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Cassa malati unica: davvero sexy?

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Cassa malati unica: davvero sexy?
TACCUINO PRESIDENZIALE
Il Presidente OMCT dr. Franco Denti
ha cortesemente messo a disposizione la pagina del primo numero di
gennaio affinché vi sia trattato un
tema “caldo” e di interesse generale
per la classe medica. Quale Segretaria Generale amministrativa OMCT,
ritengo che uno dei temi che devono
pre/occupare la categoria degli operatori sanitari sia la prossima votazione sulla Cassa malati unica, legata al
finanziamento in base al reddito.
Il dr. Ignazio Cassis, molto attento
agli aspetti futuri della politica sanitaria, et pour cause!, mi ha segnalato le sue seguenti riflessioni, che
ritengo assai importante far condividere, dalle pagine del Taccuino, ai
membri dell'Ordine, quale spunto
per lanciare un'ampia discussione.
Colgo l'occasione per porgere a tutti
i lettori di TMT gli auguri di un proficuo 2007!
Avv. Francesca Gemnetti SGA OMCT
Cassa malati unica:
davvero sexy?
È una proposta ammaliante, eppur
non convince. Il Consiglio nazionale
l'ha bocciata con 109 voti contrari
contro 61 favorevoli; agli Stati 31
contro 7. Il Consiglio Federale raccomanda di respingere quest'iniziativa
popolare lanciata nella Svizzera
romanda dal Movimento popolare
delle famiglie (MPF) e sostenuta dalla
sinistra.
Il prossimo 11 marzo decideremo: se
l'iniziativa sarà accolta, la Costituzione sarà modificata ed entro il 10 marzo 2010 il Parlamento federale dovrà
varare una legge che sostituisca le
attuali 85 casse malati con un'unica
cassa malati. Questa sarà sottoposta
a controllo democratico (assicurati,
operatori sanitari e Stato) e stabilirà i
premi da applicare in funzione della
forza finanziaria del cittadino.
Le sirene
Questa proposta piace a molti. Piace a
cittadini e medici sempre più infastiditi dallo strapotere delle casse malati,
criticate per comportarsi come aziende a scopo di lucro, per spendere soldi in una sterile concorrenza volta alla
conquista di nuovi assicurati giovani e
sani, i cosiddetti “buoni rischi”, che
costano poco e rendono. Sappiamo
che l'attuale meccanismo di compensazione dei rischi, basato su età e sesso, è alquanto lacunoso e che alle casse malati rende bene procacciare buoni rischi. Se però vogliamo impedire
agli assicuratori di fare il loro mestiere
(cercare buoni rischi), dobbiamo rivedere alla base l'architettura del sistema sanitario svizzero: l'iniziativa in
questione rappresenterebbe un primo
– ancorché insufficiente – passo.
Inoltre negli ultimi anni alcune casse
sono effettivamente diventate veri e
propri colossi assicurativi: erano 246
nel 1990, 110 nel 2000 e ne sono
rimaste oggi 85. Tra queste tuttavia
25 appartengono a quattro giganti
che dominano il mercato, accaparrandosi la metà degli svizzeri: i gruppi
Helsana, CSS, Mutuel e Visana assicurano insieme circa 3,5 Mio di cittadini.
A questo punto molti si chiedono: se
in fin dei conti ne restano soltanto 4 o
5, tanto potenti da creare un cartello
e sfuggire al labile controllo delle
autorità federale … tanto vale crearne
una sola con maggior controllo pubblico. Altro buon argomento!
Infine l'annosa questione dei premi.
La sinistra martella lo slogan della
vergogna: in Svizzera ricchi e poveri
finanzierebbero il sistema sanitario in
ugual misura, perché pagano lo stesso premio di cassa malati! Se davvero così fosse, anche per il PLR si tratterebbe di una palese ingiustizia
sociale. In realtà dei 60 Miliardi di
franchi che spendiamo annualmente
in Svizzera per la salute, 20 circa provengono dai premi di cassa malati,
altri 20 sono raccolti in modo sociale
con il fisco (e qui i benestanti pagano
una bella fetta), e gli ultimi 20 sono
lasciati alla discrezione del singolo
cittadino (contanti e assicurazioni
complementari). Dei 60 Miliardi solo
20 derivano dunque da premi di cassa malati uguali per tutti … che poi
sono uguali sono in teoria, perché un
terzo dei cittadini beneficia dei sussidi statali: 4 Miliardi estratti dagli
introiti fiscali. Restano perciò 16
Miliardi su 60 (26%) che sono
“uguali per quasi tutti”: un franco su
72 GENNAIO 2007 TRIBUNA MEDICA TICINESE
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TACCUINO PRESIDENZIALE
quattro raccolto “pro-capite” mi
pare una cifra difendibile, il cui effetto benefico è quello di richiamare il
cittadino alle sue responsabilità, rendendolo attento ai costi che genera.
Gli abbagli
Il tranello più grande consiste nel credere che quest'iniziativa permetta di
arrestare la crescita dei costi della salute: tutti gli esperti concordano nel dire
che ciò è illusorio. I costi della salute
continueranno a crescere in assenza di
carestie o guerre: il nostro sogno d'immortalità, ben alimentato dall'industria
della salute, non tramonterà. Oggi
investiamo l'11,6% del PIL per la
nostra salute-salvezza e le proiezioni
parlano del 30% del 2050, con o senza cassa malati unica: tutto questo
testimonia del cambio culturale in corso, che vede il paziente diventare sempre più cliente e sempre più estraneo al
principio assicurativo mutualistico.
L'efficienza: che un istituto assicurativo
nazionale funzioni dal profilo dell'efficienza meglio che una pluralità di assicuratori, va ancora dimostrato. Di sicuro disturbano gli atteggiamenti goffi e
spocchiosi di alcune compagnie assicurative, così come disturba che esse
spendano 3,7 Milioni dei nostri premi
per convincerci a votare contro l'iniziativa che toglie loro potere. Ma è un
motivo sufficiente per mettere a soqquadro il sistema sanitario svizzero,
tutto sommato ancora apprezzato dalla maggioranza della popolazione?
La burocrazia: I medici sono logorati
dall'eccesso di burocrazia inutile
imposta dagli assicuratori, tanto che
un recente sondaggio nel Canton VD
stima il loro sostegno dell'iniziativa al
60%. Tuttavia è illusorio pensare che
un'unica cassa malati sia meno attenta ai costi delle prestazioni, perché
migliorerà la trasparenza dei costi,
auspicata da molti ma temuta da tutti. I controlli degli assicuratori sono
un male necessario, perché occorre
garantire agli assicurati che i soldi
intascati con i premi siano spesi correttamente. Le casse malati hanno
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iniziato a farlo e la loro azione migliorerà col tempo.
Premi secondo la ricchezza: i sistemi
sanitari dei paesi occidentali sono di
due tipi, quelli assicurativi (come Svizzera, Germania, Austria, Francia) e
quelli fiscali (Inghilterra, Italia, Svezia).
Nessuno riesce a tenere in pareggio i
bilanci. Quelli assicurativi costano circa 1% di PIL in più, ma offrono più
confort (meno liste d'attesa, cure più
individualizzate, ecc.). L'iniziativa per
una cassa malati unica non è né carne, né pesce: propone una nuova via
senza però avere il coraggio di mollare la vecchia e di andare fino in fondo. Introduce un premio assicurativo
basato sulla ricchezza (redito e
sostanza) creando un sistema “fiscale” parallelo a quello già esistente, ma
mantiene un modello assicurativo.
Orbene un cambiamento epocale
come proposto comporta pesanti
costi: liquidazione delle attuali compagnia assicurative, gestione dei contenziosi, instabilità del sistema, sorprese varie. Il santo vale la candela? È
difficile convincersene.
Democrazia: l'idea di un forte controllo democratico della nuova cassa
malati unica – per il tramite della
gestione tripartita – è certamente politically correct. Ma come gestire con
efficienza un'azienda sotto l'influsso
di forze politiche divergenti e di segno
opposto? Se pensiamo alla pena dei
Governi a svolgere un'azione incisiva
in una società vieppiù polarizzata, le
premesse non sono incoraggianti.
Fattibilità: negli ultimi 4 anni il Parlamento federale è stato incapace di
portare a termine una riforma della
LAMal pur ritenuta da tutti necessaria e urgente. Chi crede che entro tre
anni si possa letteralmente riformare
il sistema?
A prima vista sexy, quest'iniziativa
mostra tutti i suoi limiti non appena
la si guarda più da vicino. Il finanziamento del nostro sistema sanitario
presenta qualche pecca, ma quando
abbiamo bisogno di prestazioni, le
otteniamo rapidamente e la fattura è
per la maggioranza pagabile. Migliorare il sistema è un dovere di cui si
avverte la necessità, ma avviare una
rivoluzione appare un impresa un po'
eccessiva e sproporzionata.
Dr. med.Ignazio Cassis,
medico, FMH prevenzione e salute pubblica
La Costituzione federale del 18 aprile 1999 è modificata come segue:
Art. 117 cpv. 3 (nuovo)
3La Confederazione istituisce una cassa unica per l'assicurazione obbligatoria
delle cure medico-sanitarie. Il consiglio d'amministrazione e il consiglio di vigilanza della cassa comprendono un pari numero di rappresentanti dei poteri pubblici, dei fornitori di prestazioni e delle organizzazioni di difesa degli assicurati.
La legge disciplina il finanziamento della cassa. Stabilisce i premi in funzione della capacità economica degli assicurati.
II
Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono modificate come
segue:
Art. 197 n. 2 (nuovo)
2. Disposizione transitoria dell'art. 117 cpv. 3 (Assicurazione obbligatoria delle
cure medico-sanitarie)
La cassa unica diventa operativa il più tardi tre anni dopo l'accettazione dell'articolo 117 capoverso 3. Riprende gli attivi e passivi degli istituti assicurativi esistenti per quanto concerne l'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie.
TRIBUNA MEDICA TICINESE 72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA
ASPETTI DI
PSICOTRAUMATOLOGIA
NELLA PRATICA
QUOTIDIANA
trauma particolarmente nel trauma di
tipo II, spesso non riconosciuta dalla
vittima.
Dopo la guerra del Vietnam sono state
studiate più da vicino le reazioni ed i
disturbi postraumatici; ricordo che
sono morti più veterani al rientro dalla
guerra per suicidi che non militi durante la guerra stessa.
C. Klauser-Reucker
Reazioni ad un evento traumatico
Possiamo distinguere una reazione
caratteristica durante l'evento poi
una reazione acuta da stress che
continua anche immediatamente dopo che l'evento è terminato, da una
sindrome postraumatica con disturbi prolungati oltre le otto settimane
dall'evento ed una sindrome postraumatica cronica (PTSD) che può
durare per anni.
Nella pratica di medico di famiglia
non è raro essere confrontati a reazioni o a disturbi legati ad eventi traumatici.
Con queste note vorrei evidenziare
quali sono le reazioni tipicamente
postraumatiche, come indagarle, come affrontarle.
Reazioni durante l'evento
Nel momento dell'evento, che minaccia la vita (la vittima vede la morte in
faccia), l'attenzione è generalmente
rivolta al massimo verso l'esterno
(monitoring) ed è accompagnata da
una massiccia secrezione degli ormoni
da stress (adrenalina, cortisolo, ecc.)
che portano tra l'altro ad un aumento
della frequenza cardiaca e respiratoria,
ad un aumento della forza muscolare;
questo per fuggire o lottare per poter
sopravvivere. Dal punto di vista emozionale nell'evento stesso l'emozionalità è ridotta al minimo, avviene normalmente una cosiddetta dissociazione
dove l'emozione non viene vissuta o
manifestata al momento. Più rare sono
le situazioni in cui l'attenzione non è
rivolta verso l'esterno ma verso l'interno (blunting).
Subito dopo l'evento traumatico,
quando il pericolo non esiste più, la
reazione psicofisica non si arresta subito; parliamo qui di una reazione
postraumatica acuta. Questa si manifesta con un'iperreattività corporea,
agitazione, funzioni vitali accelerate; a
livello psichico con ricordi intrusivi
ricorrenti (flash-back, incubi) che
Alcuni concetti
Come trauma viene definito un evento fuori dalla norma (norma che può
essere variabile da individuo a individuo, da collettività a collettività) che
lede l'integrità psichica e/o fisica dell'individuo o di un gruppo di individui.
Classicamente parliamo di trauma
quando pensiamo al trauma tipo I che
è un evento unico, imprevisto come lo
può essere un incidente; meno chiaro
o nascosto può essere il cosiddetto
trauma di tipo II che è ripetitivo, prevedibile, dunque una minaccia permanente, come lo può essere una violenza familiare; vengono considerati traumi tipo II anche eventi fuori dalla
norma nell'ambito del lavoro di soccorritori, pompieri, ecc.
Non è sempre evidente la connessione di disturbi con una situazione di
72 GENNAIO 2007
appaiono inavvertitamente, inaspettatamente e fanno rivivere l'evento
come se succedesse in quello stesso
momento. A livello emotivo inizialmente può esserci dunque come un'anestesia emozionale o dei fenomeni
dissociativi, dove la persona si sente
quasi al di fuori del proprio corpo e
reagisce quasi automaticamente.
Queste reazioni sono normali e naturali e possono durare fino a 4-8 settimane dopo l'evento.
Se questi disturbi continuano oltre le 8
settimane, si può parlare di sindrome
postraumatica e solo se si prolungano
per oltre 3-4 mesi si parla di una sindrome postraumatica cronica o disturbo da stress postraumatico (PTSD).
Qui la iperreattività corporea è accompagnata da disturbi del sonno e spesso da disturbi somatoformi (oppressione toracica, crampi addominali, cefalee, ecc.); ansie, fobie o depressioni;
un'aumentata suicidalità, può esserne
la conseguenza.
Riassumendo
reazioni traumatiche specifiche
iperreattività fisica e psichica, ricordi
intrusivi ricorrenti e comportamenti
evitativi (interiori con anestesia psichica/somatica o esteriori con comportamenti di evitamento/ dissociazione).
Reazioni traumatiche non specifiche
perdita dei propri valori, delle proprie certezze (credo, fede), la perdita di speranza o di valor proprio;
emozioni come rabbia, impotenza,
vergogna, colpa, disgusto, tristezza.
Caso clinico esplicativo
Due giovani donne rientrano in auto
dal lavoro verso casa. In una tratta con
poca visibilità improvvisamente sbuca
una motocicletta che sopraggiunge in
contromano, sbanda e colpisce posteriormente la vettura delle due giovani.
La loro auto si arresta al bordo della
strada con un botto. Fortunatamente
riescono ad uscire dall'abitacolo illese
fisicamente. Si rivolgono verso il moto-
TRIBUNA MEDICA TICINESE
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SEZIONE SCIENTIFICA
ciclista infortunato che si lamenta e
sembra ferito ad una gamba.
Chiamano l'ambulanza e la polizia.
Vengono assistiti da altri passanti che si
sono fermati. I soccorsi sono rapidi ed
adeguati e il motociclista viene portato
all'ospedale non in gravi condizioni.
L'incidente si è concluso per le ragazze
con un danno all'automobile ed un
“grosso spavento”. La guidatrice nell'impatto con il motociclista in una frazione di secondo ha avuto la sensazione che “adesso fosse finita”. Nelle ore
e nei giorni seguenti rivive involontariamente questa sensazione accompagnata da forte batticuore, mancamento di respiro, senso di svenimento,
sudorazione oltre che ad un tremore
interno ed un'agitazione fisica. Dopo
pochi minuti riesce a riprendersi e queste sensazioni diminuiscono. Nei giorni
seguenti trovandosi a casa o con amici
viene sopraffatta ripetutamente da
questi ricordi e sta male come al primo
momento. La sera fa fatica ad addormentarsi, si sveglia di notte bagnata
fradicia, agitata dopo un incubo che le
ricorda l'incidente. Non riesce ad andare al lavoro perché completamente
sconcentrata ed ha frequenti crisi di
pianto. Ha paura di riprendere l'auto e
fare la strada dell'incidente, che cerca
di evitare. In questa situazione evita i
contatti con gli amici e tende piuttosto
a rinchiudersi in casa, ha perso l'appetito, è stanca e si preoccupa per questo
suo stato; a volte le sembra di stare per
impazzire.
L'altra ragazza, che era accanto a lei in
auto, non ha mai avuto l'impressione
di trovarsi personalmente in pericolo di
vita; il suo spavento è stato più ridotto,
pensa ogni tanto all'evento ma non
viene sopraffatta dai ricordi e non ha
episodi di ansia. I primi giorni ha fatto
un po' fatica ad addormentarsi ma
non ha avuto incubi. Ha ripreso il lavoro e dopo qualche giorno le sembra di
stare nettamente meglio.
La guidatrice nei giorni seguenti non
se la sente di riprendere il lavoro, ha
paura di prendere l'auto ed è molto
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
turbata dal suo stato. Qualche giorno
più tardi il superiore che l'ha contattata le consiglia di farsi aiutare specificatamente.
Si presentano nel mio studio. Al primo
contatto rilevo l'anamnesi e verifico se
ci sono dei disturbi traumatici specifici
(ricordi intrusivi ricorrenti, sia come
flash back che come incubi, agitazione
psicofisica e comportamento di evitamento). Concordiamo un momento
adeguato per eseguire un debriefing.
Una fase importante è quella che eruisce le emozioni legate all'evento: un
senso di impotenza e di colpa. Le chiedo in che parte del corpo la sente e mi
riferisce al petto. Informo innanzitutto
che i disturbi e le reazioni che presenta
attualmente sono assolutamente normali e naturali e che andranno diminuendo nei prossimi giorni e settimane; le consegno un depliant informativo; parliamo un momento su quello
che ora le può essere di utilità per
gestire questa situazione di stress
(stress management) e per giungere
alla tranquillità (fare attività fisica,
riprendere le occupazioni abituali, non
isolarsi, parlarne con amici). Concorda
di provare a riprendere il lavoro con un
ritmo ridotto, di fare qualche passeggiata nel bosco, di parlarne con un'amica e di cercare di alimentarsi regolarmente. La risento dopo qualche
giorno con un buon miglioramento
ma con ancora la presenza di flash
back e di incubi. Ha ripreso la guida
dell'auto ed è riuscita a passare dal
luogo dell'evento. La rivedo 8 settimane dopo l'intervento e mi riferisce che
da circa 3-4 settimane non ha più flash
back, che ci pensa raramente e che si
ritiene ristabilita al 90%.
reazione, è di grande aiuto e tranquillizza, scacciando lo spauracchio
di un'anormalità.
Di aiuto può essere il piccolo depliant
Incidente, violenze, catastrofi: cosa
fare? che potete scaricare dal sito
internet www.debrisi.ch in varie lingue. Una volta tranquillizzata la persona a livello cognitivo è bene discutere
concretamente con la vittima su come
può gestire la sua giornata in modo
che le reazioni postraumatiche diminuiscano. Per questa gestione dello
stress (stress management) sono particolarmente consigliabili o indicate attività legate al corpo (come camminare
nella natura, attività sportiva leggera,
mangiare, coccolarsi, spaccare legna,
ecc.); occupando il corpo la mente
viene “distratta” e si riacquista pure il
controllo delle proprie facoltà fisiche.
Secondariamente è utile condividere il
vissuto con amici o con chi ha vissuto
la stessa cosa, parlando pure delle
emozioni e dei sentimenti in modo più
concreto possibile cioè nominando l'emozione stessa (vergogna, colpa, rabbia, ecc.).
In terzo luogo è consigliabile riprendere al più presto un ritmo regolare di
vita, possibilmente sul lavoro o comunque in una situazione regolare. È
importante ricordare che in queste
situazioni spesso legate ad ansia e
depressione, è sconsigliato far uso di
alcool o droghe come di medicamenti;
le benzodiazepine sono sconsigliate
perché inibiscono il sonno REM e riducono la possibilità di elaborazione del
vissuto. Come sonnifero, se necessario, si possono dare Stilnox, Imovane o
Sonata; è possibile prescrivere degli
SSRI, se necessario.
Reazione postraumatica:
come procedere?
Le vittime spesso si sentono sopraffatte dall'evento, non si riconoscono
più nelle loro reazioni e sono per
questo turbate. Spiegare le reazioni
normali e naturali ad un evento traumatico, informandoli dei vari tipi di
Decorso dopo un evento
traumatico
Le reazioni postraumatiche sono più
accentuate nei primi giorni dopo l'evento; in particolare i flash back e l'agitazione hanno la tendenza a diminuire di frequenza ed intensità nelle
settimane successive; sono tuttavia
72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA
normali fino ancora a 8 settimane circa
dopo l'evento. Solo al di là si parla di
una sindrome postraumatica. Se le reazioni postraumatiche sono molto turbanti ed invalidanti si può proporre alla
vittima o alle vittime un debriefing
individuale (o di gruppo a dipendenza
dell'evento).
Debriefing (psicologico)
Si tratta di un colloquio strutturato che
ordina il vissuto traumatico, caratteristicamente confuso e disordinato
dopo l'evento, dando alla storia un filo
rosso nel tempo e negli eventi. Tutto
ciò facilita il passaggio dalla memoria
immediata di tipo emotivo fissata nell'amigdala, per portarla nella memoria
a lungo termine nell'ippocampo.
Il debriefing è un intervento unico della
durata variabile da una a varie ore; non
è considerata una terapia ma un aiuto
nel decorso naturale dell'elaborazione.
Nel debriefing dopo un introduzione
ed una spiegazione di come si svolge,
ci si fa raccontare la storia abbastanza
nel dettaglio dal momento prima dell'evento ad un momento in cui il pericolo era scagionato. Il racconto in una
prima fase vien tenuto volutamente
puramente a livello cognitivo lasciando
da parte ogni correlazione emotiva; in
un secondo momento ci si occupa dei
pensieri che hanno accompagnato
questo evento e che possono dare
spiegazioni a connessioni con eventi
precedenti per esempio. In un ulteriore
momento si affrontano le emozioni,
dando loro il nome (passaggio alla
cognizione) ed esplorando se si presentano a livello somatico. Questa fase
può essere importante per riconoscere
la connessione di una sensazione fisica
con una forte emozione, riducendo il
rischio di valutarla come una nuova
malattia (cefalea, mal di stomaco,
ecc.). In una fase ulteriore si integra
l'informazione sulle reazioni normali e
naturali ad un evento traumatico con il
resoconto del vissuto; si procede ad
una discussione del miglior tipo di
gestione dello stress da seguire nelle
prossime settimane individualizzando
le varie possibilità. In un'ulteriore fase
risulta utile valutare se possa essere
fattibile un gesto o un'azione che
possa considerarsi quasi un “rito di
chiusura”; momento che può aiutare a
rappacificarsi con l'evento o con un'eventuale persona coinvolta e rafforzare
la convinzione che si è fatto tutto il
possibile per poter gestire al meglio
questa situazione (passaggio da vittima a sopravvissuto).
Nel concetto di debriefing è compreso
pure un colloquio post-debriefing (follow-up) circa 8 settimane dopo il
primo colloquio prolungato. In questo
secondo colloquio si valuta se sono
ancora presenti resti di sintomi
postraumatici, se sono apparsi nuovi
disturbi e se è opportuno o meno indirizzare la vittima ad una terapia psichica (triage).
Fattori di rischio di sviluppo di una
sindrome postraumatica
Particolarmente a rischio sono persone in situazioni di vita instabili come
giovani adolescenti oppure anziani,
situazioni di vita delicate come divorzio, disoccupazione oppure con traumi antecedenti o cure psichiatriche
precedenti; a rischio sono anche persone nell'ambito di professioni di soccorso come poliziotti, pompieri, soccorritori.
Il rischio è anche parallelo all'intensità
del trauma: catastrofi, violenze umane
o suicidi o eventi con perdita traumatica di persone a noi vicine, sono considerate a rischio. Pure i medici, come
operatori nell'ambito di soccorsi,
hanno un rischio più elevato. Ripetute
esposizioni ad eventi traumatici sono
da considerarsi situazioni a rischio.
Nell'ambito dei soccorritori è ormai
standard eseguire oltre che al defusing
(colloquio di gruppo o individuale
subito dopo l'intervento traumatico
senza particolare struttura e senza
approfondimento ma con un accenno
ai fatti ed alle emozioni relative) un
debriefing psicologico.
72 GENNAIO 2007
Quando indirizzare oltre?
Vittime che sono particolarmente sofferenti o addirittura invalidate dalle
reazioni postraumatiche e che presentano fattori di rischio, come pure disturbi postraumatici specifici (flash
back, iperreattività, evitamento, disturbi somatoformi) ancora più di 8 settimane dopo l'evento traumatico sono
da indirizzare per un approccio psicoterapeutico.
L'aiuto immediato dopo un evento
può essere offerto da strutture di tipo
care presenti in varie grandi aziende o
dalle UIR (unità di intervento regionale)
coordinate dal delegato LAVI Roberto
Sandrinelli. Esistono anche psicologi
formati per l'emergenza.
Per la richiesta di un debriefing singolo
o di gruppo ci si può rivolgere all'associazione Debriefer Svizzera Italiana
(DEBRISI) al telefono 091 605 37 65
oppure www.debrisi.ch
A livello svizzero è contattabile
l'Istituto Psicotrauma Svizzero di Visp
al telefono 027 946 34 22 oppure
sotto www.institut-psychotrauma.ch.
Conclusioni
Risulta sempre più importante informare sulle reazioni normali ad un
evento traumatico; questo aiuta ad
avere un controllo psicologico sulla
situazione. La comprensione e la condivisione di emozioni anche difficili in
una situazione traumatica è di per sé
stessa di aiuto; condivisa da una persona competente lo è ancor di più.
Non sempre il legame di disturbi
somatoformi oppure depressioni ed
ansie sono evidentemente in correlazione con un evento traumatico; esserne coscienti come medici ed andare
alla ricerca adeguata può essere d'aiuto per il paziente che riesce a capire
meglio, indi a gestire ed a dare anche
un senso al vissuto. Difficili possono
essere le situazioni in cui non viene
riconosciuta una componente postraumatica, specialmente là dove l'anestesia emozionale o la dissociazione è
TRIBUNA MEDICA TICINESE
7
SEZIONE SCIENTIFICA
accentuata; in queste situazioni può
essere d'aiuto la domanda se sono
scomparse anche le emozioni positive;
infatti a volte pur di non soffrire vengono “represse” le emozioni disturbanti ma automaticamente vanno
perse anche le emozioni buone, cosa
che col tempo porta ad un grosso disagio. Fortunatamente lo sviluppo di
una sindrome postraumatica cronica è
raro; le statistiche variano molto nella
valutazione della sindrome postraumatica, che passano dal 10 al 30% a
dipendenza del tipo di evento. È chiaro che la ricerca scientifica e la statistica qui ha delle difficoltà trattandosi di
reazioni legate comunque ad un vissuto personale antecedente (vedi fattori
di rischio).
Bibliografia
vedi
www.debrisi.ch
Dr med Cornelia Klauser-Reucker
med. gen FMH
8
TRIBUNA MEDICA TICINESE
72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA
SPIROERGOMETRIA
CARDIOLOGICA:
LA PERLA DIAGNOSTICA
M. Capoferri
Riassunto
L'ergospirometria cardiologica permette di ampliare notevolmente il
valore diagnostico-prognostico del
test da sforzo. Essa fornisce dati
importantissimi per tutta una ampia
serie di quesiti clinici: prognosi dell'insufficienza cardiaca; presenza di ridotta riserva coronarica; differenziazione
della causa di una dispnea (polmonare vs. muscolare vs. cardiaca); valutazione capacità lavorativa, grado di
invalidità e identificazione di simulanti, ma anche valutazione dell'effetto di
terapia medicamentosa e riabilitativa
così come pianificazione dell'allenamento sportivo.
Introduzione
La valutazione funzionale è stata uno
dei punti di forza della cardiologia
degli anni passati, quando era fondamentale ottenere un inquadramento
clinico prognostico che permettesse
tra l'altro di pianificare il procedere
diagnostico e terapeutico. Le nuove
tecniche di immagine hanno vieppiù
oscurato quelle tradizionali relegandole ad un ruolo di secondo ordine.
Questo fatto tuttavia rischia di indurci
a curare delle immagini piuttosto che
non dei pazienti nella loro globalità.
Ed è proprio la globalità dei sistemi
coinvolti nelle produzione di uno sforzo che l'esame ergospirometrico,
unico fra tutti, riesce a valutare contemporaneamente (fig. 1)
Come funziona il test
ergospirometrico
Il test cardiopolmonare consiste in un
test da sforzo convenzionale eseguibile su tappeto rollante o bicicletta nelle
stesse modalità di un test ergometrico
“classico”. Il paziente tuttavia indossa
una maschera naso-bocca che permette, tramite appositi collegamenti
(3 piccoli tubi) di misurare il volume
ventilatorio (VE), il consumo di ossigeno (VO2) e la produzione di anidride
carbonica (VCO2) (fig. 2). Esula da
questo contesto l'approfondimento
delle basi fisiologiche-biochimiche
della produzione dell'energia (combustione del glucosio, ciclo di Krebs, ...)
la cui conoscenza comunque aiuta
nella comprensione del test ergospirometrico. Utile comunque ricordare la
formula di base che definisce il consumo di ossigeno come il prodotto tra la
gittata cardiaca (quindi frequenza HF x
volume di getto SV) e la differenza
arteriovenosa di ossigeno.
VO2 = SV x HF x AvO2diff.
Fig. 1:
I protocolli utilizzabili sono gli stessi
come per un test convenzionale
anche se personalmente trovo ottimale effettuare un carico a “rampa” e
non a gradino (quindi piccoli incrementi di Watt ogni pochi secondi piuttosto che non 20-25 Watt tutti d'un
colpo ogni 1-2 minuti) soprattutto nei
pazienti con insufficienza cardiaca.
Idealmente la rampa ha un pendenza
tale da far raggiungere al paziente l'esaurimento dopo 8-12 minuti.
Fig. 2:
Setting di esecuzione dell'esame ergospirometrico
interdipendenza dei differenti sistemi preposti alla produzione di energia motoria (da
Wassermann et. Al, Principles of cardiopulmonary exercise testing, 2005, edizioni Lippincoff
Williams e Wilhins)
72 GENNAIO 2007
TRIBUNA MEDICA TICINESE
9
SEZIONE SCIENTIFICA
Cosa si misura con un test
ergospirometrico
Al termine del test si ottiene un grafico
di base (fig. 3). Dalla combinazione dei
diversi parametri misurati si estrapolano fino a 9 rappresentazioni grafiche
(dette di Wassermann) che permettono di valutare non solo i valori assoluti
ma anche, estremamente prezioso, il
decorso delle curve di VO2 e VCO2 e
VE. Questo permette, tra le altre cose,
di determinare la soglia anaerobica.
Il parametro più importante è comunque certamente il consumo di ossigeno (VO2) espresso in ml/min o, meglio,
indicizzato secondo il peso corporeo
(ml/min/kg). Il valore massimo è detto
VO2max. Tale valore è tuttavia raggiunto solo da persone sane e allenate
mentre la maggior parte dei pazienti
che incontriamo nella pratica clinica
non riescono a raggiungere tale valore
(definito come la massimale capacità
funzionale una volta utilizzate tutte le
riserve cardiache, polmonari e muscolari): il loro valore di VO2 “massimo”
viene quindi denominato con il termine di VO2 picco.
Il test cardiopolmonare consente dunque di ottenere una serie di informazioni fondamentali riguardanti tutte le
componenti determinanti la capacità
funzionale del soggetto: dal metabolismo cellulare alla funzionalità respiratoria, da quella cardiaca a quella
muscolare.
L'esecuzione di un esame spirometrico
prima dello sforzo risulta inoltre prezioso per meglio depistare una eventuale patologia polmonare quale concausa della limitazione funzionale.
Il test cardiopolmonare fornisce dunque importantissime informazioni per
tutta una serie di quesiti clinici molto
pratici che tratto di seguito.
ti del semplice test da sforzo tradizionale. Infatti la sensibilità di un test da
sforzo per la diagnosi di ischemia miocardica è, in media, bassa oscillando
tra il 40% per malattia coronaria
monovasale e il 75% per malattia trivasale; inoltre, nel caso di una limitazione funzionale che rende il test formalmente non conclusivo, non è spesso possibile escludere con sufficiente
certezza che la limitazione funzionale
sia imputabile ad una problematica
ischemica piuttosto che ad una patologia polmonare, decondizionamento o
mancanza di motivazione.
In uno studio di Belardinelli et al. sulla
definizione diagnostica di ischemia
miocardia il test cardiopolmonare ha
mostrato migliore sensibilità (87 vs
35%), specificità (74 vs 66%), valore
predittivo positivo (88 vs 76%) e valore predittivo negativo (72 vs 35%) di
tale metodica rispetto al normale test
da sforzo. Tale risultato è stato possi-
Campi di applicazione
dell'ergospirometria cardiologica
Cardiopatia ischemica
L'ergospirometria possiede una maggiore efficacia diagnostica nei confron-
10
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Fig. 3:
72 GENNAIO 2007
bile grazie alla analisi non solo del
semplice tracciato elettrocardiografico, ma appunto delle curve ricavate
dall'analisi dei gas ventilati durante il
test stesso. Interpretando anche il
decorso delle curve di VO2, VCO2 e
dei suoi derivati, il test cardiopolmonare è stato in grado di identificare
122 pazienti di 140 con scintigrafia
miocardia gated-SPET positiva, e di
escludere ischemia miocardia in 46 di
62 pazienti con scintigrafia negativa.
Sulla base del solo criterio elettrocardiografico, una ridotta riserva coronarica sarebbe stata diagnosticata solo in
64 su 140 pazienti con scintigrafia
positiva ed esclusa in 41 su 62 pazienti con scintigrafia negativa. L'assenza
di alterazioni al test cardipolmonare
consente di migliorare la specificità del
32%. Nei falsi negativi al test tradizionale, il criterio cardiopolmonare identifica ischemia miocardica in 58 su 76
pazienti (fig. 4).
SEZIONE SCIENTIFICA
Fig. 4:
Fig. 5:
L'ergospirometria nella malattia ischemica. Mentre il valore di Watt raggiunto dai pazienti
sani e da quelli ischemici è simile, nei secondi (che infatti avevano una scintigrafia positiva) si
nota un minore consumo di ossigeno con soprattutto, ad un certo punto dello sforzo (la
soglia ischemica), una repentina e significativa diminuzione della pendenza della curva VO2
e O2polso. (da Belardinelli R, EurHeartJ 2003;24:1304-13)
Valore dei parametri ergospirometrici nella valutazione terapeutico-prognostica dei pazienti
con insufficienza cardiaca (da Corrà U et al. Am Heart J 2002; 143:418)
72 GENNAIO 2007
Insufficienza cardiaca
Già la definizione di classe funzionale
secondo NYHA si basa su un tipo di
valutazione prettamente clinica e
spesso piuttosto dipendente da una
interpretazione soggettiva. Per quanto tale inquadramento possa essere
fondamentale nel dirigere programmi
terapeutici e interventistici, i dati derivati dalla nostra esperienza ci offrono
un notevole spunto di riflessione: la
scarsa correlazione tra Watt e VO2, e
quindi tra Watt e MET nel paziente
malato e la poca correlazione tra
NYHA e VO2 rendono discutibile l'efficacia valutativa della classe NYHA
nel poter essere l'unica discriminante
di opzioni terapeutiche anche di notevole importanza.
Sono ormai innumerevoli gli studi che
hanno ben documentato come i
parametri spiroergometrici risultino
accurati ed insostituibili nella stratificazione prognostica dei pazienti con
insufficienza cardiaca, fatto questo
che si rivela prezioso anche nella
determinazione del miglior momento
per pensare ad un trapianto cardiaco.
Con l'avvento della terapia betabloccante la valutazione globale della
capacità funzionale del paziente
(quindi non limitata a carico raggiunto o frequenza cardiaca raggiunta)
assume un ruolo ancora maggiore. La
misurazione del consumo di ossigeno
infatti permette di meglio valutare gli
effetti delle terapie medicamentose e
non, e quindi ottimizzare ulteriormente gli sforzi terapeutici in atto.
(Fig. 5)
Schiarimento di dispnea
“Dottore mi manca il fiato sotto sforzo”. Questa è una delle frasi più
comuni rivolte al medico e apre una
lunga lista di diagnosi differenziali. La
ergospirometria permette innanzitutto di oggettivare anche quantitativamente se vi è davvero una limitazione
funzionale con dispnea inadeguata
allo sforzo prodotto. Utile in tal senso
l'esecuzione di una semplice spirome-
TRIBUNA MEDICA TICINESE
11
SEZIONE SCIENTIFICA
Attività
MET
Stare seduti
1.14
Guidare l'auto
1.21
Guidare camion
1.51
Lavorare con le mani
stando in piedi
2.5
Marciare (4.5 km/h)
3
Manovrare una gru
2.5
Pulire il pavimento
2.7
Lavori leggeri di
immagazzinamento
3
Pittore / tapezziere
4
Muratore, falegname
4-6
Industria pesante
7.71
Fig. 6:
MET misurati direttamente (con ergospirometri portatili) durante attività
lavorative. Non è legittimo stimare il
valore del MET tramite i Watt raggiunti durante un test cicloergometrico.
tria all'inizio del test: le curve ventilatorie così ottenute vengono sovrapposte in tempo reale a quelle durante
lo sforzo in modo che si possa valutare un eventuale disturbo ventilatorio
quantitativo o qualitativo durante lo
sforzo, disturbo che quindi sposterebbe la ricerca eziologica della dispnea
all'ambito polmonare e non cardiaco.
Molto spesso inoltre, grazie ad una
attenta valutazione delle curve ottenute, si è in grado di imputare in
modo piuttosto sicuro i sintomi di
intolleranza allo sforzo accusati dal
paziente ad un semplice decondizionamento fisico (in questo caso infatti
il paziente mostra solo una modesta
limitazione funzionale, con tuttavia
un fisiologico decorso delle curve di
VO2 e VCO2 e soprattutto con una
soglia anaerobica non patologicamente diminuita).
Questo permette di evitare una escalazione di esami diagnostici ulteriori.
12
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Valutazione capacità lavorativa
Nell'ambito di questioni medico-assicurative è estremamente importante
riuscire a quantificare lo sforzo che un
paziente può ancora produrre senza
alcun rischio per la sua salute immediata e per la sua prognosi futura.
Sono dunque stati misurati i valori in
MET che si raggiungono nell'esecuzione delle più svariate professioni, valori
quindi ora ben conosciuti (fig. 6).
È pertanto fondamentale testare il
paziente con un metodo (l'ergospirometria appunto) in grado di fornire
dati sicuri e precisi in quanto misurati
direttamente, e non solo stimati come
avviene durante una cicloergometria
convenzionale.
D'altro canto però è ben noto il rapporto spesso inverso tra sforzo prodotto e prestazioni assicurative di cui si
può beneficiare, fatto questo che certo
non favorisce la motivazione del
paziente a produrre uno sforzo massimale. Grazie alla misurazione diretta
del quoziente tra consumo di ossigeno
e produzione di anidride carbonica (il
quoziente respiratorio) l'ergospirometria permette di identificare in modo
univoco la discrepanza tra il limite soggettivo segnalato dal paziente e limite
funzionale oggettivo. Si tratta in altre
parole di un metodo molto affidabile
di valutazione del grado di collaborazione del paziente nell'eseguire il test
in questione.
Conclusioni
Il test cardipolmonare rappresenta una
metodica di comprovata utilità diagnostica e prognostica, efficace, affidabile,
che quindi si inserisce nel contesto di
un progressivo incremento delle metodiche diagnostiche. Estremamente
favorevole risulta inoltre essere il rapporto tra costi e benefici: la spesa relativa agli strumenti e i costi a carico del
paziente nell'affrontare questo test, al
confronto di un test da sforzo tradizionale, risultano essere di poco più onerosi, ma come abbiamo visto l'ergospirometria fornisce dei risultati di gran
72 GENNAIO 2007
lunga più cospicui e sostanziali. Inoltre
il tempo impiegato nell'esecuzione di
un test cardiopolmonare è di poco
superiore a quello di un test da sforzo
tradizionale, con un incremento medio
aggiuntivo di 5 minuti, necessari alla
preparazione del paziente.
L'ergospirometria rappresenta quindi
una perla diagnostica di enormi potenzialità purtroppo ancora sottoutilizzata
forse perché ombreggiata da altre tecnologie diagnostiche d'immagine più
spettacolari ma sicuramente non in
grado di rimpiazzare il ruolo di un
buon test funzionale. Non dimentichiamoci infatti gli innumerevoli studi
anche recenti che ribadiscono come la
prognosi cardiovascolare dei nostri
pazienti dipende in modo molto stretto dalla capacità funzionale di essi, e
questo spesso indipendentemente da
quanto la diagnostica d'immagine ci
mostra.
Dr. med. M. Capoferri
Capo Servizio Riabilitazione e Prevenzione
Cardiologica, Cardiocentro Ticino
Medico Aggiunto OBV Mendrisio
Via Motta 12, 6830 Chiasso
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
Il Journal Club di questo mese è stato
curato dall’Ospedale
Beata Vergine di Mendrisio
VALORI DI PRESSIONE
ARTERIOSA E
SOPRAVVIVENZA
NEI SUCCESSIVI 9 ANNI
IN UNA POPOLAZIONE
DI GRANDI ANZIANI
Association between blood pressure and survival over 9 years in a general population aged
85 and older
Rastas S, Pirttilä T, Viramo P et al. JAGS, 54 :
912-918, 2006-12-04
Riassunto/Adattamento:
Dr. med. Pierluigi Quadri
Caposervizio di Geriatria
Ospedali Regionali di Lugano e Mendrisio
Introduzione
Diversi lavori hanno studiato l'associazione fra pressione arteriosa (PA), morbilità cardio-vascolare e mortalità totale. In alcuni il tasso di mortalità è risultato più alto nelle persone con bassi
valori pressori.
Gli studi clinici controllati hanno
mostrato come il trattamento dell'ipertensione si riveli di beneficio particolarmente nei “giovani vecchi” ma, in
genere, il numero di “grandi anziani”
(con età superiore a 85 anni) incluso è
stato molto limitato.
Poiché la natura della possibile associazione fra bassi valori pressori ed eccesso di mortalità è attualmente sconosciuta, è motivo di dibattito se si tratti
di un nesso causale oppure di un legame dovuto alla presenza di fattori confondenti in cui una bassa PA è semplicemente l'espressione di fragilità.
Questo studio ha avuto come obiettivo
di valutare l'associazione fra valori
pressori e mortalità nel grande anziano
al netto di una serie di confondenti.
Soggetti e metodi
Studio osservazionale di popolazione
sui grandi anziani (età ≥ 85 anni) residenti nella cittadina finlandese di
Vantaa.
I valori pressori sono stati rilevati in
modo standardizzato al braccio dx del
soggetto dopo un periodo di riposo di
almeno 5 minuti. I dati medici anamnestici di ciascun partecipante sono
stati estrapolati da un data base computerizzato contenente tutte le informazioni sanitarie prodotte dalla medicina di base. I certificati di morte sono
stati ottenuti dal registro nazionale.
Dei 521 partecipanti l'87% è deceduto durante i 9 anni di follow up. In
un'analisi multivariata corretta per le
numerosi caratteristiche cliniche potenzialmente confondenti (età, sesso,
dipendenza nella vita quotidiana e
comorbilità quale anamnesi di infarto
miocardico, insufficienza cardiaca congestizia, demenza, cancro, ictus o ipertensione) i soggetti con valori di PA
sistolica < 140 mmHg mostrano un
significativo aumento del rischio di
mortalità (Hazard Ratio, 1.35) confrontati ai pazienti con PA di 140 a 159
mmHg (valori di riferimento). Per contro, i soggetti con valori sistolici ≥ 160
mmHg non mostrano un aumentato
rischio di morte (HR, 0.97) (Fig. 1).
Risultati
Alla visita basale i valori pressori medi
erano 149/82 mmHg; la PA sistolica era
≥160 mmHg nel 35% dei partecipanti.
Commento
In questo studio prospettico di una
popolazione di grandi anziani, valori
sistolici pressori “normali” si associa-
Fig. 1: Sopravvivenza in funzione della pressione arteriosa sistolica analizzata per mezzo della
curva di Kaplan-Meier.
72 GENNAIO 2007
TRIBUNA MEDICA TICINESE
13
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
no ad un aumentato rischio di mortalità, mentre un'ipertensione leggeramoderata non risulta essere fattore di
rischio.
L'associazione tra PA e mortalità, contrariamente ad altri lavori, non è spiegata dalla contemporanea presenza
di comorbilità. I trials clinici hanno
dimostrato come il trattamento dell'ipertensione in alcune categorie di
anziani (relativamente giovani o con
bassa comorbilità), diminuisca la mortalità totale e cardio-vascolare, ma in
genere il numero dei grandi anziani
reclutati in questi studi è molto bassa.
Questo lavoro osservazionale pur non
potendo sostituire uno studio clinico
controllato, suggerisce tuttavia molta
prudenza prima di iniziare il trattamento di un'ipertensione moderata in
soggetti grandi anziani. Alcuni punti
di forza rendono le conclusioni dello
studio particolarmente attendibili: il
tasso di partecipazione è stato eccezionalmente alto (92%), il reclutamento ha interessato non solo soggetti residenti in comunità ma anche
istituzionalizzati, il periodo di follow
up è stato particolarmente lungo e la
raccolta di informazioni completa.
14
TRIBUNA MEDICA TICINESE
72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
INIEZIONI
INTRAMUSCOLARI
IN “LOCO CLASSICO”:
DOVE VANNO A FINIRE
IN REALTÀ?
Intramuscular gluteal injections in the increasingly obese population: retrospective study.
British Medical Journal 2006;332:637-8.
Riassunto/Adattamento:
Dr med. Brenno Balestra
primario di medicina interna
Introduzione
Le iniezioni intramuscolari in “loco
classico”, cioè nei glutei, hanno una
lunga tradizione nella medicina e
sono ancora ben radicate nella cultura popolare. Solo raramente questa è
l'unica via di somministrazione del
farmaco, mentre più frequentemente
la scelta è dettata dalla rapidità d'azione del medicamento, dalla possibilità di ottenere un effetto protratto,
dalla garanzia di adesione alla terapia
e, non da ultimo, dalla preferenza del
medico o del paziente.
L'arsenale a disposizione comprende
alcuni analgesici (Voltaren, Piroxicam,
Tramal), corticosteroidi (Depo-Medrol, Kenacort, Diprophos), antibiotici (Rocephine, Targocid, Benzatinpenicillina, Streptomicina), narcotici
(Valium, Dormicum, Ketalar), neurolettici (Nozinan, Haldol, Risperdal
Consta, Dapotum D), ormoni (Adrenalina, Glucagone, Testoviron Depot,
Androcur Depot), vitamine (Vitarubin
Depot), antidoti (Narcan), vaccinazioni (vaccini inattivati), eccetera.
La biodisponibilità ed in particolare la
velocità di assorbimento dei medicamenti iniettati possono variare notevolmente a dipendenza dell'irrorazione sanguigna del tessuto, muscolare
o, appunto, adiposo.
Affondando l'ago nella natica dei
pazienti, sempre più simili nel mondo
occidentale alle figure di Botero,
certo ci si può ben chiedere dove
realmente finisca quanto iniettato in
“loco classico”.
Metodo
L'autore dello studio, un anestesista
britannico, ha analizzato retrospettivamente 100 pazienti consecutivi
sottoposti per diverse ragioni ad una
TAC del piccolo bacino. Il campione
comprendeva adulti di età tra 22 e 65
anni, 61 donne e 39 uomini.
È stata poi misurata la distanza minima tra la superficie della pelle ed il
muscolo sottostante nei due punti
classici delle iniezioni i.m.: in sede
glutea (quadrante superiore esterno
della natica) e in sede ventro-glutea
(tra il grande trocantere, la spina iliaca anteriore-superiore e la cresta iliaca). Queste misure sono poi state
correlate con l'età ed il sesso dei
pazienti.
Risultati
La distanza media tra la pelle ed il
muscolo in posizione glutea era di 32
mm (7.5-59.8 mm). La distanza in
posizione ventro-glutea era di 19 mm
(2.5-62.6 mm). Lo strato adiposo era
significativamente più pronunciato
nelle donne (P <0.01) in entrambe le
posizioni. L'età avanzata era correlata con un incremento della distanza
ventro-glutea (P <0.01), ma non con
la distanza glutea posteriore.
Considerando la lunghezza degli
aghi utilizzati in Inghilterra per le iniezioni i.m. (ago verde 35 mm, ago blu
25 mm) un numero importante di
iniezioni intramuscolari sarebbero
state in realtà sottocutanee. In posizione ventro-glutea: 12/100 (16%
72 GENNAIO 2007
donne e 5% uomini) con l'ago verde
di 35 mm e 26/100 (36% donne e
10% uomini) con l'ago blu di 25
mm. In posizione glutea posteriore:
43/100 (57% donne e 21% uomini)
con l'ago verde di 35 mm e 72/100
(90% donne e 44% uomini) con
l'ago blu di 25 mm.
L'autore conclude, pur cosciente del
piccolo collettivo di pazienti adulti
non geriatrici e delle possibili differenze regionali, che dovrebbero essere ricercate vie di somministrazione
alternative vista la bassa efficacia
delle iniezioni intra-gluteali.
Commento
Questo piccolo studio inglese offre lo
spunto per ricordare che le iniezioni
intramuscolari in “loco classico”,
malgrado la loro lunga tradizione e
popolarità, andrebbero preferibilmente evitate. Ai potenziali rischi di
questa pratica (lesione del nervo sciatico, ematoma, ascesso, fasciite
necrotizzante), si aggiunge la scarsa
efficacia nel raggiungere effettivamente il muscolo in questa sede,
soprattutto con una popolazione
sempre più obesa. Non penso che la
situazione nella nostra realtà sia
molto diversa, anche se vengono utilizzati – di regola – aghi leggermente
più lunghi (ago nero: 30 mm, ago
verde: 40 mm). Le iniezioni intramuscolari dovrebbero essere piuttosto
scoraggiate. Soprattutto non si giustifica il largo uso di antiinfiammatori
non steroidali o antidolorifici per via
intramuscolare; la somministrazione
orale ad effetto rapido è sempre da
preferire, optando in altri casi piuttosto per la via endovenosa (Voltaren,
Tramal, Perfalgan, Novalgina). Diversi
farmaci ad uso parenterale menzionati nell'introduzione, prevedono
anche la possibilità di un'applicazione sottocutanea in particolare per
pazienti anticoagulati (per es. Vitarubin-Depot, Methotrexat, Inflexal o
Influvac Plus, Pneumovax e TeAnatoxal).
TRIBUNA MEDICA TICINESE
15
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
Dovendo proprio ricorrere ad una
somministrazione intramuscolare, i
muscoli di prima scelta dovrebbero
essere il deltoide o il vasto laterale,
più in superficie ed accessibili anche
in caso di complicazioni locali. Infine,
per i nostalgici delle iniezioni i.m. in
“loco classico” o per le rare circostanze in cui dovranno ancora essere
praticate, consiglio di scegliere la
sede e l'ago più consoni alla morfologia del paziente, per le “taglie
forti” probabilmente l'accesso ventro-gluteo con ago verde (40 mm).
Corrispondenza dell'autore:
Dr med. B. Balestra
primario di medicina interna
Ospedale della Beata Vergine
6850 Mendrisio
[email protected]
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
EMBOLIE POLMONARI
IN PAZIENTI CON
ESACERBAZIONE
DI ORIGINE
NON CHIARA DI
BRONCOPNEUMOPATIA
CRONICA OSTRUTTIVA
Pulmonary Embolism in Patients with Unexplained Exacerbation of Chronic Obstructive
Pulmonary Disease: Prevalence and Risk
Factors. Ann Inter Med 2006;144:390-396.
Riassunto/Adattamento:
Dr.ssa med. Lucia Marelli
Medico Assistente di Medicina
Dr med. Brenno Balestra
Primario di Medicina
Ospedale Beata Vergine Mendrisio
Introduzione
La diagnosi clinica di embolia polmonare (EP) in pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è
particolarmente difficile, in quanto i
sintomi sono molto simili a quelli di
una esacerbazione infettiva di BPCO.
Casistiche autoptiche in pazienti con
BPCO evidenziano frequentemente EP
(dal 28% al 51%); la reale frequenza
di EP in pazienti con BPCO per i quali
vi è il sospetto clinico di EP varia invece, secondo gli studi, dal 19% al 29%.
Lo scopo di questo studio è duplice: 1)
accertare la presenza di EP in pazienti
con esacerbazione di origine non chiara di BPCO; 2) esaminare i fattori associati alla presenza di EP, compreso lo
score di Ginevra, validato nella diagnostica di EP in popolazioni non selezionate.
Metodi
Si tratta di uno studio prospettico
monocentrico, condotto dall'Aprile
1999 al Dicembre 2002, nel quale
venivano inclusi pazienti fumatori o
noti per pregresso tabagismo con
BPCO che afferivano consecutivamente al reparto di pneumologia dell'ospedale universitario di Lille (Francia) per
esacerbazione severa di origine non
chiara di BPCO. Per “esacerbazione
severa” si intendeva un deterioramento acuto necessitante il ricovero; l'assenza di chiari segni d'infezione (espettorato purulento, febbre, ecc.), l'assenza di pneumotorace e cause iatrogene
(farmaci, inalazioni di sostanze tossiche, ecc.) oppure la presenza di un
addensamento parenchimale senza
febbre e brividi o la presenza di una
discrepanza tra caratteristiche cliniche
e radiologiche e severità dell'ipossiemia definivano l'esacerbazione della
BPCO come di “origine non chiara".
Venivano esclusi dallo studio i pazienti
che necessitavano di ventilazione artificiale in cure intensive.
Tutti i pazienti dovevano essere valutati entro 48 ore dall'ammissione in
ospedale mediante angioTAC spirale
polmonare ed Eco-Color-Doppler venoso (ECD) degli arti inferiori.
I pazienti venivano classificati come EP
positivi se l'angioTAC risultava positiva
oppure se era negativa ma l'ECD degli
arti inferiori era positivo; i pazienti
venivano invece classificati come EP
negativi se entrambi gli esami diagnostici strumentali erano negativi e se
non vi erano segni di EP nel follow up
a tre mesi.
La probabilità clinica di EP veniva definita sulla base dello score di Ginevra:
probabilità bassa per uno score < 4,
intermedia per uno score 5 - 8 e alta
per uno score > 9.
Risultati
Complessivamente sono stati reclutati 211 pazienti; di questi, 14 non sono
stati inclusi in quanto i risultati
dell'angioTAC e dell'ECD erano
inconcludenti (8 pazienti) oppure per
intolleranza allo iodio (6 pazienti).
Complessivamente sono stati dunque
Score di Ginevra
Variabili
Score
Età
60-69 anni
> 79 anni
Pregressa embolia polmonare o trombosi venosa profonda
Intervento chirurgico recente
Frequenza cardiaca > 100 battiti/min
pCO2
< 4.8 KPa
4.8 - 5.2 KPa
pO2
< 6.5 KPa
6.5 - 7.8 KPa
7.9 - 9.3 KPa
9.4 - 10.9 KPa
Reperti radiografici
Atelectasie
Elevazione dell'emidiaframma
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2
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1
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SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
inclusi 197 pazienti, 165 maschi e 32
femmine per una età media di 60.5
anni. La FEV1 media era 1.56 litri.
La prevalenza di EP era di 49 (25%) su
197 pazienti. Di questi, 43 pazienti
(88%) avevano una angioTAC positiva mentre 6 (12%) avevano una
angioTAC negativa ma un ECD degli
arti inferiori positivo.
I pazienti che avevano entrambi gli
esami negativi erano 148 (75%) e
anche ad un follow up di tre mesi non
avevano segni clinici per una EP.
Nell'ambito di questo studio, i fattori
analizzati come potenzialmente correlabili ad una EP erano: età, sesso, ossigenoterapia a lungo termine, grado di
severità della BPCO, fattori di rischio
per tromboembolismo venoso (precedente EP o trombosi venosa profonda,
anamnesi positiva per neoplasia, trombofilia, trauma, chirurgia, obesità,
immobilizzazione superiore a 7 giorni),
pO2 e pCO2, sintomi clinici (dispnea,
tosse, dolore pleurico, edema agli arti
inferiori, emottisi, cardiopalmo, tachicardia, scompenso cardiaco destro). Di
questi soltanto una precedente malattia tromboembolica (p=0.004), una
riduzione della pCO2 di almeno 5
mm/Hg (= 0.65 KPa) rispetto al valore
basale (p=0.018) e un'anamnesi positiva per neoplasia (p=0.034) correlavano
con EP in modo statisticamente significativo.
Per quanto riguarda la valutazione
dello score di Ginevra, i pazienti con
uno score basso erano 119 (60%) e di
questi, 11 (9%) avevano una EP confermata (CI 4.7-15.9); i pazienti con
uno score intermedio erano 75 (38%)
e di questi, 35 (46%) avevano una EP
confermata; i 3 pazienti (2%) con
uno score alto avevano tutti una EP
confermata.
Dal momento che la maggior parte
del campione non era stato sottoposto ad interventi chirurgici mentre il
29% era portatore di neoplasia, lo
score di Ginevra è stato modificato
sostituendo la voce “chirurgia” con
“neoplasia”. Così facendo, i pazienti
18
TRIBUNA MEDICA TICINESE
con uno score basso erano 93 (47%)
e di questi 3.2% avevano una EP (CI
0-9.1); i pazienti con uno score intermedio erano 88 (45%) e di questi,
38.6% avevano una EP confermata; i
pazienti con uno score elevato erano
16 (8%) e di questi 75% avevano una
EP confermata.
Lo score di Ginevra classico o modificato non permetteva quindi di escludere l'EP in questa popolazione di
pazienti con esacerbazione di origine
non chiara di BPCO (falsi negativi
rispettivamente 9% e 3.2% nella categoria “low risk”)
Commento
Si tratta dunque di uno studio che ha
una rilevanza pratica in quanto dimostra che circa 1/4 dei pazienti che si
presentano con una esacerbazione di
origine non chiara di BPCO ha una EP
soggiacente. Purtroppo lo score di
Ginevra (sia classico che modificato),
applicato a questa tipologia di pazienti, non è sufficientemente accurato e
non permette di escludere una EP.
Questa diagnosi potenzialmente letale è dunque da ricercare attivamente
(principalmente con l'angioTAC polmonare), soprattutto in assenza di
chiari segni di esacerbazione infettiva
della BPCO, di risposta clinica insufficiente alla terapia o di altre spiegazioni dello scompenso respiratorio; particolare attenzione si dovrà avere nei
confronti dei pazienti portatori di
neoplasia o con pregresso tromboembolismo venoso.
Ricordiamo che – anche se esula dallo
studio citato – un'altra causa frequente di “esacerbazione di BPCO” è lo
scompenso cardiaco (“asma cardiaca”). Anche qui la diagnosi risulta
particolarmente difficile e il ricorso al
dosaggio del peptide natriuretico
atriale (BNP) ed eventualmente all'ecocardiografia può essere utile al clinico.
Infine bisogna però segnalare che si
tratta di uno studio monocentrico, nel
quale non vengono tra l'altro inclusi i
72 GENNAIO 2007
pazienti con esacerbazione severa di
BPCO necessitante la ventilazione
artificiale. La definizione di “esacerbazione di origine non chiara di
BPCO” si basa inoltre su una valutazione empirica e non standardizzata.
Sono dunque necessari ulteriori studi
che confermino la elevata prevalenza
di EP in questa categoria di pazienti e
che analizzino il valore predittivo di
quei fattori che possono correlare
positivamente con una EP.
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
STENOSI GRAVE
DELL’ARTERIA
CAROTIDE INTERNA
SINTOMATICA:
ENDARTERECTOMIA O
STENTING?
Endarterectomy versus Stenting in Patients
with Symptomatic Severe Carotid Stenosis
(EVA - 3S Study)
N Engl J Med 2006: 355: 1660-71
Riassunto/Adattamento:
Dr. Med. Reto Canevascini
Caposervizio angiologia
Ospedale regionale Lugano
e Beata Vergine Mendrisio
Introduzione
Negli ultimi anni le tecniche endovascolari si sono sempre più sviluppate
nell'albero arterioso: nell'arteriopatia
periferica, in quella coronarica, nelle
arterie renali, nell'aneurisma dell'aorta.
Si sono dovute e si devono confrontare con la disciplina “storica” della rivascolarizzazione: quella chirurgica che
rimane tutt'ora il “gold standard”.
Anche a livello delle carotidi lo stenting
sembra offrire dei vantaggi rispetto
all'endarterectomia chirurgica, più
invasiva.
Benché relativamente recente, l'angioplastica delle carotidi ha conosciuto
uno sviluppo rapido a diversi livelli: tipo
utilizzato di stents, caratteristiche,
localizzazione-posizionamento degli
stessi, utilizzo di devices di protezione,
il tipo degli stessi, eccetera. Questo
rapido sviluppo rende in parte difficilmente comparabili i risultati degli
studi.
Si richiedono quindi studi che comparino l'approccio chirurgico con quello
endovascolare, primariamente nel-
l'ambito delle stenosi gravi sintomatiche, dove il beneficio dell'intervento
risulta maggiore.
Metodo
Trattasi di uno studio multicentrico,
randomizzato, impostato per dimostrare la non inferiorità dello stentig
carotideo nel confronto con l'endarterectomia in pazienti con stenosi carotidee > o = 60% (secondo i criteri
NASCET).
L'endpoint primario era l'incidenza di
ictus o mortalità a 30 giorni.
Risultati
Lo studio è stato interrotto prematuramente dopo l'inclusione di 527 pazienti, per ragioni di sicurezza e di inutilità
del proseguimento dello stesso.
A 30 giorni l'incidenza di ictus o letalità era di 3.9% dopo endarterectomia
(intervallo di confidenza del 95%: 2.07.2) e del 9.6% dopo lo stenting (IC
95%, 6.4-14.0). Il rischio relativo di
ictus o morte dopo stenting era di 2.5
(IC 95% 1.2-5.1) rispetto all'endarterectomia.
La differenza assoluta del rischio primario è di 5.7% a 30 giorni, ciò significa 1 ictus o morte ogni 17 pazienti
trattati con lo stenting.
A 6 mesi l'incidenza di ictus e morte
era 6.1% per l'endarterectomia versus
11.7% dopo lo stenting (P=0.02).
Le complicazioni locali erano maggiori
dopo lo stenting (3.1%) rispetto alla
TEA (1.2%), quelle sistemiche (soprattutto polmonari) dopo l'endarterectomia (3.1%) rispetto allo stenting
(1.9%). Le differenze non erano però
significative.
La lesione di un nervo cranico era più
frequente dopo l'endarterectomia
(7.7%) in confronto allo stenting
(1.1%) (p< 0.001).
Il rischio non era statisticamente differente in centri con piccoli (< 21 pazienti trattati), medi (21-40) o grandi (> 40)
numeri.
Il rischio non dipendeva dal grado di
esperienza del radiologo.
72 GENNAIO 2007
Netto miglioramento del rischio di
ictus (non di morte) dopo consiglio
dato dal comitato di sicurezza a favore
dell'utilizzo dei devices di protezione,
che in seguito vengono utilizzati pressoché sempre.
La doppia antiaggregazione non portava vantaggio significativo rispetto
alla singola antiaggregazione.
Il ricovero dopo l'intervento era di 4
giorni dopo TEA e 3 dopo stenting.
Discussione
In questo studio con pazienti con stenosi severe sintomatiche, l'incidenza di
ictus e morte ad 1 e 6 mesi è risultato
maggiore nello stenting (rispettivamente 9.6% e 11.7%) in confronto
all'endarterectomia (3.9% e 6.1%).
Lo studio è stato sospeso anzitempo
perché è stato ritenuto improbabile che
la randomizzazione di ulteriori pazienti
avrebbe potuto invertire i risultati.
Gli autori analizzano criticamente i
propri dati
Per quanto riguarda la TEA
Le complicanze chirurgiche risultano
più basse rispetto a lavori precedenti
(European Carotid surgery Trialists'
Collaborative Group. Lancet 1998 e
Barnett NEJM 1998) .
Possibili spiegazioni come l'esperienza
dei chirurghi, la differenza del rischio
perioperatorio dei pazienti, la mancata
diagnosi di complicanze vengono scartate. La differenza è dovuta al migliore
management perioperatorio. Gli autori non danno però chiare spiegazioni
su come giungono a tale conclusione
(per esclusione?).
Per quanto riguarda lo stenting.
Le complicanze sono più alte rispetto
ad una recente metaanalisi (8,1%)
(Coward LJ, Stroke 2005). Gli autori
sottolineano l'eterogeneità degli studi.
Il fatto che esse risultino più alte rispetto allo studio SAPPHIRE (3.6%) viene
spiegato dicendo che si trattava in
quest'ultimo perlopiù di pazienti asin-
TRIBUNA MEDICA TICINESE
19
SEZIONE SCIENTIFICA - JOURNAL CLUB
tomatici, e quindi con una stenosi
meno “pericolosa”, perlomeno localmente.
Nello studio sono stati utilizzati 7
diversi tipi di devices di protezione,
un numero alto.
Valutazione sistematica
Si tratta di un quesito importante per il
management di una patologia frequente.
Osservazioni particolari
Il tempo trascorso tra l'evento qualificante e l'intervento era lungo, in oltre
40% dei casi 4-12 settimane. Sorprende quindi che solo 3 dei pazienti
in ogni gruppo abbia avuto un ictus
(minore o maggiore) tra la l'evento
ischemico e la terapia (TEA o stenting)
3/262 rispettivamente 3/265 = 1.1 %.
Positivo
– studio multicentrico, sia grossi che
piccoli centri (complessivamente 30)
(da novembre 2000 a settembre
2005: 527 pazienti in quasi 5 anni:
poco meno di 3.5 / centro / anno.
– Numero considerevole di pazienti
– comitato di sicurezza consiglia l'uso
dei devices di protezione, con
miglioramento della statistica dello
stenting.
– Criteri di inclusione/esclusione adeguati
– Randomizzazione informatizzata
– Follow-up del neurologo
– Endpoint primario rilevante (ictus e
morte nei primi 30 giorni)
– Analisi dei dati in base all'“intention
to treat”
– La randomizzazione è riuscita.
Differenze: nel gruppo dell'endarteretomia vi sono più pazienti > 75
anni e con una storia di ictus. Questi
presupposti danneggerebbero piuttosto i risultati chirurgici. Le occlusioni contralaterali erano più frequenti nel gruppo dello stenting.
Nessuno di costoro ha avuto un
ictus nel seguito.
– Pochi dropout (nessuno?)
Negativo
_ solo Francia
_ esperienza del radiologo interventistico: solo 12 stenting carotidei o 35
procedure sopraaortiche di cui
almeno 5 nelle carotidi. Se il radiologo non raggiungeva le cifre doveva avere la supervisione di un collega che aveva i presupposti descritti.
I devices di protezione dovevano
essere stati utilizzati (solo) 2 volte
prima dell'impiego nello studio.
20
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Commento personale
Nello studio EVA-3 S lo stenting carotideo non ha mostrato un vantaggio e
neppure l'eguaglianza rispetto alla tecnica chirurgica (trombendarterectomia).
È chiaro che lo studio evoca diverse
domande alla quali anche gli autori
non sanno dare una risposta esauriente: perché le complicazioni chirurgiche
sono così rare? Perché quelle dopo lo
stenting così frequenti? In un review
dei dati a partire dal 2002 (Yadav JS et
al, NEJM 2004) il rischio di morte o
ictus a 30 giorni era 5.5% dopo lo
stenting (6,4% nelle stenosi sintomatiche, 1.0% in quelle asintomatiche)
versus 1.8% della chirurgia (asintomatiche e sintomatiche)).
Sarebbe sicuramente avventato se in
base a questo studio non si effettuasse
più lo stenting carotideo (come momentaneamente in Francia). Dall'altra
parte una promozione cieca del
“nuovo” metodo (“meno invasivo,
quindi migliore”) sarebbe sicuramente
un atteggiamento sbagliato.
Anche il recente studio SPACE non era
riuscito a dimostrare la non inferiorità
dello stenting rispetto all'intervento
chirurgico (SPACE Lancet 2006).
Nell'equipe vascolare di Lugano ci sentiamo confermati nell'indicazione
restrittiva allo stenting carotideo, che si
evince principalmente dai criteri di
inclusione dello studio SAPPHIRE (ad
esempio recidiva di stenosi (sintomatica) dopo TEA, occlusione ACI contralaterale, stato da chirurgia maggiore del
72 GENNAIO 2007
collo, radioterapia, ecc.). Anche la FDA
approva solo l'uso dello stenting per
pazienti con stenosi sintomatica >
70% ad alto rischio dopo chirurgia.
Il nostro atteggiamento dovrà eventualmente essere rivisto alla luce di
ulteriori studi randomizzati in corso,
risultati a lungo termine e rispettive
metaanalisi già previste che verranno
pubblicati nei prossimi anni (risultati
studio SPACE a 6 e 24 mesi, risultati a
lungo termine di EVA 3S, ICSS, CREST,
ecc).
Un aspetto importante sarà anche la
terapia di anticoagulazione e antiaggregazione periprocedurale.
Accanto all'efficacia e sicurezza dei 2
metodi si porrà poi la problematica del
confronto dei rispettivi costi.
Bibliografia
European Carotid Surgery Tialists' Collaborative
Group. Randomised trial of endarterectomy for
recenty symptomatic carotid stenosis: final
results of the MRC Eureopean Carotid Surgery
Trial (ECST). Lancet 1998; 351:1979-87
Barnett JR et al Benefit of carotid endarterectomy in patients with symptomatic moderate
or severe stenosis. N Engl J Med 1998;
339:1415-25
Coward LJ et al Safety and efficacy of endovascular treatment of carotid artery stenosis compared with carotid endarterectomy: a Cochrane
systematic review of he randomized evidence.
Stroke 2005; 36: 905-911
Hacke W et al 30 day results from the SPACE
trial of stent-protected angioplasty versus carotid
endarterectomy in symptomatic patients: a randomised non-inferiority trial. Lancet 2006; 368:
1239-1247.
Yadav JS et al Protected carotid-artery stenting
versus endarterectomy in high-risk patients
(SAPPHIRE). N Engl J. Med 2004; 351: 1493-501
SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico
L’OCCHIO CLINICO
Cari lettori,
abbiamo il piacere di pubblicare qui
di seguito un contributo originale
quanto arguto e stimolante del Collega, Dr. F. Beretta Piccoli, che ci ricorda, dall'alto della sua lunghissima e
solidissima esperienza, l'insostituibile
valore dell'occhio clinico.
Grazie Francesco.
A nome del comitato scientifico,
Dr. G. Pedrazzini
L’ultima urgenza di un medico
novantenne
Io ho sempre mantenuto l'abitudine di
recarmi alla posta verso le 17.30; d'inverno è già notte fonda.
Era la fine del mese dello scorso gennaio; faceva freddo con vento da nord
a raffiche.
Arrivato in piazza un signore con i
bianchi capelli al vento mi chiamò con
forza: “dottore la supplico venga da
mia moglie che ha mal di pancia e
vomita da ieri sera”. M'accorsi che
teneva qualcosa nel pugno della mano
destra. Rimasi incerto: “lo sai che io ho
cessato qualsiasi attività; inoltre non ho
niente con me” (alludevo alla tasca
medica). Ovviamente era una scusa,
poiché io potevo tranquillamente esaminare quella paziente servendomi
delle mie mani e del mio orecchio.
Forse mi sarebbe servito un paio di
guanti in caucciù.
Gli chiesi: “non è passato il vostro
medico?” “Sì, infatti è venuto stamattina: ed ora sono stato io da lui per
informarlo dello stato di mia moglie;
mi raccomandò di fare questa iniezione stasera se dovesse continuare il
vomito.” Mi mostrò la fialetta: si trattava del Torecan, un medicamento
molto efficace nelle vertigini con vomito di origine ORL.
Allora mi decisi e seguii il marito verso
la sua casa.
Conoscevo quel bellissimo appartamento con mobili toscani e quadri
notevoli, tra i quali un “Agnelli” forse
il più bello che io abbia mai visto.
La paziente giaceva di traverso nel lettone grande con una scaldiglia sul
fianco destro. Aveva appena vomitato
mezzo catino di un liquido color bile.
Facies molto sofferente, magrissima,
con la cute secchissima. L'addome presentava un modico gonfiore mesogastrico. All'auscultazione rumori intestinali rari, metallici. Alla palpazione con
mano piatta e morbida anse dilatate
forse del tenue.
Non volli perdere altro tempo in indagini cliniche. La paziente che era stata
72 GENNAIO 2007
operata di un tumore del sigma circa
otto mesi prima, presentava il quadro
classico di un ileo da briglia aderenziale con grave alterazione dello stato
generale. Per il medico è sempre un
momento molto delicato quando si
deve dire al o alla paziente che il suo
stato esige un ricovero con la massima
urgenza.
Effettivamente anche stavolta la paziente si rifiutava ferocemente, ma poi
iniziò a piangere: il segno della resa.
In quel momento il marito aprì il
pugno della mano destra e lasciò
cadere la famosa fialetta.
Ebbi la fortuna di trovare il chirurgo
ancora in ospedale. Reidratazione
per tutta la notte ed intervento al
mattino seguente di buonora con
buon risultato.
L'anno prima avevo visto, sempre a
domicilio, un caso assolutamente simile; ma come mai?
Dr. F. Beretta Piccoli
TRIBUNA MEDICA TICINESE
21
SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoterapia
Flash di farmacoterapia è una rubrica della TMT
gestita sotto la responsabilità del Centro Regionale di Farmacovigilanza del Canton Ticino.
L'informazione è indipendente dall'industria e
mirata a migliorare le conoscenze sull'utilizzo di
farmaci nella pratica quotidiana.
SICUREZZA DEI
BETA2-AGONISTI
A LUNGA DURATA
D’AZIONE
specialità a base di salmeterolo) di
condurre uno studio apposito: lo studio SMART (Salmeterol Multi-center
Asthma Research Trial)1. L'obiettivo
dello studio era di valutare la sicurezza
del salmeterolo a lungo termine nel
trattamento dell'asma. Lo studio ha
arruolato 30.000 pazienti asmatici che
sono stati randomizzati ad assumere
42 mcg x 2/dì di salmeterolo o placebo in aggiunta al trattamento di base.
Nonostante le raccomandazioni delle
attuali linee guida per il trattamento
dell'asma, ca. la metà dei pazienti arruolati non faceva uso di corticosteroidi inalatori all'ingresso nello studio.
R. Bertoli, A. Cerny
Il trattamento dell'asma mira al controllo dei sintomi e a prevenire lo sviluppo di una limitazione irreversibile
del flusso a livello delle vie aere e la
mortalità correlata alla malattia. I corticosteroidi inalatori giocano un ruolo di
fondamentale importanza nel conseguimento di questi obiettivi e rappresentano il trattamento di base, mentre
i beta2-agonisti a breve durata d'azione vengono utilizzati al bisogno per il
controllo dei sintomi. I beta2-agonisti a
lunga durata d'azione (LABA) (salmeterolo, formoterolo) trovano indicazione, in associazione con i corticosteroidi
inalatori, nei pazienti in cui l'impiego
dei corticosteroidi inalatori da soli non
permette un controllo soddisfacente
della malattia.
Alcune segnalazioni d'attacchi acuti
fatali d'asma verificatisi in pazienti in
trattamento con salmeterolo, hanno
di recente messo in dubbio la sicurezza di questi farmaci.
Per valutare la sicurezza d'impiego del
salmeterolo nei pazienti con asma la
Food and Drug Administration americana ha richiesto alla ditta GlaxoSmithKline (produttrice di una delle
L'esito primario era rappresentato
dalla combinazione della mortalità
per eventi respiratori e delle complicanze respiratorie gravi e potenzialmente fatali che avevano richiesto
l'intubazione e la ventilazione meccanica del paziente. Nello studio sono
stati valutati, inoltre, tutte le cause di
mortalità, le cause d'ospedalizzazione e le complicanze legate all'asma.
Un'analisi preliminare dei risultati ha
portato all'interruzione anticipata
dello studio: nei pazienti trattati con
salmeterolo è emersa, infatti, una differenza statistica significante per 3
endopoints secondari: un eccesso di
mortalità per eventi respiratori, un
eccesso di mortalità per eventi correlati all'asma e di complicanze respiratorie gravi. L'eccesso del rischio è
risultato significativo nei pazienti in
cui il beta2-agonista è stato impiegato in monoterapia e nei pazienti di
razza afro-americana (18%), anche
se lo studio non era stato disegnato
per cogliere queste differenze. Il fatto
che questo gruppo di pazienti avesse
un asma più grave all'ingresso nello
studio potrebbe giustificare, almeno
in parte, questo risultato.
Nell'estate 2005 una commissione
del FDA2 ha riesaminato i dati dello
studio SMART e visti i ben noti effet-
72 GENNAIO 2007
ti benefici dei LABA per il controllo
dell'asma e poiché i dati dello studio
non fossero conclusivi, non ha ritenuto necessario ritirare dal mercato
questa classe di farmaci, ma ha concluso fosse necessario rafforzare le
informazioni dei prodotti circa il
rischio di morti correlate all'asma e di
raccomandarne l'uso solo nei casi in
cui altri provvedimenti avessero fallito. Le informazioni sono state così
modificate con l'introduzione di una
“boxed warning”, estesa a tutti i
LABA supponendo potesse trattarsi
di un effetto di classe, sebbene non
ci fossero dati al riguardo. Anche in
Svizzera sono state modificate le
note informative di questi prodotti,
rendendo attenti ad un possibile
aumento del rischio di gravi episodi
asmatici e morti legate ad attacchi
d'asma sotto terapia con LABA.
La scorsa estate è stata pubblicata
una metanalisi3 sulla sicurezza dei
beta2-agonisti a lunga durata d'azione. Da quest'analisi risulta che i
LABA, rispetto al placebo, aumentano il rischio di ospedalizzazioni dovute ad esacerbazioni asmatiche gravi e
aumentano il rischio di morti dovute
all'asma. Lo studio sottolinea anche
che l'uso concomitante di steroidi
inalatori non sembra proteggere in
modo adeguato dall'aumento del
rischio.
Lo studio è importante, ma occorre
molta cautela nel trarre conclusioni
affrettate. Come affermato in un editoriale a commento della metanalisi
di Jeffrey Glassroth4 l'asma è una
malattia molto variegata che presenta forti fluttuazioni anche spontanee
nel suo range di severità e che è
influenzata gravemente dalla comorbidità, dalle terapie concomitanti,
dalla compliance a trattamenti antiasmatici concomitanti ed è molto difficile poter correggere per questi
importanti fattori di confusione.
Inoltre la metanalisi è fortemente
influenzata da un singolo studio, lo
TRIBUNA MEDICA TICINESE
23
SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoterapia
studio SMART1, che da solo rende
conto del 78% di tutti i pazienti considerati. Questo studio che arruola il
18% di pazienti di colore, annovera
tutte le morti considerate nella metanalisi tranne due.
• Anche per i pazienti con BPCO i
LABA devono venir usati con cautela; favorire se possibile la scelta
d'anticolinergici8.
R. Bertoli1, A. Cerny1,2
Sono stati segnalati polimorfismi genetici del gene del recettore beta2-adrenergico. I pazienti omozigoti per una
variante di tale gene con un'arginina in
posizione 16 (genotipo-Arg/Arg) sono
molto proni a presentare broncostenosi e peggioramento dell'asma usando i
beta-agonisti5. Questo genotipo è presente in circa un sesto della popolazione americana ma è molto frequente
nei soggetti afro-americani6. Nei soggetti con genotipo-Arg/Arg sono
molto efficaci gli anticolinergici7 che
potrebbero dunque essere impiegati in
questi soggetti laddove gli steroidi inalatori da soli non fossero sufficienti a
controllare la malattia. Secondo questa
ipotesi sarebbe necessario pertanto
valutare i risultati correggendoli per
tale genotipo per escludere che i risultati della metanalisi siano applicabili
solo a particolari sottogruppi razziali.
1 Centro Regionale di Farmacovigilanza,
Ospedale Regionale di Lugano, Lugano
2 Clinica Medica, Ospedale Regionale di
Lugano, Lugano
TRIBUNA MEDICA TICINESE
1 Nelson HS, Weiss ST, Bleecker ER, Yancey
SW, Dorinsky PM; and the SMART Study
Group. The Salmeterol Multicenter Asthma
Research Trial. A comparison of usual pharmacotherapy plus salmeterol [published
correction appears in Chest 2006;129:
1393]. Chest. 2006;129:15-26.
2 U.S. Food and Drug Administration Advisory
Committee. Serevent, Advair, Foradil withdrawals to be considered by Advisory
Committee. 2005.
3 Salpeter SR, et al., Meta-analysis: effect of
long-acting beta-agonists on severe asthma
exacerbations and asthma-related deaths.
Ann Intern Med. 2006 Jun 20;144(12):90412. Epub 2006 Jun 5.
4 Jeffrey Glassroth, The Role of Long-Acting Agonists in the Management of Asthma:
Analysis, Meta-Analysis, and More Analysis
Ann Intern Med. 2 Ann Intern Med. 2006;
144:936-937.
5 Israel E, et al., The effect of polymorphisms
of the beta(2)-adrenergic receptor on the
response to regular use of albuterol in asthma, Am J Respir Crit Care Med. 2000;162:
75-80.
6 Drysdale CM, et al., Complex promoter and
coding region beta 2-adrenergic receptor
haplotypes alter receptor expression and predict in vivo responsiveness. Proc Natl Acad Sci
U S A. 2000 Sep12;97(19): 10483-8.
Allo stato attuale dei dati le raccomandazioni sono quelle di:
• i LABA non devono sostituire i corticosteroidi per os o per via inalatoria.
I corticosteroidi rimangono il principio terapeutico di prima scelta.
• impiegare i LABA solo insieme ad
un appropiato dosaggio di corticosteroidi per via inalatoria.
• i LABA non devono essere impiegati per il trattamento di episodi o
sintomi asmatici in acuto
• i pazienti devono essere informati
di non interrompere o ridurre la
terapia anti-asma senza prima consultare il loro medico; un interruzione brusca può produrre un'alterazione del controllo dell'asma che
può rivelarsi pericolosa.
24
Bibliografia
7 Israel E, et al, Use of regularly scheduled
albuterol treatment in asthma: genotypestratified, randomised, placebo-controlled
cross-over trial. Lancet. 2004 Oct 23-29;
364(9444):1505-12.
8 Salpeter SR, et al., Meta-analysis: anticholinergics, but not beta-agonists, reduce severe exacerbations and respiratory mortality in
COPD, J Gen Intern Med. 2006 Oct;21(10):
1011-9. Erratum in: J Gen Intern Med. 2006
Oct;21(10):1131.
72 GENNAIO 2007
SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
PATOLOGIA IN PILLOLE
Nr. 12
D. Soldini, E. Pezzetta
Storia clinica
Un uomo di 71 anni non fumatore,
noto per ipertensione arteriosa, lamenta dispnea progressiva da alcune settimane senza dolori. Gli esami radiologici evidenziano una lesione tumorale di
18 cm all'emitorace sinistro che infiltra
la parete toracica dorsalmente.
All'intervento chirurgico riscontro di un
tumore a superficie liscia che non infiltra il parenchima polmonare e che
viene resecato con parti della parete
toracica comprendenti segmenti di
due costole. Gli aspetti radiologici,
macroscopici ed istomorfologici sono
illustrati nelle immagini.
Indica la diagnosi corretta:
a
b
c
d
e
72 GENNAIO 2007
Neurofibroma
Mesotelioma desmoplastico
Tumore fibroso solitario
Fibrosarcoma
Fibromatosi extraaddominale
TRIBUNA MEDICA TICINESE
25
SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
Reperti anatomo-patologici
Tumore di 18 x 13 x 11 cm con superficie di taglio omogenea, fascicolata e
biancastra che infiltra la parete toracica. All'esame istologico la neoformazione è costituita da cellule fusiformi
senza rilevanti atipie citonucleari in tessuto ricco di collagene con strutture
vascolari ectasiche. Non si identificano
figure mitotiche e focolai di necrosi.
Agli esami immunositochimici si evidenzia espressione di actina della
muscolatura liscia (SMA). Assenza di
espressione di CD34, bcl2, CD99, proteina S-100 e pancitocheratine.
Fibromatosi superficiali
Fibromatosi palmare (Dupuytren)
Fibromatosi plantare (Ledderhose)
Fibromatosi del pene (Peyronie)
Fibromatosi profonde
Fibromatosi extraaddominale (tumore desmoide extraaddominale)
Fibromatosi addominale (tumore desmoide addominale)
Fibromatosi intraaddominale (tumore desmoide intraddominale)
Fibromatosi pelvica
Fibromatosi mesenterica
Fibromatosi mesenterica nell'ambito della sindrome di Gardner
Tab 1: Classificazione delle fibromatosi
Diagnosi
Fibromatosi extraaddominale
Commento
La fibromatosi è una proliferazione
benigna di tessuto fibroso che comprende un gruppo di lesioni che si
differenziano per il sito di insorgenza
(Tab.1) e per il comportamento clinico. Malgrado la fibromatosi sia una
tra le più frequenti lesioni del tessuto
connettivo, essa pone problemi diagnostici e terapeutici, specialmente
per la discrepanza tra l'apparenza
istomorfologica benigna ed la propensione a recidivare localmente ed a
infiltrare i tessuti circostanti.
Le principali localizzazioni della fibromatosi extraaddominale, chiamata
anche tumore desmoide, sono la
muscolatura della spalla, seguita dalla
parete toracica, schiena, coscia, testa e
collo. Clinicamente le lesioni di testa e
collo risultano più aggressive e possono
causare una distruzione massiccia delle
ossa circostanti. La fibromatosi extraaddominale insorge in tutte le fasce
d'età, con una picco tra la pubertà ed i
40 anni; le donne ne sono affette più
frequentemente degli uomini. In genere, i pazienti mostrano una massa indolente e mal delimitata a crescita lenta. I
possibili sintomi neurologici sono da
ricondurre ad una compressione di
nervi limitrofi alla massa tumorale.
26
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Il tumore desmoide è quasi sempre
confinato alla muscolatura ed alla
fascia o aponevrosi sovrastante e solo
raramente infiltra il tessuto sottocutaneo. Generalmente mostra diametro
compreso tra i 5 ed i 10 cm, consistenza dura e superficie di taglio biancastra e trabecolata simile al tessuto
cicatriziale. Quest'ultima caratteristica
può causare problemi al momento di
una rescissione chirurgica in caso di
recidiva.
Istologicamente il tumore desmoide è
poco circoscritto e infiltra il tessuto
limitrofo. La proliferazione consiste di
cellule fusiformi d'apparenza uniforme, separate da abbondante collagene, con minimo contatto tra di esse. La
cellularità varia da zona a zona all'interno della lesione e una ialinizzazione
estesa può raramente nascondere la
struttura di base della lesione. I nuclei
sono di dimensioni ridotte e non
mostrano ipercromasia né significative
atipie. Ai bordi della lesione fibre di
muscolatura striata possono risultare
intrappolate ed subire un processo
involutivo di atrofia. Microemorragie e
focali aggregati di linfociti sono frequenti, mentre solo raramente si identificano calcificazioni.
La patogenesi della fibromatosi extraaddominale, come quella delle altre
forme di fibromatosi, è probabilmente
72 GENNAIO 2007
multifattoriale e sembra comprendere
fattori genetici, endocrini e fisici, quali
traumi e operazioni. Le caratteristiche
immunofenotipiche (espressione di
SMA) suggeriscono un'origine da miofibroblasti.
Dal punto di vista anatomo-patologico
la diagnosi differenziale è ampia e l'utilizzo di tecniche immunostochimiche
è essenziale per una corretta diagnosi.
In particolare devono essere esclusi il
tumore fibroso solitario, i tumori
mesenchimali benigni come i leiomiomi, schwannomi e neurofibromi oppure lesioni reattive quali la fascite nodulare. In sede pleurica, come nel caso in
discussione, è inoltre opportuno considerare l'eventualità di un mesotelioma
desmoplastico che malgrado il comportamento altamente aggressivo si
presenta con caratteristiche istomorfologiche blande.
La fibromatosi extraaddominale ha
spesso un comportamento localmente
aggressivo e le recidive sono frequenti,
specialmente in assenza di radicalità
chirurgica del primo intervento. Raramente la fibromatosi invade e comprime strutture vitali. La sopravvivenza a
5 anni dalla diagnosi è del 90%. Il
tumore non metastatizza.
La terapia della fibromatosi dipende
dalla sua estensione e dal suo rapporto anatomico con strutture adiacenti.
SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
In genere si raccomanda un'ampia
escissione locale che comporta un
rischio di recidiva minore. Nei casi in
cui questo non sia possibile può essere
indicata una radioterapia adiuvante.
L'efficacia di agenti chemioterapici
come pure di un trattamento ormonale (le fibromatosi possono esprimere
recettori per estrogeni!) è controversa.
D. Soldini
Istituto cantonale di patologia, Locarno
E. Pezzetta
Chirurgia, Ospedale San Giovanni, Bellinzona
Bibliografia
Abbas AE, Deschamps C, Cassivi SD, Nichols FC
3rd, Allen MS, Schleck CD, Pairolero PC.Chestwall desmoid tumors: results of surgical intervention. Ann Thorac Surg. 2004 Oct;78(4):
1219-23; discussion 1219-23.
Gronchi A, Casali PG, Mariani L, Lo Vullo S,
Colecchia M, Lozza L, Bertulli R, Fiore M, Olmi P,
Santinami M, Rosai J. Quality of surgery and outcome in extra-abdominal aggressive fibromatosis: a series of patients surgically treated at a single institution. J Clin Oncol. 2003 Apr 1;21(7):
1390-7.
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SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG
L’ELETTROCARDIOGRAMMA
A. Sorgente
Cari lettori,
abbiamo il grande piacere di segnalarvi una nuova rubrica che avrà inizio
con il corrente numero dedicata alla
lettura/interpretazione dell'elettrocardiogramma. Il primo numero verrà dedicato all'elettrocardiogramma normale, quelli successivi alle più ricorrenti
alterazioni visibili durante un'abituale
registrazione elettrocardiografica.
Scopo di questa rubrica è di fornire ai
medici curanti, soprattutto a quelli non
più abituati alle letture sistematiche
dell'elettrocardiogramma, gli strumenti necessari per valutare autonomamente l'ECG dei propri pazienti.
Ringraziamo in questo senso il Dr. Sorgente, cardiologo presso il Cardiocentro Ticino ed appassionato di ritmologia, per il suo importante contributo.
A nome del comitato scientifico,
Dr. G. Pedrazzini
Elettrocardiogramma normale
L'elettrocardiogramma (ECG) registra
le differenze tra i potenziali d'azione
generati dal cuore. Il segnale registrato è determinato dai potenziali d'azione generati da ciascun miocardiocita, dalla loro sequenza di attivazione e dalla trasmissione alla superficie
corporea.
Molti sono i fattori (cardiaci ed extracardiaci) che influenzano la registrazione elettrocardiografica. L'ECG non
rappresenta quindi una fotografia
esatta del cuore, ma sicuramente è
possibile dedurre con un certo grado
di accuratezza lo stato del cuore
dall'ECG di superficie. L'ECG può
essere quindi normale in caso di
patologie cardiache, così come può
essere anormale in soggetti cardiologicamente sani.
L'ECG dà comunque informazioni
importanti sulla anatomia e sulla
fisiologia del cuore: è il miglior metodo di analisi dei disturbi del ritmo cardiaco ed è essenziale nel monitoraggio del trattamento di alcune disfunzioni metaboliche come l'iperkaliemia nonchè nella valutazione degli
effetti e della tossicità di alcuni farmaci come la digitale o gli antidepressivi triciclici.
I potenziali generati dal cuore e trasmessi alla superficie corporea vengono captati da una serie di elettrodi
situati sul torace a formare vari tipi di
derivazioni. Vi sono due tipi di derivazioni:derivazioni unipolari e derivazioni bipolari. Una derivazione bipolare consta di due elettrodi situati in
due punti diversi; essa registra la differenza di potenziale (ovvero la quantità di corrente elettrica) presente tra
i due punti. In genere uno dei due
punti è considerato polo positivo
mentre il restante costituisce il polo
negativo. La corrente elettrica per
convenzione procede sempre dal
polo negativo al polo positivo. Le
derivazioni unipolari registrano invece il potenziale elettrico assoluto in
un punto; per fare questo si confron-
72 GENNAIO 2007
ta il potenziale di tale elettrodo (definito esplorante) con il potenziale dell'elettrodo di riferimento (cioè un
punto in cui per convenzione il potenziale è considerato zero).
L'ECG clinico standard prevede 12
derivazioni (Tab.1). Tre sono le derivazioni unipolari degli arti (derivazioni I, II e III), sei derivazioni unipolari
precordiali (derivazioni da V1 a V6) e
tre derivazioni unipolari degli arti
modificate (aVR, aVL e aVF). Le derivazioni I, II, III, aVR, aVL e aVF costituiscono le derivazioni periferiche, le
derivazioni da V1 a V6 raorresentano
invece le derivazioni precordiali.
Le derivazioni cardiache rappresentano dei vettori il cui verso è generalmente consensuale all'elettrodo corrispondente al polo positivo. Così ad
esempio la derivazione unipolare aVL
avrà come verso il braccio sinistro
mentre la derivazione DII avrà come
verso la gamba sinistra. Anche l'attività elettrica cardiaca può essere riassunta come un vettore che unisce i
potenziali elettrici sviluppati dai singoli miocardiociti. Le deflessioni disegnate dall'elettrocardiocardiografo
derivano sostanzialmente dal confronto tra le proiezioni dei vettori di
derivazione e le proiezioni del vettore elettrico cardiaco. Se l'attivazione
cardiaca è diretta verso il polo positivo dell'asse di derivazione, la derivazione registrerà un potenziale positivo; in caso contrario registrerà un
potenziale negativo.
Gli assi di derivazione unipolari e
bipolari degli arti vengono solitamente sovrapposti sul piano frontale a
costituire il sistema esassiale di riferimento (Figura 1). Come si evidenzia
dalla figura suddetta, i sei assi di derivazioni suddividono il piano frontale
in dodici segmenti, ognuno dei quali
sottende un angolo di 30 gradi.
Questa suddivisione spaziale è fondamentale per il calcolo dell'asse
elettrico del cuore. Infatti generalmente l'asse cardiaco può essere
ottenuto
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SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG
1 attraverso la somma delle positività e delle negatività evidenziate
sulle diverse derivazioni periferiche
e sulla proiezione di tale somma
sul sistema esassiale di riferimento
oppure
2 attraverso la identificazione della
derivazione in cui il QRS è isodifasico (cioè la derivazione in cui la
deflessione presenta una equivalenza tra positività e negatività) e
sulla successiva valutazione quantitativa delle deflessioni elettrocardiografiche sulla derivazione perpendicolare a quest'ultima. L'asse
elettrico cardiaco sarà orientato
nella stessa direzione di tale derivazione se la deflessione registrata è positiva, sarà orientato in
senso opposto se la deflessione
registrata è negativa.
L'ECG riflette l'attivazione cardiaca
cosicchè è possibile identificare una
sistole ed una diastole elettrica.
L'onda P corrisponde alla fase terminale della diastole ed è generata dalla
attivazione atriale; il tratto PR rappresenta la durata della conduzione
atrio-ventricolare e corrisponde alla
transizione dalla diastole alla sistole
elettrica cardiaca. Il complesso QRS
corrisponde all'attivazione elettrica di
entrambi i ventricoli come accade in
sistole, mentre il tratto ST-T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare
e coincide generalmente con l'inizio
della diastole. La Figura 2 mostra un
ECG normale e i valori normali per
diversi intervalli e forme d'onda
dell'ECG.
L'attivazione degli atri solitamente
origina in corrispondenza del nodo
del seno. Questo determina una attivazione dell'atrio destro più precoce
Tipo di derivazione
Polo positivo
Polo negativo
Derivazioni bipolari degli arti
Derivazione I
Derivazione II
Derivazione III
Braccio sinistro
Gamba sinistra
Gamba sinistra
Braccio destro
Braccio destro
Braccio sinistro
Derivazioni bipolari degli arti aumentate
aVR
Braccio destro
aVL
Braccio sinistro
Gamba sinistra
aVF
Braccio sinistro+gamba sinistra
Braccio destro+gamba sinistra
Braccio sinistro+braccio destro
Derivazioni precordiali
V1
Terminale centrale di Wilson (1)
V2
V3
V4
V5
V6
Margine sternale destro, 4
spazio intercostale
Margine sternale sinistro, 4
spazio intercostale
In mezzo tra V2 e V4
Linea emiclaveare sinistra, 5
spazio intercostale
Linea ascellare anteriore, 5
spazio intercostale
Linea emiascellare sinistra, 5
spazio intercostale
Terminale centrale di Wilson (1)
Terminale centrale di Wilson (1)
Terminale centrale di Wilson (1)
Terminale centrale di Wilson (1)
Terminale centrale di Wilson (1)
(1) Terminale centrale di Wilson: è formato generalmente dall'unione dei segnali di uscita dagli elettrodi del braccio sinistro, del braccio destro
e della gamba sinistra attraverso 5000 Ω di resistenza
Tab. 1
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SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG
della attivazione dell'atrio sinistro.
All'ECG tale sequenza di attivazione
atriale (che caratterizza il cosiddetto
ritmo sinusale) comporterà un asse
elettrico intorno ai 60 gradi con positività in DI, DII e aVF, negatività in aVR
e concomitanza di deflessioni positive e negative in aVL e in DIII. La derivazione V1 è caratterizzata generalmente da una doppia componente
positivo/negativa in maniera consensuale alla propagazione dell'impulso
attraverso gli atri.
L'attivazione dei ventricoli è piuttosto
complessa e ancora non completa-
mente chiarita. In linea generale, la si
può semplificare in due vettori che
rappresentano da un lato l'attivazione del setto e dall'altra l'attivazione
della parete del ventricolo sinistro.
L'attivazione del setto dà vita ad un
vettore diretto da sinistra a destra sul
piano frontale e anteriormente sul
piano orizzontale. Da qui la comparsa di una deflessione positiva iniziale
“r” in aVR e V1 e di una deflessione
negativa “q” nelle derivazioni sinistre
(DI, aVL, V5 e V6). Le parti successive
del QRS riflettono l'attivazione della
parete libera del ventricolo sinistro e
destro: si avrà quindi la comparsa di
una deflessione prevalentemente
negativa in aVR e V1 e di una deflessione prevalentemente positiva in DI,
aVL e V5-V6 (si ricorda qui che il contributo della parete libera del ventricolo destro in condizioni fisiologiche
è assolutamente irrilevante). L'asse
medio normale del QRS negli adulti si
trova tra -30 e +90 gradi. In caso di
asse compreso tra -30 e -90 gradi si
parla di deviazione assiale sinistra,
invece in caso di asse medio oltre
+90 si parla di deviazione assiale
destra. Un asse compreso tra -90 e
Fig. 1:
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SEZIONE SCIENTIFICA - Quiz ECG
-180 (o tra +180 e + 270) gradi viene
considerato indeterminato.
La ripolarizzazione ventricolare è rappresentata dal tratto ST-T. La polarità
della ripolarizzazione ventricolare è la
stessa del QRS precedente per cui le
onde T sono positive in DI, DII, aVL e
32
aVF e nelle derivazioni precordiali laterali, negative in aVR e variabili in
DIII e da V1 a V3.
Onda / Intervallo
Durata / Ampiezza
Durata dell'onda P
< 120 msec
Ampiezza onda P
< 250 µV
Intervallo PR
120-200 msec
Durata del QRS
<120 msec
Ampiezza del QRS
Variabile in base alla derivazione
Intervallo QT (corretto)
< 440-460 msec
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FORUM
La rubrica Forum è aperta a tutti.
Forum, come suggerisce il titolo, vuole diventare un luogo di dibattito dove sia possibile esprimere liberamente le
proprie opinioni. Il contenuto, quindi, non riflette necessariamente la linea politica dell'OMCT.
La redazione si riserva, tuttavia, di pubblicare contributi
che rivestano un interesse generale.
La Ballata del Sistema di Salute
ammalato - 2. atto
François Gilliet, Bellinzona
Riassunto del primo atto (BMS 17:719,2006, TMT
71:119-120,2006). Nel primo atto ho messo in evidenza
come il nostro sistema di salute, soprattutto nella medicina, sia cambiato sotto la pressione dei risparmi e con lo
scopo politico della globalizzazione (e anche della trasparenza). Una parte importante nel fallimento del vecchio
sistema viene attribuito ai medici. Il conflitto di questa ballata sta nel fatto di non aver raggiunto lo scopo: innanzitutto quello di economizzare, ed evidentemente anche la
voluta sottomissione dell'influenza dei medici che sembra
allo Stato di uguale importanza. Per questo cambiamento
un chiaro resoconto non è possibile. La statizzazione progressiva del nostro sistema sanitario diventa il motivo principale per i cambiamenti repressivi e si manifesta sempre
più apertamente. È già stata istituzionalizzata.
Un anno dopo – one year thereafter –: il primo atto di
questa ballata è stato scritto un anno fa. Ho ricevuto molte reazioni: la maggior parte di lode, solo alcune critiche,
nessuno che mi abbia accusato di aver asserito il falso.
L'UFSP non ha reagito ed è apparentemente occupato
con se stesso. Altre organizzazioni hanno ricevuto lo scritto direttamente (SUVA e santésuisse): nessuno ha preso
posizione, a parte il commento che il mio scritto era quello di un vecchio medico, ciò che non contesto. Interpreto
questo silenzio come costernazione. Sinceramente era
mia intenzione lasciar perdere. Alcuni eventi e incoraggiamenti mi hanno però fatto cambiare opinione e motivato
a scrivere ancora in merito al nostro sistema di salute dal
mio punto di vista forse limitato, ma essenziale e diretto
per quanto concerne la medicina semplice di ogni giorno
nei riguardi del paziente.
Secondo atto
Il paziente nel nuovo sistema di salute
Molti fatti sono accaduti, ma non molto è cambiato: si
parla sempre di risparmi, senza realizzarne. L'assistenza
medica diretta alla popolazione è diversa, non è sicuramente migliorata, ma più burocratizzata, i pazienti devono aspettare più lungo per essere visti (1), la relazione tra
medico e paziente è diventata meno personale. In dermatologia e allergologia molti pazienti hanno delle diagnosi
approssimative che li rendono insicuri e sfiduciati. Biopsie
cutanee con esami istologici vengono meno ordinati per
non incrementare i costi. Basandosi sui risultati di terapie
probatorie per confermare la diagnosi, si espone i pazienti a dei rischi inutili e i costi aumentano secondariamente.
Il pronto-soccorso riceve pazienti non urgenti e si occupa
anche della medicina corrente: per molti (specialmente
alla sera) questo rappresenta un'alternativa molto comoda, ma non necessariamente buona. I medici sono sovente giovani, sovraccaricati e per paura di contestazioni giuridiche cercano di cautelarsi maggiormente. Senza laboratorio esteso, radiografie e altri esami non succede più
niente, ciò che causa una medicina ancora più cara a
dispetto di quanto voluto. Urgenze mediche trattate dal
medico privato costano anche la metà di quelle trattate
dal pronto soccorso (2). Il pronto soccorso quindi non è la
soluzione. In certe situazioni (per esempio nelle urgenze)
ancora oggi sono richieste delle decisioni autoritarie basate sull'esperienza e rimangono essenziali e insostituibili.
La pratica giornaliera è pure cambiata. Cose, che in precedenza sembravano normali, non possono più essere mantenute per mancanza di personale o di tempo (Tarmed
significa: medicina per tempo e stranamente non è il tempo ma la medicina la componente soggetta a variare, cioè
a peggiorare). Non si aiuta più il paziente, non ci si occupa più di lui; si consegnano piuttosto dei formulari informativi e si forniscono indirizzi internet, con l'intenzione di
permettere ai pazienti di aiutarsi da soli. Interpretazioni false possono esserne la conseguenza e diffondersi senza
essere corrette. Le consultazioni di controllo dei pazienti
sono sempre più rare se non addirittura inesistenti, per
paura del medico di uscire dalla media per caso. La mediocrità della medicina svizzera è diventata realtà.
Il medico nel nuovo Sistema di Salute
L'attività del medico non viene più stimata come prima. Il
dire: “i medici dovrebbero in futuro considerare la loro
professione non più come affermazione e vocazione, il
mestiere non più come identità ma piuttosto come ruolo”
(MEDICAL TRIBUNE giugno 2006) non è però molto di più
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FORUM
di uno slogan politico per difendere un sistema sanitario.
Sono proprio i pazienti e non i medici che oggi, anche più
che in passato, cercano una tale immagine. Il nostro sistema di salute ha bisogno di medici motivati e non di quelli frustrati che potrebbero guadagnare la loro vita, senza
differenza, facendo il tassista. La professione del medico
non deve essere solo studiata e praticata, ma ancora vissuta. Proprio per questo l’allocuzione del prof. M.
Mumenthaler a Zurigo, rimane di prima attualità (3) Se
invece vengono imposte delle restrizioni finanziarie, alcuni al contrario li banalizzano dicendo che i medici sanno
quale mestiere hanno scelto (con più pressione, più ore di
lavoro supplementari, oggi anche con più problemi finanziari) e dovrebbero essere motivati (avere la vocazione).
Uno studente deve essere un santo per scegliere la medicina con queste impostazioni. Il medico libero fa parte del
passato anche se molti (medici e pazienti) non lo hanno
ancora capito. Gli introiti dei medici vengono tagliati, censurati e limitati a quelli di un impiegato statale (4). Il medico corre però ancora sempre il rischio finanziario dell'imprenditore.
Non solo il mestiere del medico è cambiato, anche i medici
cambieranno. La selezione della futura generazione di medici sarà meno umanistica ma più razionale e anche più litigiosa. Anche nella medicina la polarizzazione aumenterà.
Il ruolo dell'autorità nel Sistema di Salute
Il ruolo dello stato dovrebbe essere quello di fungere da
garante, per permettere ad ogni cittadino l'accesso alla
miglior medicina. Al momento non è impegnato a garantire questo diritto al paziente ma cerca piuttosto il proprio
potere.
La globalizzazione, in un futuro non troppo lontano, ci
obbligherà a prendere delle decisioni gravi e pesanti anche
nel campo della medicina, tra quello che siamo in grado di
realizzare e quelle che è possibile fare.
La promessa politica (sfortunatamente irreale) di poter
offrire a tutti una medicina uguale deve necessariamente
essere riconsiderata e adattata alle possibilità che sono
sempre da ridefinire: si può concludere che una medicina
uguale per tutti non sarà mai possibile, perchè le condizioni di base non sono le stesse.
È già previsto che in futuro decisioni del genere anche da
noi (p.es. nella medicina per gli anziani che diventano
sempre più vecchi) possano essere prese non da medici,
ma da specialisti sanitari statali. Dubito che questo sia una
buona soluzione. Nel singolo caso la persona adatta non
è raggiungibile e diventano possibili giudizi assurdi, come
l'ho già dimostrato nel primo atto di questa ballata sotto
“storie vere” (il caso di herpes zoster). E il segreto professionale sarebbe abolito completamente.
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Per i problemi futuri i medici devono tenere lo scettro in
mano e non lasciare il campo a delle persone senza formazione medica e senza esperienza che non assumeranno tutta la responsabilità, e i costi saranno enormi. Possiamo dedurre che un sistema di salute con meno medici
non diventerà migliore e neanche meno caro. La competenza medica non sarà più garantita e alla fine non rimane nessuno veramente coinvolto per il paziente.
Volersi basare in futuro solo su decisioni statisticamente
provate (evidence based) non è nemmeno una soluzione
per tutti problemi di salute, soprattutto quando si tratta
dello scontro di “evidence based” e di buonsenso: come
nel saltare con il paracadute dove il salvarsi con questo
attrezzo non è mai stato statisticamente provato (evidence
based), ma dove si può tranquillamente raccomandarne
l'uso (cit.). O quando viene introdotto un nuovo medicamento molto caro per una terapia oncologica che statisticamente ha un'efficacia provata del 13% migliore rispetto
ai vecchi prodotti, ciò che per l'ammalato di cancro cambia probabilmente poco, per l'industria vale però milioni e
anche per il sistema sanitario. In queste decisioni ci saranno sempre zone grigie che necessitano un concetto non
solo tecnico ma una valutazione più larga. Una soluzione
nella mentalità Tarmed non sarà certamente possibile e in
generale le nostre riflessioni non saranno “evidence
based”, ma si baseranno sempre su paradigmi di cui anche
gli impulsi più importanti della ricerca hanno la loro origine. La medicina di punta è indispensabile per alcuni
pazienti e per l'ulteriore sviluppo della medicina. Non può
però diminuire le nostre paure o prolungare la vita di tutti.
Per questo ci vuole una buona medicina di base.
L'unico criterio per apprezzare la validità di una terapia resta il beneficio per il paziente. Questo a sua
volta dipende direttamente da una diagnosi precisa.
È incontestabile che dobbiamo economizzare. Questo fatto ha avuto delle conseguenze politiche e interessi superiori che hanno deformato tutto e non hanno avuto l'esito voluto.
La vittima principale è la nostra medicina che diventa
peggiore, proprio a causa dell'economia al posto sbagliato.
Riflessioni sui cambiamenti del potere
nel Sistema di Salute
Sfortunatamente il Tarmed è stato accettato dai medici in
modo democratico e pacifico, adesso però viene imposto
in maniera dittatoriale e non sempre con mezzi ortodossi,
malgrado si ritenga che il suo unico successo (MEDICAL
FORUM
TRIBUNE 2006), sia quello di essere riusciti ad introdurlo.
Lo stato risparmia a scapito dei medici e prepara la statizzazione della medicina. Quello che succede con le somme
restituite non viene però pubblicato: vengono restituiti ai
pazienti o servono soprattutto d'aumentare il potere delle assicurazioni o si disperdono nel vento?
Un anno dopo – one year thereafter –: si può girarla come
si vuole, abbiamo fatto un passo in più verso un Sistema
Sanitario Statale senza risparmi prevedibili. Ecco
ancora alcuni esempi che dovrebbero illustrare la nostra
situazione di politica sanitaria: i sindacati potrebbero aiutare molto, però nel trattare con i medici sovente non trovano il tono adeguato; funzionari con pensioni assicurate
possono ordinare ad un medico indipendente in modo
imperioso di mandare loro rapporti e copia della cartella
gratuitamente, perché si tratta di una paziente senza
mezzi finanziari.
Non è il fatto di fare fattura o meno che rappresenta il
problema; la decisione di fare fattura o no oppure se insistere sul pagamento o meno, ancora oggi dovrebbe essere di competenza del medico. Non si tratta di un problema finanziario ma di un problema di potere politico. L'Ente cantonale responsabile che è stato consultato, ha preferito non entrare in materia.
Da sempre, i medici vengono criticati, la loro stima e
rispettabilità stanno diminuendo e questo in parte per colpa loro: non hanno mai fatto altro che buon viso a cattivo gioco. L'influsso delle autorità però è sempre aumentato (non necessariamente la loro stima). I medici in qualità di politici sarebbero indispensabili e avrebbero un
campo d'attività vasto, se volessero veramente difendere
la medicina. La mancanza di medici interessati dimostra
chiaramente che la maggioranza di loro ha scelto la medicina perchè interessati alla medicina e non per altri motivi. Tutto ciò parla a loro favore.
La SUVA mira a continuare a cuocere i menu e a raffinarli. Il risultato che si può constatare negli ultimi anni: un
aumento voluto e diretto della sua autorità rispetto ai
medici. Ci inviano delle documentazioni e dei rapporti di
qualità indiscutibile, dettagliati e illustrati dei loro controlli sui nostri pazienti. Noi medici non potremmo mai realizzare gli stessi rapporti con il tempo Tarmed concessoci
(proprio concepito della stessa). Si tratta di una competizione ingiusta e non corretta. Simultaneamente guadagna non esigendo più delle perizie con il pretesto debole
ma convincente di dover risparmiare. Nel passato sembravano essenziali, adesso non più necessari. Le loro decisioni non vengono più sempre stabilite e visionate da colleghi con la specialità FMH corrispondente al problema.
Questo fatto non sembra disturbare più nessuno e non
viene contestato. La SUVA si è fatta una posizione talmente forte che dispone di una ampia dinamica propria
con vasta autonomia politica e di potere. Può, in questo
contesto, effettivamente pretendere di essere “più di
un'assicurazione” (cit. suo slogan pubblicitario). Malgrado tutto, la SUVA, recentemente, con soddisfazione, ha
pubblicato delle cifre nere. Rende di nuovo sicuramente
una notevole prestazione. Cosa succede con i soldi guadagnati non viene pubblicato: vengono restituiti ai
pazienti, ai datori di lavoro o vengono investiti per percepire degli interessi?
Critichiamo spesso i sistemi sanitari di paesi viciniori con un
tono di soddisfazione e con la convinzione di fare meglio
in Svizzera. Al momento le cose non vanno più così bene.
Per diversi motivi il cambiamento da noi è avvenuto più
tardi, però rigorosamente e con un Tarmed che altrove non
hanno mai neanche immaginato. Rimane un libro con 7
sigilli. E ripetiamo gli stessi sbagli dei nostri vicini.
Riflessioni finanziarie e sul Tarmed
Nel nostro sistema sanitario manca una bilancia chiara e
pubblica sui costi del sistema di controllo che il Tarmed ha
indotto, inclusi i salari dei funzionari addetti. Senza questo non è possibile paragonare costi e spese (input e output). La medicina elvetica si muove su una cresta.
Invece di risparmiare semplicemente, lo stato strozza i
medici che in base alla loro formazione e attività dovrebbero essere i pilastri del sistema sanitario e dovrebbero
anche rimanerlo. Il vuoto dovrebbe essere compensato
con la statizzazione. Malgrado commenti discordi questo
esercizio di ristrutturazione costa molto senza una pubblicazione in merito. Siccome lo stato ha sempre il braccio
più lungo (deve anche averlo) la presa di potere è avvenuta senza difficoltà. L'assunzione della competenza però
manca e non sarà mai funzionante. Anche lo stato non
potrà addossarsene la responsabilità. E comprensivo voler
risparmiare con limitazioni di accertamenti di laboratorio.
Se all'inizio di accertamenti ne vengono però fatti un po'
più dello stretto necessario, sovente possono essere evitate ulteriori consultazioni con ulteriori analisi, ciò che rappresenta un vantaggio socio-economico per il paziente, e
certamente anche per lo stato. Aggiungo ancora un
esempio dalla specialità di dermatologia:
Il DLQI (Dermatologic Life Quality Index) è infatti una
grande novità. Per la prima volta, per la terapia della psoriasi con farmaci nuovi, estremamente cari e da somministrare a lunga scadenza (biologics) viene considerata
anche la sofferenza psichica del paziente. La psoriasi è
una malattia dermatologica cronica con tendenza ad alterazioni metaboliche e complicazioni interne che possono
certamente cambiare tutta una vita. In futuro sarà però
difficile, vedendo altre indicazioni che aspettano di essere
ammesse, di fissare il diritto a prestazioni, soprattutto
anche per il fatto che esistono alterazioni cosmetiche che
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FORUM
possono influire sul DLQI. Per deciderlo non ci vuole solo
rigore scientifico, ma soprattutto esperienza medica.
(2) Hugentobler W: Kostenvergleich der... Primary Care 2006;6,586-589
(3) Mumenthaler Marco: Medizinstudium und Artzberuf: SÄZ 2007;
88:1
Considerazioni conclusive
Il quesito fondamentale rimane, cioè sapere se è meglio
avere del personale sanitario (funzionari statali) o piuttosto dei medici formati e capaci di prevedere (3). Per il Consigliere Federale Couchepin, un grande scienziato non è
automaticamente anche un grande politico se gli manca
l'intuizione (5). Ha certamente ragione su questo punto.
Risponde così proprio lui involontariamente anche alla
nostra domanda se vogliamo affidarci a dei funzionari statali non medici e solo razionali (evidence based) o piuttosto a dei medici formati e capaci di prevedere – cioè che
non sono solo informati su quello che capita, ma che lo
capiscono anche – come i buoni politici.
Finale
(4) Hasler N: Revenues des médecins indépendents de Suisse en 2002 e
2003. BMS 2006 :87 :39
(5) Widmer D: UEMO gegen Couchepin, Primary Care 2006;6,566-569
(6) Dignità: secondo Zingarelli: qualità intrinseca meritevole del massimo
rispetto. Secondo Tarmed: Termine che si basa sulla formazione FMH di
ogni medico per attribuire alla sua attività medica le posizioni Tarmed
autorizzate, che dovrebbero anche corrispondere ad una media per caso.
Per la cura linguistica ringrazio le persone seguenti:
- Deutsch: Prof. Emil Steinhamer, Erlangen
- Italiano: Dott. Saverio Prinz, Camorino e signora Graziella GhisalbertiBerri, San Vittore
- Français: M. André Bodmer, Nyon et M. Fabrice Vust, Neuchâtel.
È prevista la pubblicazione imminente (BMS).
Nell'opera l'eroe di un dramma alla fine soccombe o si
suicida. In questa ballata non viene ucciso nessun eroe e
nessuno si suicida, viene però rifiutata la dignità (6) da più
di 2 anni a un vecchio medico, contrario alle regole concordate. Il governo attuale non rinuncia neanche a delle
misure per principio non usuali in Svizzera, per potersi
affermare.
La scena dell'atto finale della nostra tragedia elvetica dimostra una vecchia nave – che trasporta la ghiaia sui laghi –
sovraccarica e galleggiante a fatica. Si tratta di una nave
della società di navigazione ”Suvufastar SA suisse”, società
elvetica di (con)fusione che si è specializzata nel dragare e
si è distinta in questo campo. Il cielo è oscurato da nubi
cumuliformi. L'acqua torbida è mossa e schiumante.
Nella immediata vicinanza si intravedono con difficoltà
degli scogli grigio-neri appena sopra la superficie dell'acqua. Probabilmente ci troviamo sul lago d'Uri di fronte a
Flüelen e diretto lentamente ma con determinazione verso Attinghausen. In sottofondo si ode musica cupa, con
colpi di tamburo – tuoni non troppo distanti – e su questo finale si chiude lentamente il sipario rosso e pesante.
Ci si chiede se Tell salterà ancora (senza Tarmed!).
“Ich sah's mit Augen an, ihr könnt mir's glauben.
s'ist alles so geschehen, wie ich Euch sagte.“
(dal dramma „Wilhelm Tell“ di Friedrich Schiller.)
46
(1) Radio Suisse Romande: http://www.rer.ch/les-infos/virus
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