Migliaia di cittadini UE espulsi dal Belgio Un fenomeno che rischia
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Migliaia di cittadini UE espulsi dal Belgio Un fenomeno che rischia
Migliaia di cittadini UE espulsi dal Belgio Un fenomeno che rischia di farsi strada anche in altri Stati membri Novembre 2014 A cura di Carlo Caldarini, direttore dell'Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa Cominciamo raccontando una storia. Una storia vera. La storia di AM, operaio specializzato di nazionalità italiana, nato a Marrakesh, in Marocco, 46 anni fa. Il suo estratto conto INPS testimonia una carriera lavorativa lunga 23 anni, iniziata in una città industriale del nord Italia nel 1990, e conclusasi nella stessa città a gennaio del 2013, quando l’azienda presso la quale lavorava era ormai in procedura di concordato preventivo. Durante questi anni AM ha subito 4 infortuni sul lavoro e, come altri suoi colleghi, ha conosciuto la cassa integrazione e la mobilità. Pochi mesi dopo la definitiva cessazione del suo rapporto di lavoro, AM ha già una nuova opportunità di occupazione. Sempre nel settore in cui è specializzato, ma a 1000 km da casa. Lascia quindi la sua famiglia in Italia, e si presenta al suo nuovo comune di residenza, in Belgio, per regolarizzare il proprio soggiorno (giugno 2013). Ha in mano un contratto di lavoro a tempo indeterminato e quindi, in quanto cittadino europeo, ha il diritto di soggiornare senza restrizioni in qualsiasi stato membro dell’Ue (direttiva 2004/38). Ma dopo otto mesi e mezzo, anche quest’impresa dichiara fallimento e AM si ritrova di nuovo disoccupato (aprile 2014). In Belgio, dove nonostante la vittoria delle destre alle ultime lezioni legislative vige ancora un sistema di protezione sociale tra i più avanzati del mondo, per aver accesso al sussidio di disoccupazione AM deve dimostrare 468 giornate (ossia 18 mesi) di lavoro salariato negli ultimi 33 mesi. Avendo lavorato – e versato contributi assicurativi – prima in Italia, per 23 anni, e poi in Belgio, per 8 mesi e mezzo, sulla base della legislazione in vigore in Europa quest’ultimo paese gli riconosce automaticamente il diritto all’indennità di disoccupazione, sommando i periodi lavorativi dei due stati membri. Dopo soli due mesi (giugno 2014), l’Ufficio federale per gli stranieri, diretto dalla liberale Maggie De Block - Segretaria di stato per l’Asilo, l’immigrazione e l’integrazione sociale -, avvia un’inchiesta per verificare il diritto di soggiorno di questo lavoratore straniero. L’interessato fornisce le proprie buste paga, la prova del licenziamento, l’iscrizione all’ufficio di collocamento, l’attestato di un corso di formazione in lingua francese, nonché diverse offerte di lavoro e candidature spontanee. Malgrado questo, il 29 agosto 2014 l’Ufficio per gli stranieri mette fine al suo permesso di soggiorno e gli ordina di lasciare il Belgio “entro 30 giorni”. La motivazione principale dell’ordine di espulsione consegnato ad AM è che “il suo lungo periodo d’inattività dimostra che non ha alcuna possibilità di trovare un lavoro”. Il suo lungo periodo di inattività! Con 24 anni di carriera lavorativa, dopo soli 5 mesi di disoccupazione indennizzata, AM si ritrova senza reddito1. Un errore, pensa lui. Una svista. Un intoppo burocratico. No, un caso tra migliaia. Tra il 2010 e il 2013 sono stati espulsi dal Belgio 7.004 cittadini UE: bulgari, slovacchi, rumeni, olandesi, francesi, spagnoli, italiani, tedeschi... Il governo federale è stato per questo già messo in mora dalla Commissione europea nel 20132. Ciò nonostante il fenomeno continua, e il numero delle espulsioni cresce di anno in anno. Con il ritiro del titolo di soggiorno, viene meno anche il diritto all’assistenza sanitaria: cure mediche, ospedalizzazione e medicinali sono infatti ormai collegati al documento di residenza, che fa anche funzione di tessera sanitaria. Al punto che Médicins sans frontières e Médicin du monde ricevono disposizioni per assicurare le cure di prima linea anche ai cittadini europei. Per frenare queste pratiche, 14 personalità del mondo sindacale ed accademico di diverse nazionalità - tra cui la presidente dell’INCA CGIL Morena Piccini, il segretario federale del sindacato belga FGTB Jean-François Tamellini, e Laurent Vogel dell'ETUI, l’Istituto sindacale europeo - avevano lanciato un appello alla vigilia delle elezioni europee3. È un fenomeno infatti che si sta facendo strada anche in altri Stati membri. La Francia, ad esempio, è stata richiamata dall’Ue, nel 2010, per le espulsioni collettive di rom sinti e camminanti. Secondo Médecins du Monde, sono stati espulsi più di 9.000 rom rumeni e bulgari (in totale erano 15.000). Secondo un rapporto della Ligue des droits de l'homme pubblicato ad inizio 2014, sono stati allontanati 20.000 cittadini europei. In Germania, il governo tedesco ha annunciato una serie di misure contro i cittadini europei che abusano della protezione sociale: ad esempio, la riduzione delle prestazioni familiari ai lavoratori stranieri i cui figli non siano residenti in Germania (in funzione del costo della vita nel paese di residenza del minore). Se così fosse, la Germania si porrebbe in contrasto con le norme europee, secondo cui una persona ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente, anche per i familiari che risiedono in un altro Stato membro, come se questi ultimi risiedessero nel primo Stato membro. Misure analoghe figurano in questi giorni nel dibattito politico in Francia e nell’agenda del nuovo governo di destra in Belgio. Già il Lussemburgo aveva introdotto una regola restrittiva, per impedire l’esportabilità di alcune prestazioni familiari nei casi in cui i figli non fossero residenti nel Granducato. Nel 2013 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ordinato marcia indietro (causa 20/12). Nel Regno Unito, il Primo ministro David Cameron ha dato una svolta alla rubrica di governo e non usa mezze misure contro il turismo sociale dei cittadini comunitari che mettono a rischio il benessere britannico. Al punto che, fallite le procedure di richiamo ufficiose, la Commissione europea ha deciso di deferire il Regno Unito alla Corte di Giustizia europea. In violazione del diritto dell’Ue, questo Stato sottomette infatti i cittadini Ue al cosiddetto right to reside test (test del diritto di residenza), anziché applicare loro la condizione di “residenza abituale”, come per i cittadini briutannici. E questo, al solo ed esplicito scopo di limitare il diritto dei cittadini di altri Stati membri ad alcune prestazioni sociali, come ad esempio gli assegni familiari (Child benefit), il credito d'imposta per figli a carico (Child tax credit), l’indennità di disoccupazione su base del reddito (Jobseeker’s allowance income-based), il credito di pensione statale (State pension credit) e l’integrazione salariale e di sostegno collegata al reddito (Employment and support allowance incomerelated)4. È il Belgio comunque, in questo momento, il paese che sta attaccando in maniera più massiva e sistematica il diritto alla libera circolazione. Tre categorie di persone sono particolarmente prese di mira: i beneficiari del reddito d'integrazione (una misura di protezione sociale non contributiva), i disoccupati come abbiamo visto nell’esempio citato in apertura dell’articolo, e persino lavoratori dipendenti e a tempo pieno con contratto stipulato nel quadro del cosiddetto Articolo 60, ossia una forma d'impiego istituita nel 1976 per persone considerate difficilmente occupabili. Nel loro insieme, questi cittadini rappresenterebbero un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale del paese ospitante. La legislazione europea vincola, infatti, il diritto di Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 2 residenza dei cittadini UE alla condizione di disporre di risorse economiche sufficienti affinché non diventino un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato ospitante. Tutto in regola, quindi? Non esattamente. Oggi due fonti principali di diritto disciplinano il sistema all’interno dell’UE: la direttiva 2004/38 e il regolamento 883/2004. La prima definisce una serie di regole in materia di diritto di soggiorno dei cittadini UE. Per citarne soltanto alcune: > Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi, senza alcuna condizione o formalità, salvo l'obbligo di essere in possesso di una carta identità o un passaporto valido (art. 5.1) > Ogni lavoratore cittadino dell'Unione, subordinato o autonomo, ha il diritto di soggiornare senza altra condizione che quella di essere appunto un lavoratore ai sensi dell'interpretazione della Corte di giustizia dell'Unione europea (7.1) > I cittadini dell'Unione conservano la qualità di lavoratore, subordinato o autonomo, anche se sono involontariamente disoccupati dopo 12 mesi di lavoro e se sono registrati come persone in cerca di lavoro (7.3) > Le altre persone che non svolgono un'attività economica devono disporre di «risorse sufficienti» e avere un'assicurazione malattia, per se stessi e per la loro famiglia, in modo da non diventare un «onere eccessivo» per il sistema di assistenza sociale e sanitaria del paese ospitante (14.1) > In casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell'Unione non soddisfi le condizioni per il soggiorno, lo Stato membro d'accoglienza può effettuare una verifica in tal senso. Tuttavia tale verifica non può essere effettuata “sistematicamente” (14,2) > Un cittadino dell'Unione in cerca di lavoro non può essere allontanato finché è in grado di dimostrare che continua a cercare un lavoro e che ha possibilità di essere occupato (14.4) > Ogni cittadino dell'Unione ha il medesimo diritto di beneficiare delle prestazioni di assistenza sociale che i cittadini del paese ospitante (24). Il ricorso al sistema di assistenza sociale non comporta automaticamente l'espulsione (14.3) > Dopo cinque anni, ogni cittadino dell'Unione che abbia soggiornato legalmente nel territorio di un altro Stato membro ha il diritto di soggiorno permanente senza condizioni (16.1) > Ogni cittadino dell'Unione residente sul territorio di un altro Stato membro gode della parità di trattamento con i cittadini dello Stato ospitante. Questo beneficio si estende ai suoi familiari, anche se non sono cittadini di uno Stato membro (art. 24). Il regolamento 883/2004, a sua volta, ha lo scopo di evitare che il lavoratore migrante si trovi – dal punto di vista previdenziale - in una situazione sfavorevole per il solo fatto di aver lavorato in più stati membri. Alla base, il principio della totalizzazione dei periodi (art. 6), in virtù del quale, per fare un esempio, se si è lavorato in Italia e in Belgio, e in quest'ultimo si resta disoccupati, questo paese è obbligato a versare le prestazioni di disoccupazione tenendo conto - senza eccezioni e senza restrizioni - dei periodi di lavoro salariato maturati in entrambi gli stati membri. Veniamo dunque a questi “turisti sociali” che stanno mettendo a dura prova le finanze di uno dei paesi fondatori dell’Unione europea. Per quanto riguarda i beneficiari del reddito d'integrazione, il ritiro del permesso di soggiorno non può essere la conseguenza automatica del loro ricorso all'assistenza sociale Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 3 (art. 14.3 della direttiva). Il paese ospitante è tenuto infatti a valutare la situazione personale secondo un criterio di proporzionalità, tenuto conto della durata del soggiorno, delle difficoltà temporanee e dell'importo delle prestazioni concesse. Nel caso del Belgio, le numerose testimononianze raccolte dalla piattaforma Eu for People (http://euforpeople.altervista.org), che riunisce le associazioni che si battono contro le espulsioni, mostrano invece come queste espulsioni siano quasi sempre il risultato di provvedimenti sistematici ed automatici, che non entrano nel merito delle diverse e specifiche situazioni personali. Per quanto riguarda i disoccupati, è appoggiandosi sull’articolo 7,3 della direttiva sulla libera circolazione che il Belgio pretende di poter automaticamente espellere tutti coloro che sono disoccupati da 6 mesi consecutivi e che hanno lavorato meno di 12 mesi prima della disoccupazione. Per fare questo, dal gennaio 2011 il governo ha messo in piedi un meccanismo automatico che permette all’Ufficio degli stranieri di ricevere ogni trimestre i dati a carattere personale dei cittadini che beneficiano di prestazioni sociali. Le delibere che autorizzano ogni anno questi scambi afermano esplicitamente che l’Ufficio degli stranieri ha bisogno di questi dati per identificare le persone al fine di decidere sul mantenimento del loro diritto di soggiorno5. Questo è chiaramente proibito dalla direttiva 2004/38 (art. 14,2). L'indennità di disoccupazione non è assistenza sociale. Al contrario, si tratta di un sistema basato su principi assicurativi, in cui le persone contribuiscono in proporzione al loro reddito e ricevono benefici proporzionali ai loro contributi. Ma c'è dell'altro. I lavoratori e le lavoratrici colpiti da queste espulsioni hanno aperto il loro diritto all’assegno di disoccupazione in virtù di contributi versati anche in altri paesi UE. Privarli del diritto di soggiorno significa negare loro anche il diritto alla totalizzazione. L'espulsione provoca cioè l'interruzione della storia contributiva della persona e di conseguenza la perdita dei suoi diritti assicurativi, che non saranno recuperati nel paese d'origine né altrove. Utilizzando uno spiraglio lasciato aperto da una direttiva, lo Stato belga entra quindi in rotta di collisione con un diritto sancito da un regolamento europeo, che è immediatamente e interamente obbligatorio dal momento della sua pubblicazione6. Veniamo infine alle espulsioni di lavoratori. Il governo belga si giustifica prendendo a pretesto il fatto che i contratti Articolo 60 siano in realtà posti di lavoro a scopo di reinserzione, e non attività economiche reali ed effettive da cui far discendere lo status di lavoratore. Questo ragionamento riflette una visione della società che, implicitamente, gerarchizza le persone e le loro attività in funzione della loro posizione amministrativa, e della presunta utilità economica che questa posizione assegna loro. La tesi secondo cui il lavoratore occupato con un contratto sussidiato dallo Stato non possa essere considerato un lavoratore è perfettamente contestabile alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. Inoltre, contraddice la stessa legge belga del 1976 sull'assistenza sociale. Il Servizio pubblico federale per l'integrazione sociale spiega anche sul suo sito web che il contratto di lavoro Articolo 60 è un contratto di lavoro subordinato classico. E il contratto che i servizi sociali fanno firmare alle due parti, datore di lavoro e lavoratore, sono in tutto e per tutto un contratto di lavoro, dove uno dei due firmatari vi figura, appunto, come lavoratore. E dunque, un lavoro sovvenzionato dallo Stato con finalità di reinserzione professionale può non essere considerato un'attività economica reale ed effettiva? Fin dai primi anni ottanta il Belgio, come tanti altri paesi europei, ha messo in piedi una pletora di contratti cosiddetti di attivazione, come appunto Activa, Rosetta, PTP, ACS, ecc. Perché lo Stato continua a finanziare queste misure se le ritiene prive di valore economico? Più concretamente, se il lavoratore articolo 60 occupato in un ospedale, in una scuola di circo o in qualsiasi altro servizio alla popolazione non esercita una vera e propria attività economica, dovremmo pensare lo stesso di tutti i lavoratori del sociale, della cultura, dell'insegnamento? Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 4 Il diritto alla libera circolazione è uno dei vantaggi più visibili e significativi per il singolo cittadino dell'UE. 13 milioni di persone stanno esercitando ora questo diritto e vivono in un altro stato membro. Nessun paese sfugge a questo fenomeno. Anche chi vive in un paese che oggi è globalmente e soprattutto d'immigrazione, ha conservato infatti l'istinto di fare le valigie, un momento o l'altro della propria vita. Il numero di cittadini belgi residenti all'estero, per esempio, è cresciuto del 25% in dieci anni, secondo i dati del Servizio federale degli affari esteri. Combinando questi numeri con le statistiche delle Nazioni Unite e dei paesi di destinazione, il numero di belgi stabilmente residenti all'estero viene stimato a più di 500.000. Gli italiani residenti all’estero sono 10 volte di più, secondo i dati ufficiali. Che facciamo, torniamo ognuno al proprio paese? È un fenomeno, dicevamo, che ci riguarda tutti. Altre espulsioni e respingimenti –peggiori di questi - ci indignano e ci mobilitano, come sindacato e come associazioni. Il termine espulsione associato oggi al destino di un cittadino (o di una cittadina) europeo fa paura. Questa estensione delle politiche di espulsione potrebbe domani colpire chiunque. Coloro che hanno già esercitato il loro diritto di circolare liberamente in Europa, coloro che stanno per farlo, o che hanno un figlio o una figlia che sicuramente lo farà: in quanto studenti, precari, disoccupati, lavoratori, pensionati, o semplicemente motivati dal desiderio di cogliere queste opportunità che fino a ieri la cittadinanza europea sembrava offrire. Qualche cifra Uno studio sulla mobilità internazionale dei lavoratori e sul suo impatto sui sistemi nazionali di welfare, pubblicato a giugno da IZA World of Labor, mostra come le decisioni individuali in materia di migrazione non vengono effettuate sulla base della relativa generosità delle prestazioni sociali del paese ospitante. Anzi, pur di fronte a un rischio più elevato di povertà, gli immigrati mostrano meno dipendenza dal welfare rispetto ai nativi. In sostanza, versano nelle casse dello stato ospitante più di quanto ricevono. Anche quando gli immigrati si trovano ad utilizzare il benessere più intensamente rispetto ai nativi, questo è principalmente attribuibile alle differenze sociali tra immigrati e non immigrati, piuttosto che allo status di immigrazione di per sé7. Un dossier pubblicato il 25 settembre dalla Commissione europea dimostra, cifre alla mano, che la mobilità della forza lavoro non è un costo per i paesi ospitanti8, ma lo è per quelli di origine. Nel 2013, poco più di 7 milioni di cittadini dell'Unione europea hanno lavorato e vissuto in un paese dell'UE diverso dal proprio: il 3,3% dell'occupazione totale nell'UE. Se a questi aggiungiamo i lavoratori frontalieri e transfrontalieri, ossia lavoratori che risiedono in un paese ma lavorano in un altro e i lavoratori distaccati dal proprio datore di lavoro in un altro stato membro dell’UE, arriviamo a circa 9,3 milioni di lavoratori: un po’ più del 4% dell’occupazione totale nell’insieme dei 28 stati membri dell’Unione europea. Ora, la causa principale della mobilità di questa forza di lavoro è di natura economica, e le cifre mostrano come i flussi si dirigano principalmente laddove (e quando) c’è lavoro. Nel 2013, il tasso medio di attività dei cittadini europei residenti in un altro stato membro è stato del 78% rispetto al 72% per i cittadini dei paesi ospitanti, e il loro tasso di occupazione del 68% contro il 64% dei cittadini nazionali. Questo semplicemente perché i lavoratori migranti, o mobili come si preferisce nel gergo comunitario, sono anagraficamente più giovani ed economicamente più attivi rispetto alla forza lavoro dei paesi ospitanti. Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 5 Inoltre, tra i beneficiari di prestazioni sociali la presenza di stranieri è in realtà molto bassa: meno dell'1% in Austria, Bulgaria, Estonia, Grecia, Malta e Portogallo, e tra l'1% e il 5% in Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi e Svezia (lo studio prendeva in conto soltanto 11 paesi). L’impatto sui bilanci nazionali di welfare è quindi davvero irrilevante. Sempre secondo dati della Commissione europea, nel caso della spesa sanitaria nazionale è del 0,2% in media. Altri esempi di espulsioni di cittadini UE dal Belgio Un’intera famiglia francese che viveva da tre anni a La Louviere è stata espulsa dal Belgio il 20 novembre 2012. L'Ufficio stranieri ha ritenuto che questa coppia con 4 figli non dispone di mezzi di sussistenza sufficienti ed è quindi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale del regno. Il padre, Frank D. aveva perso il lavoro. Sua moglie, Stephanie C., stava invece lavorando in una casa di cura. Era stata assunta a norma dell’Articolo 60. Carlos, di nazionalità spagnola, lavorava a Bruxelles in un ospedale pubblico. Il 3 dicembre 2013 ha ricevuto un ordine di lasciare il territorio nonostante fosse in possesso di un regolare titolo di soggiorno, valido 5 anni. Anche lui era stato assunto con un contratto Articolo 60 Una donna francese con tre figli ha ricevuto un ordine di lasciare il paese mentre lavorava anche lei con un contratto a tempo pieno Articolo 60. In un giorno, la donna ha perso lavoro, reddito e diritto di risiedere in Belgio, per sé e per i suoi tre bambini, e questo in pieno anno scolastico. Una giovane artista francese aveva ricevuto una sovvenzione pubblica come artista particolarmente promettente, ma, nonostante i suoi sforzi, è dovuta tornare nel suo paese, perché colpita dal decreto di espulsione. Christine, 47 anni, vive in Belgio da 30 anni e convive con un cittadino belga. È stata espulsa perché i suoi redditi e quelli del suo partner derivano dall'assistenza sociale. Secondo l'Ufficio per gli stranieri, anche se la signora e il suo compagno dovessero sposarsi, per restare in Belgio la signora deve avere un reddito stabile, poiché da settembre 2013 il reddito d'integrazione non è più sufficiente per il ricongiungimento familiare. Un caso che ha attirato l’attenzione dei media è quello di Silvia Guerra, una musicista italiana di 39 anni che nel 2010 si è stabilita a Saint-Gilles, in Belgio, con suo figlio, nato nel 2006 a Carcassonne, in Francia. Dal 1 dicembre 2012 Silvia lavorava come artista presso una scuola di circo, con un contratto di lavoro a tempo pieno di tre anni, anche questo a norma del più volte citato Articolo 60. Il 20 novembre 2013 a Silvia, e a suo figlio, è stato notificato l’ordine di lasciare il territorio. I servizi sociali le avevano fatto firmare un documento con il quale “di comune accordo” il suo contratto di lavoro veniva sospeso. Silvia ha presentato ricorso ma il Tribunale non si è ancora pronunciato. Ugualmente noto, e ancor più paradossale, il caso di Willem Groenewegen, poeta e traduttore olandese, titolare da 13 anni di una ditta individuale di traduzioni, stabilitosi ad Anversa a febbraio 2013. Durante un controllo cosiddetto di routine, un agente di polizia lo ha invitato a presentarsi al Comune per regolarizzare la sua posizione, e così ha fatto. Dopo 3 mesi, gli è stato comunicato che le informazioni raccolte erano insufficienti (questo si sarebbe poi rivelato essere il cosiddetto lavoro d’inchiesta). Dopo aver presentato al Comune circa 50 documenti, il 19 agosto 2013 gli è stato comunicato l'ordine di lasciare il territorio belga, adducendo come motivo che, non potendo dimostrare sufficienti risorse per vivere, avrebbe potuto, in via teorica, chiedere un sussidio. W.G. ha presentato ricorso contro il decreto di Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 6 allontanamento, ma il Tribunale di Anversa non gli ha dato ragione, adducendo come motivo che il signor Groenewegen non ha fornito prove sufficienti del fatto che, in futuro, non farà ricorso all’assistenza sociale. E a marzo 2014 questo cittadino olandese ha ricevuto un nuovo ordine di allontanamento dal Belgio. Note 1 L’Italia non è infatti l’ultimo paese di lavoro, né vi sono gli estremi per l’indennità di disoccupazione speciale per i lavoratori italiani rimpatriati, essendo trascorsi più di 180 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il Belgio, da parte sua, interrompe l’erogazione del sussidio di disoccupazione per il venir meno del requisito di residenza. 2 http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-122_it.htm 3 www.osservatorioinca.org/section/image/attach/ESPULSIONI.pdf 4 http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-475_en.htm 5 Vedi, ad esempio: Délibération du Comité sectoriel de la sécurité sociale et de la santé n° 13/051, du 7 mai 2013 (http://bit.ly/1t6JttU) 6 Nel diritto dell'UE, una direttiva ha bisogno, per essere applicabile, di una legge nazionale di recepimento. Un regolamento, invece, è direttamente obbligatorio e non può che applicarsi immediatamente, e nella sua totalità. 7 Giulietti C., The welfare magnet hypothesis and the welfare take-up of migrants, IZA World of Labor 201 8 http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-541_en.pdf Per saperne di più : Carlo CALDARINI INCA CGIL Osservatorio per le politiche sociali in Europa [email protected] Rue de la Loi, 26/20 B-1040 Bruxelles Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa 7