti ho
rivelato che, per Me e per il Padre, siete tutti fratelli ( “In Cristo Gesù, non c’è
più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna,
poiché tutti siete Uno in Lui”, Galati 3,28). Ma non mi hai creduto e mi hai
messo in croce. Da quella croce ti ho perdonato, perché non sapevi cosa facevi;
eri, infatti, ancora in evoluzione e non potevi capire. Ma una cosa l’hai capita:
Solo amando puoi evolvere verso il Bene Assoluto. Dovevi commettere un
delitto così grande per capirlo? Io l’avevo previsto. Ecco perché ho trasformato
quella croce in una porta (“Io sono la Porta” , Giovanni 10,7). Oggi hai tutti gli
strumenti per amare e per non fare più lo stesso errore. Oggi sei più evoluto,
sei più intelligente. Amatevi gli uni gli altri, ancor più oggi che siete miliardi e
miliardi. Siete tutti miei fratelli e figli di uno stesso Padre-Madre; anche se siete
neri, bianchi, rossi; anche se siete ebrei, mussulmani, cattolici, buddisti,
africani, europei, asiatici, americani, latini, greci, ortodossi, protestanti. Io ho
trasformato quella croce in una Porta attraverso la quale potrete passare tutti
insieme, mantenendo le vostre tradizioni, che però non devono essere
reciprocamente discriminanti, per ricongiungervi alla Trinità>>.
Così parla oggi Gesù di Nazareth, esattamente come parlava duemila anni fa in
Terra di Palestina. Ma qualcuno ha pensato bene, lungo la storia, di distorcere il
suo messaggio di Liberazione per fare di Gesù un moralista legalista, novello
fariseo.
Questo è il volto di Gesù espresso dalla chiesa attuale.
Abbiamo, però, visto che, ancora oggi, Gesù parla come parlava quando era nel
mondo in carne ed ossa. Un linguaggio di amore vero e sincero. Un amore
“attraente”. E allora Gesù sa che solo così l’uomo si converte.
Non a Dio.
Ma all’Uomo.
Questa è la straordinaria novità della Rivelazione evangelica.
Questa è l’Essenza della Teologia Positiva.
Il Cristianesimo è Umanesimo.
E’ talmente semplice il messaggio di Gesù, come semplice è Dio che vuole solo
che ci amiamo a vicenda, che forse, essendo troppo facile e regalando troppo
entusiasmo alle Persone, qualcuno, in nome di Dio, ha pensato bene di rendere
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complicata la vita di moltitudini di individui, attraverso una visione negativa
della fede, come già detto, per rendere tristi gli uomini ed assoggettarli ad una
autorità religiosa terrena costituitasi e autoreferenziatasi lungo la storia ma
certamente non voluta da Gesù. Ma L’Essere umano, però, ha come grande
amico l'Evoluzione e oggi, è in grado di ragionare con la propria testa e di
capire qual è l’autentico insegnamento di Gesù di Nazareth.
Ora chiediamoci: “Quali sono le conseguenze teologiche della Visione Positiva
ed Evangelica della Fede in Gesù Cristo”?
Lo vedremo nei prossimi paragrafi.
75
Dio Trascendente o Dio Immanente?
Alla luce delle cose dette arriviamo alla nuova comprensione che l’Incarnazione
del Figlio di Dio sovverte la visione antico-testamentaria del Dio Trascendente,
a cui, purtroppo, anche i cristiani d’oggi sono ancora legati. Dopo duemila anni
dall’Incarnazione, i cristiani vivono ancora con la consapevolezza di dover
“servire” il Dio Trascendente, attraverso un culto esasperato fatto di novene,
tridui, adorazioni eucaristiche, messe a ripetizione, dimenticando, innanzitutto,
che è Gesù Cristo che è venuto a servire l’Uomo.
Emblematico è l’episodio della lavanda dei piedi, nel Vangelo secondo Giovanni
al capitolo 13,3-17, dove Gesù si fa servo degli apostoli. Si inginocchia e, con
un gesto simbolico di altissimo valore ci proclama che, dal momento
dell’Incarnazione in poi, sarà Dio che si metterà a servizio dell’uomo. Questo
episodio ci viene narrato, da Giovanni, al posto dell’Istituzione dell’Eucaristia o
nello stesso contesto.
Il significato di questa collocazione ci riporta al rapporto stretto tra Eucaristia e
Servizio, per cui non è assolutamente proponibile un’Eucaristia che diventi, così
come è diventato, ormai da tempo immemorabile, strumento di potere per
poter escludere diverse categorie di persone dalla Comunione con Dio.
L’Eucaristia è strettamente legata al Servizio nei confronti dell’Uomo.
Servizio che ha come finalità quella di portare l’Essere umano dalla schiavitù
nei confronti di norme religiose alla libertà piena interiore che Sola può far
progredire l’Uomo-Donna nel cammino di Evoluzione della sua Coscienza.
Vediamo lo sviluppo dell’episodio e ne considereremo anche le implicazioni
nella vita del cristiano, nel suo rapporto con il mondo. Al capitolo 13,3ss si
narra : <<Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era
venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola (dopo l’istituzione
dell’Eucaristia), depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla
vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e
ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto>>. Poi, riprendiamo al
versetto 12 : <<Quando, dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti,
sedette di nuovo e disse loro “ Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate
Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il
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Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.
Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi>>.
Gesù inaugura i tempi in cui Dio si inginocchia di fronte all’Uomo e lo serve.
Non più l’Uomo che si inginocchia di fronte a Dio ma il contrario.
L’Eucaristia, dunque, prima che culto liturgico, è Servizio all’Uomo; non
all’Uomo come piace a noi ma all’Uomo come ce lo presenta Dio, volta per
volta, con le sue angosce, speranze, istanze di liberazione dalla povertà e
dall’oppressione.
L’Uomo concreto che vive e soffre nei crocicchi delle strade, non l’Uomo che
accetta la nostra norma morale. Il mondo vive in continua crescita e crescono
anche le povertà dell’Uomo, a causa di altri Uomini.
La prima forma di Eucaristia è farsi pane per i poveri, poi ben venga anche la
Celebrazione eucaristica. Gesù ci ha rivelato una nuova immagine di Dio a
servizio dell’Umanità intera. Lavare i piedi, per Gesù, ha significato abbassarsi
fino alle parti ritenute più sudicie dell’Uomo, in quanto, ai tempi di Gesù, le
strade non erano asfaltate e vi lascio immaginare le condizioni dei piedi dei
discepoli.
Il gesto di Gesù è altamente simbolico, oltre che del servizio reso all’Umanità,
anche dell’Incarnazione. Gesù non è sceso solo a livello dell’Umanità
posizionandosi su una cattedra dorata e dettando legge; Gesù è sceso fino
nelle profondità del sudiciume umano, per riscattarlo e portare l’Uomo-Donna a
nuova dignità.
Ora, che l’Eucaristia sia l’unico culto che celebra la presenza di Gesù incarnato,
su questo nessuno discute ma se l’Eucaristia deve diventare un culto ricco,
mentre milioni di bambini muoiono di fame, questo rischia di essere il vero
sacrilegio, perché la realtà più Sacra che Dio ha a cuore è l’Essere umano.
Nell’Eucaristia si realizza , di certo,un’altra forma d’Incarnazione di Gesù e cioè
nel Pane e nel Vino consacrati, perché Egli l’ha promesso nell’ultima cena,
quando ha affermato: <<Fate questo in memoria di me>> (Luca 22,19). Ma se
la chiesa non si inginocchia a servire l’Uomo tradisce il suo mandato. Altro che
la lavanda dei piedi del giovedì santo, che rischia di essere, a questo punto
puro folklore.
L’Eucaristia, allora, ci consegna una nuova visione di Dio: <<Chi mangia la mia
77
carne e beve il mio sangue ha la vita eterna>> (Giovanni capitolo 6,54).
Il Concilio Vaticano II realizza tutto questo discorso affermando solennemente
che l’Eucaristia non deve essere più vista come il Sacrificio espiatorio di Cristo,
che fa parte della visione negativa della Fede, ma come una Cena. La stessa
nuova disposizione dell’Altare, con il celebrante rivolto verso il popolo, ci
annuncia la presenza di Gesù Cristo in mezzo agli uomini; l’Altare stesso
diventa così Tavolo della Mensa del Signore Gesù con tutta l’Umanità presente.
Questa è la Visione Nuova del Dio così chiamato Immanente (Incarnato nella
Realtà materiale). Quindi abbiamo una doppia Visione dell’Immanenza di Dio:
Quella dell’Energia d’Amore che portiamo dentro di noi, nella nostra Coscienza
e che ci fa amare tutti come Cristo ci ama e quella che ci fa vedere Gesù
presente nel Pane e nel Vino che ci fornisce sempre più Energia d’Amore per
continuare ad amare fino alla Fine. Ma la Realtà del Cristo Immanente dà un
Significato nuovo anche alla Sofferenza e alla Morte.
Per comprendere meglio questo aspetto fondamentale per la Vita dell’Uomo
sulla Terra, bisogna affrontare il tema teologico del prossimo paragrafo.
78
Dio Onnipotente o Dio Impotente?
La Novità certamente sconcertante, ma che è l’Unica risposta soddisfacente
che genera pace nel cuore degli Uomini e delle Donne che soffrono e, che
cercano, attraverso la Ricerca scientifica, di dare una risposta al perché della
Sofferenza e della Morte, è questa: “Con la nascita di Gesù di Nazareth,
fondamento dell’Incarnazione, Dio ha “Perso” la sua Onnipotenza, non nel
senso che prima era onnipotente e adesso non lo è più ma in quanto ci ha
mostrato la sua vera Essenza, ancora non capita dall'umanità, tanto meno dagli
ebrei.
In altre parole, in seguito alla Rivelazione Evangelica e alla teologia paolina (lo
abbiamo già visto nella Lettera ai Filippesi al capitolo 2,6-11), gli Uomini e le
Donne di tutti i tempi sono esortati a contemplare non più il Dio OnnipotenteTrascendente ma il Dio Impotente-Incarnato.
Certamente questo nuovo linguaggio rischia di essere frainteso, se non è
spiegato, perché cozza contro una mentalità già affermata in noi, quella di
pensare che Dio è Colui che può fare tutto.
Quando Gesù dice ai suoi discepoli: <<Io vi mando come agnelli in mezzo ai
lupi>> (Matteo capitolo 10,16) noi restiamo sbalorditi pensando che Gesù
possa chiedere ai suoi di diventare carne da macello in mano agli aguzzini.
Questo accade perché nella mentalità corrente è il lupo che mangia gli agnelli e
non viceversa. Ma allora Gesù ci chiede il martirio? O non è forse vero che Egli
sa che solo essendo agnelli si può ammansire il lupo? Se Gesù è Dio e conosce
meglio di noi la nostra natura umana profonda, crediamo che Egli non sappia
ciò che afferma? O non sarà forse vero che Egli, che conosce il cuore dei buoni
e dei cattivi, sa meglio di noi che solo la bontà e la mansuetudine prevalgono
sulle malvagità umane? Ma se è così, ciò significa che anche Dio ha le stesse
caratteristiche che chiede a noi, se è vero come è vero che siamo stati fatti a
sua immagine e somiglianza.Questo discorso è solo un esempio per far capire
che Gesù Cristo rivela, della sua Onnipotenza, un carattere nuovo, fino ad
allora sconosciuto, che mai alcun uomo poteva immaginare. Allora bisogna
cominciare a cambiare la Sostanza delle Parole.
Quando si pensa all’Onnipotenza divina, subito si fa l’associazione mentale:
79
“Onnipotente = Colui che può fare tutto”.
Gesù ci ha rivelato che la Sua Onnipotenza si realizza nell’Impotenza-UmiltàServizio, come ci ha ampiamente dimostrato durante la sua vita terrena. Se
però incarniamo la consapevolezza del Dio Onnipotente, secondo come lo
intendiamo noi (colui che può fare tutto), nella Sofferenza degli Uomini e
specialmente nelle situazioni di dolore degli Innocenti, allora ci chiediamo
inevitabilmente: “Perché Dio, che è Onnipotente, lascia soffrire e morire milioni
di innocenti, attraverso sofferenze senza senso?”. Questa domanda non ha una
risposta se cerchiamo la soluzione attraverso l’Onnipotenza divina. Facciamo
degli esempi a noi molto vicini: ci sono casi in cui tra persone afflitte da una
stessa malattia mortale alcune guariscono e altre no; ma la cosa più
sconcertante è che tutte quelle persone pregano Dio per la guarigione, ma la
stessa raggiunge alcune persone e non altre. Risultato? Dio è parziale con gli
uomini? Perché Dio ascolta le preghiere di alcuni e le altre no? Da qui viene
fuori la consapevolezza (spaventosamente errata) che le persone non guarite
sono peccatrici e quindi Dio le ha punite attraverso queste malattie, mentre
quelle che sono guarite erano buone e hanno meritato la guarigione.
Emblematica a tal proposito la dolorosa domanda da parte degli ammalati:
“Perché Dio mi tratta così? Che cosa gli ho fatto di male?”. Questo stato di cose
genera sensi di colpa nel cuore delle persone sofferenti che, non vedendosi
esaudite, aggiungono alla loro sofferenza fisica un altro malessere ben più
pesante: la consapevolezza di non essere accettati da Dio; e, seppur non
vedono in se stesse nessun peccato grave, non riescono a capacitarsi del
perché Dio non le ascolta.
Dall’altra parte si imputa all’uomo non guarito il fatto di non aver pregato bene
o di non aver Fede, perciò, come si diceva nei Salmi dell’Antico Testamento:
“Dio non ascolta la preghiera dei peccatori”. Quest’ultima situazione genera
un’altra deformazione riguardante la Preghiera e cioè che bisogna aumentare il
numero di preghiere per far sì che Dio si muova a Compassione; quasi che Dio
sia un ragioniere che, secondo il numero di preghiere che riceve, si muove o no
in soccorso di chi ha bisogno. Come possiamo constatare, tutte queste
aberrazioni sono figlie della teologia negativa della redenzione, che genera la
visione del Dio Onnipotente talmente forte ma che è lontanissimo dagli Uomini.
80
Veniamo invece adesso alla Vera Comprensione Evangelica di Dio. Innanzitutto
una premessa: quando si parla di Dio bisogna intendersi a quale realtà
facciamo riferimento. Nel prologo del suo Vangelo, Giovanni, al cap.1,18
afferma che: <<Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio Unigenito, che è nel
Seno del Padre, Egli lo ha rivelato>>. Questo ci assicura che il nostro Dio è
Gesù Cristo; lo afferma Gesù stesso nel Vangelo secondo Giovanni, al cap.14,810, parlando con l’apostolo Filippo, che era ansioso di vedere il Padre:
<<Signore mostraci il Padre e ci basta. Ma Gesù rispose: Filippo, da tanto
tempo sono con voi e tu non mi hai ancora conosciuto? Chi vede me vede il
Padre. Non credi che Io sono nel Padre e il Padre è in me?>>.
Questa affermazione ci dà definitivamente la consapevolezza che, quando
parliamo di Dio, noi ci riferiamo assolutamente a Gesù Cristo; dunque ogni
aspetto della Vita di Gesù riguarda il Nuovo aspetto di Dio stesso che Gesù ci
ha rivelato.
Solo applicando questa nuova conoscenza che abbiamo di Dio alle situazioni di
malattia e di morte presenti nel mondo, riusciamo a dare, quanto meno, una
risposta soddisfacente a coloro che soffrono.
Affrontiamo dunque, adesso, il tema del Dio Impotente, a cui associamo un
Nome storico ben preciso: Gesù di Nazareth.
A partire dall’Incarnazione, ogni evento appartenente alla Natura Umana,
compresi la malattia e la morte, deve essere valutato a partire da Essa. Questo
vuol significare che non si può affrontare più la sofferenza alla luce della
concezione di un Dio trascendente, che, come già visto, non solo non dà
risposte soddisfacenti ma complica la vita di chi è già provato dalla sofferenza
e dalla morte.
Il rapporto tra Dio, che da ora in poi, avendone già parlato, chiameremo
sempre Gesù, e l’Uomo-Donna è, dunque, un rapporto tra Pari.
L’Impotenza di Gesù Cristo è frutto dell’Amore totale in cui Egli è immerso, ma
è anche il frutto dell’Amore che Egli sparge nel mondo come condizione
necessaria per vivere nel Bene ed evolvere verso il Punto Omega. Ora, che
amore e impotenza vanno a braccetto nella vita degli uomini, questo è un dato
di fatto inconfutabile di cui facciamo esperienza continuamente. Chi ama resta
impotente davanti al male perché non è capace di compiere il male per
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sconfiggere il male stesso; e questo perché chi ama è Buono.
Alla stessa maniera Gesù, che è la Bontà infinita, resta impotente davanti al
male e alla sofferenza non perché non vuole, ma perché non può fare nulla,
essendo Egli puro Amore. Gesù ha scelto di farsi Uomo per partecipare, Egli
stesso, in prima persona, all’Evoluzione dell’Umanità. Gesù Punto Alfa si è
“immerso” nella Creazione e ha scelto di “costruirsi” anche Lui con gli uomini,
per farli arrivare al Punto Omega, Egli che Punto Omega lo è già. Insomma,
Gesù, che è già l’Alfa e l’Omega, s’immerge nel processo d’Evoluzione, per far
sì che l’uomo, che è già Punto Alfa, in quanto già esistente, possa arrivare al
Punto Omega che non è ancora. Affinché questa trasformazione si realizzi Gesù
infonde continuamente Amore nella Creazione perché Essa evolva sempre più
perfezionandosi.
Nello stesso momento Gesù infonde Amore anche nella Coscienza umana,
perché Essa viva nel modo più sereno possibile questo processo di
trasformazione dove la sofferenza e la morte non sono altro che le scorie che
detto processo d’Evoluzione espelle “all’esterno” per “crescere-costruirsirinnovarsi-perfezionarsi” sempre più “all’interno”. Allora l’Impotenza di Gesù
sta proprio in questo: Infondere Amore continuamente, perché chi soffre viva la
sua sofferenza con un sostegno interiore non indifferente.
Non dimentichiamo, poi, che l’Amore risveglia nell’essere umano quelle Forze
di autoguarigione che ogni Uomo-Donna ha in sé. Poi consideriamo una cosa
importante: Che cosa è più consolante, per chi soffre, sapere che c’è un Cristo
Trascendente che, pur ascoltando le preghiere di chi è nel dolore, non
interviene oppure avere la consapevolezza che Gesù
soffre con lui? Avere
questa consapevolezza profonda aiuta il malato anche a risvegliare, in sé,
quella forza divina che tutti abbiamo e che aiuta, insieme alle necessarie
terapie mediche, a portare sollievo e anche guarigioni; non solo ma anche a
vivere la sofferenza con la certezza che Gesù potrà fare interiormente ciò che
nessuna medicina può fare.
D’altronde facciamo continuamente l’esperienza che l’immedesimazione alle
sofferenze degli altri è molto più produttiva, per questi ultimi, di qualunque
terapia.
A fondamento di questo discorso c’è una profonda Verità: La Trinità ha infuso
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nella Coscienza umana, già dai primordi, tutta la Sapienza divina necessaria a
far sì che ogni essere umano possa sviluppare, nel tempo, le stesse potenzialità
presenti nella Trinità. Quindi quando si parla d’Impotenza di Gesù Cristo, non si
vuole intendere” Colui che non può fare nulla perché incapace”, ma “Colui che
cambia la Realtà da dentro, in modo invisibile e inesorabile” ma ancora di più
finemente percettibile nella Coscienza d’ogni Uomo-Donna.
Aiutiamoci con un esempio a noi ormai noto da tempo: Sappiamo, dalla Scienza
medica, che nell’Embrione sono contenute tutte quelle informazioni necessarie
perché un Corpo possa, nel tempo, svilupparsi secondo un Codice genetico
chiamato DNA, che porta in sé tutte quelle potenzialità che saranno espresse
dall’Uomo-Donna-Creature adulto, attraverso l’Evoluzione del corpo. Se,
paradossalmente, due Embrioni s’incontrassero e potessero comunicare tra
loro, si meraviglierebbero, vedendo una persona adulta, del fatto che Essi
stessi debbano diventare così.
Eppure negli embrioni c’è già il DNA che sviluppa il corpo umano secondo
modalità che gli embrioni non conoscono né credono potersi avverare. Ma, di
fatto, ciò che essi non credono e non vedono ancora realizzatosi, si
concretizzerà pienamente.
Allo stesso modo, paragonando l’essere umano all’embrione, all’atto della
Creazione la Trinità ha messo nella Coscienza-Embrionale-Umana e delle
creature primordiali il DNA-Spirito Santo, il quale farà crescere tutti fino alla
maturità finale.
La sofferenza e la morte s’inseriscono in quest’Evoluzione come “elementi”
propri della natura umana imperfetta. Ma lo stato di imperfezione dell’essere
risiede nella propria creaturalità originaria e non c’è bisogno di scomodare
alcun presunto peccato originale o, peggio ancora, alcun ipotetico diavolo che l’
abbia causato, come già detto in precedenza.
Capire profondamente che l’uomo-donna-creature sono imperfetti, dal punto di
vista Ontologico, dà ancora più validità alla Creazione, perché capiamo
benissimo che la Trinità poteva creare solo esseri imperfetti, per il semplice
motivo che, se avesse creato esseri perfetti, avrebbe creato altri “Dii” e questo
non è possibile perché potremmo, a quel punto, credere che anche il Dio in cui
crediamo sarebbe potuto essere creato, a sua volta, da un altro Dio e via via
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fino all’Infinito; a quel punto quale sarebbe il vero Dio? Allora il punto fermo
della nostra Teologia è che la Trinità-Perfetta ha creato le creature-imperfette;
questa visione delle cose concilia benissimo con la necessità che le creature
debbano evolversi.
In questo Cammino-Evolutivo s’inseriscono la sofferenza e la morte come
elementi intrinseci all’Essere-In-Evoluzione. Tenendo conto di tutto questo
discorso riusciamo a capire come anche Gesù, con la sua Incarnazione, si è
assoggettato a questo stato di cose e non può fare nulla per eliminare la morte
e la sofferenza se non vivere e sperimentare, insieme con noi, il CamminoEvolutivo dell’Umanità e delle Creature dal Punto Alfa fino al Punto Omega. Ma
siccome è Lui il Punto Alfa e lo stesso Punto Omega, questo vuol dire che Gesù
accompagna ogni uomo-donna-creatura durante tutto il percorso di sofferenza
e di morte.
D’altra parte siccome Egli prende parte attiva in quest’Evoluzione, sa meglio di
noi cosa fare per fronteggiare il più possibile le situazioni di sofferenza insite
nel Cuore della Creazione stessa.
Già la Consapevolezza di questa Presenza che, attraverso il CamminoEvolutivo, sta già guarendo le creature dai mali presenti e dalla morte
(l’Evoluzione stessa è già un processo di guarigione che ci accompagna
dall’Imperfezione-iniziale alla Perfezione-finale), ci fa affrontare meglio le
sofferenze per superale.
Non prendo in considerazione le sofferenze causate dagli uomini, come la fame
di milioni di bambini. Né le calamità naturali. Cose tutte che spesso ci fanno
dire: “Dov'è Dio”? Io direi: “Dov'è l'uomo”? Già, perché queste sofferenze sono
causate dagli uomini e sono gli uomini che devono mettervi riparo, avendo in
essi l'amore di Dio, come già detto in precedenza. Dio non è il tappabuchi delle
malefatte umane.
Tornando al discorso della malattia e della sofferenza in genere, se all’interno
della Consapevolezza che Dio è in noi e vuole la felicità di ognuno, facciamo il
possibile per far agire in noi quelle forze di autoguarigione che ogni creatura
possiede in sé, allora ecco che ci rendiamo conto che, in effetti, Gesù ci ha
dato, ha messo in noi, più di quanto immaginavamo, per superare la sofferenza
e la morte.
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Secondo anche come ci dice Paolo apostolo nella lettera ai Corinzi, ci sarà un
tempo in cui non tutti moriranno, ma tutti saranno trasformati, in un batter
d’occhio, per prendere parte alla Comunione piena con la Trinità; vediamo:
<<Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo
trasformati, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la
tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati>>(Corinzi
capitolo 15,51-52).
Che cos’è questa, se non la Proclamazione della sconfitta della morte e della
sofferenza, alla fine dell’Evoluzione? Noi che ci troviamo ad un certo punto X
dell’Evoluzione, moriremo, come forse anche le future generazioni, prima di
vedere lo stesso Cervello Umano progredire fino al punto in cui potrà
funzionare al cento per cento e ne conosceremo tutti i meccanismi; ma pur
essendo morti, per il mondo, c’evolveremo di là della morte.
Quando, poi, ci sarà la fine dell’Evoluzione, che coinciderà con il momento in
cui proprio il Cervello Umano funzionerà in pienezza, l’Uomo-Donna-Creature di
quel Tempo di Pienezza non moriranno, perché saranno arrivati allo stato di
Pura Coscienza, avendo trovato, nelle potenzialità stesse del Cervello, la
maniera per diventare Immortali.
Dunque, chi parteciperà alla Pienezza divina? Tutti.
Quell’umanità che, in Terra, si troverà a vivere sperimentando la fine
dell’Evoluzione in questo mondo (forse tra qualche milione di anni) e noi che
avremo, nel frattempo, completato la nostra Evoluzione di là della morte, per il
semplice fatto che, essendo vissuti in un tempo anteriore, avremo dovuto
sperimentare la morte stessa.
Allora, come già detto, Tutti saremo Simili a Gesù Cristo, potendo partecipare
alla Pienezza della Vita Trinitaria. Gesù, verso la fine della sua vita terrena, fece
un’affermazione che anticipava e che riepiloga tutto ciò che abbiamo detto.
Nel Vangelo secondo Giovanni al capitolo16,21 ci dice: <<La donna, quando
partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il
bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un
uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma io vi vedrò di nuovo e il
vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel
giorno non mi domanderete più nulla>>.
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Gesù ci dice, in modo simbolico, che è necessaria questa lunga Evoluzione
dell’Umanità, che è paragonata alla donna che deve partorire. Alla fine di essa
ognuno di noi avrà la gioia piena, che nessuno potrà togliere, quando la
sofferenza e la morte saranno finalmente vinte, nel senso che l’Umanità avrà
compiuto il suo cammino di Spiritualizzazione, dalla Bio-sfera-Punto-Alfa alla
Noo-sfera-Punto-Omega. Teillhard de Chardin diceva: “Il mondo vive un Grande
Travaglio, nell’attesa
di un Grandioso Parto, quello di una Nuova Umanità, fatta ad Immagine e
Somiglianza del Cristo Omega”.
Questa visione della Rivelazione portataci da Gesù di Nazareth ci riconcilia tutti
con la nostra Fede e fa la differenza (abissale) tra la Grandiosa TeologiaPositiva-della-Rivelazione-Salvezza-Incarnazione
portataci
da
Gesù
e
la
semplicistica e deformata teologia-negativa-della-redenzione, inventata dai
capi religiosi che pur affermano, ancora oggi, di essere gli apostoli di Cristo.
E ne vediamo i disastrosi risultati. La teologia della redenzione ha dato e
continua a dare, in seno alla chiesa cattolica, frutti disgustosi. Un esempio su
tutti causato proprio dalla teologia della redenzione: La pedofilia clericale,
conseguenza della visione redentiva della rivelazione cristiana. L'innocente (il
bambino) che viene sacrificato per la redenzione dei peccatori. Questo è
l'aspetto religioso della pedofilia che diventa, così, un vero rituale liturgico che
ripresenta la stortura teologica del Padre che ha voluto la morte del Figlio
innocente in croce per la redenzione dell'umanità. Se a questa poi si unisce la
regressione psichica dei sacerdoti che, costretti ad andare in seminario a 13
anni, restano bloccati nella fase narcisistica dello sviluppo psico-sessuale,
allora il quadro si fa preoccupante e ci rivela come il sacerdozio stesso contiene
in sé il seme velenoso della violenza: La violenza verso l'innocente che
perpetua in sé la violenza del Padre nei confronti del Figlio per la redenzione del
mondo.
Alla luce di tutti gli argomenti che abbiamo affrontato possiamo concludere
questo piccolo trattato affermando che la Teologia Positiva genera la Fede,
mentre la teologia negativa genera la religione, una forma perversa di religione
come appena considerato.
Tenendo presenti gli argomenti trattati, abbiamo compreso meglio, in
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profondità, senza peraltro avere la presunzione di aver sviscerato tutto, le
Parole Rivelate dalla Trinità, secondo quanto ci annunciano i Vangeli,
ovviamente considerati nella loro stesura in lingua greca e non nelle traduzioni,
il più delle volte errate o manipolate, in lingua italiana.
Allo scopo di rendere all’Uomo-Donna-Creature la Felicità Piena già in questo
Mondo, nell’attesa della Parusia, quando, come dice Paolo, la Trinità sarà TuttoIn-Tutti, Dio ha detto tutto in Gesù e ancora ci parla attraverso l'Evoluzione
della Coscienza umana, dove Gesù stesso risiede, che presenta via via
situazioni sempre nuove da ascoltare e studiare con la massima attenzione,
visto che proprio attraverso l'Evoluzione Gesù Cristo parla ancora attraverso la
Coscienza umana.
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CONCLUSIONE
Si fa un gran parlare della dicotomia “creazionismo-evoluzionismo”, creando
una contrapposizione tra di essi. Infatti, chi accetta il creazionismo esclude
l’evoluzionismo e viceversa. Ho cercato di dimostrare che le due realtà possono
benissimo conciliarsi, considerando l’Incarnazione come l’Evento fondamentale
su cui poggiano sia la verità del creazionismo, sia quella dell’evoluzionismo.
L’Incarnazione è il punto d’incontro delle due realtà.
Contrariamente a quanto si pensa, anche la Bibbia, in forma non scientifica ma
sapienziale, ci parla dell’Uomo-Donna in evoluzione, dopo la Creazione.
Ovviamente la Creazione non è da intendere come la Scrittura ce la presenta
letteralmente. Bisogna tenere presente quanto già affermato in precedenza,
vale a dire che la Scrittura è rivelata all’Uomo di quel tempo storico (700 A.C.
circa) ed è quindi soggetta a reinterpretazione. L’autore biblico non aveva le
nostre conoscenze scientifiche e descrive la Creazione alla luce della mentalità
di quel tempo, quindi come un atto istantaneo, da parte del Creatore (la
Trinità), portato a termine nell’arco di sei giorni. Allo stesso modo, riguardo alla
Creazione dell’Uomo-Donna, l’autore sacro la descrive come creazione
istantanea in età adulta.
La Bibbia ci dice anche che fu plasmato dalla polvere del suolo e questo ha un
valore simbolico importantissimo e indica la stretta correlazione tra l’Essere
umano e la Madre Terra, elemento presente in tutte le religioni antiche, cito una
tra tutte: quella degli Indiani d’America.
Abbiamo affermato che la Bibbia è un libro sapienziale e ciò che conta, per la
mentalità degli autori sacri, è che tutta la Creazione viene fuori per volontà
della Trinità Divina. Le modalità ci vengono spiegate, volta per volta, dalla
ricerca scientifica. C’è da dire, però, che, se analizziamo lo sviluppo dei primi
due capitoli della Genesi, appare evidente che la simbiosi Scrittura-Scienza
viene messa in luce, misteriosamente, nella sequenzialità degli eventi creativi.
La Scienza, infatti, ci assicura che la successione delle realtà create
corrisponde esattamente a quella evidenziata nella Bibbia. Secondo i capitoli I
e II della Genesi, infatti, l’ Essere Umano è creato alla fine, dopo le altre realtà,
in una terra già popolata dalla flora e dalla fauna. Secondo la visione
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scientifica, fondata attualmente sull’Evento Big-bang, la Vita è nata in seguito a
quell’esplosione iniziale; in modo specifico, la Vita umana è comparsa alla fine
della creazione di tutte le altre forme di vita (minerale-vegetale-animale) e si è
evoluta a partire da organismi semplici monocellulari; potendo essere, alla fine,
il risultato di un’evoluzione da esseri inferiori della stessa specie (ominidi),
oppure direttamente da altre forme di vita animale, fino ad arrivare alla nostra
“forma” attuale. Questa visione scientifica dell’Evoluzione può ammettere, al
suo inizio, la presenza di un Creatore. Egli è Colui che ha dato la spinta iniziale
all’Evoluzione proprio attraverso il Big-bang.
Un Creatore che ha permesso, non solo lo scoppio iniziale ma ha impresso nel
Cuore di quella densissima particella, che misura circa un miliardesimo di volte
una capocchia di spillo, il Codice-genetico-divino, Il Logos che, poi, sarà il FiglioIncarnato-Gesù-Cristo.
Questi è Colui che abbiamo chiamato Punto-Alfa. Secondo questa visione,
allora, la Trinità-creatrice ha permesso e continua a permettere non solo
l’Evoluzione della “Forma” Uomo ma anche l’Evoluzione della sua Coscienza; il
tutto avendo presente il Modello-Incarnato che è il Gesù storico, non solo ma
anche la Coscienza del Gesù storico, vale a dire il suo essere “Cristo” (titolo che
indica la sua Coscienza Divina). Noi possiamo, allora, confermare, con l’autore
della Genesi, al capitolo 1,26-27, che Dio disse; <<Facciamo l’Uomo a nostra
immagine e a nostra somiglianza>>. La somiglianza è nei confronti del GesùUomo, mentre l’immagine è nei confronti del Cristo-Dio.
In altre parole, noi portiamo la somiglianza del Gesù-Uomo nel nostro Corpo e
l’immagine del Cristo-Dio nella nostra Coscienza. Quando parliamo del Corpo
intendiamo l’unità psico-fisica; quando parliamo della Coscienza intendiamo la
sfera spirituale.
Due realtà distinte, inconfuse ma indissolubilmente unite-legate al punto tale
che il Corpo è quell’elemento “visibile” che manifesta all’esterno l’altro
elemento “invisibile” che è la Coscienza. Entrambe formano un’unica Realtà:
L’Uomo-Donna. Tenendo presente il discorso fatto all’inizio di questo trattato,
possiamo affermare che l’Uomo-Donna, nella sua interezza di Corpo-Coscienza
è il Simbolo di Gesù-Cristo, con la sola differenza che la Coscienza di Gesù (il
suo essere Cristo) era preesistente al suo concepimento embrionale, mentre la
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Coscienza dell’Uomo-Donna comincia ad esistere proprio con il concepimento
embrionale.
Adesso comprendiamo, allora, perché Gesù, come ci descrivono i Vangeli, è
letteralmente consumato dallo zelo di far comprendere all’Uomo-Donna il
proprio inestimabile valore e si indigna quando vede la sua Creatura ridotta a
merce di consumo dai propri simili o, peggio ancora, come abbiamo visto nel
commento ai passi del Vangelo di Marco, quando all’Uomo-Donna viene negato
l’esercizio della propria Libertà e quindi quando viene negata alla Creatura la
possibilità di evolversi pienamente, a causa di una schiavitù verso regole
religiose che frenano l’Evoluzione della Creatura e della sua Coscienza.
Come già affermato in precedenza, questa Evoluzione ha un punto finale che
coincide con la maturazione perfetta dell’Essere umano e che è l’incontro in
pienezza con la Trinità-Creatrice; ciò che abbiamo chiamato Punto-Omega.
Non solo ma sarà il punto in cui il Corpo dell’Essere umano si troverà allo stadio
finale di spiritualizzazione così da essere un’unica realtà, questa volta
indistinta, con la propria Coscienza e la compenetrerà pienamente, poiché
anche quest’ultima sarà giunta al punto finale dell’Evoluzione. Sarà così che
l’Uomo-Donna si troverà ad essere nello stato di Pura-Coscienza, non soggetta
più ai limiti spazio-temporali e con i “sensi” amplificati all’infinito e in stretta
sintonia con i “sensi” di Dio stesso.
Puro-Pensiero, Puro-Spirito, Pura-Energia-intelligente, Pura-Libertà-IntellettoVolontà.
In queste condizioni e a questo punto l’Essere umano sarà giunto al Cuore della
Creazione, al Cuore stesso della Materia e avrà lo stesso sentire di Dio,
presente Egli stesso nel Cuore della Materia e non nella trascendenza di
ipotetici cieli sconfinati.
Saremo, in definitiva, tutti Dii nell'Unico Dio.
La totalità delle diversità individuali, nella Totalità dell'Uno.
Ognuno, nella propria specificità personale, sarà Parte-del-Tutto, presente nel
Tutto.
Come tante gocce nell'oceano.
In ogni Goccia è contenuta tutta la “qualità” dell'Oceano.
La Goccia nell'Oceano e l'Oceano nella Goccia.
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