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Indagine sulle BUONE PRASSI nell`ambito dello
ASSE Occupabilità Tema A: Facilitare l’accesso e il rientro nel mercato del lavoro per coloro che hanno difficoltà ad integrarsi o ad essere reintegrati nel mercato che deve essere aperto a tutti. Misura 1.1: Creare le condizioni per l’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli sul mercato del lavoro. Indagine sulle Buone Prassi nell’ambito dello svantaggio socio-occupazionale Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata La stesura dell’indagine è stata curata da: Virginio Aringoli, Giuseppe Bea, Vanessa Giannuzzi I Indice Sezione IA Indagine sulle Buone Prassi nell’ambito dello svantaggio sociooccupazionale IA.1. Parte Introduttiva IA.1.1 Premessa 7 7 IA.1.2 Idea progettuale 11 IA.1.3 Metodologia utilizzata 18 IA.2. Il contesto e le buone prassi IA.2.1 L’ inclusione socio-occupazionale di soggetti in stato di marginalità 19 19 IA.2.2 Situazione attuale in materia di inclusione socio-occupazionale di soggetti in stato di marginalità 23 IA.2.3 Il lavoro sommerso 29 IA.2.4 Lazio, Toscana, Puglia, Piemonte, Sardegna: approfondimento sulle buone prassi di intervento nell’ambito e nei territori di riferimento 36 IA.2.4.1 Buone prassi ed innovazione IA.2.4.2 Inclusione sociale Regione Lazio 36 37 Ia.2.4.2.1 Buone Prassi Regione Lazio (Frosinone) IA.2.4.3 Inclusione sociale Regione Toscana 40 43 Ia.2.4.3.1 Buone Prassi Regione Toscana (Arezzo) IA.2.4.4 Inclusione sociale Regione Puglia 45 48 Ia.2.4.4.1 Buone Prassi Regione Puglia (Bari) IA.2.4.5 Inclusione sociale Regione Piemonte 51 53 Ia.2.4.5.1 Buone Prassi Regione Piemonte (Torino) IA.2.4.6 Inclusione sociale Regione Sardegna 56 59 Ia.2.4.6.1 Buone Prassi Regione Sardegna (Cagliari) IA.2.5 Riferimenti Normativi e Legislativi 61 65 IA.2.6 Appendice Normativa 74 IA.2.7 Riflessioni conclusive - Sezione IA 79 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione Nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005). Un’illustrazione comparata. IIA.1. Premessa 81 IIA.1.1 Il Programma di azione comunitaria IIA.1.2 L’iniziativa Equal e la ricerca transnazionale IIA.1.3 L’inclusione sociale nell’Unione Europea IIA.1.4 Priorità politiche fondamentali IIA.1.5 I Piani Nazionali 82 84 84 86 87 IIA.2. IL PIANO NAZIONALE ITALIANO 2003-2005 90 IIA.2.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale italiano contro la povertà 90 e l’esclusione sociale 92 IIA.2.2 La spesa in protezione sociale IIA.2.3 Principali tendenze 93 97 IIA.2.4 Approccio strategico, priorità e obiettivi IIA.2.5 Misure politiche 102 IIA.3. IL PIANO D’AZIONE NAZIONALE SPAGNOLO 2003-2005 111 IIA.3.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale spagnolo contro la povertà e l’esclusione sociale 111 IIA.3.2 Principali tendenze e sfide 111 113 IIA.3.3 Approccio strategico, priorità e obiettivi IIA.3.4 Misure politiche 114 IIA.4. IL PAN DEL REGNO UNITO 2003-2005 123 IIA.4.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale del Regno Unito contro la povertà e l’esclusione sociale 123 124 IIA.4.2 Principali tendenze e sfide IIA.4.3 Approccio strategico, priorità e obiettivi 125 128 IIA.4.4 Misure politiche IIA.5. CONSIDERAZIONI 132 IIA.5.1 ITALIA IIA.5.2 SPAGNA IIA.5.3 REGNO UNITO 135 142 145 IIA.6. CONCLUSIONI FINALI - Sezione IIA 148 Bibliografia 151 Note 155 Sezione IA Indagine sulle Buone Prassi nell’ambito dello svantaggio sociooccupazionale IA1. Parte Introduttiva IA1.1 - Premessa L’uso invalso, all’inizio degli anni ’90, di aggiungere alla povertà economica (considerata tradizionale) le cosiddette “nuove povertà ”, per indicare tutte le forme di svantaggio non dovute a carenza di reddito, ma a fattori relazionali (crisi di coppia, conflitti intrafamiliari, disoccupazione ecc..), sanitari (malattie invalidanti) o sociali (segregazione ed emarginazione di particolari gruppi), ha avuto il merito di richiamare l ’attenzione su una pluralità di fattori che debilitano gravemente le capacità degli individui e delle loro famiglie, ma ha anche contribuito a distogliere l ’attenzione dalla persistenza di una forma di disagio che già di per sé è fonte di esclusione da una serie di chances e benefici sociali. Basti pensare,a titolo esemplificativo,agli effetti della mancanza di mezzi economici sulle carriere scolastiche dei più giovani o sulle possibilità di avere una dieta alimentare e una tutela della propria salute adeguate. La povertà economica può essere vista contemporaneamente come una causa e come una conseguenza di vicende di diversa natura;in questo senso si può parlare di caratteristiche multidimensionali della povertà,ma anche di povertà multidimensionale, quando essa dipende dalla concentrazione di più fonti di disagio nello stesso individuo o nella stessa famiglia con effetti cumulativi che rischiano di intrappolare in una via senza ritorno. Se la povertà economica non è la fonte esclusiva delle molteplici forme di disagio sociale,essa tuttavia è di per sé un causa di esclusione,, che impedisce non solo di raggiungere standard di vita più favorevoli,ma anche di realizzare le proprie aspirazioni e potenzialità . Le ultime informazioni diffuse dall’Istat nell’ottobre 2004 offrono un profilo aggiornato della incidenza della povertà tra le famiglie italiane e permettono di confrontare gli andamenti intervenuti nel corso degli ultimi sette anni (1997-2003),accomunati 7 dallo stesso metodo di rilevazione;ulteriori elementi informativi emergono dalla disaggregazione dei dati su base regionale,limitatamente all’ultimo biennio (20022003). La ripresa di questo approccio analitico (interrotto nel 1996)non può che essere salutato con favore perché consente di avere una base conoscitiva più solida per valutare anche nel dettaglio territoriale gli effetti delle politiche di contrasto della povertà. Una caratteristica distintiva della situazione italiana è la enorme differenziazione territoriale delle condizioni economico-sociali della popolazione residente;questa situazione –che richiede l ’adozione di politiche selettive per ridurre gli squilibri più macroscopici– necessita di un ’organizzazione altrettanto dettagliata delle informazioni statistiche che fanno da supporto alla comprensione dei singoli problemi e alle decisioni operative per risolverli. In questo contesto,è risultato altamente positivo l ’accordo tra il Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Ministero dell’Economia e l’Istat per elaborare i dati sulla povertà relativa non solo per grandi ripartizioni geografiche,ma anche per singole Regioni,fornendo una descrizione ufficiale delle specificità e delle differenze da lungo avvertite da tutti i protagonisti delle politiche socio-assistenziali. Nell’interpretare idati è opportuno ricordare che essi forniscono un ’indicazione non solo sulla quantità di famiglie che vivono in condizioni svantaggiate rispetto al totale delle famiglie,ma anche una misura sintetica del grado di benessere/malessere esistente nell’intera società. Le informazioni ufficiali sulla incidenza della povertà in ciascuna delle 20 Regioni italiane (Tab. 1) evidenziano in modo ancora più netto quanto grande sia la distanza tra le regioni più benestanti del Nord –guidate da Veneto,Lombardia ed Emilia-Romagna –e quelle più disagiate del Sud – guidate da Basilicata,Calabria e Sicilia ;l ’incidenza della povertà presenta in questi casi un rapporto di 1 a 6,quando il corrispondente rapporto tra le circoscrizioni territoriali è di poco superiore a 1 a 4 Del tutto inattesa risulta l ’elevata incidenza della povertà in Trentino-Alto Adige (con differenze tra la provincia di Trento e di Bolzano che malgrado le apparenze non sono statisticamente significative in nessuno dei due anni)per ragioni apparentemente legate ad una significativa concentrazione di famiglie ,notoriamente più a rischio di povertà,ma di fatto dovuta alle caratteristiche peculiari del welfare vigente in questa regione a statuto speciale,ove molti beni e servizi sono rese disponibili alle famiglie in forma gratuita e non vanno quindi ad incidere sul livello della spesa per consumi. Sintomatica è anche la situazione della Sardegna e dell’Abruzzo che mostrano valori inferiori alla media dell’intero Mezzogiorno. 8 Tab.1 – incidenza ed intensità della povertà tra le famiglie Anno 2002 e 2003 (valori percentuali) Se dalla incidenza della povertà si passa ad esaminare l ’intensità della povertà – che misura di quanto i poveri sono mediamente al di sotto della linea della povertà –la differenza tra le regioni risulta meno accentuata anche se non mancano differenze di rilievo per comprendere alcune particolarità regionali,tanto nel 2002 che nel 2003. Nel 2002,a fronte di un valore medio del 21,4%–che per una famiglia di due persone corrisponde ad una spesa media mensile di circa 647 euro – la maggior parte delle regioni del Nord e del Centro presenta un ’intensità inferiore al 20%,con valori particolarmente bassi in Umbria (15,5%), Marche e Liguria (16,4%)dove,dunque,le 9 famiglie povere sembrano patire un disagio economico meno grave. Nel Mezzogiorno l ’elevata diffusione del disagio economico si associa anche a peggiori condizioni delle famiglie povere,tenuto conto che l ’intensità della povertà supera sempre il 22%(ad eccezione della Puglia con il 20,2%)e raggiunge punte del 24,5%in Basilicata e del 25,1%nel Molise. I corrispondenti dati dell’anno 2003 confermano queste tendenze e registrano un sensibile miglioramento nelle regioni del Centro. A fronte di un valore medio nazionale del 21,4%–che per la famiglia di due persone corrisponde a circa 683 euro – nel Centro l ’intensità della povertà si attesta sul 18,2%;un dato incoraggiante, tanto più perché unito alla riduzione del numero di famiglie povere rispetto al 20012002. Alle differenze territoriali e alle percezioni soggettive si collega,in via diretta,la problematica del diverso costo della vita tra le regioni,i centri urbani e le aree metropolitane, da cui dipende non solo l ’effettivo valore dei redditi,ma anche l’intensità della povertà, nonché la deprivazione relativa avvertita dagli individui e dalle famiglie. Un approfondimento in questa direzione compiuto per conto della Commissione ha portato alla proposta di utilizzare un concetto di povertà economica –basata sulla stima del risparmio negativo – che tenga conto simultaneamente del reddito e del sottoinsieme dei consumi non durevoli come i beni alimentari,i trasporti o l ’abbigliamento;il metodo proposto si basa sui dati ricavabili dalle indagini della Banca d ’Italia sui bilanci delle famiglie italiane e stima la povertà come comportamento rivelato dall’analisi di alcuni parametri anziché attraverso una esplicita rilevazione diretta. L ’ipotesi sottostante al calcolo della povertà rivelata è che in tal modo sia possibile tenere conto del diverso sistema dei prezzi a livello territoriale riducendo le stime sul divario tra le aree più sviluppate e quelle più svantaggiate. La proposta –che presenta punti controversi –sarà oggetto di ulteriori approfondimenti da parte della Commissione. Alle esigenze conoscitive da cui siamo partiti potrebbero corrispondere in modo più valido ed attendibile le elaborazioni attualmente in corso da parte dell’ Istat sui livelli dei prezzi al consumo nelle diverse aree territoriali. Una possibile soluzione al diverso fabbisogno economico delle famiglie che vivono inpovertà o che comunque debbono gestire situazioni altamente problematiche (elevato numero di minori,anziani a carico,disoccupazione,disabilità,ecc.)può derivare dall’utilizzo,in sede di politiche locali,di appropriate scale di equivalenza per parametrare la prova dei mezzi richiesta per l ’accesso ai servizi sociali ed assistenziali. La messa a punto di scale di equivalenza differenziate in funzione delle tipologie familiari corrisponde anche ad esigenze di ordine più generale come quelle legate alla riforma degli assegni familiari o degli ammortizzatori sociali. Uno dei problemi nel calcolo delle scale di equivalenza sta nell’assunzione di una divisione equa delle risorse familiari monetarie e di tempo tra i membri. Questo implica che i livelli di benessere,e conseguentemente della povertà,siano gli stessi per ogni componente. Di fatto,possono però verificarsi situazioni asimmetriche,con casi limite di bambini “poveri” in famiglie ricche e di bambini “ricchi” in famiglie povere. 10 IA1.2 - Idea Progettuale Progetto Equal “Extreme”-sperimentazione di percorsi di inserimento per soggetti in condizioni di disagio estremo” ASSE Tema A: Misura 1.1: Occupabilità Facilitare l’accesso e il rientro nel mercato del lavoro per coloro che hanno difficoltà ad integrarsi o ad essere reintegrati nel mercato che deve essere aperto a tutti. Creare le condizioni per l’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli sul mercato del lavoro. PARTNERSHIP DI SVILUPPO • CNA Nazionale Confederazione Nazionale delle Piccole e Medie Imprese (Capofila del progetto) • Epasa - Ente di Patronato per l’assistenza sociale agli artigiani • Caritas Italiana • Ecipa- Ente Confederale Istruzione Professionale Artigianato • CNCA Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza • Prometeo sas –società di consulenza• Cenasca-CISL - Centro Nazionale Associazionismo Sociale Cooperazione Autogestione Durata Azione 2:30 mesi Scopo dell’intervento Il progetto si pone l’obiettivo di sperimentare nuove strategie e dispositivi di politica attiva del lavoro in grado di promuovere reali percorsi di inclusione socio-occupazionale di quei soggetti che esprimono fenomenologie estreme di disagio e marginalità. La definizione di questo obiettivo generale appare particolarmente coerente alla luce delle manifestazioni sempre più complesse e multiformi che stanno assumendo le situazioni di grave vulnerabilità economica, sociale e culturale in cui versano fasce crescenti di popolazione e che stentano a trovare risposte adeguate nell’ambito dei tradizionali servizi per l’impiego. La specificità del target esige, in questa prospettiva, la rivisitazione critica delle strategie e strumenti attualmente validati, implementando modelli innovativi capaci di: • Assicurare l’adozione di approcci multidisciplinari e pluralisti, capaci di coniugare nella logica del “case management”, dimensioni di intervento riconducibili a diversi ambiti settoriali e tematici (sanità, sociale, lavoro, abitazione, sostegno al reddito, ..) 11 • Rimuovere le cause che generano disagio, attraverso interventi integrati di presa in carico complessiva e di elaborazione condivisa di percorsi personalizzati di inserimento • Rivisitare i sistemi di governance delle situazione di povertà estrema, recependo le indicazioni di Laeken ed implementando laboratori di sperimentazione centrati sulla logica del welfare mix. Risultati attesi Gli obiettivi specifici del progetto tendono a delinearne la duplice natura di: • azione di sistema, fondata sull’adozione di un approccio integrato e sinergico al tema dell’occupabilità dei soggetti esposti a rischio di disagio estremo • intervento pilota, utile ad attivare laboratori diffusi di sperimentazione, indispensabili per validare metodologie innovative e trasferibili. In questa prospettiva, i risultati attesi prevedono: • un’analisi approfondita dei fenomeni di nuova povertà e delle relazioni di causa ed effetto (o concausa ed effetto molteplice) che la inducono. Tale aspetto appare infatti imprescindibile al fine di elaborare soluzioni ed approcci in grado di sostenere l’empowerment dei destinatari a sostengo della loro inclusione socio-occupazionale. In questa logica, particolare attenzione verrà dedicata alla rilevazione delle istanze e delle rappresentazioni sociali della comunità, nonché delle dinamiche in atto e degli scenari futuribili. • analisi comparative e di benchmarking che consentano di capitalizzare le best practices ad oggi sperimentate, attraverso l’elaborazione di approcci, metodologie e strumenti innovativi, coerenti con il nuovo disegno istituzionale, dei sistemi di welfare to work. Particolare attenzione verrà a dedicata ad assicurare requisiti di trasferibilità, individuando dispositivi di governance utili a contestualizzare l’iniziativa sulla base delle specifiche morfologie socioeconomiche dei territori. • Lo sviluppo di partnership ampie, in grado di assicurare l’adozione di approcci integrati, fondati su metodologie di case management. La creazione della rete, oltre a rispondere all’esigenza di costruire i presupposti per affermare la logica di un nuovo workfare attento ai più vulnerabili, consente di implementare significative innovazioni di contesto, legate alla programmazione condivisa ed alla gestione partecipata degli interventi di inclusione • La gestione di interventi concreti di inserimento lavorativo dei soggetti più vulnerabili, fondati sull’adozione di approcci flessibili, integrati e personalizzabili. A tale proposito, particolare attenzione verrà posta sulla sperimentazione di misure alternative di sostegno al reddito e sulla validazione di modelli innovativi di training on the job, che consentano di valorizzare il contributo di PMI socialmente responsabili nella gestione di percorsi di apprendimento. 12 Programma di lavoro Nel tentativo di individuare soluzioni innovative a sostegno dell’occupabilità delle categorie maggiormente discriminate, il progetto si basa sulla conduzione di azioni pilota utili alla sperimentazione di percorsi integrati e personalizzabili di inserimento lavorativo. Sono previste attività logicamente propedeutiche e legate da uno stretto rapporto di interazione reciproca, utili ad assicurare la necessaria flessibilità richiesta al modello di intervento. Le Macrofasi attraverso cui si articola il progetto includono: MACROFASE 1: Analisi dei fenomeni di nuova povertà e delle relative determinanti L’elaborazione di soluzioni ed approcci innovativi al problema della discriminazione dei soggetti che presentano forme estreme di disagio e marginalità non può prescindere dalla conoscenza approfondita dei fenomeni. Con questa consapevolezza, il progetto prevede quindi la conduzione di un intervento propedeutico di analisi, finalizzato a: • rilevare i cambiamenti intervenuti a livello nazionale e nella struttura delle comunità locali, in termini economici, sociali e culturali. • analizzare le variabili e le determinanti che sono alla base delle forme estreme di discriminazione sociale ed occupazionale. • Valutare le diverse fenomenologie oggi assunte dalle forme estreme di vulnerabilità, al fine di accrescere l’efficienza dei sistemi di lettura e di contrasto. La conduzione di tali interventi potrà beneficiare di un significativo valore aggiunto che deriva dalla messa a disposizione dell’osservatorio nazionale sulle povertà gestito direttamente dalla Caritas. MACROFASE 2: Peer review ed elaborazione di modelli innovativi Questa fase del progetto si pone l’obiettivo di acquisire una lettura condivisa ed esaustiva dei modelli di intervento ad oggi sperimentati nel settore del disagio grave, al fine di sviluppare analisi comparative e di benchmarking utili a costruire soluzioni innovative e trasferibili. A tale proposito, le azioni che verranno condotte includono: • Mappatura delle buone prassi. • Analisi comparativa delle esperienze condotte. • Partendo dai risultati dell’azione precedente, questa fase si sostanzia nella gestione di un lavoro congiunto, finalizzato ad elaborare soluzioni innovative e flessibili che consentano la personalizzazione degli interventi di inclusione. 13 MACROFASE 3: Creazioni di reti locali per la sperimentazione Al fine di validare il modello di intervento elaborato e valorizzare il sistema dei servizi per l’impiego, questa fase dell’intervento prevede: • L’individuazione di quattro aree territoriali di sperimentazione, che verranno selezionate sulla base di specifici indicatori definiti congiuntamente dalla PS, al fine di assicurare la cantierabilità, impatto e trasferibilità del modello elaborato; • La conduzione di interventi di sensibilizzazione, finalizzati a promuovere la creazione di un contesto territoriale edotto e sensibile rispetto agli obiettivi, alla vision ed alla strategia innovativa elaborata • Lo sviluppo di partenariati locali, che verranno attivati attraverso l’implementazione di collegamenti stabili tra Pubbliche amministrazioni, CPI, PMI e Terzo settore, per lo sviluppo di un workfare di responsabilità. MACROFASE 4: Azioni pilota di sperimentazione Questa azione prevede la gestione di interventi sperimentali, finalizzati ad elaborare percorsi personalizzabili, flessibili ed integrati di inclusione socio-occupazionale dei destinatari finali. Valorizzando le reti territoriali attivate nell’ambito della fase precedente, tale attività prevede quindi: • La presa in carico dei soggetti vittime di situazioni di disagio estremo • Interventi di orientamento “esplorativo”. L’obiettivo del processo di orientamento diventa quello di attivare il cliente, attraverso metodologie di empowerment e di sviluppo di “capabilities”, per metterlo in grado di affrontare le transizioni e di governare il proprio percorso di carriera. • Counselling. La metodologia costruttivista che verrà utilizzata offre in particolare la possibilità di orientare gli utenti, agevolandone lo sviluppo e l’utilizzo delle potenzialità, favorendo soluzioni dei bisogni coerenti con il sistema delle aspettative. • Elaborazione del percorso di inserimento individualizzato, che descrive gli obiettivi di sviluppo professionale e/o formativo decisi dalla persona e definisce mezzi, azioni, fasi di attività che vanno messi in atto per raggiungere gli obiettivi. • Erogazione di misure innovative di sostegno al reddito, nella forma dell’assicurazione al lavoro; • Sperimentazione di modelli innovativi di training on the job, che consentano di valorizzare il contributo di PMI socialmente responsabili • Interventi di inserimento lavorativo, da attuarsi mediate azioni di matching domanda offerta. 14 MACROFASE 5: Ingegnerizzazione nuovi sistemi di governance Visto il carattere innovativo e sperimentale dell’intervento, questa fase del progetto si pone l’obiettivo di tradurre i dispositivi e le metodologie di azione validate in approcci di governance per la gestione integrata dei sistemi di welfare locale. MAINSTREAMING Il mainstreaming mira a valorizzare e diffondere gli aspetti maggiormente innovativi del progetto, la buona pratica sulla quale ci si soffermerà nell’ambito del Comitato è chiaramente riconducibile alla elaborazione di metodologie e strumenti che consentano di sostenere l’inclusione socio-occupazionale di soggetti vittime di situazioni di povertà e di disagio estremo. In particolare il Comitato elaborerà: Mainstreaming orizzontale 1. modelli per la conduzione di analisi comparative delle strategie di inclusione oggi sperimentate, che puntino su processi di empowerment e sviluppo di capabilities nei destinatari 2. approcci integrati, flessibili e personalizzabili a sostegno della elaborazione di percorsi di inserimento individualizzati 3. modelli innovativi di training on the job, che consentano di valorizzare il contributo di PMI socialmente responsabili nella gestione di percorsi di apprendimento di soggetti esposti a particolare rischio di vulnerabilità Mainstreaming verticale 1. Elaborazione di policy e di strategie in grado di tradurre i dispositivi e le metodologie di azione validate in approcci di governance per la gestione integrata dei sistemi di citizenship welfare 2. modelli per la programmazione e la gestione dei sistemi di governance delle P.A. nel settore della dell’inserimento sociale ed occupazionale delle fasce maggiormente discriminate Mainstreaming di genere 1. adozione di strumenti e metodologie atte a favorire la valutazione dell’impatto di genere (gender assessment) della strategia complessiva 2. integrazione della dimensione di genere nelle strategie di mainstreaming orizzontale e verticale La strategia di mainstreaming della PS, finalizzata al trasferimento delle innovazioni sui sistemi, si articola attraverso le seguenti attività: - Un seminario transnazionale iniziale, finalizzato a presentare il progetto 15 - L’organizzazione di workshop tematici, che prevedono il coordinamento di gruppi di lavoro costituiti da tutti i diversi interlocutori; - La creazione di tavoli locali e di gruppi di lavoro comprendenti rappresentanti delle Istituzioni, degli attori dello sviluppo, delle Parti sociali - Analisi della normativa e degli orientamenti politici maturati a livello nazionale e regionale nel settore della formazione continua, con relativa elaborazione di processi di recepimento dei risultati conseguiti nel progetto - Un appuntamento transnazionale finale di diffusione, che prevede: • Seminari e relazioni per la presentazione dei risultati ottenuti • La distribuzione dei prodotti e degli outputs del progetto • La sperimentazione di “Matching corner”, vale a dire di spazi per i diversi soggetti intervenuti, che potranno così trovare un’occasione formalizzata per la costruzione di nuove partnership o l’ampliamento delle reti esistenti La pubblicazione di materiale informativo, dei risultati finali e la predisposizione di un sito internet dedicato al progetto. TRANSNAZIONALITÀ Le caratteristiche richieste alla PS transnazionale appaiono prioritariamente riconducibili: - alla contiguità di obiettivi, strategie ed azioni tra il lavoro transnazionale e le esperienze condotte, che rappresenta un punto di forza per integrare i diversi livelli di intervento. - alla ricchezza e l’eterogeneità dei partner, che consente di garantire l’acquisizione di una mappa cognitiva di riferimento in grado di: - Individuare i nessi di causa ed effetto o di concausa ed effetto molteplice; - formulare le strategie e le azioni più adeguate; - valutare il processo monitorando tutte le variabili in gioco e le esigenze del sistema degli stakeholder coinvolto; - all’esperienza maturata dal partenariato nell’elaborazione di modelli per l’inclusione socio-occupazione dei soggetti vittime di emarginazione estrema che risulta strategica al fine di garantire la presenza di professionalità con cui confrontarsi per scambiare metodologie e strumenti, nonché sviluppare modelli di intervento innovativi. Inoltre, la realizzazione di attività di riqualificazione del sistema consente di: - Conferire valore aggiunto alle buone prassi sperimentate, agevolando l’individuazione delle eccellenze e la loro analisi comparata; - agevolare l’impatto delle attività di mainstreaming verticale ed orizzontale, da 16 condurre nei diversi contesti da soggetti già accreditati ed in grado di incidere sulle politiche a sostegno dell’occupabilità. - all’appartenenza dei partners a paesi che presentano morfologie e livelli di sviluppo socio-economico eterogenei. Tale circostanza consolida infatti la trasferibilità delle elaborazioni sviluppate, agevolando la creazione di modelli flessibili, in grado di tener conto delle specificità dei diversi contesti. - All’attitudine ad utilizzare le nuove tecnologie di comunicazione utile ad assicurare il puntuale svolgimento di tutte le fasi di lavoro a distanza, e garantire l’integrazione dei diversi sistemi informativi e la gestione dei digital work flow. Azioni e prodotti I prodotti, costruiti attraverso lo sviluppo congiunto delle attività transnazionali prevedono: • Un sito internet, nel quale verranno messi a disposizione i risultati intermedi e finali del lavoro, i prodotti elaborati dalle partnership di sviluppo (PS) nei rispettivi progetti nazionali. Questo strumento informatico, oltre ad agevolare i processi di diffusione e mainstreaming dell’intervento, funge anche da digital framework a supporto del management complessivo dell’intervento, attraverso l’implementazione di un sistema di virtual community tra le PS coinvolte. • La pubblicazione di un manuale sulle politiche attive del lavoro a sostegno di soggetti vulnerabili, in cui verranno riportate le elaborazioni condotte congiuntamente. Particolare attenzione verrà dedicata all’esplicitazione della strategia integrata di intervento spendibile a livello comunitario. L’articolazione del report finale si sviluppa su 4 capitoli distinti, che saranno oggetto di specifiche attività del lavoro transnazionale: • La definizione di metodologie e setting di learning by doing, basati su approcci di job rotation ed in grado di valorizzare il sistema delle PMI, con particolare attenzione ai contesti urbani; • L’elaborazione di specifiche metodologie utili alla costruzione di percorsi individualizzati di inserimento lavorativo, che prevedono azioni di affiancamento individuale attraverso interventi di Coaching, Mentoring; • L’esplicitazione di un sistema di messa in trasparenza delle competenze, capace di valorizzare anche il sistema degli apprendimento informali e non formali; • La costruzione di strumenti in grado di sensibilizzare e promuovere la Corporate Social Responsability nell’ambito delle PMI, con particolare attenzione a quanto attiene la pari opportunità di accesso al mercato del lavoro; • Un CD Rom, in cui vengono riportati i risultati del lavoro nazionale di tutte le PS e del relativo progetto transnazionale; • Un rapporto di valutazione del progetto di cooperazione transnazionale, fruibile on line. 17 IA1.3 - Metodologia utilizzata nell’indagine Di seguito viene illustrato il percorso seguito dall’indagine, promossa dalla Partnership del progetto Extreme e finalizzata all’individuazione di Prassi, definite Buone, ovvero di sperimentazioni e progetti, realizzati, concernenti l’ambito delle politiche sociali e del lavoro, dell’integrazione tra forme di intervento e di qualificazione dei sistemi di programmazione e gestione delle suddette politiche. L’ipotesi della bontà delle prassi poggia sulla verifica dei contenuti espressi nella documentazione disponibile su ciascuna prassi e sulla “certificazione” dichiarata dai soggetti coinvolti e dalla loro trasferibilità sul territorio. I risultati dell’analisi svolta sono stati organizzati prendendo in riferimento gli ambiti di intervento, i sistemi e le politiche, all’interno dei quali si sviluppa la realizzazione di ciascuna buona prassi individuata. Tutte le attività rilevate agiscono, in modo differente e talvolta trasversalmente, su due macro ambiti di sistema quali: 1. il sistema delle politiche del lavoro e gli interventi per lo sviluppo locale; 2. il sistema delle politiche sociali , nella fattispecie l’inclusione sociale e le pari opportunità. In molti casi, l’elemento caratterizzante è dato dall’integrazione tra sistemi (formazione, lavoro e politiche sociali). Dopo una prima parte introduttiva al lavoro, la seconda parte della la ricerca ha riguardato lo studio della quadro attuale in materia di inclusione sociale; successivamente si è passati alla definizione di una strategia da seguire e la scelta degli strumenti attraverso i quali giungere all’individuazione delle buone prassi. Dopo un’approfondita rassegna dei principali modelli di ricerca proposti in letteratura, e segnalate dal partnenariato coinvolto nel progetto, si è ritenuto opportuno procedere alla rilevazione di buone prassi utilizzando, effettuando una rilevazione delle stesse mediante l’utilizzo di key words (parole chiave) come: buone pratiche, buone prassi , azioni innovative, esempi di buone pratiche ecc. In una seconda fase si è proceduto ad un’attenta descrizione del materiale raccolto ed alla sistematizzazione dello stesso per ambiti territoriali e tematici: Torino,Arezzo, Frosinone, Bari, Cagliari, e le fasce svantaggiate donne, disabili, immigrati ecc. Appare opportuno segnalare, infine, i limiti che l’analisi proposta contiene in sé, limiti dovuti principalmente alla esigenza di circoscrivere l’analisi ad un campione di esperienze di buone prassi, alcune delle quali, si riferiscono ad esperienze di buone prassi il cui contenuto è dichiarato tale da parte dei soggetti che hanno provveduto alla loro realizzazione ed implementazione. Il primo compito quindi sarà quello di analizzare per ogni possibile “azione” per l’occupabilità attivata o attivabile nel territorio, le direttrici di riferimento essenziali: l’istituzione interessata, i programmi messi in atto, gli obiettivi, le risorse ecc. Al fine di una scelta delle buone prassi che fosse il più esaustiva possibile sono state privilegiate, dopo un’attenta analisi, anche le opportunità e cioè le potenzialità espresse dai diversi strumenti e, di conseguenza, le possibili azioni che hanno trasformato le potenzialità in risorse attive. 18 Sezione IA Indagine sulle Buone Prassi nell’ambito dello svantaggio sociooccupazionale IA2. Il contesto e le buone prassi IA 2.1 L’ inclusione socio-occupazionale di soggetti in stato di marginalità Il focus Per inclusione sociale si intende la promozione di pari opportunità per l’accesso all’istruzione, alla formazione, all’occupazione, ai servizi collettivi, all’assistenza sanitaria con un attenzione specifica verso categorie particolarmente svantaggiate. Il termine inclusione sociale, di derivazione francese1 , si riferisce all’ambito delle politiche sociali (nelle quali rientrano anche le politiche per l’occupazione) che nascono attorno alle problematiche connesse alla povertà, all’emarginazione e, più di recente, ai problemi posti dalla società multietnica. Il termine entra poi a pieno nel diritto del lavoro attraverso lo sviluppo dell’Europa sociale, che ha arricchito sensibilmente la strumentazione dell’Unione europea in materia. Sul fronte del mercato del lavoro, l’obiettivo principale è favorire l’inserimento o il reinserimento lavorativo di soggetti a rischio di esclusione sociale, seguendo una strategia di mainstreaming2 ; questo perché la discriminazione sociale negli ambienti lavorativi, costruita su problemi specifici per ciascuna tipologia di target (ad es. immigrati, detenuti, tossicodipendenti, portatori di handicap ecc.), amplia ulteriormente la distanza tra questi gruppi e la realtà che li circonda. Intervenire sulla marginalità e favorire l’integrazione lavorativa significa, quindi, rispondere alla multidimensionalità dei problemi che determinano la condizione di svantaggiato. L’organizzazione di un mercato del lavoro moderno, trasparente ed efficiente, l’emersione del lavoro sommerso, le politiche dell’educazione e della formazione, costituiscono le azioni convergenti per produrre una tempestiva traduzione della crescita economica in nuovi e migliori posti di lavoro. Le priorità definite a partire dal Libro Bianco sul Welfare del 2003 costituiscono le basi 19 per l’elaborazione del Piano nazionale d’azione sull’inclusione sociale (NAP) per gli anni 2003-2005. In tale documento si mette in evidenza che l’Italia, in coerenza con le Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona, intende rafforzare l’integrazione tra politica sociale, politiche del lavoro e politiche macro-economiche, in un quadro di sviluppo economico e sociale bilanciato e sostenibile. Secondo tale ottica i temi di inclusione ed esclusione sociale diventano un problema trasversale che si ripercuote su diversi settori della vita pubblica e privata e non più solo su particolari categorie di soggetti. A tale proposito l’Agenda sociale3 , richiamata dal Libro Bianco sul Welfare, propone l’utilizzo del metodo di coordinamento aperto, già in atto su scala europea: tale metodo adotta procedure basate sulla definizione di macro-obiettivi comuni, sull’identificazione di indicatori di misura (statici e dinamici), di obiettivi operativi e tempi di realizzazione. Nei processi di governance moderna, il metodo aperto di coordinamento ha il grande pregio di promuovere la coordinazione rispettando le sovranità, favorendo l’approccio dinamico e stimolando l’allineamento delle prestazioni al livello più alto e la diffusione dell’eccellenza. Il metodo inoltre garantisce e preserva le responsabilità degli attori in una cornice di obiettivi ed impegni condivisi: l’amministrazione centrale dovrà gestire tale processo per tutte le materie di particolare rilevanza mentre le regioni attiveranno analoghi processi con le autorità locali. Le specifiche competenze tra i diversi livelli di governo sono di seguito illustrate. A livello locale dopo aver illustrato la strategia operativa di zona ai soggetti pubblici e privati coinvolti nella gestione delle politiche sociali e presentato il Piano provinciale sull’inclusione sociale, la Regione apre la discussione sulla bozza di Piano regionale d’azione sull’inclusione sociale richiamando i contenuti programmatici, le scelte di bilancio, le nuove misure da adottare, le iniziative legislative in corso, le buone pratiche meritevoli. Il confronto, teso a valorizzare il partneriato istituzionale e il dialogo sociale, consente di varare il Piano regionale d’azione sull’inclusione sociale: solo a questo punto si instaura un Tavolo tecnico con le Province per la messa a punto dell’attività di monitoraggio e valutazione. A livello nazionale il Governo richiama la strategia concordata a livello europeo e illustra a Regioni e Parti sociali le linee guida per la predisposizione del Piano nazionale d’azione sull’inclusione sociale sulla base, tra le altre cose, dei contenuti del Documento di programmazione economica e finanziaria, del Quadro comunitario di sostegno e delle azioni di sistema del PON, nonché delle riforme strutturali in corso. A livello europeo viene definita una strategia europea comune in materia, ivi compreso il coordinamento e le sinergie con altri processi e settori; vengono individuati gli obiettivi articolati per pilastri, gli indicatori, la tipologia dei Piani d’azione e la procedura per l’esame degli stessi; vengono inoltre avanzate raccomandazioni agli Stati membri in accordo con la base giuridica esistente, valutati i progressi realizzati e valorizzate le buone prassi. Il processo di definizione delle politiche di inclusione sociale e del Piano nazionale d’azione nel dettaglio è il seguente: 1. l’ Autorità preposta al Piano di zona trasmette le sue proposte alla Regione; 20 2. la Regione, sulla base dei piani di zona, predispone il suo piano sociale e lo trasmette al Governo centrale. Le Regioni possono consultarsi tra loro in via preliminare; 3. il Governo presenta alla Conferenza Stato-Regioni, prima del passaggio in Consiglio dei Ministri, la proposta di Piano nazionale per l’inclusione sociale congiunto (NAP + RAP4 ) da inoltrare successivamente alla Commissione europea; 4. il Consiglio europeo e la Commissione europea, sulla base dei piani nazionali, predispongono il Rapporto congiunto sulla politica, i nuovi orientamenti e le raccomandazioni ai Paesi; 5. il livello europeo, quello nazionale e quello regionale si coordinano per la peer review: due Stati o Regioni discutono il piano di un altro Stato membro o Regione; 6. infine avviene l’implementazione dei Piani a diversi livelli e il contestuale avvio dell’attività di monitoraggio. In Italia nell’ambito dei provvedimenti di riforma del mercato del lavoro si possono distinguere tre ambiti operativi: a) strumenti di lotta all’esclusione sociale; b) azioni orientate alla protezione sociale dei lavoratori; c) politiche dirette ad elevare il tasso di occupazione regolare. Le tappe fondamentali del processo sopra descritto sono tre: la legge n. 328/20005 che ha offerto un’opportunità per sviluppare politiche locali che coniugassero le iniziative per l’inclusione sociale con quelle delle politiche occupazionali; la modifica del Titolo V della Costituzione italiana che ha sottolineato come lo sviluppo dei diritti di cittadinanza sia un veicolo di inclusione per le fasce più deboli; la Conferenza europea di Torino del settembre 2003 che ha evidenziato come la lotta alla povertà debba consolidare, tra i diritti civili e sociali, misure stabili che abbiano l’obiettivo di includere più che di assistere e di promuovere più che di riparare6. In questi termini, il legame tra politiche sociali e politiche dell’occupazione diventa determinante per costituire un sistema promozionale e di opportunità aperto a tutti i cittadini, con maggior attenzione al sostegno dei più svantaggiati. Soggetti cui si rivolgono le politiche di inclusione sociale Disabili La legge n. 68/99 sul diritto al lavoro dei disabili introduce la disciplina del collocamento mirato, cioè individualizzato, in rapporto alla concreta capacità lavorativa del soggetto disabile. Essa prevede, accanto a quote di riserva obbligatoria sulle assunzioni, agevolazioni contributive per le imprese. I beneficiari della legge sono coloro che presentano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, 21 le persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%, non vedenti o sordomuti, gli invalidi di guerra, gli invalidi civili di guerra e per servizio. Competenti ad attuare le misure volte all’inserimento lavorativo dei disabili sono le Province e i Centri per l’Impiego. Per poter accedere ai benefici della legge, i disoccupati disabili devono iscriversi alle liste provinciali del collocamento mirato, tenute dai Centri per l’Impiego. Per il contratto di apprendistato è previsto un innalzamento dei limiti di età fissati dalla legge per accedere a questo tipo di contratto (26 anni per i residenti nelle regioni degli obiettivi 1 e 2 dei Fondi strutturali comunitari e 29 anni per apprendisti artigiani addetti a mansioni elevate) e per il tirocinio un elevamento della durata massima a 24 mesi. Detenuti e ex detenuti In base a quanto disposto dalla legge n. 193/00 sull’inserimento lavorativo dei detenuti, le imprese che assumono lavoratori detenuti o che svolgono attività formative nei loro confronti possono beneficiare di sgravi fiscali. Il regolamento di attuazione della legge (adottato con D.M. 87/2002) disciplina nel dettaglio, rendendole operative, le agevolazioni previste dalla normativa generale. La legge inoltre introduce i detenuti tra i soggetti che le cooperative sociali, che svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, hanno l’obbligo di assumere nella misura del 30%, usufruendo della prevista riduzione delle aliquote contributive (l. n. 381/91). Il Ministero del Lavoro ed il Ministero della Giustizia hanno siglato un protocollo d’intesa, in cui è prevista la realizzazione di iniziative rivolte al reinserimento sociale della popolazione detenuta attraverso l’attività lavorativa. Tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali finanzia annualmente, grazie al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga (l. n. 45/99), progetti di durata triennale presentati dalle Amministrazioni Centrali e finalizzati a promuovere azioni in vari settori, tra cui quelli della prevenzione, dell’accompagnamento al lavoro, della formazione professionale. Anche le Regioni accedono alle risorse del Fondo nazionale, realizzando iniziative volte al recupero ed al reinserimento socio-lavorativo di persone tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti. La legge n. 381/91 prevede inoltre sgravi contributivi per le cooperative sociali di tipo “B”, ossia quelle che svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, tra le quali rientrano i tossicodipendenti, qualora siano ancora detenuti o stiano godendo delle misure alternative al carcere. Particolari forme di tutela sul lavoro sono previste per i lavoratori tossicodipendenti, che hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per la durata del trattamento riabilitativo (fino ad massimo di tre anni), nonché per i familiari di soggetti tossicodipendenti, che possono chiedere un periodo di aspettativa per concorrere al programma terapeutico (D.P.R. 309/90). 22 Cittadini extracomunitari Per potere lavorare in Italia i cittadini extracomunitari devono essere muniti del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro, che non può superare la durata di nove mesi, in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale un anno, in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato due anni, in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il permesso di soggiorno per lavoro autonomo non può avere validità superiore ad un periodo di due anni. I cittadini extracomunitari possono anche fruire del Permesso di soggiorno per motivi di studio, formazione, motivi religiosi e sanitari la cui durata non può superare il periodo di un anno (rinnovabile annualmente nel caso di corsi pluriennali). Questo tipo di permesso consente al cittadino extracomunitario, per il periodo di validità dello stesso, di svolgere anche un’attività lavorativa di tipo subordinato per un massimo di venti ore settimanali e comunque non oltre millequaranta ore annue. I cittadini extracomunitari, con regolare permesso di soggiorno, possono inoltre accedere ai corsi di formazione professionale, organizzati a livello regionale. I cittadini extracomunitari possono iscriversi nelle liste ordinarie di collocamento presso il Centro per l’Impiego territorialmente competente. L’iscrizione avviene secondo le modalità e le procedure vigenti per i lavoratori italiani. Possono essere iscritti i lavoratori extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno per lavoro subordinato in corso di validità; i lavoratori extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno per motivi familiari. I lavoratori extracomunitari, iscritti nelle liste ordinarie di collocamento, hanno diritto a concorrere a tutte le forme di avviamento al lavoro, secondo le disposizioni vigenti e con le stesse procedure e modalità previste per i lavoratori nazionali. I cittadini extracomunitari portatori di handicap o invalidi, muniti di regolare permesso di soggiorno, hanno diritto al collocamento obbligatorio previsto dalla legge 68/99, che stabilisce per i datori di lavoro quote obbligatorie di assunzioni riservate a determinate categorie di soggetti disabili. IA 2.2 Situazione attuale in materia di inclusione socio-occupazionale di soggetti in stato di marginalità La lotta contro l’esclusione sociale richiede un sistema di politiche sociali fondato sulla molteplicità dei livelli e degli attori e su di una matrice di sussidiarietà in cui ciascun attore partecipa e crea le condizioni ideali per il conseguimento degli obiettivi generali. La Legge Costituzionale n.3/2001, che ha ridefinito gli ambiti delle competenze istituzionali del Paese operando una consistente riforma del Titolo V della Costituzione e riformando l’art. 117, ha introdotto importanti principi alla luce dei quali sono definite le competenze normative tra Stato e Regioni e le competenze esclusive delle Regioni su numerose materie, in particolare: • L’Amministrazione centrale assume un ruolo di “regolazione” per garantire sia la coerenza degli indirizzi delle varie politiche “macro” sia l’attuazione di regole comuni per tutti gli attori nel sistema. 23 • allo Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali per la legislazione concorrente; • allo Stato è riservata la determinazione dei livelli essenziali relativi alle prestazioni in materia di diritti sociali e civili garantiti su tutto il territorio nazionale; • l’iniziativa legislativa è attribuita alle Regioni per le politiche sociali e la formazione professionale anche sulle materie a competenza concorrente quali ad esempio lavoro e sanità; • l’iniziativa legislativa è attribuita alle Regioni, anche sulle materie a competenza congiunta • si riconosce la competenza diretta delle Regioni nei rapporti con l’Unione Europea per gli aspetti di specifica competenza regionale, in merito ai quali l’ordinamento comunitario costituisce in ogni modo un vincolo per la legislazione regionale. Il sistema, che si fonda su nuovi rapporti tra centro e periferia, supera i vecchi sistemi di coordinamento gerarchico e punta a favore di procedure decentrate basate su relazioni di tipo cooperativo e sulla condivisione di obiettivi. Per questo motivo è auspicabile un confronto costante con le Regioni e le autorità locali volto a creare le condizioni per un sistema di politiche sociali che, tenendo conto della molteplicità dei livelli e degli attori, sia il risultato di un processo di innovazione profonda nei rapporti tra le istituzioni e che possa dare concretezza al principio di sussidiarietà. L’esclusione sociale è un concetto multidimensionale che può essere definito con riferimento ad aspetti diversi da quelli legati al reddito quali: la situazione relativa rispetto alla capacità di disporre di beni e servizi ritenuti essenziali; la partecipazione, il coinvolgimento e l’integrazione sociale; circostanze e processi che determinano l’incapacità di libera autodeterminazione di aspetti fondamentali della vita; la stratificazione a più livelli (individuale, familiare, ecc.) dei processi d’esclusione. Ne consegue che anche il sistema di welfare si deve sviluppare mediante una politica integrata,decentrata, basata sulla partnership e la plurisettorialità; approccio misto che preveda politiche universali e preventive, politiche curative orientate verso specifici gruppi, interventi diversificati a livello nazionale, regionale e locale. La lotta contro l’esclusione sociale, in favore di una protagonismo di individui e famiglie, non costituisce solo un impegno etico ma è un pre-requisito essenziale per lo sviluppo dell’Italia nel contesto della crescente competitività internazionale. Un paese può fronteggiare i ritmi incalzanti della sfida mondiale soltanto se dispone di un tessuto sociale coeso e reattivo. In questo quadro, le politiche familiari e sociali assumono un ruolo fondamentale a carattere trasversale. Il Libro Bianco del Welfare riconosce alla famiglia il ruolo di volano per lo sviluppo della coesione sociale, ed individua in questa istituzione il fattore decisivo per i processi d’inclusione sociale, per il mantenimento delle relazioni intergenerazionali, strumento di contrasto ai fenomeni di disgregazione sociale. Il fatto che solo una quota marginale delle prestazioni di assistenza sia coperto dal sistema pubblico o dal terzo settore è 24 un esempio evidente del carico che la famiglia è costretta a sopportare per garantire solidarietà nei confronti dei soggetti più deboli del sistema. La famiglia non è dunque solo una somma di individui ma anche e soprattutto un luogo in cui la rete relazionale è base per la gestione comune delle risorse. Va dunque riconosciuto il suo ruolo di soggetto protagonista del welfare. Di fronte ad elementi crescenti di fragilità (come quello demografico), l’ampliamento dei servizi in favore della famiglia è condizione necessaria ma non sufficiente. Il sostegno alle responsabilità familiari non è una “politica di settore” quanto piuttosto il risultato di una molteplicità di interventi che ne riconoscono il ruolo di vero e proprio “attore di sistema”. L’ingresso nella vita e nel mondo del lavoro L’obiettivo è quello di favorire l’inserimento nella vita e nel mondo del lavoro promuovendo la qualità della vita dell’infanzia e dell’adolescenza nonché l’integrità della famiglia. Le azioni individuate per il conseguimento di tali obiettivi sono: attuare politiche di sostegno alla natalità; realizzare misure di prevenzione del disagio minorile, del maltrattamento; mettere in atto politiche per una migliore conciliazione dei tempi professionali, familiari e sociali; dare maggiore attenzione all’interazione scuolafamiglia; promuovere misure di organizzazione del tessuto urbano per aumentare la qualità della vita; incentivare l’assistenza all’infanzia e all’adolescenza nel campo psico-pedagogico (consultori – centri per le famiglie) e socio-educativo (asili, scuole, percorsi nei contesti della comunità locale); continuare la lotta allo sfruttamento del lavoro minorile; realizzare misure per favorire l’inserimento dei giovani nelle varie fasi della vita sociale, anche attraverso programmi di mobilità giovanile a livello internazionale e facilitazioni per l’ingresso nel mondo del lavoro, in un contesto di raccordo formazione-lavoro; attuare misure particolari per le categorie più deboli (immigrati, famiglie mono-parentali, detenuti,ex detenuti, soggetti svantaggiati ecc.) sostenere e aumentare misure rivolte alle persone con disabilità. Per sviluppare il diritto di tutti al “servizio universale” (servizi di base sociali e servizi di base in senso allargato), mediante anche l’attivazione di reti di solidarietà formali ed informali, è necessario definire un nuovo quadro normativo che comprenda strumenti finalizzati al miglioramento delle condizioni d’accesso ai servizi; introdurre, nel quadro di servizi liberalizzati, nuove garanzie per l’accesso alle prestazioni da ricompensare sotto la voce di servizio universale a beneficio del gestore del servizio stesso; migliorare e incrementare, nel settore dei servizi sociali di base, l’attivazione delle reti di solidarietà, delle reti di mutuo aiuto familiare, promuovendone l’interazione e l’integrazione con gli attori già presenti, siano essi pubblici o privati; promuovere l’integrazione dell’innovazione tecnologica e sostegno alla creazione di strutture apposite di formazione per gli attori e gli utenti del servizio ;attuare misure particolari per le categorie più fragili con particolare attenzione ai servizi legati al diritto all’alloggio; predisporre, in questo contesto, misure particolari di sostegno per famiglie di nuova costituzione, anche in forma di aiuti all’acquisto; attuare azioni di lotta alla dispersione scolastica. 25 L’inclusione sociale L’obiettivo è quello di attuare percorsi d’inclusione sociale rivolti alle diverse fragilità sociali ed alle fasce in condizione di marginalità o a maggiore rischio di esclusione, promuovendo azioni per il loro reinserimento e l’attivazione di reti di ultima istanza. Ciò attraverso l’attivazione di misure atte al reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti interessati, individuando in modo specifico gli elementi collegati a condizioni derivanti da carenza di opportunità lavorativa o a peculiari fragilità sociali; l’identificazione delle “poverty traps” più comuni e l’individuazione delle misure diverse per il loro ridimensionamento; la definizione di misure particolari per le categorie più fragili (immigrati, anziani, famiglie con assenza totale di reddito ecc.). L’autonomia psico-fisica L’Italia identifica quale obiettivo prioritario la partecipazione alla vita sociale ed al godimento dei diritti e delle opportunità per tutti quei soggetti che presentano situazioni di limitazioni alla loro autonomia fisica e psichica. Perciò, è compito del Governo sviluppare programmi e progetti che aiutino le persone con disabilità all’inserimento nel contesto produttivo del paese, garantendo pari opportunità nell’accesso al lavoro e alla formazione, situazioni di non discriminazione nei luoghi di lavoro, garantire il diritto di accesso all’assistenza in maniera da permettere una piena realizzazione delle potenzialità individuali; attivare reti di assistenza per una migliore gestione della dipendenza fisica in condizione di trattamento domiciliare, con particolare enfasi all’iniziativa organizzata delle famiglie; implementare, con riferimento all’attivazione di reti familiari di assistenza, misure di sviluppo di nuovi strumenti di sostegno finanziario; definire standard comuni per abilitare al trattamento delle malattie croniche e della dipendenza; promuovere la diffusione delle buone prassi, l’incentivazione e lo sviluppo della ricerca applicata e delle innovazioni gestionali per migliorare l’efficienza globale del sistema; sviluppare il trattamento delle situazioni di disabilità e non autosufficienza, anche in termini di maggior equità nelle prestazioni socio-sanitarie nonché economico-finanziarie, mediante la messa a punto di una nuova e più adeguata definizione delle situazioni di disabilità, da raggiungere attraverso l’introduzione di classificazioni già adottate a livello internazionale. La coesione sociale Un obiettivo fondamentale è costituito dalla promozione della coesione sociale degli individui e delle famiglie mediante la costituzione di reti capaci, da un lato, di attivare la solidarietà intergenerazionale e, dall’altro, di favorire l’inclusione di soggetti e gruppi a rischio di esclusione. A tal fine si ritiene importante: o sviluppare reti di solidarietà formali ed informali che incentivino il contatto e la solidarietà intergenerazionale, da attivare in particolare attraverso le iniziative delle famiglie; o al fine di valorizzare la coesistenza tra 26 generazioni come strumento di scambio sociale e di mutuo arricchimento, saranno oggetto di particolare valorizzate esperienze pilota finalizzate ad attivare la prossimità abitativa di generazioni diverse tramite una politica mirata dell’alloggio; o integrare le comunità di immigrati legali nel tessuto sociale e normativo del Paese ospitante; o reinserire soggetti ad alto rischio di esclusione sociale, nella normale rete relazionale, lavorativa e formativa. Per garantire la messa a punto di una serie di strumenti atti a favorire l’esecuzione delle misure di cui ai punti precedenti e la loro verifica, si ritiene prioritario: • il potenziamento delle iniziative a favore dell’occupazione e dell’inclusione sociale attraverso gli strumenti della programmazione negoziata, in partenariato con le Autonomie locali e le parti sociali; lo sviluppo di un sistema d’istruzione e di long life learning come strumento d’inclusione sociale;lo sviluppo delle politiche del lavoro e la flessibilizzazione del mercato come strumenti per l’inserimento lavorativo dei giovani, delle donne ed il mantenimento al lavoro della popolazione over 55 e delle fasce deboli;l’attivazione di un complesso d’iniziative volte alla regolarizzazione del lavoro sommerso, finalizzate a ridurre l’illegalità,a sviluppare attività lavorative più eque e a riacquisire nuove risorse per le politiche economiche e sociali; il potenziamento di un sistema d’indagini sociali, mediante accordi quadro, sia sul piano della popolazione che su quello dei servizi formali e informali finalizzato alla produzione d’informazioni statistiche ufficiali, su direzione e consistenza delle reti di solidarietà, intreccio con l’utilizzo dei servizi privati e pubblici,caratteristiche delle famiglie che ricevono aiuti informali;l’attivazione di sistemi nazionali e regionali di osservazione e monitoraggio delle politiche sociali; l’attivazione di un sistema nazionale di monitoraggio delle politiche formative. I rischi e le opportunità La complessità del sistema di rischi sociali che la società italiana si è trovata a fronteggiare in questi anni, al pari di altre società avanzate, si ricollega ad un duplice insieme di cause. Mentre in alcuni casi l’esclusione origina da barriere sociali che si palesano in concomitanza con caratteristiche manifestate dalle condizioni del singolo individuo (anziani, disabili, malati non autosufficienti ecc.); in altri essa si lega a cambiamenti strutturali sopravvenuti più di recente in seno alle società con temporanee(monogenitorialità, impoverimento relazionale, bassa scolarizzazione, esperienza lavorative frammentarie e precarie, diversa appartenenza etnica ecc.). In molti casi la combinazione dei due insiemi favorisce il carattere processuale assunto dalla condizione di esclusione, per la quale finisce per non esistere un unico fattore scatenante, bensì un’accumulazione di “impossibilità” e “incapacità” che colpiscono il singolo individuo ed interi gruppi sociali. Le attuali dinamiche demografiche sono destinate ad alimentare buona parte dei principali fenomeni che si collocano alla confluenza fra dinamiche di esclusione sociale e lavorativa: aumento del tasso di dipendenza e dell’incidenza della popolazione anziana in età avanzata; presenza di immigrati (regolari e clandestini); insostenibilità (in assenza di riforme strutturali) 27 del sistema pensionistico; disallineamento fra domanda e offerta di lavoro in settori produttivi particolari ecc. Non necessariamente l’area di più intensa manifestazione dei fenomeni connessi alla mancata integrazione occupazionale (disoccupazione, disoccupazione di lunga durata, singoli percettori di reddito, nuclei monoparentali, nuclei gravati dalla presenza di anziani e disabili ecc.) finisce per collocarsi sempre nelle regioni meridionali, che anzi in alcuni contesti hanno raggiunto performance significative. Persiste tuttavia il differenziale di povertà fra Nord e Sud del Paese, mentre sembra focalizzarsi nei grandi contesti urbani un maggior rischio del manifestarsi dei fenomeni connessi alle sindromi da dipendenza, al ricorso all’usura, al disagio e sfruttamento minorile ecc. Il più elevato indice di disabilità rintracciabile nelle regioni meridionali deve essere considerato accanto a fenomeni purtroppo ancora troppo frequenti, quali gli esiti di incidenti sul lavoro (spesso ascrivibili all’area del sommerso o al mancato rispetto delle normative sulla sicurezza); gli esiti di incidenti stradali non mortali, soprattutto fra i giovani e gli esiti di alcune pratiche ascrivibili a sindromi da dipendenza (droghe, alcol ecc.). Tali fenomenologie tendono ad assumere maggior rilievo laddove collocate in contesti familiari già gravati da dinamiche di povertà ed emarginazione sociale. L’empowerment della famiglia può essere individuato come la prima e più efficace opportunità sulla quale agire per facilitare i processi d’inclusione sociale e il mantenimento delle relazioni solidali tra generazioni, con particolare riguardo alla trasversalità delle sue responsabilità ed azioni rivolte agli anziani, alle persone con disabilità, ai minori. A fianco a questo, le dinamiche demografiche contribuiscono a determinare una congiuntura positiva nei mercati del lavoro della Penisola, favorendo l’attrazione di lavoratori dall’estero e creando le condizioni per il riavvio di fenomeni di mobilità interna (soprattutto Sud-Nord) privi delle caratteristiche di esodo sperimentate in passato. La stessa emersione del lavoro irregolare si configura come opportunità di ricondurre nell’alveo dell’economia regolare vasti segmenti di lavoratori oltre che di migliorarne significativamente la qualità del lavoro. Le politiche di contrasto della esclusione sociale nel biennio 2003-2004 Per valutare le politiche adottate nel biennio 2003-04 è opportuno assumere come punto di riferimento le linee programmatiche nel Libro bianco sul Welfare del 2003 e nel Piano Nazionale Inclusione per il 2003-2005 (NAP/inclusione 2003-05); entrambi questi documenti puntano in modo esplicito sulla centralità della famiglia come destinatario e come protagonista delle politiche sociali e disegnano attorno a questo attore sia l’analisi dei problemi di lungo periodo –come quelli legati alla natalità,all’in vecchiamento e,in genere,alle dinamiche demografiche –sia le azioni di prevenzione e di contrasto delle molteplici forme di svantaggio sperimentate dalle famiglie e dai loro singoli componenti. 28 L’obiettivo complessivo indicato nel Libro bianco sul Welfare è di potenziare le risorse destinate ai servizi alla persona,prevedendo incentivi alla formazione di nuove famiglie, maggiori deduzioni fiscali per le famiglie con figli,aiuti alle giovani coppie,sostegni ai nuclei familiari con persone conviventi non autosufficienti,sviluppo degli asili nido e di quelli aziendali,la defiscalizzazione delle spese di accesso ai servizi del privato sociale. L ’Agenda sociale contenuta nel Libro bianco traccia il profilo delle sfide e delle priorità da affrontare non definisce però scadenze precise,né opera stime sulle risorse finanziarie disponibili e di quelle da reperire;questo compito è affidato ad una programmazione specifica,di cui è parte integrante il Piano di Azione Nazionale sulla inclusione sociale.Il Nap/inclusione 2003-2005 si collega in via diretta all’impostazione strategica del Libro bianco sul Welfare compiendo un passo ulteriore attraverso l’enunciazione delle linee guida operative per il biennio di competenza,ridefinite nell’aggiornamento di medio periodo del settembre 2004 con informazioni sulle azioni ed i progetti messi in atto e/o da varare in relazione a: • le risorse per la spesa sociale; • le politiche a sostegno della genitorialità; • la tutela e la promozione dei diritti dei minori; • il sostegno alle persone disabili; • il riordino della istruzione e della formazione professionale; • le politiche del lavoro; • i flussi migratori; • il sistema previdenziale. IA 2.3 Il lavoro sommerso Per “lavoro sommerso” si intende una qualsiasi attività retribuita, lecita di per sé, ma non dichiarata alle autorità pubbliche, con la conseguente mancanza di tutele per i lavoratori. Generalmente i termini sommerso, nero, grigio, non ufficiale, informale, irregolare, associati a quelli dell’economia e del lavoro, sono utilizzati indistintamente e impropriamente, senza tener conto delle differenze, anche significative, che li caratterizzano. Le attività svolte in quest’ambito, e in anni recenti, dalla Direzione del Mercato del Lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno, opportunamente, fornito alcuni chiarimenti propedeutici all’ana-lisi dei dati e delle metodologie di rilevazione, in quanto trattasi di un fenomeno complesso, che presenta una natura eterogenea ed altamente differenziata, e, dopo aver fatto chiarezza sui distinguo, hanno scelto di focalizzare l’attenzione sul lavoro irregolare. Una prima generale suddivisione, adottata sin dai primi anni ’90 dagli istitu-ti nazionali di statistica dei paesi dell’OCSE, riconduce a tre tipologie diver-se l’economia non osservata: quella informale; quella criminale; quella sommersa. Quella informale, 29 si differenzia da quella formale in quanto i beni e i servizi in essa prodotti e la loro distribuzione sfuggono in tutto o in parte alla contabilità nazionale. L’economia criminale comprende le attività di produzione e di distribuzione di beni e servizi illegali, svolte anch’esse in maniera illegale. L’economia sommersa, infine, coincide con l’insieme di tutte quelle attività di produzione e distribuzione di beni e servizi di per sé leciti, ma che vengono svolte violando le normative lavoristiche, fiscali, contributive, amministrative e così via. I confini tra le diverse tipologie non sono sempre così netti e possono mutare nel tempo e nello spazio: ossia, un’attività può essere illegale in un paese e legale in un altro,può essere legale oggi e non esserlo più domani o viceversa. È innegabile, quindi,come il lavoro sommerso pesi sul finanziamento dei servizi pubblici e della protezione sociale e condizioni in senso negativo il funzionamento di altri regimi sociali paritetici (fondi da destinare alla formazione, fondi pensione, assistenza sanitaria, ecc.). La situazione sociale della persona che svolge un lavoro sommerso è più vulnerabile, in termini di copertura sociale ed economica, rispetto a quella del lavoratore dichiarato. Inoltre il lavoro sommerso si ripercuote negativamente sui consumatori, i quali non beneficiano delle stesse garanzie di tutela della qualità nel caso di prestazioni e di servizi forniti dal sommerso. Sono oltre tre milioni, nel nostro Paese, quelli che lavorano in nero, due milioni solo al Sud. Se poi si aggiunge a questa cifra anche chi ha più di un mestiere, allora si arriva a un totale di cinque milioni di posizioni irregolari. Fra i decisori politici, e ancor più nell’opinione pubblica, il sommerso equivale a qualcosa di nebuloso e oscuro, cui concorrono i più diversi fattori. L’illegalità, criminale o elusiva, si combina con il degrado sociale, povertà ed esclusione con un generale scarso senso civico; la diffusa abitudine a non rispettare le regole necessarie a garantire un’ordinata convivenza, con la corruzione o con gli eccessi del potere burocratico sui cittadini. Da un punto di vista dell’evoluzione dei sistemi economici e sociali, l’attenzione va focalizzata sull’underground economy, da separare nettamente, nell’analisi concettuale,sia dall’economia criminale che dall’economia informale. La prima produce beni e servizi illegali. Anche quando si inserisce in un contesto di “normalità”, agendo come impresa legale (nella finanza, come nelle costruzioni, nei centri commerciali o nei trasporti), opera con un’organizzazione e con metodi che la pongono comunque nel novero delle attività criminali. Per le politiche pubbliche, diviene prevalente l’azione di repressione e contrasto alla criminalità economica organizzata rispetto a qualsiasi altra forma di possibile intervento. All’estremo opposto si colloca l’area di attività informali, generalmente legate a prestazioni elementari di singoli, che si esplicano al di sotto di una pur minima soglia organizzativa, con un forte contenuto di estemporaneità e bassi valori economici. Certamente si tratta di un comparto da accompagnare verso forme più evolute nei Paesi poveri, in quanto si tratta di, pur flebili, segnali di iniziativa sociale. Può costituire un interessante riferimento da utilizzare, ad esempio, nell’ambito dei 30 programmi di poverty reduction lanciati dalla World Bank. Va considerata come fenomenologia sociale più che come componente produttiva nei Paesi avanzati o in transizione. Il “sommerso” è quello che interagisce con i sistemi economici dei Paesi industriali. Un comparto costituito da produzione e/o lavoro irregolare ma collocato in contesti e settori produttivi ordinari, in grado di partecipare alle dinamiche di continua ristrutturazione dei modi di produrre. A sollecitare una tale riflessione sono due semplici osservazioni: - il sommerso, per quanto fino ad ora mal stimato e quantificato, copre in Europa e negli Stati Uniti una quota non marginale dell’economia, valutabile fra il 5 e il 20%. - nasce l’esigenza di individuare modelli interpretativi che possano aggiungere ulteriori paradigmi e individuare nuove piste di lavoro per contrastare tali tendenze, distorcenti per il mercato e penalizzanti per gli introiti pubblici. A determinare l’economia sotterranea, sia la volontà di sottrarsi agli obblighi fiscali, contributivi, contrattuali, retributivi, normativi, di sicurezza, di affidabilità, di responsabilità sociale. Le cose si complicano per l’ampia gamma di possibili situazioni e per le forti differenze d’intensità con cui si manifestano i comportamenti irregolari. Pertanto, è sempre più difficile tracciare una linea di netta demarcazione fra “regolare” e “irregolare”, soprattutto nei sistemi economici che, superato lo stato nascente dello sviluppo spontaneo, raggiungono una notevole complessità e stabilità, aprendosi alle tensioni della competizione globale. Proprio nelle economie avanzate, il sommerso tende a configurarsi come un “alone” sfumato dalle varie tonalità del “grigio” fino al “nero”, attorno al nucleo dell’economia regolata. Una sorta di ammortizzatore dell’economia per attutire, in modo scorretto, gli effetti di un’eccessiva pressione fiscale o regolativa, per cercare di rispondere al nuovo e più impegnativo confronto competitivo proposto dalla globalizzazione, per riuscire a sopravvive anche con bassissimi livelli di competenza organizzativa, strumentale e finanziaria. L’effetto ultimo è di depauperamento dei sistemi economici, che difficilmente per questa via possono compensare i ritardi nell’adeguare la struttura produttiva alle nuove sfide. All’avvio dei processi di modernizzazione, negli anni ‘60, una certa quota di iniziativa spontanea ha saputo evolvere positivamente verso un sistema imprenditoriale strutturato e regolare, come è stato in Italia. Al contrario, l’attuale contesto del mercato internazionale, relega il sommerso, nei paesi più sviluppati, a insediarsi nei settori più arretrate dell’economia ovvero produce distorsioni alla concorrenza. Ma anche nei Paesi in transizione difficilmente sortisce effetti propulsivi, quanto piuttosto alimenta l’ambiguo intreccio fra attività economiche e corruzione, produce blocchi oligopolistici che frenano sul nascere le dinamiche di mercato. Le attuali forme che assume l’economia sotterranea vanno ricondotte alle trasformazioni in atto nell’impresa e nel mercato del lavoro. Per quanto attiene all’impresa si può sinteticamente affermare come le modalità prevalenti per affrontare i livelli attuali di competitività sono riconducibili a: 31 • una destrutturazione strisciante della grande impresa, con il formarsi di organizzazioni complesse che integrano unità produttive diverse, piccole e anche micro, utilizzano diffusamente l’out-sourcing, tendono a flessibilizzare la produzione profilandola sui mutevoli andamenti della domanda; • la riduzione di peso delle attività manifatturiere, che modifica la composizione settoriale dell’economia, ampliando lo spazio per servizi rivolti al mercato familiare o individuale, con modelli operativi meno complessi, con basse necessità di investimento (dai servizi di prossimità, a quelli personali, dal piccolo commercio alle riparazioni, dalla ristorazione al turismo); • la delocalizzazione verso i Paesi a basso costo delle lavorazioni industriali, produce una rottura nel rapporto fra grande-media impresa e territorio, facendo crescere lo spazio, nella dimensione locale, delle imprese più piccole e delle attività user oriented7 . • la crescita dei comparti più innovativi della knowledge society che fondano la creazione di valore sulle competenze e sono molto centrate sul professionismo individuale, rafforza una tendenza al formarsi di aree molto competitive non necessariamente riconducibili a modelli e standard aziendali tradizionali. L’insieme di tali fattori spiega come la crescita nel numero di imprese e la sostenibilità di livelli competitivi anche con piccole dimensioni aziendali, in diversi comparti (arretrati ma anche avanzati) renda più facile il mimetismo del sommerso. La peculiarità italiana (ma anche spagnola o greca) può anche essere spiegata dall’esistenza in quei Paesi di un enorme quantità di imprese, in maggioranza piccole o micro, che consentono l’esistenza endemica di un’economia interstiziale. Sull’altro versante, quello del mercato del lavoro, altrettanto rilevanti sono le ambiguità che si riflettono nel sommerso: • la necessità di rendere il lavoro più mobile e flessibile può sortire effetti di elusione e nascondimento se riduce la sua portata alla sola riduzione di costi aziendali, e non si accompagna ad una crescita della produttività, ad un premio per la competenza e la responsabilità, ad un allargamento della partecipazione e lo sviluppo di nuove forme di lavoro; • l’afflusso di immigrati irregolari, il cui impiego è per definizione sommerso, mancando le condizioni per poter essere occupati legalmente; • l’indisponibilità di una sufficiente offerta occupazionale in determinati mercati del lavoro locale, induce chi ha già un lavoro regolare a svolgere una seconda attività in nero; • l’eccessivo gravame di oneri fiscali e contributivi sulle retribuzioni lorde che rende collusivo l’interesse fra imprenditore e lavoratore ad evaderli totalmente o parzialmente. Negli ultimi anni, la crescita dell’input di lavoro è risultata molto intensa, sostenuta dal lavoro dipendente e incoraggiata dallo sviluppo di nuove forme occupazionali sempre più flessibili, sia rispetto all’orario di lavoro sia rispetto a nuove tipologie di contratto. 32 In tale contesto, è cresciuta l’esigenza da parte degli utilizzatori di disporre di informazioni statistiche diversificate sul fenomeno dell’occupazione, in grado di cogliere la reale complessità del mercato del lavoro nel nostro paese e la sua evoluzione nel tempo. L’operazione di standardizzazione, confronto ed integrazione dei diversi aspetti che caratterizzano il fenomeno occupazione viene istituzionalmente svolta dalla contabilità nazionale, il cui campo di osservazione è più esteso rispetto a quello proprio delle indagini che rilevano informazioni sul mercato del lavoro. Rientrano nel campo di osservazione della contabilità nazionale, ad esempio, le posizioni di lavoro (le attività lavorative) direttamente osservabili tramite le fonti di informazione statistiche e/o amministrative e quelle non colte direttamente ma che contribuiscono alla produzione del reddito. L’insieme delle posizioni lavorative comprende, inoltre, le posizioni lavorative multiple, che derivano dall’impegno di un occupato su più attività lavorative nello stesso periodo di riferimento. Ai fini della quantificazione del complesso dell’occupazione di contabilità nazionale, in particolare, sono stimate due diverse tipologie di posizioni lavorative: quelle regolari e quelle non regolari. Sono definite regolari le posizioni lavorative svolte da lavoratori dipendenti e indipendenti rilevate dalle indagini statistiche presso le imprese, le istituzioni e/o dalle fonti amministrative. Sono definite non regolari le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscalecontributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative. L’input di lavoro non regolare può essere scomposto e stimato secondo quattro tipologie di posizioni lavorative: 1) gli irregolari in senso stretto residenti, ossia gli occupati a tempo pieno che si dichiarano nelle indagini presso le famiglie ma che non risultano presso le imprese; 2) i residenti che si dichiarano non occupati nelle indagini statistiche rivolte alle famiglie, quindi appartenenti alla popolazione non attiva, pur svolgendo delle ore di lavoro; 3) le attività plurime non regolari, stimate con metodi indiretti che tentano di cogliere il lavoro degli indipendenti in settori sensibili alla non dichiarazione dell’attività produttiva (trasporti, costruzioni, alberghi e pubblici esercizi); 4) gli stranieri non residenti e non regolari che, in quanto tali, non sono visibili al fisco e sono esclusi dal campo di osservazione delle indagini presso le famiglie. La contabilità nazionale, oltre a fornire dati sul numero delle posizioni lavorative, stima correntemente anche il numero degli occupati interni, ossia degli occupati residenti e non residenti che lavorano per le unità produttive residenti. Per tener conto, tuttavia, delle trasformazioni che ormai da diversi anni interessano il mercato del lavoro e che riguardano i cambiamenti di durata dei rapporti di lavoro nel tempo, nonché le intensità e le modalità orarie delle prestazione lavorative offerte, è utilizzata come misura dell’occupazione una proxy che tiene conto delle ore lavorate, denominata unità di lavoro. Le unità di lavoro sono calcolate ipotizzando che ciascuna persona 33 lavori un numero di ore pari a quelle prestate in quel settore di attività economica e in quella posizione nella professione (dipendente o indipendente) da un occupato a tempo pieno; in questo modo, le unità di lavoro sono ottenute trasformando le posizioni lavorative part-time o non continuative in unità a tempo pieno. Tenendo conto di tutti gli aspetti ora descritti, la misura più idonea a stimare il contributo del fattore lavoro alla produzione del reddito del paese è l’insieme delle unità di lavoro. La tendenza alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, in termini di orario, di durata e di attivazione di nuove forme di contratti (come, ad esempio, il lavoro interinale), ha contribuito sensibilmente ad accrescere, nel periodo considerato, il livello dell’occupazione regolare. Tra il 1992 e il 2002 la dinamica dell’input di lavoro regolare è pari all’1,9 %, mentre le unità di lavoro complessive crescono del 2,9% per effetto della componente non regolare dell’occupazione. Nel 2002 un forte impulso alla crescita della regolarità lavorativa proviene dall’ultima sanatoria di legge a favore dei lavoratori extracomunitari occupati in modo non regolare (legge n. 189 del 30 luglio 2002). Le politiche di emersione Dopo l’esperienza del riallineamento che ha costituito, con tutti i suoi limiti, la principale strategia di lotta contro il sommerso realizzata a partire dalla fine degli anni ‘80, nell’ultimo biennio si è giunti all’elaborazione di nuove strategie di intervento che, centrate ancora su un approccio prettamente fiscale (di emersione tramite riduzione temporanea del costo del lavoro per le imprese) hanno trovato concretizzazione nella L.383/2001. La legge, integrata da successive modifiche, ha rappresentato il punto di riferimento della nuova disciplina d’emersione, articolata su tre distinti complessi normativi relativi: • il primo, ad un sistema di agevolazioni fiscali e previdenziali per i datori di lavoro ed i lavoratori che aderiscono al programma di emersione (cosiddetta automatica); • il secondo, all’avvio di un piano straordinario di accertamento, predisposto dal CIPE e mirato ad individuare le priorità di intervento coordinato ed integrato degli organi di vigilanza del settore; • il terzo, alla definizione di una procedura di emersione progressiva incentrata sulla presentazione di un piano individuale da parte del datore di lavoro interessato e mirata alla regolarizzazione complessiva, al di là dei pur rilevanti profili fiscali e previdenziali, dell’attività imprenditoriale esercitata. Le possibili strategie contro il sommerso Dalle esperienze sviluppate nei diversi Stati membri la Commissione ha evidenziato alcune indicazioni generali sulle possibili strategie di azione nel settore della lotta al lavoro sommerso e del sostegno alla sua emersione nel mercato del lavoro formale, quali: 34 • il rafforzamento dell’efficacia della normativa e dei sistemi di controllo fiscale e di regolarità dei rapporti di lavoro anche tramite l’implementazione delle sanzioni; • lo sviluppo di sistemi previdenziali in cui i diritti alla protezione sociale siano strettamente correlati ai contributi versati. In questo caso è però indispensabile porre una forte attenzione all’individuazione di strumenti e politiche in grado di garantire i diritti assistenziali alla popolazione disoccupata e quindi priva di reddito; • l’agevolazione dell’incontro fra domanda ed offerta nel mercato del lavoro formale attraverso lo sviluppo di strumenti e strutture efficienti, flessibili ed adattabili ai mutamenti del mercato del lavoro (accompagnamento, assistenza, start-up di impresa,..); • la promozione di campagne di sensibilizzazione miranti a sviluppare una maggiore coscienza sociale e a dimostrare le gravi conseguenze del lavoro sommerso sul sistema nel suo insieme; • il favorire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro; •l’individuazione di strategie di sostegno alla nascita e allo sviluppo di microattività imprenditoriali; • il sostegno alla strutturazione di attività di servizio in alcuni settori caratterizzati da un’elevata incidenza del fenomeno quali i servizi di cura e il lavoro domestico; • il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti, a partire dalle pari sociali, nello sviluppo di strategie di lotta al lavoro sommerso; • l’attivazione e la formalizzazione di sistemi di cooperazione interistituzionale fra le diverse autorità competenti nel settore fiscale ed occupazionale a livello centrale, regionale e locale; la riduzione del costo del lavoro in termini di contributi sia a carico del datore di lavoro che del lavoratore; • il rafforzamento dei controlli all’ingresso e l’ottimizzazione dell’efficienza dei sistemi di legalizzazione con riferimento alla forza lavoro immigrata. Anche in occasione del Consiglio informale dell’occupazione e delle politiche sociali svoltosi nel luglio 2003, è stato ribadito l’impegno della Commissione sulla questione del lavoro non dichiarato, riscontrandosi un consenso generale sulla rilevanza di questo problema sia per ciò che attiene alla competitività dell’Europa che alla sua coesione sociale. Nel documento si sottolinea inoltre che la nuova Strategia europea per l’occupazione contiene tra le proprie linee guida, la lotta al lavoro irregolare, per cui il traguardo delle Istituzioni è quello di valorizzare tale linea di intervento attraverso una strategia di azione comune, basata sulla prevenzione e sull’insieme delle politiche di intervento definite nella Strategia. Gli stati membri si impegnavano in questo modo a “sviluppare e implementare esplicite azioni e misure per eliminare il lavoro sommerso (…), togliendo i disincentivi e fornendo appropriati incentivi al sistema fiscale e sociale, migliorando la capacità di imposizione e 35 applicazione delle sanzioni. Dovrebbero altresì intraprendere gli sforzi necessari a livello nazionale e comunitario per misurare l’estensione del problema e i progressi raggiunti a livello nazionale.” IA.2.4 Lazio, Toscana, Puglia, Piemonte, Sardegna: approfondimento sulle buone prassi di intervento nell’ambito e nei territori di riferimento IA.2.4.1 Buone Prassi ed Innovazione Alla definizione e sperimentazione dei modelli di intervento ed al loro trasferimento, in altre parole all’innovazione ed alla diffusione, viene riconosciuto il ruolo di strumento operativo principale da utilizzare per il sostegno alla messa a regime di una politica di programmazione di risorse ed attuazione di programmi. Tale impegno è rinnovato oggi dalla convinzione che, al crescere del numero dei paesi dell’Unione Europea ed all’intensificarsi dello sforzo finanziario in questo campo (con il conseguente incremento di numero di programmi e progetti europei), sia assolutamente necessario far circolare l’informazione di esperienze significative (sperimentali e non). Gli elementi standard o requisiti principali che deve esprimere una pratica per essere definita non solo buona, ma utile da disseminare sono: - l’adeguatezza e la completezza del quadro logico progettuale ed attuative sembra essere la chiave per interpretare i connotati di una buona prassi. La presente indagine intende avvalersi della capitalizzazione della buone prassi realizzate a livello nazionale sui temi cardine dell’inclusione sociale, così come delineati nei Consigli europei di Nizza e Lisbona. La sistematizzazione delle buone prassi, infatti, rappresenta un elemento chiave del processo di valutazione dell’impatto delle politiche e di diffusione dei risultati delle sperimentazioni. La scelta delle buone prassi è stata orientata sulla base dei seguenti fattori distintivi: a) Innovatività: relativa a processi (metodi, strumenti, approcci); finalità perseguite; contesto socio economico di riferimento. b) Sostenibilità: presenza e qualità (in termini di fattibilità e coerenza) di obiettivi/ strategie tese a garantire la continuità dei benefici (attività/servizi) dopo la chiusura delle attività. c) Trasferibilità: attitudine alla trasposizione della sperimentazione in contesti diversi da quello originario. d) Riproducibilità: attitudine al trasferimento in contesti analoghi a quello della sperimentazione iniziale. e) Rilevanza strategica: intesa come pertinenza della strategia rispetto al problema identificato; efficacia della strategia nell’incidere sui problemi/ criticità evidenziati dal territorio in termini di ricadute sul sistema economico 36 e/o di settore; efficacia della strategia nell’incidere in termini di miglioramento delle condizioni socio-lavorative del target. f ) Rilevanza politica: coerenza della sperimentazione rispetto alle Linee guida dei PAN. Oltre agli elementi fin qui descritti, vengono diffusamente evocati altri requisiti quali: l’efficacia e l’impatto, o, in altri termini, il valore aggiunto prodotto dall’attuazione del buona prassi in termini di capacità di produrre cambiamenti. La connessione con il maistreaming è evidente, in quanto il cambiamento non può che partire dal coinvolgimento orizzontale e verticale di tutti i soggetti operanti in uno stesso ambito. Per questo motivo, che il mainstreaming viene identificato come elemento standard o requisito fondamentale e analizzare una buona prassi realizzata. IA.2.4.2 Inclusione Sociale Regione Lazio La Regione Lazio ha iniziato il proprio percorso di riordino del sistema dei servizi socio-assistenziali con la L.R. n. 38 (del 9 settembre 1996) “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio-assistenziali nel Lazio” e il primo Piano socio-assistenziale Regionale 1999-2001. Provvedimenti che hanno anticipato molte delle indicazioni normative contenute nella legge nazionale di riforma dell’assistenza (lex 328/2000). Con il primo Piano socio-assistenziale 1999-2001, la Regione si impegna a promuovere una trasformazione delle forme di organizzazione del sistema dei servizi sociali, alla ricerca di assetti che possano garantire una maggiore efficacia e efficienza degli interventi sul territorio. Essa si propone, con la strumentazione a disposizione, di perseguire e anticipare la riforma nazionale dell’assistenza, allora in discussione in Parlamento. Alla base del processo di riorganizzazione dei servizi sociali viene posta la scelta di procedere nella costruzione dei distretti delle politiche sociali. L’obiettivo è quello di superare un sistema decisionale prescrittivo “a cascata” (dal Centro alla Periferia), in favore di procedure democratiche di tipo circolare, in grado di favorire il coinvolgimento delle comunità locali nel processo politico-programmatorio. In funzione di una visione diversificata e paritaria dei poteri in materia sociale, il Piano riserva alla Regione una funzione di indirizzo e orientamento degli Enti locali e dei soggetti privati, assegnando ai Comuni il ruolo inedito di attori di un processo di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini delle loro comunità. Gli obiettivi della regolamentazione del sistema sociale sono individuati nel: - produrre una semplificazione del sistema dei servizi, attraverso la riduzione delle tipologie di intervento da ricondursi a modelli caratterizzati secondo specificità funzionali essenziali, evitando sovrapposizioni all’interno dello stesso territorio; - consentire l’individuazione del servizio non per classe di appartenenza o categoria destinataria, - ma attraverso la definizione di funzioni e prestazioni; 37 - favorire servizi flessibili rispetto a quelli che tendono ad una eccessiva specializzazione; - Intendendo per flessibilità: offerta di prestazioni differenziate; assunzione di gruppi di popolazione bersaglio, non limitati ad una categoria; capacità di integrazione con gli altri - servizi dell’area o del bacino distrettuale; - Per garantire livelli uniformi di prestazione su tutto il territorio regionale, il Piano si propone di assicurare, in ogni area distrettuale, l’organizzazione di strumenti di intervento tali da garantire livelli minimi di tutela sociale e di affiancamento della comunità locale, della famiglia, delle persone. Tali livelli sono individuati in: - Segretariato sociale, con funzioni di informazione, consulenza, mediazione sociale e istituzionale; - Servizi di emergenza e pronto intervento assistenziale, con adeguate risorse sia economiche che di ospitalità temporanea; - Prestazioni domiciliari di servizio sociale. Le aree di intervento prioritarie sono indicate in: - anziani; - maternità, infanzia e minori; - handicap; - disagio psichico in età evolutiva; - immigrati. Nel documento di programmazione sociale, la Direzione Regionale “Famiglia e Servizi alla Persona” dichiara di aver avviato una riorganizzazione dei propri uffici coerente con l’impostazione data al Piano socio-assistenziale. La necessità di dare risposte adeguate al processo avviato spinge infatti la Regione ad eliminare le tradizionali aree tematiche per dare spazio ad una organizzazione trasversale che abbia l’obiettivo di valorizzare e potenziare i seguenti aspetti: - l’attività di programmazione e di progettazione d’interventi; - la partecipazione ai programmi europei; - la competenza in materia di autorizzazione e accreditamento. Per quanto riguarda, in particolare, i criteri per l’autorizzazione e l’accreditamento dei sevizi e delle strutture, il Piano individua la metodologia da applicare, che si basa su: • i criteri già definiti per l’autorizzazione; • la definizione di standard numerici e qualitativi relativi al personale; • la definizione di criteri di qualità nei rapporti con l’utente: carta dei servizi, contratto assistenziale, monitoraggio delle condizioni dell’utente; • l’individuazione di requisiti di rete relativi alla collaborazione tra singoli servizi, 38 siano essi pubblici o privati; • la definizione di un sistema di obblighi informativi tra i singoli servizi e il Servizio sociale distrettuale; • la definizione del sistema di tariffe regionali (prevedendo i margini di flessibilità in relazione al superamento dei requisiti minimi per l’autorizzazione). Infine, il Piano si conclude indicando i risultati attesi nel triennio di applicazione tra i quali: - Completamento e ottimizzazione dell’organizzazione del distretto: si tratta di passare dalla fase di sperimentazione, ormai conclusa, al concreto sviluppo del modello e degli strumenti di governo e gestione del sistema degli interventi e dei servizi sociali a livello locale. L’obiettivo è di avviare un solido processo di programmazione che, a partire dalla lettura del territorio, individui le priorità operative, in collaborazione con tutti gli altri comparti delle politiche di welfare (in primo luogo le Asl e la Scuola). - Realizzazione di un sistema omogeneo e uniforme di servizi sociali sull’intero territorio regionale: si tratta di superare la tradizionale frammentazione, che ha caratterizzato i servizi sociali nella Regione, attraverso la fissazione di priorità operative, la qualificazione dei servizi e degli interventi in relazione ai bisogni del territorio, la garanzia dei livelli essenziali di assistenza . - Realizzazione di un sistema “a rete” di servizi integrati: si tratta di cercare le interazioni e le collaborazioni possibili tra i diversi servizi, gli enti e i soggetti presenti nel territorio, allo scopo ultimo di fissare un metodo di lavoro che si traduca, per i cittadini, in una maggiore facilità di accesso e fruizione delle prestazioni del welfare e nella copertura ottimale dei bisogni e delle domande che richiedono interventi integrati . - Attivazione di sportelli “Informa famiglia”: si tratta di fornire concretezza al ruolo della famiglia quale titolare di diritti e di competenze sociali. Gli sportelli hanno la funzione di individuare e mettere in connessione le risorse dei servizi sociali, sanitari, educativi e formativi utili a supportare il ruolo delle famiglie, diffondendo, al contempo, le informazioni atte a facilitarne l’accesso alla rete e l’individuazione dei servizi adeguati. - Stimolo e potenziamento dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati: si tratta di sperimentare forme di interazione e di integrazione a rete in grado di offrire una pluralità di strumenti per innalzare l’occupabilità dei soggetti svantaggiati. - Avvio del Sistema Informativo Sociale: si tratta di attivate procedure di rilevazione semplificate, aggiornabili e di facile accesso, da informatizzare e trasmettere con strumenti telematici in modo da accelerare notevolmente i tempi di trasmissione e di elaborazione delle informazioni, allo scopo ultimo di affiancare il processo programmatorio della Regione e dei distretti. 39 IA.2.4.2.1 Buone Prassi Regione Lazio (Frosinone) Sportello unico per l’immigrazione Destinatari Cittadini extracomunitari con regolare permesso di soggiorno Ente attuatore Comune di Frosinone Obiettivi Adempimenti imposti al datore di lavoro - italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia – necessari per l’assunzione di un cittadino extracomunitario residente all’estero, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinato o stagionale. L’intero procedimento di assunzione viene gestito da un ufficio responsabile, detto Sportello unico per l’immigrazione, costituito presso la Prefettura-ufficio territoriale del Governo, con Decreto del Prefetto che può individuare anche più unità operative di base. Il datore di lavoro interessato deve presentare una specifica richiesta di autorizzazione al lavoro, allo Sportello unico per l’immigrazione competente, scegliendo tra quello: • di residenza • dove ha sede legale l’impresa • in cui l’attività lavorativa dovrà svolgersi Analisi, ricerca e metodologia di organizzazione in rete attraverso i servizi per l’impiego della rete locale degli attori delle politiche per l’inclusione sociale Destinatari Soggetti in situazione di marginalità Ente attuatore Provincia di Frosinone. Progetto sostenuto attraverso la rete con le forze sociali ed economiche e le imprese sociali. Fondi FSE regionali. OBIETTIVI E FASI Il progetto si sviluppa a livello provinciale e riguarda la costruzione della Rete degli attori locali delle politiche per l’inclusione sociale può essere declinato nelle due azioni di seguito specificate: -fornitura di servizi di ricerca e analisi territoriale per la ricognizione dei soggetti e dei servizi attivi a livello locale nell’ambito delle politiche dell’occupazione e per l’inclusione sciale e predisposizione di un progetto di messa in rete degli stessi; 40 -analisi a livello locale volta ad individuare la potenziale rete dei soggetti e dei servizi insistenti sul territorio (occupazione e inclusione sociale) attraverso il raccordo e l’integrazione tra la Provincia e altri soggetti ed intermediari attivi a livello locale nelle politiche per l’occupazione e per l’inclusione sociale (organizzazioni, sistema imprese, enti, enti locali, aziende pubbliche ecc.). Obiettivo: fotografare lo scenario attuale dei soggetti e dei servizi connessi con le politiche per l’occupazione e per l’inclusione sociale nella provincia , della dotazione di infrastrutture informatiche e delle loro relazioni sul territorio, al fine di attivare poi, un sistema di cooperazione integrato tra gli attori delle politiche per l’occupazione e l’inclusione sociale. Accompagnamento allo sviluppo del sistema locale degli attori delle politiche per l’occupazione e per l’inclusione sociale connessi in relazione di rete La prima fase fornisce alla Provincia la struttura del sistema provinciale occupazioneinclusione sociale, dato di supporto alle decisioni circa le relazioni di rete che intenderà attivare e sviluppare nell’ambito delle politiche per l’occupazione e per l’inclusione sociale. Con tale azione si supporta la Provincia nell’attivazione, progettazione e sviluppo delle relazioni di rete (cooperazione) con gli attori prioritari individuati, addivenendo così alla costruzione del modello di rete provinciale. L’azione conferirà un notevole impulso all’integrazione tra politiche per il lavoro e la formazione, politiche per l’inclusione sociale e servizi per l’impiego. Obiettivo: Sperimentazione l’uso di modelli di partecipazione territoriale, consentire la costruzione di una rete partenariale capace di attivarsi su bisogni specifici, favorire la condivisione di informazioni, esperienze e know how tra i soggetti della rete, avviare riflessioni e sperimentazioni sulle procedure di governance del sistema locale, attivare e formalizzare le relazioni di rete, giungendo così ad un sistema di cooperazione tra la Provincia e tutti attori connessi con le politiche per l’occupazione. L’azione realizzata permette di attivare il SISTEMA, dotato di una componente hard, rete telematica, di una componente soft, le relazioni, e di obiettivi, riconducibili alle politiche del lavoro locali. Gli attori, sperimentando metodologie ed approcci alla cooperazione, determineranno quella concentrazione di informazioni sui servizi pubblici per l’impiego, coerentemente con quanto auspicato con la Borsa Nazionale del Lavoro. Progetto Mercurio Telelavoro Destinatari Donne disoccupate con difficoltà di inserimento lavorativo e con necessità di sostegno per l’integrazione sociale: per 3/4 donne immigrate e per 1/4 donne italiane disoccupate di lunga durata. 41 Ente Attuatore INFORCOOP (Istituto Nazionale di Formazione Cooperativa). Finanziato dal FSE e dal Ministero del Lavoro. Obiettivi Inserimento lavorativo e sociale di donne immigrate attraverso la qualificazione professionale, l’accompagnamento alla creazione di un’attività autonoma, alla ricerca di un’occupazione. Il progetto si proponeva di conseguire un inserimento lavorativo nell’ambito del telelavoro, unitamente ad un reinserimento socio-culturale. Attività previste e risultati -Individuazione del telelavoro quale modalità che può offrire opportunità di inserimento socio occupazionale, sviluppo di competenze attraverso la formazione, massa a punto di un Modulo di formazione interculturale; -sviluppo delle competenze delle partecipanti nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e nella comunicazione in lingua italiana; -acquisizione di conoscenze in tema di mercato del lavoro, di tecniche di offerta e ricerca di lavoro e di sviluppo di un0idea di impresa; -accompagnamento delle donne formate nella ricerca di lavoro; -messa a punto di un Modulo di formazione interculturale (concluso con un attestato regionale di qualifica di “operatrici multimediali con competenze di telelavoro). Nell’ambito del progetto Mercurio, oltre al materiale prodotto, è stato conseguito un alto grado di consapevolezza circa la sistematicità e la complessità delle azioni da intraprendere e le consapevolezza degli specialisti necessarie per poter lavorare con persone svantaggiate su progetti di autoimpiego e creazione di attività. Reti di lavoro per l’inclusione sociale e l’inserimento lavorativo di soggetti deboliRe.La.I.S. Destinatari Soggetti deboli (compresi lavoratori socialmente utili e tirocinanti) Ente Attuatore Regione Lazio, Istituto per i servizi sociali, ASL Frosinone, Consorzi Insedianti produttivi, Crescita Apprendimento Lavoro, Comuni di Sezze. Obiettivi Creazione di una rete coordinata di attori che operano nel territorio, volta all’integrazione dei sistemi coinvolti nelle politiche di inclusione sociale. 42 Attività realizzate risultati Il progetto mira alla creazione di una rete coordinata di attori che operano nel territorio, volta all’integrazione di quattro sistemi coinvolti nelle politiche di inclusione sociale e lavorativo:formazione, accompagnamento, sensibilizzazione e sanità sociale. Il progetto prevede la realizzazione delle seguenti attività: - formazione indirizzata ai tutor e divisa per temi (modelli di reti, politiche sociali, politiche del lavoro, incontro domanda-offerta, inclusione dei soggetti deboli); - accompagnamento concretizzatosi principalmente in una consulenza di processo (trasferimento delle metodologie e di tutto il know-how e supporto allo sviluppo degli strumenti); - sensibilizzazione a livello locale mediante la creazione di un’ampia partnership; a livello regionale attraverso il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Sociali della regione Lazio; a livello nazionale; - monitoraggio delle azioni realizzate nel corso del processo di attuazione. Il progetto ha prodotto i seguenti risultati: - aumenti di inserimenti lavorativi: da due inserimenti precedenti l’attivazione del progetto a più di 25 alla sua conclusione; - sono stati prodotti benefici sia a livello contrattuale che formativo. IA.2.4.3 Inclusione Sociale Regione Toscana In Toscana i primi anni del 2000 coincidono con importanti interventi di riassetto del sistema legislativo regionale, ed in particolare con l’emanazione della LR n.32/02 “Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro”. Anche a livello territoriale, ed in particolare nella provincia di Arezzo, lo scorcio del 2002 segna la definizione organica delle linee guida del piano provinciale per l’occupabilità 2003. Il Piano provinciale per l’occupabilità si ispira e recepisce gli aspetti metodologici e normativi più innovativi della legislazione vigente, adattandoli alla situazione locale; inoltre fa propri i pilastri individuati nel Piano Locale di Sviluppo di Interesse Provinciale 2001-2004, con particolare riferimento alla “solidarietà nei confronti degli strati sociali più deboli”, la new economy, le “esigenze di un sistema produttivo in cui fattore umano e innovazione siano i cardini dello sviluppo” e “la politica di genere”. I principi a cui si ispira il documento programmatico sono riassumibili in: integrazione, sussidiarietà e flessibilità. Qualsiasi politica di settore deve assolutamente prendere in considerazione la complessità dell’esistente, la molteplicità di soggetti portatori di interesse e il ruolo specifico svolto da ognuno di questi. Sulla base del principio dell’integrazione, per qualsiasi azione di governo del territorio è fondamentale assumere una visione in grado di contemplare la molteplicità di funzioni, attività, progetti e la pluralità dei soggetti che partecipano al raggiungimento dei risultati. In questo senso, l’integrazione può essere intesa come “integrazione di 43 politiche” e come “integrazione di soggetti attuatori delle politiche”. Nel primo caso, appare prioritaria l’integrazione fra segmenti di politiche troppo spesso concepite come “monadi” staccate ed autonome, laddove invece queste sono per natura fortemente interdipendenti. In questo senso assume estrema priorità un trattamento unitario delle politiche specifiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro, senza creare dipendenze gerarchiche ma piuttosto legami funzionali che massimizzino le economie di scala e permettano il raggiun-gimento di obiettivi coesi e coerenti. In particolare, è priorita-ria l’armonizzazione delle azioni relative all’obbligo formativo, all’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), nonché le azioni di formazione e aiuto all’occupabilità e sostegno all’occupazione, anche nei confronti delle categorie più svantaggiate. Oltre all’integrazione in termini di programmazione, assume un particolare rilievo l’integrazione sulle modalità di gestione e di realizzazione delle attività medesime. Inoltre, un terreno su cui concretizzare la reale integrazione consiste nell’erogazione di servizi di orientamento, al fine di giungere alla massima comprensione tra sfere differenti (istruzione, formazione e lavoro). L’integrazione fra soggetti attuatori delle politiche si esprime nella creazione e nel mantenimento di una rete tra i soggetti medesimi; se la natura di rete non prevede di per sé una arti-colazione rigida e compartimentata, bensì una flessibilità intrinseca di regole e modalità di comportamento, è, pertanto necessario assicurare una forte azione di coordinamento al fine di mantenere attivo ogni nodo della rete medesima, assicurando l’infrastruttura informativa che permetta l’accesso e la pari dignità ad ogni soggetto portatore di interesse all’interno della rete. Al di là dei servizi di base svolti nei confronti delle imprese tramite i Centri per l’impiego è forte l’impegno espresso territorio toscano nei casi di crisi. Peraltro, attraverso le proprie strutture decentrate, l’Amministrazione provinciale entra in contatto con i lavoratori espulsi dal lavoro o in condizione di marginalità e con le aziende del territorio, ed è in grado di mettere in campo strumenti e risorse professionali per intervenire a livello operativo su queste pro-blematiche. In questa logica rientra la sottoscrizione nel marzo 2005 del Protocollo di Intesa tra la Provincia di Arezzo (attraverso l’Assessorato al Lavoro), le associazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, Confartigianato, Cna, Associazione Industriali e Api per sostenere i settori produttivi portanti del territorio provincia-le: oreficeria, abbigliamento, tessile-maglieria e pellicalzature. Tale Protocollo è stato propedeutico alla sottoscrizione – nel giugno 2005 – di un accordo con il MLPS le categorie economiche, sindacati, INPS e Italia Lavoro per la concessione di finanziamenti pari a nove milioni e mezzo di euro a favore delle aziende aretine (fino a 15 dipendenti) appartenenti ai settori sopra menzionati sotto forma d’integrazione salariale. Tali risorse sono ritenute necessarie per contribuire a risollevare l’economia provinciale; a rilanciare la produttività e la competitività del territorio nel contesto del mercato globalizzato, assicurando nel contempo la massima protezione ai lavoratori a livello locale 44 IA.2.4.3.1 Buone Prassi Regione Toscana (Arezzo) Protocollo d’intesa tra il centro servizio sociale adulti di Firenze e la provincia di Arezzo per la realizzazione di attività di tirocinio formativo e di orientamento per soggetti in misura alternativa. Destinatari Soggetti svantaggiati Ente attuatore centro servizio sociale adulti di Firenze e la provincia di Arezzo Obiettivi Gli Enti che stipulano il protocollo assumono l’impegno di favorire l’attivazione di progetti individuali di tirocinio e di orientamento, di durata da tre a sei mesi, eventualmente rinnovabili fino ad un massimo di dodici mesi. per soggetti svantaggiati di cui al presente protocollo. L’assegnazione del soggetto all’azienda indicata in premessa e la sua presenza presso i locali dell’azienda stessa non si configura in alcun modo come rapporto di lavoro, ma bensì ed esclusivamente come partecipazione ad un progetto rieducativo e formativo, per cui l’integrazione nell’ambiente di lavoro e la partecipazione alle attività produttive è finalizzata alla conoscenza delle procedure lavorative, all’acquisizione di competenze professionali ed alla sperimentazione dei momenti di socialità dell’ambiente di lavoro. E’ fatto, inoltre, divieto al titolare dell’azienda di corrispondere al tirocinante, retribuzione o rimborsi spese comunque denominati in aggiunta a quanto stabilito con la presente convenzione. Inserimento lavorativo di detenuti- convenzione con la casa circondariale e le aziende Destinatari Detenuti Ente attuatore L’Ufficio Politiche Sociali in accordo con la Casa Circondariale Obiettivi e risulati provvedere ad elaborare uno schema di convenzione nella quale si provvede, tra l’altro, alla attuazione di un progetto rieducativo e di reinserimento sociale a favore di detenuti in trattamento presso la Casa Circondariale di Arezzo. 45 Protocollo operativo in materia di attività d’orientamento e preformazione professionale per giovani portatori di handicap. Destinatari Giovani portatori di handicap Ente attuatore la provincia di Arezzo, la ASL 8, il centro servizi amministrativi di Arezzo (csa-ministero pubblica istruzione) Obiettivi e risultati Il progetto prevede un primo periodo di osservazione - valutazione del potenziale allievo, da compiersi a cura degli Operatori della Provincia, preferibilmente all’interno della Scuola (e previo accordo) - ed esattamente durante l’ultimo anno di frequenza attraverso un rapporto di stretta collaborazione sia con gli insegnanti di sostegno che curriculari ; il periodo di osservazione - valutazione si connota come primo momento di costruzione di un rapporto con l’allievo/a, di rilevazione delle sue modalità relazionali e compotamentali (con gli insegnanti, i collaboratori scolastici, il gruppo dei pari). L’osservazione è volta anche a rilevare particolari interessi ed eventuali specifiche competenze, tutti elementi necessari ad orientarsi in un determinato settore di lavoro e quindi per l’organizzazione della fase successiva di tirocinio. Una seconda fase d’inserimento in tirocini formativi presso i soggetti disponibili nel mondo del lavoro (aziende, enti, soggetti del privato sociale, ecc.) finalizzato allo sviluppo di capacità trasversali di carattere relazionale e pratico-professionali commisurate alle disabilitàabilità del giovane in situazione di handicap, della durata massima di due anni. Progetto MIDL Destinatari Soggetti disabili Ente attuatore Provincia di Arezzo, FSE, Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, regione Toscana, Coop. Sociale Electra Obiettivi e risultati Il progetto MILD nasce a seguito della realizzazione del corso di formazione per “Operatori di Mediazione e Sup-porto per l’Integrazione Lavorativa di Persone Disabili” progettato e gestito dalla Cooperativa Sociale di tipo A Electra e finanziato con le risorse assegnate alla Provincia di Arezzo dalla Regione Toscana e dal FSE. Lo scopo del corso è formare operatori esperti riguardo al collocamento mirato. In alcune situazioni può essere necessario prevedere per il disabile interessato all’inserimento lavorativo un percorso propedeutico al collocamento mirato. Queste situazioni vengono affrontate 46 integrando le azioni previste dall’Area Politiche Sociali, Formazione e Lavoro della Provincia. I principi che guidano l’intervento sono: • il superamento della concezione assistenziale; • il sostegno al soggetto/allievo per l’acquisizione di un ruolo sociale attivo e produttivo; • un percorso formativo individualizzato con più di una e-sperienza formativa a complessità crescente; • l’accompagnamento del soggetto/allievo verso l’acquisizione dell’identità adulta; • la flessibilità degli operatori nell’avvicinare la soggettività dell’allievo; • la continua ridefinizione in itinere del progetto formativo attraverso valutazione ed autovalutazione (considerati stru-menti didattici); • la rielaborazione della molteplicità di stimoli che provengono dal contesto lavorativo. L’obiettivo finale non è stato tanto, o non solo, quello di procurare un lavoro ad ogni giovane disabile preso in carico, quanto quello di permettere ad ognuno, attraverso un percorso guidato, l’acquisizione di un ruolo di adulto. I percorsi attivabili attraverso il servizio sono i seguenti: • tirocini formativi e di orientamento; • tirocini finalizzati all’assunzione art. 11 Legge 68/99; • assunzione secondo la Legge 68/99. Progetto Diritte e Diverse - Accompagnamento al lavoro ed empowerment della diversità Destinatari 20 donne autoctone ed immigrate con età superiore ai 35 anni, inoccupate ed in situazione di marginalità socio-occupazionale Ente Attuatore Associazione Rete Indra onlus con il supporto degli attori del territorio coinvolti dalle tematiche (assessorati, associazioni e cooperative). Obiettivi L’obiettivo generale del progetto è quello di rafforzare la posizione delle donne del mondo del lavoro al fine di favorire l’emersione del lavoro irregolare a forte componente femminile, l’inserimento o riposizionamento lavorativo che sia vissuto dalle beneficiarie come soddisfacente ed adeguato alle loro competenze, desideri e ritmi di vita. Il progetto è diviso in diverse fasi ed ha come oggetto la creazione di un percorso di accompagnamento al lavoro, che consente alle donne inoccupate di collocarsi in tempi brevi nel mondo del lavoro attraverso un percorso di orientamento e sperimentazione professionale. Il tutto si è articolato in una serie di orientamento 47 e formazione nell’ottica dell’applicazione di strategie di politica attiva del lavoro. La metodologie seguita è stata quella dell’approccio integrato (orientamento, competenze trasversali, competenze tecniche), approccio individualizzato sul territorio (sostenibilità), contatto fra donne e aziende. Progetto Sperimentazione di nuove forme di reintegrazione sociale: l’inserimento lavorativo Destinatari Soggetti a rischio di esclusione sociale Ente Attuatore Consorzio Sociale Comars, Servizio tossicodipendenza ASL 8 di Arezzo, Comunità CEIS, Cooperativa Sociale PARS, aziende private. Obiettivi e risultati Il progetto prevede la realizzazione di una struttura stabile, la serra, che possa risultare funzionale al processo di inserimento lavorativo. La struttura è funzionale alla costruzione di un’attività autonoma a tutti gli effetti, attraverso un processo di monitoraggio capace di mettere in evidenza i fattori facilitanti il percorso di inserimento lavorativo. Alla conclusione del percorso progettuale 4 soggetti su 10 hanno raggiunto l’obiettivo dell’azione intrapresa, ovvero l’ingresso definitivo nel mondo del lavoro. Il bisogno del soggetto che accede all’inserimento lavorativo va di pari passo con il desiderio di un compimento di sé, di una realizzazione del proprio essere, pertanto tutto questo si raggiunge solo attraverso il dialogo costante tra i diversi attori coinvolti dal processo, dialogo che deve essere a lungo termine e deve accompagnare l’intero processo di inserimento. IA.2.4.4 Inclusione Sociale Regione Puglia Rilevare le caratteristiche quantitative e qualitative del disagio sociale in Puglia conduce su un percorso di lavoro poco agevole, sia perché la stessa definizione di disagio è suscettibile d’interpretazioni differenti, sia perché non esistono basi di dati adeguate. La l.r. n. 17/2003, istituendo – all’art. 11 – il sistema informativo regionale, interviene a sanare una situazione di grave “carenza conoscitiva” sui bisogni e sulla domanda di servizi socio-assistenziali della popolazione pugliese, elementi imprescindibili per una coerente ed efficace programmazione tecnico-politica in ambito sociale. La stessa impostazione del percorso di stesura del Piano Sociale di Zona, saldamente fondata su un lavoro conoscitivo dei bisogni e delle risorse di ciascun territorio intende attivare un ciclo virtuoso di produzione di informazioni che, messe a sistema, consentiranno alla Regione ed alle Province di restituire il debito informativo nei confronti dei Comuni, rispetto ai bisogni e all’ offerta regionale per i servizi di cura alla persona e alla famiglia. L’assenza di strumenti per una lettura sistematica dei bisogni emergenti sul territorio è 48 una circostanza che non va separata dalla realtà del disagio in sé, rappresentando essa stessa una fonte e un aspetto del disagio, in quanto parte integrante del complesso sistemico dei bisogni sociali. Vi è un altro problema di “sistema” che costituisce una prima fonte di grave disagio: l’accesso ai servizi. Gli utenti appaiono molto disorientati rispetto ad un’offerta che, a prescindere dalla sua disponibilità sul territorio e dalle caratteristiche quantitative e qualitative, stenta ad essere letta e conosciuta nelle sue molteplici articolazioni e nella sua integrità. Emerge, quindi, un bisogno di porte uniche d’accesso ai servizi che, attraverso attività di ascolto, informazione e orientamento, diano risposte organiche ai singoli cittadini sulla base del complesso sistema di bisogni di cui essi sono portatori. Il comma 1 dell’art. 27 della l.r. n. 17/2003, con la definizione del segretariato sociale, interviene a porre rimedio a questa diffusa esigenza. Si tratta, tuttavia, di un problema di carattere anche culturale, che tocca soprattutto le fasce più deboli della popolazione, quelle che più di altre si candidano ad essere beneficiare del sistema dei servizi socio-assistenziali. Le fasce agiate, del resto, non ne sono esenti, ma per motivi diversi: la fruizione dei servizi è ancora considerata in molti contesti come stigmatizzante in sé, anche laddove emergono bisogni specifici che, attraverso quei servizi, troverebbero adeguata soddisfazione (si pensi al sostegno psico-sociale). Occorre per questo che vengano promosse azioni mirate alla diffusione di una cultura della fruizione dei servizi, all’incremento del grado di consapevolezza dei cittadini rispetto ai propri diritti sociali e alle modalità per renderli concretamente esigibili. L’approvazione della l.r. n. 17/2003 rappresenta una tappa importante per l’intero sistema dei servizi sociali in Puglia, sia per il valore simbolico della legge, che per i suoi contenuti e per i processi di cambiamento e di innovazione che aspira ad attivare sul territorio regionale. Per la prima volta la Regione Puglia si è dotata di una legge quadro per il riordino dell’intero sistema dei servizi socio-assistenziali per le famiglie e per le persone, che rende cogenti i principi della legge n. 328/2000 sul territorio pugliese, e che definisce l’articolazione dei servizi sociali sancendo l’universalità del diritto di accesso ai servizi, che non sono più da intendersi come servizi residuali, per l’intervento in situazioni di disagio estremo e di emergenza sociale per quanti non hanno risorse né opportunità di inclusione sociale, bensì vanno intesi come una rete di servizi per tutti gli individui e le famiglie, cui accedere a condizioni differenziate in relazione agli specifici bisogni (progetti personalizzati e priorità di accesso) ed alle rispettive condizioni economiche di accesso (criteri per la compartecipazione al costo delle prestazioni sociali). La realizzazione del “sistema integrato di interventi e servizi sociali in Puglia” si attua, nel rispetto dei suddetti principi, in base alle seguenti priorità di metodo : - rilevazione dei bisogni, - programmazione degli interventi, - impiego delle risorse in relazione alle priorità e alla valutazione dei risultati, - integrazione con gli interventi sanitari, dell’educazione, dell’istruzione, della formazione professionale, dell’avviamento e reinserimento al lavoro, dell’ambiente, della cultura, del tempo libero, dei trasporti e delle comunicazioni. 49 Ma innanzitutto la Regione assolve, con il Piano Regionale delle Politiche Sociali, al compito fondamentale di disegnare le caratteristiche strutturali del sistema integrato di interventi e servizi sociali, a partire dalle priorità strategiche di sviluppo dell’offerta dei servizi. Dalle priorità strategiche discendono, quindi, le priorità di intervento in termini di: - livelli essenziali di assistenza; - requisiti minimi di qualità del servizio e delle strutture; - modalità di attuazione delle strategie di intervento con percorsi graduali e tipologie di servizi da garantire; - modalità per garantire il diritto di partecipazione sin dalla fase di programmazione e l’esercizio dei diritti di cittadinanza per tutti i cittadini; - potere sostitutivo regionale laddove gli Enti Locali non recepiscano le direttive regionali, non rispettino i tempi fissati per la programmazione locale, non favoriscano la partecipazione di tutti i soggetti aventi diritto al percorso di programmazione ed alle attività di controllo della qualità sociale del sistema di offerta. Sul piano procedurale il Piano Regionale delle Politiche Sociali consente alla Regione di definire il percorso di transizione dal vecchio al nuovo sistema di gestione dei servizi, con la revisione dei registri regionali dei servizi e delle strutture, l’introduzione dei criteri di accreditamento, il nuovo sistema di competenze delle Autonomie Locali, la trasformazione di enti o soggetti preesistenti. L’esigenza di dare attuazione alla spinta riformatrice che a livello regionale ha trovato consacrazione con la l.r. n. 17/2003 e di rispettare i tempi previsti dalla stessa legge per avviare i percorsi di programmazione locali e per erogare le risorse finanziarie, impone di privilegiare “uno stile programmatorio essenziale e selettivo”. Si intende così favorire la formulazione di priorità strategiche e di indirizzi operativi atti a guidare i Comuni, singoli e associati, nell’avvio del proprio percorso di programmazione, fondato su analisi dell’esistente condotte ad un più adeguato livello di dettaglio territoriale. In questo modo sarà possibile offrire elementi di conoscenza da presentare alla Regione, per la ricostruzione di un quadro complessivo del sistema di domanda e di offerta regionale, sulla base del quale intraprendere un più proficuo percorso di riprogrammazione per il consolidamento di scelte strategiche già assunte e per l’adeguamento di obiettivi e metodi assunti con taluni interventi rivelatisi non adeguati. Proprio in virtù di tali considerazioni, il Piano Regionale delle Politiche Sociali dedica una particolare attenzione alla presentazione degli strumenti necessari per raccogliere dati e condurre analisi il più possibile omogenee per tutti gli ambiti territoriali in cui risulta articolata la Regione, che possano ritornare all’Assessorato ai Servizi Sociali in una forma utile per le successive aggregazioni e restituzioni, nel pieno riconoscimento di un debito informativo reciproco tra la Regione e le Autonomie Locali, capace di accrescere la qualità della programmazione sociale a tutti i livelli. 50 IA.2.4.4.1 Buone Prassi Regione Puglia (Bari) PROGETTO LINCS Sviluppo Destinatari Soggetti disabili Ente attuatore Ministero del Welfare e agenzia governativa Italia Lavoro Obiettivi e risultati Il progetto Lincs-Sviluppo territoriale e inclusione sociale, avviato dal ministero del Welfare, sotto il coordinamento di Italia Lavoro, promuove una strategia volta a favorire lo sviluppo dell’occupazione e dell’inserimento lavorativo delle fasce svantaggiate della popolazione, in coerenza con le strategie di intervento stabilite dall’Unione europea. L’iniziativa intende sostenere tutti i soggetti impegnati sul fronte dell’inclusione sociale delle cosiddette fasce deboli del mercato del lavoro, in particolare le amministrazioni provinciali (per facilitare le politiche attive destinate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e delle persone con disabilità), e le aziende, per fornire uno strumento aggiuntivo necessario all’adempimento dell’obbligo sul collocamento delle persone con disabilità (legge 68/99) e per sviluppare azioni di responsabilità sociale, e le cooperative sociali di integrazione lavorativa per avere maggiori opportunità di consolidare e sviluppare la loro azione di inclusione. La sperimentazione, dopo un approccio integrato fra politiche del lavoro e politiche sociali, ha previsto l’elaborazione di operativi congiunti, con le istituzioni e le cooperative sociali. E, fra quest’ultime, sono state valorizzate proprio quelle che si dedicano all’inserimento delle persone con maggiori difficoltà. Progetto ICF e Politiche del Lavoro Destinatari Soggetti disabili Ente attuatore Italia Lavoro Obiettivi Progetto Icf e Politiche del lavoro intende sensibilizzare e formare gli operatori del settore sulla nuova classificazione delle disabilità introdotta dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Il progetto mira ad avviare percorsi di inclusione e integrazione lavorativa sulla base di cosa una persona con disabilità, effettivamente, ‘possa fare’. Con si punto a superare la logica del collocamento obbligatorio, qualificando l’esperienza acquisita con gli anni e alzando lo standard qualitativo delle politiche d’inserimento, 51 attraverso convenzioni e interventi mirati. Per la formazione metteremo a disposizione 15 operatori tra quelli già impegnati su questa fascia di lavoratori. La provincia di Taranto non è stata scelta a caso tra quelle candidate a ospitare la sperimentazione della classificazione Icf. Grazie alla legge 68 del 1999, infatti, sono state, realizzate circa 700 assunzioni di disabili, molti dei quali con disturbi psichici. Inoltre, tra la Asl di Taranto e le aziende locali sono state stipulate oltre 300 convenzioni per l’inserimento lavorativo dei disabili, soprattutto nei settori della ristorazione, del commercio e dei servizi. Grazie al progetto si punta a creare un sistema di valutazione, universale e condiviso, in grado di individuare lo stato di salute della persona, vista come una risorsa e non come un obbligo per l’impresa che deve assumere”. SPINN (Servizi per l’impiego network nazionale) Destinatari Soggetti extracomunitari Ente attuatore Centro per l’impiego della provincia Lecce Obiettivi e risultati Con l’avvio del progetto “Sperimentazione di un modello di inserimento di lavoratori immigrati in attesa di occupazione in provincia di Lecce” viene ufficializzata, l’apertura dello ‘Sportello immigrati’ e la costituzione della rete locale per il lavoro. In particolare, il progetto è rivolto agli immigrati che abbiano perso il posto di lavoro e rischiano, di conseguenza, l’espulsione in caso di disoccupazione superiore ai sei mesi. Obiettivo della provincia di Lecce è quello di sperimentare un progetto trasferibile in altre realtà per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei cittadini extracomunitari disoccupati. Con il supporto tecnico di Italia Lavoro, è è stato attivato lo ‘Sportello immigrati’ nei centri per l’impiego di Lecce, Galatina e Poggiardo, e costituita la rete locale per il lavoro tra i diversi attori sociali che si occupano di immigrazione. Lo ‘Sportello immigrati’, fornisce consulenza sul lavoro agli extracomunitari e ai datori di lavoro che hanno o che vogliano iniziare un rapporto di lavoro con cittadini stranieri. Sono previsti, inoltre, servizi di accoglienza, informazioni su offerte di lavoro e percorsi formativi, colloqui di orientamento, incrocio tra domanda e offerta, preselezione e accompagnamento per l’inserimento nel mercato del lavoro. Progetto OTHERSIDE Destinatari Fasce deboli (tossicodipendenti in particolare) Ente attuatore Comune di Bari e Regione Puglia 52 Obiettivi e risultati Gli obiettivi del progetto sono principalmente quelli di offrire ai soggetti destinatari un servizio informativo, di orientamento e consulenza, mediante colloqui individuali, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza e conoscenza dei propri diritti e responsabilità; inoltre, quelli di mettere in comunicazione alcune fasce svantaggiate di lavoratori appartenenti a settori della società a rischio di emarginazione, con il mondo del lavoro. Lo sportello ha attivato una serie di attività di consulenza per l’inserimento nel mondo del lavoro, a disposizione dell’utenza in determinati giorni della settimana. Le attività previste dal progetto sono supportate dall’attenzione delle organizzazione del terzo settore, chiamate a dare una risposte alle difficoltà incontrate dall’utenza. Progetto Informadonna Destinatari Donne residenti nel centro storico, disoccupate di lunga durata. Ente attuatore ATI con capofila Mediaterranea Onlus, ENAIP PUGLIA Obiettivi e risultati L’obiettivo prioritario del progetto è quello di rispondere ai bisogni di integrazione economica e sociale delle donne della città di Lecce, in particolare, delle donne residenti nel centro storico, quartiere che presenta una serie di problematiche sociali tra le quali disoccupazione, riduzione della popolazione attiva, degrado abitativo, rischio di devianza e bassa scolarizzazione. Si è pertanto giunti alla progettazione ed implementazione di un modello possibile ed innovativo di uno sportello informativo che fosse anche centro di aggregazione ed assistenza per le donne in stato di marginalità. La risposta all’integrazione è garantita da un sistema articolato ed integrato di bisogni, informazione e consulenza attivo tutti i giorni nel cuore del quartiere interessato. È stata creata una struttura capace di affronatre e risolvere, parte dei problemi di crescita e sviluppo, INFORMADONNA appunto, centro di informazioneorientamento-iniziative al femminile. Nel centro le donne sono state avvicinate da percorsi di formazione, di ricerca del lavoro, di conoscenza dei diritti. IA.2.4.5 Inclusione Sociale Regione Piemonte La Provincia di Torino, in coerenza con la Legge costituzionale n. 3/01 “Modifiche al titolo V della parte 2° della Costituzione”, con il Decreto legislativo 469/97 e con le Leggi Regionali 41/2000, ha individuato i confini legislativi entro i quali poter esercitare in modo ampio e integrato a livello locale, tutte le potenzialità che le nuove competenze possono offrire. Dal 25 novembre 1999, ha assunto il compito di gestire i Servizi pubblici per l’impiego, realizzare politiche attive del lavoro e integrare queste ultime con il sistema della Formazione e dell’Istruzione. La Provincia ha, infatti, recentemente 53 ridefinito la propria struttura organizzativa – DGP n. 266-71483 del 27/03/2001scegliendo di integrare in un’unica area l’Istruzione, la Formazione Professionale, il Lavoro e la Solidarietà Sociale, rispondendo così alle istanze promosse dalla riforma. La Provincia, nel suo nuovo ruolo di ente che coordina e promuove le forme di interazione/integrazione tra scuola, formazione professionale, mondo del lavoro, servizi di orien-tamento e counselling per giovani, è oggi il soggetto istituzionale che ha le maggiori responsabilità nelle strategie di sviluppo di sistemi territoriali integrati di istruzione, formazione, lavoro. In tutti i CPI della Provincia di Torino è consolidata ormai l’integrazione di tale attività di orientamento dedicata ai giovani in situazioni di disagio scolastico; grazie a risorse economiche del Ministero del Lavoro, indirizzate dalla Regione Piemonte ai servizi di orien-tamento per l’obbligo formativo, è stato possibile progettare, realizzare e monitorare iniziative di diverso tipo: • azioni curative, rivolte agli adolescenti che hanno abban-donato o che rischiano di abbandonare il loro percorso scolastico-formativo; • azioni preventive, attraverso interventi nelle scuole e nelle agenzie formative per orientare e sensibilizzare classi, fa-miglie e insegnanti, anche su richiesta individuale. Dopo aver individuato, dall’analisi di più fonti, i giovani in situazioni di difficoltà, la Provincia di Torino interviene per sondare la loro disponibilità ad intraprendere un percorso orientativo. Le possibili azioni successive sono: il colloquio informativo, la consulenza orientativa (e, in alcuni casi, il bilancio motivazionale e attitudinale condotto da specialisti abilitati), il tutoraggio per un rientro a scuola o in formazione, la ricerca e l’impostazione di un’esperienza di stage, di apprendistato o di tirocinio. Nel marzo del 2003 sono state avviate le azioni previste dal Programma provinciale predisposto in attuazione del P.O.R. ob. 3. Il Programma, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, ha tra i suoi obiettivi la sperimentazione di servizi “preventivi” alla disoccupazione di lunga durata, attra-verso la realizzazione sia di azioni “curative” rivolte a persone disoccupate e inoccupate da lungo tempo sia di misure specifiche da dedicare a fasce deboli a rischio di esclusione sociale. Le attività sono state affidate attraverso bandi pubblici predisposti in coerenza con l’orientamento del Programma di pro-muovere e sviluppare reti locali per il lavoro e l’occupazione. Le azioni sono state declinate per aree territoriali, corrispondenti ai bacini dei nuovi CPI opportunamente aggregati, sul modello degli accordi territoriali già avviati per lo sviluppo locale e le politiche occupazionali. Nel corso del 2003 il Servizio Lavoro ha continuato la colla-borazione con la Consiglierà di Parità e con i servizi di Solida-rietà Sociale e Sviluppo Risorse Umane per giungere a una effettiva applicazione del principio di mainstreaming di genere. Coerentemente agli obiettivi generali della Provincia in quest’ambito, sono proseguite le attività del Gruppo di Lavoro Tecnico Interarea volte a ideare, elaborare e monitorare i pro-getti di pari opportunità. Nel 2003 il Servizio Lavoro ha collaborato alla realizzazione di iniziative: a favore, inoltre, delle persone disoccupate - prioritaria-mente donne che si trovassero a fronteggiare situazioni di cura verso figli minori, anziani non autosufficienti, portatori di handicap, 54 malati cronici o terminali - sono stati messi a disposizione dei contributi (voucher) per l’acquisto di servizi alla persona. Il contributo è rivolto a quelle per-sone, disponibili al lavoro, che partecipano a programmi per migliorare la propria occupabilità (corsi di formazione, tirocinio ecc.) o sono già stati avviati al lavoro. La Regione Piemonte è da anni impegnata nell’attivazione di azioni che possano consentire l’ingresso o il ritorno sul mercato del lavoro delle fasce più deboli della popolazione, disoccupati al limite della soglia di povertà e soggetti svantaggiati. Torino, una delle città più industriali del nord Italia, capitale della produzione automobilistica, sta vivendo una difficile congiuntura dell’economia, dovuta in particolare alla crisi industriale del settore automotive, del tessile, delle TLC e della informatica diffusa ed a una più generale stagnazione. L’attuale congiuntura amplifica alcuni nodi strutturali del mercato del lavoro torinese, quanti subiscono nel breve periodo le conseguenze della nuova crisi rischiano di allargare l’area sociale popolata dalle fasce deboli. Se è pur vero che i dati segnalano un tasso di disoccupazione attestato intorno al 6%- 7%, va detto anche che evidenziano un decremento del lavoro dipendente nel comparto industriale, questo decremento è in parte compensato da un aumento nell’edilizia e nel terziario che ha però risposto al frangente attuale ampliando i margini di flessibilità verso la precarietà, con il ricorso a forme di impiego “atipiche”. I dati sulla disoccupazione ci dicono che le fasce più critiche riguardano gli adulti tra i 40 ed i 50 anni, con bassa scolarità ed in particolare le donne, ma siamo in una situazione in cui anche i giovani, i pochi giovani rispetto agli adulti trovano perlopiù solo forme di lavoro flessibile che molto spesso non si traducono in lavoro stabile, ed in troppi casi vanno verso una posizione di precarietà . La centralità dell’ Ente provinciale in materia di gestione delle politiche del lavoro non solo non viene misconosciuta dedicando un capitolo alla città di Torino ma anzi esaltata: la legge regionale del Piemonte n. 41 del dicem-bre 98 “organizzazione delle funzioni regionali e locali in materia di mercato del lavoro” attuativa del D.Lgs 469/97, prevede che le Province possano stipulare convenzioni con i Comuni ai fini di ampliare l’offerta di servizi agli utenti. La Provincia di Torino convenzionandosi con il Comune per la gestione e l’integrazione dei servizi per l’impiego e delle politiche del attive del lavoro ha promosso l’aggregazione di risorse e competenze, generando valore aggiunto nei servizi erogati L’ottica di sussidiarietà, di vicinanza dei servizi ai cittadini, la capacità di fornire diverse possibilità di scelta all’utenza in cerca di occupazione che l’esperienza presentata del Comune di Torino mette in evidenza è certamente molto positiva. Essa infatti, per le competenze che mette in gioco, per le risorse economiche che vi dedica, per la capacità di condurre all’unità tutti gli interventi comunali in materia di politiche attive e passive del lavoro è da considerarsi un ottima prassi. La pluralità di soggetti che si attivano a seconda delle esigenze del cittadino (dalle agenzie formative, ai servizi di prossimità, dal privato sociale all’associazionismo), l’esi-stenza di procedure per la messa in comune di informazioni e presa in carico congiunta degli utenti sono infatti un indicatore sostanziale della non casualità delle collaborazioni fra i diversi soggetti. 55 IA.2.4.5.1 Buone Prassi Regione Piemonte (Torino) Progetto S.O.N.A.R. ( Sistema Operativo Negoziale Attivazione Risorse) Destinatari Disabili con un invalidità compresa tra il 35% ed il 45%; persone seguite dai servizi sociali, traumatizzati, immigrati ecc. Ente Attuatore Provincia di Novara Obiettivi ed attività realizzate Il progetto nasce dall’esigenza di rispondere a due ordini di problemi rilevati nel territorio della provincia di Novara; una effettiva discriminazione all’accesso al mercato del lavoro di soggetti disabili e la mancanza di lavoro di rete ed integrato tra Servizi territoriali (servizi sociali, centri per l’impiego, sportelli lavoro, centri di salute mentali ecc.) L’obbiettivo principale del progetto è l’inserimento al lavoro di 50 soggetti beneficiari finali della sperimentazione; l’elaborazione e la sperimentazione di Servizi di Mediazione al Lavoro; l’elaborazione di un modello di responsabilità sociale delle imprese, finalizzato a formalizzare con parti sociali, datoriali ed istituzionali , i percorsi di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. A tal fine viene elaborato il modello del Case Managment, un nuovo ruolo professionale che si occupi di attivare e gestire la rete (nel caso di S.O.N.A.R. sono state formate 9 donne Case Manager). Protocollo di Intesa firmato tra l’Amministrazione Penitenziaria e la Regione Piemonte Destinatari Ex detenuti Ente attuatore Regione Piemonte Obiettivi ed attività realizzate Il Gruppo Operativo Locale (attivato sulla base del Protocollo di Intesa firmato tra l’Amministrazione Penitenziaria e la Regione Piemonte) è coordinato dal SIL. Le risorse disponibili vengono messe in rete, in modo da consentire ai beneficiari di seguire percorsi articolati, ma coerenti e finalizzati al lavoro. Il GOL è formato da operatori che fanno riferimento ai diversi Enti pubblici e privati operanti nel settore. Vengono annualmente riproposti al finanziamento regionale progetti per detenuti L.R.45/ 99(progetti di durata triennale presentati dalle Amministrazioni centrali con lo scopo di promuovere azioni nei settori della prevenzione, accompagnamento al lavoro e formazione professionale). 56 Progetto Occupabilità: CO.ME (immigrati stranieri) Destinatari Donne immigrate Ente Attuatore Regione Piemonte Obiettivi e risultati Il Progetto CO.ME. ha avuto tra le sue finalità la sperimentazione di concreti percorsi di inserimento lavorativo da sviluppare attraverso la rete di partnership del Progetto stesso. A questo scopo si è identificato come passo prioritario la costituzione di una prima Banca Dati delle risorse immigrate e delle richieste delle aziende come primo strumento comune delle rete, finalizzata alla: • Definizione di modelli unitari per la raccolta di Curricula di cittadini immigrati che rendano omogenee le modalità di raccolta delle informazioni tra le strutture della PS rappresentanti gli immigrati ; • Definizione di modelli unitari di schede di richieste di profili professionali da parte delle imprese; • Identificazione di un software di gestione dell’incrocio domanda/offerta che consenta la consultazione della base di dati secondo alcune “macro aree” professionali; • Verifica di compatibilità degli strumenti di Banca Dati allestiti dal progetto con il sistema di Banche Dati del servizio pubblico al fine di garantire la comunicabilità tra le reti. Il progetto ha dato vita alla, in collaborazione con il partner Confcooperative, una specifica attività di selezione e promozione di lavoratori immigrati nell’area dei servizi alle persone (in particolare animatori ed educatori) presso le Cooperative sociali di tipo A; come pure di promozione di nuove cooperative sociali formate in prevalenza da cittadini immigrati; ha costruito specifici percorsi di promozione per l’inserimento lavorativo di immigrati con profili professionali medio-alti, selezionando personale immigrato che avesse caratteristiche adeguate per essere impegnato nei seguenti settori come commercio e i servizi turistici nell’area della Val di Susa. Progetto VALORE LAVORO: VAlorizzazione LOcale delle REti per il LAVORO Destinatari Soggetti svantaggiati Ente Attuatore Obiettivi ed attività realizzate Il Progetto Valore Lavoro vuole promuove un nuovo intervento, in materia di politiche 57 attive del lavoro, che si caratterizza per fornire strumenti rinnovati rispetto a quelli dei programmi tradizionali. Il territorio come risorsa, come potenzialità, come insieme di soggetti che hanno dei saperi, delle competenze, delle abilità che producono sviluppo, può orientarsi verso nuovi orizzonti etici e di sviluppo socioeconomico. Valore Lavoro sceglie di promuovere la costruzione di azioni sul territorio che determinino un dialogo costruttivo, tra gli attori che popolano la scena locale, per definire un quadro conoscitivo condiviso; la crescita dell’interazione finalizzata alla progettazione ed all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati nel contesto sociale urbano; un ruolo di pilotaggio delle Istituzioni, con particolare riferimento alla capacità di figure professionali differenti a lavorare “insieme”, nella costruzione di un coordinamento tra i diversi attori/agenti sociali. Di qui la necessità di fornire sistemi di interventi integrati, con azioni che riguardano la realizzazione di due particolari obiettivi: 1) messa a punto di un modello teorico/operativo che veda nella costituzione di una rete locale robusta (equipe territoriale), il baricentro delle azioni a favore dell’inclusione sociale/lavorativa di soggetti in difficoltà; 2) l’inserimento lavorativo vero e proprio, attraverso l’accompagnamento di un centinaio di giovani in difficoltà, in particolare scelti tra quelli conosciuti dalle realtà operanti a livello territoriale. Progetto DEDALO Destinatari Soggetti immigrati Ente Attuatore CNA di Torino Obiettivi e risultati Il progetto “Dedalo” nasce dalla constatazione che sono numerose le barriere incontrate dal cittadino non comunitario orientato all’autoimpiego: innanzitutto le barriere linguistiche, poi le difficoltà di conoscenza delle leggi e dei regolamenti, infine le barriere culturali e di co-stumi (valori, abitudini di vita, abitudini di mercato, dinamiche relazionali, etc.) che variano a secondo della provenienza dell’interessato. Il servizio di accompagnamento attivato dal progetto ha avuto come oggetto non soltanto le imprese in corso di costituzione, ma anche le imprese di cittadini non comunitari già esistenti possono rivolgersi a Dedalo per migliorare la gestione o essere certi che l’impresa risponde agli obblighi di legge. Grazie al Progetto Dedalo dal mese di settembre del 2000 ad oggi (dati aggiornati all’1 marzo 2004) a Torino e provincia sono nate 106 imprese i cui titolari sono cittadini stranieri non comunitari. Sono state erogate complessivamente 640 consulenze di accoglienza. Le imprese avviate sono principalmente relative al comparto delle costruzioni, (edilizia ed impiantistica), del commercio, dei servizi alla persona, della produzione di alimentari (ga-stronomia e 58 ristoranti), dei servizi informatici e telefonici e dell’artistico. A 3 mesi dalla conclusione della fase 3 del progetto, i dati sono parti-colarmente significativi: partendo da 180 incontri preliminari con stranieri interessati alla creazione d’impresa (donne 51 – uomini 129) Dedalo ha consentito la nascita di 21 imprese che portano a 106 il totale dall’avvio del progetto. IA.2.4.6 Inclusione Sociale Regione Sardegna La Regione Sardegna, con il presente Piano dei servizi sanitari e sociali, definisce e organizza un sistema di servizi ed interventi chemette al centro la persona e le famiglie, valorizza le risorse delle comunità locali, promuove l’esercizio dei diritti di cittadinanza. La programmazione e l’attuazione di servizi in tal modo orientati richiede la corresponsabilità e la partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni, delle famiglie, degli operatori e dei loro organismi di rappresentanza, dei soggetti della cooperazione sociale, dell’associazionismo di promozione sociale e del volontariato, delleaziende pubbliche di servizi alla persona, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, delle Fondazioni, degli Enti di patronato e degli altri soggetti di cui all’articolo 1, commi 4 e 5 della legge n. 328 del 2000. I principi ispiratori del Piano dei servizi sanitari e sociali - universalità, responsabilità e partecipazione - sono in linea con il processo di rinnovamento del welfare avviato dalla legge nazionale 328/2000 ed in parte già anticipato dalla legge regionale 4/1988. Il Piano dei servizi sanitari e sociali promuove e sostiene: - il riconoscimento della dignità della persona quale prima destinataria degli interventi e dei servizi; la centralità delle comunità locali, intese come sistema di relazioni tra le persone, le istituzioni, le famiglie, le organizzazioni sociali - ognuno per le proprie competenze e responsabilità per promuovere il miglioramento della qualità della vita e delle relazioni tra le persone; - il valore ed il ruolo delle famiglie, quali ambiti di relazioni significative per la crescita, lo sviluppo e la cura della persona, anche attraverso il perseguimento della condivisione delle responsabilità tra donne e uomini; - la partecipazione attiva dei cittadini, delle organizzazioni di rappresentanza sociale, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti; - la sussidiarietà verticale ed orizzontale, mirata a riconoscere ed agevolare il ruolo dei soggetti del terzo settore nella gestione dell’offerta dei servizi; - la reciprocità come risorsa sociale nelle iniziative di auto aiuto delle persone e delle famiglie che svolgono compiti di cura; l’autonomia e la vita indipendente, con particolare riferimento al sostegno alle scelte di permanenza al proprio domicilio delle persone in condizioni di non autosufficienza o con limitata autonomia; - il diritto all’educazione ed all’armonico sviluppo psico-fisico dei bambini e degli adolescenti, nel rispetto del diritto alla partecipazione alle scelte che li riguardano. In particolare, la Regione tutela il diritto dei cittadini all’informazione ed il loro diritto di accesso (orientamento e accompagnamento) ai servizi e alle prestazioni. La Regione, inoltre, garantisce l’equità degli interventi determinando le priorità di accesso ed i criteri di valutazione del bisogno; promuove un sistema di welfare che tutela in via prioritaria i più deboli, le estreme povertà, gli esclusi. 59 Il sistema di welfare italiano è la concreta espressione della cultura regionale del prendersi cura, dell’impegno solidale, del dare risposte ai bisogni primari. Grazie a tale cultura la partecipazione e la responsabilità hanno trovato e dato nel tempo soluzioni concrete ai bisogni umani fondamentali. Oltre che sulla base della demografia, i bisogni della popolazione possono essere descritti in termini di epidemiologia sociale e sociosanitaria. Gli indicatori di epidemiologia sociale sono ancora carenti, e consentono solo in parte valutazioni comparative di tipo interregionale e intraregionale. Ciò nonostante, è possibile un primo quadro d’insieme sulla base dei dati Istat (e di altre fonti ufficiali) con riguardo ai fenomeni più rilevanti per la realtà sarda. I bisogni considerati sono relativi a: minori in difficoltà e giovani a rischio, disabilità, anziani, dipendenze, salute mentale, povertà economica/indigenza, lavoro/disoccupazione, devianza e detenuti, immigrati extracomunitari. Al fine di facilitare valutazioni comparative rispetto al resto della nazione, per ognuno di essi viene presentato il valore regionale e quello nazionale, in modo da facilitare un confronto tra la Sardegna e il resto del Paese. A tal fine sono stati utilizzati dati ufficiali (Istat o altre fonti pubbliche) dell’ultimo anno utile. Emerge una situazione con luci e ombre, in ragione sia della frammentarietà delle informazioni disponibili sia della complessità del contesto regionale. Particolare attenzione meritano i dati relativi alla disabilità, alla salute mentale, alla povertà economica e all’occupazione, i cui valori rivelano situazioni problematiche, da considerarsi prioritarie. Partendo dall’analisi dei bisogni, il Piano sceglie alcune priorità sulle quali appare strategico intervenire. Gli obiettivi delineati coinvolgono trasversalmente le politiche sociali, le politiche sociosanitarie e quelle sanitarie. Le priorità sono individuate in relazione ad aspetti problematici e a preoccupazioni sociali diffuse. Ciascuna priorità è di importanza strategica. Le questioni a cui il piano dedica attenzione primaria sono dieci, esse sono elencate di seguito (la sequenza non ha alcun valore gerarchico). 1. La bassa natalità, che vede la Sardegna al di sotto della media nazionale; 2. il rapido invecchiamento della popolazione; 3. il capitale umano della Regione ed le sue potenzialità di sviluppo; 4. le condizioni di vita familiare, le forme di sostegno delle responsabilità genitoriali, i carichi di cura; 5. i rapporti tra generazioni e le condizioni per incrementare il sostegno reciproco; 6. la povertà e l’esclusione sociale; 7. le persone più deboli e fragili, in particolare per limitazioni psicofisiche e non autosufficienza; 8. il disturbo mentale e le sue conseguenze sulla vita personale e familiare; 9. i comportamenti potenzialmente autolesivi e il loro impatto sociale; 10. la promozione della cultura della partecipazione, della legalità e della sussidiarietà. 60 Oltre alle azioni delineate in precedenza, il Piano propone lo sviluppo di azioni di livello regionale, e di competenza della Regione, volte a sostenere lo sviluppo qualitativo del sistema di welfare della Sardegna, in particolare nella impegnativa fase di transizione verso il nuovo sistema integrato di servizi alla persona. Esse riguardano sia aspetti problematici sui quali l’intero sistema nazionale di welfare è impegnato (e rispetto ai quali la Sardegna intende essere propositiva), sia azioni specifiche volte a superare difficoltà proprie della realtà isolana. Le azioni regionali sulle quali si ritiene opportuno concentrare l’attenzione sono, in particolare, le seguenti: 1. strategie per la progressiva messa punto dei livelli essenziali di assistenza e cittadinanza sociale, con riferimento alle aree di bisogno indicare nell’art. 22 della legge 328/2000, attraverso azioni finalizzate alla definizione dei contenuti dei livelli essenziali di assistenza, all’avvio di sperimentazione, alla realizzazione di percorsi formativi e di accompagnamento ella valutazione partecipata dei risultati; 2. riduzione delle disuguaglianze ed equità nella garanzia del sistema di tutela, attraverso azioni finalizzate alla conoscenza dei problemi, al riequilibrio dell’offerta e della spesa, all’impegno esplicito della programmazione locale e alla valutazione di efficacia; 3. formazione delle risorse umane e professionali in tutte le aree di servizio alle persone, attraverso azioni finalizzate a conoscenza e valutazione dei bisogni formativi; attuazione di azioni formative finalizzate a garantire il necessario supporto alla realizzazione delle priorità; preparazione dei formatori; produzione di sussidi, supporti metodologici, didattici e di soluzioni facilitanti l’apprendimento dall’esperienza; valutazione dei risultati conseguiti dalle azioni formative. IA.2.4.6.1 Buone Prassi Regione Sardegna (Cagliari) Progetto Rientro Destinatari 30 soggetti di circa 50 anni, disoccupati in condizione di disagio. Ente attuatore Direzione Provinciale del Lavoro-Sezione Circoscrizionale per l’impiago di Cagliari (soggetti coinvolti: Comune di Cagliari, Associazioni di categoria,Assessorato alle Politiche Sociali, Organizzazioni Sindacali). Obiettivi e risultati Il Progetto Rientro non si propone di risolvere il problema della disoccupazione, ma è finalizzato a: 61 -permettere a persone, che hanno difficoltà a rapportarsi in modo autonomo, responsabile ed adulto con il mondo del lavoro, di recuperare e strutturare le proprie competenze con l’aiuto degli operatori; -aiutare l’individuo a reintegrarsi nella società e realizzarsi; -rinforzare la stima di sé e delle proprie capacità; -favorire la strutturazione della giornata per coloro che si trovano spesso emarginate e senza possibilità di fare altro. Il tirocinio proposto nell’ambito del progetto si pone come strategia d’intervento nell’ambito di un processo d’aiuto professionale; ciò presuppone da parte dell’assistente sociale titolare del caso un’approfondita analisi della situazione di disagio, una valutazione preliminare ed operativa, l’elaborazione del progetto di intervento e del contratto, la realizzazione della strategia di intervento e la valutazione dei risultati. Nell’ambito del progetto è stato stipulato un protocollo d’intesa tra le Associazioni di Categoria, Sindacati, Comune di Cagliari e Cooperative coinvolte, che si propone di creare un dialogo finalizzato alla risoluzione di un problema come quello della disoccupazione della cittadinanza, attraverso strategie di intervento nell’ambito di un processo di aiuto professionale ai soggetti svantaggiati; attraverso il tirocinio formativo permette a persone in difficoltà di rapportarsi in modo autonomo con il mondo del lavoro. Agenzia IIEX Destinatari Soggetti Extracomunitari Ente Attuatore L’iniziativa è della Cooperativa sociale CTR (Comunicazione territorio relazioni) Obiettivi ed attività previste L’Agenzia LLEX è una struttura in cui lavorano quattro mediatrici culturali, uno della Provincia, una psicologa del lavoro, un’operatrice addetta all’accoglienza, una psicologa e una consulente legale, che ascoltano le richieste degli immigrati, li aiutano a predisporre un curriculum – il cosiddetto “bilancio personale” di competenze--, aspirazioni e titoli di studio conseguiti nel Paese d’origine - e a trovare imprese o famiglie che abbiano bisogno del loro contributo lavorativo. Agli immigrati, in regola con il permesso di soggiorno, vengono offerte anche opportunità formative e un servizio di affiancamento durante il periodo d’inserimento lavorativo in imprese o famiglie. Fra i servizi dell’agenzia, una banca dati, sia degli immigrati che degli aspiranti datori di lavoro, i quali verranno contattati anche tramite screening telefonico e associazioni di categoria; un servizio di traduzione e di diffusione di materiale informativo multilingue, in particolare sulle modalita’ d’ingresso regolare, e istituirà una rete di contatti con associazioni, sindacati o altre strutture che forniscono assistenza legale, alle quali indirizzare gli utenti per consulenze più approfondite. 62 Progetto SPINN e progetto LINCS (vedi schede delle buone prassi relative alla Regione Puglia) Progetto RAGEP (ricerca azione su genere e professione) Destinatari Giovani donne laureate in aree professionali a predominanza maschile Ente Attuatore Gruppo CERFE (Cerfe-Laboratorio-Asdo), il progetto coinvolge, oltre alla Ragione Sardegna, la Regione Campania e Molise. Obiettivi e risultati Il progetto si propone di combattere la segregazione occupazionale femminile, in particolare quella verticale, relativa a posizioni qualificate, decisionali e manageriali. Nel dettaglio , ha l’obiettivo di contribuire al superamento dei fattori di ostacolo che le donne incontrano nell’intraprendere percorsi lavorativi nelle aree occupazionali a dominanza maschile (indicate con la sigla ADM). Il progetto RAGEP prevede una serie di attività, tra le quali: -una ricerca sui fenomeni di segregazione delle donne nelle aree professionali a dominanza maschile, condotta in tre regioni del Mezzogiorno italiano (Campania, Molise e Sardegna); -un corso di formazione rivolto ad un gruppo di 29 donne; -un programma volto all’inserimento delle partecipanti nel mondo del lavoro, attraverso la creazione d’impresa e l’intership. -un programma di relazioni istituzionali e di comunicazione pubblica, tramite la pubblicazione di un bollettino (Carriere a Rischio). I risultati scaturiti dalla ricerca vengono utilizzati per la progettazione e la realizzazione delle fasi successive del progetto, in particolare le attività di formazione e di inserimento lavorativo. Progetto Patent Learning Destinatari Ex tossicodipendenti e soggetti svantaggiati Ente Attuatore Associazione la Tenda-Centro Solidarietà. Obiettivi e risultati Il progetto si propone di favorire l’inserimento socio-occupazionale degli ex tossicodipendenti e dei soggetti svantaggiati nell’area del Mezzogiorno, attraverso 63 l’acquisizione di competenze specifiche. Per il raggiungimento di tale obiettivo il progetto ha previsto la creazione di un ampio partenariato ed il coinvolgimento delle istituzioni del settore pubblico e delle organizzazioni del Terzo Settore. Il progetto ha previsto la promozioni di iniziative imprenditoriali di tipo cooperativo, utilizzazione di nuove tecnologie come strumento di conoscenza e scambio, ha realizzato studi e ricerche. Tra i risultati prodotti: -creazione e sperimentazione di della figura professionale del tutor del lavoro; -creazioni di quattro cooperative sociali; -utilizzo dello strumento della concertazione; -creazione di nuove imprese del settore dell’artigianato; -coinvolgimento delle organizzazione del Terzo settore in funzione di referenti delle regioni, consentendo la creazione di un osservatorio privilegiato delle situazioni di diagio. Silfi (Servizio integrazione lavorativa formazione istruzione) Destinatari Tossicodipendenti Ente Attuatore Servizio per le Dipendenze patologiche dell’Asl 1 della Regione Sardegna. Obiettivi e risultati Il Silfi (Servizio integrazione lavorativa formazione istruzione) è un settore del Servizio per le Dipendenze patologiche dell’Asl 1 della Regione Sardegna, nato con la prospettiva di offrire, alla persona impegnata in un percorso di cambiamento del proprio stile di vita e lo stesso servizio che la sta sostenendo, un punto di riferimento a interlocutori che dispongano di risorse in termini di opportunità formative e lavorative, rese attive attraverso un costante lavoro di tessitura. Tale servizio, espressione del Settore Riabilitazione del Ser.T si occupa di promuovere percorsi di integrazione sociale a favore dei soggetti tossicodipendenti; chi lavora con i tossicodipendenti sa quanto sia indispensabile strutturare percorsi di integrazione sociale accessibili e fruibili, cioè la necessità di poter contare su un contesto culturale, politico, amministrativo, sociale ed economico che possa garantire una cooperazione e un coinvolgimento nella proposta di inserimento lavorativo di ogni singolo utente. All’interno di questa logica di responsabilizzazione e collegamento tra diverse agenzie operative, il Silfi è un servizio che si colloca nello spazio intermedio tra persona tossicodipendente e contesto, agendo su entrambi gli ambiti, secondo metodiche proprie dell’intervento socio-pedagogico, di animazione sociale e di promozione delle potenzialità personali e di contesto di ciascuna persona. 64 IA.2.5 Riferimenti Normativi e Legislativi Legge 8 Novembre 2000, n° 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. La Legge 328/00 costituisce in tema di servizi. La legge si propone di prevenire il disagio,contrastare la povertà, migliorare la qualità della vita dei cittadini. Tali finalità vanno perseguite tramite la realizzazione di una rete integrata di interventi e servizi sociali (assistenza domiciliare, servizi alle persone e alle famiglie, buoni servizio, assegni e interventi di sostegno economico). Questi servizi e prestazioni sociali si aggiungono agli interventi economici quali le indennità di invalidità, l’assegno di accompagnamento, la pensione sociale, che costituiscono diritti soggettivi già previsti da apposite leggi DISABILI Legge 104/’92 La legge esprime una concezione sociale della persona con handicap al passo con i tempi e pone al centro la persona nella sua globalità, indipendentemente dallo stato e dal tipo di handicap in cui si trova, con un approccio innovativo che considera la persona disabile nel suo sviluppo unitario dalla nascita, alla presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero. Con la legge – quadro (art. 17) sono previsti dei fondi destinati per la formazione professionale, ad esempio per i tirocini, i contratti di formazione, le iniziative territoriali di lavoro guidato e i corsi prelavorativi. Legge n. 68 del 1999 Il diritto al lavoro dei disabili è regolato dalla legge n. 68 del 1999 che disciplina il collocamento mirato ovvero un sistema di collocamento al lavoro che si basa sulla concreta capacità lavorativa del soggetto svantaggiato e prevede agevolazioni contributive per le imprese e quote di riserva obbligatoria sulle assunzioni. Beneficiari: • coloro che presentano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% • persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33% • non vedenti o sordomuti • invalidi di guerra • invalidi civili di guerra e per servizio I disoccupati svantaggiati devono iscriversi alle liste provinciali del collocamento tenute dai Centri per l’Impiego. L’iscrizione consente l’inserimento in una graduatoria unica sulla base di criteri stabiliti dalle Regioni e dalle Province. Le Province e i Centri per l’Impiego, infatti, attuano le misure previste dalla legge e svolgono azioni di: • raccolta di informazioni utili alla gestione della lista di collocamento bbligatorio 65 • inserimento dei disabili • servizi di orientamento E’ utile sapere che alcune politiche attive del lavoro, tra le quali apprendistato e tirocinio, riconoscono forme di agevolazioni per i portatori di handicap. REGOLAMENTO DELLE PROCEDURE CONTRATTUALI PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO DI PERSONE SVANTAGGIATE O APPARTENENTI ALLE FASCE DEBOLI DEL MERCATO DEL LAVORO Strumenti per la realizzazione degli inserimenti lavorativi Nell’ambito di un complesso di iniziative volte a favorire la crescita dell’occupazione, la Città di Torino, attraverso i contratti per la fornitura di beni e servizi e per l’esecuzione di lavori, promuove l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate o appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro utilizzando i seguenti strumenti: a) contratti per il servizio di inserimento lavorativo; b) convenzioni con cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, 1. 381/1991; c) contratti di cui all’art. 5, comma 4,1. 381/1991. DETENUTI ED EX DETENUTI Decreto Ministeriale n. 87 del 2002 L’inserimento lavorativo dei detenuti è regolato da diverse leggi: • legge n. 193 del 2000 o legge Smuraglia, stabilisce che le imprese che assumono lavoratori detenuti o che svolgono attività formative nei loro confronti possono beneficiare di sgravi fiscali; • legge n. 381 del 1991 stabilisce che le cooperative sociali che svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate possono assumere nella misura del 30% del personale, usufruendo della riduzione delle aliquote contributive. Il Ministero del Lavoro e il Ministero di Grazia e Giustizia hanno siglato un protocollo d’intesa con il quale si impegnano a: • informare e coinvolgere le Regioni affinché i Servizi per l’Impiego promuovano interventi mirati ai detenuti e agli internati • promuovere progetti di cooperative sociali formate anche da detenuti, internati, ex detenuti o ex internati, con lo scopo di creare posti di lavoro interni ed esterni agli istituti penitenziari • favorire l’applicazione delle agevolazioni contributive e degli sgravi fiscali a favore di cooperative sociali e imprese che assumono detenuti all’interno delle carceri 66 • sostenere l’attività di orientamento, formazione professionale e inserimento lavorativo dei detenuti TOSSICODIPENDENTI ED EX TOSSICODIPENDENTI Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali finanzia annualmente, tramite il Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga (legge n. 45 del 1999), progetti di durata triennale presentati dalle Amministrazioni centrali con lo scopo di promuovere azioni nei seguenti settori: • prevenzione • accompagnamento al lavoro • formazione professionale Le Regioni, sempre a valere sul Fondo Nazionale di intervento per la lotta alla droga, realizzano iniziative per il recupero e il reinserimento socio-lavorativo di persone tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti. La legge n. 381 del 1991 prevede sgravi contributivi per le cooperative sociali di tipo B ovvero cooperative che svolgono attività per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, come i tossicodipendenti. Forme di tutela: • i lavoratori tossicodipendenti hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per la durata del trattamento riabilitativo fino a un massimo di tre anni • i familiari di soggetti tossicodipendenti possono chiedere un periodo di aspettativa (massimo tre mesi) per partecipare al programma terapeutico Per maggiori informazioni: • Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale Tossicodipendenze • Uffici per le Tossicodipendenze della propria Regione • SERT • Centri per l’Impiego CITTADINI EXTRACOMUNITARI Tutta la materia è regolata dalla seguente normativa: • legge n. 189 del 2002 • Decreto Presidenziale n. 394 del 1999 • Decreto Legislativo n. 286 del 1998 Permesso di soggiorno Per lavorare o studiare in Italia i cittadini extracomunitari devono essere muniti del 67 permesso di soggiorno. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro non può superare la durata di: • nove mesi per lavoro stagionale • un anno per contratti di lavoro subordinato a tempo determinato • due anni per contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato • due anni per lavoro autonomo Il permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione non può superare il periodo di: • un anno (rinnovabile nel caso di corsi pluriennali) Questo tipo di permesso permette al cittadino extracomunitario di svolgere anche un’attività lavorativa di tipo subordinato per un massimo di venti ore settimanali e comunque non oltre millequaranta ore annue. Il cittadino extracomunitario, con regolare permesso di soggiorno, può accedere ai corsi di formazione professionale organizzati dalle Regioni. Collocamento I cittadini extracomunitari possono iscriversi nelle liste ordinarie di collocamento presso il Centro per l’Impiego competente per territorio. L’iscrizione avviene con le stesse modalità e procedure che devono seguire i lavoratori italiani. Si possono iscrivere al collocamento: • lavoratori extracomunitari con un permesso di soggiorno, in corso di validità, per lavoro subordinato • lavoratori extracomunitari con un permesso di soggiorno per motivi familiari I lavoratori extracomunitari iscritti nelle liste ordinarie di collocamento hanno diritto a partecipare a tutte le forme di avviamento al lavoro come i lavoratori nazionali. Portatori di handicap I cittadini extracomunitari portatori di handicap o invalidi, con permesso di soggiorno regolare, hanno diritto al collocamento obbligatorio previsto dalla legge n. 68 del 1999. Vige inoltre la seguente normativa: • sentenza della Corte Costituzionale n. 454 del 1998 • Circolare del Ministero del Lavoro n. 11 del 2 febbraio 1999 Libretto di lavoro Per svolgere un’attività lavorativa di tipo subordinato è necessario avere il libretto di lavoro ossia un documento che fornisce una serie di informazioni sul lavoratore: • generalità (nome, cognome) • luogo e data di nascita • grado di istruzione • eventuali rapporti di lavoro precedenti 68 Il lavoratore extracomunitario deve farne richiesta presso la Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) competente per territorio. Per ulteriori informazioni contattare: • Centri per l’Impiego della Provincia • Servizio Extracomunitari – Direzione Generale per l’Impiego del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali . DONNE Legge 215 del 25/02/1992 La legge n.215/1992 promuove l’uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per uomini e donne (spiegazione: tutela delle donne nei loro diritti contro le discriminazioni a cui sono soggette; e diretta a favorire la creazione di imprese femminili) nell’attività economica e professionale, offrendo contributi in conto capitale e finanziamenti a tasso agevolato per favorire la creazione e lo sviluppo di imprese femminili. La legge 215/1992 ha i seguenti obiettivi: - Favorire la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile, anche sotto forma di cooperativa; - Promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici; - Agevolare l’accesso al credito (facilitare la possibilità di ricevere finanziamenti) per le imprese a prevalente conduzione femminile; - Favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne; - Promuovere la presenza delle imprese femminili nei settori e nei comparti più innovativi; Legge n. 125/1991del 10 aprile 1991 Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro La Legge 125/1991 si preoccupa di realizzare l’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini in ambito lavorativo. E’ finalizzata a favorire l’occupazione femminile mediante l’adozione azioni positive per le donne che favoriscano la rimozione degli ostacoli alla realizzazione delle pari opportunità tra donne e uomini. Le azioni positive sono una forma di discriminazione positiva e temporanea finalizzata a ridurre i gap esistenti e a favorire pari opportunità per donne e uomini nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità. La legge, inoltre, vuole favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne e favorire l’accesso al lavoro autonomo, alla formazione imprenditoriale per la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici. Le azioni positive si propongono di favorire, mediante una diversa organizzazione del lavoro e delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi 69 La Riforma Del Mercato Del Lavoro La Legge 30/2003 E Il D.Lgs. 276/2003 Il 5 febbraio 2003 il Parlamento Italiano ha approvato la legge delega n° 30 in materia di occupazione e di mercato del lavoro. Il 24 ottobre 2003 è entrato in vigore il primo decreto attuativo della riforma, il decreto legislativo n° 276/2003. Quali sono gli Obiettivi della Riforma: - Realizzare un sistema efficace per garantire trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro. Migliorare la capacità di inserimento dei disoccupati con particolare riferimento alle fasce deboli. Chi sono i lavoratori svantaggiati ( categorie principali ): Persone con difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, così come indicato dal Regolamento 2204/2002 della Commissione Europea: • Disabili • Giovani con meno di 25 anni o coloro che hanno concluso la formazione da 2 anni e che non hanno ottenuto il primo impiego retribuito regolarmente; • lavoratori migranti residenti nella Comunità per lavoro, appartenenti a minoranze etniche con scarse conoscenze linguistiche e professionali; • Persone in cerca di lavoro o che desiderino riprendere un’attività, che non abbiano lavorato o seguito corsi di Formazione professionale per almeno 2 anni; • Persone in cerca di lavoro che lo abbiano lasciato in precedenza per la difficoltà di conciliare la vita lavorativa e la vita familiare; • Persone adulte sole con 1 o più figli a carico; • Persone prive di un titolo di scuola media superiore o con più di 50 anni senza lavoro o in procinto di perderlo; • Disoccupati di lungo periodo, senza lavoro per 12 dei 16 mesi precedenti ( 6 su 8 se con meno di 25 anni); • Altri soggetti svantaggiati ( detenuti, ex detenuti, tossicodipendenti, ecc.) La Riforma dei servizi del collocamento costituisce la base della legge 30/2003 perchè accanto ai servizi pubblici per l’impiego introduce nuovi soggetti quali le agenzie per il lavoro, al fine di migliorare i servizi per l’impiego attraverso un modello che contempli un regime di competizione e di concorrenza tra sevizi pubblici e operatori privati autorizzati. Le Province mantengono le funzioni loro attribuite: gestione dei centri per l’impiego, ma si prevedono sia nuovi soggetti pubblici che possono svolgere attività di intermediazione sia nuovi soggetti privati che possono operare sul mercato del lavoro svolgendo varie attività. Presso il Ministero del lavoro è istituito un apposito Albo delle Agenzie per il Lavoro, articolato in 5 sezioni: - agenzie di somministrazione, 70 - agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, - agenzie di intermediazione, - agenzie di ricerca e selezione del personale, - agenzie di supporto alla ricollocazione professionale. Il Ministero del lavoro, previo accertamento della sussistenza dei requisiti, rilascia l’autorizzazione all’esercizio delle attività. Esiste un secondo livello di autorizzazione che può essere concesso dalle Regioni, con validità nel solo ambito regionale ed esclusivamente per le attività di: - intermediazione - ricerca e selezione del personale - supporto alla ricollocazione professionale. Perché i soggetti siano autorizzati dalla Regione devono sottoporsi ad una procedura di accreditamento. Sono inoltre autorizzati a svolgere attività di intermediazione: le Università, i Comuni, le Camere di commercio, gli Istituti di scuola secondaria, le Associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, gli Enti Bilaterali. Si favorisce il rapporto PUBBLICO/PRIVATO anche con l’attivazione di specifiche strutture finalizzate in particolare a sostenere le fasce deboli ( ad esempio Agenzie di Personal Service ). Il D.lgs ha apportato, inoltre, modifiche alla disciplina di alcuni contratti di lavoro. - STAFF LEASING o SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO (artt. 20 - 28) Con il contratto di somministrazione sarà possibile “affittare” lavoratori da un’agenzia o da un intermediario anche a tempo indeterminato, per soddisfare ragioni aziendali di carattere tecnico, produttivo o organizzativo. Queste fondamentali ragioni dovranno essere specificamente individuate dal legislatore nonché dalla contrattazione collettiva. Questo nuovo strumento amplierà le opportunità di quanti cercano un impiego: potranno, infatti, essere assunti a tempo indeterminato dalle società che affittano la manodopera ad aziende terze. I lavoratori assunti con questa tipologia di contratto avranno uguali diritti e retribuzione rispetto ai dipendenti delle aziende che li impiegano in affitto. - JOB ON CALL o LAVORO INTERMITTENTE (artt. 33 - 40) Con il contratto di lavoro intermittente, il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, il quale è legittimato ad utilizzarne l’attività per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, obbligandosi a rimanere a disposizione del medesimo datore anche successivamente alla prestazione lavorativa e fino alla chiamata successiva. A queste obbligazioni del lavoratore corrisponde l’obbligo del datore di lavoro di erogare, da un lato, una retribuzione a titolo di corrispettivo del lavoro effettivamente prestato e, dall’altro lato, l’indennità volta a compensare la disponibilità del lavoratore per il periodo di non lavoro. L’indennità, divisibile in 71 quote orarie (divisore orario è rappresentato dal CCNL applicato) è pari al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato (D.M. 10.3.04). Con un nota del 12 luglio 2004 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha precisato che il contratto di lavoro intermittente può essere applicato nei pubblici esercizi durante i weekend e le ferie estive anche senza il rinvio alla contrattazione collettiva o a un decreto ministeriale. - JOB SHARING o LAVORO RIPARTITO (artt. 41 - 45) Con il “lavoro ripartito” le aziende possono “dividere” un’unica prestazione tra due dipendenti. I due lavoratori, in questo modo, si assumono in solido l’obbligazione di eseguire un’unica prestazione lavorativa restando liberi di dividersi l’orario di lavoro e di conseguenza la retribuzione, purchè con l’obbligo di sostituirsi vicendevolmente in caso di impedimento. È un modello contrattuale che si addice in particolare alle attività di segreteria o a mansioni di tipo amministrativo. Il lavoro ripartito è assimilabile al part-time ma se ne differenzia per il fatto che nel suo schema negoziale esiste un unico contratto di lavoro subordinato e non due distinti contratti di lavoro part-time. - CONTRATTO DI APPRENDISTATO (artt. 47 - 53) Si avranno 3 tipologie di apprendistato: a) contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione: per i giovani dai 15 ai 18 anni. Il contratto scritto deve contenere anche un piano formativo individuale, con previsione di un monte ore di formazione interna od esterna all’azienda, ed essere finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. b) contratto di apprendistato professionalizzante: per i giovani dai 18 ai 29 anni. Il contratto scritto deve contenere anche un piano formativo individuale, con previsione di un monte ore di formazione interna od esterna all’azienda ed essere finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. c) contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione: per i giovani dai 18 ai 29 anni per il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, titoli di studio universitari e d’alta formazione nonché per la specializzazione tecnica superiore. - CONTRATTO D’INSERIMENTO (artt. 54 - 59) Il “contratto d’inserimento” è la nuova tipologia contrattuale che prende il posto del contratto di formazione e lavoro la cui disciplina viene contestualmente abrogata. Il contratto d’inserimento ha lo scopo di favorire l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro, mediante l’applicazione di un progetto individuale, dei seguenti soggetti: - giovani tra i 18 e i 29 anni - disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni - lavoratori con piu’ di 50 anni che siano privi di un posto di lavoro - lavoratori che non abbiano lavorato per almeno 2 anni - donne residenti in un’area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione 72 femminile superi del 10% quello maschile. - persone riconosciute affette da un grave handicap fisico, mentale o psichico Il contratto deve avere forma scritta con indicazione specifica del progetto individuale di inserimento in assenza di tale indicazione il contratto è nullo e il lavoratore ha diritto all’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato. La durata del contratto non puo’ essere inferiore a 9 mesi e superiore a 18 mesi, estensibile fino a 36 mesi in caso di assunzione di lavoratore affetto da grave handicap. TIROCINI ESTIVI DI ORIENTAMENTO (Art. 60) Sono tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto ad un ciclo di studi presso l’Università o scuole superiori. La durata non può essere superiore ai 3 mesi e devono svolgersi nel periodo compreso tra la fine dell’anno accademico e scolastico e l’inizio del successivo. La borsa di studio, eventualmente erogata al tirocinante non può comunque superare l’importo mensile di 600 Euro. - LAVORATORI A PROGETTO o EX CO.CO.CO. (artt. 61 - 69) Scompaiono gli attuali co.co.co. per essere sostituiti dai lavoratori a progetto ai quali sono assicurate nuove garanzie. Per evitare gli abusi nell’utilizzo delle collaborazioni, infatti, sono stati disposti la stesura in forma scritta del progetto e la definizione della durata e del corrispettivo. Per assicurarsi la consulenza, quindi, le imprese d’ ora innanzi dovranno elaborare un “progetto” nel quale vengano chiariti i contenuti della collaborazione, la durata, la retribuzione e le modalità del pagamento. In caso di violazione o inottemperanza di queste condizioni, i rapporti di “collaborazione” saranno considerati rapporti subordinati. - LAVORO OCCASIONALE: (artt. 70 -74) Alcune categorie di lavoratori, tra cui casalinghe, disoccupati da almeno un anno, studenti e pensionati potranno svolgere piccoli lavori occasionali, dall’assistenza ai bambini a lavori di giardinaggio o lezioni private, per una durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare e che, in ogni caso, non diano luogo a compensi superiori a 3 mila Euro. Queste prestazioni potranno essere pagate con un buono che comprende sia la retribuzione sia i contributi previdenziali. Chi intende usufruire di dette attività, infatti, dovrà acquistare presso una rivendita autorizzata un carnet di buoni il cui valore è di 7,5 Euro e retribuire il lavoratore consegnando un valore di buoni pari al valore della prestazione stessa. Il lavoratore potrà incassare, presso concessionari autorizzati, il buono il cui valore netto è di 5,8 Euro; il rimanente è destinato a coprire gli oneri contributivi e i costi del servizio. Il Fondo Sociale Europeo A Favore Delle Categorie Svantaggiate. Uno degli obiettivi prioritari dell’azione comunitaria è la lotta alle discriminazioni e alle disuguaglianze nel mercato del lavoro. Il Fondo Sociale Europeo, nell’ambito della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO), finanzia l’Iniziativa Comunitaria Equal, che 73 promuove nuovi strumenti per combattere la discriminazione e la disuguaglianza nel mercato del lavoro. Per raggiungere questo obiettivo, Equal ha cinque priorità di intervento: • Occupabilità • Imprenditorialità • Adattabilità • Pari Opportunità • Azioni a favore dei richiedenti asilo. In Italia Equal è gestito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nell’ambito della priorità Occupabilità l’iniziativa prevede le seguenti azioni: • agevolare l’accesso al mercato del lavoro di coloro che incontrano difficoltà a integrarsi o a reintegrarsi mediante la creazione di condizioni per l’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli sul mercato • promuovere la formazione professionale permanente • incoraggiare l’assunzione e il mantenimento dell’occupazione di coloro che soffrono discriminazioni e disuguaglianze di trattamento IA.2.6 Appendice Normativa SEZIONE EUROPEA Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni. Agenda per la politica sociale, COM (2000) 379 del 28/06/2000 Consiglio dell’Unione europea, Decisione del Consiglio del 27 novembre 2000 che istituisce un programma d’azione comunitario per combattere le discriminazioni (20012006), G.U.C.E. L 303 del 02/12/2000 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni di valutazione dei progressi compiuti nell’attuazione dell’agenda per la politica sociale, COM (2001) 104 del 22/02/2001 Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea, Decisione n. 50/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 dicembre 2001, che istituisce un programma d’azione comunitaria inteso ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l’emarginazione sociale, G.U.C.E. L 10 del 12/01/2002 Comitato per la protezione sociale, Profilo comune per i Pan/incl. 2003/2005, 2003 74 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Quadro di valutazione dei progressi compiuti nell’attuazione dell’agenda per la politica sociale, COM (2003) 57 del 06/02/2003 Consiglio dell’Unione europea, Risoluzione del Consiglio del 15 luglio 2003 relativo alla promozione dell’occupazione e dell’integrazione sociale delle persone con disabilità, G.U.U.E. C 175 del 24/07/2003 Consiglio dell’unione europea, Risoluzione del Consiglio del 15 luglio 2003 sul capitale sociale e umano - Costituire il capitale sociale e umano nella società dei saperi: apprendimento, lavoro, coesione sociale e genere, G.U.U.E. C 175 del 24/07/2003 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Rapporto congiunto sull’inclusione sociale che riassume i risultati dell’esame dei piani d’azione nazionali per l’inclusione sociale (2003-2005), COM (2003) 773 del 12/12/2003 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Nuovi e migliori posti di lavoro attraverso la modernizzazione della protezione sociale, un approccio globale per contribuire a rendere il lavoro proficuo, COM (2003) 842 del 30/12/2003 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo. Prospettive finanziarie 2007 – 2013, COM (2004) 487 del 14/07/2004 Commissione delle Comunità europee, Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà sociale -Progress, COM (2004) 488 del 14/07/2004 Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea, Regolamento 2240/2004 recante modifica del regolamento 975/1999 del Consiglio che fissa le modalità di attuazione delle azioni di cooperazione allo sviluppo, che contribuiscono all’obiettivo generale di sviluppo e consolidamento della democrazia e dello stato di diritto nonché a quello del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, G.U.U.E. L 390 del 31/12/2004 Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea, Regolamento (CE) N. 2242/2004 che modifica del regolamento (CE) n. 976/1999, uno dei due regolamenti alla base 75 dell’iniziativa EIDHR, riguardante azioni diverse da quelle di cooperazione allo sviluppo che, contribuiscono allo sviluppo e consolidamento della democrazia e dello stato di diritto e al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei paesi terzi, G.U.U.E. L 390 del 31/12/2004 Commissione delle Comunità europee, Obiettivi strategici della Commissione per il periodo 2005-2009, COM (2005) 12 del 26/01/2005 Commissione delle Comunità europee, Progetto di relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale, COM (2005) 14 del 27/01/2005 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione sul rinnovamento della strategia di Lisbona, in vista del Consiglio europeo di primavera, COM (2005) 24 del 02/02/2005 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione. L’Agenda Sociale, COM (2005) 33 del 09/02/2005 SEZIONE NAZIONALE Legge n. 381 del 8/11/1991, Disciplina delle cooperative sociali D. Lgs. n. 286 del 25/07/1998, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero Legge n. 45 del 8/02/1999, Disposizioni per il fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga e in materia di personale dei servizi per le tossicodipendenze Legge n. 68 del 12/03/1999, Norme per il diritto al lavoro dei disabili D.P.R. n. 394 del 31/08/1999, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 Legge n. 193 del 22/06/2000, Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti (legge Smuraglia) Legge n. 328 del 8/11/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali Legge n. 189 del 30/07/2002, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo 76 SEZIONE REGIONALE Regione Abruzzo L. R. n. 14 del 18/04/2001, Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti disabili in attuazione della L. 18 marzo 1999 n.68 Regione Basilicata L. R. n. 28 del 20/07/2001, Promozione dell’accesso al lavoro delle persone disabili L. R. n. 33 del 11/12/2003, Riordino del sistema formativo integrato L. R. n. 3 del 19/01/2005, Promozione della cittadinanza solidale Provincia autonoma di Bolzano L. P. n. 2 del 31/01/2001, Disposizioni per al formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2001 e per il triennio 2001-2003 e norme legislative collegate art. 17 Regione Calabria L. R. n. 32 del 26/11/2001, Norme per la promozione e lo sviluppo del diritto al lavoro delle persone con disabilità L. R. n. 23 del 26/11/2003, Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella Regione Calabria (in attuazione della legge n. 328/2000) Regione Campania L. R. n. 18 del 06/12/2000, Disposizioni di finanza regionale art. 45 L. R. n. 2 del 19/02/2004, Istituzione in via sperimentale del reddito di cittadinanza Regione Emilia-Romagna L. R. n. 14 del 25/02/2000, Promozione dell’accesso al lavoro delle persone disabili e svantaggiate L. R. n. 12 del 30/06/2003, Norme per l’uguaglianza delle opportunita’ di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro Regione Friuli-Venezia Giulia L. R. n. 12 del 10/04/2001, Disposizioni in materia di diritto del lavoro dei disabili, di telelavoro e in materia previdenziale L. R. n. 23 del 17/08/2004, Disposizioni sulla partecipazione degli enti locali ai processi programmatori e di verifica in materia sanitaria, sociale e sociosanitaria e disciplina dei relativi strumenti di programmazione, nonche’ altre disposizioni urgenti in materia sanitaria e sociale Regione Lazio L. R. n. 10 del 10/05/2001, Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio della Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2001 art. 229. 77 Regione Liguria L. R. n. 15 del 29/05/2003, Norme per la promozione dell’inserimento al lavoro delle persone disabili Regione Lombardia L. R. n. 13 del 4/08/2003, Promozione all’accesso al lavoro delle persone disabili e svantaggiate L. R. n. 48 del 30/07/2003, Norme per la promozione dell’inserimento al lavoro delle persone disabili L. R. n. 34 del 14/12/2004, Politiche regionali per i minori Regione Marche L. R. n. 24 del 03/04/2000, Norme per favorire l’occupazione dei disabili Regione Molise L. R. n. 26 del 28/10/2002, Istituzione del fondo per l’occupazione dei disabili, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 68/1999 Regione Piemonte L. R. n. 51 del 29/08/2000, Fondo regionale per l’occupazione dei disabili Regione Puglia L. R. n. 17 del 25/08/2003, Sistema integrato d’interventi e servizi sociali in Puglia Regione Sardegna L. R. n. 20 del 28/10/2002, Istituzione del Fondo regionale per l’occupazione delle persone diversamente abili Regione Sicilia L. R. n. 24 del 26/11/2000, Disposizioni per l’inseriento lavorativo dei soggetti utilizzati nei lavori socialmente utili. Norme urgenti in materia di lavoro e istituzione del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili Regione Toscana L. R. n. 32 del 26/07/2002, Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro L. R. n. 1 del 26-01-2004, Promozione dell’amministrazione elettronica e della società dell’informazione e della conoscenza nel sistema regionale. Disciplina della “Rete telematica regionale toscana” Provincia autonoma di Trento L.P. n. 3 del 20/03/2000, Misure collegate con la manovra di finanza pubblica per l’anno 2000 art. 26 78 Regione Umbria L.R. n. 306 del 15/07/2003, Interventi a sostegno delle politiche attive del lavoro, modifiche e integrazioni alla Legge regionale n. 41 del 25 novembre 1998 e disciplina del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili Regione Valle d’Aosta L.R. n. 7 del 31/03/2003, Disposizioni in materia di politiche regionali del lavoro, di formazione professionale e di riorganizzazione dei Servizi per l’impiego Regione Veneto L.R. n. 16 del 03/08/2001, Norme per il diritto al lavoro delle persone disabili in attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 e istituzione servizio integrazione lavorativa presso le aziende Ulss IA.2.7 Riflessioni Conclusive Povertà ed esclusione sociale sono espressioni che ricompaiono nel dibattito economico nazionale, poiché oggi l’esclusione da standards di vita dignitosi non riguarda più solo i cittadini del Terzo Mondo, ma rappresenta una realtà in rapida espansione anche in occidente:fenomeno come l’accresciuta competizione internazionale, l’invecchiamento della popolazione, la deindustrializzazione, il mutamento dei ruoli di genere sul mercato del lavoro e nei nuclei familiari, hanno aggravato povertà ed esclusione sociale, esercitando una forte pressione su sistemi di Welfare concepiti secondo le esigenze di un’epoca passata. Le trasformazioni socio-culturali hanno progressivamente eroso i baluardi dello Stato Sociale. L’esclusione, che richiama immediatamente il concetto di disuguaglianza e che si trova all’interno di un processo dinamico e complesso, comprende problematiche molto diverse tra loro ma correlate, quali la marginalità, la precarietà economica, la deprivazione culturale, la solitudine, la carenza di legami familiari e sociali. In ambito comunitario è stato più volte ribadito che la povertà e l’esclusione sociale sono “fenomeni multidimensionali che vanno considerati sotto diversi punti di vista, non solo quindi quello della povertà economica, ma anche quello della disuguaglianza della distribuzione dei redditi, della partecipazione all’occupazione, dell’incremento dei capitale umano, della coesione regionale, delle condizioni di vita e di salute. Esiste, pertanto, una storica inadeguatezza della Pubblica Amministrazione nazionale nel rispondere alle esigenze dei cittadini e della società civile. Si è di fatto verificato un progressivo irrigidimento delle capacità d’azione dei servizi pubblici, spesso letteralmente travolti dalle disfunzioni delle strutture amministrative iperarticolate. La crisi del modello di Welfare state può essere sintetizzata con la proposizione secondo cui la maggior parte dei Paesi europei, negli ultimi anni, è stat caratterizzata da uno sviluppo “senza benessere”. Esercizio dei diritti civili e sociali, giustizia sociale, parità delle opportunità, consistenza e qualità delle relazioni civili e sociali, e i gruppi e le generazioni, valorizzazione delle 79 risorse dei singoli cittadini: questi sono i contenuti del welfare e quindi gli elementi su cui occorre concentrarsi per la realizzazione di politiche in grado di incidere positivamente sulle qualità della vita. La necessità di una forte programmazione integrata di politiche di sostegno sociale e lavorativo nasce anche dal presupposto che nel tessuto socio-economico attuale è sempre meno facile individuare a priori quali siano le categorie a rischio, o più specificatamente, è più difficile dire a priori quali siano le probabilità di un individuo di diventare soggetto debole nel mondo del lavoro. Inoltre, in una prospettiva a lungo temine, stanti le profonde trasformazioni che continuano ad intervenire nell’apparato produttivo, nel mercato del lavoro, le possibilità che un individuo, se non adeguatamente sostenuto, possa venirsi a trovare in una situazione di svantaggio, aumentano sensibilmente. L’intervento nei confronti di tutti i soggetti che si trovano ad essere in condizioni di debolezza deve avere invece caratteristiche globali, per incidere su tutte le dimensioni che determinano la situazione di svantaggio. L’integrazione operativa tra i servizi sociali ed i servizi per l’impiego costituisce la premessa necessaria per la realizzazione a livello locale di efficaci interventi per l’occupabilità dell’utenza svantaggiata. Alcune province avviano interessanti sperimentazioni, pur in assenza di indicazioni regionali mirate, ed alcuni progetti provano a cogliere l’obiettivo della promozione a livello locale della rete tra attori deputati alla risoluzione del problema. La progressiva attuazione delle azioni provinciali dei servizi per l’impiego e la stessa impostazione di alcuni Piani regionali di inclusione sociale richiede in molte realtà locali uno sforzo, che può non costituire un percorso in grado di affrontare e risolvere il problema. La necessità di realizzare interventi di inserimento lavorativo dell’utenza svantaggiata, porta alcune Regioni, Province e Comuni ed il sistema SPI a realizzare esperienze di integrazione ed interventi operativi rivolti alla relazione organizzativa ed operativa tra servizi per l’impiego e attori deputati alla tutela dei diritti dei soggetti in situazione di svantaggio . Queste esperienze trovano spesso riferimento in programmi dell’Unione Europea e nel raccordo con il sistema delle Comunità di accoglienza, le ASL, le competenze dei Comuni e del territorio e più in generale con le azioni legislative Si tratta di importanti iniziative, che si reggono spesso su competenze e scelte locali, e che non comportano, allo stato, un sistema ed un metodo condiviso. Alla luce di quanto detto finora, la lotta contro l’esclusione sociale, non va vista solamente come un impegno etico, ma è un prerequisito essenziale per lo sviluppo del nostro paese nel contesto della crescente competitività. Un paese può fronteggiare i ritmi incalzanti della sfida mondiale soltanto se dispone di un tessuto sociale coeso e reattivo. 80 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005). Un’ illustrazione comparata IIA1. Premessa L’obiettivo di questa ricerca è quello di sviluppare una illustrazione comparata a livello trasnazionale della recente legislazione di Italia, Spagna e Regno Unito relativa ai modelli di intervento nazionali e istituzionali sperimentati per gli anni 2003-2005 nel campo delle politiche per l’inclusione sociale di soggetti disagiati e marginali. E’ stato affermato che la dimensione transnazionale rappresenta un potenziale valore aggiunto allo sviluppo del progetto Equal (Fase 2) in quanto può contribuire ad innovare le pratiche, le politiche ed i sistemi di riferimento in maniera significativa attivando meccanismi di scambio di esperienze e di confronto con i principali attori coinvolti nella definizione degli orientamenti e delle politiche nazionali ed europee e per l’occupazione e l’integrazione sociale. Questa illustrazione comparata intende identificare e monitorare negli Stati membri su indicati le politiche e le azioni nazionali di lotta all’esclusione sociale, tramite una attenta descrizione delle legislazioni nazionali e quindi dei programmi e dei progetti realizzati o proposti negli ultimi anni e finalizzati alla promozione dell’inclusione sociale. La formulazione dei Piani Nazionali contro la povertà e l’esclusione sociale si presenta come un fondamentale processo di valutazione dei punti di forza e di debolezza degli strumenti principali di politica, esistenti ed esplicati, alla luce degli obiettivi stabiliti a livello comunitario1. Nella nota di discussione al Consiglio di Nizza, l’Unione ha affermato che “la povertà e l’esclusione sociale assumono forme complesse e pluridimensionali che obbligano a ricorrere a una vasta gamma di politiche nel quadro di una strategia globale. Parallelamente alla politica occupazionale, la protezione sociale svolge un ruolo di primo piano, accanto ad altri fattori di fondamentale importanza quali l’edilizia abitativa, l’istruzione, la sanità, l’informazione e la comunicazione, la mobilità, la sicurezza e la giustizia, il tempo libero e la cultura. È opportuno quindi integrare nelle differenti politiche (mainstreaming), ai livelli nazionale e comunitario, l’obiettivo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale”. L’illustrazione degli approcci nazionali dei Paesi comunitari esaminati potrà condurre ad una mappatura campionaria (ancorché necessariamente limitata) e all’acquisizione 81 di informazioni, orientamenti, criteri per assimilare categorie interpretative utili al confronto ed all’eventuale integrazione dei diversi modelli di intervento. Si cercherà quindi di offrire un contributo concreto ad una migliore comprensione sia della natura e delle forme di discriminazione, disuguaglianza ed esclusione sociale presenti nei Paesi di riferimento, sia delle politiche adottate dagli Stati monitorati per combatterle. IIA.1.1 Il programma di azione comunitaria La Comunità Europea, in virtù dei Trattati istitutivi, ha tra gli altri compiti quello di promuovere un elevato livello di occupazione e di protezione sociale e il miglioramento del tenore e della qualità della vita, nonché la coesione economica e sociale. Sulla base di questi principi, il Consiglio europeo, ritenendo inaccettabile il numero di persone che nell’Unione vivono al di sotto della soglia di povertà e in condizioni di emarginazione sociale, ha reputato necessaria l’adozione di iniziative per imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà fissando obiettivi adeguati. Il suddetto Consiglio europeo ha inoltre stabilito che le politiche volte a combattere l’emarginazione sociale dovrebbero essere basate su un metodo di coordinamento aperto (MCA) che combini i piani d’azione nazionali e un’iniziativa della Commissione per favorire la cooperazione. Infatti con la decisione n.50/20022 del Parlamento europeo e del Consiglio, la Comunità ha istituito un programma di azione comunitaria inteso ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l’emarginazione sociale e per promuovere, conformemente all’articolo 2 del Trattato, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale e il miglioramento del tenore e della qualità della vita, nonché la coesione economica e sociale. L’obiettivo finale delle misure di lotta contro l’emarginazione sociale dovrebbe essere quello di rendere ogni individuo in grado di poter sovvenire alle proprie necessità (mediante un’occupazione retribuita o in altro modo) e di integrarsi nella società. Il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 aveva inserito la promozione dell’inserimento sociale quale elemento intrinseco della strategia globale dell’Unione volta a raggiungere il suo obiettivo strategico per il successivo decennio. Tale Consiglio europeo, ritenendo inaccettabile il numero di persone che nell’Unione vivono al di sotto della soglia di povertà e in condizioni di emarginazione sociale, aveva reputato necessaria l’adozione di iniziative per imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà fissando obiettivi adeguati. Sempre il Consiglio europeo di Lisbona aveva inoltre riconosciuto che la nuova società basata sulla conoscenza offre il potenziale per ridurre l’emarginazione sociale sia mediante la creazione delle condizioni economiche finalizzate ad una maggiore prosperità attraverso livelli più alti di crescita e occupazione, sia mediante l’apertura di nuovi modi di partecipazione alla società. Il suddetto Consiglio europeo aveva inoltre stabilito che le politiche volte a combattere l’emarginazione sociale avrebbero dovuto essere basate su un metodo 82 di coordinamento aperto che combini i piani d’azione nazionali e un’iniziativa della Commissione per favorire la cooperazione. La Commissione quindi, seguendo le indicazioni del Consiglio europeo, aveva emanato la Decisione n.50/2002 con la quale si lanciava una proposta di un programma d’azione pluriennale studiato per incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri, e che avrebbe dovuto mirare a migliorare le conoscenze, sviluppare lo scambio di informazioni e di migliori prassi e valutare le esperienze per migliorare l’efficacia e l’efficienza delle politiche volte a combattere l’emarginazione. L’elaborazione di indagini armonizzate e di analisi, nonché lo studio di indicatori qualitativi e quantitativi comuni, decisi con comuni accordi, avrebbero fornito una base per lo sviluppo del metodo aperto di coordinamento. Attraverso la Decisione succitata, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, adottavano quindi un programma d’azione comunitaria volto a incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l’emarginazione sociale, per il periodo dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2006. I principi di tale programma stabilivano che Il programma fa parte di un metodo aperto di coordinamento tra gli Stati membri inteso a dare un impulso decisivo all’eliminazione dell’emarginazione sociale e della povertà mediante la fissazione di appropriati obiettivi a livello comunitario e attuando piani d’azione nazionali e che il programma e i piani d’azione nazionali avrebbero contribuito a una migliore comprensione dell’emarginazione sociale, alla presa in considerazione della lotta contro l’emarginazione nelle politiche e misure degli Stati membri e della Comunità e all’elaborazione di azioni prioritarie scelte dagli Stati membri a seconda delle loro realtà specifiche. Nella Decisione n.50/2002 si sottolineava che il programma d’azione comunitario aveva come obiettivo precipuo: a) il miglioramento della comprensione del fenomeno dell’emarginazione sociale e della povertà, in particolare grazie a indicatori comparabili; b) l’organizzazione di scambi in materia di politiche seguite e la promozione del reciproco apprendimento, nel contesto tra l’altro di piani d’azione nazionali, in particolare grazie a indicatori comparabili nella misura del possibile; c) sviluppo della capacità degli attori di affrontare il problema dell’emarginazione sociale e della povertà in modo efficace, e di promuovere approcci innovativi, in particolare tramite la costituzione di reti a livello europeo e la promozione del dialogo con tutti i soggetti coinvolti, anche a livello nazionale e regionale. Per ottenere gli obiettivi su indicati sarebbero stati attuati, in un contesto transnazionale le seguenti azioni comunitarie: a) analisi delle caratteristiche, delle cause, dei processi e delle tendenze dell’emarginazione sociale, compresa la raccolta di statistiche relative alle diverse forme di emarginazione sociale per confrontare tali dati, lo studio di indicatori quantitativi e qualitativi, l’elaborazione di metodologie comuni e di studi tematici; 83 b) scambio di informazioni e di migliori prassi per favorire l’elaborazione di indicatori quantitativi e qualitativi, fondati su questi obiettivi quali sono stati convenuti dal Parlamento europeo e dal Consiglio di criteri di valutazione e di parametri, nonché il seguito, la valutazione e la revisione paritetica; c) promozione di un dialogo che associ i vari attori e sostegno alla creazione di reti pertinenti a livello europeo tra organizzazioni impegnate nella lotta alla povertà e all’emarginazione sociale, in particolare le organizzazioni non governative. IIA.1.2 L’iniziativa Equal e la ricerca transnazionale Proprio la cooperazione fra gli Stati membri caldeggiata dal Consiglio Europeo è un aspetto fondamentale dell’iniziativa Equal e l’esperienza ricavata nell’ambito dei programmi sviluppati, sembrerebbe dimostrare che è possibile raggiungere un livello considerevole d’innovazione politica attraverso una collaborazione transnazionale. Infatti la conoscenza delle strategie e delle azioni di alcuni Stati membri importanti come quelli selezionati in questa ricerca potranno facilitare la eventuale trasferibilità (quando e se opportuno) su base comunitaria delle elaborazioni prodotte, delle buone prassi e degli interventi realizzati, contribuendo possibilmente alla positiva realizzazione della Macrofase II del progetto Equal (2^ Fase). IIA.1.3 L’inclusione sociale nell’Unione Europea L’Unione europea si è assunta l’impegno di modernizzare il suo modello sociale, fondato sui valori condivisi della giustizia sociale e sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita economica e sociale. La Commissione ha sempre ribadito la necessità di modernizzare i sistemi europei di protezione sociale al fine di garantirne la futura efficienza. Le politiche devono continuare a promuovere la coesione sociale, le pari opportunità e la solidarietà fra generazioni, trovando nel contempo risposte più adeguate ai cambiamenti sociali ed economici e favorendo la crescita e l’occupazione. Negli ultimi anni l’Unione europea si è adoperata per promuovere il coordinamento e l’apprendimento reciproco fra Stati membri nel campo della modernizzazione e del miglioramento delle politiche. Il metodo di coordinamento aperto (MCA) ha permesso alla Commissione, agli Stati membri e agli altri soggetti interessati di avere uno scambio costruttivo sugli obiettivi politici comuni, le buone prassi e la buona governance, nel rispetto della sussidiarietà. L’MCA ha spinto gli Stati membri ad intensificare i loro sforzi nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale e ha promosso uno scambio politico sulle modalità per garantire in futuro pensioni adeguate e sostenibili.3 Nonostante le varie iniziative comunitarie e nazionali, la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale resta una sfida primaria per l’Unione europea e i suoi Stati membri.4 I dati relativi alla povertà e all’esclusione sociale nell’Unione sono molto significativi: nel 2002 per esempio più di 68 milioni di persone, pari al 15% della popolazione dell’Unione europea, erano a rischio di povertà. Si oscilla tra il 10% o 84 meno di Repubblica ceca, Svezia, Danimarca, Ungheria e Slovenia e il 20% o più di Irlanda, Repubblica slovacca, Grecia e Portogallo. Il rischio di povertà tende ad essere notevolmente più elevato per i disoccupati, le famiglie monoparentali (soprattutto se il capofamiglia è donna), gli anziani che vivono soli (soprattutto se donne) e le famiglie con varie persone a carico. I bambini soffrono di norma di livelli di povertà più elevati: è più probabile che i bambini che crescono in povertà non godano di buona salute, abbiano un rendimento scolastico meno buono e siano più esposti al rischio di disoccupazione e di comportamento antisociale. Trova anche conferma la correlazione tra inquinamento ambientale e privazioni sociali. L’entità del rischio di povertà rappresenta solo una parte del quadro; dati recenti dimostrano la diffusione delle privazioni materiali, soprattutto nei Paesi dove la soglia nazionale della povertà è molto bassa. Alla povertà e alle privazioni materiali spesso si somma l’incapacità di partecipare pienamente alla vita sociale, come conseguenza di un accesso insufficiente all’occupazione, all’istruzione e formazione, alla casa, ai trasporti o all’assistenza sanitaria. L’occupazione è un fattore determinante di inclusione sociale, non solo perché produce reddito, ma anche perché può promuovere partecipazione sociale e sviluppo personale, nonché contribuire al mantenimento di un tenore di vita adeguato durante la vecchiaia attraverso la maturazione di diritti a prestazioni pensionistiche. Il passaggio dalla disoccupazione all’occupazione riduce notevolmente la probabilità di esposizione al rischio di povertà; il benessere del disoccupato o dell’inattivo in età lavorativa inoltre è ancor più minacciato in assenza di redditi da lavoro nel nucleo famigliare. Le statistiche sulla povertà e l’esclusione sociale disponibili a livello di Unione europea non comprendono tuttora alcuni dei gruppi più esposti. I PAN/inclusione evidenziano che gli immigrati, le minoranze etniche, i Rom, i disabili, i senzatetto, le vittime del traffico di esseri umani, le persone che vivono in istituzioni assistenziali o ne vengono dimesse e coloro che praticano un’agricoltura di sussistenza sono esposti a rischi molto particolari. Rilevante è anche la concentrazione dello svantaggio in particolari comunità e zone geografiche, sia urbane che rurali, la cui popolazione è soggetta a fattori di esclusione particolarmente radicati, che tendono a trasmettersi alle generazioni successive. Negli anni immediatamente precedenti l’avvio della nuova strategia si è avuta una tendenza al ribasso del livello della povertà relativa, con un passaggio della media UE15 dal 18% del 1995 al 15% del 2000, in gran parte riconducibile a un consistente miglioramento della situazione del mercato del lavoro. Ora – con il recente rallentamento economico accompagnato da crescente disoccupazione e minori possibilità di lavoro – aumentano evidentemente le persone a rischio di povertà e di esclusione sociale e peggiora la condizione di chi è già povero. In molti dei nuovi Stati membri la sfida è ancora più aspra. Se alla loro rapida crescita economica, sostenuta da vaste ristrutturazioni industriali e agricole, non si affiancano politiche di inclusione sociale adeguate, il numero delle persone a rischio di povertà può aumentare. 85 IIA.1.4 Priorità politiche fondamentali5 Un risultato positivo del processo di inclusione sociale è stato l’affermarsi di una maggior chiarezza in materia di priorità politiche fondamentali per contrastare la povertà e l’esclusione sociale, come dimostrano le impostazioni politiche adottate dagli Stati membri. A livello di Unione europea si sono evidenziate sette priorità politiche fondamentali: 1. Aumentare la partecipazione al mercato del lavoro: considerata la priorità più importante dalla maggior parte degli Stati membri, consiste nel promuovere politiche attive inerenti al mercato del lavoro e nel garantire un miglior collegamento tra protezione sociale, apprendimento permanente e riforme del mercato del lavoro per ottenere un effetto sinergico. 2. Modernizzare i sistemi di protezione sociale: consiste nel garantire che i regimi di protezione sociale siano sostenibili, adeguati e accessibili a tutti, e che le prestazioni destinate a chi è in grado di lavorare offrano efficaci incentivi al lavoro, nonché sicurezza sufficiente per consentire alle persone di adattarsi alle trasformazioni 3. Contrastare gli svantaggi nell’istruzione e nella formazione: si intende soprattutto prevenire l’abbandono precoce dell’istruzione e della formazione formali; agevolare il passaggio dalla scuola al lavoro, soprattutto per i giovani che lasciano la scuola con basse qualifiche; sviluppare l’accesso all’istruzione e alla formazione dei gruppi svantaggiati e metterli in grado di fruirne normalmente; promuovere l’apprendimento permanente, compreso quello elettronico, per tutti. Molti sostengono l’esigenza di investire di più, e in modo più efficiente, in capitale umano di ogni età. 4. Eliminare la povertà infantile: è considerato un passo fondamentale per interrompere la trasmissione tra generazioni della povertà. Specifica attenzione viene riservata agli interventi precoci e alla scolarizzazione infantile a sostegno dei bambini svantaggiati, nonché al rafforzamento del sostegno al reddito e dell’assistenza alle famiglie e al genitore solo. Vari paesi sottolineano sempre più l’importanza della promozione dei diritti del bambino come base di elaborazione politica. 5. Garantire un alloggio dignitoso: in alcuni paesi si presta attenzione al miglioramento degli standard abitativi, mentre in altri all’assenza di alloggi sociali per i gruppi vulnerabili. Vari Stati membri stanno elaborando impostazioni più integrate per contrastare il problema dei senzatetto. 6. Migliorare l’accesso ai servizi di qualità: consiste nel favorire l’accesso all’assistenza sanitaria e all’assistenza a lungo termine, ai servizi sociali e ai trasporti, nel migliorare localmente l’ambiente, nell’investire in infrastrutture adeguate e nello sfruttare il potenziale di nuove TIC accessibili a tutti. 7. Superare le discriminazioni e sviluppare l’integrazione dei disabili, delle minoranze etniche e degli immigrati: la lotta contro la grave esclusione che colpisce 86 tali gruppi necessita di una combinazione di miglior accesso ai servizi e alle opportunità generali, applicazione della legislazione contro le discriminazioni ed elaborazione di impostazioni finalizzate. Occorre prestare particolare attenzione alle difficoltà che incontrano i Rom. IIA.1.5 I Piani Nazionali Per il perseguimento delle priorità su indicate, la Commissione Europea aveva a più riprese invitato gli Stati membri a predisporre strategie integrate e coordinate attraverso la predisposizione di piani d’azione nazionali basati su uno sviluppo equilibrato di diritti, obblighi e responsabilità. I piani d’azione nazionali per l’inclusione sociale 2003-2005 (PAN/inclusione) Come affermato dalla Commissione europea nella “Relazione comune sull’integrazione sociale”6, i piani d’azione nazionali per l’inclusione sociale della seconda generazione si fondano, rispetto ai loro predecessori, su una visione meno ottimistica della congiuntura. L’attuale rallentamento dell’economia rischia di aumentare il numero delle persone a rischio di povertà ed esclusione sociale. Inoltre, la situazione delle persone che già vivono in condizioni di precarietà subisce un ulteriore deterioramento per effetto dell’aumento generale della disoccupazione di lunga durata e della maggiore difficoltà a trovare un impiego. Nella Relazione su citata si legge che affinché la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale sia coordinata ed efficace, è necessaria una piena integrazione delle politiche economiche, sociali e occupazionali degli Stati membri. In questa prospettiva, le otto sfide cruciali già individuate nella prima relazione comune restano d’attualità: • creare un mercato del lavoro capace di integrazione e promozione dell'occupazione come diritto e possibilità di sviluppo per tutti; • garantire un reddito e risorse sufficienti per vivere dignitosamente; • combattere le disuguaglianze di fronte all'istruzione con un'azione di prevenzione e offrendo possibilità di apprendimento permanente; • preservare la solidarietà familiare, promuovere l’uguaglianza dei sessi e tutelare i diritti dei membri della famiglia, in particolare quelli del bambino; • garantire il diritto ad un alloggio decente; • garantire un accesso paritario a servizi sociali di qualità; • migliorare i servizi pubblici, affinché corrispondano alle necessità locali ed individuali; • riqualificare le zone caratterizzate da un cumulo di svantaggi. 87 Ovviamente ogni PAN/inclusione si basa su considerazioni molto diverse, in funzione dell'approccio e delle priorità dello Stato membro che lo elabora. Tuttavia, per tutti i paesi i PAN/inclusione devono rispondere a tre criteri fondamentali: • devono essere esaurienti e pluridimensionali. Per quanto possibile, i PAN/ inclusione devono prevedere l'integrazione delle azioni e delle politiche nei vari settori che interessano i cittadini. Questo approccio pluridimensionale – sottolinea la Commissione nella sua Relazione comune - è presente in particolare nei PAN/inclusione di Belgio, Francia, Irlanda, Regno Unito, Portogallo e Grecia, mentre sembrerebbe non essere così per l’Italia e la Spagna (i due Paesi di cui, con il Regno Unito, esaminiamo in dettaglio i Piani d’azione nazionali in questa ricerca). • devono essere coerenti e strutturati logicamente. I PAN/inclusione devono basarsi su un'analisi approfondita della situazione e definire obiettivi chiari e specifici. Nell'insieme, i piani 2003-2005 sono più coerenti di quelli precedenti. Alcuni Stati membri si distinguono per la loro visione strategica e logica, in particolare i Paesi Bassi e i paesi scandinavi. • devono fissare obiettivi chiari. I piani devono fissare obiettivi precisi che permettano di raggiungere l'obiettivo dell'eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale entro il 2010. In generale, si osservano tre tendenze nei piani elaborati dagli Stati membri: - obiettivi di esito diretto: indicano direttamente una riduzione della povertà e dell’esclusione sociale in un settore politico particolare; - obiettivi di esito intermedio: contribuiscono indirettamente alla riduzione della povertà e dell’esclusione sociale; - obiettivi di ingresso: sono finalizzati ad aumentare lo sforzo politico in un settore preciso. Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo – secondo la relazione della Commissione - sono tra i pochi Stati membri che hanno effettivamente fissato obiettivi globali chiari. In generale, l’approccio è meno sistematico e si concentra sui problemi dell’occupazione e della disoccupazione. Sono pochi gli Stati membri che tengono conto della dimensione uomo-donna. Per ricapitolare : le linee comuni per i Piani di azione nazionali 2003-2005 in base alle indicazioni dell’Unione Europea vertono soprattutto attorno a quattro principi: a. Promuovere la partecipazione all’occupazione e l’accesso di tutti alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi; b. Prevenire i rischi di esclusione; c. Intervenire a favore delle persone più vulnerabili; d. Mobilitare l’insieme degli attori. 88 Alla luce di questi obiettivi i Paesi membri si sono attivati per la loro realizzazione indicando nei PIANI NAZIONALI il piano d’azione e descrivendo i percorsi già effettuati e quelli da attuare. Illustriamo qui di seguito i punti più qualificanti e le direttrici di programmazione indicati nei Piani di Azione Nazionali (che saranno sempre così definiti nel prosieguo di questa ricerca) contro l’esclusione sociale PER IL PERIODO 2003-2005 dell’Italia, della Spagna e del Regno Unito. L’illustrazione dei Piani d’azione nazionali dei Paesi su indicati e le considerazioni che seguiranno avranno la finalità di offrire un contributo al fine di migliorare le conoscenze, sviluppare lo scambio di informazioni e di migliori prassi e valutare le esperienze per migliorare l’efficacia e l’efficienza delle politiche volte a combattere l’emarginazione. Nota metodologica VA COMUNQUE SOTTOLINEATO CHE CON QUESTO LAVORO DI RICERCA, CI LIMITIAMO ESCLUSIVAMENTE AD UNA IMPARZIALE E NEUTRALE ILLUSTRAZIONE DI ALCUNI PIANI D’AZIONE NAZIONALI CONTRO LA POVERTA’ E L’ESCLUSIONE SOCIALE PER ACQUISIRE INFORMAZIONI RELATIVE A POLITICHE ED ORIENTAMENTI E GLI ELEMENTI SOSTANZIALI PER EFFETTUARE DELLE OSSERVAZIONI FINALI. NON ERA NOSTRA INTENZIONE ESPRIMERE GIUDIZI DI VALORE SUI PIANI NE’ VALUTARE O MONITORARE – NON ESSENDO QUESTA LA FINALITA’ DELLA RICERCA E NON AVENDO COMUNQUE GLI STRUMENTI NECESSARI – LA BONTA’ DELLE POLITICHE ENUNCIATE E LA LORO EFFETTIVA ADOZIONE E REALIZZAZIONE. 89 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata IIA2. Il Piano Nazionale Italiano 2003-2005 IIA.2.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale contro la povertà e l’esclusione sociale Nel Piano nazionale italiano per gli anni dal 2003 al 2005 predisposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presentato nel luglio del 2003 ed intitolato “PIANO DI AZIONE NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE 2003-2005”, si legge che le condizioni di povertà e di esclusione sociale possono dirsi migliorate nel contesto nazionale, rispetto al quadro presentato nel NAP 2001. Ma non si tratterebbe dell’unico indicatore che evidenzia un miglioramento. Secondo gli estensori del Piano nazionale infatti, come più volte ribadito in ambito comunitario, la povertà e l’esclusione sociale sono fenomeni multidimensionali che vanno considerati sotto diversi punti di vista, non solo quindi quello della povertà economica, ma anche della disuguaglianza, della distribuzione dei redditi, della partecipazione all’occupazione, dell’incremento del capitale umano, della coesione regionale, delle condizioni di vita e di salute. Il quadro degli indicatori comunitari adottati nel Consiglio Europeo di Laeken (dicembre 2001) rappresenta un “portafoglio” di indicatori da valutare nel suo insieme, tenendo conto di questi molteplici angoli d’osservazione. In Italia, per tutti gli indicatori, il miglioramento complessivo della situazione nel mercato del lavoro, si sostiene nel Piano Nazionale, ha portato ad una riduzione del tasso di disoccupazione di lunga durata e del numero di persone che vivono in famiglie in cui nessuno lavora. Si sono ridotti i divari regionali nei tassi di occupazione. È diminuita la quota di giovani che hanno abbandonato gli studi prima della fine della scuola secondaria superiore. La speranza di vita alla nascita ha continuato ad aumentare, seppur leggermente. Le variazioni segnalate nell’ultimo anno (2002) non sono da considerarsi episodiche, ma il frutto di una tendenza di più lungo corso. In particolare, il tasso di disoccupazione di lunga durata si è ridotto del 15%, l’incidenza delle persone che vivono in famiglie 90 senza lavoro e dei giovani senza livello d’istruzione secondario di quasi il 10%, la disuguaglianza dei redditi – misurata come il rapporto tra i redditi del 20% di popolazione più ricco rispetto a quello più povero – di più del 5%. Per quanto riguarda la povertà, la performance è meno brillante, seppur positiva. Se si guarda all’indicatore nazionale dell’incidenza di povertà, basato sui consumi, il miglioramento nel 2002 rispetto alla media del triennio precedente è di più dell’8%. Tuttavia, secondo quanto affermato nel Piano Nazionale in esame, se da una parte si può guardare con soddisfazione agli andamenti recenti delle condizioni di povertà ed esclusione sociale, ciò non toglie che il cammino da compiere rispetto alla situazione media dell’Unione Europea sia ancora lungo. Infatti in termini di livelli il dato italiano per quanto concerne gli indicatori primari segnala quasi sempre una posizione relativa inferiore rispetto al dato comunitario. Le uniche eccezioni sono l’incidenza delle persone che vivono in famiglie senza lavoro – a testimoniare una struttura del mercato del lavoro per cui tende ad esservi almeno un “breadwinner” all’interno della famiglia – e la speranza di vita alla nascita – che fa dell’Italia una delle popolazioni più longeve al mondo. Particolarmente ampio è il divario per quanto concerne il tasso di disoccupazione di lunga durata, quasi doppio rispetto a quello medio europeo, che segnala questa come una delle priorità dell’azione di governo non solo per quanto riguarda le politiche del lavoro, ma anche per la lotta all’esclusione sociale. L’andamento del mercato del lavoro è comunque tale da lasciare prevedere una notevole riduzione di questo divario nell’ultimo biennio. Un discorso analogo vale per gli indicatori di povertà relativa, il cui recente andamento positivo non è ancora emerso pienamente. Per quanto riguarda il numero di giovani con basso livello d’istruzione e la coesione regionale, misurata come dispersione dei tassi d’occupazione, già si avverte una maggiore “velocità” di miglioramento rispetto al dato medio comunitario. I miglioramenti riportati sono avvenuti in una congiuntura internazionale che è stata negli ultimi anni negativa, con un forte rallentamento della crescita del PIL nei paesi sviluppati. Nel 2002 la crescita del PIL in Europa è stata in media dell’1%, in Italia solo dello 0,4%. L’anno precedente il PIL era comunque cresciuto a tassi inferiori al 2%. In questa situazione congiunturale negativa, però, il mercato del lavoro italiano ha mostrato una sorprendente vitalità. Negli ultimi due anni (aprile 2001 – aprile 2003), e quindi a partire dall’inizio della legislatura, in Italia sono stati creati 684 mila nuovi posti di lavoro. Per la prima volta nella storia del Paese ci sono più di 22 milioni di occupati. Il tasso di occupazione è cresciuto negli ultimi due anni di quasi due punti, passando dal 54,3% al 56% e portandosi ai valori più alti degli ultimi venti anni. Se si mantiene questo ritmo di crescita, si sostiene nel Piano nazionale, l’ambizioso obiettivo fissato nell’ambito della strategia di Lisbona del 58,5% nel 2005 è pienamente realizzabile. Da rilevare come sia aumentata una fascia dell’occupazione particolarmente critica, quella delle persone in età compresa tra i 55 e i 64 anni, per le quali si è passati da un tasso del 27,6% dell’inizio del 2001 all’attuale 30%. In termini di tassi di disoccupazione si è avuto il miglior risultato negli ultimi dieci anni. La distanza che separava l’Italia dagli 91 altri paesi europei è stata praticamente colmata. In aprile il tasso di disoccupazione italiano è stato dell’8,8%, identico a quello medio dei paesi nell’area dell’euro: è la prima volta che accade a partire dal 1985. Ma anche rispetto all’Unione Europea nel suo complesso la distanza si è ormai ridotta a sette decimi di punto, meno di un terzo di quanto era nel 2000. E’ innegabile – sempre secondo l’analisi svolta dagli estensori del Piano Nazionale - che al miglioramento complessivo della situazione della povertà ed esclusione sociale in Italia abbiano contribuito questi andamenti del mercato del lavoro, confermando come la partecipazione all’occupazione sia la migliore risorsa per la lotta all’esclusione sociale. IIA.2.2 La spesa in protezione sociale La spesa in protezione sociale – comprendendo tutte le istituzioni, sia pubbliche sia private – è stata in Italia nel 2002 pari a 330.265 milioni di euro, pari al 26,2% del PIL. Dato il rallentamento generale dell’economia, la quota della spesa sociale sul totale del reddito prodotto è cresciuta rispetto all’anno precedente di oltre mezzo punto, portandosi sui valori più alti degli ultimi 15 anni. Circa il 93% del totale della spesa sociale – e cioè il 24,4% del PIL – è ad opera delle Amministrazioni pubbliche. L’Italia, comunque, spende meno degli altri paesi europei. Il dato medio per i restanti paesi della UE è di quasi due punti percentuali più alto che in Italia (il 27,1% del PIL contro il 25,2% nel 2000, ultimo anno disponibile per il confronto). La distribuzione delle prestazioni secondo le diverse funzioni evidenzia la preponderanza della spesa in Italia per le funzioni vecchiaia e superstiti. Nel 2002 si tratta del 62,2% del totale (15,7% del PIL), a fronte del 63,2% del 2000 e del 64% del 1999. Sembra pertanto esservi una leggera tendenza decrescente nella quota destinata a tale funzione, evidenziandosi invece una maggiore crescita nelle spese in sanità, passate in quota del totale delle prestazioni dal 23,8% del 1999 al 26% del 2002. Le quote relative alle altre funzioni – invalidità, famiglia, disoccupazione, abitazione ed esclusione sociale – si mantengono stabili, se si eccettua una riduzione della quota per la funzione disoccupazione dovuta al miglioramento della situazione nel mercato del lavoro. Il confronto con la distribuzione per funzioni nella media della UE mette in luce i limiti noti della spesa in protezione sociale italiana: l’eccessivo peso delle funzioni vecchiaia e superstiti (nella media UE le spese per tali funzioni sono meno della metà del totale, in Italia quasi i due terzi) a scapito delle funzioni “famiglia” (la quota sul totale in Italia è meno della metà rispetto a quella media in Europa), “disoccupazione” (la quota italiana poco più di un quarto di quella europea) e “abitazione” ed “esclusione sociale” (in Italia praticamente irrilevanti). Più in linea con la distribuzione europea invece la quota di spese destinate a sanità e invalidità. Da notare comunque che mentre la quota destinata in Italia a vecchiaia e superstiti, come segnalato, sembra ridursi negli ultimi anni, nella media della UE è in costante seppur lenta crescita sin dal 1993. 92 IIA.2.3 Principali tendenze In questa descrizione il Piano di Azione Nazionale che stiamo esaminando, pone un’attenzione particolare su alcuni fenomeni sociali: la caratterizzazione della povertà, l’invecchiamento della popolazione, la mobilità regionale, il mercato del lavoro non regolare, l’integrazione dei soggetti a rischio sociale, lo sviluppo della rete delle associazioni di volontariato e del terzo settore, in quanto questi fenomeni hanno avuto una loro notevole incidenza nella formulazione della strategia e degli obiettivi del Piano Inclusione 2003. La caratterizzazione della povertà La principale caratteristica della povertà italiana è quella di essere territorialmente concentrata. Nel Mezzogiorno il tasso di povertà è circa il doppio di quello nazionale, nel Nord è poco più di un terzo. L’analisi dell’incidenza delle povertà secondo la tipologia familiare evidenzia come siano le famiglie numerose (con almeno tre figli) quelle con la probabilità maggiore di essere povere. In termini dinamici, un deterioramento si rileva anche per le famiglie con meno figli a carico, pur mantenendo un rischio di povertà inferiore (1 figlio) o poco superiore (2 figli) a quello complessivo. All’opposto le persone con la probabilità più bassa di essere povere sono i single – sia giovani che adulti, ma non gli anziani – e le coppie senza figli. Non particolarmente grave sembrerebbe – almeno stando al dato sui consumi, più affidabile statisticamente – la situazione delle famiglie monogenitore, a differenza di altri contesti in cui tale tipologia familiare rappresenta una priorità per la policy nella lotta alla povertà. Gli anziani soli sono più poveri che il resto della popolazione, seppure la loro condizione sembra migliorare secondo i dati più recenti. L’invecchiamento della popolazione L’Italia è uno dei paesi a più elevato invecchiamento al mondo, grazie ai progressivi incrementi della speranza di vita, e al contempo uno dei paesi con livelli di fecondità tra i più bassi in assoluto. All’inizio degli anni ‘50 la popolazione italiana ammontava a 47,5 milioni d’abitanti, di cui il 34,6 per cento (16,5 milioni) aveva meno di venti anni e l’8,2 per cento (3,9 milioni) più di sessantacinque. In sintesi: vi erano più di 4 giovani (0-19enni) per ogni anziano (65 e più). Nell’Italia di oggi, dove si contano 57,8 milioni di residenti, i giovani con età inferiore ai venti anni sono scesi a 11,3 milioni (19,6 per cento), mentre gli ultrasessantacinquenni sono saliti a 10,6 milioni, pari al 18,2%. Se si esamina il processo di invecchiamento negli aspetti di genere, si può osservare che, a causa della differenza nel rischio di morte per uomini e donne nelle età anziane, le donne, soprattutto nelle età più avanzate, mostrano un peso relativo che è marcatamente più elevato; le previsioni per il futuro mostrano un divario fra i sessi che persiste nel tempo, fino a giungere ad una situazione (nel 2041) in cui il peso relativo delle donne ultraottantenni risulta essere pari al 14 per cento ed ancora quasi il doppio di quello dei corrispondenti coetanei maschi (8,8%). Sulla base delle più recenti stime la popolazione italiana – dopo aver toccato la sua consistenza massima agli inizi del 93 prossimo decennio – potrebbe scendere nel 2041 alla stessa dimensione registrata attorno alla metà degli anni ’70 (55 milioni), ma con una struttura per età già molto alterata: il 15,6 per cento dei residenti potrebbe avere meno di venti anni ed il 33,6 per cento più di sessantacinque; vi sarebbero, dunque, due anziani per ogni giovane e un grande vecchio (80 anni e più) per ogni 9 abitanti. La quota di popolazione anziana (oltre i 65 anni) su quella in età di lavoro è perciò già arrivata in Italia a circa il 30 per cento e, in base alle attuali previsioni demografiche dell’Eurostat, essa è destinata a salire oltre il 65 per cento nel 2050. La mobilità regionale Il volume complessivo della mobilità interna in Italia – a partire dal 1962, anno in cui ha raggiunto il picco più alto – è andato progressivamente diminuendo per un trentennio. Il lento declino del fenomeno ha, però, manifestato segnali d’inversione a partire dagli anni Novanta, quando il volume complessivo della mobilità ha ripreso ad aumentare: nell’ultimo quadriennio si è registrata un’emigrazione netta dal Sud al Nord di 290 mila persone. Nella mobilità interregionale nuovamente in crescita in tutto il Paese, si osserva una particolare intensificazione dei movimenti dalle Regioni del Mezzogiorno verso il Nord-Est e il Centro. Nel 2001 si sono registrati consistenti flussi in uscita dalle regioni meridionali; in valori assoluti il saldo è stato pari a – 67,8mila unità, in lieve aumento rispetto a quello dell’anno precedente (-67,4). I valori più alti del saldo migratorio nelle regioni del Sud si sono presentati in Sicilia, Campania e Puglia. Rispetto alle destinazioni, sono state le regioni del Nord-Est a beneficiare in larga misura dei flussi migratori interni registrando un saldo di +34mila unità, pari ad un incremento di 3,15 nuovi residenti ogni 1000 abitanti. La presenza di popolazione extra-comunitaria La popolazione straniera legalmente residente in Italia è più che triplicata rispetto alla situazione registrata dieci anni fa (649.000 permessi al 1 gennaio 1992); agli aumenti della presenza straniera determinati dai diversi provvedimenti di regolarizzazione succedutisi negli anni Novanta si è accompagnato un ulteriore incremento dovuto ai flussi di ingresso per ricongiungimento familiare. I dati più recenti relativi ai permessi di soggiorno rilasciati a stranieri in Italia risalgono al 1 gennaio 20027: la presenza complessiva ammonta a 1.362.630 stranieri. Si tratta tuttavia di un dato, con tutta probabilità, non perfettamente coincidente con la realtà attuale della presenza degli stranieri nel nostro Paese. Questo per due ordini di motivi: • il numero di permessi di soggiorno rilasciati non permette di valutare la presenza dei minori stranieri in Italia, poiché i minori infraquattordicenni, per legge, non sono titolari di un permesso di soggiorno autonomo ma sono iscritti nel permesso di uno dei genitori. La presenza di minori stranieri in Italia è attualmente stimata attorno alle 300.000 unità; • la legge 189/2002 e il successivo decreto legge n. 195 del 9 settembre 2002, convertito in legge n. 222/2002, hanno consentito la regolarizzazione di rapporti di lavoro subordinato instaurati di fatto da datori di lavoro italiani con 94 cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno a condizione che i lavoratori stranieri risultassero occupati nei tre mesi precedenti all’entrata in vigore della legge (settembre 2002). Facendo ricorso a tale possibilità, sono state presentate nel 2003 più di 700.000 domande di regolarizzazione di lavoratori extracomunitari. La crescita della popolazione extracomunitaria rende sempre più pressante l’esigenza di riconsiderare le politiche di integrazione sociale anche sulla base delle numerose sollecitazioni provenienti dal diritto comunitario. Da questo punto di vista – sostengono gli estensori del Piano nazionale - il Governo italiano è stato uno dei primi quattro Paesi ad aver dato attuazione alla direttiva n. 2000/43 che introduce il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo la costituzione ad hoc di un Ufficio anti-discriminazioni presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il mercato del lavoro non regolare Con il termine mercato del lavoro sommerso si indicano forme diverse di attività e di condizioni di lavoro. Il lavoro sommerso è una realtà pluridimensionale, di difficile quantificazione e assai mutevole nel tempo. Si tratta di un fenomeno che – come rilevato nel recente Consiglio informale dei ministri del lavoro e delle politiche sociali di Varese (19-12 luglio 2003) – deve essere affrontato con politiche diversificate, ed il cui superamento consente un miglioramento della qualità e della produttività del lavoro e contribuisce al rafforzamento delle politiche di coesione ed inclusione sociale. Attualmente lo sviluppo dell’economia sommersa nella società italiana è assai differenziato sia sul lato dei datori di lavoro che dei lavoratori. In generale il lavoro sommerso è presente – oltre che nei settori tradizionali e tipici di questo mercato (turismo, edilizia, tessile ecc) – anche in agricoltura, servizi e nell’economia sociale; pur essendosi ridimensionata la portata strutturale del sommerso, è ancora diffuso soprattutto in alcuni contesti territoriali del Mezzogiorno: il numero dei lavoratori irregolari nel sud del Paese è particolarmente elevato in alcuni rami di attività, fino a raggiungere la metà degli occupati. La stima complessiva del sommerso a livello nazionale parla di un valore di circa il 22,3%; a questo dato vanno aggiunte le aziende che fanno uso di manodopera irregolare (17,8%) o aziende che ricorrono sistematicamente all’evasione fiscale e contributiva. L’integrazione di soggetti sociali a rischio d’esclusione: le persone con disabilità Le persone con disabilità sono circa 2.615.000 (dati 2000), pari quasi al 5% della popolazione di sei anni e più che vive in famiglia. Si stima un numero di bambini disabili fra zero e cinque anni pari a circa 43.600 unità. Per quanto riguarda la stima delle persone con disabilità che vivono in residenze, e non in famiglia, si può parlare di 165.538 persone con disabilità o anziani non autosufficienti ospiti nei presidi socioassistenziali. Nonostante le innovazioni legislative in tema di inserimento lavorativo (L. 68/99) e le numerose iniziative attivate anche grazie a progetti e finanziamenti europei, ad oggi i livelli di occupazione delle persone con disabilità sono ancora piuttosto bassi 95 (tasso di occupazione del 21 per cento). Le donne con disabilità sono notevolmente svantaggiate rispetto agli uomini: le prime hanno un tasso d’occupazione dell’11 %, i secondi del 29 %. La condizione familiare è diversificata: il 28 per cento vive solo, in prevalenza anziani; il 26 per cento delle persone con disabilità fino a 44 anni è coniugato (contro il 47 per cento dei non disabili). La condizione di disabilità fra i giovani comporta una loro permanenza nel nucleo d’origine; si riscontra così che il 34 per cento delle persone con disabilità d’età compresa tra i 25 e i 44 anni vive con i genitori (rispetto al 19 per cento dei non disabili), e che il 17 per cento delle persone con disabilità della stessa età vive con un solo genitore (rispetto al 6 per cento dei non disabili). Questo implica verosimilmente una situazione di maggiore necessità economica e, talvolta, di maggiore disagio. La scuola, dopo la famiglia, è l’istituzione che accoglie per tanto tempo la persona con disabilità. La scuola italiana accoglie nelle sue classi in pratica tutti i bambini e le bambine senza alcuna distinzione di disabilità. Lo sviluppo del volontariato, del terzo settore e della cooperazione sociale Nei cinque anni precedenti la predisposizione del Piano Nazionale (2003) la galassia del mondo del volontariato, del Terzo Settore e della cooperazione sociale è andata aumentando numericamente (sia relativamente al numero di organizzazioni, che di occupati e di volontari), sviluppando le aree ed i settori d’intervento ed il suo ruolo d’attore centrale per le politiche sociali. Si tratta di un settore che si caratterizza per la presenza di una pluralità di attori ed organizzazioni diffuse a livello territoriale in modo capillare; da un primo quadro schematico si rileva l’esistenza di circa 230.000 istituzioni, in cui operano a diverso titolo circa cinque milioni di persone, un vasto mondo comprendente: • le associazioni circa 202.000 che occupano circa 281.000 persone retribuite, che vedono la presenza di oltre tre milioni di persone non retribuite; • le organizzazioni di volontariato circa 26.000, in cui sono presenti circa 50.000 operatori retribuiti cui si aggiungono attorno al milione di volontari; • le cooperative sociali distribuite sul territorio nazionale che assommano a circa 7.000, composte di 196.000 soci ordinari e 16.000 volontari; • le fondazioni bancarie (3000), cui fanno capo circa 100.000 persone; • le organizzazioni non governative (ONG) il cui numero raggiunge le 170 unità, con oltre 15.000 volontari; • altre organizzazioni ed istituzioni, classificabili in quest’area, i cui soci ordinari sono circa 200.000 e circa 16.000 volontari; i soggetti svantaggiati che operano in queste organizzazioni sono stimabili in 22.000; • le imprese sociali che si sviluppano all’interno della rete associativa e del noprofit, che appaiono dotate di notevole vitalità. Esiste, inoltre, una solidarietà diffusa a livello territoriale: le reti del dono non organizzato e dell’aiuto informale. Annualmente 231 milioni d’ore d’aiuto sono erogate a vario titolo a persone non conviventi, un modo d’aiuto reciproco che coinvolge circa 20.000 persone. 96 IIa.2.4 Approccio strategico, priorità e obiettivi Nel Piano nazionale italiano in esame si legge che l’azione complessiva che il Governo avrebbe condotto nell’ambito delle politiche sociali aveva lo scopo di una riformulazione degli obiettivi e delle funzioni del sistema di welfare italiano. In questo scenario le priorità di azione che l’Italia poneva al centro della sua agenda per il triennio 2003-2005 – per conseguire l’obiettivo di una società più attiva, più inclusiva e più coesa – potevano essere così identificate: 1. politiche a favore della famiglia e della natalità; 2. misure per il sostegno alle persone con disabilità; 3. politiche di lotta alle povertà estreme; 4. interventi per contrastare la non autosufficienza; 5. politiche attive del lavoro (welfare to work); 6. interventi contro il disagio minorile e a favore delle fasce deboli; 7. politiche per favorire l’eguaglianza tra uomo e donna; 8. politiche di prevenzione e recupero delle tossicodipendenze. Le politiche familiari Il Piano Nazionale 2003-2005 riconosceva alla famiglia il ruolo di strumento importante per lo sviluppo della coesione sociale, fattore decisivo per i processi di inclusione sociale delle persone a rischio di marginalizzazione e per il mantenimento delle relazioni intergenerazionali. La famiglia viene considerata soggetto attivo e attore primario nell’organizzazione di un sistema di welfare moderno, in particolare per il sostegno alle fasce più deboli: anziani, persone con disabilità, minori. In relazione a ciò l’Italia intendeva perseguire l’obiettivo di rafforzare la capacità di partecipazione attiva delle famiglie, grazie a una visione unitaria e integrata che passa attraverso misure di sostegno per la natalità, per la costituzione di una vita familiare, per la conciliazione tra vita professionale e responsabilità familiari. Le politiche a sostegno della famiglia dovevano anche intervenire sulle capacità del sistema economico e sociale di mantenere un solido sentiero di sviluppo per il Paese. In questo quadro, l’Italia soffre di uno dei più bassi tassi di fecondità in Europa. Il Piano indicava che occorre promuovere una decisa politica di sostegno alla natalità, anche sull’esempio di quanto già attuato in altri Paesi dell’Unione Europea. Pertanto il Governo intendeva intervenire attraverso misure a favore della natalità, prevedendo adeguate e apposite forme di sostegno monetario per i nuovi nati, con l’obiettivo di rendere meno onerosa l’assunzione di responsabilità da parte delle famiglie di nuova formazione. Allo stesso tempo, andavano rafforzate le azioni a sostegno delle famiglie di nuova formazione che avevano intenzione di acquistare una casa. Lo sviluppo di un sistema di servizi per la famiglia rappresenta uno degli strumenti prioritari per il sostegno della natalità, con il fine di assicurare alle coppie adeguati strumenti capaci di conciliare le scelte di procreazione con le responsabilità professionali. In tal senso di portata innovativa è 97 anche il contributo che il settore produttivo avrebbe saputo assicurare allo sviluppo dei servizi per i figli dei lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. L’impegno del Governo era quindi volto a favorire lo sviluppo della rete degli asili e micronidi, caratterizzati da una particolare flessibilità organizzativa, in modo da soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. L’approvazione definitiva della Legge Biagi (la controversa legge che ha modificato il mercato del Lavoro ndr), e dei suoi decreti attuativi, avrebbe permesso di introdurre nell’ordinamento italiano nuove forme di flessibilità normativa tali da rendere possibile la conciliazione delle responsabilità familiari con gli impegni professionali. Nel corso del triennio 2003-2005 era inoltre intenzione del Governo valorizzare e alleviare il lavoro di cura svolto dalla famiglia nell’assistenza ai propri membri, mediante adeguate misure a sostegno di queste attività. Infine, particolare attenzione doveva essere data – secondo il Piano nazionale - alle azioni di alleggerimento fiscale, con l’obiettivo di creare le condizioni per assicurare un minore carico fiscale per le famiglie. Misure per il sostegno alle persone con disabilità In linea con gli impegni presi dal Governo in occasione della conferenza di apertura dell’Anno Europeo delle persone con disabilità e della Seconda Conferenza Nazionale della Disabilità, l’Italia intendeva realizzare nel triennio 2003-2005 una serie di iniziative volte a sviluppare una politica integrata per le persone con disabilità, colmando quelle che vengono ritenute mancanze della normativa vigente e fornendo ulteriori strumenti di conciliazione tra l’impegno professionale e le gravose attività di cura e di assistenza alle famiglie con persone disabili. Tali iniziative avrebbero dovuto avere anche l’obiettivo di favorire le condizioni di autonomia personale e di integrazione nel contesto professionale e produttivo del Paese delle persone con disabilità, e in particolare dei giovani. In questo ambito si devono ricomprendere, da un lato, misure quali l’estensione al coniuge del congedo biennale per gravi motivi nonché ai genitori di minori affetti da gravi patologie, l’eliminazione o la significativa riduzione del periodo di attesa per beneficiare di detto congedo; dall’altro le agevolazioni e gli incentivi per promuovere l’autoimprenditorialità. Il Governo intendeva, inoltre, rafforzare gli attuali progetti sperimentali a favore delle persone con disabilità, in particolare realizzando forme di partenariato e di cofinanziamento con gli Enti Locali per l’attuazione di progetti di rete realizzati con le associazioni del Terzo Settore. Al fine di migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, il Governo era intenzionato ad incrementare i servizi a disposizione, favorirne l’accesso attraverso la rimozione di barriere architettoniche e culturali, definire modelli organizzativi di servizi integrati per la cura ed il trattamento delle non autosufficienze. Politiche di lotta alle povertà estreme Nel Piano Nazionale 2003-2005 si sostiene che l’obiettivo della coesione sociale e le strategie di inclusione sociale mirate a conseguirlo hanno nelle fasce di popolazione più vulnerabili il loro terreno di applicazione cruciale, per quanto esso sia anche quello maggiormente delicato e complesso. 98 Tre quindi gli obiettivi principali della lotta alle povertà estreme: 1) diminuire il numero delle persone in situazioni di povertà estreme; 2) aumentare i servizi a livello locale per persone in condizione di povertà estrema; 3) rendere “socialmente visibili” i senza fissa dimora. Il Patto per l’Italia, firmato il 5 luglio 2002, ha sancito la fine del periodo di sperimentazione del reddito minimo di inserimento (RMI), ne ha identificato alcune criticità e debolezze e – riconoscendo la necessità di disporre di uno strumento per contrastare forme estreme di disagio sociale e di esclusione sociale – ha previsto di istituire un nuovo strumento: il reddito di ultima istanza (RUI). L’esperienza del reddito minimo di inserimento aveva evidenziato, infatti, una serie di problemi, in parte imputabili alle caratteristiche dello strumento di sostegno economico, in parte alla scarsa capacità di disegno ed attuazione delle misure di reinserimento sociale, in parte ancora al sovraccarico di funzioni che si determinano a causa di tradizionali carenze del sistema di welfare italiano. Il Governo, dunque, alla luce di queste considerazioni, intendeva introdurre uno strumento nuovo, il reddito di ultima istanza (RUI), che presentava elementi di universalità accanto ad elementi di selettività, tale da qualificarlo come strumento di ultima istanza per soggetti e categorie socialmente fragili, genericamente con scarse chances lavorative e reddituali. Interventi per contrastare la non autosufficienza Il Governo intendeva rafforzare gli interventi di politica sociale in favore delle persone, in particolare anziane, non autosufficienti, che rappresentano in maniera sempre maggiore un elemento di criticità della società. Ciò attraverso un nuovo sistema di organizzazione dei servizi e di integrazione delle prestazioni, anche al fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorse disponibili. In questo quadro, in coerenza con quanto affermato nel Libro Bianco sul Welfare, l’Italia intendeva nel corso del triennio 2003-2005 sviluppare l’integrazione tra interventi sociali e interventi sanitari; promuovere interventi di aiuto personale di supporto all’assistenza domiciliare quotidiana; sviluppare la rete delle strutture di residenzialità e semi-residenzialità; implementare l’accessibilità e la diffusione delle nuove tecnologie a sostegno delle situazioni più difficili. Infine, nell’ottica della valorizzazione del risorse e dello sviluppo di politiche di “invecchiamento attivo”, si riteneva importante attivare interventi per migliorare l’occupabilità e la partecipazione dei lavoratori delle classi di età più avanzate al mercato del lavoro. L’approvazione della Legge Biagi avrebbe rappresentato un importante strumento di supporto alla partecipazione al mercato del lavoro per questo gruppo di popolazione. Politiche attive del lavoro (welfare to work) Nel Piano in esame si asserisce che i Consigli Europei di Lisbona e di Barcellona avevano definito e condiviso obiettivi ambiziosi, basati sul principio che dinamismo economico e giustizia sociale devono procedere di pari passo. Nell’economia della conoscenza le ragioni della competitività e dell’inclusione sociale tendono a convergere nel 99 comune obiettivo della valorizzazione delle risorse umane, in primo luogo attraverso l’incremento dei tassi di occupazione regolare. Il Governo intende promuovere e sostenere tutti gli strumenti utili a incoraggiare e assistere l’individuo nel suo inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. In questo ambito, pertanto, le priorità di azione che l’Italia si proponeva erano: 1) aumento del tasso di occupazione, con particolare attenzione alla popolazione femminile e agli over 55; 2) emersione del lavoro in nero; 3) incoraggiamento ai processi di adattabilità e mobilità. Il Governo intendeva, inoltre, promuovere la responsabilità sociale delle imprese, incoraggiando il sistema delle aziende non solo a rispettare le norme sociali ed ambientali, ma anche a finanziare azioni specifiche di politica sociale – sulla base delle priorità stabilite dal Governo – in modo che esse siano protagoniste anche dell’attuazione delle politiche sociali. Per arrivare a questo obiettivo, il Governo italiano intendeva sviluppare un progetto che prevedeva la formulazione di un insieme di indicatori di valutazione delle performances sociali, l’identificazione delle migliori pratiche a livello mondiale, l’implementazione di un progetto pilota. Interventi contro il disagio minorile e a favore delle fasce deboli Con la definizione del Piano Nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, si intendeva confermare l’attenzione ai bambini e agli adolescenti come punto di partenza di ogni progetto teso a sviluppare la dimensione del sociale in un’ottica dinamica. Il Piano individuava due principi in favore dei bambini e delle bambine, anche per combattere e prevenire la devianza minorile: da un lato, la valorizzazione della famiglia come comunità educante; dall’altro, la ricerca di strumenti di rafforzamento della protezione dei minori da ogni forma di violenza: protezione da intendersi nella triplice accezione della prevenzione, della tutela e del recupero del soggetto in età evolutiva in difficoltà. Le linee di orientamento dell’Italia per il triennio 2003-2005, ai fini della progettazione degli interventi di risposta ai bisogni emersi nei diversi contesti territoriali, prevedevano: a) la diminuzione del fenomeno della devianza e dell’esclusione minorile nelle scuole; b) la riduzione dei casi di abbandono dei minori; c) il sostegno alla struttura familiare per il supporto a minori ed adolescenti in situazioni di devianza; d) l’aumento del numero dei servizi semiresidenziali; e) la chiusura degli istituti per minori entro il 2006; f ) lo sviluppo di reti di mutuo soccorso familiare. Il Governo intendeva promuovere interventi finalizzati al sostegno delle fasce deboli, con particolare attenzione ai detenuti e ai soggetti in esecuzione penale fuori dal 100 carcere, ai tossicodipendenti, agli immigrati legalmente residenti. Per quanto riguarda il sostegno ai detenuti ed i soggetti in esecuzione penale fuori dal carcere, le priorità di azione del Paese per il triennio in esame concernevano le misure per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti e dei soggetti in misura alternativa e gli interventi di formazione professionale, spendibile anche nell’ambito del mercato del lavoro in libertà, garantendo così una migliore risposta al bisogno di sicurezza della società e un migliore reinserimento sociale dei soggetti in questione. Per ciò che riguarda le politiche per la lotta alla droga, la presenza di un organismo di coordinamento per l’attuazione di politiche complessive intese a fronteggiare il fenomeno della dipendenza dalla droga, tendeva a garantire il superamento della frammentazione degli interventi. In questo ambito, le azioni prioritarie sarebbero state: raccordo operativo-funzionale tra le singole attività delle istituzioni operanti nello specifico settore; definizione di indirizzi generali, nel rispetto di competenze articolate, sia di livello centrale che di livello territoriale; sviluppo dell’informazione. Nel Piano si evidenziava come l’Italia aveva avviato, con la legge 189/2002 e successivo decreto legge n. 195 del 9 settembre 2002, la regolarizzazione dei rapporti di lavoro subordinato instaurati con cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Facendo ricorso a questa possibilità erano state presentate 700.000 domande di regolarizzazione. L’esito finale di tale processo avrebbe comportato un radicale mutamento di condizione per un numero significativo di stranieri soggiornanti in Italia. Di conseguenza, gli interventi del triennio 2003-2005 sarebbero stati tutti orientati a programmare in modo più efficace i servizi necessari per favorire l’integrazione sociale e lavorativa di questi cittadini stranieri. In particolare il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca avrebbe promosso nuove azioni per prevenire il disagio giovanile e favorire il successo scolastico e formativo dei giovani, coerentemente con la Legge n. 53/2003 di riforma del sistema scolastico e formativo, attraverso: la creazione di Centri di aggregazione intergenerazionale; la promozione della salute nella sua più ampia accezione attraverso il Progetto “Missione salute”; la promozione di un Piano Nazionale di Orientamento “finalizzato a sostenere la crescita educativa, culturale, professionale dei giovani; la promozione dell’attività fisica e sportiva come strumento di coesione sociale ed esercizio di cittadinanza attiva; il sostegno dell’Associazionismo studentesco; il sostegno alle Associazioni dei genitori della scuola. Politiche di pari opportunità Il Piano nazionale prendeva atto che la strategia adottata dal Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo 2000 era finalizzata a realizzare il pieno impiego, attraverso un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione, e riconoscendo il diritto fondamentale al lavoro di uomini e donne. L’analisi degli interventi da effettuare in materia di pari opportunità era stata sviluppata secondo i seguenti assi: 1. Lo sviluppo dell’occupazione e delle pari opportunità; 2. La valorizzazione e sostegno della rete familiare; 3. La conciliazione vita familiare e sociale; 4.L’ eguaglianza di opportunità a livello normativo. 101 IIA.2.5 Misure politiche del Piano d’Azione Nazionale 2003-2005 - Obiettivo 1: - Obiettivo 2: - Obiettivo 3: facilitare l’accesso all’occupazione, accesso alle risorse, diritti, beni e servizi per tutti; prevenire i rischi di esclusione sociale; appoggio ai gruppi vulnerabili. Obiettivo 1. Facilitare l’accesso all’occupazione, accesso alle risorse, diritti, beni e servizi per tutti 1.1. Sviluppo dell’occupazione e delle competenze con particolare attenzione alla componente femminile ed al Mezzogiorno. Nel periodo in cui è stato predisposto il Piano d’azione nazionale in esame (2003), il Governo italiano aveva fissato un obiettivo quantitativo, relativo al tasso di occupazione complessivo al 2005. Al raggiungimento di questo obiettivo avrebbero dovuto contribuire fortemente la componente femminile e quella degli over 65. La nuova disciplina del part time, nonché gli interventi di conciliazione tra vita familiare e lavoro, avrebbero dovuto contribuire al mantenimento del trend già ritenuto positivo della partecipazione femminile al mercato del lavoro; in considerazione di ciò era stato fissato al 46% il tasso di occupazione femminile da raggiungere entro il 2005. La fissazione di un obiettivo quantitativo appariva più difficile nel caso dei lavoratori anziani (55-64 anni), dato che solo nel 2000 e 2001 si era assistito a una prima timida inversione di tendenza, dopo i forti cali realizzatisi nel corso di tutti gli anni Novanta. Obiettivi quantitativi per il 2005 Tasso di occupazione generale 58,5% Tasso di occupazione femminile 46% Tasso di occupazione degli anziani (55-64 anni) 40% Il Piano Nazionale per l’Occupazione 2002, accogliendo le indicazioni dell’UE, individuava come azioni prioritarie delle politiche per l’occupazione una più elevata preparazione culturale e professionale dei giovani e degli adulti, in modo da facilitarne l’ingresso e la permanenza nel mondo del lavoro. A tal fine, l’Italia intendeva realizzare un moderno ed efficiente sistema di Servizi per l’impiego, pubblici e privati, collegati tra loro da un sistema informativo per il lavoro (SIL). Il sistema avrebbe dovuto: facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; riordinare le regole del collocamento, mediante l’introduzione dell’anagrafe del lavoratore; attivare una procedura di “borsa” continua; educare all’occupabilità, favorendo uno stretto rapporto scuola – lavoro; implementare l’acquisizione di un più alto livello di competenze di base – linguistiche, matematiche, tecnologiche, sociali – ricorrendo a iniziative di educazione permanente degli adulti. La riforma del sistema delle “tutele attive”, necessariamente graduale e a carattere pluriennale, aveva l’obiettivo di incoraggiare e assistere il lavoratore nel processo di reinserimento nel mercato del lavoro. Si sarebbe dovuto, pertanto, realizzare un circolo virtuoso – tra sostegno al reddito, orientamento e formazione 102 professionale, impiego e autoimpiego – che rafforzasse così la tutela del lavoratore in situazione di disoccupazione involontaria, ne riducesse il periodo di disoccupazione, ne incentivasse un atteggiamento responsabile ed attivo verso il lavoro. Gli obiettivi finali della riforma avrebbero dovuto garantire: una protezione generalizzata ed omogenea dei disoccupati involontari; l’introduzione di forme di protezione integrativa, aggiuntiva o sostitutiva, liberamente concordate fra le Parti Sociali ai più vari livelli, con prestazioni autofinanziate e gestite da organismi bilaterali di natura privatistica. Infine, per quel che attiene lo sviluppo del Mezzogiorno del Paese, l’obiettivo del Governo era consentire un tasso di crescita significativo tale da conseguire, entro il 2008, un aumento del tasso di attività (60%) corrispondente all’incremento del tasso di occupazione indicato nel DPEF 2003-2007. 1.2 Aumentare l’occupazione femminile: interventi a livello regionale Secondo quanto affermato nel Piano d’azione nazionale, la promozione e l’attuazione della pari opportunità si configurava attraverso l’adozione da parte delle Regioni e delle Province Autonome di una strategia complessa e articolata, risultante dall’integrazione di politiche attive del lavoro, politiche sociali, politiche di informazione, di orientamento e di formazione, di conciliazione. Le Amministrazioni territoriali avrebbero dovuto sviluppare: - l’attività di orientamento e di accompagnamento al lavoro, in particolare per le donne vittime di tratta; - la formazione; - la creazione di imprese e l’autoimprenditorialità; - la rete provinciale dei Servizi per l’impiego e degli Sportelli Donna; - l’aumento del numero dei Centri antiviolenza e delle Case di accoglienza per le donne in difficoltà; - la sperimentazione dei voucher sia a favore delle imprese (voucher aziendale) sia a favore dei singoli soggetti (voucher individuale), come strumento di agevolazione per l’accesso e la permanenza nel mondo del lavoro; - gli interventi per favorire l’emersione del lavoro sommerso. 1.3 Aumentare il tasso di attività degli over 55 Al di là del problema fondamentale della discriminazione in base all’età, la tendenza all’invecchiamento della popolazione pone diverse sfide per il mercato di lavoro che richiedono politiche specifiche. Queste sfide includono: - la necessità di rivedere le strategie di pensionamento anticipato; - la promozione dell’occupazione e dell’occupabilità; - lo sviluppo di iniziative di formazione e di riqualificazione. 103 1.4 Aumentare il numero delle persone con disabilità presenti nel mondo del lavoro Le persone con disabilità presentano tassi di occupazione molto limitati e al fine di un maggiore inserimento occupazionale si prevedevano le seguenti azioni: verifica dell’applicazione della legge 68/99; completamento dell’informatizzazione dei dati in tutti i Servizi per l’impiego; attivazione di politiche di mainstreaming; sostenere l’occupazione di donne con disabilità; rafforzamento delle tecnologie e del telelavoro; istituzione di gruppi di lavoro per studiare l’uso delle tecnologie dell’informazione e del telelavoro, per migliorare l’integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro; sviluppare forme di autoimprenditorialità delle persone giovani con disabilità, anche attraverso l’istituzione di un’apposito fondo di euro 5.500.000. 1.5 Favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti Secondo il Piano d’azione nazionale 2003-2005 nell’ambito delle iniziative da attivare in funzione di azioni di reinserimento sociale di persone in condizione detentiva o in esecuzione penale esterna, il lavoro – diritto costituzionalmente protetto – ha un ruolo primario nel percorso di reinserimento sociale dei condannati. Questo favorisce il processo di inclusione sociale e l’adozione di modelli di vita socialmente accettabili. A tal fine, si intendeva promuovere: l’occupazione lavorativa, l’orientamento e l’avviamento per il futuro post detentivo, stimolando la partecipazione delle componenti pubbliche, private e del privato sociale più qualificato, con azioni tese ad incentivare l’investimento occupazionale nell’ambito penitenziario; azioni tese a garantire percorsi di long-life learning; il consolidamento dei rapporti tra le Regioni ed i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria, al fine di attuare iniziative a favore dei detenuti e dei condannati in misura alternativa; l’integrazione tra gli uffici per l’impiego del Ministero del Lavoro e le sedi periferiche dell’Amministrazione Penitenziaria, permettendo così la puntuale conoscenza dei bisogni occupazionali dell’utenza ristretta; l’implementazione di un apposito software per consentire di definire le posizioni professionali e lavorative dei detenuti con dati che, immessi nelle graduatorie previste dall’art. 20 dell’Ordinamento Penitenziario, confluiranno in un data - base nazionale. 1.6 Favorire l’emersione del lavoro non regolare L’incidenza dell’economia sommersa, soprattutto nel Mezzogiorno, è di molto superiore rispetto alla media comunitaria. Negli anni della predisposizione del Piano d’azione nazionale si stava delineando una nuova politica di intervento, legata alla riforma del mercato del lavoro (Legge Biagi). Il provvedimento tendeva a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro regolare, moltiplicando le forme giuridiche del lavoro, “sbloccando” l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, attribuendo nuove funzioni alla mano pubblica, contribuendo al contenimento e alla riduzione del fenomeno dell’irregolarità del lavoro. Obiettivi operativi: - favorire l’emersione attraverso una politica di incentivazione; 104 - attivare strutture di sostegno all’emersione; - flessibilizzare il mercato del lavoro. 1.7 Sostenere la mobilità geografica Nel 2003 dalle 150.000 alle 200.000 persone, soprattutto giovani diplomati e laureati, si stavano trasferendo dal Sud al Nord del Paese per motivi di lavoro. Nonostante questo, il principale collo di bottiglia nell’incrocio domanda offerta di Lavoro – si sostiene nel Piano d’azione nazionale in esame - è costituito dalla mobilità geografica. Le difficoltà di mobilità sono riconducibili ad una criticità relativa agli aspetti di accoglienza abitativa, di inserimento sociale, di scarsa accessibilità di servizi formativi per lo sviluppo professionale. Tra gli obiettivi che il Piano d’azione nazionale 2003-2005 contro l’esclusione sociale individuava per accelerare i processi di mobilità appariva prioritario lo sviluppo di: sistemi di governo a livello territoriale; servizi di accompagnamento per l’integrazione sociale e per lo sviluppo professionale; opportunità di stabilizzazione occupazionale e/o di rientro nei territori d’origine; programmi interregionali finalizzati allo sviluppo e al sostegno della mobilità (Azione di Sistema Sud Nord Sud, Azioni di accompagnamento alla mobilità geografica sud nord). 1.8 Sviluppare la responsabilità sociale delle imprese In sintonia con le linee guida europee in materia di responsabilità sociale d’impresa, il Piano d’azione nazionale attribuiva notevole importanza alla diffusione di comportamenti etici nelle imprese. Questa visione risultava ampliata nella dimensione degli interventi pro-attivi nel sociale da parte delle imprese (coinvolgimento sociale) e nella partecipazione attiva delle stesse a sostenere il sistema di welfare, nazionale e locale, secondo i dettami di una moderna logica di integrazione pubblico - privato. Il ruolo del Governo – si sostiene nel Piano d’azione nazionale - sarà quello di identificare le aree d’intervento e gli ambiti che richiedono un’azione specifica di orientamento dei finanziamenti su progetti prioritari. Le imprese aderiranno su base volontaria e contribuiranno al finanziamento delle politiche di welfare, mentre l’intervento nel sociale sarà gestito direttamente dalle associazioni e dal volontariato. In questo nuovo approccio al welfare, è importante che i soggetti che si dichiarano socialmente responsabili e che intervengono attivamente nel sociale, lo facciano rispettando un quadro di riferimento comune. Così solo le imprese che seguiranno questo percorso, oltre ad avere un ritorno in termini di immagine, potranno accedere a degli incentivi. Il Governo intende proporre un premio per quelle imprese che avranno deciso di aderire all’iniziativa. Questo premio sarà di natura fiscale (defiscalizzazione delle elargizioni) e di carattere finanziario (fondi pensione etici) . A tal fine verrà sostenuto il programma “Responsabilità sociale delle imprese”. 1.9 Sviluppare la formazione continua Nell’ambito degli interventi del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca per il 2003 – 2004 sono previsti interventi finalizzati al rafforzamento delle competenze di base. 105 1.10 Sostenere la numerosità familiare Al fine di sostenere la struttura famiglia e la natalità il Governo intendeva: introdurre una forma di assegno “una tantum” per i figli, differenziato per numero di figli; sostenere con un intervento di accompagnamento, per un periodo determinato, differenziato per fasce di reddito, la nascita del primo figlio; proseguire il finanziamento di interventi a sostegno delle famiglie di nuova formazione che hanno intenzione di acquistare una casa (finanziamento alle giovani coppie). 1.11 Sviluppare la rete dei servizi per la famiglia Lo sviluppo di un sistema di servizi per la famiglia rappresentava uno degli strumenti prioritari per il sostegno della natalità, con il fine di assicurare alle coppie adeguati strumenti capaci di conciliare le scelte di procreazione con le responsabilità professionali. 1.12 Sostenere lo sviluppo di politiche per l’affidamento familiare e l’adozione Il Governo intendeva privilegiare l’affidamento familiare, diurno o residenziale, ricentrando l’esperienza educativa nell’intervento di affido e sviluppando progetti sperimentali e percorsi d’aiuto per la famiglia di origine. Inoltre, si intendevano implementare le forme di affido. 1.13 Sviluppare politiche di conciliazione Alla carenza dei servizi si unisce spesso la rigidità delle norme in materia di conciliazione. La maternità è ancora vissuta troppo spesso nel mondo del lavoro non come un atto positivo per la società, ma come una perdita di produttività, il che corrisponde spesso ad una cultura di impresa ancora troppo carente sotto questo punto di vista. Al fine di sviluppare le politiche di conciliazione, si prevedeva di realizzare la legge 53 dell’8 marzo 2000 “Disposizioni per sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di lavoro, di cura e della famiglia”, gestita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e volta a sviluppare le politiche di conciliazione, i congedi di paternità e maternità, lo sviluppo armonico dei tempi di vita familiare e lavorativa. A tal fine la legge prevedeva anche il finanziamento di progetti destinati ad aziende private, di piccole – medie – grandi dimensioni finalizzati alla sperimentazione di interventi integrati di cambiamento organizzativo e gestionale, orientati al sostegno della conciliazione ed al sostegno della maternità e della paternità. Quindi: lo sviluppo di interventi di informazione e diffusione; la produzione di linee guida; gli scambi di buone pratiche. 1.14 Sviluppare i servizi per le persone con disabilità Il sistema dei servizi per le persone con disabilità prevedeva la predisposizione ed attuazione del Piano Sanitario 2002-2004 redatto dal Ministero della Salute. I punti salienti: la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al rischio di non auto-sufficienza della popolazione; la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata, economicamente compatibili, rispettose della dignità della persona; il 106 corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri diurni); lo sviluppo di residenze sanitarie assistenziali e istituti di riabilitazione; la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli ospedali e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri, grazie alla presenza di una rete di servizi territoriali efficace ed efficiente; il miglioramento della autonomia funzionale delle persone disabili; l’introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la disabilità e la non autosufficienza, che includano le informazioni sugli stili di vita più appropriati e sui rischi. A questo scopo era finalizzato anche il Piano nazionale per la non autosufficienza, in coordinamento con il Ministero della Salute, che sarebbe partito in via sperimentale in alcune Regioni nel secondo semestre del 2003. Si aggiunge il Pacchetto di iniziative volte a colmare alcune delle mancanze della normativa vigente, più volte rappresentate dalle associazioni di volontariato e dalle organizzazioni che assistono persone con disabilità, nonché a fornire ulteriori strumenti. 1.15 Implementare i servizi per gli over 65 Nella prospettiva di uno sviluppo dei servizi alla persona il Documento economico e sociale 2004-2007 intendeva rafforzare gli interventi di politica sociale in favore delle persone, in particolare anziane e non autosufficienti, che rappresentano in maniera sempre maggiore un elemento di criticità della nostra società. Inoltre nel Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 si prevedevano interventi che, in maniera diversificata, avrebbero potuto migliorare i servizi e la salute anche degli anziani: attuare, monitorare e aggiornare l’accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza; ridurre i tempi e le liste di attesa; promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l’assistenza agli anziani; potenziare i fattori di sviluppo (o “capitali”) della sanità; realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina e sanità; promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere; promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari; promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la comunicazione pubblica sulla salute. Obiettivo 2: prevenire i rischi di esclusione sociale. 2.1 Ridurre l’esclusione minorile nelle scuole Si legge nel Piano d’azione nazionale italiano contro l’esclusione sociale che gli abbandoni precoci della scuola rappresentano il sintomo di una complessiva situazione di disagio e di disadattamento che, soprattutto quando sono correlati ad altre cause di natura socio-economica e culturale, possono favorire fenomeni di emarginazione, esclusione, devianza. Consapevole quindi che l’istruzione e la formazione sono lo strumento principale di crescita e modernizzazione del Paese, il Governo indicava come priorità di scelta: la valorizzazione del capitale umano; la promozione di uguaglianza di opportunità a disposizione dei singoli; la promozione del successo educativo e formativo. La promozione del diritto-dovere di istruzione costituisce quindi il centro della missione educativa e formativa del sistema scolastico, 107 così come si è delineato anche attraverso il quadro delle riforme. Gli interventi istituzionali previsti - in questo contesto – riguardavano: l’adozione di strategie di prevenzione e contrasto della dispersione; il rafforzamento dell’orientamento; la promozione di azioni di integrazione/coesione sociale attraverso iniziative di sviluppo e valorizzazione di una cultura dell’ orientamento come dimensione educativa trasversale e componente strutturale dell’azione educativa e formativa della scuola; lo sviluppo delle capacità e delle competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea; la definizione di strategie mirate ad accrescere l’efficacia degli apprendimenti e a rendere lo studio più attraente; la costituzione di centri di aggregazione intergenerazionale che si propongano, sul territorio, come spazi di collaborazione e confronto, di dialogo e di progettazione, per la prevenzione del disagio e siano luogo di interazione fra scuola e società, fra agenzie educative diverse, fra studenti, docenti, operatori, genitori; la promozione della cittadinanza attiva e solidale degli studenti attraverso iniziative che ne promuovano la partecipazione, l’assunzione di responsabilità, l’impegno sociale; la promozione della partecipazione e della collaborazione della famiglia come risorsa sociale, culturale, educativa da valorizzare ed incoraggiare nelle azioni orientative e formative della scuola; il rafforzamento della partecipazione e della responsabilizzazione di tutti i soggetti che sono coinvolti nell’azione educativa a livello scolastico ed extrascolastico; l’interazione fra sistema ufficiale della formazione e quello non formale ed informale, per dare vita ad un modello flessibile di conoscenze; l’utilizzo di spazi scolastici per la realizzazione di attività culturali, ricreative, artistiche, ludico-sportive, eventualmente gestite dagli stessi studenti, e la promozione dell’associazionismo degli studenti come condizione di sviluppo di comportamenti collaborativi e responsabili; la valorizzazione di attività di volontariato che coinvolgano la scuola, al fine di sviluppare nei giovani la dimensione di cittadini e il loro senso di appartenenza alla comunità; l’innovazione metodologica mirata a favorire l’ interazione fra studio e lavoro, fra sapere e fare, e la realizzazione di attività educative personalizzate anche al fine di un più efficace inserimento scolastico (con particolare attenzione a bisogni peculiari e diversi: immigrazione, handicap, disagio, ecc); lo sviluppo ed implementazione delle attività ludico sportive nel sistema scolastico ed extrascolastico come mezzo per favorire l’apprendimento, la socializzazione, l’integrazione sociale; la individuazione e diffusione di buone prassi per tesaurizzare e sistematizzare le esperienze di eccellenza che hanno risposto a criteri di trasferibilità, innovatività, rilevanza strategica. Il Piano, coerentemente anche con quanto previsto dalla L. 328/2000, si pone in una dimensione di integrazione delle politiche sociali, educative, occupazionali, e si propone di fissare gli obiettivi per la tutela dei minori e la prevenzione/contrasto dell’esclusione e dell’emarginazione attraverso azioni che coinvolgano, prioritariamente e direttamente, la scuola, in una logica di interazione con gli altri soggetti educativi, a partire dalla famiglia. 108 Obiettivo 3: appoggio ai gruppi vulnerabili 3.1 Migliorare l’accessibilità ai servizi e la qualità della vita per le persone con disabilità Come previsto nel Libro Bianco sul Welfare, il Governo si proponeva di attivare alcune linee di intervento per lo sviluppo e l’accessibilità delle nuove tecnologie per le persone con disabilità, in particolare: approvare un disegno di legge in materia di “Norme per l’accessibilità dei siti Internet e delle applicazioni informatiche”, per garantire l’accesso dei soggetti disabili ai servizi erogati in rete dalle Pubbliche Amministrazioni; utilizzare l’e-Procurement nella Pubblica Amministrazione per incoraggiare la diffusione; attivare un Osservatorio sull’accessibilità dei siti pubblici. 3.2 Aumentare le conoscenze linguistiche degli immigrati Si sostiene nel Piano d’azione nazionale che la maggior parte degli immigrati giunge nel nostro Paese senza conoscere la lingua italiana e si trova a dover affrontare, in una penalizzante situazione di disagio linguistico, innumerevoli impegni e ostacoli. Il riconoscimento dell’importanza della lingua come strumento di integrazione è da tempo alla base di numerosi progetti realizzati, o in corso di realizzazione. Si porta ad esempio l’accordo concluso tra il Ministero del Lavoro e la società “Dante Alighieri” che promuove l’insegnamento della lingua italiana e delle norme principali che regolano la convivenza nel nostro Paese ai cittadini extracomunitari. La caratteristica del progetto è che la formazione avrà luogo nei paesi di origine, aprendo, a chi ne usufruirà con profitto, un canale privilegiato di ingresso per lavorare in Italia. 3.3 Creazione di organismi di coordinamento per l’attuazione di politiche complessive, intese a fronteggiare il fenomeno della dipendenza dalla droga e in grado di monitorare gli interventi L’anno 2002 ha visto l’importante costituzione della Commissione degli operatori e degli esperti sulle tossicodipendenze. L’organismo svolge compiti di consulenza e di supporto tecnico-amministrativo nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche di prevenzione e di recupero delle tossicodipendenze e delle alcooldipendenze. 3.4 Reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti tossicodipendenti Per quanto riguarda le persone con il problema di tossicodipendenze, il Piano d’azione indica che ci si stava occupando del loro inserimento lavorativo: nello specifico era in fase di attuazione lo sviluppo di: una più accentuata attività di indirizzo, programmazione e coordinamento, sia a livello centrale che regionale, al fine di superare la frammentazione degli interventi; azioni per coordinare l’attività dei Servizi per l’impiego, dei Sert, degli enti del privato sociale, del sistema delle cooperative sociali, delle associazioni sindacali e delle aziende per promuovere programmi per l’inserimento e il reinserimento; azioni mirate per i tossicodipendenti in stato detentivo. 109 3.5 Lotta alle povertà estreme Nell’ottica di riduzione delle forme di disagio grave, in particolare a livello regionale, erano previsti i seguenti interventi: sviluppare criteri di lettura del fenomeno condivisi, mediante il finanziamento e l’avvio di percorsi di indagine e ricerca; costruire linee guida per la programmazione delle azioni essenziali e la ridistribuzione delle risorse economiche del FSE tra i soggetti e le reti chiamati a contrastare direttamente il disagio; definire indicatori quantitativi e qualitativi che integrino quelli basati sulla povertà di carattere economico, utilizzando le competenze dei gruppi di lavoro già attivi in questo ambito; stabilire parametri e procedure per la verifica e lo sviluppo delle azioni intraprese; valorizzare le indicazioni contenute nella legge quadro 328/00, nel Piano Nazionale degli interventi e Servizi Sociali 2001-2003 e in diversi provvedimenti regionali che segnalano l’obbligo di predisporre adeguate forme di alloggio accessibili alle persone senza fissa dimora in ogni territorio. 3.6 Interventi multilivello per detenuti-ex detenuti. In considerazione della multiproblematicità della popolazione dei detenuti ed exdetenuti si intendevano attivare per il successivo biennio, nei confronti sia dei soggetti in esecuzione di pena sia dei loro nuclei familiari, azioni per favorire il reintegro sociale e l’occupazione. 4. Integrazione delle politiche Si tratta di un obiettivo che era volto a sviluppare interventi integrati relativamente a misure, azioni e risorse a livello territoriale. 5. Il sistema di monitoraggio Oltre a singole iniziative di sviluppo di sistemi di monitoraggio e valutazione il Piano d’azione nazionale indicava che sarebbero stati attivati: L’Osservatorio nazionale per le politiche sociali, presso il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, finalizzato al monitoraggio e alla valutazione delle iniziative in materia di politiche sociali e dei flussi finanziari. Il Sistema nazionale di valutazione del Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università mirato a fornire alle scuole elementi utili a promuovere, nell’ambito della loro autonomia, il miglioramento continuo del servizio reso. Un Sistema nazionale presso il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, in accordo con Istat per la produzione, con cadenza almeno quinquennale, di informazioni statistiche ufficiali, su: direzioni e consistenza delle reti di solidarietà, integrazione dei servizi privati e pubblici, caratteristiche dei care-givers e delle famiglie che ricevono aiuti informali e non, transizione dei giovani alla vita adulta e criticità, atteggiamenti e comportamenti nei confronti della nascita dei figli, condizione dell’infanzia, processi di socializzazione e rapporto con scuola e servizi, storie riproduttive e lavorative di uomini e donne, conciliazione tra lavoro e famiglia; lo sviluppo di strumenti e servizi di informazioni sugli interventi sociali offerti sul territorio, sui loro costi, sugli utenti che ne usufruiscono, sulle prestazioni ad essi erogate; l’integrazione socio-sanitaria attraverso la rete organizzativa che coinvolge le comunità locali, l’offerta e la gestione di servizi e prestazioni da parte del pubblico o del privato; l’attivazione di strutture di supporto per la diffusione di buone prassi. 110 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata IIA3. Il Piano d’Azione Nazionale Spagnolo 2003-2005 IIA.3.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale spagnolo contro la povertà e l’esclusione sociale8 QUADRO DI RIFERIMENTO GENERALE Nel Piano d’azione nazionale spagnolo 2003-2005 si legge che tale piano è stato predisposto nel contesto della strategia complessiva europea in linea con i summit di Lisbona,Nizza,Barcellona, Copenhagen. Il Piano viene considerato uno strumento fondamentale nella lotta contro l’esclusione sociale. IIa.3.2 Principali tendenze e sfide Il Piano spagnolo inizia con una illustrazione del quadro multidimensionale del fenomeno dell’esclusione sociale in Spagna. La situazione economica Per quanto riguarda la situazione economica, si sostiene che essa è stata caratterizzata da un generale miglioramento negli anni 2001 e 2002 con un importante aumento del Prodotto Nazionale Lordo pari al doppio di quello conseguito nell’area dell’Euro. Sebbene il reddito pro-capite si sia livellato in ambito nazionale, si rilevano comunque ancora importanti differenze tra le Regioni Autonome. L’occupazione Gli sviluppi positivi dell’economia hanno favorito la creazione di posti di lavoro e nell’anno 2002 si è registrato un tasso di crescita annuale dell’1,3% dell’occupazione, percentuale questa molto superiore alla media europea. La creazione di posti di lavoro è stata superiore per le donne rispetto agli uomini. 111 Povertà ed esclusione Nel Piano d’azione nazionale spagnolo si sottolinea come le condizioni di povertà ed esclusione sociale sono migliorate significativamente visto che le famiglie spagnole che vivono in condizione di povertà relativa sono diminuite dal 19,6% nel 1994 al 18,9% nel 1999. In termini di genere il 19,3% delle donne rispetto al 18,5% degli uomini si trova al di sotto della soglia di povertà. Si registra una diminuzione anche del tasso di disuguaglianza in termini reddituali. Una delle principali caratteristiche del fenomeno è la natura cronica della povertà. I dati indicano come nel 1999 il 10,7% della popolazione spagnola viveva in abitazioni povere con un reddito inferiore del 60% a quello medio nazionale e con una tendenza alla stagnazione economica. Va evidenziato l’aumento del livello di istruzione, secondo gli indicatori Eurostat, della percentuale della popolazione spagnola di età compresa tra i 25 ed i 64 anni. Inoltre la Spagna ha una speranza di vita alla nascita superiore alla media europea. L’aspettativa di vita delle donne, pari a 82,5 anni, è la più alta nell’Unione Europea e 7,2 anni più alta di quella degli uomini. La percentuale delle persone che considerano basso il loro livello di salute è scesa dal 12% nel 1996 al 9,7% nel 1999, scendendo sotto la media europea. Sono migliorate anche le condizioni abitative tra il 1994 e il 1999. Le politiche a favore di persone in situazione di particolare disagio I cambiamenti della struttura famigliare che sono avvenuti in Spagna negli anni passati hanno fatto registrare un aumento della popolazione anziana che vive da sola e delle famiglie monoparentali. L’invecchiamento graduale della popolazione spagnola è in parte controbilanciato dall’arrivo di popolazione extracomunitaria. I dati sulla popolazione a gennaio 2001 indicavano la presenza di 7.037.553 persone con un età superiore ai 65 anni, pari al 17% della popolazione totale, con un aumento del 2,8% rispetto al 2000. Il 58% delle persone di età tra i 65 ed i 79 anni ed il 66,7% di quelle di età superiore agli 80 anni è di sesso femminile. Del 16,7% delle persone di quest’ultimo gruppo le quali vivono sole, l’81% è di sesso femminile. L’89,6% delle famiglie monoparentali è composta da un genitore “single” di sesso femminile. Il 63,5% di queste ultime sono separate, il 19% vedove, il 12,5% “single” e il 5% coniugate. Un sondaggio del 1999 sulla Disabilità e la Salute ha indicato che circa 3 milioni e mezzo di persone, pari al 9% della popolazione spagnola, presentavano problemi relativi a varie forme di disabilità. Il 58,2% delle persone affette da disabilità varie è di sesso femminile. Il sondaggio denunciava misure inadeguate per il sostegno alle persone con disabilità aiutate quasi esclusivamente dalle loro famiglie. Un miglioramento si registra invece nelle politiche di prevenzione e recupero delle tossicodipendenze malgrado l’aumento del consumo che si è manifestato a partire dai primi anni ’90. Si registra inoltre un calo del consumo di alcolici sia nella popolazione più giovane che nella popolazione in generale. E’ aumentato considerevolmente il numero delle persone che percepiscono come rischioso per la salute il consumo di droghe. E’ stato calcolato che in Spagna circa 140.000 persone sono affette da HIV-AIDS, un numero destinato ad aumentare leggermente. Nuove cure e medicinali hanno comunque arrestato l’infezione e il tasso di mortalità. Nel dicembre del 2002, la popolazione 112 straniera legalmente residente in Spagna rappresentava il 3,2% della popolazione totale; di questa il 61% era registrata nel Sistema di Sicurezza Sociale (ciò significa che circa 600.000 stranieri sono iscritti alle assicurazioni sociali). Alcune stime indicano che la popolazione zingara in Spagna rappresenta dall’1,4 all’1,9% della popolazione totale, ed è soprattutto concentrata in Andalusia (più del 40%), Madrid, Catalonia, Valencia e Murcia. In questa popolazione è persistente lo stato di esclusione sociale malgrado i meccanismi di recupero attuati. Le donne vittime delle violenza domestica rappresentano uno dei gruppi più svantaggiati. Nel 2002 il numero delle donne che hanno denunciato violenze ed abusi è aumentato del 20,6% rispetto all’anno precedente (questo forte aumento può essere anche dovuto al fatto che le donne hanno meno timore di presentare le denunce grazie alla disponibilità di maggiori risorse ed informazioni). In Spagna si calcola che ci siano circa 30.000 persone senza dimora e circa 250.000 persone che vivono in abitazioni precarie. Il fattore di genere Le donne sono vittime del fenomeno dell’esclusione sociale in un modo più acuto. Infatti la percentuale delle donne che vive al di sotto della soglia della povertà è più elevata di quella degli uomini. Il tasso di disoccupazione delle donne è il doppio di quello degli uomini a tutte le età e spesso a prescindere dal grado di istruzione. Le famiglie monoparentali con il genitore di genere femminile sono a maggior rischio di povertà; un rischio che aumenta con l’aumentare dei figli a carico. In Spagna il genitore delle famiglie monoparentali è spesso una donna separata, divorziata o single di età inferiore ai 45 anni con uno o due figli a carico. IIA.3.3 Approccio strategico: priorità e obiettivi Nel Piano nazionale spagnolo in esame si definiscono i seguenti obiettivi prioritari: 1) La riduzione del numero delle persone con un reddito inferiore al 60% del reddito medio di una percentuale pari ad almeno il 2% per tutta la durata del Piano; 2) Il miglioramento del coordinamento delle politiche per la protezione sociale con particolare riferimento all’occupazione e all’inserimento sociale mediante la cooperazione con le Pubbliche Amministrazioni; 3) Una attenzione particolare alla dimensione locale e all’approccio integrato allo sviluppo per rafforzare una metodologia unificante e locale di programmazione coinvolgendo le amministrazioni locali e dando priorità alle aree geografiche più vulnerabili; 4) La promozione di misure per sostenere la conciliazione tra lavoro e cura dei figli e della famiglia e quindi per sviluppare il Piano Integrato per il Sostegno alle Famiglie; 5) L’agevolazione dell’accesso alle nuove tecnologie per la popolazione a rischio di esclusione sociale; 113 6) L’intensificazione delle attività contro la violenza domestica e delle politiche per favorire l’uguaglianza delle opportunità tra donne e uomini; 7) Lo sviluppo di programmi specifici di sostegno per categorie sociali con particolari forme di disagio come gli anziani, i disabili, gli zingari, gli immigranti, i bambini e i senza tetto; 8) Il potenziamento delle iniziative a favore dell’occupazione e dell’inclusione sociale attraverso gli strumenti della programmazione negoziata, in partenariato con le Autonomie locali e le parti sociali; 9) Coinvolgimento e compartecipazione delle ONG; 10) La promozione di scambi e apprendimento delle buone prassi nel settore della inclusione sociale. IIA.3.4 Misure politiche del Piano d’Azione Spagnolo 2003-2005 Obiettivo 1: Le politiche per il lavoro Nel Piano d’azione spagnolo prioritaria è la politica per lo sviluppo di iniziative a favore dell’occupazione e dell’inclusione sociale. a) b) Ai fini della promozione di una politica globale ed integrante dell’occupazione, è considerato necessario: - stabilire un meccanismo per la co-operazione tra le diverse Amministrazioni pubbliche, i servizi sociali ed i servizi per l’informazione, l’orientamento e l’intermediazione al lavoro; - promuovere accordi locali e regionali per incentivare l’occupazione a favore dei gruppi sociali più vulnerabili con la partecipazioni dei vari enti e agenti sociali; - stabilire indicatori per disegnare e creare profili interessati al rischio di esclusione nell’occupazione, così da facilitare la predisposizione di programmi ed attività per la prevenzione; - realizzare studi su attività e occupazioni con alto tasso di trasformazione e conversione in modo da preparare programmi mirati all’adattamento e alla formazione professionali; - promuovere campagne di sensibilizzazione relative a regole e normative sulla parità di trattamento e alla non-discriminazione nei luoghi di lavoro. Per stabilire misure attive e preventive a favore di persone non occupate in maniera stabile o inattive che si trovino a rischio di esclusione sociale. - creare incentivi per l’occupazione a favore di persone a rischio di esclusione sociale per motivare il loro accesso nel mercato del lavoro; 114 - - - - - - - ridurre i lavori instabili o precari promuovendo misure per le assunzioni a tempo indeterminato soprattutto per i giovani, le donne, le minoranze etniche, gli immigrati e le persone disabili; promuovere tramite i Servizi Sociali programmi di formazione professionale a favore dei disoccupati di lunga durata; rafforzare i programmi scolastici per l’orientamento e l’addestramento al lavoro; finanziare e promuovere la co-operazione con le organizzazioni non governative (ONG) per la collocazione al lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale tramite accordi con l’INEM (l’Istituto Nazionale per l’Occupazione) e le amministrazioni pubbliche delle Regioni Autonome; garantire ai percettori del Reddito Minimo di Inserimento (RMI) accesso ai programmi di inserimento nel mercato del lavoro; stabilire programmi per l’acquisizione di professionalità intermedie per persone le quali hanno sofferto un alto livello di deprofessionalizzazione, per favorire il loro recupero e integrazione sociale; creare strutture e centri integrati per l’occupazione, anche in collaborazione con le ONG, per le persone in una situazione o a rischio di esclusione sociale; favorire i rapporti pubblici con i datori di lavoro che impieghino un numero significativo di persone a rischio di esclusione; promuovere l’assegnazione in zone urbane di terreni per la creazione di strutture e centri per il lavoro a favore delle persone a rischio di esclusione sociale; promuovere programmi di accesso al credito per il finanziamento delle attività di lavoratori autonomi a rischio di esclusione sociale; promuovere misure agevolative per l’assunzione di lavoratori a rischio di esclusione; aumentare al 4% la quota riservata alle persone disabili nel pubblico impiego; sviluppare programmi specifici per facilitare la mobilità geografica dei lavoratori migranti; favorire misure di supporto economico per categorie con disagi particolari come le donne vittime della violenza domestica e le persone disabili; promuovere corsi di formazione per le attività più richieste nel mercato del lavoro. 115 c) - - Per promuovere l’accesso alle risorse, ai diritti, ai beni ed ai servizi: LA GARANZIA DELLE RISORSE Nel periodo in cui è stato predisposto il Piano d’azione nazionale spagnolo 2003-2005, la maggioranza delle Regioni Autonome era in procinto di riformulare le politiche per il Reddito Minimo di Inserimento. Analogamente era previsto un miglioramento delle forme di aiuto economico per il controllo delle situazione sociali a rischio. Inoltre l’Accordo siglato dal Governo con le parti sociali per il miglioramento e lo sviluppo del sistema di protezione sociale per il 2001-2004, era basato sul principio di solidarietà ed equità, con particolare riguardo alle situazioni più urgenti di bisogno e alle pensioni più basse. In questa ottica il Piano d’azione preconizzava le seguenti misure migliorative: una riduzione del 2% del numero di persone con un livello reddituale inferiore al 60% di quello medio nazionale; la promozione di criteri comuni di base per l’attuazione dei programmi di Reddito Minimo di Inserimento (RMI); l’aumento delle risorse economiche e di bilancio per i programmi di reddito Minimo di Inserimento così da raggiungere almeno il 70% del salario minimo nazionale inter-professionale; il miglioramento degli aiuti economici per affrontare le situazioni di emergenza sociale ed integrare i programmi di RMI; promuovere la creazione di un sistema informativo relativo al RMI e ad altri programmi di aiuto sociale; portare dal 48 al 52% l’importo base delle pensioni ai superstiti (con un massimo del 70% in determinate situazioni); aumentare gli importi delle pensioni minime di vecchiaia ed ai superstiti a favore dei pensionati di età inferiore ai 65 anni. IL MIGLIORAMENTO DEGLI STANDARD ABITATIVI L’accesso alle risorse, ai diritti, ai beni ed ai servizi deve essere assicurato anche nel settore dei servizi sociali di base e dell’edilizia abitativa. In particolare per quanto riguarda l’assenza di alloggi, il Piano indica che la lotta a tale fenomeno deve essere portata avanti dalle Amministrazioni statali, regionali e municipali sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Al fine di promuovere il miglioramento degli standard abitativi si ritiene necessario elaborare impostazioni più integrate anche per contrastare il problema dei senzatetto. Per gli estensori del Piano è necessario promuovere l’assegnazione di terreni urbani per lo sviluppo dell’edilizia pubblica, con particolare attenzione ai quartieri degradati e alle zone geograficamente svantaggiate. Vanno stimolate politiche integrate tra le varie Amministrazioni pubbliche per mettere a disposizione delle persone a rischio di esclusione alloggi temporanei e appartamenti in affitto a canoni ridotti. 116 Vanno inoltre migliorate le politiche abitative per i gruppi di persone più vulnerabili facilitando l’accesso al credito soprattutto per l’acquisto di nuovi alloggi, anche nelle zone rurali. ACCESSO ALL’ISTRUZIONE Le politiche per l’istruzione in Spagna, in linea con gli obiettivi comuni europei fissati dal Consiglio Europeo nel 2002 a Barcellona, hanno privilegiato una serie di misure a favore dei gruppi a rischio di esclusione: l’eliminazione dell’analfabetismo, una estensione del sistema scolastico per i più giovani,, l’integrazione scolastica per gli studenti di età tra i 12 ed i 16 anni, la lotta contro l’abbandono prematuro e un percorso educativo complementare per coloro privi di una istruzione minima. Il Piano d’azione ha quindi puntato soprattutto a realizzare una politica per l’istruzione globale e integrata per tutti, a migliorare i percorsi educativi e formativi per adattarli ai bisogni dei gruppi più vulnerabili, a migliorare il collegamento tra l’istruzione ed il mercato del lavoro per garantire lo sviluppo della persona in un tessuto sociale attivo che punta alla conoscenza ed alla competitività. ACCESSO ALLA TUTELA SANITARIA Il Sistema nazionale sanitario spagnolo garantisce a tutte le persone la tutela sanitaria, sebbene alcune categorie sociali hanno maggiori difficoltà di altre nell’ottenere pieno accesso al Sistema sanitario. Nel piano d’azione nazionale spagnolo vengono indicate le priorità in questo settore: - garantire a tutti l’accesso ad una adeguata assistenza sanitaria integrata tramite il coordinamento tra le istituzioni pubbliche nazionali, le Regioni Autonome e i Governi locali; - realizzare un sistema di sensibilizzazione e informazione per garantire che i servizi sanitari e le cure a lungo termine assicurino l’accesso alla tutela alle persone più svantaggiate ed in particolare alle prostitute e ai tossicodipendenti; - prevenire il consumo di sostante alcoliche e similari tra i giovani; - promuovere stili di vita sani ed attivi; Garantire l’assistenza sanitaria e l’assistenza a lungo termine ai gruppi sociali più vulnerabili per assicurarsi che il bisogno di cure non conduca alla povertà e alla dipendenza economica. In particolare: realizzare il piano previsto dalla Strategia Nazionale contro le Droghe che punta al reinserimento sociale e terapeutico dei tossicodipendenti; intensificare le attività del Piano nazionale contro l’HIV/AIDS, soprattutto a favore delle persone a rischio di esclusione; sviluppare piani e programmi integrati di intervento a favore delle persone a rischio di esclusione e di quelle con disagi mentali; sviluppare programmi di assistenza sanitaria e psicologica per le persone con malattie terminali; predisporre un piano per la prevenzione della trasmissione delle malattie sessuali e delle gravidanze indesiderate a favore dei giovani in condizioni di 117 disagio economico e sociale; promuovere lo sviluppo di programmi per l’assistenza ai soggetti affetti da disordini comportamentali come ad esempio la dipendenza dai giochi d’azzardo, l’anoressia e la bulimia. Infine il PAN spagnolo prevede lo sviluppo di programmi sanitari tramite la collaborazione e il coordinamento delle istituzioni pubbliche con le organizzazioni non governative (ONG): ACCESSO ALLA GIUSTIZIA Il diritto ad una giustizia “giusta” è una preoccupazione del PAN spagnolo con riferimento alle persone e ai gruppi più vulnerabili. E’ auspicabile, secondo gli estensori del Piano, che siano prese le seguenti misure: - facilitare l’accesso alla giustizia per i soggetti più svantaggiati attraverso la promozione di programmi di addestramento e di informazione adatti alle specifiche esigenze di tali soggetti; - realizzare programmi di formazione e sensibilizzazione degli operatori del Sistema giudiziario su come rapportarsi con le persone disagiate socialmente; - realizzare campagne informative sui servizi esistenti di orientamento e accesso alla giustizia. Obiettivo 2: La Prevenzione del rischio di esclusione Il Piano d’azione nazionale spagnolo, rispetto all’obiettivo su citato, propone tre grandi linee di azione: 1) attività contro la disintegrazione della famiglia; 2) attività per la correzione dei problemi sociali a livello geografico; 3) attività per facilitare l’accesso alle nuove tecnologie. L’assistenza alle famiglie è considerato dal Piano d’azione l’obiettivo prioritario di ogni politica contro l’esclusione sociale. Il Piano propone incentivi per la conciliazione dei tempi della famiglia con quelli del lavoro aumentando la rete di scuole pubbliche e private finanziate con risorse pubbliche e creando centri e servizi per i bambini fino a tre anni di età tramite accordi stipulati tra le Amministrazioni centrali e quelle regionali. E’ prevista anche la garanzia per le donne che lavorano e madri di bambini fino a tre anni di età di una sovvenzione pari a 100 Euro per figlio e una deduzione per assicurare un minore carico fiscale per le famiglie. Intenzione del Piano è inoltre quella di valorizzare e alleviare il lavoro di cura svolto dalla famiglia nell’assistenza ai propri membri, mediante adeguate misure a sostegno di queste attività e quindi favorire lo sviluppo della rete degli asili e micronidi. Previsti riconoscimenti ai settori produttivi che si impegnino a sviluppare servizi per i figli dei lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. Nell’ambito del sostegno alle famiglie il Piano prevede anche la realizzazione di attività per tutelare le famiglie con prole numerose, quelle con particolari problemi economici e sociali, le famiglie monoparentali, anche attraverso agevolazioni contributive, esenzioni fiscali e amministrative, agevolazioni abitative. 118 Per ciò che riguarda invece gli interventi sulla “dimensione geografica”, il Piano prevede il consolidamento delle politiche per l’inclusione sociale in ogni Regione autonoma e la promozione e la creazione di Piani contro l’esclusione sociale ad ogni livello comunale con particolare attenzione alle zone più svantaggiate e con la cooperazione delle organizzazioni non governative (ONG). In relazione al fenomeno delle nuove tecnologie, è auspicato un migliore accesso alle fonti di informazione e comunicazione da parte delle persone che vivono in uno stato di esclusione o sono a rischio di esclusione. In particolare il Piano prevede la diffusione di “Internet” e la promozione delle conoscenze di base dell’informatica per le persone disabili. Viene inoltre sottolineata l’importanza della presenza delle tecnologie dell’informatica nelle scuole e nei luoghi pubblici e il finanziamento della fornitura di computers. Numerosi sono i programmi previsti dal Piano d’azione per la diffusione delle nuove tecnologie nel mondo delle organizzazioni non governative. E’ previsto infine un sistema di incentivi per la promozione di percorsi informatici nelle zone rurali per stabilire soprattutto una rete diretta di comunicazione tra centro e periferia. Obiettivo 3: attività di sostegno per i soggetti più vulnerabili Premesso che in Spagna i gruppi sociali a rischio sono spesso tutelati da programmi specifici, le attività di sostegno per i soggetti più vulnerabili previste dal Piano sono le seguenti: MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEGLI ANZIANI A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Il Piano spagnolo contro l’esclusione sociale sollecita l’attuazione del Piano d’azione per gli Anziani (2003-2007) che prevede: - la promozione di attività speciali per gli anziani che risiedono in zone rurali e in zone urbane degradate e colpite da importanti cambiamenti sociodemografici, attraverso la realizzazione di programmi socio-culturali, sanitari, educativi con la partecipazione delle autonomie locali; - il miglioramento delle condizioni abitative anche con forme alternative di alloggio: unità residenziali in coabitazione, centri residenziali giornalieri, centri provvisti di strutture assistenziali; - l’attuazione di programmi contro l’abuso degli anziani nelle famiglie; - corsi di formazione per la tutela degli anziani; - l’attuazione di programmi in cooperazione con le organizzazioni non governative per promuovere l’integrazione sociale degli anziani, le relazioni inter-generazionali, varie forme di sostegno personale socio-psicologico; - il miglioramento delle prestazioni pensionistiche contributive e assistenziali nei limiti delle compatibilità economiche; - la promozione dell’assistenza a favore degli anziani che vivono da soli in condizioni disagiate. 119 MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DELLE PERSONE DISABILI IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Le principali linee di intervento a favore degli anziani disabili in difficoltà riguardano la fornitura di servizi di assistenza previsti dal Piano d’azione per le Persone Disabili con una preferenza per interventi mirati a promuovere uno stile di vita autonomo per i soggetti con gravi disabilità che vivono nell’ambito familiare; una particolare attenzione alla tutela sanitaria e sostegno per le famiglie che si prendono cura dei loro anziani disabili. L’idea del Piano sembrerebbe quindi quella di consentire quanto più possibile la permanenza della persona disabile all’interno del nucleo famigliare di provenienza. Inoltre si sollecita l’approvazione di una Norma sulle Pari Opportunità e la Non-Discriminazione a favore delle persone disabili che preveda, tra le altre cose, l’effettiva rappresentatività delle organizzazioni di tutela dei disabili, la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e di formazione per l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie, la creazione di un sistema giudiziario mirato a risolvere con rapidità ed equità le istanze dei soggetti disabili, l’attuazione di misure per la realizzazione di un’edilizia residenziale per i disabili. Il Piano auspica anche l’approvazione di una Legge per la protezione dei beni delle persone disabili, per migliorare la normativa sulle successioni e facilitare le relative procedure, prevedendo privilegi fiscali e amministrativi. Infine, sempre a favore dei soggetti disabili, è prevista l’approvazione del Piano nazionale di Accesso per garantire soprattutto le condizioni di base per l’accesso e la non discriminazione negli impieghi pubblici e nei servizi di utilità pubblica e l’accesso delle persone disabili nel mercato del lavoro con i Finanziamenti del Fondo Sociale Europeo. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DELLE DONNE IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Le misure previste dal Piano d’azione spagnolo contro l’esclusione sociale delle donne fanno perno soprattutto sull’attuazione del Piano per le Pari opportunità tra donne e uomini (2003-2006) e sul Piano Integrato contro la Violenza Domestica (2001-2004). Questi Piani mirano a sviluppare l’integrazione occupazionale per le donne garantendo l’uguaglianza di opportunità anche a livello normativo soprattutto per le donne che presentano un basso livello professionale e di risorse socio-economiche. Particolare attenzione è posta al recupero delle prostitute e al sostegno delle madri “single” ma anche delle adolescenti con difficoltà scolastiche. Sono previsti campagne di sensibilizzazione e interventi giudiziari per la prevenzione delle violenze domestiche. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEI GIOVANI IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Il Piano d’azione nazionale spagnolo prevede interventi contro il disagio minorile mirati a promuovere occupazione e stabilità nel mercato del lavoro, soprattutto attraverso programmi gestiti dalla Organizzazioni non-governative. Si prevedono anche misure, sempre con la collaborazione delle ONG, a favore dei giovani con difficoltà di 120 adattamento sociale e per la creazione di programmi per lo sviluppo di professionalità nel mondo dello sport, dell’intrattenimento, della tutela della salute. Viene auspicata la creazione dell’edilizia agevolata per determinate categorie di giovani. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEI BAMBINI IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Il Piano spagnolo indica un orientamento generale per la predisposizione di un sistema di programmi e di risorse per la protezione dei bambini co-finanziato dalle Amministrazioni Pubbliche, e sollecita il rispetto e l’applicazione effettiva della Legge sulla Responsabilità per i Minori e della Strategia Nazionale per l’Infanzia e per l’Adolescenza che garantiscono interventi riabilitativi ed educativi contro il rischio dell’esclusione sociale. Si favoriscono inoltre misure per la realizzazione del Piano contro lo sfruttamento ed il commercio sessuale dei bambini e degli adolescenti. Per contrastare fenomeni di emarginazione, esclusione, devianza e abusi sono previste una serie di iniziative con le Organizzazioni non-governative anche .per l’adozione o l’affido familiare dei minori. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DELLA POPOLAZIONE ZINGARA IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Particolare attenzione alle condizioni della popolazione zingara è posta dal Piano d’azione spagnolo. E’ prevista tutta una serie di interventi per migliorare la qualità ed il tenore di vita degli zingari garantendo loro l’accesso e l’utilizzo dei sistemi di protezioni sociale e per sviluppare programmi mirati alle pari opportunità e all’integrazione socio-culturale attraverso un migliore accesso all’istruzione, all’edilizia abitativa, alle cure sanitarie, all’occupazione e ai servizi sociali. PROMOZIONE DELL’INSERIMENTO DEGLI IMMIGRATI IN UNA SITUAZIONE O A RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE Si prevede lo sviluppo di programmi co-finanziati dalla Pubblica Amministrazione a favore dell’integrazione sociale della popolazione immigrata. Nell’ottica di questo obiettivo primario il Piano d’azione spagnolo indica quali sono gli obiettivi da perseguire ed in particolare raccomanda il rafforzamento dei Centri di assistenza per gli immigrati per il supporto linguistico, l’informazione sociale e l’orientamento per l’accesso ai servizi pubblici. Tale attività deve avere come obiettivo primario l’inserimento lavorativo degli immigrati a rischio di esclusione sociale anche attraverso programmi specifici co-finanziati dal Fondo Sociale Europeo. Sono previsti corsi di formazione professionale e di lingua spagnola per facilitare l’integrazione e l’istruzione dei figli degli immigrati e per promuovere una consapevolezza inter-culturale e misure antidiscriminatorie. Altre misure a favore degli immigrati riguardano la tutela dei diritti dei minori senza famiglia e delle immigrate anche contro forme di sfruttamento sessuale, la creazione di unità di polizia con compiti specifici per l’assistenza agli immigrati. E’ infine prevista l’introduzione di agevolazioni e provvidenze per gli emigrati spagnoli che decidono di rientrare in Patria. 121 PROMOZIONE DI ATTIVITA’ PER L’ASSISTENZA AI SENZA TETTO Si prevede la creazione di una rete di assistenza inter-regionale per i senza tetto in città con una popolazione di almeno 50.000 abitanti. L’assistenza deve essere fornita da operatori appositamente addestrati per le particolari esigenze di questa categoria a rischio di esclusione sociale. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DELLA POPOLAZIONE CARCERARIA E DEGLI EX DETENUTI Nel Piano si contempla il sostegno ai detenuti ed i soggetti in esecuzione penale fuori dal carcere, per favorire il processo inclusione sociale, l’inserimento lavorativo e l’adozione di modelli di vita socialmente accettabili. Particolare riguardo deve essere accordato alle donne detenute con figli in loro custodia. Obiettivo 4: Mobilitazione dei soggetti interessati Il Piano d’azione nazionale spagnolo contro l’esclusione sociale prevede, in linea con i principi comuni per i Piani di azione nazionali 2003-2005 in base alle indicazioni dell’Unione Europea, il coinvolgimento dell’insieme degli attori. In particolare il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche preposte al monitoraggio e alla verifica del Piano stesso. E’ previsto il sostegno alle Organizzazioni non-governative (ONG) in qualità di agenti strategici nei piani di inclusione sociale. Si contempla inoltre un coinvolgimento diretto del mondo dell’imprenditoria, di professionisti del settore. Importante è il ruolo assegnato alle campagne di informazione per la sensibilizzazione, la diffusione, il dibattito sul fenomeno dell’esclusione sociale e sulle politiche da adottare per combatterlo. Viene valorizzato il lavoro di volontariato. 122 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata IIA4. Il PAN del Regno Unito 2003-2005 IIA.4.1 Le premesse e la descrizione del quadro generale al momento del varo del Piano d’azione nazionale del Regno Unito contro la povertà e l’esclusione sociale9 Nel quadro dell’obiettivo di Lisbona, che prevede l’eliminazione della povertà entro il 2010, l’attuazione di politiche di integrazione sociale ambiziose ed efficaci è una priorità per l’Unione europea. Gli Stati membri sono infatti convinti che la modernizzazione dell’economia debba procedere di pari passo con la promozione della coesione sociale e in particolare con un metodo aperto di coordinamento mirante a prevenire e a sradicare la povertà e l’esclusione sociale. A tal fine, la nuova generazione di piani d’azione nazionali per l’inclusione sociale (PAN/inclusione) per il 2003-2005 si propone di analizzare e rafforzare le politiche e le strategie attuate a livello nazionale per promuovere la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Infatti il PAN del Regno Unito, piano d’azione nazionale per l’inclusione sociale, si propone di analizzare e rafforzare le politiche e le strategie attuate dai vari Stati nazionali per combattere ed eliminare la povertà e l’esclusione sociale. Esso sottolinea le iniziative più importanti da intraprendere, secondo le autorità competenti, per combattere la povertà e l’esclusione sociale negli anni 2003-2005. Si tratta del contributo del Regno Unito verso l’obiettivo di lungo termine dell’Unione Europea al fine dell’eliminazione della povertà in Europa entro il 2010, con una particolare attenzione alla povertà dei bambini. Il Piano è stato sviluppato nella logica del metodo aperto di coordinamento tra gli Stati membri tenendo conto delle esperienze dei vari Stati a tutti i livelli pertinenti. Il Piano è stato suddiviso nei classici capitoli che illustrano le principali tendenze e sfide; l’analisi dei progressi conseguiti nel Piano precedente (2001-2003); l’approccio strategico, priorità ed obiettivi; le misure politiche; gli accordi istituzionali, le buone prassi. 123 Qui di seguito esponiamo, come abbiamo fatto anche per l’Italia e per la Spagna gli elementi più qualificanti del Piano privilegiando, in virtù dei nostri obiettivi, l’illustrazione dell’approccio strategico e delle misure politiche. Nell’introduzione al Piano, gli autori sottolineano come esso sia stato predisposto con l’obiettivo di produrre uno strumento pratico di lavoro di facile comparazione con gli altri Piani nazionali europei. IIA.4.2 Principali tendenze e sfide L’approccio strategico della politica sociale ed economica del Governo del Regno Unito è fondato sulla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Affrontare le radici dell’esclusione sociale – in particolare la discriminazione, la disuguaglianza e la mancanza di opportunità – è una parte essenziale della visione di una società prospera e realizzata. La promozione dell’accesso al mercato del lavoro cammina di pari passo con la promozione dell’inclusione sociale. Il Governo del R.U. , si legge nel piano, in accordo con le amministrazioni decentrate, è consapevole che solo coinvolgendo una gran numero di attori e le loro rappresentanze politiche e sociali, si possono conseguire i risultati desiderati. L’esperienza insegna che l’obiettivo prioritario è combattere la povertà. Per i giovani è quindi fondamentale la promozione dell’accesso al mercato del lavoro e del lavoro qualificato. Nel Piano perciò si concentrano le iniziative per assicurare un aumento del livello occupazionale tramite crediti fiscali, redditi minimi garantiti e lo sviluppo delle professionalità. Allo stesso tempo deve essere garantita a coloro i quali non riescono a trovare un lavoro stabile, una rete di ammortizzatori sociali e di servizi pubblici di qualità. Il Piano definisce quindi la povertà e l’esclusione sociale come problemi complessi e multidimensionali che interessano il reddito familiare, l’alloggio, la salute, l’istruzione e lo stato occupazionale. L’ambiente in cui si vive e la criminalità sono altri indicatori da non sottovalutare. Nel 2001 la popolazione britannica era di 58,8 milioni di persone di cui 11,9 milioni di età inferiore ai 16 anni. L’8% della popolazione (circa 4,6 milioni di persone) era di origine etnica; 6,8 milioni di persone in età lavorativa erano affette da invalidità permanente; elevata la percentuale delle persone che vivevano da sole (il 30% delle famiglie). L’economia britannica ha attraversato negli anni immediatamente precedenti la predisposizione del PAN una periodo di espansione crescendo dell’1,8% nel 2002 nonostante la crisi internazionale. Le previsioni per gli anni futuri erano ottimistiche. Il tasso di occupazione britannico era di quasi il 75%, un record europeo ben al di sopra della media. La crescita economica aveva determinato una progressiva riduzione della disoccupazione e nel 2002 il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 5% rispetto all’8,1% della media dell’Unione europea. L’elevato tasso di impiego dei cittadini in età da lavoro è riconducibile alla positiva performance dei servizi e delle pubbliche amministrazioni. Il settore manifatturiero ha continuato però a perdere posti di lavoro. 124 Tuttavia si sottolinea nel Piano come alcuni gruppi sociali continuavano ad avere gravi problemi nella ricerca del lavoro (in particolare i disabili e i malati, i genitori single, le minoranze etniche, i disoccupati di lunga durata, le persone anziane e le persone non qualificate). Anche nel Regno Unito, come in Italia, tali problemi erano ancor più enfatizzati nelle zone meno sviluppate. Nel 2002 si registravano 2,7 milioni di persone in età lavorativa titolari di prestazioni di invalidità, pari al 7,6% della popolazione in età lavorativa (percentuali molto più elevate nella regione Nordovest dell’Inghilterra e nel Galles). Sempre nel 2002, come riportato dal Rapporto congiunto sull’Inclusione della Commissione europea, una relativamente alta proporzione della popolazione britannica viveva in abitazioni per redditi bassi. La povertà relativa sembra essere un fenomeno più presente nel Reno Unito che negli altri Stati membri e dipende soprattutto dai bassi redditi e dall’alto costo della vita. Nel PAN britannico tuttavia si sottolinea come il welfare state per le famiglie a basso reddito nel Regno Unito sia più efficace che in molti altri Stati membri. Sebbene il tasso di inattività lavorativa sia aumentato per gli uomini in età lavorativa e diminuito per le donne, queste ultime sono tuttavia sovra-rappresentate nei gruppi a basso reddito e hanno tassi di occupazione inferiori a quelli degli uomini. Ciò dipende anche dal fatto che le madri “single” e le donne anziane “single” sono molto più vulnerabili degli uomini nella stessa situazione. Nel 2001/2002 circa 3,8 milioni di bambini vivevano in famiglie povere. Una delle maggiori preoccupazioni del PAN è dovuta alle forti disparità sociali esistenti e il tasso di povertà elevato, caratterizzato da forti indebitamenti ed esclusione finanziaria per prodotti e servizi. Un terzo delle famiglie nel Regno Unito non aveva risparmi o aveva fatto investimenti. Si ritiene necessario dunque una mobilitazione di importanti risorse vero i gruppi più vulnerabili. Quali sono i gruppi più a rischio di esclusione sociale? Il PAN britannico indica un 22% della popolazione che vive con un reddito insufficiente. Tale proporzione sale al 30% per i bambini, al 41% per le famiglie di immigrati e al 29% per le famiglie ove vive un disabile. A rischio sono anche gli anziani con pensioni basse. Le cause più importanti dell’esclusione sociale sono, secondo il PAN britannico, la disoccupazione, la trasmissione intergenerazionale della povertà, i redditi bassi, l’ambiente sottosviluppato (in particolare nelle zone rurali). IIA.4.3 Approccio strategico. La lotta alla povertà: priorità e obiettivi L’impegno prioritario del regno Unito è quello di eliminare la povertà infantile nell’arco di un generazione. Altrettanto importanti sono tuttavia le strategie per combattere le difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle persone in età lavorativa e per facilitare l’accesso di coloro i quali non possono lavorare ad adeguate misure di sostentamento. 125 Le strategie del PAN del Regno Unito contro la povertà e l’esclusione sociale sono fondate su tre principali pilastri: - il mantenimento di un’economia forte abbinata alla giustizia sociale; - la flessibilità del mercato del lavoro per assicurare un miglior accesso per tutti e per ridurre i costi della disoccupazione; - lo sviluppo di servizi universali di qualità per soddisfare i bisogni della popolazione. Il PAN britannico valorizza il rapporto tra tutti i livelli di Governo ed il ruolo dei settori volontari e comunitari, con particolare attenzione alle attività delle organizzazioni non governative (ONG). Gli obiettivi di lungo periodo L’obiettivo prioritario è quello di eliminare la povertà infantile nell’arco di una generazione e dimezzarla entro il 2010 (nel 1997 nel Regno Unito almeno un terzo dei bambini vivevano in famiglie con bassi redditi). Il PAN britannico è stato predisposto tenendo conto dei principali obiettivi comuni definiti dal Consiglio europeo a Nizza nel 2000 e aggiornati a Copenaghen nel 2002. Gli obiettivi comunitari europei, secondo i quali si attiene il PAN britannico, vertono attorno ai seguenti principi: a) promuovere la partecipazione all’occupazione e l’accesso di tutti alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi; b) prevenire i rischi di esclusione; c) intervenire a favore delle persone più vulnerabili; d) mobilitare l’insieme degli attori. Il PAN britannico sottolinea un ampio spettro di obiettivi per combattere l’esclusione sociale. In particolare si punta a migliorare la qualità dell’istruzione, a migliorare l’assistenza sanitaria e a ridurre la criminalità. Tuttavia, come già accennato, è l’accesso al lavoro che viene considerata la migliore medicina per combattere la povertà. La strategia britannica per l’occupazione è sostenuta da politiche per promuovere la concorrenza, l’innovazione e l’impresa, l’investimento in livelli più alti di istruzione e professionalità, politiche occupazionali con particolare attenzione ai gruppi più svantaggiati, e politiche per combattere la discriminazione nei luoghi di lavoro. I fattori centrali di questa strategia sono: - le politiche attive del mercato del lavoro per favorire opportunità occupazionali per tutti; - una serie di agevolazioni per le assunzioni, di natura fiscale, reddituale (reddito minimo garantito) e di genere (per superare le disparità di reddito tra uomini e donne). - misure per la creazione di manodopera qualificata e versatile attraverso il miglioramento delle specializzazione di base degli adulti; formazione continua; - la creazione di nuovi asili nido. 126 Un ingrediente essenziale per il buon funzionamento del mercato del lavoro sono considerate le politiche per il lavoro flessibile. La flessibilità deve essere intesa come un’opportunità per bilanciare il lavoro e la vita in famiglia ed allargare la partecipazione flessibile al mercato del lavoro di soggetti a rischio di esclusione sociale. Il Piano prevede sostegni concreti a datori di lavoro e famiglie che intendano avvantaggiarsi di tali politiche. Sono previste anche misure specifiche per facilitare l’accesso al mercato del lavoro delle minoranze etniche, anche alla luce del fatto che il Rapporto “Ethnic Minorities and The Labour Market” ha mostrato con molti gruppi etnici – anche quelli di maggior inserimento sociale – manifestano problemi connessi alla capacità di trovare lavoro. Si sollecita quindi una politiche che vada al di là degli interventi tradizionali contro la discriminazione e preveda invece misure attive nel mondo della scuola, del lavoro e dell’abitazione. Per facilitare l’accesso alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi per tutti si deve fare affidamento ai sistemi di protezione sociale che devono offrire garanzie reddituali a coloro che non possono lavorare e a coloro che lavorano ma hanno redditi insufficienti. L’obiettivo è quello di modernizzare e riformare il sistema di protezione sociale britannico trasformandolo da macchina passiva per il pagamento di sussidi a sistema attivo per la lotta contro la povertà, la creazione di opportunità e di persone autonome e indipendenti, capaci di risparmiare ed investire. Nel 2002 i documenti di bilancio hanno mostrato aumenti significativi di spesa per la sanità e l’istruzione. Per il periodo 2005-2006 – si legge nel PAN britannico – il Regno Unito spenderà il 9,1% del Prodotto Interno Lordo per la sanità: la percentuale più alta dell’Unione Europea. Questa spesa dovrebbero contribuire a ridurre le disparità di trattamento e quindi l’esclusione sociale dei più poveri. Altre riforme sono previste per migliorare la qualità del sistema scolastico e delle politiche abitative per assicurare un alloggio decente, accessibile e appropriato per coloro i quali ne hanno bisogno. Sono anche previsti aiuti per l’accesso alle varie fonti di energia. Le politiche di prevenzione dell’esclusione sociale – si sostiene nel PAN britannico – sono la chiave di uno stato sociale moderno. Le donne devono essere destinatarie di specifiche politiche per sostenerne in maniera efficace i molteplici impegni lavorativi e famigliari. Sono previsti quindi incentivi ed opportunità sociali, fiscali e contributivi. Altra fonte di particolare preoccupazione è rappresentata dai bambini esposti al rischio di povertà. La lotta all’esclusione dei minori e ai rischi di caduta nella povertà nell’età giovanile mira ad incentivare programmi specifici per ridurre l’abbandono scolastico, il pericolo della criminalità, le gravidanze indesiderate e a migliorare la disponibilità di servizi di assistenza all’infanzia. Altro obiettivo del PAN britannico è quello di lottare contro la povertà degli anziani pensionati con interventi mirati per garantire a tutti un adeguato reddito da pensione e l’accesso a pensioni che consentano di mantenere un dignitoso livello di vita dopo il pensionamento. Prioritario è anche lo sviluppo delle tecnologie e dei sistemi della comunicazione al servizio dei soggetti più carenti. 127 Il PAN punta inoltre ad incoraggiare l’utilizzo di sistemi e di servizi alternativi di finanziamento a favore delle comunità più svantaggiate, e che devono affrontare problemi di indebitamento, con la partecipazione attiva delle amministrazioni locali nel settore del credito. Infine il decentramento ha importanti applicazioni nel Regno Unito: infatti l’Inghilterra, la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord sono responsabili della maggior parte delle misure riguardanti la povertà e l’emarginazione e hanno il compito di mettere a punto una propria strategia di lotta nazionale contro questi problemi. Il Governo britannico e le amministrazioni decentrate condividono lo stesso obiettivo di sradicamento della povertà e promozione dell’integrazione sociale. Gli approcci sono molto simili. Un comitato ministeriale comune sulla povertà che riunisce i ministri del Regno Unito e delle amministrazioni decentrate è stato creato per elaborare una politica comune. Il decentramento e l’accento sulle risposte locali fanno del coordinamento una priorità affinché la strategia alla base delle numerose politiche locali regionali e nazionali rimanga coerente. La partnership costituisce un elemento estremamente importante dell’approccio britannico nell’applicazione delle politiche. Il Governo e le amministrazioni decentrate sanno che non possono essere efficaci senza la partecipazione attiva di tutte le parti interessate. Considerata l’ampiezza del problema, tutte le amministrazioni e tutti i ministeri devono trovare un accordo. È importante che il Regno Unito continui a sviluppare accordi coordinati nel quadro delle politiche da attuare al fine di garantire un accesso ai servizi di qualità per tutti. IIA.4.4 MISURE POLITICHE DEL PIANO D’AZIONE NAZIONALE BRITANNICO 2003-2005 Questo capitolo del PAN del Regno Unito contiene una illustrazione dettagliata delle priorità e delle misure politiche delineate. Obiettivo 1: Facilitare la partecipazione nel mercato del lavoro Nel Piano vengono descritte le misure per l’occupazione intraprese in una serie di progetti definiti “New Deals” e tutta una serie di servizi a partire dai cosiddetti “JobCentre Plus” e “StepUp”, che hanno focalizzato i loro effetti a favore dei disoccupati di lungo periodo, delle minoranze etniche e dei soggetti dequalificati. Il regime del “New Deal” costituisce la pietra miliare dell’approccio del Regno Unito nella politica della lotta all’esclusione sociale. I “New Deals” hanno offerto soluzioni lavorative anche per i giovani in cerca di lavoro e a rischio di esclusione, per i genitori “single”, per i disabili e per gli ultracinquantenni. Sono state previste inoltre iniziative per aiutare i soggetti più vulnerabili come ad esempio i pregiudicati, i drogati, gli alcolizzati e i senza tetto. Per ciò che riguarda la stabilità ed il reddito da lavoro, l’introduzione di crediti fiscali e il reddito minimo garantito (NMW) serviranno – secondo quanto affermato nel Piano 2003-2005 – ad aumentare notevolmente il salario medio ed in particolare quello delle donne. Si sollecita un monitoraggio più severo sulla conformità 128 alla normativa sul Reddito Minimo da parte dei datori di lavoro. Tuttavia i giovani lavoratori di età compresa tra i 16 ed i 17 anni sono stati temporaneamente esclusi dalla normativa sul Reddito Minimo per non incoraggiarli a lasciare gli studi o altra attività formative. Insomma per lottare contro i fattori di disincentivazione al lavoro ed i problemi di bassi salari che incontrano molti lavoratori, il Regno Unito utilizza sempre più metodi mirati di credito di imposta per la persone a basso reddito e come complemento la previsione di una soglia minima di salario. Altro obiettivo importante è l’eliminazione della disuguaglianza salariale di genere. Dovranno dare l’esempio innanzitutto le amministrazioni pubbliche e comunque le donne discriminate potranno avvalersi di agevolazioni legali per far valere i propri diritti. Altro obiettivo fondamentale del PAN 2003-2005 britannico è quello definito “skills for life”: un indirizzo politico strategico per migliorare l’alfabetizzazione e le professionalità di base degli adulti entro il 2007 (si calcola che tra il 2001 e il 2002 oltre 319.00 adulti hanno già raggiunto questo obiettivo). Importante deve essere il coinvolgimento dei datori di lavoro che attraverso il cosiddetto “Employer Pledge Scheme” sono tenuti a fornire schemi gratuiti di alfabetizzazione e formazione di base ai loro lavoratori. La sfida principale per il Regno Unito rimane quella di occuparsi dei molti bambini e delle loro famiglie che vivono in condizioni di povertà. Alla fine degli anni ’90 circa un bambino su tre viveva in una famiglia il cui reddito era inferiore al 60% della media nazionale. Nel 2000 circa 2 milioni di bambini vivevano in famiglie nelle quali nessuno lavorava e 800.000 di questi bambini crescevano in famiglie nelle quali entrambi i genitori erano dipendenti dall’assistenza sociale da più di 5 anni. Nel PAN 2003-2005 si enfatizza come una serie di misure è stata presa nel 2003 per aiutare i genitori che lavorano a sostenere la famiglia e conciliare il lavoro con l’allevamento dei bambini. In particolare sono aumentati i sussidi per la maternità, per le assenze dal lavoro per allevamento, per gli asili nido – sempre più numerosi (ne sono stati creati 647.000 a partire dal 1997 e il PAN ne prevede la creazione di altri 250.000). Obiettivo 2: promuovere l’accesso di tutti alle risorse, ai diritti e ai servizi Tutta una serie di interventi sono dedicati alla lotta contro le disuguaglianze nella qualità e nell’accesso a diritti e servizi. In particolare il Piano richiama i nuovi crediti fiscali – “Child Tax Credit” (CTC) e “Working Tax Credit” (WTC) – che prevedono agevolazioni per le famiglie con bambini (privilegiando l’erogazione di sussidi al genitore che si prende cura della famiglia e quindi soprattutto alle donne) e per i lavoratori in condizioni di disagio economico (sussidi per l’affitto, contributi per gli asili nido, integrazioni al reddito, ecc.). E’ previsto altresì l’adozione di un sistema di finanziamenti a favore di risparmiatori “poveri” che mira a raddoppiare, con il contributo dello Stato, i loro risparmi (“Saving Gateway”). L’apertura di un conto bancario per la promozione dell’inclusione economica è previsto inoltre per tutti i bambini nati dopo il mese di settembre 2002 per un importo che 129 varia, a seconda della condizione economica degli interessati, da 250 a 500 sterline. Si contempla l’introduzione di specifici interventi a favore delle persone gravemente disabili (incentivi economici diretti e assistenziali indiretti). L’accesso ad alloggi decenti costituisce un problema specifico nel regno Unito: vengono quindi previste misure atte a risolvere il problema. Nel 1996 il 40% degli alloggi popolari e il 29% degli alloggi privati erano al di sotto degli standard di decenza. Viene definita una strategia volta a migliorare la qualità degli alloggi entro il 2010. Il PAN britannico contiene misure mirate alla realizzazione di risparmi energetici per le famiglie povere attraverso incentivi diretti e interventi tecnici come il miglioramento degli isolamenti termici o delle caldaie per il riscaldamento. Nel PAN si legge che è importante che il Regno Unito continui a sviluppare correttamente misure ben coordinate affinchè le sue politiche mirate garantiscano a tutti un accesso a servizi di qualità in particolare in materia di salute e d’istruzione.. Il Regno Unito intende offrire un accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria attraverso un nuovo Servizio Sanitario Nazionale. E’ stato predisposto infatti un Piano sanitario decennale per modernizzare il Sistema sanitario nazionale con nuovi investimenti e metodi di lavoro per definire riforme che migliorano la qualità dei servizi sanitari e garantiscano l’eguaglianza di accesso a tali servizi nel Regno Unito. Per quanto riguarda l’istruzione sono previste misure innovative di apprendimento per i bambini in difficoltà (con particolare attenzione ai gruppi etnici) che si propongono di aiutare in maniera permanente coloro i quali non hanno la possibilità o la volontà di migliorare la loro istruzione di base. Il Piano pone attenzione, anche se con minore enfasi, all’accesso alla giustizia, alla cultura, allo sport ed al tempo libero. Obiettivo 3: prevenire i rischi di esclusione Una serie di misure sostenute da investimenti importanti si propone di eliminare i principali fattori di rischio per numerose categorie: Il PAN infatti identifica numerosi gruppi vulnerabili a rischio di esclusione e le cui esigenze richiedono interventi specifici. Va sottolineato che la strategia britannica di lotta all’emarginazione ha una forte dimensione territoriale; le misure sono spesso attuate a livello locale con la partecipazione dei vari Governi ed amministrazioni locali e sono concepite per lottare contro i molteplici ed intercorrelati problemi delle zone più svantaggiate. Particolare attenzione viene dedicata, come abbiamo già visto, al miglioramento dei servizi sanitari. Sono state individuate specifiche zone nelle quali si vogliono ridurre le disuguaglianze in materia. Il PAN britannico dedica inoltre una particolare attenzione alle cause economiche dell’esclusione sociale: credito e indebitamento sono fattori importanti da affrontare. Sono previste infatti misure per la concessione di prestiti a tasso zero per i gruppi più bisognosi (per questo obiettivo sono stati investiti 558 milioni di sterline per il periodo 2003-2004). Vengono incentivate le “Credit Union”, istituti di credito che offrono condizioni molto vantaggiose per le categorie più svantaggiate per ottenere crediti e risparmiare piccole somme. 130 Sono illustrate anche le politiche di promozione delle nuove tecnologie (Internet) con l’obiettivo di sviluppare competenze e di ridurre i rischi di emarginazione di gruppi che non hanno accesso alla “frontiera digitale”. Una serie di misure si rivolgono ai senzatetto che, è auspicato, dovranno trovare una sistemazione permanente entro il 2012 con il supporto delle autorità locali. E’ nel Regno Unito che vi è il maggior numero di gravidanze tra gli adolescenti (rispetto al resto dell’Europa occidentale): questo problema suscita quindi particolare attenzione. E’ prevista una strategia concordata tra i vari Paesi del R.U. al fine di coordinare le iniziative volte a ridurre notevolmente il numero di gravidanze tra adolescenti entro il 2010. Una serie di misure di sostegno si rivolgono ai tossicodipendenti soprattutto per spezzare la catena che lega povertà ed emarginazione al mercato delle droghe, al consumo e alla criminalità. Una serie di interventi sostenuti da investimenti importanti si propongono di eliminare i principali fattori di rischio durante l’infanzia: sviluppo insufficiente sin dalla tenera età, sanità, assiduità scolastica, paternità durante l’adolescenza e abbandono precoce della scuola, mancanza di formazione e di occupazione per i più grandi. Un milione di bambini, viene stimato, beneficeranno della riforma denominata “Child Support”. Il programma “Sure Start” è fondamentale per questo obiettivo: destinato alle zone nelle quali la maggior parte dei bambini vive in condizioni di povertà e si rivolge anche ai futuri genitori per rompere il circolo vizioso dell’handicap sociale. Il programma ha per obiettivo il miglioramento dei servizi a livello locale e la diffusione delle buone prassi. Per evitare l’emarginazione degli anziani, il Regno Unito intende adottare misure volte a concentrare gli aiuti a favore dei pensionati in termini di reddito reale e a proteggere i futuri pensionati da rischi di emarginazione sociale. In questo contesto sono state varate misure per garantire un reddito minimo, per aumentare le pensioni basse e per assicurare sussidi per fronteggiare le spese di riscaldamento. Si prevede l’introduzione di nuove prestazioni pensionistiche per i disabili di lungo periodo e per coloro i quali accudiscono gli invalidi. Inoltre si prevede che gli accertamenti reddituali per alcune prestazioni legate al reddito siano meno rigidi. Per essere meglio applicate a livello, le politiche territoriali e a favore delle popolazioni rurali si basano sulle partnership. Le partnership locali strategiche riuniscono i settori pubblico e privato e le associazioni del volontariato per identificare la cause primarie del declino di una zona e far nascere idee per migliorare la situazione . I fondi strutturali hanno un ruolo fondamentale da svolgere nella lotta contro l’esclusione sociale nel Regno Unito. Il Fondo Sociale Europeo prevede un investimento nel R.U. pari a 4,5 miliardi di sterline per il 2000-2006. L’integrazione sociale costituisce uno dei temi principali del FSE. Nel finanziamento 2000-2006, uno degli obiettivi comprende tre programmi operativi (Inghilterra, Scozia, Galles). Essi consentono a ciascun programma di modulare il finanziamento secondo le priorità nazionali. Il FSE supporta direttamente gli interventi legati contro l’emarginazione in tutti i settori prioritari, tra cui l’aiuti agli individui o alle zone povere colpite in maniera particolare da situazioni di svantaggio. 131 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata IIA5. Considerazioni I Piani di azione nazionale per l’inclusione sociale (PAN) svolgono un ruolo fondamentale nel processo contro la povertà e l’esclusione a livello UE, nella misura in cui consentono di tradurre gli obiettivi comuni in politiche nazionali, nel rispetto della situazione particolare di ciascun paese e della natura specifica dei singoli sistemi di protezione sociale e delle politiche sociali. Tutti i paesi dell’Unione Europea si sono impegnati a presentare ogni due anni un “Piano di azione nazionale” nel quale si indicano gli obiettivi di riduzione della povertà e controllo delle disuguaglianze. Tali obiettivi, pur essendo fissati in autonomia da ogni Stato membro, devono essere coerenti con un insieme di linee guida indicate dall’Unione. I Piani di azione nazionali contengono anche una valutazione degli obiettivi precedenti e una descrizione dell’evoluzione di numerosi indicatori sociali. 10 I Piani si basano sul cosiddetto principio del coordinamento aperto: esso lascia ai Paesi la totale autonomia nel fissare gli obiettivi, ma sottopone gli impegni presi al controllo formale degli altri Stati membri, generando la necessaria pressione politica affinché gli obiettivi siano credibili e vengano effettivamente perseguiti. E’ importante infatti il ruolo delle politiche pubbliche11 nella realizzazione di una società fondata sulla solidarietà, sull’uguaglianza e su un elevato livello della qualità della vita e della salute. Esse possono incrementare l’occupazione, promuovere la redistribuzione del reddito, alleviare la povertà e lottare contro la discriminazione e la disuguaglianza. L’Unione Europea è impegnata ad intervenire sull’inclusione sociale, il reddito minimo, l’integrazione degli esclusi dal mercato del lavoro, delle persone più anziane, dei rifugiati, così come un altro obiettivo fondamentale è quello di realizzare l’uguaglianza e lottare contro la discriminazione: cioè pari opportunità per donne, uomini, persone con handicap, azioni contro le molestie sessuali sul lavoro, lotta alla discriminazione razziale, prosecuzione del dibattito sui diritti fondamentali. Ed ancora, soddisfare le aspettative dei cittadini per una maggiore tutela della salute e una migliore assistenza 132 sanitaria, nonché prepararsi per l’invecchiamento della popolazione: questo attraverso azioni mirate sulla prevenzione che affrontino le minacce emergenti alla salute (Aids, cancro, tossicodipendenze ecc.) e migliorino l’efficacia economica e la qualità dei sistemi sanitari. L’importanza di conseguire questi obiettivi, realizzando una riduzione significativa della povertà, non va sottostimata12. Il successo dipende in misura cruciale dal modo in cui gli Stati membri traducono le ambizioni strategiche esposte nei Piani d’azione nazionali (PAN) per l’integrazione in azioni concrete volte a migliorare le condizioni di vita delle persone più vulnerabili. Secondo la Commissione europea13, la seconda generazione di PAN per l’integrazione – quella che si riferisce ai tre Paesi che abbiamo esaminato - rappresenta un riconoscimento politico forte, tre anni dopo il vertice di Lisbona, della sfida di garantire l’integrazione sociale in tutta l’Unione europea. Gli Stati membri hanno ribadito che la modernizzazione delle economie deve procedere di pari passo con gli sforzi volti a ridurre la povertà e a combattere l’emarginazione. Tale impegno trova dimostrazione nelle principali innovazioni strategiche della seconda serie di PAN per l’integrazione: * I nuovi PAN presentano generalmente una portata abbastanza ampia da riflettere la natura pluridimensionale della povertà e dell’emarginazione e da interessare una gamma più estesa di settori d’intervento, specie in relazione all’offerta di servizi di base quali la formazione permanente, la salute e l’alloggio. Essi danno inoltre conto in modo più compiuto della diversità delle strategie nazionali e dei diversi gradi di sviluppo dei sistemi di protezione sociale. * La maggioranza degli Stati membri dimostra un chiaro impegno a definire obiettivi quantificati di riduzione della povertà. Altri paesi hanno fissato obiettivi quantificati intermedi, che possono nondimeno contribuire a conferire maggiore ambizione all’azione politica e ad agevolare il monitoraggio dei PAN. * Molti Stati membri hanno rafforzato in misura significativa le misure istituzionali mirate ad integrare la povertà e l’emarginazione sociale nel processo decisionale a livello nazionale. Si nota inoltre un’enfasi assai maggiore sulla necessità di estendere il processo ai livelli regionale e locale. * È migliorato il processo volto a incoraggiare la partecipazione dei principali attori interessati della società civile (ONG, partner sociali e operatori economici) nella fase di preparazione del PAN. Tale fatto dovrebbe rafforzare la funzione dei PAN e degli obiettivi di Nizza di strumento di riferimento nei processi decisionali a livello nazionale. Nonostante i reali progressi conseguiti si constata tuttavia anche la necessità di un ulteriore impegno, in particolare per quanto concerne i seguenti aspetti: * Il ricorso ad un approccio effettivamente pluridimensionale richiederà di conferire ulteriore attenzione ad aspetti quali l’alloggio, la formazione permanente, la cultura, l’e-inclusion e i trasporti. * La definizione degli obiettivi richiede un ulteriore sviluppo, che renda gli stessi maggiormente specifici, quantificati e ambiziosi. * Occorre attribuire maggior peso a garantire e verificare efficacia e qualità delle misure miranti ad affrontare la povertà e l’esclusione sociale. 133 * I progressi conseguiti nell’opera di rendere pratica corrente (mainstreaming) l’integrazione sociale rafforzando i provvedimenti istituzionali richiedono un ulteriore approfondimento, soprattutto per garantire che gli obiettivi di integrazione sociale siano tenuti presenti al momento della definizione delle priorità di spesa generali. * Risulta inoltre necessario che la maggiore partecipazione della società civile si estenda oltre la fase di preparazione dei PAN alla loro attuazione e al loro monitoraggio. * È necessario aumentare l’impegno volto a garantire che le politiche economiche, occupazionali e sociali si rafforzino a vicenda. Sempre secondo la Commissione, I PAN per l’integrazione confermano la validità dei fattori di rischio associati alla povertà e all’emarginazione sociale e individuati nel 2001. Essi sono: dipendenza prolungata da un reddito basso o inadeguato; disoccupazione di lungo periodo; bassa qualità dell’impiego o mancanza di una carriera lavorativa; basso livello d’istruzione, analfabetismo; crescere in una famiglia vulnerabile; disabilità; problemi di salute e condizioni di vita difficoltose; vivere in una zona caratterizzata da un cumulo di svantaggi; condizioni abitative precarie e mancanza di fissa dimora; immigrazione, appartenenza etnica, razzismo e discriminazione. Tuttavia, secondo l’analisi interpretativa della Commissione europea,14 per quanto la gamma di rischi e barriere resti costante, i PAN 2003 offrono un’immagine più sfumata e complessa, dalla quale emerge, con più forza che in passato, un’associazione specifica con l’emarginazione sociale di talune situazioni: vivere in una famiglia senza occupati, reddito inadeguato, sovraindebitamento, malattia mentale, abuso di alcol e droghe, disabilità, dipendenza cronica dall’assistenza, la condizione di richiedente asilo, rifugiato e immigrante, vivere in zone urbane e rurali svantaggiate. Nei PAN 2003 molti Stati membri sottolineano con più insistenza che gli immigranti o le persone appartenenti a minoranze etniche sono esposti a un rischio maggiore di povertà e di emarginazione sociale. Tuttavia, viene sottolineata al contempo anche la complessità e la diversità delle situazioni. Tra gli aspetti particolari che vengono citati vi sono le difficoltà connesse al reperimento di una sistemazione abitativa e all’acquisizione di un lavoro ben retribuito (F, FIN, S) e le barriere che impediscono l’accesso alla formazione permanente, specie delle lingue. Si nota una maggiore attenzione nei confronti degli immigranti anziani (D), dei matrimoni forzati/combinati, dei bassi livelli di salute (S) e di istruzione (NL, DK). Alcuni PAN sottolineano anche le differenze di genere (IRL, S). Taluni Stati membri indicano i problemi specifici a carico dei rom e di molti nomadi (IRL). Un certo numero di Stati membri (UK, S, F, FIN, B e IRL) individua un nesso diretto tra la discriminazione e le questioni connesse alla coesione sociale. In generale, i PAN 2003 sottolineano la necessità di considerare con maggiore attenzione la condizione delle persone esposte a rischi multipli o a un’accumulazione di problemi, poiché tale condizione potrebbe farle cadere in situazioni di povertà e di emarginazione sociale (S, FIN). In particolare, vengono regolarmente segnalati i seguenti gruppi: ex detenuti, persone senza fissa dimora, persone in uscita dagli istituti, alcolisti e tossicodipendenti, malati di menti, prostitute. Caratteristica rilevante dei PAN 2003 è la maggiore attenzione conferita alle variazioni 134 dei livelli di povertà e di emarginazione sociale a livello regionale e locale e le modalità con le quali le cause soggiacenti della povertà e dell’emarginazione variano da regione a regione (B, F). Emerge il contrasto tra le regioni in condizione di particolare declino, caratterizzate da flussi migratori negativi, alti livelli di disoccupazione e aumento dei tassi di dipendenza (FIN, P), e le regioni in crescita con i relativi problemi di congestione, nelle quali le questioni relative alla sistemazione abitativa pesano in modo assai più consistente. Viene sottolineata anche la questione delle zone rurali marginali caratterizzate da invecchiamento della popolazione, servizi carenti e maggiori livelli di dipendenza (IRL, EL, P, UK). Viene regolarmente segnalata la particolare concentrazione di povertà e degrado entro comunità specifiche delle zone urbane. A tale riguardo, viene richiamata la questione della perdita di capitale sociale. Nelle comunità esposte a svantaggi multipli, si è notata spesso una riduzione delle reti relazionali e dei sistemi e organizzazioni di supporto, ovvero degli elementi che agevolano la partecipazione attiva delle persone alla vita delle comunità in cui vivono e sono parte indispensabile di una società civile forte e viva. Un altro tema che caratterizza più distintamente i PAN 2003 è il ruolo significativo che le disuguaglianze tra i sessi possono assumere in relazione alla povertà e all’emarginazione sociale. Non emerge con altrettanta chiarezza tuttavia che la percezione di un maggiore impatto concreto è riconducibile semplicemente alla maggiore consapevolezza circa le questioni di genere. La dimensione di genere viene richiamata, in particolare, nel contesto dei genitori unici, della violenza in ambito domestico, dei problemi legati alla flessibilità lavorativa e alla riduzione dei diritti pensionistici. Sono state messe in evidenza anche differenze di genere nei gruppi più svantaggiati, per esempio in relazione alle persone senza fissa dimora, agli ex detenuti e ai tossicodipendenti (DK). PER QUANTO RIGUARDA IN MODO PARTICOLARE I PAN DEI TRE PAESI PRESI IN CONSIDERAZIONE, si possono fare le seguenti considerazioni15: IIA.5.1 ITALIA L’Italia ha definito la propria impostazione strategica in stretta coerenza con il Libro bianco sul welfare16 (ma anche su un’agenda sociale triennale e sul decentramento verso le Regioni e gli Enti locali), nel quale vengono identificate due questioni fondamentali: la situazione demografica (gli effetti del basso tasso di fertilità associato a un alto tasso di invecchiamento della popolazione) e il ruolo della famiglia intesa come pilastro del modello sociale italiano.17 Nel formulare la strategia e gli obiettivi del NAP italiano 2003-2005 sono state tenute in considerazione alcune delle tendenze maggiormente significative caratterizzanti il tessuto sociale ed economico nazionale18, con particolare riferimento a: - l’invecchiamento della popolazione: l’Italia è uno dei Paesi a più elevato invecchiamento al mondo – attualmente, su circa 58 milioni di abitanti, oltre il 18% della popolazione è rappresentato da ultrasessantacinquenni. 135 - la mobilità regionale: a partire dagli anni ’90 il volume complessivo della mobilità interna ha ripreso ad aumentare – dal 2000 al 2003 si è registrata un’emigrazione netta dal Sud al Nord pari a 290.000 persone. - la presenza di popolazione extracomunitaria: nell’ultimo decennio la popolazione straniera legalmente residente in Italia è più che triplicata – è attualmente in corso la regolarizzazione di circa 700.000 lavoratori extracomunitari. - il mercato del lavoro non regolare: La stima complessiva del lavoro totalmente sommerso a livello nazionale indica un valore pari a circa il 22% del totale. - l’integrazione delle persone con disabilità: I livelli di occupazione delle persone con disabilità sono tuttora piuttosto bassi (circa il 21%) e fortemente differenziati per genere (donne: 11% - uomini: 29%). - lo sviluppo del volontariato, del terzo settore e della cooperazione sociale: si tratta di un settore che si caratterizza per la presenza di una pluralità di attori ed organizzazioni diffuse in modo capillare sul territorio; circa 230.000 istituzioni, in cui operano circa 5 milioni di persone; a ciò si aggiungono le reti di aiuto informale. Gli ambiti di intervento prioritari che esso individua possono sostanzialmente essere aggregati in tre gruppi.19 Un primo gruppo di policy consolidate, che fanno capo all’intervento su gruppi bersaglio dai confini più o meno ben delineati (quali persone con disabilità, anziani, minori e fasce deboli). Un secondo gruppo di interventi che individuano la dimensione lavorativa quale strumento di inclusione sociale e che fanno capo alle riforme in corso nel mercato del lavoro, con particolare riguardo alla partecipazione femminile ed al prolungamento della vita attiva. Infine un terzo gruppo, che punta ad aggredire le problematiche dell’esclusione agendo a partire dal nucleo centrale della struttura sociale, la famiglia, intesa quale soggetto protagonista delle politiche di welfare, volano di inclusione e attore di una nuova solidarietà tra le generazioni. Il piano introduce per le famiglie la riduzione dei carichi fiscali e lo sviluppo di una rete di servizi per la famiglia. Nei confronti delle persone disabili, il Piano introduce iniziative che valorizzino le forme di partenariato pubblico-privato sociale, in cofinanziamento con gli enti locali. Il Piano ha poi inteso promuovere l’inserimento lavorativo dei disabili e l’autoimprenditorialità, mediante istituzione di un fondo pari a 5.500.000 euro, per erogare nuovi servizi e migliorare il loro accesso alle nuove tecnologie. Nei confronti delle povertà estreme, il Piano si prefigge di far emergere i senza dimora, migliorando i servizi per tali fasce di popolazione. Negli intenti del Piano vi è anche un impegno nei confronti della parte di popolazione non autosufficiente, attraverso una nuova organizzazione dei servizi e integrazione delle prestazioni. Sul fronte del lavoro, il Piano si prefigge di far emergere il lavoro nero, ridurre la disoccupazione nel mezzogiorno ed in particolare delle donne e delle persone al di sopra dei 55 anni. 136 Il Piano prevede infine azioni per il reinserimento sociale e lavorativo di fasce deboli quali detenuti, ex-detenuti e immigrati. In termini strategici quindi il pilastro fondamentale del Piano d’Azione italiano è rappresentato dal consolidamento del sistema di welfare basato su di un approccio di politica integrata, decentrata, basata sulla partnership e la plurisettorialità. Un approccio misto che prevede politiche universali e preventive, politiche curative orientate verso specifici gruppi, interventi diversificati a livello nazionale, regionale e locale. In tale quadro, la valorizzazione delle capacità lavorative della persona e il concetto di società attiva sono fattori centrali nei percorsi di inclusione sociale.20 La Commissione europea in una sua Comunicazione21 nel gennaio del 2005, aveva evidenziato che l’agenda sociale dell’Italia per il triennio 2003-2005 era definita dalle seguenti priorità politiche, espresse in una serie di principi e orientamenti senza priorità specifiche: favorire la famiglia e aumentare il tasso di natalità nazionale; fornire servizi migliori ai disabili; lottare contro la povertà estrema; accelerare lo sviluppo del Sud attraverso l’avvio di “piani territorialmente integrati” cofinanziati dall’FSE; promuovere pari opportunità per uomini e donne e prevenire la tossicodipendenza e l’uso di stupefacenti. La Commissione notava come un pacchetto di riforme recentemente adottato aveva reso più flessibili i mercati del lavoro, anche nell’intento di promuovere politiche di passaggio “dall’assistenza al lavoro”. Era in corso, secondo la Commissione, un vasto processo di decentramento delle politiche sociali e dell’occupazione, che sarebbe stato portato avanti anche nei prossimi anni. Alle regioni sono ora stati conferiti anche compiti di coordinamento, mentre i compiti di gestione e di attuazione sono stati interamente trasferiti alle amministrazioni locali. Sono stati approvati i piani d’azione regionali della maggior parte delle regioni. Successivamente la Commissione Europea ha evidenziato nel marzo del 200622 come in Italia il programma legislativo relativo all’inclusione sociale è proseguito durante il periodo 2003-2005 (specialmente per quanto riguarda il mercato del lavoro e la riconciliazione del lavoro e la vita familiare, ma con l’importante eccezione dei “livelli essenziali di assistenza”, che devono ancora essere determinati); tuttavia il processo in corso di costruzione di nuovi quadri istituzionali insieme con la necessità di contenere le spese, è risultata nel fatto che alcune delle iniziative previste non sono state rifinanziate attraverso il bilancio nazionale. Misure come i servizi di assistenza ai bambini e i programmi di reddito minimo vengono portati avanti a livello regionale o locale ed il loro impatto generale non è uniforme in quanto dipendono dalle autorità amministrative locali e regionali e dalle possibilità finanziarie, che non sono sempre all’altezza dei compiti. In tal senso l’attuale tentativo di fare un quadro delle spesa sulla protezione sociale a livello nazionale e subnazionale può aiutare a determinare le zone in cui è necessario arrivare ad una maggiore equità. Per quanto riguarda le pensioni, secondo la Commissione, l’Italia ha cominciato negli anni novanta le riforme che hanno portato ad un graduale passaggio da piani pensionistici a prestazione definita a piani pensionistici a contribuzione definita. Tali riforme hanno creato uno stretto legame tra contribuzioni e prestazioni, determinando incentivi adatti a far sì che i nuovi arrivati nel mercato del lavoro lavorino 137 più a lungo, ma hanno comportato un lungo periodo di transizione. L’adeguatezza delle pensioni future dipenderà anche dallo sviluppo di nuovi diritti alla sicurezza sociale, trasformando il TFR (il sistema di risparmio obbligatorio aziendale per impiegati privati). Il meccanismo del trasferimento automatico dei contributi TFR (che inizia nel 2008) a piani pensionistici privati (ad eccezione dei lavoratori che lo rifiutano) potrebbe contribuire allo sviluppo di pensioni supplementari. Anche i diritti a pensione dei lavoratori atipici deve essere migliorato. Per quanto riguarda l’Assistenza sanitaria e l’assistenza a lungo termine, la Commissione evidenzia come siano state espresse preoccupazioni per quanto riguarda l’impatto della ripartizione dei costi sui gruppi vulnerabili. Per quanto riguarda le cure a lungo termine, malgrado siano state adottate specifiche iniziative a livello regionale e locale, in accordo con la riforma istituzionale, esse rimangono insufficienti per una popolazione che sta invecchiando ed esistono disparità geografiche importanti in quantità e qualità. Infine la Commissione sottolinea23 che il programma di riforme nazionali italiano non fa riferimento agli MCA per la protezione sociale e l’inclusione sociale e non tiene conto del contributo degli organi governativi responsabili. La riforma delle pensioni del 2004 è citata unicamente nel contesto del consolidamento del bilancio; l’importanza del suo controllo per ottenere risultati adeguati e sostenibili non è stata sottolineata. Alcune misure per promuovere attività di formazione e d’istruzione fanno parte del Documento di programmazione Economica e Finanziaria, come ad esempio progetti di e-inclusion e interventi per eliminare abbandoni scolastici precoci, ma il contributo della politica sociale per la creazione dei posti di lavoro e la necessità di politiche specifiche per aumentare l’integrazione dell’occupazione e far diminuire le disparità regionali non sono state prese nella debita considerazione. La Commissione indica che le seguenti debbano essere le sfide future per l’Italia: - Aumentare i tassi d’occupazione, in particolare quelli di donne e lavoratori anziani e anticipare l’ingresso al mercato del lavoro allo scopo di aumentare il livello di partecipazione generale e anticipare i problemi futuri dei sistemi pensionistici, aumentando in particolare il volume dei contributi sociali. - Sviluppare il sud e rafforzare il coordinamento tra gli interventi nazionali e subnazionali allo scopo di ridurre le disparità regionali. - Continuare la riforma di sistemi “ammortizzatori” per accompagnare le riforme del mercato del lavoro già adottate e ridurre il rischio di creare un mercato del lavoro a due livelli. - Portare avanti azioni per migliorare i servizi sanitari per gli anziani e migliorare il coordinamento per ottenere un uso migliore delle risorse. Le critiche al PAN italiano per il 2003-2005 sono state espresse, oltre che dalla Commissione europea, da numerosi soggetti sociali. Riportiamo solo brevemente – per le ragioni che abbiamo esposto nella premessa – le osservazioni di alcuni soggetti: 138 CILAP-EAPN Italia24: Il nuovo Piano di azione nazionale contro la povertà e l’esclusione sociale predisposto dal governo italiano non è condivisibile né nel metodo usato per la sua elaborazione né, tantomeno, nei suoi contenuti. Il metodo Va sottolineato che le organizzazioni non governative non hanno avuto alcuna possibilità di discutere con il governo dei contenuti del Piano. I contenuti Ancora una volta, il PAN non coglie l’opportunità offerta dalla Strategia europea per impostare un vero piano strategico di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, limitandosi ad esporre temi (dalla scuola al mercato del lavoro, dai minori alla non autosufficienza, dal tasso di natalità al mercato del lavoro) e a non prendere impegni precisi quando si tratta di misure, azioni e risorse. Seguendo la tradizione inaugurata con il Libro Bianco sul Welfare (di cui il PAN è l’ideale prosieguo), il PAN interpreta la situazione attuale, delinea i cambiamenti avvenuti nella società italiana, individua le principali sfide da affrontare ma nulla dice su come e con quali risorse si intende procedere. Il Piano manca di una visione strategica di lotta alla povertà e all’esclusione sociale e non contiene obiettivi a lungo termine volti a “diminuire sostanzialmente la povertà entro il 2010”. Non si trova in nessuna parte del Piano un accenno (ma nemmeno la consapevolezza) dell’importanza delle risorse umane nel campo del sociale, a tutti i livelli, quale fattore determinante per garantire la qualità degli interventi di lotta alla povertà e all’esclusione sociale e per la promozione dell’inclusione. Non si capisce se e cosa si intende fare per arrivare alla definizione delle figure professionali necessarie, dei loro profili, dei requisiti di formazione a livello di base e di formazione continua e per i criteri di accreditamento delle sedi formative. Viene proposta la privatizzazione dei servizi e la concessione di buoni (voucher) rischiando la cancellazione del ruolo del pubblico (indirizzo, programmazione, promozione e controllo) nella politica dei servizi e delle prestazioni sociali. Per le politiche dell’occupazione, il Piano si basa su tutta una serie di leggi di nuova approvazione. Non è possibile fare previsioni sugli effetti di queste nuove misure che, ad oggi, ancora non hanno ancora prodotto alcun effetto. Nel frattempo però sono venute a cadere misure importanti, quali il Reddito Minimo di Inserimento. Le varie politiche e azioni presentate sono a “compartimento stagno” e non presentano caratteristiche di trasversalità (mainstreaming). Nel merito delle priorità e delle politiche attuative, non viene dato impulso ad una politica di inclusione e promozione bensì viene rafforzata una tendenza di tipo assistenziale che speravamo fosse stata superata. Ciò viene ulteriormente peggiorato dalla delega alla famiglia di responsabilità e carichi che dovrebbero essere di responsabilità di tutta la collettività. Malgrado questo giudizio così critico, rimaniamo convinti della grande potenzialità dei Piani e della Strategia europea per l’inclusione. Come sottolineato da Chiara Saraceno in un suo articolo (si veda: www.lavoce.info) “A livello europeo, 139 questo procedimento costituisce un buono strumento per arrivare a una definizione consensuale di obiettivi comuni in campi che non solo sono istituzionalmente lasciati alla responsabilità nazionale, ma che non possono essere oggetto di regolamentazioni e politiche top-down, proprio per l’estrema diversificazione dei contesti e dei punti di partenza....In teoria e’ un buono strumento anche per i singoli paesi, sollecitati a definire in procedure negoziali con tutti gli attori sociali rilevanti e in modo chiaro, obiettivi, strumenti, criteri di valutazione”. CGIL-CISL-UIL:25 Il PAN italiano è un pessimo documento che non compie scelte strategiche finalizzate positivamente all’inclusione sociale, non indica soluzioni a breve in grado di affrontare i drammatici problemi di moltissime persone e famiglie, non contiene traccia delle risorse necessarie. Il Piano infatti, riflette pienamente gli orientamenti che l’esecutivo ha fin qui assunto su tutto il sistema delle politiche sociali: si mantiene il congelamento della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza a partire dalla mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali; si cancellano esperienze importanti come quella del Reddito minimo di inserimento; si riduce il sistema delle prestazioni sociali a una condizione di costante sottofinanziamento. Così tutto il campo dei servizi gestiti dalle autonomie locali viene a trovarsi in un situazione di strutturale difficoltà che può diventare, di fatto, irreversibile. In questo modo si assesta un duro colpo alla esigibilità dei diritti, si approfondiscono gli squilibri e le diseguaglianze territoriali, si creano le condizioni di una rottura verticale del patto di coesione sociale. Al di là di enunciazioni verbali c’è un’unica certezza: le famiglie, in particolare nel Mezzogiorno, che usufruivano del Reddito minimo di inserimento e che, attraverso quella misura, avevano visto la possibilità di uscire progressivamente da una condizione di povertà ed emarginazione, oggi non hanno nulla. Il governo ha colpevolmente posto fine a quell’esperienza senza predisporre nuovi provvedimenti. In realtà la famiglia descritta nel Piano e nel Libro bianco non è un soggetto attorno a cui ruotano servizi e risorse, bensì un’entità separata e sola, destinataria di qualche trasferimento monetario, abbandonata alle dinamiche del mercato. CARITAS:26 Il coordinamento aperto consiste in un dialogo continuo tra soggetti istituzionali e della società interni e di altri Paesi dell’Unione nelle diverse fasi di elaborazione delle strategie politiche. Rispetto all’esperienza del Piano italiano 2003-2005 risulta che ci sia stato, da parte del Ministero del Welfare, un confronto frettoloso e parziale i cui risultati sono evidenti nelle palesi incongruenze redazionali del Piano. L’elemento che desta maggiori perplessità, alla luce del nuovo contesto istituzionale, è il mancato confronto con le Regioni che anzi ne avrebbero dovuto condividere la sostanza. La caratteristica rilevante del Piano dovrebbe essere l’indicazione di obiettivi quantitativi nel periodo di vigenza. Non sembra che questa linea metodologica sia 140 seguita, inficiando quindi il senso stesso di un piano di azione. Il Piano dovrebbe individuare gli obiettivi quantitativi e le relative azioni che si intende mettere in atto nel loro perseguimento. Sembra invece che esso compia una rassegna di tutti i provvedimenti adottati in due anni di governo che abbiano una qualche connotazione o effetto sociale. In questo modo si distoglie l’attenzione dalla lotta all’esclusione sociale e alla povertà a meno che non si individui una linea diretta di conseguenze delle diverse politiche sulla povertà. Il Piano non innova il quadro di riferimento valoriale già presente nel Libro Bianco sul Welfare, limitandosi ad alcune specificazioni ulteriori. Si ripresenta un sistema di welfare che trova nella famiglia il principale luogo di cura e presa in carico dei bisogni estremi, sottovalutando i casi, e sono molti, in cui la famiglia è un soggetto debole, non per mancanza di risorse economiche, ma per carenza di relazioni, competenze e capacità di discernimento. È del tutto assente una seria valorizzazione del sistema dei servizi sociali a supporto delle famiglie, come se l’assegnazione di risorse economiche alla famiglia permetta ad essa di rivolgersi ad un mercato di imprese di fornitura di prestazioni sociali senza un’opera di orientamento, consulenza e accompagnamento proprie delle professionalità dei servizi sociali. Anche il sistema di sostegno economico alle famiglie per la cura di soggetti deboli, basato sulla defiscalizzazione, tende ad incidere esclusivamente sulle famiglie con un reddito stabile, tralasciando le moltissime famiglie con un reddito precario, in nero o senza alcun reddito. Contrariamente alle previsioni e raccomandazioni dell’Unione è assente tra le otto priorità la tematica dell’immigrazione e delle povertà legate alla mobilità umana (anche interna): la promozione della conoscenza della lingua italiana è l’unica misura prevista per gli immigrati. Altre mancanze notevoli riguardano le malattie psichiche e la condizione dei nomadi. Desta preoccupazione la fine della sperimentazione del Reddito minimo d’inserimento: era uno strumento con l’obiettivo di favorire, con servizi e misure di accompagnamento, l’inserimento sociale e lavorativo di persone che sono impossibilitate a provvedere al mantenimento proprio e della famiglia. L’introduzione dell’istituto del Reddito di ultima istanza non trova le necessarie risposte perché rischia di essere una misura puramente assistenziale a sostegno del reddito più debole finanziata al 50% dallo Stato e al 50% dalle Regioni. Sorge inoltre il problema per le Regioni più povere, che forse ne hanno più bisogno di trovare le risorse necessarie. Molto spazio è dedicato alle politiche del lavoro ma si dà per scontato che esse siano nazionali e non territoriali e specifiche. La flessibilità può essere infatti un elemento di contraddizione: se nei mercati di lavoro altamente sviluppati e con grosse opportunità può essere un elemento positivo, nelle realtà più arretrate essa genera una zona d’ombra che espone a ricatti. L’inserimento lavorativo, elemento essenziale per l’inserimento sociale, non coincide necessariamente con esso come il piano sembra affermare. Da qui infatti tutti gli sforzi della riforma del mercato del lavoro sono orientati ad ottenere un impiego, quale esso sia e a qualsiasi condizione, senza valutare le implicazioni familiari e sociali che esso 141 comporta. Se l’inserimento lavorativo di soggetti particolarmente svantaggiati non è accompagnato da misure di accompagnamento del nucleo familiare può non rivelarsi un percorso di inclusione sociale. Consideriamo un bene il fatto che L’Unione Europea si dia degli strumenti come i Piani di Azione Nazionali per combattere la povertà e l’esclusione sociale. Vorremmo che fossero previste delle sanzioni, non solo di tipo morale, per quei Paesi che nel realizzarli non rispettano i parametri e gli obiettivi comunitari. Siamo disponibili a valorizzare il più possibile il Piano di Azione Nazionale italiano e a collaborare in modo concreto alla stesura dei prossimi. Infine crediamo sia utile riportare alcune parti del Rapporto ISTAT sull’Italia presentato nel maggio del 2006 per completare il quadro della nostra analisi: ISTAT27 Secondo l’Istat l’Italia è un Paese vulnerabile con tante, troppe fragilità: i conti pubblici, un’imbarazzante divergenza tra Nord e Sud, la tragica carenza di innovazione, le elevate diseguaglianze sociali ed economiche. Il reddito non è distribuito in modo equo, si concentra ai vertici ed è diluito alla base: quanto a differenze sociali ed economiche peggio di noi in Europa sta solo Portogallo. Non cala il tasso di povertà che riguarda 2,6 milioni di famiglie. Oltre 4 milioni di persone percepiscono un reddito che non supera i 780 Euro al mese. Il disagio è focalizzato soprattutto al Sud, nelle famiglie numerose, in quelle dove ci sono disoccupati e fra gli anziani soli. Scarsa è la possibilità di veder migliorare nel corso della vita il proprio status. IIA.5.2 SPAGNA Nel Piano d’azione spagnolo prioritaria è la politica per lo sviluppo di iniziative a favore dell’occupazione e dell’inclusione sociale. Secondo la Commissione Europea28, la Spagna ha continuato a mantenere negli anni 2003 e 2004 una crescita economica ed occupazionale superiore alla media europea. Ma malgrado la crescita economica, il 20% della popolazione spagnola vive ancora sotto la soglia di povertà. La Spagna continua a registrare un livello di spesa sociale tra i più bassi dell’Unione (il 19,7% del PIL rispetto alla media europea del 28%). Anche il tasso di occupazione è inferiore alla media europea: le categorie più colpite da questo fenomeno sono i giovani e le donne. La percentuale di lavori temporanei è ancora molto elevata. Dal PAN spagnolo emerge il fatto che la Spagna, indipendentemente dalla presenza di sistemi di protezione sociale improntati al principio di universalità, adotta un approccio più individualizzato e diretto alle persone maggiormente a rischio o giustificato in base all’analisi della propria specifica situazione e delle sfide da affrontare. Infatti le politiche sociali della Spagna continuano ad essere prevalentemente strutturate sui gruppi specifici. Ciò ha consentito ai beneficiari di fruire di una grande 142 partecipazione alle fasi di pianificazione e attuazione ma rende più difficoltosa l’introduzione di un approccio maggiormente integrato.29 Infatti, secondo la Commissione si nota spesso una certa difficoltà a coordinare tra i diversi livelli le politiche di integrazione nella prospettiva di un approccio strategico. La definizione di chiari obiettivi generali di riduzione del numero di persone a rischio di povertà e emarginazione sociale è sviluppata in misura soddisfacente nel PAN della Spagna che basa tale definizione sull’indicatore Laeken del 60 per cento del reddito mediano: va notata infatti nel Piano l’obiettivo prefissato di una riduzione del 2% delle persone che si situano al di sotto della soglia del 60% del reddito medio. La Spagna dimostra di aver compiuto notevoli progressi nell’estendere la strategia di lotta all’esclusione sociale agli enti locali e regionali, che hanno gran parte delle competenze necessarie. Infatti si registrano nel triennio 2001-2003 sviluppi importanti per quanti riguarda l’estensione della strategia di lotta all’esclusione sociale ai governi regionali e locali. Si sono registrati alcuni miglioramenti nella collaborazione tra servizi sociali e di collocamento, nella disponibilità di risorse per i gruppi vulnerabili e nel settore della politica sanitaria. Tuttavia meno progressi sono stati compiuti in altri settori importanti, come la lotta all’abbandono degli studi.30 Secondo la Commissione delle Comunità europee, il PAN spagnolo descrive una serie completa di misure, per quanto non sia chiaro il collegamento esistente fra loro. Si nota l’assenza di priorità soprattutto nel campo della sanità, degli alloggi e dell’istruzione. L’occupazione è considerata il principale strumento per giungere all’integrazione: in questo ambito è interessante notare come la Spagna guarda al coinvolgimento attivo dei datori di lavoro come a un fattore significativo nella ricerca di un mercato del lavoro più aperto e partecipativo: accanto allo strumento più tradizionale degli aiuti finanziari all’occupazione destinati ai datori di lavoro, ciò avviene in vari modi, soprattutto mediante campagne per l’occupazione a favore di specifici gruppi, in particolare i disabili e gli immigranti, con provvedimenti per stimolare la responsabilità sociale delle imprese. Altri principali strumento per accedere all’occupazione contemplati dal PAN spagnolo sono i percorsi di inserimento, gli incentivi ai datori di lavoro attraverso la riduzione dei contributi previdenziali e il rafforzamento della cooperazione tra ONG e servizi pubblici di collocamento decentrati. Tra le misure strutturali la diminuzione delle imposte sul reddito per i percettori di redditi bassi, i miglioramenti da introdurre nel sistema pensionistico e gli incentivi offerti ai datori di lavoro, dovrebbero, secondo il PAN spagnolo, consolidare la tendenza a risultati migliori per quanto concerne i livelli di reddito. Importanti sono le misure fiscali previste intese a ridurre concretamente le aliquote dell’imposta sul reddito per le fasce che percepiscono redditi bassi. Nel PAN la Spagna annuncia l’intento di armonizzare progressivamente la corresponsione del “reddito minimo di integrazione” (RMI) a tutte le comunità autonome e di innalzare il bilancio ad hoc fino al 70 per cento del salario minimo medio. Inoltre si cerca di aumentare il potere d’acquisto reale delle pensioni minime, talvolta fissando dei target per aumentare le pensioni di sopravvivenza e minime. 143 La prevenzione dell’esclusione viene altresì affrontata attraverso politiche rivolte alla famiglia, agli squilibri regionali e alla riduzione degli ostacoli di accesso alla tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni. Nel Piano sono state inserite politiche che affrontano gli ostacoli alla partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne con basso livello sociale e di istruzione, come anche un sostegno economico alle vittime di violenze domestiche. Il nuovo Piano per la pari opportunità è inserito anch’esso nel corpo principale di misure per il PAN per l’integrazione ed è volto ad affrontare gli ostacoli alla partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne con basso livello sociale e di istruzione. Per la Spagna un’altra principale sfida è quella di aiutare i gruppi destinatari, come i giovani, le persone sole, gli anziani o i disabili, gli immigranti, i Rom, i nomadi e i senzatetto, a disporre di alloggi adatti ai loro particolari bisogni, dando la precedenza al miglioramento dei quartieri e delle zone circostanti. Sono previste nuove sovvenzioni agli enti pubblici o senza scopo di lucro per l’edilizia popolare, sempre più mirati alle zone dove si constatano carenze, ai piccoli alloggi per le persone sole dove non sono coperti i bisogni essenziali, all’alloggio dei giovani, degli anziani, dei disabili, degli immigranti. Si pensa di riservare terreni od obbligazioni agli enti locali per la costruzione di nuovi alloggi popolari e di istituire programmi per la trasformazione o l’eliminazione di alloggi al di sotto degli standard minimi di decenza. Vi è un nuovo pacchetto di misure intese a garantire l’accesso alla giustizia: infatti la questione dell’accesso al diritto e alla giustizia e della sua problematicità per alcuni gruppi vulnerabili è ampiamente riconosciuta nei PAN per l’integrazione; per esempio, la Spagna intende creare un sistema d’arbitrato per risolvere le querele e i reclami dei disabili, oltre a dei provvedimenti di tutela legale. Inoltre prevede di approvare una legge sulla tutela dei beni dei disabili. Interessante notare che in Spagna, si è stabilito l’obiettivo di migliorare il tenore di vita della popolazione gitana in situazione di esclusione o a rischio di diventarlo, garantendo l’accesso ai regimi di protezione sociale e al loro utilizzo. Inoltre, saranno sviluppati programmi sociali d’intervento integrati, tra cui attività nell’ambito dell’istruzione, degli alloggi e dell’ambiente, della sanità, della formazione e del lavoro, e nel settore dei servizi sociali. Il PAN spagnolo prevede inoltre la promozione di piani integrati per il miglioramento degli alloggi nelle zone rurali. Il PAN cita anche il cofinanziamento di programmi delle ONG nelle zone rurali vulnerabili. Infine il PAN spagnolo menziona il contributo del Fondo sociale europeo (FSE) alle misure politiche relative al proprio piano di azione nazionale per l’integrazione. La Spagna ha infatti aggiunto in allegato un’indicazione del contributo dei Fondi strutturali UE e dell’iniziativa comunitaria EQUAL. Il PAN spagnolo comprende un’analisi del rapporto tra il finanziamento FSE previsto per il periodo 2000-2006 e la strategia europea di integrazione. Una tabella di previsione illustra in dettaglio le previsioni di bilancio elaborate per l’attuazione del PAN ripartito nei suoi obiettivi principali per il periodo 2003/2004. ATTENZIONE: come è noto nel 2004 in Spagna si è insediato un nuovo Governo che ha introdotto recentemente alcune modifiche all’approccio strategico del PAN spagnolo. Il PAN spagnolo aggiornato non è oggetto di questa ricerca per motivi di tempistica. 144 IIA.5.3 REGNO UNITO La strategia del Regno Unito finalizzata ad affrontare le questioni relative alla povertà e all’emarginazione sociale è di ampio respiro e di natura complessiva. Essa si basa sul miglioramento delle opportunità occupazionali e sull’investimento di lungo periodo nei servizi pubblici, finalizzato a migliorarne la qualità. Un obiettivo fondamentale è l’eliminazione della povertà infantile. Le linee di tendenza partono da una situazione che vede un livello occupazionale elevato (il 71,6% nel 2004) e un tasso di disoccupazione debole (4,7% nel 2004). Nel PAN britannico si nota uno sforzo di mobilitazione di importanti risorse verso i gruppi più vulnerabili. Tra i punti negativi di partenza si registra un tasso di povertà più elevato della media europea e forti e persistenti disparità sociali. L’approccio strategico del PAN è fondato su una strategia di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale che coinvolge un gran numero di attori, sui servizi pubblici di qualità e su una particolare attenzione ai gruppi particolarmente svantaggiati. L’obiettivo precipuo è quello dell’eliminazione della povertà entro il 2020. Importanti risorse sono destinate alla promozione dell’accesso al mercato del lavoro e del lavoro qualificato per mantenere i livelli occupazionali elevati e stabili. Come nota la Commissione delle Comunità Europee31, l’attenzione delle strategie contro la povertà e a favore dell’integrazione sociale nel regno Unito sempre più si rivolge a specifici gruppi sfavoriti che sono quelli a maggior rischio: genitori soli, disoccupati di lungo periodo, anziani, persone con qualifiche scarse o nulle, minoranze etniche, malati e disabili, residenti in zone depresse. Nel Regno Unito nel 2003 il 18% della popolazione era a rischio di povertà, contro una media europea del 15%; senza tutti i trasferimenti tale tasso sarebbe stato pari al 40%. La proporzione dei lavoratori part-time (25,8% nel 2004) è molto più alta della media europea (17,7%). La distribuzione della ricchezza risulta così polarizzata che l’1% della popolazione nel 2002 possedeva il 25% della ricchezza commerciabile. Quindi il PAN 2003-2005 pone in luce il fatto che “la lotta alla povertà è prioritaria per l’intero programma sociale ed economico del Governo britannico”. Si persegue un approccio basato sul principio “lavoro a quanti sono in grado di lavorare e sussidio a quanti non lo sono”. La strategia in tema di partecipazione al mercato del lavoro viene descritta nei seguenti termini “rendere possibile il lavoro… rendere remunerativo il lavoro…rendere qualificato il lavoro”. L’obiettivo è quello di un tasso di occupazione all’80% per conseguire “livelli elevati e stabili di occupazione in modo che tutti possano condividere un tenore di vita crescente beneficiando di maggiori opportunità di lavoro”. Tuttavia nonostante i livelli di occupazione quasi da record e un tasso di occupazione basso, le disparità di reddito restano notevoli e il numero di nuclei familiari disoccupati continua ad essere un problema, soprattutto nelle zone più depresse. Il calcolo non ufficiale in termini di “integrazione” – di persone non-attive, persone che vorrebbero esserlo o persone che beneficiano di regimi di occupazione del Governo o lavorano part-time perché non riescono ad ottenere un posto di lavoro a tempo pieno – si aggira sui 4 milioni (maggio 2003).32 Per ciò che riguarda le misure strutturali, l’offerta di servizi pubblici di alta qualità è 145 un tratto saliente delle politiche del PAN: i piani di spesa prevedono aumenti notevoli della spesa pubblica per i servizi, concentrati sull’istruzione, la sanità e i trasporti. L’abolizione della povertà infantile è anch’essa una priorità della strategia del Regno Unito: viene fissato l’obiettivo quantificato di ridurre, entro il 2004-2005, di un quarto il numero dei bambini che vive in famiglie con basso reddito. Si tratta di un contributo all’obiettivo più ampio, da quantificare una volta determinata una misura di lungo termine della povertà infantile, di dimezzare la povertà infantile entro il 2010 e di eliminarla entro il 2020. Vanno anche sottolineati l’introduzione e il miglioramento di una serie di regimi di credito di imposta: tra questi il nuovo credito pensionistico dovrebbe consentire ulteriori progressi nella lotta alla povertà dei pensionati. Il Regno Unito ha aggiunto un nuovo Credito pensionistico al loro sistema pensionistico statale e ha annunciato un ulteriore versamento di £ 100 per i pensionati oltre gli 80 anni. Inoltre il Regno Unito ha riformato il suo sistema di credito d’imposta con la creazione del Working Tax Credit (WTC) e del Child Tax Credit (CTC). Il WTC fornisce sostegno finanziario agli adulti appartenenti a nuclei familiari a basso reddito oltre ad aiutare con l’assistenza ai figli degli aventi diritto; Il CTC è un sostegno, previo accertamento delle fonti di reddito, destinato alle famiglie con figli che raggruppa tutte le misure di sostegno alla famiglia preesistenti legate al reddito. Sia il CTC che l’elemento per l’infanzia del WTC vengono ora versati direttamente a chi si prende più spesso cura dei bambini, di solito la donna. Ciò dovrebbe comportare un trasferimento di risorse dagli uomini alle donne fino a un massimo di 2 miliardi di sterline. Anche nel Regno Unito, il finanziamento dei locatari e dei lavoratori a tempo parziale (generalmente genitori soli e disabili) sarà migliorato dall’aprile 2004. L’innalzamento dei salari netti minimi amplia il divario tra reddito guadagnato e reddito da welfare e contribuisce a portare verso un posto di lavoro, inoltre ha un importante effetto differenziale sul reddito delle donne. Il salario minimo nazionale del Regno Unito (NMW) è espressamente concepito come strumento (assieme ai crediti d’imposta) per poter sostenere un reddito minimo da lavoro, consentendo al contempo ai salari di reagire alle condizioni del mercato del lavoro. Si stava inoltre considerando nel PAN di estendere l’NMW ai giovani di età compresa tra 16 e 17 anni. Un’altra priorità per il Regno Unito è quella di lottare contro il degrado e l’insalubrità di una parte importante dei quartieri più poveri e per l’inserimento sociale delle famiglie interessate, in particolare nel quadro del loro trasferimento in altri alloggi. Sono previsti programmi pubblici di restauro o demolizione degli alloggi più trasferimento in nuovi alloggi; programmi per la trasformazione o l’eliminazione di alloggi al di sotto degli standard minimi di decenza; sviluppo degli alloggi sovvenzionati. (con la collaborazione di un professionista sociale o sanitario) per le persone anziane, i disabili, i senza tetto ecc. Per ciò che riguarda l’istruzione, il PAN si preoccupa di aumentare gli sforzi volti a prevenire l’analfabetismo tra i bambini e diaffrontare gli ostacoli finanziari che impediscono la piena partecipazione alla scuola, compreso l’acquisto di materiale e la partecipazione ad attività esterne ; importante risulta anche formulare approcci integrati allo svantaggio educativo a livello locale, per esempio mediante l’azione 146 educativa zonale. Il Regno Unito menziona un pacchetto volto ad assistere i genitori soli nell’istruzione secondaria e superiore mediante un sostegno per i costi supplementari associati alla custodia dei figli. Secondo la Commissione delle Comunità Europee nelle scelte politiche di fondo del Regno Unito ci sono elementi di forza e di debolezza. Il Regno Unito registra livelli comparativamente alti di basso reddito. I redditi da lavoro dei nuclei familiari con figli sono migliorati grazie all’introduzione del salario minimo, nonché ad aumenti della soglia dei contributi versati all’Assicurazione nazionale da parte dei dipendenti e aumenti dei crediti di imposta e degli assegni familiari. I redditi dei pensionati hanno beneficiato di miglioramenti in termini di livello reale della pensione statale di base e dell’assistenza sociale. I redditi non da lavoro dei nuclei familiari con figli sono anch’essi migliorati grazie ad aumenti reali dei crediti di imposta per i figli/dell’integrazione del reddito. I redditi non da lavoro di persone sole e coppie senza figli non sono aumentati attraverso miglioramenti reali dei rispettivi sussidi, e il loro reddito ha continuato a diminuire rispetto alla retribuzione. Nonostante i miglioramenti reali apportati al reddito minimo garantito, la pensione statale di base è nettamente inferiore al reddito minimo garantito e i pensionati che usufruiscono dell’assistenza sociale non hanno recuperato il rapporto rispetto alla retribuzione che avevano nel 1979. Il Regno Unito sottolinea la sostenibilità finanziaria del suo approccio strategico in quanto crea una base di sostegno con l’intervento dello Stato, affrontando la questione del supporto integrativo ai pensionati più poveri con misure legate al reddito. Viene garantito un reddito minimo e si incoraggia il risparmio, anche con programmi pensionistici privati e attuati sul luogo di lavoro. In conseguenza di tale approccio, lo Stato spende solo il 5,1% del PIL per le pensioni, meno della metà della media dell’Unione europea. Il Regno Unito presenta notevoli disparità locali e regionali in termini di povertà ed esclusione sociale. Si è tentato di semplificare le tante iniziative locali per indurre un cambiamento tale da ottenere uno standard minimo di offerta di servizi per quanti vivono in zone svantaggiate ‘modellando’ i servizi principali in base alle esigenze di tali residenti e adottando ‘priorità minime’. Infine la Commissione sostiene che Il PAN britannico per l’integrazione 2003-2005 dimostra che alcune critiche formulate al precedente PAN sono state tenute presenti, visto il riferimento più ampio alle radici dell’esclusione sociale e l’esame di un vasto ventaglio di settori. Si nota anche un approccio più aperto al coinvolgimento di una rosa più ampia di parti interessate nella preparazione e nel monitoraggio del PAN per l’integrazione. Infatti, ‘il riconoscimento che quanti hanno un’esperienza diretta di povertà hanno molto da offrire per la riuscita di una strategia contro la povertà sta iniziando a trasformare l’approccio britannico’. Per quanto si possa affermare che si sono compiuti progressi nel ridurre la povertà assoluta, la diminuzione della povertà relativa è stata più lenta del previsto. Anche se il mercato del lavoro secondo le previsioni rimarrà vivace, potranno risultare necessarie ulteriori politiche redistributive per attenuare le disparità. 147 Sezione IIA Ricerca sui Piani d’azione nazionali (PAN) contro la povertà e l’esclusione sociale di Italia, Spagna e Regno Unito (2003-2005): Una illustrazione comparata IIA6. Conclusioni finali Ci sembra opportuno impostare le conclusioni sulla scorta di quanto indicato nella “Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale” adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 10 marzo 2006.33 Secondo l’autorevole parere del Consiglio, i Piani d’azione nazionale (PAN) 2003-2005 evidenziano progressi in vari campi ma, sullo sfondo di una situazione economica quanto meno difficile, nessun miglioramento sostanziale della situazione. Essi denunciano nel riesame della strategia di Lisbona l’esistenza di un divario tra obiettivi comuni che gli Stati membri si impegnano a raggiungere e sforzo politico per coglierli. Le priorità politiche individuate nei Piani d’azione nazionali sono spesso comuni: aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, aggiornare i regimi di protezione sociale, colmare i dislivelli di istruzione e formazione, eliminare la povertà dei bambini e migliorare l’assistenza alle famiglie, garantire abitazioni dignitose, migliorare l’accesso a servizi di qualità e superare le discriminazioni aumentando l’integrazione dei disabili, delle minoranze etniche e dei migranti. La maggioranza degli Stati membri, come l’Italia, la Spagna ed il Regno Unito, ha mostrato un chiaro impegno a definire obiettivi quantificati di riduzione della povertà e dell’emarginazione sociale. Altri Paesi hanno fissato obiettivi quantificati intermedi, che possono nondimeno contribuire a conferire maggiore ambizione all’azione politica e ad agevolare il monitoraggio dei PAN. Molti Stati membri hanno rafforzato in misura significativa le misure istituzionali mirate ad integrare la povertà e l’emarginazione sociale nel processo decisionale a livello nazionale. Si nota inoltre un’enfasi assai maggiore sulla necessità di estendere il processo ai livelli regionale e locale. E’ migliorato infine il processo volto ad incoraggiare la partecipazione dei principali attori interessati della società civile (ONG, partner sociali e operatori economici) nella fase di preparazione dei PAN (sebbene per quanto riguarda almeno l’Italia questo coinvolgimento non è stato percepito da tali attori). Inoltre il metodo di coordinamento aperto (MCA) ha permesso alla Commissione delle Comunità Europee, agli Stati membri e agli altri soggetti interessati di avere uno scambio 148 costruttivo sugli obiettivi politici comuni, le buone prassi e la buona governance, nel rispetto della sussidiarietà. L’MCA ha spinto gli Stati membri ad intensificare i loro sforzi nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale e ha promosso uno scambio politico sulle modalità per garantire in futuro pensioni adeguate e sostenibili. Tuttavia sembra molto improbabile, anche alla luce del contesto socio-economico internazionale ed europeo, che i Piani d‘azione nazionale, al di là delle buone intenzioni, siano stati in grado di creare una strategia che contribuisca a dare una svolta decisiva allo sradicamento della povertà entro il 2010 come previsto dall’obiettivo concordato dai Capi di Stato e di Governo a Lisbona nel 2000. In generale infatti i PAN continuano a mostrare caratteristiche proprie più di una relazione che di un vero e proprio piano di azione. Pur documentando bene la situazione e descrivendo i programmi in corso e le azioni di ambito locale e nazionale, i piani difettano di ambizione e mancano di indicare con chiarezza e precisione di particolari le azioni che verranno avviate per migliorare ulteriormente l’efficacia delle politiche nazionali. Come sottolineato dalla EAPN34, la maggior parte dei Governi non ha risposto come avrebbe dovuto agli impegni presi a Lisbona e Nizza nell’elaborazione dei secondi Piani Nazionali perché è venuta a mancare la volontà politica necessaria per rispondere a questa sfida. Malgrado ciò l’EAPN EAPN crede che l’esistenza della Strategia europea per l’Inclusione e l’obbligo di elaborare Piani Nazionali per l’Inclusione abbiano contribuito a mantenere nell’agenda politica le questioni relative alla povertà. I Piani sono stati elaborati con il concorso di molte persone e in alcuni paesi sono state avanzate proposte significative. Anche se ad oggi la Strategia non si è ancora dimostrata uno strumento efficace per lo sradicamento della povertà, essa ha rappresentato e rappresenta un importante strumento per lo scambio di informazioni e pratiche nella lotta contro la povertà e l’esclusione. Questo scambio è di grande importanza e può essere il punto di partenza per generare l’impegno necessario affinché la promessa fatta a Lisbona diventi una realtà. EAPN pensa di essere dunque sulla giusta strada, anche grazie ai molti governi nazionali che hanno reagito alla comunicazione della Commissione sulla razionalizzazione del coordinamento aperto nel campo della protezione sociale difendendo i Piani di Azione Nazionali. COSA FARE ALLORA? I consigli e gli stimoli per il futuro ce li offre il Consiglio dell’Unione Europea:35 La formulazione dei NAP per l’inclusione richiede un approccio più strategico, che permetta definizioni politiche più precise, sistematiche e trasparenti. L’MCA deve porre grande attenzione alla povertà dei bambini e delle loro famiglie. Anche l’esclusione multipla sperimentata dai giovani nei ghetti delle minoranze etniche richiede maggior attenzione e in proposito occorre anche evidenziare il ruolo fondamentale dell’istruzione e della formazione nella rottura della trasmissione della povertà tra una generazione e l’altra. Come mostrano le proiezioni, i mutamenti demografici possono avere effetti dirompenti, ma le riforme nel campo della protezione sociale possono migliorare le prospettive. Le 149 relazioni sulle strategie nazionali per le pensioni (NSR) evidenziano interazioni tra i tre grandi obiettivi dell’adeguatezza, la sostenibilità e l’aggiornamento nonché sinergie e punti d’equilibrio tra essi. Per il successo delle strategie di riforma, soprattutto nella prospettiva di un aumento della speranza di vita, questi obiettivi devono essere tutti presenti e considerati insieme. Le riforme devono continuare a eliminare i disincentivi e fornire incentivi a lavorare più a lungo. Occorre anche modificare il modo in cui datori di lavoro e mercati del lavoro trattano i lavoratori più anziani: sarebbe un contributo decisivo per mantenere livelli di vita adeguati e lottare contro la povertà dei pensionati. Va seguita con attenzione la tendenza alla diminuzione dei tassi di sostituzione dovuti alle pensioni nonché l’offerta di incentivi per lavorare più a lungo, anche per i potenziali beneficiari di pensioni minime. Nell’aggiornare i regimi pensionistici si deve tenere conto di nuove forme di lavoro e delle interruzioni nella carriera, soprattutto per cure prestate, e garantire che le donne possano accumulare sufficienti diritti a pensione. Regimi privati possono completare quelli pubblici; ma ne va garantita l’accessibilità e la sicurezza. Controlli regolari aiutano ad adeguare i regimi e informazioni sui diritti a pensione diffondono la fiducia. Sulla base dei primi successi, i futuri scambi sulla salute e le cure di lunga durata devono concentrarsi sui modi di garantire l’accesso e ridurre le ineguaglianze; di adeguarsi a esigenze mutevoli e alla maggior capacità dei pazienti di scegliere e di partecipare; di promuovere la qualità; di finanziare opportunamente regimi efficienti e un adeguato contenimento dei costi aggregati; di migliorare il coordinamento tra i vari livelli dell’amministrazione; di incentivare utenti e fornitori a un uso razionale delle risorse; di promuovere la prevenzione, stili di vita attivi e un invecchiamento sano; di sviluppare le risorsa umane per affrontare future penurie di personale. Le cure di lunga durata celano un grosso problema: stimare le future necessità e sviluppare i necessari meccanismi di prestazione e finanziamento. È essenziale far sì che l’MCA e il processo rivisto di Lisbona si rafforzino reciprocamente. Commissione e Stati membri devono sviluppare un quadro atto a garantire la miglior interazione e a sviluppare gli indicatori per misurarla. Il controllo e la valutazione delle politiche sociali va rafforzata. Ciò implica, ad esempio, accertare la misura in cui le possibilità d’impiego raggiungono i gruppi a elevato rischio di povertà e di esclusione sociale (famiglie senza lavoro, disoccupati di lunga durata, famiglie monoparentali, famiglie numerose, giovani a rischio, minoranze etniche, disabili) e gli effetti su di essi delle riforme per promuovere l’occupazione. All’insieme dei regimi di protezione sociale serve una strategia olistica di vasto respiro focalizzata sulla sostenibilità (una sfida non solo per le pensioni e la salute); su indicatori che controllino l’efficacia e l’efficienza dei regimi stessi, delle politiche e dei meccanismi di finanziamento; sulla ripartizione delle spese tra i vari settori e sull’equilibrio da trovare tra prestazioni pubbliche e autonomia dei cittadini. Possiamo concludere affermando che è saggio tuttavia pensare che le politiche per l’inclusione sociale sono dei processi costantemente in itinere e che quindi i traguardi da raggiungere e quelli raggiunti fanno parte di un percorso mai definitivo, ma sempre perseguibile e migliorabile. 150 BIBLIOGRAFIA - Alcock P. Siza R. 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Grazia Sestini Sottosegretario di Stato Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Hilton Airport, Roma (2 dicembre 2004). - MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI Seminario Lo sviluppo delle azioni regionali e locali per combattere l’esclusione sociale Il Piano d’Azione Nazionale italiano contro la povertà e l’esclusione sociale 2003/2005 Isabella Manichini Direzione Generale per la Famiglia, i diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese Hilton Airport, Roma, 2 dicembre 2004. - Morlicchio E., Povertà ed esclusione sociale. La prospettiva del mercato del lavoro, Roma, Edizioni lavoro, 2000 - Morlicchio E., Povertà ed esclusione sociale. La prospettiva del mercato del lavoro, Roma, Edizioni lavoro, 2000 - Negri N. 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F., Social citizenship and workfares in the US and western Europe : from status to contract, “Journal ok european social policy”, n. 3, 2003, pp. 18-25. 1 2 Letteralmente significa “scorrere nella corrente principale”. L’Unione Europea ha adottato questo concetto tanto da promuoverlo in diversi ambiti di intervento, dall’approccio di genere, alle pari opportunità largamente intese, sino alla programmazione comunitaria tout court , ISFOL, Percorsi di innovazione. Dal progetto al mainstreaming, Roma, 2001. 3 Approvata durante i lavori del Consiglio europeo di Nizza del 7-8-9 dicembre 2000. 4 Piano di azione regionale. 5 Legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali 6 Mauro Bellamoli, Il contributo della Conferenza tecnica interregionale per le politiche sociali al NAP inclusione, in Tecnostruttura, Piano di Azione nazionale contro la povertà e l’esclusione sociale 2003-2005. Analisi delle politiche regionali per l’inclusione sociale in funzione del contributo regionale al Piano di azione nazionale per l’inclusione sociale 2003-2005, Milano, Franco Angeli, 2003 (Gli strumenti di QT, 1), pag. 6-7 7 Questo processo fa profetizzare a Rifkin, in modo apodittico, che il futuro nei paesi ricchi sarà centrato sulla lotta fra economia sociale e economia sommersa per il controllo del territorio. Note Sezione II Come indicato nel Piano d’azione nazionale italiano contro la povertà e l’esclusione sociale 2003-2005. 1 2 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea L 10/1 del 12 gennaio 2002. COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE (Bruxelles 2005)Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell’Unione europea 3 Come sottolineato nella Comunicazione della Commissione Europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo nel “Progetto di relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale” (Bruxelles 27 gennaio 2005). 4 5 Sono le priorità politiche indicate nella Comunicazione della Commissione Europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo in “Relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale” (Bruxelles 27 gennaio 2005). 6 Comunicazione della Commissione del 12 dicembre 2003 - Relazione comune sull’integrazione sociale contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei piani d’azione nazionali per 155 l’integrazione sociale (2003-2005) - COM(2003)773 - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale 7 Si tratta ovviamente di dati registrati al momento della formulazione del Piano nazionale 20032005, molto diversi da quelli attuali relativi al 2006, anno di realizzazione di questa ricerca. 8 Si tratta di dati che si riferiscono ovviamente al periodo in cui è stato elaborato il Piano d’azione nazionale spagnolo 2003-2005. 9 Si tratta di dati che si riferiscono ovviamente al periodo in cui è stato elaborato il Piano d’azione nazionale del Regno Unito 2003-2005. Sulla base dei rapporti e delle valutazioni reciproche che i paesi membri esprimono sui piani nazionali, il Consiglio e la Commissione europei producono un Rapporto congiunto sull’inclusione sociale. Fino ad oggi, ne sono stati pubblicati tre, uno nel 2001, un altro all’inizio del 2004 e l’ultimo nel marzo del 2006. 10 11 Vedi Anthony Atkinson al Convegno “Misure della povertà e politiche per l’inclusione sociale” tenutosi a Milano presso l’Università Cattolica nel novembre del 2004 e organizzato dalla Commissione d’indagine sull’esclusione sociale. Vedi la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione Comune sull’Integrazione Sociale - contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei Piani di azione nazionali per l’integrazione sociale (2003-2005). 12 13 Idem Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione Comune sull’Integrazione Sociale - contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei Piani di azione nazionali per l’integrazione sociale (2003-2005). 14 15 le seguenti considerazioni sono anche tratte dalla comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento europeo, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni - relazione comune sull’integrazione sociale contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei piani di azione nazionali per l’integrazione sociale (2003-2005) {SEC(2003)1425} Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Libro Bianco sul Welfare. Proposte per una società dinamica e solidale, Roma, febbraio 2003. 16 Nel Libro Bianco sul Welfare presentato dal Governo italiano nel 2003, si mette in evidenza che l’Italia, “i n coerenza con le Conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona, intende rafforzare l’integrazione tra politica sociale, politiche del lavoro e politiche macro-economiche, in un quadro di sviluppo economico e sociale bilanciato e sostenibile. Il riconoscimento di questa stretta connessione appare fondamentale e funzionale per fronteggiare le più recenti sfide europee e per creare un welfare attivo, dinamico, e solidale. Nell’ambito delle trasformazioni in atto degli scenari internazionali, le politiche familiari assumono un ruolo fondamentale a carattere trasversale. Esse cioè ispirano una parte significativa degli interventi che il Governo 17 156 sta attuando in questo triennio 2003-05.”. La famiglia – è specificato - non rappresenta solo una somma di individui, ma anche e soprattutto un luogo in cui la rete relazionale è base per la gestione comune delle risorse. Le politiche a sostegno della famiglia devono anche intervenire sulle capacità del sistema economico e sociale di mantenere un solido sentiero di sviluppo per il Paese Il sostegno alle responsabilità familiari non è una “politica di settore”, quanto piuttosto il risultato di una molteplicità di interventi che ne riconoscono il ruolo di vero e proprio “attore di sistema”.. 18 Vedi Tatiana Esposito, Direzione Generale per l’Impiego, l’Orientamento e la Formazione – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - 1° Convegno annuale della Piattaforma Pubblica Sociale Europea, 14 ottobre 2003 – Lingotto - Torino 19 MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI - RAPPORTO DI MONITORAGGIO DEL PIANO D’AZIONE NAZIONALE PER L’INCLUSIONE SOCIALE 2003 – 2005 Direzione generale per la famiglia, i diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese (CSR). Ottobre 2005 20 Isabella Manichini, Direzione generale per la Famiglia, i diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese, Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali – Seminario: “Lo sviluppo delle azioni regionali e locali per combattere l’esclusione sociale” , Il Piano d’azione nazionale italiano contro la povertà e l’esclusione sociale 2003-2005, Roma 2 dicembre 2004, Hilton Airport COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Bruxelles, 27.01.2005 COM(2005)14 def. COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale {SEC(2005)69} 21 22 COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES Brussels, 23.3.2006 SEC(2006) 410 COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT IMPLEMENTATION AND UPDATE REPORTS ON 2003-2005 NAPS/INCLUSION AND UPDATE REPORTS ON 2004-2006 NAPS/ INCLUSION {COM(2006) 62 final COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES Brussels, 23.3.2006 SEC(2006) 410 COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT IMPLEMENTATION AND UPDATE REPORTS ON 2003-2005 NAPS/INCLUSION AND UPDATE REPORTS ON 2004-2006 NAPS/ INCLUSION{COM(2006) 62 final 23 EAPN è una coalizione indipendente di associazioni e gruppi impegnati nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale negli Stati Membri dell’Unione Europea. EAPN è sostenuta dalla Commissione Europea. Questa valutazione è stata fatta con la collaborazione di Save the Children, Italia e International Council of Social Workers, Italia 24 Sandro Del Fattore, Coordinatore Dipartimento Cgil Welfare e Nuovi Diritti; Rassegna Sindacale n.31 agosto 2003. 25 Nota di commento della Caritas al Piano nazionale italiano contro la povertà e l’esclusione sociale. 26 27 “Rapporto sull’Italia 2006” 157 COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES Brussels, 23.3.2006 SEC(2006) 410 COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT IMPLEMENTATION AND UPDATE REPORTS ON 2003-2005 NAPS/INCLUSION AND UPDATE REPORTS ON 2004-2006 NAPS/ INCLUSION{COM(2006) 62 final 28 29 Vedi la Comunicazione della Commissione al Consiglio,al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione comune sull’Integrazione sociale (Sec.2003-1425) 30 Vedi la Comunicazione della Commissione al Consiglio,al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione comune sull’Integrazione sociale (Sec.2003-1425) 31 Comunicazione della Commissione al Consiglio,al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione comune sull’Integrazione sociale (Sec.2003-1425) Comunicazione della Commissione al Consiglio,al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Relazione comune sull’Integrazione sociale (Sec.2003-1425) 32 Consiglio dell’Unione Europea – Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale – Bruxelles, 13 marzo 2006 – 7294-06 33 EAPN – Dichiarazione della rete Europea contro la Povertà alla Seconda Tavola Rotonda Europea su Povertà ed Esclusione Sociale – Torino 16-17 ottobre 2005. Il documento di EAPN “National Plans on inclusione 2003-2005. Where is the Political Energy?” è sul sito web www. eapn.org in inglese e francese. 34 35 Consiglio dell’Unione Europea – Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull’inclusione sociale – Bruxelles, 13 marzo 2006 – 7294-06 158 Progetto grafico: ALBAVISION Srl (Roma) Finito di stampare a Novembre 2007