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101 atleti italiani in partenza per Los Angeles

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101 atleti italiani in partenza per Los Angeles
IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ / LUGLIO 2015 / NUMERO 7
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano
FELICE TAGLIAFERRI
Non servono gli occhi
per fare lo scultore
FOTOGRAFIA
Tutti siamo utili:
una mostra per dirlo
SPECIAL OLYMPICS
101 atleti italiani
in partenza per Los Angeles
EDITORIALE
di Giovanni Paura
Direttore Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, Inail
Special Olympics, da 50 anni
un movimento che guarda al futuro
Q
uella degli Special Olympics è una storia speciale. Nati negli Stati Uniti d’America degli anni Sessanta grazie alla caparbietà di Eunice Kennedy, sorella del presidente JFK, rappresentano il primo
movimento dedicato allo sport per le persone con disabilità intellettiva. Un’idea decisamente all’avanguardia in un periodo storico in cui chi
aveva questo di tipo di deficit non era considerato in grado di praticare
attività sportive e gli istituti rappresentavano ancora la via maestra per
le famiglie e gli operatori sanitari.
A distanza di oltre 50 anni, quell’intuizione resiste ancora e nel momento in cui scriviamo gli atleti italiani si preparano a partire per Los
Angeles, dove dal 25 luglio disputeranno i Mondiali estivi. Dall’America
del boom economico il movimento è migrato in più di 170 Paesi, coinvolEssere parte di una squadra
gendo quattro milioni e mezzo di sportivi. Soltanto in Italia sono 14mila,
oltre 100 dei quali in partenza per la California. Nel frattempo il Comita- può far accadere l’incredibile:
to paralimpico – attraverso la Fisdir (Federazione italiana sport disabili- sono tanti quelli che, grazie
tà intellettiva relazionale) – dà sempre più spazio a questi atleti. In ambito
internazionale, a Londra 2012 erano riservate loro sette gare in varie di- alla partecipazione agli eventi
scipline (fra atletica, nuoto, tennistavolo) e a Rio 2016 tale presenza sarà sportivi, trovano la capacità
ulteriormente rafforzata.
di affrontare le sfide
della contemporaneità
A Los Angeles gli atleti andranno con l’obiettivo di partecipare e non di vincere, perché negli Special Olympics quello che conta non è tanto la prestazione o il risultato, ma piuttosto esserci, crederci, dare il meglio di sé. Un’idea del mondo che
lo sport permette di accrescere e coltivare. Essere parte di una squadra può far accadere l’incredibile e sono tanti quelli che, grazie alla partecipazione ad alcuni degli innumerevoli eventi
sportivi organizzati ogni anno, trovano la forza di affrontare con grinta e serenità le sfide della contemporaneità.
Queste sfide, sia chiaro, riguardano le persone con disabilità come i cosiddetti normodotati, chiamati a combattere contro i propri pregiudizi. Perché non è possibile migliorare la qualità della
vita di coloro che convivono con uno o più deficit, se non cambia la mentalità della società nel
suo complesso. Un concetto molto chiaro agli organizzatori di Special Olympics che oggi, come 50 anni fa, si fanno carico di creare integrazione combattendo gli stereotipi. E così, come
un tempo gli sportivi con difficoltà intellettive hanno dimostrato di poter correre la maratona
a chi non li credeva in grado di affrontare i 100 metri, oggi gli atleti con e senza disabilità fanno parte delle stesse squadre impegnate nelle discipline “unificate”. È l’ultima frontiera degli
Special Olympics: abbattere gli steccati per creare un nuovo modo di stare insieme e, soprattutto, abituare i giovani a convivere con le differenze.
A Los Angeles gli italiani senza disabilità saranno 17. Giovani ambasciatori di un futuro migliore per tutti.
SuperAbile INAIL
3 Luglio 2015
NUMERO sette Luglio 2015
EDITORIALE
3 Special Olympics, da 50 anni un
sotto la lente
20 Francesco e la sua battaglia
movimento che guarda al futuro
di Giovanni Paura
ACCADE CHE...
per entrare al Conservatorio
di Ambra Notari
PORTFOLIO
5 Superare gli istituti per disabili: 22 Usateci pure
lo chiedono 13 europarlamentari di E.C.
e la Fish
SPoRT
6 Arriva “To-Handbike”, il primo 26
Cinque uomini e una passione
sharing rivolto ai disabili
chiamata quad
L’INCHIESTA
di Michela Trigari
8 Special Olympics. La carica
tempo libero
dei 101
28
In viaggio verso Santiago.
di Stefano Caredda
Se la meta è per tutti
INSUPERABILI
di Dario Paladini
18 L’arte nelle mani
Intervista a Felice Tagliaferri
di Antonio Storto
SuperAbile Inail
Anno IV - numero sette, luglio 2015
Direttore: Giovanni Paura
In redazione: Antonella Patete, Laura
Badaracchi e Diego Marsicano
Direttore responsabile: Stefano Trasatti
Hanno collaborato: Eleonora Camilli,
Stefano Caredda, Dino Collazzo, Hélène
D’Angelo, Ambra Notari, Dario Paladini,
Antonio Storto, Michela Trigari di Redattore
Sociale; Gianluca Nicoletti; Erica Battaglia,
Giorgia Di Cristofaro, Rosanna Giovèdi,
Daniela Orlandi del Consorzio sociale Coin;
Ilaria Cannella, Cristina Cianotti, Giuseppina
Carrillo, Francesca Iardino, Monica Marini,
Mariella Pedroli dell’Inail
CULTURA
30 Quella ostinata voglia di vivere
raccontata alle telecamere
di Laura Badaracchi
31 Terza o quarta età, con il sorriso
sulle labbra
di L.B.
34 Jazz senza barriere. Né parole
di L.B.
35 Canto per la Polonia in sedia
a ruote
di Eleonora Camilli
RUBRICHE
36 Inail... per saperne di più
“Inform@bili”, per superare
il divario digitale
37 Previdenza
Permessi 104. Quando l’uso
è improprio
38 Senza barriere
Per un edificio accessibile
e inclusivo: ecco il decalogo
39 L’esperto risponde
Scuola, Turismo
Editore: Istituto Nazionale
Arnia srl
di M.T.
Rally
Gilles, il primo pilota
tetraplegico a correre la ParigiCapo Nord
di M.T.
41 Cronache marziane
Arriva l’estate, ritorna l’incubo
(del genitore)
di Gianluca Nicoletti
Sogni
Ecco Madeline, l’aspirante
modella Down
di M.T.
42 Sfide d’Oltralpe
Cinema accessibili, in Francia
il sogno di un attore autistico
diventa spot
di Hélène D’Angelo
Stampa: Tipografia Inail
Un ringraziamento, per averci
gentilmente concesso l’uso delle foto, a
Special Olympics (pagg. 4, 8-17), Filippo
Mingardi-Quad Mania on Tv (pagg. 4,
26), Chiesa dell’arte (pag. 18), Francesco
Nurra (pagg. 20-21), Stefano Pinci (pagg.
22-25), Luciano Callegari (pagg. 28-29),
Enrico Pozzato (pag. 34), Arnia srl (pag.
40).
Autorizzazione del Tribunale di Roma
In copertina: foto di Special Olympics
durante una gara a Venezia
per l’Assicurazione contro gli Infortuni
sul Lavoro
Redazione: Superabile Magazine
c/o agenzia di stampa Redattore Sociale
Piazza Cavour 17 - 00193 Roma
E-mail: [email protected]
Via Boncompagni 41 - 20139 Milano
numero 45 del 13/2/2012
Progetto grafico: Giulio Sansonetti
SuperAbile INAIL
miscellanea
40 Che impresa
4 Luglio 2015
ACCADE CHE...
Europa
Superare gli istituti per disabili:
lo chiedono 13 europarlamentari e la Fish
U
n secco “no” all’istituzionalizzazione delle persone con
disabilità, realizzando soluzioni
alternative più vicine a un contesto familiare o comunitario.
L’appello arriva da 13 europarlamentari, che hanno chiesto di
sottoscrivere la dichiarazione
da loro presentata. Ma tra i
promotori non figura nessun
connazionale: lo ha fatto notare
la Fish (Federazione italiana per
il superamento dell’handicap),
che spera nell’adesione da parte
della maggioranza dell’Europarlamento.
«In tutta l’Unione europea – dichiara la Fish – ci sono centinaia
di migliaia di minori, disabili, persone affette da problemi di salute
mentale, anziani e senza fissa
dimora che vivono all’interno di
istituti e subiscono a vita le conseguenze dell’istituzionalizzazione».
Gli Stati membri «dovrebbero
abbandonare questo tipo di assistenza a favore di un sistema di
sostegno basato sulla famiglia e
la comunità. Si tratta di una transizione complessa che comporta
lo sviluppo di servizi di prossimità
qualitativamente elevati, la chiusura pianificata delle strutture
residenziali a lunga permanenza
e il trasferimento di risorse», nota
ancora la Fish. Per attuare questo
programma andrebbero utilizzati
i fondi europei «conformemente
allo sviluppo di servizi alternativi
al ricovero in un istituto»: cosa,
peraltro, prevista dai nuovi regolamenti sugli investimenti adottati
PROGETTI
Settecento chilometri in bici
per costruire un parco giochi accessibile
B
ologna-Napoli in
bicicletta per una
raccolta fondi itinerante.
Lo scopo? Realizzare
un parco giochi
inclusivo sotto le Due
Torri. Così Annamaria
Cecaro, madre di due
bambini autistici, e
Pierre Cesaratto, un
amante delle due ruote
molto seguito sul web,
hanno percorso circa
700 chilometri lungo
la costa adriatica e
raccontato la loro
SuperAbile INAIL
nel 2014 dalla Commissione.
Il contrasto alla segregazione
e all’isolamento è anche uno
degli obiettivi principali della
Convenzione Onu sui diritti
delle persone con disabilità, ha
ricordato il presidente della Fish
Vincenzo Falabella: «Su questo
principio richiamiamo l’impegno
politico dell’Europa e del nostro
Parlamento e quello culturale
delle associazioni e della società
civile». [M.T.]
A Cuneo Inail e Cip
aprono uno sportello
dedicato allo sport per
tutti. Il servizio vuole
sostenere e incoraggiare
l’avviamento alla pratica
sportiva da parte di
persone disabili. «Non
vantiamo atleti di fama
avventura sulla pagina
– specificano i promotori
dell’iniziativa –, ma
Facebook “Bologna/
abbiamo un gruppo di
Napoli in bici... 700 km di
sorrisi”. L’idea è nata dopo assistiti che svolgono
aver letto un articolo sulla a livello competitivo
e amatoriale regolare
storia di Claudia Protti e
attività sportiva,
Raffaella Bedetti, due
ciascuno nelle discipline
mamme di
per cui si sente più
portato: tennis da
Santarcangelo di Romagna tavolo, tennis in
carrozzina, handbike
che, grazie a una pagina
e sci». Lo sportello è
Facebook e al blog Parchi
aperto presso la Sede
per tutti, sono riuscite a
Inail il primo e il quarto
ottenere un parco giochi
martedì di ogni mese, in
attrezzato per i loro figli
disabili. Da qui il desiderio via Einaudi 30, dalle ore
8.30 alle 10.30.
della signora Cecaro di
fare qualcosa anche nella
propria città.
[Dino Collazzo]
5 Luglio 2015
ACCADE CHE...
Bologna
Un servizio per tradurre in Braille gli spartiti musicali
M
usica in braille. L’Unione nazionale italiana
volontari pro ciechi di Bologna ha deciso di
attivare il servizio “Ottavio Orioli” per aiutare i
giovani non vedenti che studiano brani e spartiti
a reperirli in Braille. E nel caso se ne accerti la
mancanza, si può richiederne la trascrizione. A
questo penseranno dieci persone in tutta Italia che,
attraverso un software apposito, tradurranno in
Braille. Il gruppo è composto da esperti di musica
È nata l’Associazione
italiana linfoistiocitosi
emofagocitica. Parte
dal ricordo di Mario
Ricciardi, di Napoli,
la campagna per
puntare i riflettori su
questa malattia rara.
La sindrome coinvolge
le cellule del sistema
immunitario, insorge
solitamente nei primi
mesi di vita in seguito
a un’infezione virale
e colpisce circa un
bambino su 50mila.
Amici e familiari di
Mario hanno fondato
l’Aile (Associazione
italiana linfoistiocitosi
emofagocitica), la
prima nel nostro Paese
a interessarsi a questa
malattia. L’obiettivo?
Creare una rete tra
genitori e favorire lo
scambio di informazioni,
oltre che l’attività di
medici e ricercatori.
e informatica volontari. «L’idea è rivolta ai ragazzi
e non vuole sostituirsi ai centri di trascrizione
presenti», spiega Paolo Razzuoli, ex docente di
musica di Lucca, ideatore del servizio insieme a
Mauro Marchesi, presidente dell’Univoc locale.
«Spesso esistono situazioni discutibili sul versante
pedagogico, tecnico e didattico. Per questo –
aggiunge Razzuoli – si è sentito il bisogno di dare
supporto e consulenza». Info: Univocbologna.it.
TORINO
Arriva “To-Handbike”, il primo
sharing rivolto ai disabili.
In Europa solo a Varsavia
S
i chiama “ToHandbike” il primo
servizio italiano di bici
a noleggio dedicato
alle persone con
disabilità. Voluto da
Angelo Catanzaro,
vulcanico presidente
dell’Associazione
italiana paralisi
spastica (Aips onlus), il
progetto è partito in via
sperimentale a Torino
ed è promosso insieme
a Bicincittà, che nel
capoluogo piemontese
gestisce già il bike
sharing “tradizionale”.
Chiunque può fare un
giro di prova su uno dei
prototipi di handbike
disponibili nell’officina
di Lungo Po Antonelli:
basta prenotare sul
sito Internet di Tobike.
it e compilare un
questionario, le cui
risposte costituiranno
la base di partenza
per implementare il
servizio vero e proprio
(che dovrebbe essere
pienamente operativo
nella primavera del
2016). A livello europeo,
l’unica altra città a
sperimentare il bike
sharing per le persone
con disabilità è stata
Varsavia.
SuperAbile INAIL
food
“Valgo anch’io”: a Roma il marchio
dei ristoranti inclusivi
I
l bollino con l’indicazione “Valgo anch’io” è il
nuovo marchio della ristorazione che include.
Chi? I lavoratori con disabilità. Promosso dalla
Comunità di Sant’Egidio di Roma a conclusione
di un corso di formazione professionale per aiuto
cuoco e personale di sala, sarà come quello del
Gambero Rosso: stampato su un adesivo e attaccato
all’entrata dei ristoranti.
Ora non resta che trovare le strutture disposte ad
assumere questi lavoratori così come era accaduto
nel 2012, quando una trentina delle 50 persone
disabili diplomate aveva trovato un’occupazione
presso mense scolastiche e universitarie, ma anche
grandi ristoranti romani come Il Convivio, Baccano,
La Zanzara, Romeo, Glass, Roscioli, Eataly, Baba,
All’Oro, Hotel Majestic.
6 Luglio 2015
NARRAZIONI
Istruzione
“Apocalypse Down”: in viaggio per Lazio: alunni disabili maggiorenni
l’Italia alla ricerca dell’autonomia a scuola anche per il 2015/2016
L’
D
a Cantù alla Casa del
sole di Pordenone a
bordo di un furgoncino
bianco, passando per
altre cinque città e
altrettante esperienze
di vita più o meno
indipendente. È il
viaggio realizzato
da quattro ragazzi
con Trisomia 21,
accompagnati da
due educatrici e da
uno psicologo, allo
scopo di raccontare
in un documentario
quelle realtà italiane
in cui la disabilità
diventa autonomia.
Il progetto, che si
chiama “Apocalypse
Down”, è stato voluto
dall’associazione
DownVerso di Cantù
grazie al contributo
della Fondazione
Comasca.
Composta da Stefano,
Samuele, Tommaso
e Andrea, la “troupe”
ha incontrato così la
cooperativa sociale Il
Germoglio di Milano,
CasaOz e il Caffè
Basaglia di Torino, il
Parco del Mulino di
Livorno, la Lanterna di
Diogene di Modena e
la Fondazione più di un
sogno di Verona.
Ufficio scolastico regionale del Lazio, a
seguito delle pressioni esercitate da diverse
organizzazioni impegnate nella difesa delle
persone con disabilità, ha posticipato all’anno
2016/2017 il provvedimento di non accoglimento
di iscrizione alle scuole secondarie di secondo
grado degli alunni disabili che hanno compiuto il
diciottesimo anno di età.
Limitatamente al prossimo anno scolastico,
pertanto, gli studenti disabili maggiorenni già
iscritti alle superiori potranno continuare a
frequentare gli istituti di appartenenza. Dall’anno
scolastico 2016/2017, invece, gli alunni dovranno
iscriversi ai corsi di primo livello gestiti dai Centri
provinciali per l’istruzione degli adulti e a quelli
di secondo livello (ex serali) gestiti dalle scuole. Il
richiamo a una normativa che esiste già da tempo,
è dato dal fatto che l’età degli studenti disabili
iscritti alle superiori di Roma risulta in molti casi di
23 anni o più.
Francia: parcheggio
gratuito per i
disabili. Le persone
munite dell’apposito
contrassegno
europeo (o i loro
accompagnatori)
possono ora sostare
gratuitamente in tutte
le aree pubbliche
adibite. Le autorità
hanno la possibilità di
stabilire una durata
massima, non inferiore
però a dodici ore. Per i
parcheggi con entrata
a pagamento, invece,
occorre versare una
piccola cifra.
In Finlandia la prima
biblioteca online in
Lis. Il suo nome è “The
sign language library”
e mette a disposizione
delle persone sorde
oltre 250 video di testi
di cultura generale, con
nuove clip in lingua
dei segni inserite
settimanalmente.
L’iniziativa è valsa
uno dei Jodi Awards
2015, premi che
riconoscono l’eccellenza
dell’accessibilità digitale
di musei, gallerie, siti
storici e archivi.
SFIDE
Il progetto “10 montagne in 10 anni” conquista l’Etna
N
uova scalata per
Enzo Simone
(nella foto), alpinista
impegnato nella
lotta al Parkinson e
all’Alzheimer. Dopo il
Kilimanjaro, raccontato
nel documentario 10
mountains 10 years
e ispirato al suo
progetto di scalare
dieci montagne in
dieci anni, l’11 luglio è
salito sull’Etna grazie
alla collaborazione
dell’associazione
Familiari Alzheimer
onlus di Caltanissetta
SuperAbile INAIL
7 Luglio 2015
e di Unidos contra el
Parkinson di Barcellona
(Spagna).
Enzo ha guidato la
spedizione siciliana
insieme a suo figlio.
L’escursione è partita
dal rifugio Sapienza ed
è arrivata a Torre del
Filosofo, con un primo
traguardo al Belvedere.
«Il fattore principale
per il successo? La
determinazione
mentale e riconoscere
che ciascuno deve fare
il meglio che può», ha
commentato Enzo.
l’inchiesta Atleti speciali
Special Olympics.
La carica dei 101
Sono gli atleti italiani in partenza per Los Angeles, dove si disputano i Mondiali estivi
del movimento sportivo nato nell’America degli anni Sessanta e oggi diffuso in più
di 180 Paesi. Un’onda che da noi conta più di 270 team sparsi su tutto il territorio
nazionale, con 14mila partecipanti e 10mila volontari. Protagonisti giovani con
disabilità intellettiva, impegnati in 24 discipline. Dove vincono tutti, senza eccezioni
SuperAbile INAIL
8 Luglio 2015
Stefano Caredda
A
ndrea ha 23 anni e una passione per l’acqua: gli piace un sacco
nuotare, e non si accontenta della piscina, che peraltro ha anche imparato a raggiungere da solo in treno e in
bicicletta. Da poco ha iniziato a giocare a pallanuoto ma, soprattutto, ha talmente tante energie da spendere che è
pronto per il nuoto in acque libere, per
affrontare il mare. Lucia di anni ne ha
63 e da tre ha sviluppato un amore per
le bocce: uno sport grazie al quale è migliorata come persona, facendo grandi
passi avanti dal punto di vista tecnico
ed emotivo. Carlotta, invece, è molto
più giovane, ha 20 anni e di se stessa
dice di essere dolce e testarda: le piacciono lo sport e il teatro, da poco ha iniziato a lavorare come assistente in una
scuola per l’infanzia di Cagliari. E ha
un grande amore per la ginnastica.
Andrea, Lucia e Carlotta sono solo
tre dei 101 atleti italiani che dal 25 luglio al 2 agosto saranno a Los Angeles
per gli Special Olympics World Summer
Games 2015, i giochi mondiali che celebrano le capacità e il talento delle persone con disabilità intellettiva. Un evento
planetario, che richiama in California
7mila atleti da 177 nazioni diverse, insieme a 3mila tecnici, 30mila volontari, migliaia e migliaia di spettatori: solo
la punta dell’iceberg di un movimento
formato in tutto il mondo da circa 4 milioni e mezzo di atleti, che hanno partecipato nel corso del 2014 a oltre 81mila
eventi e competizioni, anche con l’ausilio di un milione e 350mila volontari.
Insomma, si tratta del volto migliore
dello sport, quello che esalta non tanto le prestazioni agonistiche, ma l’impegno, la determinazione, la costanza,
la forza di volontà. Perché qui la com-
SuperAbile INAIL
9 Luglio 2015
petizione è anzitutto una sfida con se
stessi, è una lotta per migliorarsi, per
raggiungere tutta l’autonomia possibile, superando quegli ostacoli e quei
limiti che le persone con disabilità intellettiva conoscono molto bene ma
che, almeno in parte, possono essere
affrontati e vinti. Il tutto, grazie anche
e specialmente allo stare insieme, alla
straordinaria carica umana della relazione, alla forza che il rispetto e l’amicizia sono capaci di sprigionare.
Questo è il regno del semplice e
dell’incredibile, è quel posto dove le
priorità diventano altre e le conquiste
a lungo sognate diventano reali, è uno
scorrere continuo di emozioni e di sorrisi: è, in definitiva, un posto vero, uno
di quei pochi dove senti potente la forza
della realtà, dove intravedi netta, evidente, palese, quella cosa che chiamano bellezza, felicità, letizia.
l’inchiesta Atleti speciali
Controlli medici e screening sanitari gratuiti: ai Giochi ci sarà anche questo
U
n carico di salute. C’è anche
questo nel pacchetto viaggio
a Los Angeles per i 7mila atleti
protagonisti dei World Summer
Games 2015 di Special Olympics.
Medici specialisti, tutti volontari,
durante la settimana dell’evento
mettono infatti a disposizione
degli atleti una serie di screening
gratuiti di alta qualità. L’iniziativa
– chiamata “Healthy Athletes
Program” – è da non sottovalutare perché non tutti, nei
rispettivi Paesi di provenienza,
hanno avuto la possibilità di
effettuare specifici controlli, o
perché impossibilitati a farlo
per ragioni economiche o perché (caso piuttosto frequente)
nessuno aveva mai fatto notare
a loro e alle rispettive famiglie
l’opportunità di svolgerli. In
passato grazie a questi screening
sono stati individuati in alcuni
atleti seri problemi di salute non
curati e non presi in carico, ma
anche quando va tutto bene
passa comunque un messaggio
di attenzione alla propria salute,
con l’invito a uno stile sano di
vita. Il programma salute non
è un’esclusiva dei Giochi mondiali, ma viene portato avanti di
routine: sono 76mila in tutto il
mondo i professionisti sanitari e
gli studenti di medicina che mettono a disposizione le proprie
competenze, con centinaia di
migliaia di persone con disabilità
intellettiva visitate. Dati preziosi
non solo per i diretti interessati,
ma anche per la comunità scientifica internazionale. Come quelli
raccolti con lo screening visivo
optometrico che prevede 18 test
visivi personalizzati e di alta qualità (acutezza visiva, stereopsi,
percezione dei colori, retinoscopia, oftalmoscopia, refrazione,
ecc.): test non invasivi, quindi
SuperAbile INAIL
particolarmente adatti a persone con disabilità intellettiva.
Ebbene, ogni anno i dati raccolti
con questo programma, chiamato “Opening Eyes”, vengono
elaborati insieme all’American
optometric Association e, una
volta pubblicati sulla sua rivista
scientifica, vengono considerati
come il più importante studio
sulle condizioni visive delle persone con disabilità intellettiva.
Fra gli altri programmi,
“Special Smiles” offre screening
completi dell’apparato orale,
accompagnati da momenti di
educazione alla salute e alla
prevenzione, e a ogni partecipante viene donato un kit per
l’igiene orale. I test audiologici
(“Healthy Hearing”) prevedono
due screening di base (la pulizia
del canale uditivo e il test delle
emissioni otoacustiche) e due
più specifici (timpanometro e
10 Luglio 2015
test audiometrico): la caccia in
questo caso è a quei sintomi di
disturbi uditivi che normalmente
sono particolarmente complessi
da fare emergere in una persona
con disabilità intellettiva.
Il programma salute prevede anche la misurazione di
massa corporea, peso e altezza,
con preziosi consigli sull’alimentazione per migliorare le
prestazioni sportive, esami per
valutare la postura e il bilanciamento degli atleti. Vengono
insegnati esercizi di riscaldamento e di potenziamento della
forza e della resistenza muscolare, con attenzione particolare
ai piedi, per valutare l’appoggio
e rilevare le zone di carico troppo
elevate (se necessario, vengono
prescritti plantari correttivi ed
effettuati interventi sanitari
urgenti per consentire la ripresa
dell’attività sportiva). [S.C.]
Special Olympics è un concentrato di
tutto questo, un’invenzione che nel suo
mezzo secolo di vita ha saputo stupire ed emozionare. Nato negli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso
(è una delle tante eredità della famiglia
Kennedy), è riuscito a dare concretezza a un’idea che oggi definiremmo perfino banale se non fosse stata in realtà,
per l’epoca, totalmente rivoluzionaria:
mettere insieme tanti ragazzi con disabilità intellettive e farli giocare. Niente
di più, niente di meno. Farli giocare e,
proprio attraverso lo sport, fare in modo che essi trovassero nella società piena integrazione, inclusione e rispetto.
Un cambiamento epocale che la fondatrice Eunice Kennedy raccontava così,
nel 1999, rivolgendosi direttamente agli
atleti in procinto di disputare quell’edizione dei Summer Games: «Trent’anni
fa dicevano che non eravate in grado di
correre i 100 metri. Oggi voi correte la
maratona. Trent’anni fa dicevano che
dovevate rimanere chiusi negli istituti. Oggi siete di fronte alle televisioni di
tutto il mondo. Trent’anni fa dicevano
che non potevate dare un valido contributo all’umanità. Oggi voi riunite, sullo
stesso terreno dello sport, tante nazioni
che sono in guerra».
Tutta questa bellezza la vedi negli occhi degli atleti che hanno trovato nello
sport un amico prezioso, ma la vedi anche negli sguardi dei loro tecnici e allenatori, dei volontari, degli arbitri, degli
altri giocatori senza disabilità, e la vedi
soprattutto – accidenti se la vedi – nei
volti delle mamme e dei papà, dei fratelli e delle sorelle. Gente che ha pian-
A destra, un atleta a Venezia.
A pag. 9, foto di OG/Gfos, alle pagg. 12-13 foto di
Marina Busoni/Gfos e a pag. 16 foto di Roberta
Tonelli/Gfos. Per gli altri scatti © Special Olympics
SuperAbile INAIL
11 Luglio 2015
l’inchiesta Atleti speciali
to, e a lungo, di fronte alle difficoltà;
gente lasciata spesso sola, gente ferita
dall’indifferenza altrui, gente alla quale più volte si è stretto il cuore nel vedere quell’amatissimo figlio, rifiutato dai
compagni di classe, sbeffeggiato, ridicolizzato, perfino insultato.
Padri e madri sul cui volto trovi ora
lacrime che scendono gioiose mentre il
loro ragazzo alza le braccia al cielo per
festeggiare una medaglia appena messa
al collo, medaglia che riporta alla mente in un colpo solo tutti i progressi conseguiti nel tempo. Come è successo ad
Alessandro, papà di Marta, che due anni fa l’ha accompagnata in Corea del
Sud per partecipare ai Giochi invernali: «Vedere la propria figlia sul gradino
del podio con la medaglia d’argento intorno al collo è stata un’emozione fortissima, indescrivibile. Ringrazio la mia
macchina fotografica che ha nascosto le
«Più di 7mila atleti si raduneranno a
Los Angeles per i Giochi mondiali per
dimostrare le loro abilità sportive. Non
potremmo essere più orgogliosi di loro.
Gli atleti che parteciperanno a questi
Giochi ben rappresentano il coraggio e la
determinazione che è alla base dello spirito
americano. Continuano ad allenarsi quando
le sfide sembrano insormontabili. Vedono
delle opportunità dove alcuni vedono
delle limitazioni. Loro rappresentano il
meglio dell’essere umano» (Barack Obama,
presidente degli Stati Uniti).
SuperAbile INAIL
12 Luglio 2015
L’avventura degli atleti partner:
«Mi facevano paura, ora siamo una squadra»
«I
lacrime che venivano giù lungo il viso.
In quel momento penso di essere stato
il papà più orgoglioso e felice al mondo
e voltandomi ho visto anche una mamma e una sorella che come me pensavano la stessa cosa: orgogliosi di Marta,
orgogliosi di quel suo piccolo, grande
successo». Un successo che non è tanto
e solamente quello sportivo, ma quello
della conquista progressiva di una sua
autonomia, la capacità di fare da sola: «Marta – racconta la sua allenatrice, Antonella – in quell’esperienza non
ha solo fatto una bella prestazione, ma
ha vinto la grande sfida del “me la cavo
da sola”: la mattina si alzava prestissimo, intorno alle sei, e senza battere ciglio andava al bagno e si preparava. Si
lavava, si vestiva con la tuta e tutto il
necessario, controllava che avesse preso tutto l’occorrente e via a far colazione
per poi andare ad allenarsi aspettando
senza problemi il suo turno di prove e
poi la gara».
l mondo della disabilità era per me
una realtà nuova, non nascondo mi
facesse “paura”, ero convinto di non essere capace di rapportarmi e interagire
con loro in modo adeguato. Invece ho
conosciuto un mondo speciale, fatto di
sincerità, abbracci, gioie; un mondo che
mi ha riempito la vita e che ho imparato
a vedere in modo totalmente diverso
rispetto al passato». Marco Dessì è uno
dei 17 atleti partner che partecipano ai
Giochi mondiali di Los Angeles, uno dei
17 atleti Special Olympics non disabili
ma che fanno parte delle squadre impegnate nelle discipline “unificate”, quelle
in cui giocano insieme atleti con e senza
disabilità: il calcio a sette, il nuoto in
acque libere, la pallacanestro, la pallavolo e le bocce.
Marco ha 30 anni e fa parte del team
di calcio: è uno bravo, uno che con il pallone ci sa fare, che in passato ha giocato
a buoni livelli anche nelle giovanili del
Cagliari e che da sette anni si allena e
gioca con i ragazzi disabili della società
sportiva Millesport, uno dei tanti team
Special Olympics presenti in Sardegna e
in tutta Italia. «Durante la mia modesta
carriera calcistica ho avuto la fortuna di
conoscere tantissimi giocatori e compagni di squadra, più o meno forti, ma
credo che in assoluto loro siano quelli
che maggiormente mi hanno fatto
comprendere il vero senso del “fare
squadra”: un gruppo realmente simile
a una grande famiglia dove insieme si
lavora verso un comune obiettivo».
Anche Emanuele Verdelli va a Los
Angeles con una squadra unificata,
quella di pallavolo: lui ha 24 anni e
vive ad Arezzo. Il suo “aggancio” con la
disabilità è stato il servizio civile, che
ha svolto in un istituto di riabilitazione
sede anche del team Special Olympics,
il luogo dove i giovani si allenano ogni
settimana. «La mia percezione della
disabilità intellettiva era piuttosto
confusa, i miei dubbi riguardavano
SuperAbile INAIL
13 Luglio 2015
principalmente le modalità con le quali
interfacciarsi e quindi, in generale, il
rapporto che era possibile creare con
loro. Immaginavo il mio “ruolo” come
una sorta di tutor che doveva fornire
appoggio nei diversi aspetti che riguardano l’attività sportiva. Sin da subito
però ho fatto ordine tra i miei pensieri,
spazzando via paure e titubanze iniziali,
e anche grazie alla semplicità con la
quale loro si ponevano nei miei confronti, in brevissimo tempo mi sono
sentito perfettamente a mio agio».
Emanuele non ha nessuna formazione in ambito socio-educativo
(frequenta la laurea specialistica in
Ingegneria meccanica) e questa è la
dimostrazione che basta essere se
stessi: «Come partner mi sono ritrovato
a essere più atleta di quanto mi potessi
aspettare: non pensavo di trovare, in
senso positivo, così tanto agonismo. C’è
una grande partecipazione da parte
di tutti. Nel momento in cui si entra in
campo ognuno è concentrato su ciò
che deve fare, per questo non mi sento
una figura di appoggio ma molto più
semplicemente parte di una squadra
dove tutti siamo posti allo stesso livello
e focalizzati verso un obiettivo comune. Gli eventi Special Olympics che
ho vissuto finora a livello regionale e
nazionale sono state esperienze emozionanti e coinvolgenti che mi hanno
fatto crescere, sotto tutti i punti di vista,
come uomo prima che come sportivo:
la grande ricchezza di questi eventi e
ciò che li rende unici sta nelle persone,
dagli atleti agli allenatori, passando per
medici, familiari e volontari. E, come a
ogni competizione, ce la metteremo
tutta per vincere la medaglia d’oro ai
Giochi mondiali: qualunque risultato
riusciremo a ottenere, però, una cosa è
certa. A trionfare sarà ancora una volta
l’integrazione». [S.C.]
l’inchiesta Atleti speciali
Chi conosce i ragazzi con disabilità intellettiva sa quanto sia importante
tutto questo, quanto il raggiungimento di un grado di autonomia personale sia fondamentale per migliorare la
vita di ogni giorno. Special Olympics
non è solo sport, ma incarna un’esperienza di vita: permette agli atleti di conoscere ragazzi con altre disabilità, fa
capire loro i talenti e i limiti (propri e
altrui), consente di rapportarsi con persone senza disabilità e di sentirsi accettati, di essere parte integrante di un
gruppo. Allenarsi significa sentirsi impegnati, avere un obiettivo e lavorare
sodo per raggiungerlo, veder crescere
la propria autostima, migliorare le proprie relazioni interpersonali. E quando
ci scappa la partecipazione a un evento – come possono essere anche le gare a livello provinciale o regionale, non
necessariamente quelle a livello nazionale o mondiale – c’è anche la novità di
L’intuizione di Eunice
Kennedy nell’America
degli anni Sessanta
U
“
na donna che ha cambiato il mondo”.
È così che il movimento Special
Olympics ricorda oggi la persona dalla
quale tutto partì, quella che ebbe l’intuizione, straordinaria per l’epoca, di puntare
sul gioco per rendere evidenti le capacità
delle persone con disabilità. Una storia,
si racconta, partita dalla lamentela di una
mamma che non trovava un campo estivo
per il suo bambino con disabilità intellettiva, e che poi negli anni si è sviluppata
fino a diventare un movimento diffuso in
quasi ogni parte del pianeta.
Siamo negli Stati Uniti d’America degli
anni Sessanta, sono i tempi di John
Kennedy presidente e di Robert Kennedy
senatore, di lì a poco destinati a morte
violenta. Una delle loro cinque sorelle,
Eunice, dal 1950 si occupa di disabilità intellettiva: come vice presidente esecutivo
SuperAbile INAIL
14 Luglio 2015
un viaggio, del dormire fuori casa (magari per la prima volta), del prendere un
aereo o un treno, del fare una valigia,
dell’amministrare i cambi da indossare
giorno dopo giorno, del doversi insomma gestire da soli in tantissimi aspetti
che all’apparenza sembrano poca cosa
ma che invece costruiscono una persona autonoma. Questa è la gratificazione
più grande, questo è il risultato che Special Olympics – con i suoi team, i suoi
tecnici, i suoi allenatori – persegue.
A rendere possibile tutto questo non
sono dei marziani, ma gente semplice che si accorda per creare un team
Special Olympics: ci vogliono un coordinatore, un tecnico sportivo che conosca le singole discipline e i modi in
cui vengono adattati ai singoli atleti,
uno psicologo o psichiatra che modelli il programma generale sulle singole
persone per sviluppare le loro capacità,
e poi dei referenti per i volontari (op-
portunamente formati), per le famiglie
(preferibilmente un genitore) e per gli
atleti stessi (uno di loro che li rappresenti). Messe insieme queste figure, il
gioco è fatto.
Ci si affilia o ci si tessera a uno degli enti di promozione sportiva convenzionati e l’adesione è cosa fatta: non
resta che entrare in azione. Per il modo in cui è pensato, l’idea di realizzare
un team può nascere ovunque: den-
tro a una scuola (si spinge molto in tal
senso, anche con l’aiuto del ministero
dell’Istruzione), ma anche in una società sportiva, un’associazione, un comitato, un movimento, una parrocchia o
un semplice gruppo di amici. Di team
ce ne sono talmente tanti, in tutta Italia, che unirsi a uno già esistente è ancora più facile: basta contattare Special
Olympics (sul sito l’elenco dei referenti
regionali) e chiedere.
della Joseph P. Kennedy, Jr. Foundation
cerca da tempo di indagarne le cause,
operando attivamente con molte organizzazioni caritative. Nata nel 1921, laureata in
sociologia a Stanford (1943), Eunice si era
occupata già di rifugiati al Dipartimento di
Stato durante la seconda guerra mondiale
e di delinquenza minorile al Dipartimento
di Giustizia. È un punto di riferimento
per molte famiglie e alcune mamme le
confidano di avere problemi con la scuola
pubblica, che non sa come comportarsi
con gli alunni disabili intellettivi, negando
loro anche la frequenza ai campi estivi.
Nasce l’idea di organizzare una giornata
di gioco e sport esclusivamente per ragazzi
disabili, e fin da quella prima esperienza
(era il 1960) appare evidente come i ragazzi
fossero molto più capaci nelle attività
fisiche di quanto molti esperti allora ritenessero. Col tempo, la cosa prende piede
e insieme al marito Sargent Shriver, che
aveva sposato nel 1953, mette a disposizione la sua azienda agricola nel Maryland
per ospitare attività sportive a loro de-
stinate. Il primo anno, il 1962, ci sono 34
bambini, seguiti e affiancati da ben 26
aiutanti (oggi diremmo tutor o operatori)
reclutati fra gli studenti universitari della
zona. Quasi un rapporto di uno a uno. E
con loro, ci sono altri bambini, senza disabilità, anche loro pronti al gioco. Fra questi
ultimi c’è anche Tim, tre anni, il figlio di
Eunice Kennedy, anche lui accoppiato
a un bimbo disabile di nome Wendell:
«Giocavamo insieme, mangiavamo insieme, correvamo insieme, ci mettevamo
nei guai insieme. Era divertente, i miei
genitori erano molto bravi nel farci fare
le cose con divertimento», ricorda a distanza di tempo. L’iniziativa, passata alla
storia come “Camp Shriver”, è un successo
immediato: i bambini con disabilità intellettiva nuotano, giocano a calcio, montano
a cavallo, si divertono come ogni altro
bambino. Il sistema “Camp Shriver” suscita
grande attenzione, apre un dibattito,
aumenta la consapevolezza di come un’interazione fra bambini con bisogni speciali
e bambini “normali” sia possibile e di come
molti stereotipi allora diffusi («questi bambini sono violenti, aggressivi, disadattati»,
ecc.) siano in realtà davvero ingiusti.
L’esperienza si ripete per quattro anni
consecutivi, con il numero dei partecipanti sempre in crescita (i ragazzi disabili
superano quota 100), finché non diviene
evidente che il modello può essere
esportato in tutto il Paese. Nel 1968 nasce
Special Olympics International e a Chicago
si disputano i primi Giochi.
Nel dicembre 1971 la Commissione
olimpica degli Stati Uniti conferisce l’approvazione ufficiale a Special Olympics,
unica organizzazione a essere autorizzata
all’utilizzo della parola “Olimpiadi”. Nel
1988 arriverà anche il riconoscimento del
Cio, il Comitato olimpico internazionale,
che vede il movimento fondato da Eunice
Kennedy come rappresentante degli interessi degli atleti con disabilità intellettiva.
Oggi, 47 anni dopo la sua fondazione,
Special Olympics è presente in più di 170
Paesi. [S.C.]
SuperAbile INAIL
15 Luglio 2015
l’inchiesta Atleti speciali
Gli sport non mancano: dall’atletica al
tennis, dall’equitazione alla ginnastica,
sono almeno 24 le discipline fra ufficiali, sperimentali e dimostrative: alcune
vengono ora praticate anche in una versione “unificata”, cioè con la contemporanea presenza in squadra di atleti con
disabilità e senza disabilità. “Play Unified” è una delle innovazioni più recenti del movimento Special Olympics, un
programma rivolto soprattutto ai giovanissimi (14-25 anni) senza disabilità
per incoraggiarli ad annullare ogni differenza e a giocare tutti insieme, uniti,
con i propri coetanei disabili. L’obiettivo dichiarato è quello di fermare l’inattività, l’ingiustizia e l’intolleranza
verso le persone con disabilità intellettiva, costruendo – sottolinea lo stesso
movimento – «la prima generazione di
persone giovani che vogliono un futuro di rispetto e di inclusione».
Un obiettivo di lungo periodo che
intanto nel mondo ha già coinvolto
700mila fra atleti disabili e atleti partner. A Los Angeles si gioca “unificati”
a pallacanestro, pallavolo e calcio, ma
anche a bocce e nel nuoto in acque libere. Fra i 101 atleti italiani, 17 non hanno
disabilità. E anche loro, come tutti gli
altri, sono parte integrante della squadra. In tutta Italia, i partner sono 1.350,
ragazzi e ragazze giovanissimi: complessivamente, gli atleti Special Olympics sono oltre 14mila, attivi intorno a
271 team, con anche 1.200 allenatori e
10mila volontari.
Tutti insieme nel corso del 2014 hanno dato vita a 194 competizioni su tutto il territorio nazionale: in media più
di una ogni due giorni. Un grande movimento che cresce e vuole continuare
a farlo. Se ci riusciranno, lo scopriremo
solo con il tempo. Di una cosa però potete stare certi fin da ora: comunque,
in ogni caso, tenteranno con tutte le loro forze.
SuperAbile INAIL
16 Luglio 2015
In gara come alle Paralimpiadi, ma agli Special Olympics vincono tutti
S
empre di sport e persone
disabili si tratta, ma non
sono la stessa cosa: fra i World
Games di Special Olympics 2015
che si disputano a Los Angeles
e le Paralimpiadi che andranno
in scena a Rio de Janeiro nel
2016 la differenza è piuttosto
netta, perché diverse sono
le premesse e la filosofia di
fondo.
Le Paralimpiadi (estive e
invernali) sono organizzate dal
Comitato paralimpico internazionale (Ipc), l’organizzazione
non profit che governa,
coordina e supervisiona il
movimento paralimpico mondiale. Lo scopo principale è,
da un lato, quello di creare
opportunità sportive per
tutte le persone con disabilità
(con un’opportuna opera di
promozione e diffusione) e,
dall’altro, di permettere ai più
bravi di concorrere in gare
agonistiche per contendersi la
vittoria. Le Paralimpiadi infatti
rappresentano l’esaltazione
delle gesta sportive dei più
valenti, la dimostrazione di
quali performance possano
essere compiute dagli atleti,
pur in presenza di una disabilità. Come le Olimpiadi sono le
gare a cui arrivano i migliori atleti in senso assoluto, così alle
Paralimpiadi gareggiano i migliori atleti disabili del mondo,
divisi – secondo stringenti
parametri clinici – in categorie
omogenee di deficit: c’è dunque una gara per i più veloci a
correre i 100 metri fra quanti
hanno un’amputazione sotto il
ginocchio, una per i più veloci
fra quanti sono ipovedenti,
una per i più veloci fra quanti
hanno una lesione midollare
e si muovono sulla carrozzina,
e così via. Gare distinte, classifiche distinte. Dentro ogni
categoria, il meccanismo è
strettamente competitivo e
agonistico: ci sono le batterie
(o negli sport di squadra i
gironi eliminatori) e poi a seguire ottavi di finale, quarti di
finale, semifinali e finale. Una
vera selezione, al termine della
quale vince chi è in grado in
assoluto di realizzare la performance migliore: è la medaglia
d’oro, con l’argento e il bronzo
al secondo e terzo classificato.
Così funziona alle Paralimpiadi
e più in generale in tutte le
gare paralimpiche (compresi
i campionati mondiali, eu-
SuperAbile INAIL
ropei, nazionali, regionali)
organizzate dall’Ipc o dal Cip
(Comitato italiano paralimpico). La gran parte delle gare
paralimpiche vede impegnati
atleti con disabilità fisiche o
sensoriali, ma vi è uno spazio
anche per le disabilità intellettive e/o relazionali: a Londra
2012 erano riservate a loro
sette gare in tre sport (atletica,
nuoto, tennistavolo), a Rio 2016
ce ne sarà qualcuna in più.
In Italia l’attività fa capo alla
Fisdir (Federazione italiana
sport disabili intellettivi relazionali), che fa parte dell’Inas
(la federazione internazionale
degli atleti con disabilità intellettiva), membro a sua volta
dell’Ipc. I regolamenti sono
quelli internazionali, gli atleti
sono tenuti sotto stretto controllo sanitario.
Special Olympics Inc. è
invece un’associazione sportiva internazionale, privata,
riconosciuta dal Cio (Comitato
olimpico internazionale), che
promuove un programma
educativo volto a proporre e
organizzare allenamenti ed
eventi per persone con disabilità intellettiva a ogni livello
di abilità. Nel nostro Paese,
Special Olympics Italia è riconosciuta come associazione
benemerita sia dal Coni sia dal
Cip.
Al centro non c’è l’aspetto
agonistico, ma quello relazionale e sociale, con una
chiara matrice ludico-sportiva.
Sono coinvolti solo atleti con
disabilità intellettiva, che
vengono suddivisi in gruppi
a seconda del loro grado di
17 Luglio 2015
abilità sportiva: in pratica ogni
atleta viene precedentemente
valutato e poi viene fatto
gareggiare solo con altri atleti
che hanno prestazioni molto
simili alle sue, indipendentemente dalla disabilità. Questo
fa sì che tutti abbiano la possibilità di ben figurare: il che,
evidentemente, è anche un
incentivo a migliorarsi costantemente. Quindi, se a una gara
sui 100 metri si iscrivono 30
persone, queste saranno divise
in più corse (cinque “batterie” da sei atleti ciascuna, per
esempio) e le medaglie (oro,
argento e bronzo) verranno
consegnate ai primi classificati
di tutte e cinque le diverse
batterie. Con la gara che finisce lì: non ci saranno quarti
di finale, o semifinali o finali
proprio perché l’obiettivo non
è quello di individuare il campione assoluto.
Negli sport di squadra l’organizzazione è analoga, con le
formazioni preliminarmente
divise in più gironi a seconda
del livello di abilità, e per
ciascuno dei quali vengono
decretati i vincitori. Anzi, siccome agli Special Olympics
vengono premiati non solo i
primi tre, ma anche il quarto,
quinto, sesto, settimo e ottavo
classificato, e poi tutti gli altri
partecipanti, ecco che di fatto
tutti gli atleti, nessuno escluso,
tornano a casa con una medaglia (o con un nastrino). Un
premio al loro impegno e alla
loro dedizione. [S.C.]
INSUPERABILI Intervista a Felice Tagliaferri
L’arte nelle mani
Era cieco da oltre dieci
anni quando decise di
frequentare un corso
di scultura per non
vedenti. Una scelta che gli
ha cambiato la vita e ha
fatto dell’artista bolognese
una figura unica nel
panorama internazionale.
Celebre per il suo Cristo
rivelato, e non solo
Antonio Storto
L’
indipendenza per lui rappresenta
il valore supremo. Tanto che a un
certo punto è riuscito a emanciparsi dai suoi stessi occhi. Con un centinaio
di opere esposte in tutto il mondo, Felice
Tagliaferri è oggi noto come lo scultore
cieco «che lotta perché chiunque possa
toccare le opere d’arte», come lo ha definito la Bbc in un’intervista di qualche
tempo fa. La vista lo aveva abbandonato
ormai da un decennio, quando iniziò a
lavorare la creta. A portargliela via, a 14
anni appena, fu un’atrofia del nervo ottico, una condizione che in nessun modo poteva essere fermata.
SuperAbile INAIL
18 Luglio 2015
Figlio di una famiglia operaia che
dalla Puglia era emigrata a Bologna, Felice iniziò quindi una gioiosa e complicata lotta per l’autonomia. «Uscii di casa
a diciotto anni – ricorda – e feci di tutto
per mantenermi: lavorai come centralinista, aprii una bottega d’antiquariato,
fui perfino attore in una compagnia di
giro». Finché, a 25 anni, l’incontro con
lo scultore bolognese Nicola Zamboni
gli cambia l’esistenza: «Teneva un corso per non vedenti. Io mi iscrissi, e dopo tre mesi avevo già capito che sarebbe
stata la mia vita. Quell’esperienza aveva
mosso qualcosa di potente dentro di me:
fu esattamente questo che dissi a Zam-
boni, spiegandogli che volevo mi prendesse a bottega e che non avrei accettato
un rifiuto».
Lei a quel punto era cieco da oltre dieci anni. Come ha fatto a confrontarsi con un’attività che richiede un così intimo rapporto
con l’immagine?
La sua opera più celebre è proprio il Cristo
rivelato, una reinterpretazione del Cristo
velato di Giuseppe Sanmartino, che lei iniziò a scolpire dopo che alla cappella Sansevero di Napoli le fu impedito di toccare
l’originale. Quella scultura nasce come una
provocazione?
scolpito, ad esempio, la consistenza dei
dettagli è assolutamente realistica. Toccandole, si ha la sensazione di avere tra
le mani una criniera, delle orecchie, un
muso.
È per questo che ha iniziato a insegnare ai
non vedenti?
Questo non è esatto. Con la mia scuola, la Chiesa dell’arte (Chiesadellarte.it),
io insegno la scultura a delle persone:
tra loro ci sono ciechi, come disabili motori e normodotati. Ho lavorato anche
con ragazzi tetraplegici, che non potevano muovere né braccia né gambe: per
scolpire usano il naso, la bocca, a dimostrazione che nulla è impossibile se si ha
una forte motivazione.
All’inizio fu un lavoro introspettivo.
Mi tuffai nella memoria, per scovare e
ricostruire tutte quelle immagini che
avevo visto nei primi anni della mia vita. La Nonna del Sud, per esempio, rappresenta una donna che avevo visto a
Foggia, da bambino. Nei primi anni ho
scolpito quasi ogni immagine che mi
era rimasta impressa durante l’infanzia. A un certo punto, però, quel repertorio ha iniziato a esaurirsi, e c’è stato
bisogno di un cambiamento. Qualche
anno fa, un centro carni mi chiese di
raffigurare una mucca, e io dovetti arrendermi al fatto di non ricordare assolutamente come fosse fatta. Il problema
più grande sono i dettagli: anche i vedenti tendono a dimenticarli, ma loro
una mucca possono rivederla in qualsiasi momento. Io invece dovetti andarmene in una stalla, per poterne toccare
una. E ci rimasi per due giorni, prima
di riuscire a ricostruirla dentro di me.
Non esattamente. Lo scopo era stimolare una riflessione genuina rispetto al rapporto che le persone cieche
hanno con l’arte. La maggior parte dei
musei motiva il divieto alla fruizione
tattile con la necessità di preservare le
opere dall’usura, ma in realtà si tratta spesso di un argomento pretestuoso. Il Cristo che ho realizzato può essere
toccato da chiunque, e in questo modo
ho voluto dimostrare che un blocco di
marmo non può rovinarsi solo a causa
dello sfioramento, specialmente da parte di dita esperte. Certo, ci sono opere che presentano particolari necessità
di conservazione, ma anche in quei casi si potrebbe far molto, per esempio realizzando copie degli originali. Invece
le cose vengono lasciate semplicemente come sono.
Più o meno sì, perché un artista ha
bisogno di rapportarsi anche alle opere
altrui, oltre che agli oggetti che vorrebbe raffigurare. Per un cieco, l’unica possibilità è rappresentata dal tatto, ma la
maggior parte dei musei sono totalmente insensibili a questa esigenza. L’arte
dovrebbe essere patrimonio dell’umanità, ma di fatto tre milioni di ciechi
si ritrovano praticamente esclusi dalla
fruizione artistica.
ce ne sono quattro o cinque, alcuni molto bravi, ma non riescono a vivere della
loro arte. Tutto questo non fa che rafforzare stereotipi negativi sui limiti legati
alla disabilità, quando di fatto è vero il
contrario: la mia storia e quelle di tanti altri dimostrano che, se c’è una forte
volontà, tutto è possibile. Anche a livello di musei siamo ancora al grado zero.
Se si escludono l’Anteros di Bologna e
il museo tattile Omero di Ancona, non
Cosa ricorda di quel viaggio?
c’è praticamente nulla. Dal canto mio,
È stata un’esperienza molto intencol tempo ho cercato di rendere le mie sa. In India tutto è dopato, amplificato:
opere sempre più ricche dal punto di vi- suoni, odori, sensazioni. Per un cieco è
sta tattile: nelle teste di cavallo che ho qualcosa di incredibile.
Come si riflette tutto questo sul panorama artistico?
Di certo non è positivo. In Italia esi-
È così che è iniziato il suo percorso con l’ar- ste una produzione da parte dei ciechi,
ma è ancora molto limitata. Di scultori
te tattile?
Lo scultore Felice Tagliaferri alle prese con le sue
creazioni
SuperAbile INAIL
19 Luglio 2015
Recentemente, Silvio Soldini ha realizzato il documentario Un albero indiano sulla sua esperienza come insegnante in una
scuola per ragazzi disabili e svantaggiati a Shilong, in India. Com’è finito a lavorare lì?
L’idea fu della ong Cbm Italia onlus. A una mia mostra milanese incontrai Massimo Maggio, il direttore: fu lui
a chiedermi di andare lì. Quei ragazzi non avevano mai avuto il benché minimo contatto con l’arte, e Maggio era
genuinamente convinto che potessimo
cambiare loro la vita. Oggi so che aveva ragione, perché ci siamo preoccupati
anche di formare degli insegnanti, che a
loro volta saranno in grado di formarne
altri. In questo modo, sappiamo che per
i prossimi 50 anni in quella scuola ci sarà qualcuno che insegnerà l’arte. Soldini mi aveva già voluto in Per altri occhi,
il suo primo documentario sui ciechi:
quando ha saputo di questa iniziativa è
stato entusiasta, e ha deciso di farne un
altro film.
sotto la lente Vedi alla voce diritti
Francesco e la sua battaglia per
Ha 24 anni, è sassarese
di origine ma vive
a Bologna e si muove
su una sedia a ruote.
Per sostenere l’esame
di ammissione ha dovuto
rivolgersi alla stampa,
finché la scuola non
ha trovato una soluzione
Ambra Notari
S
ull’ultima pagina di questa odissea
si legge: «A settembre esame di ammissione al Conservatorio di Bologna». Ma il percorso per arrivarci non
è stato semplice. Francesco Nurra ha 24
anni: è di Sassari, ma dallo scorso febbraio si è trasferito nel capoluogo emiliano. Francesco è disabile, si sposta su
una sedia a ruote. Al momento frequenta il corso di laurea in Lingua e cultura
italiane per stranieri, ma dal prossimo anno vorrebbe cambiare e passare
a studiare quella che da sempre è la sua
passione: la musica. Il Conservatorio di
Bologna, nella sua sede di piazza Rossini però, prevede come unica via d’accesso una scalinata: nient’altro.
«Ho mandato tre e-mail – spiega
Francesco – per avere informazioni
sull’accessibilità alla struttura. Nella
terza ho chiesto che fossero abbattute
le barriere architettoniche e ho preteso
l’impegno di tutti, invitando presidente e direttore a casa mia per discutere sul da farsi. Nessuno mi ha risposto:
così mi sono rivolto al quotidiano La
Repubblica e ho denunciato quanto
stavo subendo. A quel punto, e solo alFrancesco Nurra cantante e musicista, suona
pianoforte e tastiera. Ha in programma di
frequentare il corso di musica elettronica al
Conservatorio
SuperAbile INAIL
20 Luglio 2015
lora, qualcosa si è mosso». Il direttore del Conservatorio Donatella Pieri ha
garantito che Francesco potrà sostenere l’esame di ammissione in un’aula al
piano terra: se verrà ammesso, saranno trovate soluzioni per permettergli
di frequentare. «Sono contento: questa non era una battaglia solo per me,
ma anche per tutti quei ragazzi che in
futuro potrebbero trovarsi al mio po-
entrare al Conservatorio
anche lavorato per realizzare un theremin, uno strumento musicale elettronico, ma alla fine abbiamo optato per
il clarinetto».
Al Conservatorio vorrebbe frequentare il corso di musica elettronica. Ha
già un disco all’attivo, Diario di un
pazzo, e ha prodotto Lost Songs del duo
Marta Raviglia e Simone Sassu. A Bologna vive con Valentina Poggio, la sua
assistente, che paga grazie alla piccola pensione d’invalidità percepita: «Ma
uno o due giorni a settimana devo cercare qualcuno che la sostituisca: per
questo ho fatto richiesta per l’assegno
di cura, ma sono mesi che sto aspettando di riceverlo. Sicuramente un piccolo contributo arriverà, ma non conosco
l’importo. Oppure chiederò aiuto a
qualche volontario. Convivo con il pensiero di non riuscire a farcela e di dover
tornare indietro». A Sassari vivono i genitori, mentre il fratello più grande fa il
regista e vive a Londra: «Cercano sempre di incoraggiarmi, mi danno forza
quando sono demoralizzato. Mi piacerebbe mantenermi con la musica, farla
diventare il mio lavoro, ma non è facile, soprattutto in Italia».
sto. E non dimentichiamo che il diritto
all’istruzione per le persone disabili è
sancito dalla Convenzione Onu».
Cantante e musicista, Francesco
suona pianoforte e tastiera. E sta per
cimentarsi anche con «un clarinetto basso, realizzato apposta per me
dall’associazione pugliese AccordiAbili, che sta modificando lo strumento
per adattarlo alle mie esigenze. Hanno
In Sardegna, osserva, «riconoscevano maggiormente i miei diritti:
mi passavano alcune sedute di fisioterapia a settimana, per esempio. Qui
in Emilia Romagna niente: a livello di
servizi sociosanitari, mi sembra una
situazione decadente. Varrebbe la pena cominciare a pensare al welfare non
solo da un punto di vista economico,
ma anche medico. Al contrario, a livello di barriere architettoniche Sassari è messa peggio, tra salite e discese.
SuperAbile INAIL
21 Luglio 2015
A Bologna la mobilità è migliore, ma
non perfetta». E parla del cantiere che
da qualche mese ha invaso le strade del
centro cittadino, prima di fare riferimento alla situazione lacunosa del trasporto pubblico: «Su 30 autobus che ho
provato a prendere, solo una volta la
pedana elettronica ha fatto il suo dovere: nella maggior parte dei casi non
funzionava, ma c’erano anche conducenti non in grado di aprirla».
Come ha scritto in un recente articolo pubblicato sulla rivista Wired: «Abitando in centro, mi ritrovo a dover fare,
stando sulla mia sedia a rotelle, delle
strade obbligate o addirittura pericolose, perché molte volte devo andare per
strada invece di stare sul marciapiede.
Pensavo fosse davvero una città a misura di carrozzine, invece mi devo sempre
aggiustare fra i percorsi a ostacoli che
offre questa piccola metropoli».
«Sicuramente l’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, è molto indietro: le
intenzioni sono buone, ma che fatica metterle in pratica», lamenta Francesco. E racconta dell’importanza di
pensare al concetto di vita indipendente, per cui tutti – disabili e non –
siano messi nelle condizioni di poter
scegliere che fare «all’interno di un
ambiente privo di barriere mentali,
architettoniche, fisiche e culturali –
scrive –. Da buon italiano ho imparato l’arte di arrangiarmi in ogni forma,
ma sogno un giorno in cui tutto questo
finirà, un giorno in cui le persone con
disabilità riceveranno ciò che gli spetta (non dei privilegi) in maniera naturale e non con una filosofia pietista che
opera quasi per una concessione data
dall’alto».
portfolio Usateci pure
Nella società nessuno è veramente
inutile, neanche chi è nato con qualche
difficoltà in più. L’usabilità, infatti,
non è un concetto che si adatta soltanto
al rapporto tra l’uomo e la tecnologia,
ma può riguardare anche l’interazione
tra le persone e il mondo circostante.
È giocando su questa idea che
SuperAbile INAIL
Stefano Pinci ha deciso di realizzare il
progetto fotografico “Usability InterFace”.
Una serie di ritratti realizzati con
i ragazzi e le ragazze dell’associazione
Senza frontiere, per dimostrare come le
persone disabili possano essere “usate”
in maniera intelligente in diversi settori
della società.
22 Luglio 2015
I protagonisti
del progetto
fotografico sono
ragazzi con deficit
fisico o intellettivo
dell’associazione
Senza frontiere,
che ha tra le sue
finalità non solo
quella di abbattere
gli stereotipi, ma
anche di favorire
l’inserimento
lavorativo delle
persone disabili.
I giovani vengono
rappresentati
e idealizzati nelle
diverse attività
portate avanti nella
struttura. C’è chi
fa il cuoco, chi il
cameriere, ma anche
chi si dedica alle
attività teatrali o alla
musica. L’associazione
propone, infatti,
ai suoi soci diversi
corsi tra cui quelli
indirizzati allo
sviluppo delle abilità
artistiche, della
motricità fine
e dell’autonomia.
SuperAbile INAIL
23 Luglio 2015
portfolio Usateci pure
L’associazione di
volontariato Senza
frontiere svolge la sua
attività a Palestrina,
una località alle porte di
Roma. L’obiettivo è quello
di favorire l’integrazione
delle persone con
disabilità nel tessuto
sociale.
Per questo ogni anno
l’associazione porta
avanti numerose
azioni e iniziative di
sensibilizzazione rivolte
sia al mondo della scuola
sia a quello dei mass
media.
Per i soci il volontario
non è «colui che si
prende cura di», ma un
«compagno con il quale
condividere esperienze di
vita e crescere insieme».
SuperAbile INAIL
24 Luglio 2015
portfolio The show must go on
Il progetto è del fotografo
Stefano Pinci. Da dieci anni
collabora come volontario
nell’associazione Senza frontiere.
L’obiettivo è mostrare che
le persone disabili sono in
grado di generare valore con
il proprio lavoro. Il titolo del
progetto gioca sul senso del
termine «ui», utilizzato in ambito
informatico per user interface
(interfaccia utente), ovvero tutto
ciò che si frappone tra l’utente
e la macchina, consentendo
l’interazione tra i due. I suoi
reportage sono pubblicati sul sito
Stefanopinci.com. [E.C.]
SuperAbile INAIL
25 Luglio 2015
SPORT In sella
Cinque uomini e
una passione chiamata quad
Il Team Garpez ha
confermato i suoi piloti
disabili e sta preparando
la stagione 2015 in vista
del Mondiale di Pont
de Vaux, in Francia,
alla fine di agosto:
un appuntamento
da non perdere
Michela Trigari
I
n sella a quattro ruote per sentirsi vivi. Tra adrenalina a mille e divertimento puro. Sono queste le emozioni
che nel 2007 hanno spinto Andrea De
Beni a fondare il Team Garpez, la prima
e unica squadra italiana di corse in quad
formata da soli piloti disabili. Insieme a
lui, che ha una protesi a una gamba, ci
sono altri quattro appassionati: Efrem
Morelli, Rossano Valenti, Stefano Cordola e Riccardo Previde Massara (tutti
in sedia a ruote). E dopo il Campionato
italiano di quadcross dell’anno scorso,
la prima volta in cui un pilota disabile
ha partecipato a una gara di cross organizzata dalla Federazione motociclistica italiana, o il raduno alla Night Ride
di Bazzano (Bologna) – solo per citarne
SuperAbile INAIL
26 Luglio 2015
alcuni –, la stagione sportiva riprende
con il Mondiale di Pont de Vaux in programma dal 21 al 23 agosto in Francia.
Il Team Garpez non è una onlus né
un’associazione, ma unicamente una
squadra-corse che vuole essere «il punto
di riferimento italiano per le tematiche
legate a quad e disabilità». Si finanzia
autonomamente e i suoi sponsor l’aiutano con materiale gratuito e sconti.
«Anche se siamo tutti disabili, non siamo per le categorizzazioni: gareggiamo
alla pari insieme agli altri piloti in camIn alto, Efrem Morelli al Mondiale di Pont de Vaux
2014 (foto Filippo Mingardi-Quad Mania on Tv).
Nella pagina accanto, da sinistra: Stefano Cordola,
Andrea De Beni, Rossano Valenti e Riccardo Previde
Massara
pionati che sono di tutti. Pochi sport
permettono un’inclusione totale come
il quad», commenta De Beni. Qualunque categoria si scelga: cross, enduro,
fettucciato, raduni. «Ma le gare, che
per noi sono una vetrina fondamentale insieme ad altri eventi come il Motor
Show, la fiera del turismo accessibile o le
giornate multisport, non rappresentano
tutta la nostra attività – continua –. Ci
occupiamo anche di fare informazione
per tutte quelle persone disabili, in media una decina l’anno, che vogliono avvicinarsi al quad: dalla normativa per la
guida dei quadricicli alle patenti speciali, dall’adattamento dei veicoli fino al testing gratuito in pista. In questo, il fatto
di essere un gruppo di piloti sparsi qua
e là per l’Italia rappresenta un vantaggio. Il quad, poi, è uno di quei mezzi che
consente una totale autonomia (le persone in sedia a ruote riescono a salirci
e scendere senza l’aiuto di nessuno) sia
che lo si usi per correre sia che lo si utilizzi per andare a fare la spesa».
Andrea De Beni, piemontese, classe
1979, ha acquistato il suo primo quad a
25 anni e pochi mesi dopo ha cominciato a praticare enduro tutti i weekend.
«Nel 2007 le prime gare: l’entusiasmo
creatosi attorno a queste partecipazioni
iniziali mi ha portato a fondare il Team
Garpez». Ora si allena solo una volta a
settimana, come in media anche gli altri piloti. «Scegliamo di correre in base
ai nostri impegni familiari, lavorativi o
di salute e ci prepariamo, ciascuno per
conto proprio, sulle piste da motocross
più vicine a dove abitiamo. Per il resto, facciamo tutti tanto sport». L’unico
neo? «Il quad, purtroppo, è una passione costosa: un quadriciclo sportivo nuovo costa circa 10mila euro, a cui vanno
aggiunti il cambio elettronico a manubrio per chi ha una disabilità motoria e
la manutenzione da gara».
Ecco la prima squadra italiana
Andrea De Beni, classe
1979, sposato e con due
bimbi piccoli, vive a
Capriglio (Asti) e lavora
in banca. A causa di
una ipoplasia femorale
congenita alla gamba inferiore destra, necessita
di una protesi per poter
camminare e guidare. Lo
sport al quale è più legato è il basket, giocato
sempre insieme ai “normodotati” e con buoni
risultati (a 16 anni ha
militato nelle giovanili
di serie A dell’Auxilium
Torino).
Efrem Morelli, nato a
Crema nel 1979, ha una
paraplegia permanente
a causa di un incidente.
Ex pilota professionista di motocross con
all’attivo diverse partecipazioni al Campionato
europeo, attualmente
fa l’imprenditore ed è
anche nuotatore della
Nazionale italiana paralimpica (due Mondiali e
SuperAbile INAIL
una Paralimpiade) dopo
una parentesi agonistica
di due anni nel canottaggio.
Rossano Valenti, classe
1973, vive in provincia di
Arezzo ed è paraplegico
per via di una lesione midollare provocatagli da
un tumore. Dipendente
di un’azienda di presidi
ospedalieri, è anche
pilota di auto da corsa,
go-kart e velivoli ultraleggeri a motore, nonché
socio della scuola di
volo per disabili “Baroni
rotti” (cfr. SuperAbile
Inail, maggio 2013). Scia
e gioca a pallamano in
carrozzina. Il suo motto?
«Poco importa la differenza, la passione resta
la stessa».
Stefano Cordola, nato nel
1978, abita a Villlarbasse
(Torino) e ha una paraplegia incompleta
dovuta a una caduta
durante una gara di
27 Luglio 2015
motocross. Ex pilota tesserato della Federazione
motociclistica italiana
attualmente disoccupato, le soddisfazioni più
grandi gliele hanno date
«il fango e la polvere».
Ora gioca anche a tennis
in carrozzina: «Non mi dà
le stesse emozioni della
moto, ma mi aiuta a riempire il vuoto rimasto».
Riccardo Previde
Massara, studente uni-
versitario di Vigevano
(Pavia), classe 1980, è
paraplegico da trauma.
«Sono appiccicato alle
moto da sempre, fin da
quando ero piccolo. Non
ho mai corso in realtà,
o almeno non ho mai
fatto niente di agonistico prima del quad. Ho
sempre guidato moto da
strada e per anni non ho
avuto l’auto. Ho fatto un
milione di chilometri in
vita mia e ora ho voglia
di farne altrettanti».
[M.T.]
TEMPO LIBERO Senza sosta
In viaggio
verso
Santiago.
Se la meta
è per tutti
Fondatore della onlus Free Wheels, Pietro Scidurlo si è fatto ora conoscere
per un’altra utile impresa: la stesura di una guida per affrontare il cammino
per antonomasia fin dal Medioevo. Insieme al giornalista Luciano Callegari
Dario Paladini
«
N
on sono un supereroe, se l’ho
fatto io possono farlo anche
gli altri». Così Pietro Scidurlo
commentava la sua impresa: l’aver percorso il cammino di Santiago, circa 900
chilometri, in sedia a ruote. Era il 2013.
Quelle parole non erano solo un modo
per schermirsi, ma un programma di lavoro. Infatti ora è l’autore della Guida al
cammino di Santiago per tutti, edito da
Terre di mezzo. Per scriverla, nel 2014
ha ripercorso il cammino due volte con
Luciano Callegari, autore di numerose
guide sempre sullo stesso percorso. Pietro ha anche fondato Free Wheels onlus, che fornisce tutela e sostegno alle
persone disabili e alle loro famiglie e si
occupa della mappatura di itinerari accessibili per tutti. «Non possiamo certo
aspettare che il cammino sia adattato e
reso perfettamente accessibile nella sua
interezza – scrivono nell’introduzione
Pietro e Luciano –. Se aspettassimo tutto ciò, la nostra vita non basterebbe per
vedere quel momento. E allora abbiamo affrontato di petto il problema e ci
siamo detti: noi a Santiago ci andiamo
lo stesso. E non solo: vogliamo che tutti possano partire e arrivare, con le loro
abilità e disabilità». Detto fatto. Chilometro dopo chilometro hanno cercato
e trovato il modo per superare, aggirare o abbattere gli ostacoli: «ostinatamente e controcorrente». Hanno visitato
strutture d’accoglienza, musei, chiese e
SuperAbile INAIL
28 Luglio 2015
monumenti, verificandone l’accessibilità. Ne è venuta fuori una guida che rende il cammino possibile non solo a chi
si muove in sedia a ruote, ma anche alle persone anziane, ai bambini, ai dializzati e trapiantati (ci sono l’elenco e i
recapiti dei centri medici specializzati
lungo il percorso), ai celiaci (con indicazioni dei piatti da evitare e dei locali
che hanno menù gluten free). «Abbiamo
cercato di individuare tracciati alternativi ogni volta che il percorso segnato con le frecce gialle non ci è sembrato
adatto alle carrozzine».
La guida di Pietro e Luciano sfata la credenza che i cammini siano una prerogativa delle persone atletiche. In realtà
In basso, a sinistra, Pietro Scidurlo
in cammino. Foto Luciano Callegari
è innanzitutto un’esperienza interiore:
ogni pellegrino inizia il percorso per i
motivi più diversi e lo conclude scoprendo di sé aspetti nuovi. «Per me è stato
trovare il Pietro migliore che cercavo»,
ha ripetuto più volte Scidurlo. Nato 36
anni fa a Somma Lombardo (Varese), è
paraplegico dalla nascita a causa di un
errore medico. «Nel 2004 ho acquistato la mia prima handbike che mi ha rivelato la bellezza del camminare per il
mondo con le mie “gambe”. Nonostante queste attività non riuscivo però ad
accettare completamente la mia disabilità. L’esperienza del cammino mi ha
aiutato a farlo». Ogni anno circa 200mila pellegrini arrivano sulla tomba di
San Giacomo. Fin dal Medioevo esistono diversi cammini e quello più conosciuto e più battuto parte da Saint Jean
Pied de Port in Francia. La guida rende
accessibile quest’ultimo, dichiarato nel
1985 patrimonio dell’umanità da parte
dell’Unesco. Nel volume è possibile trovare indicazioni su come muoversi lungo il cammino, ma bisogna prepararsi
per bene prima di partire. Che si usino le proprie gambe, oppure le braccia
per spingere la sedia a ruote o ancora
l’handbike, non ci si improvvisa pellegrini. Per esempio, chi è in carrozzina
dovrà ogni giorno allenarsi su percorsi
misti asfalto e sterrato, anche in salita e
discesa. Chi pensa di andarci in handbike dovrà prima abituarsi a starci per
diverse ore al giorno visto che non è comodissima, oltre che allenare i muscoli.
Attenzione poi al bagaglio. La Guida da
questo punto di vista è molto preziosa:
aiuta a capire cosa è indispensabile mettere nello zaino, tutto il resto non serve.
Infine, quando partire? In teoria è
sempre possibile. Ma, avvertono Pietro e Luciano: «Alle persone che hanno
problemi di disabilità motoria è consigliato evitare le stagioni in cui si può facilmente trovare freddo, pioggia e neve.
Gli ausili motori perdono più facilmente aderenza con terreni fangosi, piovosi
o addirittura innevati. Inoltre le limitate condizioni di mobilità possono determinare più facilmente il pericolo di
ipotermia».
Fondamentale, però, è crederci. Come ha fatto Pietro e come stanno facendo tanti altri, che stanno postando le
loro foto lungo il cammino sulla pagina
Facebook di Free Wheels onlus.
SuperAbile INAIL
29 Luglio 2015
G
iunta alla sua ottava edizione, la
Guida al cammino di Santiago per
tutti suddivide il percorso in 33 tappe
fino a Compostela, più altre cinque
per chi vuole arrivare a Finisterre e
godersi l’Oceano. Per ogni tappa,
sono descritti tre diversi itinerari:
il cammino classico, un percorso
che si svolge interamente su asfalto
per chi usa l’handbike e uno per
le sedie a ruote. Per lunghi tratti
coincidono. Ogni tappa è corredata
da una mappa, da un’altimetria e
una tabella contenente i chilometri
complessivi e i dislivelli in salita
e discesa. Il percorso su asfalto è
soprattutto su strade poco trafficate.
Quello su carrozzina evita i tratti
in cui siano presenti scale, pietre
grosse o aguzze, terreni fangosi,
salite o discese eccessivamente
pendenti. Di ogni sterrato viene
data comunque l’indicazione di
percorribilità. [D.P.]
 televisione 
Quella ostinata
voglia di vivere
raccontata
allepigliata,
telecamere
convincente. Ma so-
S
prattutto empatica. Giusy
Versace, alla conduzione del
programma Alive. La forza della vita, in onda su Retequattro in
prima serata e curato da Simona
Ercolani, convince. Perché è naturale, autentica, se stessa. Forse antitelevisiva per antonomasia,
ovvero non costruita. Certo, ha
un copione da seguire e gli autori del programma sono altri. Però
a parlare è il suo sguardo diretto,
la sua forza testimoniale. Ci è passata lei per prima, nelle storie che
racconta intervistando sul campo i protagonisti: persone che in
tutta Italia hanno sfiorato la morte per una malattia improvvisa,
un disastro naturale, un tentato
omicidio, persone che non si sono
arrese nonostante la vita le abbia
messe di fronte a una prova durissima da superare. Pure Giusy
ha temuto la fine quasi dieci anni fa e, rimanendo lucida anche
se un guard-rail le aveva tranciato le gambe, ha pensato che voleva vivere. Anche dopo i tre mesi
di ospedale e l’amputazione. Anche dopo la riabilitazione. Aveva
28 anni e poteva abbandonarsi alla disperazione. Invece no:
si è rimessa in gioco, ha fondato una onlus che regala protesi
ultratecnologiche a chi non può
permettersele perché non sono
mutuabili, è scesa in pista diventando atleta paralimpica (a maggio ha siglato il primato italiano
sui 200 metri) ed è regina dell’ultima edizione di Ballando con le
stelle, in onda su Rai Uno. Do-
Il programma Alive.
La forza della vita va
in onda su
Retequattro ogni
giovedì in prima
serata, dal 28
maggio, per otto
puntate. Il 3 giugno
la conduttrice
ha ricevuto il
premio “Special
Award Pubblicità
Progresso”, da lei
dedicato «a tutte le
donne e alle persone
disabili».
Figli di un Dio minore in Lis
Se è stato il film con William Hurt
e il premio Oscar Marlee Matlin
a renderlo famoso, Figli di un Dio
minore, la storia d’amore tra un
logopedista e una ragazza sorda,
nasce come opera teatrale.
Un testo che tornerà a calcare
le scene il 2 e 3 agosto nell’ambito del Festival Borgio Verezzi
(Savona), grazie al lavoro di Marco
Mattolini. E, per di più, sarà recitato in lingua dei segni.
po gli spettacoli in giro per l’Italia con il suo partner Raimondo
Totaro, per Giusy un’altra sfida:
co-condurre un programma televisivo giunto quest’anno alla terza
edizione insieme al navigato Vincenzo Venuto, biologo e naturalista. La tenace 38enne di origine
calabrese, trapiantata a Milano,
lo fa con la semplicità consueta
che le appartiene, vestita stavolta
dalla zia Donatella Versace. E conquista il telespettatore proprio per
questo: davanti o dietro le telecamere, è sempre la stessa.
A colpirla in modo particolare,
lo confida lei stessa, le esperienze
«legate alla violenza sulle donne:
mi hanno provocato una scossa
emotiva alla quale non ero preparata». Come la vicenda di un tentato femminicidio: la vittima, una
signora oggi cinquantenne, è stata
aggredita in casa sua dall’ex marito con un’accetta, subendo l’amputazione di alcune dita e lesioni
che l’hanno resa paraplegica. «Ho
deciso di affrontare questa nuova
avventura perché le storie sono di
grande forza e amore per la vita –
ha commentato Giusy –. Il messaggio che vogliamo trasmettere
è intenso, ricco di dolore ma allo
stesso tempo pieno di speranza e
positività». [Laura Badaracchi]
«L’allestimento sarà un’occasione
di confronto fra universi comunicativi separati e sovrapposti, uno
studio sulle potenzialità espressive
di gestualità e oralità», si legge
nelle note di regia. Il progetto,
realizzato in collaborazione
con l’Istituto statale dei sordi di
Roma, ha preso il via da un laboratorio dedicato a giovani attori
(udenti, non udenti o con l’udito
parzialmente danneggiato) e interpreti Lis. [M.T.]
SuperAbile INAIL
30 Luglio 2015
 libri 
Terza o quarta età,
con il sorriso sulle
labbra
hi l’ha detto che terza età sia sinonimo di
C
vita piatta e ripetitiva, senza colpi di scena? Pur con acciacchi, disturbi, disabilità acquisite, malattie, gli anziani diventano
protagonisti di due romanzi, editi rispettivamente da Giunti ed Einaudi. Anziani veri, non
mascherati da giovani né assetati del mito di
tornare a un passato impossibile da rincorrere
e replicare. Nel romanzo Quasi arzilli l’autrice esordiente Simona Morani, classe 1982 (lavora in Germania come interprete, redattrice
e autrice di documentari per la tv) torna con
la memoria ai paesaggi umani dell’Appennino
reggiano dov’è cresciuta. Un mondo nostalgico, che inonda le pagine di ricordi e tenerezza,
perché bandisce dal vocabolario la parola «rottamazione».
La prospettiva della casa di riposo è invece
uno spettro drammatico per i protagonisti ultraottantenni – chi afflitto da problemi di sordità e cecità, chi da vuoti di memoria e chi da
ipocondria –, che fanno naturalmente i conti con quelle disabilità anagrafiche comuni a
molte, se non a tutte, le persone che oltrepassano la soglia delle 80 primavere. Ma l’usura
del corpo operata dal tempo che scorre inesorabile non intacca i sentimenti né l’ironia che
avvolge la propria condizione. E la realtà della
morte viene esorcizzata, al tempo stesso innalzando un inno vissuto alla lentezza, a ritmi
più umanamente sostenibili per
ogni generazione, non solo per
la quarta età.
La cifra dell’amicizia contraddistingue i quattro spericolati vecchietti del volume L’audace
colpo dei quattro di Rete Maria che sfug-
girono alle Miserabili Monache che in ospizio,
purtroppo, ci sono finiti davvero. La demenza
senile, però, non ha l’ultima parola e una gita
nella Capitale per la beatificazione di Giovanni Paolo II si trasforma in occasione per sfuggire agli sguardi vigili delle suore e scatenarsi in
una delle ultime bravate della loro vita. Esilarante il personaggio di Brio, il “braccio armato”
del gruppo: in tasca nasconde una fionda con la
quale, nonostante il Parkinson, resta infallibile.
Il trentenne napoletano Marco Marsullo, al suo
secondo romanzo, dà prova di sano umorismo
e di conoscere da vicino il vissuto dei protagonisti, di sondarlo e maneggiarlo con un sorriso
irriverente e uno schietto pragmatismo: «Ho
74 anni, un solo rene,
la prostata grande
come la Danimarca
e un’insana, rischiosa
passione per i pistacchi.
Odio i giovani, com’è giusto.
Ma odio anche i vecchi, sono
lenti e insopportabili. Odio
quei tipi che quando ti guardano sorridono come se
avessero visto un cucciolo
di labrador». [L.B.]
SuperAbile INAIL
31 Luglio 2015
Marco Marsullo
L’audace colpo
dei quattro di
Rete Maria che
sfuggirono alle
Miserabili Monache
Einaudi 2014
pagine 224, euro 16,50
Simona Morani
Quasi arzilli
Giunti 2015
pagine 176, euro 12
 libri 
Lo zaino
di Emma non
è un
dono
a sindrome di Down non è
L
un dono né per chi ne è affetto né per i suoi famigliari.
Lo racconta con schiettezza Martina Fuga, mamma di una ragazStorie a fumetti di un altro mondo
za disabile, nel libro Lo zaino di
Si intitola Take a picture l’ultima
Emma, edito da Mondadori Eleciniziativa editoriale realizzata da
ta. Con uno stile asciutto ed es“Il Cinno selvaggio”, progetto
ideato nel 2011 per far uscire dai
senziale l’autrice mette insieme
circuiti della psichiatria le creazioni una serie di aneddoti e riflessioni
nate dalla matita di persone in
per spiegare cosa significa quancarico al Dipartimento di salute
do in famiglia arriva una persomentale dell’Ausl di Bologna. Dopo
na con disabilità. Racconta così
Ericailcane e Francesca Ghermandi,
questa volta è toccato al fumettista le difficoltà e i successi di una vita comunque possibile, anche se
Andrea Bruno condurre un
laboratorio a cui hanno partecipato complicata. E, senza cedere a facinove utenti del centro diurno
li buonismi, parla anche del senso
Rondine gestito
di colpa che l’accompagna fin daldalla cooperativa la nascita della figlia. Innanzitutsociale Società
to verso il marito Paolo, poi verso
dolce. Una serie
l’altra figlia Giulia, che «aspettadi fotografie
va una sorellina con cui giocare,
(da qui il titolo
una compagna di vita, una Emma
dell’opera) sono
tutta da scoprire, ma non certo
state lo spunto
di partenza del
una bambina che le avrebbe tolto
lavoro. Il risultato all’improvviso gli occhi di tutti».
è un volume di più di 90 pagine
E, infine, verso Emma, «non tanche racconta mondi fantasiosi e
to per averla generata con la sinpersonaggi irreali grazie anche al
drome di Down, non solo almeno;
sostegno di stamperia e galleria
piuttosto per non essere pronta,
d’arte Squadro, libreria Modo
per non essere abbastanza, per
Infoshop e associazione culturale
Hamelin. [M.T.]
non essere all’altezza».
Spietatamente sincero, e per
questo particolarmente interessante, il libro parla anche del
rapporto fortissimo tra madre e
figlia, nata con un grosso zaino
sulle spalle da portare. «La sindrome non è un dono, mia figlia è
un dono, ma per com’è lei – scriSuperAbile INAIL
Martina Fuga
Lo zaino di Emma
Mondadori Electa 2014
pagine 144, euro 14,90
ve –. Molti ne parlano come un
dono, genitori toccati dalla disabilità o che la guardano da fuori
pensando di sapere com’è. Chiediamolo ai nostri figli cosa ne
pensano e, se saranno in grado di
risponderci, la risposta forse non
ci piacerà». [E.C.]
 Libri 
Una vita in
mezzo
ai “matti”
n ospedale psichiatrico co-
U
Joachim Meyerhoff
Quando tutto
tornerà a essere
come non è
mai stato
Marsilio 2015
pagine 324, euro 19
32 Luglio 2015
me casa. Un’infanzia vissuta in mezzo a 1.500 malati
psichici, minorati mentali e fisici
chiamati affettuosamente e spietatamente «idioti, squilibrati o
pazzi. Ma anche scemi, ebeti, citrulli, rinco, minchio e spasti»,
o semplicemente «dementini».
Racconta la vita di Josse, cresciuto all’interno dell’istituto di
Scheswing, nel nord della Germania, il volume Quando tutto
tornerà a essere come non è mai
stato, edito da Marsilio. Con ironia il romanzo narra la stramba
quotidianità della sua famiglia
che vive in un’area del complesso
psichiatrico, di cui il papà di Josse è direttore. E così nel ménage
familiare entrano a far parte anche i pazienti, ognuno con la sua
mania e il suo grado di follia. In
questa insolita normalità il protagonista cresce imparando, come vuole suo padre, a trovare la
bellezza ovunque, anche nelle
grida notturne dei malati: «Amavo quell’urlio, quella partitura di
voci notturne – scrive –. Quando
dormivo altrove provavo una terribile nostalgia delle grida e delle
urla tranquillizzanti dei malati».
Esordio narrativo dell’attore tedesco Joachim Meyehoff, il romanzo
è in parte autobiografico, perché
come l’autore fa dire a Josse «inventare significa ricordare». Dopo il successo in Germania, dove
è stato un vero e proprio caso letterario, il libro è finalmente uscito anche in Italia. [E.C.]
 Libri 
L’educazione
sessuale di
un figlio autistico
Kate E. Reynolds
Sessualità e
autismo. Guida per
genitori, caregiver
e educatori
Erickson 2014
pagine 190, euro 21
[Antonella Patete]
Le avventure di una ragazza
Down in formato comics
 RAGAZZI 
A due anni di distanza dal primo
numero della collana “Tengo
capacidad, tengo derechos”, è stato
pubblicato Super Char y sus amigos.
El experimento de ciencias, storia
l giaguaro che perde il pelo e, a fumetti ideata dall’associazione
Down España per rafforzare la
insieme a esso, le macchie del consapevolezza delle persone con
manto. Il coniglio che ha paura Trisomia 21 sui propri diritti. Scritto
di tutto ed è stufo di convivere con e illustrato in modo accessibile, il
questo eterno terrore. La lucerto- volume è stato pensato anche per
la che ha perso per la terza volta la sensibilizzare gli studenti spagnoli.
coda e non la vede ricrescere. So- Questa la trama: Claudia,
no questi alcuni dei protagonisti adolescente con la sindrome di
di Insieme più speciali, albo scritto Down, ama cantare, ballare e
studiare; complice la sua passione
da Beatrice Masini e illustrato da per la scienza, partecipa a un
Annalisa Beghelli per le edizioni concorso scolastico con il suo
Carthusia. Realizzato con la fon- compagno di classe César, poco
dazione Telethon, il volume nasce incline ad ascoltarla e convinto
per sostenere la ricerca scientifica di poter realizzare il progetto da
sulla cura della malattie genetiche solo. Ma a fargli cambiare idea
rare, ma anche per sensibilizzare sarà una proposta di Claudia, tanto
quanto efficace, che
l’opinione pubblica sulla situazio- fantasiosa
sorprenderà pure la giuria. [M.T.]
L’importanza
di stare insieme
K
ate Reynolds vive nel Regno Unito e ha due figli, di
cui uno con una forma grave di autismo. È infermiera specializzata e formatrice sui temi
della salute sessuale ma, soprattutto, ha da poco pubblicato per
Erickson un volume rivolto a genitori e operatori che si occupano
quotidianamente di persone con
difficoltà severe. Sessualità e autismo. Guida per genitori, caregiver
e educatori, curato nell’edizione italiana dalla psicoterapeuta Flavia Caretto, è innanzitutto
un manuale pratico che affronta il discorso di cosa e come insegnare alle persone che hanno
problemi di interazione e comunicazione, insieme a compromissione intellettiva e del linguaggio.
Temi difficili per i genitori di giovani autistici, che il volume tratta
con schiettezza e rara onestà, offrendo strategie e consigli per affrontarli: spogliarsi e masturbarsi
in pubblico, cambiamenti del corpo, erronea interpretazione del
rapporto tra i sessi sono problemi
piuttosto comuni quando si parla
di autismo severo. Ovvero – spiega l’autrice – di persone che non
hanno la capacità di apprendere
per osmosi dal gruppo dei pari e
quindi necessitano di indicazioni
esplicite e dettagliate su tutto: dai
nomi delle parti anatomiche alla
comprensione della loro funzione
nel sesso, dai diversi atti sessuali e i loro esiti fino a come riconoscere e denunciare gli abusi.
I
Beatrice Masini
Annalisa Beghelli
(illustrazioni)
Insieme più
speciali
Carthusia 2014
pagine 28, euro 19,90
da 5 anni
ne di bambini che convivono con
patologie quasi sconosciute. Che
possono essere incoraggiati e sorretti con l’aiuto di tutti. Come il
giaguaro che riceverà delle nuove
macchie, fatte mescolando polline
e polverina d’ali di farfalla. È una
tinta delicata, che rischia di scomparire, ma il messaggio è chiaro:
si può fare sempre qualcosa, l’importante è restare insieme e non
scoraggiarsi. [A.P.]
SuperAbile INAIL
33 Luglio 2015
Alcuni degli scatti
di Enrico Pozzato
documentano la
partecipazione di
Orchestra invisibile
al Festival dei saperi, alla rassegna
Alfabeti differenti
di Pavia e alla kermesse Arte plurale
di Torino, presso
l’Associazione Paolo
Perduca di Tortona.
In altre occasioni
ufficiali, si è unito
alla band il clarinettista e sassofonista
Claudio Perelli,
jazzista doc.
 MUSICA/1 
Jazz senza
barriere.
Né parole
un grande gruppo jazz, a
È
struttura variabile, composto da 24 musicisti, oltre
la metà dei quali con autismo. Sembrava un’impresa utopica, invece è realtà – nonostante
il nome provi ironicamente a
smentirlo – l’Orchestra invisibile, che dall’autunno del 2005 suona ogni venerdì pomeriggio a
Cascina Rossago (Cascinarossago.net), nell’Oltrepò pavese. Lì,
dove è sorta la prima fattoria sociale italiana, disegnata specificamente sulle esigenze delle persone
con autismo, e in particolare per
quelle con gravi difficoltà psicosociali. «L’idea di base di Cascina
Rossago è quella di creare un contesto di vita tarato sulle esigenze
dei giovani adulti con autismo.
L’ambiente agricolo a differenza
di quello cittadino – fonte conti-
nua di iperstimolazione, stress,
confusione, e ulteriore isolamento – è per sua natura più stabile,
semplice, prevedibile ma comunque ricco di situazioni significative», spiegano i responsabili.
Torniamo all’aggettivo «invisibile», scelto per sottolineare una caratteristica peculiare
dell’ensemble: «La presenza di un
pubblico, anche conosciuto, turberebbe molti dei suoi componenti. Da subito, i primi musicisti
si sono resi conto della natura paradossale del loro compito: stare
insieme, in gruppo, divertendosi (non appena possibile), con
persone che, per definizione,
non potrebbero stare in gruppo, e tantomeno andare a tempo
con gli altri». Questa esperienza pionieristica e quasi incredibile viene raccontata dagli scatti
poetici del medico Enrico Pozzato – e dalle parole del batterista pop-jazz Ellade Bandini, dello
psichiatra Pierluigi Politi, anima
dell’ensemble che suona piano-
SuperAbile INAIL
34 Luglio 2015
forte e trombone, e del filosofo
Carlo Sini – nel volume fotografico Orchestra invisibile, pubblicato da Jaca Book (pagine 128,
euro 25). Il libro testimonia «la
matrice di debolezza da cui l’autismo scaturisce e insieme la pienezza di senso che questi mondi
possono raggiungere. La maggior
parte delle persone che vedrete in
queste pagine non comunica con
il linguaggio delle parole. Noi abbiamo scelto di usare le parole
con parsimonia, di ridurre al minimo la parte scritta per far parlare le immagini. Ognuno di noi,
del resto, non solo le persone con
autismo, “pensa per immagini”»,
scrive Vera Minazzi nell’introduzione.
Nel silenzio delle voci, ma non
degli strumenti, il gruppo ha già
all’attivo la registrazione di tre
cd. Il reportage di Pozzato, membro a sua volta dell’orchestra,
punteggia momenti di prova e
concerti pubblici. Ma soprattutto
restituisce ritratti, volti. [L.B.]
 musica/2 
Canto per la Polonia
in sedia
a ruote
ornare a cantare dopo un terribile incidente
T
Nella foto a fianco,
la cantante polacca
Monika Kuszynska.
Dopo l’incidente
del 2006 è tornata
a esibirsi ed è stata
scelta dal suo Paese
come rappresentante della Polonia
alla sessantesima
edizione dell’Eurovision song contest,
lo scorso 23 maggio
a Vienna.
Sotto, i Pkn durante
un concerto.
stradale. Per Monika Kuszynska, tra le artiste
più amate della Polonia, oggi questa è una battaglia vinta. La musicista, 35 anni, è stata tra i protagonisti dell’Eurovision 2015, il festival di musica
più importante d’Europa, con un’esibizione che ha
visto per la prima volta una cantante in sedia a ruote prendere parte alla manifestazione. E che per lei
ha rappresentato un vero e proprio ritorno alla vita e al successo. Kuszynska, ha esordito sulla scena
musicale nel 2000, con la rock band polacca Varius
Manx, come sostituta di Kasia Stankiewicz.
Nei due anni successivi ha pubblicato due album
di successo, Eta ed Eno. Poi nel giugno del 2006 l’episodio che le cambia la vita: mentre torna da un
concerto con alcuni membri del suo gruppo, in una
serata di pioggia, rimane coinvolta in un gravissimo incidente stradale, che le causa la paralisi degli
arti inferiori e la costringe a vivere su una sedia a
ruote. Per lei, da sempre abituata a cantare e a ballare, inizia un periodo difficile di malattia. Le lunghe
assenze dal lavoro e la difficoltà di fare i conti con la
nuova condizione di disabilità, col tempo la portano a prendere la decisione estrema di lasciare il suo
gruppo. Ma dopo un periodo di assenza nel 2012 ar-
riva l’attesa rinascita, con la pubblicazione del suo
primo album da solista e il ritorno sulla scena nazionale e internazionale. Il suo Paese l’ha scelta per
rappresentare la Polonia alla sessantesima edizione
dell’Eurovision song contest, lo scorso 23 maggio a
Vienna, con la canzone In the name of love. «Dopo
il mio incidente cantare è diventato una missione –
ha dichiarato in un’intervista –. Sono la prova che è
possibile non scoraggiarsi e vivere la vita nella maniera più piena anche quando si deve affrontare una
situazione grave». [Eleonora Camilli]
Piccoli eroi della normalità
Uniti dall’amore per la musica punk e non solo.
Si chiama Pkn (Pertti kurikan nimipaivat) la band
finlandese, rivelazione all’ultimo Eurovision festival,
la kermesse musicale più importante d’Europa. A
comporre il gruppo sono, infatti, quattro amici tutti
disabili: alcuni hanno la sindrome di Down, altri sono
autistici. Il cantante dei Pkn è Kari Aalto, mentre
Pertti Kurikka suona la chitarra, Sami Helle il basso e
Toni Valitalo la batteria. L’idea di formare una band è
nata nel 2009, all’interno di un laboratorio culturale
per persone con disabilità intellettiva. I quattro sono
così diventati amici e hanno iniziato a suonare e a
viaggiare per i locali notturni della Finlandia. Sulla
loro storia è stato realizzato anche il documentario
The punk syndrome, che racconta come la musica
li abbia aiutati a uscire da una situazione di
marginalità. [E.C.]
SuperAbile INAIL
35 Luglio 2015
RUBRICHE Inail... per saperne di più
Giuseppina Carrillo*
“Inform@bili”, per superare
il divario digitale
Insieme all’associazione Informatici senza frontiere, la Sede
Inail di Benevento ha promosso un corso per migliorare le
competenze telematiche degli assistiti. Per usare il computer
come mezzo di comunicazione e finestra aperta sul mondo
I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg
A
Benevento, lo scorso 5 maggio,
si è concluso il primo corso “Inform@bili - Abili con internet”
promosso da Inail in collaborazione
con l’associazione Informatici senza
frontiere (Isf) onlus. I risultati dell’iniziativa sono stati presentati attraverso
un video realizzato con la collaborazione dei partecipanti, che hanno
espresso il proprio giudizio sui livelli
di conoscenza informatica acquisita e
sulle possibilità aperte a ciascuno dal
corso appena concluso.
Il progetto è stato l’occasione, partendo dal miglioramento delle competenze informatiche di ciascuno, per
favorire il reinserimento sociale, mantenere il benessere psicofisico, sviluppare l’autonomia e la realizzazione
personale. Un’occasione per proporre,
attraverso un percorso d’aiuto, un’esperienza concreta, volta a superare
le barriere virtuali che impediscono
l’accesso alla comunicazione e all’informazione digitale. Accade spesso,
infatti, che gli strumenti informatici, anche forniti dall’Inail, non siano
sfruttati appieno dagli infortunati sul
lavoro per mancanza di giusti stimoli o del supporto di tutor disponibili a
percorsi didattici personalizzati.
La richiesta di arricchire le proprie
conoscenze informatiche, per utilizzare il computer come strumento di comunicazione e mezzo esplorativo del
web, è risultata essere un’esigenza tra-
sversale a tutti i soggetti coinvolti, un
gruppo disomogeneo per formazione
ed esperienze professionali, unito però dal comune interesse per il mondo
digitale, per la tecnologia quale strumento di rete sociale, per informarsi,
dialogare, per il superamento del digital divide, obiettivo comune a Inail e
Isf. Il corso – dieci giornate, per un totale di 15 ore di didattica – è stato tenuto dai soci della locale sezione di Isf,
volontari con percorsi professionali diversi (ingegneri informatici, avvocati,
psicologi, infermieri, educatori), che
hanno messo a disposizione le proprie competenze professionali ma
soprattutto una grandissima disponibilità e attenzione nei confronti deSuperAbile INAIL
36 Luglio 2015
gli altri. L’approccio flessibile dei tutor,
basato su una metodologia collaborativa e personalizzata – in un rapporto, spesso, di uno a uno – e la verifica
immediata di quanto appreso hanno permesso di adattare la lezione a
ogni corsista, personalizzando il processo di apprendimento e rendendolo
più efficace.
Gli infortunati sono stati soggetti attivi non solo del proprio percorso, ma anche di quello della persona
seduta accanto, in una forma di mutuo scambio, in un’atmosfera rilassata, in un esercizio di problem solving
alla presenza costante dei formatori.
Il corso si è svolto presso la Sede Inail
di Benevento. La sala riunioni è stata
attrezzata con postazioni pc e un supporto visivo per la didattica, che ha facilitato l’apprendimento, realizzato
attraverso il “fare”: esercitazioni pratiche, eseguite dai partecipanti e visibili
sullo schermo condiviso, per l’apprendimento delle funzioni base del computer e la navigazione in rete, per una
panoramica sui pericoli presenti sul
web, per accedere ai servizi online o
scaricare materiale di interesse.
L’avvio dello sportello virtuale lavoratori, il 16 marzo scorso, è stato l’oc-
casione per testare con successo la
capacità dei partecipanti di accedere ai servizi online Inail, in autonomia. Oltre che uno spazio formativo, il
corso è stato un’occasione per favorire esperienze aggregative e ricreative,
per una maggiore inclusione sociale e
relazionale. Nell’immediato l’iniziativa prevede una serie di “refresh” ma
permetterà, soprattutto ad alcuni corsisti, di essere in futuro formatori volontari per Isf nelle varie iniziative che
l’associazione promuove sul territorio.
* Assistente sociale della Sede Inail di Benevento
RUBRICHE Previdenza
Giorgia Di Cristofaro
Permessi 104.
Quando l’uso è improprio
Cosa è lecito e cosa non è lecito fare durante le ore destinate
all’assistenza delle persone disabili? La normativa non
prevede un elenco di attività possibili o ammesse. Ma è bene
adottare il criterio del buon senso. Da parte di tutti
L’
articolo 33 della legge 104/92 prevede che la persona con handicap
grave possa essere assistita dal familiare che ne abbia i requisiti previsti
dalla normativa. Articoli giornalistici
e sentenze della Cassazione – che recentemente si è espressa su due casi (il
4.984 del 4 marzo 2014 e l’8.784 del 30
aprile 2015) – riportano storie di persone trovate in vacanza oppure fuori
città durante i giorni di permesso. È
improprio? Cerchiamo di capirlo.
Per prima cosa consideriamo che,
disattendere quanto previsto dalle norme di tutela dell’assistenza alle
persone con disabilità è un comportamento odioso, in quanto questo impone un impegno di spesa pubblica che
tutta la collettività sopporta a tutela
esclusiva della persona disabile. Inoltre bisogna considerare che le giornate di permesso o di congedo richieste
dal lavoratore prevedono generalmente una riorganizzazione dell’attività lavorativa e spesso incombenze
più gravose per i colleghi: il riconoscimento delle agevolazioni da legge 104
comporta un vincolo morale, oltre
che giuridico, del lavoratore. La normativa non arriva a specificare esattamente i compiti o le attività che è
possibile svolgere durante le ore di
permesso. Il timore è che, al solito, per punire comportamenti poco
corretti si possa arrivare a sanzionare anche chi, invece, si compor-
ta correttamente e che questo timore
possa portare le amministrazioni e i
datori di lavoro ad adottare una condotta di verifica estrema e inquisitoria.
La legge 104 nasce per promuovere e tutelare la piena integrazione della persona con disabilità nella società
e nel mondo del lavoro attraverso l’adozione di misure necessarie che passano anche per il diritto all’assistenza.
La natura di questa agevolazione non
prevede che l’assistenza sia erogata espressamente per accudire fisicamente la persona: essa, infatti, può
esplicitarsi anche in attività che sono di aiuto o di supporto alla persona con
disabilità, come per
esempio l’acquisto
SuperAbile INAIL
37 Luglio 2015
di un medicinale, il pagamento di una
bolletta o altro. La normativa non prevede neanche che, durante le ore di assistenza, il familiare debba rimanere a
contatto con la persona da assistere e,
certamente, non vi è un elenco di attività possibili o lecite.
Crediamo che assistere quotidianamente una persona con disabilità gra-
ve sia un compito gravoso, non solo
per la fatica fisica che questo comporta, ma anche per la fatica psicologica
di trovarsi accanto una persona che
spesso dipende completamente da chi
l’assiste. Inoltre le ore di permesso e
le agevolazioni lavorative in generale
non sono certamente sufficienti a prestare un’assistenza adeguata, soprattutto nei casi più gravi. In sostanza,
crediamo non rientri in un comportamento contro la norma pensare che,
durante le ore di permesso 104 o durante i giorni di congedo straordinario, il familiare che assiste possa poter
utilizzare detto tempo anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza a una
persona con grave handicap comporta, ma siamo anche dell’idea che non
debba essere possibile stravolgere la natura dell’impianto normativo.
Altro aspetto da considerare
è che, le ore di permesso devono
sempre essere rapportate a quelle
lavorative e che, quindi, l’eventuale giudizio di adeguatezza o inadeguatezza nell’utilizzo delle ore
di permesso, in orario differente da quello lavorativo, non debba
poter essere oggetto di giudizio. In
estrema sintesi, riteniamo che recarsi
a fare attività diciamo “normali” come fare la spesa, pagare le bollette o
espletare servizi simili, non possa essere oggetto di valutazioni da parte di
chicchessia.
RUBRICHE Senza barriere
Daniela Orlandi
Per un edificio accessibile
e inclusivo: ecco il decalogo
Per progettare senza discriminare bisogna attenersi
ad alcune regole fondamentali che rendono gli spazi
fruibili da tutti, senza fare differenze tra persone disabili
e non. E senza dimenticare le limitazioni sensoriali
L’
Italia è il quinto Paese al mondo a mettere a punto una regolamentazione sulla progettazione
senza barriere architettoniche, benché la percezione che si ha oggi delle città, degli edifici e degli spazi in
generale, induca a pensare che la cultura dell’inclusione sia ancora tutta
da conquistare anche nel campo della progettazione edilizia. Uno spazio
può, infatti, avere elementi che discriminano gli individui, cioè chi vive e
chi non vive una disabilità, e in un
luogo pubblico questo non è ammesso
dalle normative vigenti, dalla Costituzione italiana fino alla legge di ratifica
della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Senza nulla togliere alle normative esistenti, se
applicate, vediamo quali dovrebbe-
ro essere le best practice da adottare
per una progettazione inclusiva. Applicando alcuni concetti relativi alle
pari opportunità e alla non discriminazione abbiamo stilato un ipotetico
decalogo.
Un edificio, uno spazio, per essere accessibile e inclusivo, deve in primis
rispondere a criteri di accessibilità fisica, evitando progettazioni che
presentino ostacoli alla mobilità come gradini, dislivelli, spazi ristretti e ogni condizione di pericolo. Deve
poi rispondere a criteri di accessibilità sensoriale, ovvero evitare tutti quegli ostacoli che impediscono la
riconoscibilità dei luoghi e l’orientamento, e a criteri di accessibilità alla
comunicazione. In questo caso vanSuperAbile INAIL
38 Luglio 2015
no evitati elementi che non permettono l’accesso alle informazioni e
alla comunicazione per persone non
vedenti e ipovedenti, sorde e ipoudenti. Opportuno sarebbe anche avere un unico ingresso accessibile per
tutti, subito riconoscibile e comodo
– senza distinzioni tra persone disabili e non, genitori con bambini, chi
fa uso di passeggini e non –, e avere
percorsi di collegamento comuni per
tutti. Uno o più percorsi privi di ostacoli utilizzabili da tutti, indifferentemente, così come l’ascensore o altri
sistemi per superare i dislivelli vanno
nella direzione di un edificio inclusivo. Tra gli altri elementi utili, un edificio inclusivo dovrebbe avere servizi
integrati, razionalmente distribuiti e
pensati per un pubblico diversificato. I servizi, gli impianti o le attrezzature devono soddisfare un’utenza
che sia la più ampia possibile. I servizi igienici accessibili vanno integrati
agli altri e non separati. Evitare fonti
di disagio come percorrere lunghe distanze è auspicabile. Vanno previsti,
nel caso, servizi di mobilità alternativa per persone con limitazioni motorie. Una segnaletica multisensoriale,
leggibile da un’utenza più ampia possibile, per facilitare l’individuazione
di luoghi e funzioni; una progettazione intelligente in caso di emergenza e nelle procedure di evacuazione;
una gestione inclusiva di spazi e servizi, dato che l’inclusione si misura non
solo sugli spazi ma sulle modalità di
erogazione dei servizi, completano il
decalogo dell’edificio “inclusivo” e accessibile.
Ciò che rende un edificio inclusivo
e accessibile, insomma, lo si può ben
comprendere da queste poche indicazioni, necessariamente sintetiche, ma
chi intende progettare senza discriminare non dovrebbe farne a meno.
l’ESPERTO RISPONDE
numero verde 800/810810
Scuola
Ho un problema relativo alla
somministrazione di farmaci in orario
scolastico nella scuola comunale
dell’infanzia e sto cercando di
entrare in contatto con persone
che si volessero unire a me per
portare avanti un progetto volto al
raggiungimento di un traguardo
così importante. Nel frattempo sarei
lieto di ricevere riferimenti giuridici e
normativi sul tema.
Occhiello
n riferimento al suo quesito la informiamo che in base alle “Linee-guida per la
somministrazione di farmaci in orario
scolastico” predisposte congiuntamente
dai ministeri dell’Istruzione e della Salute,
trasmesse con la nota n. 2.312 del 25 novembre 2005 del ministero dell’Istruzione, i genitori devono inoltrare istanza al dirigente
scolastico, accompagnata da una prescrizione del medico curante.
Altro riferimento importante è la sentenza incidentale n. 2.779 del 2002 del Tribunale del lavoro di Roma: essa ha stabilito
che un alunno riconosciuto in situazione
di handicap grave, a causa di un’allergia
che si manifesta in modo improvviso e imprevedibile, ha diritto ad avere, per tutta la
durata delle lezioni, l’assistenza
di un infermiere dell’Asl in
grado di riconoscere i sintomi dell’allergia e prevenire, con l’immediata
somministrazione di farmaci, gravi rischi alla salute. Recentemente il Tar
della Sardegna con la
sentenza del 22 giugno 2011 n. 1.028 (depositata il 21 ottobre 2011) ha
condannato il ministe-
I
ro dell’Istruzione e il dirigente scolastico
di una scuola dell’infanzia frequentata da
un bambino autistico con crisi epilettiche,
perché durante l’anno scolastico era rimasto a casa con la motivazione che nessuno
nella scuola poteva somministrargli i farmaci di cui ha bisogno in caso di una crisi.
Sottolineando che il pieno diritto all’istruzione e all’integrazione scolastica dei
disabili, oltre che sul piano dei diritti costituzionali, si ritrova scolpito nella legislazione ordinaria, in particolare all’articolo
12, commi 2, 3 e 4, della legge n. 104/1992, la
sentenza cita le “Linee-guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico”.
Nel dettare le direttive nei confronti degli organi scolastici e delle
strutture del servizio sanitario,
le Linee guida, prevedono che
sia il dirigente scolastico, a seguito della richiesta dei genitori
dell’alunno disabile, a verificare la disponibilità degli operatori scolastici in servizio,
altrimenti devono procedere «all’individuazione di altri soggetti istituzionali del
territorio con i quali stipulare
accordi e convenzioni».
Turismo
Coordino le attività del tempo libero
di un grande centro residenziale della
Calabria che si occupa di persone con
disabilità. Nel mese di settembre,
vorremmo proporre soggiorni al mare
oppure in montagna, suddividendo i
nostri ospiti per tipologie di esigenze.
Alcuni ragazzi sono non vedenti, altri
adulti hanno problemi di autismo,
altri ancora hanno difficoltà motorie.
Potete darmi consigli utili?
Occhiello
avigando il portale Viaggiaredisabili.
com potrà consultare il catalogo “Viaggiare disabili 2015” con informazioni sulle
condizioni di accessibilità di strutture ricettive, luoghi della ristorazione e siti di interesse culturale, presenti sia in Italia che nella
Repubblica di San Marino. La descrizione di
ciascuna struttura è accompagnata da indicazioni sintetiche sull’accessibilità.
Per i vostri ospiti con limitazioni visive, segnaliamo invece il Centro “Le Torri”
Centroletorri.it) di Tirrenia e l’Eos Hotel
(Vestashotels.it/hotel_eos/ita/home.htm)
di Lecce. Entrambe le strutture dispongo-
N
SuperAbile INAIL
39 Luglio 2015
no di accorgimenti per le esigenze di tale
clientela: semplicità e riconoscibilità dei
percorsi, facilità di utilizzo delle singole unità ambientali, impiego di particolari
impianti tecnici di segnalazione e sicurezza, mappe visivo tattili.
Di interesse per le persone con autismo
è, infine, il progetto “Autismo Friendly
Beach”, grazie al quale località come Rimini, Riccione, Misano Adriatico e, da
quest’anno, Ravenna si sono adeguate con
servizi ad hoc all’accoglienza verso questo
tipo di disabilità. Per info: Riminiautismo.
it/it/friendly-beach.php.
Miscellanea
sul web Radio Cucciola, la voce di Patrizia
D
ue ore al giorno di trasmissione (fino a ottobre
dalle 21 alle 23, poi dalle 17
alle 19) con tanta musica.
Italiana il lunedì e mercoledì,
napoletana il martedì e giovedì, mentre al venerdì tocca
al liscio. Ai microfoni di Radio
Cucciola Patrizia Ruggiero di
Campobasso, non vedente,
con una grande passione per
il canto e la musica e con precedenti esperienze in alcune
radio locali della Campania.
Nata da oltre un anno, la
web radio è in continua
crescita, con un palinsesto
fatto anche di poesie (altro
grande amore della sua
promotrice insieme agli
animali) e canzoni per
bambini. Patrizia riesce a
trasmettere grazie al suo pc
dotato di un programma di
sintesi vocale. Per ascoltarla,
basta digitare Radiocucciola.
listen2myradio.com; è
possibile richiedere un brano
via Skype a cucciola.1975
oppure mandando un sms
al 380/3066637, mentre per
inviare un commento c’è la
pagina Facebook. [M.T.]
che impresa Arnia srl
P
indirizzo: corso Amedeo 9
57125 Livorno
tel.: 091/6520067
e-mail: [email protected]
formazione e orientamento:
[email protected]
sito web: Arniapeople.com
tipo: società a responsabilità
limitata
anno di nascita: 2014 (start up)
fatturato: non ancora
presentato il primo bilancio
sociale
soci: 4
ragazzi in formazione: 12
romuovere e favorire l’inserimento delle persone
autistiche nel mondo del lavoro attraverso la formazione
nel settore informatico. È questo l’obiettivo di Arnia - Social
innovation company, un’azienda toscana nata meno di
un anno fa da un laboratorio
sperimentale sostenuto prima
dall’associazione Autismo
Livorno e poi anche dall’Asl,
ora attiva nel campo dei sevizi di data entry, file system
management e content management.
A dar vita alla società sono
stati quattro professionisti
– Leonilde Oliviero, Matteo
D’Alesio, Beatrice Fioriti
e Fabio Franciosi –, due
provenienti dall’area tecnicoingegneristica e due dall’area
SuperAbile INAIL
rally Gilles, il primo pilota tetraplegico
a correre la Parigi-Capo Nord
Q
uarantasei anni, francese, Gilles Bargoin è il primo
tetraplegico che correrà i 12mila chilometri della ParigiCapo Nord. Mentre gli altri concorrenti gareggeranno allo
storico rally in auto, lui, in compagnia della sua amica Amélie,
si sposterà con un furgone adattato, il suo Mercedes Sprinter,
che lo accompagna ormai da un decennio. Due joystick
sostituiscono acceleratore, freno e frizione, e c’è pure la
possibilità di dormire. La competizione, che si terrà in agosto, è
la sfida perfetta per Gilles, appassionato di fotografia e viaggi.
«Queste avventure mi fanno
per un attimo dimenticare
il mio handicap, potendo
contemporaneamente
coltivare i miei hobby. Voglio
dimostrare che la vita non
si ferma alla sedia a ruote
e che la disabilità non è un
ostacolo alla libertà e neanche
sinonimo di esclusione», ha
commentato. [M.T.]
educativa-psicologica, ma
tutti «con alle spalle un’esperienza occupazionale o
familiare a diretto contatto
con i disturbi che rientrano
nello spettro autistico»,
spiega Leonilde, responsabile tecnico e commerciale
di Arnia nonché sorella di
Giacomo, un ragazzo con au-
40 Luglio 2015
tismo. «Attualmente stiamo
formando dodici giovani,
tutti maggiorenni e sotto i
30 anni, con la speranza di
poterne assumere uno o due
entro fine 2015. Lavoriamo sul
potenziamento delle competenze del singolo sia per
quanto riguarda l’uso del pc
sia per quello che concerne la
capacità di interazione sociale
– continua –. L’altra strada
che stiamo intraprendendo è
quella di diventare una sorta
di tramite tra enti e aziende
per avviare, in collaborazione
con l’Asl di Livorno, tirocini
formativi o altre forme d’inserimento professionale dei
ragazzi autistici». Il motto di
Arnia? «A fianco del tuo business, con un valore in più».
[M.T.]
sogni Ecco Madeline, l’aspirante modella Down
Arriva l’estate,
ritorna l’incubo
(del genitore)
A
H
a lunghi capelli rossi,
gli occhi azzurri, la
sindrome di Down e,
a quasi 19 anni, vuole
diventare una modella.
Per realizzare questo
suo sogno Madeline
Stuart, che vive a
Brisbane, in Australia, sta
lavorando sodo da oltre
un anno. Ha già messo
in piedi un’accattivante
pagina Facebook per
sponsorizzare se stessa,
ma soprattutto ha
stravolto il suo stile di
vita: cibo sano e sport per
sei giorni a settimana,
facendo cricket,
ginnastica, basket,
nuoto, danza moderna
e cheer leading. Una
formula vincente che le
ha permesso di battere
il sovrappeso, spesso
molto frequente nelle
persone con Trisomia
21, e di raggiungere,
divertendosi, una
silhouette davvero
invidiabile: appena 46
chili.
«A Maddy è sempre
piaciuto essere notata,
sentirsi bella, mettersi
in posa per le foto», ha
raccontato mamma
Rosanne. Ma dietro la
voglia di apparire, e di
mostrarsi femminile e
sexy, c’è di più: l’obiettivo
è quello di usare la
propria immagine «per
ribaltare gli stereotipi che
aleggiano intorno alle
persone con la sindrome
di Down», ha commentato
la stessa Madeline alla
stampa locale. Come
dire: la bellezza ha
mille volti. Sforzi che
cominciano a essere
premiati, visto l’inizio di
una collaborazione con
il brand d’abbigliamento
giovane Living Dead.
[M.T.]
SuperAbile INAIL
41 Luglio 2015
lcuni esseri marziani
vivono l’estate come
un incubo. Per i più vecchi
le città canicolari sono
l’anticamera del purgatorio; percorribili solo nelle
prime ore del mattino, ma irrespirabili nelle
notti desolate di chi gode dei condizionatori
la parte peggiore, quella rumorosa soffiata di
vento bollente che è il prezzo della climatizzazione di chi sta dall’altra parte delle finestre
sigillate. Evidentemente non si possono passare le giornate intere nei centri commerciali,
o negli uffici postali dove almeno fa fresco,
ma dopo un po’ su chi non spende e chi non
ha nulla da chiedere allo sportello cala la nube
vergognosa del diversamente vacanziero,
estrema condizione del reietto d’estate.
Una condizione simile la vive chi ha in
casa un figlio disabile, ancora in età scolare.
Le mattine diventano eterne, la routine che
per lo meno dava una scansione accettabile
al tempo si è interrotta. Non c’è pulmino
giallo, non ci sono compagni, non ci sono
insegnanti, nel bene o nel male persone con
cui si costruisce una parvenza di socialità. Ci
sono i soggiorni estivi, ma non sempre sono
per tutti, non sempre sono adeguati alle
singole esigenze, soprattutto nessuno coprirà
due mesi e mezzo interminabili di città già
infrequentabili per chi cammina con le sue
gambe o con l’uso autonomo della sua testa.
Qualcuno pensa forse che l’estate sia una
benedizione per chi ha come tetto il cielo
stellato, o per lo meno quello che si frappone
di gassoso, pulviscolare o cementizio tra noi
e le stelle. Non ci scommetterei. L’asfalto si
squaglia come lava di un vulcano, la notte
non arriva mai e il tempo della sopravvivenza
si dilata in maniera insopportabile per chi
aspetta un po’ di buio per aprire i suoi fagotti
e costruirsi una bara di cartoni. Per tutti gli
altri sono selfie a volontà, tanto per fare
invidia agli amici.
Miscellanea
sfide d’oltralpe Cinema accessibili, in Francia il sogno di un attore autistico diventa spot
L
Sopra, l’attore francese con autismo Stéphane
Guérin, protagonista del video Dans le rôle de
a cosa più difficile? Essere se stessi e
andare a vedere un film. Soprattutto
se la propria disabilità è un disturbo
del comportamento. A sensibilizzare
sul tema ci ha pensato Ciné-ma
différence, un’associazione francese che
lavora per l’inclusione delle persone
disabili nei luoghi della cultura e
dell’intrattenimento, grazie al video
Dans le rôle de (su Youtube). La trama?
Ludovic – interpretato da Stéphane
Guérin, un attore autistico del gruppo
Théâtre du Cristal, una compagnia che
lavora con persone disabili – riesce a
calarsi in mille parti diverse, ma il ruolo
più difficile resta quello della sua realtà
quotidiana: nessun riflettore, solo gli
sguardi di chi lo circonda e lo trova
“strano” o “diverso”. Ciné-ma différence
si batte per avere sale cinematografiche
SuperAbile INAIL
42 Luglio 2015
accessibili. L’obiettivo è quello di
«permettere a tutti gli spettatori, quali
che siano le loro difficoltà e la loro
maniera di esprimere le emozioni, di
andare al cinema con la famiglia, e non
a proiezioni dedicate, senza la paura di
disturbare o del giudizio degli altri», si
legge sul sito dell’associazione. Come?
Basta informare i presenti in sala.
In Italia è successo a Parma, il
23 maggio scorso, grazie a una
proiezione “autism friendly” voluta
dall’Ausl e messa in pratica al cinema
Edison: luci non completamente spente,
suoni leggermente più bassi, possibilità
di muoversi liberamente e di portare
cibo da casa durante la proiezione
pomeridiana de Le vacanze del piccolo
Nicolas, per la regia di Laurent Tirard.
[Hélène D’Angelo]
qualità
“La salute della società dipende dalla
delle
che essa riceve”
informazioni
Walter Lippmann, giornalista
UFFICIO STAMPA
RESPONSABILE
VALERIA PIATTI
TEL 06 54872533
FAX 06 54873201
EMAIL [email protected]
PER
IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano
SUPPLEMENTO AL NUMERO SETTE, LUGLIO 2015
Quando il cibo dà gusto alla vita
Dai campi alle cucine 25 storie di reinserimento sociale e lavorativo
Agenda appuntamenti INAIL è un servizio che permette all'utenza
di prendere appuntamento presso la Sede territoriale di competenza
con i funzionari Inail di back office.
è un servizio utile per trattare argomenti delle aree Aziende e Lavoratori
su specifici temi riferiti alla gestione del Rapporto Assicurativo e alla
gestione degli Infortuni e Malattie Professionali.
è un servizio facile e veloce che può essere richiesto attraverso i canali:
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EDITORIALE
di Giovanni Paura
Direttore Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, Inail
Quando l’inclusione avviene in cucina.
Storie di cibo come si deve
C
ibo come nutrimento e come energia vitale. Il tema di Expo 2015 intercetta una delle tendenze più travolgenti degli
ultimi anni: l’alimentazione nelle sue mille e diverse facce
diventa, come mai prima d’ora, catalizzatore di creatività,
stili di vita, sfide d’impresa e, talvolta, vera e propria scelta
di campo. Ma anche
un’opportunità reale C’è qualcosa in comune
di aggregazione e di
integrazione, al di là in queste “imprese”, che va
della vulgata televisi- al di là dello stile, la logica,
va che ha fatto dello
lo spirito di ogni singolo locale
chef la versione più aggiornata del self-made man e della carriera ai fornelli l’ultima e attività: la convinzione
possibilità di rimettere in moto l’ascenso- che tutto gira intorno
re sociale ormai bloccato da alcuni decenni.
Nella società che strizza l’occhio ai sempre alla qualità dell’offerta
più numerosi orti urbani, allo street food come sinonimo di socialità low cost e a basso
impatto ambientale, all’autoproduzione casalinga di pagnotte e conserve, noi ci siamo interrogati sul valore dell’agricoltura e della ristorazione come strumento di reinserimento
sociale e lavorativo per i nostri infortunati.
Un lavoro iniziato in tempi non sospetti nelle Sedi e nelle Direzioni regionali, dove coraggiose assistenti sociali ed équipe multidisciplinari si sono prese la briga di proporre agli
assistiti percorsi fuori dagli schemi. È il caso della Sede Inail di Grosseto, che nel 2004 ha
attivato un corso di apicoltura i cui frutti, oltre dieci anni dopo, sono ancora chiaramente
visibili nelle vite degli infortunati coinvolti. Ma le esperienze dell’Istituto non si fermano
qui: dai “racconti di cucina” siciliani ai trattori adattati, dai cuochi amatoriali ai professionisti del settore, sono tante le esperienze che presentiamo ai lettori nelle pagine che seguono. Una raccolta di storie, insomma, di chi ha ritrovato la voglia di vivere in cucina, in
sala o nei campi.
Come sempre, la nostra rivista allarga lo sguardo ben oltre casa Inail e la disabilità da lavoro. E così in questa appassionante ricerca in giro per l’Italia abbiamo incontrato tante
testimonianze diverse. Che riguardavano anche disabilità differenti da quelle motorie e
forme di impresa “altra”, ma non per questo meno sostenibile, competitiva, attraente per
una clientela più vasta di quella dei soli operatori sociali, familiari e addetti ai lavori. C’è
qualcosa in comune in queste “imprese”, che va al di là dello stile, la logica, lo spirito di
ogni singolo locale e attività: la convinzione che tutto gira intorno alla qualità dell’offerta.
Ovvero cibo buono e sano in grado di raccontare una storia: quella delle tante persone che
lo hanno prodotto, cucinato e servito. Noi abbiamo voluto mostrarvi i loro volti.
SuperAbile INAIL
3 supplemento Luglio 2015
SuperAbile Inail
Anno IV - supplemento al numero
sette, luglio 2015
Sommario
Direttore: Giovanni Paura
In redazione: Antonella Patete,
Laura Badaracchi e Diego Marsicano
Direttore responsabile:
Stefano Trasatti
3
Hanno collaborato: Eleonora
Camilli, Carla Chiaramoni,
Hélène D’Angelo, Giorgia Gay,
Sara Mannocci, Elena Parasiliti,
Laura Pasotti, Elisabetta Proietti,
Antonio Storto, Serena Termini,
Michela Trigari (Redattore Sociale);
Ilaria Cannella, Cristina Cianotti,
Francesca Iardino, Monica Marini,
Maria Pedroli (Inail).
editoriale
Quando l’inclusione avviene
in cucina. Storie di cibo
come si deve
di Giovanni Paura
CON INAIL
AI FORNELLI DOPO L’INFORTUNIO
8 Come le api salvano il mondo.
E aiutano a superare il trauma
di Antonella Patete
14 Con “Racconti di cucina”
a Palermo nuovi chef crescono
di Serena Termini
17“CucinAbile”: un progetto
targato Inail Umbria
di Elisabetta Proietti
18 Antonio Lanzetta:
«In cucina sono rinato»
di Laura Badaracchi
18 Luciano Conforti: «Sul mio trattore
mi sento bene»
di Laura Pasotti
Progetto grafico:
Giulio Sansonetti
Editore: Istituto Nazionale
per l’Assicurazione contro
gli Infortuni sul Lavoro
Redazione: SuperAbile Inail
c/o agenzia di stampa Redattore
Sociale
Piazza Cavour 17 - 00193 Roma
e-mail: [email protected]
Stampa: Tipografia Inail
Via Boncompagni 41 - 20139 Milano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma numero 45 del 13/2/2012
Un ringraziamento particolare
alle assistenti sociali Inail delle
Direzioni regionali e delle Sedi
territoriali, che hanno collaborato
alla realizzazione di questo
numero.
Grazie, per averci concesso l’uso
delle foto, a Sebastiano Bellomo
(pagg. 4, 14-16), Mariano Meini
(pagg. 4, 40-42), Vanessa Illi (pagg.
4, 47-49), Fox Life Italia (pagg.
5, 20-21), Sede regionale Inail
Umbria (pag. 17), Riccardo Venturi
(pag. 18), Fabio Moscatelli (pagg.
24-27), Caffè Basaglia (pagg. 2829), Albergo etico (pagg. 30-32),
Ristorante Dal Barba (pagg. 34-35),
Riccardo Sollini (pag. 43), XFoto
(pagg. 44-46), Marcello Terenghi
(pagg. 56-57).
In copertina: Beniamino Neri in
un ritratto di Stefano Dal Pozzolo/
Contrasto
19 Luigi, Giovanni
IN CUCINA
IL PIACERE
e gli altri:
DELLA TAVOLA
il laboratorio
di Latina
24 Trattoria
di A.P.
Articolo 14. A Roma
una sosta nel verde
INsUPERABILi
di A.P.
antonino
cannavacciuolo
28 Al Caffè Basaglia
i “matti” sono
20 Un vero Masterchef
di casa
non molla mai
di Antonio Storto
di Carla Chiaramoni
30 Tacabanda di Asti,
tutta un’altra
musica
di A.S.
SuperAbile INAIL
33 Cucina veneziana
al ristorante
Fantàsia
di Giorgia Gay
34 Dal Barba, la sfida
dei ragazzi
con autismo
di Eleonora Camilli
36 Bar Senza nome,
dove la differenza
fa tendenza
di Michela Trigari
40 Una sera a cena
alla Pecora nera
di E.C.
4 supplemento Luglio 2015
43 Ristorante Zì Nene:
dalla scuola alla
cucina con l’aiuto
dei prof
di Hélène D’Angelo
44 XFood, cucina
a centimetro zero
di Sara Mannocci
Esperienze diverse
dal pianeta food
A
INsUPERABILi
alessandra
petterini
47 Dal blog all’Expo:
nuova vita da chef
per combattere
la malattia
di C.C.
NEI CAMPI
Coltivare
e produrre
52 Al Bettolino di
Reggiolo
il basilico sa di bio
di M.T.
56 Gustolab, dove l’arte
bianca è padrona
di casa
di Elena Parasiliti
58 Non siamo
a Gomorra. La cucina
antimafia di Nco
di E.C.
61 Vecchia Orsa,
il retrogusto sociale
della birra
di M.T.
64“Capezzaia”,
la pasta fresca con
un sapore speciale
di L.B.
Il libro
qualità della vita
66 Buone ricette per
recuperare il gusto
del cibo. Nonostante
la disfagia
di C.C.
SuperAbile INAIL
ltro che pure e semplici attività
sociali. Le imprese di cui parliamo
in questo numero hanno il sapore
della professionalità con il valore aggiunto
dell’umanità. Persone disabili che hanno
saputo reinventarsi e creare occupazione
per sé, a volte anche per altri. Ingredienti:
creatività, un po’ di coraggio e tanta umiltà.
Insieme a soddisfazioni condivise con
chi decide di fare insieme a loro questo
percorso. Nei campi, nei ristoranti, negli
orti, nella cucina della propria casa, la
produzione di cibo buono e sano diventa
volano per una qualità di vita altrettanto
buona, condita di tanti ingredienti salutari.
Per questo abbiamo voluto presentare
queste 25 esperienze, intervallate da quella
del famoso chef Antonino Cannavacciuolo,
in occasione dell’Expo in corso a Milano.
Rappresentano soltanto un piccolo saggio
delle realtà presenti in Italia, in cui le
persone con disabilità trovano una chance
nel pianeta food. Passano il testimone ai
lettori, agli addetti ai lavori, a chiunque per
dire che questo stile di lavoro è possibile,
che un mondo inclusivo è già qui. Bastano
un pizzico di fantasia e un sano spirito
aziendale perché il contagio positivo dilaghi
a macchia d’olio. E perché il cibo non resti
solo una “moda” mediatica.
Buona lettura e buon appetito a tutti!
[Stefano Trasatti]
5 supplemento Luglio 2015
CON INAIL
Ai fornelli
dopo
l’infortunio
I
l cibo come nutrimento, ma anche come
piacere, convivialità, riscoperta del rapporto
con la natura e l’ambiente. Sono tante,
negli ultimi anni, le esperienze promosse
dall’Inail nel campo della ristorazione e
dell’agricoltura. Percorsi originali
di reinserimento lavorativo e sociale,
che accrescono l’autonomia e la fiducia in se
stessi. Dall’apicoltura ai laboratori di cucina,
su tutto il territorio nazionale sempre più
infortunati hanno avuto modo di scoprire nuove
passioni e impensati talenti. Riappacificandosi,
in alcuni casi, con il proprio destino. Nelle pagine
che seguono, le storie di chi ha ritrovato
la serenità. In cucina, a tavola o nei campi
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
Come le api salvano
il mondo. E aiutano
a superare il trauma
Ritrovare l’ottimismo grazie
alla passione per l’apicoltura
è possibile. Lo dimostrano le storie
di Alfio, Beniamino ed Emanuele.
Che hanno frequentato un corso
organizzato dall’Inail di Grosseto
nel 2004. E da quel momento
hanno cambiato vita
SuperAbile INAIL
D
Antonella Patete/foto Stefano Dal Pozzolo
a quando ha scoperto la passione per le arnie
e gli alveari, il “Signore delle api” non lo ferma più nessuno. Per Alfio Pappalardo, classe
1958, l’incidente sul lavoro che 30 anni fa gli
ha portato via la gamba e il padiglione auricolare sinistro, coprendogli il corpo e il volto di ustioni, è solo un ricordo lontano. Scalzato da quell’energia
vitale che lo ha sempre portato a guardare avanti e, negli ultimi dieci anni, dall’amore per le api che gli riempie ogni momento della giornata, dal mattino fino alla
sera. Sguardo mobile e sembianze da elfo, Alfio nasce
a Catania, trascorre il periodo a cavallo tra l’infanzia
8 supplemento Luglio 2015
e la giovinezza a Roma e oggi vive, insieme alla moglie Emanuela, a Petricci, una frazione di Semproniano,
sul Monte Amiata (Grosseto). Dove si dedica a tempo
pieno alle sue 75 arnie, divise in sei distinte postazioni
sparse qua e là per la montagna. Ed è proprio a partire
dalla fine che lui ama raccontare la sua storia, sorvolando rapido sulla giovinezza «scapestrata», sull’infortunio stradale a bordo del camion e sul carico di catrame
bollente che gli si è rovesciato addosso quel 17 settemA sinistra e sopra, Alfio Pappalardo alle prese
con le sue arnie sul Monte Amiata
SuperAbile INAIL
bre del 1985. Passa a volo d’uccello sulle cure che lo hanno portato fino in Brasile e sulle 250 anestesie totali che
racconta di aver subito per ricostruire il suo corpo e la
sua vita e arriva, finalmente, lì dove la sua mente rapida trova una volta per tutte la pace.
«Amo le api: mi danno calma, quiete e grande soddisfazione – dice –. Sono sempre al primo posto nei miei
pensieri. Produco miele di diverse varietà: millefiori, trifoglio, marruca, acacia, castagno. Pratico anche il
nomadismo, e a volte porto le api nei castagneti di Arcidosso». Una produzione che si può acquistare attraverso il sito Internet appositamente dedicato e, soprattutto,
nei tanti mercatini della zona che Alfio frequenta con il
9 supplemento Luglio 2015
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
suo banchetto: nelle piccole fiere di Arcidosso, Le Macchie, Santa Fiora, Manciano, Semproniano non è difficile incontrare il “Signore delle api”, come lo conoscono
ormai da queste parti. «È stata una bambina di quattro
anni a scegliere questo nome per me – racconta –. Mi
chiamava sempre in questo modo, fino a che quell’appellativo è diventato un’etichetta: ora voglio registrare il marchio».
Alfio è uno degli otto infortunati che nel 2004 hanno
frequentato il corso di apicoltura organizzato dalla Sede
Inail di Grosseto, in collaborazione con l’Anmil, l’Associazione nazionale degli invalidi sul lavoro. «L’iniziativa è nata all’interno del progetto Aristotele, promosso
nell’ambito della sperimentazione dell’articolo 24 del
decreto legislativo 38/2000, che prevedeva la possibilità
per l’Istituto di intervenire sulla formazione e il reinserimento lavorativo degli infortunati», spiega l’assistente sociale Filomena Tulipano, che ha seguito il progetto
fin dal primo momento. Accompagnando, passo dopo passo, gli assistiti che hanno scelto di trasformare
un’occasione di formazione professionale in una vera e
propria scelta di vita. «Ho sempre creduto nell’importanza dell’agricoltura sociale – prosegue –. Recuperare
il contatto con i cicli produttivi e gli elementi della natura può essere di grande aiuto dopo un infortunio. Un
beneficio che il moltiplicarsi dei momenti di socialità
rende ancora più grande: dopo il corso sono nate tante
iniziative di svago e grandi amicizie».
Dal campo di Alfio, a oltre 700 metri di altitudine,
quando il tempo è bello si vede l’Argentario. Proprio
di fronte, il Roccone dell’Albegna cattura l’occhio nella
sua corsa verso l’orizzonte. Qui Alfio accudisce le api,
aiutato dall’amico Udio. Insieme raccolgono il miele e
controllano i melari dove le api “operaie” costruiscono
i favi, le celle esagonali di cera che servono a contenere le larve di covata e a immagazzinare miele e polline.
Ma soprattutto non si stancano mai di osservare la vita
di questi straordinari insetti: come la popolazione delle
colonie varia da stagione a stagione, con quanta sollecitudine le api “costruttrici” ampliano i favi e le “nutrici”
In queste pagine, e alle pagg. 6-7, Beniamino Neri nei terreni
di Nomadelfia, comunità fondata nel dopoguerra da don Zeno
Saltini e ispirata al cristianesimo delle origini
SuperAbile INAIL
10 supplemento Luglio 2015
si prendono cura della regina. E i viaggi delle “bottinatrici”, che si allontanano dall’alveare per fare scorta di
nettare e polline e poi segnalano alle compagne la posizione del bottino, con una danza in grado di indicare
la strada e la qualità del cibo trovato.
Anche Beniamino Neri è rimasto incantato da questo
mondo misterioso. Ha solo 34 anni, ma la sua vicenda
personale è un incrocio di tante storie diverse. A partire dalla sua infanzia “straordinaria” in quel di Nomadelfia, una comunità ispirata al cristianesimo delle
origini dove non esiste la proprietà privata e non circola il denaro. Fondata nel 1948 da don Zeno Saltini
occupando l’ex campo di concentramento di Fossoli
(Modena), dopo alterne vicende, oggi la comunità è situata nel territorio del comune di Grosseto. Il padre di
Beniamino è uno dei tanti “trovatelli” del dopoguerra
che il prete di Carpi accoglie a Nomadelfia, strappandolo alla vita in orfanotrofio. E Beniamino cresce insieme
ai suoi dodici fratelli in comunità, dove frequenta l’intero corso scolastico fino al diploma di tecnico agrario.
A 16 anni perde il braccio destro al terzo medio, durante la pigiatura dell’uva, dopo la vendemmia. «Sono
stato uno stupido – dice –. Erano le dodici e mezzo
di sabato e avevo fretta. Mi aspettava la partita di calcio con la squadra di Nomadelfia, volevo sbrigarmi. Così mi sono distratto». Quella distrazione gli costa cara,
ma Beniamino è un duro e non si lascia piegare dall’angoscia. D’altra parte è tutt’altro che solo. Nei giorni che
seguono, in ospedale, ogni pomeriggio lo vengono a
trovare una ventina di persone. Lo prendono in giro,
scherzano, cercano in tutti i modi di dimostrargli che
può contare sul loro sostegno. Lui non si abbatte o, almeno, non lo dà a vedere. «Il giorno dopo l’infortunio,
mi sono fatto dare subito un quadernone e ho provato
a scrivere con la sinistra». Ma tre anni dopo fa la sua
scelta: lascia la comunità e raggiunge sua sorella a Modena. «Sono sempre stato un ribelle – spiega –. Vivere a
Nomadelfia è bellissimo, ma non l’ho scelto: l’ho subito
per il solo fatto di esserci nato. Le cose ti devono mancare per comprendere quanto sono importanti». E lui ci
ha messo tanto tempo a capire cosa significasse essere
un “nomadelfo”, perché da Modena si è spostato a Grosseto e ora, dopo 15 anni, si prepara a tornare a vivere in
comunità con una nuova consapevolezza.
Forse c’è anche lo zampino delle api in questa storia.
Dopo il corso organizzato dall’Inail, oltre dieci anni fa,
SuperAbile INAIL
11 supplemento Luglio 2015
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
ha portato le arnie proprio qui, nei campi intorno al nucleo abitato di Nomadelfia, dove le 50 famiglie della comunità si dedicano all’agricoltura, seguendo i metodi
della coltivazione naturale. «Avevamo già le api – racconta –. Le seguiva uno dei miei fratelli. Ho cominciato
così, aiutando lui. Poi ho approfondito le mie conoscenze sull’apicoltura grazie al corso, al termine del quale mi hanno dato quattro arnie. Ho avuto la fortuna di
riuscire a trovare qualcosa che mi piace davvero. E oggi posso dire di essere una persona assolutamente felice». Ritrovare il proprio posto nel mondo non è poco.
Beniamino c’è riuscito lavorando su se stesso e recuperando il contatto con la natura. «Le api mi hanno dato tanto, io cerco di ridargli indietro qualcosa – riflette
–. Perché l’ape allo stato naturale non esiste più. Io non
In queste pagine Alideo Emanuele Miatto mentre accudisce
le sue arnie ad Albinia, nei pressi di Orbetello
SuperAbile INAIL
guardo alla produzione, ma all’animale. Lascio fare loro quello che vogliono, sperando che ritrovino la vita in
natura. Non impedisco neppure la sciamatura».
La sciamatura è la formazione di una nuova colonia, guidata da una vecchia ape regina e un gruppo di operaie.
Se non indirizzato dall’uomo, lo sciame cerca il cavo di
un albero o un altro luogo protetto, come faceva nella notte dei tempi. Per un apicoltore vuol dire perdere
le proprie api, ma a Beniamino interessa in primo luogo cercare di ristabilire l’equilibrio della natura. Non è
d’accordo con lui il suo amico e collega apicoltore Alideo Miatto, che tutti chiamano Emanuele. Cinquantotto anni, originario di Orbetello, Emanuele vive ad
Albinia con la moglie Annalisa, dopo che il figlio Tommaso ha lasciato la casa dei genitori per frequentare
l’università a Firenze. È paraplegico per via di un infortunio stradale avvenuto 28 anni fa.
«Facevo il coltivatore diretto, avevo delle serre di meloni e cocomeri. Stavo andando a comprare gli anticrit-
12 supplemento Luglio 2015
togamici per disseccare le erbe infestanti. A una svolta
un camion mi è venuto addosso». Ha un bambino di 18
mesi quando lo portano all’ospedale di Siena in rianimazione. Trauma cranico, sette costole e tre vertebre
rotte, perde anche sangue dai polmoni: lo danno per
spacciato. Fortunatamente nove mesi dopo è all’Unità
spinale di Firenze e, passati altri sette mesi, di nuovo a
casa. Nel 2002 frequenta un corso di informatica di 400
ore, organizzato sempre dall’Inail di Grosseto.
«Le lezioni sono durate un anno e mezzo – ricorda –.
Quando è finito il corso ero stremato. Così quando un
amico mi ha proposto di seguire il corso di apicoltore, ho detto di no». Alla fine si lascia convincere a fare una sola lezione. Poi va anche alla seconda e, piano
piano, a tutte le altre. Quando passano dalla teoria alla pratica, Emanuele è ancora reticente. «All’inizio ci
hanno dato la maschera, i guanti e i nastri per non far
penetrare le api attraverso le gambe dei pantaloni. Ma
in dieci giorni ci siamo spogliati di tutto e, quando ho
preso finalmente in mano un telaino di covata, mi sono emozionato così tanto da capire che quella era la
mia strada».
Terminato il corso, Emanuele torna a casa con due
sciami. Fa sistemare il piccolo appezzamento di terra
che lui e sua moglie possiedono ad Albinia e colloca le
arnie a pochi centimetri dal suolo, in modo da poterle facilmente raggiungere dalla sedia a ruote. Oggi gli
sciami sono una cinquantina, produce molte varietà di
miele e vende i suoi prodotti anche all’interno delle manifestazioni eno-gastronomiche della zona. Ma il commercio è solo l’ultimo dei suoi pensieri. Al primo posto
ci sono la cura delle api e la condivisione con gli altri
di questo enorme amore. Innanzitutto con sua moglie,
il suo braccio destro Mario e il suo amico Beniamino,
ma anche con gli studenti delle scuole e con tutti coloro
che vogliono avvicinarsi a questo affascinante mondo.
Se un tempo usava lo scafandro per proteggersi dalle punture, oggi Emanuele adopera a malapena
un grembiule sottile. Come gli altri è convinto che, se
trattato bene, lo sciame non darà segni di aggressività.
Lui accudisce le api, loro sembrano comportarsi in maniera amichevole. Proseguono, noncuranti della presenza umana, le loro danze operose. Perpetuano i riti
che hanno eseguito nel corso dei millenni. Cercando
di sopravvivere, con l’aiuto dell’uomo, in quell’ambiente che l’uomo stesso, con la sua opera, ha reso inospitale per le api.
SuperAbile INAIL
13 supplemento Luglio 2015
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
Con “Racconti di cucina”
a Palermo nuovi chef crescono
Da un accordo tra l’Inail e l’Opera Don Calabria
di Trabia nasce un progetto che unisce
assistiti, ex tossicodipendenti e migranti.
E così, tra piatti siciliani e specialità etniche,
si forma una squadra
I
Serena Termini/foto Sebastiano Bellomo
nvoltini alla siciliana, anelletti al forno, cacio all’argentiera ma anche piatti etnici a base di riso, carne
e verdure. Sono alcune delle ricette realizzate da otto persone con disabilità nell’ambito della seconda
edizione del progetto “Racconti di cucina”. L’obiettivo è quello di continuare a spadellare insieme, in un
clima sereno e gioviale, mettendosi nello stesso tempo
a servizio dei 14 ragazzi ex tossicodipendenti della comunità Sant’Onofrio dell’Opera Don Calabria di Trabia e di alcuni migranti della casa famiglia adiacente.
Con questo spirito, infatti, gli aspiranti cuochi – tutti infortunati del lavoro – hanno voluto rimettersi in
gioco, chiedendo di avviare la riedizione dell’iniziativa.
Il luogo dove sorge la comunità dista pochi chilometri da Palermo ed è all’interno di una vasta area verde immersa in una bella pineta con cavalli, asini e altri
animali. Il progetto, diversamente dalla prima edizioSuperAbile INAIL
14 supplemento Luglio 2015
ne, questa volta è concentrato meno sulla narrazione e
più sulla realizzazione di ricette tradizionali. E anche in
questo caso ha la durata di tre mesi per un totale complessivo di dieci incontri.
«È interesse di tutti i partecipanti – spiega Stefania
De Luca, assistente sociale dell’Inail di Palermo – imparare a realizzare piatti tipici siciliani ma anche di altri Paesi, vista la partecipazione di due migranti della
comunità alloggio vicina. Già lo scorso anno il progetto ha dato buoni risultati perché tutti, pur con storie ed
esperienze di vita diverse, si sono sperimentati insieme, abbattendo barriere e pregiudizi. Nella prima edizione sicuramente i risultati sono andati oltre le nostre
aspettative e proprio per questo la Direzione regionaA sinistra, il pasticciere Nicola Cinà. Nella pagina precedente,
Francesco Ammirata nella cucina dell’Opera Don Calabria di Trabia.
A pag. 16, a destra, lo chef Filippo Di Leonardo, che già da due anni
era volontario nella comunità
SuperAbile INAIL
le ha deciso di riproporre il progetto per il secondo anno». Tra gli otto assistiti Inail, la cui età va dai 30 ai 55
anni, ci sono tre amputati agli arti inferiori, tre paraplegici e due persone con danni neuromotori. Prestano
il loro servizio in cucina, una volta a settimana, insieme a tre ex tossicodipendenti della comunità e due migranti. Alla fine della giornata pranzano tutti insieme
nello stile del luogo che li ospita. Il più giovane è Andrea Fantaci, 30 anni, la cui simpatia e grande spontaneità hanno fatto finora da collante per tutto il gruppo.
«Andrea ha una grande sensibilità – dice l’assistente
sociale – ed è capace di avere un pensiero gentile e affettuoso per tutti».
Lo incontriamo intento a tagliare l’aglio per la preparazione del cacio all’argentiera: grosse fette di caciocavallo panate che vengono fritte con aglio nell’olio. Il
giovane, a causa di un bruttissimo incidente stradale
avvenuto in motocicletta, ha una disabilità neuromotoria in tutta la parte sinistra del corpo e alcuni problemi di equilibrio. «Vengo con piacere in questo posto
splendido – spiega Andrea –, soprattutto perché incontro degli amici con cui posso ridere e stare in compagnia. Mi piace molto scherzare, perché così allontano
qualsiasi pensiero triste. In cucina non so fare grandi
cose, ma riesco a rendermi utile. In futuro, mi piacerebbe aprire un ristorante-pizzeria in cui stare alla cassa
per intrattenere le persone. Dopo l’incidente, avvenuto
nel 2010, a poco a poco ho perso tutti gli amici. Certo,
il momento più bello è quando si mangia tutti insieme,
condividendo quello che ognuno di noi ha saputo fare».
Giuseppe Ciresi, 48 anni e uno sguardo profondo, è la
persona più riflessiva e introspettiva del gruppo. Sposa-
to con tre figli, ex carpentiere, ha riportato una lesione midollare a livello lombare in seguito a una caduta
da una scala nel 2006, mentre stava costruendo un parcheggio sotterraneo. «I primi tempi piangevo spesso
– racconta –, amavo il mio lavoro e non ho accettato
subito la mia nuova condizione fisica. Successivamente, grazie anche all’aiuto dei miei familiari, ho deciso di
uscire dal tunnel. Essendo un appassionato di filosofia e psicologia, mi piace mettermi alla prova anche in
questo campo, che mi permette di valorizzare le relazioni». Giuseppe, infatti, è entrato in empatia con i giovani della comunità. «Ai ragazzi provo a trasmettere
il coraggio di andare avanti, soprattutto nella prospettiva di superare la paura del giudizio sociale. Cerco di
15 supplemento Luglio 2015
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
guardare la parte migliore di ogni persona senza giudicare, andando al di là di preconcetti e apparenze. L’anno scorso – aggiunge –, quando ho iniziato il progetto,
si sono risvegliati in me i profumi e i sapori della cucina tradizionale di una volta. Ogni ricetta è come uno
spartito musicale: come la melodia nasce dall’insieme
armonico delle note, così il piatto culinario viene fuori
dall’armonia giusta dei suoi ingredienti. Quello che imparo lo ripropongo poi a casa».
Tra i più grandi del gruppo c’è Franco Ammirata,
che troviamo intento a preparare gli involtini di carne
alla siciliana. Ha 57 anni e anche lui è sposato con tre
figli. Nella sua vita lavorativa faceva il camionista e, in
seguito a un incidente stradale, ha subito l’amputazione della coscia destra. «Da un po’ di tempo porto una
protesi – racconta –, ma fin da subito ho vissuto con serenità la mia nuova condizione di disabilità. Sono riuscito a non farla pesare alla famiglia. Avevo già cucinato
in passato e farlo insieme agli altri mi piace: è anche un
modo per spezzare la monotonia. Quando l’anno scorso
SuperAbile INAIL
mi avevano proposto di partecipare al laboratorio, ero
perplesso. Poi, vedendo il posto splendido e la bella comunità, mi sono ricreduto. Percepisco anche la grande
voglia di ricominciare dei ragazzi che vivono qui e ne
sto traendo un grande arricchimento».
Molto contenti di ricominciare sono anche due figure che guidano il lavoro di tutti gli altri: lo chef Filippo
Di Leonardo, che già da due anni svolge attività come
volontario nella comunità, e il pasticcere Nicola Cinà.
Filippo, 55 anni, ha perso la gamba destra a causa di un
incidente stradale. «Mi ha fatto piacere ritornare tutti insieme – dice –. Abbiamo formato una bella brigata
di cucina e tra noi c’è un’intesa forte». Nicola, 49 anni,
prima dell’infortunio che gli ha fatto perdere l’uso delle gambe, faceva già il pasticcere. «Sento di avere ancora molte energie da spendere per gli altri – spiega –. Il
progetto è la realizzazione di un desiderio che avevo da
sempre. È importante continuare anche per i ragazzi
della comunità: hanno appreso cose nuove e questo mi
riempie di soddisfazione».
16 supplemento Luglio 2015
“CucinAbile”:
un progetto
targato Inail
Umbria
Elisabetta Proietti
«
I
l mio piatto top? Gnocchi
ripieni. Quando cucino
faccio la felicità di mia
moglie e della mia famiglia».
«Nella sfida finale i nostri
stringozzi bianchi con carciofi
e salsicce hanno convinto la
giuria contro quelli all’amatriciana, in una bella serata
con tutte le famiglie». Danilo
Antonini e Massimo Cagiola
sono due dei partecipanti
ai laboratori di cucina che
la Direzione regionale Inail
Umbria ha organizzato con
grande successo.
Il cibo come prezioso strumento di convivialità e
relazione. E di ritorno nel
contesto sociale extrafamiliare dopo un evento difficile
come un infortunio sul lavoro.
Racconta tutto questo il
progetto “CucinAbile” di Inail
Umbria. Diciassette corsisti
in tutto nei due laboratori
di Perugia e Foligno, assidui
nella frequenza e arricchiti da
un’iniziativa (conclusa a novembre 2014) che ha centrato
l’obiettivo: favorire il reinse-
rimento lavorativo ma anche
quello familiare e sociale,
come tiene a rimarcare Anna
Maria Pollichieni, direttore
regionale Inail. In 16 lezioni gli
allievi hanno sperimentato ricette delle principali specialità
regionali, umbre e non solo.
«Ho imparato a cucinare e ho
capito non solo che ancora
posso essere utile, ma anche
come esserlo – dice Danilo –.
A casa ti assalgono i cattivi
pensieri; questa iniziativa mi
ha fatto tornare in mezzo alla
gente, mi ha aiutato a perdere
la paura di fare certe cose. Con
la volontà e con l’aiuto degli
altri tutto si fa». Quando gli è
stato proposto di frequentare
il laboratorio, Danilo era appena uscito dall’ospedale. Un
carrello di 35 quintali gli era
passato su una gamba. «Ho
ritrovato la forza di andare,
lentamente, con le stampelle.
Il corso ha rappresentato
una sfida, ed è stato naturale
affrontarla. Mi ha fatto benissimo».
Il progetto, che ha attivato positive dinamiche di gruppo ma
anche individuali, è stato «arricchente da vari punti di vista»
anche per Massimo Cagiola.
Che non è nuovo ai fornelli: era
pasticcere prima dell’incidente
stradale accaduto lungo il perSuperAbile INAIL
corso che lo portava al lavoro
e che gli ha reso impossibile
camminare. «Ho lanciato una
sfida allo chef – racconta –,
creando le crostatine Inail:
semplici, con marmellata, ma
al posto delle più consuete
strisce intrecciate hanno come
decorazione la scritta Inail in
pastafrolla».
Gli allievi si sono cimentati con
pasta fatta a mano, secondi
piatti, dolci, mangiando poi in
compagnia il frutto del loro
lavoro. «Volevamo tessere
una buona rete di rapporti
con i nostri assistiti e con le
loro famiglie: la cucina e la
condivisione del cibo ci sono
sembrati il luogo ideale per favorire l’incontro e lo scambio»,
afferma Maria Malatesta, responsabile dell’Ufficio attività
istituzionali della Direzione
regionale Umbria e referente
del progetto. «La ricetta più
importante che abbiamo imparato? Consiste nella volontà di
sperimentare continuamente
nuove capacità e nuovi contesti di vita», dice Barbara Tini,
funzionario socioeducativo
della Sede Inail di Perugia.
Proprio per questo il laboratorio di cucina non si ripeterà: per
i prossimi mesi Inail Umbria sta
vagliando la possibilità di realizzare un corso di teatro.
17 supplemento Luglio 2015
Diciassette corsisti nei laboratori
di Perugia e Foligno: si è conclusa
lo scorso novembre l’iniziativa
della Direzione regionale umbra
per favorire il reinserimento
sociale e lavorativo, accanto a
quello familiare.
CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio
Antonio Lanzetta:
«In cucina
sono rinato»
Laura Badaracchi/foto
Riccardo Venturi
O
gni giorno «amo sperimentare e inventare
nuove ricette, per sorprendere i miei due figli e mia
moglie Angela, che torna dal
lavoro. Cucinare, da sempre
una passione, mi dà stimoli
e impulsi nuovi per creare:
ecco perché tra una cottura
e l’altra mi dedico ai miei
quadri in mosaico, realizzati
con semi dipinti, sabbie e riso
di vari colori». Il quarantenne
Antonio Lanzetta, partenopeo
doc, dopo l’amputazione del
braccio sinistro in seguito
a un incidente sul lavoro è
uscito dalla depressione
grazie all’affetto della sua
famiglia, mettendo a frutto
una vena creativa che aveva
da sempre ma rimaneva nascosta da qualche parte della
sua mente.
Mancino, ha imparato a usare
la destra per tagliare il pane,
preparare pranzi completi
dall’antipasto al dolce, anche
se i suoi piatti preferiti restano i primi: «Una delle
ricette che amo di più sono
le cortecce alla campagnola,
mix di sapori contrastanti
e piacevolissimi al palato:
taleggio, carciofi, panna e
speck tostato. Un piatto nato
dal nulla, molto semplice, ma
che riscuote sempre grande
successo alla mia tavola,
anche nelle occasioni più
importanti. Ho aiutato amici e
parenti in molti pranzi e cene
speciali; durante il viaggio di
nozze in Tunisia, poi, mi sono
sbizzarrito con gli chef del
posto, preparando piatti tipici
italiani come i famosi spaghetti cozze e pomodori, che
hanno suscitato una reazione
entusiastica. Non mi ispira un
cuoco in particolare, ma mi
capita di guardare su Rai Uno
La prova del cuoco e ammirare lo chef Renatone, molto
simpatico e creativo».
Quel giorno dell’infortunio,
quasi undici anni fa, sembra
ormai lontano, ma le sue
conseguenze hanno cambiato
radicalmente la vita di
Antonio: era operaio presso
un’industria che produceva
conserve di pomodori, quando
per lo scoppio di una valvola
venne investito alla mano e
all’addome da un getto d’acqua
a 125 gradi. L’arto s’infetta
e l’amputazione è d’obbligo,
ma la setticemia non si ferma
SuperAbile INAIL
e Lanzetta perde il braccio.
A Striano, in provincia di
Napoli, viene seguito dall’Inail
e dai servizi sociali, che lo
sostengono nel suo percorso
di lento ritorno alla gioia di
vivere. Ora gli capita pure di
guidare laboratori artistici
e di cucina per i ragazzi che
partecipano a campi scuola
estivi. «Poter mettere a
disposizione la mia passione e
creatività mi dà la possibilità di
crescere».
All’Expo di Milano Lanzetta
è presente virtualmente
attraverso quattro suoi quadri
a mosaico, esposti fino al
31 luglio nell’ambito della
mostra di arte contemporanea
allestita alla Centrale “Taccani”
di Trezzo sull’Adda dall’Istituto
nazionale di cultura. «Un
traguardo impensabile per me
– confida –, di cui sono molto
orgoglioso e onorato».
18 supplemento Luglio 2015
Luciano Conforti:
«Sul mio trattore
mi sento bene»
Laura Pasotti
L
a sua vita è cambiata il
17 febbraio 2010. Quel
giorno Luciano Conforti,
45 anni, titolare insieme al
fratello di un’azienda agricola
a Castelraimondo in provincia
di Macerata, stava caricando
un camion di balloni di paglia.
È bastato un attimo. Un ballone è caduto e lo ha colpito.
«Da subito non ho più sentito
le gambe», dice. La moglie e
il figlio non erano lontani e i
soccorsi sono stati immediati.
Un elicottero lo ha portato
all’ospedale di Ancona,
dove è arrivata la diagnosi:
paraplegia. «Ho iniziato la
riabilitazione e dopo qualche
tempo già salivo sulla mietitrebbia, anche se con l’aiuto di
qualcuno e solo nei campi più
comodi», prosegue. L’azienda,
infatti, si divide tra gli allevamenti di vacche marchigiane
a Crispiero, a 600 metri
di altezza, e i terreni di
Castelraimondo, paesino che
si trova in una conca naturale
circondato da colline.
Ma a Luciano Conforti non
basta dedicarsi “alle carte”
e poter manovrare qualche
volta la mietitrebbia. «Volevo
salire di nuovo sul trattore»,
racconta. È il suo assistente
sociale di Macerata a parlargli del Centro protesi Inail di
Vigorso di Budrio (Bologna) e
della possibilità di adattare il
mezzo agricolo: «Così mi sono
messo in moto», aggiunge.
Conforti acquista un nuovo
trattore con il cambio auto-
Luigi, Giovanni
e gli altri:
il laboratorio
di Latina
Antonella Patete
I
matico e lo porta a Budrio: è
il dicembre 2013. Glielo restituiscono a maggio 2014. In
quei cinque mesi, i tecnici del
Centro protesi Inail personalizzano il mezzo con comandi
manuali e con un sistema di
accesso alla cabina di guida.
Sono una decina le consulenze
fatte dagli ingegneri di
Vigorso per l’adattamento dei
trattori e vari gli interventi
realizzati. «Il problema con
le persone paraplegiche è
riuscire a farle arrivare ai due
metri di altezza necessari per
entrare nella cabina di guida
– spiega Massimo Improta,
ingegnere del Centro protesi
Inail –. Il sistema studiato per
il signor Conforti gli permette
di spostarsi dalla carrozzina
a un sedile esterno collegato
al mezzo, che si solleva e
ruota del 70% una volta
raggiunta l’altezza, in modo
da consentire all’utente di
entrare nella cabina. Il sedile
poi rientra per poter chiudere
la portiera».
Questa personalizzazione
ha permesso a Luciano di
tornare al lavoro, nei campi.
«I primi mesi dopo l’incidente
sono stati duri. Speravo di
tornare a camminare, ma il
tempo passava e la speranza
diminuiva – conclude –.
Alla fine ti rassegni alla
nuova condizione. Poter
tornare sul trattore, però, è
stato importante: una bella
soddisfazione. E poi mi ci
trovo bene: il sedile è comodo,
meglio della sedia a ruote».
SuperAbile INAIL
n cucina per superare
momenti critici e bui, recuperando fiducia in se
stessi e autonomia. In altre
parole, divertirsi ai fornelli per
tornare a guardare il mondo
con occhi diversi. Questo è lo
spirito dei due laboratori di
cucina organizzati lo scorso
anno dalla Sede Inail di Latina:
un’esperienza che ha coinvolto
sette infortunati e infortunate
sul lavoro di vari livelli d’istruzione, situazioni familiari, età e
tipi di disabilità. «I corsi di cucina sono stati portati avanti
nell’ambito di un progetto
chiamato “Utile&dilettevole”
– spiega l’assistente sociale
Chiara Maria Tornatore –.
Siamo partiti dalle esigenze
di persone con problemi muscolo-scheletrici, ma in corso
d’opera abbiamo esteso la
platea dei destinatari ad assistiti paraplegici e tetraplegici.
E alla fine del corso abbiamo
realizzato un ricettario».
Una bella soddisfazione per
tutti, soprattutto per chi, più
19 supplemento Luglio 2015
degli altri, ha trovato difficile
accettare la nuova condizione.
Come Luigi (nome di fantasia),
65 anni, paraplegico dal 2012
per via di un incidente in agricoltura. Dopo il trauma, usciva
di casa solo per motivi strettamente necessari. «Questa
esperienza ha ampliato i suoi
orizzonti – prosegue l’assistente sociale –. Ha fatto
amicizia con alcuni infortunati
più giovani, a cui è riuscito a
trasmettere la propria esperienza di vita».
Diverso, ma per alcuni aspetti
simile, il caso di Giovanni (altro
nome di fantasia), 40enne in
sedia a ruote a causa di un
infortunio stradale sul tragitto
casa-lavoro. Terminato il laboratorio, ha deciso di cambiare
la sua vita: ha iniziato a cucinare anche a casa e, grazie al
sostegno dell’Inail, ha allestito
una cucina accessibile nella
propria abitazione. «È stata
un’esperienza di condivisione
– conclude Tornatore –. Molti
hanno accettato di rimettersi
in gioco, sfruttando l’opportunità di confronto offerta
dall’iniziativa. Partecipare ha
permesso non solo di affinare
e di acquisire nuove competenze, ma anche di migliorare
le capacità relazionali, trovando nuovi amici».
Insuperabili Intervista ad Antonino Cannavacciuolo
Un vero Masterchef non
S
Carla Chiaramoni/foto Fox Life Italia
e “pure tu vuoi fare lo chef”, ecco la ricetta di Antonino Cannavacciuolo: lottare per far sentire la propria “voce” e
non mollare. Un consiglio prezioso per
ogni ragazzo che vuole realizzare i suoi
desideri e ancora di più per quei giovani cuochi che, ogni giorno, devono confrontarsi con
barriere culturali e materiali e con un mercato
competitivo, di cui la ristorazione “sociale” rappresenta solo una piccolissima fetta. Il suggerimento è più che autorevole e viene da uno chef
“stellato”, che ha fatto di cuore e grande tecnica
il successo della propria arte in cucina. Una passione coltivata fin da piccolo e una professionaSuperAbile INAIL
lità conquistata con tanto impegno e altrettanta
umiltà. Cannavacciuolo ha lavorato in grandi
“tri-stellati” francesi, come l’Auberge dell’Ile di
Illerausen e il Buerehiesel di Strasburgo, e nel
Grand Hotel Quisisana di Capri sotto la direzione di Gualtiero Marchesi, fino a ottenere – nel
2003 e nel 2006 – le due stelle Michelin, oltre
all’apprezzamento unanime di critici e guide ai
ristoranti. È però amatissimo e conosciuto anche dal pubblico televisivo, soprattutto grazie al
format Cucine da incubo di cui è protagonista, e
sarà il quarto giudice nella prossima edizione di
Masterchef accanto a Carlo Cracco, Joe Bastianich e Bruno Barbieri. Il suo regno, Villa Cre-
20 supplemento Luglio 2015
molla mai
Credo fortemente che la ristorazione sociale
abbia delle grandi potenzialità e che nel tempo
non possa far altro che crescere sia dal punto
di vista economico, sia da quello gastronomico.
L’impegno sociale di questa tipologia di ristorazione è onorevole ed è bellissimo riuscire ad aiutare persone in difficoltà tramite il cibo.
La ristorazione è uno dei settori professionali più
aperti ai giovani che hanno disabilità intellettive e
Il cibo è unione, convivialità, materie
prime e prodotti che riportano
all’origine e alla semplicità di piccoli
gesti in grado di sprigionare positività.
La ristorazione è dialogo, occasione di crescita
e rivincita personale
alle persone più fragili. Perché secondo lei il cibo riesce a creare occasioni di riscatto più di altri settori?
Perché il cibo è unione, convivialità, materie
prime e prodotti che riportano all’origine e alla
semplicità di piccoli gesti in grado di sprigionare positività. La ristorazione è dialogo, occasione di crescita e rivincita personale.
La buona cucina e la solidarietà possono procedere
insieme?
spi, è un castello sul lago d’Orta (Novara), che
gestisce dal 1999 con la moglie Cinzia Primatesta, dove non smette mai di creare e stupire i
suoi ospiti, malgrado gli impegni crescenti. Impegni che non gli impediscono di guardare in altre direzioni e sostenere campagne di solidarietà.
Perché, spiega, «è bello riuscire a unire le forze
e dedicarsi anche attraverso piccoli gesti al bene
del prossimo». Un grande maestro da cui ogni
aspirante chef vorrebbe imparare.
La ristorazione sociale ha avuto in questi anni una
forte crescita e ha vinto sfide importanti, dal punto
di vista economico e gastronomico: come giudica la
potenzialità di questa piccola fetta di mercato?
Certamente. La buona cucina ha la fortuna
di essere un mezzo speciale con il quale dedicarsi alla solidarietà. Perché il cibo unisce, e cibo e solidarietà creano un connubio perfetto per
far star bene e dedicare momenti di gioia ai meno fortunati.
Da chef di grande fama quali consigli si sente di dare
a un ragazzo che ripone in questa professione la propria voglia di autonomia e successo?
Questa professione ha la fortuna di dare la
possibilità di esprimersi. Sicuramente non è facile, ma la voglia di mettersi in discussione e di
lottare per far sentire la propria voce è un requisito fondamentale se si desidera intraprendere questa strada. Non bisogna mollare, occorre
essere umili e cercare di trovare il giusto equilibrio interiore che permetta di affrontare le difficoltà, stimolati dalla voglia di crescere.
SuperAbile INAIL
21 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA
Il piacere
della tavola
C
icchetti veneziani, salumi
della Garfagnana, gnocchi
alla sorrentina e un ingrediente
in più: l’integrazione della diversità.
Da Torino a Brindisi sono tanti
i ristoranti che offrono ogni giorno
questo menù “speciale”. Nati come progetti
di inserimento lavorativo per persone
con disabilità, sono diventati nel tempo piccoli
fortini per la lotta allo stigma. Locali affermati
che resistono alla crisi, grazie anche
alla qualità dell’offerta. Viaggio nel mondo
della ristorazione inclusiva, dove persone
con disagio psichico, ragazzi con la sindrome
di Down o autismo vincono ogni giorno
la loro sfida più importante: essere autonomi
IN CUCINA Il piacere della tavola
Trattoria Articolo 14.
A Roma una sosta
nel verde
SuperAbile INAIL
24 supplemento Luglio 2015
Tutti i giorni a pranzo, e d’estate anche a cena, è possibile fare tappa all’Istituto
agrario Garibaldi. Dove un gruppo di ragazzi con autismo coltiva i campi e serve
a tavola. Accogliendo gli avventori in un piccolo casale immerso nella natura
O
Antonella Patete/foto Fabio Moscatelli
gni mattina alle dieci in
punto Angela spiega come fare la pizza. Con accuratezza della parola e
precisione del gesto, mostra come rinvenire la pasta, stenderla sulla teglia, coprirla di passata
di pomodoro. Tre ragazzi, di fronte
a lei, assorbono pensierosi ogni movimento e lo replicano con titubante intensità. Come se l’incontro con
quella materia, elastica e commestibile, fosse ogni volta causa di una
spiazzante e imprevista emozione.
Angela ha quasi 21 anni ed è autistica. Le piace fare la pizza, i biscotti e
la torta rustica, ma la sua specialità è un ineguagliabile tiramisù che,
a suo dire, tutti le invidiano. Insieme a lei, ogni giorno una quindicina di ragazzi e ragazze con autismo
si danno appuntamento all’Istituto
agrario Garibaldi, nel cuore verde
e nascosto di Roma, per un nuovo
modo di fare scuola. Unendo le attività dei campi a quelle della cucina, la fatica del lavoro agricolo al
piacere del convivio, l’esperienza
della condivisione alla scommessa
dell’autonomia.
Chi arriva per la prima volta in
questo luogo rimane piacevolmente disorientato. In fondo a una lunga
strada sterrata, oltre l’edificio scolastico, al di là del maneggio, c’è un
piccolo casale con vista su un grande campo incorniciato in lontananza dalle mura bigie della città. Qui
ha sede la cooperativa sociale GariA sinistra, e alle pagg. 22-23,
la preparazione della pizza. In alto, Michael
nei locali interni del casale. Alle pagg. 26-27,
da sinistra: Stefan, Angela e Alessandro
SuperAbile INAIL
baldi: una realtà formata da 20 soci,
di cui 13 giovani con disabilità psichica grave, alcuni genitori, un’operatrice e il preside dell’istituto, che
di questa esperienza si è fatto paladino fin dalla prima ora. «Non vogliamo essere una succursale del
manicomio, ma un luogo piacevole
e aperto alla città», spiega Maurizio
Ferraro, presidente della cooperativa e padre di Chiara, una ragazza autistica di 24 anni. Funzionario
pubblico e battagliero genitore, Ferraro è stato fin dal primo momento
tra i protagonisti di una testarda ricerca del proprio posto nel mondo
da parte di un manipolo di famiglie,
che ha deciso di dire no all’offerta di
ordinanza del sistema scolastico, sociale e sanitario.
«Abbiamo fondato l’associazione Esperantia, nove anni fa, dopo
25 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
esserci conosciuti al centro estivo
frequentato dai nostri figli – racconta–. Poi abbiamo chiesto un po’
di spazio verde all’interno del Parco
dell’Appia Antica: un luogo centrale e molto frequentato, perché siamo convinti che, quando si parla di
autismo, uno dei principali problemi da combattere sia proprio l’isolamento».
È stato in questo periodo che il
gruppo di genitori ha incontrato
il professor Franco Sapia, preside
dell’Istituto agrario Garibaldi. Che
ha subito messo a disposizione tre
ettari di terra e un casale di 180 metri quadrati all’interno della grande tenuta di pertinenza della scuola.
«Così noi abbiamo iscritto i nostri
figli in questo istituto, dove fin dal
primo momento siamo riusciti a costruire un progetto individuale intorno a ciascuno di loro». A ispirarli
è stato l’articolo 14 della legge 328
del 2000 che prevede, per ogni individuo con disabilità, un percorso
personalizzato e in grado di accompagnare le tappe principali della vita. Un principio tanto importante da
dare il nome alla trattoria Articolo
14 che, dal 2010, è aperta ogni giorno a pranzo e d’estate, su ordinazione, anche a cena. E che negli ultimi
tre anni ha ampliato le sue attività
alla ricezione turistica, ospitando
molte famiglie con un figlio autistico, ma anche ogni tipo di avventore.
Accanto all’accoglienza e alla ristorazione, procedono poi la cura e la
coltivazione della terra, i cui frutti
vengono in parte utilizzati in cucina
e in parte venduti nei mercati locali.
«Prodotti naturali, pur senza certificazione biologica», assicura Ferraro,
che i ragazzi coltivano con l’aiuto di
un peer tutor, un compagno di scuola selezionato e formato proprio per
accompagnare gli studenti con autismo nel percorso di avvicinamento
al lavoro dei campi. «Crediamo in
un orto giardino – prosegue il presidente: – spazi belli e curati dove
Il monitoraggio scientifico delle attività
e del progetto relativo ai peer tutor
è a cura del Dipartimento dei processi
di sviluppo e socializzazione
dell’Università La Sapienza di Roma
SuperAbile INAIL
26 supplemento Luglio 2015
trascorrere il tempo possa essere un
piacere».
Un piacere che all’Istituto Garibaldi gli studenti con e senza autismo condividono con i 35 “ortolani”
di quartiere, protagonisti di una
nuova iniziativa: un orto in “prestito” in cambio della “adozione” di un
ragazzo autistico. Una cosa più facile a farsi che a dirsi: «Noi gli diamo
80 metri di terra – spiega Ferraro –,
loro si impegnano a seguire uno dei
nostri giovani nell’orticoltura».
Come Michael, che da quando
ha incontrato il lavoro nei campi si
sente rinato. «In classe mi addormentavo – racconta –. Ho detto al
prof di portarmi nell’orto. Poi sono
venuto qua e ho cominciato a lavorare. Taglio la legna: mi piace, ma è
molto stancante. La sera sei morto». Michael ha un tipo di autismo
cosiddetto ad alto funzionamento.
Vuol dire che nel suo caso le caratteristiche della triade autistica sono presenti in forma più lieve. Ha
sì problemi di comunicazione, difficoltà di interazione sociale e comportamenti stereotipati e ripetitivi,
ma parla e riesce comunque ad ave-
re una buona interazione con chi si
trova davanti. È uno dei soci lavoratori della cooperativa Garibaldi e
quando ha ricevuto la prima busta
paga ha provato un’emozione incontrollabile: è rimasto attonito a fissarla e ha impiegato 20 minuti buoni
per decidersi a firmarla.
«Portiamo avanti attività modificate in base alle abilità dei ragazzi»,
spiega Orazio Russo, lo psicologo che segue i giovani nelle attività
pratiche. L’università lo ha preparato
soltanto in parte al lavoro che avrebbe svolto, al resto ci ha pensato la vita quotidiana nei terreni dell’Istituto
Garibaldi. «Modificando le attività
in funzione delle abilità, la disabilità
scompare del tutto», precisa. E così
ciascuno, se adeguatamente orientato, può dare un contributo fattivo alla coltivazione del campo e alla cura
degli spazi circostanti.
A tutti piace innaffiare e così le
aree comuni sono state adornate di
piante da palude, che hanno bisogno di tanta acqua. Siccome Alessandro ama starsene accovacciato
sulle gambe, l’obiettivo è quello di
insegnargli un compito faticoso e
di solito poco gradito, come strappare le erbacce. Lorenzo ha l’abitudine di distruggere le piante e così
gli è stato mostrato come sradicarle con la vanga, e ora si è trasformato in uno «zappatore» infaticabile.
Giorgio, invece, trasporta avanti
e indietro i sampietrini con la sua
carriola e Veronica non può lasciare
nulla in sospeso: deve portare a termine qualunque attività intraprende,
a qualunque costo. Ma quando lava
i piatti è rapida, scrupolosa e determinata: nessuno può uguagliarla.
Anche Stefan può raccogliere i bruchi in un intero campo con la precisio-
ne di un diserbante. Ha la sindrome
di Asperger, una condizione dello
spettro autistico che oggi è scomparsa dal Dsm 5, l’ultima edizione
del manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali, a favore di una
più generica definizione di autismo
ad alto funzionamento. E, al pari degli altri, frequenta poco l’aula scolastica e molto il campo.
«Sono nato in Romania, sono arrivato in Italia da piccolissimo», dice.
Ma i particolari biografici terminaSuperAbile INAIL
no qui, perché preferisce parlare
delle cose che gli stanno davvero a
cuore. Come gli ecosistemi naturali,
che costruisce con grande attenzione e sapienza. Accanto alla musica
(ha un canale su YouTube chiamato Stefardon e dedicato al mash-up,
composizioni che realizza unendo
più brani), ha una passione sfegatata
per gli animali e le piante.
Formiche, ragni, scarafaggi, grilli, specie vegetali di ogni tipo costituiscono gli abitanti casuali di
questi piccoli ecosistemi che Stefan assembla, osserva e dirige con
l’accuratezza dello scienziato e il
trasporto monodirezionale di chi
guarda al mondo seguendo le proprie inclinazioni. Tu ascolti il suo discorso intermittente e lui ti trascina
in un universo “altro”. Vedi piccoli
banchi di terra umida e arene create dall’uomo dove gli insetti vanno
a raccogliere il cibo, ma senti che il
più ti sfugge. Poi alzi gli occhi e ritrovi l’orto che il cielo di primavera
accende di un colore verde brillante.
Come il giardino di Alice nel Paese
delle meraviglie, nascosto nel corpo
grigio e livido della Città eterna.
27 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
Al Caffè Basaglia
Nato nel 2007, all’interno degli spazi che hanno
ospitato gli storici studi cinematografici Patrone,
il locale è conosciuto a Torino per il buon cibo,
la bella terrazza e i tanti incontri culturali
promossi nel corso degli anni
SuperAbile INAIL
28 supplemento Luglio 2015
U
Antonio Storto
na vociante tavolata di
adolescenti. Ordinano da
mangiare e intanto ridacchiano, discutono, si parlano addosso. Poi uno ci
ripensa e vuole gli gnocchi al posto dei fusilli, seguito a ruota da
altri due, che a quel punto non riescono più a decidersi. Finché Fabio,
il cameriere, mantenendo un certo
contegno, chiede loro di star calmi:
«Adesso parlate uno alla volta – dice –, perché io sono schizofrenico e
mi state mandando in confusione».
Loro sorridono, credono che scherzi: nessuno, evidentemente, gli ha
mai spiegato chi fosse Franco Basaglia e quel nome sull’insegna non
deve dirgli molto.
Ma al Caffè Basaglia i pazienti
psichiatrici non soltanto lavorano:
sono gli unici dello staff a percepire uno stipendio. Tutti gli altri prestano servizio in maniera del tutto
gratuita e volontaria. «Anche se l’etichetta di volontari ci va piuttosto stretta – spiega il fondatore
Ugo Zamburru –. Preferiamo essere chiamati militanti: questo è nato
come un esperimento politico, nel
senso più bello e gioioso del termine».
Zamburru, classe 1954, è uno
degli psichiatri più conosciuti e illuminati del capoluogo sabaudo. L’idea di aprire un ristorante «dove i
“matti” lavorassero gomito a gomito
con i “normali”» gli venne alla fine
degli anni Novanta. E quando, nel
2007, si liberarono i capannoni che
avevano ospitato gli storici Studios
i “matti” sono di casa
qui, sono altre: l’ampia terrazza, tra
le più belle di Torino, e il cibo squisito, come gli gnocchi alla sorrentina o la battuta di carne cruda alla
piemontese. E soprattutto gli eventi,
che spaziano dai concerti ai corsi di
ballo, fino alle serate di solidarietà
per la Cambogia o il Kurdistan. Negli anni, al Basaglia sono transitati
personaggi come l’attore e scrittore Moni Ovadia, il filosofo francese
Serge Latouche o la scrittrice argentina Taty Almeida. «In molti –
spiega lo psichiatra, con una punta
d’orgoglio – si affezionano al circoSono in pochi, in effetti, a frequen- lo, e da ospiti diventano clienti».
Nel frattempo, pazienti psichiatare il Basaglia per le connotazioni
sociali del circolo. Le vere attrattive, trici e ragazzi affetti da disagio
Pastrone, famosi per aver dato i natali al cinema muto, ecco che iniziarono i lavori per quello che oggi è
il Caffè Basaglia: un circolo Arci su
tre piani, con bar, ristorante e sala
per gli eventi, «dove i pazienti psichiatrici – continua il fondatore –
sono liberi di sperimentarsi in una
dimensione diversa da quella clinica. Qui vengono pagati per esercitare delle competenze: la pietà e
l’assistenzialismo restano fuori dalla porta. Ma proprio questo li aiuta
a recuperare fiducia in loro stessi».
SuperAbile INAIL
psichico continuano ad andare e venire: qualcuno di loro è rimasto solo per un po’, «come Nicolino, che
quando è arrivato era totalmente
chiuso in se stesso – racconta Enzo
Di Dio, custode e factotum del circolo – e dopo due anni ci ha salutati
per andare a fare lo steward sui voli Ryanair».
Per altri, come Fabio, il Caffè Basaglia è diventato una seconda casa:
«Nei giorni scorsi – racconta Zamburru – ho saputo che lui e il cuoco,
cosiddetto “normale”, faranno le vacanze estive insieme. E quando sento cose del genere, so che il nostro
esperimento sta andando proprio
come volevamo».
29 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
Tacabanda di Asti,
tutta un’altra musica
In nove anni al ristorante del patron Antonio De Benedetto sono passati oltre
50 tirocinanti con sindrome di Down o ritardo cognitivo, di cui due ormai assunti
a tempo indeterminato. Ma oggi l’obiettivo è più ambizioso: dare vita a un “Albergo
etico” dove le persone disabili possano lavorare ai piani e in cucina
U
Antonio Storto
n adolescente affetto da
sindrome di Down va a lavorare, per un breve periodo, come stagista in uno
dei più noti ristoranti della sua città. Vincendo lo scetticismo
del titolare e capo chef, ne conquista dapprima l’affetto e presto anche la stima. Alla fine il capo è così
entusiasta che decide non soltanto
di assumerlo, ma di metterne altri
alla prova. E così quel ragazzo, che
voleva soltanto che qualcuno gli insegnasse a servire ai tavoli, si ritrova a dare il via a un circolo virtuoso
che ridisegna i connotati di un’intera città.
Pare una favola postmoderna, ma
è la nuda cronaca di ciò che da nove
anni accade ad Asti, nel cuore della buona cucina piemontese. Niccolò
Vallese aveva 17 anni quando Antonio De Benedetto lo accolse nel suo
Tacabanda, celebre per aver ospitato
le cantine che ai primi del Novecento dissetavano gli artisti del vicino
teatro Alfieri, oltre che per i superbi
agnolotti d’asino e per una carta dei
vini da più di 300 etichette.
Dal 2006 a oggi, lo chef astigiano ha replicato quell’esperienza con
oltre 50 ragazzi con sindrome di
Down o ritardo cognitivo. Per farlo, ha coinvolto una rete di esercizi
commerciali che li hanno accolti in
altrettanti periodi di tirocinio. Con
l’istituto alberghiero Colline astigiane, che lo stesso Vallese frequentava all’epoca di quel primo stage, ha
inaugurato un programma didattico dedicato ai ragazzi con Trisomia
Dalla storica locanda astigiana
parte anche il progetto “Download”,
un percorso per l’indipendenza
in dieci tappe
SuperAbile INAIL
30 supplemento Luglio 2015
21, e nel frattempo ha messo a punto un percorso educativo volto alla
conquista dell’autonomia personale.
C’è voluto poco perché il progetto
virasse verso una meta più ambiziosa. Così, qualche anno fa è nata
l’idea dell’Albergo etico: una struttura turistica interamente gestita da
persone Down, nel cuore enogastronomico del Piemonte. Che in questi
giorni, dopo anni di lavoro e pianificazione, sta aprendo finalmente i
battenti.
«Quando Niccolò è arrivato qui
– ricorda Antonio De Benedetto –
nessuno di noi poteva immaginare cosa sarebbe successo. Di stagisti
ne avevamo già avuti, ma raramente mostravano entusiasmo; in più
temevamo ci mancassero gli strumenti per relazionarci alla sua disabilità. In fondo, quello doveva essere
l’ennesimo tirocinio senza grossi
sbocchi professionali». Le cose però
sono andate diversamente: «Giorno dopo giorno – continua lo chef –,
Niccolò ha smontato ogni nostro
pregiudizio. Imparava più in fretta di chiunque altro. Tre mesi dopo
aveva già appreso i rudimenti della cucina, e prendeva le ordinazioni
con un margine di errore prossimo
allo zero. E quella sua fame di imparare alla fine ci ha contagiati».
Classe 1975, astigiano doc, De Benedetto lavora nella ristorazione ormai da un quarto di secolo. La sua
rivisitazione della cucina tipica piemontese gli è valsa recensioni entusiaste su quasi ogni guida turistica
presente in rete. Ad affiancarlo ai
fornelli da qualche anno c’è Jessica, 27enne affetta da un lieve ritardo cognitivo: dopo Niccolò, con cui
da qualche tempo ha una relazione, Jessica è stata la seconda stagista assunta al Tacabanda. «Quando
è arrivata – prosegue De Benedetto – aveva una capacità di concentrazione pressoché nulla. Ora vive
da sola e gestisce autonomamente ogni aspetto della sua vita. Il più
delle volte basta tagliare il cordone ombelicale con la famiglia perché qualcosa si risvegli». Proprio la
conquista dell’indipendenza rappresenta il fulcro del progetto “Download”, un percorso in dieci scalini
che i ragazzi attraversano parallelamente alla formazione alberghiera.
«A livello zero – chiarisce lo chef –
hanno un grado d’autonomia quasi
nullo. Dall’uno in avanti, però, sono loro stessi a formare chi si trova più indietro, trasmettendogli ciò
che hanno imparato: in questo modo l’apprendimento risulta più efficace, perché avviene tra pari».
Per De Benedetto, guidare i ragazzi verso l’autonomia è il passo più
importante per restituire loro una
condizione esistenziale più piena.
«In questo senso – spiega – nei primi tempi è essenziale lavorare con
i genitori, per convincerli a mollare
un po’ la presa». L’opera di persuasione, a quanto pare, funziona: grazie a una serie di accordi con le Asl e
i servizi sociali, famiglie provenienti da ogni parte d’Italia possono affidare allo chef astigiano i loro figli
per una settimana al mese. A loro
sarà dedicata l’Accademia dell’indipendenza, una vera e propria scuola
di vita che occuperà l’ultimo piano
dell’edificio di via Galileo Ferraris,
che dal 18 giugno è diventato ufficialmente l’Albergo etico: una struttura di quattro piani più una sala
per eventi al piano sotterraneo. Le
IN CUCINA Il piacere della tavola
camere dedicate agli ospiti sono 21,
mentre nelle restanti sette alloggeranno gli allievi dell’Accademia. De
Benedetto e il suo staff hanno atteso questo momento da almeno quattro anni. Hanno formato decine di
giovani, alcuni dei quali sono stati
poi assunti dalle aziende che li hanno ospitati nei tirocini formativi.
Secondo Fulvio Cazzola, coordinatore delle attività didattiche dedicate ai giovani con sindrome di
Down nella scuola alberghiera Colline astigiane, la formazione «è altamente personalizzata». Non solo:
«La durata dei corsi – spiega – non
è la stessa per tutti: sei degli otto
alunni che abbiamo al momento
hanno già frequentato due moduli
da 600 e 200 ore sulla cucina e sul
bar, mentre ora si stanno occupando
di accoglienza».
Non tutti, peraltro, frequentano compagnare i ragazzi al Parlamento
le lezioni. Stefano, il 27enne di Al- europeo. «Questo progetto non è un
pignano (Torino) che viene a prenderci alla stazione di Asti, racconta
di aver iniziato a collaborare con De
Benedetto subito dopo aver ottenuto la patente B. «Al momento – spiega – sono l’autista ufficiale: vado a
prendere gli ospiti e a volte riporto
a casa gli alunni che arrivano da Torino. Il mio sogno però è diventare
concierge».
Non tutti, inoltre, aspirano a fare gli operatori turistici: per Flavio,
22enne di Torino, questa è solo una
tappa intermedia nella sua vita. «In
futuro – confessa – vorrei entrare
in politica, possibilmente a Bruxelles, per dare una vera rappresentanza europea ai cittadini disabili». De
Benedetto approva decisamente: è
stato lui, qualche tempo fa, ad ac-
SuperAbile INAIL
32 supplemento Luglio 2015
parcheggio – spiega –, tantomeno
una trappola per asservire i ragazzi
ai nostri scopi. Qui si viene per recuperare la libertà personale e la stima di sé. Una volta pronti, i ragazzi
devono seguire le loro aspirazioni».
Secondo lo chef, questo modello sta contaminando l’intera città
di Asti: «I nostri ragazzi – conclude – hanno aperto la strada a persone disabili che prima, magari, si
vergognavano a uscire di casa. Il resto della cittadinanza vigila in modo silenzioso: evitano di invaderne
la privacy, ma al bisogno sono pronti a intervenire. Quello che sogno è
una città etica, modellata sulla solidarietà, più che sulla competizione. E qui mi pare siamo sulla buona
strada».
Cucina veneziana
al ristorante
Fantàsia
Giorgia Gay/foto
Stefano Dal Pozzolo
C
icchetti tipici veneziani,
ottimo pesce, bolliti,
sarde in saor, bigoli in
salsa, risi e bisi, pasta e fagioli, coniglio alla veneta. C’è
da farsi venire l’acquolina in
bocca a leggere il menù del
ristorante Fantàsia, aperto
dal 2011 nel cuore di Venezia.
Un’eccellenza non solo per
gli ottimi piatti, che uniscono
la tradizione veneta a proposte tipiche di altre regioni,
ma anche perché garantisce
un’opportunità concreta di
inserimento lavorativo per
persone con disabilità.
Nata dall’impegno dell’impresa sociale Uniamo-Goldin
– una costola di Uniamo, la
Federazione italiana malattie
rare –, Fantàsia ora è pronta a
tagliare un nuovo traguardo. I
tre tutor, che finora hanno lavorato nel ristorante al fianco
delle persone disabili in qualità di dipendenti, dal mese di
giugno sono subentrati nella
gestione dell’attività, continuando a garantirne la natura
sociale.
«È un momento davvero importante per noi – commenta
la presidente di Uniamo,
Renza Barbon Galluppi –, perché significa che il progetto
cammina sulle proprie gambe,
si è evoluto e potrà continuare a offrire opportunità
alle persone con disabilità,
consentendo a Uniamo-Goldin
di investire tempo ed energie
SuperAbile INAIL
in altri progetti». Il ristorante
Fantàsia è un omaggio al celebre romanzo di Michael Ende
La storia infinita, che racconta
un mondo dove è possibile, al
di là di ogni confine fisico e di
ogni barriera mentale, immaginare il futuro e riscrivere il
passato, ma soprattutto reinventare il presente.
Tornando alla cucina, il ristorante offre un menù fisso che
va dai 12 ai 15 euro: primo e
secondo piatto, vino, pane,
caffè. Pesce, ma anche carne
e pizza rientrano nella ricca
carta proposta agli avventori
che, leggendo le recensioni
positive degli utenti del web,
non delude mai: «Lo staff
simpatico e gentile, sempre
disponibile. Mangiato benissimo, pesce fantastico.
Rapporto qualità prezzo: da
dieci e lode», scrive un cliente
33 supplemento Luglio 2015
soddisfatto. Gli fa eco un
altro: «Gran ristorante, persone cordialissime, prezzo
unico». E ancora: «Avevo il
dubbio che il mio giudizio
fosse influenzato dal progetto sociale perseguito dai
proprietari, ma con i bambini
abbiamo mangiato una buona
pizza, in una bella atmosfera,
con tanta cordialità e ottimi
prezzi (a Venezia!)».
Ma qui, all’indirizzo Castello
3.911, non si mangia e basta:
il ristorante vuole essere un
luogo di aggregazione sociale
nel cuore di uno dei più antichi
e vitali quartieri di Venezia.
Così si alternano presentazioni di volumi, incontri tra
associazioni, attività di animazione come letture di libri e
giornali, visione di programmi
televisivi educativi e molto
altro ancora.
IN CUCINA Il piacere della tavola
Dal Barba, la sfida
dei ragazzi con autismo
A Villalagarina, vicino Trento, il ristorante gestito dalla cooperativa La Ruota
lancia ogni giorno una nuova scommessa: diventare autonomi attraverso il lavoro
S
Eleonora Camilli
eguendo le mosse dello
chef, Davide è riuscito finalmente a preparare un
ottimo risotto. E ora giura
che sia questo il suo piatto
migliore. Lo cucina, di volta in volta,
con i prodotti di stagione. Ma non
disdegna neanche la preparazione
dei dolci: secondo lui, infatti, non si
può finire un pasto senza un buon
tiramisù.
Davide, 27 anni, è l’aiuto cuoco
del ristorante Dal Barba a Villalagarina, in provincia di Trento. Il locale, aperto nel novembre del 2013
rilevando un altro ristorante ormai poco frequentato, nasce da una
scommessa della cooperativa sociale
La Ruota che, fino a quel momento,
non si occupava di ristorazione ma
del trasporto di persone disabili. L’obiettivo dichiarato era quello di creare un luogo aperto, in cui ragazzi e
ragazze con disabilità potessero fare
esperienza in un contesto di normalità. E soprattutto potessero rendersi autonomi, e lavorare.
È nato così il progetto “Chance”,
che dopo due anni è già una scommessa vinta. Lo dice l’associazione
dei genitori Insieme, che ha da subito puntato sull’iniziativa. «Abbiamo
sostenuto l’idea del ristorante, perché è difficile trovare dei luoghi dove i nostri figli possano fare questo
SuperAbile INAIL
34 supplemento Luglio 2015
tipo di esperienze – racconta Paola
Dorigatti, mamma di Susanna, una
giovane di 30 anni con la sindrome
di Down che lavora come cameriera
nel locale –. Oggi possiamo dire che
è un’iniziativa pienamente riuscita. Innanzitutto perché è un luogo
in cui i ragazzi si sentono protagonisti».
Tutte le attività, fa sapere Paola,
«vengono valutate a seconda delle
loro capacità e nessuno si sente forzato a fare quello che non vuole. E
poi il rapporto è assolutamente paritario. Quello che si cerca di fare è
valorizzarli per renderli autonomi,
aumentando la loro autostima. E i
risultati si vedono anche a casa».
Mentre Davide sta in cucina e Susanna si divide tra la sala e il bar, Simone, 41 anni, autistico, si occupa
dei tavoli, prendendo le ordinazioni
dei clienti. «È molto fiero di questo
suo ruolo – racconta Rachele Gottardi, ideatrice e responsabile del
progetto “Chance” –. Ormai lo conoscono e lo amano tutti. E si vede
che anche lui sta meglio, ha conquistato quella fiducia in se stesso che
prima non aveva». A sparecchiare la
tavola e a lavare i piatti ci pensa, invece, Leo, 20 anni, anche lui con autismo. «Leo non parla, ma in mezzo
agli altri si fa capire – aggiunge Gottardi –. Anche lui è ormai bravissimo e ben inserito. In alcuni giorni
viene insieme a sua madre, in altri
prova a venire da solo prendendo i
mezzi pubblici».
Oltre a Davide, Susanna, Simone
e Leo, sono circa 15 in totale le persone con disabilità che prendono parte al progetto come volontari, dando
una mano a portare avanti il ristorante. I ragazzi, accompagnati dagli operatori, collaborano in cucina
a preparare tagliatelle, gnocchi e ravioli. La prospettiva a breve termine
è di attivare dei tirocini con l’Agenzia del lavoro e arrivare ad assunzioni part-time di almeno alcuni di loro.
Dal Barba è aperto sette giorni su sette, solo a pranzo. Talvolta,
però, si organizzano anche delle cene, principalmente in occasione di
eventi particolari. «Abbiamo una
ventina di clienti affezionati che
vengono tutti i giorni e ormai fanno parte della famiglia – racconta
ancora Gottardi –. Quando qualcuno di loro non si presenta alla solita
ora, i nostri ragazzi si preoccupano,
perché pensano che gli sia successo qualcosa. Il clima è molto bello,
anche se all’inizio non è stato faci-
le. I clienti appena arrivano si trovano spiazzati, ma poi entrano subito
in confidenza con il nostro personale speciale. E in tanti, andando via, ci
ringraziano per l’esperienza che gli
abbiamo fatto vivere».
Oltre all’inserimento delle persone disabili, il locale riserva un’attenzione particolare per i clienti con
autismo. Sono a loro disposizione,
infatti, delle tovagliette realizzate
secondo le regole della comunicazione aumentativa: sopra a ciascuna
sono raffigurati alcuni simboli che
permettono anche a chi non parla
di esprimersi, dicendo se il cibo era
buono oppure no, chiedendo dell’acqua oppure di tagliargli la carne se
da soli non ci riescono.
Alcune delle persone con disabilità
impiegate nel ristorante si occupano
anche dell’orto e collaborano nelle
pulizie o, insieme ai volontari, preparano le feste per gli anziani. Nel
tempo sono stati accolti anche altri giovani con disagio, tra cui tossicodipendenti, minori inviati dal
Tribunale per la messa alla prova
A disposizione dei clienti con autismo,
tovagliette realizzate con il metodo
della comunicazione aumentativa
SuperAbile INAIL
o persone che devono scontare una
pena attraverso i lavori di pubblica
utilità. Tra le ultime esperienze nate all’interno del ristorante c’è, poi,
la Barba band, promossa e coordinata da Fausto Bonfanti. Si tratta di un
vero e proprio gruppo polistrumentale, di circa 15 elementi, al cui interno persone con disabilità e non,
insieme agli educatori e ai volontari suonano e compongono musica.
Il gruppo ha avuto come testimonial d’eccezione il cantante Eugenio
Finardi, che ha scelto di esibirsi con
loro. Dopo di lui è stata la volta di un
altro storico esponente della musica
leggera italiana, Alberto Camerini.
«Pensiamo che provare pietà nei
confronti di ogni diversità non sia di
aiuto, ma al contrario acuisca quella
sensazione di inadeguatezza nel sentirsi diversi, creando un ostacolo ancora maggiore al bisogno di identità
e autonomia – spiegano i responsabili del gruppo –. Crediamo, invece,
che si debba vedere la diversità come
un vero e proprio mondo composto
da persone ricche di potenzialità, a
volte evidenti, a volte meno, certe
volte minime rispetto alla cosiddetta normalità, ma in ogni caso presenti, sempre».
35 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
Bar Senza nome, dove
SuperAbile INAIL
36 supplemento Luglio 2015
la differenza fa tendenza
Nel locale bolognese vino, birra e panini si ordinano in Lingua italiana dei segni.
Sembrava un’impresa impossibile e invece, a tre anni dall’inaugurazione, l’idea
di un gruppo di giovani sordi si è rivelata vincente
S
Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo
e all’inizio era una scommessa, ora è un locale al
centro della movida bolognese sempre pieno di
gente, dove si può ascoltare anche musica dal vivo. Tanto
che i soci, tutti ragazzi non udenti sui 30 anni, da due che erano sono diventati quattro. E così, accanto
a Sara Longhi e Alfonso Marrazzo, che si sono lanciati per primi in
quest’avventura, adesso ci sono anche Francesco e Silvia Grasso (fratello e sorella). Parliamo del Senza
mome, un bar dietro il Mercato delle Erbe aperto esattamente tre anni
fa, l’unico in Italia gestito da giovani sordi. Che ha puntato soprattutto
«sull’integrazione tra cibo e cultura
e sull’incrocio di linguaggi differenti», spiega Alfonso. E ce l’ha fatta.
Ecco allora che chi entra nel locale può ordinare in Lis (grazie a
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un foglio con illustrato l’alfabeto segnato e ad alcune foto alle pareti di
come si dice birra o vino in Lingua
dei segni), attraverso alcuni bigliettini in bacheca, scrivendo sopra un
tovagliolino di carta oppure scandendo bene le parole in modo da
aiutare i camerieri o chi sta dietro il
bancone a leggere il labiale. Mentre
il rapporto con i fornitori viene gestito via e-mail e sms. «I clienti più
affezionati si sono sforzati di impa-
37 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
SuperAbile INAIL
38 supplemento Luglio 2015
rare qualche vocabolo in Lis, anche
se ci sono ancora molte persone che
quando entrano nel bar e ci vedono
“gesticolare” se ne escono subito dopo – continua Alfonso, originario di
Salerno –. Ma abbiamo dovuto dire anche alla comunità sorda, che in
genere quando entra in un locale si
mette in cerchio per riuscire a vedere le mani di tutti, di occupare meno spazio».
Tuttavia, a sancire il successo del
Senza nome «ha contribuito anche
la programmazione artistica curata dall’associazione culturale Farm
– dice la sua presidente Nunzia Vannuccini –, in collaborazione con il
Gruppo Camaleonte per la parte
che riguarda gli artisti non udenti».
Infatti, oltre ai concerti, alle mostre
e alle presentazioni di libri, c’è tutto un mondo di Lis performer che
è passato dal locale: l’attore Gabriele Caia, il deaf rapper Mr ScarlaSopra e a pag. 37, come ordinare in Lingua
dei segni. A fianco, la movida bolognese
nel locale. A pag. 36, da sinistra: Francesco,
Sara, Silvia e Alfonso
to, lo spettacolo di mimo del clown
Maurizio Scarpa, le letture di Chiara Di Monte e la danza di Annalisa
Cataldo (tutti artisti sordi immortalati da gigantografie appese alle pareti). «Il locale è sempre stato
un pretesto per sperimentare nuove
forme di comunicazione, soprattutto visive e sonore insieme, e per offrire uno spazio di visibilità all’arte
dei segni», commenta Alfonso, laureato al Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo)
di Bologna. Anche gli altri tre soci
facevano tutt’altro prima di entrare
nella ristorazione: Sara lavorava in
un’azienda, Silvia (laureata in Scienze della formazione) faceva l’educatrice scolastica per bambini sordi,
mentre Francesco – laureatosi a Catania in Scienze politiche con indirizzo internazionale ed esperto in
gestione aziendale e mercati agroalimentari – collaborava con il Nucleo chimico Mediterraneo.
Tornando a parlare di cibo, la casa consiglia «il Chianti prodotto
dalla fattoria La Muraglia di Monteriggioni, un’azienda sui colli senesi gestita dalla famiglia Convito e da
SuperAbile INAIL
alcune persone sorde – dice Sara –
e il succo di frutta di pesca biologico dei fratelli Biasin di Molinella,
in provincia di Bologna: Luciano,
infatti, è un agricoltore non udente. Presto, poi, nel menù spunteranno piatti dedicati ad alcune persone
sorde “famose” tra cui Antonio Magarotto, fondatore dell’Ente nazionale sordi e rettore dell’Istituto
statale d’istruzione specializzata
per i non udenti di Padova».
Dall’estate 2013, infine, a dare una mano al successo del locale
c’è anche il progetto di riqualificazione urbana “Luci nella città”, gestito sempre dall’associazione Farm,
che a giugno e luglio coinvolge tutti
i commercianti della strada con serate di aperitivi all’aperto, in un mix
di cibo, musica e teatro contro il degrado. Il Senza nome si trova in via
Belvedere, in pieno centro storico,
ed è aperto tutti i giorni dalle 15 a
notte inoltrata (la domenica fino a
mezzanotte). Per prenotare un tavolo basta mandare un sms al numero
392/5162896, mentre per essere sempre aggiornati sulle varie iniziative si
può consultare la pagina Facebook.
39 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
Una sera a cena alla Pecora nera
Resistere alla crisi non è facile, ma a Lucca il ristorante gestito dall’Anffas
ce la fa grazie alle donazioni di chi crede nel progetto e all’affetto dei tanti clienti,
che rimangono conquistati dalla simpatia e spontaneità dei camerieri
S
Eleonora Camilli/foto Mariano Meini
ul sito di recensioni culinarie Tripadvisor è difficile trovare qualcuno che ne
parli male. La maggior parte dei commenti elogia il
menù, semplice e di qualità, ma anche il servizio ai tavoli, svolto da «ragazzi davvero speciali». Dal 2008 la
Pecora nera, il ristorante situato nel
centro storico di Lucca, è una sorta di “fortino”, che resiste alla crisi
portando avanti un percorso di inclusione lavorativa per ragazzi con
disabilità. Il progetto, nato su iniziativa di Anffas Lucca (Associazione nazionale famiglie di persone con
disabilità intellettiva e/o relazionale), nonostante le difficoltà economiche incontrate in questi otto anni
è riuscito, infatti, ad assicurare un
contratto a tempo indeterminato a
tre ragazzi con sofferenza psichica,
Guido, Serena e Gessica, e a inserire, attraverso borse lavoro e tirocini,
molti altri giovani con la stessa tipologia di problemi intellettivi e relazionali. Una lunga resistenza resa
possibile dalla generosità dei privati, dalle associazioni e dall’affetto di
tanti clienti, che una volta scoperto
questo posto hanno deciso di farne
un appuntamento fisso.
«È una lotta quotidiana, perché un
ristorante con finalità sociali come il
nostro sfugge alle dinamiche commerciali, tipiche del mondo della ristorazione – spiega Manuel Graziani,
SuperAbile INAIL
40 supplemento Luglio 2015
responsabile di Anffas Lucca –. Non
è possibile avere ritmi di lavoro sostenuti o doppi turni quando si ha
a che fare con persone con disabilità. Noi abbiamo un modo di lavorare etico, anche perché dobbiamo
rispettare i tempi dei ragazzi che lavorano da noi. Ci siamo imposti di
pensare meno come se fossimo solo un’attività commerciale e più alla nostra mission. E, ovviamente,
quando si prediligono gli aspetti sociali i conti difficilmente tornano».
Per andare avanti e restare sul mercato, il progetto riceve aiuto principalmente da donazioni private. Oltre
ad Anffas Lucca, il ristorante viene
finanziato da fondazioni bancarie e
aziende, che fanno periodicamente
donazioni oppure organizzano nel
locale le cene con i propri dipendenti. «Da quando siamo nati, ci hanno
sempre dimostrato molto affetto. I
clienti tornano spesso. Forse perché
una volta che ci hanno conosciuti è
difficile che si dimentichino di noi».
con ritardo cognitivo, che serve ai tavoli e intrattiene i clienti tra una comanda e l’altra. Amato da tutti, vive
per il suo lavoro, e si diverte a raccontare storie agli avventori del locale. «È un tipo straordinario. Ha un
grado di autonomia molto alto e sa
In tutto i ragazzi con problemi psi- fare bene il suo mestiere, anche se
chici che lavorano alla Pecora nera so- come tutti ha i suoi tempi», racconno dodici, tre dei quali assunti come ta Patrizia Mei, presidente della cosoci lavoratori dalla cooperativa Se- operativa che si occupa del progetto
gni particolari nessuno, che gestisce dalla sua nascita. «È tifosissimo delil ristorante. La star indiscussa della la Juventus e per un periodo avesala è Guido, un ragazzo di 37 anni va iniziato a scommettere alla Snai.
Siccome ci sembrava un’abitudine
pericolosa, anche perché il vizio del
gioco gli stava prendendo la mano,
Guido, Serena e Gessica sono
abbiamo minacciato di licenziarlo. E
i ragazzi con disabilità psichica che
per
due mesi gli abbiamo trattenuto
lavorano con un contratto a tempo
lo
stipendio,
d’accordo con i genitori.
indeterminato nel ristorante di Lucca
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41 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
La paura è stata talmente tanta che
ha smesso subito di giocare. Tiene a
questo lavoro più di ogni altra cosa».
Nel ristorante lavora anche Gessica,
37 anni, una ragazza con la sindrome di Down, che da un paio d’anni
fa coppia fissa con Guido, e con lui si
occupa del servizio ai tavoli ma anche della cucina, come aiuto cuoca.
Infine tra le persone assunte c’è Serena, 29 anni, anche lei con disagio
psichico. «La forza, e a volte il limite,
di questi ragazzi è la loro spontaneità, che spesso è apprezzata dai clienti,
ma in alcuni casi può essere scambiata per scortesia – aggiunge Mei –.
In generale però le persone non rie-
scono a fare a meno di intrattenere
con loro un buon rapporto. E questo
è uno dei motivi per cui riusciamo
ad andare avanti».
Insieme ai tre assunti, ci sono poi
i giovani delle borse lavoro, come
Elena, 20 anni, che ha accettato di
fare un corso di cucina di alto livello. «Ci sembrava che fosse una sfida
impossibile per lei, con un impatto
emotivo molto forte, e invece è riuscita a inserirsi bene. Ha imparato
molte cose e dal punto di vista del
lavoro ha acquistato tantissimo».
e formaggi, ma il piatto forte sono i
tortelli. Da un paio di mesi alle specialità di carne si sono aggiunte anche quelle di pesce. E a pranzo il
ristorante si trasforma in una spaghetteria. «Lo sforzo è quello di fare un menù al passo con i tempi e dai
prezzi abbordabili», aggiunge Graziani. La cucina è familiare così come l’aria che si respira entrando nel
locale. «Questo è l’ultimo lavoro che
avrei voluto fare in vita mia – conclude Mei –: per i turni fino a notte
e le ferie sempre fuori stagione. Ma
oggi non tornerei indietro, questi raIl menù del locale prevede specia- gazzi sono la mia famiglia e io sono
lità tipiche della Garfagnana, salumi un punto di riferimento per loro».
SuperAbile INAIL
42 supplemento Luglio 2015
Ristorante
Zì Nene:
dalla scuola
alla cucina con
l’aiuto dei prof
Hélène D’Angelo/foto
Riccardo Sollini
I
l ristorante Zì Nene di Loreto
e l’hotel a quattro stelle annesso, Villa Tetlameya, sono un
complesso storico dell’entroterra
marchigiano. A un primo sguardo
possono sembrare una struttura
come un’altra, ma in realtà sia il
ristorante che l’hotel hanno una
caratteristica diversa dal solito:
sono diventati banco di prova
e rampa di lancio per alcuni ex
alunni con disabilità dell’istituto
alberghiero locale e per i ragazzi
della comunità di recupero “Irs
Aurora” di Massignano (Ascoli
Piceno).
Tutto è nato grazie all’iniziativa
coraggiosa del preside, di alcuni
insegnanti di sostegno e di un
insegnante di cucina dell’Istituto
Einstein-Nebbia che, dopo anni di
accompagnamento dei ragazzi in
progetti di inserimento lavorativo,
nel 2010 hanno deciso di muoversi
in prima persona, investendo
risparmi e tempo libero nella fondazione della cooperativa sociale
di tipo B Lavoriamo insieme.
«Volevamo fare qualcosa in prima
persona per i nostri ragazzi, non
solo perché ce lo chiedevano le
famiglie ma anche per aiutarli a
diventare autonomi e a trovare
un lavoro – racconta Patrizia
Massa, insegnante di sostegno e
socia fondatrice della cooperativa
–. Sappiamo quanto sia difficile
riuscire a trovare aziende a cui
proporre progetti di inserimento
lavorativo. In questo modo abbiamo voluto dare una risposta
concreta a persone che abbiamo
accompagnato e che sono cresciute, anche professionalmente,
all’interno del nostro istituto
alberghiero». Così, quando il
ristorante Zì Nene e l’albergo
Villa Tetlameya hanno cambiato
gestione, il gruppo di insegnanti
ha chiesto di incontrare il proprietario, proponendogli una
nuova avventura e trasformando
la struttura in un luogo in cui
permettere a persone disabili e
a ragazzi in cerca di una seconda
possibilità di mettersi in gioco.
Tra le persone assunte dalla cooperativa c’è Simone, un ex alunno
con disabilità mentale, che svolge
le mansioni di cameriere addetto
ai piani dell’hotel. «Simone ha finito la scuola nel 2000 – racconta
Massa – e per circa otto anni non
ha fatto nulla, stava chiuso in casa
e non trovava lavoro. Poi, grazie
a una borsa socio-assistenziale
del Comune, ha iniziato a lavorare a scuola da noi, nell’ambito
del progetto “Pizza per tutti”.
Ma comunque non era ancora
abbastanza e così, quando è nata
la cooperativa, abbiamo subito
pensato a lui. Con noi ha iniziato a
lavorare come cameriere ai piani,
SuperAbile INAIL
apprendendo nuove competenze
rispetto a quelle che aveva imparato a scuola. Ora sa mettere in
ordine le stanze, occuparsi della
biancheria e pulire. Sono davvero
fiera di lui».
Ma diverse sono le storie dei
ragazzi che lavorano e svolgono
attività formative presso la cooperativa, dove si portano avanti
anche progetti di alternanza
scuola-lavoro con giovani ad alto
rischio di dispersione scolastica
e di disagio sociale. «Si respira un
clima positivo e si è creata una
rete sociale di sostegno per le persone più fragili e a rischio. Tuttavia
con noi ci sono anche ex alunni
che non hanno alcuna disabilità
ma che hanno scelto l’impegno nel
sociale come valore aggiunto al
lavoro svolto. Avrebbero potuto
trovare impiego in altri posti,
invece hanno deciso di lavorare
con noi».
Zì Nene e l’hotel Villa Tetlameya
sono strutture storiche d’eccel-
43 supplemento Luglio 2015
lenza, non solo per la bellezza
del luogo in cui sono situate. Il
ristorante, costruito nel piano
inferiore della villa padronale
del 1873, può ospitare fino a 200
coperti, ed è dotato di un ampio
salone ma anche di salette riservate. Il menù propone piatti
di carne e pesce della tradizione
marchigiana, mentre l’hotel
può ospitare fino a 16 ospiti in
stanze raffinate, arredate con
pezzi d’antiquariato ed elementi
dell’artigianato locale.
«Zì Nene è una struttura rinomata e di riferimento per la città
di Loreto. Proprio per questo
sapere che viene gestita da
una cooperativa sociale è un
esempio importante per l’intera popolazione – conclude la
socia fondatrice di Lavoriamo
insieme –. La nostra sfida è mostrare come uno standard alto
possa essere raggiunto anche
da persone svantaggiate o con
disabilità».
IN CUCINA Il piacere della tavola
Niente è più fashion di
un locale dove ogni seduta
è diversa dall’altra.
A San Vito dei Normanni,
dalla cucina ai tavoli è servito
“qualcosa di diverso”:
perché sono 32 le persone
con disabilità che vi lavorano,
curando sia la coltivazione
dei prodotti a filiera corta
sia la ristorazione e
la preparazione dei piatti
I
XFood, cucina
Sara Mannocci/foto XFoto
l “tavolo sociale” è lungo ben 13
metri e cattura l’attenzione appena si entra nei locali di XFood: nel cuore di San Vito dei
Normanni (Brindisi) è aperto
da circa un anno un ristorante che
porta con sé la scommessa della diversità come valore. Nella cucina, in
sala e nell’orto circostante sono impegnate persone con disabilità psichiche di vario genere, che stanno
costruendo il loro percorso verso
l’autonomia.
Giuseppe, originario del paese,
aveva già alle spalle un’esperienza
come cameriere; ora è tra quelli che
lavorano stabilmente nel locale, dopo aver seguito l’itinerario di formazione in sala.
SuperAbile INAIL
44 supplemento Luglio 2015
«XFood è il primo ristorante sociale pugliese», si legge all’ingresso:
chi sta cercando qualcosa di diverso si trova nel posto giusto. E qui gli
slogan non rimangono tali. Basta
parlare con chi gli ha dato vita per
capire che il progetto “Calimero”, finanziato da un bando regionale, ha
un obiettivo di inclusione sociale reale, con il coinvolgimento del territorio e la fatica di far coesistere
pubblico e privato.
Insieme a Giuseppe, anche Cosimo, Gabriele e Ilenia – per citare
solo alcuni di loro – sono a tutti gli
effetti lavoratori di un’azienda, raggiungono la sede del ristorante senza i genitori, stanno acquisendo
responsabilità, provano soddisfazione.
a centimetro zero
È il 10 giugno del 2014 quando
XFood apre i battenti, grazie alla
collaborazione tra il centro socioculturale ExFadda – che ospita il
ristorante in una parte dei suoi locali ristrutturati –, il consorzio di
cooperative sociali Nuvola di Francavilla Fontana, il Comune di San
Vito dei Normanni e la Regione Puglia. Per l’avvio concreto, l’acquisto
delle attrezzature e la messa in funzione della cucina, sono stati fondamentali i contributi economici della
Banca Unicredit, della Fondazione
San Raffaele di Ceglie Messapica e
del Consorzio San Raffaele di RoIl ristorante è collocato all’interno
dei locali del centro socioculturale
ExFadda
ma. «Abbiamo coinvolto 32 persone
del consorzio Nuvola, che hanno seguito un accurato percorso di formazione, affiancati da chef e personale
alberghiero – spiega Vito Valente,
amministratore unico di Sandei srl,
società capofila che gestisce il centro ExFadda insieme ad altre associazioni locali –. Sono persone tra i
30 e i 35 anni, uomini e donne, affetti da sindrome di Down, depressione
o schizofrenia». Sono proprio loro a
ideare e preparare, sotto la guida di
tutor, i piatti da offrire ai clienti, a
servire in sala e a lavorare nell’orto
“sinergico”: parte delle materie prime
utilizzate in cucina, infatti, sono ortaggi a “centimetro zero”, dove veramente la strada dalla terra alla tavola
è brevissima.
SuperAbile INAIL
In cucina, a mixare gli ingredienti e a dar vita ai menù c’è anche Cosimo, alla sua prima esperienza di
lavoro, che prepara i piatti insieme
a Ilenia. Colleghi come tanti, «ma
capaci di creare un clima speciale
– precisa Valente –, con l’entusiasmo
di chi si sente coinvolto in prima
persona».
A oggi, delle 32 persone attive nel
progetto, solo una parte – scelta sul-
la base di capacità, inclinazione al
lavoro, facilità degli spostamenti – è
impiegata stabilmente presso il ristorante; gli altri lavorano stagionalmente o sono contattati in base alle
necessità. Tutti, comunque, hanno
con sé una referenza da spendere in
altri contesti. È l’impegno in un’at-
45 supplemento Luglio 2015
IN CUCINA Il piacere della tavola
tività concreta il primo grande passo per l’autonomia. In sala Gabriele,
di Brindisi, prende le ordinazioni e
si rapporta con i clienti, compito non
sempre facile. Porta con sé solo una
piccola esperienza lavorativa passata,
di poco conto rispetto a quella che
sta vivendo adesso.
Dare inizio a una strada nuova
vuol dire anche aprirsi a occasioni di crescita, come la partecipazione all’edizione da poco conclusa del
Salone del Mobile di Milano, in cui
lo staff di XFood ha lavorato prendendo parte alla cura della ristorazione e del servizio. «È stato davvero
significativo – ci tiene a sottolineare Valente –. Tutti i nostri lavoratori erano pieni di entusiasmo, non si
fermavano mai. Sono riusciti a gestirsi con disinvoltura in un contesto nuovo, tra la confusione, la folla,
le persone sconosciute. Dialogavano con i clienti, hanno sperimentato
qualcosa di importante potenziando
notevolmente la loro sicurezza. In
quest’ottica stiamo pensando di at-
trezzarci per lavorare, procedendo
per gradi, sul fronte del catering, al
fine di portare le nostre capacità fuori dal ristorante».
È anche così che persone problematiche e inclini all’isolamento riescono a mettersi in discussione, a
svolgere un lavoro e a percepire stipendi pagati dalla cooperativa di
tipo B Qualcosa di diverso, che gestisce il locale. Non a caso ogni tavolo, piatto o bicchiere della sala è
differente dall’altro. Un mosaico originale di linee, forme, idee e colori
che rende l’insieme unico.
Ciascun mobile dell’arredo è stato
scelto tra i numerosi mercatini della
zona, restaurato e in parte ridisegnato durante un laboratorio che ha
coinvolto i lavoratori del ristorante e i cittadini interessati. Il territorio, in fondo, è la chiave di tutto. La
Richard Ginori, storica manifattura
di porcellane, ha donato al ristorante stoviglie fuori produzione diverse l’una dall’altra, i privati cittadini
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46 supplemento Luglio 2015
portano quello che in cucina è di
troppo, e alcuni famosi cuochi anche non pugliesi hanno deciso di sostenere il progetto cucinando presso
il locale in serate ad hoc.
«La difficoltà sta nell’innovazione
sociale – aggiunge Roberto Covolo,
project manager dell’intera iniziativa –: puntare sulle risorse di ciascuno attraverso nuove alleanze, con un
approccio non pietistico». È questa
la logica che ha ispirato l’intero centro ExFadda, un’area immensa un
tempo di proprietà dei principi Dentice di Frasso, caduta in abbandono
e riqualificata per creare uno spazio
culturale. Al momento sono circa
30 le realtà che, insieme alla società capofila Sandei, animano gli spazi
del centro, contribuendo al sostegno
– non solo economico – dell’intero
progetto. Ecco la scuola di musica,
gli spazi per la scherma, la danza, la
fotografia, un laboratorio di hobby e
piccolo artigianato, disegno e pittura. Gli ingredienti per un buon piatto non mancano.
INsuperabili Intervista ad Alessandra Petterini
Dal blog all’Expo:
nuova vita da chef per
combattere la malattia
L
Carla Chiaramoni/foto Vanessa Illi
a ricetta per essere felici? Guardarsi
dentro, trovare la forza di distogliere lo
sguardo dall’orlo del precipizio in cui ti
colloca la diagnosi di una malattia sconosciuta e progressiva, non mollare mai.
Una strada tutta in salita ma che può dare enormi emozioni: ne è convinta Alessandra Petterini,
food blogger, uno dei mille impegni che ormai
affollano le sue giornate. Il suo amore per la cucina è diventato una professione e un nuovo stile
di vita dopo una doppia diagnosi di sclerosi multipla e sclerosi sistemica. La famiglia, un figlio
piccolo, il lavoro: tutto salta in aria ma, dopo un
lungo periodo difficile, la malattia si trasforma
in una nuova occasione. Nasce così “Domani è
un altro forno”, blog di cucina dove si racconta
liberamente, che da subito le ha offerto opportunità impensate fino a quel momento: collaborazioni con chef “stellati”, l’idea di un libro e poi
l’Expo. Un video su una delle sue ricette “felici”
viene quotidianamente proiettato all’interno del
Padiglione Zero, insieme a tanti altri che provengono da tutto il mondo. E sue ricette e interviste
sono presenti in varie pubblicazioni distribuite
durante l’evento.
Com’era la sua vita prima della diagnosi?
Era la vita di una donna di 27 anni: vulcano
da sempre, sposata da meno di due anni, con un
figlio di otto mesi e tantissimi sogni. La famiglia appena costruita, il sogno realizzato di avere
un bambino e poi la notizia di non poterne avere altri.
E il lavoro?
Impiegata contabile. Un lavoro basato sulla
perfetta messa a fuoco dei numeri sullo schermo del pc. I primi a essere colpiti sono stati proSuperAbile INAIL
47 supplemento Luglio 2015
INsuperabili Intervista ad Alessandra Petterini
prio gli occhi. Per mettere a fuoco un numero,
dovevo avvicinare e allontanare il viso dal video,
strizzare le palpebre, sperando di riaprire gli occhi e coglierne per almeno un secondo la forma.
Una gara continua! Poi il torpore di una parte
della mano: scrivevo sulla tastiera e perdevo alcune lettere.
Qual è stato il momento più difficile?
È stato tutto travolgente e inaspettato. Ricoverata d’urgenza, il bambino che ancora allattavo e
dal quale non mi ero mai allontanata, una malattia che non conoscevo, il distacco dalla realtà e
un orizzonte nero ben delineato. L’ho presa molto male. Il senso di colpa nei confronti di mio figlio mi devastava. Ogni sera, quando era accanto
a me nella culla, gli chiedevo scusa per un futuro segnato da una madre malata. Poi l’auto-informazione sulla malattia con ricerche multiple sul
web: le descrizioni con parole così fredde e incisive mi mettevano a terra. Intanto la vita continuava, con tutte le varie ed eventuali di ogni
giorno, che fino a quel momento avevo ben gestito. Ma dopo quella diagnosi il fardello era talmente grande dentro, che ogni cosa era la goccia
che faceva traboccare il vaso.
Quando è arrivata la consapevolezza che la malattia
poteva essere un’occasione?
Ci è voluto molto tempo, sono passati anni
dalla diagnosi. Ho sempre creduto che nulla capiti per caso e dalla mia ho la fortuna di essere
una persona tanto forte quanto riflessiva e analitica. In molte notti insonni, mentre pensavo alle
ragioni di questa malattia arrivata come un dono
con tanto di fiocco, osservavo i battiscopa a cui
per la prima volta non avevo tolto la polvere: mi
sono accorta di una rigidità all’ennesima potenza. Tutto doveva filare come dicevo io, dal mio
aspetto esteriore, alla casa, al lavoro... ero racchiusa in uno schema senza senso. Un giorno la
ragazza che veniva ad aiutarmi nelle pulizie mi
dice: «Alessandra, entro dentro casa tua ed è tutto già pulito, in ordine. Non ho neanche lo stimolo per mettermi a lavoro!». Così, visto che tendo
spesso a giocare con le mie paure, ho imparato a lasciare in disordine: ho smesso di togliere
la polvere ogni giorno, uscivo senza truccarmi,
mi legavo i capelli senza l’aiuto del pettine. Ho
SuperAbile INAIL
imparato a uscire dai miei modelli di “perfezione”. La sclerosi multipla è una malattia ingestibile, può portarmi a non deambulare bene e dovrò
utilizzare qualche aiuto: nella mia mente non c’era la possibilità di vedermi in sedia a ruote. Ma
poi comprendi che la perfezione non esiste e ricercarla è solo un modo per farsi male.
Perché ha deciso di rendere pubblica la sua storia?
Perché ho trascorso anni di sofferenza fisica e
mentale atroce, perché in quel periodo sono riuscita a guardarmi meglio dentro e intorno, perché toccando il fondo più nero mi sono rialzata a
testa alta, perché ho capito che volgere lo sguardo da un altro lato può cambiare la vita e renderti felice o farti cadere in un baratro. Ho parlato
con tante persone che hanno la mia stessa malattia e spesso ho sentito in loro la forte voglia di
caderci in quel baratro, annientate dalle poche
forze e da uno sguardo diretto nella parte sbagliata. Quello che vorrei dire con questo blog è
che se ne può uscire con il sorriso sulle labbra:
nonostante sedia a ruote, diplopia, dolori fisici e
mentali atroci, problemi di linguaggio, l’esistenza
non finisce, come non si fermano i sogni. Maga-
48 supplemento Luglio 2015
ri per raggiungerli ci sarà un percorso un po’ più
in salita, ma centrare l’obiettivo sarà ancora più
bello. Credo che l’essenza della vita non sia nel
vivere un percorso in pianura, ma nel riuscire a
essere felici per ogni piccolissima vetta raggiunta.
Ora la cucina è diventata il suo lavoro. Ha cambiato vita, viaggia spesso...
Per tanti anni mi sono sentita dire che avrei
dovuto cambiare lavoro, che la mia cucina era
speciale, fatta con il cuore. Ma non ci ho mai
pensato seriamente. Poi la voglia di mettermi in
discussione ha avuto la meglio. Partecipando a
un programma online, Socialkitchen.it, ho conosciuto lo chef ideatore Antonio Marchello e
ho capito che la cucina era davvero la strada che
avrei voluto intraprendere. Ma una “cucina diversa”, nella quale si collegano ricette a momenti di vita.
E da qui è arrivata anche la proposta di un impegno in
diverse cucine “stellate”?
Proprio così! Probabilmente la mia predisposizione al cambiamento è stata avvertita e quel treno, che prima non avrei neanche visto passare, in
quel momento l’ho preso al volo. Ci sono salita
con una valigia piena zeppa di voglia di imparare e di vivere la vita in una vera cucina, con tutta
la fatica e le soddisfazioni.
La prima occasione è arrivata dall’incontro con Tano
Simonato.
Sì: mi ha proposto uno stage nella sua cucina a
Milano e sono partita. Un’avventura meravigliosa che mi ha permesso di fare il primo passo verso un mondo nuovo. Terminato questo periodo,
ho avuto l’onore di essere contattata dallo chef
Mauro Uliassi, che conoscevo già. Ma non avrei
mai pensato che mi potesse dare l’opportunità di
entrare nella sua cucina. Sembravo Alice nel Paese delle meraviglie il giorno che ho messo piede nel suo ristorante, composto da uno staff che
assorbe ogni giorno la sua energia positiva, compresa me. Mesi nei quali non ho fatto altro che
imparare ogni minimo secondo: tecniche, consigli, cotture, perfezione, precisione e un turbinio
di adrenalina positiva pazzesca.
E ora sta per iniziare una nuova avventura.
Alcuni mesi fa, ho ricevuto una proposta: un
progetto con lo chef Simone Salvini, avviato il 12
giugno scorso. Una nuova avventura in una cucina che negli ultimi tempi, a Roma, ho avuto
modo di conoscere e studiare meglio. Si tratta di
una cucina sana, biologica, vegana. Tuttavia, come sottolinea lui: non un cibo vegano imposto,
ma offerto. Una splendida occasione per imparare, lavorando a fianco di un grande professionista e dando il meglio di me stessa.
Infine, la domanda d’obbligo: il suo piatto preferito?
In alto e a pag. 47, la food blogger Alessandra Petterini,
a sinistra insieme allo chef Mauro Uliassi
A me piace tutto, proprio tutto, ma dovendo
scegliere ammetto che ho un debole per i piatti
di pesce poco elaborati, dai quali si riesce ancora a sentire il profumo del mare... Mi permettono di viaggiarci dentro.
SuperAbile INAIL
49 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI
Coltivare
e produrre
P
iante aromatiche, campi strappati
alle mafie, ma anche birra, pasta,
pane. Dalla terra alla cucina
il passo è breve. E tante, anche
in questo caso, le testimonianze
di persone disabili che hanno
ritrovato il proprio posto nel mondo
attraverso il lavoro. Grazie all’impegno
delle cooperative sociali, i frutti di queste
imprese arrivano su un mercato che li valuta
per la qualità e il prezzo proposti ai clienti.
Ma con una marcia in più: sono prodotti
“speciali” e hanno una storia tutta da scoprire
NEI CAMPI Coltivare e produrre
Al Bettolino di Reggiolo
All’interno della cooperativa
sociale, nei pressi di Reggio Emilia,
27 lavoratori disabili producono,
insieme ad altri, piantine
aromatiche biologiche. Il segreto?
Coniugare spirito imprenditoriale
e innovazione tecnologica
SuperAbile INAIL
S
Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo
e a Cristian chiedi che cosa gli piace di
più del suo lavoro, lui risponde «fare le
scatole», dove poi andranno riposte le
confezioni di basilico. A Macho invece
non piace far niente, ma poi torna alla
sua occupazione senza troppe storie. E se Chiara non vede l’ora di andare in pausa, Francesca
è più silenziosa del solito perché deve «rimanere
concentrata» sulle sue vaschette di salvia. «Abbiamo ordini molto grossi e non c’è il tempo di
annoiarci», dice Cristina. Mentre Raffaele passa tutto il tempo ad attaccare le etichette nei coni di cellophane in cui andranno inseriti i vasi di
rosmarino, ma «per me non è faticoso», ci tiene
a sottolineare.
Storie di ordinaria quotidianità all’interno delle serre e dei capannoni per la coltivazione integrata di piante aromatiche (il 70% verrà
52 supplemento Luglio 2015
il basilico sa di bio
confezionato) e di piante di fiori prodotte dalla cooperativa sociale Il Bettolino di Reggiolo, in
provincia di Reggio Emilia.
Una realtà che, con il proprio marchio “Amici
in campo” o con quello di clienti come “Ortoromi”, vende soprattutto alla grande distribuzione:
Coop (Nord-est, Nord-ovest e Adriatica; sue le
piantine “ViviVerde”), Conad Centro-nord, Realco (ovvero i supermercati Sigma), Cir Food. Nata nel 1989 grazie alla volontà della Cooperativa
Muratori, e presto trasformata in attività di inserimento lavorativo delle persone con disabilità
psichica o ritardo mentale, oggi la coop Il Bettolino conta 50 dipendenti, di cui 27 persone
svantaggiate. A cui si aggiunge un mix di educatori e operai, più un’altra cinquantina di giovani in tirocinio formativo o stage, attivati grazie
a progetti individuali e convenzioni con l’Asl e i
servizi sociali della zona.
E proprio la territorialità è alla base del bacino
di utenza della cooperativa, che coinvolge gli otto
Comuni dell’Unione della Bassa reggiana: Boretto, Brescello, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio e Reggiolo. Così la mattina «ad
andare a prendere i nostri lavoratori speciali e
a riaccompagnarli a casa, finito il loro turno, ci
sono tre pulmini che fanno la spola tra le campagne», spiega la presidente Francesca Benelli.
Non è facile, però, trovare la cooperativa: anche
se tutti quelli che abitano in zona la conoscono,
manca la segnaletica perché «abbiamo in corso
una diatriba pubblica su dove posizionare il cartello», allarga le braccia la presidente del Bettolino, nome che deriva dalla frazione di Reggiolo in
cui ha sede la cooperativa sociale.
Ma appena entri il profumo di basilico – che
qui è il prodotto di punta – e l’odore di terra si
fanno subito sentire. Così, superati gli uffici am-
SuperAbile INAIL
53 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI Coltivare e produrre
solida: dal 2011 si è convertita alla coltivazione
biologica e dispone di 13mila metri quadrati di
serre per la produzione di piante in vaso e di erbe
aromatiche recise. Alcune di queste serre sono
riscaldate grazie al biogas prodotto dalla decomposizione dei rifiuti urbani, utilizzando così fonti
di energia alternativa.
Il Bettolino fa parte di Legacoop Reggio Emilia e del Consorzio di cooperative sociali Quarantacinque, produce circa 80mila chilogrammi
di basilico reciso all’anno (coltivato con metodo
idroponico, ossia in plateaux di polistirolo immersi in contenitori d’acqua), oltre un milione
di vaschette di piante aromatiche confezionate,
300mila vasi di basilico certificato bio e altrettanti vasi tra salvia, menta, timo, maggiorana,
prezzemolo ed erba cipollina. Nel 2014 ha realizzato tre milioni di euro di fatturato e ha partecipato a Terra Madre, il Salone internazionale
del gusto organizzato da Slow Food a Torino.
Da cinque anni, poi, la cooperativa ha avviato
una collaborazione con una ditta ligure per pro-
Sopra, Cristian; nella
pagina a fianco, in senso
orario da sinistra, Chiara,
Morena, Giulia e Cristina
durante il loro turno di
lavoro. A pag. 52, Chiara
(a destra) con Giulia,
un’operatrice del Bettolino.
A pag. 53, Andrea, e alle
pagg. 50-51 la serra
ministrativi, ecco che un nugolo di cappellini,
magliette e grembiuli blu ti guarda a metà tra
l’incuriosito e lo scettico. C’è chi corre subito a
chiederti «come ti chiami?» o «perché sei qui?»
e magari ti abbraccia, chi inizia a chiacchierare e non si fermerebbe più e chi, invece, non ti
degna di una parola. Ma è giusto così: in fondo
stanno lavorando e non tutti hanno voglia di essere disturbati. Soprattutto quando bisogna pesare le erbe aromatiche, inserirle nelle vaschette
di plastica che poi vanno messe sul rullo destinato a trasportarle nella macchina per il confezionamento e l’etichettatura. Alla fine di questa
piccola “catena di montaggio”, le vaschette finiscono su un piatto girevole pronte per essere sistemate nelle scatole e spedite al cliente.
Nelle terre di don Camillo e Peppone, frutto
della fantasia di Giovannino Guareschi, la tradizione della cooperazione emiliana è forte. Il
Bettolino, infatti, è una realtà sociale grande e
SuperAbile INAIL
durre pesto alla genovese a marchio “Amici in
campo” e, grazie alle tecniche integrate per la
coltivazione delle piante (cioè che limitano al
minimo il ricorso ad agenti chimici), pone particolare attenzione all’ambiente circostante, al
luogo di lavoro e alla salute dei propri dipendenti. Completano il quadro il confezionamento di
posate di plastica e dei kit di condimento.
«La nostra sfida più grande, a cui abbiamo
puntato fin dagli esordi, è quella di stare sul mercato come fanno tutte le altre aziende: solo il 10%
delle nostre attività è convenzionata con gli enti locali», precisa Benelli. Si tratta soprattutto di
servizi ambientali che vanno dalla manutenzione del verde alla pulizia dei cimiteri, dalla raccolta di rifiuti ospedalieri a quella porta a porta di
rifiuti ingombranti, fino alle gestione di alcune
isole ecologiche vicine. «Cerchiamo di far emergere il valore sociale del nostro lavoro, ma senza
nulla togliere alla qualità e alla competitività dei
nostri prodotti e servizi – continua la presidente –. Non vogliamo che le nostre erbe aromatiche vengano comprate perché sono frutto dello
sforzo di ragazzi disabili, ma perché sono buone».
54 supplemento Luglio 2015
Lo stesso vale per la bellezza delle piante fiorite:
d’inverno stelle di Natale e ciclamini, in primavera soprattutto primule, viole e rose, d’estate gerani e, da quest’anno, anche girasoli.
Altra novità recente è l’essersi trasformata in
cooperativa di tipo misto, capace cioè di offrire
non soltanto inserimenti professionali ma anche
servizi socio-terapeutici riabilitativi. «È una richiesta che ci è arrivata dai Comuni, anche alla
luce della nuova legge regionale che ha abolito le
borse lavoro», spiega Barbara Leoni, responsabile del settore sociale. Quindi dal 2013 chi lavora
al Bettolino – assunto o in tirocinio – ha la possibilità anche di praticare educazione motoria e
seguire i laboratori di espressività artistica, nonché i corsi di cucina o di fotografia. E lo fa attraverso la rotazione di piccoli gruppi, sia perché
la produzione non deve comunque fermarsi mai,
sia perché il rapporto tra educatore e persona disabile deve essere sempre di uno a sei/sette. «Ma
non tutti hanno preso bene questo cambiamento: per alcuni si è trattato di uno stimolo in più,
mentre per altri è stato un po’ sminuente, soprattutto per coloro a cui piace lavorare e che sono
orgogliosi di farlo. Per questo abbiamo mantenuto alta l’attività ergoterapica, ossia tutto quello
che fa vera occupazione», dice la referente dell’area sociale.
La giornata tipo del Bettolino, infatti, è scandita da due turni: quattro ore di lavoro la mattina (dalle otto a mezzogiorno, con una pausa di
un quarto d’ora), per chi resta anche a mangiare si pranza tutti insieme nel vicino ristorante
(convenzionato con la cooperativa) e alle 14 ciascuno riprende la propria mansione per finire alle 17. Non tutti, però, lavorano a tempo pieno: c’è
anche chi fa solo mezza giornata, scegliendo il
turno mattutino o pomeridiano in base alle diverse esigenze.
In fondo è come se Il Bettolino fosse un grande gruppo di amici: «Si festeggiano tutti i compleanni, la domenica si va spesso in gita insieme
e la sera al pub o in pizzeria – racconta Leoni –.
Molti non hanno una famiglia alle spalle, soprattutto gli adulti, e vivono in appartamenti protetti
o in altre strutture. Ma a volte si trovano alcune
resistenze anche quando i genitori sono presenti,
soprattutto quando considerano “stranezze caratteriali” la disabilità dei propri figli». Strano a
pensarsi, perché dopotutto si tratta di dare dignità sociale, autonomia individuale e indipendenza economica alle persone.
Per chi volesse visitare questa realtà, ogni
anno la cooperativa organizza – a ridosso della Giornata internazionale delle persone con disabilità fissata al 3 dicembre – l’iniziativa “Porte
aperte al Bettolino”.
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55 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI Coltivare e produrre
Gustolab, dove l’arte
bianca è padrona di casa
Nel laboratorio milanese si sfornano ogni giorno 80 chili di bocconcini,
biscotti e pizzette bio, che riforniscono il ristorante Gustop e alcune
aziende del territorio. Grazie a sette panettieri disabili
’
L
Elena Parasiliti/foto Marcello Terenghi
unica barriera è un vetro che corre lungo
le pareti bianche. Dietro, rapidi e precisi, perfettamente coordinati, si muovono
cinque uomini. Chini attorno al tavolo
da lavoro si scambiano poche istruzioni
e molti sguardi. Le mani sporche di farina, le teglie pronte per essere infornate. Il profumo di pane fresco, che supera i muri e invade il minuscolo
spazio vendita, esce dalla porta e attraversa questa
strada della periferia Sud di Milano. È da questo
laboratorio in via Santa Teresa 18/a che ogni giorno partono, alle sette del mattino in punto, i bocconcini “40 grammi bio” che i clienti dell’Ikea di
Corsico e San Giuliano metteranno con un gesto
automatico – senza neppure saperlo – sul proprio
vassoio in pausa pranzo.
A prepararli, i panettieri di Gustolab, un laboratorio di arte bianca biologica aperto dalla coSuperAbile INAIL
operativa sociale Via Libera lo scorso anno. Un
business doppiamente buono nella città che accoglie l’Expo e vanta una solida tradizione di panificatori e michette: «L’idea è nata dal fascino che il
cibo esercita su tutti noi e dalla voglia di valorizzare al massimo le capacità delle persone», spiega
Andrea Miotti, presidente della onlus L’Impronta,
impegnata da 14 anni nel campo della disabilità.
E che, insieme a Via Libera, in poco meno di tre
anni ha inaugurato, oltre a questa attività, anche
il ristorante self-service Gustop, divenuto un piccolo caso di eccellenza gastronomica e solidale, e
la tipografia Altrostampo. Ventisette dipendenti
in tutto, di cui 17 con disabilità, per lo più cognitiva. Le assunzioni, però, non sono ancora finite.
«Cerchiamo un autista che si occupi dei trasporti
catering. Aspettiamo le segnalazioni delle agenzie
di lavoro, ma anche i curricula. Sappiamo già che
saremo travolti», scherza il presidente. Perché, se
56 supplemento Luglio 2015
il periodo è nero per tutti, per le persone disabili trovare un’occupazione che non sia un semplice
“passatempo” è come vincere alla lotteria. «Il rapporto di lavoro varia: al ristorante abbiamo già attivato dei contratti a tempo indeterminato, sulla
panetteria ci arriveremo presto – spiega –. In 13
mesi abbiamo raggiunto il punto di sostenibilità
e oggi abbiamo a contratto sette persone con disabilità: part-time da 20 ore settimanali e 750 euro netti al mese».
Una vittoria in termini di numeri, ma non solo.
Perché per produrre quotidianamente 80 chili di
bocconcini, biscotti, focaccine e pizzette per 358
giorni all’anno – soltanto sette quelli di chiusura previsti dalla committenza – ci vogliono dedizione, persone competenti e una buona “strategia”.
«Tutto merito delle nostre fermalievito – si schermisce Marcello Terenghi, omone con i baffi e il
sorriso aperto, indicando quelli che all’apparenza sembrano due grossi frigoriferi –. Grazie a loro
possiamo far bene il nostro lavoro, senza pretendere che i panettieri siano impegnati per tutta la
notte», dice, presentando uno a uno non solo i lavoratori ma anche i macchinari che rendono “accessibile” Gustolab. Così Giovanni, 22 anni, può
arrivare al lavoro alle sette in “autonomia”, senza
bisogno di chiedere un passaggio in auto a parenti
o colleghi, e dedicarsi alla preparazione degli impasti sotto la supervisione dei panettieri “esperti”,
Emanuele e Gustavo. Pesa gli ingredienti con attenzione, soprattutto il sale, li inserisce nell’impastatrice a spirale, li porziona con le spezzettatrici
e, dopo un po’ di riposo, allinea i futuri panini sulle teglie. Lieviteranno lentamente per 15-20 ore, fino alla mattina successiva, quando saranno pronti
per essere infornati. «Sono responsabile di questa
lavorazione e il mio compito è quello di facilitare il
lavoro degli altri panettieri – dice con orgoglio –.
Ho studiato per fare questo mestiere, mi sono diplomato a Villa Igea a Lodi e ora sono felice di essere qui. La mia specialità? Le brioches».
Qualcuno bussa sul vetro e, prima di uscire dal
negozio, saluta con la mano. L’ennesimo cliente
della mattina. In 20 minuti ne sono entrati almeno sei. Dal signore anziano che si è fatto mettere
via «il solito», alla ragazza in leggings e sciarpone
che ha mangiato al volo un trancio di pizza. «Le
nostre commesse arrivano da grandi aziende, come Ikea e Banca Mediolanum, per cui gestiamo
uno spaccio di pane (in ottemperanza alla legge 68
sul collocamento obbligatorio, ndr), o dal nostro
ristorante, ma volevamo che il punto vendita fosse
un luogo accogliente anche per il quartiere», spiega il presidente della cooperativa. Tre volte a settimana, il laboratorio ospita corsi trimestrali per
chi ha una disabilità più grave. «L’importante è
che alla fine delle tre ore i partecipanti abbiano fra
le mani un prodotto finito – spiega Marcello, coordinatore dei corsi –, assaggiarlo insieme ci permette di discuterne pregi e difetti». Come stanno
facendo Fabio e Michele, che controllano la doratura delle loro focaccine prima di portarle ai compagni del centro diurno che frequentano. «Cucino
anche a casa – conferma Fabio, 28 anni –, anche
se il mio sogno è fare un corso di giardinaggio. Per
insegnare». Ambizioso, verrebbe da pensare, ma è
così che nascono le grandi imprese. Perché il segreto sta nella pasta di cui sono fatti prima di tutto gli uomini che ci lavorano.
SuperAbile INAIL
57 supplemento Luglio 2015
A fianco, i panettieri
di Gustolab nel laboratorio
di via Santa Teresa, a Milano
NEI CAMPI Coltivare e produrre
Non siamo a Gomorra.
La cucina antimafia di Nco
Nella Terra dei fuochi la Nuova cucina
organizzata è un progetto di resistenza
a ogni forma di illegalità. Che parte dai frutti
della terra e dal lavoro di persone disabili
o in situazione di disagio
I
Eleonora Camilli/foto Mauro Pagnano
l riscatto, a volte, può venire anche da una
pizza margherita fatta bene. Se il suo pomodoro è stato prodotto in un terreno confiscato alla mafia e se a prepararla ci ha pensato
una persona con disagio psichico che, attraverso la cucina, ha trovato il suo modo di inserirsi
nella società. È per questo che a Casal di Principe
(Caserta), terra famosa come il regno di Gomorra, è nata la Nuova cucina organizzata. Un proSuperAbile INAIL
getto di resistenza a ogni forma di illegalità, che
già nel nome ha il sapore della sfida, con quell’acronimo Nco, di solito usato per indicare la Nuova camorra organizzata. Ma qui di mafia non ne
vogliono più sentir parlare. «Non siamo a Gomorra – ripetono –. Bensì nelle terre sognate da
don Peppe Diana», freddato in sacrestia da cinque
colpi di pistola il 19 marzo 1994. La provocazione,
infatti, è proprio questa: trasformare quella che
nell’immaginario collettivo è la culla della crimi-
58 supplemento Luglio 2015
nalità, non solo per lo strapotere della camorra
ma anche per la concentrazione di rifiuti tossici che le hanno valso l’appellativo di “Terra dei
fuochi”, in un luogo di riscatto sociale per la comunità che vi abita, e in particolare per le persone svantaggiate. Sono circa 60, infatti, le persone
inserite nel progetto: la maggior parte ha un disagio psichico, altri hanno la sindrome di Down
o sono tossicodipendenti.
Nco ha preso il via nel 2012 da cinque cooperative sociali, che si occupano di disagio, dipendenza e malattia mentale, riunite nel Nuovo
consorzio organizzato. «La nostra mission è l’inserimento lavorativo delle persone con problemi
– spiega Giuliano Ciano, presidente del consorzio –. In particolare, ci occupiamo di ristorazione e agricoltura sociale nei luoghi simbolo della
camorra. La nostra idea è quella di riutilizzare i
beni confiscati alle mafie e simbolo del malaffare per restituirli alla cittadinanza, che può venirci
a mangiare, a comprare i prodotti o anche intervenire nei diversi eventi culturali che proponiamo». Il ripristino della legalità passa attraverso
un diverso approccio con la natura e il territorio,
e ha un’impronta altamente inclusiva. Il progetto
di agricoltura sociale è portato avanti con le persone disabili e sorge all’interno dell’ex manicomio civile di Aversa. Qui si coltivano i pomodori,
le melanzane e gli altri prodotti della terra venduti al pubblico anche grazie all’iniziativa natalizia
“Facciamo un pacco alla camorra”, che promuove pacchi dono con la produzione di Libera terra
e all’interno dei beni confiscati.
una patologia schizofrenico-maniacale e una famiglia alle spalle molto problematica, poter entrare a far parte di questo progetto è stata una
vera rinascita. Qui ha trovato non solo un modo
per realizzarsi, ma anche un supporto specialistico da parte degli operatori della cooperativa e del
personale medico che assiste il progetto.
Una parte del raccolto è utilizzata poi nei tre ristoranti della Nuova cucina organizzata: l’agritu-
rismo Fuori di Zucca di Aversa, il locale di San
Cipriano e la pizzeria Nco di Casal di Principe.
Quest’ultimo situato oggi nella villa che fu del
boss Mario Caterina. All’interno lavorano tre
persone con disagio psichico e un ragazzo con
sindrome di Down, Paolo, di 26 anni. A lui è affidato il compito di direttore di sala, mentre Marianna, 27 anni, lavora in cucina. Per lei, che ha
Nelle foto, le attività nei campi e – a pag. 60 –
nel ristorante della Nuova cucina organizzata
«Sperimentiamo un modello di integrazione sociosanitaria che va sotto il nome di “Budget di salute mentale”: il metodo prevede il lavoro
congiunto tra Asl e organizzazioni sociali – spiega Peppe Pagano, della cooperativa Agropoli, responsabile della Nuova cucina organizzata –. In
pratica, anziché tenere le persone nelle strutture
sanitarie, si prevedono per loro dei percorsi di autonomia. Alcuni dei nostri lavoratori vivono nei
gruppi di convivenza e poi vengono impiegati nel-
SuperAbile INAIL
59 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI Coltivare e produrre
le attività del consorzio». È il caso di Vincenzo,
46 anni, anche lui con una patologia schizofrenico-maniacale. Entrambi i genitori non sono più
in grado di occuparsi di lui, perché la madre soffre di Alzheimer e il padre ha un invecchiamento
precoce. «In casa non può stare – aggiunge Pagano –, così in passato ha avuto diversi ricoveri.
Oggi vive nel gruppo di convivenza avviato dalla cooperativa e lavora nel ristorante di Casal di
Principe. Il suo percorso di autonomia è monitorato dagli assistenti sociali della Asl, ma gestito
da noi. Se non ci fosse questa opportunità, sarebbe in una clinica». In una struttura per anziani,
invece, viveva Romualdo, 57 anni, prima di entrare a far parte della Nco. Ci era finito dopo la
morte della madre, un dolore che l’aveva fatto cadere nell’alcolismo e che aveva acuito i suoi problemi psichici. Ma la sua età, non compatibile con
la struttura che lo ospitava, ha costretto la Asl a
trovargli un altro posto dove stare. E così è cominciata la sua avventura all’interno del progetto, di cui oggi è una colonna portante: istruisce e
monitora i nuovi arrivati. «Nel nostro ristorante
gli abbiamo dato il ruolo di capofamiglia, perché
il suo è stato un percorso riabilitativo davvero importante – continua Pagano –. A San Cipriano gli
hanno conferito addirittura la cittadinanza onoraria, che lo indica come professore di vita perché
ha dimostrato che si può uscire dalle difficoltà. E
ora è un esempio per la comunità».
SuperAbile INAIL
Quello della Nuova cucina organizzata è un
progetto riuscito di inclusione e riscatto, che riesce a stare sul mercato, nonostante la crisi. Tanti sono i clienti abituali che vanno a mangiare nei
ristoranti del consorzio, dove i prodotti sono rigorosamente locali: dalle mozzarelle di bufala alla pasta di Gragnano. E c’è chi non rinuncia a
comprare i prodotti della terra coltivati nella fattoria sociale. «Questo luogo è tristemente famoso
come Terra dei fuochi e abbiamo dovuto lottare
per vincere la paura delle persone sull’inquinamento ambientale – afferma Ciano –. Ma i nostri
terreni sono tutti scrupolosamente controllati,
così come quello che produciamo».
Tuttavia, di battaglie i promotori di Nco ne hanno dovute affrontare molte. Innanzitutto quella
contro lo stigma sociale. «Nessuno inizialmente voleva i malati vicino casa, perché nell’opinione pubblica il malato di mente è un serial killer,
una persona pericolosa – aggiunge Pagano –. Ma
il contatto quotidiano ha fatto conoscere chi sono davvero e oggi, quando uno di loro entra in
un bar, fanno a gara per offrirgli un caffè». L’altra lotta, ancora più dura, contro la criminalità
organizzata. «Abbiamo ricevuto tante intimidazioni – spiegano –: tubi dell’acqua tagliati, spari
contro il ristorante-pizzeria, minacce. Ma non ci
arrendiamo. Vogliamo che il sogno di don Diana,
di una terra libera dalla camorra, diventi realtà».
60 supplemento Luglio 2015
Vecchia Orsa,
il retrogusto
sociale della birra
Con un prodotto artigianale di qualità il micro-birrificio di San Giovanni
in Persiceto si fa conoscere in tutta Italia: all’attivo, tre premi
e una chiocciola Slow food. Storia di una piccola impresa che ha fatto
scuola nell’entroterra bolognese. E non solo
D
Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo
ieci tipi di birre, tutte artigianali, e un’etichetta disegnata ad hoc. Bionde, scure, bianche, ale, weisse e con spezie,
compresa la biologica “Biolca” e la neonata “Rye Charles” (una stout brassata utilizzando anche la segale). Tutte prodotte dal
SuperAbile INAIL
micro-birrificio Vecchia Orsa di San Giovanni in
Persiceto (Bologna), gestito dalla cooperativa sociale FattoriAbilità. Sì, perché dietro orzo e luppolo fermentati, intrecci aromatici, note fruttate,
colori ambrati e retrogusti più o meno persistenti, ci sono anche tre soci lavoratori con disabilità
regolarmente assunti – Mimmo, Valerio e Mar-
61 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI Coltivare e produrre
co –, alcuni ragazzi in tirocinio formativo o stage
in convenzione con la Asl (attualmente Valentina ed Emanuele) e una rete di volontariato che si
collega in particolare agli scout, tutti diretti dal
sapere del mastro birraio Enrico Govoni. Lavoratori che producono e partecipano a un progetto imprenditoriale. «La nostra mission, fin dagli
esordi della cooperativa nel 2006 in una casa di
campagna a Crevalcore – la corte “Orsetta vecchia”, da cui il nome del birrificio –, è sempre stata quella di creare posti di lavoro per le persone
svantaggiate», spiega il presidente di FattoriAbilità Michele Clementel. Poi, con il boom delle birre artigianali, «siamo pian piano cresciuti»:
tre premi vinti al concorso “Birra dell’anno” (per
“Aurora” e “Utopia”) e la “chiocciola” Slow Food
nella Guida alle Birre d’Italia 2015 hanno fatto
della Vecchia Orsa una realtà piccola ma molto
apprezzata.
Inoltre «la sfortuna del terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012, e che ha reso inagibili i noSuperAbile INAIL
stri vecchi locali, ci ha paradossalmente aiutati:
la tanta solidarietà e le donazioni ricevute ci hanno permesso non solo di continuare a produrre
grazie all’ospitalità di altri birrifici artigianali ma,
soprattutto, di trasferirci in un nuovo capannone di 400 metri quadrati, di dotarci di un furgone con il nostro logo e soprattutto di acquistare
un ammostatore, un tino-filtro, un bollitore e due
fermentatori/maturatori più grandi». Stessa cosa
dicasi anche per la cella calda, per quella di stoccaggio e per i due generatori: uno di vapore, l’altro di acqua gelida.
Così la produzione del birrificio Vecchia Orsa
è passata dai 300 ettolitri l’anno dei primi tempi
agli attuali 700. «Ma siamo pur sempre una realtà che deve saper stare sul mercato: un’impresa sociale che deve guardare alla qualità del suo
prodotto e che richiede una gestione economicofinanziaria oculata ed efficiente, senza dimenticare l’attenzione alle persone, al servizio e alla
dignità del lavoro», sottolinea Andrea Mazzucchi, uno dei soci fondatori della cooperativa ed
ex maratoneta disabile. «Nell’equilibrio di queste
due anime risiede la nostra forza – aggiunge –. E
in un periodo di crisi delle cooperative, nonché di
maggiore concorrenza per il proliferare delle birre artigianali, l’essere competitivi è stata la nostra salvezza».
L’altra grande novità del post terremoto è stata l’apertura dello spaccio per la vendita diretta,
con zona degustazione. Così, appena si arriva alla Vecchia Orsa, quello che colpisce è l’ambiente
confortevole e informale dei tavolini e dei divanetti realizzati dando nuova vita a vecchi bancali: una sorta di pub con una vetrata trasparente
che permette di guardare la filiera produttiva.
Un’altalena attaccata al soffitto, il bancone con
la spillatrice e la possibilità di assaggiare salumi
e formaggi, o di ordinarsi una pizza da asporto,
completano quello che può definirsi un vero locale (anche se piccolo).
Al birrificio non ci si annoia mai. Ogni giorno di lavoro, infatti, non è mai uguale a se stesso:
lunedì pulizie, preparazione degli ordini e programmazione settimanale; martedì e venerdì
etichettatura; mercoledì cotta (cioè produzione
62 supplemento Luglio 2015
del mosto) e giovedì imbottigliamento. E se per
Mimmo lavorare «è divertente, perché mi piace tutto», per Valerio ci sono mansioni faticose,
«ma ormai ci sono abituato». Al momento attorno al birrificio gravitano 35 soci, tra sovventori e
prestatori, più un’altra quindicina di persone: otto sono stipendiate, due sono volontarie e le restanti sono ragazzi e ragazze pagati con i voucher
per occuparsi della gestione serale della zona degustazione.
Ma chi sono i clienti della Vecchia Orsa? A
parte i privati, che vanno direttamente allo spaccio di San Giovanni in Persiceto, «il grosso del
nostro fatturato arriva dai rivenditori, dai locali
che hanno la nostra birra alla spina e dai gruppi
di acquisto solidali – spiega Clementel –. Anche Natale è, paradossalmente, un buon periodo
per noi, grazie soprattutto alle confezioni regalo.
Senza dimenticare gli eventi a cui partecipiamo:
qualche sagra paesana del bolognese e soprattutto le fiere di settore». Tra cui, quest’anno, la
manifestazione internazionale dei birrifici indipendenti “Beer Attraction”, la fiera nazionale del
consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fa’
la cosa giusta”, il festival del commercio equosolidale “Terra equa” e, a settembre, il “Cheese” di
Torino, organizzato da Slow Food. «Tutti eventi
che ci danno modo di sottolineare e di trasmettere le mani diversamente abili che stanno dietro il
nostro prodotto», conclude il presidente della cooperativa. Accanto al birrificio, nel 2013 si è aggiunto anche il progetto “Gli asini del re” (attività
assistite con gli animali, in particolare asinelli e
caprette), che FattoriAbilità gestisce insieme alla
cooperativa sociale Open Group nel centro “Maieutica” sempre a San Giovanni in Persiceto.
Sopra, Valentina e – a pag. 61 – Mimmo,
lavoratori della Vecchia Orsa all’opera.
A sinistra, l’insegna del birrificio
SuperAbile INAIL
63 supplemento Luglio 2015
NEI CAMPI Coltivare e produrre
“Capezzaia”,
la pasta fresca
con un sapore
speciale
Giada, Michele, Simone hanno una lieve disabilità
e lavorano nella filiera di produzione, dopo aver
frequentato un laboratorio sociale presso la
Comunità di Capodarco, a Roma. Assunti part-time
a tempo indeterminato, sperano che altri possano
condividere il loro sogno di autonomia
C
Laura Badaracchi/foto Stefano Dal Pozzolo
appelletti e ravioli, cannelloni e pappardelle, fettuccine e tonnarelli, chicche e
gnocchi di patate, tutti targati “Pasta di
Capezzaia”. Un marchio speciale, perché
nello stabilimento di Santa Palomba, a
Sud della Capitale, dal lunedì al venerdì preparano i pacchi, etichettano e controllano la filiera
di produzione Giada, Michele e Simone, persone
con lieve disabilità che hanno frequentato un laboratorio sociale della Comunità di Capodarco
di Roma. Esperienza che consente a persone disabili tra i 20 e i 50 anni di imparare a impastare e preparare sfoglie all’uovo. Per loro tre questo
passatempo creativo si è trasformato in un lavoro part-time che sperano diventi a tempo pieno.
Un’occupazione a tutti gli effetti, con un contratto a tempo indeterminato, che ha consentito a
Giada di acquistare un’automobile, e che agevola Michele e Simone nell’autonomia economica.
«Al momento i nostri prodotti sono presenti
nelle Coop del Lazio e presso i supermercati DeSuperAbile INAIL
spar, Eurospar e In grande della regione. Inoltre
si trovano in due market Simply a Roma, che al
loro interno hanno come lavoratori alcuni ragazzi provenienti dalla Comunità di Capodarco. Siamo cresciuti, piano piano, ma ci vorrebbe sempre
una spinta in più per consentire al progetto di allargarsi e di offrire occupazione ad altre persone,
anche perché la produzione è di ottima qualità»,
fa notare Gianluca Rossi, alle spalle un’esperienza ultraventennale come pastaio, responsabile
della produzione e coordinatore di “Pasta di Capezzaia”.
«I ragazzi si sono integrati perfettamente con
gli altri lavoratori. Sono bravi nelle mansioni che
sono chiamati a svolgere, sempre pronti a imparare e a darsi da fare». Nello stabilimento compaiono anche altri marchi, dato che la struttura
si estende per circa 1.800 metri quadrati, escluNella foto Giada, Michele e Simone
al lavoro nello stabilimento di Santa
Palomba, a Sud della Capitale
64 supplemento Luglio 2015
si altri 500 di celle frigorifere. «Le materie prime to realizzato grazie a un bando di concorso e a
vengono selezionate e monitorate in maniera co- un finanziamento di 160mila euro raccolti attrastante – aggiunge Rossi –. Tutti i nostri fornito- verso le donazioni dei punti spesa dei soci Coop,
ri sono certificati, quindi maggior garanzia nella «con l’obiettivo principale di inserire al lavoro
sicurezza della qualità della materia prima, ogm persone con disabilità. La pasta fresca, già spefree. I ripieni sono preparati quotidianamente: rimentata nel laboratorio sociale, ci è sembrata
soffritti di carne bovina fresca con sedano, ca- adatta. Poi l’Italia è il Paese della pasta, e “Capezrote, cipolle, “come fatti in casa”; besciamella e zaia” è pasta fresca all’uovo».
La filosofia di fondo? «Non ci può essere sosalse vengono realizzate con il latte Uht e non in
polvere, senza additivi e conservanti. E la sfoglia lo un welfare che paga i servizi e o che si limiè soltanto di semola di grano duro, composta da ta ad assistere – rimarca Politano –: deve essere
ben sei uova».
inclusivo e, quando possibile, in grado anche di
sganciarsi dallo Stato. Le persone disabili che laCapezzaia ha un significato ben preciso: si trat- vorano sono inserite e si sostengono da sole: un
ta del margine inutilizzato dei campi, la parte in- duplice vantaggio. Con la speranza di creare ricolta «dove gira il trattore: apparentemente non sorse anche per altri. Perché è possibile realizserve a nulla, ma se non ci fosse il trattore non zare prodotti ottimi rispettando la qualità del
potrebbe girare e portare benefici al resto del- lavoro, nella consapevolezza della sempre magla coltura», sottolinea Rossi. «Una metafora di gior difficoltà di reperire risorse per la spesa sochi sembra inutile e invece può diventare risor- ciale e nella direzione di far diventare soggetti
sa», osserva Luigi Politano, della Comunità di attivi di un’economia etico-sociale i consumatoCapodarco di Roma. Che ha creduto al proget- ri, le imprese profit, il non profit e gli enti locali».
SuperAbile INAIL
65 supplemento Luglio 2015
il libro Qualità della vita
Buone ricette per recuperare
il gusto del cibo.
Nonostante la disfagia
Carla Chiaramoni
U
n libro può aiutare a cambiare la vita, concretamente. È quello che è accaduto a Bruna,
mamma di due ragazzi di 25 e 17 anni, entrambi colpiti dalla distrofia muscolare di Duchenne,
con problemi progressivi di mobilità e deglutizione.
Bruna gestisce quotidianamente la difficoltà di cucinare cibi diversi per lei e suo marito e di mantenere
per i figli una dieta
in grado di nutrire
adeguatamente e
rendere allo stesso
tempo sicuro il pasto.
Una mole di lavoro di
non poco conto, se si
considera quanto sia
impegnativa la presa
in carico di due figli
con disabilità.
Durante un ricovero
presso il Centro clinico
Nemo al Niguarda
di Milano, Bruna ha
scoperto l’esistenza di un ricettario dedicato, voluto
da chi tutti i giorni si confronta con questo problema: Roberto Frullini, presidente della Fondazione
Dante Paladini, che in prima persona sperimenta
queste difficoltà, e Alberto Fontana, presidente di
Fondazione Serena onlus, ente gestore del Centro
clinico Nemo, affetto da atrofia muscolare spinale.
L’incontro con due grandi chef, Mauro Uliassi e Paolo
Piaggesi, ha dato vita nel 2013 a Nutrirsi con gusto,
prezioso volume fotografico (pagine 117, euro 20)
dedicato a chi soffre di disfagia, ma pensato anche
per familiari, caregiver, logopedisti, nutrizionisti e
dietisti.
La difficoltà di deglutire cibo o liquidi colpisce circa
il 70% di chi è affetto da malattie neuromuscolari
e rappresenta «un percorso inevitabile per molte
persone che soffrono di patologie come sclerosi
SuperAbile INAIL
laterale amiotrofica, atrofia muscolare spinale e alcune forme di distrofia», spiega Roberto Frullini, che
ha curato il coordinamento editoriale.
Gli chef hanno lavorato con la consulenza di uno
staff medico (Savina Bramucci, Michela Coccia e
Massimiliano Petrelli) e hanno ideato un ampio
menù, che va dall’antipasto al dolce, completo da un
punto di vista nutrizionale e in grado di soddisfare
l’occhio oltre che il palato. L’obiettivo infatti non è
solo il superamento degli ostacoli oggettivi legati
all’alimentazione, ma anche recuperare il piacere del
cibo, il gusto degli alimenti.
«La collaborazione con lo chef Uliassi – spiega
Frullini – è cresciuta nel corso degli anni, con una
presa di consapevolezza dei molteplici problemi dei
malati neuromuscolari. Essendo la disfagia legata
al mondo del cibo, è stato quasi naturale ideare
un’iniziativa che potesse essere di supporto per affrontare questa problematica. Le ricette sono state
selezionate dagli chef, tenendo presente le caratteristiche degli alimenti, la difficoltà di esecuzione per
i caregiver, le tecniche di conservazione e rigenerazione». Inoltre il presidente della Fondazione Dante
Paladini ci tiene a sottolineare: «Mauro e Paolo
lavorano insieme da anni e amano profondamente la
loro professione. Incontrarli è stata una esperienza
densa di emozioni e positività».
Tante le presentazioni di questo ricettario, che proseguono anche con un intento solidale: il ricavato
delle vendite, infatti, è devoluto al Centro clinico
Nemo (Centrocliniconemo.it).
«La mia vita è cambiata in meglio – racconta
Bruna –. Oggi preparo un unico menù che poi omogeneizzo o frullo in base alle esigenze dei miei figli.
Loro gradiscono molto, perché si tratta di cibi buoni,
mentre prima ero costretta a preparare pappette
spesso insapori. In poche parole, è contenta tutta la
famiglia».
Per ulteriori informazioni e richieste di copie, tel.
02/91433779, [email protected].
66 supplemento Luglio 2015
INAIL risponde è un servizio con il quale gli utenti registrati al Portale
istituzionale possono contattare l’Istituto attraverso un form strutturato
per richiedere:
•
•
•
informazioni o chiarimenti sull’utilizzo dei servizi online
approfondimenti normativi e procedurali
integrazioni dei contenuti informativi presenti sul Portale Internet
I vantaggi di INAIL risponde sono individuati nella:
•
•
•
•
riduzione dei tempi di attesa
certezza della presa in carico
certificazione delle risposte
gestione strutturata e tracciatura dei contatti
Il canale di accesso all’applicazione è il Portale www.inail.it
•
•
Contatti
Punto Cliente
Per l’accesso al servizio è necessario che l’utente sia registrato sul Portale
Inail.
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