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Cassa malati unica: davvero sexy?
TACCUINO PRESIDENZIALE Il Presidente OMCT dr. Franco Denti ha cortesemente messo a disposizione la pagina del primo numero di gennaio affinché vi sia trattato un tema “caldo” e di interesse generale per la classe medica. Quale Segretaria Generale amministrativa OMCT, ritengo che uno dei temi che devono pre/occupare la categoria degli operatori sanitari sia la prossima votazione sulla Cassa malati unica, legata al finanziamento in base al reddito. Il dr. Ignazio Cassis, molto attento agli aspetti futuri della politica sanitaria, et pour cause!, mi ha segnalato le sue seguenti riflessioni, che ritengo assai importante far condividere, dalle pagine del Taccuino, ai membri dell'Ordine, quale spunto per lanciare un'ampia discussione. Colgo l'occasione per porgere a tutti i lettori di TMT gli auguri di un proficuo 2007! Avv. Francesca Gemnetti SGA OMCT Cassa malati unica: davvero sexy? È una proposta ammaliante, eppur non convince. Il Consiglio nazionale l'ha bocciata con 109 voti contrari contro 61 favorevoli; agli Stati 31 contro 7. Il Consiglio Federale raccomanda di respingere quest'iniziativa popolare lanciata nella Svizzera romanda dal Movimento popolare delle famiglie (MPF) e sostenuta dalla sinistra. Il prossimo 11 marzo decideremo: se l'iniziativa sarà accolta, la Costituzione sarà modificata ed entro il 10 marzo 2010 il Parlamento federale dovrà varare una legge che sostituisca le attuali 85 casse malati con un'unica cassa malati. Questa sarà sottoposta a controllo democratico (assicurati, operatori sanitari e Stato) e stabilirà i premi da applicare in funzione della forza finanziaria del cittadino. Le sirene Questa proposta piace a molti. Piace a cittadini e medici sempre più infastiditi dallo strapotere delle casse malati, criticate per comportarsi come aziende a scopo di lucro, per spendere soldi in una sterile concorrenza volta alla conquista di nuovi assicurati giovani e sani, i cosiddetti “buoni rischi”, che costano poco e rendono. Sappiamo che l'attuale meccanismo di compensazione dei rischi, basato su età e sesso, è alquanto lacunoso e che alle casse malati rende bene procacciare buoni rischi. Se però vogliamo impedire agli assicuratori di fare il loro mestiere (cercare buoni rischi), dobbiamo rivedere alla base l'architettura del sistema sanitario svizzero: l'iniziativa in questione rappresenterebbe un primo – ancorché insufficiente – passo. Inoltre negli ultimi anni alcune casse sono effettivamente diventate veri e propri colossi assicurativi: erano 246 nel 1990, 110 nel 2000 e ne sono rimaste oggi 85. Tra queste tuttavia 25 appartengono a quattro giganti che dominano il mercato, accaparrandosi la metà degli svizzeri: i gruppi Helsana, CSS, Mutuel e Visana assicurano insieme circa 3,5 Mio di cittadini. A questo punto molti si chiedono: se in fin dei conti ne restano soltanto 4 o 5, tanto potenti da creare un cartello e sfuggire al labile controllo delle autorità federale … tanto vale crearne una sola con maggior controllo pubblico. Altro buon argomento! Infine l'annosa questione dei premi. La sinistra martella lo slogan della vergogna: in Svizzera ricchi e poveri finanzierebbero il sistema sanitario in ugual misura, perché pagano lo stesso premio di cassa malati! Se davvero così fosse, anche per il PLR si tratterebbe di una palese ingiustizia sociale. In realtà dei 60 Miliardi di franchi che spendiamo annualmente in Svizzera per la salute, 20 circa provengono dai premi di cassa malati, altri 20 sono raccolti in modo sociale con il fisco (e qui i benestanti pagano una bella fetta), e gli ultimi 20 sono lasciati alla discrezione del singolo cittadino (contanti e assicurazioni complementari). Dei 60 Miliardi solo 20 derivano dunque da premi di cassa malati uguali per tutti … che poi sono uguali sono in teoria, perché un terzo dei cittadini beneficia dei sussidi statali: 4 Miliardi estratti dagli introiti fiscali. Restano perciò 16 Miliardi su 60 (26%) che sono “uguali per quasi tutti”: un franco su 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 3 TACCUINO PRESIDENZIALE quattro raccolto “pro-capite” mi pare una cifra difendibile, il cui effetto benefico è quello di richiamare il cittadino alle sue responsabilità, rendendolo attento ai costi che genera. Gli abbagli Il tranello più grande consiste nel credere che quest'iniziativa permetta di arrestare la crescita dei costi della salute: tutti gli esperti concordano nel dire che ciò è illusorio. I costi della salute continueranno a crescere in assenza di carestie o guerre: il nostro sogno d'immortalità, ben alimentato dall'industria della salute, non tramonterà. Oggi investiamo l'11,6% del PIL per la nostra salute-salvezza e le proiezioni parlano del 30% del 2050, con o senza cassa malati unica: tutto questo testimonia del cambio culturale in corso, che vede il paziente diventare sempre più cliente e sempre più estraneo al principio assicurativo mutualistico. L'efficienza: che un istituto assicurativo nazionale funzioni dal profilo dell'efficienza meglio che una pluralità di assicuratori, va ancora dimostrato. Di sicuro disturbano gli atteggiamenti goffi e spocchiosi di alcune compagnie assicurative, così come disturba che esse spendano 3,7 Milioni dei nostri premi per convincerci a votare contro l'iniziativa che toglie loro potere. Ma è un motivo sufficiente per mettere a soqquadro il sistema sanitario svizzero, tutto sommato ancora apprezzato dalla maggioranza della popolazione? La burocrazia: I medici sono logorati dall'eccesso di burocrazia inutile imposta dagli assicuratori, tanto che un recente sondaggio nel Canton VD stima il loro sostegno dell'iniziativa al 60%. Tuttavia è illusorio pensare che un'unica cassa malati sia meno attenta ai costi delle prestazioni, perché migliorerà la trasparenza dei costi, auspicata da molti ma temuta da tutti. I controlli degli assicuratori sono un male necessario, perché occorre garantire agli assicurati che i soldi intascati con i premi siano spesi correttamente. Le casse malati hanno 4 iniziato a farlo e la loro azione migliorerà col tempo. Premi secondo la ricchezza: i sistemi sanitari dei paesi occidentali sono di due tipi, quelli assicurativi (come Svizzera, Germania, Austria, Francia) e quelli fiscali (Inghilterra, Italia, Svezia). Nessuno riesce a tenere in pareggio i bilanci. Quelli assicurativi costano circa 1% di PIL in più, ma offrono più confort (meno liste d'attesa, cure più individualizzate, ecc.). L'iniziativa per una cassa malati unica non è né carne, né pesce: propone una nuova via senza però avere il coraggio di mollare la vecchia e di andare fino in fondo. Introduce un premio assicurativo basato sulla ricchezza (redito e sostanza) creando un sistema “fiscale” parallelo a quello già esistente, ma mantiene un modello assicurativo. Orbene un cambiamento epocale come proposto comporta pesanti costi: liquidazione delle attuali compagnia assicurative, gestione dei contenziosi, instabilità del sistema, sorprese varie. Il santo vale la candela? È difficile convincersene. Democrazia: l'idea di un forte controllo democratico della nuova cassa malati unica – per il tramite della gestione tripartita – è certamente politically correct. Ma come gestire con efficienza un'azienda sotto l'influsso di forze politiche divergenti e di segno opposto? Se pensiamo alla pena dei Governi a svolgere un'azione incisiva in una società vieppiù polarizzata, le premesse non sono incoraggianti. Fattibilità: negli ultimi 4 anni il Parlamento federale è stato incapace di portare a termine una riforma della LAMal pur ritenuta da tutti necessaria e urgente. Chi crede che entro tre anni si possa letteralmente riformare il sistema? A prima vista sexy, quest'iniziativa mostra tutti i suoi limiti non appena la si guarda più da vicino. Il finanziamento del nostro sistema sanitario presenta qualche pecca, ma quando abbiamo bisogno di prestazioni, le otteniamo rapidamente e la fattura è per la maggioranza pagabile. Migliorare il sistema è un dovere di cui si avverte la necessità, ma avviare una rivoluzione appare un impresa un po' eccessiva e sproporzionata. Dr. med.Ignazio Cassis, medico, FMH prevenzione e salute pubblica La Costituzione federale del 18 aprile 1999 è modificata come segue: Art. 117 cpv. 3 (nuovo) 3La Confederazione istituisce una cassa unica per l'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie. Il consiglio d'amministrazione e il consiglio di vigilanza della cassa comprendono un pari numero di rappresentanti dei poteri pubblici, dei fornitori di prestazioni e delle organizzazioni di difesa degli assicurati. La legge disciplina il finanziamento della cassa. Stabilisce i premi in funzione della capacità economica degli assicurati. II Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come segue: Art. 197 n. 2 (nuovo) 2. Disposizione transitoria dell'art. 117 cpv. 3 (Assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie) La cassa unica diventa operativa il più tardi tre anni dopo l'accettazione dell'articolo 117 capoverso 3. Riprende gli attivi e passivi degli istituti assicurativi esistenti per quanto concerne l'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie. TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA ASPETTI DI PSICOTRAUMATOLOGIA NELLA PRATICA QUOTIDIANA trauma particolarmente nel trauma di tipo II, spesso non riconosciuta dalla vittima. Dopo la guerra del Vietnam sono state studiate più da vicino le reazioni ed i disturbi postraumatici; ricordo che sono morti più veterani al rientro dalla guerra per suicidi che non militi durante la guerra stessa. C. Klauser-Reucker Reazioni ad un evento traumatico Possiamo distinguere una reazione caratteristica durante l'evento poi una reazione acuta da stress che continua anche immediatamente dopo che l'evento è terminato, da una sindrome postraumatica con disturbi prolungati oltre le otto settimane dall'evento ed una sindrome postraumatica cronica (PTSD) che può durare per anni. Nella pratica di medico di famiglia non è raro essere confrontati a reazioni o a disturbi legati ad eventi traumatici. Con queste note vorrei evidenziare quali sono le reazioni tipicamente postraumatiche, come indagarle, come affrontarle. Reazioni durante l'evento Nel momento dell'evento, che minaccia la vita (la vittima vede la morte in faccia), l'attenzione è generalmente rivolta al massimo verso l'esterno (monitoring) ed è accompagnata da una massiccia secrezione degli ormoni da stress (adrenalina, cortisolo, ecc.) che portano tra l'altro ad un aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, ad un aumento della forza muscolare; questo per fuggire o lottare per poter sopravvivere. Dal punto di vista emozionale nell'evento stesso l'emozionalità è ridotta al minimo, avviene normalmente una cosiddetta dissociazione dove l'emozione non viene vissuta o manifestata al momento. Più rare sono le situazioni in cui l'attenzione non è rivolta verso l'esterno ma verso l'interno (blunting). Subito dopo l'evento traumatico, quando il pericolo non esiste più, la reazione psicofisica non si arresta subito; parliamo qui di una reazione postraumatica acuta. Questa si manifesta con un'iperreattività corporea, agitazione, funzioni vitali accelerate; a livello psichico con ricordi intrusivi ricorrenti (flash-back, incubi) che Alcuni concetti Come trauma viene definito un evento fuori dalla norma (norma che può essere variabile da individuo a individuo, da collettività a collettività) che lede l'integrità psichica e/o fisica dell'individuo o di un gruppo di individui. Classicamente parliamo di trauma quando pensiamo al trauma tipo I che è un evento unico, imprevisto come lo può essere un incidente; meno chiaro o nascosto può essere il cosiddetto trauma di tipo II che è ripetitivo, prevedibile, dunque una minaccia permanente, come lo può essere una violenza familiare; vengono considerati traumi tipo II anche eventi fuori dalla norma nell'ambito del lavoro di soccorritori, pompieri, ecc. Non è sempre evidente la connessione di disturbi con una situazione di 72 GENNAIO 2007 appaiono inavvertitamente, inaspettatamente e fanno rivivere l'evento come se succedesse in quello stesso momento. A livello emotivo inizialmente può esserci dunque come un'anestesia emozionale o dei fenomeni dissociativi, dove la persona si sente quasi al di fuori del proprio corpo e reagisce quasi automaticamente. Queste reazioni sono normali e naturali e possono durare fino a 4-8 settimane dopo l'evento. Se questi disturbi continuano oltre le 8 settimane, si può parlare di sindrome postraumatica e solo se si prolungano per oltre 3-4 mesi si parla di una sindrome postraumatica cronica o disturbo da stress postraumatico (PTSD). Qui la iperreattività corporea è accompagnata da disturbi del sonno e spesso da disturbi somatoformi (oppressione toracica, crampi addominali, cefalee, ecc.); ansie, fobie o depressioni; un'aumentata suicidalità, può esserne la conseguenza. Riassumendo reazioni traumatiche specifiche iperreattività fisica e psichica, ricordi intrusivi ricorrenti e comportamenti evitativi (interiori con anestesia psichica/somatica o esteriori con comportamenti di evitamento/ dissociazione). Reazioni traumatiche non specifiche perdita dei propri valori, delle proprie certezze (credo, fede), la perdita di speranza o di valor proprio; emozioni come rabbia, impotenza, vergogna, colpa, disgusto, tristezza. Caso clinico esplicativo Due giovani donne rientrano in auto dal lavoro verso casa. In una tratta con poca visibilità improvvisamente sbuca una motocicletta che sopraggiunge in contromano, sbanda e colpisce posteriormente la vettura delle due giovani. La loro auto si arresta al bordo della strada con un botto. Fortunatamente riescono ad uscire dall'abitacolo illese fisicamente. Si rivolgono verso il moto- TRIBUNA MEDICA TICINESE 5 SEZIONE SCIENTIFICA ciclista infortunato che si lamenta e sembra ferito ad una gamba. Chiamano l'ambulanza e la polizia. Vengono assistiti da altri passanti che si sono fermati. I soccorsi sono rapidi ed adeguati e il motociclista viene portato all'ospedale non in gravi condizioni. L'incidente si è concluso per le ragazze con un danno all'automobile ed un “grosso spavento”. La guidatrice nell'impatto con il motociclista in una frazione di secondo ha avuto la sensazione che “adesso fosse finita”. Nelle ore e nei giorni seguenti rivive involontariamente questa sensazione accompagnata da forte batticuore, mancamento di respiro, senso di svenimento, sudorazione oltre che ad un tremore interno ed un'agitazione fisica. Dopo pochi minuti riesce a riprendersi e queste sensazioni diminuiscono. Nei giorni seguenti trovandosi a casa o con amici viene sopraffatta ripetutamente da questi ricordi e sta male come al primo momento. La sera fa fatica ad addormentarsi, si sveglia di notte bagnata fradicia, agitata dopo un incubo che le ricorda l'incidente. Non riesce ad andare al lavoro perché completamente sconcentrata ed ha frequenti crisi di pianto. Ha paura di riprendere l'auto e fare la strada dell'incidente, che cerca di evitare. In questa situazione evita i contatti con gli amici e tende piuttosto a rinchiudersi in casa, ha perso l'appetito, è stanca e si preoccupa per questo suo stato; a volte le sembra di stare per impazzire. L'altra ragazza, che era accanto a lei in auto, non ha mai avuto l'impressione di trovarsi personalmente in pericolo di vita; il suo spavento è stato più ridotto, pensa ogni tanto all'evento ma non viene sopraffatta dai ricordi e non ha episodi di ansia. I primi giorni ha fatto un po' fatica ad addormentarsi ma non ha avuto incubi. Ha ripreso il lavoro e dopo qualche giorno le sembra di stare nettamente meglio. La guidatrice nei giorni seguenti non se la sente di riprendere il lavoro, ha paura di prendere l'auto ed è molto 6 TRIBUNA MEDICA TICINESE turbata dal suo stato. Qualche giorno più tardi il superiore che l'ha contattata le consiglia di farsi aiutare specificatamente. Si presentano nel mio studio. Al primo contatto rilevo l'anamnesi e verifico se ci sono dei disturbi traumatici specifici (ricordi intrusivi ricorrenti, sia come flash back che come incubi, agitazione psicofisica e comportamento di evitamento). Concordiamo un momento adeguato per eseguire un debriefing. Una fase importante è quella che eruisce le emozioni legate all'evento: un senso di impotenza e di colpa. Le chiedo in che parte del corpo la sente e mi riferisce al petto. Informo innanzitutto che i disturbi e le reazioni che presenta attualmente sono assolutamente normali e naturali e che andranno diminuendo nei prossimi giorni e settimane; le consegno un depliant informativo; parliamo un momento su quello che ora le può essere di utilità per gestire questa situazione di stress (stress management) e per giungere alla tranquillità (fare attività fisica, riprendere le occupazioni abituali, non isolarsi, parlarne con amici). Concorda di provare a riprendere il lavoro con un ritmo ridotto, di fare qualche passeggiata nel bosco, di parlarne con un'amica e di cercare di alimentarsi regolarmente. La risento dopo qualche giorno con un buon miglioramento ma con ancora la presenza di flash back e di incubi. Ha ripreso la guida dell'auto ed è riuscita a passare dal luogo dell'evento. La rivedo 8 settimane dopo l'intervento e mi riferisce che da circa 3-4 settimane non ha più flash back, che ci pensa raramente e che si ritiene ristabilita al 90%. reazione, è di grande aiuto e tranquillizza, scacciando lo spauracchio di un'anormalità. Di aiuto può essere il piccolo depliant Incidente, violenze, catastrofi: cosa fare? che potete scaricare dal sito internet www.debrisi.ch in varie lingue. Una volta tranquillizzata la persona a livello cognitivo è bene discutere concretamente con la vittima su come può gestire la sua giornata in modo che le reazioni postraumatiche diminuiscano. Per questa gestione dello stress (stress management) sono particolarmente consigliabili o indicate attività legate al corpo (come camminare nella natura, attività sportiva leggera, mangiare, coccolarsi, spaccare legna, ecc.); occupando il corpo la mente viene “distratta” e si riacquista pure il controllo delle proprie facoltà fisiche. Secondariamente è utile condividere il vissuto con amici o con chi ha vissuto la stessa cosa, parlando pure delle emozioni e dei sentimenti in modo più concreto possibile cioè nominando l'emozione stessa (vergogna, colpa, rabbia, ecc.). In terzo luogo è consigliabile riprendere al più presto un ritmo regolare di vita, possibilmente sul lavoro o comunque in una situazione regolare. È importante ricordare che in queste situazioni spesso legate ad ansia e depressione, è sconsigliato far uso di alcool o droghe come di medicamenti; le benzodiazepine sono sconsigliate perché inibiscono il sonno REM e riducono la possibilità di elaborazione del vissuto. Come sonnifero, se necessario, si possono dare Stilnox, Imovane o Sonata; è possibile prescrivere degli SSRI, se necessario. Reazione postraumatica: come procedere? Le vittime spesso si sentono sopraffatte dall'evento, non si riconoscono più nelle loro reazioni e sono per questo turbate. Spiegare le reazioni normali e naturali ad un evento traumatico, informandoli dei vari tipi di Decorso dopo un evento traumatico Le reazioni postraumatiche sono più accentuate nei primi giorni dopo l'evento; in particolare i flash back e l'agitazione hanno la tendenza a diminuire di frequenza ed intensità nelle settimane successive; sono tuttavia 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA normali fino ancora a 8 settimane circa dopo l'evento. Solo al di là si parla di una sindrome postraumatica. Se le reazioni postraumatiche sono molto turbanti ed invalidanti si può proporre alla vittima o alle vittime un debriefing individuale (o di gruppo a dipendenza dell'evento). Debriefing (psicologico) Si tratta di un colloquio strutturato che ordina il vissuto traumatico, caratteristicamente confuso e disordinato dopo l'evento, dando alla storia un filo rosso nel tempo e negli eventi. Tutto ciò facilita il passaggio dalla memoria immediata di tipo emotivo fissata nell'amigdala, per portarla nella memoria a lungo termine nell'ippocampo. Il debriefing è un intervento unico della durata variabile da una a varie ore; non è considerata una terapia ma un aiuto nel decorso naturale dell'elaborazione. Nel debriefing dopo un introduzione ed una spiegazione di come si svolge, ci si fa raccontare la storia abbastanza nel dettaglio dal momento prima dell'evento ad un momento in cui il pericolo era scagionato. Il racconto in una prima fase vien tenuto volutamente puramente a livello cognitivo lasciando da parte ogni correlazione emotiva; in un secondo momento ci si occupa dei pensieri che hanno accompagnato questo evento e che possono dare spiegazioni a connessioni con eventi precedenti per esempio. In un ulteriore momento si affrontano le emozioni, dando loro il nome (passaggio alla cognizione) ed esplorando se si presentano a livello somatico. Questa fase può essere importante per riconoscere la connessione di una sensazione fisica con una forte emozione, riducendo il rischio di valutarla come una nuova malattia (cefalea, mal di stomaco, ecc.). In una fase ulteriore si integra l'informazione sulle reazioni normali e naturali ad un evento traumatico con il resoconto del vissuto; si procede ad una discussione del miglior tipo di gestione dello stress da seguire nelle prossime settimane individualizzando le varie possibilità. In un'ulteriore fase risulta utile valutare se possa essere fattibile un gesto o un'azione che possa considerarsi quasi un “rito di chiusura”; momento che può aiutare a rappacificarsi con l'evento o con un'eventuale persona coinvolta e rafforzare la convinzione che si è fatto tutto il possibile per poter gestire al meglio questa situazione (passaggio da vittima a sopravvissuto). Nel concetto di debriefing è compreso pure un colloquio post-debriefing (follow-up) circa 8 settimane dopo il primo colloquio prolungato. In questo secondo colloquio si valuta se sono ancora presenti resti di sintomi postraumatici, se sono apparsi nuovi disturbi e se è opportuno o meno indirizzare la vittima ad una terapia psichica (triage). Fattori di rischio di sviluppo di una sindrome postraumatica Particolarmente a rischio sono persone in situazioni di vita instabili come giovani adolescenti oppure anziani, situazioni di vita delicate come divorzio, disoccupazione oppure con traumi antecedenti o cure psichiatriche precedenti; a rischio sono anche persone nell'ambito di professioni di soccorso come poliziotti, pompieri, soccorritori. Il rischio è anche parallelo all'intensità del trauma: catastrofi, violenze umane o suicidi o eventi con perdita traumatica di persone a noi vicine, sono considerate a rischio. Pure i medici, come operatori nell'ambito di soccorsi, hanno un rischio più elevato. Ripetute esposizioni ad eventi traumatici sono da considerarsi situazioni a rischio. Nell'ambito dei soccorritori è ormai standard eseguire oltre che al defusing (colloquio di gruppo o individuale subito dopo l'intervento traumatico senza particolare struttura e senza approfondimento ma con un accenno ai fatti ed alle emozioni relative) un debriefing psicologico. 72 GENNAIO 2007 Quando indirizzare oltre? Vittime che sono particolarmente sofferenti o addirittura invalidate dalle reazioni postraumatiche e che presentano fattori di rischio, come pure disturbi postraumatici specifici (flash back, iperreattività, evitamento, disturbi somatoformi) ancora più di 8 settimane dopo l'evento traumatico sono da indirizzare per un approccio psicoterapeutico. L'aiuto immediato dopo un evento può essere offerto da strutture di tipo care presenti in varie grandi aziende o dalle UIR (unità di intervento regionale) coordinate dal delegato LAVI Roberto Sandrinelli. Esistono anche psicologi formati per l'emergenza. Per la richiesta di un debriefing singolo o di gruppo ci si può rivolgere all'associazione Debriefer Svizzera Italiana (DEBRISI) al telefono 091 605 37 65 oppure www.debrisi.ch A livello svizzero è contattabile l'Istituto Psicotrauma Svizzero di Visp al telefono 027 946 34 22 oppure sotto www.institut-psychotrauma.ch. Conclusioni Risulta sempre più importante informare sulle reazioni normali ad un evento traumatico; questo aiuta ad avere un controllo psicologico sulla situazione. La comprensione e la condivisione di emozioni anche difficili in una situazione traumatica è di per sé stessa di aiuto; condivisa da una persona competente lo è ancor di più. Non sempre il legame di disturbi somatoformi oppure depressioni ed ansie sono evidentemente in correlazione con un evento traumatico; esserne coscienti come medici ed andare alla ricerca adeguata può essere d'aiuto per il paziente che riesce a capire meglio, indi a gestire ed a dare anche un senso al vissuto. Difficili possono essere le situazioni in cui non viene riconosciuta una componente postraumatica, specialmente là dove l'anestesia emozionale o la dissociazione è TRIBUNA MEDICA TICINESE 7 SEZIONE SCIENTIFICA accentuata; in queste situazioni può essere d'aiuto la domanda se sono scomparse anche le emozioni positive; infatti a volte pur di non soffrire vengono “represse” le emozioni disturbanti ma automaticamente vanno perse anche le emozioni buone, cosa che col tempo porta ad un grosso disagio. Fortunatamente lo sviluppo di una sindrome postraumatica cronica è raro; le statistiche variano molto nella valutazione della sindrome postraumatica, che passano dal 10 al 30% a dipendenza del tipo di evento. È chiaro che la ricerca scientifica e la statistica qui ha delle difficoltà trattandosi di reazioni legate comunque ad un vissuto personale antecedente (vedi fattori di rischio). Bibliografia vedi www.debrisi.ch Dr med Cornelia Klauser-Reucker med. gen FMH 8 TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA SPIROERGOMETRIA CARDIOLOGICA: LA PERLA DIAGNOSTICA M. Capoferri Riassunto L'ergospirometria cardiologica permette di ampliare notevolmente il valore diagnostico-prognostico del test da sforzo. Essa fornisce dati importantissimi per tutta una ampia serie di quesiti clinici: prognosi dell'insufficienza cardiaca; presenza di ridotta riserva coronarica; differenziazione della causa di una dispnea (polmonare vs. muscolare vs. cardiaca); valutazione capacità lavorativa, grado di invalidità e identificazione di simulanti, ma anche valutazione dell'effetto di terapia medicamentosa e riabilitativa così come pianificazione dell'allenamento sportivo. Introduzione La valutazione funzionale è stata uno dei punti di forza della cardiologia degli anni passati, quando era fondamentale ottenere un inquadramento clinico prognostico che permettesse tra l'altro di pianificare il procedere diagnostico e terapeutico. Le nuove tecniche di immagine hanno vieppiù oscurato quelle tradizionali relegandole ad un ruolo di secondo ordine. Questo fatto tuttavia rischia di indurci a curare delle immagini piuttosto che non dei pazienti nella loro globalità. Ed è proprio la globalità dei sistemi coinvolti nelle produzione di uno sforzo che l'esame ergospirometrico, unico fra tutti, riesce a valutare contemporaneamente (fig. 1) Come funziona il test ergospirometrico Il test cardiopolmonare consiste in un test da sforzo convenzionale eseguibile su tappeto rollante o bicicletta nelle stesse modalità di un test ergometrico “classico”. Il paziente tuttavia indossa una maschera naso-bocca che permette, tramite appositi collegamenti (3 piccoli tubi) di misurare il volume ventilatorio (VE), il consumo di ossigeno (VO2) e la produzione di anidride carbonica (VCO2) (fig. 2). Esula da questo contesto l'approfondimento delle basi fisiologiche-biochimiche della produzione dell'energia (combustione del glucosio, ciclo di Krebs, ...) la cui conoscenza comunque aiuta nella comprensione del test ergospirometrico. Utile comunque ricordare la formula di base che definisce il consumo di ossigeno come il prodotto tra la gittata cardiaca (quindi frequenza HF x volume di getto SV) e la differenza arteriovenosa di ossigeno. VO2 = SV x HF x AvO2diff. Fig. 1: I protocolli utilizzabili sono gli stessi come per un test convenzionale anche se personalmente trovo ottimale effettuare un carico a “rampa” e non a gradino (quindi piccoli incrementi di Watt ogni pochi secondi piuttosto che non 20-25 Watt tutti d'un colpo ogni 1-2 minuti) soprattutto nei pazienti con insufficienza cardiaca. Idealmente la rampa ha un pendenza tale da far raggiungere al paziente l'esaurimento dopo 8-12 minuti. Fig. 2: Setting di esecuzione dell'esame ergospirometrico interdipendenza dei differenti sistemi preposti alla produzione di energia motoria (da Wassermann et. Al, Principles of cardiopulmonary exercise testing, 2005, edizioni Lippincoff Williams e Wilhins) 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 9 SEZIONE SCIENTIFICA Cosa si misura con un test ergospirometrico Al termine del test si ottiene un grafico di base (fig. 3). Dalla combinazione dei diversi parametri misurati si estrapolano fino a 9 rappresentazioni grafiche (dette di Wassermann) che permettono di valutare non solo i valori assoluti ma anche, estremamente prezioso, il decorso delle curve di VO2 e VCO2 e VE. Questo permette, tra le altre cose, di determinare la soglia anaerobica. Il parametro più importante è comunque certamente il consumo di ossigeno (VO2) espresso in ml/min o, meglio, indicizzato secondo il peso corporeo (ml/min/kg). Il valore massimo è detto VO2max. Tale valore è tuttavia raggiunto solo da persone sane e allenate mentre la maggior parte dei pazienti che incontriamo nella pratica clinica non riescono a raggiungere tale valore (definito come la massimale capacità funzionale una volta utilizzate tutte le riserve cardiache, polmonari e muscolari): il loro valore di VO2 “massimo” viene quindi denominato con il termine di VO2 picco. Il test cardiopolmonare consente dunque di ottenere una serie di informazioni fondamentali riguardanti tutte le componenti determinanti la capacità funzionale del soggetto: dal metabolismo cellulare alla funzionalità respiratoria, da quella cardiaca a quella muscolare. L'esecuzione di un esame spirometrico prima dello sforzo risulta inoltre prezioso per meglio depistare una eventuale patologia polmonare quale concausa della limitazione funzionale. Il test cardiopolmonare fornisce dunque importantissime informazioni per tutta una serie di quesiti clinici molto pratici che tratto di seguito. ti del semplice test da sforzo tradizionale. Infatti la sensibilità di un test da sforzo per la diagnosi di ischemia miocardica è, in media, bassa oscillando tra il 40% per malattia coronaria monovasale e il 75% per malattia trivasale; inoltre, nel caso di una limitazione funzionale che rende il test formalmente non conclusivo, non è spesso possibile escludere con sufficiente certezza che la limitazione funzionale sia imputabile ad una problematica ischemica piuttosto che ad una patologia polmonare, decondizionamento o mancanza di motivazione. In uno studio di Belardinelli et al. sulla definizione diagnostica di ischemia miocardia il test cardiopolmonare ha mostrato migliore sensibilità (87 vs 35%), specificità (74 vs 66%), valore predittivo positivo (88 vs 76%) e valore predittivo negativo (72 vs 35%) di tale metodica rispetto al normale test da sforzo. Tale risultato è stato possi- Campi di applicazione dell'ergospirometria cardiologica Cardiopatia ischemica L'ergospirometria possiede una maggiore efficacia diagnostica nei confron- 10 TRIBUNA MEDICA TICINESE Fig. 3: 72 GENNAIO 2007 bile grazie alla analisi non solo del semplice tracciato elettrocardiografico, ma appunto delle curve ricavate dall'analisi dei gas ventilati durante il test stesso. Interpretando anche il decorso delle curve di VO2, VCO2 e dei suoi derivati, il test cardiopolmonare è stato in grado di identificare 122 pazienti di 140 con scintigrafia miocardia gated-SPET positiva, e di escludere ischemia miocardia in 46 di 62 pazienti con scintigrafia negativa. Sulla base del solo criterio elettrocardiografico, una ridotta riserva coronarica sarebbe stata diagnosticata solo in 64 su 140 pazienti con scintigrafia positiva ed esclusa in 41 su 62 pazienti con scintigrafia negativa. L'assenza di alterazioni al test cardipolmonare consente di migliorare la specificità del 32%. Nei falsi negativi al test tradizionale, il criterio cardiopolmonare identifica ischemia miocardica in 58 su 76 pazienti (fig. 4). SEZIONE SCIENTIFICA Fig. 4: Fig. 5: L'ergospirometria nella malattia ischemica. Mentre il valore di Watt raggiunto dai pazienti sani e da quelli ischemici è simile, nei secondi (che infatti avevano una scintigrafia positiva) si nota un minore consumo di ossigeno con soprattutto, ad un certo punto dello sforzo (la soglia ischemica), una repentina e significativa diminuzione della pendenza della curva VO2 e O2polso. (da Belardinelli R, EurHeartJ 2003;24:1304-13) Valore dei parametri ergospirometrici nella valutazione terapeutico-prognostica dei pazienti con insufficienza cardiaca (da Corrà U et al. Am Heart J 2002; 143:418) 72 GENNAIO 2007 Insufficienza cardiaca Già la definizione di classe funzionale secondo NYHA si basa su un tipo di valutazione prettamente clinica e spesso piuttosto dipendente da una interpretazione soggettiva. Per quanto tale inquadramento possa essere fondamentale nel dirigere programmi terapeutici e interventistici, i dati derivati dalla nostra esperienza ci offrono un notevole spunto di riflessione: la scarsa correlazione tra Watt e VO2, e quindi tra Watt e MET nel paziente malato e la poca correlazione tra NYHA e VO2 rendono discutibile l'efficacia valutativa della classe NYHA nel poter essere l'unica discriminante di opzioni terapeutiche anche di notevole importanza. Sono ormai innumerevoli gli studi che hanno ben documentato come i parametri spiroergometrici risultino accurati ed insostituibili nella stratificazione prognostica dei pazienti con insufficienza cardiaca, fatto questo che si rivela prezioso anche nella determinazione del miglior momento per pensare ad un trapianto cardiaco. Con l'avvento della terapia betabloccante la valutazione globale della capacità funzionale del paziente (quindi non limitata a carico raggiunto o frequenza cardiaca raggiunta) assume un ruolo ancora maggiore. La misurazione del consumo di ossigeno infatti permette di meglio valutare gli effetti delle terapie medicamentose e non, e quindi ottimizzare ulteriormente gli sforzi terapeutici in atto. (Fig. 5) Schiarimento di dispnea “Dottore mi manca il fiato sotto sforzo”. Questa è una delle frasi più comuni rivolte al medico e apre una lunga lista di diagnosi differenziali. La ergospirometria permette innanzitutto di oggettivare anche quantitativamente se vi è davvero una limitazione funzionale con dispnea inadeguata allo sforzo prodotto. Utile in tal senso l'esecuzione di una semplice spirome- TRIBUNA MEDICA TICINESE 11 SEZIONE SCIENTIFICA Attività MET Stare seduti 1.14 Guidare l'auto 1.21 Guidare camion 1.51 Lavorare con le mani stando in piedi 2.5 Marciare (4.5 km/h) 3 Manovrare una gru 2.5 Pulire il pavimento 2.7 Lavori leggeri di immagazzinamento 3 Pittore / tapezziere 4 Muratore, falegname 4-6 Industria pesante 7.71 Fig. 6: MET misurati direttamente (con ergospirometri portatili) durante attività lavorative. Non è legittimo stimare il valore del MET tramite i Watt raggiunti durante un test cicloergometrico. tria all'inizio del test: le curve ventilatorie così ottenute vengono sovrapposte in tempo reale a quelle durante lo sforzo in modo che si possa valutare un eventuale disturbo ventilatorio quantitativo o qualitativo durante lo sforzo, disturbo che quindi sposterebbe la ricerca eziologica della dispnea all'ambito polmonare e non cardiaco. Molto spesso inoltre, grazie ad una attenta valutazione delle curve ottenute, si è in grado di imputare in modo piuttosto sicuro i sintomi di intolleranza allo sforzo accusati dal paziente ad un semplice decondizionamento fisico (in questo caso infatti il paziente mostra solo una modesta limitazione funzionale, con tuttavia un fisiologico decorso delle curve di VO2 e VCO2 e soprattutto con una soglia anaerobica non patologicamente diminuita). Questo permette di evitare una escalazione di esami diagnostici ulteriori. 12 TRIBUNA MEDICA TICINESE Valutazione capacità lavorativa Nell'ambito di questioni medico-assicurative è estremamente importante riuscire a quantificare lo sforzo che un paziente può ancora produrre senza alcun rischio per la sua salute immediata e per la sua prognosi futura. Sono dunque stati misurati i valori in MET che si raggiungono nell'esecuzione delle più svariate professioni, valori quindi ora ben conosciuti (fig. 6). È pertanto fondamentale testare il paziente con un metodo (l'ergospirometria appunto) in grado di fornire dati sicuri e precisi in quanto misurati direttamente, e non solo stimati come avviene durante una cicloergometria convenzionale. D'altro canto però è ben noto il rapporto spesso inverso tra sforzo prodotto e prestazioni assicurative di cui si può beneficiare, fatto questo che certo non favorisce la motivazione del paziente a produrre uno sforzo massimale. Grazie alla misurazione diretta del quoziente tra consumo di ossigeno e produzione di anidride carbonica (il quoziente respiratorio) l'ergospirometria permette di identificare in modo univoco la discrepanza tra il limite soggettivo segnalato dal paziente e limite funzionale oggettivo. Si tratta in altre parole di un metodo molto affidabile di valutazione del grado di collaborazione del paziente nell'eseguire il test in questione. Conclusioni Il test cardipolmonare rappresenta una metodica di comprovata utilità diagnostica e prognostica, efficace, affidabile, che quindi si inserisce nel contesto di un progressivo incremento delle metodiche diagnostiche. Estremamente favorevole risulta inoltre essere il rapporto tra costi e benefici: la spesa relativa agli strumenti e i costi a carico del paziente nell'affrontare questo test, al confronto di un test da sforzo tradizionale, risultano essere di poco più onerosi, ma come abbiamo visto l'ergospirometria fornisce dei risultati di gran 72 GENNAIO 2007 lunga più cospicui e sostanziali. Inoltre il tempo impiegato nell'esecuzione di un test cardiopolmonare è di poco superiore a quello di un test da sforzo tradizionale, con un incremento medio aggiuntivo di 5 minuti, necessari alla preparazione del paziente. L'ergospirometria rappresenta quindi una perla diagnostica di enormi potenzialità purtroppo ancora sottoutilizzata forse perché ombreggiata da altre tecnologie diagnostiche d'immagine più spettacolari ma sicuramente non in grado di rimpiazzare il ruolo di un buon test funzionale. Non dimentichiamoci infatti gli innumerevoli studi anche recenti che ribadiscono come la prognosi cardiovascolare dei nostri pazienti dipende in modo molto stretto dalla capacità funzionale di essi, e questo spesso indipendentemente da quanto la diagnostica d'immagine ci mostra. Dr. med. M. Capoferri Capo Servizio Riabilitazione e Prevenzione Cardiologica, Cardiocentro Ticino Medico Aggiunto OBV Mendrisio Via Motta 12, 6830 Chiasso SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB Il Journal Club di questo mese è stato curato dall’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio VALORI DI PRESSIONE ARTERIOSA E SOPRAVVIVENZA NEI SUCCESSIVI 9 ANNI IN UNA POPOLAZIONE DI GRANDI ANZIANI Association between blood pressure and survival over 9 years in a general population aged 85 and older Rastas S, Pirttilä T, Viramo P et al. JAGS, 54 : 912-918, 2006-12-04 Riassunto/Adattamento: Dr. med. Pierluigi Quadri Caposervizio di Geriatria Ospedali Regionali di Lugano e Mendrisio Introduzione Diversi lavori hanno studiato l'associazione fra pressione arteriosa (PA), morbilità cardio-vascolare e mortalità totale. In alcuni il tasso di mortalità è risultato più alto nelle persone con bassi valori pressori. Gli studi clinici controllati hanno mostrato come il trattamento dell'ipertensione si riveli di beneficio particolarmente nei “giovani vecchi” ma, in genere, il numero di “grandi anziani” (con età superiore a 85 anni) incluso è stato molto limitato. Poiché la natura della possibile associazione fra bassi valori pressori ed eccesso di mortalità è attualmente sconosciuta, è motivo di dibattito se si tratti di un nesso causale oppure di un legame dovuto alla presenza di fattori confondenti in cui una bassa PA è semplicemente l'espressione di fragilità. Questo studio ha avuto come obiettivo di valutare l'associazione fra valori pressori e mortalità nel grande anziano al netto di una serie di confondenti. Soggetti e metodi Studio osservazionale di popolazione sui grandi anziani (età ≥ 85 anni) residenti nella cittadina finlandese di Vantaa. I valori pressori sono stati rilevati in modo standardizzato al braccio dx del soggetto dopo un periodo di riposo di almeno 5 minuti. I dati medici anamnestici di ciascun partecipante sono stati estrapolati da un data base computerizzato contenente tutte le informazioni sanitarie prodotte dalla medicina di base. I certificati di morte sono stati ottenuti dal registro nazionale. Dei 521 partecipanti l'87% è deceduto durante i 9 anni di follow up. In un'analisi multivariata corretta per le numerosi caratteristiche cliniche potenzialmente confondenti (età, sesso, dipendenza nella vita quotidiana e comorbilità quale anamnesi di infarto miocardico, insufficienza cardiaca congestizia, demenza, cancro, ictus o ipertensione) i soggetti con valori di PA sistolica < 140 mmHg mostrano un significativo aumento del rischio di mortalità (Hazard Ratio, 1.35) confrontati ai pazienti con PA di 140 a 159 mmHg (valori di riferimento). Per contro, i soggetti con valori sistolici ≥ 160 mmHg non mostrano un aumentato rischio di morte (HR, 0.97) (Fig. 1). Risultati Alla visita basale i valori pressori medi erano 149/82 mmHg; la PA sistolica era ≥160 mmHg nel 35% dei partecipanti. Commento In questo studio prospettico di una popolazione di grandi anziani, valori sistolici pressori “normali” si associa- Fig. 1: Sopravvivenza in funzione della pressione arteriosa sistolica analizzata per mezzo della curva di Kaplan-Meier. 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 13 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB no ad un aumentato rischio di mortalità, mentre un'ipertensione leggeramoderata non risulta essere fattore di rischio. L'associazione tra PA e mortalità, contrariamente ad altri lavori, non è spiegata dalla contemporanea presenza di comorbilità. I trials clinici hanno dimostrato come il trattamento dell'ipertensione in alcune categorie di anziani (relativamente giovani o con bassa comorbilità), diminuisca la mortalità totale e cardio-vascolare, ma in genere il numero dei grandi anziani reclutati in questi studi è molto bassa. Questo lavoro osservazionale pur non potendo sostituire uno studio clinico controllato, suggerisce tuttavia molta prudenza prima di iniziare il trattamento di un'ipertensione moderata in soggetti grandi anziani. Alcuni punti di forza rendono le conclusioni dello studio particolarmente attendibili: il tasso di partecipazione è stato eccezionalmente alto (92%), il reclutamento ha interessato non solo soggetti residenti in comunità ma anche istituzionalizzati, il periodo di follow up è stato particolarmente lungo e la raccolta di informazioni completa. 14 TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB INIEZIONI INTRAMUSCOLARI IN “LOCO CLASSICO”: DOVE VANNO A FINIRE IN REALTÀ? Intramuscular gluteal injections in the increasingly obese population: retrospective study. British Medical Journal 2006;332:637-8. Riassunto/Adattamento: Dr med. Brenno Balestra primario di medicina interna Introduzione Le iniezioni intramuscolari in “loco classico”, cioè nei glutei, hanno una lunga tradizione nella medicina e sono ancora ben radicate nella cultura popolare. Solo raramente questa è l'unica via di somministrazione del farmaco, mentre più frequentemente la scelta è dettata dalla rapidità d'azione del medicamento, dalla possibilità di ottenere un effetto protratto, dalla garanzia di adesione alla terapia e, non da ultimo, dalla preferenza del medico o del paziente. L'arsenale a disposizione comprende alcuni analgesici (Voltaren, Piroxicam, Tramal), corticosteroidi (Depo-Medrol, Kenacort, Diprophos), antibiotici (Rocephine, Targocid, Benzatinpenicillina, Streptomicina), narcotici (Valium, Dormicum, Ketalar), neurolettici (Nozinan, Haldol, Risperdal Consta, Dapotum D), ormoni (Adrenalina, Glucagone, Testoviron Depot, Androcur Depot), vitamine (Vitarubin Depot), antidoti (Narcan), vaccinazioni (vaccini inattivati), eccetera. La biodisponibilità ed in particolare la velocità di assorbimento dei medicamenti iniettati possono variare notevolmente a dipendenza dell'irrorazione sanguigna del tessuto, muscolare o, appunto, adiposo. Affondando l'ago nella natica dei pazienti, sempre più simili nel mondo occidentale alle figure di Botero, certo ci si può ben chiedere dove realmente finisca quanto iniettato in “loco classico”. Metodo L'autore dello studio, un anestesista britannico, ha analizzato retrospettivamente 100 pazienti consecutivi sottoposti per diverse ragioni ad una TAC del piccolo bacino. Il campione comprendeva adulti di età tra 22 e 65 anni, 61 donne e 39 uomini. È stata poi misurata la distanza minima tra la superficie della pelle ed il muscolo sottostante nei due punti classici delle iniezioni i.m.: in sede glutea (quadrante superiore esterno della natica) e in sede ventro-glutea (tra il grande trocantere, la spina iliaca anteriore-superiore e la cresta iliaca). Queste misure sono poi state correlate con l'età ed il sesso dei pazienti. Risultati La distanza media tra la pelle ed il muscolo in posizione glutea era di 32 mm (7.5-59.8 mm). La distanza in posizione ventro-glutea era di 19 mm (2.5-62.6 mm). Lo strato adiposo era significativamente più pronunciato nelle donne (P <0.01) in entrambe le posizioni. L'età avanzata era correlata con un incremento della distanza ventro-glutea (P <0.01), ma non con la distanza glutea posteriore. Considerando la lunghezza degli aghi utilizzati in Inghilterra per le iniezioni i.m. (ago verde 35 mm, ago blu 25 mm) un numero importante di iniezioni intramuscolari sarebbero state in realtà sottocutanee. In posizione ventro-glutea: 12/100 (16% 72 GENNAIO 2007 donne e 5% uomini) con l'ago verde di 35 mm e 26/100 (36% donne e 10% uomini) con l'ago blu di 25 mm. In posizione glutea posteriore: 43/100 (57% donne e 21% uomini) con l'ago verde di 35 mm e 72/100 (90% donne e 44% uomini) con l'ago blu di 25 mm. L'autore conclude, pur cosciente del piccolo collettivo di pazienti adulti non geriatrici e delle possibili differenze regionali, che dovrebbero essere ricercate vie di somministrazione alternative vista la bassa efficacia delle iniezioni intra-gluteali. Commento Questo piccolo studio inglese offre lo spunto per ricordare che le iniezioni intramuscolari in “loco classico”, malgrado la loro lunga tradizione e popolarità, andrebbero preferibilmente evitate. Ai potenziali rischi di questa pratica (lesione del nervo sciatico, ematoma, ascesso, fasciite necrotizzante), si aggiunge la scarsa efficacia nel raggiungere effettivamente il muscolo in questa sede, soprattutto con una popolazione sempre più obesa. Non penso che la situazione nella nostra realtà sia molto diversa, anche se vengono utilizzati – di regola – aghi leggermente più lunghi (ago nero: 30 mm, ago verde: 40 mm). Le iniezioni intramuscolari dovrebbero essere piuttosto scoraggiate. Soprattutto non si giustifica il largo uso di antiinfiammatori non steroidali o antidolorifici per via intramuscolare; la somministrazione orale ad effetto rapido è sempre da preferire, optando in altri casi piuttosto per la via endovenosa (Voltaren, Tramal, Perfalgan, Novalgina). Diversi farmaci ad uso parenterale menzionati nell'introduzione, prevedono anche la possibilità di un'applicazione sottocutanea in particolare per pazienti anticoagulati (per es. Vitarubin-Depot, Methotrexat, Inflexal o Influvac Plus, Pneumovax e TeAnatoxal). TRIBUNA MEDICA TICINESE 15 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB Dovendo proprio ricorrere ad una somministrazione intramuscolare, i muscoli di prima scelta dovrebbero essere il deltoide o il vasto laterale, più in superficie ed accessibili anche in caso di complicazioni locali. Infine, per i nostalgici delle iniezioni i.m. in “loco classico” o per le rare circostanze in cui dovranno ancora essere praticate, consiglio di scegliere la sede e l'ago più consoni alla morfologia del paziente, per le “taglie forti” probabilmente l'accesso ventro-gluteo con ago verde (40 mm). Corrispondenza dell'autore: Dr med. B. Balestra primario di medicina interna Ospedale della Beata Vergine 6850 Mendrisio [email protected] 16 TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB EMBOLIE POLMONARI IN PAZIENTI CON ESACERBAZIONE DI ORIGINE NON CHIARA DI BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA Pulmonary Embolism in Patients with Unexplained Exacerbation of Chronic Obstructive Pulmonary Disease: Prevalence and Risk Factors. Ann Inter Med 2006;144:390-396. Riassunto/Adattamento: Dr.ssa med. Lucia Marelli Medico Assistente di Medicina Dr med. Brenno Balestra Primario di Medicina Ospedale Beata Vergine Mendrisio Introduzione La diagnosi clinica di embolia polmonare (EP) in pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è particolarmente difficile, in quanto i sintomi sono molto simili a quelli di una esacerbazione infettiva di BPCO. Casistiche autoptiche in pazienti con BPCO evidenziano frequentemente EP (dal 28% al 51%); la reale frequenza di EP in pazienti con BPCO per i quali vi è il sospetto clinico di EP varia invece, secondo gli studi, dal 19% al 29%. Lo scopo di questo studio è duplice: 1) accertare la presenza di EP in pazienti con esacerbazione di origine non chiara di BPCO; 2) esaminare i fattori associati alla presenza di EP, compreso lo score di Ginevra, validato nella diagnostica di EP in popolazioni non selezionate. Metodi Si tratta di uno studio prospettico monocentrico, condotto dall'Aprile 1999 al Dicembre 2002, nel quale venivano inclusi pazienti fumatori o noti per pregresso tabagismo con BPCO che afferivano consecutivamente al reparto di pneumologia dell'ospedale universitario di Lille (Francia) per esacerbazione severa di origine non chiara di BPCO. Per “esacerbazione severa” si intendeva un deterioramento acuto necessitante il ricovero; l'assenza di chiari segni d'infezione (espettorato purulento, febbre, ecc.), l'assenza di pneumotorace e cause iatrogene (farmaci, inalazioni di sostanze tossiche, ecc.) oppure la presenza di un addensamento parenchimale senza febbre e brividi o la presenza di una discrepanza tra caratteristiche cliniche e radiologiche e severità dell'ipossiemia definivano l'esacerbazione della BPCO come di “origine non chiara". Venivano esclusi dallo studio i pazienti che necessitavano di ventilazione artificiale in cure intensive. Tutti i pazienti dovevano essere valutati entro 48 ore dall'ammissione in ospedale mediante angioTAC spirale polmonare ed Eco-Color-Doppler venoso (ECD) degli arti inferiori. I pazienti venivano classificati come EP positivi se l'angioTAC risultava positiva oppure se era negativa ma l'ECD degli arti inferiori era positivo; i pazienti venivano invece classificati come EP negativi se entrambi gli esami diagnostici strumentali erano negativi e se non vi erano segni di EP nel follow up a tre mesi. La probabilità clinica di EP veniva definita sulla base dello score di Ginevra: probabilità bassa per uno score < 4, intermedia per uno score 5 - 8 e alta per uno score > 9. Risultati Complessivamente sono stati reclutati 211 pazienti; di questi, 14 non sono stati inclusi in quanto i risultati dell'angioTAC e dell'ECD erano inconcludenti (8 pazienti) oppure per intolleranza allo iodio (6 pazienti). Complessivamente sono stati dunque Score di Ginevra Variabili Score Età 60-69 anni > 79 anni Pregressa embolia polmonare o trombosi venosa profonda Intervento chirurgico recente Frequenza cardiaca > 100 battiti/min pCO2 < 4.8 KPa 4.8 - 5.2 KPa pO2 < 6.5 KPa 6.5 - 7.8 KPa 7.9 - 9.3 KPa 9.4 - 10.9 KPa Reperti radiografici Atelectasie Elevazione dell'emidiaframma 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 1 2 2 3 1 2 1 4 3 2 1 1 1 17 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB inclusi 197 pazienti, 165 maschi e 32 femmine per una età media di 60.5 anni. La FEV1 media era 1.56 litri. La prevalenza di EP era di 49 (25%) su 197 pazienti. Di questi, 43 pazienti (88%) avevano una angioTAC positiva mentre 6 (12%) avevano una angioTAC negativa ma un ECD degli arti inferiori positivo. I pazienti che avevano entrambi gli esami negativi erano 148 (75%) e anche ad un follow up di tre mesi non avevano segni clinici per una EP. Nell'ambito di questo studio, i fattori analizzati come potenzialmente correlabili ad una EP erano: età, sesso, ossigenoterapia a lungo termine, grado di severità della BPCO, fattori di rischio per tromboembolismo venoso (precedente EP o trombosi venosa profonda, anamnesi positiva per neoplasia, trombofilia, trauma, chirurgia, obesità, immobilizzazione superiore a 7 giorni), pO2 e pCO2, sintomi clinici (dispnea, tosse, dolore pleurico, edema agli arti inferiori, emottisi, cardiopalmo, tachicardia, scompenso cardiaco destro). Di questi soltanto una precedente malattia tromboembolica (p=0.004), una riduzione della pCO2 di almeno 5 mm/Hg (= 0.65 KPa) rispetto al valore basale (p=0.018) e un'anamnesi positiva per neoplasia (p=0.034) correlavano con EP in modo statisticamente significativo. Per quanto riguarda la valutazione dello score di Ginevra, i pazienti con uno score basso erano 119 (60%) e di questi, 11 (9%) avevano una EP confermata (CI 4.7-15.9); i pazienti con uno score intermedio erano 75 (38%) e di questi, 35 (46%) avevano una EP confermata; i 3 pazienti (2%) con uno score alto avevano tutti una EP confermata. Dal momento che la maggior parte del campione non era stato sottoposto ad interventi chirurgici mentre il 29% era portatore di neoplasia, lo score di Ginevra è stato modificato sostituendo la voce “chirurgia” con “neoplasia”. Così facendo, i pazienti 18 TRIBUNA MEDICA TICINESE con uno score basso erano 93 (47%) e di questi 3.2% avevano una EP (CI 0-9.1); i pazienti con uno score intermedio erano 88 (45%) e di questi, 38.6% avevano una EP confermata; i pazienti con uno score elevato erano 16 (8%) e di questi 75% avevano una EP confermata. Lo score di Ginevra classico o modificato non permetteva quindi di escludere l'EP in questa popolazione di pazienti con esacerbazione di origine non chiara di BPCO (falsi negativi rispettivamente 9% e 3.2% nella categoria “low risk”) Commento Si tratta dunque di uno studio che ha una rilevanza pratica in quanto dimostra che circa 1/4 dei pazienti che si presentano con una esacerbazione di origine non chiara di BPCO ha una EP soggiacente. Purtroppo lo score di Ginevra (sia classico che modificato), applicato a questa tipologia di pazienti, non è sufficientemente accurato e non permette di escludere una EP. Questa diagnosi potenzialmente letale è dunque da ricercare attivamente (principalmente con l'angioTAC polmonare), soprattutto in assenza di chiari segni di esacerbazione infettiva della BPCO, di risposta clinica insufficiente alla terapia o di altre spiegazioni dello scompenso respiratorio; particolare attenzione si dovrà avere nei confronti dei pazienti portatori di neoplasia o con pregresso tromboembolismo venoso. Ricordiamo che – anche se esula dallo studio citato – un'altra causa frequente di “esacerbazione di BPCO” è lo scompenso cardiaco (“asma cardiaca”). Anche qui la diagnosi risulta particolarmente difficile e il ricorso al dosaggio del peptide natriuretico atriale (BNP) ed eventualmente all'ecocardiografia può essere utile al clinico. Infine bisogna però segnalare che si tratta di uno studio monocentrico, nel quale non vengono tra l'altro inclusi i 72 GENNAIO 2007 pazienti con esacerbazione severa di BPCO necessitante la ventilazione artificiale. La definizione di “esacerbazione di origine non chiara di BPCO” si basa inoltre su una valutazione empirica e non standardizzata. Sono dunque necessari ulteriori studi che confermino la elevata prevalenza di EP in questa categoria di pazienti e che analizzino il valore predittivo di quei fattori che possono correlare positivamente con una EP. SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB STENOSI GRAVE DELL’ARTERIA CAROTIDE INTERNA SINTOMATICA: ENDARTERECTOMIA O STENTING? Endarterectomy versus Stenting in Patients with Symptomatic Severe Carotid Stenosis (EVA - 3S Study) N Engl J Med 2006: 355: 1660-71 Riassunto/Adattamento: Dr. Med. Reto Canevascini Caposervizio angiologia Ospedale regionale Lugano e Beata Vergine Mendrisio Introduzione Negli ultimi anni le tecniche endovascolari si sono sempre più sviluppate nell'albero arterioso: nell'arteriopatia periferica, in quella coronarica, nelle arterie renali, nell'aneurisma dell'aorta. Si sono dovute e si devono confrontare con la disciplina “storica” della rivascolarizzazione: quella chirurgica che rimane tutt'ora il “gold standard”. Anche a livello delle carotidi lo stenting sembra offrire dei vantaggi rispetto all'endarterectomia chirurgica, più invasiva. Benché relativamente recente, l'angioplastica delle carotidi ha conosciuto uno sviluppo rapido a diversi livelli: tipo utilizzato di stents, caratteristiche, localizzazione-posizionamento degli stessi, utilizzo di devices di protezione, il tipo degli stessi, eccetera. Questo rapido sviluppo rende in parte difficilmente comparabili i risultati degli studi. Si richiedono quindi studi che comparino l'approccio chirurgico con quello endovascolare, primariamente nel- l'ambito delle stenosi gravi sintomatiche, dove il beneficio dell'intervento risulta maggiore. Metodo Trattasi di uno studio multicentrico, randomizzato, impostato per dimostrare la non inferiorità dello stentig carotideo nel confronto con l'endarterectomia in pazienti con stenosi carotidee > o = 60% (secondo i criteri NASCET). L'endpoint primario era l'incidenza di ictus o mortalità a 30 giorni. Risultati Lo studio è stato interrotto prematuramente dopo l'inclusione di 527 pazienti, per ragioni di sicurezza e di inutilità del proseguimento dello stesso. A 30 giorni l'incidenza di ictus o letalità era di 3.9% dopo endarterectomia (intervallo di confidenza del 95%: 2.07.2) e del 9.6% dopo lo stenting (IC 95%, 6.4-14.0). Il rischio relativo di ictus o morte dopo stenting era di 2.5 (IC 95% 1.2-5.1) rispetto all'endarterectomia. La differenza assoluta del rischio primario è di 5.7% a 30 giorni, ciò significa 1 ictus o morte ogni 17 pazienti trattati con lo stenting. A 6 mesi l'incidenza di ictus e morte era 6.1% per l'endarterectomia versus 11.7% dopo lo stenting (P=0.02). Le complicazioni locali erano maggiori dopo lo stenting (3.1%) rispetto alla TEA (1.2%), quelle sistemiche (soprattutto polmonari) dopo l'endarterectomia (3.1%) rispetto allo stenting (1.9%). Le differenze non erano però significative. La lesione di un nervo cranico era più frequente dopo l'endarterectomia (7.7%) in confronto allo stenting (1.1%) (p< 0.001). Il rischio non era statisticamente differente in centri con piccoli (< 21 pazienti trattati), medi (21-40) o grandi (> 40) numeri. Il rischio non dipendeva dal grado di esperienza del radiologo. 72 GENNAIO 2007 Netto miglioramento del rischio di ictus (non di morte) dopo consiglio dato dal comitato di sicurezza a favore dell'utilizzo dei devices di protezione, che in seguito vengono utilizzati pressoché sempre. La doppia antiaggregazione non portava vantaggio significativo rispetto alla singola antiaggregazione. Il ricovero dopo l'intervento era di 4 giorni dopo TEA e 3 dopo stenting. Discussione In questo studio con pazienti con stenosi severe sintomatiche, l'incidenza di ictus e morte ad 1 e 6 mesi è risultato maggiore nello stenting (rispettivamente 9.6% e 11.7%) in confronto all'endarterectomia (3.9% e 6.1%). Lo studio è stato sospeso anzitempo perché è stato ritenuto improbabile che la randomizzazione di ulteriori pazienti avrebbe potuto invertire i risultati. Gli autori analizzano criticamente i propri dati Per quanto riguarda la TEA Le complicanze chirurgiche risultano più basse rispetto a lavori precedenti (European Carotid surgery Trialists' Collaborative Group. Lancet 1998 e Barnett NEJM 1998) . Possibili spiegazioni come l'esperienza dei chirurghi, la differenza del rischio perioperatorio dei pazienti, la mancata diagnosi di complicanze vengono scartate. La differenza è dovuta al migliore management perioperatorio. Gli autori non danno però chiare spiegazioni su come giungono a tale conclusione (per esclusione?). Per quanto riguarda lo stenting. Le complicanze sono più alte rispetto ad una recente metaanalisi (8,1%) (Coward LJ, Stroke 2005). Gli autori sottolineano l'eterogeneità degli studi. Il fatto che esse risultino più alte rispetto allo studio SAPPHIRE (3.6%) viene spiegato dicendo che si trattava in quest'ultimo perlopiù di pazienti asin- TRIBUNA MEDICA TICINESE 19 SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB tomatici, e quindi con una stenosi meno “pericolosa”, perlomeno localmente. Nello studio sono stati utilizzati 7 diversi tipi di devices di protezione, un numero alto. Valutazione sistematica Si tratta di un quesito importante per il management di una patologia frequente. Osservazioni particolari Il tempo trascorso tra l'evento qualificante e l'intervento era lungo, in oltre 40% dei casi 4-12 settimane. Sorprende quindi che solo 3 dei pazienti in ogni gruppo abbia avuto un ictus (minore o maggiore) tra la l'evento ischemico e la terapia (TEA o stenting) 3/262 rispettivamente 3/265 = 1.1 %. Positivo – studio multicentrico, sia grossi che piccoli centri (complessivamente 30) (da novembre 2000 a settembre 2005: 527 pazienti in quasi 5 anni: poco meno di 3.5 / centro / anno. – Numero considerevole di pazienti – comitato di sicurezza consiglia l'uso dei devices di protezione, con miglioramento della statistica dello stenting. – Criteri di inclusione/esclusione adeguati – Randomizzazione informatizzata – Follow-up del neurologo – Endpoint primario rilevante (ictus e morte nei primi 30 giorni) – Analisi dei dati in base all'“intention to treat” – La randomizzazione è riuscita. Differenze: nel gruppo dell'endarteretomia vi sono più pazienti > 75 anni e con una storia di ictus. Questi presupposti danneggerebbero piuttosto i risultati chirurgici. Le occlusioni contralaterali erano più frequenti nel gruppo dello stenting. Nessuno di costoro ha avuto un ictus nel seguito. – Pochi dropout (nessuno?) Negativo _ solo Francia _ esperienza del radiologo interventistico: solo 12 stenting carotidei o 35 procedure sopraaortiche di cui almeno 5 nelle carotidi. Se il radiologo non raggiungeva le cifre doveva avere la supervisione di un collega che aveva i presupposti descritti. I devices di protezione dovevano essere stati utilizzati (solo) 2 volte prima dell'impiego nello studio. 20 TRIBUNA MEDICA TICINESE Commento personale Nello studio EVA-3 S lo stenting carotideo non ha mostrato un vantaggio e neppure l'eguaglianza rispetto alla tecnica chirurgica (trombendarterectomia). È chiaro che lo studio evoca diverse domande alla quali anche gli autori non sanno dare una risposta esauriente: perché le complicazioni chirurgiche sono così rare? Perché quelle dopo lo stenting così frequenti? In un review dei dati a partire dal 2002 (Yadav JS et al, NEJM 2004) il rischio di morte o ictus a 30 giorni era 5.5% dopo lo stenting (6,4% nelle stenosi sintomatiche, 1.0% in quelle asintomatiche) versus 1.8% della chirurgia (asintomatiche e sintomatiche)). Sarebbe sicuramente avventato se in base a questo studio non si effettuasse più lo stenting carotideo (come momentaneamente in Francia). Dall'altra parte una promozione cieca del “nuovo” metodo (“meno invasivo, quindi migliore”) sarebbe sicuramente un atteggiamento sbagliato. Anche il recente studio SPACE non era riuscito a dimostrare la non inferiorità dello stenting rispetto all'intervento chirurgico (SPACE Lancet 2006). Nell'equipe vascolare di Lugano ci sentiamo confermati nell'indicazione restrittiva allo stenting carotideo, che si evince principalmente dai criteri di inclusione dello studio SAPPHIRE (ad esempio recidiva di stenosi (sintomatica) dopo TEA, occlusione ACI contralaterale, stato da chirurgia maggiore del 72 GENNAIO 2007 collo, radioterapia, ecc.). Anche la FDA approva solo l'uso dello stenting per pazienti con stenosi sintomatica > 70% ad alto rischio dopo chirurgia. Il nostro atteggiamento dovrà eventualmente essere rivisto alla luce di ulteriori studi randomizzati in corso, risultati a lungo termine e rispettive metaanalisi già previste che verranno pubblicati nei prossimi anni (risultati studio SPACE a 6 e 24 mesi, risultati a lungo termine di EVA 3S, ICSS, CREST, ecc). Un aspetto importante sarà anche la terapia di anticoagulazione e antiaggregazione periprocedurale. Accanto all'efficacia e sicurezza dei 2 metodi si porrà poi la problematica del confronto dei rispettivi costi. Bibliografia European Carotid Surgery Tialists' Collaborative Group. Randomised trial of endarterectomy for recenty symptomatic carotid stenosis: final results of the MRC Eureopean Carotid Surgery Trial (ECST). Lancet 1998; 351:1979-87 Barnett JR et al Benefit of carotid endarterectomy in patients with symptomatic moderate or severe stenosis. N Engl J Med 1998; 339:1415-25 Coward LJ et al Safety and efficacy of endovascular treatment of carotid artery stenosis compared with carotid endarterectomy: a Cochrane systematic review of he randomized evidence. Stroke 2005; 36: 905-911 Hacke W et al 30 day results from the SPACE trial of stent-protected angioplasty versus carotid endarterectomy in symptomatic patients: a randomised non-inferiority trial. Lancet 2006; 368: 1239-1247. Yadav JS et al Protected carotid-artery stenting versus endarterectomy in high-risk patients (SAPPHIRE). N Engl J. Med 2004; 351: 1493-501 SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico L’OCCHIO CLINICO Cari lettori, abbiamo il piacere di pubblicare qui di seguito un contributo originale quanto arguto e stimolante del Collega, Dr. F. Beretta Piccoli, che ci ricorda, dall'alto della sua lunghissima e solidissima esperienza, l'insostituibile valore dell'occhio clinico. Grazie Francesco. A nome del comitato scientifico, Dr. G. Pedrazzini L’ultima urgenza di un medico novantenne Io ho sempre mantenuto l'abitudine di recarmi alla posta verso le 17.30; d'inverno è già notte fonda. Era la fine del mese dello scorso gennaio; faceva freddo con vento da nord a raffiche. Arrivato in piazza un signore con i bianchi capelli al vento mi chiamò con forza: “dottore la supplico venga da mia moglie che ha mal di pancia e vomita da ieri sera”. M'accorsi che teneva qualcosa nel pugno della mano destra. Rimasi incerto: “lo sai che io ho cessato qualsiasi attività; inoltre non ho niente con me” (alludevo alla tasca medica). Ovviamente era una scusa, poiché io potevo tranquillamente esaminare quella paziente servendomi delle mie mani e del mio orecchio. Forse mi sarebbe servito un paio di guanti in caucciù. Gli chiesi: “non è passato il vostro medico?” “Sì, infatti è venuto stamattina: ed ora sono stato io da lui per informarlo dello stato di mia moglie; mi raccomandò di fare questa iniezione stasera se dovesse continuare il vomito.” Mi mostrò la fialetta: si trattava del Torecan, un medicamento molto efficace nelle vertigini con vomito di origine ORL. Allora mi decisi e seguii il marito verso la sua casa. Conoscevo quel bellissimo appartamento con mobili toscani e quadri notevoli, tra i quali un “Agnelli” forse il più bello che io abbia mai visto. La paziente giaceva di traverso nel lettone grande con una scaldiglia sul fianco destro. Aveva appena vomitato mezzo catino di un liquido color bile. Facies molto sofferente, magrissima, con la cute secchissima. L'addome presentava un modico gonfiore mesogastrico. All'auscultazione rumori intestinali rari, metallici. Alla palpazione con mano piatta e morbida anse dilatate forse del tenue. Non volli perdere altro tempo in indagini cliniche. La paziente che era stata 72 GENNAIO 2007 operata di un tumore del sigma circa otto mesi prima, presentava il quadro classico di un ileo da briglia aderenziale con grave alterazione dello stato generale. Per il medico è sempre un momento molto delicato quando si deve dire al o alla paziente che il suo stato esige un ricovero con la massima urgenza. Effettivamente anche stavolta la paziente si rifiutava ferocemente, ma poi iniziò a piangere: il segno della resa. In quel momento il marito aprì il pugno della mano destra e lasciò cadere la famosa fialetta. Ebbi la fortuna di trovare il chirurgo ancora in ospedale. Reidratazione per tutta la notte ed intervento al mattino seguente di buonora con buon risultato. L'anno prima avevo visto, sempre a domicilio, un caso assolutamente simile; ma come mai? Dr. F. Beretta Piccoli TRIBUNA MEDICA TICINESE 21 SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoterapia Flash di farmacoterapia è una rubrica della TMT gestita sotto la responsabilità del Centro Regionale di Farmacovigilanza del Canton Ticino. L'informazione è indipendente dall'industria e mirata a migliorare le conoscenze sull'utilizzo di farmaci nella pratica quotidiana. SICUREZZA DEI BETA2-AGONISTI A LUNGA DURATA D’AZIONE specialità a base di salmeterolo) di condurre uno studio apposito: lo studio SMART (Salmeterol Multi-center Asthma Research Trial)1. L'obiettivo dello studio era di valutare la sicurezza del salmeterolo a lungo termine nel trattamento dell'asma. Lo studio ha arruolato 30.000 pazienti asmatici che sono stati randomizzati ad assumere 42 mcg x 2/dì di salmeterolo o placebo in aggiunta al trattamento di base. Nonostante le raccomandazioni delle attuali linee guida per il trattamento dell'asma, ca. la metà dei pazienti arruolati non faceva uso di corticosteroidi inalatori all'ingresso nello studio. R. Bertoli, A. Cerny Il trattamento dell'asma mira al controllo dei sintomi e a prevenire lo sviluppo di una limitazione irreversibile del flusso a livello delle vie aere e la mortalità correlata alla malattia. I corticosteroidi inalatori giocano un ruolo di fondamentale importanza nel conseguimento di questi obiettivi e rappresentano il trattamento di base, mentre i beta2-agonisti a breve durata d'azione vengono utilizzati al bisogno per il controllo dei sintomi. I beta2-agonisti a lunga durata d'azione (LABA) (salmeterolo, formoterolo) trovano indicazione, in associazione con i corticosteroidi inalatori, nei pazienti in cui l'impiego dei corticosteroidi inalatori da soli non permette un controllo soddisfacente della malattia. Alcune segnalazioni d'attacchi acuti fatali d'asma verificatisi in pazienti in trattamento con salmeterolo, hanno di recente messo in dubbio la sicurezza di questi farmaci. Per valutare la sicurezza d'impiego del salmeterolo nei pazienti con asma la Food and Drug Administration americana ha richiesto alla ditta GlaxoSmithKline (produttrice di una delle L'esito primario era rappresentato dalla combinazione della mortalità per eventi respiratori e delle complicanze respiratorie gravi e potenzialmente fatali che avevano richiesto l'intubazione e la ventilazione meccanica del paziente. Nello studio sono stati valutati, inoltre, tutte le cause di mortalità, le cause d'ospedalizzazione e le complicanze legate all'asma. Un'analisi preliminare dei risultati ha portato all'interruzione anticipata dello studio: nei pazienti trattati con salmeterolo è emersa, infatti, una differenza statistica significante per 3 endopoints secondari: un eccesso di mortalità per eventi respiratori, un eccesso di mortalità per eventi correlati all'asma e di complicanze respiratorie gravi. L'eccesso del rischio è risultato significativo nei pazienti in cui il beta2-agonista è stato impiegato in monoterapia e nei pazienti di razza afro-americana (18%), anche se lo studio non era stato disegnato per cogliere queste differenze. Il fatto che questo gruppo di pazienti avesse un asma più grave all'ingresso nello studio potrebbe giustificare, almeno in parte, questo risultato. Nell'estate 2005 una commissione del FDA2 ha riesaminato i dati dello studio SMART e visti i ben noti effet- 72 GENNAIO 2007 ti benefici dei LABA per il controllo dell'asma e poiché i dati dello studio non fossero conclusivi, non ha ritenuto necessario ritirare dal mercato questa classe di farmaci, ma ha concluso fosse necessario rafforzare le informazioni dei prodotti circa il rischio di morti correlate all'asma e di raccomandarne l'uso solo nei casi in cui altri provvedimenti avessero fallito. Le informazioni sono state così modificate con l'introduzione di una “boxed warning”, estesa a tutti i LABA supponendo potesse trattarsi di un effetto di classe, sebbene non ci fossero dati al riguardo. Anche in Svizzera sono state modificate le note informative di questi prodotti, rendendo attenti ad un possibile aumento del rischio di gravi episodi asmatici e morti legate ad attacchi d'asma sotto terapia con LABA. La scorsa estate è stata pubblicata una metanalisi3 sulla sicurezza dei beta2-agonisti a lunga durata d'azione. Da quest'analisi risulta che i LABA, rispetto al placebo, aumentano il rischio di ospedalizzazioni dovute ad esacerbazioni asmatiche gravi e aumentano il rischio di morti dovute all'asma. Lo studio sottolinea anche che l'uso concomitante di steroidi inalatori non sembra proteggere in modo adeguato dall'aumento del rischio. Lo studio è importante, ma occorre molta cautela nel trarre conclusioni affrettate. Come affermato in un editoriale a commento della metanalisi di Jeffrey Glassroth4 l'asma è una malattia molto variegata che presenta forti fluttuazioni anche spontanee nel suo range di severità e che è influenzata gravemente dalla comorbidità, dalle terapie concomitanti, dalla compliance a trattamenti antiasmatici concomitanti ed è molto difficile poter correggere per questi importanti fattori di confusione. Inoltre la metanalisi è fortemente influenzata da un singolo studio, lo TRIBUNA MEDICA TICINESE 23 SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoterapia studio SMART1, che da solo rende conto del 78% di tutti i pazienti considerati. Questo studio che arruola il 18% di pazienti di colore, annovera tutte le morti considerate nella metanalisi tranne due. • Anche per i pazienti con BPCO i LABA devono venir usati con cautela; favorire se possibile la scelta d'anticolinergici8. R. Bertoli1, A. Cerny1,2 Sono stati segnalati polimorfismi genetici del gene del recettore beta2-adrenergico. I pazienti omozigoti per una variante di tale gene con un'arginina in posizione 16 (genotipo-Arg/Arg) sono molto proni a presentare broncostenosi e peggioramento dell'asma usando i beta-agonisti5. Questo genotipo è presente in circa un sesto della popolazione americana ma è molto frequente nei soggetti afro-americani6. Nei soggetti con genotipo-Arg/Arg sono molto efficaci gli anticolinergici7 che potrebbero dunque essere impiegati in questi soggetti laddove gli steroidi inalatori da soli non fossero sufficienti a controllare la malattia. Secondo questa ipotesi sarebbe necessario pertanto valutare i risultati correggendoli per tale genotipo per escludere che i risultati della metanalisi siano applicabili solo a particolari sottogruppi razziali. 1 Centro Regionale di Farmacovigilanza, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano 2 Clinica Medica, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano TRIBUNA MEDICA TICINESE 1 Nelson HS, Weiss ST, Bleecker ER, Yancey SW, Dorinsky PM; and the SMART Study Group. The Salmeterol Multicenter Asthma Research Trial. A comparison of usual pharmacotherapy plus salmeterol [published correction appears in Chest 2006;129: 1393]. Chest. 2006;129:15-26. 2 U.S. Food and Drug Administration Advisory Committee. Serevent, Advair, Foradil withdrawals to be considered by Advisory Committee. 2005. 3 Salpeter SR, et al., Meta-analysis: effect of long-acting beta-agonists on severe asthma exacerbations and asthma-related deaths. Ann Intern Med. 2006 Jun 20;144(12):90412. Epub 2006 Jun 5. 4 Jeffrey Glassroth, The Role of Long-Acting Agonists in the Management of Asthma: Analysis, Meta-Analysis, and More Analysis Ann Intern Med. 2 Ann Intern Med. 2006; 144:936-937. 5 Israel E, et al., The effect of polymorphisms of the beta(2)-adrenergic receptor on the response to regular use of albuterol in asthma, Am J Respir Crit Care Med. 2000;162: 75-80. 6 Drysdale CM, et al., Complex promoter and coding region beta 2-adrenergic receptor haplotypes alter receptor expression and predict in vivo responsiveness. Proc Natl Acad Sci U S A. 2000 Sep12;97(19): 10483-8. Allo stato attuale dei dati le raccomandazioni sono quelle di: • i LABA non devono sostituire i corticosteroidi per os o per via inalatoria. I corticosteroidi rimangono il principio terapeutico di prima scelta. • impiegare i LABA solo insieme ad un appropiato dosaggio di corticosteroidi per via inalatoria. • i LABA non devono essere impiegati per il trattamento di episodi o sintomi asmatici in acuto • i pazienti devono essere informati di non interrompere o ridurre la terapia anti-asma senza prima consultare il loro medico; un interruzione brusca può produrre un'alterazione del controllo dell'asma che può rivelarsi pericolosa. 24 Bibliografia 7 Israel E, et al, Use of regularly scheduled albuterol treatment in asthma: genotypestratified, randomised, placebo-controlled cross-over trial. Lancet. 2004 Oct 23-29; 364(9444):1505-12. 8 Salpeter SR, et al., Meta-analysis: anticholinergics, but not beta-agonists, reduce severe exacerbations and respiratory mortality in COPD, J Gen Intern Med. 2006 Oct;21(10): 1011-9. Erratum in: J Gen Intern Med. 2006 Oct;21(10):1131. 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole PATOLOGIA IN PILLOLE Nr. 12 D. Soldini, E. Pezzetta Storia clinica Un uomo di 71 anni non fumatore, noto per ipertensione arteriosa, lamenta dispnea progressiva da alcune settimane senza dolori. Gli esami radiologici evidenziano una lesione tumorale di 18 cm all'emitorace sinistro che infiltra la parete toracica dorsalmente. All'intervento chirurgico riscontro di un tumore a superficie liscia che non infiltra il parenchima polmonare e che viene resecato con parti della parete toracica comprendenti segmenti di due costole. Gli aspetti radiologici, macroscopici ed istomorfologici sono illustrati nelle immagini. Indica la diagnosi corretta: a b c d e 72 GENNAIO 2007 Neurofibroma Mesotelioma desmoplastico Tumore fibroso solitario Fibrosarcoma Fibromatosi extraaddominale TRIBUNA MEDICA TICINESE 25 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole Reperti anatomo-patologici Tumore di 18 x 13 x 11 cm con superficie di taglio omogenea, fascicolata e biancastra che infiltra la parete toracica. All'esame istologico la neoformazione è costituita da cellule fusiformi senza rilevanti atipie citonucleari in tessuto ricco di collagene con strutture vascolari ectasiche. Non si identificano figure mitotiche e focolai di necrosi. Agli esami immunositochimici si evidenzia espressione di actina della muscolatura liscia (SMA). Assenza di espressione di CD34, bcl2, CD99, proteina S-100 e pancitocheratine. Fibromatosi superficiali Fibromatosi palmare (Dupuytren) Fibromatosi plantare (Ledderhose) Fibromatosi del pene (Peyronie) Fibromatosi profonde Fibromatosi extraaddominale (tumore desmoide extraaddominale) Fibromatosi addominale (tumore desmoide addominale) Fibromatosi intraaddominale (tumore desmoide intraddominale) Fibromatosi pelvica Fibromatosi mesenterica Fibromatosi mesenterica nell'ambito della sindrome di Gardner Tab 1: Classificazione delle fibromatosi Diagnosi Fibromatosi extraaddominale Commento La fibromatosi è una proliferazione benigna di tessuto fibroso che comprende un gruppo di lesioni che si differenziano per il sito di insorgenza (Tab.1) e per il comportamento clinico. Malgrado la fibromatosi sia una tra le più frequenti lesioni del tessuto connettivo, essa pone problemi diagnostici e terapeutici, specialmente per la discrepanza tra l'apparenza istomorfologica benigna ed la propensione a recidivare localmente ed a infiltrare i tessuti circostanti. Le principali localizzazioni della fibromatosi extraaddominale, chiamata anche tumore desmoide, sono la muscolatura della spalla, seguita dalla parete toracica, schiena, coscia, testa e collo. Clinicamente le lesioni di testa e collo risultano più aggressive e possono causare una distruzione massiccia delle ossa circostanti. La fibromatosi extraaddominale insorge in tutte le fasce d'età, con una picco tra la pubertà ed i 40 anni; le donne ne sono affette più frequentemente degli uomini. In genere, i pazienti mostrano una massa indolente e mal delimitata a crescita lenta. I possibili sintomi neurologici sono da ricondurre ad una compressione di nervi limitrofi alla massa tumorale. 26 TRIBUNA MEDICA TICINESE Il tumore desmoide è quasi sempre confinato alla muscolatura ed alla fascia o aponevrosi sovrastante e solo raramente infiltra il tessuto sottocutaneo. Generalmente mostra diametro compreso tra i 5 ed i 10 cm, consistenza dura e superficie di taglio biancastra e trabecolata simile al tessuto cicatriziale. Quest'ultima caratteristica può causare problemi al momento di una rescissione chirurgica in caso di recidiva. Istologicamente il tumore desmoide è poco circoscritto e infiltra il tessuto limitrofo. La proliferazione consiste di cellule fusiformi d'apparenza uniforme, separate da abbondante collagene, con minimo contatto tra di esse. La cellularità varia da zona a zona all'interno della lesione e una ialinizzazione estesa può raramente nascondere la struttura di base della lesione. I nuclei sono di dimensioni ridotte e non mostrano ipercromasia né significative atipie. Ai bordi della lesione fibre di muscolatura striata possono risultare intrappolate ed subire un processo involutivo di atrofia. Microemorragie e focali aggregati di linfociti sono frequenti, mentre solo raramente si identificano calcificazioni. La patogenesi della fibromatosi extraaddominale, come quella delle altre forme di fibromatosi, è probabilmente 72 GENNAIO 2007 multifattoriale e sembra comprendere fattori genetici, endocrini e fisici, quali traumi e operazioni. Le caratteristiche immunofenotipiche (espressione di SMA) suggeriscono un'origine da miofibroblasti. Dal punto di vista anatomo-patologico la diagnosi differenziale è ampia e l'utilizzo di tecniche immunostochimiche è essenziale per una corretta diagnosi. In particolare devono essere esclusi il tumore fibroso solitario, i tumori mesenchimali benigni come i leiomiomi, schwannomi e neurofibromi oppure lesioni reattive quali la fascite nodulare. In sede pleurica, come nel caso in discussione, è inoltre opportuno considerare l'eventualità di un mesotelioma desmoplastico che malgrado il comportamento altamente aggressivo si presenta con caratteristiche istomorfologiche blande. La fibromatosi extraaddominale ha spesso un comportamento localmente aggressivo e le recidive sono frequenti, specialmente in assenza di radicalità chirurgica del primo intervento. Raramente la fibromatosi invade e comprime strutture vitali. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 90%. Il tumore non metastatizza. La terapia della fibromatosi dipende dalla sua estensione e dal suo rapporto anatomico con strutture adiacenti. SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole In genere si raccomanda un'ampia escissione locale che comporta un rischio di recidiva minore. Nei casi in cui questo non sia possibile può essere indicata una radioterapia adiuvante. L'efficacia di agenti chemioterapici come pure di un trattamento ormonale (le fibromatosi possono esprimere recettori per estrogeni!) è controversa. D. Soldini Istituto cantonale di patologia, Locarno E. Pezzetta Chirurgia, Ospedale San Giovanni, Bellinzona Bibliografia Abbas AE, Deschamps C, Cassivi SD, Nichols FC 3rd, Allen MS, Schleck CD, Pairolero PC.Chestwall desmoid tumors: results of surgical intervention. Ann Thorac Surg. 2004 Oct;78(4): 1219-23; discussion 1219-23. Gronchi A, Casali PG, Mariani L, Lo Vullo S, Colecchia M, Lozza L, Bertulli R, Fiore M, Olmi P, Santinami M, Rosai J. Quality of surgery and outcome in extra-abdominal aggressive fibromatosis: a series of patients surgically treated at a single institution. J Clin Oncol. 2003 Apr 1;21(7): 1390-7. 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 27 SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG L’ELETTROCARDIOGRAMMA A. Sorgente Cari lettori, abbiamo il grande piacere di segnalarvi una nuova rubrica che avrà inizio con il corrente numero dedicata alla lettura/interpretazione dell'elettrocardiogramma. Il primo numero verrà dedicato all'elettrocardiogramma normale, quelli successivi alle più ricorrenti alterazioni visibili durante un'abituale registrazione elettrocardiografica. Scopo di questa rubrica è di fornire ai medici curanti, soprattutto a quelli non più abituati alle letture sistematiche dell'elettrocardiogramma, gli strumenti necessari per valutare autonomamente l'ECG dei propri pazienti. Ringraziamo in questo senso il Dr. Sorgente, cardiologo presso il Cardiocentro Ticino ed appassionato di ritmologia, per il suo importante contributo. A nome del comitato scientifico, Dr. G. Pedrazzini Elettrocardiogramma normale L'elettrocardiogramma (ECG) registra le differenze tra i potenziali d'azione generati dal cuore. Il segnale registrato è determinato dai potenziali d'azione generati da ciascun miocardiocita, dalla loro sequenza di attivazione e dalla trasmissione alla superficie corporea. Molti sono i fattori (cardiaci ed extracardiaci) che influenzano la registrazione elettrocardiografica. L'ECG non rappresenta quindi una fotografia esatta del cuore, ma sicuramente è possibile dedurre con un certo grado di accuratezza lo stato del cuore dall'ECG di superficie. L'ECG può essere quindi normale in caso di patologie cardiache, così come può essere anormale in soggetti cardiologicamente sani. L'ECG dà comunque informazioni importanti sulla anatomia e sulla fisiologia del cuore: è il miglior metodo di analisi dei disturbi del ritmo cardiaco ed è essenziale nel monitoraggio del trattamento di alcune disfunzioni metaboliche come l'iperkaliemia nonchè nella valutazione degli effetti e della tossicità di alcuni farmaci come la digitale o gli antidepressivi triciclici. I potenziali generati dal cuore e trasmessi alla superficie corporea vengono captati da una serie di elettrodi situati sul torace a formare vari tipi di derivazioni. Vi sono due tipi di derivazioni:derivazioni unipolari e derivazioni bipolari. Una derivazione bipolare consta di due elettrodi situati in due punti diversi; essa registra la differenza di potenziale (ovvero la quantità di corrente elettrica) presente tra i due punti. In genere uno dei due punti è considerato polo positivo mentre il restante costituisce il polo negativo. La corrente elettrica per convenzione procede sempre dal polo negativo al polo positivo. Le derivazioni unipolari registrano invece il potenziale elettrico assoluto in un punto; per fare questo si confron- 72 GENNAIO 2007 ta il potenziale di tale elettrodo (definito esplorante) con il potenziale dell'elettrodo di riferimento (cioè un punto in cui per convenzione il potenziale è considerato zero). L'ECG clinico standard prevede 12 derivazioni (Tab.1). Tre sono le derivazioni unipolari degli arti (derivazioni I, II e III), sei derivazioni unipolari precordiali (derivazioni da V1 a V6) e tre derivazioni unipolari degli arti modificate (aVR, aVL e aVF). Le derivazioni I, II, III, aVR, aVL e aVF costituiscono le derivazioni periferiche, le derivazioni da V1 a V6 raorresentano invece le derivazioni precordiali. Le derivazioni cardiache rappresentano dei vettori il cui verso è generalmente consensuale all'elettrodo corrispondente al polo positivo. Così ad esempio la derivazione unipolare aVL avrà come verso il braccio sinistro mentre la derivazione DII avrà come verso la gamba sinistra. Anche l'attività elettrica cardiaca può essere riassunta come un vettore che unisce i potenziali elettrici sviluppati dai singoli miocardiociti. Le deflessioni disegnate dall'elettrocardiocardiografo derivano sostanzialmente dal confronto tra le proiezioni dei vettori di derivazione e le proiezioni del vettore elettrico cardiaco. Se l'attivazione cardiaca è diretta verso il polo positivo dell'asse di derivazione, la derivazione registrerà un potenziale positivo; in caso contrario registrerà un potenziale negativo. Gli assi di derivazione unipolari e bipolari degli arti vengono solitamente sovrapposti sul piano frontale a costituire il sistema esassiale di riferimento (Figura 1). Come si evidenzia dalla figura suddetta, i sei assi di derivazioni suddividono il piano frontale in dodici segmenti, ognuno dei quali sottende un angolo di 30 gradi. Questa suddivisione spaziale è fondamentale per il calcolo dell'asse elettrico del cuore. Infatti generalmente l'asse cardiaco può essere ottenuto TRIBUNA MEDICA TICINESE 29 SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG 1 attraverso la somma delle positività e delle negatività evidenziate sulle diverse derivazioni periferiche e sulla proiezione di tale somma sul sistema esassiale di riferimento oppure 2 attraverso la identificazione della derivazione in cui il QRS è isodifasico (cioè la derivazione in cui la deflessione presenta una equivalenza tra positività e negatività) e sulla successiva valutazione quantitativa delle deflessioni elettrocardiografiche sulla derivazione perpendicolare a quest'ultima. L'asse elettrico cardiaco sarà orientato nella stessa direzione di tale derivazione se la deflessione registrata è positiva, sarà orientato in senso opposto se la deflessione registrata è negativa. L'ECG riflette l'attivazione cardiaca cosicchè è possibile identificare una sistole ed una diastole elettrica. L'onda P corrisponde alla fase terminale della diastole ed è generata dalla attivazione atriale; il tratto PR rappresenta la durata della conduzione atrio-ventricolare e corrisponde alla transizione dalla diastole alla sistole elettrica cardiaca. Il complesso QRS corrisponde all'attivazione elettrica di entrambi i ventricoli come accade in sistole, mentre il tratto ST-T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare e coincide generalmente con l'inizio della diastole. La Figura 2 mostra un ECG normale e i valori normali per diversi intervalli e forme d'onda dell'ECG. L'attivazione degli atri solitamente origina in corrispondenza del nodo del seno. Questo determina una attivazione dell'atrio destro più precoce Tipo di derivazione Polo positivo Polo negativo Derivazioni bipolari degli arti Derivazione I Derivazione II Derivazione III Braccio sinistro Gamba sinistra Gamba sinistra Braccio destro Braccio destro Braccio sinistro Derivazioni bipolari degli arti aumentate aVR Braccio destro aVL Braccio sinistro Gamba sinistra aVF Braccio sinistro+gamba sinistra Braccio destro+gamba sinistra Braccio sinistro+braccio destro Derivazioni precordiali V1 Terminale centrale di Wilson (1) V2 V3 V4 V5 V6 Margine sternale destro, 4 spazio intercostale Margine sternale sinistro, 4 spazio intercostale In mezzo tra V2 e V4 Linea emiclaveare sinistra, 5 spazio intercostale Linea ascellare anteriore, 5 spazio intercostale Linea emiascellare sinistra, 5 spazio intercostale Terminale centrale di Wilson (1) Terminale centrale di Wilson (1) Terminale centrale di Wilson (1) Terminale centrale di Wilson (1) Terminale centrale di Wilson (1) (1) Terminale centrale di Wilson: è formato generalmente dall'unione dei segnali di uscita dagli elettrodi del braccio sinistro, del braccio destro e della gamba sinistra attraverso 5000 Ω di resistenza Tab. 1 30 TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG della attivazione dell'atrio sinistro. All'ECG tale sequenza di attivazione atriale (che caratterizza il cosiddetto ritmo sinusale) comporterà un asse elettrico intorno ai 60 gradi con positività in DI, DII e aVF, negatività in aVR e concomitanza di deflessioni positive e negative in aVL e in DIII. La derivazione V1 è caratterizzata generalmente da una doppia componente positivo/negativa in maniera consensuale alla propagazione dell'impulso attraverso gli atri. L'attivazione dei ventricoli è piuttosto complessa e ancora non completa- mente chiarita. In linea generale, la si può semplificare in due vettori che rappresentano da un lato l'attivazione del setto e dall'altra l'attivazione della parete del ventricolo sinistro. L'attivazione del setto dà vita ad un vettore diretto da sinistra a destra sul piano frontale e anteriormente sul piano orizzontale. Da qui la comparsa di una deflessione positiva iniziale “r” in aVR e V1 e di una deflessione negativa “q” nelle derivazioni sinistre (DI, aVL, V5 e V6). Le parti successive del QRS riflettono l'attivazione della parete libera del ventricolo sinistro e destro: si avrà quindi la comparsa di una deflessione prevalentemente negativa in aVR e V1 e di una deflessione prevalentemente positiva in DI, aVL e V5-V6 (si ricorda qui che il contributo della parete libera del ventricolo destro in condizioni fisiologiche è assolutamente irrilevante). L'asse medio normale del QRS negli adulti si trova tra -30 e +90 gradi. In caso di asse compreso tra -30 e -90 gradi si parla di deviazione assiale sinistra, invece in caso di asse medio oltre +90 si parla di deviazione assiale destra. Un asse compreso tra -90 e Fig. 1: 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 31 SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG -180 (o tra +180 e + 270) gradi viene considerato indeterminato. La ripolarizzazione ventricolare è rappresentata dal tratto ST-T. La polarità della ripolarizzazione ventricolare è la stessa del QRS precedente per cui le onde T sono positive in DI, DII, aVL e 32 aVF e nelle derivazioni precordiali laterali, negative in aVR e variabili in DIII e da V1 a V3. Onda / Intervallo Durata / Ampiezza Durata dell'onda P < 120 msec Ampiezza onda P < 250 µV Intervallo PR 120-200 msec Durata del QRS <120 msec Ampiezza del QRS Variabile in base alla derivazione Intervallo QT (corretto) < 440-460 msec TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 FORUM La rubrica Forum è aperta a tutti. Forum, come suggerisce il titolo, vuole diventare un luogo di dibattito dove sia possibile esprimere liberamente le proprie opinioni. Il contenuto, quindi, non riflette necessariamente la linea politica dell'OMCT. La redazione si riserva, tuttavia, di pubblicare contributi che rivestano un interesse generale. La Ballata del Sistema di Salute ammalato - 2. atto François Gilliet, Bellinzona Riassunto del primo atto (BMS 17:719,2006, TMT 71:119-120,2006). Nel primo atto ho messo in evidenza come il nostro sistema di salute, soprattutto nella medicina, sia cambiato sotto la pressione dei risparmi e con lo scopo politico della globalizzazione (e anche della trasparenza). Una parte importante nel fallimento del vecchio sistema viene attribuito ai medici. Il conflitto di questa ballata sta nel fatto di non aver raggiunto lo scopo: innanzitutto quello di economizzare, ed evidentemente anche la voluta sottomissione dell'influenza dei medici che sembra allo Stato di uguale importanza. Per questo cambiamento un chiaro resoconto non è possibile. La statizzazione progressiva del nostro sistema sanitario diventa il motivo principale per i cambiamenti repressivi e si manifesta sempre più apertamente. È già stata istituzionalizzata. Un anno dopo – one year thereafter –: il primo atto di questa ballata è stato scritto un anno fa. Ho ricevuto molte reazioni: la maggior parte di lode, solo alcune critiche, nessuno che mi abbia accusato di aver asserito il falso. L'UFSP non ha reagito ed è apparentemente occupato con se stesso. Altre organizzazioni hanno ricevuto lo scritto direttamente (SUVA e santésuisse): nessuno ha preso posizione, a parte il commento che il mio scritto era quello di un vecchio medico, ciò che non contesto. Interpreto questo silenzio come costernazione. Sinceramente era mia intenzione lasciar perdere. Alcuni eventi e incoraggiamenti mi hanno però fatto cambiare opinione e motivato a scrivere ancora in merito al nostro sistema di salute dal mio punto di vista forse limitato, ma essenziale e diretto per quanto concerne la medicina semplice di ogni giorno nei riguardi del paziente. Secondo atto Il paziente nel nuovo sistema di salute Molti fatti sono accaduti, ma non molto è cambiato: si parla sempre di risparmi, senza realizzarne. L'assistenza medica diretta alla popolazione è diversa, non è sicuramente migliorata, ma più burocratizzata, i pazienti devono aspettare più lungo per essere visti (1), la relazione tra medico e paziente è diventata meno personale. In dermatologia e allergologia molti pazienti hanno delle diagnosi approssimative che li rendono insicuri e sfiduciati. Biopsie cutanee con esami istologici vengono meno ordinati per non incrementare i costi. Basandosi sui risultati di terapie probatorie per confermare la diagnosi, si espone i pazienti a dei rischi inutili e i costi aumentano secondariamente. Il pronto-soccorso riceve pazienti non urgenti e si occupa anche della medicina corrente: per molti (specialmente alla sera) questo rappresenta un'alternativa molto comoda, ma non necessariamente buona. I medici sono sovente giovani, sovraccaricati e per paura di contestazioni giuridiche cercano di cautelarsi maggiormente. Senza laboratorio esteso, radiografie e altri esami non succede più niente, ciò che causa una medicina ancora più cara a dispetto di quanto voluto. Urgenze mediche trattate dal medico privato costano anche la metà di quelle trattate dal pronto soccorso (2). Il pronto soccorso quindi non è la soluzione. In certe situazioni (per esempio nelle urgenze) ancora oggi sono richieste delle decisioni autoritarie basate sull'esperienza e rimangono essenziali e insostituibili. La pratica giornaliera è pure cambiata. Cose, che in precedenza sembravano normali, non possono più essere mantenute per mancanza di personale o di tempo (Tarmed significa: medicina per tempo e stranamente non è il tempo ma la medicina la componente soggetta a variare, cioè a peggiorare). Non si aiuta più il paziente, non ci si occupa più di lui; si consegnano piuttosto dei formulari informativi e si forniscono indirizzi internet, con l'intenzione di permettere ai pazienti di aiutarsi da soli. Interpretazioni false possono esserne la conseguenza e diffondersi senza essere corrette. Le consultazioni di controllo dei pazienti sono sempre più rare se non addirittura inesistenti, per paura del medico di uscire dalla media per caso. La mediocrità della medicina svizzera è diventata realtà. Il medico nel nuovo Sistema di Salute L'attività del medico non viene più stimata come prima. Il dire: “i medici dovrebbero in futuro considerare la loro professione non più come affermazione e vocazione, il mestiere non più come identità ma piuttosto come ruolo” (MEDICAL TRIBUNE giugno 2006) non è però molto di più 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 43 FORUM di uno slogan politico per difendere un sistema sanitario. Sono proprio i pazienti e non i medici che oggi, anche più che in passato, cercano una tale immagine. Il nostro sistema di salute ha bisogno di medici motivati e non di quelli frustrati che potrebbero guadagnare la loro vita, senza differenza, facendo il tassista. La professione del medico non deve essere solo studiata e praticata, ma ancora vissuta. Proprio per questo l’allocuzione del prof. M. Mumenthaler a Zurigo, rimane di prima attualità (3) Se invece vengono imposte delle restrizioni finanziarie, alcuni al contrario li banalizzano dicendo che i medici sanno quale mestiere hanno scelto (con più pressione, più ore di lavoro supplementari, oggi anche con più problemi finanziari) e dovrebbero essere motivati (avere la vocazione). Uno studente deve essere un santo per scegliere la medicina con queste impostazioni. Il medico libero fa parte del passato anche se molti (medici e pazienti) non lo hanno ancora capito. Gli introiti dei medici vengono tagliati, censurati e limitati a quelli di un impiegato statale (4). Il medico corre però ancora sempre il rischio finanziario dell'imprenditore. Non solo il mestiere del medico è cambiato, anche i medici cambieranno. La selezione della futura generazione di medici sarà meno umanistica ma più razionale e anche più litigiosa. Anche nella medicina la polarizzazione aumenterà. Il ruolo dell'autorità nel Sistema di Salute Il ruolo dello stato dovrebbe essere quello di fungere da garante, per permettere ad ogni cittadino l'accesso alla miglior medicina. Al momento non è impegnato a garantire questo diritto al paziente ma cerca piuttosto il proprio potere. La globalizzazione, in un futuro non troppo lontano, ci obbligherà a prendere delle decisioni gravi e pesanti anche nel campo della medicina, tra quello che siamo in grado di realizzare e quelle che è possibile fare. La promessa politica (sfortunatamente irreale) di poter offrire a tutti una medicina uguale deve necessariamente essere riconsiderata e adattata alle possibilità che sono sempre da ridefinire: si può concludere che una medicina uguale per tutti non sarà mai possibile, perchè le condizioni di base non sono le stesse. È già previsto che in futuro decisioni del genere anche da noi (p.es. nella medicina per gli anziani che diventano sempre più vecchi) possano essere prese non da medici, ma da specialisti sanitari statali. Dubito che questo sia una buona soluzione. Nel singolo caso la persona adatta non è raggiungibile e diventano possibili giudizi assurdi, come l'ho già dimostrato nel primo atto di questa ballata sotto “storie vere” (il caso di herpes zoster). E il segreto professionale sarebbe abolito completamente. 44 TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007 Per i problemi futuri i medici devono tenere lo scettro in mano e non lasciare il campo a delle persone senza formazione medica e senza esperienza che non assumeranno tutta la responsabilità, e i costi saranno enormi. Possiamo dedurre che un sistema di salute con meno medici non diventerà migliore e neanche meno caro. La competenza medica non sarà più garantita e alla fine non rimane nessuno veramente coinvolto per il paziente. Volersi basare in futuro solo su decisioni statisticamente provate (evidence based) non è nemmeno una soluzione per tutti problemi di salute, soprattutto quando si tratta dello scontro di “evidence based” e di buonsenso: come nel saltare con il paracadute dove il salvarsi con questo attrezzo non è mai stato statisticamente provato (evidence based), ma dove si può tranquillamente raccomandarne l'uso (cit.). O quando viene introdotto un nuovo medicamento molto caro per una terapia oncologica che statisticamente ha un'efficacia provata del 13% migliore rispetto ai vecchi prodotti, ciò che per l'ammalato di cancro cambia probabilmente poco, per l'industria vale però milioni e anche per il sistema sanitario. In queste decisioni ci saranno sempre zone grigie che necessitano un concetto non solo tecnico ma una valutazione più larga. Una soluzione nella mentalità Tarmed non sarà certamente possibile e in generale le nostre riflessioni non saranno “evidence based”, ma si baseranno sempre su paradigmi di cui anche gli impulsi più importanti della ricerca hanno la loro origine. La medicina di punta è indispensabile per alcuni pazienti e per l'ulteriore sviluppo della medicina. Non può però diminuire le nostre paure o prolungare la vita di tutti. Per questo ci vuole una buona medicina di base. L'unico criterio per apprezzare la validità di una terapia resta il beneficio per il paziente. Questo a sua volta dipende direttamente da una diagnosi precisa. È incontestabile che dobbiamo economizzare. Questo fatto ha avuto delle conseguenze politiche e interessi superiori che hanno deformato tutto e non hanno avuto l'esito voluto. La vittima principale è la nostra medicina che diventa peggiore, proprio a causa dell'economia al posto sbagliato. Riflessioni sui cambiamenti del potere nel Sistema di Salute Sfortunatamente il Tarmed è stato accettato dai medici in modo democratico e pacifico, adesso però viene imposto in maniera dittatoriale e non sempre con mezzi ortodossi, malgrado si ritenga che il suo unico successo (MEDICAL FORUM TRIBUNE 2006), sia quello di essere riusciti ad introdurlo. Lo stato risparmia a scapito dei medici e prepara la statizzazione della medicina. Quello che succede con le somme restituite non viene però pubblicato: vengono restituiti ai pazienti o servono soprattutto d'aumentare il potere delle assicurazioni o si disperdono nel vento? Un anno dopo – one year thereafter –: si può girarla come si vuole, abbiamo fatto un passo in più verso un Sistema Sanitario Statale senza risparmi prevedibili. Ecco ancora alcuni esempi che dovrebbero illustrare la nostra situazione di politica sanitaria: i sindacati potrebbero aiutare molto, però nel trattare con i medici sovente non trovano il tono adeguato; funzionari con pensioni assicurate possono ordinare ad un medico indipendente in modo imperioso di mandare loro rapporti e copia della cartella gratuitamente, perché si tratta di una paziente senza mezzi finanziari. Non è il fatto di fare fattura o meno che rappresenta il problema; la decisione di fare fattura o no oppure se insistere sul pagamento o meno, ancora oggi dovrebbe essere di competenza del medico. Non si tratta di un problema finanziario ma di un problema di potere politico. L'Ente cantonale responsabile che è stato consultato, ha preferito non entrare in materia. Da sempre, i medici vengono criticati, la loro stima e rispettabilità stanno diminuendo e questo in parte per colpa loro: non hanno mai fatto altro che buon viso a cattivo gioco. L'influsso delle autorità però è sempre aumentato (non necessariamente la loro stima). I medici in qualità di politici sarebbero indispensabili e avrebbero un campo d'attività vasto, se volessero veramente difendere la medicina. La mancanza di medici interessati dimostra chiaramente che la maggioranza di loro ha scelto la medicina perchè interessati alla medicina e non per altri motivi. Tutto ciò parla a loro favore. La SUVA mira a continuare a cuocere i menu e a raffinarli. Il risultato che si può constatare negli ultimi anni: un aumento voluto e diretto della sua autorità rispetto ai medici. Ci inviano delle documentazioni e dei rapporti di qualità indiscutibile, dettagliati e illustrati dei loro controlli sui nostri pazienti. Noi medici non potremmo mai realizzare gli stessi rapporti con il tempo Tarmed concessoci (proprio concepito della stessa). Si tratta di una competizione ingiusta e non corretta. Simultaneamente guadagna non esigendo più delle perizie con il pretesto debole ma convincente di dover risparmiare. Nel passato sembravano essenziali, adesso non più necessari. Le loro decisioni non vengono più sempre stabilite e visionate da colleghi con la specialità FMH corrispondente al problema. Questo fatto non sembra disturbare più nessuno e non viene contestato. La SUVA si è fatta una posizione talmente forte che dispone di una ampia dinamica propria con vasta autonomia politica e di potere. Può, in questo contesto, effettivamente pretendere di essere “più di un'assicurazione” (cit. suo slogan pubblicitario). Malgrado tutto, la SUVA, recentemente, con soddisfazione, ha pubblicato delle cifre nere. Rende di nuovo sicuramente una notevole prestazione. Cosa succede con i soldi guadagnati non viene pubblicato: vengono restituiti ai pazienti, ai datori di lavoro o vengono investiti per percepire degli interessi? Critichiamo spesso i sistemi sanitari di paesi viciniori con un tono di soddisfazione e con la convinzione di fare meglio in Svizzera. Al momento le cose non vanno più così bene. Per diversi motivi il cambiamento da noi è avvenuto più tardi, però rigorosamente e con un Tarmed che altrove non hanno mai neanche immaginato. Rimane un libro con 7 sigilli. E ripetiamo gli stessi sbagli dei nostri vicini. Riflessioni finanziarie e sul Tarmed Nel nostro sistema sanitario manca una bilancia chiara e pubblica sui costi del sistema di controllo che il Tarmed ha indotto, inclusi i salari dei funzionari addetti. Senza questo non è possibile paragonare costi e spese (input e output). La medicina elvetica si muove su una cresta. Invece di risparmiare semplicemente, lo stato strozza i medici che in base alla loro formazione e attività dovrebbero essere i pilastri del sistema sanitario e dovrebbero anche rimanerlo. Il vuoto dovrebbe essere compensato con la statizzazione. Malgrado commenti discordi questo esercizio di ristrutturazione costa molto senza una pubblicazione in merito. Siccome lo stato ha sempre il braccio più lungo (deve anche averlo) la presa di potere è avvenuta senza difficoltà. L'assunzione della competenza però manca e non sarà mai funzionante. Anche lo stato non potrà addossarsene la responsabilità. E comprensivo voler risparmiare con limitazioni di accertamenti di laboratorio. Se all'inizio di accertamenti ne vengono però fatti un po' più dello stretto necessario, sovente possono essere evitate ulteriori consultazioni con ulteriori analisi, ciò che rappresenta un vantaggio socio-economico per il paziente, e certamente anche per lo stato. Aggiungo ancora un esempio dalla specialità di dermatologia: Il DLQI (Dermatologic Life Quality Index) è infatti una grande novità. Per la prima volta, per la terapia della psoriasi con farmaci nuovi, estremamente cari e da somministrare a lunga scadenza (biologics) viene considerata anche la sofferenza psichica del paziente. La psoriasi è una malattia dermatologica cronica con tendenza ad alterazioni metaboliche e complicazioni interne che possono certamente cambiare tutta una vita. In futuro sarà però difficile, vedendo altre indicazioni che aspettano di essere ammesse, di fissare il diritto a prestazioni, soprattutto anche per il fatto che esistono alterazioni cosmetiche che 72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE 45 FORUM possono influire sul DLQI. Per deciderlo non ci vuole solo rigore scientifico, ma soprattutto esperienza medica. (2) Hugentobler W: Kostenvergleich der... Primary Care 2006;6,586-589 (3) Mumenthaler Marco: Medizinstudium und Artzberuf: SÄZ 2007; 88:1 Considerazioni conclusive Il quesito fondamentale rimane, cioè sapere se è meglio avere del personale sanitario (funzionari statali) o piuttosto dei medici formati e capaci di prevedere (3). Per il Consigliere Federale Couchepin, un grande scienziato non è automaticamente anche un grande politico se gli manca l'intuizione (5). Ha certamente ragione su questo punto. Risponde così proprio lui involontariamente anche alla nostra domanda se vogliamo affidarci a dei funzionari statali non medici e solo razionali (evidence based) o piuttosto a dei medici formati e capaci di prevedere – cioè che non sono solo informati su quello che capita, ma che lo capiscono anche – come i buoni politici. Finale (4) Hasler N: Revenues des médecins indépendents de Suisse en 2002 e 2003. BMS 2006 :87 :39 (5) Widmer D: UEMO gegen Couchepin, Primary Care 2006;6,566-569 (6) Dignità: secondo Zingarelli: qualità intrinseca meritevole del massimo rispetto. Secondo Tarmed: Termine che si basa sulla formazione FMH di ogni medico per attribuire alla sua attività medica le posizioni Tarmed autorizzate, che dovrebbero anche corrispondere ad una media per caso. Per la cura linguistica ringrazio le persone seguenti: - Deutsch: Prof. Emil Steinhamer, Erlangen - Italiano: Dott. Saverio Prinz, Camorino e signora Graziella GhisalbertiBerri, San Vittore - Français: M. André Bodmer, Nyon et M. Fabrice Vust, Neuchâtel. È prevista la pubblicazione imminente (BMS). Nell'opera l'eroe di un dramma alla fine soccombe o si suicida. In questa ballata non viene ucciso nessun eroe e nessuno si suicida, viene però rifiutata la dignità (6) da più di 2 anni a un vecchio medico, contrario alle regole concordate. Il governo attuale non rinuncia neanche a delle misure per principio non usuali in Svizzera, per potersi affermare. La scena dell'atto finale della nostra tragedia elvetica dimostra una vecchia nave – che trasporta la ghiaia sui laghi – sovraccarica e galleggiante a fatica. Si tratta di una nave della società di navigazione ”Suvufastar SA suisse”, società elvetica di (con)fusione che si è specializzata nel dragare e si è distinta in questo campo. Il cielo è oscurato da nubi cumuliformi. L'acqua torbida è mossa e schiumante. Nella immediata vicinanza si intravedono con difficoltà degli scogli grigio-neri appena sopra la superficie dell'acqua. Probabilmente ci troviamo sul lago d'Uri di fronte a Flüelen e diretto lentamente ma con determinazione verso Attinghausen. In sottofondo si ode musica cupa, con colpi di tamburo – tuoni non troppo distanti – e su questo finale si chiude lentamente il sipario rosso e pesante. Ci si chiede se Tell salterà ancora (senza Tarmed!). “Ich sah's mit Augen an, ihr könnt mir's glauben. s'ist alles so geschehen, wie ich Euch sagte.“ (dal dramma „Wilhelm Tell“ di Friedrich Schiller.) 46 (1) Radio Suisse Romande: http://www.rer.ch/les-infos/virus TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007