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Linee guida per l`allevamento di cervidi a scopo alimentare _M. Lenzi_

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Linee guida per l`allevamento di cervidi a scopo alimentare _M. Lenzi_
Linee guida per l’allevamento di cervidi
a scopo alimentare
Redattore
Marco Lenzi
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Disponibile in CD e supporto cartaceo, il presente documento è redatto dal tecnico
per la programmazione di interventi faunistico - ambientali e istruttore faunistico
Marco Lenzi
Via delle valli, 23
40065 Pianoro (Bo)
Cell. 3387915036
e-mail: [email protected]
Ulteriori informazioni
www.allevamentocervidi.com
Formato CD 31,3 Mb .wrd
Formato CD 5,72 Mb .pdf
Supporto cartaceo n.32 pagine
Versione 3 Aggiornamento del 19/10/2014 ore:15.21
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Indice
Cap.1 Introduzione
Cap.2 Cenni sull’allevamento di cervidi a scopo alimentare
Cap.3 Il pascolo e il bosco dell’allevamento
Cap.4 Le strutture
4.1 Fuoriuscite di capi dall’allevamento
Cap.5 Patologie, problematiche e controlli sanitari
Cap.6 Anestetici nella contenzione degli ungulati selvatici
Cap.7 Registrazione e marcatura dei capi
Cap.8 Trasporto dei selvatici
Cap.9 La protezione e il benessere animale durante la macellazione o l’abbattimento
Cap.10 Sicurezza durante l’abbattimento per la macellazione con proiettile libero
Cap.11 Aspetti economici
Normative di riferimento sull’allevamento cervidi
Bibliografia
Ringraziamenti
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Capitolo 1
Introduzione
Allevare animali selvatici può sembrare un paradosso, tuttavia quest’attività è tutt’altro che
recente, già L.M. Columella (I secolo d.C.) nel IX libro del De re Rustica, descriveva l’allevamento
di caprioli, daini, cervi e cinghiali, a scopo ornamentale, ma anche per la produzione di carne e la
sua vendita. La realizzazione del presente studio (mantenuto aggiornato negli anni) è resa possibile
grazie agli approfondimenti e all’esperienza diretta negli anni 2001 - 2014 presso l’allevamento di
daini e caprioli a scopo alimentare dell’Azienda agricola LM in località Cà Bortolotti, ubicato nel
comune di Pianoro (Bo) e contraddistinto da matr. BOA5.
L’intento è anche quello di dare un contributo alla Provincia di Bologna e alla Regione Emilia
Romagna nel perfezionare, nella legislazione, quelle che sono le linee guida per gli allevamenti al
fine di conciliare, normativa e lavoro agricolo, definire le competenze; per migliorare gli ambienti,
la protezione, il benessere animale, nonché la competitività aziendale con l’abbattimento di alcuni
costi gestionali nel rispetto della normativa vigente.
Gli allevamenti di cervidi a scopo alimentare sono previsti, nella regione Emilia Romagna, dalla
legge nazionale n.157/92 che prevede la possibilità di esercizio di allevamenti di tipo, ornamentale,
ripopolamento ed alimentare con apposita procedura di inizio dell’attività da inoltrare alla
Provincia di competenza. Normativa vincolante per gli stessi allevamenti è la direttiva regionale
n.1519/03 che detta le modalità di conduzione all’interno degli stessi allevamenti.
Nel quadro normativo, altro importante elemento nel contesto è il D.L. n.333 del 1 settembre 1998,
attuazione della direttiva 93/119/CE che riguarda il benessere e la protezione degli animale
durante la macellazione e/o l’abbattimento. Normative di sanità locale, a completamento dei
regolamenti CE 853/2004-854/2004-150/2011-151/2011 e CE 1099/2009 indicheranno poi,
modalità importanti per l’igiene e la salubrità delle carni prodotte dal produttore primario al
consumatore.
Capitolo 2
Cenni sull’allevamento di cervidi a scopo alimentare
Generalmente più adottato per cervo e daino, secondo moduli riconducibili ad una stabulazione
libera “ampia”, semplificata rispetto a quella caratteristica degli animali domestici.
L’allevamento semi - intensivo prevede una scelta iniziale di soggetti provenienti di preferenza da
allevamenti analoghi, che, naturalmente, non sono adatti al ripopolamento. Ogni allevamento viene
attuato in un ambiente confinato e, necessariamente, più o meno artificiale, nel quale gli animali
sono sottratti all’azione selettiva dell’ambiente e in parte anche alle normali interazioni sociali.
Oltre al rischio di consanguineità, i soggetti prodotti in cattività sono per lo più inadatti a
sopravvivere e riprodursi con successo in libertà. Gli allevatori tendono ad utilizzare, per
la produzione della carne, gli esemplari più prolifici e più grossi.
Lo scopo principale dell’allevamento è quello di produrre carne, che può essere venduta o
utilizzata come base per la produzione di prodotti tipici, e riproduttori destinati ad altri allevamenti
analoghi. La giusta ubicazione del recinto (dovrebbe conciliare con le altre scelte del Pianofaunistico e la carta delle vocazioni regionali) è strategica per la riuscita dell’allevamento delle
specie di cervidi anche se piuttosto adattabili, ad eccezione del capriolo che necessita di cure
maggiori (si disincentiva l’allevamento di sottospecie che, per fuoriuscita accidentale
dall’allevamento, possano inquinare il patrimonio genetico negli ambiti esterni).
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L’estensione del perimetro, la variabilità delle esposizioni, della vegetazione, dei pendii, la
variabilità delle essenze legnose dei boschi, dei frutteti, il giusto rapporto aree di rifugio e dei
pascoli, la fascia altimetrica (indicativamente tra i 150 e 650 mt. s.l.m.), possono influire sulle
disponibilità trofiche per i selvatici. Un minor disturbo antropico del luogo, di esercizio venatorio
ed escursionismo di persone nei dintorni è basilare per mantenere un minimo di rusticità delle
specie e ridurne lo stress.
In contrapposizione al domestico, l’animale selvatico reagisce all’uomo con una tendenza al
panico (Diamond, 1998) che ne ha precluso la sua domesticazione in senso stretto. La conoscenza
delle caratteristiche biologiche e della capacità di adattamento dei selvatici alla cattività (Perco,
1987; Saccà, 2002) risulta quindi essenziale qualora si intenda intraprendere questa attività.
Fig.1 - Ubicazione dell’allevamento Podere Cà Bortolotti - Google earth 2009
Il daino (Dama dama dama):
Peso totale maschio adulto 60-110Kg. – Lunghezza 120-150cm. – Altezza al garrese 80-90cm.
Peso totale femmina adulta 45-65Kg. – Lunghezza 110-130cm. – Altezza al garrese 70-80cm.
Periodo accoppiamento ottobre.
Periodo nascite maggio-giugno.
Età massima raggiungibile 15 anni.
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Nel tempo si è riscontrato come questa specie, spiccatamente più addomesticabile, prediliga
pascolare in terreni piani e non ami quelli scoscesi. Da pascolatore intermedio il regime
alimentare è di tipo “opportunistico” in quanto è in grado di variare la quantità e la qualità della
dieta a seconda delle disponibilità stagionali di foraggio.
E’ indicato un apposito miscuglio di graminacee foraggiere (prato per ovini) più resistente a
pascolo intensivo e al calpestio. Anche in grandi recinti, si evidenzia come i maschi adulti abbiano
tendenza ad essere causa generatrice di stress per gli altri soggetti, specialmente per competizione
intraspecifica spaziale ed alimentare. Può essere allevato in concomitanza col cervo. E’ una specie
che offre una certa elasticità nel sostenersi, la femmina, anche se non propriamente del
riproduttore di tipo K, si presta a cure parentali (allattamento) anche a piccoli di un’altra femmina
se questa viene a mancare.
Fabbisogno calorico 2170 Kcal/giorno.
Densità consigliata 10capi/5ha.
Rapporto maschio - femmina 3:20, molto facile l’allevamento di questa specie.
Il capriolo (Capreolus capreolus capreolus):
Peso totale maschio adulto 22-35Kg. – Lunghezza 115-125cm. – Altezza al garrese 70-80cm.
Peso totale femmina adulta 20-28Kg. – Lunghezza 105-115cm. – Altezza al garrese 65-75cm.
Periodo accoppiamenti luglio-agosto.
Periodo nascite maggio-giugno.
Età massima raggiungibile 13 anni.
Selvatico diffidente anche in cattività, aggressivo il maschio adulto nei confronti dell’uomo. La
specie si presta maggiormente a frequentare quelle zone ad effetto margine, tra boschetti, incolti e
cespugli, questi ultimi di modeste dimensioni utilizzati anche come rifugio. I medicai sono i più
frequentati da questo brucatore selettivo, alla ricerca di una dieta “di alta qualità”, costituita da
piante ricche in composti solubili, proteiche ed altamente digeribili. Indispensabili almeno due
tagli annui dei prati con asporto del raccolto. Ottimi i miscugli con trifoglio e lupinella. Al fine
dell’equilibrio indispensabile per la sopravvivenza di questa specie, nel rinnovo colturale, grande
attenzione deve essere posta per una scelta intelligente della rotazione e dell’avvicendamento
colturale annuale di ogni appezzamento singolo. E’ fortemente sconsigliato l’allevamento con le
altre specie a causa della competizione alimentare che lo vede sfavorito nei periodi critici.
Fabbisogno calorico 1240 Kcal/giorno.
Densità consigliata 4capi/5ha
Rapporto maschio - femmina 5:15, difficile l’allevamento di questa specie.
Il cervo (Cervus elaphus hippelaphus):
Peso totale maschio adulto 130-280Kg. – Lunghezza 190-250cm. – Altezza al garrese 105-150cm.
Peso totale femmina adulta 85-125Kg. – Lunghezza 150-210cm. – Altezza al garrese 90-120cm.
Periodo accoppiamento settembre-ottobre.
Periodo nascite maggio-giugno.
Età massima raggiungibile 16 anni.
Si adatta molto bene all’allevamento ed è specie dominante rispetto agli altri cervidi, a condizione
di presenza di acqua abbondante, presenza di insogli e vasta copertura boschiva . Graminacee e
leguminose rappresentano il 70% del fabbisogno primaverile, mentre in autunno - inverno il 50% è
costituito da essenze legnose e frutti.
Come per il daino è meglio mantenere un numero di riproduttori maschi adeguato per evitare
conflitti spaziali tra i soggetti. Copertura boschiva e abbondanza di acqua è d’obbligo. Può essere
allevato in concomitanza con il daino.
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Ovviamente, in allevamento, per tutte le specie è indispensabile il mantenimento di densità agro forestali tali, da non creare danni ai boschi e forte usura dei prati - pascoli, ma favorirne il
rinnovo. In un particolare periodo primaverile, di prolungata condizione climatica sfavorevole, le
popolazioni ad alte densità aumentano la possibilità di perdite nei giovani.
Fabbisogno calorico 5270 Kcal/giorno.
Densità consigliata 2capi/5ha
Rapporto maschio - femmina 3:30, facile l’allevamento di questa specie.
Una piccola parentesi va aperta sul muflone, quale pascolatore puro risulta essere un forte
competitore alimentare in qualsiasi stagione. Per questo è sconsigliata l’immissione di esemplari
all’interno dell’allevamento, inoltre, ha la peggio nei combattimenti interspecifici.
Capitolo 3
Il pascolo e il bosco dell’allevamento
Per chi alleva più specie, il compromesso e quello di offrire variabilità ambientale comune, cercare
di avere un offerta trofica il più possibile di qualità per assicurare i processi che garantiscono,
benessere, riproduzione, cure della prole e muta del mantello.
Dunque, è importante l’esposizione dei versanti (fig. 1), i boschi di carpini e querce rivolti nei
canaloni a nord/est, offrono rifugio dal caldo nel periodo estivo a tutte le specie, i pascoli a sole,
esposti a sud/est sono più frequentati dai caprioli al primo sole nelle ore mattutine, così come quelli
piani e ombreggiati dal daino nei pomeriggi estivi. Le siepi di rovo e le ginestre danno riparo dai
venti dominanti nella stagione primaverile - autunnale.
Il pascolo:
A fini faunistici nei terreni collinari risultano particolarmente indicati i cosiddetti miscugli o
consociazioni, o più semplicemente erbai, costituiti da diverse essenze erbacee sia mono che
dicotiledoni, le quali risultano molto appetite dagli ungulati.
La superficie a prato deve essere seminata in autunno per dare la possibilità al miscuglio di
graminacee e leguminose di svilupparsi in ugual misura. Circa l’epoca d’impianto è noto come le
graminacee siano favorite dalle semine autunnali e le leguminose da quelle primaverili, per cui
dovendole seminare insieme bisogna arrivare ad un compromesso.
Per questi ambienti, qualche autore ha suggerito anche la semina delle graminacee in autunno
seguita nella primavera successiva dalla trasemina in esse delle leguminose, previa leggera
erpicatura. Nella scelta delle specie e varietà ci si basa per le leguminose prevalentemente sulla
natura del terreno, per le graminacee sulle caratteristiche climatiche.
Le specie da inserire nel miscuglio dovrebbero presentare un indice di accrescimento abbastanza
simile tra loro affinché nessuno dei componenti possa prendere il sopravvento sugli altri. Le
consociazioni maggiormente consigliate, sono composte da miscugli per prati polititi asciutti
indicati da Istituti di Ricerca italiani (P. Talamucci).
Trifolium pratense 5 kg/ha
Lotus corniculatus 15 kg/ha
Dactylis glomerata 8 kg/ha
Festuca arundinacea 7 kg/ha
Arrhenatherum elatius 8 kg/ha
Trifolium repens 5 kg/ha
Trifolium pratense 3 kg/ha
Lolium multiflorum 4 kg/ha
Lolium perenne 8 kg/ha
Phleum pratense 13 kg/ha
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Trifolium pratense 4 kg/ha
Lotus corniculatus 40 kg/ha
Arrhenatherum elatius 5 kg/ha
Festuca arundinacea 8 kg/ha
Si ritiene di non ricorrere, come spesso accade, ad un polifitismo troppo spinto per evitare
fenomeni di competizione, ma bensì ad ecotipi locali.
Un’oculata scelta del miscuglio è importante per evitare o favorire fenomeni di interferenza
biologica fra le specie, quali:
- cooperazione o mutualismo
- parassitismo
- indipendenza o neutralità
- antibiosi
- competizione intra ed interspecifica.
Le consociazioni fra graminacee e leguminose si fondano sui vantaggi che possono derivare dal
comportamento complementare delle specie appartenenti alle due famiglie.
Vantaggi delle consociazioni:
- stabilizzare le rese in seguito alla diversa reazione del miscuglio alle avversità ambientali
- migliore equilibrio nutritivo nella composizione chimica del foraggio, in quanto le leguminose
sono più ricche in proteine, carotenoidi e sali minerali; mentre i cereali contengono carboidrati
semplici e complessi, questo si traduce in una ricchezza di disponibilità alimentare a favore della
fauna
- maggiore stabilità del prato nel tempo, in quanto le graminacee sono molto più longeve delle
leguminose
- miglioramento della fertilità naturale agronomica dei suoli per la presenza delle leguminose
- maggiore resistenza al freddo per l’azione protettiva che le graminacee hanno in inverno nei
confronti delle leguminose
- migliore ripartizione e compensazione produttiva dal momento che i cereali si sviluppano per
primi in inverno per arrestare il loro sviluppo ad inizio estate, viceversa fanno le leguminose.
Miglioramenti del pascolo:
Al di là degli interventi agronomici, un miglioramento deve essere volto anche allo studio
finalizzato alla riduzione della degradazione delle cotiche erbose evitando (fig. 1.1):
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Fig.1.1 - Usura delle cotiche erbose - Foto: M. Lenzi
- elevati carichi di capi e tempi di permanenza prolungati, che comportano diradamenti del cotico
erboso, che si traducono in aeree più o meno estese prive di cotica e desertificazione nel periodo
estivo.
- l’eccessiva pressione di pascolamento che modifica la composizione flogistica.
- il pascolamento degli animali nel momento in cui avviene il picco di produzione, in modo che le
specie pabulari affrontano più vantaggiosamente la competizione con le specie non pabulari.
- lo sviluppo degli infestanti tardivi (cardi, felci) tramite sfalcio.
Occorre dunque, la definizione del carico ottimale faunistico, in modo da utilizzare completamente
la disponibilità foraggiera, ma allo stesso tempo conservando intatte le risorse produttive del
pascolo.
Il bosco:
In generale, i boschi collinari situati ad un altitudine oscillante tra i 250-500 m.s.l.m. sono
tipicamente disposti a macchia di leopardo, ovvero alternati ad unità colturali investite a
seminativi avvicendati, vigneti e più raramente frutteti.
Le essenze arboree più rappresentative dei terreni alcalini ubicati nei versanti assolati, sono
rappresentati dalle latifoglie termoxerofile, tra cui emergono la roverella, (Quercus pubescens) il
carpino nero, (Ostrya carpinifolia) l’orniello, (Fraxinus ornus) e in alcune stazioni il leccio
(Quercus ilex). Tali boschi e nella fattispecie quelli a prevalenza di carpino nero si presentano con
un elevato numero di polloni.
La forma di governo maggiormente indicata in tali ambiti, per favorire gli ungulati nel periodo
invernale, è il ceduo matricinato; ossia si tagliano a livello del colletto alcune branche, di norma
quelle meno vigorose e vecchie, e si lasciano quelle più sane e meglio sviluppate nonché le specie
secondarie presenti e quelle nate da seme, garantendo così una buona copertura del suolo onde
evitare fenomeni erosivi indesiderati.
In pratica si sfrutta l’attività pollonifera posseduta da tali specie, che già l’anno successivo a
quello d’intervento sono in grado di produrre abbondanti ricacci e germogli utilizzabili da specie
tipicamente ecotonali come il capriolo.
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Nei versanti più freschi esposti a nord, o negli impluvi, possono essere presenti pioppi, (Populus
spp.) salici, (Salix spp.) noccioli (Corylus avellana), ecc..
Come anticipato in precedenza le forme di governo più indicate in ambiente boscosi alternati a
prati pascoli o seminativi avvicendati, sono rappresentate dal ceduo.
I tagli di utilizzazione del bosco ceduo sono fondamentalmente di due tipi: semplice o matricinato.
Nel ceduo semplice tutte le ceppaie vengono sottoposte al taglio, come avviene, ad esempio per il
nocciolo. In Italia, per legge, il ceduo semplice può essere applicato solo in alcuni tipi di bosco
composti da specie che fruttificano giovani o che emettono facilmente polloni radicali: in entrambi
i casi le matricine possono quindi risultare superflue. Pur con differenze fra le varie regioni,
possono di norma essere governati a ceduo semplice i boschi cedui di salice, pioppo, ontano,
nocciolo o robinia (Pesino).
Tali essenze, da taluni autori definite “dolci”, ricacciano prontamente dopo pochi mesi
formando germogli e succhioni molto appetiti dagli ungulati, che vengono utilizzati di norma
durante la stagione avversa.
Per i boschi a prevalenza di roverella, onde favorire la convivenza del cervo, è consigliabile la
conversione dei cedui semplici verso l’alto fusto.
Si effettua rilasciando all'atto del taglio del bosco ceduo un'abbondante matricinatura. Di norma
vengono rilasciate dalle 150-200 piante/ha.
Tale operazione risulta molto lunga e complessa, di solito avviene con tagli intervallati ogni 10-15
anni e abitualmente viene utilizzata con il passaggio attraverso il ceduo composto.
Durante tali operazioni bisogna obbligatoriamente considerare
anche la naturale pendenza dei terreni, da cui emerge che, maggiore è l’acclività di un bosco,
maggiori matricine si dovranno rilasciare per ettaro onde evitare fenomeni di smottamento.
Nei mesi autunnali, la presenza di alberi da frutto (mele, pere, ecc...) e ancor prima il castagno,
mantengono continuità nella disponibilità alimentare in un periodo in cui i prati non offrono più
tanto.
Si ricorda che per tutte le tipologie colturali impiegate, vale il principio e la regola fondamentale di
non distribuire trattamenti erbicidi e fitosanitari. Ciò per salvaguardare anche fasianidi, mustelidi,
lagomorfi e volatili in genere (lepri, fagiani, starne, pernici,ecc.). Infatti, la particolarità
dell’istituzione di un fondo chiuso come questo, farà si che molte altre specie vi trovino rifugio ed
alimentazione.
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Capitolo 4
Le strutture
Fig.2 - La recinzione - Foto: M. Lenzi
Ciò premesso, nonostante l’apparente semplicità delle strutture, la loro realizzazione e messa a
punto risulta piuttosto impegnativa poiché, la varietà degli ambienti e le esigenze specifiche
degli imprenditori, rendono difficile il ricorso a soluzioni predefinite.
Le strutture indispensabili del tipo di allevamento in oggetto sono costituite da:
- idonea recinzione con fogli di rete elettro saldata 200x300 fuori da terra a maglia 10x10 filo 6,
poste nei 2mt. in altezza per capriolo e daino e nei 3mt. per il contenimento del cervo (F. Riga –
Ispra), per prevenire eventuali fuoriuscite di animali, ad esempio dovute alla caduta accidentale di
alberi nel periodo invernale. Infatti, i fogli di rete legati tra loro, costituiscono struttura, oltre che
antitaglio, auto portante, ed assume una buona e collaudata resistenza meccanica nel tempo se
supportata da pali zincati (tipo Dalmine D.60 ogni 2-3mt.). In territori montuosi e collinari i
pannelli sono più maneggiabili.
Nei territori di pianura, in assenza di alberi, dove è anche più agevole lo svolgimento dei rulli, una
rete zincata per zootecnia (tipo bovidi) ben dimensionata a maglia stretta nella parte inferiore, ben
tirata, in assenza di alberi e grossi predatori può offrire ugualmente un buon compromesso.
Una recinzione adeguata offre barriera invalicabile ponendo ostacolo tra gli animali in cattività e
le popolazioni stabili all’esterno, evitando il possibile contatto ed il conseguente scambio di
patologie indesiderate tra le popolazioni esistenti. Inoltre, nel tentativo di combattimento durante il
periodo degli amori, sempre tra animali all’interno e quelli dell’esterno del recinto, la maglia
stretta della rete non offre appiglio al palco del cervide, escludendo la possibilità che quest’ultimo
rimanga incastrato o si ferisca. Se bene interrata (almeno 40/50cm.) pone il miglior effetto barriera
a cani randagi e predatori (D. Berzi) quali il lupo e la volpe (fig. 2).
La recinzione deve essere priva di angoli o spigoli vivi.
Controllo del perimetro con ricognizione a vista almeno una volta ogni due/tre settimane.
Può essere fatta in vari modi o secondo le esigenze, ad esempio, con formazione a stella, con
diversi recinti per le diverse specie nelle “punte” e quello di cattura centrale; oppure, a settori,
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permettendo anche di spostare gli animali, per classe e sesso, da una parte all’altra. Infatti, in
alcuni periodi dell’anno, in base alle aggregazioni sociali del momento, i maschi adulti non
tollerano piccoli e femmine e possono “caricare” causando ferite (fig. 4 ).
Recinti più ridotti, inoltre, permettono di potere “agire” sul singolo soggetto in maniera più
selettiva e meno dispersiva, con alimentazioni più efficaci al fabbisogno (trasferimento a fine
autunno dei piccoli a quote più basse con meno copertura del manto nevoso). E’ da tenere presente
che una adeguata alimentazione di qualità aiuta spesso, i soggetti di allevamento, a formare palchi
di pregio, a più punte e con punteggio CIC elevato.
- abbeveratoi di acqua corrente tutto il periodo dell’anno con regolazione dell’afflusso tramite
galleggiante al fabbisogno. Strettamente necessaria al cervo e al daino, meno al capriolo.
- mangiatoie meccaniche programmabili a tempo per lo spargimento di granaglie (fioccato di
mais, carruba, orzo, avena, fava)e crusca opportunamente dislocate, utilizzate a granaglie intere
nel periodo invernale per evitare spreco per calpestio nel fango.
Mangiatoie dimensionate in rapporto alle presenze e alle differenze gerarchiche delle specie
(Perco, 1987).
- saline e mangimi minerali per i periodi primaverili ed invernali. Meglio se Salgemma grezzo, in
blocchi, perché più duraturo alle intemperie. A lento scioglimento su pietre o tronchi, tagliati a
1,50 mt. asportandone le cortecce.
Fig.3 - Il Mandriolo a imbuto - Foto: M. Lenzi
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Fig.3.1 - Cervo isolato in tunnel - Foto: M. Lenzi
Fig.3.2 - Il Mandriolo a rotatoria - Foto: M. Lenzi
- mangiatoie a vasca stretta, con tubolare superiore, posto per il senso di lunghezza della
stessa a max 40cm. al di sopra per favorire all’urto il distacco del palco.
I palchi rappresentano ulteriore fonte di reddito. E’ però indispensabile trovarli integri
nell’immediato, a breve, per evitarne il deterioramento, scolorimento o la rasura causata da
arvicole in genere (sconsigliato in grandi recinti con numerosi animali).
- greppie per il foraggio nei periodi critici a fine estate ed in inverno (sconsigliato in grandi
recinti con numerosi animali).
- insogli, presenti tutto l’anno per l’allevamento del cervo e buona copertura boschiva.
- altane per il controllo visivo dei capi (Saccà et al..2001) e utili per l’abbattimento con arma
a proiettile libero allo scopo della macellazione.
- recinto di cattura (mandriolo), elemento fondamentale (Saccà et al..2001) per la cattura dei
capi, sia per scopi sanitari che per scopi di trasporto o marcatura dei singoli soggetti.
Tenendo conto che questa struttura è prevista dalla direttiva regionale 1519/03(art. 6) per
la cattura, con particolare riferimento nel paragrafo “controllo sanitario” nella normativa
stessa, si presume di dovere catturare animali di grossa taglia in qualsiasi periodo dell’anno
e quindi con presenza di palco. Dunque, diventa pericolosa una struttura ad imbuto come
questa, (fig. 3) non solo per l’operatore agricolo, ma anche perché i maschi catturati assieme
a femmine, nel tentativo di fuga potrebbero procurare ferite alle ultime e alla prole (fig. 4),
vanificando le catture e dovendo ripetere più volte le operazioni, spaventando ulteriormente
gli animali che diventerebbero man mano più schivi. Per i piccoli allevamenti con pochi capi
(da 3 a 9) e pochi riproduttori maschi si può pensare all’utilizzo di questa tipologia di
“mandriolo” che può essere utilizzata anche come corridoio di carico del capo vivo su
veicoli. Nei grandi impianti, (fig. 3.2) l’uso di “mandrioli”con corridoi più lunghi,
specialmente nel caso del cervo, permette una maggiore fluidità e diradamento del branco
catturato che con l’inserimento di rotatorie mobili permettono di fare uscire dalla fila il capo
che non interessa o il palcuto che causerebbe ferite alle femmine e la conseguente rimessa in
campo aperto (fig. 3.1). Per altre operazioni può anche essere efficace l’utilizzo di due recinti
comunicanti, uno di attesa e l’altro di cattura con rete, in quanto, per una marcatura del
capo o una cura antiparassitaria vi è comunque l’obbligo di intervenire in maniera invasiva,
catturando e bloccando il capo con l’ausilio di una rete.
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Fig.4 - Femmina ferita da Palancone - Foto: M. Lenzi
Specialmente nelle catture di caprioli, la rete permette un bloccaggio più veloce, senza che
l’animale si scagli contro le pareti del “mandriolo”. Si fa notare che spesso questa delicata
specie muore per lo stress patito tra le stesse mani dell’operatore o si rompe gli arti inferiori
nel tentativo di fuga, ancor prima che l’operatore sia entrato nel chiusino per bloccarlo e
bendarlo. Spesso la morte sopraggiunge anche ore dopo per miopatia da cattura, (MDC)
specialmente nei soggetti adulti.
Per queste motivazioni, si predilige per alcune operazioni la telenarcosi che alla presenza del
veterinario, permette di intervenire sull’animale al pascolo anche a 70-80 metri in tutta
tranquillità e sicurezza.
- gabbia per il trasporto, atta a contenere la specie da trasportare, strutturata in modo da
tenere il capo bloccato durante lo spostamento garantendo la sicurezza dello stesso. La gabbia
sarà costruita in maniera da essere alloggiata saldamente al mezzo di trasporto. Le gabbia sarà
fabbricata in materiale (ad esempio alluminio) lavabile, senza sporgenze e areata. Una volta
visionata e collaudata dall’AUSL verrà assegnato numero da apporre su targhetta inamovibile
(rivettata sulla cassa). Le gabbie saranno a disposizione per verifiche in qualsiasi momento da
parte dell’ente competente.
4.1 Fuoriuscite di capi dall’allevamento
Come già detto in precedenza, la recinzione deve avere caratteristiche tali da evitare la fuoriuscita
degli ungulati. Infatti, una recinzione, non solo deve avere caratteristiche in altezza tali da evitare
un salto verso l’esterno del selvatico ma anche di resistenza agli urti degli stessi (selvatici
dell’ambito esterno che tendono ad entrare nel periodo degli amori e viceversa), di resistenza alla
caduta di alberi e al taglio (reti a filo sottile) di eventuali malintenzionati (nell’intento di
ripopolare o liberare animali che andranno in contro a predazione certa di vario genere). Diversi,
parchi confinati e non ultimi allevamenti faunistici hanno, infatti, subito tagli con elevati danni sia
economici (perdite del proprietario, incidenti stradali, ecc...), sia del patrimonio genetico
(invasioni ed incroci di specie alloctone sul territorio).
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La fuga di selvatici può anche essere causata da modalità accidentali quali, caduta alberi,
smottamenti del terreno, ecc...
In qualsiasi caso in cui dovessero verificarsi uscite di animali, sicuramente c’è l’obbligo di
segnalare all’ente competente l’evento (es. Polizia Provinciale, ecc..) ma sono basilari le prime 2436h per la riuscita dell’intervento di recupero e confinamento dei capi fuggiti oltre, il periodo
vegetazionale e le condizioni climatiche.
Al momento dell’uscita, i capi saranno smarriti, parte della parentela famigliare sarà rimasta
all’interno del recinto e gli stessi animali si fermeranno nelle immediate vicinanze anche solo per
sensazioni olfattive e di vegetazione diverse dalle consuete abitudini.
Nonostante una certa rusticità, questi avranno comunque confidenza con l’allevatore pronti al
richiamo del cibo artificiale di chi abitualmente li accudisce. E’ dunque importante non ci siano
interferenze che potrebbero spaventare gli animali allontanandoli ulteriormente.
In tutta tranquillità, il proprietario potrebbe improntare un più ampio recinto adiacente quello
dell’allevamento per confinare provvisoriamente gli evasi e spingerli successivamente all’interno di
quello da cui sono fuggiti, oppure, dividere l’attuale presente convogliando successivamente gli
stessi sull’usta del varco da cui sono usciti. Uno spropositato intervento di qualsiasi addetto
vanificherebbe il tentativo di cattura anche nei giorni seguenti.
Si dovrebbero evitare intrusioni di qualsiasi tipo nell’area oggetto dell’intervento (cacciatori,
cercatori di funghi, curiosi, ecc..) in quanto l’azione di recupero va eseguita nel più breve tempo
possibile, specialmente nel caso in cui siano presenti strade con viabilità nelle immediate
vicinanze.
Capitolo 5
Patologie, problematiche e controlli sanitari
Varie sono le cause che, direttamente e/o indirettamente, possono limitare lo stato di salute e il
benessere animale. Una distinzione generale può essere fatta tra i fattori che hanno una valenza
a livello di singolo animale (ad esempio le lesioni di origine traumatica, che pur potendo avere
esiti mortali, sono comunque fenomeni individuali) e quelli che possono avere un impatto sulla
dinamica della popolazione all’interno dell’allevamento. Va inoltre considerato che per la
necessità di “rinsanguamenti”, si arrivi ad effettuare ripopolamenti, con ulteriori rischi per la
possibile diffusione di agenti patogeni, se gli elementi di provenienza esterna non sono
adeguatamente controllati in quanto, spesso, in alcuni allevamenti, i cervidi convivono al pascolo
con animali domestici (pecore, cavalli, ecc..).
Altro argomento spesso dibattuto è quello relativo ai fattori di origine alimentare, peraltro spesso
finalizzato alla volontà di somministrare foraggiamento artificiale. Se un adeguato apporto di
principi nutritivi è chiaramente importante per un ottimale funzionamento dell’organismo (cfr.
“Sindrome da malnutrizione”), d’altra parte non possono essere ignorate le controindicazioni che
una scelta, quale appunto quella di foraggiare animali selvatici in un unico sito, può avere.
In effetti tale scelta, trova controindicazioni sia a livello epidemiologico, (favorendo il
concentramento degli animali e la trasmissione quindi di patologie a carattere contagioso), sia
fisiopatologico, poiché l’ingestione di alimenti, anche un fieno di buona qualità, in animali con
ridotta funzionalità ruminale può comportare un aggravamento delle alterazioni metaboliche in
corso.
L’impatto esercitato in termini di sanità e benessere delle popolazioni all’interno di recinti peraltro
va considerato non solo in base all’azione patogena dei singoli fattori, ma anche a quella che
possono esercitare congiuntamente.
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Gli eventi patologici più significativi, possono dunque essere riassunti in:
- Virus (Ectima contagioso, Afta epizootica)
- Batteri (Brucellosi)
- Protozoi (Coccidiosi)
- Elminti e artropodi (Strongilosi gastro - intestinali, Strongilosi bronco - polmonari, Rogna
sarcoptica, Infestazioni da zecche)
- Malattie non infettive (Starvation, Miopatia da cattura, Traumi fisici)
- Encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE) con particolare riferimento alla specie del
cervo rosso elaphus (CWD). Chronic Wasting Desease malattia neurodegenerativa. Per
quest’ultima, il Ministero, ha anche stabilito monitoraggio sui capi abbattuti provenienti
dall’attività venatoria.
Queste ultime, sono le più frequenti, causate in maniera diretta (alimentazione non adeguata, e
traumi, da stress o fisici). La malnutrizione può portare in particolari periodi (autunno e inizio
primavera) a causa di foraggi assunti al pascolo costituiti da acqua e zuccheri ma carenti di fibra o
con poche proteine, a causare carenze vitali. Va ricordato che queste specie animali variano in
continuazione il loro metabolismo variando la ricerca di alimentazione in maniera più o meno
sensibile. L’alimentazione forzata rappresenta dunque un ostacolo alla difesa dell’organismo
messa in atto in un determinato periodo.
Oltre a queste problematiche poi, al contrario di capriolo e cervo, il daino, spesso paga la sua
voglia di curiosità (fig. 5) nei confronti di oggetti, impigliandosi, (recinti elettrici, fili abbandonati,
ecc..) per questo motivo è meglio evitare di lasciare materiali che rappresentino ostacolo, che
possono causare contusioni e ferite, nelle aree preposte agli animali.
Fig.5 - Daino impigliato con escoriazioni sul fianco Fig.6 - Zoccoli di daino di proprietà della Foresta Umbra Foto: M. Lenzi
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Il periodo che va dall’autunno all’inverno è quello più critico per le perdite da trauma fisico
nell’allevamento del cervo e del daino.
Nel periodo autunnale post amori, i maschi adulti cercano di recuperare il peso perduto. Nei
foraggiamenti artificiali degli allevamenti, gli animali tendono ad assembrarsi causando l’ira dei
maschi data dalla competizione alimentare. Ben 80% delle perdite sono causate dalle lesioni
prodotte dai maschi coi palchi, alle femmine, nel tentativo di allontanarle dal cibo.
Purtroppo, nei grandi recinti, se non si assiste all’evento del ferimento, successivamente, con
l’avvento dell’inverno si rischia la perdita anche dei piccoli, che ancora sono in allattamento. In
caso contrario,i piccoli, possono essere trasferiti in un settore in cui non sono presenti maschi, ed
adeguatamente foraggiati. La femmina può essere macellata (con la prevista operazione
d’urgenza) prima che subentrino infezioni e complicazioni. Animali di questo genere (fig. 4)
godono di grande forza e dignità e reagiscono a questi colpi come se niente fosse, per poi, andare a
morire per l’infezione anche dopo giorni, allontanandosi preventivamente dal branco 24-48 ore
prima, astenendosi dal mangiare.
In allevamento, fattore che incide molto e con esito mortale nei confronti del sesso maschile,
consiste nelle immissioni di soggetti adulti provenienti da altri allevamenti che entrano fin da
subito in conflitto per competizione spaziale coi soggetti più anziani. In questo caso predomina in
primo luogo il fattore depressione che risulta essere il più deleterio per le classi di soggetti adulti
maturi in eguale modo.
Non ultime sono anche le problematiche che derivano da animali allevati in recinti piccoli, o con
alimentazione assidua e forzata, che portano l’animale abituato all’attesa del cibo ad una vita
sedentaria. Il conseguente poco movimento porta ad uno scarso consumo delle unghie (fig. 6) che
possono portare a patologie ed una cattiva deambulazione del capo.
Per queste specie, all’interno dell’allevamento, non sono previsti controlli di routine da parte
dell’autorità sanitaria come avviene per le specie domestiche in zootecnia. Evitando tecniche di
prelievo invasive per il selvatico, quali prelievo sanguigno (che avviene solo in caso di trasporto da
un allevamento all’altro in occasione della cattura) o esame del liquido intestinale per la verifica
del PH ruminale, l’unica cosa che l’allevatore può fare è raccogliere campioni fecali in contenitore
sterile.
L’operatore, raccoglierà accuratamente le feci fresche, possibilmente numerando il
campione come da riferimento della marca auricolare del soggetto (piccoli recinti) altrimenti a
campione (grandi recinti) da portare nel più breve tempo possibile al laboratorio analisi per un
responso sul carico parassitario per eventuale intervento antiparassitario addizionando mangimi
con medicinali al fabbisogno, mentre intramuscolare generalmente si fa all’ingresso dell’animale
in Azienda (ad. Es. Ivomec iniettabile). Chiaramente, le aspettative di analisi del genere, sono
quelle di trovare comunque qualche parassita, ovviamente nella norma. Un altro tipo di controllo è
quello visivo dei capi, quello della fitness e la consistenza delle feci limitandosi all’eventuale
sospensione di mangimi proteici (fioccati, ecc.) in caso di acidosi che si manifesta con diarrea.
Capitolo 6
Anestetici nella contenzione degli ungulati selvatici
L’uso di sostanze anestetiche è talvolta necessario per ottenere la cattura o l’immobilizzazione
degli ungulati selvatici, anche solo per portare semplici cure e comunque per garantire un minore
stress all’animale nonché, sicurezza all’operatore che deve intervenire a stretto contatto con lo
stesso.
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Un farmaco “immobilizzante” ideale dovrebbe avere queste caratteristiche:
1. Essere una sostanza stabile (conservazione e facilità con cui può essere manipolata)
2. Avere un ampio margine di sicurezza
3. Dose terapeutica ottimale corrispondente alla quantità di liquido contenibile in un dardo
4. Essere facilmente assorbito per via intramuscolare o sottocutanea
5. Possedere un rapido effetto immobilizzante
6. Determinare una immobilizzazione sufficientemente prolungata
7. Indurre un risveglio tranquillo
8. Veloce metabolizzazione
9. Ridotti effetti collaterali indotti
10. Non indurre effetti embriofetotossici (tossicità in gravidanza)
11. Essere miscelabile con altri anestetici
12. Avere un antagonista in caso di emergenza (antidoto)
13. Non essere pericoloso per gli operatori
Ketamina:
La ketamina è un anestetico a breve azione che agisce a livello talamo corticale (aree del cervello),
secondo un meccanismo non ancora chiarito, inducendo una così detta anestesia “dissociativa”
caratterizzata da perdita di coscienza, acinesia (immobilità) ed analgesia. Si suppone che essa
possa portare al blocco degli effetti di membrana dell’acido glutammico, un neurotrasmettitore
eccitatorio, a livello del sottotipo recettoriale NMDA. È un farmaco altamente iofilo ed è distribuita
rapidamente negli organi altamente vascolarizzati, compreso il cervello, pertanto la sua diffusione
e conseguente effetto sono molto rapidi . Non vengono alterati i riflessi faringo-tracheali e
diversamente da altri anestetici generali, alla opportuna posologia non provoca depressione
cardiocircolatoria, cioè non determina la soppressione dei riflessi respiratori e cardiaci
(diaframma e cuore), anzi possiede proprietà cardiotoniche. Per cui questo farmaco risulta essere
piuttosto maneggevole (non è necessario monitorare in questo caso l’animale).
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Zoletil:
Lo Zoletil è un’associazione di due farmaci: la Tiletamina cloridrato e lo Zolazepam cloridrato, in
un rapporto di uno a uno. La Tiletamina è un derivato della ketamina che induce quindi il
medesimo effetto anestetizzante, mentre il Zolazepam è un sedativo tranquillante che induce
rilassamento muscolare generalizzato. L’associazione dei due farmaci produce quindi un effetto
sinergico, provocando un miglior effetto analgesico e non determinando possibili aritmie cardiache
o effetti epilettici (convulsioni). Ciò determina un più rapido risveglio dell’animale senza spasmi
muscolari, impedendo che si agiti o si ferisca involontariamente.
Per di più il suo effetto per via intramuscolare è molto più rapido rispetto la Ketamina e può essere
utilizzato anche su soggetti in gravidanza poiché non è embriotossico. Quindi in definitiva questo
farmaco risulta essere più veloce (sia come effetto che come eliminazione del farmaco
dall’organismo), più maneggevole e con minori effetti secondari rispetto la Ketamina.
Α2 Agonisti adreno recettoriali:
Sono farmaci anestetici di ultima generazione e sono quelli che meglio soddisfano le caratteristiche
di anestetico ideale: Xylazina, Detomidina, Medetomidina.
Hanno una elevata potenza in quanto sono attivi a livello molare (ordine dei microgrammi, mentre
quelli visti in precedenza sono attivi a dosi nell’ordine dei grammi) e agiscono secondo un ben noto
meccanismo recettoriale legandosi al recettore α2 pre-sinaptico, inibendo così la trasmissione
nervosa adrenergica.
Dato il loro basso peso molecolare e l’elevata lipofilia, sono soggetti ad un rapido assorbimento e
distribuzione con una conseguente elevata velocità d’azione. Gli α2 stimolanti producono
sedazione, ansiolisi, rilassamento muscolare e vari gradi di analgesia mediante la limitata
produzione di noradrenalina e di altri trasmettitori centrali eccitatori. Questi farmaci possono
essere associati ad altri anestetici (come la Ketamina), riducendo così la quantità di anestetico
utilizzata e ottimizzandone l’effetto. È inoltre facile, poiché si tratta di agonisti recettoriali (seppur
inibitori), antagonizzarne l’effetto con sostanze specifiche, sia in caso di sovradosaggio, sia se si
volesse accelerare la fase di risveglio. Per le catture tramite teleanestesia, va inoltre scelto un
ambiente aperto piuttosto che boscoso in quanto, una volta colpito, l’animale può allontanarsi
molto prima di cadere. Bisogna inoltre prestare attenzione alla stagione in cui si opera, perchè in
inverno eventuali ipotermie possono causare decessi, valutando i punti di penetrazione del dardo
sul bersaglio prescelto e analizzando i seguenti vantaggi e svantaggi che la scelta può comportare:
Arto anteriore
Vantaggi:
- rapida penetrazione
- rapido assorbimento
- errori collo torace
Svantaggi:
- delicato e sensibile
- rischio testa
- arterie trachea
- penetrazione muscoli intercostali
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Fig.6.1 – Dardo anestetizzante - Foto: Gianmaria Pisani
Arto posteriore (fig. 6.1):
Vantaggi:
- facile bersaglio (si presta spesso più della spalla)
- rapida penetrazione
- rapido assorbimento
Svantaggi:
- errori addome regione pelvica
Capitolo 7
Registrazione e marcatura dei capi
Facendo riferimento alla delibera di giunta regionale n.1519/03, i capi devono essere marcati e
registrati, bensì legittimamente acquistati e venduti (art. 7).
- I registri:
All’inizio attività è predisposto un registro (art. 5) vidimato dall’AUSL territorialmente competente
e dalla Provincia. Alla Polizia Provinciale spetta il controllo della marcatura dei capi, della
provenienza e della destinazione lecita degli animali, nonché la rispondenza delle annotazioni
poste dall’allevatore sul registro. Acquisti, vendite, nascite e decessi devono essere registrate sul
registro e trasmesse alla Provincia competente entro il 31ottobre di ogni anno.
Sullo stesso devono essere annotati anche i numeri che contraddistinguono i capi ed il sesso. Un
altro registro è presente in Azienda e più precisamente quello dei trattamenti terapeutici, in cui
vengono registrate dal veterinario addetto al benessere dell’allevamento le patologie e le
assunzioni di farmaci da parte dei capi che non possono poi essere macellati in base al Decreto
Legislativo n.336/99 prima del tempo di sospensione di 90 giorni dall’assunzione degli stessi.
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Fig.7 - Marche auricolari e sistemi di pinzatura - Foto: M. Lenzi
- La registrazione e la marcatura dei capi:
La delibera regionale (art. 5) sopra riportata cita anche che i capi vanno marchiati “quando le
dimensioni dell’animale lo permettono” e registrati “entro le 48 ore dalla nascita”.
Premesso che il periodo dei parti (Maggio-Giugno) in allevamento può ritardare sino a metà
Luglio, anche se confinati (alcuni recinti sono circa 100ha), non sempre è possibile assistere al
parto di un cervide, (ad esempio, il capriolo prepara il luogo molto tempo prima ed al riparo da
sguardi indiscreti, il daino solo poco prima, camminando freneticamente avanti e indietro, anche
allo scoperto, per poi partorire in piedi o sul fianco) che per indole tendono a nascondersi e a
tenere nascosta la prole nei primi giorni uscendo solo all’imbrunire. Anche se fosse, non è
comunque possibile identificare il sesso alla nascita. Dunque, si potrà in buona fede, registrare
l’evento al più presto, al primo avvistamento del piccolo, ma per il sesso si può procedere
all’annotazione sul registro solo dopo qualche tempo. Questo, perché per procedere ad
individuazione certa del sesso nei primi momenti di vita, bisognerebbe ispezionare il piccolo
toccandolo, specialmente nel caso del capriolo, perdendo l’imprinting della madre che lo
abbandonerebbe causandone morte certa (le prime 2h sono basilari!).
Nel caso di daino e cervo la tolleranza delle femmine, anche in termini di aggressività nei confronti
dell’operatore, è molto maggiore, ed è possibile marcare il capo dopo un’ora dalla nascità quando
questi sono ancora immobili senza comprometterne il riconoscimento reciproco con la madre.
Eventualmente una futura operazione di identificazione certa, potrebbe coincidere coi mesi di
settembre – ottobre (periodo con presenza di elementi morfologici visibili e significativi).
- Le marche auricolari:
I contrassegni più idonei (fig. 7) sono quelli da suini. Sono state fatte diverse prove con targhe di
varie dimensioni, tenendo conto anche della visibilità per eventuali ispezioni di Polizia.
Quelle a cartellino o fascetta, tipicamente usati nelle stalle per i bovidi, sono risultati non idonei, in
quanto, durante il pascolo del selvatico, rimangono incastrati tra rovi, rami e recinzioni, causando
lacerazioni al padiglione auricolare e sofferenze dell’animale (fig. 8).
La marca da suino, conforme alla normativa ministeriale, avvistabile ad occhio nudo o con un
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semplice binocolo, è grande poco più di una moneta da due
euro, quanto basta per contenere il codice aziendale
assegnato,
la sigla della provincia, il numero progressivo del capo e
soprattutto si presta ad un alloggiamento più interno nel
padiglione auricolare, tale da non costituire appiglio,
particolarmente se pinzata con maschio esterno e femmina
dentro allo stesso.
Fig.8 - Daino con padiglione dx rotto - Foto: M. Lenzi
Capitolo 8
Trasporto dei selvatici
Cattura tramite l’uso del mandriolo o al fabbisogno e a seconda della specie con l’impiego di
anestetico, possono essere due metodi per iniziare le procedure di trasporto e a seconda della
destinazione (centri di macellazione o allevamenti il primo, analoghi allevamenti il secondo).
Ovviamente, in questa occasione, vengono espletati gli obblighi formali, fiscali (bolle e fatture) e
sanitari (modelli di trasporto AUSL e prelievo del sangue).
- Trasporto al macello:
Premesso che non tutti i centri di macellazione sono dotati di strutture di accoglienza per contenere
animali selvatici vivi, si consiglia di evitare sofferenze ed eccitazioni agli animali. Chiaramente, in
questo caso, gli operatori si adoperano per traslocare il capo da macellare dal mandriolo al mezzo
di trasporto tramite tunnel oscurato che occulta la presenza degli stessi.
L’animale prescelto sarà preventivamente messo a suo agio, in attesa nel recinto di cattura, almeno
24h prima.
Invece, nel caso di capo abbattuto con proiettile libero in conformità alla normativa vigente, dopo
gli adempimenti fiscali, si preferisce l’utilizzo di mezzo a refrigerazione attiva per raggiungere il
centro di macellazione se lontano e/o se la temperatura del giorno è troppo elevata, mantenendo le
specie e le singole carcasse separate tra loro.
- Trasporto ad analoghi allevamenti:
In linea generale il periodo migliore per il trasporto dei selvatici vivi, dipende ovviamente dallo
stato biologico degli stessi e dal sesso. E’ consigliabile traslocare i maschi nel periodo dell’assenza
dei palchi e/o comunque in presenza di trofei formati e non in velluto, in veicoli autorizzati e
conformi alle normative vigenti, dotati di settori a scomparti interni per tenere separati i maschi
provvisti di trofeo (simili a van per trasporto cavalli per daini e cervi, casse chiuse per caprioli). Le
femmine vanno trasportate fuori dai periodi di gravidanza.
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Durante il viaggio e possibilmente in ore notturne nella stagione estiva, non devono mancare fieno
e acqua e adeguato tempo di sosta in stalla nei percorsi lunghi, seguirà un periodo di adattamento
presso l’allevamento di destinazione che, a seconda delle abitudini climatiche ed alimentari di
provenienza dei cervidi, vedrà l’allevatore impegnato in un monitoraggio di almeno un ciclo
annuale completo (già all’acquisto, comunque, la scelta dei capi va fatta in modo coerente, rispetto
alla rusticità dei propri presenti in allevamento, per evitare spiacevoli insuccessi). Si ricordi, che
hanno un migliore adattamento i giovani rispetto agli adulti.
Capitolo 9
La protezione e il benessere animale durante la macellazione o
l’abbattimento
E’ premessa che l’individuazione del periodo migliore di cattura degli animali vivi è il periodo di
tardo autunno, gli animali sono più avvicinabili in quanto più affamati.
Il periodo più idoneo per l’abbattimento corrisponde invece a quello invernale in cui è più
probabile il mantenimento delle temperature (non superiore i 7°C) e, conseguentemente, quello
della carne nonché la stagionatura degli insaccati.
In entrambi i casi è garantito lo svezzamento della prole e la fine del periodo degli amori. Inoltre, i
maschi sono dotati di palchi puliti e quindi di trofeo predisposto per eventuale tassidermia (dainocervo). Indicativamente la macellazione di questi animali è pensabile attorno al nono anno di età
anche se longevi.
L’applicazione del D.L. n.333 del 1 settembre 1998, attuazione della direttiva 93/119/CE che
riguarda il benessere e la protezione degli animali durante l’abbattimento e la macellazione non
lascia dubbio alcuno a riguardo. Con particolare riferimento all’art. n.3, si pone l’attenzione
sull’obbligo in qualsiasi circostanza, di “risparmiare agli animali eccitazioni, dolori e sofferenze
evitabili”.
In questa delicata fase la presenza del veterinario ha una duplice valenza. Il veterinario ufficiale
della macellazione ricopre carica di pubblico ufficiale più alto in grado, competente a certificare,
non solo l’esito della macellazione, della salute degli animali e delle carni durante la visita
ispettiva post-mortem, ma garantisce una presenza giuridica nella correttezza dell’atto di
abbattimento dell’animale nel rispetto di ciò premesso e della direttiva vigente.
Infatti, per le specie di cervidi, vista la scarsa governabilità di queste specie, la norma, prevede (III
allegato C) l’abbattimento mediante l’uso di fucile o pistola a proiettile libero come metodo più
indicato per queste, nel rispetto dell’art. 3.
Si consigliano munizioni di calibro adeguato e con palle monolitiche per scongiurare l’effetto del
residuo da piombo (saturnismo).
Il personale abilitato all’abbattimento dell’animale viene autorizzato dall’autorità competente
(AUSL), presente sul luogo al momento dello sparo. In questo contesto, si può identificare, nel
personale preposto all’azione, “il tecnico”, nel caso di allevamenti condotti da cacciatore, di
quest’ultimo, in grado di adoperare l’arma in condizioni di sicurezza con regolare permesso di
porto di arma. Nel caso in cui all’interno del centro non vi sia nessuno in possesso di
autorizzazione e strumenti per l’abbattimento, si può ricorrere a tecnico veterinario preposto o
persona delegata in possesso dei requisiti (sempre e comunque alla presenza del veterinario
ufficiale addetto alla macellazione). Si rimanda al prossimo capitolo il trattamento degli argomenti
relativi a strutture o elementi di balistica che garantiscono metodi efficaci, oltre che per
l’abbattimento certo ed immediato del capo, anche per la pubblica sicurezza.
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Credo vi sia accordo comune nel dire che, un animale catturato vivo, per poi essere trasportato ad
un centro di macellazione riconosciuto, subisce uno stress che altera anche le proprietà
organolettiche della carne a causa dell’acido lattico (acido carbossilico) prodotto nel processo di
attività anaerobica dei muscoli. Inoltre, l’abbattimento dell’animale all’interno del recinto in cui è
allevato pone in maggiore competitività l’Azienda evitando i costi di trasporto al macello.
Le successive operazioni saranno effettuate nel rispetto dei regolamenti 853/2004/CE 854/2004/CE -150/2011/UE - 151/2011/UE.
Capitolo 10
Sicurezza durante l’abbattimento per la macellazione con proiettile
libero
La causa più frequente di lesioni non auto inflitte è la deviazione di traiettoria di proiettili
conseguente ad urto contro ostacoli di vario tipo: in buona sostanza quello che comunemente
viene definito rimbalzo.
Tale fenomeno può interessare tanto i proiettili singoli sparati da armi con canne lisce e rigate,
quanto pallini e pallettoni, in particolare quando si tratta di numerazioni basse (maggior
diametro e maggior peso).
Fig.9 - Utilizzo dell’altana -
Diciamo subito che sotto il parametro pericolosità connessa con i rimbalzi, il proiettile (quello
sparato dai fucili a canna liscia) e molto più pericoloso di quello sparato nelle carabine.
Quest’ultimo è infatti dotato di velocità molto superiore, ha massa inferiore ed ha una struttura
di regola studiata per favorirne l’espansione. Rispetto a quello da fucile a canna liscia, il
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proiettile da carabina ha una maggiore attitudine a penetrare, una inferiore attitudine al
rimbalzo e, contrariamente a quanto molti credono, risente meno delle deviazioni conseguenti
ad urti. Un proiettile sparato da un fucile a canna liscia, con la sua relativamente bassa velocità
associata a una massa cospicua e ad una ridotta attitudine a deformarsi ribalza con maggiore
facilità e può facilmente dare origine a rimbalzi multipli in condizioni nelle quali il proiettile da
carabina si conficca o al massimo rimbalza una sola volta.
La portata massima teorica di un proiettile da carabina può essere compresa tra tre e quattro
chilometri a seconda del calibro e dell’angolo di proiezione, nelle stesse condizioni un
proiettile da canna liscia può percorrere 1-1,5 chilometri.
In realtà nella maggioranza dei casi le portate risultano inferiori poiché visto il calo di trattoria e
la presenza di ostacoli i proiettili impattano al suolo prima di aver raggiunto la gittata massima;
ciò non toglie che nel valutare le aree di sgombero si debba tenere conto della portata massima
teorica e della presenza o meno di “parapalle” naturali, di superfici capaci di dare origini a
rimbalzi e degli eventuali angoli di incidenza di proiettili con queste superfici. Infatti, il ridotto
angolo di incidenza facilita il rimbalzo al punto che si può arrivare ad averlo anche sull’acqua o
sulla sabbia. E’ però bene sottolineare che la carabina è meno pericolosa del fucile a canna liscia
proprio per la minore attitudine al rimbalzo e la maggiore tendenza a penetrare dei suoi proiettili.
Queste generiche considerazioni, oltre che alla scelta di un minor danno alle carni, danno già una
specifica indicazione ed una preferenza all’uso della carabina durante l’abbattimento di cervidi ai
fini della macellazione. Non si deve poi mai dimenticare che le armi da fuoco sono sempre
potenzialmente pericolose se non ci si comporta secondo le semplici regole del buon senso e basta
veramente poco per ridurre drasticamente i rischi connessi con il loro utilizzo. L’uso di una altana
con un tiro dall’alto verso il basso (fig. 9) sfruttando un parapalle naturale è già buona garanzia.
Il rimbalzo e un urto parzialmente elastico mentre, quando l’urto, risulta anelastico (deformazione
e schiacciamento del proiettile tali da fargli spendere tutta la sua energia) non si ha rimbalzo.
Ovviamente non si ha rimbalzo anche quando il proiettile penetra l’ostacolo e si conficca al suo
interno.
Il proiettile che rimbalza urta una superficie con l’angolo di incidenza α (alfa) ed una velocità che
si scompone in due componenti, la prima perpendicolare alla superficie e la seconda
(tangenziale) parallela alla superficie.
Solo la componente verticale agisce sulla superficie e, correlativamente, sul proiettile; perciò con
più l’angolo α è piccolo, minori sono questi effetti su superficie e proiettile. Dopo l’urto la
componente tangenziale della velocità rimane inalterata (salvo modesta perdita per attrito sulla
superficie) mentre la componente verticale si riduce a seconda della elasticità ε dell’urto. Se ε = 0
si ha un urto plastico (o anelastico) con completa dispersione nell’energia all’impatto, senza
rimbalzo alcuno. Se ε = 1 si ha un urto elastico e la componente verticale della velocità rimane
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inalterata; per 0 < ε < 1 (il caso “normale” per il o rimbalzo dei proiettili), la componente
verticale della velocità assumerà il valore Vp’= Vp . ε e l’angolo di riflessione o di rimbalzo β sarà
minore dell’angolo di incidenza.
Ciò significa che in caso di urto molto elastico il proiettile prosegue in una nuova direzione con
una velocità prossima a quella di impatto; per effetto dell’urto esso potrà essere destabilizzato ed
avere una velocità residua inferiore a quella antecedente all’urto.
Gli angoli α e β vanno misurati sperimentalmente. In alcuni casi si riscontra che l’angolo β e
maggiore dell’angolo α; ovviamente non vengono violate le leggi della fisica, ma accade che il
proiettile provochi e percorra nel materiale una breve scanalatura o deformazione che devia il
proiettile con un angolo maggiore di quello di impatto.
Con l’aumento dell’angolo α aumenta la componente della velocità d’impatto e la relativa energia
con maggior deformazione del proiettile. Per ogni combinazione di proiettile superficie vi e un
angolo α a cui il proiettile o penetra oppure si frammenta (in questo caso a rimbalzare sono i
frammenti).
Poiché il rimbalzo è funzione anche della durezza della superficie, i vari materiali hanno
comportamenti difformi rispetto al rimbalzo: contro materiali anche relativamente soffici (legno,
terra, acqua) il proiettile non rimbalza come su di una superficie dura, ma penetra parzialmente
provocando una scanalatura e viene deviato verso l’alto.
La conseguenza è che quanto maggiore e l’angolo α, tanto maggiore diventa l’angolo β, fino a che
non si raggiunge l’angolo di impatto (angolo critico) che consente la penetrazione del proiettile.
L’angolo critico è variabile a seconda della tipologia dei proiettili e del mezzo di contrasto; ad
esempio, nel legno di abete, si
attesta intorno ai 10° per i proiettili da pistola calibro 9x19 mentre passa a circa 15° per quelli
calibro 22 e 7,65; un proiettile da fucile, sempre molto più veloce di quello da pistola, ha nel legno
di abete un angolo critico di circa 5°.
I proiettili rimbalzano anche sulla sabbia con un angolo critico di circa 10°, che scende a 7° per la
terra soffice. Sull’acqua l’angolo critico è di circa 5-7° l'angolo β e di poco inferiore e, talvolta,
superiore. Difficili da prevedere e da calcolare sono i rimbalzi e le deviazioni contro superfici
curve (ad esempio sassi, tronchi o rami).
Queste molteplici valutazioni, altro non sono che quelle di chiunque abbia a che fare con l’attività
venatoria che deve sapere che esistono rischi connessi con i fenomeni di rimbalzo dei proiettili,
così come rischi certi possono derivare da colpi a segno con ferite transfosse, ovvero con
penetrazione passante di una parte del corpo dell’animale.
Sono da sconsigliarsi tiri ravvicinati e in piano sull’animale, in quanto un proiettile che attraversi
zone di densità variabile (come è appunto un bersaglio biologico) tende a destabilizzarsi
assumendo, dopo l’attraversamento del bersaglio, una traiettoria che può discostarsi anche
significativamente da quella originale e colpire chiunque in quel momento presenzi come addetto
all’atto della macellazione (veterinario, operatori, tecnico dell’abbattimento).
Si tratta di una regola aurea della balistica ed anche chi e digiuno di questa scienza può facilmente
supporre che attingendo ossa maggiori la traiettoria del proiettile può essere deviata.
Capitolo 11
Aspetti economici
Si sottolinea come la fauna selvatica abbattuta abbia più che altro un valore venatorio, non
commerciale in carne. Al contrario di un bovino da stalla di quintali, un cervide dopo lo stesso
periodo avrà sviluppato il suo peso massimo e di ben inferiore. Altro valore assume invece il capo
vivo a seconda della specie.
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Costi
Come accennato, questo tipo di allevamento non rientra nella normale zootecnia dell’allevamento
domestico, per cui, non vi sono spese di controllo sanitario obbligatorio se non quelle che una
buona coscienza, nella conduzione dell’allevamento, richiede. Queste procedure sanitarie vengono
dunque eseguite da veterinario privato, così come eventuali cure.
Ad aumentare queste spese, ci sono anche quelle dell’impianto strutture che non prevedono aiuti
dal piano di sviluppo rurale e sono totalmente a carico dell’allevatore.
Eventuali affitti dei terreni su cui è localizzato l’allevamento.
Infine, una cattiva gestione dell’allevamento (scarso foraggio, mantenimento di elevate classi
adulte maschili, prevenzione sanitaria, ecc.) porterà ad ulteriori costi per morte di capi, che
dovranno essere smaltiti secondo la normativa e previa autopsia al Centro di zooprofilassi.
Ovviamente, lo smaltimento dei reflui e degli organici derivati delle eviscerazioni da parte di ditta
specializzata, nonché un efficace sistema di derattizzazione, sono a carico della ditta allevatrice.
Ricavi
Vi sono alcuni aspetti legati alle opportunità di reddito dell’allevamento, anche se la normativa
regionale vigente è vincolante e recita “i capi possono essere ceduti unicamente a centri analoghi o
a macelli”;infatti, possono essere venduti vivi ad altri centri alimentari, e vivi o abbattuti a macelli.
- L’animale vivo:
Spesso le femmine possono essere richieste per rinsanguamento, cosi come una coppia giovane
maschio e femmina da chi ha appena aperto un nuovo allevamento.
Un buon riproduttore maschio può essere ceduto ad altro allevamento alimentare se geneticamente
promettente per il trofeo.
- La carne:
Dove acconsentito dalla normativa locale per uso famigliare (autoconsumo) a integrazione di
reddito della stessa, sotto forma di insaccati, salcicce o salami (fig. 10), prosciutto, macinato,
roastbeef, bresaola, spezzatino, bistecche, ecc. o ceduta a peso, a capo intero, ed inoltrata al
macello dopo l’abbattimento in azienda.
In alternativa ritirata dal centro di trattamento carne 853 e venduta all’utente finale, se provvisti di
banco vendita al dettaglio, secondo normativa vigente.
Con l’attrazione della baita di montagna o l’agriturismo in appennino, il consumo della carne è
senz’altro più richiesto nel periodo autunno-invernale o in occasione di sagre paesane, lungo le
dorsali montuose, il resto dell’anno le richieste sono inferiori anche per il fatto che ogni città esalta
il proprio piatto tipico e in fin dei conti vicinanza del mare e clima moderano il consumo e
l’esaltazione di questi piatti dalle eccellenti proprietà organolettiche e privi di colesterolo.
Fig.10 – Prosciutti e insaccati - Foto: M. Lenzi
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Gli animali provenienti da allevamento, sono comunque molto ricercati durante tutto il periodo
dell’anno specialmente per il fattore abbattimento che risulta determinante per la salubrità delle
carni. Il singolo capo, risulta infatti, più tranquillo e non stressato nell’istante che precede
l’abbattimento per macellazione e allo sparo, la carcassa non subisce danni elevati come nell’atto
della caccia, così come è garantito un immediato dissanguamento ed adeguata refrigerazione
presso il centro dell’azienda.
Volendo tentare di attribuire una graduatoria prioritaria in base alle proprietà culinarie, di
richiesta ed altri fattori tipici, la cosa non risulta così banale, Si può dire che vi sono diversi
elementi che rendono più o meno richiesta la selvaggina, potendo in parte così riassumerli:
SPECIE
REPERIBILITA’ CARNI
PERIODI DI RICHIESTA MERCATO
CE
facile per i numerosi allevamenti intensivi buona in periodo di non attività venatoria
DA
facile per i numerosi allevamenti intensivi buona anche in periodo di attività venatoria
CP
difficile per i pochi allevamenti esistenti
buona in periodo di non attività venatoria
- Il mantello:
Una volta trattato con apposita concia, viene acquistato da tassidermisti che, su ordine del cliente,
provvedono a naturalizzare trofei di caccia. In questo caso, bisogna fare molta attenzione al taglio
della pelliccia durante le operazioni di eviscerazione e scuoiamento del capo.
- I denti superiori:
Solo il cervo possiede canini superiori dalla forma particolare. Ricordiamo che storicamente,con
questi, sono stati eseguiti i più bei gioielli mai creati nel suo genere.
Questi si prestano, oltre che a incastonatura per collier, a ciondoli, portachiavi e orecchini e per
finiture e manici di vari oggetti (fig. 11).
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Fig.11 – Lente di ingrandimento e portachiave - Foto: R. Frazzoni
- I trofei:
Molteplici sono le richieste di trofei che, dopo la commercializzazione della carne, sono la seconda
fonte di reddito dell’azienda. In un primo caso, i palchi vengono venduti interi con prezzo a corpo,
se integri, per oggetti d’arredo (seggiole, lampadari, appendi abiti, ecc.) ad architetti e privati,
oppure, complete di cranio sbiancato, come “trofeo di caccia” (fig. 12).
Fig.12 - I trofei - Foto: M. Lenzi
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In un secondo, nel caso siano spezzate a causa dei combattimenti o abbiano subito rasura prima
del rinvenimento a terra da arvicole, vendute a peso per la fabbricazione di piccoli oggetti (centro
tavola con la pala del daino, bottoni con la stanga, fregi con le rose, fermacravatta, ecc.).
Fig.13 - I coltelli - Foto: M. Lenzi
Se la stanga non ha subito danni, grande rilievo in questa attività ha anche l’utilizzo come
manici per la costruzione artigianale di coltelli, che acquisiranno pregio in base al tipo di lama
usata e ad incisioni di decoro (fig. 13).
Alpenstock per cacciatori (bastone da caccia).
- Altre opportunità:
Premesso i minori costi di una conduzione famigliare su terreni di proprietà, l’opportunità è
anche quella di sfruttare al meglio porzioni di territorio in disuso (non accessibile a mezzi
meccanici) e che non sarebbero utili al pascolo di altri animali e destinati all’abbandono.
Un piccolo “escamotage” per godere dell’unico incentivo, come forma di sostentamento, può
essere il mantenimento dei prati pascoli permanenti con contributo, se previsto, dal Piano di
sviluppo rurale vigente regionale e adempiendo agli obblighi di falciatura (P.R.S.R.).
L’allevamento, se ben tenuto e dotato di altre strutture per l’accoglienza (B&B, aula didattica,
percorsi, altane, ecc.), può essere utile anche nel promuovere, oltre il turismo, l’educazione e la
conoscenza di queste specie selvatiche, aprendolo a visite di studenti, nonché a far conoscere i
prodotti dell’Azienda agricola titolare dell’allevamento. Insomma, ricercando tutti quegli
elementi che movimentano gli indotti insiti in quel concetto di multifunzionalità aziendale
proprio delle Aziende agricole.
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Normative di riferimento sull’allevamento cervidi
Legge nazionale n.157/92 del 11 febbraio 1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica
Omeoterma ed il prelievo venatorio”
Legge regionale n.8/94 del 15 febbraio 1994 “Disposizione per la protezione della fauna
selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria”
Delibera di giunta RER 1519/03 “Direttive concernenti l’allevamento di fauna selvatica a
scopo di ripopolamento, alimentare, ornamentale ed amatoriale”
Decreto legislativo n.336 del 4 agosto 1999 “Attuazione delle direttive 96/22/CE e 96/23/CE
concernenti il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle
sostanze (beta)-agoniste nelle produzioni di animali e le misure di controllo su talune sostanze
e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti”
Decreto legislativo n.333 del 1 settembre 1998 “Attuazione della direttiva 93/119/CE relativa
alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento”
Regolamento CE 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004 che
stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
Regolamento CE 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004 “che
stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine
animale destinati al consumo umano”
Regolamento UE 150/2011 del 18 febbraio 2011 “recante modifica all’allegato III del
regolamento CE 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la
selvaggina di allevamento e selvatica e le carni di selvaggina di allevamento e selvatica”
Regolamento UE 151/2011 del 18 febbraio 2011 “recante modifica all’allegato I del
regolamento CE 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la
selvaggina di allevamento”
Regolamento CE 1099/2009 del Consiglio del 24 settembre 2009 “relativo alla protezione degli
animali durante l’abbattimento”
Bibliografia
2009 Perito balistico Vittorio Balzi iscritto nei ruoli del Tribunale di Lucca ” Rischi derivanti
da deviazioni di traiettoria nell’uso venatorio delle armi”
1985 Federico Negri “Il fucile da caccia” editoriale Olimpia
2003 Fulvio Ponti “Il patrimonio del cervo”
1995 Franco Perco “La gestione faunistico venatoria del capriolo” Habitat
2001 Bruno Bassano Ispettore sanitario PNGP “L’immobilizzazione chimica degli ungulati
selvatici”
1996 Ulrich Wotschikowsky “I caprioli della foresta del gallo”
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Ringraziamenti
Az. Agricola LM - Fondo località Cà Bortolotti “allevamento cervidi (daino - capriolo)” in
Pianoro (Bo)
Cristian Venturi allevatore “allevamento cervidi e bovidi (daino - cervo - muflone)” in San
Benedetto val di sambro (Bo)
Marco Morara medico veterinario ed allevatore “allevamento cervidi (daino)” in Monterenzio
(Bo)
Giovanni Poglayen “Prof. Ecopatologo Università degli studi di Bologna”
Maria Luisa Zanni “Pianificazione faunistica” Regione Emilia Romagna
Maura Guerrini “Servizio tutela e sviluppo della fauna” Provincia di Bologna
Michele Grassi “tecnico per la programmazione di interventi faunistico - ambientali”
Francesco Riga “I.s.p.r.a.”
Marco Menarini “tecnico per la programmazione di interventi faunistico - ambientali”
Gianluca Pignoni “medico veterinario AUSL Bologna competente per il territorio di Pianoro
(Bo)”
Gianmaria Pisani “collaboratore università degli studi di Parma e medico veterinario
consulente nella gestione di ungulati presso Centri di allevamento pubblici e
privati”
Per la fotografia
Marco Lenzi (fig. 1-1.1-2-3-3.1-3.2-4-5-6-7-8-10-12-13)
Gianmaria Pisani (fig. 6.1)
Romano Frazzoni (fig. 11)
Informazioni legali
Il redattore non è responsabile per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in
questo rapporto.
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