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101 atleti italiani in partenza per Los Angeles
IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ / LUGLIO 2015 / NUMERO 7 Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano FELICE TAGLIAFERRI Non servono gli occhi per fare lo scultore FOTOGRAFIA Tutti siamo utili: una mostra per dirlo SPECIAL OLYMPICS 101 atleti italiani in partenza per Los Angeles EDITORIALE di Giovanni Paura Direttore Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, Inail Special Olympics, da 50 anni un movimento che guarda al futuro Q uella degli Special Olympics è una storia speciale. Nati negli Stati Uniti d’America degli anni Sessanta grazie alla caparbietà di Eunice Kennedy, sorella del presidente JFK, rappresentano il primo movimento dedicato allo sport per le persone con disabilità intellettiva. Un’idea decisamente all’avanguardia in un periodo storico in cui chi aveva questo di tipo di deficit non era considerato in grado di praticare attività sportive e gli istituti rappresentavano ancora la via maestra per le famiglie e gli operatori sanitari. A distanza di oltre 50 anni, quell’intuizione resiste ancora e nel momento in cui scriviamo gli atleti italiani si preparano a partire per Los Angeles, dove dal 25 luglio disputeranno i Mondiali estivi. Dall’America del boom economico il movimento è migrato in più di 170 Paesi, coinvolEssere parte di una squadra gendo quattro milioni e mezzo di sportivi. Soltanto in Italia sono 14mila, oltre 100 dei quali in partenza per la California. Nel frattempo il Comita- può far accadere l’incredibile: to paralimpico – attraverso la Fisdir (Federazione italiana sport disabili- sono tanti quelli che, grazie tà intellettiva relazionale) – dà sempre più spazio a questi atleti. In ambito internazionale, a Londra 2012 erano riservate loro sette gare in varie di- alla partecipazione agli eventi scipline (fra atletica, nuoto, tennistavolo) e a Rio 2016 tale presenza sarà sportivi, trovano la capacità ulteriormente rafforzata. di affrontare le sfide della contemporaneità A Los Angeles gli atleti andranno con l’obiettivo di partecipare e non di vincere, perché negli Special Olympics quello che conta non è tanto la prestazione o il risultato, ma piuttosto esserci, crederci, dare il meglio di sé. Un’idea del mondo che lo sport permette di accrescere e coltivare. Essere parte di una squadra può far accadere l’incredibile e sono tanti quelli che, grazie alla partecipazione ad alcuni degli innumerevoli eventi sportivi organizzati ogni anno, trovano la forza di affrontare con grinta e serenità le sfide della contemporaneità. Queste sfide, sia chiaro, riguardano le persone con disabilità come i cosiddetti normodotati, chiamati a combattere contro i propri pregiudizi. Perché non è possibile migliorare la qualità della vita di coloro che convivono con uno o più deficit, se non cambia la mentalità della società nel suo complesso. Un concetto molto chiaro agli organizzatori di Special Olympics che oggi, come 50 anni fa, si fanno carico di creare integrazione combattendo gli stereotipi. E così, come un tempo gli sportivi con difficoltà intellettive hanno dimostrato di poter correre la maratona a chi non li credeva in grado di affrontare i 100 metri, oggi gli atleti con e senza disabilità fanno parte delle stesse squadre impegnate nelle discipline “unificate”. È l’ultima frontiera degli Special Olympics: abbattere gli steccati per creare un nuovo modo di stare insieme e, soprattutto, abituare i giovani a convivere con le differenze. A Los Angeles gli italiani senza disabilità saranno 17. Giovani ambasciatori di un futuro migliore per tutti. SuperAbile INAIL 3 Luglio 2015 NUMERO sette Luglio 2015 EDITORIALE 3 Special Olympics, da 50 anni un sotto la lente 20 Francesco e la sua battaglia movimento che guarda al futuro di Giovanni Paura ACCADE CHE... per entrare al Conservatorio di Ambra Notari PORTFOLIO 5 Superare gli istituti per disabili: 22 Usateci pure lo chiedono 13 europarlamentari di E.C. e la Fish SPoRT 6 Arriva “To-Handbike”, il primo 26 Cinque uomini e una passione sharing rivolto ai disabili chiamata quad L’INCHIESTA di Michela Trigari 8 Special Olympics. La carica tempo libero dei 101 28 In viaggio verso Santiago. di Stefano Caredda Se la meta è per tutti INSUPERABILI di Dario Paladini 18 L’arte nelle mani Intervista a Felice Tagliaferri di Antonio Storto SuperAbile Inail Anno IV - numero sette, luglio 2015 Direttore: Giovanni Paura In redazione: Antonella Patete, Laura Badaracchi e Diego Marsicano Direttore responsabile: Stefano Trasatti Hanno collaborato: Eleonora Camilli, Stefano Caredda, Dino Collazzo, Hélène D’Angelo, Ambra Notari, Dario Paladini, Antonio Storto, Michela Trigari di Redattore Sociale; Gianluca Nicoletti; Erica Battaglia, Giorgia Di Cristofaro, Rosanna Giovèdi, Daniela Orlandi del Consorzio sociale Coin; Ilaria Cannella, Cristina Cianotti, Giuseppina Carrillo, Francesca Iardino, Monica Marini, Mariella Pedroli dell’Inail CULTURA 30 Quella ostinata voglia di vivere raccontata alle telecamere di Laura Badaracchi 31 Terza o quarta età, con il sorriso sulle labbra di L.B. 34 Jazz senza barriere. Né parole di L.B. 35 Canto per la Polonia in sedia a ruote di Eleonora Camilli RUBRICHE 36 Inail... per saperne di più “Inform@bili”, per superare il divario digitale 37 Previdenza Permessi 104. Quando l’uso è improprio 38 Senza barriere Per un edificio accessibile e inclusivo: ecco il decalogo 39 L’esperto risponde Scuola, Turismo Editore: Istituto Nazionale Arnia srl di M.T. Rally Gilles, il primo pilota tetraplegico a correre la ParigiCapo Nord di M.T. 41 Cronache marziane Arriva l’estate, ritorna l’incubo (del genitore) di Gianluca Nicoletti Sogni Ecco Madeline, l’aspirante modella Down di M.T. 42 Sfide d’Oltralpe Cinema accessibili, in Francia il sogno di un attore autistico diventa spot di Hélène D’Angelo Stampa: Tipografia Inail Un ringraziamento, per averci gentilmente concesso l’uso delle foto, a Special Olympics (pagg. 4, 8-17), Filippo Mingardi-Quad Mania on Tv (pagg. 4, 26), Chiesa dell’arte (pag. 18), Francesco Nurra (pagg. 20-21), Stefano Pinci (pagg. 22-25), Luciano Callegari (pagg. 28-29), Enrico Pozzato (pag. 34), Arnia srl (pag. 40). Autorizzazione del Tribunale di Roma In copertina: foto di Special Olympics durante una gara a Venezia per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro Redazione: Superabile Magazine c/o agenzia di stampa Redattore Sociale Piazza Cavour 17 - 00193 Roma E-mail: [email protected] Via Boncompagni 41 - 20139 Milano numero 45 del 13/2/2012 Progetto grafico: Giulio Sansonetti SuperAbile INAIL miscellanea 40 Che impresa 4 Luglio 2015 ACCADE CHE... Europa Superare gli istituti per disabili: lo chiedono 13 europarlamentari e la Fish U n secco “no” all’istituzionalizzazione delle persone con disabilità, realizzando soluzioni alternative più vicine a un contesto familiare o comunitario. L’appello arriva da 13 europarlamentari, che hanno chiesto di sottoscrivere la dichiarazione da loro presentata. Ma tra i promotori non figura nessun connazionale: lo ha fatto notare la Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap), che spera nell’adesione da parte della maggioranza dell’Europarlamento. «In tutta l’Unione europea – dichiara la Fish – ci sono centinaia di migliaia di minori, disabili, persone affette da problemi di salute mentale, anziani e senza fissa dimora che vivono all’interno di istituti e subiscono a vita le conseguenze dell’istituzionalizzazione». Gli Stati membri «dovrebbero abbandonare questo tipo di assistenza a favore di un sistema di sostegno basato sulla famiglia e la comunità. Si tratta di una transizione complessa che comporta lo sviluppo di servizi di prossimità qualitativamente elevati, la chiusura pianificata delle strutture residenziali a lunga permanenza e il trasferimento di risorse», nota ancora la Fish. Per attuare questo programma andrebbero utilizzati i fondi europei «conformemente allo sviluppo di servizi alternativi al ricovero in un istituto»: cosa, peraltro, prevista dai nuovi regolamenti sugli investimenti adottati PROGETTI Settecento chilometri in bici per costruire un parco giochi accessibile B ologna-Napoli in bicicletta per una raccolta fondi itinerante. Lo scopo? Realizzare un parco giochi inclusivo sotto le Due Torri. Così Annamaria Cecaro, madre di due bambini autistici, e Pierre Cesaratto, un amante delle due ruote molto seguito sul web, hanno percorso circa 700 chilometri lungo la costa adriatica e raccontato la loro SuperAbile INAIL nel 2014 dalla Commissione. Il contrasto alla segregazione e all’isolamento è anche uno degli obiettivi principali della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ha ricordato il presidente della Fish Vincenzo Falabella: «Su questo principio richiamiamo l’impegno politico dell’Europa e del nostro Parlamento e quello culturale delle associazioni e della società civile». [M.T.] A Cuneo Inail e Cip aprono uno sportello dedicato allo sport per tutti. Il servizio vuole sostenere e incoraggiare l’avviamento alla pratica sportiva da parte di persone disabili. «Non vantiamo atleti di fama avventura sulla pagina – specificano i promotori dell’iniziativa –, ma Facebook “Bologna/ abbiamo un gruppo di Napoli in bici... 700 km di sorrisi”. L’idea è nata dopo assistiti che svolgono aver letto un articolo sulla a livello competitivo e amatoriale regolare storia di Claudia Protti e attività sportiva, Raffaella Bedetti, due ciascuno nelle discipline mamme di per cui si sente più portato: tennis da Santarcangelo di Romagna tavolo, tennis in carrozzina, handbike che, grazie a una pagina e sci». Lo sportello è Facebook e al blog Parchi aperto presso la Sede per tutti, sono riuscite a Inail il primo e il quarto ottenere un parco giochi martedì di ogni mese, in attrezzato per i loro figli disabili. Da qui il desiderio via Einaudi 30, dalle ore 8.30 alle 10.30. della signora Cecaro di fare qualcosa anche nella propria città. [Dino Collazzo] 5 Luglio 2015 ACCADE CHE... Bologna Un servizio per tradurre in Braille gli spartiti musicali M usica in braille. L’Unione nazionale italiana volontari pro ciechi di Bologna ha deciso di attivare il servizio “Ottavio Orioli” per aiutare i giovani non vedenti che studiano brani e spartiti a reperirli in Braille. E nel caso se ne accerti la mancanza, si può richiederne la trascrizione. A questo penseranno dieci persone in tutta Italia che, attraverso un software apposito, tradurranno in Braille. Il gruppo è composto da esperti di musica È nata l’Associazione italiana linfoistiocitosi emofagocitica. Parte dal ricordo di Mario Ricciardi, di Napoli, la campagna per puntare i riflettori su questa malattia rara. La sindrome coinvolge le cellule del sistema immunitario, insorge solitamente nei primi mesi di vita in seguito a un’infezione virale e colpisce circa un bambino su 50mila. Amici e familiari di Mario hanno fondato l’Aile (Associazione italiana linfoistiocitosi emofagocitica), la prima nel nostro Paese a interessarsi a questa malattia. L’obiettivo? Creare una rete tra genitori e favorire lo scambio di informazioni, oltre che l’attività di medici e ricercatori. e informatica volontari. «L’idea è rivolta ai ragazzi e non vuole sostituirsi ai centri di trascrizione presenti», spiega Paolo Razzuoli, ex docente di musica di Lucca, ideatore del servizio insieme a Mauro Marchesi, presidente dell’Univoc locale. «Spesso esistono situazioni discutibili sul versante pedagogico, tecnico e didattico. Per questo – aggiunge Razzuoli – si è sentito il bisogno di dare supporto e consulenza». Info: Univocbologna.it. TORINO Arriva “To-Handbike”, il primo sharing rivolto ai disabili. In Europa solo a Varsavia S i chiama “ToHandbike” il primo servizio italiano di bici a noleggio dedicato alle persone con disabilità. Voluto da Angelo Catanzaro, vulcanico presidente dell’Associazione italiana paralisi spastica (Aips onlus), il progetto è partito in via sperimentale a Torino ed è promosso insieme a Bicincittà, che nel capoluogo piemontese gestisce già il bike sharing “tradizionale”. Chiunque può fare un giro di prova su uno dei prototipi di handbike disponibili nell’officina di Lungo Po Antonelli: basta prenotare sul sito Internet di Tobike. it e compilare un questionario, le cui risposte costituiranno la base di partenza per implementare il servizio vero e proprio (che dovrebbe essere pienamente operativo nella primavera del 2016). A livello europeo, l’unica altra città a sperimentare il bike sharing per le persone con disabilità è stata Varsavia. SuperAbile INAIL food “Valgo anch’io”: a Roma il marchio dei ristoranti inclusivi I l bollino con l’indicazione “Valgo anch’io” è il nuovo marchio della ristorazione che include. Chi? I lavoratori con disabilità. Promosso dalla Comunità di Sant’Egidio di Roma a conclusione di un corso di formazione professionale per aiuto cuoco e personale di sala, sarà come quello del Gambero Rosso: stampato su un adesivo e attaccato all’entrata dei ristoranti. Ora non resta che trovare le strutture disposte ad assumere questi lavoratori così come era accaduto nel 2012, quando una trentina delle 50 persone disabili diplomate aveva trovato un’occupazione presso mense scolastiche e universitarie, ma anche grandi ristoranti romani come Il Convivio, Baccano, La Zanzara, Romeo, Glass, Roscioli, Eataly, Baba, All’Oro, Hotel Majestic. 6 Luglio 2015 NARRAZIONI Istruzione “Apocalypse Down”: in viaggio per Lazio: alunni disabili maggiorenni l’Italia alla ricerca dell’autonomia a scuola anche per il 2015/2016 L’ D a Cantù alla Casa del sole di Pordenone a bordo di un furgoncino bianco, passando per altre cinque città e altrettante esperienze di vita più o meno indipendente. È il viaggio realizzato da quattro ragazzi con Trisomia 21, accompagnati da due educatrici e da uno psicologo, allo scopo di raccontare in un documentario quelle realtà italiane in cui la disabilità diventa autonomia. Il progetto, che si chiama “Apocalypse Down”, è stato voluto dall’associazione DownVerso di Cantù grazie al contributo della Fondazione Comasca. Composta da Stefano, Samuele, Tommaso e Andrea, la “troupe” ha incontrato così la cooperativa sociale Il Germoglio di Milano, CasaOz e il Caffè Basaglia di Torino, il Parco del Mulino di Livorno, la Lanterna di Diogene di Modena e la Fondazione più di un sogno di Verona. Ufficio scolastico regionale del Lazio, a seguito delle pressioni esercitate da diverse organizzazioni impegnate nella difesa delle persone con disabilità, ha posticipato all’anno 2016/2017 il provvedimento di non accoglimento di iscrizione alle scuole secondarie di secondo grado degli alunni disabili che hanno compiuto il diciottesimo anno di età. Limitatamente al prossimo anno scolastico, pertanto, gli studenti disabili maggiorenni già iscritti alle superiori potranno continuare a frequentare gli istituti di appartenenza. Dall’anno scolastico 2016/2017, invece, gli alunni dovranno iscriversi ai corsi di primo livello gestiti dai Centri provinciali per l’istruzione degli adulti e a quelli di secondo livello (ex serali) gestiti dalle scuole. Il richiamo a una normativa che esiste già da tempo, è dato dal fatto che l’età degli studenti disabili iscritti alle superiori di Roma risulta in molti casi di 23 anni o più. Francia: parcheggio gratuito per i disabili. Le persone munite dell’apposito contrassegno europeo (o i loro accompagnatori) possono ora sostare gratuitamente in tutte le aree pubbliche adibite. Le autorità hanno la possibilità di stabilire una durata massima, non inferiore però a dodici ore. Per i parcheggi con entrata a pagamento, invece, occorre versare una piccola cifra. In Finlandia la prima biblioteca online in Lis. Il suo nome è “The sign language library” e mette a disposizione delle persone sorde oltre 250 video di testi di cultura generale, con nuove clip in lingua dei segni inserite settimanalmente. L’iniziativa è valsa uno dei Jodi Awards 2015, premi che riconoscono l’eccellenza dell’accessibilità digitale di musei, gallerie, siti storici e archivi. SFIDE Il progetto “10 montagne in 10 anni” conquista l’Etna N uova scalata per Enzo Simone (nella foto), alpinista impegnato nella lotta al Parkinson e all’Alzheimer. Dopo il Kilimanjaro, raccontato nel documentario 10 mountains 10 years e ispirato al suo progetto di scalare dieci montagne in dieci anni, l’11 luglio è salito sull’Etna grazie alla collaborazione dell’associazione Familiari Alzheimer onlus di Caltanissetta SuperAbile INAIL 7 Luglio 2015 e di Unidos contra el Parkinson di Barcellona (Spagna). Enzo ha guidato la spedizione siciliana insieme a suo figlio. L’escursione è partita dal rifugio Sapienza ed è arrivata a Torre del Filosofo, con un primo traguardo al Belvedere. «Il fattore principale per il successo? La determinazione mentale e riconoscere che ciascuno deve fare il meglio che può», ha commentato Enzo. l’inchiesta Atleti speciali Special Olympics. La carica dei 101 Sono gli atleti italiani in partenza per Los Angeles, dove si disputano i Mondiali estivi del movimento sportivo nato nell’America degli anni Sessanta e oggi diffuso in più di 180 Paesi. Un’onda che da noi conta più di 270 team sparsi su tutto il territorio nazionale, con 14mila partecipanti e 10mila volontari. Protagonisti giovani con disabilità intellettiva, impegnati in 24 discipline. Dove vincono tutti, senza eccezioni SuperAbile INAIL 8 Luglio 2015 Stefano Caredda A ndrea ha 23 anni e una passione per l’acqua: gli piace un sacco nuotare, e non si accontenta della piscina, che peraltro ha anche imparato a raggiungere da solo in treno e in bicicletta. Da poco ha iniziato a giocare a pallanuoto ma, soprattutto, ha talmente tante energie da spendere che è pronto per il nuoto in acque libere, per affrontare il mare. Lucia di anni ne ha 63 e da tre ha sviluppato un amore per le bocce: uno sport grazie al quale è migliorata come persona, facendo grandi passi avanti dal punto di vista tecnico ed emotivo. Carlotta, invece, è molto più giovane, ha 20 anni e di se stessa dice di essere dolce e testarda: le piacciono lo sport e il teatro, da poco ha iniziato a lavorare come assistente in una scuola per l’infanzia di Cagliari. E ha un grande amore per la ginnastica. Andrea, Lucia e Carlotta sono solo tre dei 101 atleti italiani che dal 25 luglio al 2 agosto saranno a Los Angeles per gli Special Olympics World Summer Games 2015, i giochi mondiali che celebrano le capacità e il talento delle persone con disabilità intellettiva. Un evento planetario, che richiama in California 7mila atleti da 177 nazioni diverse, insieme a 3mila tecnici, 30mila volontari, migliaia e migliaia di spettatori: solo la punta dell’iceberg di un movimento formato in tutto il mondo da circa 4 milioni e mezzo di atleti, che hanno partecipato nel corso del 2014 a oltre 81mila eventi e competizioni, anche con l’ausilio di un milione e 350mila volontari. Insomma, si tratta del volto migliore dello sport, quello che esalta non tanto le prestazioni agonistiche, ma l’impegno, la determinazione, la costanza, la forza di volontà. Perché qui la com- SuperAbile INAIL 9 Luglio 2015 petizione è anzitutto una sfida con se stessi, è una lotta per migliorarsi, per raggiungere tutta l’autonomia possibile, superando quegli ostacoli e quei limiti che le persone con disabilità intellettiva conoscono molto bene ma che, almeno in parte, possono essere affrontati e vinti. Il tutto, grazie anche e specialmente allo stare insieme, alla straordinaria carica umana della relazione, alla forza che il rispetto e l’amicizia sono capaci di sprigionare. Questo è il regno del semplice e dell’incredibile, è quel posto dove le priorità diventano altre e le conquiste a lungo sognate diventano reali, è uno scorrere continuo di emozioni e di sorrisi: è, in definitiva, un posto vero, uno di quei pochi dove senti potente la forza della realtà, dove intravedi netta, evidente, palese, quella cosa che chiamano bellezza, felicità, letizia. l’inchiesta Atleti speciali Controlli medici e screening sanitari gratuiti: ai Giochi ci sarà anche questo U n carico di salute. C’è anche questo nel pacchetto viaggio a Los Angeles per i 7mila atleti protagonisti dei World Summer Games 2015 di Special Olympics. Medici specialisti, tutti volontari, durante la settimana dell’evento mettono infatti a disposizione degli atleti una serie di screening gratuiti di alta qualità. L’iniziativa – chiamata “Healthy Athletes Program” – è da non sottovalutare perché non tutti, nei rispettivi Paesi di provenienza, hanno avuto la possibilità di effettuare specifici controlli, o perché impossibilitati a farlo per ragioni economiche o perché (caso piuttosto frequente) nessuno aveva mai fatto notare a loro e alle rispettive famiglie l’opportunità di svolgerli. In passato grazie a questi screening sono stati individuati in alcuni atleti seri problemi di salute non curati e non presi in carico, ma anche quando va tutto bene passa comunque un messaggio di attenzione alla propria salute, con l’invito a uno stile sano di vita. Il programma salute non è un’esclusiva dei Giochi mondiali, ma viene portato avanti di routine: sono 76mila in tutto il mondo i professionisti sanitari e gli studenti di medicina che mettono a disposizione le proprie competenze, con centinaia di migliaia di persone con disabilità intellettiva visitate. Dati preziosi non solo per i diretti interessati, ma anche per la comunità scientifica internazionale. Come quelli raccolti con lo screening visivo optometrico che prevede 18 test visivi personalizzati e di alta qualità (acutezza visiva, stereopsi, percezione dei colori, retinoscopia, oftalmoscopia, refrazione, ecc.): test non invasivi, quindi SuperAbile INAIL particolarmente adatti a persone con disabilità intellettiva. Ebbene, ogni anno i dati raccolti con questo programma, chiamato “Opening Eyes”, vengono elaborati insieme all’American optometric Association e, una volta pubblicati sulla sua rivista scientifica, vengono considerati come il più importante studio sulle condizioni visive delle persone con disabilità intellettiva. Fra gli altri programmi, “Special Smiles” offre screening completi dell’apparato orale, accompagnati da momenti di educazione alla salute e alla prevenzione, e a ogni partecipante viene donato un kit per l’igiene orale. I test audiologici (“Healthy Hearing”) prevedono due screening di base (la pulizia del canale uditivo e il test delle emissioni otoacustiche) e due più specifici (timpanometro e 10 Luglio 2015 test audiometrico): la caccia in questo caso è a quei sintomi di disturbi uditivi che normalmente sono particolarmente complessi da fare emergere in una persona con disabilità intellettiva. Il programma salute prevede anche la misurazione di massa corporea, peso e altezza, con preziosi consigli sull’alimentazione per migliorare le prestazioni sportive, esami per valutare la postura e il bilanciamento degli atleti. Vengono insegnati esercizi di riscaldamento e di potenziamento della forza e della resistenza muscolare, con attenzione particolare ai piedi, per valutare l’appoggio e rilevare le zone di carico troppo elevate (se necessario, vengono prescritti plantari correttivi ed effettuati interventi sanitari urgenti per consentire la ripresa dell’attività sportiva). [S.C.] Special Olympics è un concentrato di tutto questo, un’invenzione che nel suo mezzo secolo di vita ha saputo stupire ed emozionare. Nato negli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso (è una delle tante eredità della famiglia Kennedy), è riuscito a dare concretezza a un’idea che oggi definiremmo perfino banale se non fosse stata in realtà, per l’epoca, totalmente rivoluzionaria: mettere insieme tanti ragazzi con disabilità intellettive e farli giocare. Niente di più, niente di meno. Farli giocare e, proprio attraverso lo sport, fare in modo che essi trovassero nella società piena integrazione, inclusione e rispetto. Un cambiamento epocale che la fondatrice Eunice Kennedy raccontava così, nel 1999, rivolgendosi direttamente agli atleti in procinto di disputare quell’edizione dei Summer Games: «Trent’anni fa dicevano che non eravate in grado di correre i 100 metri. Oggi voi correte la maratona. Trent’anni fa dicevano che dovevate rimanere chiusi negli istituti. Oggi siete di fronte alle televisioni di tutto il mondo. Trent’anni fa dicevano che non potevate dare un valido contributo all’umanità. Oggi voi riunite, sullo stesso terreno dello sport, tante nazioni che sono in guerra». Tutta questa bellezza la vedi negli occhi degli atleti che hanno trovato nello sport un amico prezioso, ma la vedi anche negli sguardi dei loro tecnici e allenatori, dei volontari, degli arbitri, degli altri giocatori senza disabilità, e la vedi soprattutto – accidenti se la vedi – nei volti delle mamme e dei papà, dei fratelli e delle sorelle. Gente che ha pian- A destra, un atleta a Venezia. A pag. 9, foto di OG/Gfos, alle pagg. 12-13 foto di Marina Busoni/Gfos e a pag. 16 foto di Roberta Tonelli/Gfos. Per gli altri scatti © Special Olympics SuperAbile INAIL 11 Luglio 2015 l’inchiesta Atleti speciali to, e a lungo, di fronte alle difficoltà; gente lasciata spesso sola, gente ferita dall’indifferenza altrui, gente alla quale più volte si è stretto il cuore nel vedere quell’amatissimo figlio, rifiutato dai compagni di classe, sbeffeggiato, ridicolizzato, perfino insultato. Padri e madri sul cui volto trovi ora lacrime che scendono gioiose mentre il loro ragazzo alza le braccia al cielo per festeggiare una medaglia appena messa al collo, medaglia che riporta alla mente in un colpo solo tutti i progressi conseguiti nel tempo. Come è successo ad Alessandro, papà di Marta, che due anni fa l’ha accompagnata in Corea del Sud per partecipare ai Giochi invernali: «Vedere la propria figlia sul gradino del podio con la medaglia d’argento intorno al collo è stata un’emozione fortissima, indescrivibile. Ringrazio la mia macchina fotografica che ha nascosto le «Più di 7mila atleti si raduneranno a Los Angeles per i Giochi mondiali per dimostrare le loro abilità sportive. Non potremmo essere più orgogliosi di loro. Gli atleti che parteciperanno a questi Giochi ben rappresentano il coraggio e la determinazione che è alla base dello spirito americano. Continuano ad allenarsi quando le sfide sembrano insormontabili. Vedono delle opportunità dove alcuni vedono delle limitazioni. Loro rappresentano il meglio dell’essere umano» (Barack Obama, presidente degli Stati Uniti). SuperAbile INAIL 12 Luglio 2015 L’avventura degli atleti partner: «Mi facevano paura, ora siamo una squadra» «I lacrime che venivano giù lungo il viso. In quel momento penso di essere stato il papà più orgoglioso e felice al mondo e voltandomi ho visto anche una mamma e una sorella che come me pensavano la stessa cosa: orgogliosi di Marta, orgogliosi di quel suo piccolo, grande successo». Un successo che non è tanto e solamente quello sportivo, ma quello della conquista progressiva di una sua autonomia, la capacità di fare da sola: «Marta – racconta la sua allenatrice, Antonella – in quell’esperienza non ha solo fatto una bella prestazione, ma ha vinto la grande sfida del “me la cavo da sola”: la mattina si alzava prestissimo, intorno alle sei, e senza battere ciglio andava al bagno e si preparava. Si lavava, si vestiva con la tuta e tutto il necessario, controllava che avesse preso tutto l’occorrente e via a far colazione per poi andare ad allenarsi aspettando senza problemi il suo turno di prove e poi la gara». l mondo della disabilità era per me una realtà nuova, non nascondo mi facesse “paura”, ero convinto di non essere capace di rapportarmi e interagire con loro in modo adeguato. Invece ho conosciuto un mondo speciale, fatto di sincerità, abbracci, gioie; un mondo che mi ha riempito la vita e che ho imparato a vedere in modo totalmente diverso rispetto al passato». Marco Dessì è uno dei 17 atleti partner che partecipano ai Giochi mondiali di Los Angeles, uno dei 17 atleti Special Olympics non disabili ma che fanno parte delle squadre impegnate nelle discipline “unificate”, quelle in cui giocano insieme atleti con e senza disabilità: il calcio a sette, il nuoto in acque libere, la pallacanestro, la pallavolo e le bocce. Marco ha 30 anni e fa parte del team di calcio: è uno bravo, uno che con il pallone ci sa fare, che in passato ha giocato a buoni livelli anche nelle giovanili del Cagliari e che da sette anni si allena e gioca con i ragazzi disabili della società sportiva Millesport, uno dei tanti team Special Olympics presenti in Sardegna e in tutta Italia. «Durante la mia modesta carriera calcistica ho avuto la fortuna di conoscere tantissimi giocatori e compagni di squadra, più o meno forti, ma credo che in assoluto loro siano quelli che maggiormente mi hanno fatto comprendere il vero senso del “fare squadra”: un gruppo realmente simile a una grande famiglia dove insieme si lavora verso un comune obiettivo». Anche Emanuele Verdelli va a Los Angeles con una squadra unificata, quella di pallavolo: lui ha 24 anni e vive ad Arezzo. Il suo “aggancio” con la disabilità è stato il servizio civile, che ha svolto in un istituto di riabilitazione sede anche del team Special Olympics, il luogo dove i giovani si allenano ogni settimana. «La mia percezione della disabilità intellettiva era piuttosto confusa, i miei dubbi riguardavano SuperAbile INAIL 13 Luglio 2015 principalmente le modalità con le quali interfacciarsi e quindi, in generale, il rapporto che era possibile creare con loro. Immaginavo il mio “ruolo” come una sorta di tutor che doveva fornire appoggio nei diversi aspetti che riguardano l’attività sportiva. Sin da subito però ho fatto ordine tra i miei pensieri, spazzando via paure e titubanze iniziali, e anche grazie alla semplicità con la quale loro si ponevano nei miei confronti, in brevissimo tempo mi sono sentito perfettamente a mio agio». Emanuele non ha nessuna formazione in ambito socio-educativo (frequenta la laurea specialistica in Ingegneria meccanica) e questa è la dimostrazione che basta essere se stessi: «Come partner mi sono ritrovato a essere più atleta di quanto mi potessi aspettare: non pensavo di trovare, in senso positivo, così tanto agonismo. C’è una grande partecipazione da parte di tutti. Nel momento in cui si entra in campo ognuno è concentrato su ciò che deve fare, per questo non mi sento una figura di appoggio ma molto più semplicemente parte di una squadra dove tutti siamo posti allo stesso livello e focalizzati verso un obiettivo comune. Gli eventi Special Olympics che ho vissuto finora a livello regionale e nazionale sono state esperienze emozionanti e coinvolgenti che mi hanno fatto crescere, sotto tutti i punti di vista, come uomo prima che come sportivo: la grande ricchezza di questi eventi e ciò che li rende unici sta nelle persone, dagli atleti agli allenatori, passando per medici, familiari e volontari. E, come a ogni competizione, ce la metteremo tutta per vincere la medaglia d’oro ai Giochi mondiali: qualunque risultato riusciremo a ottenere, però, una cosa è certa. A trionfare sarà ancora una volta l’integrazione». [S.C.] l’inchiesta Atleti speciali Chi conosce i ragazzi con disabilità intellettiva sa quanto sia importante tutto questo, quanto il raggiungimento di un grado di autonomia personale sia fondamentale per migliorare la vita di ogni giorno. Special Olympics non è solo sport, ma incarna un’esperienza di vita: permette agli atleti di conoscere ragazzi con altre disabilità, fa capire loro i talenti e i limiti (propri e altrui), consente di rapportarsi con persone senza disabilità e di sentirsi accettati, di essere parte integrante di un gruppo. Allenarsi significa sentirsi impegnati, avere un obiettivo e lavorare sodo per raggiungerlo, veder crescere la propria autostima, migliorare le proprie relazioni interpersonali. E quando ci scappa la partecipazione a un evento – come possono essere anche le gare a livello provinciale o regionale, non necessariamente quelle a livello nazionale o mondiale – c’è anche la novità di L’intuizione di Eunice Kennedy nell’America degli anni Sessanta U “ na donna che ha cambiato il mondo”. È così che il movimento Special Olympics ricorda oggi la persona dalla quale tutto partì, quella che ebbe l’intuizione, straordinaria per l’epoca, di puntare sul gioco per rendere evidenti le capacità delle persone con disabilità. Una storia, si racconta, partita dalla lamentela di una mamma che non trovava un campo estivo per il suo bambino con disabilità intellettiva, e che poi negli anni si è sviluppata fino a diventare un movimento diffuso in quasi ogni parte del pianeta. Siamo negli Stati Uniti d’America degli anni Sessanta, sono i tempi di John Kennedy presidente e di Robert Kennedy senatore, di lì a poco destinati a morte violenta. Una delle loro cinque sorelle, Eunice, dal 1950 si occupa di disabilità intellettiva: come vice presidente esecutivo SuperAbile INAIL 14 Luglio 2015 un viaggio, del dormire fuori casa (magari per la prima volta), del prendere un aereo o un treno, del fare una valigia, dell’amministrare i cambi da indossare giorno dopo giorno, del doversi insomma gestire da soli in tantissimi aspetti che all’apparenza sembrano poca cosa ma che invece costruiscono una persona autonoma. Questa è la gratificazione più grande, questo è il risultato che Special Olympics – con i suoi team, i suoi tecnici, i suoi allenatori – persegue. A rendere possibile tutto questo non sono dei marziani, ma gente semplice che si accorda per creare un team Special Olympics: ci vogliono un coordinatore, un tecnico sportivo che conosca le singole discipline e i modi in cui vengono adattati ai singoli atleti, uno psicologo o psichiatra che modelli il programma generale sulle singole persone per sviluppare le loro capacità, e poi dei referenti per i volontari (op- portunamente formati), per le famiglie (preferibilmente un genitore) e per gli atleti stessi (uno di loro che li rappresenti). Messe insieme queste figure, il gioco è fatto. Ci si affilia o ci si tessera a uno degli enti di promozione sportiva convenzionati e l’adesione è cosa fatta: non resta che entrare in azione. Per il modo in cui è pensato, l’idea di realizzare un team può nascere ovunque: den- tro a una scuola (si spinge molto in tal senso, anche con l’aiuto del ministero dell’Istruzione), ma anche in una società sportiva, un’associazione, un comitato, un movimento, una parrocchia o un semplice gruppo di amici. Di team ce ne sono talmente tanti, in tutta Italia, che unirsi a uno già esistente è ancora più facile: basta contattare Special Olympics (sul sito l’elenco dei referenti regionali) e chiedere. della Joseph P. Kennedy, Jr. Foundation cerca da tempo di indagarne le cause, operando attivamente con molte organizzazioni caritative. Nata nel 1921, laureata in sociologia a Stanford (1943), Eunice si era occupata già di rifugiati al Dipartimento di Stato durante la seconda guerra mondiale e di delinquenza minorile al Dipartimento di Giustizia. È un punto di riferimento per molte famiglie e alcune mamme le confidano di avere problemi con la scuola pubblica, che non sa come comportarsi con gli alunni disabili intellettivi, negando loro anche la frequenza ai campi estivi. Nasce l’idea di organizzare una giornata di gioco e sport esclusivamente per ragazzi disabili, e fin da quella prima esperienza (era il 1960) appare evidente come i ragazzi fossero molto più capaci nelle attività fisiche di quanto molti esperti allora ritenessero. Col tempo, la cosa prende piede e insieme al marito Sargent Shriver, che aveva sposato nel 1953, mette a disposizione la sua azienda agricola nel Maryland per ospitare attività sportive a loro de- stinate. Il primo anno, il 1962, ci sono 34 bambini, seguiti e affiancati da ben 26 aiutanti (oggi diremmo tutor o operatori) reclutati fra gli studenti universitari della zona. Quasi un rapporto di uno a uno. E con loro, ci sono altri bambini, senza disabilità, anche loro pronti al gioco. Fra questi ultimi c’è anche Tim, tre anni, il figlio di Eunice Kennedy, anche lui accoppiato a un bimbo disabile di nome Wendell: «Giocavamo insieme, mangiavamo insieme, correvamo insieme, ci mettevamo nei guai insieme. Era divertente, i miei genitori erano molto bravi nel farci fare le cose con divertimento», ricorda a distanza di tempo. L’iniziativa, passata alla storia come “Camp Shriver”, è un successo immediato: i bambini con disabilità intellettiva nuotano, giocano a calcio, montano a cavallo, si divertono come ogni altro bambino. Il sistema “Camp Shriver” suscita grande attenzione, apre un dibattito, aumenta la consapevolezza di come un’interazione fra bambini con bisogni speciali e bambini “normali” sia possibile e di come molti stereotipi allora diffusi («questi bambini sono violenti, aggressivi, disadattati», ecc.) siano in realtà davvero ingiusti. L’esperienza si ripete per quattro anni consecutivi, con il numero dei partecipanti sempre in crescita (i ragazzi disabili superano quota 100), finché non diviene evidente che il modello può essere esportato in tutto il Paese. Nel 1968 nasce Special Olympics International e a Chicago si disputano i primi Giochi. Nel dicembre 1971 la Commissione olimpica degli Stati Uniti conferisce l’approvazione ufficiale a Special Olympics, unica organizzazione a essere autorizzata all’utilizzo della parola “Olimpiadi”. Nel 1988 arriverà anche il riconoscimento del Cio, il Comitato olimpico internazionale, che vede il movimento fondato da Eunice Kennedy come rappresentante degli interessi degli atleti con disabilità intellettiva. Oggi, 47 anni dopo la sua fondazione, Special Olympics è presente in più di 170 Paesi. [S.C.] SuperAbile INAIL 15 Luglio 2015 l’inchiesta Atleti speciali Gli sport non mancano: dall’atletica al tennis, dall’equitazione alla ginnastica, sono almeno 24 le discipline fra ufficiali, sperimentali e dimostrative: alcune vengono ora praticate anche in una versione “unificata”, cioè con la contemporanea presenza in squadra di atleti con disabilità e senza disabilità. “Play Unified” è una delle innovazioni più recenti del movimento Special Olympics, un programma rivolto soprattutto ai giovanissimi (14-25 anni) senza disabilità per incoraggiarli ad annullare ogni differenza e a giocare tutti insieme, uniti, con i propri coetanei disabili. L’obiettivo dichiarato è quello di fermare l’inattività, l’ingiustizia e l’intolleranza verso le persone con disabilità intellettiva, costruendo – sottolinea lo stesso movimento – «la prima generazione di persone giovani che vogliono un futuro di rispetto e di inclusione». Un obiettivo di lungo periodo che intanto nel mondo ha già coinvolto 700mila fra atleti disabili e atleti partner. A Los Angeles si gioca “unificati” a pallacanestro, pallavolo e calcio, ma anche a bocce e nel nuoto in acque libere. Fra i 101 atleti italiani, 17 non hanno disabilità. E anche loro, come tutti gli altri, sono parte integrante della squadra. In tutta Italia, i partner sono 1.350, ragazzi e ragazze giovanissimi: complessivamente, gli atleti Special Olympics sono oltre 14mila, attivi intorno a 271 team, con anche 1.200 allenatori e 10mila volontari. Tutti insieme nel corso del 2014 hanno dato vita a 194 competizioni su tutto il territorio nazionale: in media più di una ogni due giorni. Un grande movimento che cresce e vuole continuare a farlo. Se ci riusciranno, lo scopriremo solo con il tempo. Di una cosa però potete stare certi fin da ora: comunque, in ogni caso, tenteranno con tutte le loro forze. SuperAbile INAIL 16 Luglio 2015 In gara come alle Paralimpiadi, ma agli Special Olympics vincono tutti S empre di sport e persone disabili si tratta, ma non sono la stessa cosa: fra i World Games di Special Olympics 2015 che si disputano a Los Angeles e le Paralimpiadi che andranno in scena a Rio de Janeiro nel 2016 la differenza è piuttosto netta, perché diverse sono le premesse e la filosofia di fondo. Le Paralimpiadi (estive e invernali) sono organizzate dal Comitato paralimpico internazionale (Ipc), l’organizzazione non profit che governa, coordina e supervisiona il movimento paralimpico mondiale. Lo scopo principale è, da un lato, quello di creare opportunità sportive per tutte le persone con disabilità (con un’opportuna opera di promozione e diffusione) e, dall’altro, di permettere ai più bravi di concorrere in gare agonistiche per contendersi la vittoria. Le Paralimpiadi infatti rappresentano l’esaltazione delle gesta sportive dei più valenti, la dimostrazione di quali performance possano essere compiute dagli atleti, pur in presenza di una disabilità. Come le Olimpiadi sono le gare a cui arrivano i migliori atleti in senso assoluto, così alle Paralimpiadi gareggiano i migliori atleti disabili del mondo, divisi – secondo stringenti parametri clinici – in categorie omogenee di deficit: c’è dunque una gara per i più veloci a correre i 100 metri fra quanti hanno un’amputazione sotto il ginocchio, una per i più veloci fra quanti sono ipovedenti, una per i più veloci fra quanti hanno una lesione midollare e si muovono sulla carrozzina, e così via. Gare distinte, classifiche distinte. Dentro ogni categoria, il meccanismo è strettamente competitivo e agonistico: ci sono le batterie (o negli sport di squadra i gironi eliminatori) e poi a seguire ottavi di finale, quarti di finale, semifinali e finale. Una vera selezione, al termine della quale vince chi è in grado in assoluto di realizzare la performance migliore: è la medaglia d’oro, con l’argento e il bronzo al secondo e terzo classificato. Così funziona alle Paralimpiadi e più in generale in tutte le gare paralimpiche (compresi i campionati mondiali, eu- SuperAbile INAIL ropei, nazionali, regionali) organizzate dall’Ipc o dal Cip (Comitato italiano paralimpico). La gran parte delle gare paralimpiche vede impegnati atleti con disabilità fisiche o sensoriali, ma vi è uno spazio anche per le disabilità intellettive e/o relazionali: a Londra 2012 erano riservate a loro sette gare in tre sport (atletica, nuoto, tennistavolo), a Rio 2016 ce ne sarà qualcuna in più. In Italia l’attività fa capo alla Fisdir (Federazione italiana sport disabili intellettivi relazionali), che fa parte dell’Inas (la federazione internazionale degli atleti con disabilità intellettiva), membro a sua volta dell’Ipc. I regolamenti sono quelli internazionali, gli atleti sono tenuti sotto stretto controllo sanitario. Special Olympics Inc. è invece un’associazione sportiva internazionale, privata, riconosciuta dal Cio (Comitato olimpico internazionale), che promuove un programma educativo volto a proporre e organizzare allenamenti ed eventi per persone con disabilità intellettiva a ogni livello di abilità. Nel nostro Paese, Special Olympics Italia è riconosciuta come associazione benemerita sia dal Coni sia dal Cip. Al centro non c’è l’aspetto agonistico, ma quello relazionale e sociale, con una chiara matrice ludico-sportiva. Sono coinvolti solo atleti con disabilità intellettiva, che vengono suddivisi in gruppi a seconda del loro grado di 17 Luglio 2015 abilità sportiva: in pratica ogni atleta viene precedentemente valutato e poi viene fatto gareggiare solo con altri atleti che hanno prestazioni molto simili alle sue, indipendentemente dalla disabilità. Questo fa sì che tutti abbiano la possibilità di ben figurare: il che, evidentemente, è anche un incentivo a migliorarsi costantemente. Quindi, se a una gara sui 100 metri si iscrivono 30 persone, queste saranno divise in più corse (cinque “batterie” da sei atleti ciascuna, per esempio) e le medaglie (oro, argento e bronzo) verranno consegnate ai primi classificati di tutte e cinque le diverse batterie. Con la gara che finisce lì: non ci saranno quarti di finale, o semifinali o finali proprio perché l’obiettivo non è quello di individuare il campione assoluto. Negli sport di squadra l’organizzazione è analoga, con le formazioni preliminarmente divise in più gironi a seconda del livello di abilità, e per ciascuno dei quali vengono decretati i vincitori. Anzi, siccome agli Special Olympics vengono premiati non solo i primi tre, ma anche il quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo classificato, e poi tutti gli altri partecipanti, ecco che di fatto tutti gli atleti, nessuno escluso, tornano a casa con una medaglia (o con un nastrino). Un premio al loro impegno e alla loro dedizione. [S.C.] INSUPERABILI Intervista a Felice Tagliaferri L’arte nelle mani Era cieco da oltre dieci anni quando decise di frequentare un corso di scultura per non vedenti. Una scelta che gli ha cambiato la vita e ha fatto dell’artista bolognese una figura unica nel panorama internazionale. Celebre per il suo Cristo rivelato, e non solo Antonio Storto L’ indipendenza per lui rappresenta il valore supremo. Tanto che a un certo punto è riuscito a emanciparsi dai suoi stessi occhi. Con un centinaio di opere esposte in tutto il mondo, Felice Tagliaferri è oggi noto come lo scultore cieco «che lotta perché chiunque possa toccare le opere d’arte», come lo ha definito la Bbc in un’intervista di qualche tempo fa. La vista lo aveva abbandonato ormai da un decennio, quando iniziò a lavorare la creta. A portargliela via, a 14 anni appena, fu un’atrofia del nervo ottico, una condizione che in nessun modo poteva essere fermata. SuperAbile INAIL 18 Luglio 2015 Figlio di una famiglia operaia che dalla Puglia era emigrata a Bologna, Felice iniziò quindi una gioiosa e complicata lotta per l’autonomia. «Uscii di casa a diciotto anni – ricorda – e feci di tutto per mantenermi: lavorai come centralinista, aprii una bottega d’antiquariato, fui perfino attore in una compagnia di giro». Finché, a 25 anni, l’incontro con lo scultore bolognese Nicola Zamboni gli cambia l’esistenza: «Teneva un corso per non vedenti. Io mi iscrissi, e dopo tre mesi avevo già capito che sarebbe stata la mia vita. Quell’esperienza aveva mosso qualcosa di potente dentro di me: fu esattamente questo che dissi a Zam- boni, spiegandogli che volevo mi prendesse a bottega e che non avrei accettato un rifiuto». Lei a quel punto era cieco da oltre dieci anni. Come ha fatto a confrontarsi con un’attività che richiede un così intimo rapporto con l’immagine? La sua opera più celebre è proprio il Cristo rivelato, una reinterpretazione del Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, che lei iniziò a scolpire dopo che alla cappella Sansevero di Napoli le fu impedito di toccare l’originale. Quella scultura nasce come una provocazione? scolpito, ad esempio, la consistenza dei dettagli è assolutamente realistica. Toccandole, si ha la sensazione di avere tra le mani una criniera, delle orecchie, un muso. È per questo che ha iniziato a insegnare ai non vedenti? Questo non è esatto. Con la mia scuola, la Chiesa dell’arte (Chiesadellarte.it), io insegno la scultura a delle persone: tra loro ci sono ciechi, come disabili motori e normodotati. Ho lavorato anche con ragazzi tetraplegici, che non potevano muovere né braccia né gambe: per scolpire usano il naso, la bocca, a dimostrazione che nulla è impossibile se si ha una forte motivazione. All’inizio fu un lavoro introspettivo. Mi tuffai nella memoria, per scovare e ricostruire tutte quelle immagini che avevo visto nei primi anni della mia vita. La Nonna del Sud, per esempio, rappresenta una donna che avevo visto a Foggia, da bambino. Nei primi anni ho scolpito quasi ogni immagine che mi era rimasta impressa durante l’infanzia. A un certo punto, però, quel repertorio ha iniziato a esaurirsi, e c’è stato bisogno di un cambiamento. Qualche anno fa, un centro carni mi chiese di raffigurare una mucca, e io dovetti arrendermi al fatto di non ricordare assolutamente come fosse fatta. Il problema più grande sono i dettagli: anche i vedenti tendono a dimenticarli, ma loro una mucca possono rivederla in qualsiasi momento. Io invece dovetti andarmene in una stalla, per poterne toccare una. E ci rimasi per due giorni, prima di riuscire a ricostruirla dentro di me. Non esattamente. Lo scopo era stimolare una riflessione genuina rispetto al rapporto che le persone cieche hanno con l’arte. La maggior parte dei musei motiva il divieto alla fruizione tattile con la necessità di preservare le opere dall’usura, ma in realtà si tratta spesso di un argomento pretestuoso. Il Cristo che ho realizzato può essere toccato da chiunque, e in questo modo ho voluto dimostrare che un blocco di marmo non può rovinarsi solo a causa dello sfioramento, specialmente da parte di dita esperte. Certo, ci sono opere che presentano particolari necessità di conservazione, ma anche in quei casi si potrebbe far molto, per esempio realizzando copie degli originali. Invece le cose vengono lasciate semplicemente come sono. Più o meno sì, perché un artista ha bisogno di rapportarsi anche alle opere altrui, oltre che agli oggetti che vorrebbe raffigurare. Per un cieco, l’unica possibilità è rappresentata dal tatto, ma la maggior parte dei musei sono totalmente insensibili a questa esigenza. L’arte dovrebbe essere patrimonio dell’umanità, ma di fatto tre milioni di ciechi si ritrovano praticamente esclusi dalla fruizione artistica. ce ne sono quattro o cinque, alcuni molto bravi, ma non riescono a vivere della loro arte. Tutto questo non fa che rafforzare stereotipi negativi sui limiti legati alla disabilità, quando di fatto è vero il contrario: la mia storia e quelle di tanti altri dimostrano che, se c’è una forte volontà, tutto è possibile. Anche a livello di musei siamo ancora al grado zero. Se si escludono l’Anteros di Bologna e il museo tattile Omero di Ancona, non Cosa ricorda di quel viaggio? c’è praticamente nulla. Dal canto mio, È stata un’esperienza molto intencol tempo ho cercato di rendere le mie sa. In India tutto è dopato, amplificato: opere sempre più ricche dal punto di vi- suoni, odori, sensazioni. Per un cieco è sta tattile: nelle teste di cavallo che ho qualcosa di incredibile. Come si riflette tutto questo sul panorama artistico? Di certo non è positivo. In Italia esi- È così che è iniziato il suo percorso con l’ar- ste una produzione da parte dei ciechi, ma è ancora molto limitata. Di scultori te tattile? Lo scultore Felice Tagliaferri alle prese con le sue creazioni SuperAbile INAIL 19 Luglio 2015 Recentemente, Silvio Soldini ha realizzato il documentario Un albero indiano sulla sua esperienza come insegnante in una scuola per ragazzi disabili e svantaggiati a Shilong, in India. Com’è finito a lavorare lì? L’idea fu della ong Cbm Italia onlus. A una mia mostra milanese incontrai Massimo Maggio, il direttore: fu lui a chiedermi di andare lì. Quei ragazzi non avevano mai avuto il benché minimo contatto con l’arte, e Maggio era genuinamente convinto che potessimo cambiare loro la vita. Oggi so che aveva ragione, perché ci siamo preoccupati anche di formare degli insegnanti, che a loro volta saranno in grado di formarne altri. In questo modo, sappiamo che per i prossimi 50 anni in quella scuola ci sarà qualcuno che insegnerà l’arte. Soldini mi aveva già voluto in Per altri occhi, il suo primo documentario sui ciechi: quando ha saputo di questa iniziativa è stato entusiasta, e ha deciso di farne un altro film. sotto la lente Vedi alla voce diritti Francesco e la sua battaglia per Ha 24 anni, è sassarese di origine ma vive a Bologna e si muove su una sedia a ruote. Per sostenere l’esame di ammissione ha dovuto rivolgersi alla stampa, finché la scuola non ha trovato una soluzione Ambra Notari S ull’ultima pagina di questa odissea si legge: «A settembre esame di ammissione al Conservatorio di Bologna». Ma il percorso per arrivarci non è stato semplice. Francesco Nurra ha 24 anni: è di Sassari, ma dallo scorso febbraio si è trasferito nel capoluogo emiliano. Francesco è disabile, si sposta su una sedia a ruote. Al momento frequenta il corso di laurea in Lingua e cultura italiane per stranieri, ma dal prossimo anno vorrebbe cambiare e passare a studiare quella che da sempre è la sua passione: la musica. Il Conservatorio di Bologna, nella sua sede di piazza Rossini però, prevede come unica via d’accesso una scalinata: nient’altro. «Ho mandato tre e-mail – spiega Francesco – per avere informazioni sull’accessibilità alla struttura. Nella terza ho chiesto che fossero abbattute le barriere architettoniche e ho preteso l’impegno di tutti, invitando presidente e direttore a casa mia per discutere sul da farsi. Nessuno mi ha risposto: così mi sono rivolto al quotidiano La Repubblica e ho denunciato quanto stavo subendo. A quel punto, e solo alFrancesco Nurra cantante e musicista, suona pianoforte e tastiera. Ha in programma di frequentare il corso di musica elettronica al Conservatorio SuperAbile INAIL 20 Luglio 2015 lora, qualcosa si è mosso». Il direttore del Conservatorio Donatella Pieri ha garantito che Francesco potrà sostenere l’esame di ammissione in un’aula al piano terra: se verrà ammesso, saranno trovate soluzioni per permettergli di frequentare. «Sono contento: questa non era una battaglia solo per me, ma anche per tutti quei ragazzi che in futuro potrebbero trovarsi al mio po- entrare al Conservatorio anche lavorato per realizzare un theremin, uno strumento musicale elettronico, ma alla fine abbiamo optato per il clarinetto». Al Conservatorio vorrebbe frequentare il corso di musica elettronica. Ha già un disco all’attivo, Diario di un pazzo, e ha prodotto Lost Songs del duo Marta Raviglia e Simone Sassu. A Bologna vive con Valentina Poggio, la sua assistente, che paga grazie alla piccola pensione d’invalidità percepita: «Ma uno o due giorni a settimana devo cercare qualcuno che la sostituisca: per questo ho fatto richiesta per l’assegno di cura, ma sono mesi che sto aspettando di riceverlo. Sicuramente un piccolo contributo arriverà, ma non conosco l’importo. Oppure chiederò aiuto a qualche volontario. Convivo con il pensiero di non riuscire a farcela e di dover tornare indietro». A Sassari vivono i genitori, mentre il fratello più grande fa il regista e vive a Londra: «Cercano sempre di incoraggiarmi, mi danno forza quando sono demoralizzato. Mi piacerebbe mantenermi con la musica, farla diventare il mio lavoro, ma non è facile, soprattutto in Italia». sto. E non dimentichiamo che il diritto all’istruzione per le persone disabili è sancito dalla Convenzione Onu». Cantante e musicista, Francesco suona pianoforte e tastiera. E sta per cimentarsi anche con «un clarinetto basso, realizzato apposta per me dall’associazione pugliese AccordiAbili, che sta modificando lo strumento per adattarlo alle mie esigenze. Hanno In Sardegna, osserva, «riconoscevano maggiormente i miei diritti: mi passavano alcune sedute di fisioterapia a settimana, per esempio. Qui in Emilia Romagna niente: a livello di servizi sociosanitari, mi sembra una situazione decadente. Varrebbe la pena cominciare a pensare al welfare non solo da un punto di vista economico, ma anche medico. Al contrario, a livello di barriere architettoniche Sassari è messa peggio, tra salite e discese. SuperAbile INAIL 21 Luglio 2015 A Bologna la mobilità è migliore, ma non perfetta». E parla del cantiere che da qualche mese ha invaso le strade del centro cittadino, prima di fare riferimento alla situazione lacunosa del trasporto pubblico: «Su 30 autobus che ho provato a prendere, solo una volta la pedana elettronica ha fatto il suo dovere: nella maggior parte dei casi non funzionava, ma c’erano anche conducenti non in grado di aprirla». Come ha scritto in un recente articolo pubblicato sulla rivista Wired: «Abitando in centro, mi ritrovo a dover fare, stando sulla mia sedia a rotelle, delle strade obbligate o addirittura pericolose, perché molte volte devo andare per strada invece di stare sul marciapiede. Pensavo fosse davvero una città a misura di carrozzine, invece mi devo sempre aggiustare fra i percorsi a ostacoli che offre questa piccola metropoli». «Sicuramente l’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, è molto indietro: le intenzioni sono buone, ma che fatica metterle in pratica», lamenta Francesco. E racconta dell’importanza di pensare al concetto di vita indipendente, per cui tutti – disabili e non – siano messi nelle condizioni di poter scegliere che fare «all’interno di un ambiente privo di barriere mentali, architettoniche, fisiche e culturali – scrive –. Da buon italiano ho imparato l’arte di arrangiarmi in ogni forma, ma sogno un giorno in cui tutto questo finirà, un giorno in cui le persone con disabilità riceveranno ciò che gli spetta (non dei privilegi) in maniera naturale e non con una filosofia pietista che opera quasi per una concessione data dall’alto». portfolio Usateci pure Nella società nessuno è veramente inutile, neanche chi è nato con qualche difficoltà in più. L’usabilità, infatti, non è un concetto che si adatta soltanto al rapporto tra l’uomo e la tecnologia, ma può riguardare anche l’interazione tra le persone e il mondo circostante. È giocando su questa idea che SuperAbile INAIL Stefano Pinci ha deciso di realizzare il progetto fotografico “Usability InterFace”. Una serie di ritratti realizzati con i ragazzi e le ragazze dell’associazione Senza frontiere, per dimostrare come le persone disabili possano essere “usate” in maniera intelligente in diversi settori della società. 22 Luglio 2015 I protagonisti del progetto fotografico sono ragazzi con deficit fisico o intellettivo dell’associazione Senza frontiere, che ha tra le sue finalità non solo quella di abbattere gli stereotipi, ma anche di favorire l’inserimento lavorativo delle persone disabili. I giovani vengono rappresentati e idealizzati nelle diverse attività portate avanti nella struttura. C’è chi fa il cuoco, chi il cameriere, ma anche chi si dedica alle attività teatrali o alla musica. L’associazione propone, infatti, ai suoi soci diversi corsi tra cui quelli indirizzati allo sviluppo delle abilità artistiche, della motricità fine e dell’autonomia. SuperAbile INAIL 23 Luglio 2015 portfolio Usateci pure L’associazione di volontariato Senza frontiere svolge la sua attività a Palestrina, una località alle porte di Roma. L’obiettivo è quello di favorire l’integrazione delle persone con disabilità nel tessuto sociale. Per questo ogni anno l’associazione porta avanti numerose azioni e iniziative di sensibilizzazione rivolte sia al mondo della scuola sia a quello dei mass media. Per i soci il volontario non è «colui che si prende cura di», ma un «compagno con il quale condividere esperienze di vita e crescere insieme». SuperAbile INAIL 24 Luglio 2015 portfolio The show must go on Il progetto è del fotografo Stefano Pinci. Da dieci anni collabora come volontario nell’associazione Senza frontiere. L’obiettivo è mostrare che le persone disabili sono in grado di generare valore con il proprio lavoro. Il titolo del progetto gioca sul senso del termine «ui», utilizzato in ambito informatico per user interface (interfaccia utente), ovvero tutto ciò che si frappone tra l’utente e la macchina, consentendo l’interazione tra i due. I suoi reportage sono pubblicati sul sito Stefanopinci.com. [E.C.] SuperAbile INAIL 25 Luglio 2015 SPORT In sella Cinque uomini e una passione chiamata quad Il Team Garpez ha confermato i suoi piloti disabili e sta preparando la stagione 2015 in vista del Mondiale di Pont de Vaux, in Francia, alla fine di agosto: un appuntamento da non perdere Michela Trigari I n sella a quattro ruote per sentirsi vivi. Tra adrenalina a mille e divertimento puro. Sono queste le emozioni che nel 2007 hanno spinto Andrea De Beni a fondare il Team Garpez, la prima e unica squadra italiana di corse in quad formata da soli piloti disabili. Insieme a lui, che ha una protesi a una gamba, ci sono altri quattro appassionati: Efrem Morelli, Rossano Valenti, Stefano Cordola e Riccardo Previde Massara (tutti in sedia a ruote). E dopo il Campionato italiano di quadcross dell’anno scorso, la prima volta in cui un pilota disabile ha partecipato a una gara di cross organizzata dalla Federazione motociclistica italiana, o il raduno alla Night Ride di Bazzano (Bologna) – solo per citarne SuperAbile INAIL 26 Luglio 2015 alcuni –, la stagione sportiva riprende con il Mondiale di Pont de Vaux in programma dal 21 al 23 agosto in Francia. Il Team Garpez non è una onlus né un’associazione, ma unicamente una squadra-corse che vuole essere «il punto di riferimento italiano per le tematiche legate a quad e disabilità». Si finanzia autonomamente e i suoi sponsor l’aiutano con materiale gratuito e sconti. «Anche se siamo tutti disabili, non siamo per le categorizzazioni: gareggiamo alla pari insieme agli altri piloti in camIn alto, Efrem Morelli al Mondiale di Pont de Vaux 2014 (foto Filippo Mingardi-Quad Mania on Tv). Nella pagina accanto, da sinistra: Stefano Cordola, Andrea De Beni, Rossano Valenti e Riccardo Previde Massara pionati che sono di tutti. Pochi sport permettono un’inclusione totale come il quad», commenta De Beni. Qualunque categoria si scelga: cross, enduro, fettucciato, raduni. «Ma le gare, che per noi sono una vetrina fondamentale insieme ad altri eventi come il Motor Show, la fiera del turismo accessibile o le giornate multisport, non rappresentano tutta la nostra attività – continua –. Ci occupiamo anche di fare informazione per tutte quelle persone disabili, in media una decina l’anno, che vogliono avvicinarsi al quad: dalla normativa per la guida dei quadricicli alle patenti speciali, dall’adattamento dei veicoli fino al testing gratuito in pista. In questo, il fatto di essere un gruppo di piloti sparsi qua e là per l’Italia rappresenta un vantaggio. Il quad, poi, è uno di quei mezzi che consente una totale autonomia (le persone in sedia a ruote riescono a salirci e scendere senza l’aiuto di nessuno) sia che lo si usi per correre sia che lo si utilizzi per andare a fare la spesa». Andrea De Beni, piemontese, classe 1979, ha acquistato il suo primo quad a 25 anni e pochi mesi dopo ha cominciato a praticare enduro tutti i weekend. «Nel 2007 le prime gare: l’entusiasmo creatosi attorno a queste partecipazioni iniziali mi ha portato a fondare il Team Garpez». Ora si allena solo una volta a settimana, come in media anche gli altri piloti. «Scegliamo di correre in base ai nostri impegni familiari, lavorativi o di salute e ci prepariamo, ciascuno per conto proprio, sulle piste da motocross più vicine a dove abitiamo. Per il resto, facciamo tutti tanto sport». L’unico neo? «Il quad, purtroppo, è una passione costosa: un quadriciclo sportivo nuovo costa circa 10mila euro, a cui vanno aggiunti il cambio elettronico a manubrio per chi ha una disabilità motoria e la manutenzione da gara». Ecco la prima squadra italiana Andrea De Beni, classe 1979, sposato e con due bimbi piccoli, vive a Capriglio (Asti) e lavora in banca. A causa di una ipoplasia femorale congenita alla gamba inferiore destra, necessita di una protesi per poter camminare e guidare. Lo sport al quale è più legato è il basket, giocato sempre insieme ai “normodotati” e con buoni risultati (a 16 anni ha militato nelle giovanili di serie A dell’Auxilium Torino). Efrem Morelli, nato a Crema nel 1979, ha una paraplegia permanente a causa di un incidente. Ex pilota professionista di motocross con all’attivo diverse partecipazioni al Campionato europeo, attualmente fa l’imprenditore ed è anche nuotatore della Nazionale italiana paralimpica (due Mondiali e SuperAbile INAIL una Paralimpiade) dopo una parentesi agonistica di due anni nel canottaggio. Rossano Valenti, classe 1973, vive in provincia di Arezzo ed è paraplegico per via di una lesione midollare provocatagli da un tumore. Dipendente di un’azienda di presidi ospedalieri, è anche pilota di auto da corsa, go-kart e velivoli ultraleggeri a motore, nonché socio della scuola di volo per disabili “Baroni rotti” (cfr. SuperAbile Inail, maggio 2013). Scia e gioca a pallamano in carrozzina. Il suo motto? «Poco importa la differenza, la passione resta la stessa». Stefano Cordola, nato nel 1978, abita a Villlarbasse (Torino) e ha una paraplegia incompleta dovuta a una caduta durante una gara di 27 Luglio 2015 motocross. Ex pilota tesserato della Federazione motociclistica italiana attualmente disoccupato, le soddisfazioni più grandi gliele hanno date «il fango e la polvere». Ora gioca anche a tennis in carrozzina: «Non mi dà le stesse emozioni della moto, ma mi aiuta a riempire il vuoto rimasto». Riccardo Previde Massara, studente uni- versitario di Vigevano (Pavia), classe 1980, è paraplegico da trauma. «Sono appiccicato alle moto da sempre, fin da quando ero piccolo. Non ho mai corso in realtà, o almeno non ho mai fatto niente di agonistico prima del quad. Ho sempre guidato moto da strada e per anni non ho avuto l’auto. Ho fatto un milione di chilometri in vita mia e ora ho voglia di farne altrettanti». [M.T.] TEMPO LIBERO Senza sosta In viaggio verso Santiago. Se la meta è per tutti Fondatore della onlus Free Wheels, Pietro Scidurlo si è fatto ora conoscere per un’altra utile impresa: la stesura di una guida per affrontare il cammino per antonomasia fin dal Medioevo. Insieme al giornalista Luciano Callegari Dario Paladini « N on sono un supereroe, se l’ho fatto io possono farlo anche gli altri». Così Pietro Scidurlo commentava la sua impresa: l’aver percorso il cammino di Santiago, circa 900 chilometri, in sedia a ruote. Era il 2013. Quelle parole non erano solo un modo per schermirsi, ma un programma di lavoro. Infatti ora è l’autore della Guida al cammino di Santiago per tutti, edito da Terre di mezzo. Per scriverla, nel 2014 ha ripercorso il cammino due volte con Luciano Callegari, autore di numerose guide sempre sullo stesso percorso. Pietro ha anche fondato Free Wheels onlus, che fornisce tutela e sostegno alle persone disabili e alle loro famiglie e si occupa della mappatura di itinerari accessibili per tutti. «Non possiamo certo aspettare che il cammino sia adattato e reso perfettamente accessibile nella sua interezza – scrivono nell’introduzione Pietro e Luciano –. Se aspettassimo tutto ciò, la nostra vita non basterebbe per vedere quel momento. E allora abbiamo affrontato di petto il problema e ci siamo detti: noi a Santiago ci andiamo lo stesso. E non solo: vogliamo che tutti possano partire e arrivare, con le loro abilità e disabilità». Detto fatto. Chilometro dopo chilometro hanno cercato e trovato il modo per superare, aggirare o abbattere gli ostacoli: «ostinatamente e controcorrente». Hanno visitato strutture d’accoglienza, musei, chiese e SuperAbile INAIL 28 Luglio 2015 monumenti, verificandone l’accessibilità. Ne è venuta fuori una guida che rende il cammino possibile non solo a chi si muove in sedia a ruote, ma anche alle persone anziane, ai bambini, ai dializzati e trapiantati (ci sono l’elenco e i recapiti dei centri medici specializzati lungo il percorso), ai celiaci (con indicazioni dei piatti da evitare e dei locali che hanno menù gluten free). «Abbiamo cercato di individuare tracciati alternativi ogni volta che il percorso segnato con le frecce gialle non ci è sembrato adatto alle carrozzine». La guida di Pietro e Luciano sfata la credenza che i cammini siano una prerogativa delle persone atletiche. In realtà In basso, a sinistra, Pietro Scidurlo in cammino. Foto Luciano Callegari è innanzitutto un’esperienza interiore: ogni pellegrino inizia il percorso per i motivi più diversi e lo conclude scoprendo di sé aspetti nuovi. «Per me è stato trovare il Pietro migliore che cercavo», ha ripetuto più volte Scidurlo. Nato 36 anni fa a Somma Lombardo (Varese), è paraplegico dalla nascita a causa di un errore medico. «Nel 2004 ho acquistato la mia prima handbike che mi ha rivelato la bellezza del camminare per il mondo con le mie “gambe”. Nonostante queste attività non riuscivo però ad accettare completamente la mia disabilità. L’esperienza del cammino mi ha aiutato a farlo». Ogni anno circa 200mila pellegrini arrivano sulla tomba di San Giacomo. Fin dal Medioevo esistono diversi cammini e quello più conosciuto e più battuto parte da Saint Jean Pied de Port in Francia. La guida rende accessibile quest’ultimo, dichiarato nel 1985 patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco. Nel volume è possibile trovare indicazioni su come muoversi lungo il cammino, ma bisogna prepararsi per bene prima di partire. Che si usino le proprie gambe, oppure le braccia per spingere la sedia a ruote o ancora l’handbike, non ci si improvvisa pellegrini. Per esempio, chi è in carrozzina dovrà ogni giorno allenarsi su percorsi misti asfalto e sterrato, anche in salita e discesa. Chi pensa di andarci in handbike dovrà prima abituarsi a starci per diverse ore al giorno visto che non è comodissima, oltre che allenare i muscoli. Attenzione poi al bagaglio. La Guida da questo punto di vista è molto preziosa: aiuta a capire cosa è indispensabile mettere nello zaino, tutto il resto non serve. Infine, quando partire? In teoria è sempre possibile. Ma, avvertono Pietro e Luciano: «Alle persone che hanno problemi di disabilità motoria è consigliato evitare le stagioni in cui si può facilmente trovare freddo, pioggia e neve. Gli ausili motori perdono più facilmente aderenza con terreni fangosi, piovosi o addirittura innevati. Inoltre le limitate condizioni di mobilità possono determinare più facilmente il pericolo di ipotermia». Fondamentale, però, è crederci. Come ha fatto Pietro e come stanno facendo tanti altri, che stanno postando le loro foto lungo il cammino sulla pagina Facebook di Free Wheels onlus. SuperAbile INAIL 29 Luglio 2015 G iunta alla sua ottava edizione, la Guida al cammino di Santiago per tutti suddivide il percorso in 33 tappe fino a Compostela, più altre cinque per chi vuole arrivare a Finisterre e godersi l’Oceano. Per ogni tappa, sono descritti tre diversi itinerari: il cammino classico, un percorso che si svolge interamente su asfalto per chi usa l’handbike e uno per le sedie a ruote. Per lunghi tratti coincidono. Ogni tappa è corredata da una mappa, da un’altimetria e una tabella contenente i chilometri complessivi e i dislivelli in salita e discesa. Il percorso su asfalto è soprattutto su strade poco trafficate. Quello su carrozzina evita i tratti in cui siano presenti scale, pietre grosse o aguzze, terreni fangosi, salite o discese eccessivamente pendenti. Di ogni sterrato viene data comunque l’indicazione di percorribilità. [D.P.] televisione Quella ostinata voglia di vivere raccontata allepigliata, telecamere convincente. Ma so- S prattutto empatica. Giusy Versace, alla conduzione del programma Alive. La forza della vita, in onda su Retequattro in prima serata e curato da Simona Ercolani, convince. Perché è naturale, autentica, se stessa. Forse antitelevisiva per antonomasia, ovvero non costruita. Certo, ha un copione da seguire e gli autori del programma sono altri. Però a parlare è il suo sguardo diretto, la sua forza testimoniale. Ci è passata lei per prima, nelle storie che racconta intervistando sul campo i protagonisti: persone che in tutta Italia hanno sfiorato la morte per una malattia improvvisa, un disastro naturale, un tentato omicidio, persone che non si sono arrese nonostante la vita le abbia messe di fronte a una prova durissima da superare. Pure Giusy ha temuto la fine quasi dieci anni fa e, rimanendo lucida anche se un guard-rail le aveva tranciato le gambe, ha pensato che voleva vivere. Anche dopo i tre mesi di ospedale e l’amputazione. Anche dopo la riabilitazione. Aveva 28 anni e poteva abbandonarsi alla disperazione. Invece no: si è rimessa in gioco, ha fondato una onlus che regala protesi ultratecnologiche a chi non può permettersele perché non sono mutuabili, è scesa in pista diventando atleta paralimpica (a maggio ha siglato il primato italiano sui 200 metri) ed è regina dell’ultima edizione di Ballando con le stelle, in onda su Rai Uno. Do- Il programma Alive. La forza della vita va in onda su Retequattro ogni giovedì in prima serata, dal 28 maggio, per otto puntate. Il 3 giugno la conduttrice ha ricevuto il premio “Special Award Pubblicità Progresso”, da lei dedicato «a tutte le donne e alle persone disabili». Figli di un Dio minore in Lis Se è stato il film con William Hurt e il premio Oscar Marlee Matlin a renderlo famoso, Figli di un Dio minore, la storia d’amore tra un logopedista e una ragazza sorda, nasce come opera teatrale. Un testo che tornerà a calcare le scene il 2 e 3 agosto nell’ambito del Festival Borgio Verezzi (Savona), grazie al lavoro di Marco Mattolini. E, per di più, sarà recitato in lingua dei segni. po gli spettacoli in giro per l’Italia con il suo partner Raimondo Totaro, per Giusy un’altra sfida: co-condurre un programma televisivo giunto quest’anno alla terza edizione insieme al navigato Vincenzo Venuto, biologo e naturalista. La tenace 38enne di origine calabrese, trapiantata a Milano, lo fa con la semplicità consueta che le appartiene, vestita stavolta dalla zia Donatella Versace. E conquista il telespettatore proprio per questo: davanti o dietro le telecamere, è sempre la stessa. A colpirla in modo particolare, lo confida lei stessa, le esperienze «legate alla violenza sulle donne: mi hanno provocato una scossa emotiva alla quale non ero preparata». Come la vicenda di un tentato femminicidio: la vittima, una signora oggi cinquantenne, è stata aggredita in casa sua dall’ex marito con un’accetta, subendo l’amputazione di alcune dita e lesioni che l’hanno resa paraplegica. «Ho deciso di affrontare questa nuova avventura perché le storie sono di grande forza e amore per la vita – ha commentato Giusy –. Il messaggio che vogliamo trasmettere è intenso, ricco di dolore ma allo stesso tempo pieno di speranza e positività». [Laura Badaracchi] «L’allestimento sarà un’occasione di confronto fra universi comunicativi separati e sovrapposti, uno studio sulle potenzialità espressive di gestualità e oralità», si legge nelle note di regia. Il progetto, realizzato in collaborazione con l’Istituto statale dei sordi di Roma, ha preso il via da un laboratorio dedicato a giovani attori (udenti, non udenti o con l’udito parzialmente danneggiato) e interpreti Lis. [M.T.] SuperAbile INAIL 30 Luglio 2015 libri Terza o quarta età, con il sorriso sulle labbra hi l’ha detto che terza età sia sinonimo di C vita piatta e ripetitiva, senza colpi di scena? Pur con acciacchi, disturbi, disabilità acquisite, malattie, gli anziani diventano protagonisti di due romanzi, editi rispettivamente da Giunti ed Einaudi. Anziani veri, non mascherati da giovani né assetati del mito di tornare a un passato impossibile da rincorrere e replicare. Nel romanzo Quasi arzilli l’autrice esordiente Simona Morani, classe 1982 (lavora in Germania come interprete, redattrice e autrice di documentari per la tv) torna con la memoria ai paesaggi umani dell’Appennino reggiano dov’è cresciuta. Un mondo nostalgico, che inonda le pagine di ricordi e tenerezza, perché bandisce dal vocabolario la parola «rottamazione». La prospettiva della casa di riposo è invece uno spettro drammatico per i protagonisti ultraottantenni – chi afflitto da problemi di sordità e cecità, chi da vuoti di memoria e chi da ipocondria –, che fanno naturalmente i conti con quelle disabilità anagrafiche comuni a molte, se non a tutte, le persone che oltrepassano la soglia delle 80 primavere. Ma l’usura del corpo operata dal tempo che scorre inesorabile non intacca i sentimenti né l’ironia che avvolge la propria condizione. E la realtà della morte viene esorcizzata, al tempo stesso innalzando un inno vissuto alla lentezza, a ritmi più umanamente sostenibili per ogni generazione, non solo per la quarta età. La cifra dell’amicizia contraddistingue i quattro spericolati vecchietti del volume L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfug- girono alle Miserabili Monache che in ospizio, purtroppo, ci sono finiti davvero. La demenza senile, però, non ha l’ultima parola e una gita nella Capitale per la beatificazione di Giovanni Paolo II si trasforma in occasione per sfuggire agli sguardi vigili delle suore e scatenarsi in una delle ultime bravate della loro vita. Esilarante il personaggio di Brio, il “braccio armato” del gruppo: in tasca nasconde una fionda con la quale, nonostante il Parkinson, resta infallibile. Il trentenne napoletano Marco Marsullo, al suo secondo romanzo, dà prova di sano umorismo e di conoscere da vicino il vissuto dei protagonisti, di sondarlo e maneggiarlo con un sorriso irriverente e uno schietto pragmatismo: «Ho 74 anni, un solo rene, la prostata grande come la Danimarca e un’insana, rischiosa passione per i pistacchi. Odio i giovani, com’è giusto. Ma odio anche i vecchi, sono lenti e insopportabili. Odio quei tipi che quando ti guardano sorridono come se avessero visto un cucciolo di labrador». [L.B.] SuperAbile INAIL 31 Luglio 2015 Marco Marsullo L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache Einaudi 2014 pagine 224, euro 16,50 Simona Morani Quasi arzilli Giunti 2015 pagine 176, euro 12 libri Lo zaino di Emma non è un dono a sindrome di Down non è L un dono né per chi ne è affetto né per i suoi famigliari. Lo racconta con schiettezza Martina Fuga, mamma di una ragazStorie a fumetti di un altro mondo za disabile, nel libro Lo zaino di Si intitola Take a picture l’ultima Emma, edito da Mondadori Eleciniziativa editoriale realizzata da ta. Con uno stile asciutto ed es“Il Cinno selvaggio”, progetto ideato nel 2011 per far uscire dai senziale l’autrice mette insieme circuiti della psichiatria le creazioni una serie di aneddoti e riflessioni nate dalla matita di persone in per spiegare cosa significa quancarico al Dipartimento di salute do in famiglia arriva una persomentale dell’Ausl di Bologna. Dopo na con disabilità. Racconta così Ericailcane e Francesca Ghermandi, questa volta è toccato al fumettista le difficoltà e i successi di una vita comunque possibile, anche se Andrea Bruno condurre un laboratorio a cui hanno partecipato complicata. E, senza cedere a facinove utenti del centro diurno li buonismi, parla anche del senso Rondine gestito di colpa che l’accompagna fin daldalla cooperativa la nascita della figlia. Innanzitutsociale Società to verso il marito Paolo, poi verso dolce. Una serie l’altra figlia Giulia, che «aspettadi fotografie va una sorellina con cui giocare, (da qui il titolo una compagna di vita, una Emma dell’opera) sono tutta da scoprire, ma non certo state lo spunto di partenza del una bambina che le avrebbe tolto lavoro. Il risultato all’improvviso gli occhi di tutti». è un volume di più di 90 pagine E, infine, verso Emma, «non tanche racconta mondi fantasiosi e to per averla generata con la sinpersonaggi irreali grazie anche al drome di Down, non solo almeno; sostegno di stamperia e galleria piuttosto per non essere pronta, d’arte Squadro, libreria Modo per non essere abbastanza, per Infoshop e associazione culturale Hamelin. [M.T.] non essere all’altezza». Spietatamente sincero, e per questo particolarmente interessante, il libro parla anche del rapporto fortissimo tra madre e figlia, nata con un grosso zaino sulle spalle da portare. «La sindrome non è un dono, mia figlia è un dono, ma per com’è lei – scriSuperAbile INAIL Martina Fuga Lo zaino di Emma Mondadori Electa 2014 pagine 144, euro 14,90 ve –. Molti ne parlano come un dono, genitori toccati dalla disabilità o che la guardano da fuori pensando di sapere com’è. Chiediamolo ai nostri figli cosa ne pensano e, se saranno in grado di risponderci, la risposta forse non ci piacerà». [E.C.] Libri Una vita in mezzo ai “matti” n ospedale psichiatrico co- U Joachim Meyerhoff Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato Marsilio 2015 pagine 324, euro 19 32 Luglio 2015 me casa. Un’infanzia vissuta in mezzo a 1.500 malati psichici, minorati mentali e fisici chiamati affettuosamente e spietatamente «idioti, squilibrati o pazzi. Ma anche scemi, ebeti, citrulli, rinco, minchio e spasti», o semplicemente «dementini». Racconta la vita di Josse, cresciuto all’interno dell’istituto di Scheswing, nel nord della Germania, il volume Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato, edito da Marsilio. Con ironia il romanzo narra la stramba quotidianità della sua famiglia che vive in un’area del complesso psichiatrico, di cui il papà di Josse è direttore. E così nel ménage familiare entrano a far parte anche i pazienti, ognuno con la sua mania e il suo grado di follia. In questa insolita normalità il protagonista cresce imparando, come vuole suo padre, a trovare la bellezza ovunque, anche nelle grida notturne dei malati: «Amavo quell’urlio, quella partitura di voci notturne – scrive –. Quando dormivo altrove provavo una terribile nostalgia delle grida e delle urla tranquillizzanti dei malati». Esordio narrativo dell’attore tedesco Joachim Meyehoff, il romanzo è in parte autobiografico, perché come l’autore fa dire a Josse «inventare significa ricordare». Dopo il successo in Germania, dove è stato un vero e proprio caso letterario, il libro è finalmente uscito anche in Italia. [E.C.] Libri L’educazione sessuale di un figlio autistico Kate E. Reynolds Sessualità e autismo. Guida per genitori, caregiver e educatori Erickson 2014 pagine 190, euro 21 [Antonella Patete] Le avventure di una ragazza Down in formato comics RAGAZZI A due anni di distanza dal primo numero della collana “Tengo capacidad, tengo derechos”, è stato pubblicato Super Char y sus amigos. El experimento de ciencias, storia l giaguaro che perde il pelo e, a fumetti ideata dall’associazione Down España per rafforzare la insieme a esso, le macchie del consapevolezza delle persone con manto. Il coniglio che ha paura Trisomia 21 sui propri diritti. Scritto di tutto ed è stufo di convivere con e illustrato in modo accessibile, il questo eterno terrore. La lucerto- volume è stato pensato anche per la che ha perso per la terza volta la sensibilizzare gli studenti spagnoli. coda e non la vede ricrescere. So- Questa la trama: Claudia, no questi alcuni dei protagonisti adolescente con la sindrome di di Insieme più speciali, albo scritto Down, ama cantare, ballare e studiare; complice la sua passione da Beatrice Masini e illustrato da per la scienza, partecipa a un Annalisa Beghelli per le edizioni concorso scolastico con il suo Carthusia. Realizzato con la fon- compagno di classe César, poco dazione Telethon, il volume nasce incline ad ascoltarla e convinto per sostenere la ricerca scientifica di poter realizzare il progetto da sulla cura della malattie genetiche solo. Ma a fargli cambiare idea rare, ma anche per sensibilizzare sarà una proposta di Claudia, tanto quanto efficace, che l’opinione pubblica sulla situazio- fantasiosa sorprenderà pure la giuria. [M.T.] L’importanza di stare insieme K ate Reynolds vive nel Regno Unito e ha due figli, di cui uno con una forma grave di autismo. È infermiera specializzata e formatrice sui temi della salute sessuale ma, soprattutto, ha da poco pubblicato per Erickson un volume rivolto a genitori e operatori che si occupano quotidianamente di persone con difficoltà severe. Sessualità e autismo. Guida per genitori, caregiver e educatori, curato nell’edizione italiana dalla psicoterapeuta Flavia Caretto, è innanzitutto un manuale pratico che affronta il discorso di cosa e come insegnare alle persone che hanno problemi di interazione e comunicazione, insieme a compromissione intellettiva e del linguaggio. Temi difficili per i genitori di giovani autistici, che il volume tratta con schiettezza e rara onestà, offrendo strategie e consigli per affrontarli: spogliarsi e masturbarsi in pubblico, cambiamenti del corpo, erronea interpretazione del rapporto tra i sessi sono problemi piuttosto comuni quando si parla di autismo severo. Ovvero – spiega l’autrice – di persone che non hanno la capacità di apprendere per osmosi dal gruppo dei pari e quindi necessitano di indicazioni esplicite e dettagliate su tutto: dai nomi delle parti anatomiche alla comprensione della loro funzione nel sesso, dai diversi atti sessuali e i loro esiti fino a come riconoscere e denunciare gli abusi. I Beatrice Masini Annalisa Beghelli (illustrazioni) Insieme più speciali Carthusia 2014 pagine 28, euro 19,90 da 5 anni ne di bambini che convivono con patologie quasi sconosciute. Che possono essere incoraggiati e sorretti con l’aiuto di tutti. Come il giaguaro che riceverà delle nuove macchie, fatte mescolando polline e polverina d’ali di farfalla. È una tinta delicata, che rischia di scomparire, ma il messaggio è chiaro: si può fare sempre qualcosa, l’importante è restare insieme e non scoraggiarsi. [A.P.] SuperAbile INAIL 33 Luglio 2015 Alcuni degli scatti di Enrico Pozzato documentano la partecipazione di Orchestra invisibile al Festival dei saperi, alla rassegna Alfabeti differenti di Pavia e alla kermesse Arte plurale di Torino, presso l’Associazione Paolo Perduca di Tortona. In altre occasioni ufficiali, si è unito alla band il clarinettista e sassofonista Claudio Perelli, jazzista doc. MUSICA/1 Jazz senza barriere. Né parole un grande gruppo jazz, a È struttura variabile, composto da 24 musicisti, oltre la metà dei quali con autismo. Sembrava un’impresa utopica, invece è realtà – nonostante il nome provi ironicamente a smentirlo – l’Orchestra invisibile, che dall’autunno del 2005 suona ogni venerdì pomeriggio a Cascina Rossago (Cascinarossago.net), nell’Oltrepò pavese. Lì, dove è sorta la prima fattoria sociale italiana, disegnata specificamente sulle esigenze delle persone con autismo, e in particolare per quelle con gravi difficoltà psicosociali. «L’idea di base di Cascina Rossago è quella di creare un contesto di vita tarato sulle esigenze dei giovani adulti con autismo. L’ambiente agricolo a differenza di quello cittadino – fonte conti- nua di iperstimolazione, stress, confusione, e ulteriore isolamento – è per sua natura più stabile, semplice, prevedibile ma comunque ricco di situazioni significative», spiegano i responsabili. Torniamo all’aggettivo «invisibile», scelto per sottolineare una caratteristica peculiare dell’ensemble: «La presenza di un pubblico, anche conosciuto, turberebbe molti dei suoi componenti. Da subito, i primi musicisti si sono resi conto della natura paradossale del loro compito: stare insieme, in gruppo, divertendosi (non appena possibile), con persone che, per definizione, non potrebbero stare in gruppo, e tantomeno andare a tempo con gli altri». Questa esperienza pionieristica e quasi incredibile viene raccontata dagli scatti poetici del medico Enrico Pozzato – e dalle parole del batterista pop-jazz Ellade Bandini, dello psichiatra Pierluigi Politi, anima dell’ensemble che suona piano- SuperAbile INAIL 34 Luglio 2015 forte e trombone, e del filosofo Carlo Sini – nel volume fotografico Orchestra invisibile, pubblicato da Jaca Book (pagine 128, euro 25). Il libro testimonia «la matrice di debolezza da cui l’autismo scaturisce e insieme la pienezza di senso che questi mondi possono raggiungere. La maggior parte delle persone che vedrete in queste pagine non comunica con il linguaggio delle parole. Noi abbiamo scelto di usare le parole con parsimonia, di ridurre al minimo la parte scritta per far parlare le immagini. Ognuno di noi, del resto, non solo le persone con autismo, “pensa per immagini”», scrive Vera Minazzi nell’introduzione. Nel silenzio delle voci, ma non degli strumenti, il gruppo ha già all’attivo la registrazione di tre cd. Il reportage di Pozzato, membro a sua volta dell’orchestra, punteggia momenti di prova e concerti pubblici. Ma soprattutto restituisce ritratti, volti. [L.B.] musica/2 Canto per la Polonia in sedia a ruote ornare a cantare dopo un terribile incidente T Nella foto a fianco, la cantante polacca Monika Kuszynska. Dopo l’incidente del 2006 è tornata a esibirsi ed è stata scelta dal suo Paese come rappresentante della Polonia alla sessantesima edizione dell’Eurovision song contest, lo scorso 23 maggio a Vienna. Sotto, i Pkn durante un concerto. stradale. Per Monika Kuszynska, tra le artiste più amate della Polonia, oggi questa è una battaglia vinta. La musicista, 35 anni, è stata tra i protagonisti dell’Eurovision 2015, il festival di musica più importante d’Europa, con un’esibizione che ha visto per la prima volta una cantante in sedia a ruote prendere parte alla manifestazione. E che per lei ha rappresentato un vero e proprio ritorno alla vita e al successo. Kuszynska, ha esordito sulla scena musicale nel 2000, con la rock band polacca Varius Manx, come sostituta di Kasia Stankiewicz. Nei due anni successivi ha pubblicato due album di successo, Eta ed Eno. Poi nel giugno del 2006 l’episodio che le cambia la vita: mentre torna da un concerto con alcuni membri del suo gruppo, in una serata di pioggia, rimane coinvolta in un gravissimo incidente stradale, che le causa la paralisi degli arti inferiori e la costringe a vivere su una sedia a ruote. Per lei, da sempre abituata a cantare e a ballare, inizia un periodo difficile di malattia. Le lunghe assenze dal lavoro e la difficoltà di fare i conti con la nuova condizione di disabilità, col tempo la portano a prendere la decisione estrema di lasciare il suo gruppo. Ma dopo un periodo di assenza nel 2012 ar- riva l’attesa rinascita, con la pubblicazione del suo primo album da solista e il ritorno sulla scena nazionale e internazionale. Il suo Paese l’ha scelta per rappresentare la Polonia alla sessantesima edizione dell’Eurovision song contest, lo scorso 23 maggio a Vienna, con la canzone In the name of love. «Dopo il mio incidente cantare è diventato una missione – ha dichiarato in un’intervista –. Sono la prova che è possibile non scoraggiarsi e vivere la vita nella maniera più piena anche quando si deve affrontare una situazione grave». [Eleonora Camilli] Piccoli eroi della normalità Uniti dall’amore per la musica punk e non solo. Si chiama Pkn (Pertti kurikan nimipaivat) la band finlandese, rivelazione all’ultimo Eurovision festival, la kermesse musicale più importante d’Europa. A comporre il gruppo sono, infatti, quattro amici tutti disabili: alcuni hanno la sindrome di Down, altri sono autistici. Il cantante dei Pkn è Kari Aalto, mentre Pertti Kurikka suona la chitarra, Sami Helle il basso e Toni Valitalo la batteria. L’idea di formare una band è nata nel 2009, all’interno di un laboratorio culturale per persone con disabilità intellettiva. I quattro sono così diventati amici e hanno iniziato a suonare e a viaggiare per i locali notturni della Finlandia. Sulla loro storia è stato realizzato anche il documentario The punk syndrome, che racconta come la musica li abbia aiutati a uscire da una situazione di marginalità. [E.C.] SuperAbile INAIL 35 Luglio 2015 RUBRICHE Inail... per saperne di più Giuseppina Carrillo* “Inform@bili”, per superare il divario digitale Insieme all’associazione Informatici senza frontiere, la Sede Inail di Benevento ha promosso un corso per migliorare le competenze telematiche degli assistiti. Per usare il computer come mezzo di comunicazione e finestra aperta sul mondo I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg A Benevento, lo scorso 5 maggio, si è concluso il primo corso “Inform@bili - Abili con internet” promosso da Inail in collaborazione con l’associazione Informatici senza frontiere (Isf) onlus. I risultati dell’iniziativa sono stati presentati attraverso un video realizzato con la collaborazione dei partecipanti, che hanno espresso il proprio giudizio sui livelli di conoscenza informatica acquisita e sulle possibilità aperte a ciascuno dal corso appena concluso. Il progetto è stato l’occasione, partendo dal miglioramento delle competenze informatiche di ciascuno, per favorire il reinserimento sociale, mantenere il benessere psicofisico, sviluppare l’autonomia e la realizzazione personale. Un’occasione per proporre, attraverso un percorso d’aiuto, un’esperienza concreta, volta a superare le barriere virtuali che impediscono l’accesso alla comunicazione e all’informazione digitale. Accade spesso, infatti, che gli strumenti informatici, anche forniti dall’Inail, non siano sfruttati appieno dagli infortunati sul lavoro per mancanza di giusti stimoli o del supporto di tutor disponibili a percorsi didattici personalizzati. La richiesta di arricchire le proprie conoscenze informatiche, per utilizzare il computer come strumento di comunicazione e mezzo esplorativo del web, è risultata essere un’esigenza tra- sversale a tutti i soggetti coinvolti, un gruppo disomogeneo per formazione ed esperienze professionali, unito però dal comune interesse per il mondo digitale, per la tecnologia quale strumento di rete sociale, per informarsi, dialogare, per il superamento del digital divide, obiettivo comune a Inail e Isf. Il corso – dieci giornate, per un totale di 15 ore di didattica – è stato tenuto dai soci della locale sezione di Isf, volontari con percorsi professionali diversi (ingegneri informatici, avvocati, psicologi, infermieri, educatori), che hanno messo a disposizione le proprie competenze professionali ma soprattutto una grandissima disponibilità e attenzione nei confronti deSuperAbile INAIL 36 Luglio 2015 gli altri. L’approccio flessibile dei tutor, basato su una metodologia collaborativa e personalizzata – in un rapporto, spesso, di uno a uno – e la verifica immediata di quanto appreso hanno permesso di adattare la lezione a ogni corsista, personalizzando il processo di apprendimento e rendendolo più efficace. Gli infortunati sono stati soggetti attivi non solo del proprio percorso, ma anche di quello della persona seduta accanto, in una forma di mutuo scambio, in un’atmosfera rilassata, in un esercizio di problem solving alla presenza costante dei formatori. Il corso si è svolto presso la Sede Inail di Benevento. La sala riunioni è stata attrezzata con postazioni pc e un supporto visivo per la didattica, che ha facilitato l’apprendimento, realizzato attraverso il “fare”: esercitazioni pratiche, eseguite dai partecipanti e visibili sullo schermo condiviso, per l’apprendimento delle funzioni base del computer e la navigazione in rete, per una panoramica sui pericoli presenti sul web, per accedere ai servizi online o scaricare materiale di interesse. L’avvio dello sportello virtuale lavoratori, il 16 marzo scorso, è stato l’oc- casione per testare con successo la capacità dei partecipanti di accedere ai servizi online Inail, in autonomia. Oltre che uno spazio formativo, il corso è stato un’occasione per favorire esperienze aggregative e ricreative, per una maggiore inclusione sociale e relazionale. Nell’immediato l’iniziativa prevede una serie di “refresh” ma permetterà, soprattutto ad alcuni corsisti, di essere in futuro formatori volontari per Isf nelle varie iniziative che l’associazione promuove sul territorio. * Assistente sociale della Sede Inail di Benevento RUBRICHE Previdenza Giorgia Di Cristofaro Permessi 104. Quando l’uso è improprio Cosa è lecito e cosa non è lecito fare durante le ore destinate all’assistenza delle persone disabili? La normativa non prevede un elenco di attività possibili o ammesse. Ma è bene adottare il criterio del buon senso. Da parte di tutti L’ articolo 33 della legge 104/92 prevede che la persona con handicap grave possa essere assistita dal familiare che ne abbia i requisiti previsti dalla normativa. Articoli giornalistici e sentenze della Cassazione – che recentemente si è espressa su due casi (il 4.984 del 4 marzo 2014 e l’8.784 del 30 aprile 2015) – riportano storie di persone trovate in vacanza oppure fuori città durante i giorni di permesso. È improprio? Cerchiamo di capirlo. Per prima cosa consideriamo che, disattendere quanto previsto dalle norme di tutela dell’assistenza alle persone con disabilità è un comportamento odioso, in quanto questo impone un impegno di spesa pubblica che tutta la collettività sopporta a tutela esclusiva della persona disabile. Inoltre bisogna considerare che le giornate di permesso o di congedo richieste dal lavoratore prevedono generalmente una riorganizzazione dell’attività lavorativa e spesso incombenze più gravose per i colleghi: il riconoscimento delle agevolazioni da legge 104 comporta un vincolo morale, oltre che giuridico, del lavoratore. La normativa non arriva a specificare esattamente i compiti o le attività che è possibile svolgere durante le ore di permesso. Il timore è che, al solito, per punire comportamenti poco corretti si possa arrivare a sanzionare anche chi, invece, si compor- ta correttamente e che questo timore possa portare le amministrazioni e i datori di lavoro ad adottare una condotta di verifica estrema e inquisitoria. La legge 104 nasce per promuovere e tutelare la piena integrazione della persona con disabilità nella società e nel mondo del lavoro attraverso l’adozione di misure necessarie che passano anche per il diritto all’assistenza. La natura di questa agevolazione non prevede che l’assistenza sia erogata espressamente per accudire fisicamente la persona: essa, infatti, può esplicitarsi anche in attività che sono di aiuto o di supporto alla persona con disabilità, come per esempio l’acquisto SuperAbile INAIL 37 Luglio 2015 di un medicinale, il pagamento di una bolletta o altro. La normativa non prevede neanche che, durante le ore di assistenza, il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere e, certamente, non vi è un elenco di attività possibili o lecite. Crediamo che assistere quotidianamente una persona con disabilità gra- ve sia un compito gravoso, non solo per la fatica fisica che questo comporta, ma anche per la fatica psicologica di trovarsi accanto una persona che spesso dipende completamente da chi l’assiste. Inoltre le ore di permesso e le agevolazioni lavorative in generale non sono certamente sufficienti a prestare un’assistenza adeguata, soprattutto nei casi più gravi. In sostanza, crediamo non rientri in un comportamento contro la norma pensare che, durante le ore di permesso 104 o durante i giorni di congedo straordinario, il familiare che assiste possa poter utilizzare detto tempo anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza a una persona con grave handicap comporta, ma siamo anche dell’idea che non debba essere possibile stravolgere la natura dell’impianto normativo. Altro aspetto da considerare è che, le ore di permesso devono sempre essere rapportate a quelle lavorative e che, quindi, l’eventuale giudizio di adeguatezza o inadeguatezza nell’utilizzo delle ore di permesso, in orario differente da quello lavorativo, non debba poter essere oggetto di giudizio. In estrema sintesi, riteniamo che recarsi a fare attività diciamo “normali” come fare la spesa, pagare le bollette o espletare servizi simili, non possa essere oggetto di valutazioni da parte di chicchessia. RUBRICHE Senza barriere Daniela Orlandi Per un edificio accessibile e inclusivo: ecco il decalogo Per progettare senza discriminare bisogna attenersi ad alcune regole fondamentali che rendono gli spazi fruibili da tutti, senza fare differenze tra persone disabili e non. E senza dimenticare le limitazioni sensoriali L’ Italia è il quinto Paese al mondo a mettere a punto una regolamentazione sulla progettazione senza barriere architettoniche, benché la percezione che si ha oggi delle città, degli edifici e degli spazi in generale, induca a pensare che la cultura dell’inclusione sia ancora tutta da conquistare anche nel campo della progettazione edilizia. Uno spazio può, infatti, avere elementi che discriminano gli individui, cioè chi vive e chi non vive una disabilità, e in un luogo pubblico questo non è ammesso dalle normative vigenti, dalla Costituzione italiana fino alla legge di ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Senza nulla togliere alle normative esistenti, se applicate, vediamo quali dovrebbe- ro essere le best practice da adottare per una progettazione inclusiva. Applicando alcuni concetti relativi alle pari opportunità e alla non discriminazione abbiamo stilato un ipotetico decalogo. Un edificio, uno spazio, per essere accessibile e inclusivo, deve in primis rispondere a criteri di accessibilità fisica, evitando progettazioni che presentino ostacoli alla mobilità come gradini, dislivelli, spazi ristretti e ogni condizione di pericolo. Deve poi rispondere a criteri di accessibilità sensoriale, ovvero evitare tutti quegli ostacoli che impediscono la riconoscibilità dei luoghi e l’orientamento, e a criteri di accessibilità alla comunicazione. In questo caso vanSuperAbile INAIL 38 Luglio 2015 no evitati elementi che non permettono l’accesso alle informazioni e alla comunicazione per persone non vedenti e ipovedenti, sorde e ipoudenti. Opportuno sarebbe anche avere un unico ingresso accessibile per tutti, subito riconoscibile e comodo – senza distinzioni tra persone disabili e non, genitori con bambini, chi fa uso di passeggini e non –, e avere percorsi di collegamento comuni per tutti. Uno o più percorsi privi di ostacoli utilizzabili da tutti, indifferentemente, così come l’ascensore o altri sistemi per superare i dislivelli vanno nella direzione di un edificio inclusivo. Tra gli altri elementi utili, un edificio inclusivo dovrebbe avere servizi integrati, razionalmente distribuiti e pensati per un pubblico diversificato. I servizi, gli impianti o le attrezzature devono soddisfare un’utenza che sia la più ampia possibile. I servizi igienici accessibili vanno integrati agli altri e non separati. Evitare fonti di disagio come percorrere lunghe distanze è auspicabile. Vanno previsti, nel caso, servizi di mobilità alternativa per persone con limitazioni motorie. Una segnaletica multisensoriale, leggibile da un’utenza più ampia possibile, per facilitare l’individuazione di luoghi e funzioni; una progettazione intelligente in caso di emergenza e nelle procedure di evacuazione; una gestione inclusiva di spazi e servizi, dato che l’inclusione si misura non solo sugli spazi ma sulle modalità di erogazione dei servizi, completano il decalogo dell’edificio “inclusivo” e accessibile. Ciò che rende un edificio inclusivo e accessibile, insomma, lo si può ben comprendere da queste poche indicazioni, necessariamente sintetiche, ma chi intende progettare senza discriminare non dovrebbe farne a meno. l’ESPERTO RISPONDE numero verde 800/810810 Scuola Ho un problema relativo alla somministrazione di farmaci in orario scolastico nella scuola comunale dell’infanzia e sto cercando di entrare in contatto con persone che si volessero unire a me per portare avanti un progetto volto al raggiungimento di un traguardo così importante. Nel frattempo sarei lieto di ricevere riferimenti giuridici e normativi sul tema. Occhiello n riferimento al suo quesito la informiamo che in base alle “Linee-guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico” predisposte congiuntamente dai ministeri dell’Istruzione e della Salute, trasmesse con la nota n. 2.312 del 25 novembre 2005 del ministero dell’Istruzione, i genitori devono inoltrare istanza al dirigente scolastico, accompagnata da una prescrizione del medico curante. Altro riferimento importante è la sentenza incidentale n. 2.779 del 2002 del Tribunale del lavoro di Roma: essa ha stabilito che un alunno riconosciuto in situazione di handicap grave, a causa di un’allergia che si manifesta in modo improvviso e imprevedibile, ha diritto ad avere, per tutta la durata delle lezioni, l’assistenza di un infermiere dell’Asl in grado di riconoscere i sintomi dell’allergia e prevenire, con l’immediata somministrazione di farmaci, gravi rischi alla salute. Recentemente il Tar della Sardegna con la sentenza del 22 giugno 2011 n. 1.028 (depositata il 21 ottobre 2011) ha condannato il ministe- I ro dell’Istruzione e il dirigente scolastico di una scuola dell’infanzia frequentata da un bambino autistico con crisi epilettiche, perché durante l’anno scolastico era rimasto a casa con la motivazione che nessuno nella scuola poteva somministrargli i farmaci di cui ha bisogno in caso di una crisi. Sottolineando che il pieno diritto all’istruzione e all’integrazione scolastica dei disabili, oltre che sul piano dei diritti costituzionali, si ritrova scolpito nella legislazione ordinaria, in particolare all’articolo 12, commi 2, 3 e 4, della legge n. 104/1992, la sentenza cita le “Linee-guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico”. Nel dettare le direttive nei confronti degli organi scolastici e delle strutture del servizio sanitario, le Linee guida, prevedono che sia il dirigente scolastico, a seguito della richiesta dei genitori dell’alunno disabile, a verificare la disponibilità degli operatori scolastici in servizio, altrimenti devono procedere «all’individuazione di altri soggetti istituzionali del territorio con i quali stipulare accordi e convenzioni». Turismo Coordino le attività del tempo libero di un grande centro residenziale della Calabria che si occupa di persone con disabilità. Nel mese di settembre, vorremmo proporre soggiorni al mare oppure in montagna, suddividendo i nostri ospiti per tipologie di esigenze. Alcuni ragazzi sono non vedenti, altri adulti hanno problemi di autismo, altri ancora hanno difficoltà motorie. Potete darmi consigli utili? Occhiello avigando il portale Viaggiaredisabili. com potrà consultare il catalogo “Viaggiare disabili 2015” con informazioni sulle condizioni di accessibilità di strutture ricettive, luoghi della ristorazione e siti di interesse culturale, presenti sia in Italia che nella Repubblica di San Marino. La descrizione di ciascuna struttura è accompagnata da indicazioni sintetiche sull’accessibilità. Per i vostri ospiti con limitazioni visive, segnaliamo invece il Centro “Le Torri” Centroletorri.it) di Tirrenia e l’Eos Hotel (Vestashotels.it/hotel_eos/ita/home.htm) di Lecce. Entrambe le strutture dispongo- N SuperAbile INAIL 39 Luglio 2015 no di accorgimenti per le esigenze di tale clientela: semplicità e riconoscibilità dei percorsi, facilità di utilizzo delle singole unità ambientali, impiego di particolari impianti tecnici di segnalazione e sicurezza, mappe visivo tattili. Di interesse per le persone con autismo è, infine, il progetto “Autismo Friendly Beach”, grazie al quale località come Rimini, Riccione, Misano Adriatico e, da quest’anno, Ravenna si sono adeguate con servizi ad hoc all’accoglienza verso questo tipo di disabilità. Per info: Riminiautismo. it/it/friendly-beach.php. Miscellanea sul web Radio Cucciola, la voce di Patrizia D ue ore al giorno di trasmissione (fino a ottobre dalle 21 alle 23, poi dalle 17 alle 19) con tanta musica. Italiana il lunedì e mercoledì, napoletana il martedì e giovedì, mentre al venerdì tocca al liscio. Ai microfoni di Radio Cucciola Patrizia Ruggiero di Campobasso, non vedente, con una grande passione per il canto e la musica e con precedenti esperienze in alcune radio locali della Campania. Nata da oltre un anno, la web radio è in continua crescita, con un palinsesto fatto anche di poesie (altro grande amore della sua promotrice insieme agli animali) e canzoni per bambini. Patrizia riesce a trasmettere grazie al suo pc dotato di un programma di sintesi vocale. Per ascoltarla, basta digitare Radiocucciola. listen2myradio.com; è possibile richiedere un brano via Skype a cucciola.1975 oppure mandando un sms al 380/3066637, mentre per inviare un commento c’è la pagina Facebook. [M.T.] che impresa Arnia srl P indirizzo: corso Amedeo 9 57125 Livorno tel.: 091/6520067 e-mail: [email protected] formazione e orientamento: [email protected] sito web: Arniapeople.com tipo: società a responsabilità limitata anno di nascita: 2014 (start up) fatturato: non ancora presentato il primo bilancio sociale soci: 4 ragazzi in formazione: 12 romuovere e favorire l’inserimento delle persone autistiche nel mondo del lavoro attraverso la formazione nel settore informatico. È questo l’obiettivo di Arnia - Social innovation company, un’azienda toscana nata meno di un anno fa da un laboratorio sperimentale sostenuto prima dall’associazione Autismo Livorno e poi anche dall’Asl, ora attiva nel campo dei sevizi di data entry, file system management e content management. A dar vita alla società sono stati quattro professionisti – Leonilde Oliviero, Matteo D’Alesio, Beatrice Fioriti e Fabio Franciosi –, due provenienti dall’area tecnicoingegneristica e due dall’area SuperAbile INAIL rally Gilles, il primo pilota tetraplegico a correre la Parigi-Capo Nord Q uarantasei anni, francese, Gilles Bargoin è il primo tetraplegico che correrà i 12mila chilometri della ParigiCapo Nord. Mentre gli altri concorrenti gareggeranno allo storico rally in auto, lui, in compagnia della sua amica Amélie, si sposterà con un furgone adattato, il suo Mercedes Sprinter, che lo accompagna ormai da un decennio. Due joystick sostituiscono acceleratore, freno e frizione, e c’è pure la possibilità di dormire. La competizione, che si terrà in agosto, è la sfida perfetta per Gilles, appassionato di fotografia e viaggi. «Queste avventure mi fanno per un attimo dimenticare il mio handicap, potendo contemporaneamente coltivare i miei hobby. Voglio dimostrare che la vita non si ferma alla sedia a ruote e che la disabilità non è un ostacolo alla libertà e neanche sinonimo di esclusione», ha commentato. [M.T.] educativa-psicologica, ma tutti «con alle spalle un’esperienza occupazionale o familiare a diretto contatto con i disturbi che rientrano nello spettro autistico», spiega Leonilde, responsabile tecnico e commerciale di Arnia nonché sorella di Giacomo, un ragazzo con au- 40 Luglio 2015 tismo. «Attualmente stiamo formando dodici giovani, tutti maggiorenni e sotto i 30 anni, con la speranza di poterne assumere uno o due entro fine 2015. Lavoriamo sul potenziamento delle competenze del singolo sia per quanto riguarda l’uso del pc sia per quello che concerne la capacità di interazione sociale – continua –. L’altra strada che stiamo intraprendendo è quella di diventare una sorta di tramite tra enti e aziende per avviare, in collaborazione con l’Asl di Livorno, tirocini formativi o altre forme d’inserimento professionale dei ragazzi autistici». Il motto di Arnia? «A fianco del tuo business, con un valore in più». [M.T.] sogni Ecco Madeline, l’aspirante modella Down Arriva l’estate, ritorna l’incubo (del genitore) A H a lunghi capelli rossi, gli occhi azzurri, la sindrome di Down e, a quasi 19 anni, vuole diventare una modella. Per realizzare questo suo sogno Madeline Stuart, che vive a Brisbane, in Australia, sta lavorando sodo da oltre un anno. Ha già messo in piedi un’accattivante pagina Facebook per sponsorizzare se stessa, ma soprattutto ha stravolto il suo stile di vita: cibo sano e sport per sei giorni a settimana, facendo cricket, ginnastica, basket, nuoto, danza moderna e cheer leading. Una formula vincente che le ha permesso di battere il sovrappeso, spesso molto frequente nelle persone con Trisomia 21, e di raggiungere, divertendosi, una silhouette davvero invidiabile: appena 46 chili. «A Maddy è sempre piaciuto essere notata, sentirsi bella, mettersi in posa per le foto», ha raccontato mamma Rosanne. Ma dietro la voglia di apparire, e di mostrarsi femminile e sexy, c’è di più: l’obiettivo è quello di usare la propria immagine «per ribaltare gli stereotipi che aleggiano intorno alle persone con la sindrome di Down», ha commentato la stessa Madeline alla stampa locale. Come dire: la bellezza ha mille volti. Sforzi che cominciano a essere premiati, visto l’inizio di una collaborazione con il brand d’abbigliamento giovane Living Dead. [M.T.] SuperAbile INAIL 41 Luglio 2015 lcuni esseri marziani vivono l’estate come un incubo. Per i più vecchi le città canicolari sono l’anticamera del purgatorio; percorribili solo nelle prime ore del mattino, ma irrespirabili nelle notti desolate di chi gode dei condizionatori la parte peggiore, quella rumorosa soffiata di vento bollente che è il prezzo della climatizzazione di chi sta dall’altra parte delle finestre sigillate. Evidentemente non si possono passare le giornate intere nei centri commerciali, o negli uffici postali dove almeno fa fresco, ma dopo un po’ su chi non spende e chi non ha nulla da chiedere allo sportello cala la nube vergognosa del diversamente vacanziero, estrema condizione del reietto d’estate. Una condizione simile la vive chi ha in casa un figlio disabile, ancora in età scolare. Le mattine diventano eterne, la routine che per lo meno dava una scansione accettabile al tempo si è interrotta. Non c’è pulmino giallo, non ci sono compagni, non ci sono insegnanti, nel bene o nel male persone con cui si costruisce una parvenza di socialità. Ci sono i soggiorni estivi, ma non sempre sono per tutti, non sempre sono adeguati alle singole esigenze, soprattutto nessuno coprirà due mesi e mezzo interminabili di città già infrequentabili per chi cammina con le sue gambe o con l’uso autonomo della sua testa. Qualcuno pensa forse che l’estate sia una benedizione per chi ha come tetto il cielo stellato, o per lo meno quello che si frappone di gassoso, pulviscolare o cementizio tra noi e le stelle. Non ci scommetterei. L’asfalto si squaglia come lava di un vulcano, la notte non arriva mai e il tempo della sopravvivenza si dilata in maniera insopportabile per chi aspetta un po’ di buio per aprire i suoi fagotti e costruirsi una bara di cartoni. Per tutti gli altri sono selfie a volontà, tanto per fare invidia agli amici. Miscellanea sfide d’oltralpe Cinema accessibili, in Francia il sogno di un attore autistico diventa spot L Sopra, l’attore francese con autismo Stéphane Guérin, protagonista del video Dans le rôle de a cosa più difficile? Essere se stessi e andare a vedere un film. Soprattutto se la propria disabilità è un disturbo del comportamento. A sensibilizzare sul tema ci ha pensato Ciné-ma différence, un’associazione francese che lavora per l’inclusione delle persone disabili nei luoghi della cultura e dell’intrattenimento, grazie al video Dans le rôle de (su Youtube). La trama? Ludovic – interpretato da Stéphane Guérin, un attore autistico del gruppo Théâtre du Cristal, una compagnia che lavora con persone disabili – riesce a calarsi in mille parti diverse, ma il ruolo più difficile resta quello della sua realtà quotidiana: nessun riflettore, solo gli sguardi di chi lo circonda e lo trova “strano” o “diverso”. Ciné-ma différence si batte per avere sale cinematografiche SuperAbile INAIL 42 Luglio 2015 accessibili. L’obiettivo è quello di «permettere a tutti gli spettatori, quali che siano le loro difficoltà e la loro maniera di esprimere le emozioni, di andare al cinema con la famiglia, e non a proiezioni dedicate, senza la paura di disturbare o del giudizio degli altri», si legge sul sito dell’associazione. Come? Basta informare i presenti in sala. In Italia è successo a Parma, il 23 maggio scorso, grazie a una proiezione “autism friendly” voluta dall’Ausl e messa in pratica al cinema Edison: luci non completamente spente, suoni leggermente più bassi, possibilità di muoversi liberamente e di portare cibo da casa durante la proiezione pomeridiana de Le vacanze del piccolo Nicolas, per la regia di Laurent Tirard. [Hélène D’Angelo] qualità “La salute della società dipende dalla delle che essa riceve” informazioni Walter Lippmann, giornalista UFFICIO STAMPA RESPONSABILE VALERIA PIATTI TEL 06 54872533 FAX 06 54873201 EMAIL [email protected] PER IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano SUPPLEMENTO AL NUMERO SETTE, LUGLIO 2015 Quando il cibo dà gusto alla vita Dai campi alle cucine 25 storie di reinserimento sociale e lavorativo Agenda appuntamenti INAIL è un servizio che permette all'utenza di prendere appuntamento presso la Sede territoriale di competenza con i funzionari Inail di back office. è un servizio utile per trattare argomenti delle aree Aziende e Lavoratori su specifici temi riferiti alla gestione del Rapporto Assicurativo e alla gestione degli Infortuni e Malattie Professionali. è un servizio facile e veloce che può essere richiesto attraverso i canali: • • • Sportello di Sede www.inail.it-area Contatti Contact Center 803.164 è un servizio che presenta i seguenti vantaggi: • • • gestione strutturata degli appuntamenti di Back Office gestione multicanale degli appuntamenti riduzione dei tempi di attesa Contact Center 803.164 www.inail.it EDITORIALE di Giovanni Paura Direttore Centrale Prestazioni Sanitarie e Reinserimento, Inail Quando l’inclusione avviene in cucina. Storie di cibo come si deve C ibo come nutrimento e come energia vitale. Il tema di Expo 2015 intercetta una delle tendenze più travolgenti degli ultimi anni: l’alimentazione nelle sue mille e diverse facce diventa, come mai prima d’ora, catalizzatore di creatività, stili di vita, sfide d’impresa e, talvolta, vera e propria scelta di campo. Ma anche un’opportunità reale C’è qualcosa in comune di aggregazione e di integrazione, al di là in queste “imprese”, che va della vulgata televisi- al di là dello stile, la logica, va che ha fatto dello lo spirito di ogni singolo locale chef la versione più aggiornata del self-made man e della carriera ai fornelli l’ultima e attività: la convinzione possibilità di rimettere in moto l’ascenso- che tutto gira intorno re sociale ormai bloccato da alcuni decenni. Nella società che strizza l’occhio ai sempre alla qualità dell’offerta più numerosi orti urbani, allo street food come sinonimo di socialità low cost e a basso impatto ambientale, all’autoproduzione casalinga di pagnotte e conserve, noi ci siamo interrogati sul valore dell’agricoltura e della ristorazione come strumento di reinserimento sociale e lavorativo per i nostri infortunati. Un lavoro iniziato in tempi non sospetti nelle Sedi e nelle Direzioni regionali, dove coraggiose assistenti sociali ed équipe multidisciplinari si sono prese la briga di proporre agli assistiti percorsi fuori dagli schemi. È il caso della Sede Inail di Grosseto, che nel 2004 ha attivato un corso di apicoltura i cui frutti, oltre dieci anni dopo, sono ancora chiaramente visibili nelle vite degli infortunati coinvolti. Ma le esperienze dell’Istituto non si fermano qui: dai “racconti di cucina” siciliani ai trattori adattati, dai cuochi amatoriali ai professionisti del settore, sono tante le esperienze che presentiamo ai lettori nelle pagine che seguono. Una raccolta di storie, insomma, di chi ha ritrovato la voglia di vivere in cucina, in sala o nei campi. Come sempre, la nostra rivista allarga lo sguardo ben oltre casa Inail e la disabilità da lavoro. E così in questa appassionante ricerca in giro per l’Italia abbiamo incontrato tante testimonianze diverse. Che riguardavano anche disabilità differenti da quelle motorie e forme di impresa “altra”, ma non per questo meno sostenibile, competitiva, attraente per una clientela più vasta di quella dei soli operatori sociali, familiari e addetti ai lavori. C’è qualcosa in comune in queste “imprese”, che va al di là dello stile, la logica, lo spirito di ogni singolo locale e attività: la convinzione che tutto gira intorno alla qualità dell’offerta. Ovvero cibo buono e sano in grado di raccontare una storia: quella delle tante persone che lo hanno prodotto, cucinato e servito. Noi abbiamo voluto mostrarvi i loro volti. SuperAbile INAIL 3 supplemento Luglio 2015 SuperAbile Inail Anno IV - supplemento al numero sette, luglio 2015 Sommario Direttore: Giovanni Paura In redazione: Antonella Patete, Laura Badaracchi e Diego Marsicano Direttore responsabile: Stefano Trasatti 3 Hanno collaborato: Eleonora Camilli, Carla Chiaramoni, Hélène D’Angelo, Giorgia Gay, Sara Mannocci, Elena Parasiliti, Laura Pasotti, Elisabetta Proietti, Antonio Storto, Serena Termini, Michela Trigari (Redattore Sociale); Ilaria Cannella, Cristina Cianotti, Francesca Iardino, Monica Marini, Maria Pedroli (Inail). editoriale Quando l’inclusione avviene in cucina. Storie di cibo come si deve di Giovanni Paura CON INAIL AI FORNELLI DOPO L’INFORTUNIO 8 Come le api salvano il mondo. E aiutano a superare il trauma di Antonella Patete 14 Con “Racconti di cucina” a Palermo nuovi chef crescono di Serena Termini 17“CucinAbile”: un progetto targato Inail Umbria di Elisabetta Proietti 18 Antonio Lanzetta: «In cucina sono rinato» di Laura Badaracchi 18 Luciano Conforti: «Sul mio trattore mi sento bene» di Laura Pasotti Progetto grafico: Giulio Sansonetti Editore: Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro Redazione: SuperAbile Inail c/o agenzia di stampa Redattore Sociale Piazza Cavour 17 - 00193 Roma e-mail: [email protected] Stampa: Tipografia Inail Via Boncompagni 41 - 20139 Milano Autorizzazione del Tribunale di Roma numero 45 del 13/2/2012 Un ringraziamento particolare alle assistenti sociali Inail delle Direzioni regionali e delle Sedi territoriali, che hanno collaborato alla realizzazione di questo numero. Grazie, per averci concesso l’uso delle foto, a Sebastiano Bellomo (pagg. 4, 14-16), Mariano Meini (pagg. 4, 40-42), Vanessa Illi (pagg. 4, 47-49), Fox Life Italia (pagg. 5, 20-21), Sede regionale Inail Umbria (pag. 17), Riccardo Venturi (pag. 18), Fabio Moscatelli (pagg. 24-27), Caffè Basaglia (pagg. 2829), Albergo etico (pagg. 30-32), Ristorante Dal Barba (pagg. 34-35), Riccardo Sollini (pag. 43), XFoto (pagg. 44-46), Marcello Terenghi (pagg. 56-57). In copertina: Beniamino Neri in un ritratto di Stefano Dal Pozzolo/ Contrasto 19 Luigi, Giovanni IN CUCINA IL PIACERE e gli altri: DELLA TAVOLA il laboratorio di Latina 24 Trattoria di A.P. Articolo 14. A Roma una sosta nel verde INsUPERABILi di A.P. antonino cannavacciuolo 28 Al Caffè Basaglia i “matti” sono 20 Un vero Masterchef di casa non molla mai di Antonio Storto di Carla Chiaramoni 30 Tacabanda di Asti, tutta un’altra musica di A.S. SuperAbile INAIL 33 Cucina veneziana al ristorante Fantàsia di Giorgia Gay 34 Dal Barba, la sfida dei ragazzi con autismo di Eleonora Camilli 36 Bar Senza nome, dove la differenza fa tendenza di Michela Trigari 40 Una sera a cena alla Pecora nera di E.C. 4 supplemento Luglio 2015 43 Ristorante Zì Nene: dalla scuola alla cucina con l’aiuto dei prof di Hélène D’Angelo 44 XFood, cucina a centimetro zero di Sara Mannocci Esperienze diverse dal pianeta food A INsUPERABILi alessandra petterini 47 Dal blog all’Expo: nuova vita da chef per combattere la malattia di C.C. NEI CAMPI Coltivare e produrre 52 Al Bettolino di Reggiolo il basilico sa di bio di M.T. 56 Gustolab, dove l’arte bianca è padrona di casa di Elena Parasiliti 58 Non siamo a Gomorra. La cucina antimafia di Nco di E.C. 61 Vecchia Orsa, il retrogusto sociale della birra di M.T. 64“Capezzaia”, la pasta fresca con un sapore speciale di L.B. Il libro qualità della vita 66 Buone ricette per recuperare il gusto del cibo. Nonostante la disfagia di C.C. SuperAbile INAIL ltro che pure e semplici attività sociali. Le imprese di cui parliamo in questo numero hanno il sapore della professionalità con il valore aggiunto dell’umanità. Persone disabili che hanno saputo reinventarsi e creare occupazione per sé, a volte anche per altri. Ingredienti: creatività, un po’ di coraggio e tanta umiltà. Insieme a soddisfazioni condivise con chi decide di fare insieme a loro questo percorso. Nei campi, nei ristoranti, negli orti, nella cucina della propria casa, la produzione di cibo buono e sano diventa volano per una qualità di vita altrettanto buona, condita di tanti ingredienti salutari. Per questo abbiamo voluto presentare queste 25 esperienze, intervallate da quella del famoso chef Antonino Cannavacciuolo, in occasione dell’Expo in corso a Milano. Rappresentano soltanto un piccolo saggio delle realtà presenti in Italia, in cui le persone con disabilità trovano una chance nel pianeta food. Passano il testimone ai lettori, agli addetti ai lavori, a chiunque per dire che questo stile di lavoro è possibile, che un mondo inclusivo è già qui. Bastano un pizzico di fantasia e un sano spirito aziendale perché il contagio positivo dilaghi a macchia d’olio. E perché il cibo non resti solo una “moda” mediatica. Buona lettura e buon appetito a tutti! [Stefano Trasatti] 5 supplemento Luglio 2015 CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio I l cibo come nutrimento, ma anche come piacere, convivialità, riscoperta del rapporto con la natura e l’ambiente. Sono tante, negli ultimi anni, le esperienze promosse dall’Inail nel campo della ristorazione e dell’agricoltura. Percorsi originali di reinserimento lavorativo e sociale, che accrescono l’autonomia e la fiducia in se stessi. Dall’apicoltura ai laboratori di cucina, su tutto il territorio nazionale sempre più infortunati hanno avuto modo di scoprire nuove passioni e impensati talenti. Riappacificandosi, in alcuni casi, con il proprio destino. Nelle pagine che seguono, le storie di chi ha ritrovato la serenità. In cucina, a tavola o nei campi CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio Come le api salvano il mondo. E aiutano a superare il trauma Ritrovare l’ottimismo grazie alla passione per l’apicoltura è possibile. Lo dimostrano le storie di Alfio, Beniamino ed Emanuele. Che hanno frequentato un corso organizzato dall’Inail di Grosseto nel 2004. E da quel momento hanno cambiato vita SuperAbile INAIL D Antonella Patete/foto Stefano Dal Pozzolo a quando ha scoperto la passione per le arnie e gli alveari, il “Signore delle api” non lo ferma più nessuno. Per Alfio Pappalardo, classe 1958, l’incidente sul lavoro che 30 anni fa gli ha portato via la gamba e il padiglione auricolare sinistro, coprendogli il corpo e il volto di ustioni, è solo un ricordo lontano. Scalzato da quell’energia vitale che lo ha sempre portato a guardare avanti e, negli ultimi dieci anni, dall’amore per le api che gli riempie ogni momento della giornata, dal mattino fino alla sera. Sguardo mobile e sembianze da elfo, Alfio nasce a Catania, trascorre il periodo a cavallo tra l’infanzia 8 supplemento Luglio 2015 e la giovinezza a Roma e oggi vive, insieme alla moglie Emanuela, a Petricci, una frazione di Semproniano, sul Monte Amiata (Grosseto). Dove si dedica a tempo pieno alle sue 75 arnie, divise in sei distinte postazioni sparse qua e là per la montagna. Ed è proprio a partire dalla fine che lui ama raccontare la sua storia, sorvolando rapido sulla giovinezza «scapestrata», sull’infortunio stradale a bordo del camion e sul carico di catrame bollente che gli si è rovesciato addosso quel 17 settemA sinistra e sopra, Alfio Pappalardo alle prese con le sue arnie sul Monte Amiata SuperAbile INAIL bre del 1985. Passa a volo d’uccello sulle cure che lo hanno portato fino in Brasile e sulle 250 anestesie totali che racconta di aver subito per ricostruire il suo corpo e la sua vita e arriva, finalmente, lì dove la sua mente rapida trova una volta per tutte la pace. «Amo le api: mi danno calma, quiete e grande soddisfazione – dice –. Sono sempre al primo posto nei miei pensieri. Produco miele di diverse varietà: millefiori, trifoglio, marruca, acacia, castagno. Pratico anche il nomadismo, e a volte porto le api nei castagneti di Arcidosso». Una produzione che si può acquistare attraverso il sito Internet appositamente dedicato e, soprattutto, nei tanti mercatini della zona che Alfio frequenta con il 9 supplemento Luglio 2015 CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio suo banchetto: nelle piccole fiere di Arcidosso, Le Macchie, Santa Fiora, Manciano, Semproniano non è difficile incontrare il “Signore delle api”, come lo conoscono ormai da queste parti. «È stata una bambina di quattro anni a scegliere questo nome per me – racconta –. Mi chiamava sempre in questo modo, fino a che quell’appellativo è diventato un’etichetta: ora voglio registrare il marchio». Alfio è uno degli otto infortunati che nel 2004 hanno frequentato il corso di apicoltura organizzato dalla Sede Inail di Grosseto, in collaborazione con l’Anmil, l’Associazione nazionale degli invalidi sul lavoro. «L’iniziativa è nata all’interno del progetto Aristotele, promosso nell’ambito della sperimentazione dell’articolo 24 del decreto legislativo 38/2000, che prevedeva la possibilità per l’Istituto di intervenire sulla formazione e il reinserimento lavorativo degli infortunati», spiega l’assistente sociale Filomena Tulipano, che ha seguito il progetto fin dal primo momento. Accompagnando, passo dopo passo, gli assistiti che hanno scelto di trasformare un’occasione di formazione professionale in una vera e propria scelta di vita. «Ho sempre creduto nell’importanza dell’agricoltura sociale – prosegue –. Recuperare il contatto con i cicli produttivi e gli elementi della natura può essere di grande aiuto dopo un infortunio. Un beneficio che il moltiplicarsi dei momenti di socialità rende ancora più grande: dopo il corso sono nate tante iniziative di svago e grandi amicizie». Dal campo di Alfio, a oltre 700 metri di altitudine, quando il tempo è bello si vede l’Argentario. Proprio di fronte, il Roccone dell’Albegna cattura l’occhio nella sua corsa verso l’orizzonte. Qui Alfio accudisce le api, aiutato dall’amico Udio. Insieme raccolgono il miele e controllano i melari dove le api “operaie” costruiscono i favi, le celle esagonali di cera che servono a contenere le larve di covata e a immagazzinare miele e polline. Ma soprattutto non si stancano mai di osservare la vita di questi straordinari insetti: come la popolazione delle colonie varia da stagione a stagione, con quanta sollecitudine le api “costruttrici” ampliano i favi e le “nutrici” In queste pagine, e alle pagg. 6-7, Beniamino Neri nei terreni di Nomadelfia, comunità fondata nel dopoguerra da don Zeno Saltini e ispirata al cristianesimo delle origini SuperAbile INAIL 10 supplemento Luglio 2015 si prendono cura della regina. E i viaggi delle “bottinatrici”, che si allontanano dall’alveare per fare scorta di nettare e polline e poi segnalano alle compagne la posizione del bottino, con una danza in grado di indicare la strada e la qualità del cibo trovato. Anche Beniamino Neri è rimasto incantato da questo mondo misterioso. Ha solo 34 anni, ma la sua vicenda personale è un incrocio di tante storie diverse. A partire dalla sua infanzia “straordinaria” in quel di Nomadelfia, una comunità ispirata al cristianesimo delle origini dove non esiste la proprietà privata e non circola il denaro. Fondata nel 1948 da don Zeno Saltini occupando l’ex campo di concentramento di Fossoli (Modena), dopo alterne vicende, oggi la comunità è situata nel territorio del comune di Grosseto. Il padre di Beniamino è uno dei tanti “trovatelli” del dopoguerra che il prete di Carpi accoglie a Nomadelfia, strappandolo alla vita in orfanotrofio. E Beniamino cresce insieme ai suoi dodici fratelli in comunità, dove frequenta l’intero corso scolastico fino al diploma di tecnico agrario. A 16 anni perde il braccio destro al terzo medio, durante la pigiatura dell’uva, dopo la vendemmia. «Sono stato uno stupido – dice –. Erano le dodici e mezzo di sabato e avevo fretta. Mi aspettava la partita di calcio con la squadra di Nomadelfia, volevo sbrigarmi. Così mi sono distratto». Quella distrazione gli costa cara, ma Beniamino è un duro e non si lascia piegare dall’angoscia. D’altra parte è tutt’altro che solo. Nei giorni che seguono, in ospedale, ogni pomeriggio lo vengono a trovare una ventina di persone. Lo prendono in giro, scherzano, cercano in tutti i modi di dimostrargli che può contare sul loro sostegno. Lui non si abbatte o, almeno, non lo dà a vedere. «Il giorno dopo l’infortunio, mi sono fatto dare subito un quadernone e ho provato a scrivere con la sinistra». Ma tre anni dopo fa la sua scelta: lascia la comunità e raggiunge sua sorella a Modena. «Sono sempre stato un ribelle – spiega –. Vivere a Nomadelfia è bellissimo, ma non l’ho scelto: l’ho subito per il solo fatto di esserci nato. Le cose ti devono mancare per comprendere quanto sono importanti». E lui ci ha messo tanto tempo a capire cosa significasse essere un “nomadelfo”, perché da Modena si è spostato a Grosseto e ora, dopo 15 anni, si prepara a tornare a vivere in comunità con una nuova consapevolezza. Forse c’è anche lo zampino delle api in questa storia. Dopo il corso organizzato dall’Inail, oltre dieci anni fa, SuperAbile INAIL 11 supplemento Luglio 2015 CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio ha portato le arnie proprio qui, nei campi intorno al nucleo abitato di Nomadelfia, dove le 50 famiglie della comunità si dedicano all’agricoltura, seguendo i metodi della coltivazione naturale. «Avevamo già le api – racconta –. Le seguiva uno dei miei fratelli. Ho cominciato così, aiutando lui. Poi ho approfondito le mie conoscenze sull’apicoltura grazie al corso, al termine del quale mi hanno dato quattro arnie. Ho avuto la fortuna di riuscire a trovare qualcosa che mi piace davvero. E oggi posso dire di essere una persona assolutamente felice». Ritrovare il proprio posto nel mondo non è poco. Beniamino c’è riuscito lavorando su se stesso e recuperando il contatto con la natura. «Le api mi hanno dato tanto, io cerco di ridargli indietro qualcosa – riflette –. Perché l’ape allo stato naturale non esiste più. Io non In queste pagine Alideo Emanuele Miatto mentre accudisce le sue arnie ad Albinia, nei pressi di Orbetello SuperAbile INAIL guardo alla produzione, ma all’animale. Lascio fare loro quello che vogliono, sperando che ritrovino la vita in natura. Non impedisco neppure la sciamatura». La sciamatura è la formazione di una nuova colonia, guidata da una vecchia ape regina e un gruppo di operaie. Se non indirizzato dall’uomo, lo sciame cerca il cavo di un albero o un altro luogo protetto, come faceva nella notte dei tempi. Per un apicoltore vuol dire perdere le proprie api, ma a Beniamino interessa in primo luogo cercare di ristabilire l’equilibrio della natura. Non è d’accordo con lui il suo amico e collega apicoltore Alideo Miatto, che tutti chiamano Emanuele. Cinquantotto anni, originario di Orbetello, Emanuele vive ad Albinia con la moglie Annalisa, dopo che il figlio Tommaso ha lasciato la casa dei genitori per frequentare l’università a Firenze. È paraplegico per via di un infortunio stradale avvenuto 28 anni fa. «Facevo il coltivatore diretto, avevo delle serre di meloni e cocomeri. Stavo andando a comprare gli anticrit- 12 supplemento Luglio 2015 togamici per disseccare le erbe infestanti. A una svolta un camion mi è venuto addosso». Ha un bambino di 18 mesi quando lo portano all’ospedale di Siena in rianimazione. Trauma cranico, sette costole e tre vertebre rotte, perde anche sangue dai polmoni: lo danno per spacciato. Fortunatamente nove mesi dopo è all’Unità spinale di Firenze e, passati altri sette mesi, di nuovo a casa. Nel 2002 frequenta un corso di informatica di 400 ore, organizzato sempre dall’Inail di Grosseto. «Le lezioni sono durate un anno e mezzo – ricorda –. Quando è finito il corso ero stremato. Così quando un amico mi ha proposto di seguire il corso di apicoltore, ho detto di no». Alla fine si lascia convincere a fare una sola lezione. Poi va anche alla seconda e, piano piano, a tutte le altre. Quando passano dalla teoria alla pratica, Emanuele è ancora reticente. «All’inizio ci hanno dato la maschera, i guanti e i nastri per non far penetrare le api attraverso le gambe dei pantaloni. Ma in dieci giorni ci siamo spogliati di tutto e, quando ho preso finalmente in mano un telaino di covata, mi sono emozionato così tanto da capire che quella era la mia strada». Terminato il corso, Emanuele torna a casa con due sciami. Fa sistemare il piccolo appezzamento di terra che lui e sua moglie possiedono ad Albinia e colloca le arnie a pochi centimetri dal suolo, in modo da poterle facilmente raggiungere dalla sedia a ruote. Oggi gli sciami sono una cinquantina, produce molte varietà di miele e vende i suoi prodotti anche all’interno delle manifestazioni eno-gastronomiche della zona. Ma il commercio è solo l’ultimo dei suoi pensieri. Al primo posto ci sono la cura delle api e la condivisione con gli altri di questo enorme amore. Innanzitutto con sua moglie, il suo braccio destro Mario e il suo amico Beniamino, ma anche con gli studenti delle scuole e con tutti coloro che vogliono avvicinarsi a questo affascinante mondo. Se un tempo usava lo scafandro per proteggersi dalle punture, oggi Emanuele adopera a malapena un grembiule sottile. Come gli altri è convinto che, se trattato bene, lo sciame non darà segni di aggressività. Lui accudisce le api, loro sembrano comportarsi in maniera amichevole. Proseguono, noncuranti della presenza umana, le loro danze operose. Perpetuano i riti che hanno eseguito nel corso dei millenni. Cercando di sopravvivere, con l’aiuto dell’uomo, in quell’ambiente che l’uomo stesso, con la sua opera, ha reso inospitale per le api. SuperAbile INAIL 13 supplemento Luglio 2015 CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio Con “Racconti di cucina” a Palermo nuovi chef crescono Da un accordo tra l’Inail e l’Opera Don Calabria di Trabia nasce un progetto che unisce assistiti, ex tossicodipendenti e migranti. E così, tra piatti siciliani e specialità etniche, si forma una squadra I Serena Termini/foto Sebastiano Bellomo nvoltini alla siciliana, anelletti al forno, cacio all’argentiera ma anche piatti etnici a base di riso, carne e verdure. Sono alcune delle ricette realizzate da otto persone con disabilità nell’ambito della seconda edizione del progetto “Racconti di cucina”. L’obiettivo è quello di continuare a spadellare insieme, in un clima sereno e gioviale, mettendosi nello stesso tempo a servizio dei 14 ragazzi ex tossicodipendenti della comunità Sant’Onofrio dell’Opera Don Calabria di Trabia e di alcuni migranti della casa famiglia adiacente. Con questo spirito, infatti, gli aspiranti cuochi – tutti infortunati del lavoro – hanno voluto rimettersi in gioco, chiedendo di avviare la riedizione dell’iniziativa. Il luogo dove sorge la comunità dista pochi chilometri da Palermo ed è all’interno di una vasta area verde immersa in una bella pineta con cavalli, asini e altri animali. Il progetto, diversamente dalla prima edizioSuperAbile INAIL 14 supplemento Luglio 2015 ne, questa volta è concentrato meno sulla narrazione e più sulla realizzazione di ricette tradizionali. E anche in questo caso ha la durata di tre mesi per un totale complessivo di dieci incontri. «È interesse di tutti i partecipanti – spiega Stefania De Luca, assistente sociale dell’Inail di Palermo – imparare a realizzare piatti tipici siciliani ma anche di altri Paesi, vista la partecipazione di due migranti della comunità alloggio vicina. Già lo scorso anno il progetto ha dato buoni risultati perché tutti, pur con storie ed esperienze di vita diverse, si sono sperimentati insieme, abbattendo barriere e pregiudizi. Nella prima edizione sicuramente i risultati sono andati oltre le nostre aspettative e proprio per questo la Direzione regionaA sinistra, il pasticciere Nicola Cinà. Nella pagina precedente, Francesco Ammirata nella cucina dell’Opera Don Calabria di Trabia. A pag. 16, a destra, lo chef Filippo Di Leonardo, che già da due anni era volontario nella comunità SuperAbile INAIL le ha deciso di riproporre il progetto per il secondo anno». Tra gli otto assistiti Inail, la cui età va dai 30 ai 55 anni, ci sono tre amputati agli arti inferiori, tre paraplegici e due persone con danni neuromotori. Prestano il loro servizio in cucina, una volta a settimana, insieme a tre ex tossicodipendenti della comunità e due migranti. Alla fine della giornata pranzano tutti insieme nello stile del luogo che li ospita. Il più giovane è Andrea Fantaci, 30 anni, la cui simpatia e grande spontaneità hanno fatto finora da collante per tutto il gruppo. «Andrea ha una grande sensibilità – dice l’assistente sociale – ed è capace di avere un pensiero gentile e affettuoso per tutti». Lo incontriamo intento a tagliare l’aglio per la preparazione del cacio all’argentiera: grosse fette di caciocavallo panate che vengono fritte con aglio nell’olio. Il giovane, a causa di un bruttissimo incidente stradale avvenuto in motocicletta, ha una disabilità neuromotoria in tutta la parte sinistra del corpo e alcuni problemi di equilibrio. «Vengo con piacere in questo posto splendido – spiega Andrea –, soprattutto perché incontro degli amici con cui posso ridere e stare in compagnia. Mi piace molto scherzare, perché così allontano qualsiasi pensiero triste. In cucina non so fare grandi cose, ma riesco a rendermi utile. In futuro, mi piacerebbe aprire un ristorante-pizzeria in cui stare alla cassa per intrattenere le persone. Dopo l’incidente, avvenuto nel 2010, a poco a poco ho perso tutti gli amici. Certo, il momento più bello è quando si mangia tutti insieme, condividendo quello che ognuno di noi ha saputo fare». Giuseppe Ciresi, 48 anni e uno sguardo profondo, è la persona più riflessiva e introspettiva del gruppo. Sposa- to con tre figli, ex carpentiere, ha riportato una lesione midollare a livello lombare in seguito a una caduta da una scala nel 2006, mentre stava costruendo un parcheggio sotterraneo. «I primi tempi piangevo spesso – racconta –, amavo il mio lavoro e non ho accettato subito la mia nuova condizione fisica. Successivamente, grazie anche all’aiuto dei miei familiari, ho deciso di uscire dal tunnel. Essendo un appassionato di filosofia e psicologia, mi piace mettermi alla prova anche in questo campo, che mi permette di valorizzare le relazioni». Giuseppe, infatti, è entrato in empatia con i giovani della comunità. «Ai ragazzi provo a trasmettere il coraggio di andare avanti, soprattutto nella prospettiva di superare la paura del giudizio sociale. Cerco di 15 supplemento Luglio 2015 CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio guardare la parte migliore di ogni persona senza giudicare, andando al di là di preconcetti e apparenze. L’anno scorso – aggiunge –, quando ho iniziato il progetto, si sono risvegliati in me i profumi e i sapori della cucina tradizionale di una volta. Ogni ricetta è come uno spartito musicale: come la melodia nasce dall’insieme armonico delle note, così il piatto culinario viene fuori dall’armonia giusta dei suoi ingredienti. Quello che imparo lo ripropongo poi a casa». Tra i più grandi del gruppo c’è Franco Ammirata, che troviamo intento a preparare gli involtini di carne alla siciliana. Ha 57 anni e anche lui è sposato con tre figli. Nella sua vita lavorativa faceva il camionista e, in seguito a un incidente stradale, ha subito l’amputazione della coscia destra. «Da un po’ di tempo porto una protesi – racconta –, ma fin da subito ho vissuto con serenità la mia nuova condizione di disabilità. Sono riuscito a non farla pesare alla famiglia. Avevo già cucinato in passato e farlo insieme agli altri mi piace: è anche un modo per spezzare la monotonia. Quando l’anno scorso SuperAbile INAIL mi avevano proposto di partecipare al laboratorio, ero perplesso. Poi, vedendo il posto splendido e la bella comunità, mi sono ricreduto. Percepisco anche la grande voglia di ricominciare dei ragazzi che vivono qui e ne sto traendo un grande arricchimento». Molto contenti di ricominciare sono anche due figure che guidano il lavoro di tutti gli altri: lo chef Filippo Di Leonardo, che già da due anni svolge attività come volontario nella comunità, e il pasticcere Nicola Cinà. Filippo, 55 anni, ha perso la gamba destra a causa di un incidente stradale. «Mi ha fatto piacere ritornare tutti insieme – dice –. Abbiamo formato una bella brigata di cucina e tra noi c’è un’intesa forte». Nicola, 49 anni, prima dell’infortunio che gli ha fatto perdere l’uso delle gambe, faceva già il pasticcere. «Sento di avere ancora molte energie da spendere per gli altri – spiega –. Il progetto è la realizzazione di un desiderio che avevo da sempre. È importante continuare anche per i ragazzi della comunità: hanno appreso cose nuove e questo mi riempie di soddisfazione». 16 supplemento Luglio 2015 “CucinAbile”: un progetto targato Inail Umbria Elisabetta Proietti « I l mio piatto top? Gnocchi ripieni. Quando cucino faccio la felicità di mia moglie e della mia famiglia». «Nella sfida finale i nostri stringozzi bianchi con carciofi e salsicce hanno convinto la giuria contro quelli all’amatriciana, in una bella serata con tutte le famiglie». Danilo Antonini e Massimo Cagiola sono due dei partecipanti ai laboratori di cucina che la Direzione regionale Inail Umbria ha organizzato con grande successo. Il cibo come prezioso strumento di convivialità e relazione. E di ritorno nel contesto sociale extrafamiliare dopo un evento difficile come un infortunio sul lavoro. Racconta tutto questo il progetto “CucinAbile” di Inail Umbria. Diciassette corsisti in tutto nei due laboratori di Perugia e Foligno, assidui nella frequenza e arricchiti da un’iniziativa (conclusa a novembre 2014) che ha centrato l’obiettivo: favorire il reinse- rimento lavorativo ma anche quello familiare e sociale, come tiene a rimarcare Anna Maria Pollichieni, direttore regionale Inail. In 16 lezioni gli allievi hanno sperimentato ricette delle principali specialità regionali, umbre e non solo. «Ho imparato a cucinare e ho capito non solo che ancora posso essere utile, ma anche come esserlo – dice Danilo –. A casa ti assalgono i cattivi pensieri; questa iniziativa mi ha fatto tornare in mezzo alla gente, mi ha aiutato a perdere la paura di fare certe cose. Con la volontà e con l’aiuto degli altri tutto si fa». Quando gli è stato proposto di frequentare il laboratorio, Danilo era appena uscito dall’ospedale. Un carrello di 35 quintali gli era passato su una gamba. «Ho ritrovato la forza di andare, lentamente, con le stampelle. Il corso ha rappresentato una sfida, ed è stato naturale affrontarla. Mi ha fatto benissimo». Il progetto, che ha attivato positive dinamiche di gruppo ma anche individuali, è stato «arricchente da vari punti di vista» anche per Massimo Cagiola. Che non è nuovo ai fornelli: era pasticcere prima dell’incidente stradale accaduto lungo il perSuperAbile INAIL corso che lo portava al lavoro e che gli ha reso impossibile camminare. «Ho lanciato una sfida allo chef – racconta –, creando le crostatine Inail: semplici, con marmellata, ma al posto delle più consuete strisce intrecciate hanno come decorazione la scritta Inail in pastafrolla». Gli allievi si sono cimentati con pasta fatta a mano, secondi piatti, dolci, mangiando poi in compagnia il frutto del loro lavoro. «Volevamo tessere una buona rete di rapporti con i nostri assistiti e con le loro famiglie: la cucina e la condivisione del cibo ci sono sembrati il luogo ideale per favorire l’incontro e lo scambio», afferma Maria Malatesta, responsabile dell’Ufficio attività istituzionali della Direzione regionale Umbria e referente del progetto. «La ricetta più importante che abbiamo imparato? Consiste nella volontà di sperimentare continuamente nuove capacità e nuovi contesti di vita», dice Barbara Tini, funzionario socioeducativo della Sede Inail di Perugia. Proprio per questo il laboratorio di cucina non si ripeterà: per i prossimi mesi Inail Umbria sta vagliando la possibilità di realizzare un corso di teatro. 17 supplemento Luglio 2015 Diciassette corsisti nei laboratori di Perugia e Foligno: si è conclusa lo scorso novembre l’iniziativa della Direzione regionale umbra per favorire il reinserimento sociale e lavorativo, accanto a quello familiare. CON INAIL Ai fornelli dopo l’infortunio Antonio Lanzetta: «In cucina sono rinato» Laura Badaracchi/foto Riccardo Venturi O gni giorno «amo sperimentare e inventare nuove ricette, per sorprendere i miei due figli e mia moglie Angela, che torna dal lavoro. Cucinare, da sempre una passione, mi dà stimoli e impulsi nuovi per creare: ecco perché tra una cottura e l’altra mi dedico ai miei quadri in mosaico, realizzati con semi dipinti, sabbie e riso di vari colori». Il quarantenne Antonio Lanzetta, partenopeo doc, dopo l’amputazione del braccio sinistro in seguito a un incidente sul lavoro è uscito dalla depressione grazie all’affetto della sua famiglia, mettendo a frutto una vena creativa che aveva da sempre ma rimaneva nascosta da qualche parte della sua mente. Mancino, ha imparato a usare la destra per tagliare il pane, preparare pranzi completi dall’antipasto al dolce, anche se i suoi piatti preferiti restano i primi: «Una delle ricette che amo di più sono le cortecce alla campagnola, mix di sapori contrastanti e piacevolissimi al palato: taleggio, carciofi, panna e speck tostato. Un piatto nato dal nulla, molto semplice, ma che riscuote sempre grande successo alla mia tavola, anche nelle occasioni più importanti. Ho aiutato amici e parenti in molti pranzi e cene speciali; durante il viaggio di nozze in Tunisia, poi, mi sono sbizzarrito con gli chef del posto, preparando piatti tipici italiani come i famosi spaghetti cozze e pomodori, che hanno suscitato una reazione entusiastica. Non mi ispira un cuoco in particolare, ma mi capita di guardare su Rai Uno La prova del cuoco e ammirare lo chef Renatone, molto simpatico e creativo». Quel giorno dell’infortunio, quasi undici anni fa, sembra ormai lontano, ma le sue conseguenze hanno cambiato radicalmente la vita di Antonio: era operaio presso un’industria che produceva conserve di pomodori, quando per lo scoppio di una valvola venne investito alla mano e all’addome da un getto d’acqua a 125 gradi. L’arto s’infetta e l’amputazione è d’obbligo, ma la setticemia non si ferma SuperAbile INAIL e Lanzetta perde il braccio. A Striano, in provincia di Napoli, viene seguito dall’Inail e dai servizi sociali, che lo sostengono nel suo percorso di lento ritorno alla gioia di vivere. Ora gli capita pure di guidare laboratori artistici e di cucina per i ragazzi che partecipano a campi scuola estivi. «Poter mettere a disposizione la mia passione e creatività mi dà la possibilità di crescere». All’Expo di Milano Lanzetta è presente virtualmente attraverso quattro suoi quadri a mosaico, esposti fino al 31 luglio nell’ambito della mostra di arte contemporanea allestita alla Centrale “Taccani” di Trezzo sull’Adda dall’Istituto nazionale di cultura. «Un traguardo impensabile per me – confida –, di cui sono molto orgoglioso e onorato». 18 supplemento Luglio 2015 Luciano Conforti: «Sul mio trattore mi sento bene» Laura Pasotti L a sua vita è cambiata il 17 febbraio 2010. Quel giorno Luciano Conforti, 45 anni, titolare insieme al fratello di un’azienda agricola a Castelraimondo in provincia di Macerata, stava caricando un camion di balloni di paglia. È bastato un attimo. Un ballone è caduto e lo ha colpito. «Da subito non ho più sentito le gambe», dice. La moglie e il figlio non erano lontani e i soccorsi sono stati immediati. Un elicottero lo ha portato all’ospedale di Ancona, dove è arrivata la diagnosi: paraplegia. «Ho iniziato la riabilitazione e dopo qualche tempo già salivo sulla mietitrebbia, anche se con l’aiuto di qualcuno e solo nei campi più comodi», prosegue. L’azienda, infatti, si divide tra gli allevamenti di vacche marchigiane a Crispiero, a 600 metri di altezza, e i terreni di Castelraimondo, paesino che si trova in una conca naturale circondato da colline. Ma a Luciano Conforti non basta dedicarsi “alle carte” e poter manovrare qualche volta la mietitrebbia. «Volevo salire di nuovo sul trattore», racconta. È il suo assistente sociale di Macerata a parlargli del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio (Bologna) e della possibilità di adattare il mezzo agricolo: «Così mi sono messo in moto», aggiunge. Conforti acquista un nuovo trattore con il cambio auto- Luigi, Giovanni e gli altri: il laboratorio di Latina Antonella Patete I matico e lo porta a Budrio: è il dicembre 2013. Glielo restituiscono a maggio 2014. In quei cinque mesi, i tecnici del Centro protesi Inail personalizzano il mezzo con comandi manuali e con un sistema di accesso alla cabina di guida. Sono una decina le consulenze fatte dagli ingegneri di Vigorso per l’adattamento dei trattori e vari gli interventi realizzati. «Il problema con le persone paraplegiche è riuscire a farle arrivare ai due metri di altezza necessari per entrare nella cabina di guida – spiega Massimo Improta, ingegnere del Centro protesi Inail –. Il sistema studiato per il signor Conforti gli permette di spostarsi dalla carrozzina a un sedile esterno collegato al mezzo, che si solleva e ruota del 70% una volta raggiunta l’altezza, in modo da consentire all’utente di entrare nella cabina. Il sedile poi rientra per poter chiudere la portiera». Questa personalizzazione ha permesso a Luciano di tornare al lavoro, nei campi. «I primi mesi dopo l’incidente sono stati duri. Speravo di tornare a camminare, ma il tempo passava e la speranza diminuiva – conclude –. Alla fine ti rassegni alla nuova condizione. Poter tornare sul trattore, però, è stato importante: una bella soddisfazione. E poi mi ci trovo bene: il sedile è comodo, meglio della sedia a ruote». SuperAbile INAIL n cucina per superare momenti critici e bui, recuperando fiducia in se stessi e autonomia. In altre parole, divertirsi ai fornelli per tornare a guardare il mondo con occhi diversi. Questo è lo spirito dei due laboratori di cucina organizzati lo scorso anno dalla Sede Inail di Latina: un’esperienza che ha coinvolto sette infortunati e infortunate sul lavoro di vari livelli d’istruzione, situazioni familiari, età e tipi di disabilità. «I corsi di cucina sono stati portati avanti nell’ambito di un progetto chiamato “Utile&dilettevole” – spiega l’assistente sociale Chiara Maria Tornatore –. Siamo partiti dalle esigenze di persone con problemi muscolo-scheletrici, ma in corso d’opera abbiamo esteso la platea dei destinatari ad assistiti paraplegici e tetraplegici. E alla fine del corso abbiamo realizzato un ricettario». Una bella soddisfazione per tutti, soprattutto per chi, più 19 supplemento Luglio 2015 degli altri, ha trovato difficile accettare la nuova condizione. Come Luigi (nome di fantasia), 65 anni, paraplegico dal 2012 per via di un incidente in agricoltura. Dopo il trauma, usciva di casa solo per motivi strettamente necessari. «Questa esperienza ha ampliato i suoi orizzonti – prosegue l’assistente sociale –. Ha fatto amicizia con alcuni infortunati più giovani, a cui è riuscito a trasmettere la propria esperienza di vita». Diverso, ma per alcuni aspetti simile, il caso di Giovanni (altro nome di fantasia), 40enne in sedia a ruote a causa di un infortunio stradale sul tragitto casa-lavoro. Terminato il laboratorio, ha deciso di cambiare la sua vita: ha iniziato a cucinare anche a casa e, grazie al sostegno dell’Inail, ha allestito una cucina accessibile nella propria abitazione. «È stata un’esperienza di condivisione – conclude Tornatore –. Molti hanno accettato di rimettersi in gioco, sfruttando l’opportunità di confronto offerta dall’iniziativa. Partecipare ha permesso non solo di affinare e di acquisire nuove competenze, ma anche di migliorare le capacità relazionali, trovando nuovi amici». Insuperabili Intervista ad Antonino Cannavacciuolo Un vero Masterchef non S Carla Chiaramoni/foto Fox Life Italia e “pure tu vuoi fare lo chef”, ecco la ricetta di Antonino Cannavacciuolo: lottare per far sentire la propria “voce” e non mollare. Un consiglio prezioso per ogni ragazzo che vuole realizzare i suoi desideri e ancora di più per quei giovani cuochi che, ogni giorno, devono confrontarsi con barriere culturali e materiali e con un mercato competitivo, di cui la ristorazione “sociale” rappresenta solo una piccolissima fetta. Il suggerimento è più che autorevole e viene da uno chef “stellato”, che ha fatto di cuore e grande tecnica il successo della propria arte in cucina. Una passione coltivata fin da piccolo e una professionaSuperAbile INAIL lità conquistata con tanto impegno e altrettanta umiltà. Cannavacciuolo ha lavorato in grandi “tri-stellati” francesi, come l’Auberge dell’Ile di Illerausen e il Buerehiesel di Strasburgo, e nel Grand Hotel Quisisana di Capri sotto la direzione di Gualtiero Marchesi, fino a ottenere – nel 2003 e nel 2006 – le due stelle Michelin, oltre all’apprezzamento unanime di critici e guide ai ristoranti. È però amatissimo e conosciuto anche dal pubblico televisivo, soprattutto grazie al format Cucine da incubo di cui è protagonista, e sarà il quarto giudice nella prossima edizione di Masterchef accanto a Carlo Cracco, Joe Bastianich e Bruno Barbieri. Il suo regno, Villa Cre- 20 supplemento Luglio 2015 molla mai Credo fortemente che la ristorazione sociale abbia delle grandi potenzialità e che nel tempo non possa far altro che crescere sia dal punto di vista economico, sia da quello gastronomico. L’impegno sociale di questa tipologia di ristorazione è onorevole ed è bellissimo riuscire ad aiutare persone in difficoltà tramite il cibo. La ristorazione è uno dei settori professionali più aperti ai giovani che hanno disabilità intellettive e Il cibo è unione, convivialità, materie prime e prodotti che riportano all’origine e alla semplicità di piccoli gesti in grado di sprigionare positività. La ristorazione è dialogo, occasione di crescita e rivincita personale alle persone più fragili. Perché secondo lei il cibo riesce a creare occasioni di riscatto più di altri settori? Perché il cibo è unione, convivialità, materie prime e prodotti che riportano all’origine e alla semplicità di piccoli gesti in grado di sprigionare positività. La ristorazione è dialogo, occasione di crescita e rivincita personale. La buona cucina e la solidarietà possono procedere insieme? spi, è un castello sul lago d’Orta (Novara), che gestisce dal 1999 con la moglie Cinzia Primatesta, dove non smette mai di creare e stupire i suoi ospiti, malgrado gli impegni crescenti. Impegni che non gli impediscono di guardare in altre direzioni e sostenere campagne di solidarietà. Perché, spiega, «è bello riuscire a unire le forze e dedicarsi anche attraverso piccoli gesti al bene del prossimo». Un grande maestro da cui ogni aspirante chef vorrebbe imparare. La ristorazione sociale ha avuto in questi anni una forte crescita e ha vinto sfide importanti, dal punto di vista economico e gastronomico: come giudica la potenzialità di questa piccola fetta di mercato? Certamente. La buona cucina ha la fortuna di essere un mezzo speciale con il quale dedicarsi alla solidarietà. Perché il cibo unisce, e cibo e solidarietà creano un connubio perfetto per far star bene e dedicare momenti di gioia ai meno fortunati. Da chef di grande fama quali consigli si sente di dare a un ragazzo che ripone in questa professione la propria voglia di autonomia e successo? Questa professione ha la fortuna di dare la possibilità di esprimersi. Sicuramente non è facile, ma la voglia di mettersi in discussione e di lottare per far sentire la propria voce è un requisito fondamentale se si desidera intraprendere questa strada. Non bisogna mollare, occorre essere umili e cercare di trovare il giusto equilibrio interiore che permetta di affrontare le difficoltà, stimolati dalla voglia di crescere. SuperAbile INAIL 21 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola C icchetti veneziani, salumi della Garfagnana, gnocchi alla sorrentina e un ingrediente in più: l’integrazione della diversità. Da Torino a Brindisi sono tanti i ristoranti che offrono ogni giorno questo menù “speciale”. Nati come progetti di inserimento lavorativo per persone con disabilità, sono diventati nel tempo piccoli fortini per la lotta allo stigma. Locali affermati che resistono alla crisi, grazie anche alla qualità dell’offerta. Viaggio nel mondo della ristorazione inclusiva, dove persone con disagio psichico, ragazzi con la sindrome di Down o autismo vincono ogni giorno la loro sfida più importante: essere autonomi IN CUCINA Il piacere della tavola Trattoria Articolo 14. A Roma una sosta nel verde SuperAbile INAIL 24 supplemento Luglio 2015 Tutti i giorni a pranzo, e d’estate anche a cena, è possibile fare tappa all’Istituto agrario Garibaldi. Dove un gruppo di ragazzi con autismo coltiva i campi e serve a tavola. Accogliendo gli avventori in un piccolo casale immerso nella natura O Antonella Patete/foto Fabio Moscatelli gni mattina alle dieci in punto Angela spiega come fare la pizza. Con accuratezza della parola e precisione del gesto, mostra come rinvenire la pasta, stenderla sulla teglia, coprirla di passata di pomodoro. Tre ragazzi, di fronte a lei, assorbono pensierosi ogni movimento e lo replicano con titubante intensità. Come se l’incontro con quella materia, elastica e commestibile, fosse ogni volta causa di una spiazzante e imprevista emozione. Angela ha quasi 21 anni ed è autistica. Le piace fare la pizza, i biscotti e la torta rustica, ma la sua specialità è un ineguagliabile tiramisù che, a suo dire, tutti le invidiano. Insieme a lei, ogni giorno una quindicina di ragazzi e ragazze con autismo si danno appuntamento all’Istituto agrario Garibaldi, nel cuore verde e nascosto di Roma, per un nuovo modo di fare scuola. Unendo le attività dei campi a quelle della cucina, la fatica del lavoro agricolo al piacere del convivio, l’esperienza della condivisione alla scommessa dell’autonomia. Chi arriva per la prima volta in questo luogo rimane piacevolmente disorientato. In fondo a una lunga strada sterrata, oltre l’edificio scolastico, al di là del maneggio, c’è un piccolo casale con vista su un grande campo incorniciato in lontananza dalle mura bigie della città. Qui ha sede la cooperativa sociale GariA sinistra, e alle pagg. 22-23, la preparazione della pizza. In alto, Michael nei locali interni del casale. Alle pagg. 26-27, da sinistra: Stefan, Angela e Alessandro SuperAbile INAIL baldi: una realtà formata da 20 soci, di cui 13 giovani con disabilità psichica grave, alcuni genitori, un’operatrice e il preside dell’istituto, che di questa esperienza si è fatto paladino fin dalla prima ora. «Non vogliamo essere una succursale del manicomio, ma un luogo piacevole e aperto alla città», spiega Maurizio Ferraro, presidente della cooperativa e padre di Chiara, una ragazza autistica di 24 anni. Funzionario pubblico e battagliero genitore, Ferraro è stato fin dal primo momento tra i protagonisti di una testarda ricerca del proprio posto nel mondo da parte di un manipolo di famiglie, che ha deciso di dire no all’offerta di ordinanza del sistema scolastico, sociale e sanitario. «Abbiamo fondato l’associazione Esperantia, nove anni fa, dopo 25 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola esserci conosciuti al centro estivo frequentato dai nostri figli – racconta–. Poi abbiamo chiesto un po’ di spazio verde all’interno del Parco dell’Appia Antica: un luogo centrale e molto frequentato, perché siamo convinti che, quando si parla di autismo, uno dei principali problemi da combattere sia proprio l’isolamento». È stato in questo periodo che il gruppo di genitori ha incontrato il professor Franco Sapia, preside dell’Istituto agrario Garibaldi. Che ha subito messo a disposizione tre ettari di terra e un casale di 180 metri quadrati all’interno della grande tenuta di pertinenza della scuola. «Così noi abbiamo iscritto i nostri figli in questo istituto, dove fin dal primo momento siamo riusciti a costruire un progetto individuale intorno a ciascuno di loro». A ispirarli è stato l’articolo 14 della legge 328 del 2000 che prevede, per ogni individuo con disabilità, un percorso personalizzato e in grado di accompagnare le tappe principali della vita. Un principio tanto importante da dare il nome alla trattoria Articolo 14 che, dal 2010, è aperta ogni giorno a pranzo e d’estate, su ordinazione, anche a cena. E che negli ultimi tre anni ha ampliato le sue attività alla ricezione turistica, ospitando molte famiglie con un figlio autistico, ma anche ogni tipo di avventore. Accanto all’accoglienza e alla ristorazione, procedono poi la cura e la coltivazione della terra, i cui frutti vengono in parte utilizzati in cucina e in parte venduti nei mercati locali. «Prodotti naturali, pur senza certificazione biologica», assicura Ferraro, che i ragazzi coltivano con l’aiuto di un peer tutor, un compagno di scuola selezionato e formato proprio per accompagnare gli studenti con autismo nel percorso di avvicinamento al lavoro dei campi. «Crediamo in un orto giardino – prosegue il presidente: – spazi belli e curati dove Il monitoraggio scientifico delle attività e del progetto relativo ai peer tutor è a cura del Dipartimento dei processi di sviluppo e socializzazione dell’Università La Sapienza di Roma SuperAbile INAIL 26 supplemento Luglio 2015 trascorrere il tempo possa essere un piacere». Un piacere che all’Istituto Garibaldi gli studenti con e senza autismo condividono con i 35 “ortolani” di quartiere, protagonisti di una nuova iniziativa: un orto in “prestito” in cambio della “adozione” di un ragazzo autistico. Una cosa più facile a farsi che a dirsi: «Noi gli diamo 80 metri di terra – spiega Ferraro –, loro si impegnano a seguire uno dei nostri giovani nell’orticoltura». Come Michael, che da quando ha incontrato il lavoro nei campi si sente rinato. «In classe mi addormentavo – racconta –. Ho detto al prof di portarmi nell’orto. Poi sono venuto qua e ho cominciato a lavorare. Taglio la legna: mi piace, ma è molto stancante. La sera sei morto». Michael ha un tipo di autismo cosiddetto ad alto funzionamento. Vuol dire che nel suo caso le caratteristiche della triade autistica sono presenti in forma più lieve. Ha sì problemi di comunicazione, difficoltà di interazione sociale e comportamenti stereotipati e ripetitivi, ma parla e riesce comunque ad ave- re una buona interazione con chi si trova davanti. È uno dei soci lavoratori della cooperativa Garibaldi e quando ha ricevuto la prima busta paga ha provato un’emozione incontrollabile: è rimasto attonito a fissarla e ha impiegato 20 minuti buoni per decidersi a firmarla. «Portiamo avanti attività modificate in base alle abilità dei ragazzi», spiega Orazio Russo, lo psicologo che segue i giovani nelle attività pratiche. L’università lo ha preparato soltanto in parte al lavoro che avrebbe svolto, al resto ci ha pensato la vita quotidiana nei terreni dell’Istituto Garibaldi. «Modificando le attività in funzione delle abilità, la disabilità scompare del tutto», precisa. E così ciascuno, se adeguatamente orientato, può dare un contributo fattivo alla coltivazione del campo e alla cura degli spazi circostanti. A tutti piace innaffiare e così le aree comuni sono state adornate di piante da palude, che hanno bisogno di tanta acqua. Siccome Alessandro ama starsene accovacciato sulle gambe, l’obiettivo è quello di insegnargli un compito faticoso e di solito poco gradito, come strappare le erbacce. Lorenzo ha l’abitudine di distruggere le piante e così gli è stato mostrato come sradicarle con la vanga, e ora si è trasformato in uno «zappatore» infaticabile. Giorgio, invece, trasporta avanti e indietro i sampietrini con la sua carriola e Veronica non può lasciare nulla in sospeso: deve portare a termine qualunque attività intraprende, a qualunque costo. Ma quando lava i piatti è rapida, scrupolosa e determinata: nessuno può uguagliarla. Anche Stefan può raccogliere i bruchi in un intero campo con la precisio- ne di un diserbante. Ha la sindrome di Asperger, una condizione dello spettro autistico che oggi è scomparsa dal Dsm 5, l’ultima edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, a favore di una più generica definizione di autismo ad alto funzionamento. E, al pari degli altri, frequenta poco l’aula scolastica e molto il campo. «Sono nato in Romania, sono arrivato in Italia da piccolissimo», dice. Ma i particolari biografici terminaSuperAbile INAIL no qui, perché preferisce parlare delle cose che gli stanno davvero a cuore. Come gli ecosistemi naturali, che costruisce con grande attenzione e sapienza. Accanto alla musica (ha un canale su YouTube chiamato Stefardon e dedicato al mash-up, composizioni che realizza unendo più brani), ha una passione sfegatata per gli animali e le piante. Formiche, ragni, scarafaggi, grilli, specie vegetali di ogni tipo costituiscono gli abitanti casuali di questi piccoli ecosistemi che Stefan assembla, osserva e dirige con l’accuratezza dello scienziato e il trasporto monodirezionale di chi guarda al mondo seguendo le proprie inclinazioni. Tu ascolti il suo discorso intermittente e lui ti trascina in un universo “altro”. Vedi piccoli banchi di terra umida e arene create dall’uomo dove gli insetti vanno a raccogliere il cibo, ma senti che il più ti sfugge. Poi alzi gli occhi e ritrovi l’orto che il cielo di primavera accende di un colore verde brillante. Come il giardino di Alice nel Paese delle meraviglie, nascosto nel corpo grigio e livido della Città eterna. 27 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola Al Caffè Basaglia Nato nel 2007, all’interno degli spazi che hanno ospitato gli storici studi cinematografici Patrone, il locale è conosciuto a Torino per il buon cibo, la bella terrazza e i tanti incontri culturali promossi nel corso degli anni SuperAbile INAIL 28 supplemento Luglio 2015 U Antonio Storto na vociante tavolata di adolescenti. Ordinano da mangiare e intanto ridacchiano, discutono, si parlano addosso. Poi uno ci ripensa e vuole gli gnocchi al posto dei fusilli, seguito a ruota da altri due, che a quel punto non riescono più a decidersi. Finché Fabio, il cameriere, mantenendo un certo contegno, chiede loro di star calmi: «Adesso parlate uno alla volta – dice –, perché io sono schizofrenico e mi state mandando in confusione». Loro sorridono, credono che scherzi: nessuno, evidentemente, gli ha mai spiegato chi fosse Franco Basaglia e quel nome sull’insegna non deve dirgli molto. Ma al Caffè Basaglia i pazienti psichiatrici non soltanto lavorano: sono gli unici dello staff a percepire uno stipendio. Tutti gli altri prestano servizio in maniera del tutto gratuita e volontaria. «Anche se l’etichetta di volontari ci va piuttosto stretta – spiega il fondatore Ugo Zamburru –. Preferiamo essere chiamati militanti: questo è nato come un esperimento politico, nel senso più bello e gioioso del termine». Zamburru, classe 1954, è uno degli psichiatri più conosciuti e illuminati del capoluogo sabaudo. L’idea di aprire un ristorante «dove i “matti” lavorassero gomito a gomito con i “normali”» gli venne alla fine degli anni Novanta. E quando, nel 2007, si liberarono i capannoni che avevano ospitato gli storici Studios i “matti” sono di casa qui, sono altre: l’ampia terrazza, tra le più belle di Torino, e il cibo squisito, come gli gnocchi alla sorrentina o la battuta di carne cruda alla piemontese. E soprattutto gli eventi, che spaziano dai concerti ai corsi di ballo, fino alle serate di solidarietà per la Cambogia o il Kurdistan. Negli anni, al Basaglia sono transitati personaggi come l’attore e scrittore Moni Ovadia, il filosofo francese Serge Latouche o la scrittrice argentina Taty Almeida. «In molti – spiega lo psichiatra, con una punta d’orgoglio – si affezionano al circoSono in pochi, in effetti, a frequen- lo, e da ospiti diventano clienti». Nel frattempo, pazienti psichiatare il Basaglia per le connotazioni sociali del circolo. Le vere attrattive, trici e ragazzi affetti da disagio Pastrone, famosi per aver dato i natali al cinema muto, ecco che iniziarono i lavori per quello che oggi è il Caffè Basaglia: un circolo Arci su tre piani, con bar, ristorante e sala per gli eventi, «dove i pazienti psichiatrici – continua il fondatore – sono liberi di sperimentarsi in una dimensione diversa da quella clinica. Qui vengono pagati per esercitare delle competenze: la pietà e l’assistenzialismo restano fuori dalla porta. Ma proprio questo li aiuta a recuperare fiducia in loro stessi». SuperAbile INAIL psichico continuano ad andare e venire: qualcuno di loro è rimasto solo per un po’, «come Nicolino, che quando è arrivato era totalmente chiuso in se stesso – racconta Enzo Di Dio, custode e factotum del circolo – e dopo due anni ci ha salutati per andare a fare lo steward sui voli Ryanair». Per altri, come Fabio, il Caffè Basaglia è diventato una seconda casa: «Nei giorni scorsi – racconta Zamburru – ho saputo che lui e il cuoco, cosiddetto “normale”, faranno le vacanze estive insieme. E quando sento cose del genere, so che il nostro esperimento sta andando proprio come volevamo». 29 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola Tacabanda di Asti, tutta un’altra musica In nove anni al ristorante del patron Antonio De Benedetto sono passati oltre 50 tirocinanti con sindrome di Down o ritardo cognitivo, di cui due ormai assunti a tempo indeterminato. Ma oggi l’obiettivo è più ambizioso: dare vita a un “Albergo etico” dove le persone disabili possano lavorare ai piani e in cucina U Antonio Storto n adolescente affetto da sindrome di Down va a lavorare, per un breve periodo, come stagista in uno dei più noti ristoranti della sua città. Vincendo lo scetticismo del titolare e capo chef, ne conquista dapprima l’affetto e presto anche la stima. Alla fine il capo è così entusiasta che decide non soltanto di assumerlo, ma di metterne altri alla prova. E così quel ragazzo, che voleva soltanto che qualcuno gli insegnasse a servire ai tavoli, si ritrova a dare il via a un circolo virtuoso che ridisegna i connotati di un’intera città. Pare una favola postmoderna, ma è la nuda cronaca di ciò che da nove anni accade ad Asti, nel cuore della buona cucina piemontese. Niccolò Vallese aveva 17 anni quando Antonio De Benedetto lo accolse nel suo Tacabanda, celebre per aver ospitato le cantine che ai primi del Novecento dissetavano gli artisti del vicino teatro Alfieri, oltre che per i superbi agnolotti d’asino e per una carta dei vini da più di 300 etichette. Dal 2006 a oggi, lo chef astigiano ha replicato quell’esperienza con oltre 50 ragazzi con sindrome di Down o ritardo cognitivo. Per farlo, ha coinvolto una rete di esercizi commerciali che li hanno accolti in altrettanti periodi di tirocinio. Con l’istituto alberghiero Colline astigiane, che lo stesso Vallese frequentava all’epoca di quel primo stage, ha inaugurato un programma didattico dedicato ai ragazzi con Trisomia Dalla storica locanda astigiana parte anche il progetto “Download”, un percorso per l’indipendenza in dieci tappe SuperAbile INAIL 30 supplemento Luglio 2015 21, e nel frattempo ha messo a punto un percorso educativo volto alla conquista dell’autonomia personale. C’è voluto poco perché il progetto virasse verso una meta più ambiziosa. Così, qualche anno fa è nata l’idea dell’Albergo etico: una struttura turistica interamente gestita da persone Down, nel cuore enogastronomico del Piemonte. Che in questi giorni, dopo anni di lavoro e pianificazione, sta aprendo finalmente i battenti. «Quando Niccolò è arrivato qui – ricorda Antonio De Benedetto – nessuno di noi poteva immaginare cosa sarebbe successo. Di stagisti ne avevamo già avuti, ma raramente mostravano entusiasmo; in più temevamo ci mancassero gli strumenti per relazionarci alla sua disabilità. In fondo, quello doveva essere l’ennesimo tirocinio senza grossi sbocchi professionali». Le cose però sono andate diversamente: «Giorno dopo giorno – continua lo chef –, Niccolò ha smontato ogni nostro pregiudizio. Imparava più in fretta di chiunque altro. Tre mesi dopo aveva già appreso i rudimenti della cucina, e prendeva le ordinazioni con un margine di errore prossimo allo zero. E quella sua fame di imparare alla fine ci ha contagiati». Classe 1975, astigiano doc, De Benedetto lavora nella ristorazione ormai da un quarto di secolo. La sua rivisitazione della cucina tipica piemontese gli è valsa recensioni entusiaste su quasi ogni guida turistica presente in rete. Ad affiancarlo ai fornelli da qualche anno c’è Jessica, 27enne affetta da un lieve ritardo cognitivo: dopo Niccolò, con cui da qualche tempo ha una relazione, Jessica è stata la seconda stagista assunta al Tacabanda. «Quando è arrivata – prosegue De Benedetto – aveva una capacità di concentrazione pressoché nulla. Ora vive da sola e gestisce autonomamente ogni aspetto della sua vita. Il più delle volte basta tagliare il cordone ombelicale con la famiglia perché qualcosa si risvegli». Proprio la conquista dell’indipendenza rappresenta il fulcro del progetto “Download”, un percorso in dieci scalini che i ragazzi attraversano parallelamente alla formazione alberghiera. «A livello zero – chiarisce lo chef – hanno un grado d’autonomia quasi nullo. Dall’uno in avanti, però, sono loro stessi a formare chi si trova più indietro, trasmettendogli ciò che hanno imparato: in questo modo l’apprendimento risulta più efficace, perché avviene tra pari». Per De Benedetto, guidare i ragazzi verso l’autonomia è il passo più importante per restituire loro una condizione esistenziale più piena. «In questo senso – spiega – nei primi tempi è essenziale lavorare con i genitori, per convincerli a mollare un po’ la presa». L’opera di persuasione, a quanto pare, funziona: grazie a una serie di accordi con le Asl e i servizi sociali, famiglie provenienti da ogni parte d’Italia possono affidare allo chef astigiano i loro figli per una settimana al mese. A loro sarà dedicata l’Accademia dell’indipendenza, una vera e propria scuola di vita che occuperà l’ultimo piano dell’edificio di via Galileo Ferraris, che dal 18 giugno è diventato ufficialmente l’Albergo etico: una struttura di quattro piani più una sala per eventi al piano sotterraneo. Le IN CUCINA Il piacere della tavola camere dedicate agli ospiti sono 21, mentre nelle restanti sette alloggeranno gli allievi dell’Accademia. De Benedetto e il suo staff hanno atteso questo momento da almeno quattro anni. Hanno formato decine di giovani, alcuni dei quali sono stati poi assunti dalle aziende che li hanno ospitati nei tirocini formativi. Secondo Fulvio Cazzola, coordinatore delle attività didattiche dedicate ai giovani con sindrome di Down nella scuola alberghiera Colline astigiane, la formazione «è altamente personalizzata». Non solo: «La durata dei corsi – spiega – non è la stessa per tutti: sei degli otto alunni che abbiamo al momento hanno già frequentato due moduli da 600 e 200 ore sulla cucina e sul bar, mentre ora si stanno occupando di accoglienza». Non tutti, peraltro, frequentano compagnare i ragazzi al Parlamento le lezioni. Stefano, il 27enne di Al- europeo. «Questo progetto non è un pignano (Torino) che viene a prenderci alla stazione di Asti, racconta di aver iniziato a collaborare con De Benedetto subito dopo aver ottenuto la patente B. «Al momento – spiega – sono l’autista ufficiale: vado a prendere gli ospiti e a volte riporto a casa gli alunni che arrivano da Torino. Il mio sogno però è diventare concierge». Non tutti, inoltre, aspirano a fare gli operatori turistici: per Flavio, 22enne di Torino, questa è solo una tappa intermedia nella sua vita. «In futuro – confessa – vorrei entrare in politica, possibilmente a Bruxelles, per dare una vera rappresentanza europea ai cittadini disabili». De Benedetto approva decisamente: è stato lui, qualche tempo fa, ad ac- SuperAbile INAIL 32 supplemento Luglio 2015 parcheggio – spiega –, tantomeno una trappola per asservire i ragazzi ai nostri scopi. Qui si viene per recuperare la libertà personale e la stima di sé. Una volta pronti, i ragazzi devono seguire le loro aspirazioni». Secondo lo chef, questo modello sta contaminando l’intera città di Asti: «I nostri ragazzi – conclude – hanno aperto la strada a persone disabili che prima, magari, si vergognavano a uscire di casa. Il resto della cittadinanza vigila in modo silenzioso: evitano di invaderne la privacy, ma al bisogno sono pronti a intervenire. Quello che sogno è una città etica, modellata sulla solidarietà, più che sulla competizione. E qui mi pare siamo sulla buona strada». Cucina veneziana al ristorante Fantàsia Giorgia Gay/foto Stefano Dal Pozzolo C icchetti tipici veneziani, ottimo pesce, bolliti, sarde in saor, bigoli in salsa, risi e bisi, pasta e fagioli, coniglio alla veneta. C’è da farsi venire l’acquolina in bocca a leggere il menù del ristorante Fantàsia, aperto dal 2011 nel cuore di Venezia. Un’eccellenza non solo per gli ottimi piatti, che uniscono la tradizione veneta a proposte tipiche di altre regioni, ma anche perché garantisce un’opportunità concreta di inserimento lavorativo per persone con disabilità. Nata dall’impegno dell’impresa sociale Uniamo-Goldin – una costola di Uniamo, la Federazione italiana malattie rare –, Fantàsia ora è pronta a tagliare un nuovo traguardo. I tre tutor, che finora hanno lavorato nel ristorante al fianco delle persone disabili in qualità di dipendenti, dal mese di giugno sono subentrati nella gestione dell’attività, continuando a garantirne la natura sociale. «È un momento davvero importante per noi – commenta la presidente di Uniamo, Renza Barbon Galluppi –, perché significa che il progetto cammina sulle proprie gambe, si è evoluto e potrà continuare a offrire opportunità alle persone con disabilità, consentendo a Uniamo-Goldin di investire tempo ed energie SuperAbile INAIL in altri progetti». Il ristorante Fantàsia è un omaggio al celebre romanzo di Michael Ende La storia infinita, che racconta un mondo dove è possibile, al di là di ogni confine fisico e di ogni barriera mentale, immaginare il futuro e riscrivere il passato, ma soprattutto reinventare il presente. Tornando alla cucina, il ristorante offre un menù fisso che va dai 12 ai 15 euro: primo e secondo piatto, vino, pane, caffè. Pesce, ma anche carne e pizza rientrano nella ricca carta proposta agli avventori che, leggendo le recensioni positive degli utenti del web, non delude mai: «Lo staff simpatico e gentile, sempre disponibile. Mangiato benissimo, pesce fantastico. Rapporto qualità prezzo: da dieci e lode», scrive un cliente 33 supplemento Luglio 2015 soddisfatto. Gli fa eco un altro: «Gran ristorante, persone cordialissime, prezzo unico». E ancora: «Avevo il dubbio che il mio giudizio fosse influenzato dal progetto sociale perseguito dai proprietari, ma con i bambini abbiamo mangiato una buona pizza, in una bella atmosfera, con tanta cordialità e ottimi prezzi (a Venezia!)». Ma qui, all’indirizzo Castello 3.911, non si mangia e basta: il ristorante vuole essere un luogo di aggregazione sociale nel cuore di uno dei più antichi e vitali quartieri di Venezia. Così si alternano presentazioni di volumi, incontri tra associazioni, attività di animazione come letture di libri e giornali, visione di programmi televisivi educativi e molto altro ancora. IN CUCINA Il piacere della tavola Dal Barba, la sfida dei ragazzi con autismo A Villalagarina, vicino Trento, il ristorante gestito dalla cooperativa La Ruota lancia ogni giorno una nuova scommessa: diventare autonomi attraverso il lavoro S Eleonora Camilli eguendo le mosse dello chef, Davide è riuscito finalmente a preparare un ottimo risotto. E ora giura che sia questo il suo piatto migliore. Lo cucina, di volta in volta, con i prodotti di stagione. Ma non disdegna neanche la preparazione dei dolci: secondo lui, infatti, non si può finire un pasto senza un buon tiramisù. Davide, 27 anni, è l’aiuto cuoco del ristorante Dal Barba a Villalagarina, in provincia di Trento. Il locale, aperto nel novembre del 2013 rilevando un altro ristorante ormai poco frequentato, nasce da una scommessa della cooperativa sociale La Ruota che, fino a quel momento, non si occupava di ristorazione ma del trasporto di persone disabili. L’obiettivo dichiarato era quello di creare un luogo aperto, in cui ragazzi e ragazze con disabilità potessero fare esperienza in un contesto di normalità. E soprattutto potessero rendersi autonomi, e lavorare. È nato così il progetto “Chance”, che dopo due anni è già una scommessa vinta. Lo dice l’associazione dei genitori Insieme, che ha da subito puntato sull’iniziativa. «Abbiamo sostenuto l’idea del ristorante, perché è difficile trovare dei luoghi dove i nostri figli possano fare questo SuperAbile INAIL 34 supplemento Luglio 2015 tipo di esperienze – racconta Paola Dorigatti, mamma di Susanna, una giovane di 30 anni con la sindrome di Down che lavora come cameriera nel locale –. Oggi possiamo dire che è un’iniziativa pienamente riuscita. Innanzitutto perché è un luogo in cui i ragazzi si sentono protagonisti». Tutte le attività, fa sapere Paola, «vengono valutate a seconda delle loro capacità e nessuno si sente forzato a fare quello che non vuole. E poi il rapporto è assolutamente paritario. Quello che si cerca di fare è valorizzarli per renderli autonomi, aumentando la loro autostima. E i risultati si vedono anche a casa». Mentre Davide sta in cucina e Susanna si divide tra la sala e il bar, Simone, 41 anni, autistico, si occupa dei tavoli, prendendo le ordinazioni dei clienti. «È molto fiero di questo suo ruolo – racconta Rachele Gottardi, ideatrice e responsabile del progetto “Chance” –. Ormai lo conoscono e lo amano tutti. E si vede che anche lui sta meglio, ha conquistato quella fiducia in se stesso che prima non aveva». A sparecchiare la tavola e a lavare i piatti ci pensa, invece, Leo, 20 anni, anche lui con autismo. «Leo non parla, ma in mezzo agli altri si fa capire – aggiunge Gottardi –. Anche lui è ormai bravissimo e ben inserito. In alcuni giorni viene insieme a sua madre, in altri prova a venire da solo prendendo i mezzi pubblici». Oltre a Davide, Susanna, Simone e Leo, sono circa 15 in totale le persone con disabilità che prendono parte al progetto come volontari, dando una mano a portare avanti il ristorante. I ragazzi, accompagnati dagli operatori, collaborano in cucina a preparare tagliatelle, gnocchi e ravioli. La prospettiva a breve termine è di attivare dei tirocini con l’Agenzia del lavoro e arrivare ad assunzioni part-time di almeno alcuni di loro. Dal Barba è aperto sette giorni su sette, solo a pranzo. Talvolta, però, si organizzano anche delle cene, principalmente in occasione di eventi particolari. «Abbiamo una ventina di clienti affezionati che vengono tutti i giorni e ormai fanno parte della famiglia – racconta ancora Gottardi –. Quando qualcuno di loro non si presenta alla solita ora, i nostri ragazzi si preoccupano, perché pensano che gli sia successo qualcosa. Il clima è molto bello, anche se all’inizio non è stato faci- le. I clienti appena arrivano si trovano spiazzati, ma poi entrano subito in confidenza con il nostro personale speciale. E in tanti, andando via, ci ringraziano per l’esperienza che gli abbiamo fatto vivere». Oltre all’inserimento delle persone disabili, il locale riserva un’attenzione particolare per i clienti con autismo. Sono a loro disposizione, infatti, delle tovagliette realizzate secondo le regole della comunicazione aumentativa: sopra a ciascuna sono raffigurati alcuni simboli che permettono anche a chi non parla di esprimersi, dicendo se il cibo era buono oppure no, chiedendo dell’acqua oppure di tagliargli la carne se da soli non ci riescono. Alcune delle persone con disabilità impiegate nel ristorante si occupano anche dell’orto e collaborano nelle pulizie o, insieme ai volontari, preparano le feste per gli anziani. Nel tempo sono stati accolti anche altri giovani con disagio, tra cui tossicodipendenti, minori inviati dal Tribunale per la messa alla prova A disposizione dei clienti con autismo, tovagliette realizzate con il metodo della comunicazione aumentativa SuperAbile INAIL o persone che devono scontare una pena attraverso i lavori di pubblica utilità. Tra le ultime esperienze nate all’interno del ristorante c’è, poi, la Barba band, promossa e coordinata da Fausto Bonfanti. Si tratta di un vero e proprio gruppo polistrumentale, di circa 15 elementi, al cui interno persone con disabilità e non, insieme agli educatori e ai volontari suonano e compongono musica. Il gruppo ha avuto come testimonial d’eccezione il cantante Eugenio Finardi, che ha scelto di esibirsi con loro. Dopo di lui è stata la volta di un altro storico esponente della musica leggera italiana, Alberto Camerini. «Pensiamo che provare pietà nei confronti di ogni diversità non sia di aiuto, ma al contrario acuisca quella sensazione di inadeguatezza nel sentirsi diversi, creando un ostacolo ancora maggiore al bisogno di identità e autonomia – spiegano i responsabili del gruppo –. Crediamo, invece, che si debba vedere la diversità come un vero e proprio mondo composto da persone ricche di potenzialità, a volte evidenti, a volte meno, certe volte minime rispetto alla cosiddetta normalità, ma in ogni caso presenti, sempre». 35 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola Bar Senza nome, dove SuperAbile INAIL 36 supplemento Luglio 2015 la differenza fa tendenza Nel locale bolognese vino, birra e panini si ordinano in Lingua italiana dei segni. Sembrava un’impresa impossibile e invece, a tre anni dall’inaugurazione, l’idea di un gruppo di giovani sordi si è rivelata vincente S Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo e all’inizio era una scommessa, ora è un locale al centro della movida bolognese sempre pieno di gente, dove si può ascoltare anche musica dal vivo. Tanto che i soci, tutti ragazzi non udenti sui 30 anni, da due che erano sono diventati quattro. E così, accanto a Sara Longhi e Alfonso Marrazzo, che si sono lanciati per primi in quest’avventura, adesso ci sono anche Francesco e Silvia Grasso (fratello e sorella). Parliamo del Senza mome, un bar dietro il Mercato delle Erbe aperto esattamente tre anni fa, l’unico in Italia gestito da giovani sordi. Che ha puntato soprattutto «sull’integrazione tra cibo e cultura e sull’incrocio di linguaggi differenti», spiega Alfonso. E ce l’ha fatta. Ecco allora che chi entra nel locale può ordinare in Lis (grazie a SuperAbile INAIL un foglio con illustrato l’alfabeto segnato e ad alcune foto alle pareti di come si dice birra o vino in Lingua dei segni), attraverso alcuni bigliettini in bacheca, scrivendo sopra un tovagliolino di carta oppure scandendo bene le parole in modo da aiutare i camerieri o chi sta dietro il bancone a leggere il labiale. Mentre il rapporto con i fornitori viene gestito via e-mail e sms. «I clienti più affezionati si sono sforzati di impa- 37 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola SuperAbile INAIL 38 supplemento Luglio 2015 rare qualche vocabolo in Lis, anche se ci sono ancora molte persone che quando entrano nel bar e ci vedono “gesticolare” se ne escono subito dopo – continua Alfonso, originario di Salerno –. Ma abbiamo dovuto dire anche alla comunità sorda, che in genere quando entra in un locale si mette in cerchio per riuscire a vedere le mani di tutti, di occupare meno spazio». Tuttavia, a sancire il successo del Senza nome «ha contribuito anche la programmazione artistica curata dall’associazione culturale Farm – dice la sua presidente Nunzia Vannuccini –, in collaborazione con il Gruppo Camaleonte per la parte che riguarda gli artisti non udenti». Infatti, oltre ai concerti, alle mostre e alle presentazioni di libri, c’è tutto un mondo di Lis performer che è passato dal locale: l’attore Gabriele Caia, il deaf rapper Mr ScarlaSopra e a pag. 37, come ordinare in Lingua dei segni. A fianco, la movida bolognese nel locale. A pag. 36, da sinistra: Francesco, Sara, Silvia e Alfonso to, lo spettacolo di mimo del clown Maurizio Scarpa, le letture di Chiara Di Monte e la danza di Annalisa Cataldo (tutti artisti sordi immortalati da gigantografie appese alle pareti). «Il locale è sempre stato un pretesto per sperimentare nuove forme di comunicazione, soprattutto visive e sonore insieme, e per offrire uno spazio di visibilità all’arte dei segni», commenta Alfonso, laureato al Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo) di Bologna. Anche gli altri tre soci facevano tutt’altro prima di entrare nella ristorazione: Sara lavorava in un’azienda, Silvia (laureata in Scienze della formazione) faceva l’educatrice scolastica per bambini sordi, mentre Francesco – laureatosi a Catania in Scienze politiche con indirizzo internazionale ed esperto in gestione aziendale e mercati agroalimentari – collaborava con il Nucleo chimico Mediterraneo. Tornando a parlare di cibo, la casa consiglia «il Chianti prodotto dalla fattoria La Muraglia di Monteriggioni, un’azienda sui colli senesi gestita dalla famiglia Convito e da SuperAbile INAIL alcune persone sorde – dice Sara – e il succo di frutta di pesca biologico dei fratelli Biasin di Molinella, in provincia di Bologna: Luciano, infatti, è un agricoltore non udente. Presto, poi, nel menù spunteranno piatti dedicati ad alcune persone sorde “famose” tra cui Antonio Magarotto, fondatore dell’Ente nazionale sordi e rettore dell’Istituto statale d’istruzione specializzata per i non udenti di Padova». Dall’estate 2013, infine, a dare una mano al successo del locale c’è anche il progetto di riqualificazione urbana “Luci nella città”, gestito sempre dall’associazione Farm, che a giugno e luglio coinvolge tutti i commercianti della strada con serate di aperitivi all’aperto, in un mix di cibo, musica e teatro contro il degrado. Il Senza nome si trova in via Belvedere, in pieno centro storico, ed è aperto tutti i giorni dalle 15 a notte inoltrata (la domenica fino a mezzanotte). Per prenotare un tavolo basta mandare un sms al numero 392/5162896, mentre per essere sempre aggiornati sulle varie iniziative si può consultare la pagina Facebook. 39 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola Una sera a cena alla Pecora nera Resistere alla crisi non è facile, ma a Lucca il ristorante gestito dall’Anffas ce la fa grazie alle donazioni di chi crede nel progetto e all’affetto dei tanti clienti, che rimangono conquistati dalla simpatia e spontaneità dei camerieri S Eleonora Camilli/foto Mariano Meini ul sito di recensioni culinarie Tripadvisor è difficile trovare qualcuno che ne parli male. La maggior parte dei commenti elogia il menù, semplice e di qualità, ma anche il servizio ai tavoli, svolto da «ragazzi davvero speciali». Dal 2008 la Pecora nera, il ristorante situato nel centro storico di Lucca, è una sorta di “fortino”, che resiste alla crisi portando avanti un percorso di inclusione lavorativa per ragazzi con disabilità. Il progetto, nato su iniziativa di Anffas Lucca (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), nonostante le difficoltà economiche incontrate in questi otto anni è riuscito, infatti, ad assicurare un contratto a tempo indeterminato a tre ragazzi con sofferenza psichica, Guido, Serena e Gessica, e a inserire, attraverso borse lavoro e tirocini, molti altri giovani con la stessa tipologia di problemi intellettivi e relazionali. Una lunga resistenza resa possibile dalla generosità dei privati, dalle associazioni e dall’affetto di tanti clienti, che una volta scoperto questo posto hanno deciso di farne un appuntamento fisso. «È una lotta quotidiana, perché un ristorante con finalità sociali come il nostro sfugge alle dinamiche commerciali, tipiche del mondo della ristorazione – spiega Manuel Graziani, SuperAbile INAIL 40 supplemento Luglio 2015 responsabile di Anffas Lucca –. Non è possibile avere ritmi di lavoro sostenuti o doppi turni quando si ha a che fare con persone con disabilità. Noi abbiamo un modo di lavorare etico, anche perché dobbiamo rispettare i tempi dei ragazzi che lavorano da noi. Ci siamo imposti di pensare meno come se fossimo solo un’attività commerciale e più alla nostra mission. E, ovviamente, quando si prediligono gli aspetti sociali i conti difficilmente tornano». Per andare avanti e restare sul mercato, il progetto riceve aiuto principalmente da donazioni private. Oltre ad Anffas Lucca, il ristorante viene finanziato da fondazioni bancarie e aziende, che fanno periodicamente donazioni oppure organizzano nel locale le cene con i propri dipendenti. «Da quando siamo nati, ci hanno sempre dimostrato molto affetto. I clienti tornano spesso. Forse perché una volta che ci hanno conosciuti è difficile che si dimentichino di noi». con ritardo cognitivo, che serve ai tavoli e intrattiene i clienti tra una comanda e l’altra. Amato da tutti, vive per il suo lavoro, e si diverte a raccontare storie agli avventori del locale. «È un tipo straordinario. Ha un grado di autonomia molto alto e sa In tutto i ragazzi con problemi psi- fare bene il suo mestiere, anche se chici che lavorano alla Pecora nera so- come tutti ha i suoi tempi», racconno dodici, tre dei quali assunti come ta Patrizia Mei, presidente della cosoci lavoratori dalla cooperativa Se- operativa che si occupa del progetto gni particolari nessuno, che gestisce dalla sua nascita. «È tifosissimo delil ristorante. La star indiscussa della la Juventus e per un periodo avesala è Guido, un ragazzo di 37 anni va iniziato a scommettere alla Snai. Siccome ci sembrava un’abitudine pericolosa, anche perché il vizio del gioco gli stava prendendo la mano, Guido, Serena e Gessica sono abbiamo minacciato di licenziarlo. E i ragazzi con disabilità psichica che per due mesi gli abbiamo trattenuto lavorano con un contratto a tempo lo stipendio, d’accordo con i genitori. indeterminato nel ristorante di Lucca SuperAbile INAIL 41 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola La paura è stata talmente tanta che ha smesso subito di giocare. Tiene a questo lavoro più di ogni altra cosa». Nel ristorante lavora anche Gessica, 37 anni, una ragazza con la sindrome di Down, che da un paio d’anni fa coppia fissa con Guido, e con lui si occupa del servizio ai tavoli ma anche della cucina, come aiuto cuoca. Infine tra le persone assunte c’è Serena, 29 anni, anche lei con disagio psichico. «La forza, e a volte il limite, di questi ragazzi è la loro spontaneità, che spesso è apprezzata dai clienti, ma in alcuni casi può essere scambiata per scortesia – aggiunge Mei –. In generale però le persone non rie- scono a fare a meno di intrattenere con loro un buon rapporto. E questo è uno dei motivi per cui riusciamo ad andare avanti». Insieme ai tre assunti, ci sono poi i giovani delle borse lavoro, come Elena, 20 anni, che ha accettato di fare un corso di cucina di alto livello. «Ci sembrava che fosse una sfida impossibile per lei, con un impatto emotivo molto forte, e invece è riuscita a inserirsi bene. Ha imparato molte cose e dal punto di vista del lavoro ha acquistato tantissimo». e formaggi, ma il piatto forte sono i tortelli. Da un paio di mesi alle specialità di carne si sono aggiunte anche quelle di pesce. E a pranzo il ristorante si trasforma in una spaghetteria. «Lo sforzo è quello di fare un menù al passo con i tempi e dai prezzi abbordabili», aggiunge Graziani. La cucina è familiare così come l’aria che si respira entrando nel locale. «Questo è l’ultimo lavoro che avrei voluto fare in vita mia – conclude Mei –: per i turni fino a notte e le ferie sempre fuori stagione. Ma oggi non tornerei indietro, questi raIl menù del locale prevede specia- gazzi sono la mia famiglia e io sono lità tipiche della Garfagnana, salumi un punto di riferimento per loro». SuperAbile INAIL 42 supplemento Luglio 2015 Ristorante Zì Nene: dalla scuola alla cucina con l’aiuto dei prof Hélène D’Angelo/foto Riccardo Sollini I l ristorante Zì Nene di Loreto e l’hotel a quattro stelle annesso, Villa Tetlameya, sono un complesso storico dell’entroterra marchigiano. A un primo sguardo possono sembrare una struttura come un’altra, ma in realtà sia il ristorante che l’hotel hanno una caratteristica diversa dal solito: sono diventati banco di prova e rampa di lancio per alcuni ex alunni con disabilità dell’istituto alberghiero locale e per i ragazzi della comunità di recupero “Irs Aurora” di Massignano (Ascoli Piceno). Tutto è nato grazie all’iniziativa coraggiosa del preside, di alcuni insegnanti di sostegno e di un insegnante di cucina dell’Istituto Einstein-Nebbia che, dopo anni di accompagnamento dei ragazzi in progetti di inserimento lavorativo, nel 2010 hanno deciso di muoversi in prima persona, investendo risparmi e tempo libero nella fondazione della cooperativa sociale di tipo B Lavoriamo insieme. «Volevamo fare qualcosa in prima persona per i nostri ragazzi, non solo perché ce lo chiedevano le famiglie ma anche per aiutarli a diventare autonomi e a trovare un lavoro – racconta Patrizia Massa, insegnante di sostegno e socia fondatrice della cooperativa –. Sappiamo quanto sia difficile riuscire a trovare aziende a cui proporre progetti di inserimento lavorativo. In questo modo abbiamo voluto dare una risposta concreta a persone che abbiamo accompagnato e che sono cresciute, anche professionalmente, all’interno del nostro istituto alberghiero». Così, quando il ristorante Zì Nene e l’albergo Villa Tetlameya hanno cambiato gestione, il gruppo di insegnanti ha chiesto di incontrare il proprietario, proponendogli una nuova avventura e trasformando la struttura in un luogo in cui permettere a persone disabili e a ragazzi in cerca di una seconda possibilità di mettersi in gioco. Tra le persone assunte dalla cooperativa c’è Simone, un ex alunno con disabilità mentale, che svolge le mansioni di cameriere addetto ai piani dell’hotel. «Simone ha finito la scuola nel 2000 – racconta Massa – e per circa otto anni non ha fatto nulla, stava chiuso in casa e non trovava lavoro. Poi, grazie a una borsa socio-assistenziale del Comune, ha iniziato a lavorare a scuola da noi, nell’ambito del progetto “Pizza per tutti”. Ma comunque non era ancora abbastanza e così, quando è nata la cooperativa, abbiamo subito pensato a lui. Con noi ha iniziato a lavorare come cameriere ai piani, SuperAbile INAIL apprendendo nuove competenze rispetto a quelle che aveva imparato a scuola. Ora sa mettere in ordine le stanze, occuparsi della biancheria e pulire. Sono davvero fiera di lui». Ma diverse sono le storie dei ragazzi che lavorano e svolgono attività formative presso la cooperativa, dove si portano avanti anche progetti di alternanza scuola-lavoro con giovani ad alto rischio di dispersione scolastica e di disagio sociale. «Si respira un clima positivo e si è creata una rete sociale di sostegno per le persone più fragili e a rischio. Tuttavia con noi ci sono anche ex alunni che non hanno alcuna disabilità ma che hanno scelto l’impegno nel sociale come valore aggiunto al lavoro svolto. Avrebbero potuto trovare impiego in altri posti, invece hanno deciso di lavorare con noi». Zì Nene e l’hotel Villa Tetlameya sono strutture storiche d’eccel- 43 supplemento Luglio 2015 lenza, non solo per la bellezza del luogo in cui sono situate. Il ristorante, costruito nel piano inferiore della villa padronale del 1873, può ospitare fino a 200 coperti, ed è dotato di un ampio salone ma anche di salette riservate. Il menù propone piatti di carne e pesce della tradizione marchigiana, mentre l’hotel può ospitare fino a 16 ospiti in stanze raffinate, arredate con pezzi d’antiquariato ed elementi dell’artigianato locale. «Zì Nene è una struttura rinomata e di riferimento per la città di Loreto. Proprio per questo sapere che viene gestita da una cooperativa sociale è un esempio importante per l’intera popolazione – conclude la socia fondatrice di Lavoriamo insieme –. La nostra sfida è mostrare come uno standard alto possa essere raggiunto anche da persone svantaggiate o con disabilità». IN CUCINA Il piacere della tavola Niente è più fashion di un locale dove ogni seduta è diversa dall’altra. A San Vito dei Normanni, dalla cucina ai tavoli è servito “qualcosa di diverso”: perché sono 32 le persone con disabilità che vi lavorano, curando sia la coltivazione dei prodotti a filiera corta sia la ristorazione e la preparazione dei piatti I XFood, cucina Sara Mannocci/foto XFoto l “tavolo sociale” è lungo ben 13 metri e cattura l’attenzione appena si entra nei locali di XFood: nel cuore di San Vito dei Normanni (Brindisi) è aperto da circa un anno un ristorante che porta con sé la scommessa della diversità come valore. Nella cucina, in sala e nell’orto circostante sono impegnate persone con disabilità psichiche di vario genere, che stanno costruendo il loro percorso verso l’autonomia. Giuseppe, originario del paese, aveva già alle spalle un’esperienza come cameriere; ora è tra quelli che lavorano stabilmente nel locale, dopo aver seguito l’itinerario di formazione in sala. SuperAbile INAIL 44 supplemento Luglio 2015 «XFood è il primo ristorante sociale pugliese», si legge all’ingresso: chi sta cercando qualcosa di diverso si trova nel posto giusto. E qui gli slogan non rimangono tali. Basta parlare con chi gli ha dato vita per capire che il progetto “Calimero”, finanziato da un bando regionale, ha un obiettivo di inclusione sociale reale, con il coinvolgimento del territorio e la fatica di far coesistere pubblico e privato. Insieme a Giuseppe, anche Cosimo, Gabriele e Ilenia – per citare solo alcuni di loro – sono a tutti gli effetti lavoratori di un’azienda, raggiungono la sede del ristorante senza i genitori, stanno acquisendo responsabilità, provano soddisfazione. a centimetro zero È il 10 giugno del 2014 quando XFood apre i battenti, grazie alla collaborazione tra il centro socioculturale ExFadda – che ospita il ristorante in una parte dei suoi locali ristrutturati –, il consorzio di cooperative sociali Nuvola di Francavilla Fontana, il Comune di San Vito dei Normanni e la Regione Puglia. Per l’avvio concreto, l’acquisto delle attrezzature e la messa in funzione della cucina, sono stati fondamentali i contributi economici della Banca Unicredit, della Fondazione San Raffaele di Ceglie Messapica e del Consorzio San Raffaele di RoIl ristorante è collocato all’interno dei locali del centro socioculturale ExFadda ma. «Abbiamo coinvolto 32 persone del consorzio Nuvola, che hanno seguito un accurato percorso di formazione, affiancati da chef e personale alberghiero – spiega Vito Valente, amministratore unico di Sandei srl, società capofila che gestisce il centro ExFadda insieme ad altre associazioni locali –. Sono persone tra i 30 e i 35 anni, uomini e donne, affetti da sindrome di Down, depressione o schizofrenia». Sono proprio loro a ideare e preparare, sotto la guida di tutor, i piatti da offrire ai clienti, a servire in sala e a lavorare nell’orto “sinergico”: parte delle materie prime utilizzate in cucina, infatti, sono ortaggi a “centimetro zero”, dove veramente la strada dalla terra alla tavola è brevissima. SuperAbile INAIL In cucina, a mixare gli ingredienti e a dar vita ai menù c’è anche Cosimo, alla sua prima esperienza di lavoro, che prepara i piatti insieme a Ilenia. Colleghi come tanti, «ma capaci di creare un clima speciale – precisa Valente –, con l’entusiasmo di chi si sente coinvolto in prima persona». A oggi, delle 32 persone attive nel progetto, solo una parte – scelta sul- la base di capacità, inclinazione al lavoro, facilità degli spostamenti – è impiegata stabilmente presso il ristorante; gli altri lavorano stagionalmente o sono contattati in base alle necessità. Tutti, comunque, hanno con sé una referenza da spendere in altri contesti. È l’impegno in un’at- 45 supplemento Luglio 2015 IN CUCINA Il piacere della tavola tività concreta il primo grande passo per l’autonomia. In sala Gabriele, di Brindisi, prende le ordinazioni e si rapporta con i clienti, compito non sempre facile. Porta con sé solo una piccola esperienza lavorativa passata, di poco conto rispetto a quella che sta vivendo adesso. Dare inizio a una strada nuova vuol dire anche aprirsi a occasioni di crescita, come la partecipazione all’edizione da poco conclusa del Salone del Mobile di Milano, in cui lo staff di XFood ha lavorato prendendo parte alla cura della ristorazione e del servizio. «È stato davvero significativo – ci tiene a sottolineare Valente –. Tutti i nostri lavoratori erano pieni di entusiasmo, non si fermavano mai. Sono riusciti a gestirsi con disinvoltura in un contesto nuovo, tra la confusione, la folla, le persone sconosciute. Dialogavano con i clienti, hanno sperimentato qualcosa di importante potenziando notevolmente la loro sicurezza. In quest’ottica stiamo pensando di at- trezzarci per lavorare, procedendo per gradi, sul fronte del catering, al fine di portare le nostre capacità fuori dal ristorante». È anche così che persone problematiche e inclini all’isolamento riescono a mettersi in discussione, a svolgere un lavoro e a percepire stipendi pagati dalla cooperativa di tipo B Qualcosa di diverso, che gestisce il locale. Non a caso ogni tavolo, piatto o bicchiere della sala è differente dall’altro. Un mosaico originale di linee, forme, idee e colori che rende l’insieme unico. Ciascun mobile dell’arredo è stato scelto tra i numerosi mercatini della zona, restaurato e in parte ridisegnato durante un laboratorio che ha coinvolto i lavoratori del ristorante e i cittadini interessati. Il territorio, in fondo, è la chiave di tutto. La Richard Ginori, storica manifattura di porcellane, ha donato al ristorante stoviglie fuori produzione diverse l’una dall’altra, i privati cittadini SuperAbile INAIL 46 supplemento Luglio 2015 portano quello che in cucina è di troppo, e alcuni famosi cuochi anche non pugliesi hanno deciso di sostenere il progetto cucinando presso il locale in serate ad hoc. «La difficoltà sta nell’innovazione sociale – aggiunge Roberto Covolo, project manager dell’intera iniziativa –: puntare sulle risorse di ciascuno attraverso nuove alleanze, con un approccio non pietistico». È questa la logica che ha ispirato l’intero centro ExFadda, un’area immensa un tempo di proprietà dei principi Dentice di Frasso, caduta in abbandono e riqualificata per creare uno spazio culturale. Al momento sono circa 30 le realtà che, insieme alla società capofila Sandei, animano gli spazi del centro, contribuendo al sostegno – non solo economico – dell’intero progetto. Ecco la scuola di musica, gli spazi per la scherma, la danza, la fotografia, un laboratorio di hobby e piccolo artigianato, disegno e pittura. Gli ingredienti per un buon piatto non mancano. INsuperabili Intervista ad Alessandra Petterini Dal blog all’Expo: nuova vita da chef per combattere la malattia L Carla Chiaramoni/foto Vanessa Illi a ricetta per essere felici? Guardarsi dentro, trovare la forza di distogliere lo sguardo dall’orlo del precipizio in cui ti colloca la diagnosi di una malattia sconosciuta e progressiva, non mollare mai. Una strada tutta in salita ma che può dare enormi emozioni: ne è convinta Alessandra Petterini, food blogger, uno dei mille impegni che ormai affollano le sue giornate. Il suo amore per la cucina è diventato una professione e un nuovo stile di vita dopo una doppia diagnosi di sclerosi multipla e sclerosi sistemica. La famiglia, un figlio piccolo, il lavoro: tutto salta in aria ma, dopo un lungo periodo difficile, la malattia si trasforma in una nuova occasione. Nasce così “Domani è un altro forno”, blog di cucina dove si racconta liberamente, che da subito le ha offerto opportunità impensate fino a quel momento: collaborazioni con chef “stellati”, l’idea di un libro e poi l’Expo. Un video su una delle sue ricette “felici” viene quotidianamente proiettato all’interno del Padiglione Zero, insieme a tanti altri che provengono da tutto il mondo. E sue ricette e interviste sono presenti in varie pubblicazioni distribuite durante l’evento. Com’era la sua vita prima della diagnosi? Era la vita di una donna di 27 anni: vulcano da sempre, sposata da meno di due anni, con un figlio di otto mesi e tantissimi sogni. La famiglia appena costruita, il sogno realizzato di avere un bambino e poi la notizia di non poterne avere altri. E il lavoro? Impiegata contabile. Un lavoro basato sulla perfetta messa a fuoco dei numeri sullo schermo del pc. I primi a essere colpiti sono stati proSuperAbile INAIL 47 supplemento Luglio 2015 INsuperabili Intervista ad Alessandra Petterini prio gli occhi. Per mettere a fuoco un numero, dovevo avvicinare e allontanare il viso dal video, strizzare le palpebre, sperando di riaprire gli occhi e coglierne per almeno un secondo la forma. Una gara continua! Poi il torpore di una parte della mano: scrivevo sulla tastiera e perdevo alcune lettere. Qual è stato il momento più difficile? È stato tutto travolgente e inaspettato. Ricoverata d’urgenza, il bambino che ancora allattavo e dal quale non mi ero mai allontanata, una malattia che non conoscevo, il distacco dalla realtà e un orizzonte nero ben delineato. L’ho presa molto male. Il senso di colpa nei confronti di mio figlio mi devastava. Ogni sera, quando era accanto a me nella culla, gli chiedevo scusa per un futuro segnato da una madre malata. Poi l’auto-informazione sulla malattia con ricerche multiple sul web: le descrizioni con parole così fredde e incisive mi mettevano a terra. Intanto la vita continuava, con tutte le varie ed eventuali di ogni giorno, che fino a quel momento avevo ben gestito. Ma dopo quella diagnosi il fardello era talmente grande dentro, che ogni cosa era la goccia che faceva traboccare il vaso. Quando è arrivata la consapevolezza che la malattia poteva essere un’occasione? Ci è voluto molto tempo, sono passati anni dalla diagnosi. Ho sempre creduto che nulla capiti per caso e dalla mia ho la fortuna di essere una persona tanto forte quanto riflessiva e analitica. In molte notti insonni, mentre pensavo alle ragioni di questa malattia arrivata come un dono con tanto di fiocco, osservavo i battiscopa a cui per la prima volta non avevo tolto la polvere: mi sono accorta di una rigidità all’ennesima potenza. Tutto doveva filare come dicevo io, dal mio aspetto esteriore, alla casa, al lavoro... ero racchiusa in uno schema senza senso. Un giorno la ragazza che veniva ad aiutarmi nelle pulizie mi dice: «Alessandra, entro dentro casa tua ed è tutto già pulito, in ordine. Non ho neanche lo stimolo per mettermi a lavoro!». Così, visto che tendo spesso a giocare con le mie paure, ho imparato a lasciare in disordine: ho smesso di togliere la polvere ogni giorno, uscivo senza truccarmi, mi legavo i capelli senza l’aiuto del pettine. Ho SuperAbile INAIL imparato a uscire dai miei modelli di “perfezione”. La sclerosi multipla è una malattia ingestibile, può portarmi a non deambulare bene e dovrò utilizzare qualche aiuto: nella mia mente non c’era la possibilità di vedermi in sedia a ruote. Ma poi comprendi che la perfezione non esiste e ricercarla è solo un modo per farsi male. Perché ha deciso di rendere pubblica la sua storia? Perché ho trascorso anni di sofferenza fisica e mentale atroce, perché in quel periodo sono riuscita a guardarmi meglio dentro e intorno, perché toccando il fondo più nero mi sono rialzata a testa alta, perché ho capito che volgere lo sguardo da un altro lato può cambiare la vita e renderti felice o farti cadere in un baratro. Ho parlato con tante persone che hanno la mia stessa malattia e spesso ho sentito in loro la forte voglia di caderci in quel baratro, annientate dalle poche forze e da uno sguardo diretto nella parte sbagliata. Quello che vorrei dire con questo blog è che se ne può uscire con il sorriso sulle labbra: nonostante sedia a ruote, diplopia, dolori fisici e mentali atroci, problemi di linguaggio, l’esistenza non finisce, come non si fermano i sogni. Maga- 48 supplemento Luglio 2015 ri per raggiungerli ci sarà un percorso un po’ più in salita, ma centrare l’obiettivo sarà ancora più bello. Credo che l’essenza della vita non sia nel vivere un percorso in pianura, ma nel riuscire a essere felici per ogni piccolissima vetta raggiunta. Ora la cucina è diventata il suo lavoro. Ha cambiato vita, viaggia spesso... Per tanti anni mi sono sentita dire che avrei dovuto cambiare lavoro, che la mia cucina era speciale, fatta con il cuore. Ma non ci ho mai pensato seriamente. Poi la voglia di mettermi in discussione ha avuto la meglio. Partecipando a un programma online, Socialkitchen.it, ho conosciuto lo chef ideatore Antonio Marchello e ho capito che la cucina era davvero la strada che avrei voluto intraprendere. Ma una “cucina diversa”, nella quale si collegano ricette a momenti di vita. E da qui è arrivata anche la proposta di un impegno in diverse cucine “stellate”? Proprio così! Probabilmente la mia predisposizione al cambiamento è stata avvertita e quel treno, che prima non avrei neanche visto passare, in quel momento l’ho preso al volo. Ci sono salita con una valigia piena zeppa di voglia di imparare e di vivere la vita in una vera cucina, con tutta la fatica e le soddisfazioni. La prima occasione è arrivata dall’incontro con Tano Simonato. Sì: mi ha proposto uno stage nella sua cucina a Milano e sono partita. Un’avventura meravigliosa che mi ha permesso di fare il primo passo verso un mondo nuovo. Terminato questo periodo, ho avuto l’onore di essere contattata dallo chef Mauro Uliassi, che conoscevo già. Ma non avrei mai pensato che mi potesse dare l’opportunità di entrare nella sua cucina. Sembravo Alice nel Paese delle meraviglie il giorno che ho messo piede nel suo ristorante, composto da uno staff che assorbe ogni giorno la sua energia positiva, compresa me. Mesi nei quali non ho fatto altro che imparare ogni minimo secondo: tecniche, consigli, cotture, perfezione, precisione e un turbinio di adrenalina positiva pazzesca. E ora sta per iniziare una nuova avventura. Alcuni mesi fa, ho ricevuto una proposta: un progetto con lo chef Simone Salvini, avviato il 12 giugno scorso. Una nuova avventura in una cucina che negli ultimi tempi, a Roma, ho avuto modo di conoscere e studiare meglio. Si tratta di una cucina sana, biologica, vegana. Tuttavia, come sottolinea lui: non un cibo vegano imposto, ma offerto. Una splendida occasione per imparare, lavorando a fianco di un grande professionista e dando il meglio di me stessa. Infine, la domanda d’obbligo: il suo piatto preferito? In alto e a pag. 47, la food blogger Alessandra Petterini, a sinistra insieme allo chef Mauro Uliassi A me piace tutto, proprio tutto, ma dovendo scegliere ammetto che ho un debole per i piatti di pesce poco elaborati, dai quali si riesce ancora a sentire il profumo del mare... Mi permettono di viaggiarci dentro. SuperAbile INAIL 49 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre P iante aromatiche, campi strappati alle mafie, ma anche birra, pasta, pane. Dalla terra alla cucina il passo è breve. E tante, anche in questo caso, le testimonianze di persone disabili che hanno ritrovato il proprio posto nel mondo attraverso il lavoro. Grazie all’impegno delle cooperative sociali, i frutti di queste imprese arrivano su un mercato che li valuta per la qualità e il prezzo proposti ai clienti. Ma con una marcia in più: sono prodotti “speciali” e hanno una storia tutta da scoprire NEI CAMPI Coltivare e produrre Al Bettolino di Reggiolo All’interno della cooperativa sociale, nei pressi di Reggio Emilia, 27 lavoratori disabili producono, insieme ad altri, piantine aromatiche biologiche. Il segreto? Coniugare spirito imprenditoriale e innovazione tecnologica SuperAbile INAIL S Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo e a Cristian chiedi che cosa gli piace di più del suo lavoro, lui risponde «fare le scatole», dove poi andranno riposte le confezioni di basilico. A Macho invece non piace far niente, ma poi torna alla sua occupazione senza troppe storie. E se Chiara non vede l’ora di andare in pausa, Francesca è più silenziosa del solito perché deve «rimanere concentrata» sulle sue vaschette di salvia. «Abbiamo ordini molto grossi e non c’è il tempo di annoiarci», dice Cristina. Mentre Raffaele passa tutto il tempo ad attaccare le etichette nei coni di cellophane in cui andranno inseriti i vasi di rosmarino, ma «per me non è faticoso», ci tiene a sottolineare. Storie di ordinaria quotidianità all’interno delle serre e dei capannoni per la coltivazione integrata di piante aromatiche (il 70% verrà 52 supplemento Luglio 2015 il basilico sa di bio confezionato) e di piante di fiori prodotte dalla cooperativa sociale Il Bettolino di Reggiolo, in provincia di Reggio Emilia. Una realtà che, con il proprio marchio “Amici in campo” o con quello di clienti come “Ortoromi”, vende soprattutto alla grande distribuzione: Coop (Nord-est, Nord-ovest e Adriatica; sue le piantine “ViviVerde”), Conad Centro-nord, Realco (ovvero i supermercati Sigma), Cir Food. Nata nel 1989 grazie alla volontà della Cooperativa Muratori, e presto trasformata in attività di inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica o ritardo mentale, oggi la coop Il Bettolino conta 50 dipendenti, di cui 27 persone svantaggiate. A cui si aggiunge un mix di educatori e operai, più un’altra cinquantina di giovani in tirocinio formativo o stage, attivati grazie a progetti individuali e convenzioni con l’Asl e i servizi sociali della zona. E proprio la territorialità è alla base del bacino di utenza della cooperativa, che coinvolge gli otto Comuni dell’Unione della Bassa reggiana: Boretto, Brescello, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio e Reggiolo. Così la mattina «ad andare a prendere i nostri lavoratori speciali e a riaccompagnarli a casa, finito il loro turno, ci sono tre pulmini che fanno la spola tra le campagne», spiega la presidente Francesca Benelli. Non è facile, però, trovare la cooperativa: anche se tutti quelli che abitano in zona la conoscono, manca la segnaletica perché «abbiamo in corso una diatriba pubblica su dove posizionare il cartello», allarga le braccia la presidente del Bettolino, nome che deriva dalla frazione di Reggiolo in cui ha sede la cooperativa sociale. Ma appena entri il profumo di basilico – che qui è il prodotto di punta – e l’odore di terra si fanno subito sentire. Così, superati gli uffici am- SuperAbile INAIL 53 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre solida: dal 2011 si è convertita alla coltivazione biologica e dispone di 13mila metri quadrati di serre per la produzione di piante in vaso e di erbe aromatiche recise. Alcune di queste serre sono riscaldate grazie al biogas prodotto dalla decomposizione dei rifiuti urbani, utilizzando così fonti di energia alternativa. Il Bettolino fa parte di Legacoop Reggio Emilia e del Consorzio di cooperative sociali Quarantacinque, produce circa 80mila chilogrammi di basilico reciso all’anno (coltivato con metodo idroponico, ossia in plateaux di polistirolo immersi in contenitori d’acqua), oltre un milione di vaschette di piante aromatiche confezionate, 300mila vasi di basilico certificato bio e altrettanti vasi tra salvia, menta, timo, maggiorana, prezzemolo ed erba cipollina. Nel 2014 ha realizzato tre milioni di euro di fatturato e ha partecipato a Terra Madre, il Salone internazionale del gusto organizzato da Slow Food a Torino. Da cinque anni, poi, la cooperativa ha avviato una collaborazione con una ditta ligure per pro- Sopra, Cristian; nella pagina a fianco, in senso orario da sinistra, Chiara, Morena, Giulia e Cristina durante il loro turno di lavoro. A pag. 52, Chiara (a destra) con Giulia, un’operatrice del Bettolino. A pag. 53, Andrea, e alle pagg. 50-51 la serra ministrativi, ecco che un nugolo di cappellini, magliette e grembiuli blu ti guarda a metà tra l’incuriosito e lo scettico. C’è chi corre subito a chiederti «come ti chiami?» o «perché sei qui?» e magari ti abbraccia, chi inizia a chiacchierare e non si fermerebbe più e chi, invece, non ti degna di una parola. Ma è giusto così: in fondo stanno lavorando e non tutti hanno voglia di essere disturbati. Soprattutto quando bisogna pesare le erbe aromatiche, inserirle nelle vaschette di plastica che poi vanno messe sul rullo destinato a trasportarle nella macchina per il confezionamento e l’etichettatura. Alla fine di questa piccola “catena di montaggio”, le vaschette finiscono su un piatto girevole pronte per essere sistemate nelle scatole e spedite al cliente. Nelle terre di don Camillo e Peppone, frutto della fantasia di Giovannino Guareschi, la tradizione della cooperazione emiliana è forte. Il Bettolino, infatti, è una realtà sociale grande e SuperAbile INAIL durre pesto alla genovese a marchio “Amici in campo” e, grazie alle tecniche integrate per la coltivazione delle piante (cioè che limitano al minimo il ricorso ad agenti chimici), pone particolare attenzione all’ambiente circostante, al luogo di lavoro e alla salute dei propri dipendenti. Completano il quadro il confezionamento di posate di plastica e dei kit di condimento. «La nostra sfida più grande, a cui abbiamo puntato fin dagli esordi, è quella di stare sul mercato come fanno tutte le altre aziende: solo il 10% delle nostre attività è convenzionata con gli enti locali», precisa Benelli. Si tratta soprattutto di servizi ambientali che vanno dalla manutenzione del verde alla pulizia dei cimiteri, dalla raccolta di rifiuti ospedalieri a quella porta a porta di rifiuti ingombranti, fino alle gestione di alcune isole ecologiche vicine. «Cerchiamo di far emergere il valore sociale del nostro lavoro, ma senza nulla togliere alla qualità e alla competitività dei nostri prodotti e servizi – continua la presidente –. Non vogliamo che le nostre erbe aromatiche vengano comprate perché sono frutto dello sforzo di ragazzi disabili, ma perché sono buone». 54 supplemento Luglio 2015 Lo stesso vale per la bellezza delle piante fiorite: d’inverno stelle di Natale e ciclamini, in primavera soprattutto primule, viole e rose, d’estate gerani e, da quest’anno, anche girasoli. Altra novità recente è l’essersi trasformata in cooperativa di tipo misto, capace cioè di offrire non soltanto inserimenti professionali ma anche servizi socio-terapeutici riabilitativi. «È una richiesta che ci è arrivata dai Comuni, anche alla luce della nuova legge regionale che ha abolito le borse lavoro», spiega Barbara Leoni, responsabile del settore sociale. Quindi dal 2013 chi lavora al Bettolino – assunto o in tirocinio – ha la possibilità anche di praticare educazione motoria e seguire i laboratori di espressività artistica, nonché i corsi di cucina o di fotografia. E lo fa attraverso la rotazione di piccoli gruppi, sia perché la produzione non deve comunque fermarsi mai, sia perché il rapporto tra educatore e persona disabile deve essere sempre di uno a sei/sette. «Ma non tutti hanno preso bene questo cambiamento: per alcuni si è trattato di uno stimolo in più, mentre per altri è stato un po’ sminuente, soprattutto per coloro a cui piace lavorare e che sono orgogliosi di farlo. Per questo abbiamo mantenuto alta l’attività ergoterapica, ossia tutto quello che fa vera occupazione», dice la referente dell’area sociale. La giornata tipo del Bettolino, infatti, è scandita da due turni: quattro ore di lavoro la mattina (dalle otto a mezzogiorno, con una pausa di un quarto d’ora), per chi resta anche a mangiare si pranza tutti insieme nel vicino ristorante (convenzionato con la cooperativa) e alle 14 ciascuno riprende la propria mansione per finire alle 17. Non tutti, però, lavorano a tempo pieno: c’è anche chi fa solo mezza giornata, scegliendo il turno mattutino o pomeridiano in base alle diverse esigenze. In fondo è come se Il Bettolino fosse un grande gruppo di amici: «Si festeggiano tutti i compleanni, la domenica si va spesso in gita insieme e la sera al pub o in pizzeria – racconta Leoni –. Molti non hanno una famiglia alle spalle, soprattutto gli adulti, e vivono in appartamenti protetti o in altre strutture. Ma a volte si trovano alcune resistenze anche quando i genitori sono presenti, soprattutto quando considerano “stranezze caratteriali” la disabilità dei propri figli». Strano a pensarsi, perché dopotutto si tratta di dare dignità sociale, autonomia individuale e indipendenza economica alle persone. Per chi volesse visitare questa realtà, ogni anno la cooperativa organizza – a ridosso della Giornata internazionale delle persone con disabilità fissata al 3 dicembre – l’iniziativa “Porte aperte al Bettolino”. SuperAbile INAIL 55 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre Gustolab, dove l’arte bianca è padrona di casa Nel laboratorio milanese si sfornano ogni giorno 80 chili di bocconcini, biscotti e pizzette bio, che riforniscono il ristorante Gustop e alcune aziende del territorio. Grazie a sette panettieri disabili ’ L Elena Parasiliti/foto Marcello Terenghi unica barriera è un vetro che corre lungo le pareti bianche. Dietro, rapidi e precisi, perfettamente coordinati, si muovono cinque uomini. Chini attorno al tavolo da lavoro si scambiano poche istruzioni e molti sguardi. Le mani sporche di farina, le teglie pronte per essere infornate. Il profumo di pane fresco, che supera i muri e invade il minuscolo spazio vendita, esce dalla porta e attraversa questa strada della periferia Sud di Milano. È da questo laboratorio in via Santa Teresa 18/a che ogni giorno partono, alle sette del mattino in punto, i bocconcini “40 grammi bio” che i clienti dell’Ikea di Corsico e San Giuliano metteranno con un gesto automatico – senza neppure saperlo – sul proprio vassoio in pausa pranzo. A prepararli, i panettieri di Gustolab, un laboratorio di arte bianca biologica aperto dalla coSuperAbile INAIL operativa sociale Via Libera lo scorso anno. Un business doppiamente buono nella città che accoglie l’Expo e vanta una solida tradizione di panificatori e michette: «L’idea è nata dal fascino che il cibo esercita su tutti noi e dalla voglia di valorizzare al massimo le capacità delle persone», spiega Andrea Miotti, presidente della onlus L’Impronta, impegnata da 14 anni nel campo della disabilità. E che, insieme a Via Libera, in poco meno di tre anni ha inaugurato, oltre a questa attività, anche il ristorante self-service Gustop, divenuto un piccolo caso di eccellenza gastronomica e solidale, e la tipografia Altrostampo. Ventisette dipendenti in tutto, di cui 17 con disabilità, per lo più cognitiva. Le assunzioni, però, non sono ancora finite. «Cerchiamo un autista che si occupi dei trasporti catering. Aspettiamo le segnalazioni delle agenzie di lavoro, ma anche i curricula. Sappiamo già che saremo travolti», scherza il presidente. Perché, se 56 supplemento Luglio 2015 il periodo è nero per tutti, per le persone disabili trovare un’occupazione che non sia un semplice “passatempo” è come vincere alla lotteria. «Il rapporto di lavoro varia: al ristorante abbiamo già attivato dei contratti a tempo indeterminato, sulla panetteria ci arriveremo presto – spiega –. In 13 mesi abbiamo raggiunto il punto di sostenibilità e oggi abbiamo a contratto sette persone con disabilità: part-time da 20 ore settimanali e 750 euro netti al mese». Una vittoria in termini di numeri, ma non solo. Perché per produrre quotidianamente 80 chili di bocconcini, biscotti, focaccine e pizzette per 358 giorni all’anno – soltanto sette quelli di chiusura previsti dalla committenza – ci vogliono dedizione, persone competenti e una buona “strategia”. «Tutto merito delle nostre fermalievito – si schermisce Marcello Terenghi, omone con i baffi e il sorriso aperto, indicando quelli che all’apparenza sembrano due grossi frigoriferi –. Grazie a loro possiamo far bene il nostro lavoro, senza pretendere che i panettieri siano impegnati per tutta la notte», dice, presentando uno a uno non solo i lavoratori ma anche i macchinari che rendono “accessibile” Gustolab. Così Giovanni, 22 anni, può arrivare al lavoro alle sette in “autonomia”, senza bisogno di chiedere un passaggio in auto a parenti o colleghi, e dedicarsi alla preparazione degli impasti sotto la supervisione dei panettieri “esperti”, Emanuele e Gustavo. Pesa gli ingredienti con attenzione, soprattutto il sale, li inserisce nell’impastatrice a spirale, li porziona con le spezzettatrici e, dopo un po’ di riposo, allinea i futuri panini sulle teglie. Lieviteranno lentamente per 15-20 ore, fino alla mattina successiva, quando saranno pronti per essere infornati. «Sono responsabile di questa lavorazione e il mio compito è quello di facilitare il lavoro degli altri panettieri – dice con orgoglio –. Ho studiato per fare questo mestiere, mi sono diplomato a Villa Igea a Lodi e ora sono felice di essere qui. La mia specialità? Le brioches». Qualcuno bussa sul vetro e, prima di uscire dal negozio, saluta con la mano. L’ennesimo cliente della mattina. In 20 minuti ne sono entrati almeno sei. Dal signore anziano che si è fatto mettere via «il solito», alla ragazza in leggings e sciarpone che ha mangiato al volo un trancio di pizza. «Le nostre commesse arrivano da grandi aziende, come Ikea e Banca Mediolanum, per cui gestiamo uno spaccio di pane (in ottemperanza alla legge 68 sul collocamento obbligatorio, ndr), o dal nostro ristorante, ma volevamo che il punto vendita fosse un luogo accogliente anche per il quartiere», spiega il presidente della cooperativa. Tre volte a settimana, il laboratorio ospita corsi trimestrali per chi ha una disabilità più grave. «L’importante è che alla fine delle tre ore i partecipanti abbiano fra le mani un prodotto finito – spiega Marcello, coordinatore dei corsi –, assaggiarlo insieme ci permette di discuterne pregi e difetti». Come stanno facendo Fabio e Michele, che controllano la doratura delle loro focaccine prima di portarle ai compagni del centro diurno che frequentano. «Cucino anche a casa – conferma Fabio, 28 anni –, anche se il mio sogno è fare un corso di giardinaggio. Per insegnare». Ambizioso, verrebbe da pensare, ma è così che nascono le grandi imprese. Perché il segreto sta nella pasta di cui sono fatti prima di tutto gli uomini che ci lavorano. SuperAbile INAIL 57 supplemento Luglio 2015 A fianco, i panettieri di Gustolab nel laboratorio di via Santa Teresa, a Milano NEI CAMPI Coltivare e produrre Non siamo a Gomorra. La cucina antimafia di Nco Nella Terra dei fuochi la Nuova cucina organizzata è un progetto di resistenza a ogni forma di illegalità. Che parte dai frutti della terra e dal lavoro di persone disabili o in situazione di disagio I Eleonora Camilli/foto Mauro Pagnano l riscatto, a volte, può venire anche da una pizza margherita fatta bene. Se il suo pomodoro è stato prodotto in un terreno confiscato alla mafia e se a prepararla ci ha pensato una persona con disagio psichico che, attraverso la cucina, ha trovato il suo modo di inserirsi nella società. È per questo che a Casal di Principe (Caserta), terra famosa come il regno di Gomorra, è nata la Nuova cucina organizzata. Un proSuperAbile INAIL getto di resistenza a ogni forma di illegalità, che già nel nome ha il sapore della sfida, con quell’acronimo Nco, di solito usato per indicare la Nuova camorra organizzata. Ma qui di mafia non ne vogliono più sentir parlare. «Non siamo a Gomorra – ripetono –. Bensì nelle terre sognate da don Peppe Diana», freddato in sacrestia da cinque colpi di pistola il 19 marzo 1994. La provocazione, infatti, è proprio questa: trasformare quella che nell’immaginario collettivo è la culla della crimi- 58 supplemento Luglio 2015 nalità, non solo per lo strapotere della camorra ma anche per la concentrazione di rifiuti tossici che le hanno valso l’appellativo di “Terra dei fuochi”, in un luogo di riscatto sociale per la comunità che vi abita, e in particolare per le persone svantaggiate. Sono circa 60, infatti, le persone inserite nel progetto: la maggior parte ha un disagio psichico, altri hanno la sindrome di Down o sono tossicodipendenti. Nco ha preso il via nel 2012 da cinque cooperative sociali, che si occupano di disagio, dipendenza e malattia mentale, riunite nel Nuovo consorzio organizzato. «La nostra mission è l’inserimento lavorativo delle persone con problemi – spiega Giuliano Ciano, presidente del consorzio –. In particolare, ci occupiamo di ristorazione e agricoltura sociale nei luoghi simbolo della camorra. La nostra idea è quella di riutilizzare i beni confiscati alle mafie e simbolo del malaffare per restituirli alla cittadinanza, che può venirci a mangiare, a comprare i prodotti o anche intervenire nei diversi eventi culturali che proponiamo». Il ripristino della legalità passa attraverso un diverso approccio con la natura e il territorio, e ha un’impronta altamente inclusiva. Il progetto di agricoltura sociale è portato avanti con le persone disabili e sorge all’interno dell’ex manicomio civile di Aversa. Qui si coltivano i pomodori, le melanzane e gli altri prodotti della terra venduti al pubblico anche grazie all’iniziativa natalizia “Facciamo un pacco alla camorra”, che promuove pacchi dono con la produzione di Libera terra e all’interno dei beni confiscati. una patologia schizofrenico-maniacale e una famiglia alle spalle molto problematica, poter entrare a far parte di questo progetto è stata una vera rinascita. Qui ha trovato non solo un modo per realizzarsi, ma anche un supporto specialistico da parte degli operatori della cooperativa e del personale medico che assiste il progetto. Una parte del raccolto è utilizzata poi nei tre ristoranti della Nuova cucina organizzata: l’agritu- rismo Fuori di Zucca di Aversa, il locale di San Cipriano e la pizzeria Nco di Casal di Principe. Quest’ultimo situato oggi nella villa che fu del boss Mario Caterina. All’interno lavorano tre persone con disagio psichico e un ragazzo con sindrome di Down, Paolo, di 26 anni. A lui è affidato il compito di direttore di sala, mentre Marianna, 27 anni, lavora in cucina. Per lei, che ha Nelle foto, le attività nei campi e – a pag. 60 – nel ristorante della Nuova cucina organizzata «Sperimentiamo un modello di integrazione sociosanitaria che va sotto il nome di “Budget di salute mentale”: il metodo prevede il lavoro congiunto tra Asl e organizzazioni sociali – spiega Peppe Pagano, della cooperativa Agropoli, responsabile della Nuova cucina organizzata –. In pratica, anziché tenere le persone nelle strutture sanitarie, si prevedono per loro dei percorsi di autonomia. Alcuni dei nostri lavoratori vivono nei gruppi di convivenza e poi vengono impiegati nel- SuperAbile INAIL 59 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre le attività del consorzio». È il caso di Vincenzo, 46 anni, anche lui con una patologia schizofrenico-maniacale. Entrambi i genitori non sono più in grado di occuparsi di lui, perché la madre soffre di Alzheimer e il padre ha un invecchiamento precoce. «In casa non può stare – aggiunge Pagano –, così in passato ha avuto diversi ricoveri. Oggi vive nel gruppo di convivenza avviato dalla cooperativa e lavora nel ristorante di Casal di Principe. Il suo percorso di autonomia è monitorato dagli assistenti sociali della Asl, ma gestito da noi. Se non ci fosse questa opportunità, sarebbe in una clinica». In una struttura per anziani, invece, viveva Romualdo, 57 anni, prima di entrare a far parte della Nco. Ci era finito dopo la morte della madre, un dolore che l’aveva fatto cadere nell’alcolismo e che aveva acuito i suoi problemi psichici. Ma la sua età, non compatibile con la struttura che lo ospitava, ha costretto la Asl a trovargli un altro posto dove stare. E così è cominciata la sua avventura all’interno del progetto, di cui oggi è una colonna portante: istruisce e monitora i nuovi arrivati. «Nel nostro ristorante gli abbiamo dato il ruolo di capofamiglia, perché il suo è stato un percorso riabilitativo davvero importante – continua Pagano –. A San Cipriano gli hanno conferito addirittura la cittadinanza onoraria, che lo indica come professore di vita perché ha dimostrato che si può uscire dalle difficoltà. E ora è un esempio per la comunità». SuperAbile INAIL Quello della Nuova cucina organizzata è un progetto riuscito di inclusione e riscatto, che riesce a stare sul mercato, nonostante la crisi. Tanti sono i clienti abituali che vanno a mangiare nei ristoranti del consorzio, dove i prodotti sono rigorosamente locali: dalle mozzarelle di bufala alla pasta di Gragnano. E c’è chi non rinuncia a comprare i prodotti della terra coltivati nella fattoria sociale. «Questo luogo è tristemente famoso come Terra dei fuochi e abbiamo dovuto lottare per vincere la paura delle persone sull’inquinamento ambientale – afferma Ciano –. Ma i nostri terreni sono tutti scrupolosamente controllati, così come quello che produciamo». Tuttavia, di battaglie i promotori di Nco ne hanno dovute affrontare molte. Innanzitutto quella contro lo stigma sociale. «Nessuno inizialmente voleva i malati vicino casa, perché nell’opinione pubblica il malato di mente è un serial killer, una persona pericolosa – aggiunge Pagano –. Ma il contatto quotidiano ha fatto conoscere chi sono davvero e oggi, quando uno di loro entra in un bar, fanno a gara per offrirgli un caffè». L’altra lotta, ancora più dura, contro la criminalità organizzata. «Abbiamo ricevuto tante intimidazioni – spiegano –: tubi dell’acqua tagliati, spari contro il ristorante-pizzeria, minacce. Ma non ci arrendiamo. Vogliamo che il sogno di don Diana, di una terra libera dalla camorra, diventi realtà». 60 supplemento Luglio 2015 Vecchia Orsa, il retrogusto sociale della birra Con un prodotto artigianale di qualità il micro-birrificio di San Giovanni in Persiceto si fa conoscere in tutta Italia: all’attivo, tre premi e una chiocciola Slow food. Storia di una piccola impresa che ha fatto scuola nell’entroterra bolognese. E non solo D Michela Trigari/foto Stefano Dal Pozzolo ieci tipi di birre, tutte artigianali, e un’etichetta disegnata ad hoc. Bionde, scure, bianche, ale, weisse e con spezie, compresa la biologica “Biolca” e la neonata “Rye Charles” (una stout brassata utilizzando anche la segale). Tutte prodotte dal SuperAbile INAIL micro-birrificio Vecchia Orsa di San Giovanni in Persiceto (Bologna), gestito dalla cooperativa sociale FattoriAbilità. Sì, perché dietro orzo e luppolo fermentati, intrecci aromatici, note fruttate, colori ambrati e retrogusti più o meno persistenti, ci sono anche tre soci lavoratori con disabilità regolarmente assunti – Mimmo, Valerio e Mar- 61 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre co –, alcuni ragazzi in tirocinio formativo o stage in convenzione con la Asl (attualmente Valentina ed Emanuele) e una rete di volontariato che si collega in particolare agli scout, tutti diretti dal sapere del mastro birraio Enrico Govoni. Lavoratori che producono e partecipano a un progetto imprenditoriale. «La nostra mission, fin dagli esordi della cooperativa nel 2006 in una casa di campagna a Crevalcore – la corte “Orsetta vecchia”, da cui il nome del birrificio –, è sempre stata quella di creare posti di lavoro per le persone svantaggiate», spiega il presidente di FattoriAbilità Michele Clementel. Poi, con il boom delle birre artigianali, «siamo pian piano cresciuti»: tre premi vinti al concorso “Birra dell’anno” (per “Aurora” e “Utopia”) e la “chiocciola” Slow Food nella Guida alle Birre d’Italia 2015 hanno fatto della Vecchia Orsa una realtà piccola ma molto apprezzata. Inoltre «la sfortuna del terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012, e che ha reso inagibili i noSuperAbile INAIL stri vecchi locali, ci ha paradossalmente aiutati: la tanta solidarietà e le donazioni ricevute ci hanno permesso non solo di continuare a produrre grazie all’ospitalità di altri birrifici artigianali ma, soprattutto, di trasferirci in un nuovo capannone di 400 metri quadrati, di dotarci di un furgone con il nostro logo e soprattutto di acquistare un ammostatore, un tino-filtro, un bollitore e due fermentatori/maturatori più grandi». Stessa cosa dicasi anche per la cella calda, per quella di stoccaggio e per i due generatori: uno di vapore, l’altro di acqua gelida. Così la produzione del birrificio Vecchia Orsa è passata dai 300 ettolitri l’anno dei primi tempi agli attuali 700. «Ma siamo pur sempre una realtà che deve saper stare sul mercato: un’impresa sociale che deve guardare alla qualità del suo prodotto e che richiede una gestione economicofinanziaria oculata ed efficiente, senza dimenticare l’attenzione alle persone, al servizio e alla dignità del lavoro», sottolinea Andrea Mazzucchi, uno dei soci fondatori della cooperativa ed ex maratoneta disabile. «Nell’equilibrio di queste due anime risiede la nostra forza – aggiunge –. E in un periodo di crisi delle cooperative, nonché di maggiore concorrenza per il proliferare delle birre artigianali, l’essere competitivi è stata la nostra salvezza». L’altra grande novità del post terremoto è stata l’apertura dello spaccio per la vendita diretta, con zona degustazione. Così, appena si arriva alla Vecchia Orsa, quello che colpisce è l’ambiente confortevole e informale dei tavolini e dei divanetti realizzati dando nuova vita a vecchi bancali: una sorta di pub con una vetrata trasparente che permette di guardare la filiera produttiva. Un’altalena attaccata al soffitto, il bancone con la spillatrice e la possibilità di assaggiare salumi e formaggi, o di ordinarsi una pizza da asporto, completano quello che può definirsi un vero locale (anche se piccolo). Al birrificio non ci si annoia mai. Ogni giorno di lavoro, infatti, non è mai uguale a se stesso: lunedì pulizie, preparazione degli ordini e programmazione settimanale; martedì e venerdì etichettatura; mercoledì cotta (cioè produzione 62 supplemento Luglio 2015 del mosto) e giovedì imbottigliamento. E se per Mimmo lavorare «è divertente, perché mi piace tutto», per Valerio ci sono mansioni faticose, «ma ormai ci sono abituato». Al momento attorno al birrificio gravitano 35 soci, tra sovventori e prestatori, più un’altra quindicina di persone: otto sono stipendiate, due sono volontarie e le restanti sono ragazzi e ragazze pagati con i voucher per occuparsi della gestione serale della zona degustazione. Ma chi sono i clienti della Vecchia Orsa? A parte i privati, che vanno direttamente allo spaccio di San Giovanni in Persiceto, «il grosso del nostro fatturato arriva dai rivenditori, dai locali che hanno la nostra birra alla spina e dai gruppi di acquisto solidali – spiega Clementel –. Anche Natale è, paradossalmente, un buon periodo per noi, grazie soprattutto alle confezioni regalo. Senza dimenticare gli eventi a cui partecipiamo: qualche sagra paesana del bolognese e soprattutto le fiere di settore». Tra cui, quest’anno, la manifestazione internazionale dei birrifici indipendenti “Beer Attraction”, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fa’ la cosa giusta”, il festival del commercio equosolidale “Terra equa” e, a settembre, il “Cheese” di Torino, organizzato da Slow Food. «Tutti eventi che ci danno modo di sottolineare e di trasmettere le mani diversamente abili che stanno dietro il nostro prodotto», conclude il presidente della cooperativa. Accanto al birrificio, nel 2013 si è aggiunto anche il progetto “Gli asini del re” (attività assistite con gli animali, in particolare asinelli e caprette), che FattoriAbilità gestisce insieme alla cooperativa sociale Open Group nel centro “Maieutica” sempre a San Giovanni in Persiceto. Sopra, Valentina e – a pag. 61 – Mimmo, lavoratori della Vecchia Orsa all’opera. A sinistra, l’insegna del birrificio SuperAbile INAIL 63 supplemento Luglio 2015 NEI CAMPI Coltivare e produrre “Capezzaia”, la pasta fresca con un sapore speciale Giada, Michele, Simone hanno una lieve disabilità e lavorano nella filiera di produzione, dopo aver frequentato un laboratorio sociale presso la Comunità di Capodarco, a Roma. Assunti part-time a tempo indeterminato, sperano che altri possano condividere il loro sogno di autonomia C Laura Badaracchi/foto Stefano Dal Pozzolo appelletti e ravioli, cannelloni e pappardelle, fettuccine e tonnarelli, chicche e gnocchi di patate, tutti targati “Pasta di Capezzaia”. Un marchio speciale, perché nello stabilimento di Santa Palomba, a Sud della Capitale, dal lunedì al venerdì preparano i pacchi, etichettano e controllano la filiera di produzione Giada, Michele e Simone, persone con lieve disabilità che hanno frequentato un laboratorio sociale della Comunità di Capodarco di Roma. Esperienza che consente a persone disabili tra i 20 e i 50 anni di imparare a impastare e preparare sfoglie all’uovo. Per loro tre questo passatempo creativo si è trasformato in un lavoro part-time che sperano diventi a tempo pieno. Un’occupazione a tutti gli effetti, con un contratto a tempo indeterminato, che ha consentito a Giada di acquistare un’automobile, e che agevola Michele e Simone nell’autonomia economica. «Al momento i nostri prodotti sono presenti nelle Coop del Lazio e presso i supermercati DeSuperAbile INAIL spar, Eurospar e In grande della regione. Inoltre si trovano in due market Simply a Roma, che al loro interno hanno come lavoratori alcuni ragazzi provenienti dalla Comunità di Capodarco. Siamo cresciuti, piano piano, ma ci vorrebbe sempre una spinta in più per consentire al progetto di allargarsi e di offrire occupazione ad altre persone, anche perché la produzione è di ottima qualità», fa notare Gianluca Rossi, alle spalle un’esperienza ultraventennale come pastaio, responsabile della produzione e coordinatore di “Pasta di Capezzaia”. «I ragazzi si sono integrati perfettamente con gli altri lavoratori. Sono bravi nelle mansioni che sono chiamati a svolgere, sempre pronti a imparare e a darsi da fare». Nello stabilimento compaiono anche altri marchi, dato che la struttura si estende per circa 1.800 metri quadrati, escluNella foto Giada, Michele e Simone al lavoro nello stabilimento di Santa Palomba, a Sud della Capitale 64 supplemento Luglio 2015 si altri 500 di celle frigorifere. «Le materie prime to realizzato grazie a un bando di concorso e a vengono selezionate e monitorate in maniera co- un finanziamento di 160mila euro raccolti attrastante – aggiunge Rossi –. Tutti i nostri fornito- verso le donazioni dei punti spesa dei soci Coop, ri sono certificati, quindi maggior garanzia nella «con l’obiettivo principale di inserire al lavoro sicurezza della qualità della materia prima, ogm persone con disabilità. La pasta fresca, già spefree. I ripieni sono preparati quotidianamente: rimentata nel laboratorio sociale, ci è sembrata soffritti di carne bovina fresca con sedano, ca- adatta. Poi l’Italia è il Paese della pasta, e “Capezrote, cipolle, “come fatti in casa”; besciamella e zaia” è pasta fresca all’uovo». La filosofia di fondo? «Non ci può essere sosalse vengono realizzate con il latte Uht e non in polvere, senza additivi e conservanti. E la sfoglia lo un welfare che paga i servizi e o che si limiè soltanto di semola di grano duro, composta da ta ad assistere – rimarca Politano –: deve essere ben sei uova». inclusivo e, quando possibile, in grado anche di sganciarsi dallo Stato. Le persone disabili che laCapezzaia ha un significato ben preciso: si trat- vorano sono inserite e si sostengono da sole: un ta del margine inutilizzato dei campi, la parte in- duplice vantaggio. Con la speranza di creare ricolta «dove gira il trattore: apparentemente non sorse anche per altri. Perché è possibile realizserve a nulla, ma se non ci fosse il trattore non zare prodotti ottimi rispettando la qualità del potrebbe girare e portare benefici al resto del- lavoro, nella consapevolezza della sempre magla coltura», sottolinea Rossi. «Una metafora di gior difficoltà di reperire risorse per la spesa sochi sembra inutile e invece può diventare risor- ciale e nella direzione di far diventare soggetti sa», osserva Luigi Politano, della Comunità di attivi di un’economia etico-sociale i consumatoCapodarco di Roma. Che ha creduto al proget- ri, le imprese profit, il non profit e gli enti locali». SuperAbile INAIL 65 supplemento Luglio 2015 il libro Qualità della vita Buone ricette per recuperare il gusto del cibo. Nonostante la disfagia Carla Chiaramoni U n libro può aiutare a cambiare la vita, concretamente. È quello che è accaduto a Bruna, mamma di due ragazzi di 25 e 17 anni, entrambi colpiti dalla distrofia muscolare di Duchenne, con problemi progressivi di mobilità e deglutizione. Bruna gestisce quotidianamente la difficoltà di cucinare cibi diversi per lei e suo marito e di mantenere per i figli una dieta in grado di nutrire adeguatamente e rendere allo stesso tempo sicuro il pasto. Una mole di lavoro di non poco conto, se si considera quanto sia impegnativa la presa in carico di due figli con disabilità. Durante un ricovero presso il Centro clinico Nemo al Niguarda di Milano, Bruna ha scoperto l’esistenza di un ricettario dedicato, voluto da chi tutti i giorni si confronta con questo problema: Roberto Frullini, presidente della Fondazione Dante Paladini, che in prima persona sperimenta queste difficoltà, e Alberto Fontana, presidente di Fondazione Serena onlus, ente gestore del Centro clinico Nemo, affetto da atrofia muscolare spinale. L’incontro con due grandi chef, Mauro Uliassi e Paolo Piaggesi, ha dato vita nel 2013 a Nutrirsi con gusto, prezioso volume fotografico (pagine 117, euro 20) dedicato a chi soffre di disfagia, ma pensato anche per familiari, caregiver, logopedisti, nutrizionisti e dietisti. La difficoltà di deglutire cibo o liquidi colpisce circa il 70% di chi è affetto da malattie neuromuscolari e rappresenta «un percorso inevitabile per molte persone che soffrono di patologie come sclerosi SuperAbile INAIL laterale amiotrofica, atrofia muscolare spinale e alcune forme di distrofia», spiega Roberto Frullini, che ha curato il coordinamento editoriale. Gli chef hanno lavorato con la consulenza di uno staff medico (Savina Bramucci, Michela Coccia e Massimiliano Petrelli) e hanno ideato un ampio menù, che va dall’antipasto al dolce, completo da un punto di vista nutrizionale e in grado di soddisfare l’occhio oltre che il palato. L’obiettivo infatti non è solo il superamento degli ostacoli oggettivi legati all’alimentazione, ma anche recuperare il piacere del cibo, il gusto degli alimenti. «La collaborazione con lo chef Uliassi – spiega Frullini – è cresciuta nel corso degli anni, con una presa di consapevolezza dei molteplici problemi dei malati neuromuscolari. Essendo la disfagia legata al mondo del cibo, è stato quasi naturale ideare un’iniziativa che potesse essere di supporto per affrontare questa problematica. Le ricette sono state selezionate dagli chef, tenendo presente le caratteristiche degli alimenti, la difficoltà di esecuzione per i caregiver, le tecniche di conservazione e rigenerazione». Inoltre il presidente della Fondazione Dante Paladini ci tiene a sottolineare: «Mauro e Paolo lavorano insieme da anni e amano profondamente la loro professione. Incontrarli è stata una esperienza densa di emozioni e positività». Tante le presentazioni di questo ricettario, che proseguono anche con un intento solidale: il ricavato delle vendite, infatti, è devoluto al Centro clinico Nemo (Centrocliniconemo.it). «La mia vita è cambiata in meglio – racconta Bruna –. Oggi preparo un unico menù che poi omogeneizzo o frullo in base alle esigenze dei miei figli. Loro gradiscono molto, perché si tratta di cibi buoni, mentre prima ero costretta a preparare pappette spesso insapori. In poche parole, è contenta tutta la famiglia». Per ulteriori informazioni e richieste di copie, tel. 02/91433779, [email protected]. 66 supplemento Luglio 2015 INAIL risponde è un servizio con il quale gli utenti registrati al Portale istituzionale possono contattare l’Istituto attraverso un form strutturato per richiedere: • • • informazioni o chiarimenti sull’utilizzo dei servizi online approfondimenti normativi e procedurali integrazioni dei contenuti informativi presenti sul Portale Internet I vantaggi di INAIL risponde sono individuati nella: • • • • riduzione dei tempi di attesa certezza della presa in carico certificazione delle risposte gestione strutturata e tracciatura dei contatti Il canale di accesso all’applicazione è il Portale www.inail.it • • Contatti Punto Cliente Per l’accesso al servizio è necessario che l’utente sia registrato sul Portale Inail.