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Dott.ssa Katiuscia Riccardi Vissuto emotivo del paziente e reazioni

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Dott.ssa Katiuscia Riccardi Vissuto emotivo del paziente e reazioni
Dott.ssa Katiuscia Riccardi
Vissuto emotivo del paziente e reazioni dell’operatore
La zona d’ombra tra il passato e il futuro è il precario mondo di trasformazione dentro la crisalide.
Parte di noi si guarda indietro, soffrendo per la magia che ha perduto; parte di noi è felice di dire addio al
suo caotico passato; parte di noi si volge al domani con tutto il coraggio di cui è capace; parte di noi è
eccitata dalle possibilità del cambiamento; parte di noi è immobile, e non ha il coraggio di guardare da
nessuna parte.
La malattia è un evento molto stressante che mette in grossa difficoltà l’individuo.
Il paziente di fronte ad una malattia, soprattutto nel caso sia improvvisa (come incidente, dolore acuto, ferite,
ecc.) deve affrontare non solo il dolore fisico, ma anche la perdita di autonomia (a partire dalla necessità di
delegare ad altri la gestione del proprio corpo), il disorientamento derivante dal trovarsi (o perdersi) in un
luogo in cui si faticano a comprendere le regole e persino il linguaggio.
La persona, varcando la soglia dell’ospedale, si trova spesso spogliata di ciò che è (abitudini, preferenze,
intimità); la vita del paziente si trasforma, avviene una ineluttabile rinuncia del proprio mondo per entrare in
un mondo pieno di grandi incognite: in un letto che non è il suo, accanto ad una persona che non conosce,
costretto a tempi e ritmi diversi dai suoi, totalmente affidato alle persone che non conosce.
Alcune possibili reazioni stressanti:
- reazioni emozionali (collera, incredulità, terrore, colpa, irritabilità, senso di impotenza, perdita di piacere
nelle attività, regressione),
- reazioni cognitive (difficoltà di concentrazione, confusione, autobiasimo, pensieri intrusivi, calo di
autostima e autefficacia);
- reazioni biologiche (fatica, insonnia, incubi, iperattivazione, lamentele somatiche, reazione di
trasalimento)
- reazioni psicosociali (ritiro sociale, alienazione, abuso di sostanze, ridotta capacità lavorativa)
Non esiste una modalità standard con la quale vengono percepiti gli eventi connessi all’ospedalizzazione o
alla malattia, ed anche le azioni degli operatori, che da quest’ultimi vengono percepite come routinarie e
senza conseguenze apparenti, generano dei vissuti diversi negli individui, vengono percepite in maniera
differente a seconda della persona presente di fronte.
Fattori che incidono sulla reazione individuale ad un evento stressante
Per superare la situazione di stress gli ammalati utilizzano dei meccanismi di difesa che operano a livello
inconscio e negano, falsificano, travisano la realtà in modo da proteggere l’individuo per non farlo
precipitare nel completo disequilibrio. Anche in condizioni di sanità tutti utilizziamo in certa misura alcuni di
questi meccanismi di difesa, e ciò non è necessariamente un sintomo patologico.
Meccanismi di difesa:
- La regressione in una certa misura è normale perché il paziente è obbligato a dipendere dagli altri perché
è ammalato, ma se prolungata, risulta dannosa finendo per ostacolare il processo di riacquisizione
dell’autonomia. In forma incongrua, il paziente sembra quasi regredire a una fase infantile, ad esempio
dorme tutto il giorno, vuol mangiare continuamente, continua a lamentarsi del vitto, fa i capricci, o
chiede contiuamente di essere gratificato affettivamente dal medico, dagli infermieri e dagli amici che lo
vengono a trovare.
- La formazione reattiva nasce dal senso di persecuzione provocata in alcune persone dalla malattia. Il
senso di persecuzione fa scattare dei moti aggressivi rivolti alle persone circostanti. Il malato in questo
1
-
caso non è mai contento delle cure, è esigente, polemico, difficile da affrontare, accusa il mondo intero
delle sue sventure e non potendo ammettere di essere lui stesso aggressivo, scarica quest’accusa sugli
altri.
La proiezione consiste nell’attribuire ad altri i propri pensieri, desideri o paure. Sono questi gli ammalati
che sostengono di non avere sintomi gravi, ma di essere stati costretti dalle paure esagerate degli altri a
farsi visitare, o che attribuiscono i loro sintomi ad altri (modalità persecutoria di reagire alla malattia).
La negazione consiste nel negare alcuni aspetti della malattia, come la presenza di determinati sintomi, o
addirittura della malattia stessa. In questo caso le persone non mettono in atto le strategie necessarie per
affrontare la malattia.
L’isolamento consiste in quel meccanismo in cui l’aspetto emotivo ed affettivo è scorporato dalla
dimensione cognitiva; diventa così possibile riferire o discutere di fatti dolorosi apparentemente senza
emozioni. Il paziente si distanzia dal suo disturbo, parla di sé come di un “caso”, discute delle sue
condizioni con il medico e con l’infermiere senza coinvolgimento, come se parlasse di una terza persona.
È come se, a livello cognitivo, sapesse di essere malato, ma a livello emotivo evitasse questa
consapevolezza.
Le Strategie di Coping ossia le modalità comportamentali di fronteggiare i problemi e le loro conseguenze
emozionali ovvero lo stile cognitivo e comportamentale di un individuo nell’affrontare un problema, in
questo caso la malattia. Le strategie di coping sono un importante parametro per le differenti modalità di
reazione psicologica e di adattamento psicosociale alla malattia, sulle possibili complicanze
psicopatologiche, sulla qualità di vita successiva alla diagnosi, sulla compliance ai trattamenti e,
probabilmente, anche sul decorso della malattia.
Le strategie di coping sono costantemente modellate nel tempo in base alle situazioni stressanti già affrontate
e agli esiti ottenuti.
Da un lato abbiamo le strategie centrate sul problema (problem-focused) ovvero orientate a risolvere la
situazione stressante che crea uno stato di disagio per l’individuo; dall’altro abbiamo le strategie centrate
sulle emozioni (emotion-focused), ossia volte a regolare e possibilmente ridurre l’impatto emotivo
dell’evento in cui si è coinvolti. A queste due categorie poi si possono aggiungere le strategie orientate
all’evitamento della situazione stressante (avoidance-oriented).
Tipo di patologia (sintomatologia, decorso, tipi di trattamento, eventuali effetti collaterali)
Esempi su come la patologia incida sulle reazioni.
Patologia cronica, malattia che si cura, ma non guarisce (tumore, disturbi psichiatrici, diabete, cardiopatia,
ecc.) è generalmente oppressa da un vissuto emotivo caratterizzato da sentimenti di angoscia. Percepisce una
diminuzione del proprio valore, della propria integrità e delle proprie capacità in senso generale, ciò va a
interferire con l’autostima individuale.
Acuzie medica, sintomatologia acuta che genera ansia, ciò si manifesta in un corteo sintomatologico in
ambito somatico: palpitazioni, dolore toracico, sensazione di soffocamento, capogiri e sentimenti d’irrealtà
(depersonalizzazione: ad esempio osservare la realtà come se fosse un altro a percepirla, e/o derealizzazione,
ad esempio osservare la realtà in modo distaccato come attraverso uno specchio).
Traumaticità generata da eventi improvvisi inaspettati che travolgono la persona e la sua capacità di
controllo, tali eventi rappresentano una minaccia all’integrità psicofisica dell’individuo, ma anche alla vita
stessa, genera un senso opprimente di vulnerabilità o di perdita di controllo che porta le persone a provare
reazioni emotive particolarmente forti, tali da interferire con le loro capacità di funzionare sia al momento sia
in seguito. La mente viene a essere piena di sensazioni caotiche, frammentarie e irriconoscibili che
comportano un vissuto di angoscia, di perdita e di morte che spaventa molto l’individuo e non gli permettono
di reagire in modo adeguato all’evento traumatico stesso.
Aspettative del paziente
• Liberarsi dal dolore
• Essere accettati (a livello fisico e mentale)
• Condivisione
Paure del paziente
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•
•
•
Paura dell’errore e del dolore
Essere criticati o puniti
Per quanto possa apparire strano, talvolta la fantasia del paziente è di essersi ammalato per causa sua, il
vissuto di colpa sottostante produce la sensazione che la malattia sia una sorta di punizione
Essere abbandonati
La capacità del paziente di affrontare la situazione di crisi dipende da anche altri fattori, rappresentati dalle
passate esperienze (in particolare nei confronti di pregresse situazioni di malattia), dal significato
personale attribuito alla malattia, da fattori culturali e religiosi, dal tipo e dall'entità del supporto
sociale, dalle caratteristiche psicologiche del paziente (il grado di maturazione psicologica, capacità
introspettiva, eventuali disturbi psichiatrici), dalle caratteristiche di personalità.
In linea generale le reazioni del paziente devono essere comprese e non giudicate. L’operatore deve
cercare di capire il significato sotteso alla reazione dell’individuo, le sue ragioni, e soprattutto accettare che
in quel momento, in quelle condizioni, è l’unica risposta trovata dal paziente per far fronte all’angoscia e
all’ansia.
Da questa panoramica sulle differenze fra gli utenti del servizio sanitario, si può trarre la conclusione che
non si può certo ritenere di avere di fronte a sé un paziente generico, ma che risulta fondamentale operare
tenendo conto di tutti questi fattori in modo da trattare tutti nel modo più adeguato in relazione alle loro
esigenze e stati d’animo, poiché l’unico modo per curare tutti allo stesso modo è quello di curare ciascuno
individualmente, considerando le sue problematiche, le sue differenze e le sue eguaglianze con gli altri.
È perciò necessario un intervento che, tenendo conto delle differenze dei diversi individui, favorisca la presa
di consapevolezza e aiuti il malato ad affrontare la malattia con strumenti più evoluti (riflessione,
meccanismi difensivi più maturi, ecc.).
Dal curare al prendersi cura
Stabilire un contatto umano con il paziente, riconoscere la persona non solo l’organo che fa male, con
un’attenzione particolare al dolore fisico ma anche al disagio psicologico, ascoltare e comprendere, essere
attenti e accoglienti: insomma non solo curare ma soprattutto prendersi cura.
Elementi base del rapporto supportivo:
Congruenza
La coerenza tra cosa l’operatore sta pensando e cosa prova interiormente e cosa comunica all’esterno.
Quando una persona è congruente la sentiamo aperta, diretta, onesta e sincera.
Fiducia
La malattia mette in crisi la fiducia che ogni persona ha in se stessa e nelle difficoltà: lei ha, perciò, ancor più
che nei momenti di benessere, la necessità di potersi fidare degli altri. Un valido rapporto tra operatore e
paziente, perciò, si basa prima di tutto sulla fiducia, che si basa nella convinzione che l’operatore è capace di
fornire aiuto e assistenza in caso di necessità.
Gli elementi che maggiormente concorrono a fondare la fiducia sono una buona comunicazione e, in
particolare, la disponibilità all’ascolto, unitamente alla coerenza nelle proprie azioni e tra le parole e le azioni
(ad esempio nel rispetto degli orari e delle indicazioni date, nelle informazioni, ecc.).
Empatia
Per empatia s’intende la capacità di percepire i sentimenti e le emozioni di un’altra persona mantenendo la
propria identità; percepire in modo empatico vuol dire percepire il mondo soggettivo altrui come se si fosse
l’altra persona, senza tuttavia mai perdere di vista che si tratta di una situazione analoga, come se.
La comprensione empatica è un atteggiamento non una tecnica e nasce dalla considerazione positiva
incondizionata.
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L’empatia è necessaria per costruire un rapporto supportivo poiché, per prestare aiuto al paziente, bisogna
sapersi rendere conto non solo del suo stato fisico ma anche del suo vissuto psicologico ed emotivo e, perciò,
delle sue difese e resistenze.
Accettazione
Accettazione incondizionata dell’altro come persona, anche nei suoi aspetti più sgradevoli. Il paziente ha
bisogno di sentire di essere per l’operatore non un numero o uno dei tanti, ma una persona importante, degna
di attenzione e di valore. Quest’atteggiamento di accettazione di fondo si esprime, più che con le parole, con
la comunicazione non verbale di vicinanza e legame.
La considerazione positiva incondizionata allontana ogni possibile valutazione ed è accompagnata
generalmente da atteggiamenti di calore, di simpatia, di rispetto e di accettazione che vengono percepiti
dall’individuo fin dal primo contatto con l’operatore.
Autonomia
Lo scopo del rapporto supportivo è l’autonomia del paziente, è il passaggio, per quanto possibile, dalla
condizione di malato dipendente a quello di persona autosufficiente. Secondo questa valutazione il paziente
verrà coinvolto affinché possa dare un attivo contributo alla propria guarigione.
Reciprocità
La reciprocità è lo strumento che consente di realizzare l’autonomia. Per reciprocità s’intende che ognuna
delle due componenti del rapporto supportivo dia il proprio contributo in vista del raggiungimento
dell’obiettivo: la guarigione o il miglioramento. Reciprocità significa dialogo, ovvero dare al paziente le
informazioni necessarie e trarre dal paziente tutte le notizie utili.
Sicuramente esistono casi in cui l’autonomia e la reciprocità sono scarsamente o per nulla realizzabili (deficit
intellettivi; deficit neurologici, persone molto anziane, persone con scarso livello culturale).
Ascolto
Gli operatori si trovano quotidianamente a contatto con ciò che la persona ammalata sperimenta solo
eccezionalmente. Non v'è giorno in cui essi non vedano e non tocchino il dolore, non assistano alla paura,
non sperimentino la consapevolezza della morte. Accade così che di fronte all'individuo angosciato anche il
personale ospedaliero si limiti troppo spesso a fornire informazioni tecniche o superficiali rassicurazioni. Il
fatto è che stare dentro il disagio altrui è difficile quasi quanto sostare nel proprio e ciò rende l'avvicinamento
alla dimensione emotiva un processo faticoso, così frequentemente ci si affida agli strumenti dell'intelletto
rilevando solo in seguito la loro inadeguatezza.
È necessario fornire il valore aggiunto dell’ascolto.
Il paziente trae giovamento dal trovare una persona che sia in grado di contenere le sue emozioni, che le
tolleri, che non ne sia spaventato. Non solo per l’ansia, l’angoscia, la paura, ma per tutte le emozioni in
generale, la verbalizzazione ha un’importantissima funzione poiché facilita la consapevolezza e
l’elaborazione di modalità difensive adattive.
È assai pericoloso e negativo ignorare le emozioni del paziente o tacitarle con frasi fatte, o ancora evitare di
ascoltare il paziente o ascoltarlo con orecchie distratte, parlando e consigliando anziché permettere all’altro
di esprimersi. Si tratta d’altro canto di comportamenti comprensibili poiché spesso agiti in contesti di elevata
sofferenza mentale in cui si hanno ben pochi aiuti a contenere queste situazioni.
Ascoltare significa non tentare di guarire l'altro dalle sue emozioni né fornirgli vaghe consolazioni, ma
comprendere emozionalmente e contenere, costituisce una modalità di accostare la sofferenza che risulta
essere efficace sotto il profilo relazionale. La capacità di ascoltare, infatti, permette di stabilire dei rapporti
costruttivi. Attraverso l’ascolto si comunica al paziente che anziché esprimere giudizi su ciò che egli dice o
su ciò che egli è, stiamo cercando di capirlo.
Un atteggiamento reale di ascolto implica attenzione e interesse, tolleranza, comprensione e accettazione
dell’altro, presupposti indispensabili per lo stabilirsi di un rapporto aperto, all’interno del quale è più facile
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per il paziente esprimersi e portare informazioni su di sé, il che a sua volta aumenta la possibilità di
comprensione per l’operatore.
La percezione di questa comprensione permette alla persona di lasciare emergere la propria sofferenza e di
incanalarla in modalità espressive salutari per sé e non disturbanti per gli altri: certamente l'origine della sua
rabbia e della sua angoscia non spariranno per il solo fatto di aver trovato ascolto, ma neppure s’imbatterà
nei frustranti inviti a fare ricorso al buon senso o in sbrigative rassicurazioni del tipo "vedrai che passerà"
oppure "ogni problema ha la sua soluzione" le quali il più delle volte generano frustrazione: la comprensione
e l'ascolto, invece, possono restituire fiducia e speranza poiché riducono il senso di solitudine.
È utile incoraggiare il paziente a esprimersi liberamente perché, oltre a contenere la sua ansia, è possibile
comprendere meglio l'organizzazione della sua personalità e le difese da lui messe in atto, per far fronte alla
situazione. Una persona che si sente compresa è disposta a collaborare, perciò il tempo impiegato
nell’ascolto si recupera quando è il momento di chiedere al paziente di impegnarsi e agire.
L’operatore, se vorrà assumere un comportamento di supporto nei confronti degli utenti, dovrà far loro
capire, con le parole e con un atteggiamento adeguato a ciò che desidera effettivamente esprimere, che
l’espressione dei sentimenti come la paura o la preoccupazione sono fatti normali e che, forse, una volta
espressi, e quindi condivisi con qualcuno, saranno meno dirompenti.
Spesso l'ansia può essere alleviata dal semplice ascolto perché se l'interlocutore è particolarmente ansioso, il
dare troppe informazioni può aumentare il suo stato emotivo. Al contrario di fronte ad una persona che evita
di fare domande, può essere utile trovare il modo di rassicurare e spiegare.
Non è importante la quantità di tempo che l’operatore può dedicare al rapporto col paziente, quanto la qualità
del rapporto stesso. La qualità è data prima di tutto dal desiderio dell’operatore sanitario, di promuovere
nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato.
C’è un silenzio vigile dell’ascolto, che corrisponde anche all’attesa, alla sospensione del dire, ascoltando si
dona la propria disponibilità a fare da contenitore a chi soffre.
Esempi
Se un paziente nutre delle fantasie persecutorie rispetto all’ospedalizzazione sarà senz’altro più utile
consentirgli di esprimerle, ascoltarle attivamente e discuterne con lui che non pensare che siano delle paure
infantili, deriderlo o cercare di rassicurarlo con frasi fatte.
Se un paziente si aspetta di dipendere in tutto e per tutto dall’operatore, è importante non colludere (salvo
naturalmente casi specifici in cui occorra un’assistenza di questo tipo) con questa fantasia facendo proprio
ciò che il paziente si aspetta da lui, giacché ciò renderebbe sempre più passivo il paziente. È altresì
importante che di fronte a queste aspettative non si distanzi emotivamente diventando freddo e distaccato, è
maggiormente adeguato aiutare il malato a parlare dei suoi timori, di come s’immagina la situazione, e,
prendendo molto seriamente tutto quanto la persona dice, ascoltandolo attentamente.
Se durante un ricovero una persona si mostra particolarmente ansiosa e confusa, il semplice presentarsi
(nome e ruolo) con un leggero sorriso e un semplice contatto fisico (come una stretta di mano o il toccare il
paziente sulla spalla o su un braccio) può significare “ti riconosco come persona” e manifestare vicinanza,
questa semplice attenzione può già smorzare l’ansia presente ed essere la scintilla per iniziare una relazione
di aiuto efficace.
Frasi d'invito utili per rispondere senza esprimere giudizi, idee o sentimenti; segnali di via libera che
incoraggiano a parlare, facilitano la comunicazione e stimolano a iniziare o continuare un discorso
(davvero…; capisco…; ma veramente…; ah….; ma non mi dire…; incredibile…; ah si….), altre espressioni
sono più indicate per invitare la persona a dire o a continuare la comunicazione (si spieghi meglio…; di che
si tratta…; vorrei sapere cosa ne pensa…; di che si tratta…; vorrei sapere cosa ne pensa…; parliamone…;
che cosa vuole dire…; mi pare che voglia dire qualcosa…; mi sembra che sia importante per lei…).
Il contatto con il dolore e il disagio del paziente può richiamare reazioni difensive tali da escludere un reale
avvicinamento alla sfera emozionale altrui e può portare all’operatore un dannoso grado di
stress/frustrazione: accogliere il dolore dell’altro richiede un’adeguata conoscenza di se stessi.
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I requisiti necessari per la comunicazione empatica sono:
• capacità di individuare le reazioni difensive che dolore, sofferenza e disagio possono creare;
• integrità psichica;
• capacità di differenziazione dell’esperienza dolorosa altrui.
Esempio.
Di fronte allo stato di disagio il paziente può manifestare collera o irritazione nei confronti dell’operatore, di
fronte a ciò si possono mettere in atto due comportamenti:
• considerare la collera dell’utente come immotivata e offensiva nei suoi confronti, col risultato che
l’operatore si mette sullo stesso piano del paziente controbattendolo o incollerendosi con lui;
• atteggiamento di comprensione empatica dell’utente e di accettazione positiva, attraverso il quale cerca
di andare al di là delle manifestazioni d’intolleranza per incoraggiare il malato ad esprimere i suoi veri
sentimenti, come l’insicurezza, la paura o l’idea di non essere preso in considerazione, la percezione
negativa del rapporto con la struttura, il sentimento di impotenza, il timore per le prospettive future.
Errori tipici dell’ascolto:
• prestare attenzione a fatti o dettagli o al modo in cui sono presentati perdendo di vista i significati;
• ascoltare non cercando di capire ma aspettando l’occasione buona per intervenire e parlare;
• interrompere l’altro, inserirsi, completargli le frasi;
• ascoltare solo ciò che è in sintonia con i propri stereotipi e con le proprie idee perdendo di vista ogni
nuova informazione;
• avere la sensazione di sapere già ciò che l’altro vuol dire;
• ascoltare difensivamente quando si percepisce una minaccia in ciò che l’interlocutore sta dicendo;
• ascoltare solo ciò che fornisce un appiglio per dissentire, contraddire o svalutare.
Indicazioni utili per l’ascolto:
• utilizzare in primo luogo la propria competenza umana piuttosto che affidarsi ai tecnicismi;
• resistere al furor sanandi e alla tentazione di fare comunque qualcosa a tutti i costi (in molte circostanze
agire rappresenta più una difesa rispetto alle angosce d’impotenza al contatto con il dolore, che non un
effettivo bisogno; naturalmente da questo discorso vanno tenute distinte tutte quelle situazioni che al
contrario richiedono interventi tempestivi e direttivi);
• se non si sa cosa dire non dite niente;
• astenersi dal dare consigli affrettati, saper aspettare (questo comporta la capacità di tollerare l’ansia,
l’incertezza e il dolore del contatto con la sofferenza, ponendosi in una posizione di contenimento
anziché di reattività alle emozioni in gioco);
• prestare attenzione agli aspetti non verbali della comunicazione che veicolano maggiormente i significati
emotivi e relazionali profondi (gesti, postura, mimica);
• concentrare l’attenzione sul paziente e ripotate le sue comunicazioni al “qui ed ora”;
• riconoscere in ogni paziente un individuo unico con caratteristiche sue proprie (generalizzazioni e
stereotipi non solo non aiutano, ma addirittura rischiano di produrre un’immagine distorta delle
caratteristiche del paziente vanificando ogni possibile relazione d’aiuto);
• sforzarsi di mantenere l’attenzione sull’altro senza distrarsi anche nel caso si tratti di temi spiacevoli o
dolorosi;
• ascoltare attivamente, parafrasare, riassumere, porre domande, per evitare fraintendimenti e comunicare
all’altro che ci si sforza di capirlo, in talune circostante è bene esplicitare gli stati d’animo che sono stati
colti con frasi del tipo “mi sembra che questo la faccia soffrire molto”, “mi rendo conto di quanto sia
difficile per lei questo momento”.
Comunicazione
La comunicazione in generale indica quell’insieme di segni e di messaggi – verbali e non – che servono
per trasferire ad altri informazioni, ma anche emozioni e sentimenti.
Comunicare, infatti, non significa semplicemente informare, ma anche e soprattutto "entrare in relazione"
con soggetti esterni a noi.
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Per quanto riguarda la comunicazione umana, un classico saggio del professor Albert Mehrabian ha
dimostrato che solo il 7% del significato viene veicolato dalle parole pronunciate, mentre il 38% di esso
viene comunicato attraverso la tonalità in cui vengono espresse, e il restante 55% non ha nulla a che
vedere con le parole, bensì con la fisiologia. Il silenzio, uno sguardo, la postura, le smorfie del volto o il
modo di respirare, l’abbigliamento o il profumo usato sono aspetti che "parlano" per noi e manifestano
il nostro modo d’essere, l’universo dei nostri stati d’animo, ancor più delle nostre parole.
Esistono importanti regole alla base della comunicazione.
1) È impossibile non comunicare
Non ci si può sottrarre a un contesto relazionale, anche il silenzio, l’inattività o la stessa dichiarazione di non
voler comunicare sono una comunicazione.
2) La comunicazione può essere verbale o non verbale
Molti aspetti della comunicazione non verbale hanno radici in periodi arcaici dell’evoluzione e hanno
pertanto una validità più generale della lingua, che è invece più recente e astratta.
La comunicazione non verbale è composta da: prossemica (gestione degli spazi), cinesica (movimento del
corpo, delle mani, espressioni del viso, ecc.); paralinguistica (suono, tono, timbro, ecc. della voce), sguardo,
modo estetico di presentarsi.
Può accadere che i singoli messaggi verbali e non verbali, emessi in un dato momento non siano congruenti
tra loro. Questo avviene ogni qualvolta si cerchi deliberatamente di mentire, o semplicemente quando le
circostanze ci suggeriscano di confezionare un messaggio verbale che si discosti dalla realtà effettiva per
precise esigenze situazionali o relazionali.
Gli aspetti del messaggio verbale e non verbale devono essere organizzati in maniera coerente, altrimenti
avrà luogo un tipo di comunicazione contradditoria.
3) Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione
L’aspetto relazionale classifica il messaggio e ne consente un’adeguata ricezione (metacomunicazione).
L’aspetto di contenuto è più spesso trasmesso con il linguaggio verbale, mentre l’aspetto di relazione viene
veicolato tramite il linguaggio non verbale.
4) La comunicazione può essere simmetrica o complementare
Nelle relazioni basate sull’uguaglianza la comunicazione si dice simmetrica giacché i comportamenti dei due
interlocutori tendono al rispecchiamento e a minimizzare la differenza. Al contrario, quando il
comportamento di un interlocutore completa quello dell’altro (esempio one-up e one-down) sottolineando la
differenza, si parla di comunicazione complementare.
Esempio: “è importante non incappucciare l’ago della siringa dopo averla usata, e gettarla direttamente
nell’apposito contenitore” e “non devi ri-incappucciare la siringa, finirai per bucarti!”. Veicolano lo stesso
contenuto di informazione, ma definiscono chiaramente relazioni molto diverse; la prima, con il solo aspetto
di contenuto, stabilisce una relazione paritaria, mentre la seconda, assumendo un tono impositivo orienta la
relazione in senso superiore-inferiore (up-down).
Per una comunicazione efficace è fondamentale tenere conto del livello scolastico e culturale dell’individuo
che si ha di fronte.
Esempio
Preoccupato per l’esame dell’indomani, P. mi chiede in che cosa consiste e a che cosa serve questa
angioplastica. P. è un uomo semplice molto spontaneo, che ha dovuto smettere di condurre il gregge e fare il
formaggio fra le montagne della Basilicata a causa del problema cardiaco. Gli rispondo assumendo un
atteggiamento “alla buona”: serve per allargare le vene che si sono strette, così passa meglio il sangue;
mettono un cannello con in cima un palloncino piccolo piccolo, nella vena che passa qui (indicazione),
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facendo un buco con un ago un po’ più grosso di quello per le punture. Lo fanno scorrere finché non arriva
alla vena chiusa e lì gonfiano allargando le pareti.
P. mi segue con attenzione e ringraziandomi per il chiarimento, riferisce poi che nei giorni trascorsi in
reparto è stato bene e che ha apprezzato la semplicità degli infermieri. Il giorno seguente mi ritrovo a
preparare O., sempre per l’intervento di angioplastica, una persona molto ricercata e curiosa che conosce
molto bene il suo problema e l’intervento e mi chiede se è vero che avrebbe potuto uscire la sera stessa. A lui
rispondo con un atteggiamento tecnico, consapevole ed esperto, anche un po’ distaccato: “per evitare le
complicanze, il protocollo prevede, nel nostro reparto almeno tre giorni di ricovero”. Vedo il suo volto
rilassarsi, probabilmente rassicurato dal mio atteggiamento professionale e dalla risposta competente.
Indicazioni utili di comportamento in casi specifici
Bambini
•
•
•
•
Aiutarli a esprimere sentimenti, preoccupazioni, domande.
Adattare il proprio linguaggio al livello di sviluppo dei bambini per farli sentire compresi e aiutarli a
capire meglio loro stessi (i bambini al di sotto dei 12 anni riescono a comprendere più difficilmente
concetti astratti e metafore rispetto agli adulti, per cui va usato un linguaggio il più possibile diretto,
concreto e semplice).
Rispondere a domande, sentimenti e preoccupazioni degli adolescenti come si farebbe con un adulto.
Sedersi o accovacciarsi all’altezza degli occhi del bambino.
Disabili
•
•
•
•
•
Rivolgersi direttamente alla persona piuttosto che a chi se ne prende cura, a meno che non vi siano
ostacoli nella comunicazione.
Parlare in modo semplice e lentamente nel caso in cui vi siano problemi di comunicazione.
Se una persona riferisce di avere una disabilità prendere per vero quello che sta dicendo anche se tale
problematica non è evidente o familiare.
Quando non si sa come aiutare chiedere semplicemente “cosa posso fare per aiutarla?” e fidarsi di quello
che la persona dice in risposta
Quando possibile cercare di rendere la persona autosufficiente.
Anziani
•
•
•
Tenere presente sia i loro punti di forza che le loro vulnerabilità.
Non fare supposizioni sulla base dell’età o dell’aspetto fisico.
Molti anziani nel corso della loro vita hanno appreso abilità adattive per affrontare le avversità e non
sono necessariamente più fragili rispetto ad altri individui.
Disorientamento, confusione
La preoccupazione dovrebbe concentrarsi sui casi nei quali l’espressione emotiva arriva a interferire con il
normale funzionamento della persona, i sintomi sono ben riconoscibili:
o sguardo vuoto e senza direzione;
o assenza di reattività nei confronti di domande o istruzioni verbali;
o comportamenti disorganizzati;
o risposte emotive forti;
o manifestazioni di reazioni fisiche incontrollabili;
o comportamenti frenetici di ricerca;
o senso di incapacità a causa della paura o della preoccupazione;
o attuazione di attività rischiose.
In questi casi, se la famiglia o gli amici sono presenti può essere utile richiedere il loro aiuto, portare
l’individuo in un luogo calmo e parlargli pacatamente mentre la famiglia o gli amici stanno accanto. È
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necessario cercare di capire quello che l’individuo sta provando per individuare la sue preoccupazioni
immediate.
Nel colloquio potrebbero essere esplicitate frasi che veicolino la comprensione delle sue reazioni emotive ma
anche che trasmettano la “normalità” di simili reazioni in un contesto “anormale” (ad es., “Esperienze così
scioccanti possono generare reazioni eccessive…. Farci sussultare…”) ma anche della natura transitoria delle
emozioni intense, magari usando metafore (“Le emozioni che uno prova in queste situazioni possono essere
molto intense. Dopo un po’ se ne vanno… vanno e vengono… sono un po’ come le onde del mare…”).
Possono essere anche consigliate alcune strategie generali per mitigare le emozioni di ansia o paura (“A volte
un modo per calmarsi può essere prendersi un momento per fare una breve passeggiata…”, “Stare vicino agli
amici e alla famiglia ci fa sentire al sicuro”).
Se l’individuo da stabilizzare è un bambino o un adolescente, l’operatore deve verificare che sia con i suoi
genitori e che questi siano stabili e calmi; la strategia in questi casi è quella di concentrarsi su quello che
stanno facendo i genitori per calmare i propri figli, senza intromettersi o fare osservazioni che possano
insidiarne l’autorità o le capacità. Anche nell’interazione verbale con il bambino potrebbero essere utili frasi
centrate sulla transitorietà delle emozioni intense (“quando succedono cose brutte come questa ci si sente
male. Ma sappi che non sarà sempre così. Queste brutte sensazioni vanno e vengono, non durano per sempre.
Quando ti senti molto male parlane con i tuoi genitori, ti aiuteranno a calmarti”).
Reazioni intrusive
Lo stress acuto si può manifestare tramite reazioni intrusive, ossia tramite pensieri e immagini della
situazione che si presentano alla mente in modo involontario e persistente, causando disagio.
Un modo per interrompere i pensieri intrusivi è l’utilizzo di tecniche di stabilizzazione emotiva. Si può
aiutare la persona in questo modo “Vedo che lei non riesce a smettere di pensare a…. Dopo quello che ha
passato è normale e deve essere proprio doloroso avere la sensazione di rivivere continuamente questa
esperienza. Posso aiutarla a prendere un momento di stacco da questi ricordi?” in caso di assenso si provvede
a suggerire un’attività che permetta di riportare la persona al “qui ed ora”.
Paura
Ristabilire il senso di sicurezza chiedendo alla persona di ripetere mentalmente una frase che la aiuti a
diminuire il senso di pericolo “mi sento in pericolo perché mi ritorna in mente quanto accaduto, ma ora è
diverso perché adesso non sta succedendo niente ed io sono al sicuro” oltre ad usare tecniche di
stabilizzazione emotiva.
Tecniche di stabilizzazione emotiva: sono tecniche per riportare alla calma gli individui disorientati,
confusi o sopraffatti dalle emozioni o che presentano pensieri intrusivi.
Tali tecniche sfruttano il funzionamento del nostro cervello, secondo la quale la mente umana è in grado di
processare più attività al contempo, ma se una è particolarmente impegnativa prenderà il sopravvento, in tal
modo è possibile forzare volontariamente il pensiero ed evitare i pensieri negativi connessi alla situazione
emotiva alterata e permettere, di conseguenza, di ridurre gli effetti nocivi connessi, come ansia o rabbia
1) Focalizzazione dell’attenzione su di un oggetto, descrivere un oggetto nella maniera più dettagliata
possibile, possiamo scegliere un oggetto che sta all’interno del campo visivo in quel momento oppure un
oggetto che la persona può conoscere bene.
Per “forzare” la focalizzazione del pensiero sull’oggetto possiamo porre queste domande:
* Dove si trova esattamente?
* Quanto è grande?
* Di che colore è?
* Di che materiale è fatto?
* Esattamente quanti ce n’è qui?
* A cosa serve?
Si può accentuare la forzatura dando qualcosa da tenere o da toccare (una penna, una borsetta, un libro, una
sedia) e di chiedendo come le sembra.
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2) Descrizione di un’attività conosciuta, è una tecnica simile alla precedente, ma invece di un’oggetto si
chiede alla persona di descrivere un’attività come camminare, lavarsi le mani, respirare profondamente,
mangiare, ecc.)
3) Se l’individuo da stabilizzare appare molto agitato, parla velocemente, sembra che stia perdendo il
contatto con la realtà circostante, o sta piangendo e gridando in continuazione può essere utile chiedergli
di ascoltare e guardare l’operatore (tenendo conto dell’adeguatezza al contesto culturale) e
successivamente invitarlo a dire il suo nome e a riferire dove ci si trova o di descrivere l’ambiente
circostante.
4) Grounding è un esercizio in cui si rivolge l’attenzione dai propri pensieri verso il mondo esterno e si
basa sui seguenti passi:
- sedersi in una posizione comoda con i piedi e le braccia libere;
- respirare lentamente e profondamente;
- guardarsi attorno identificando 5 cose non stressanti che si possono vedere (tavolo, sedie, ecc.);
- respirare lentamente e profondamente;
- identificare 5 suoni non stressanti che si possono sentire (voci, telefono, respiro, ecc.);
- respirare lentamente e profondamente;
- identificare 5 cose che si possono sentire al tatto (il bracciolo della sedia, la coperta, ecc.);
- respirare lentamente e profondamente.
La consapevolezza sensoriale distoglie l’attenzione dai contenuti del pensiero carichi di angoscia. Inoltre,
l’attenzione diretta sui nostri sensi permette di acquisire un miglior equilibrio psico-fisico.
Tecniche di respirazione
La mente influenza il corpo e crea una sensazione di ansia in base a come valuta la realtà circostante, è
tuttavia vero che anche il nostro corpo e le sensazione che da esso provengono possono indurre pensieri
positivi o negativi. Se, ad esempio, il corpo vive sensazioni penose si prova una sensazione di ansia, invece,
se il corpo vive sensazioni positive l’ansia diminuisce.
Si può osservare a questo proposito che la respirazione è un attività che coinvolge tutto il corpo e le
variazioni del respiro possono provocare alterazioni dello stato emotivo.
Controllare la respirazione permette di conseguenza di migliorare lo stato di attivazione emotiva, infatti
rallentando forzatamente la respirazione, facendo respiri lunghi e ben cadenzati, il senso di ansia e agitazione
si riduce.
1) Tecnica del respirare nel quadrato, consiste nel respirare in 4 stadi, la suddivisione si reputa necessaria
per poter controllare meglio la respirazione stessa.
Gli stadi della respirazione possono essere così suddivisi:
* 5 secondi per inspirare;
* 5 secondi di apnea;
* 5 secondi per espirare;
* 5 secondi di apnea.
Si può chiedere alla persona di immaginare di percorrere i lati di un quadrato. Percorrendo il quadrato
almeno 10 volte si avranno ottimi risultati.
Se 5 secondi risultano creare più affanno, si può iniziare con cicli di 3 secondi, per poi aumentare i tempi
progressivamente con il rilassamento e l’allenamento.
2) Tecnica del palloncino, consiste nel respirare gonfiando e sgonfiando la pancia, sforzando maggiormente i
movimenti diaframmatici rispetto a quelli delle costole.
Per facilitare l’esecuzione possiamo chiedere alla persona di visualizzare un palloncino al posto della
pancia, vedendolo che si gonfia quando inspiro e che si sgonfia quando espiro.
Inspirazione ed espirazione devono durare da 6 a 8 secondi
Pianto
Di fronte alla persona che piange come esseri umani tendiamo a provare disagio e non sappiamo come
gestire tale evenienza.
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Prima di tutto è bene avvicinarsi alla persona o perlomeno non allontanarsi. Le persone si sentono vulnerabili
quando piangono e si possono sentire ancora peggio se evitati o respinti.
In secondo luogo si offre un fazzoletto. Tale gesto comunica tre cose: si consente alla persona di piangere, si
fornisce uno strumento per sistemarsi e per coprirsi e permette di mostrare vicinanza. Inoltre il gesto del
fazzoletto permette di dare un compito all’operatore che in quel momento si può sentire in imbarazzo.
Il terzo suggerimento concerne il contatto fisico: l’operatore si deve sentire a proprio agio nel farlo e ciò
dipende da caratteristiche personali e legate all’interazione con la persona e si deve essere sicuri di non
violare norme culturali e di genere che inibiscano o impediscano il contatto fisico tra estranei.
La quarta indicazione concerne l’identificazione dell’emozione che è causa del pianto utilizzando una
riformulazione al sentimento “si sente proprio a terra…”.
L’ultima indicazione riguarda la necessità di rimanere presenti accanto alla persona finché le cose non vanno
un po’ meglio.
Rabbia
La rabbia è legata alla percezione di essere sotto minaccia, di essere stati danneggiati o colpiti, alla credenza
che importanti regole siano state violate, la rabbia è comunque un’emozione alla cui base sono presenti altre
emozioni (paura, tristezza, senso di abbandono, ecc.).
Se la reazione di rabbia o aggressiva non comporta nessun pericolo immediato la cosa più importante da fare
è non intervenire ma rimanere presenti in silenzio aspettando che lo sfogo sia terminato.
In un secondo momento possono essere utili interventi verbali volti a stabilire un clima di fiducia e
un’alleanza “capisco che cosa vuoi dire”, questi interventi vogliono dimostrare all’individuo in preda alla
rabbia che l’operatore è dalla sua parte e tendono a diminuire il senso di persecuzione. Assieme a questi
interventi di validazione dell’esperienza sono molto importanti interventi come le riformulazioni volte a
identificare il sentimento provato (esempio: deve sentirsi proprio arrabbiato) che aiutano la persona a
diventare più consapevole di se stessa.
Si può aver paura a lasciar sfogare questo tipo di sentimenti poiché ci si può chiedere se, facendo così, poi la
persona si lascerà trascinare poi dal rancore o risentimento. In realtà, la probabilità che una persona agisca
spinta da sentimenti di rabbia è inversamente proporzionale alla sua abilità di esprimerli verbalmente. Più ha
modo di parlare dei suoi sentimenti negativi, più è facile che riesca a riconoscerli evitando reazioni
distruttive e a canalizzarli in maniera costruttiva.
Senso di colpa o di vergogna
Procedere con riformulazioni come “sembra che lei sia molto severo con se stesso per quello che è
successo”, “si sta criticando molto” oppure “sembra che lei si stia rimproverando perché sente che avrebbe
potuto fare di più”.
Strategie utili e funzionali potrebbero essere quelle in cui si cerca di vedere l’evento da un’altra prospettiva
(riesce a vedere la situazione in modo più costruttivo? Se un suo amico parlasse di sé in questo modo cosa gli
risponderebbe?), l’idea da trasmettere all’individuo è che se anche si sente in colpa, questo non significa che
abbia una qualche responsabilità oggettiva.
Oggi far bene il proprio lavoro non è solo fare bene la propria parte ma mettersi in relazione.
Dott.ssa Katiuscia Riccardi
Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna
Albo n. 5596 Sezione A
Cell. 335/7346946
E-mail: [email protected]
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Riferimenti bibliografici
S. Bacherini, G. Giacomelli; La relazione con il paziente. Strategie efficaci; Carocci Faber, Roma, 2008
J.D. Ford, M.J. Friedman, F.D. Gusman, J.I. Ruzek, B.H. Young; L’assistenza Psicologica nelle Emergenze.
Manuale per operatori e organizzazioni nei disastri e nelle calamità; Edizioni Erickson, Trento, 2002
L. Palestini, L. Pietrantoni, G. Prati; Il Primo Soccorso Psicologico nelle maxi-emergenze e nei disastri. Un
manuale operativo; Clueb editore, Bologna, 2008
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