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La globe trotter della scienza è tornata a casa
VITA DI RICERCATORE Nanotecnologie dalla Puglia La globe trotter della scienza è tornata a casa Dopo un complicato periplo che da Galatina l’ha portata in Canada, passando per Pavia, Parigi e Milano, Malù Coluccia si occupa ora di farmaci e nanotecnologie sulle rive del mar Adriatico a cura di FABIO TURONE urante gli anni di studio all’Università di Pavia girovagava spesso nei collegi universitari della città alla ricerca di una saletta con un pianoforte su cui poter suonare il suo amato Chopin. Anni prima, aveva infatti iniziato il liceo pedagogico a Galatina, in Puglia, pensando che da grande avrebbe insegnato musica alle elementari, ma durante quei quattro anni di studio capì di avere anche una grande passione per la biologia e per la ricerca: “Per potermi iscrivere all’università ho preparato da privatista la maturità scientifica, sorprendendo i miei professori che semmai mi immaginavano a insegnare italiano o filosofia” racconta sorridendo. Malù Coluccia è seduta nel Laboratorio di proteomica clinica del Polo oncologico dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, dove con fondi AIRC è tornata da poco e sta svolgendo le sue ricerche sulla leucemia mieloide cronica. D Competenze variegate A questa specializzazione è arrivata più o meno per caso, forse anche perché la sua è una storia particolare, quella di una ricercatrice “bioclinica” per tanti versi ibrida, un po’ come il cromosoma responsabile della malattia che sta studiando da anni. Dopo la laurea in scienze biologiche conseguita a Pavia nel 1999 (arricchita da un lungo stage in Francia, all’Istituto oncologico parigino di Villejuif), durante il tirocinio al Policlinico San Matteo di Pavia viene a sapere di un dottorato di ricerca in ematologia sperimentale all’Università di Milano-Bicocca: “Cercavano un medico, ma inviai ugualmente il mio curriculum. Sapevo che si trattava di una scelta azzardata, ma con mia sorpresa fui accettata e iniziai a lavorare all’Istituto nazionale tumori di Milano con il professor Carlo Gambacorti-Passerini, che ha saputo valorizzare le mie competenze e ha avuto un ruolo importantissimo nella mia crescita professionale, anche perché mi ha incoraggiato e aiutato a raggiungere l’au- Dal liceo pedagogico a biologia per passione verso la ricerca tonomia come ricercatrice”. La sua storia è quindi una sfida alla “separazione delle carriere” tra medici e biologi che si dedicano alla ricerca, esattamente nel filone dell’incentivo alla ricerca bioclinica che AIRC sta perseguendo negli ultimi anni. Durante il dottorato, Coluccia incontra anche un’occasione di quelle che non capitano tutti i giorni: “Gambacorti-Passerini fu nominato professore all’Università McGill di Montréal, in Canada, e così ho avuto l’occasione di contribuire a creare da zero il suo laboratorio canadese, e avviarne insieme a lui l’attività scientifica”. Nel frattempo, prima ancora che lo stage si concluda, Coluccia decide di iscriversi a un corso di perfezionamento in nanotecnologie all’Università di Milano, e comincia a cimentarsi con le potenzialità offerte dai nuovi incredibili strumenti che permettono di modificare la materia a livello microscopico: “Ho cominciato a capire allora che gli ostacoli che è necessario superare per ottenere una proficua collaborazione in ambito nanotecnologico tra fisici, ingegneri e chimici da una parte e ricercatori biomedici dall’altra sono molto numerosi, a partire dal fatto che si parlano linguaggi differenti” spiega. Lavora con fisici, ingegneri, medici e altri biologi Un banco di prova Superare questi ostacoli, e riuscire a condividere linguaggio, visione e obiettivi per esplorare insieme le applicazioni biomediche delle nanotecnologie significa avere accesso a nuove opportunità di cura, ancora in gran parte inesplorate. La malattia su cui Coluccia lavora da tempo diventa quindi un banco di prova. La leucemia mieloide cronica è una malattia causata da un difetto genetico acquisito, che si manifesta in età adulta: qualcosa smette di funzionare correttamente all’interno delle cellule staminali da cui derivano le numerose cellule specializzate presenti nel sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine), com- GENNAIO 2011 | FONDAMENTALE | 5 VITA DI RICERCATORE promettendo il corretto processo di maturazione e differenziazione. La gran parte dei malati presenta all’interno di queste cellule staminali una mutazione particolare del DNA, che è il risultato dell’anomala fusione dei cromosomi 9 e 22 e porta alla produzione di una proteina mutata, chiamata BCR-ABL, responsabile della malattia. La prognosi della leucemia mieloide cronica è molto migliorata in anni recenti grazie all’introduzione del primo farmaco biologico mai prodotto, l’imatinib, che agisce in maniera selettiva sulla proteina: in moltissimi pazienti il farmaco riesce a bloccare la malattia, ma non è in grado di eradicarla e, non di rado, si verificano delle recidive. In questo articolo: giovani ricercatori rientro dei cervelli nanotecnologie spostato a Monza, oppure cercare di acquisire autonomia” racconta. La decisione viene presa insieme al marito, conosciuto in vacanza in Puglia, che l’aveva seguita a Pavia. Le sue ricerche, condotte a Lecce presso il Laboratorio nazionale di nanotecnologia del Salento si concentrano sulla messa a punto di microscopici “cavalli di Troia” capaci di favorire il rilascio controllato di farmaci nelle cellule staminali emopoietiche, e sono il preludio al grant triennale dell’AIRC, grazie al quale è ora affiancata nelle sue ricerche dai due borsisti Simone De Leo e Claudia Toto. L’altra borsista, Emanuela De Luca, che pure ha collaborato alla ricerca che ha dimostrato la fattibilità di un vettore nanotecnologico capace di rendere molto più efficace il farmaco, si è nel frattempo spostata a Napoli per un dottorato di ricerca. Il “proiettile intelligente” messo a punto dai ricercatori coordinati da Malù Coluccia si basa su un guscio di materiale biodegradabile steso attorno a una capsula in carbonato di calcio. Il materiale – composto da molecole di polielettroliti – viene steso uno strato Per trovare un’autonomia come ricercatore bisogna rischiare In cerca di indipendenza A Bari, dove si è spostata nel frattempo, Coluccia ha lavorato prima al Policlinico nel Dipartimento di medicina interna e oncologia umana diretto da Angelo Vacca, poi è stata assunta al CNR come ricercatore. Non si tratta solo di tornare a casa, ma anche di cercare la propria strada: “Dopo aver studiato e lavorato a Pavia per molti anni, mi sono trovata a decidere se provare a seguire il professor Gambacorti-Passerini, che nel frattempo si era “ “ UN CAVALLO DI TROIA “NANO” E INARRESTABILE iedo oggi davanti a voi con ben pochi capelli in testa. Sono caduti qualche settimana fa a causa della chemioterapia cui mi sono sottoposto. Vent’anni fa, senza neanche questa grezza chemioterapia, sarei già morto. Ma fra vent’anni ci saranno nanomissili capaci di colpire le cellule tumorali nel corpo umano lasciando tutto il resto in pace. Potrei non vivere abbastanza per vederlo, ma S sono fiducioso che accadrà”. Così prevedeva nel 1999 uno dei pionieri delle nanotecnologie, il Premio Nobel per la chimica Richard Smalley. La ricerca realizzata da Malù Coluccia grazie al finanziamento di AIRC è andata proprio nella direzione di costruire un “nanomissile” capace di rendere ancor più efficace e selettivo l’imatinib, il farmaco innovativo che già da solo è stato un notevolissimo passo avanti per i ” malati di leucemia mieloide cronica rispetto alla chemioterapia disponibile nel 1999. Lo studio – frutto di una collaborazione tra il Laboratorio per le nanotecnologie del CNR all’Università del Salento, l’Ospedale San Gerardo di Monza e l’Unità di ematologia del Polo oncologico dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce – ha portato alla realizzazione di una sorta di “navetta” nanotecnologica che Malù Coluccia alla volta sfruttando l’at(al centro), del trazione indotta dalle Laboratorio di proprietà elettriche del nanotecnologie materiale, in modo da del Salento, dare alla parete una con i borsisti struttura a cipolla. Poi il Claudia Toto e carbonato di calcio Simone De Leo viene sciolto e all’interno della “pallina”, che a questo punto è sgonfia, viene inserito il farmaco, ancora una volta sfruttando le proprietà elettriche della superficie della nanocapsula. Infine, il tutto viene messo a contatto con le cellule del sangue. L’imatinib è già di per sé molto selettivo, per cui nelle cellule sane non causa effetti collaterali. In compenso, il nanoinvolucro fa sì che nelle cellule malate il farmaco agisca più a lungo, distruggendo anche quelle che in altre circostanze sopravvivrebbero. “Questo apre la strada alla possibilità futura di un autotrapianto di midollo curativo, viene riempita di farmaco e riesce a depositarlo in tutte le cellule staminali – comprese quelle più difficili da raggiungere normalmente – con un’efficienza molto maggiore rispetto all’assunzione per via orale, con cui in genere si può tenere efficacemente sotto controllo la malattia senza però riuscire a eradicarla. La presenza del vettore nanotecnologico sembra infatti permettere al farmaco di agire più a lungo all’interno della cellula, superando anche i problemi di resistenza. se il trattamento con queste nanocapsule si rivelerà capace di eliminare il rischio che vengano reinfuse per sbaglio anche solo poche cellule malate ma silenti” spiega Coluccia. Con i fondi AIRC il gruppo di Malù Coluccia sta ora portando avanti un’altra ricerca che intende verificare se l’uso combinato dell’imatinib e di un secondo farmaco (un inibitore della chinasi GSK) riesce a contrastare i meccanismi della malattia e a ripristinare il normale processo di maturazione e differenziazione. Certo, nel contesto in cui Coluccia opera adesso, i ricercatori con cui confrontarsi sono pochi, e persino l’acquisto di un prodotto banale necessario agli esperimenti può alle volte incepparsi per una sciocchezza, ma lei guarda al futuro: “Qui viviamo una realtà ‘di frontiera’ perché i grandi poli di ricerca pugliesi sono a Bari. Diciamo che la mia sfida è ancora più grande: non solo tornare in Italia, lasciare un posto al CNR per entrare in un dipartimento universitario, ma anche radicarmi in un territorio che non ha le strutture necessarie. Per esempio ci sarebbe bisogno di un istituto di ricerca che faccia da ponte tra la clinica e le nanotecnologie”. Nel frattempo, accumula esperienza, e cerca di infondere ai giovani che imparano con lei la voglia di maturare e di rendersi indipendenti: “Oggi un ricercatore non deve solo saper fare ricerca ma anche diventare imprenditore di se stesso” spiega. Se poi riesce a farlo nel paese di nascita, con in casa un pianoforte a mezza coda, tutte le difficoltà appaiono più superabili. “ NANOPASSI DA GIGANTE ” i chiamano “nano”, ma sono tecnologie che potrebbero far fare passi da gigante alla ricerca biomedica perché permettono di maneggiare la materia a livello di atomi e molecole. L’ordine di grandezza delle strutture di cui si occupano le nanotecnologie è infatti quello del nanometro, ovvero di un miliardesimo di metro. Per immaginarne le dimensioni si può pensare che la virgola di questo testo misura circa mezzo milione di nanometri. O si può riflettere sul fatto che mediamente la barba di un uomo cresce di un nanometro nel breve tempo necessario al braccio per portare il rasoio dal lavandino al viso. A grandi linee, ci sono quattro ambiti in cui le nanotecnologie si stanno dimostrando preziose in biomedicina: la tossicologia, che analizza gli effetti sull’organismo delle nanoparticelle; i sensori, in grado di rilevare dall’interno variazioni dei parametri metabolici di una persona; i robot, che date le ridottissime dimensioni facilitano le diagnosi a livello molecolare; e i cosiddetti gusci, che avvolgono i farmaci per farli arrivare al bersaglio. S GENNAIO 2011 | FONDAMENTALE | 7