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Presentazione di PowerPoint - Laboratorio Fisica Tecnica

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Presentazione di PowerPoint - Laboratorio Fisica Tecnica
CORSO DI FISICA TECNICA 2
AA 2013/14
ILLUMINOTECNICA
Lezione n° 7:
Illuminamento di interni (1)
Il metodo del fattore di utilizzazione
Ing. Oreste Boccia
1
L’illuminazione di ambienti interni presuppone scelte progettuali e ben determinate modalità di
installazione.
Si hanno esigenze completamente diverse da quelle dell’illuminazione di ambienti aperti. La
differenza sostanziale risiede nel fatto che l’attività che si svolge all’interno è generalmente più
raffinata che non all’esterno.
Il compito visivo, come detta la norma UNI 10380 del 1994:
”può identificarsi con l’esplicazione della prestazione visiva richiesta da una determinata
attività e, cioè, con la visione degli oggetti, dei dettagli e dello sfondo connessi al tipo di
mansione da svolgere. La visibilità di un compito visivo dipende principalmente dai seguenti
fattori:
• luminanza del compito visivo;
• contrasti di luminanza e di colore tra il dettaglio e lo sfondo;
• dimensioni angolari e forma del dettaglio;
• posizione del dettaglio nel campo visivo;
• efficienza dell’apparato visivo dell’osservatore;
• tempo di osservazione.”
Il dimensionamento di un impianto di illuminazione per interni richiede fondamentalmente tre
tipi di scelte:
•
scelta funzionale, che dipende dal compito visivo o dall’attività da svolgere;
•
scelta ambientale che tiene conto delle strutture esistenti;
•
scelta economicache tiene conto dei costi di realizzo e di manutenzione,
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Il progetto dell’impianto deve mirare al perseguimento di obiettivi sia di tipo quantitativo che di
tipo qualitativo.
L’obiettivo quantitativo si realizza assicurando la giusta quantità di luce sul piano di lavoro
richiesta dal particolare compito visivo. A tale scopo il parametro più comune, soprattutto per
gli ambienti chiusi, è l’illuminamento (lux).
L’obiettivo qualitativo invece è da ritenersi realizzato se nell’ambiente si ha una giusta resa dei
colori, se si ha equilibrio delle luminanze e se non si ha abbagliamento.
In un ambiente interno si possono realizzare vari tipi di illuminazione:
Illuminazione diretta
Illuminazione semi-diretta
Illuminazione diffusa
Illuminazione semi-indiretta
Illuminazione indiretta
Flusso emisfero inferiore
(%)
100-90
90-60
60-40
40-10
10-0
Flusso emisfero
superiore (%)
10-0
40-10
60-40
90-60
100-90
Un elenco di aspetti preliminari indispensabili al progetto, consigliati dalla “The British I.E.S.
(Illuminating Engineering Society) Code for Interior Lighting”, sono raggruppati in:
• Esigenze generali;
• Condizioni ambientali e requisiti;
• Caratteristiche strutturali.
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Esigenze generali
Destinazione d’uso del locale
Possibilità di integrare luce artificiale ed illuminazione naturale.
Distribuzione spaziale dell’illuminamento il più possibile uniforme ed omogenea in tutto il piano
di lavoro.
Richieste di particolari rese del colore.
Esigenze di particolari rese del contrasto localizzato.
Controllo dell’abbagliamento.
Condizioni ambientali e requisiti
Operatività in ambienti aggressivi che richiedono soluzioni protettive dei corpi illuminanti
Controllo dell’accumulo di calore prodotto dai corpi illuminanti dentro spazi angusti chiusi
Carico termico dovuto all’impianto d’illuminazione da contabilizzare nel progetto dell’impianto di
climatizzazione durante la stagione calda.
Caratteristiche strutturali.
Geometria del locale: dimensioni in pianta ed altezza.
Individuazione e localizzazione dei piani di lavoro.
Altezza di montaggio dei corpi illuminanti.
Caratteristiche fisiche dell’ambiente: riflettività delle pareti, del soffitto, del pavimento, del
piano di lavoro, dei mobili, delle finestre, delle porte etc.
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METODI DI CALCOLO
Il requisito quantitativo di base è la realizzazione di un determinato valore di illuminamento sulla superficie su
cui si svolge il compito visivo, detta “piano di lavoro”.
Quando non esiste un piano di lavoro reale se ne considera uno fittizio orizzontale ad una altezza dal
pavimento compresa tra 70 e 90 cm per attività comuni oppure a 20 cm dal pavimento se il compito visivo
è relativo al solo camminamento.
Per il dimensionamento di un impianto di illuminazione per interni si segue una delle due procedure seguenti:
•Metodo del fattore di utilizzazione, detto anche metodo dell’illuminamento medio uniforme: metodo
semplice, relativamente rapido, con risultati più che soddisfacenti per moltissime esigenze.
•Metodo punto a punto: metodo estremamente elaborato, richiede lunghi tempi di calcolo, con risultati
indubbiamente più precisi dell’altro.
METODO DELL’ILLUMINAMENTO UNIFORME MEDIO O DEL FATTORE DI UTILIZZAZIONE.
Utilizzato per realizzare un illuminamento medio uniforme su un determinato piano di lavoro.
L’uniformità in realtà non è realizzabile poiché qualsiasi tipo di installazione produce dei valori di
illuminamento oscillanti intorno al valore medio (con una concentrazione nelle posizioni più vicine ai corpi
illuminanti ed una attenuazione in posizioni più lontane da essi).
Necessaria una successiva verifica, effettuata o sperimentalmente o con il metodo punto a punto, per
stabilire il grado di uniformità dell’illuminamento effettivamente realizzato valutando il cosiddetto coefficiente
di uniformità, definito come il rapporto tra i valori minimo e massimo dell’illuminamento, e confrontandolo
con i valori consigliati dalle Norme. La Norma CIE 29-2 (Commission Internationale de l´Eclairage-CIE)
raccomanda che tra l’illuminamento minimo e quello massimo valga il seguente rapporto:
E min
 0.8
E max
Una volta stabilito il valore dell’illuminamento medio da realizzare ed una volta scelto il corpo illuminante e le
relative lampade, tale metodo permette, di calcolare il numero degli apparecchi necessari a realizzare
l’illuminamento richiesto sul piano di lavoro.
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1. Scelta del valore più indicato dell’illuminamento.
Le Norme nazionali ed internazionali consigliano e raccomandano i valori dell’illuminamento richiesto in
funzione del compito visivo da svolgere o della destinazione d’uso dell’ambiente. Per ogni compito visivo e per
ogni tipo di ambiente, viene assegnata una terna di valori per l’illuminamento legati tra loro da un rapporto
pari a 1,5 con arrotondamenti. Questo valore è giustificato dal fatto che l’occhio non percepisce piccole
differenze di illuminamento ma solo variazioni almeno del 50%.
2. Determinazione dei parametri che definiscono le caratteristiche dell’ambiente da
illuminare
Si introduce un numero adimensionale, detto “Indice del locale”, che, a parità di compito visivo, considera
simili, dal punto di vista illuminotecnico, ambienti con volumetrie e planimetrie diverse.
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Per un ambiente a geometria parallelepipeda :
• illuminazione diretta:
I
ab
h( a  b)
• illuminazione indiretta:
I
ab
H ( a  b)
dove a e b sono le dimensioni in pianta, h è la distanza tra il piano di sospensione dei corpi illuminanti ed il
piano di lavoro ed H è la distanza tra il piano di lavoro ed il soffitto che funziona da sorgente per riflessione
diffusa.
Inoltre, si deve considerare il contributo delle superfici di contorno dell’ambiente a causa della loro capacità di
riflettere la luce.
La riflessione viene indicata con un numero a tre cifre: la prima cifra indica il coefficiente di riflessione
percentuale del soffitto, la seconda quello delle pareti mentre la terza il coefficiente di riflessione del
pavimento. Ad esempio il numero 751 indica un locale con i seguenti coefficienti medi di riflessione:
Soffitto 70%
Pareti 50%
Pavimento 10%.
3. Scelta del tipo di apparecchio
Il parametro, che più di ogni altro, caratterizza il corpo illuminante dal punto di vista illuminotecnico è la
curva fotometrica che è fornita dalle ditte costruttrici.
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La scelta del corpo illuminante con le relative lampade consente di determinare il flusso emesso da ciascun
corpo illuminante in condizioni iniziali (corpo nuovo appena installato) detto “Flusso uscente”:
 out  n  W  
dove n è il numero di lampade ospitate dal singolo corpo illuminante, W la potenza elettrica assorbita da
ciascuna di esse (W), e con η l’efficienza luminosa (lm/W) della lampada.
Il flusso che complessivamente esce da tutti gli apparecchi illuminanti in condizioni iniziali:
 tot  N   out
con N il numero di apparecchi, per ora incognito, da installare.
Definiamo “Flusso utile iniziale Φut,in “ il flusso ad impianto nuovo che effettivamente giunge sul piano di
lavoro. E’ dato dalla somma di una componente diretta, che va direttamente dal corpo illuminante al piano di
lavoro, e di una riflessa, che giunge sul piano di lavoro solo dopo aver subito una o più riflessioni dalle pareti
di contorno dell’ambiente.
E’ una porzione del flusso totale la cui entità dipende dalle caratteristiche fotometriche del corpo illuminante e
da quelle geometriche e di finitura superficiale delle pareti di contorno dell’ambiente.
Definiamo a questo punto fattore di utilizzazione Fu il rapporto tra il flusso utile iniziale ed il flusso totale in
condizioni di impianto nuovo:
Fu 
 ut ,in
 tot
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4. Determinazione del fattore di utilizzazione
Le ditte costruttrici forniscono i fattori di utilizzazione in funzione dei parametri geometrici dell’ambiente
(indice del locale), delle caratteristiche riflettenti dell’involucro (terne dei coefficienti di riflessione del
soffitto, pareti e pavimento) e delle caratteristiche del corpo illuminante.
5. Calcolo del numero di apparecchi per l’illuminamento mantenuto
Dalla definizione di fattore di utilizzazione si ha per un impianto nuovo:
tot 

ut ,in
Fu
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Indicando con E il valore dell’illuminamento scelto nella terna di valori riportati dalle Norme e con S l’area del
piano di lavoro, nell’ipotesi di distribuzione uniforme dell’illuminamento sul piano di lavoro, propria del
metodo, sempre in condizioni di impianto nuovo, si ha:
E
Φut,in
ES
 Φut,in  E  S  Φtot 
S
F
u
Ricordando che tot  N   out , il numero di corpi illuminanti necessario per assicurare lo svolgimento del
compito visivo in condizioni di impianto nuovo risulterà:
N
ES
Fu   out
A questo punto è necessario definire due fattori correttivi che consentono di aggiustare il calcolo del
numero di apparecchi illuminanti in condizioni operative normali, quando, cioè, gli apparecchi e le lampade
riducono il loro flusso luminoso rispetto a quello iniziale.
Fattore di decadimento d
Rapporto tra il flusso mantenuto emesso dopo un certo tempo commerciale (a regime), ed il flusso della
sorgente nuova:
d


regime
out
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Il fattore di decadimento o deprezzamento è un numero minore o uguale all’unità (vale 1 quando
l’apparecchio è nuovo) e viene di solito fornito dai costruttori, ma, in mancanza di informazioni precise, può
essere assunto dalla Tabella seguente:
Tipo di lampada
Decadimento
Lampade ad incandescenza
0.90
Lampade a fluorescenza
0.88
Lampade a vapori di sodio
0.85
Lampade a vapori di mercurio
0.85
Lampade a luce miscelata
0.86
Fattore di manutenzione m
Dipende dal grado di pulizia
illuminare.
e dalla frequenza degli interventi di pulizia effettuati nell’ambiente da
Le superfici trasparenti insudiciate esteriormente per il deposito di polvere e vapori condensati ed altro,
riducono il loro flusso luminoso rispetto a quello iniziale.
Nella tabella vengono indicati alcuni valori di riferimento del fattore di manutenzione:
Pulizia
Atmosfera sporca
Atmosfera pulita
Frequente
0.85
0.95
Normale
0.80
0.90
Scarsa
0.75
0.85
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Si definisce “flusso utile mantenuto” Φut,mt, il flusso (utile) che giunge sul piano di lavoro in condizioni di
esercizio di regime dell’impianto (mantenuto).
ut,mt  ut,in  m  d
Se chiamiamo “fattore di perdita luminosa F” , il prodotto tra il fattore di decadimento e quello di
manutenzione:
F  md
In condizioni di regime il numero totale di corpi illuminanti sarà:
N
E S
Fu  out  F
I fattori correttivi inseriti da subito nel calcolo di progetto dell’impianto comportano un iniziale
sovradimensionamento dell’impianto e una temporanea lievitazione dei costi di esercizio.
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Per determinare la distribuzione più adatta per conseguire una opportuna ed adeguata sovrapposizione dei
fasci di luce sul piano di lavoro senza il fastidio dovuto alla formazione di chiazze chiare e scure e con
l’obiettivo fondamentale di realizzare il massimo grado di uniformità possibile, le Norme CIE 52,1982
propongono una soluzione tipo per un locale a geometria rettangolare con il rapporto tra le dimensioni in
pianta dato da:
a
 16
.
b
distinguendo tra M corpi illuminanti disposti parallelamente al lato più lungo a ed N parallelamente all’altro
lato, secondo i valori riportati in tabella, in funzione dell’indice del locale:
Indice del locale
M
N
0.6 0.8 1.0 1.25 1.5 2.0 2.5 3
2
2
3
3
4
4
5 6
1
2
2
3
3
4
4 4
4 5 10 20
8 10 20 38
5 6 12 24
Un altro criterio per la distribuzione dei corpi illuminanti si basa sul parametro usualmente denominato
“Massima spaziatura ammissibile” dmax tra i centri o tra gli assi di simmetria dei corpi illuminanti:
d max  SC  h
dove h è la distanza in metri tra il piano di lavoro ed il piano di montaggio dei corpi illuminanti, mentre SC,
detto Criterio di Spaziatura, è un numero fornito dal costruttore o in alternativa, ricavabile dalle tabelle I.E.S.
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