IL PRINCIPE AZZURRO FORSE NO Ruoli, valori e stereotipi nella
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IL PRINCIPE AZZURRO FORSE NO Ruoli, valori e stereotipi nella
Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria IL PRINCIPE AZZURRO FORSE NO Ruoli, valori e stereotipi nella letteratura per l’infanzia e nell’immaginario RELATORE Prof. Paolo Borin CANDIDATA Lisa Cini Anno Accademico 2010/2011 1 Indice Introduzione pag 3 Capitolo primo, Ritratti di bambine, donne e fanciulle attraverso la letteratura 1.1 Memorie di un’eroina perbene pag 5 1.2 Una protagonista diversa, Caterina pag 8 1.3 Infanzie “senza famiglia” pag 9 1.4 Giochi di ruolo pag 10 1.5 Viaggiando per mondi fantastici pag 11 1.6 Quattro tipologie femminili in un romanzo: Piccole pag 12 Donne 1.7 Due bambine venute dal nord, Pippi e Bibi pag 13 1.8 Una storia dall’oriente: Totto-chan pag 17 1.9 Bambine a fumetti pag 19 1.10 Arrivano le bambine dei cartoons pag 22 Capitolo secondo, Intorno al ’68: riflessioni e discussioni sui modelli femminili 2.1 Il ruolo delle bambine nell’immaginario pag 25 2.2 Rosaconfetto e le altre pag 29 2.3 Educazione e ruoli sessuali pag 32 2.4 Contestazione e “contro fiabe” pag 38 2.5 Fate, streghe e madonne pag 55 2 Capitolo terzo, Tra decostruzioni e nuovi tentativi 3.1 Le fiabe di Marina Valcarenghi pag 61 3.2 Fiabe minime pag 61 3.3 Nuove fiabe minime pag 80 3.4 Modelli universali per bambine nuove pag 105 3.5 Le bambine di Bianca Pitzorno pag 111 Capitolo quarto, L’educazione ai tempi delle Winx 4.1 Ancora dalla parte delle bambine? pag 117 4.2 Dov’è finita Rosaconfetto? pag 121 4.3 Rosa e azzurro: due universi contrapposti pag 125 4.4 L’universo femminile visto alla TV pag 136 Conclusioni pag 145 Bibliografia pag 151 3 Introduzione Cercare di definire il ruolo che la rappresentazione della donna e della figura femminile in genere ha assunto in questi ultimi cinquanta anni attraverso la letteratura per l’infanzia, è un’operazione assai complessa. Un’indagine attenta e approfondita su questo tema dovrebbe tenere conto della molteplicità dei messaggi che concorrono a formare i vari modelli femminili nella società e nell’immaginario, con le loro connotazioni, le loro diversità, le loro caratteristiche. Che ne è oggi degli stereotipi femminili classici? Quanto ha influito sull’immaginario moderno la decostruzione del ruolo della donna e della bambina verificatasi nel ’68? E ai nostri giorni? Che tipo di immagine emerge? Come riusciamo a vedere e a mantenere un’autenticità che vada al di là delle rappresentazioni che ci vengono imposte? È possibile descrivere in maniera approfondita la figura femminile, un’immagine mutevole, sempre da ridefinire perché sempre si rinnova, e che si presta a innumerevoli interpretazioni? Partendo dall’idea della donna che ci presentano la letteratura e i media, questo lavoro si propone di sviluppare un discorso più ampio sul ruolo delle bambine e delle donne nell’immaginario. Vorrei porre inoltre l'attenzione sul confronto tra i termini “stereotipo” e “differenza”. Il primo esprime quella generalizzazione acritica e quell'estrema semplificazione che danno sicurezza e invitano a rimanere nella norma, nelle regole non dette; indirettamente assicura la salvaguardia delle relazioni di potere. La differenza esprime invece 4 qualcosa che va contro il pensiero unico, che contiene sfumature, campi infiniti di infinite differenze, non è lineare, non contempla gerarchie e è necessariamente decentrata. Così per l'educazione o le relazioni, come per la definizione di maschile e femminile, è importante che la categoria a cui si fa riferimento sia la differenza e non lo stereotipo. 5 Capitolo primo Ritratti di bambine, donne e fanciulle attraverso la letteratura 1.1 Memorie di un’eroina perbene È difficile tracciare una mappa dei modelli femminili che emergono dalla produzione letteraria dedicata alle bambine. Un’analisi approfondita deve considerare l’estrema eterogeneità di queste figure, il loro influenzarsi a vicenda, la varietà delle tipologie delle protagoniste. Nel primo dopoguerra, in Italia, erano più famosi i romanzi per ragazzi, i cui protagonisti erano principalmente maschili: (Pinocchio, Remy, David Copperfield, Gian Burrasca, Peter Pan, i ragazzi del libro Cuore, Tom Sawyer eccetera), romanzi che venivano considerati per tutti, bambini e bambine. Tuttavia non mancavano le produzioni pensate esclusivamente per le bambine, così come non mancavano i personaggi femminili, manifesti o nascosti di questo panorama letterario in cui le eroine trovavano un loro spazio, anche se certamente godevano di minore fama e popolarità. Questa panoramica sull’universo “rosa” non sarebbe completa se non venissero menzionate tutte quelle signorine un po’ all’antica, retrò, tipiche della letteratura di un’epoca passata, per lo più nate dalla penna di scrittrici vissute nei primi decenni del secolo scorso. Le autrici in questione si sono dedicate proprio alla stesura di romanzi 6 “per ragazzine”, e hanno scritto storie sulla crescita, sui cambiamenti dell’età, avendo come finalità quella di collocare la presenza femminile in un ambito di grazia e docilità. Anna Vertua Gentile, Maria Majocchi Plattis, Ada Cagli Della Pergola, Olga Visentini, tutte queste scrittrici hanno avuto il merito di pensare le loro opere per un pubblico femminile, cercando di inserire nei loro romanzi protagoniste che dessero esempi positivi. Ne emergevano figure di donne dai profili impeccabili, signorine “perbene”, che curavano l’aspetto e le buone maniere, che si contrapponevano ad un universo maschile lontano e poco conosciuto ma che allo stesso tempo sapevano che il loro fine ultimo sarebbe stato quello di diventare buone mogli e buone madri. Un esempio di questi tipi di fanciulle può essere rappresentato anche dalle sorelle di Gian Burrasca, adolescenti che si comportano da donnine, accudendo e rimproverando il fratellino più piccolo e monello e che hanno dell’amore un’idea profondamente legata alla vita sociale e alquanto pragmatica, come esemplifica questo estratto del diario di Ada, la sorella maggiore di Giannino: “Oh se quel vecchiaccio del Capitani non tornasse più! Ed invece è venuto anche stasera. È impossibile! Non mi piace! Non mi piace e non mi piacerà mai, mai mai…. La mamma ha detto che è molto ricco; e che se mi chiedesse in moglie, dovrei sposarlo. Non è una crudeltà questa? Povero cuore mio! Perché ti mettono a tali torture? ! Egli ha certe mani grandi e rosse, e col babbo non sa parlare altro che di vino e di olio, di campi, di contadini e di bestie; se lo avessi veduto, almeno una volta, vestito a modo… Oh se questa storia finisse! Se non tornasse più! Mi metterei l’anima in pace… Iersera, mentre l’accompagnavo 7 all’uscio, ed eravamo soli nella stanza d’ingresso, voleva baciarmi la mano; ma io fui pronta a scappare, e rimase con un palmo di naso… Ah no! Io amo il mio caro Alberto De Renzis. Che peccato che Alberto non sia che un misero impiegatuccio…. Mi fa continuamente delle scenate e io non ne posso più! Che delusione è la vita…. Mi sento proprio infelice!!!....”1 Le eccezioni sono rare, pensiamo per esempio a Giana Anguissola , più spiritosa, versatile e venata di sottile ironia, con le sue bambine che Antonio Faeti ha definito “paradigmatiche” 2, Violetta la timida, Giulietta, Priscilla e tutte le altre, ragazzine moderne che vivono il loro tempo con “tutti i suoi problemi psicologici, individuali, legati alla vita di relazione, al lavoro allo studio, all’impegno morale e civile. (…) Tali problemi sono affrontati dalla Anguissola, a differenza che in molti altri romanzi scritti su ordinazione per affrontare questo o quel problema socio-politico d’attualità, col dono prezioso dell’ironia. Ed è questo che fa diventare le sue ragazzine dei personaggi reali, e non semplicemente delle “portabandiera” senza volto”3. E singolare in questo panorama è anche Laura Orvieto, autrice delle Storie della storia del mondo, stampato in origine dalla casa fiorentina Bemporad e tradotto in inglese, francese, spagnolo, ebraico e polacco, che vendette settantamila copie dal 1911 al 1938, quando fu ritirato a causa delle leggi razziali, dato che l'autrice era ebrea. La scrittrice si rivolgeva ai lettori come se stesse parlando ai figli, Leonfrancesco e 1 Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, Giunti Marzocco, Firenze, 1980 p.6 Faeti A., Odette, anzi, Odetta, in Lazzarato F., e Ziliotto D.,(a cura di) Bimbe, donne e bambole, protagoniste bambine nei libri per l’infanzia, Artemide, Roma, 1987 p.21 3 Pitzorno B., Ho il diritto di pensare, disse Alice alla duchessa, in Lazzarato F., Ziliotto D., (a cura di) Bimbe, donne e bambole, op. cit. p. 52 2 8 Annalia e rispondendo ai loro interrogativi sulla vita; aveva idee avanzate e egualitarie sul rapporto tra i sessi, che si distaccavano molto dalla mentalità dell’epoca. 1.2 Una protagonista diversa: Caterina Un’altra particolarità può essere rappresentata sicuramente anche da Elsa Morante, che scrisse il suo libro quando aveva tredici anni, nel 1925 (anche se il romanzo verrà pubblicato da Einaudi nel 1942, quando la scrittrice aveva già conseguito un certo successo letterario). Il testo è molto ben scritto, curato nella sua freschezza e nei disegni dell'autrice, che non sono semplicemente decorativi ma sono strutturali alla narrazione. Si rivolge direttamente ai piccoli lettori, ma anche ad un pubblico adulto che può cogliere la raffinatezza del lessico e l'ironia che percorre tutti i personaggi, caratterizzati ognuno da uno stile proprio attraverso un linguaggio specifico. La protagonista del racconto, Caterina, è la sorella minore di Rosetta, e all'inizio sembra non essere caratterizzata rispetto al genere, ma è come se fosse una rappresentazione neutra dell’infanzia. Caterina all’inizio fa sempre tanti capricci, vuole mangiare solo quello che le piace, bistratta le sue bambole. Nel corso del racconto, occupandosi delle sue bambole Tit e Bellissima, e confrontandosi con altri tipi di femminilità (quella di tipo pratico e materno di Rosetta e quella più universale della Regina delle Fate), acquisirà un senso di umiltà e di consapevolezza delle sue mancanze, diventando più matura e capace di pensare agli altri e trovando una sua personale forma di 9 femminilità. Inoltre alla fine della straordinaria avventura tutto si risolve, e queste diverse immagini del femminile possono mostrarsi ai piccoli lettori come possibilità da vivere per le bambine e da incontrare per i bambini. 1.3 Infanzie”senza famiglia” Provando anche a varcare i confini della letteratura italiana, possiamo poi incontrare altre tipologie di protagoniste ed altre tipologie di storie, cominciando per esempio dai racconti di infanzie problematiche e rocambolesche, come quella di Sarah Crewe, personaggio principale di La Piccola Principessa, romanzo della stessa autrice del Piccolo Lord, Frances Hodgson Burnett. Sarah è una bambina proveniente da una ricca famiglia inglese che rimane sola ed è costretta a vivere da serva nel collegio per ragazze di buona famiglia dove prima era studentessa. Un’altra eroina che deve rimboccarsi le maniche è Perrine, protagonista del romanzo In famiglia (scritto dallo stesso Ector Malot di Senza Famiglia), che rimasta orfana, lavora da operaia in una grande fabbrica e contribuisce alla rivalsa sociale di tutte le sue compagne. Su questa scia possiamo trovare anche Anna dai Capelli Rossi, orfanella americana che viene adottata da due anziani agricoltori, Pollyanna, anche lei americana, che viene adottata da una zia apparentemente arcigna e senza sentimenti, ed Heidi, la bambina svizzera diventata famosa grazie al celebre cartone animato, che è costretta a vivere a Francoforte e a fare da dama di compagnia 10 alla ricca Clara, mentre vorrebbe tornare a giocare libera sulle alpi dal nonno pastore. Questo filone è pressoché inesauribile e ne parleremo approfonditamente anche nella sezione dedicata alle figure femminili dei cartoni animati. 1.4 Giochi di ruolo Ci sono poi le bambine-mamme, come la Wendy di Peter Pan, che nell’Isola che non c’è, in un mondo lontano e fantastico dove potrebbe fare quello che vuole, anche le cose impossibili, sceglie invece di ricreare uno schema familiare tradizionale, giocando a fare da mamma ai bambini sperduti ed il suo rapporto con Peter è simile a quello di una coppia di genitori. Un messaggio di conservazione e di eterno femminino è rappresentato anche da Marigold, protagonista dell’omonimo romanzo di Lucy M. Montgomery (la stessa autrice di Anna dai capelli rossi), che una volta superata l’infanzia (durante la quale aveva sviluppato un rapporto animistico e magico con tutte le cose della natura) sceglie di abbandonare definitivamente quel mondo fatato, e si rifà al modello sociale di sua madre, “dolce, bella, sensibile e quietamente, rassegnatamente infelice”.4 E non dimentichiamo che sorella e mamma (pur nell’estrema complessità che questa figura rappresenta) è anche la Fata dai Capelli Turchini per Pinocchio, stereotipo a sua volta del bambino monello. 4 Pitzorno B., in Lazzarato F., Ziliotto D., (a cura di), Bimbe, donne e bambole, op. cit. p. 47 11 1.5 Viaggiando per mondi fantastici Alcune eroine si confrontano con il tema del viaggio, come Alice nel Paese delle Meraviglie. Alice è una bambina molto concreta, tipica dell’Inghilterra vittoriana, profondamente legata alla sua vita di piccola benestante, che cerca di essere educata e di comportarsi come si conviene, “Alice in genere si dava ottimi consigli (benché poi li seguisse molto di rado), e qualche volta si sgridava con tanta severità da farsi venire le lacrime agli occhi” 5. Seguendo il Coniglio Bianco, finisce in un universo surreale e completamente senza logica, conosce personaggi strampalati e indimenticabili, vive avventure assurde, e in ogni situazione interagisce con il mondo che la circonda, non è mai passiva, ma sempre commenta, protesta, chiede, critica, espone i suoi dubbi nell’osservare ciò che vede. Come ha scritto Bianca Pitzorno, “Alice è simbolo dell’infanzia libera e irriverente che viaggia perplessa in un universo che non la convince sino in fondo”. 6 E il suo viaggio (benché alla fine si riveli essere soltanto uno straordinario sogno) è un’avventura intellettuale ed emotiva che la cambia, non è fine a se stesso. Tutto diverso è invece il viaggio di Dorothy, anche lei bambina profondamente immersa nel suo tempo, vive infatti in una tipica fattoria del Kansas, allevata dagli zii Emma ed Henry, in compagnia del suo cagnolino Totò: parliamo ovviamente del Mago di Oz, di L. 5 Carroll, L., Alice nel paese delle meraviglie, Londra, 1863, De Agostini, 1982, introduzione critica di B. Pitzorno. 6 Pitzorno B., (Introduzione critica a) Alice nel Paese delle Meraviglie, op. cit. 12 Frank Baum, uscito nel 1900. Anche Dorothy è una bambina con la testa sulle spalle, dotata di giudizio e di senso pratico. Anche lei si ritrova in un mondo fiabesco, incontra buffi compagni di viaggio e vive un’avventura fantastica seguendo il sentiero di mattoni gialli. Ci sono tuttavia molte differenze tra Dorothy ed Alice: entrambe vengono catapultate in un mondo fantastico, ma mentre Alice cade nella tana del coniglio spinta dalla curiosità, l’avventura di Dorothy è totalmente involontaria, perché è un ciclone a sradicare la sua casa, e per tutta la vicenda lei desidera soltanto tornare alla fattoria degli zii. Dorothy non vuole cambiare la sua condizione di partenza, “è un’americanina pragmatica, razionale, cordiale, affettuosa e orgogliosa della sua semplicità. Alle torri della Città di Smeraldo preferisce i cavoli del suo orto nel Kansas” 7. 1.6 Quattro tipologie femminili in un romanzo: Piccole donne Le quattro sorelle March sono sicuramente tra le eroine più conosciute (complici anche i vari adattamenti cinematografici e di animazione) e benvolute. Rappresentano quattro modelli di donna molto diversi tra loro: Meg, la maggiore, è in età da marito e si comporta già da donna adulta, dolce e paziente; tuttavia ha un atteggiamento un po’ snob e tradizionalista, da prima della classe, e alla fine del romanzo infatti riuscirà a coronare il suo sogno realizzandosi come moglie e come madre. 7 Pitzorno B., in Lazzarato F. e Ziliotto D., (a cura di) Bimbe, donne e bambole, op. cit.p.61. 13 Jo è la secondogenita, la figura forse più complessa e amata del libro, aspirante scrittrice, anticonformista, considerata dalle sorelle un vero e proprio “maschiaccio”. Jo è l’unica delle quattro a voler uscire da una dimensione domestica e femminile, a volersi realizzare come persona, confrontandosi con il mondo del lavoro e mettendo in secondo piano il suo essere donna (basti pensare al gesto simbolico del taglio dei capelli, che decide di vendere per aiutare economicamente la famiglia). Beth è la terza sorella, docile, remissiva, timidissima, cagionevole di salute e amante della musica, è lo stereotipo di un modello femminile tutto rivolto all’interno, della famiglia, della casa, di se stessa. L’ultima sorella è Amy, la più viziata e “civetta”, che cerca di emulare Meg e che è già pronta a debuttare in società e a trovarsi un buon partito da sposare. Tutte e quattro le sorelle, comunque, nel momento del bisogno si rivelano forti e generose, ognuna a suo modo, non si scoraggiano mai, si sostengono a vicenda, promuovendo quel senso pratico e quella solidarietà tipica di un esemplare american way of life. 1.7 Due bambine venute dal nord: Pippi e Bibi Conchita De Gregorio parte proprio dal tipo di educazione e di letteratura infantile che viene proposta alle bambine italiane per spiegare le differenze culturali e di costume tra il nostro Paese e la Svezia. Sostiene dunque che Pippi Calzelunghe non è una storia per 14 bambini. “E' una storia per adulti che si affannano a cercare un mondo più giusto, più libero, per tutti uguale: uomini e donne, grandi e piccoli, indigeni e ospiti. (...) E' proprio inutile rompersi la testa a studiare le carte dei ministeri per capire il segreto del “modello svedese. (...)La questione è questa. Mentre noi avevamo Pinocchio loro avevano Pippi.”8 Ricorda che il libro è uscito nel 1945, “mentre qui finiva la guerra e le donne stavano a casa a cercare il pane tra le macerie.”9 In effetti la vita di Pippi, le sue giornate, si discostano dal perbenismo e soprattutto dalla presenza della famiglia come microcosmo pieno di regole, doveri e gerarchie. Le eroine di Astrid Lindgren, infatti, stravaganti e alternative, si sono imposte al mondo intero per la loro originalità, indipendenza e gioia di vivere. Pippi Calzelunghe si conferma una straordinaria eccezione nel panorama editoriale della letteratura per l’infanzia degli anni ’40. La stessa Lindgren parla delle aspre critiche che accolsero il libro immediatamente dopo la sua uscita in Svezia: “Lei non somigliava affatto alle protagoniste dei libri per l’infanzia di quelle poca. Molti adulti ne furono disturbati e chiamarono Pippi una disgustosa monellaccia”.10 È la stessa Donatella Ziliotto a parlare del suo incontro con la Lindgren, “nel 1957 conobbi Astrid Lindgren, tradussi Pippi e lo pubblicai nel ’58 in apertura alla collana Il Martin Pescatore che 8 De Gregorio C., Una madre lo sa, Mondadori, Milano 2006, p. 51 e 52. Ibidem, p.53 10 Lindgren A., in Lazzarato F., e Ziliotto D., (a cura di), Bimbe donne e bambole, op.cit. p.13. 9 15 Vallecchi mi aveva incaricata di curare. Così anche le bambine italiane seppero che potevano sognare di diventare forti e indipendenti, ed aspirare, da grandi, a sollevare per aria e scaraventare lontano tutto ciò che usava loro delle prepotenze, come fa Pippi con i ladri”.11 Pippi,“in un certo senso è il contrario di Alice, bambina logica e beneducata in un mondo assurdo, quanto Pippi è inaspettata e assurda in un mondo che segue una logica convenzionale” 12 La famiglia dei due bambini amici di Pippi rappresenta l'ovvio, il quotidiano come è rappresentato nei libri di scuola, ma la presenza della bambina dalle trecce color carota, la sua generosità e anche la sua capacità di prendersi cura di Annika e Tommy, convinceranno anche la loro mamma a lasciare che i tre amici insieme trascorrano avventurose e meravigliose vacanze. Alle comari che arricciano il naso con aria schizzinosa risponde che forse Pippi non ha un comportamento esemplare, ma in compenso ha molto buon cuore. Pippi non ha più la mamma, ma ha interiorizzato la sua presenza e può così salutarla, immaginando che lei, seduta in cielo, possa guardarla col cannocchiale attraverso un piccolo foro. La sua capacità di immedesimarsi nell'altro arriva a salutarla dicendo: “Non stare in pensiero per me! Io me la cavo sempre!” 13 E' capace di avere un dialogo con se stessa e di preparare sorprese agli altri, proprio perché è capace di sorprendersi. Sull'educazione riesce a enucleare profondi principi: “è assolutamente necessario, per i 11 12 13 Ibidem p.25. Ibidem p.27. Lindgren A., Pippi Calzelunghe, Salani, Milano, 2010, (prima edizione 1961) 16 bambini piccoli, avere una vita organizzata; specialmente quando se l'organizzano da soli!”.14 E' consapevole di essere parte dell'universo ed è capace di identificarsi con tutti gli esseri, tanto che quando riesce a salvare Tommy dal pescecane poi piange perché “ il povero piccolo pescecane, oggi è rimasto senza pranzo.”15 Le sue bugie non sono come quelle di Pinocchio, perché le racconta per gioco e quando fa qualcosa di strano o di incongruo lo attribuisce ad usanze di Paesi lontani, come a introdurre il sospetto che le stesse cose possano essere giuste o sbagliate secondo il contesto. Ma forse il tratto che rappresenta maggiormente la sua autonomia fatta di gioia e di serenità è nelle parole che dice a Tommy quando lui teme che abbia freddo nella sua casa non riscaldata: “finché il cuore è caldo e fa tictac come si deve, non c'è pericolo di gelare!” 16 Sempre parlando di letteratura nordica, non possiamo non citare un’autrice che forse in Italia è meno conosciuta, ma che ha dato vita ad un personaggio dotato di una carica rivoluzionaria: la danese Karin Michaelis e la sua Bibi17, bambina ribelle e anticonformista che gira da vagabonda per tutta la Danimarca. Nei suoi libri c’è “amore per l’avventura, tenerezza per gli animali, rapporto di curiosità e di affetto per tutti gli esseri umani, di qualsiasi classe o condizione fossero, interesse per gli oggetti, i luoghi, i paesaggi, un senso straordinario di 14 Ibidem p. 179 Ibidem p. 235 16 Ibidem p.169 17 Michaelis A., Bibi, una bimba del nord, Vallecchi, Firenze, 1951 15 17 amicizia e di solidarietà femminile”18 . Sempre di Karin Michaelis è anche L’età pericolosa, crudo bilancio sentimentale di una donna di quarant’anni che sceglie di vivere in solitudine ma diventa preda di angosce e frustrazioni, libro contro cui si sono scagliate le femministe in quanto ritenuto colpevole di dare un’immagine di donna in definitiva perdente. In realtà la Michaelis ha compiuto un grande passo in avanti, perché non ha avuto paura di descrivere la donna in negativo, senza demonizzarla e senza false retoriche, non ha avuto paura di toglierla dalla perfezione, dal ruolo di angelo del focolare o da quello di eroina coraggiosa. 1.8 Una storia dall’oriente: Totto-chan Totto-chan, la bambina alla finestra, è un libro giapponese che è stato pubblicato nel 1982, dalla giornalista Tetsuko Kuroynagi, ambasciatrice dell'UNICEF ed esponente del WWF. E' la storia degli anni che ha trascorso nell’istituto Tomoe, vera scuola della periferia di Tokio, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale . Il libro è dedicato al preside di quella scuola, Sosaku Kobayashi, che aveva aperto la scuola nel 1937. “Lui riteneva che tutti i bambini nascessero fondamentalmente buoni, ma che la bontà della loro natura potesse essere facilmente guastata dall'ambiente e dalle influenze negative degli adulti. Il suo scopo era portare alla luce e stimolare la “bontà” dei bambini in modo che, crescendo, sviluppassero una loro 18 Ziliotto D., Generazione Bibi, generazione Pippi, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, donne e bambole, op. cit. p. 29 18 personalità.”19 Nella bambina giapponese troviamo delle affinità con Pippi: Totto-chan non seguiva le lezioni, nella scuola precedente, da cui verrà espulsa, ma stava alla finestra, aspettando i musicisti di strada, parlava con loro e con le rondini che facevano il nido sotto il cornicione dell'aula, non conteneva il suo entusiasmo e nemmeno il foglio da disegno era sufficiente per lei, così usava anche il banco. Sua madre si rende conto che la bambina ha bisogno di una scuola adatta a lei e dopo molte ricerche, sceglie la Tomoe. Già il cancello era indicativo dei principi educativi, perché era “consisteva semplicemente in due corti pali con ramoscelli e foglie ancora attaccati” 20 , mentre “il giardino della scuola, costellato di aiuole di fiori rossi e gialli, era circondato da alberi anziché da un muro.” 21 Le lezioni si svolgevano spesso sotto forma di passeggiate durante le quali si potevano conoscere i nomi delle piante e le nozioni di botanica e di scienze senza che apparissero doveri noiosi, ma come cose importanti che si trovavano sul proprio cammino. Il preside aveva inserito nel programma scolastico materie alternative e all’avanguardia, come l’euritmia, perché sentiva che avrebbero portato ad ottimi risultati e avrebbero aiutato i bambini a sviluppare naturalmente la loro personalità, senza un'eccessiva interferenza da parte degli adulti. Il signor Kobayashi infatti, non condivideva i metodi educativi contemporanei, che enfatizzavano troppo la parola scritta, tendendo ad 19 Kuroyanagi T., Totto-chan. La bambina lla finestra, Excelsior, Milano 2008, p.235. Ibidem, p.17 20 Ibidem, p. 19 19 19 atrofizzare la percezione sensoriale della natura e la ricettività verso l'ancora tenue voce di dio che è l'ispirazione.” 22 Bisogna anche aggiungere, però, che Totto-chan apparteneva ad una famiglia speciale, perché il padre era un violinista che si rifiutava di suonare nelle fabbriche di munizioni, pur non trovando facilmente altri lavori, e la madre aveva una grande fiducia in lei; entrambi erano stati capaci di darle fiducia e libertà pur riuscendo a darle sicurezza e contenimento. 1.9 Bambine a fumetti Adriana Di Stefano e Carmen Migani, notano lo sforzo del “Corriere dei Piccoli” negli anni sessanta, di “mitigare l’iniqua e perdurante esclusione della bambina dal mondo dei fumetti, neutralizzando però questo tentativo con l’offerta di prodotti atti a ripristinare rassicuranti schemi e consolidate convenzioni”.23 Le autrici fanno riferimento ai racconti per immagini, struttura narrativa ibrida, che utilizzava il montaggio di vignette illustrate (tipiche del fumetto), con didascalie in prosa (che si rifacevano alla narrativa tradizionale). Un esempio di questo procedimento è Priscilla, ideato e scritto da Giana Anguissola, nel 1965, la cui protagonista è una bambina aspirante diva, un prodotto molto ben confezionato e con un proprio spessore narrativo. Parlando invece dei fumetti veri e propri, è da menzionare Valentina 22 Ibidem, p.95. 23 Di Stefano A., Migani C., Anna Livingstone, I suppose. Le bambine e i fumetti, in Beseghi E., (a cura di), Ombre rosa, Giunti e Lisciani, Teramo, 1987, p.29 20 Mela Verde, di Grazia Nidasio, nata sulle pagine del “Corriere dei Piccoli” nel 1969, in quel “ghetto femminile che si chiama Ragazzina tu e circoscrive con grafica inequivocabilità le pagine del Corrierino in cui si “tollerano” le bambine, a malapena sopportate e rinchiuse in un giornale sempre prevalentemente “dalla parte dei maschietti”. 24 Valentina è profondamente connotata nel suo tempo e nel luogo in cui vive, abita a Milano, e si confronta con i problemi tipici del suo periodo storico e della sua età, affrontando anche grandi temi scottanti: la scuola sperimentale, la vicinanza con ragazzi diversi, le gravidanze indesiderate, il pacifismo, l’ecologia. Considerando che viene pubblicata in un’epoca di grandi cambiamenti, “è necessario sottolineare ancora come la storia di Valentina Mela Verde sia ricca di significative contraddizioni e attenta -in un modo che appare assolutamente insolito nel contesto della produzione italiana di comics- a seguire l'evoluzione del nostro costume con un'ottica abilmente attrezzata allo scopo. Proprio a causa di queste specifiche caratteristiche a Valentina si potevano attribuire consistenti ambizioni pedagogiche, sempre contraddistinte -nei confronti di delle più incerte e meno facilmente determinabili vocazioni di altri personaggi- da una chiara consapevolezza del ruolo che essa aveva assunto in questa prospettiva.”25 Il testimone di Valentina verrà preso dalla sua sorella minore Stefi, negli anni ottanta, e anche qui troviamo flash ironici ed incisivi sui vari episodi di vita in una metropoli consumistica. Un’altra famosa eroina dei fumetti è Mafalda, bambina-non bambina, 24 Faeti A., Letteratura per l’infanzia, La Nuova Italia, Firenze, 1977 p.25 25 Ibidem, p.56. 21 ironica e contestatrice, nata dalla penna di Quino sulle pagine del quotidiano El mundo nel 1965 e arrivata in Italia grazie a Bompiani nel 1968. Mafalda fa parte di un mondo “fondato soprattutto sui bambini (…), spigoloso, sarcastico, anche duro. Quino sa bene che se ci si sposta lì in basso, dove sono collocati i bambini, il mondo, gli adulti, le vicende quotidiane, i fatti politici non si vedono mai davvero in buona luce. C’è un’ingiustizia di fondo, tra le tante che vengono via via denunciate: quel mondo va avanti come un’astronave, carica anche di bambini, però questi suoi passeggeri tende a non ascoltarli mai (…). Non di rado Mafalda quindi urla. Non è mai una lagna, non è una querula protesta, è un urlo forte come quello di Tarzan, è rivolto contro i mali del mondo, contro un’ipocrisia generalizzata e delittuosa, contro un ordine falso e duraturo, forse perenne”. 26 Proprio per questo Mafalda non può essere identificata con le bambine “classiche”, immerse in un mondo protetto e infantile, ma è una bambina-non bambina, appunto, che parla di politica, che è capace di individuare e giudicare le responsabilità e gli errori degli adulti. Una bambina atipica, quasi adulta nei modi e nei giudizi taglienti è anche la Lucy dei Peanuts, che con distacco e superiorità emette sentenze sarcastiche e lapidarie sul mondo che vede, in cui i protagonisti sono i bambini e dove gli adulti sono presenti solo in lontananza. D'altra parte come osserva Marco Dallari, “ la struttura del fumetto “presenta una storia all'interno di un'altra storia, che è quella dell'esistenza dei personaggi. La storia episodio per episodio, ha un 26 Faeti A., postfazione in Quino, Voi grandi siete tutti uguali! Fabbri, Milano, 1998 p.92 22 suo inizio e una fine, ma non la si può considerare portatrice di un modello teleologico, e tutto sommato, neppure di una ineluttabile etica, poiché situazioni e personaggi (e tutto questo è clamoroso soprattutto nei cartoon) sono immortali, e ogni volta ripropongono se stessi con le loro caratteristiche.”27 1.10 Arrivano le bambine dei cartoons In questa carrellata sui personaggi femminili non potevano mancare poi le eroine dei cartoni animati, che a partire dagli anni ottanta hanno inesorabilmente condizionato l’immaginario delle bambine. Bisogna dire che in quegli anni, il panorama sociale e politico in Italia era molto cambiato rispetto al periodo della contestazione, e la figura della bambina, le aspettative e i valori che le si attribuivano, seguivano il senso di disimpegno e di “edonismo reaganiano” che contraddistingueva quel particolare periodo storico. È il momento in cui i cartoni giapponesi invadono gli schermi televisivi, riempiendo il video con prodotti che si ispirano ai feuillettons, alle storie di infanzie dolorose, di angherie subite, di innamoramenti tempestosi. “A queste particolarissime bambine dal destino agitato, gli animatori giapponesi erano ricorsi per conquistare una congrua fetta dei mercati televisivi internazionali, mescolando con astuzia le costanti narrative impegnate in generi diversi: la historical novel, il romanzo per bambini dell’ottocento, il feuilleton classico, la narrativa per giovinette più movimentata”.28 27 Dallari M., La fata intenzionale, La Nuova Italia, Firenze 1980, p.3. 28 Lazzarato F., Bambine in rosa, in Lazzarato F., Ziliotto D., (a cura di), Bimbe Donne e Bambole 23 Non a caso molte delle protagoniste di questi cartoni animati sono proprio le eroine dei più famosi romanzi per bambine, le già citate Anna dai Capelli Rossi, Peline, Sarah Crewe, Pollyanna, Heidi, le sorelle March. Ma oltre alle eroine della letteratura, con i cartoons arrivano anche altre protagoniste, alcune ispirate sempre alla narrativa d’appendice otto-novecentesca, come Candy Candy, orfanella americana adottata da una ricca famiglia che dopo mille peripezie troverà la sua strada diventando infermiera e sposando il suo amore Terrence, e come Georgie, altra trovatella bionda, che insegue il suo sogno d’amore con un lord inglese ed è contesa dai suoi fratelli adottivi, e altre più moderne e inquadrate in un ambiente teen ager, come Licia, un’adolescente giapponese cresciuta da un padre all’antica, che si innamora del trasgressivo leader di una rock band. In Italia, sull’onda del successo strepitoso di questo cartone animato, è uscito anche Love me Licia, un telefilm con personaggi in carne e ossa, interpretato da Cristina D’Avena (che cantava tutte le sigle dei cartoni) e dai conduttori di Bim Bum Bam, programma per ragazzi durante il quale questi cartoni animati andavano in onda. Un personaggio abbastanza particolare è stato poi Lady Oscar, ambientato nella Francia della rivoluzione: Oscar è una fanciulla nobile che per volere del padre viene educata come un ragazzo, e fin da piccola è abituata a ricevere in regalo armi e uniformi da soldato, come le bambole vestite da monache della manzoniana Gertrude. Vengono create in questi anni anche le prime streghette, Bia, Sally, Chappy, Stilly, Creamy, Emy, bambine con poteri magici o dotate di op. cit. p. 101. 24 oggetti speciali, che quasi sempre finiscono per “rinunciare alla magia per l’amore (perdendo nel matrimonio, insieme con le arti magiche, ogni originalità)”29. E seguono poi tutte le eroine dei cartoni animati dedicati agli sport e alle professioni, Jenny la Tennista, Mimi e la nazionale di pallavolo, Hilary la ginnasta, Pat la ragazza del baseball, Maya l’aspirante attrice, Mila, cugina di Mimì e anche lei pallavolista. Il giudizio più tagliente (oltre che spassoso e illuminante, almeno per me che –ahimè!- con questi cartoni sono cresciuta), viene da Antonio Faeti, che si chiede “più volte quale sia davvero la portata del danno che le bambine dei cartoons giapponesi hanno provocato nelle bambine italiane. Direi che questi modelli di sapientone, lacrimose, tuttofare, bisbetiche, fanatiche, miscele di crocerossine di Crimea con dementi da Circolo del Tennis, possono aver fatto credere a tante bambine che in loro si annida una signorina Hyde dotata di queste orrende prerogative. (…) Temo che un giorno gli efferati figli del Sol Levante trasformeranno in cartoons persino le bambine paradigmatiche di Giana Anguissola, e allora insorgerò, inviando direttamente un messaggio all’Imperatore, un messaggio davvero kafkiano”30. 29 Ziliotto D., Bambine e TV: quale programmazione? in Beseghi E., (a cura di) Ombre Rosa op.cit. p.47. 30 Faeti A., Odette, anzi Odetta, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, Donne e Bambole, op.cit. p. 20 25 Capitolo secondo Intorno al ’68: riflessioni e discussioni sui modelli femminili 2.1 Il ruolo delle bambine nell’immaginario Dopo questa panoramica generale sui diversi tipi di femminilità proposti nel corso degli anni dalla letteratura per l’infanzia, dalle riviste e dalla televisione, è doveroso parlare di un periodo storico specifico, in cui il ruolo delle donne e delle bambine nella letteratura è stato particolarmente messo in discussione. Con la contestazione studentesca ed il rovesciamento delle prospettive esploso con il ’68, alcuni tra i temi più dibattuti sono stati proprio i ruoli sessuali e la loro connotazione nella letteratura e nell’immaginario. Nel 1979 la casa editrice Savelli pubblica due raccolte di fiabe di Marina Valcarenghi, un tentativo di raccontare storie diverse e attuali pur restando ancorata ai valori universali della fiaba. Nella Lettera agli adulti, sorta di manifesto programmatico posto alla fine di Nuove fiabe minime, l’autrice spiega che le sue fiabe sono “avventure interiori che vengono rappresentate attraverso simboli, principi e principesse sono simboli di aristocrazia interiore e il matrimonio non è l'istituzione ma la fusione fra il maschile e il femminile, l'inizio della maturità psico-fisica, così come la conquista del trono simboleggia la conquista di un'autonomia per cui siamo 26 padroni di noi stessi e quindi del nostro mondo interiore.” 31 Le stesse considerazioni vengono proposte anche da Bettelheim32 insieme all'invito ai genitori a leggere ai loro figli con attenzione e partecipazione, offrendo ai bambini un “dono d'amore”; La Valcarenghi afferma inoltre che “inventare una storia è pur sempre una storia d'amore” e consiglia di avvicinarsi alle fiabe abbandonandosi all'intuizione. Le sue parole ricordano proprio i temi che in quegli anni erano stati posti all'attenzione da una parte delle protagoniste dei movimenti femminili e politici, ma non gli stereotipi, quelli che poi potevano essere oggetti caricaturali, bensì gli elementi veri di riflessione e di approfondimento. Ricordiamo che le protagoniste di questi movimenti erano quelle che avevano avuto accesso di massa all'istruzione, ma proprio avendo a portata di mano le premesse dell'emancipazione, ne vedono i limiti. 33 Anna Bravo scrive che “il modello adulto degli anni cinquanta e sessanta, soprattutto di sinistra, esibisce anche il modello prestigioso dell'emancipata, che si occupa sia del lavoro che della famiglia, che tiene insieme femminilità tradizionale e successo esterno senza recriminazioni. (...) Di questa versione semplificata dell'emancipazione si portano a esempio la professionista affermata e soprattutto l'esponente politica che nella vita ha fatto di tutto, la partigiana, la dirigente, l'intellettuale, la madre, la moglie. Donne eccezionali per risultati eccezionali. Ma alle ragazze si spiega che 31 Valcarenghi M., Nuove fiabe minime, Savelli, Roma 1979 pp.124-125. 32 Bettelheim B., Il mondo incantato, Feltrinelli Milano 1977. 33 Per uno sguardo sulle posizioni teorico-politiche del femminismo italiano cfr. R.Spagnoletti (a cura di) I movimenti femministi in Italia, Roma 1974. 27 l'eccezionalità non è un fine, è il mezzo necessario per arrivare a una vita che si prospetta invece soffocata e sacrificata, marito figli casa lavoro. Il doverismo imperante predilige la formula dell'”armonico equilibrio” con cui vanno conciliati ruolo familiare e lavorativo, e su cui insistono i documenti delle associazioni sia cattoliche sia di sinistra.”34 La studiosa e psicoanalista Marie Louise Von Franz osserva: “Ho conosciuto donne che sono orgogliose del fatto di aver portato avanti la loro professione e di aver fatto al margine un bambino: il tutto, dicono, senza scompiglio. E ha pure funzionato! Il bambino sarà pure venuto al mondo normalmente, ma intanto, queste donne si sono private di una straordinaria quantità di profonde percezioni, di esperienze interiori, a livello religioso, sacro, archetipico.” 35 In realtà, continua Anna Bravo, “piuttosto che le grandi emancipate, le ragazze ammirano attrici e scrittrici, altrettanto più inarrivabili ma tanto più suggestive. (...) Osservano avidamente i corpi e le pratiche della seduzione, su cui famiglia, scuola, media rispettabili tacciono; (...) Crescono confuse, in un quadro dove opportunità e difficoltà si trasformano facilmente le une nelle altre, dove neppure per gli adulti è facile distinguere tra la vitalità e la cialtroneria. (...) Cercano un nuovo modo di diventare donne procedendo con esitazioni, molti compromessi sul piano dei comportamenti sessuali, a volte con ribellioni, inganni, fughe da casa, scontri all'ultimo respiro con le madri, sempre con un enorme dispendio di energie. E in relativa 34 Bravo A., A colpi di cuore, Laterza, Roma 2008, p.64 e 65. 35 Von Franz M., La gatta. Una fiaba sulla redenzione del femminile, Magi, Roma 2008, p.59. 28 solitudine.”36 Laura De Rossi37 scrive che nel sessantotto le donne portarono non solo un disagio generazionale, ma una testimonianza del rapporto tra la loro storia individuale e la cultura dell'emancipazione, un'emancipazione ferita dalla percezione della propria differenza sessuata. E infatti l'aspetto più gradevole e fugace del '68 è stato un modo di stare insieme in cui sembrava che potesse cadere la divisione tra vita quotidiana e politica, in cui potessero avere posto anche il riso e l'affettività. Anna Bravo ne definisce l'aspetto di grande famiglia, di comunità “calda” e di rottura della solitudine nella società di massa. 38 Una storica come Luisa Passerini39 vede emergere dal movimento del '68 i temi della soggettività, dell'immaginale, dell'emotivo, del singolare, dell'empirico che saranno propri anche del movimento delle donne. Infatti la memoria del femminismo al suo nascere, rimanda un senso di benessere fisico e di felicità simile a quella del '68. Elena Gianini Belotti40 parla di cortei che di decina di migliaia di donne che suscitano la baldanza delle bambine che sono state, prima dell'addestramento alla remissività della fanciulla perbene. Si faceva riferimento alle antiche filosofe come Ipazia e Diotima e si ricercavano le madri simboliche: De Beauvoir, Woolf, Mansfield. Al di là delle rivendicazioni specifiche e dai risultati raggiunti in termini legislativi, si possono individuare due dati significativi: l'andamento 36 Ibidem, p.66. 37 De Rossi L., Riflessioni sulle “origini”.Il femminismo e il '68., in Mezzosecolo, Annali, (19941996). 38 Bravo A., op.cit., p.87. 39 Passerni L., Il movimento delle donne, in La cultura e i luoghi del '68, a cura di A. Agosti, Passerini L., Tranfaglia N., Dipartimento di storia dell'Università di Torino, Franco Angeli, 1991. 40 Gianini Belotti E., Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 1973. 29 carsico del femminismo( proprio in quest'ultimo anno si è assistito a nuove manifestazioni e riflessioni sull'uso del corpo della donna) e sul femminismo diffuso (patrimonio di tutte le donne almeno a livello di coscienza e vorremmo augurare della parte più sensibile della società, come abbiamo visto proprio a proposito delle ultime manifestazioni). Alberto Collo in una conversazione tra amici sintetizza: “La libertà di comportamento di tutti si è allargata ma i mondi possibili si sono ridotti.”41 La frase è indicativa perché sembra che come nelle fiabe, dopo un episodio magico, di utopia in questo caso, si ritorni alla realtà, trasformati, ma occupati e risolvere i problemi della quotidianità. La stessa Lea Melandri scrive:“Ma se è calata sul primo femminismo una dimenticanza così tenace è perché la scrittura e la memoria del singolo (...) hanno incontrato da subito le spinte opposte di una “generalizzazione” che subordinava a criteri di “universalità” e “appartenenza” la materia concreta di cui è fatta ogni vita.”42 Forse il dato più rilevante dell'eredità del movimento femminista è stato quello della produzione culturale degli anni Ottanta: la nascita dei centri di documentazione sulla storia delle donne, della Società delle storiche, delle librerie e delle associazioni culturali. 2.2 Rosaconfetto e le altre Nel 1973 esce il libro Dalla parte delle bambine in cui l'autrice, Elena Gianini Belotti, analizza i diversi modi di porsi nei confronti dei 41 Papuzzi A., '68: l'eros ai tempi della rivoluzione, in La Stampa , 7 febbraio 1998. 42 Melandri L., L'infamia originaria. Facciamola finita col cuore e la politica, Manifestolibri, Roma 1977. Prefazione p.8. 30 bambini e delle bambine, dimostrando che la differenza di carattere tra maschi e femmine non è un'inclinazione naturale, ma il frutto di condizionamenti culturali. La collana Dalla parte delle bambine nasce invece nel 1974 e presenta varie storie che trattano i rapporti tra maschile e femminile nella famiglia e nella società, con un intento anticonformista e di rottura con un passato dominato dalla predominanza maschile. Mia madre, che aveva vissuto attivamente il periodo della contestazione e del femminismo, mi leggeva spesso i libri di questa collana, ricordo benissimo le storie e le illustrazioni, a cominciare dal famoso Rosaconfetto, che narrava la vicenda di un’elefantina rosa (aveva questo colore perché era obbligata a stare nel recinto delle elefantine femmine a mangiare peonie) che sceglie di evadere e di perdere il suo colore particolare per potersi divertire nel fango insieme ai suoi coetanei maschi tutti grigi ma liberi di giocare e di sporcarsi. Le storie, scritte da Adela Turin e illustrate da Nella Bosnia, per lo più rivolte a “lettrici fra i quattro e i sei anni, entusiasmarono le madri femministe che cercavano per i loro figli libri non sessisti, in cui donne, fanciulle e bambine fossero raffigurate positivamente, fuori dagli stereotipi convenzionali. Si trattasse di tartarughe o di regine, i personaggi femminili (…) erano infatti pieni di iniziativa, allegri, combattivi, coraggiosi, forti, creativi” 43. Ma nonostante la buona fede degli intenti, proprio qui sta anche la pecca di questa iniziativa, perché alla fine risulta troppo pedante e didascalica. Ai maschi infatti toccava sempre “la parte del “cattivo”, un po’ sciocco, presuntuoso, 43 Lazzarato F., Bambine in rosa, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, donne e bambole op. cit. p. 91. 31 guerrafondaio, collerico, ignorante, mentre la vita di coppia veniva rappresentata come densa di umilianti rinunce e di incomprensioni irrisolvibili: così le protagoniste preferivano girare il mondo da sole piuttosto che sposare il principe azzurro” 44. Questi esiti così dicotomici potevano verificarsi solo in un contesto specifico come quello della contestazione, e anche Gianni Rodari ha osservato che queste storie così separatiste e intransigenti avevano la rigidezza del racconto a tesi.45 Lo stesso Antonio Faeti, nel suo libro sulla letteratura per l'infanzia non giudica troppo positivamente questa esperienza, dichiarando che la collana può essere “esaminata solo facendo riferimento alla polemica femminista in atto nel nostro paese”46. Le fiabe della Valcarenghi nascono in questo contesto e rispondono nel loro modo poetico, oltre a quesiti di tipo esistenziale come la paura, a domande che le giovani madri si ponevano sulla loro nuova identità e sui modi di incoraggiare le loro bambine a trovare se stesse, senza compiacere le aspettative sulle doti e le virtù femminili. Queste domande non erano relative ad un periodo, ma avrebbero parte per sempre del modo di porsi come donna, sono le stesse di cui parla Luisa Passerini: “La difficoltà di pensare il femminile in realtà altro non è che l'incapacità di accettare se stessi, la specificità dell'essere individuale.(....) Il femminile è la specificità di ciascuna donna, il modo di essere se stessa (e forse il rapporto con l'altro dentro di sé, per ciascun uomo)47. 44 Ibidem AA.VV. Fiabe sui ruoli sessuali, Savelli, Roma, 1979 46 Faeti A., Letteratura per l'infanzia, La Nuova Italia, Firenze 1977. 47 Passerini L., Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze, 1988, p.55. 45 32 2.3 Educazione e ruoli sessuali Nel 1979 usciva in Francia con la prefazione della Belotti, Emanuelle ou l'enfance au féminin48 della psicologa Danielle Flamant e la figlia Emanuelle Paparatti, una sorta di diario composto da quando la bambina ha 22 mesi fino a sei anni. Nella prefazione Elena Gianini Belotti afferma che il giornale rappresenta un esempio limpido e coraggioso di rapporti nuovi tra una madre e sua figlia. La madre attenta e intelligente ha deciso che sua figlia non sarà costretta a rinunciare a se stessa, ad essere conformista, ad accettare passivamente il suo ruolo. Quindi stimola la figlia a riflettere, a ribellarsi, a criticare, a mettere tutto in discussione, a disobbedire e ad opporsi. E' pienamente cosciente del suo dovere di rafforzare la personalità della figlia, il suo spirito critico, la sua preparazione culturale offrendole uno stabile e profondo appoggio affettivo perché possa affrontare combattiva e preparata i conflitti che dovrà affrontare e risolvere. Questo modo di educare le figlie è comune a molte giovani madri che vogliono offrire loro una vita libera dai condizionamenti culturali e vissuta pienamente, un futuro ricco di possibilità, riscattando il loro doloroso passato di sofferenze, di ingiustizie e di umiliazioni che ha caratterizzato la loro infanzia e di cui continuano a portare il peso. Queste madri propongono libri che non contengano messaggi maschilisti e che invece propongano nuovi modelli di vita: autonomia, indipendenza, creatività. Abituano le figlie 48 Flamant-Paparatti D., Emanuelle ou l'enfance au fèminin, Editions Denoel/Gonthiers, Paris 1979. 33 ad una grande libertà verso il proprio corpo, che gratificano di carezze e complimenti non per la sua bellezza, ma per la sua bontà. A proposito del rapporto con il proprio corpo era stato tradotto in Italia da Felrtinelli nel 1974 il famoso libro Noi e il nostro corpo, a cura del Boston Women's Health Book Collective49. Alla pubblicazione avevano collaborato donne del movimento femminista, tra cui Luisa Muraro. La stessa Feltrinelli pubblicherà nel 1979 Noi e i nostri figli50, a cura dello stesso collettivo. Si legge nella prefazione: “L'atto stesso di scrivere questo libro riflette l'indissolubile intreccio di personale e politico, di privato e di pubblico. (...) Per femminismo intendiamo qui semplicemente un modo di vedere il mondo che tiene in considerazione le donne come esseri umani completi che hanno diritto a realizzarsi in ogni tipo di lavoro e attività creativa. Sappiamo di uomini che, secondo la nostra definizione, sono “femministi”, che come noi, cercano di liberarsi da ruoli rigidamente definiti.” 51 Elena Gianini Belotti osserva inoltre che queste nuove madri si sentivano ancora dipendenti da una cultura interamente maschile, con cui dovevano ancora competere e di cui non riuscivano a distaccarsi con sufficiente equilibrio. Inoltre poneva l'accento su un tema che affronteremo parlando del momento attuale: le ragazze non saranno più disponibili ad accettare vecchi modelli di rapporto con l'altro sesso e se i ragazzi non avranno realizzato per conto loro un'evoluzione, continuando ad interiorizzare il senso della loro superiorità, dei loro 49 The Boston Women's Health Book Collective, Noi e il nostro corpo, Feltrinelli Milano 1974. 50 The Boston Women's Health Book Collective, Noi e i nostri figli, Feltrinelli Milano 1979. 51 Ibidem, p.20. 34 privilegi e del loro potere, il futuro delle nuove ragazze sarà piuttosto agitato. In questo senso la stessa Valcarenghi ha scritto nella sua qualità di terapeuta una serie di libri che affrontano temi quali l'insicurezza, la violenza maschile e femminile e la difficoltà dei rapporti tra i sessi.52 Simona Argentieri invece ha dovuto affrontare come psicanalista il problema dell'anoressia a partire dagli anni Settanta quando sono stati riconosciuti i primi casi di “anoressia nervosa”. Ha notato che già negli anni Ottanta si poteva registrare una profonda mutazione non solo da un punto di vista numerico, ma anche nelle variazioni qualitative; la più interessante dal nostro punto di vista è la situazione psicopatologica che sta dietro le quinte della sintomatologia. Mentre prima “alla radice dei problemi dell'anoressia/bulimia (...) erano in primo piano i problemi della voracità, dell'invidia, dell'aggressività materna, oggi invece (...) le cause patogene sono da ricercare nell'insufficienza delle esperienze di contenimento.” 53 L'autrice si chiede: “Perché proprio in famiglie “mediamente buone”, nelle quali c'è affetto e fiducia, rispetto per la libertà dei bambini nel momento di crescita, non ci sono né grossi traumi né violenze, si sviluppano queste sintomatologie?”54 Secondo lei il problema risale proprio alla generazione del Sessantotto e agli equivoci che ne sono derivati. “In un miscuglio di psicoanalisi, marxismo e femminismo si è creduto che il modo giusto di allevare i figli e favorirne la creatività fosse quello di 52 Valcarenghi M., L'aggressività femminile, Bruno Mondadori Milano 2003. “Ho paura di me”. Il comportamento sessuale violento, Bruno Mondadori Milano 2007. Senza di te non esisto. Dialogo sulla dipendenza amorosa, Rizzoli Milano 2009. L'amore difficile. Relazioni al tempo dell'insicurezza Bruno Mondadori Milano 2009. 53 Argentieri S.,Rossini S., La fatica di crescere, Frassinelli, Milano 1999, p.67. 54 Ibidem, p. 65. 35 non porre limiti, di non “reprimere” gli impulsi.” 55 Pur dicendo di non rimpiangere le regole violente e aggressive del passato, di cui riconosce le conseguenze patologiche, le dolorose nevrosi causate da dai rapporti con padri violenti e madri tiranniche, la Argentieri afferma che “non si è valutato ancora abbastanza il danno causato da questa rotazione di 180 gradi, che ha “contestato” norme e proibizioni; che ha disconosciuto l'autorità e le differenze generazionali tra grandi e piccoli; ma che insieme alla funzione punitiva , ha azzerato anche la funzione educativa e protettiva genitoriale.”56 Contro la pedagogia prosessista e il “politically correct”, c'è stato l'effetto dirompente del libro di Amy Choua 57, sino-americana, docente di diritto a Yale che adotta metodi educativi ispirati alla dottrina confuciana, sostenendo che la pedagogia americana è troppo comprensiva, ed è sostenuta in questa sua tesi dal fatto che i ragazzi asiatici sono superiori negli studi a quelli europei ed americani. Il suo metodo consiste in disciplina ferrea, proibisce televisione, videogiochi e feste, prevede una forte autorità dei genitori e un grande spirito di sacrificio. Federico Rampini su Repubblica scrive che “Il Wall Street Journal ha dovuto creare una rubrica apposita per ospitare le numerosissime reazioni dei lettori: c'è di tutto, l'indignazione di chi accusa l'autrice di sadismo, è l'ammirazione nostalgica di chi rimpiange un'epoca in cui “anche le mamme ebree si comportavano così.” Cioè l'epoca prima del Sessantotto, del femminismo, di tutti i movimenti antiautoritari che hanno distrutto l'autorità parentale. Una 55 Ivi. 56 Ibidem, p.66. 57 Choua A., Il ruggito della mamma tigre, Sperling & Kupfer, Milano 2011. 36 lettura semplificata di questo dibattito può rinchiuderlo nella contrapposizione destra-sinistra: la madre-tigre venuta dall'Asia è un modello ideale per i conservatori che vogliono ristabilire un ordine morale e le gerarchie travolte dal permissivismo; i progressisti innamorati della scuola Montessori inorridiscono di fronte al revival di metodi oppressivi destinati ad allevare figli nevrotici e infelici.”58 Recentemente lo psicologo ed economista Bryan Caplan psicologo ed economista della George Mason University ha pubblicato uno studio in cui sostiene che più dell'educazione sono influenti i geni e le scelte autonome, per cui è preferibile lasciare i figli più liberi e dare loro autonomia di scelta e di giudizio. Non si tratta di ritorno al permissivismo, ma di un “approccio più rilassato e più giusto”, come sostiene sull'Observer di Londra la dottoressa psicoterapeuta infantile della Kent University. 59 Ellie Lee, Il libro di Caplan infatti si intitola Ragioni egoistiche per fare più figli perché essere un bravo genitore è meno faticoso e più divertente. Anche la psicoanalisi, ricorda Elena Rosci, “ci induce alla riflessione quando descrive il figlio unico come soggetto ricco e povero a un tempo, con un destino ora fastoso e fortunato, ora misero e meschino. Nella famiglia tradizionale con numerosi figli, gli adulti di famiglia potevano proiettare i loro desideri e le loro aspirazioni sui diversi bambini di casa. Nelle famiglie attuali, dove l'impegno alla cura scarseggia, in quanto ostacolerebbe il processo di autoaffermazione del singolo, i figli diventano pochi, tendenzialmente unici, a volte 58 Rampini F., Una madre tigre sconvolge l'America La Repubblica, 6 febbraio 2011. 59 Riportato da Enrico Franceschini in Permissiva, rilassata, libertaria, la rivincita della mammaagnello, La Repubblica , 16 maggio 2011. 37 idolatrati: una generazione di tanti bambini Gesù”.60 I figli sono diventati merce rara, gioielli preziosi, cercati a costi altissimi e spesso il figlio è diventato il perno della famiglia: in una società di separati e divorziati, in cui non è più la coppia a costituire il fondamento della coesione familiare. Inoltre i bambini sono sospinti ad essere precocemente adulti, mentre “proprio perché molte persone prossime ai quaranta non hanno ancora le caratteristiche per essere definite adulte, le ricerche sociologiche sull'adolescenza hanno innalzato l'età di rilevazione fino ai trentaquattro anni.”61 In questa pluralità di voci contrastanti l'apporto delle fiabe rimane fondamentale perché esse, con la loro capacità simbolica, continuano ad esprimere “contenuti inconsci per i quali la mentalità collettiva non possiede un linguaggio.”62 Il problema dell’educazione “diversa” ricevuta dalle bambine, era stato segnalato anche da Lombardo radice. Nel suo libro Letteratura per l'infanzia63 , infatti, Antonio Faeti espone il pensiero di questo autore a proposito della differenza nella letteratura per bambini e bambine: “E' già discretamente assurdo, intanto, che dei libri di lettura ci siano quasi sempre due edizioni, per le scuole maschili e per le scuole femminili, ma più assurdo che i libri di letture speciali per le ragazze parlino principalmente di bambine e di piccolo mondo femminile. Come se le ragazze di scuola non potessero avere padre, fratelli, parenti, amici; come se le bambine non fossero anch'esse spettatrici della stessa vita domestica e sociale di cui sono spettatori i 60 61 62 63 Rosci E., Mamme acrobate, Rizzoli, Milano 2007, p.118. Ibidem, p.188. Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri, Torino 1983, p.15. A. Faeti, Letteratura per l'infanzia, La Nuova Italia, Firenze 1977. 38 maschietti; come se allargare l'orizzonte mentale e morale della bambina non fosse lo stessissimo problema educativo che approfondire la consapevolezza del bambino.” 64 Lo stesso Faeti nota che nel tempo non è cambiato molto e le parole di Lombardo radice “rischiano di suonare addirittura “troppo” attuali.”65 2.4 Contestazione e “controfiabe” Elena Gianini Belotti nel suo libro Dalla parte delle bambine, tratteggia brevemente il significato delle fiabe classiche: “Cappuccetto Rosso è la storia di una bambina al limite dell'insufficienza mentale che viene mandata in giro da una madre irresponsabile...”; “Biancaneve è anche lei una stolida ochetta che accetta la prima mela che le viene offerta(...) Anche lei vive con la testa nel sacco ...” “Cenerentola è il prototipo delle virtù domestiche, dell'umiltà, della pazienza, del servilismo, del sottosviluppo della coscienza..(..:) Anche lei non muove un dito per uscire da una situazione intollerabile, ingoia umiliazioni e sopraffazioni, è priva di dignità e di coraggio. Anche lei accetta il salvataggio che le viene da un uomo come unica risorsa, ma non è poi certa che costui la tratterà meglio di quanto sia stata trattata fino allora.”66 Ovviamente dobbiamo inquadrare questo sbrigativo giudizio sia nella vis polemica che richiedeva l'argomento del libro, sia nel primo 64 G.Lombardo Radice, Lezioni di didattica, Sandron, Firenze 1951, p. 218. In A.Faeti, op.cit., p.11. 65 A.Faeti, op. cit., p.11. 66 Gianini Belotti E., op.cit., pp119-120. 39 tentativo di fare giustizia delle presunte umiliazioni e delle discriminazioni nei confronti delle bambine. In realtà il “movimento antifiaba” era nato nel secondo dopoguerra a partire dal testo del Brauner Nos livres d'enfants ont menti67 ed accusava le fiabe di non realismo, di tessere una cortina di fantasticherie che poteva esercitare un potere coercitivo sul libero sviluppo de capacità razionali del bambino. Questo movimento ha avuto una rapida diffusione, soprattutto negli anni '60, quando la critica fu rivolta soprattutto al fatto di “tramandare” valori, modelli e aspirazioni discutibili. Nel 1966 esce la traduzione dei libri di Propp sulla morfologia della fiaba68che sottolinea il legame esistente tra la fiaba e i fenomeni etnologici della vita dei popoli a partire dalla rigorosa composizione delle funzioni. Nello stesso periodo usciva anche il libro della Cook, 69 Miti e fiabe per i bambini d'oggi. Elizabeth Cook definisce così le differenze tra fiabe, miti e leggende: “i miti trattano della creazione di tutte le cose, dell'origine del male e della salvezza dell'anima; leggende e saghe illustrano imprese di re e di popoli a volte anteriori ai tempi storici; fiabe e storie popolari narrano del comportamento umano nel mondo della magia, spesso fondandosi con le leggende.”70 Aggiunge che “l'intrinseca grandezza di miti e fiabe è di natura poetica: le storie migliori sono dilatate immagini liriche di vicende umane immutabili, di speranze, di paure, di amori e di odi forti e durevoli.71Fa anche una breve storia sulle interpretazioni 67 Brauner A., Nos livres d'enfants ont menti, Wallon, Paris 1951. 68 Propp V. Ja., Morfologia della fiaba, con un interventodi C.Levi Strauss e la replica dell'autore, Einaudi, Torino 1966. 69 Cook E., Miti e fiabe per i bambini d'oggi, La Nuova Italia, Firenze 1966. 70 Cook E., op.cit.,p.1. 71 Ibidem, p.3. 40 di tali immagini a cui “i critici hanno attribuito significati molto diversi, a seconda della loro preparazione culturale, dei pregiudizi personali o delle mode del tempo. Nel XIX secolo filologi e studiosi di folklore ravvisarono in esse descrizioni prescientifiche e primitive di fenomeni naturali, del sorgere e del tramontare del sole, delle stagioni, supponendo che per esempio che gli dei della folgore, Zeus e odino, fossero stati creati dall'uomo perché non riusciva a spiegarsi le cause fisiche del temporale. Nel nostro secolo Freud li ha identificati con terribili figure paterne, simboli delle gelosie sessuali e dell'antagonismo tra genitori e figli. Jung ha dato un altro tipo di interpretazione psicologica: i miti (...) rappresentano conflitti, non tra padre e figlio, ma tra persona e anima di uno stesso individuo.”72 Prosegue con altre due teorie antropologiche. “Per Jessie Weston le storie mitologiche sono abbellimenti di azioni che si svolgevano durante i rituali primitivi della fertilità; Robert Graves le spiega, invece, come testimonianze poetiche di riti per il matrimonio, dell'uccisione di un re sacro, di eventi storici, quali ad esempio la sopraffazione di una società matriarcale per opera di una matriarcale o l'asservimento di sacerdotesse regnanti da parte di re invasori. Prima che il Paganesimo si estinguesse, gli antichi Padri della Chiesa, intravedendo un significato nelle sue immagini, le avevano interpretate come profezie dei Gentili circa le verità cristiane.”73 L'autrice prosegue concludendo che “le testimonianze dei vari studiosi sembrano condurre ad un unico paradosso: nessuno ha ragione in particolare, ma tutti hanno intravisto un lembo di verità, anche se non 72 Ibidem, p.4. 73 Ibidem, p.4-5. 41 è da escludersi che i Padri Cristiani e Jung abbiano intuito più acutamente di altri la simbologia profonda di queste antiche narrazioni.74 Marco Dallari così sintetizza: “Il problema quindi che il magismo contenuto nella fiaba può dare al bambino, se usato in maniera pedagogicamente corretta, si scontra con e si problemizza con la chiusura ideologica e politica dei modelli di cui la fiaba è portatrice.”75 Lui stesso fa delle reiscrizioni o controfiabe: Cenerompola al posto di Cenerentola che è giudicata non “un modello femminile in grado di prendere coscienza dei termini del problema costituito dalle faccende domestiche, ma attraverso una soluzione di tipo teleologico, che vede nella ricchezza da acquisire col matrimonio la possibilità, in fondo, di potersi poi pagare qualche Cenerentola che lavori al posto suo.” 76 Cenerompola viene descritta come “una fanciulla tediosa e sgradevole, almeno per chi vede la necessità che la donna abbia una sua emancipazione e una sua autonomia”77 mentre vengono rivalutate le sorellastre e la matrigna “come donne autonome, emancipate, libere, che riescono in fretta a sbrigare le faccende domestiche, che non ne fanno un problema, e che sono piuttosto protese alla ricerca di un modello di vita basato sulla possibilità di essere libere nei confronti del rapporto con l'uomo se non in una logica di rapporto alla pari, rispetto a questa fanciulla che ha la vocazione della casalinga, ma soprattutto la nevrosi maniacale del pulito, dell'ordinato come 74 75 76 77 Ibidem, p.5. Dallari M., op.cit., p.46. Ivi. Ibidem, p.98. 42 prolungamento di sé, e come qualificazione di quelli che ella ritiene i suoi meriti.”78 Biancabeve, principessa ubriacona è la controfiaba di Biancaneve, “modello femminile che deve essere rapita e quindi in balia della volontà del maschio, che prima è nano, e poi Principe Azzurro”79 , mentre Battista Quinto Borghi scrive Cappuccetto Bianco. Queste storie sono state pubblicate come libretti illustrati nella collana “Fiaba e Controfiaba” della Casa Editrice Ape di Bologna. Esiste anche il delizioso libricino Favole a rovescio, su testo di Rodari, illustrato da Nicoletta Costa 80, anche se la posizione di Gianni Rodari sulla fiaba esula dal nostro studio. Anche Roberto Denti81 prova a immaginare un finale diverso per Cenerentola e Biancaneve, in una soluzione di autonomia e di positività che possono ricordare le fiabe della Valcarenghi. Infatti Cenerentola arriva fino alla prova della scarpetta e alla richiesta di matrimonio del principe, ma sceglie un certo Maurizio che le piace di più e “con lui lavorò nei campi, allevò le galline e i conigli, munse le mucche, ebbero tanti figli e figlie e vissero tanti e tanti anni.” 82 Invece a Biancaneve nella sua versione non piacciono le mele e quindi sono i nanetti ad essere avvelenati. Li salverà un medico che fabbrica la medicina con le erbe del bosco; poi il medico si innamora di Biancaneve e mangia la mela che la regina ha portato nuovamente nella casetta del bosco. Così è il medico vestito d'azzurro a cadere morto e Biancaneve con il suo bacio, opera il miracolo della salvezza. Il finale è molto poetico: “E la strega? La regina-strega interrogò 78 79 80 81 82 Ivi. Ibidem, p. 46. Rodari G., Costa N., Le favole a rovescio, Edizioni EL, Trieste 1980. Denti R., I bambini leggono, Einaudi, Torino 1978. Ibidem, p.42. 43 ancora lo specchio, ma quando seppe che Biancaneve si era sposata, non riuscì più a fare magie, perché quando due persone si vogliono bene non c'è niente al mondo che possa far loro del male.”83 Bruno Bettelheim nel suo libro Il mondo incantato cerca di mostrare come le fiabe rappresentino in forma fantastica in che cosa consiste il processo del sano sviluppo umano. Il libro è stato scritto nel 1975 e si schiera, finalmente, molto decisamente a favore delle fiabe classiche, affermando che le storie “realistiche” per l'infanzia appaiono spesso comuni e banali e che risolvono problemi precisi e limitati incontrati nella vita “reale”. Ma Bettelheim si chiede quali se esistono problemi più difficili da affrontare, e più “reali” per il bambino, dei suoi conflitti edipici, dell'integrazione della sua personalità e del conseguimento della maturità che include la maturità sessuale. In questo senso possiamo affermare che al contrario delle fiabe realistiche alcune fiabe tradizionali e altre più contemporanee particolarmente riuscite, come quelle di Marina Valcarenghi, sono “vere” in quanto colgono impulsi, desideri e sentimenti presenti nella mente del bambino. Per Bettelheim “Cappuccetto Rosso proietta in forma simbolica la bambina nei pericoli dei suoi conflitti edipici durante la pubertà e poi la salva da essi, così che sia in grado di maturarsi libera da conflitti.” 84 Cioè la protagonista sta “cercando di comprendere la natura contraddittoria del maschio e sperimentando tutti gli aspetti distruttivi della sua personalità: le tendenze egoistiche, asociali, violente, potenzialmente distruttive dell'Es (il lupo); le propensioni generose, 83 Ibidem, p.90. 84 Bettelheim B., op.cit., p.166. 44 sociali, sollecite e protettive dell'Io (il cacciatore).” 85 Potremmo dire che assumendo la posizione di Freud rispetto al sogno, per cui tutti i personaggi sono immagini del sognatore, così Bettelheim riconduce i personaggi delle fiabe a istanze interiori e la fiaba è “il sillabario mediante il quale il bambino impara a leggere la propria mente nel linguaggio delle immagini”.86 A proposito di Biancaneve Bettelheim osserva che si tratta di una fiaba che esprime i sentimenti di narcisismo e di gelosia del bambino. L'autore parla genericamente di “bambino” anche quando le protagoniste sono femminili; in questo caso esamina sia il rapporto madre-figlia, anche come “proiezioni in figure separate di tendenze che sono incompatibili nell'intimo di una sola persona.87 Mentre secondo la Belotti il fatto che i nani la ospitino in cambio dei lavori domestici è la ricomposizione di un ruolo, per Bettelheim invece i nani sono da mettere in relazione con i giorni della settimana riempiti dal lavoro e “in questo mondo Biancaneve deve svolgere il suo lavoro se vuol crescere bene.88 Quanto alle figure maschili qui troviamo un padre debole, il cacciatore come immagine di padre adeguato e protettivo e il principe che la “porta via”. Ma tutto il lavoro sembra svolgerlo proprio l'eroina che si libera delle sue tendenze orali e distruttive, anche attraverso il sonno e il risveglio che simboleggia una rinascita simbolica. Il matrimonio secondo Bettelheim rappresenta un piano superiore e migliore, il regno della propria indipendenza. 85 86 87 88 Ivi. Ibidem, p.158. Ibidem, p.203. Ibidem, p.202. 45 La storia di Cenerentola sembra corrispondere a sentimenti profondi del bambino, offrendo immagini che danno corpo a vaghe e imprecise emozioni, anche se profondamente radicate ed in grado di condizionarne la vita. Bettelheim la associa alla storia biblica di Giuseppe; è una fiaba sulla rivalità fraterna o meglio sui sentimenti di ansia che uno dei fratelli o sorelle possano diventare per il bambino motivo di umiliazione e di dolore. Ma c'è anche qualcosa di più: “ogni bambino crede a un certo punto della sua vita -e non soltanto in rari momenti- di meritarsi per i suoi desideri segreti, se non anche per le sue azioni clandestine, di essere umiliato, bandito dalla presenza altrui, relegato in interni fuligginosi.(...)Egli vuole che gli altri -e soprattutto i genitori- credano alla sua innocenza e quindi è lieto che “chiunque” creda a quella di Cenerentola.” 89 quello che le sorellastre fanno a cenerentola giustifica i suoi pensieri cattivi verso i fratelli ed egli può non sentirsi colpevole per i suoi iracondi pensieri. Ma soprattutto dietro l'apparente umiltà di Cenerentola si nasconde la convinzione di una sua superiorità nei confronti della madre e delle sorelle. Non è grazie alla scelta del Principe che avviene il riscatto di Cenerentola, ma grazie ai propri sforzi e alla propria personalità. “Gli anni trascorsi da Cenerentola in mezzo alla cenere dicono al bambino che nessuno può sfuggire a questa esperienza. Ci sono momenti in cui sembra che esistano soltanto forze ostili. Che non ne siano in vista di favorevoli. (...) In certi momenti l'infelicità del bambino è così profonda che sembra durare all'infinito.(...) Cenerentola deve soffrire in intensità e in durata quanto il bambino crede di soffrire, perché la 89 Ibidem, pp.230-231. 46 sua liberazione risulti convincente e gli offra la certezza che lo stesso accadrà nella sua vita. 90 Dunque la fiaba guida il bambino verso la conquista della propria autonomia, dell'operosità e di una positiva identità personale. M. Von Franz dice di essere giunta alla conclusione che “tutte le fiabe mirano a descrivere un solo evento psichico, sempre identico, ma di tale complessità, di una così vasta portata e così difficilmente riconoscibile da noi in tutti i diversi aspetti, che occorrono centinaia di fiabe e migliaia di versioni, paragonabili alle variazioni di un tema musicale, perché questo evento sconosciuto penetri nella coscienza.(...) Questo fattore sconosciuto è ciò che Jung definisce il Sé.”91 La stessa Von Franz dice di essere consapevole della relatività delle interpretazioni, che non hanno valore assoluto, ma aggiunge: “Il motivo che ci spinge a interpretare è lo stesso che muoveva a raccontare fiabe e miti, è cioè l'effetto vivificante che se ne trae, la reazione benefica così provocata, la pace con il subconscio istintivo così raggiunta.”92 La scelta delle fiabe e l'interpretazione che ne viene data è necessariamente soggettiva e risente delle esperienze e della sensibilità personale. 93 Il metodo che si intende usare è quello illustrato da M. Von Franz, cioè “far spiegare la fiaba da sé, assumendo come punto di partenza 90 Ibidem, p.246. 91 V.Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri, Torino 1980, p. 2. Per la definizione di Jung di Sé, ci si riferisce in particolare a L'io e l'inconscio, Boringhieri, torino 1967, p.162. 92 Ibidem, p.40. 93 “In realtà l'interpretazione è un'arte, un'abilità, che si basa in definitiva sulla nostra realtà personale.. (...). E' inevitabile e giusto che sia così, perché si è costretti a impegnarvi tutto il proprio essere. Ibidem. 47 non una teoria prestabilita, ma l'ipotesi che si tratti d'un mistero vissuto da un essere umano, che tenta, come può, di comunicarlo.” 94 Le fiabe di Marina Valcarenghi erano pubblicate dalla casa editrice Savelli che nello stesso periodo pubblicò molte raccolte di fiabe a tema, con introduzioni critiche. Per il nostro studio è importante la raccolta Fiabe sui ruoli sessuali95, in cui troviamo nell'introduzione di Pietro Angelini e Cecilia Codignola una convincente riflessione su Cappuccetto Rosso. Seguendo le indicazioni di Bettelheim esaminano i due finali delle differenti versioni, quella ripresa da Perrault e tradotta da Collodi e l'altra, quella della tradizione orale raccolta dai fratelli Grimm. Nella prima nonna e Cappuccetto Rosso finiscono nella pancia del lupo, e la fiaba termina insegnando che “non bisogna mai fermarsi a discorrere con gente che non si conosce, perché di lupi ce n'è dappertutto”, mentre nella seconda il lupo viene ucciso e tutta la fiaba assume un significato diverso. Gli autori concludono che “questa fiaba dunque aiuta il bambino a conoscere e dominare i desideri nei confronti del lupo, a capire i pericoli a cui può andare incontro se vuole forzare le tappe e crescere troppo in fretta, ma contemporaneamente lo invita ad andare avanti, a crescere, a entrare nel letto, assicurandogli che il lupo sarà sconfitto. E se prevede l'esistenza del lupo dice che esiste il cacciatore, colui che vince il lupo e lo uccide. Ma fa di più. Lo avvisa che i suoi sentimenti sono di ognuno, e universalizza così quelle angosce che il bambino attribuiva solo a sé colpevolizzandosi.96 94 V.Franz M., Le fiabe interpretate,Torino, Boringhieri, 1980, p.11. 95 A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op. cit. 96 Ibidem, p. 12. 48 Codignola e Angelini inoltre ricordano che è l'uso antipedagogico delle fiabe ad essere responsabile del risentimento che oggi si nutre per questa forma culturale: spesso i personaggi vengono utilizzati dai genitori come strumento di terrore oppure come esempi di bontà e gentilezza, “invitando le figlie a essere dolci e servizievoli come Cenerentola, investendo le fiabe di problemi che sono loro, delle loro angosce, dei loro sogni svaniti, e soprattutto dei loro conflitti con i figli.”97 A loro dunque le fiabe tradizionali sembrano “utili, educative. Non tanto (...) nei valori che propongono, modificabili dalla realtà quotidiana, quanto per i problemi che affrontano, per il rapporto che favoriscono tra adulto e bambino.”98 Per questo suggeriscono di riappropriarsi di questo strumento culturale. Alla fine del libro è pubblicato un dibatto con i curatori, Elena Gianini Belotti, Mariella Gramaglia ed Enzo Rava. Belotti nota che “le fiabe non solo sono raccontate in maniera diversa a seconda che ad ascoltare sia un maschio o una femmina, (si pensi al tono della voce, all'accentuazione di certi passaggi, ecc.), ma sono vissute in maniera completamente diversa: in genere il ruolo del maschio è un ruolo vincente, predominante e quindi gratificante per il maschio, il quale si disinteressa completamente di quello che accade alla bambina corrispondente; invece la bambina si identifica nel suo personaggio che è in genere perdente e vive la fiaba in maniera conseguente e in modo altrettanto inconscio. Solo da quando si possiede una certa chiave (...) si è giunti a fare un'analisi critica di come e quanto le fiabe 97 Ibidem, p. 15. 98 Ivi. 49 possano rinforzare i ruoli.”99 Secondo Angelini invece il bambino si identifica in ogni caso con il protagonista della fiaba, anche se il personaggio non corrisponde al suo sesso e ricorda che La Bella Addormentata nel bosco può essere narrata al maschi e alla femmina allo stesso modo, perché “il maschi non si identificherà mai con il principe che è praticamente inesistente nella storia. 100 La stessa cosa era stata affermata da Bettelheim, parlando della passività e del sonno della protagonista come una protezione contro gli incontri sessuali prematuri.101 Per M. Von Franz “ che una figura femminile sia la protagonista di un racconto non significa certamente che la fiaba parli dei problemi delle donne, perché molte storie che descrivono le avventure o le sofferenze di una donna sono state raccontate dagli uomini e sono proiezioni della loro immaginazione, esprimono le loro aspirazioni e le difficoltà a vivere il proprio lato femminile e a entrare in rapporto con le donne.”102 In Particolare La bella addormentata contiene il tema di “una figura femminile che scompare o muore per rinascere o riapparire”103 , tema comune a leggende, miti e anche nei sogni individuali. Ricorda il mito di Demetra, la cui figlia Persefone scompare ogni inverno per raggiungere lo sposo Plutone e ricompare ogni primavera. E conclude che la fiaba “nella prospettiva individuale (..) è dunque quella di un complesso materno negativo nella donna, e ciò vale anche per l'uomo nel quale l'Anima si è addormentata.” 104 Invece per la Belotti, la protagonista “è vittima della maledizione 99 Ibidem, p.134. 100 Ivi. 101 Bettelheim B., op.cit., p.224. 102 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.8. 103 Von Franz M., op. cit., p.20. 104 Ibidem, p.55. 50 della strega, vittima dal principio alla fine, passa la vita inconsapevole di quello che le è successo, addirittura dormendo in attesa di qualche cosa che accadrà al di fuori al di là della sua volontà.” 105 Poiché l'angolazione della scrittrice è sempre attenta al problema delle differenze sessuali, essa nota che nelle fiabe è molto importante il problema dell'identificazione della bellezza con la donna: “nel momento in cui perde la bellezza la donna non è più nulla; mentre invece il potere le viene concesso proprio nel momento in cui diventa vecchia (la strega) e perde la bellezza. C'è insomma la sostituzione della bellezza con il potere, e con un potere malvagio.” 106 Per la verità questa affermazione viene confermata ed aggiornata dalla realtà attuale, come afferma Barbara Mapelli, per la quale “c'è una spinta a riportare le bambine nel mondo di una femminilità esasperata, dai libri di testo alla pubblicità, dai giocattoli alla narrativa, dalla moda al videogame, tutto descrive una figura di donna che culla e accudisce, che torna nella sua casalinghitudine, ma nello stesso tempo per vincere deve essere dotata di un corpo meraviglioso e attraente.”107 Per quanto riguarda la bellezza Codignola nota che “per la bellezza, è vero che si racconta che Biancaneve è bella perché ha i capelli neri come i corvi, la pelle bianca come la neve, e la bocca rossa come il sangue, però c'è anche Re Bazza di tordo che è uno storpio, c'è La Bella e la Bestia; (...) La fiaba è piena di tutto ciò che ci si vuol trovare e per questo è importante chi la racconta e come, perché ha la possibilità di premere, di insistere su certi valori piuttosto che su 105 106 107 .A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op. cit., p.135. Ibidem, p.137 e 138. Riportato in un articolo di Maria Novella De Luca, in Repubblica, 26/03/2011. 51 altri.”108 Rava sostiene che la cultura borghese ha usato le fiabe per un certo periodo, ma poi le ha emarginate, sostituendole con le favole da consumo, “le sole rimaste nella cultura corrente, impoverite, travisate, piegate a veicolo di conformismo e indottrinamento” 109 e fa riferimento alle versioni disneyane. Comunque dichiara: “la parola d'ordine di “abolire le favole in quanto veicoli di valori borghesi” mi sembra poi futurismo, come “fucilare il chiaro di luna”; come dire: aboliamo tutto e raccontiamo solo cose positive.”110 E in questo sembra confermare le osservazioni di Simona Argentieri sull'educazione della generazione del Sessantotto. Nel suo libro Il femminile nella fiaba, M. Von Franz ricorda “che la psicologia di C. G. Jung ha fornito alcuni strumenti concettuali che permettono di penetrare il senso delle fiabe e di accogliere, tradotti in linguaggio moderno, gli insegnamenti e i benefici effetti che esse in ogni tempo hanno avuto il compito di trasmettere.”111 Inoltre “riflettono l' “uomo eterno” e la donna “eterna” in noi, il modello fondamentale della nostra esistenza. Per i primitivi raccontar fiabe è una necessità vitale. Noi, nella nostra visione razionale, abbiamo in parte perduto quest'urgenza e a me sembra indispensabile cercare di recuperarla. Al giorno d'oggi abbiamo il movimento femminista, ma spesso mi pare che molti suoi membri siano quanto mai vaghi e incerti nel definire in che cosa consista la femminilità. E' giusto che sia così, perché essa al fondo è un mistero. Questi modelli fiabeschi, appunto, 108 109 110 111 A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op.cit, p.147. Ibidem, p.145 1 146. Ibidem, p.149. Von Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri, Torino 1983, p.7. 52 possono gettare un po' di luce su tale mistero. Hanno il vantaggio di essere astratti e vaghi. (...) In tal modo queste storie parlano alla nostra anima e c'illuminano senza erigere schemi di comportamento e allo stesso tempo senza defraudarci della responsabilità tutta nostra di trovare la via interiore a noi stessi.”112 Con altre parole, Franco Cambi: “La fiaba è, possiamo dire, l'atto narrativo primario che salda soggetto/tempo/destino in un percorso esemplare. Ma c'è di più: il mondo che lì viene rappresentato è un mondo antico, tradizionale, perduto, in cui i rapporti sociali, ruoli lavorativi, paesaggi e figura appartengono ormai a una condizione assai lontana, ma originaria e che è stata alla base di tutta la storia, pur assai variegata, della specie Homo sapiens. E quel mondo è lì presente nelle sue strutture, nelle sue ansie, nei suoi pericoli, nelle sue speranze.”113 Differenza tra fiabe che vogliono trasmettere qualcosa e fiabe tradizionali: Franco Trequadrini ci ricorda che “Il più autorevole pensatore e studioso che ci abbia posto sul territorio dei simboli e della loro ricaduta sulla fiaba è stato Mircea Eliade, con lo studio fondamentale, la Foresta dei simboli. Il simbolo nella fiaba non è dato dalla sua 112 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.205. 113 Cambi F., La fiaba e il mondo arcaico: la cultura magica, in F.Cambi, S.Landi, G.Rossi (a cura di) La magia nella fiaba. Itinerari e riflessioni. Armando editore, Roma 210. Il libro fa parte di un percorso formativo, iniziato nell'anno scolastico 1997-1998 con “Mostri e paure nella letteratura per l'infanzia di ieri e di oggi”, al quale hanno fatto seguito “Il paesaggio nella fiaba. Luoghi, scenari, percorsi”, “L'immagine della società nella fiaba” e appunto “La magia nella fiaba, che ha impegnato l'IRRE Toscana in collaborazione con l'Università degli studi di Firenze, Dipartimento di Scienze della Formazione, per dieci anni, in diverse sedi della Regione. 53 discendenza dal mito quanto piuttosto dal fatto che la macchina narrativa sarebbe destinata a rimanere inerte senza di esso. Essendo l'intreccio povero, anzi, come si è detto, inesistente perché la fiaba ha la sola fisiologia della fabula, essa sarebbe costituita, secondo alcuni da schemi e modelli rigidi unici. In realtà tale unicità è giustificata dalla mancanza di un obiettivo estetico e letterario da raggiungerequesto verrà solo in epoca relativamente recente- (...) Quella che produce la fiaba è una società che parla il linguaggio del simbolo e vive totalmente immersa in esso, (...) la fiaba non vuole tramandare “valori” bensì accumuli di significati che accolgono in un unicum vari aspetti che concorrono a comporre una visione e una valenza del reale.(...)La fiaba nella sua assoluta a-didascalicità intende favorire non la conoscenza, ma l'esperienza del male senza i traumi e le ferite interiori che esso comporta e si serve di fatti e strutture simboliche che condensano le immagini mentali che sono agente e strumento della narrazione fiabesca.”114 Le fiabe della Valcarenghi e della Pitzorno sono anche simboliche, infatti si prestano ad essere analizzate; per molte altre quello che conta è solo l'intreccio, il plot, per questo nessuno le ricorda più dopo averle lette. Secondo Paolo Borin “la produzione, da parte di autori contemporanei, di fiabe con un preciso sfondo realistico e con un chiaro riferimento all'ambiente reale di vita del bambino, non solo non lo aiuta a conoscere meglio la realtà, ma gli toglie una possibilità esplorativa della realtà stessa e può seriamente metterlo in allarme riguardo alla frattura che egli percepisce tra il suo mondo interiore e 114 Trequadrini F., la fiaba: l'azione a distanza e il mondo dei simboli, in Ibidem, p.43. 54 quello degli adulti che lo circondano. Privato della possibilità di frequentare un mondo dominato dalla fantasia e delle cui leggi egli può sentirsi padrone, potrà, da adulto, percepire come insopportabile e troppo gravoso il mondo reale e, per reazione, rifugiarsi in un mondo che con il reale ha perso gli agganci.”115 Inoltre nelle fiabe edulcorate, viene eluso il problema del male. Secondo la Von Franz “il grande rischio della dottrina cristiana del male come privatio boni e, dunque, della non esistenza del male consiste (...) nel fatto che essa provoca un'inflazione nel bene e un genere sbagliato di ottimismo gonfiato. Essa è in parte responsabile della nostra abitudine a considerare l'armonia delle cose e la felicità umana come qualcosa di dovuto, che Dio o la Società hanno il compito di offrirci. Un tale atteggiamento, mantenendo la passività dell'individuo, lo lascia nell'infantilismo. Se questa visione ha conferito slancio e ottimismo alla civiltà cristiana, è però alla base con un falso rapporto con la realtà.”116 Questo è il limite di ogni visione utopistica della storia della società e della storia e dunque della stagione utopistica per eccellenza, il Sessantotto. Inoltre possiamo notare che nel fantasy, che W. Grandi definisce “narrativa popolare” in quanto “ai nostri giorni risulta essere la forma di racconto più amata e consumata dal largo pubblico” 117, “difficilmente si racconta il momento della scelta tra Bene e Male; il lettore viene subito portato nel vivo della vicenda e della lotta: la 115 Borin P., Il senso del magico e la realtà del quotidiano, in op. cit., p.57. 116 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.185. 117 Grandi W., Elementi magici nella narrativa popolare: la Fiaba e il Fantasy, in La magia nella fiaba, op. cit., p.45. 55 scelta tra Luce e Tenebre è già stata fatta.”118 F. Cambi aggiunge che nella fiaba d'autore la magia “da visione-del-mondo partecipata e condivisa (com'è tipico della fiaba popolare) si fa “ingrediente” narrativo, che potenzia l'alterità di quel mondo narrato, la sua estraneità al mondo reale e la potenza che in esso viene ad assumere il fantastico.”119 “La fiaba, con la sua magia, assolve, anche al compito di rassicurare, di consolare, assumendo, per il bambino, la funzione che ha, per l'adulto, la fede. Come la fede, la soluzione magica non adotta i parametri della razionalità, ma richiede lo sforzo e l'impegno relativo necessari per la costruzione di un mondo del possibile, dove l'individuo è chiamato a costruire una logica diversa, con nuove leggi da comporre, con differenti conseguenze da ipotizzare.” 120 2.5 Fate, streghe e madonne “La fiaba è desiderio di volare. Le fate, le streghe, le bacchette, gli acciarini, i tappeti che volano, i topi che diventano valletti, le zucche che diventano carrozze dorate altro non sono che il desiderio di liberarsi da situazioni di disagio, di povertà estrema, di infinita sofferenza. Il povero ha sempre desiderato diventare ricco, la fanciulla povera di sposare il principe e di indossare splendidi vestiti con sopra stampati il sole o la luna o le stelle che, con il loro brillio, rendessero il vestito un pezzo di cielo.” 121 Volare è anche molto di più: desiderio 118 Ibidem, p.48. 119 Cambi F., Il magico nella fiaba d'autore, in la magia nella fiaba, op. cit., pp. 77-78. 120 Borin P., Il senso del magico e la realtà del quotidiano, in op. cit., p.59. 121 Rossi G., Presentazione del corso di formazione “La magia nella fiaba”, poi raccolto nel libro 56 di spiritualizzazione, aspirazione ad una natura fantastica anziché terrestre. Campanellino, la fatina di Peter Pan riesce a far volare solo chi crede nelle fate, molte fiabe parlano di fate che sono visibili solo a qualcuno che è stato prescelto. Secondo Sandra Landi la fata impersonifica “l'ispirazione, le soluzioni inedite e creative.”122 “Le Fate abitano luoghi di meraviglie assolute (...); portano doni fatti di pietre preziose, siano essi fiori, culle, ecc. E li producono con azioni immediate, con semplici gesti, alla maniera della magia arcaica. Sono mediatrici tra Cielo e Terra e rappresentano il Femminile, soprattutto materno e salvifico. Le Fate sono figure nuove, emerse dall'immaginario del Medioevo, che si rinnova radicalmente rispetto al passato producendo nuove figure (come ci ha ricordato Le Goff), quali il Cavaliere, il Santo, la Fata stessa.”123 Sappiamo anche le fate sono una nostra risorsa o qualcosa che abbiamo dimenticato, come la fata malvagia della Bella Addormentata. “Il tema della dea offesa è frequente perché, in effetti, la donna non sopporta di essere ignorata. (...) E' evidente che gli Dei rappresentano contenuti archetipici dell'inconscio, cioè complessi che ognuno possiede in sé e che non sono in alcun modo patologici(...). Ogni dio corrisponde a un comportamento istintivo specifico. La dimenticanza di un dio o di una dea sta a indicare che un comportamento psicologico naturale è trascurato: non è stato preso in dal titolo omonimo, Armando, Roma 2010, p.10. 122 Landi S., C'è bisogno di magia...a partire dalla fiaba, in La magia nella fiaba, op., cit., p.18. 123 Cambi F., La fiaba e il mondo arcaico: la cultura magica, in La magia nella fiaba, op. cit. , p.33. 57 considerazione o per artificio, o per stupidità.” 124 Così, le fate possono essere, come gli dei, capricciose, ambigue come quella di Pinocchio o smemorate come quella di Cenerentola, fino alla curiosa fata della Pitzorno. Analizzando la fiaba di Vassilissa la Bella, M. Von Franz descrive la figura della baba-jaga, che “incarna in modo meraviglioso il doppio aspetto della Grande Madre; le antiche dee come Iside e Demetra, possedevano questi due aspetti. Nei paesi cattolici l'aspetto luminoso della Grande Madre, dell'Anima e della donna, è stato proiettato sulla Vergine Maria, mentre quello ctonio, rimosso, s'incarnava nella figura della strega. La baba-jaga rinvia a una figura della grande Madre di tipo arcaico, nella quale il positivo e il negativo sono ancora mescolati.” 125 La baba-jaga possiede anche una scopa con la quale cancella ogni traccia del suo passaggio, che la Von Franz associa alla tecnica delle streghe umane “del “ssst!”: Per l'amor del cielo, non fate allusioni a me, non dite che sono io che ve l'ho detto...!”126 In un'altra fiaba citata dalla stessa autrice, La Gatta, compare una Madre di Dio che assume anche il ruolo di una fata malvagia o di una strega. “Evidentemente l'immagine ecclesiastica ufficiale della vergine risulta incompleta e di conseguenza la gente provvede alla necessaria compensazione.”127 L'autrice aveva parlato in precedenza del fatto che la Vergine spesso sia stata rappresentata “che allarga il suo mantello, sotto cui trova protezione una moltitudine di grandi piccole figure di 124 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.34. 125 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.164. 126 Ibidem, p.165. 127 Von Franz M., La gatta. Una fiaba della redenzione del femminile., op. cit., p.48. 58 peccatori che pregano; nella parte superiore, Dio padre con un'espressione corrucciata, con arco e frecce li prende di mira. (...) Maria è mediatrice. (...) Si crede che sia indulgente verso i difetti dell'umanità.”128 Secondo l'allieva di Jung, mentre le sacre scritture e gli insegnamenti religiosi forniscono la tradizione conscia di un popolo, nel folklore si trova la compensazione inconscia della tradizione collettiva. Così la gente semplice tende a “compensare e correggere le posizioni ufficiali della Chiesa.” 129 Inoltre “Il fatto che la Vergine Maria nella nostra fiaba sia rappresenta così al di fuori del suo contesto, domiciliata nell'inconscio collettivo, a palazzo come una sovrana, come un che di potente che ispira rispetto e sentimento di mistero, significa che l'archetipo è ancora in ascesa, che sta sorgendo all'orizzonte dell'inconscio collettivo.” 130 L'autrice mette in connessione la proclamazione dell'Assunzione della Vergine Maria con la quantità di preti che volevano sposarsi e di donne che chiedevano il permesso di accedere al sacerdozio. “E' l'archetipo del femminile che sta sorgendo nell'inconscio collettivo ed è ancora in ascesa. Così inaspettatamente, fra la gente, anche se non capisce quello che sta facendo, nascono dei movimenti originali. Se si osserva il fenomeno da una certa distanza, ci si rende conto che tali esigenze, incluse quelle espresse dai movimenti femministi, sono in completo accordo con ciò che accade nell'inconscio collettivo.” 131 Tra gli slogan del movimento femminista c'era : né streghe né madonne; M. Von Franz si chiede:”Cosa ha a che fare la Vergine 128 Ibidem, p.47. 129 Ibidem, p.49. 130 Ibidem, p.50. 131 Ibidem, p.51. 59 Maria con la persecuzione delle streghe? (..) Prima del sorgere e del diffondersi del culto della Vergine Maria era diffuso il fenomeno dell'amor cortese, delle cosiddette corti d'amore. Nelle corti d'amore gli uomini cominciarono a sviluppare il senso del rapporto con le donne e le donne con gli uomini: era l'inizio della relazione amorosa individuale con l'altro sesso. (...) Naturalmente l'amor cortese non era sempre platonico.(...) La Chiesa combatté l'amor cortese poiché le cose cominciavano a sfuggirle di mano. Fu proprio all'epoca della repressione dell'amor cortese e della sua sostituzione con il culto della Vergine Maria che cominciò la caccia alle streghe. “132 M. Von Franz, riferendosi a Jung, continua dicendo che “nell'amor cortese l'Anima dell'uomo e l'individualità della donna erano riconosciute, il valore individuale dell'esperienza era al centro della questione: si trattava di quel determinato cavaliere e quella determinata dama. L'uomo, in tal modo, poteva venire a conoscenza degli aspetti della propria Anima, poiché la dama l'aveva scelta personalmente, e anche la donna avere l'opportunità di sviluppare la propria individualità. Invece, sostituendo la scelta individuale con la Vergine Maria, un simbolo collettivo, l'elemento personale andava perso. Veniva preservata solo l'immagine collettiva del femminile.” 133 Conoscendo le streghe e le fate delle fiabe, dunque, possiamo conoscere le nostre emozioni e le istanze messe da parte, dimenticate per percorrere un sentiero unico e irripetibile che è quello della nostra vita. 132 Ibidem, p.68. 133 Ivi. 60 61 Capitolo terzo Tra decostruzioni e nuovi tentativi 3.1 Le fiabe di Marina Valcarenghi Sempre riferendoci al capitolo precedente sulle streghe e le fate, possiamo dire che la donna contiene in sé una molteplicità di ruoli e di funzioni; nelle fiabe di Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e scrittrice, compaiono vari tipi di bambine e di donne adulte. Nel panorama di revisionismo e messa in discussione dei significati e dei messaggi che le fiabe classiche proponevano, spicca dunque l’opera di questa autrice, che ha il merito di aver fatto un tentativo di partecipare al dibattito sulla fiaba in modo attivo, proponendo in prima persona due raccolte di fiabe molto originali e attente alla disputa sui ruoli proposti dalle fiabe classiche tanto criticati dal femminismo e dalla contestazione, ma allo stesso tempo fedeli agli archetipi universali. 3.2 Fiabe minime La prima fiaba della raccolta, Il Principe azzurro forse no inizia con un lessico non tradizionale, la bambina viene definita simpatica e carina e il padre “sempre ubriaco e capace di ordinarle solo questo e quello”. Nel primo volume pubblicato, Fiabe minime, l'autrice ha connotato i personaggi e gli ambienti in modo più contemporaneo e 62 preciso (compare in alcune fiabe il nome della città in cui si svolgono) mentre in Nuove fiabe minime questa preoccupazione di modernità sembra non sussistere. La fiaba poi ripercorre il tema tradizionale del viaggio e dell'incontro con la vecchietta saggia, anche se si mantiene sulla linea dell'ironia definendo i principi azzurri come personaggi che “girano per i boschi a cavallo cantando stornelli”. Viene quindi introdotta la trilogia degli oggetti magici, nello specifico un sasso, un libro e una conchiglia. Il loro uso anziché simbolico è piuttosto pragmatico per il sasso che si trasforma in grande roccia e la conchiglia che diviene acqua scrosciante, mentre il libro viene usato come strada, ponte e quindi come medium tra mondi diversi134. L'oggetto magico può essere terrificante o salvifico, come in questo caso. Flavia Bacchetti fa un lungo elenco di oggetti magici, dallo specchio ai fusi, alle scarpe, fino agli anelli, ripercorrendo non solo l'Alice di Carroll, ma anche la Rowling, fino alla Pitzorno: “L'oggetto magico è funzionale alla storia, ha un mero scopo di “legame di servizio”, utile al comporsi dell'intreccio narrativo. L'oggetto magico proviene da una figura classica della fiabistica: il donatore (il guardian spirit, secondo gli etnografi inglesi).”135 L'impatto con il principe è piuttosto deludente, perché non solo è molto prosaico nel suo benvenuto, ma si permette, lui che è stato passivo come una bella addormentata, di denigrare gli oggetti che hanno aiutato Corinna. Il principe azzurro così avventurosamente cercato non è che una edizione più giovane del padre di Corinna, un essere inetto che cerca 134 L'uso degli oggetti magici viene riproposto anche nei cartoni proposti attualmente, dalla Casa di Topolino a Dora e Diego, o I piccoli Einstein in cui come gioco interattivo si chiede ai bambini quale è l'oggetto giusto nelle varie circostanze. 135 Bacchetti F., La fiaba di magia: dai classici alla narrativa contemporanea, in La magia nella fiaba, op. cit., p.87. 63 di compensare le sue mancanze disprezzando l'altro, soprattutto dell'altro sesso e che urla e ordina per coprire la propria mancanza di identità. Come vedremo in seguito, comincia a delinearsi invece una nuova figura maschile, con caratteristiche diverse dal maschile tradizionale; infatti è dotata di Anima136, come compiutamente ha spiegato M. Von Franz analizzando le fiabe tradizionali, e analogamente le figure femminili vengono esaminate anche dal punto di vista dell'Animus, che in questo caso è positivo perché Corinna si libera di questo inetto e presuntuoso principe per unirsi a un ragazzo normale “che mi capisca e col quale fare tante cose insieme.” Il ragazzo adatto a lei viene descritto come bellissimo e viene aggiunto che “le sorrideva senza chiedere niente”, come ad indicare che con lui è possibile un rapporto paritario. Inoltre sappiamo che anche nelle sue mani c'erano gli stessi oggetti che aveva Corinna, cioè che il loro incontro è tra simili e che la relazione non è tra esseri mancanti, ma tra persone complete che vogliono condividere un cammino insieme. Sembra che questa fiaba, data la sua natura essenzialmente non realistica possa essere usata al pari delle fiabe classiche come “un importante espediente, perché evidenzia che il proposito della fiaba non è quello di comunicare utili informazioni circa il mondo esterno, ma di chiarire i processi interiori che hanno luogo in un individuo. 137 Le due bambine che si chiusero dentro parla di due sorelline che si 136 Jung chiama con le voci latine Anima, nell'uomo, e Animus, nella donna , la parte della psiche che ha attinenza col sesso opposto e indica sia la conformazione del nostro rapporto con esso, sia il deposito dell'esperienza collettiva umana al riguardo,. Vedi J.Jacobi, La psicologia di C.G.Jung, Universale scientifica Boringhieri, Torino , p.143 137 Bettelelheim B., Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1977, p.29 64 chiudono in bagno un po' in polemica con le proibizioni e il potere degli adulti. Loro vogliono “giocare in pace con l'acqua, che non ci lasciano mai” e non vedere la baby-sitter. Si portano tanti oggetti utili: coperte, cuscini, giochi, biscotti, panini, le bambole preferite, coltelli, forchette, cucchiai, piatti, libri, giochi di costruzioni e le loro seggioline di bambù. Resistono alle pressioni dei genitori, facendo anche notare che sole lo sono anche nella loro cameretta e che loro di giorno non ci sono mai. Le bambine si mostrano capaci di organizzare la loro giornata giocando con l'acqua, facendo il bagno alle bambole e usando i trucchi della mamma, non per imitarla, bensì per truccarsi da clown e da capo indiano. Infine mangiano e iniziano a fare ginnastica. A questo punto un folletto entra dalla finestra e le invita ad una festa. Il folletto somiglia a Tit, il personaggio del libro delle Avventure di Caterina della Morante e anche l'atmosfera della festa ricorda quella della Signora del Pineto con l'apparizione finale delle lucciole. Ci sono riferimenti alla quotidianità con i wurstel alla griglia, i gamberi con la maionese e le aranciate senza coloranti, sono raccontate filastrocche e storielle e alla fine le due bambine dormono tranquille nella vasca da bagno. Prima di dormire osservano che anche nel bagno possono succedere “cose pazzesche” e i genitori, dopo avere sfondato la porta le trovano “con un meraviglioso sorriso sulle labbra. Quindi indoviniamo che non verranno punite e che questa avventura avrà accresciuto il loro senso di indipendenza e la loro sicurezza in se stesse. La polverina magica ha per protagonista una bambina, Giovanna, che 65 decide di “fare qualcosa” a proposito di un Mostro, così lo chiamava la gente, che riusciva a far fare alla gente tutto quello che voleva. Così esce in pigiama, entra nel giardino della casa del Mostro, si arrampica sul muro ed entra dalla finestra aperta nella casa. Abbiamo un riferimento geografico preciso: la casa si trova a Roma. Giovanna non ha poteri eccezionali, ha solo il suo coraggio, anche se in questa occasione è messo a dura prova. La bambina scorge il Mostro che sta andando in bagno e si accorge che è “più o meno un uomo come gli altri, più o meno perché era più brutto e meno allegro”. Forse qui la storia può riecheggiare La Bella e la Bestia, ma poi prosegue descrivendo lo studio misterioso del Mostro, con i mobili neri, le tende nere, gufi e civette nere impagliate: Sembra un po' il sotterraneo della strega di Biancaneve anche per l'accenno alla magia e all'alchimia. Sulla scrivania ingombra di biscotti morsicati, cicche e altre cose c'è una scatolina con su scritto: “Polvere magica, basta un pizzico.” Così scopriamo che il Mostro oltre ad andare in bagno e a mangiare i biscotti è anche molto ingenuo e capace di arrabbiarsi quando Giovanna gli ruba la polverina e riesce, dopo un concitato inseguimento, a chiudersi in casa sua. Con la famosa polverina in suo potere la bambina agisce un po' da giustiziera e un po' da fata: fa chiudere le scuole noiose, lasciando aperte solo le altre; convince i genitori a lasciare alzati i bambini anche la sera, lasciando aperte anche le giostre e fece in modo che i negozianti di giocattoli regalassero la loro merce, facendo felici tutti i bambini di Roma. Ma il potere di Giovanna aveva un prezzo molto alto perché doveva stare chiusa in casa per difendersi dal mostro e anche dalla gente che 66 conosceva il suo segreto e per questo “adesso era lei che la gente non poteva più soffrire”. Inoltre stando sempre chiusa Giovanna si accorge che anche la sua casa sta diventando puzzolente di chiuso e di muffa, con gli oggetti che tendono a prendere un odioso colore grigio. Così volendo di nuovo la sua cameretta rosa, odorosa di sole e di pulito, Giovanna esce anche questa volta di notte e butta la scatola della polverina ben chiusa nel fiume pensando che “era giusto che ognuno facesse quel che voleva lui e non quello che volevano gli altri”. Viene da notare soprattutto il grande senso di responsabilità di Giovanna sia quando vuole porre fine al potere del mostro, sia alla fine quando si accorge che il potere finirebbe con l'annoiarla e rendere più triste la sua vita. Come nelle fiabe classiche, dopo un momento un cui si entra nel mondo della magia, ci si ritrova alla fine nella normalità, ma cresciuti e trasformati dalla prova di iniziazione. Giovanna ha la cameretta rosa, secondo i canoni, ma le sue gesta sono da moderna eroina, coraggiosa, capace di riflettere e di avere presente anche il bene degli altri. L'aeroplano a pallini inizia con “due genitori selvaggi” che avevano l'abitudine di punire Alice, la loro bambina, mettendola in castigo, chiusa in una stanza. “E più la mettevano in castigo e più diventava disubbidiente. Poche parole per commentare uno stile educativo fondato sulla repressione. La bambina sta affacciata alla finestra, “sperando di vedere qualcosa di bello”. Il libro della giapponese Tetsuko Kuroyanagi si intitola proprio Totto-Chan. La bambina alla finestra e parla di una bambina che è insofferente alle lezioni che le 67 vengono impartite e guarda sempre alla finestra in attesa dei suonatori di strada. In questa storia della Valcarenghi la finestra non rappresenta una via di fuga fantastica, ma reale perché appare un curioso aeroplanino arancione a pallini bianchi con “una buffa elica che sembrava una farfalla.” Alice è già un nome da fiaba e la bambina entra così nella magia, volando con il magico aeroplanino. Vanno sul Mississipi, il più grande fiume del mondo, secondo i desideri di Alice che può mangiare pannocchie abbrustolite e giocare a carte con i marinai. Cose quotidiane e avventure straordinarie si mescolano ancora una volta, con visioni di grandi alberi, grandi fiori e grandi animali, fino all'inevitabile ritorno. La bambina non appariva nemmeno all'inizio impaurita dalle punizioni, ma quasi annoiata dall'incapacità dei suoi genitori di fornirle regole, offrendole sicurezza e protezione. Ora chiede al piccolo aeroplano se tornerà e alla sua risposta “Certo, ogni volta che ti metteranno in castigo”, non può che dichiarare che si farà “mettere in castigo tutti i giorni”. Così i genitori selvaggi si puniscono da soli ed Alice dimostra di non scoraggiarsi e di saper utilizzare l'aiuto della magia. Elisa e la solitudine parla di una bambina, Elisa che ha paura di stare sola. L'autrice sembra suddividere il disagio di Elisa in una parte difensiva, annoiarsi e in una reale: la paura dei fantasmi, degli orchi e delle streghe. Anche in questa fiaba il mondo inconscio è vissuto come minaccia, perché non è stato tradotto in immagini visive così il problema di avere paura della solitudine appare alla bambina incomprensibile e di conseguenza insolubile. 68 Si introduce poi un elemento di quotidianità, una madre che “era andata a consegnare un lavoro”, ma è solo un inciso e quindi la fiaba prosegue con Elisa che rivolge la sua attenzione a un ritratto. Il ritratto rappresenta la Solitudine nelle vesti di una “signora pallida e bruna” vestita di bianco, sullo sfondo di aranci in fiore “bianchi anche loro”. Il riferimento ai fiori di arancio è alle nozze, come se per diventare adulta la bambina avesse bisogno di superare la prova della solitudine, di essere con se stessa e di bastare a se stessa. Inoltre il bianco sembra alludere all' albedo e al confronto con l'Animus. 138 La signora esce dal quadro “con passo leggero” ,si presenta e chiede a Elisa perché ha paura di lei. La bambina definisce le cose di cui ha paura come “di tutto quello che può succedere...di quello che non so...” e la signora la invita a considerare se stessa come un interlocutore, a dialogare quindi con la propria interiorità conoscendola senza timore. Le mostra come la solitudine possa essere risorsa e ricchezza insostituibile: “Ci sono cose che puoi fare solo con me e sono cose belle...” e enumera degli esempi: “inventare una storia, fare un disegno, un ricamo, e immaginare, ricordare, leggere, prendere una decisione, ascoltare in silenzio la musica o lasciare i pensieri correre dove vogliono loro..” Elisa e la Solitudine vanno in giro a trovare persone che non hanno paura di stare da sole su di un tappeto volante, richiamo alle fiabe orientali e a tante fiabe classiche, ma anche a viaggiare con la fantasia. Dopo un breve riferimento alla modernità, gli aerei, il primo paesaggio che incontriamo sembra mediorientale: ”una città rosa coi 138 Per questo termine vedi la nota n.5, a proposito della prima fiaba. 69 pavoni blu che passeggiavano per le strade e gli alberi della vita grandi come case.” Vanno a trovare un bambino con gli occhi neri che ha disegnato “un cavallo alato tutto nero con gli occhi di fuoco”, la cui immagine esce dal disegno per far salire Elisa e la Solitudine. Così il viaggio continua sul cavallo alato, che sia Ippogrifo o Pegaso139 rimanda alla mitologia e ai viaggi ariosteschi. La seconda meta è un igloo abitato da un uomo che suonava al violino una musica “terribilmente dolce” e infine la terza è “una casetta azzurra sulla riva del mare” abitata da una giovane donna “con un sorriso così bello che Elisa non avrebbe mai smesso di guardarla.” Scopriamo insieme alla bambina che la donna è una scrittrice e la sua ultima storia è sul sorriso di una bambina che sorride per la prima volta alla sua mamma. Quindi, dopo la scoperta di queste tre arti, la pittura, la musica e la letteratura che hanno bisogno dell'apporto vivificante della solitudine, Elisa sempre sul cavallo alato, viene riportata nella sua città. La Solitudine le ricorda che “esistono anche gli altri: gli amici, la mamma, il papà, i cuginetti, il nonno, la maestra, la gente che incontri e tutti sono importanti per la tua vita.” Come le fiabe classiche, la vicenda di Elisa inizia con uno spunto reale, la mamma che va a consegnare un lavoro, e una situazione problematica, la paura di stare da sola; poi “la logica e la casualità normali sono sospese, come avviene con i processi inconsci, dove si manifestano gli eventi più antichi nonché più mirabolanti e sorprendenti.(...)Alla fine della storia l'eroe torna alla realtà: una realtà 139 Pegaso, nato dal collo decapitato di Medusa, che a causa del suo odio non era capace di darlo alla luce, era figlio anche di Poseidone. Aveva aiutato Perseo a liberare Andromeda da un mostro marino e Bellerofonte contro la Chimera. Infine era stato trasformato nell'omonima costellazione. La parola greca pagai significa “sorgenti” o “acque”. Il suo analogo nella cultura orientale è l’Ippogrifo. 70 felice, ma priva di magia.”140 Ilaria e l'anello verde inizia con la partenza del padre della bambina “per un lungo viaggio, ma così lungo che nessuno poteva sapere né quando, né se sarebbe tornato. L'allusione sembra ad una scomparsa definitiva, ma il modo in cui è descritta è vago e favolistico e non trasmette ansia, anche se viene detto che Ilaria pianse “per tre giorni e per tre notti, e forse molto di più.” Bettelheim osserva: “Nelle fiabe il numero tre sembra riferirsi a quelli che in psicanalisi sono visti come i tre aspetti della mente: Es, Io e Super-io.141 Ilaria poi si immagina che il padre non avrebbe voluto vederla “triste e indebolita” e così “ricominciò a vivere con allegria.” Il legame con il padre attraverso l'Animus forse, non si è mai spezzato e Ilaria trova curiosando in un cassetto, un anello che lui le ha lasciato insieme ad un foglietto. Notiamo innanzi tutto il tema della curiosità, che nelle fiabe è sempre ambivalente, può indurre a pericoli, ma è anche segno di crescita e di cambiamento. Il mobile in cui è custodito l'anello è rosa, colore femminile e il cassetto è anche simbolo femminile, come un grembo, una borsa, qualcosa che custodisce, contiene. L'anello invece è verde, un colore che richiama la natura e la rinascita primaverile, la fertilità, ma anche la rabbia e l'invidia. Ilaria guarda i disegni che sono incisi nell'anello, ma non lo prende perché sul foglietto è scritto: “Bambina mia, questo anello sarà tuo quando saprai che è arrivato il momento.” L'anello è considerato segno magico in miniatura nelle fiabe e ovviamente segno di legame. Ilaria non può 140 Bettelheim B., op.cit., p.64. 141 Bettelheim B., op.cit., p.102. 71 dunque metterlo subito, non può sposare il padre, ma deve aspettare il momento giusto. Notiamo anche che non ci sono altre figure, né maschili né femminili, come se la coppia fosse composta da Ilaria e suo padre in modo un po' compensatorio, per poi evolvere alla fine. Infatti troviamo Ilaria grande, sappiamo che ha molti amici e che è ancora allegra, “le piaceva far ridere gli amici.” La ragazza parte per un viaggio in mare142 e non solo deve affrontare la tempesta e i pescecani, ma la nave “si sbriciolò come pane secco contro gli scogli di un'isola sconosciuta.” Ilaria viene morsicata da un pescecane, si fascia la ferita con il vestito e si addormenta. Certe volte i morsi degli animali trasmettono il potere degli aggressori, la loro forza e Ilaria ne ha bisogno perché è sola su questa isola, costretta a cibarsi di frutta e a pescare pesciolini. Il senso di difficoltà viene poi alleggerito dicendo che “avrebbe preferito un piatto di spaghetti e un pollo arrosto!” E Ilaria incontra un cavaliere, “coperto da un'armatura di ferro, come quella dei guerrieri del Medio Evo”. Gli chiede dove può trovare una casa e lui le dice che dovrà attraversare un bosco di acanto, che la ferirà “a sangue” e le regala il cimiero. Così Ilaria si accorge che il cavaliere è suo padre, la abbraccia, ma le dice che ognuno deve fare la propria strada, per ritrovarsi “un giorno”. Aggiunge anche: “sei grande ormai”.Il cimiero era la parte dell'armatura che serviva anche a identificare i cavalieri, quindi è una specie di firma, di immagine del padre trasferita alla 142 La nave è un contenitore femminile(...). La navigazione facilita le comunicazioni, il commercio e il diffondersi della cultura. Di nuovo sembra attendere al femminile, ciò che crea connessioni e porta la gente a incontrarsi. M.Von Franz, La gatta. Una fiaba di redenzione al femminile. op. cit., p.37. 72 figlia. Inoltre c'è il riferimento al sangue, simbolo di vita, ma anche di sofferenza. Inoltre Ilaria scopre abbracciando il padre che si può anche piangere di gioia; questa scoperta le apre lo scenario dell'isola non solo come qualcosa di ostile, da tenere a bada, ma come opportunità:“l'isola era bella: c'erano uccelli bellissimi e farfalle che volavano tra i fiori, l'aria era carica di profumi e verso sera il tramonto mandava il cielo in fiamme.” E infine Ilaria arriva al bosco di acanto, bellissimo ma terribile; Ilaria vorrebbe tornare indietro e non lo fa solo perché sa che si pungerebbe di nuovo. Quando era ormai senza speranza, “sanguinante coi capelli ritti e il vestito a brandelli, si trovò davanti a un castello.” L'acanto è simbolo della Resurrezione, perché fiorisce ma è pieno di spine, inoltre l'idea del capitello corinzio sembra abbia origine dalla metamorfosi di una fanciulla greca in pianta, secondo un topos greco abbastanza comune. Il castello è un simbolo regale e essere padroni di un regno nelle fiabe indica essere padroni della propria vita.143Ma un leone difende il castello “digrignando i denti e spalancando la bocca in terribili ruggiti.” Il leone rappresenta sia gli istinti vitali che la forza distruttiva della natura; vedendo il cimiero, che Ilaria ha indossato per proteggere la testa, il leone diventa docile, si umanizza e addirittura sorride. L'Animus della ragazza è positivo e l'aiuta ha costruire la sua vita. Infatti il castello contiene oggetti antichi, ma anche cose utili come “vestiti, tovaglie, pentole, piatti, posate, scarpe, golf, coperte e anche spaghetti, e libri e dischi, olio, burro, prosciutto e tante altre cose, tutte 143 Bettelheim B., op.cit., p.144. 73 quelle che si possono desiderare.” Ilaria ritorna alla realtà “facendosi finalmente un bagno” e si ricorda dell'anello che ha lasciato a casa. Ora riesce a decifrare le sue incisioni: le onde agitate del mare, un castello, un leone, un cimiero e due rami di acanto. Può tornare a casa e prendere l'anello “perché ormai era arrivato il momento.” La protagonista di questa fiaba ritorna alla sua vita quotidiana adatta per possedere l'anello, ha superato la pubertà come in un rito d'iniziazione, come Biancaneve e La Bella Addormentata, senza i genitori. Bettelheim osserva che “la temporanea assenza di entrambi i genitori al manifestarsi di questo evento simboleggia l'incapacità di tutti i genitori di proteggere i loro figli dalle varie crisi di crescita che ogni essere umano deve attraversare.”.144 La prossima volta sì si svolge a Bari e parla di una bambina di nome Martina che ha paura di essere contenta. La storia inizia con una specie di spaesamento: è estate e i suoi amici abituali sono partiti. Martina viene invitata a giocare con la fionda, ha voglia di farlo, ma fugge via spinta da un impulso inarrestabile. E' il suo gatto145 Senofonte che le spiega che cosa è successo: “Eh cara mia, è la paura . E la paura non è solo quella dei mostri o del buio, ma anche di essere contenti.” Il gatto spiega meglio: “paura che la contentezza duri troppo poco, paura di stare male dopo e anche paura che non sia possibile essere contenti”. Sembra che l'autrice si addentri in un 144 Ibidem, p.223. 145 M.Von Franz asserisce che il gatto, sul piano simbolico, è in stretta connessione con la coscienza e con tutti i processi creativi. Op. cit., p.63. Ci dice anche il gatto ha particolari qualità mercuriali, è conoscitore della vita e guida dell'anima. Ibidem, p.65. 74 territorio esistenziale e filosofico, ma in realtà anche i bambini conoscono bene questa sensazione che accomuna sia femmine che maschi.. Infatti Martina torna di nuovo ai giardini, ma non trova più il bambino con la fionda; ne vede uno con lo skateboard e si avvicina decisa, ma quello scappa via come lei aveva fatto prima. Martina comincia a pensare che non è facile giocare e domanda ad un passerotto: “Cosa dici tu? La prossima volta andrà meglio? Sarà interessante? Saremo più furbi tutti e due?” E il passerotto risponde”Sì, la prossima volta sì.” Martina crede al giudizio del passerotto e si tranquillizza. E' una storia molto moderna con questo accenno alle vacanze e a un gioco nuovo come lo skate, anche se l'altro gioco è la fionda. E' moderna la tematica: l'insicurezza, la paura di partecipare, di giocare e insieme il desiderio di stare con l'altro, il rimpianto per quello che si è perso. Quanto al passerotto sappiamo che “gli uccelli rappresentano in generale entità psichiche di carattere intuitivo o di pensiero.”146 Quindi ha tutta l'autorità per rassicurare una bambina sul suo futuro. La bimba-rondine torna ancora sul tema degli uccelli, che come ci insegna la Von Franz, sono “abitanti dell'aria, appartenenti al regno del vento, che è sempre associato al respiro e quindi alla psiche umana.”147L'inizio della fiaba però ha subito un riferimento contemporaneo: l'uomo-ragno. L'uomo-ragno è diventato tale mangiando una zampa di ragno e Lucia, 146 Von Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri Torino 1980, p.60. 147 Ibidem, p.61. 75 la protagonista, viene incoraggiata a mangiare un'ala di rondine per poter volare. Ma la rondine si rifiuta di cedere l'ala e si accordano per una piuma. La piuma ricorda la fiaba intitolata proprio Le tre piume dei fratelli Grimm ed è simbolo dello spirito. Sempre la Von Franz nota che gli Indiani del Nord America si attaccano delle piume sul corpo quando “designa se stesso come un essere psichico e spirituale”.148 Torna un riferimento ironico al quotidiano: Lucia non aveva molta voglia di ingoiare una piuma, così nuda e cruda, preferiva le patate fritte”. L'uomo-ragno interviene con una piccola filastrocca: “Per poter alla fine volare, qualcosa dovrai pur pagare!” che sembra un po' ricordare chi vuol bella apparire un po' deve soffrire. In realtà il messaggio è molto diverso perché mentre quello dell'uomo-ragno è rivolto ad entrambi i generi e sembra alla metamorfosi in generale, il secondo è un messaggio per il genere femminile ed allude a tutte quelle pratiche che accrescono la possibilità di essere avvenenti e di accrescere la propria bellezza. Lucia riesce ad ingoiare la piuma e si trasforma in rondine iniziando a volare. Sono descritte le sue sensazioni mentre guarda le cose dall'alto, sfiora le cime degli alberi ed abbraccia le nuvole. Ma poi si specchia sulla superficie di un lago e si accorge di essere vestita in jeans e maglietta, un abbigliamento inadatto ad una ragazza-rondine. In questo caso l'abbigliamento sembra significare un atteggiamento interiore, “nei misteri iniziatici il cambiar vestito indica la trasformazione e il passaggio a una comprensione illuminata”. 149Così 148 Ibidem. 149 Ibidem, p.175. 76 Lucia trova una donna che le cuce una tuta da rondine e torna nel bosco da cui era partita. Qui si accorge che i cacciatori stanno sparando agli uccellini e si nasconde insieme alle sue amiche rondini. In questo caso i cacciatori non hanno valenza simbolica, come nella fiaba di Biancaneve o di Cappuccetto Rosso, ma sono molto legati alla realtà. Lucia a questo punto è un po' tentata di ritornare bambina, per non essere più individuata come bersaglio, ma poi si vergogna di questo pensiero e decide di “stare dalla parte delle rondini e non da quella degli uomini”. In questa fiaba Lucia non ritorna quella di prima , ma rimane ragazza-rondine e impara a volare in alto “ma così in alto che mai nessun fucile e nemmeno nessun cannone riuscirebbe mai a raggiungerla.” la fiaba termina con questo riferimento pacifista che è anche la spiegazione del motivo per cui non abbiamo mai incontrato la ragazza-rondine sopra le nostre teste. Il viaggio di Marina è una delle fiabe più ricche di contenuti e di suggestioni. Marina, la protagonista, ha lo stesso nome dell'autrice e non ha mai visto il mare. “Questo fatto, considerando anche il suo nome, le sembrava un'assurdità.” Poi sente il rumore del mare attraverso una conchiglia “un sospiro forte come il vento e tenero come una carezza, “come se il mare, attraverso quella conchiglia, le dicesse di andare da lui.” Marina non va verso il mare perché incompresa o sola, lascia una bella casa, bravi genitori e fratelli simpatici. Prende con sé i suoi risparmi, una coperta ed un temperino. Il temperino è un accessorio maschile, la coperta serve a riscaldare il corpo, ma anche il cuore e i 77 risparmi sono qualcosa di concreto. Marina cammina cammina, come in tutte le fiabe ed incontra un ragazzino di nome Alessandro. Alessandro è il nome di un grande imperatore e anche il ragazzino ha grandi progetti perché è in viaggio alla ricerca delle montagne. Vuol convincere Marina ad andare con lui e sembra convinto della superiorità dei suoi progetti perché esclama”Ma che differenza fa per te mare o montagna? Così facciamo il viaggio insieme e ci teniamo compagnia...” L'obiezione di Marina è inoppugnabile: “Perché allora, se è uguale, non vieni tu al mare?” Alessandro non sa cosa rispondere e dopo avere insistito sul suo proposito con dolcezza e anche con rabbia, minacciando di buttarsi nel fuoco o nel fiume, capisce che Marina è decisa a raggiungere il mare e si incammina da solo verso i monti. Questo episodio sembra riferirsi al rapporto tra i sessi, alla presunta superiorità maschile e al diverso peso che sembrano avere le inclinazioni e le scelte anche nell'ambito di una coppia adulta. Marina cammina ancora per giorni e giorni dormendo nella coperta sotto le stelle, finché in un bosco fitto e scuro, pieno di “rumori strani, sibili, fruscii, ruggiti cavernosi”, viene punta da un serpente. Non si perde d'animo e praticando un taglio nella gamba con il temperino, fa uscire il veleno. Questa è una grande prova di coraggio e Marina ne è consapevole; fa anche un'altra riflessione: “Che buffo che quando ci si fa un male, per mandarlo via è necessario farsene un altro. Sarebbe più logico che per mandare via una cosa brutta si dovesse fare una cosa bella...” Il serpente può essere indicato come elargitore di conoscenza, sia in senso negativo come nella Bibbia, che il senso positivo, come nella filosofia Yoga o nella cultura Atzeca o egiziana. 78 Marina è stanca e teme di aver fatto una grossa sciocchezza in questo suo tentativo di arrivare al mare; si lascia cadere su un prato e piange. Le lacrime della bambina, che sono anche di rabbia, sembrano evocare, nel loro elemento acqueo, una piccola nuvola, carina, bianca, a forma di ricciolo. La nuvola elemento del cielo e dell'acqua sembra anche nella sua forma alludere a qualcosa di arrendevole nella sua mutevolezza e morbidezza, forse un ritorno alla parte femminile con il riferimento al ricciolo e all'essere carina. La nuvola riporta anche alla leggerezza “non fare la fifona, non lo sapevi che andare al mare non è facile come andare a scuola?” Così sdrammatizza e si mette “a correre per il cielo allegra e pazzerellona.” Poi la nuvoletta lascia Marina perché deve piovere sui campi e far crescere i pomodori: una nozione di scienze e di filosofia nel senso che non può splendere sempre il sole nel cielo e nel nostro orizzonte personale. Marina non la vuole lasciare andare, non vuole stare sola, ma la nuvola ha una risposta di grande rigore esistenziale anche a questa affermazione: “Sciocchezze,-rise la nuvola- se non vuoi stare sola vuol dire che non stai bene con te, vuol dire che non ti vuoi bene. E se non ti vuoi bene tu come vuoi che te ne vogliano gli altri?” Il fatto che dica tutto questo, così difficile da accettare per tutti e certo maggiormente per le donne, ridendo, alleggerisce una verità profonda e faticosa; Marina manda al diavolo nuvola e pomodori e decide di cercare “persone e animali con cui stare.” La via dell'individuazione è un percorso irto di prove e pericoli e la bambina sembra prendere un periodo di sosta, di riposo in cui riprendere le forze. Non si fa mancare 79 niente: fa amicizia con “studenti, ippopotami, ragni, camionisti, bambini, cani e gatti.”Quando sente di nuovo il rumore del mare attraverso un'altra conchiglia ne ha paura, allora “cercò di non pensarci e si abbonò a Topolino; andava sempre al cinema, giocava sempre a flipper e beveva un sacco di aranciate. I riferimenti ai passatempi e ai giochi è molto divertente e può ricordare anche un determinato periodo politico-sociale, quello denominato del “riflusso”. Una notte, senza dire niente a nessuno Marina parte ancora con coperta e temperino, non ha neanche più i risparmi, ha paura (consapevolezza), piange, ma ha voglia di andare. Quando il cammino verso l'individuazione è stato intrapreso non si può rinunciare a percorrerlo e Marina non si fa fermare neanche dall'orco “grande e feroce, con due baffi spaventosi, un pancione enorme tutto pitturato a draghi e col cranio pelato”. L'orco definisce il mare “una pozzanghera salata” e solleva Marina come una piuma. Marina allora si arrabbia davvero e l'autrice ci rivela che “le rare volte che si arrabbiava sul serio, diventava forte come braccio di ferro e senza nemmeno bisogno di spinaci”. Qui Marina ci ricorda un po' Pippi Calzelunghe, che tra le molte cose eccezionali, poteva vantare anche la forza. 150 L'orco invece ricorda il Mago di Oz, perché quando viene spinto via energicamente dalla bambina diventa lamentoso e la rimprovera così: “io volevo solo dirti che ti comporti male, che fai stare in pena i tuoi genitori, che non vai più a scuola, che sei tutta in disordine e tutto questo non è da brava bambina!” Anche la risposta di Marina sembra riecheggiare le caratteristiche di due dei personaggi del Mago di Oz, 150 “La cosa più eccezionale in lei era la sua forza.” Così Astrid Lingren definisce la sua eroina. Lingren A., Pippi Calzelunghe, Salani Milano 1988, p.7. 80 infatti dice”non sei che uno stupido orco senza cervello e che fa finta di avere un cuore.” Poi aggiunge parole che documentano il raggiungimento della sua identità: “io sto facendo una cosa importante, un viaggio e i miei genitori lo capiranno; e se non lo capiranno peggio per loro.” L'orco si rivela invece un fifone perché scappa di fronte a un ragnetto e Marina ride ritrovando l'allegria e sentendo che ormai il mare è vicino. Gli appare “all'alba, dietro a una collinetta: un verde infinito e tremante.” Marina impara a nuotare e gode delle possibilità che il mare le offre: tuffi, pesciolini, conchiglie, spruzzi, fresco su tutto il corpo e gli occhi che bruciano per il sale. Solo dopo avrebbe ascoltato le mare del mare: “Sono pericoloso, dentro di me si può morire; tu impara a non resistermi, lasciati andare alla forza delle onde, la loro forza è la tua, e tu sei parte di me.” Queste frasi ricordano i primi versi della poesia di Baudelaire e contengono suggestioni profonde sulla capacità di abbandono e in senso di appartenenza al cosmo in senso creaturale. 3.3 Nuove fiabe minime L'aquilotto e la strega ricorda un tema di Hansel e Gretel, l'oralità. Infatti l'aquilotto Luciano non solo si mangia una casetta interamente fatta di chicchi di miglio, ma anche la statuina di miglio che in realtà era un'orrenda strega “piena di bitorzoli”. Luciano si è lasciato trascinare dalla propria avidità e dalla soddisfazione orale e per questo ha messo in pericolo la sua stessa vita. Bettelheim spiega molto bene 81 il meccanismo per cui la regressione “sopprime ogni individualizzazione e indipendenza. Essa giunge a mettere in pericolo l'esistenza stessa dell'individuo, dato che le inclinazioni cannibalistiche si incarnano nella figura della strega stessa. (...) Quando i bambini cedono agli impulsi incontrollati dell'Es, simboleggiati dalla loro sfrenata voracità, rischiano di essere distrutti.”151 Inoltre l'aquila, re degli uccelli, “indica l'intuizione spirituale, pensieri elevati, l'ispirazione.”152 Infatti Luciano capisce subito la lezione e non mangia i sette grani di miglio che gli da la strega, ma li usa per costruire un percorso che conduca il suo amico merlo dalla mamma aquila. Il merlo nella tradizione celtica è detentore dei segreti della magia. Il numero sette ha una simbologia cosmica molto forte: sette sono i giorni della Creazione, i giorni della settimana, i sette saggi e il sette è presente anche nella simbologia dell'Islam. Il merlo giunge così dalla mamma aquila che le spiega che cosa deve fare Luciano per sconfiggere la strega: quando lei sarà vicina dovrà accecarla con due precisi colpi di becco. Così secondo i consigli della sua mamma fedelmente riportati dal merlo, Luciano acceca la strega che stava per ucciderlo e il coltello che lei teneva in mano recide i lacci che lo tenevano prigioniero. Qui accecare sembra riferirsi alla luce che viene tolta alla strega, per riportarla al regno delle tenebre, ora che il suo travestimento è stato smascherato. Infatti dopo che era stato svelato il suo vero aspetto anche il cielo si era oscurato, il sole era scomparso e si era sentito un orribile tuono. Il coltello che nelle mani della strega doveva servire ad uccidere cade 151 .Bettelheim B., op.cit., p.157. 152 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri Torino, 1983, p.199. 82 proprio sui lacci che legavano l'aquilotto e lui è così libero di volare. La mamma aquila aveva detto che solo Luciano poteva accecare la strega e ottenere così la sua liberazione e infatti le sue ali alla fine della storia sono diventate più grandi e lui è libero di tornare dalla madre. Sono ancora appropriate le osservazioni di Bettelheim a proposito di Hansel e Gretel: “Per sopravvivere, essi devono sviluppare l'iniziativa e rendersi conto che la loro unica risorsa consiste nella progettazione intelligente e nell'azione. Invece di farsi subordinare dalle pressioni dell'Es, devono agire in accordo con l'Io.”153La fine della fiaba della Valcarenghi allude anche ad una specie di iniziazione: il becco dell'aquilotto ancora tenero è però capace di dare due colpi precisi che accechino la strega. Due del resto è simbolo di separazione dell'unità e Luciano torna dalla mamma dopo che ha superato la prova della separazione e del pericolo insito nella simbiosi. Conclude Bettelheim:”Spesso il bambino in età scolare non può ancora credere che sarà mai in grado di affrontare il mondo senza i suoi genitori: è per questo che vuole aggrapparsi a loro oltre il tempo necessario. Egli deve imparare a confidare che un giorno avrà la meglio sui pericoli del mondo, anche nelle forme esagerate in cui gli sono presentati dalla sua fantasia , e ne sarà arricchito.154 Lella che non cresceva mai era una bambina piccola come una bambola. La sua piccolezza non disturbava i suoi genitori, ma era un problema per lei, anche perché gli altri bambini, diventati grandi, la chiamavano “nanetta”. Il tema del crescere, del diventare grande ed in 153 Ibidem, p.158. 154 Ibidem, p.161. 83 particolare del passaggio da piccolo a grande è uno dei principali delle fiabe classiche ed anche di quelle dell'autrice. Questa fiaba allude anche al tema della diversità perché Lella, la bambina protagonista, è stanca di sentirsi chiamare “nanetta” ed è anche arrabbiata con i genitori che non si preoccupano della sua statura. Lei per crescere ha mangiato tanto, ma è diventata solo grassa ed ha fatto tanta ginnastica, ma è dimagrita di nuovo senza crescere “neanche di un centimetro.” Così Lella va nel bosco ed incontra una volpe che cerca di allungarla legandola con le braccia ad un ramo di un albero e i piedi a un altro ramo per poi cercare di allontanare un ramo dall'altro. Lella si presta a questa pratica dolorosissima senza risultati. Qui la volpe sembra un animale amico, anche se in alcune culture la volpe è un animalestrega.155 Lella piange fino a formare davanti a sé un piccolo lago. Il lago ricorda la scena di Alice nel paese delle meraviglie, ma qui dal lago esce un pesce “bello lucido che sembrava d'argento”. Il pesce è tra i simboli archetipici del Sé156, inoltre qui sembrava d'argento. E' associato a Diana, alla verginità, alla luna. Lella molto prosaicamente se lo vuole mangiare, ma il pesce le parla e le chiede di cercare un anello d'oro con una pietra rossa per salvarlo, dato che lui in realtà non è un pesce. “L'anello, in quanto oggetto circolare, è ovviamente uno dei molti simboli del Sé157, ma anche “simboleggia sia una relazione che un vincolo”.158 La bambina decide di aiutarlo e dimenticando la sua piccolezza, va a 155 Von Franz M., op.cit., p.175. 156 Ibidem, p.26. 157 Ibidem, p.72. 158 Ibidem, p.73. 84 cercare l'anello. Deve affrontare un'orrenda strega perché è lei che ha, al ditaccio adunco, l'anello d'oro con la pietra rossa. La strega si siede per mangiare un ricco pic-nic: cotolette impanate, pollo arrosto, patatine e sette ghiaccioli. Della simbologia del sette abbiamo parlato a proposito della fiaba precedente, è divertente che sia intrecciata ai ghiaccioli e alle cotolette. La strega si addormenta “come un ghiro”, Lella esce dalla felce in cui si era nascosta, sfila l'anello alla strega e fugge via. Naturalmente la strega si sveglia e minaccia di uccidere la bambina e di “farla a pezzettini!” Lella approfitta di essere piccola e saltella incessantemente, ma ha paura di stancarsi. Allora una voce le dice di buttare indietro tutto il suo dolore e la bambina dice: “Butto dietro di me tutto il mio dolore di bambina piccola.” Ancora una volta compare un lago formato dalle lacrime, ma questa volta nel lago la strega ci annega dentro. “In quello stesso istante la bimba si sentì crescere crescere crescere finchè diventò una spilungona.” E' felice, corre verso il pesce che le chiede l'anello. Lella teme di tornare piccola senza anello, ma la solita voce le dice: “Non ti serve più l'anello, dallo a qualcun altro, ora.” Così lo da al pesce che diventa un bambino e la invita a portare l'anello a qualcuno che ne ha bisogno. Così continua il viaggio di Lella che è ormai cresciuta e ha trovato un compagno di viaggio. Mauro entrò nella caverna ha per protagonista un bambino, Mauro, con “occhi scuri e un sorriso bianchissimo perché si lavava regolarmente i denti.” L'autrice mescola abilmente riferimenti al 85 quotidiano e temi più universali, come quello della caverna. Infatti Mauro, a cui “piaceva andare dove di solito gli altri non vanno”, arriva ad una caverna misteriosa, in cui nessuno aveva mai osato entrare. La grotta è simbolo di ricovero e custodia, ma può essere interpretata anche come simbolo di Ade, il mondo sotterraneo. Secondo il mito di Platone la caverna è associata all'ignoranza, come i suoi abitanti che credono che le ombre visibili siano cose vere. Può essere luogo di nascita, come quella in cui nacque Gesù, ma anche tomba. La sua ambivalenza è costituita anche dal fatto che può essere fonte di pericolo come habitat di creature mostruose, ma anche rifugio come quelle che sono state scelte dai santi. Questa grotta contiene molti dei significati che abbiamo esaminato: la sua imboccatura già la isola dalla città e dai rumori, ma è l'interno ad offrirsi agli occhi di Mauro come un mondo straordinario, in cui si aprivano strade, c'era un fiume sotterraneo con ponticelli, volte e stetti passaggi. Il bambino era attratto e insieme impaurito, ma soprattutto era la curiosità a farlo sentire forte dandogli coraggio. Così scende ancora fino a che sente qualcosa che le sembra un lamento. Infatti scendendo tre scalini si trova davanti un cane lupo dal muso feroce e dietro di lui scorge una gabbia con dentro una bambina. Si può notare che alla bambina non viene dato un nome, ma la sua condizione di prigioniera non sembra legata al genere; infatti è solo ad una lettura superficiale che anche La Bella Addormentata nel bosco viene interpretata come un modo di rappresentare la passività femminile. Bettelheim coglie un aspetto molto importante: “Anche quando la ragazza è presentata ripiegata su se stessa nella sua lotta per la conquista della propria individualità e il 86 ragazzo in un rapporto aggressivo con il mondo esterno, sono questi due atteggiamenti insieme che simboleggiano i due modi in cui l'individuo deve conquistare la propria identità: imparando cioè a comprendere e a dominare il mondo interiore e quello esterno. In questo senso gli eroi maschili e femminili sono di nuovo proiezioni in due diverse figure di due aspetti distinti (artificialmente) dello stesso processo che chiunque deve attraversare per diventare adulto.” 159 Anche qui la bambina sembra introdurre al mondo dell'interiorità, infatti il bambino non riesce neanche a vederla bene, ma sente che dice: “Solo tu puoi salvarmi, tu che hai avuto il coraggio di arrivare fino a qui. Contro il cane che mi fa da guardiano nessuna arma ti servirà, dovrai trovare il serpente verde. Per aprire la gabbia è inutile che cerchi la chiave, ti servirà solo una formula magica e per spezzare le catene che mi legano, è inutile che cerchi lime o coltelli, ma solo un raggio di luce. Se tu non riuscirai a salvarmi, io rimarrò prigioniera per sempre.” Mauro decide di cercare queste tre cose. Tre è immagine della Trinità, “Jung sostiene che il tre è generalmente connesso con il flusso del movimento e perciò con il tempo, perché non c'è tempo senza movimento.”160 Così Mauro che ha paura dei serpenti, va nella foresta per cercare il serpente verde e lo trova che dondola dolcemente da un ramo dell'albero della vita.. Questa volta il serpente compare nella sua accezione positiva, associato appunto all'albero della vita e segue Mauro quando il bambino lo prega di aiutarlo a salvare la bambina prigioniera. Tutti hanno paura di loro e così i due si rifugiano in un 159 Bettelheim B., op. cit., p.218. 160 Von Franz M., op.cit.,p.81. 87 giardino dimenticato. Dopo la foresta ecco l'hortus conclusus, il giardino medievale in cui avvenivano le Annunciazioni e le visioni dei Santi. Qui sopra una pietra antica, Mauro legge un'iscrizione molto antica, che si riusciva a malapena a leggere: “Se per fare due ci vuole uno, per fare uno ci vuole due.” Mauro capisce che è una formula magica e la impara a memoria anche se non riesce a capirla. Il raggio di luce scende dal cielo in una notte di luna e si posa tra le sue mani. Come il Principe della bella Addormentata era il solo che avrebbe potuto svegliarla così per Mauro le tre cose compaiono miracolosamente evocate dalla sua sofferenza e dal desiderio di salvare la bambina. Come la vegetazione del castello si apriva al passaggio del Principe, così il serpente morde il cane che era davanti alla gabbia; allora Mauro recita la formula magica e la porta si apre da sola; non rimane che estrarre il raggio di luce”Fu come se all'improvviso tutto il sole, tutto il fuoco del mondo fossero entrati nella caverna e le catene si sciolsero liberando una bambina molto bella che finalmente poteva vivere.” La luna, che ha dato il raggio di luce è simbolo del principio femminile, “indica un atteggiamento femminile verso il mondo interiore ed esteriore, fatto di accettazione e ricettività dinanzi a ciò che accade.” 161 Mauro acquisisce questa capacità ricettiva e così riesce a salvare la bambina integrando con lei i diversi aspetti della personalità. Il sole che entra nella caverna “rappresenta un fattore psichico attivo che può creare consapevolezza maggiore”.162 I due bambini si rispecchiano, come la Luna è collegata al Sole, mentre il fuoco rappresenta la trasformazione. La fine della 161 Ibidem, p.139. p.172. 162 Ibidem, 88 storia rappresenta i due bambini abbracciati “così stretti, così stretti, che sembravano proprio diventati una cosa sola”, indicando sia la spiegazione della formula magica, sia le due parti, maschile e femminile, per giungere ad una identità completa e quindi alla possibilità di un incontro, della nascita di una coppia e del raggiungimento del Sé. La ragazza coi capelli biondi ha per protagonista una bambina con lunghi, fini e meravigliosi capelli biondi, di cui è molto fiera e che adorna con mollette, forcine, fiocchi e nastri, facendo di tutto perché vengano notati. Una sera la mamma le raccontò una storia che parlava di una ragazza, Sandra, che viveva vicino al polo nord ed aveva lunghissimi, fini, meravigliosi capelli biondi, “che la coprivano come un caldo mantello di seta.” Una sera la fanciulla stava affacciata al balcone guardando la luna e sognando di quando si sarebbe innamorata. Passò sotto la sua finestra un bel giovane che la guardò a lungo e poi le chiese di sposarlo. Aggiunse anche che abitava in un paese lontano, “tiepido e dolce”, con una casa in mezzo ad un giardino di erbe e fiori di cui lei sarebbe stata il più bel fiore, oltre a diventare la regina del suo cuore. Alla domanda della ragazza sul perché del suo amore, il giovane rispose che era per i suoi capelli, dicendo:”Voglio intrecciare ai tuoi capelli tutte le mie speranze e voglio potermi svegliare ogni giorno inondandomi della loro luce.” La fanciulla rispose di tornare la prima notte di luna piena per avere la risposta e il giovane se ne andò cantando. Nel pensiero simbolico i capelli sono collegati all'erba, 89 capigliatura della terra e quindi alla vegetazione, come mostra l'associazione mentale del giovane. Inoltre tradizionalmente i capelli sono un'arma di seduzione, come ha già compreso la bambina a cui la madre racconta la storia. La storia continua con il passaggio di un altro ragazzo che chiese alla ragazza di sposarlo. Disse di essere un marinaio e aggiunse: “Sulla mia barca si sente il mormorio delle onde e il grande silenzio del cielo. Le mie compagne sono le stelle. Tu sarai la regina della nave e la stella più luminosa del mio cammino.” Alla domanda sulla ragione del suo amore, il ragazzo rispose: “Per i tuoi capelli. Il loro chiarore sconfigge il buio di qualsiasi notte. Voglio accarezzarli e vederli splendere come la più bella bandiera della mia nave.” Anche a lui la ragazza promise la risposta per la prima notte di luna piena e il ragazzo se ne andò danzando. Quando apparve la luna piena i due ragazzi si presentarono insieme all'appuntamento con Sandra e lei apparve sul balcone, tagliò i capelli e li gettò dal balcone dicendo: “Ecco, se sono i capelli che di me amate, veli dono volentieri”. E se ne andò in casa. In una versione di Cenerentola riportata da Bettelheim, la fanciulla si nasconde nella piccionaia e sull'albero “perché il principe la veda e l'accetti nella sua identità negativa di Cenerentola prima di assumere la propria identità positiva come sposa, perché ogni vera identità ha i suoi aspetti negativi oltre a quelli positivi.” 163 Questo può essere il motivo del comportamento di Sandra, insieme al desiderio di essere amata per la sua bellezza interiore, come per il 163 Bettelheim B., op.cit., p.264. 90 Mostro della bella e la Bestia o Il Principe Ranocchio. Inoltre il taglio dei capelli è simbolo di sacrificio e di trasformazione; infatti Sandra si affaccia di nuovo al balcone “coi suoi quattro peli sulla testa e il cuore gonfio di dolore.” Passò di lì un nuovo ragazzo, che si mise a suonare la chitarra, cantando una canzone in una lingua che la ragazza non conosceva, “ma il suono era così dolce che lei ascoltava incantata.” Anche questo giovane chiese a Sandra di sposarlo, ma aggiunse: “io non ho terra, né case, ma molti sogni nella testa e folli progetti. Vorrei vivere con te una vita di avventura e libertà.” Alla fatidica domanda sulla ragione del suo amore il ragazzo rispose: “Non lo so, forse un giorno fra molto tempo saprò dirti tutti i perché. Adesso so solo che, quando ci siamo guardati una scintilla si è accesa dentro di noi e una freccia ha inchiodato il mio cuore al pensiero di te.” La fanciulla non lo lasciò neanche terminare e si buttò nella sue braccia. Così finisce la storia di Sandra e la bambina domanda alla mamma: “E' finita la storia?” Al sì della mamma domanda ancora: “Ma poi i capelli le sono ricresciuti?” Alla risposta positiva della mamma la bambina sbadiglia e si addormenta. Forse è legata così strettamente all'identità fisica, rappresentata dai capelli, da temere di perderla, ma la mamma sembra saperlo e sicuramente l'aiuterà a crescere e ad acquisire consapevolezza. Lalla e il topolino racconta la storia di Lalla, che viveva con la sua famiglia in una casette di campagna e andava sempre a raccogliere le verdure nell'orto. Una volta, mentre era andata a prendere dei rapanelli 91 vede tra le piante di cavolo un topolino che la guardava. Lalla comincia ad urlare: “Mamma, un topo che schifo! Ho visto un topo!” Così la mamma va nell'orto con la scopa, ma il topolino è sparito. “In Grecia topi e ratti appartengono al dio solare Apollo nella sua fase boreale e invernale, simboleggiano il lato oscuro del principio solare.(...) Nel linguaggio psicologico significa che essi rappresentano molto spesso la personalità inconscia di un essere umano.” 164 Quando il giorno dopo Lalla va a cogliere l'insalata sente una vocina che diceva: “Ti prego, non scappare, Lalla” e poi aggiunge mentre la bambina lo sta guardando: “Ti prego non avere paura di me. I topolini non fanno male a nessuno. Guardami bene.” Lalla lo osserva in silenzio, poi va in casa con l'insalata senza dire niente alla mamma. La mattina dopo Lalla è impaziente di rivedere il topolino, che è lì che l'aspetta mentre lei raccoglie i pomodori. Per la verità “aveva l'aspetto morbido e gentile” e le chiede: “ Perché non mi parli? Perché scappi quando mi vedi?” La bambina risponde: “ I topi fanno schifo, sono sporchi, morsicano e fanno venire le malattie.” Qui ovviamente ci si riferisce alla paura dei topi come animali del sottosuolo, che mordicchiano, si muovono furtivamente e simboleggiano il lato oscuro della psiche umana. Per Freud erano legati anche alle fantasie sessuali. 165 Il topolino sembra conoscere bene tutto questo perché replica: “Anche gli altri animali, anche gli esseri umani qualche volta fanno schifo, sono sporchi, morsicano e fanno venire le malattie. Ma non sempre e non tutti. E così è anche per i topi. Io per esempio sono topo pulito, di buon 164 Von Franz M., op.cit., p.79. 165 Ibidem, p.80. 92 carattere e non capisco come posso fare schifo.” Così da a Lalla una bella lezione di autostima, aggiungendo alla sua osservazione sul fatto che la mamma ha paura dei topi e li scaccia con la scopa, “Peggio per lei....” e misteriosamente scompare. Lalla e il topolino incominciano ad incontrarsi ogni giorno nell'orto e diventano amici. Si scambiano anche dei doni: formaggio in cambio di libri. Qui l'associazione ironica è sul topo di biblioteca. Passano gli anni e quando Lalla è diventata una bella ragazza il topolino le chiede di sposarla, ma lei si mette a ridere dicendo: “Ma tu sei un topo e io una ragazza, come vuoi che ci sposiamo, non è possibile.” Lo accarezza, per addolcire il suo rifiuto, ma il topolino piange e fugge via. La ragazza lo insegue, ma il topolino correva velocissimo, fino ad arrivare ad un precipizio per buttarsi giù. Torna il riferimento all'inconscio perché il burrone era così profondo che non se ne vedeva la fine. Lalla piange pensando che il topolino sia morto e torna a casa. Ma non le interessa più niente, né l'orto, né gli amici e nemmeno i libri che le aveva regalato il topolino. Così va fino al precipizio e si butta giù sperando “con tutte, ma proprio con tutte le sue forze di rivedere il topolino”. Dopo essere precipitata a lungo, senza sapere dove, si trovò “adagiata su cuscini bianche di morbida seta nella sala di un palazzo sfolgorante di luce. Confermando di essere “il lato oscuro del principio solare”, il topolino è diventato un meraviglioso principe dai dolcissimi occhi verdi. E' stato l'amore di Lalla ha vincere il sortilegio di una strega cattiva e ora lei e il principe possono sposarsi e vivere felici e contenti. Entrambi hanno raggiunto al propria 93 individuazione e quindi si sono anche completati unendo maschile e femminile. Questo tipo di fiaba “quello che narra d'una donna che libera un innamorato che ha l'aspetto d'un animale” 166 esiste da duemila anni,, come illustra M. Von Franz, è stato inserito da Apuleio nell'Asino d'oro attraverso la favola di Amore e Psiche, dai fratelli Grimm in innumerevoli occasioni, come nella fiaba dell'Asinello, ma l'esempio più noto è La Bella e la Bestia. Bettelheim ha dedicato un intero capitolo alle fiabe sullo sposo-animale167 nel suo libro Il mondo incantato, sostenendo che “il messaggio di queste storie è che dobbiamo rinunciare agli atteggiamenti infantili e assumerne altri, maturi, se vogliamo stabilire quel rapporto di intimità con un'altra persona che promette felicità duratura per entrambi.”168 Silvia e il cavallo bianco parla di una bambina che abitava in una città che non le piaceva per niente perché “c'era un gran disordine e la gente andava sempre di corsa”. Silvia è comunque affezionata alla sua città, anche se spesso si cercava un angolino dove poter inseguire i suoi sogni ad occhi aperti. Il sogno le arrivava “come un cavallo bianco, al galoppo e all'improvviso”. Il cavallo rappresenta secondo la Von Franz “ la libido pulsionale”169; la bambina lo abbracciava come si abbraccia un vecchi amico, saliva in groppa e “lasciava che fosse lui a portarla nel mondo dei suoi sogni”. Le cose che faceva erano molto importanti come combattere contro le ingiustizie e liberare i 166 Ibidem, p.3. 167 Bettelheim B., op.cit.. Il capitolo si intitola Il ciclo fiabesco dello sposo-animale , da p.266 a p.297. 168 Ibidem, p.267. 169 Von Franz M., op.cit., p.138. 94 prigionieri di tutte le prigioni, ma anche piacevoli come nuotare fra i coralli ascoltare l'eco delle conchiglie e musiche meravigliose. Gli altri bambini non volevano giocare con lei e la prendevano in giro dicendo: “Silvia va a cavallo!” Ma un giorno il cavallo bianco arrivò davvero in città e aspettò Silvia davanti alla scuola per portarla verso le loro straordinarie avventura. Le disse anche: “La differenza col sogno è che questa volta non ci metteremo pochi minuti, ma tanto tempo, chi lo sa quanto. E attraverseremo pericoli e spaventi.” La bambina vuole essere rassicurata sul fatto che saremo insieme e faranno le cose dei sogni come liberare i prigionieri e suonare il violino, coltivare piante e guardare le stelle. Il cavallo acconsente e alla domanda “E arriverà il nostro mondo?”, risponde: “Arriverà”. La fiaba si conclude con l'immagine della bambina e del cavallo bianco “che correvano verso il loro mondo dei sogni che diventava vero.” Silvia ha accettato le sue parti più istintive, che la rendono diversa e migliore dai suoi coetanei, non si accontenta più di sognare ed è in grado di tradurre in azioni le sue fantasie. Questa fiaba è un esempio molto chiaro dell'osservazione della Von Franz per cui “tutte le fiabe ruotano intorno a un unico, identico contenuto, il Sé”. 170 La principessa più forte del mondo sembra parlare di quelle bambine a cui si riferiva la Belotti, che sono state incoraggiate ad essere forti, ad arrampicarsi sugli alberi e a combattere. Flavia era una giovane 170 Ibidem, p.188. 95 principessa, ma i suoi genitori non l'avevano incoraggiata in queste sue caratteristiche e non erano contenti, anzi le borbottavano: “Figlia cara, uomo dovevi nascere tu! Chi mai vorrà prenderti in moglie? Tu fai paura, non tenerezza e i giovanotti hanno paura di lasciarci la pelle in un matrimonio con te!” Sembra che abbiano dipinto il ritratto di una donna dominata dall'Animus, come direbbe la Von Franz171 e infatti Flavia rispondeva spavalda: “Se hanno paura che se ne stiano a casa dalla loro mammina! Come posso sposare un uomo che ha paura di me? Io sposerò solo chi riuscirà a farmi scendere dal mio cavallo e non me ne importa niente che sia un principe o un contadino, un guerriero o un poeta.” Intanto le sue amiche si sposavano e lei no perché tutti i cavalieri che si presentavano al castello venivano regolarmente disarcionati durante la sfida a cavallo. Le amiche sembrano rappresentare quel femminile compiacente e un po' ipocrita denunciato da tutta la letteratura femminista, perché la consigliano così: “Flavia, perché non fai a finta, solo a finta di essere un po' più debole? Che cosa te ne importa dopo tutto?” Sembrano le cose scritte sui blog che denuncia Loredana Lipperini nel suo libro Ancora dalla parte delle bambine. 172Flavia difende la sua identità e risponde: “Mi vergognerei per me e anche per la persona che dovrei imbrogliare.” L'idea di coppia di Flavia si basa sull'idea di stare insieme tra pari, come persone e non in un rapporto sbilanciato. Le amiche continuano nel suggerire luoghi comuni ed aggiungono: “rimarrai sola e la solitudine non è bella.” Qui Flavia ripete tra sé: “La solitudine...la solitudine..”, non si sa se pensando ai 171 Per la definizione di Animus vedi la nota n.24 che si riferisce alla prima fiaba. 172 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007. 96 suoi limiti o ironizzando sulle parole delle amiche. Intanto continua a galoppare a cavallo, a correre sui prati, a nuotare nei torrenti, a tirare con l'arco e “a starsene ore e ore sotto un albero con lo sguardo perso.” La Von Franz così descrive l'Animus: “L'Animus può da un lato paralizzare, dall'altro rendere più aggressivi. Le donne diventano maschili o dominatrici, tendono a distrarsi, quasi non fossero del tutto presenti a se stesse.”173 Un giorno si presenta un nuovo cavaliere, il principe di Agadir, che vuole sfidare la principessa, ha un cavallo bianco come quello di Flavia e combatte valorosamente, ma a vincere è ancora lei. Poi si presentano un giornalista di Roma, un capitano bretone e un chitarrista cileno, senza che cambi il risultato della sfida. Ormai nessuno pensa più a sposare Flavia e neanche lei pensa più al matrimonio, passano così molti anni. Poi si presenta un nuovo cavaliere, bruno, bello, grande e con un cavallo nero; ha il viso pallido ed un sorriso gentile. L'autrice descrive deliziosamente il giorno del duello, con la piazza imbandierata, la musica e i gelati. Con grande sorpresa di tutti, il cavaliere si presenta senza armatura, vestito di una tunica bianca “con un sole e una luna ricamati all'altezza del cuore; nelle mani non stringeva alcuna arma, ma un ramo di fiori di lillà.” Il bianco è il colore dell'albedo che in questo caso sembra rappresentare un atteggiamento ricettivo verso l'inconscio174, mentre il sole e la luna insieme sembrano significare l'unione dei due principi maschile e femminile; il fiore sembra 173Von Franz M., op.cit., p.159. 174 Ibidem, p. 144. 97 simboleggiare il sentimento175. La folla urla al cavaliere di armarsi mentre Flavia sta al suo posto con la visiera calata. Qui l'autrice sembra alludere anche al mostrarsi senza difese, alludendo forse al fatto che il comportamento di Flavia sia anche, oltre a un dato di carattere, un modo di difendersi dalla propria femminilità e dalle parti più fragili, più profonde. Infatti il cavaliere riesce a guardare Flavia negli occhi, mentre lei sta per tirare un fendente e le sorride. La spada cade dalle mani della principessa e il cavaliere le circonda il collo con il ramo di lillà. Così anche Flavia toglie l'armatura e rimane con il solito vestito bianco. I due si prendono per mano e vanno verso il re e la regina, che li attendevano a bocca aperta. La fiaba finisce con il riconoscimento della similarità del cavaliere e di Flavia, che ha scoperto attraverso di lui le parti che non conosceva della sua personalità. Così può esclamare: “Ecco l'uomo che non ha paura di me e non ha bisogno di farmi paura; io non so chi sia; ma lui sarà il mio sposo.” Il gabbiano e la colomba parla del perché i gabbiani, da uccelli che vivevano sulla terra come tutti gli altri, sono passati a vivere tra cielo e mare “e sembra che, giocando, vogliono unirli.” L'autrice dice che la storia le è stata raccontata quando era piccola come i suoi lettori. Dunque, quando i gabbiani vivevano sulla terra ed avevano il loro nido sugli alberi, il gabbiano Francesco fece un sogno in cui c'era una 175 Ibidem, p.151. 98 colomba bianca in mezzo al mare che gli sorrideva e lo invitava a raggiungerlo, poi si nascondeva per apparire di nuovo cinguettando. Il gabbiano non ebbe più voglia di vivere nel bosco e disse che sarebbe andato per mare in cerca della colomba. Il mare generalmente è simbolo dell'inconscio, assomiglia all'anima dell'essere vivente in quanto non ha posa, è irrequieta, non ha principio e non ha fine. La colomba rappresenta nella tradizione cristiana lo Spirito Santo e nelle fiabe la donna che ama176; è l'uccello di Venere e nell'alchimia raffigura l'albedo.177 La quaglia, il gufo sconsigliarono a Francesco di partire e il pettirosso e il falco negarono addirittura l'esistenza della colomba. Ma Francesco partì ugualmente, attraversò il bosco, una lunga pianura e alla fine arrivò al mare. Rimase intimidito alla vista del mare, ma poi cominciò a volarci sopra e gli venne fame. Lì non c'erano insetti da mangiare, ma dalle onde spuntò un delfino che lo chiamò: “Ehi, uccellino! Vieni a prendere i pesci. Sono buoni da mangiare e avrai fame...Ti vedo volare da tanto tempo!” Il gabbiano obiettò che non sapeva nuotare e il delfino si offrì di insegnargli a prendere i pesci: “Quando vedi un pesciolino in cima alle onde, ti butti in picchiata, tuffi solo il becco nell'acqua e lo prendi. Prova.” Dopo aver esitato per la paura, il gabbiano, vinto dalla fame, si buttò e riuscì a conquistare la sua cena; allora chiese al delfino se sapeva dove era la colomba bianca, “la più bella, quella dei sogni.” Ma il delfino non l'aveva mai vista, però gliene aveva parlato la balena, che l'aveva 176 Ibidem, p.38. 177 Ibidem, p.146. 99 incontrata nel mare del Nord. Così Francesco andò verso il Nord e volò a lungo, fino a non farcela più. Allora “reclinò il capino sulla spalla e si lasciò andare sulle onde rassegnato a morire.” Ma proprio in quel momento vide la vela di un bastimento e cela fece a raggiungerlo. Era una nave di pirati che gli dettero da mangiare e da bere e gli fecero un nido caldo dove riposare. Francesco non usò il nido, ma si arrampicò in cima all'albero del bastimento per scrutare l'orizzonte in cerca della sua colomba. Stava sempre lì, anche se ogni tanto faceva un giretto per pescare dei pesci. Una notte scoppiò una bufera spaventosa e una tromba d'aria inghiottì la nave. Francesco si sentì travolgere dalle onde e poi riuscì a riemergere, ma la nave era sparita. Volò disperato al buio, alla sua ricerca “finché apparve l'alba e una luce bellissima nel cielo sereno.” Il gabbiano vide una zattera con sopra un uomo e quando fu vicino riconobbe uno dei pirati che lo avevano aiutato. Allora lo aiutò a procurarsi il cibo, pescando i pesci con il suo becco. Poi una mattina apparve l'arcobaleno e poi la terra. L'arcobaleno è proprio il ponte di comunicazione tra cielo e terra, come il gabbiano della storia lo è tra cielo e mare. Dopo aver approdato,infatti, il pirata salutò Francesco e lui riprese il suo volo cercando la colomba. Quando stava domandandosi se esisteva davvero, la colomba apparve, candida e volteggiante, che spariva e riappariva nel cielo. Francesco la inseguì e quando finalmente si incontrarono “si dice che il loro fu un grande amore felice.” 100 Il gabbiano non tornò più sulla terra perché si era abituato a dormire sull'albero delle navi e a cibarsi dei pesci, tra le onde, a stare sospeso tra cielo e mare. Qui l'incontro tra maschile e femminile è inconsueto, ma ugualmente poetico e misterioso. L'elefante Tombolino e la lucciola Estrella erano innamorati, ma gli altri animali non accettavano il loro amore, anzi ne ridevano e la zebra e l'ippopotamo ne erano addirittura offesi. La loro convinzione era che ci si dovesse innamorare di un proprio simile, come prescriveva la legge. Invece l'elefante e la lucciola capivano che “l'amore è una cosa strana che non puoi mica sapere con chi ti prende. E soprattutto che le leggi non c'entrano per niente in queste cose.” Quindi la storia parla di una sorta di diversità, di amore contrastato. Infatti gli animali obbligarono Tombolino a guidare una spedizione di elefanti contro le pantere e Estrella a trasferirsi nella parte più buia della foresta per illuminarla. Tombolino combatté a lungo e coraggiosamente, soprattutto fece un duello terribile con una pantera, che lo mordeva e lo graffiava. Era rassegnato a farsi uccidere quando ricordò la vita nella giungla e la sua lucciola. Il desiderio di rivederla e la speranza che si sarebbero incontrati di nuovo lo indusse ad alzare la zampa e a colpire la pantera che ormai lo considerava moribondo. Così la guerra contro le pantere finì e Tombolino andò a cercare Estrella. Intanto la lucciola era intenta ad illuminare la jungla, anche se avrebbe voluto lasciare tutti al buio ed andare in cerca di Tombolino. Il senso 101 di responsabilità è il sentimento che accomuna i due innamorati. Ma una notte piombò su Estrella un enorme pipistrello che la circondò e la chiuse tra le sue ali dicendo: “Basta con questa maledetta luce! Devi piantarla lucciola del cavolo! Da quando sei arrivata tu le formiche, le api, le vespe, i ragni e i moscerini e insomma tutti quelli che io prima mi mangiavo allegramente riescono a vedere quando arrivo e non si fanno prendere più. Adesso ti mangerò e vedrai che i tuoi amici, che tu così gentilmente illuminavi, non muoveranno una zampa per aiutarti!” La lucciola si spense dalla pura, ma tutti gli insetti aiutarono Estrella a liberarsi dal pipistrello e la festeggiarono su una grande ninfea galleggiante sul fiume perché si erano resi conto che era molto importante per loro. Ma Estrella non partecipava ai festeggiamenti perché sentiva la mancanza di Tombolino e sapeva che non poteva rivederlo, mormorava: “ Ci hanno separati perché la gente non capisce che l'amore non c'entra con la grandezza, l'età, il paese, o il colore. L'amore arriva quando arriva.” Allora un'ape le chiese perché non tornava da lui ed Estrella rispose che era andato a combattere contro le pantere ed inoltre lei doveva continuare ad illuminare quella parte della jungla. Allora all'ape venne un'idea: “Insegnaci a fare la luce e poi vai a cercarlo.” Estrella insegnò agli insetti a sfregare le ali o le zampette una contro l'altra e “la notte in cui Estrella partì sembrò che la foresta ardesse in un'enorme fiaccolata in suo onore.” La storia termina con l'incontro dei due innamorati, l'accettazione da 102 parte di tutti gli animali di questo amore e la nascita di un “elefantino volante con una lunga proboscide luminosa.” E' una storia molto delicata, e poetica in cui i ruoli maschile e femminile sono tradizionali e speculari, ma l'intensità del sentimento riesce a convincere quelli che Estrella chiama la “gente”; quindi è anche un invito a difendere le proprie convinzioni e speranze. Si potrebbe anche dire che la luce di Estrella illumina non solo la jungla, ma anche il cuore degli animali fino ad allora conformisti e egoisti. Valeria partì per il mondo incantato ha per protagonista una bambina che è bionda come un'ape e molto bella, anche se non lo sa. Anche lei, come molti protagonisti delle fiabe di questa autrice, immagina un mondo incantato che preferisce a quello reale. Così un giorno parte alla ricerca di quel mondo. Il primo incontro è con “una signora molto grande con degli occhi pieni di coraggio”. Questa è una storia tutta al femminile in cui il viaggio è dentro se stessi. Infatti la signora avverte Valeria: “Stai entrando nel mondo incantato, dove l'ombra è più profonda e dove la luce è più limpida, comincia all'inizio di quella foresta. Non ti dico di non andarci perché so che è impossibile, ma voglio dirti che è pericoloso. Solo gli sciocchi credono che nel mondo incantato tutto sia facile. Invece molti da quel mondo non sono più tornati.” Valeria chiese come erano quelli che tornavano e la signora le dice che lei è tornata da quel mondo e poi aggiunge: “quando non avrai più lacrime, cerca di ricordare il tuo nome e ripetilo tre volte.” 103 L'elemento maschile in questa fiaba è il numero tre, che rappresenta il dinamismo dell'uno. Come abbiamo detto, M. Von Franz ricorda che Jung “sostiene che il tre è generalmente connesso con il flusso del movimento e perciò con il tempo, perché non c'è tempo senza movimento.”178 Così Valeria visse a lungo nel mondo incantato, imparando a parlare con gli animali e con le piante, conoscendo altri bambini con cui fare magie buone per guarire. Lì le stelle scendevano dal cielo e si poteva cavalcare la luna. In genere le stelle sono associate all'anima, possono essere “germi latenti e non definiti della coscienza”179 e in questo caso, dal momento che scendono possono portare al riconoscimento della propria identità. La luna che abbiamo visto come simbolo del principio femminile, qui viene cavalcata, come ad unire maschile e femminile. Erano proibite solo tre cose, ancora il numero tre: entrare nel punto più oscuro del bosco, salire sulla cima della montagna bianca e tuffarsi nel laghetto azzurro. La simbologia del bosco nelle fiabe è molto usata perché il bosco è come un mondo a parte, dove la visibilità è limitata, dove si può perdere la strada e incontrare animali selvaggi e pericoli inattesi, perciò è simbolo dell'inconscio. Ancora la Von Franz suggerisce una correlazione tra inconscio come natura selvaggia e forma organica e il corpo invece come forma inorganica, rappresentato dalle sostanze minerali della terra. Quindi attraverso le piante la materia inorganica diventa viva come la “vita del corpo nella 178 Ibidem, p.81. 179 Ibidem, p.139. 104 sua intima relazione con l'inconscio”.180La montagna come luogo vicino ai cieli è spesso luogo della rivelazione; spesso “è la meta di una lunga ricerca o il luogo di transizione verso l'eternità. Il motivo della montagna denota dunque anche il Sé.”181Il questo caso è bianca, colore dell'albedo, di cui abbiamo detto che è “caratteristico un atteggiamento ricettivo verso l'inconscio.”182Anche il lago in quanto elemento d'acqua indica un immergersi nell'inconscio, mentre il genere l'azzurro è associato all'elemento spirituale. Dunque Valeria pur sapendo che non doveva farlo entrò nell'ombra più fitta della foresta; sentì un terribile tuono e si accorse che non riusciva più a muovere le gambe. Il tuono in genere è associato alla giustizia e al castigo, essendo l'attributo di Giove. La bambina riuscì faticosamente ad uscire dal bosco e in un momento di disperazione e di rabbia, decise di salire sulla montagna. “Con le mani e coi gomiti strisciava verso la cima dicendo: “Voglio vedere quello che si vede da lassù: se non posso più camminare voglio almeno vedere.” Arrivata sulla vetta fu colpita da “una luce così accecante accecante che i suoi occhi si chiusero e non riuscì ad aprirli più.” La cecità spesso è simbolo di una luce interiore e di una conoscenza interiore. Valeria scese dalla montagna a tentoni, “urtando sassi e spine, graffiandosi e cadendo, finché rotolando giù finì a precipitare proprio nel lago azzurro. “ Sentì il piacere dell'acqua fresca sul corpo ferito e sugli occhi che 180 Ibidem, p.115. 181 Ibidem, p.116. 182 Ibidem, p.144. 105 bruciavano per le lacrime, ma quando uscì aveva perduto al memoria. Non ricordava niente, né chi era, né il suo nome e pianse a lungo, fino a non avere più forze ed a addormentarsi. Allora sognò la signora con gli occhi pieni di coraggio che le diceva: “Tu sei Valeria, un nome così bello, una così bella bambina. Coraggio ripeti il tuo nome tre volte e la magia si compirà.” Avevamo detto che il numero tre era simbolo del tempo e del movimento e infatti dopo aver pronunciato per tre volte il suo nome, la bambina si accorse che i suoi occhi si aprivano, le sue gambe si muovevano e tornavano i ricordi. “L'ombra della foresta, la luce della montagna e la profondità del lago erano intorno a lei. Valeria si specchiò nell'acqua e vide che era diventata più grande e che anche i suoi occhi erano pieni di coraggio. Era molto bella e adesso anche lei lo sapeva.” Ora che ha raggiunto la consapevolezza di se stessa, Valeria si rende conto che è difficile vivere nel mondo incantato, ma sa anche che è il suo mondo e può tornare a casa, almeno per un po' di tempo. Come nelle fiabe classiche si può tornare a casa, ma si è cresciuti e diversi da come siamo partiti. 3.4 Modelli universali per bambine nuove Le bambine di queste fiabe, come Alice, cercano un altrove in cui fuggire e liberarsi; l'altrove può essere fisico o esistenziale, infatti si alleano con animali, si trasformano in rondini, si librano a bordo di 106 aeroplani a pallini, rifiutano pretendenti banali, chiudono fuori i genitori dal loro orizzonte, affrontano viaggi estremi alla ricerca della loro identità, combattono in solitudine all'interno dei boschi che si ergono davanti a sé. M. Von Franz parla del ritirarsi nella foresta come “accettare coscientemente la propria solitudine e non cercare di accettare artificialmente relazioni che non risolvono affatto il problema. (...) Vivere nella foresta corrisponde, psicologicamente, a immergersi nella più profonda interiorità del proprio essere per farne la scoperta, liberi da ogni convenzione.”183 Aggiunge Emy Beseghi: “Di fronte a un destino sociale duro e definito la bambina, non può che stringere complicità segrete con tutto ciò che abita in zone indeterminate. Come il bosco o la montagna simbolo di un altrove rispetto ai territori su cui è tracciato il suo destino (casa, castello, ecc.). Il bosco, ad esempio, non è un rifugio ma una zona d'esperienza molto ricca, espressione di un'aspirazione primaria che precede l'impatto con la legge il principe, il matrimonio, il castello. Un altro motivo ricorrente è il senso di familiarità spontanea con lo sconosciuto e con gli esseri non umani: di qui la facilità a trasformarsi in sirena, ondina, ecc., quali percorsi immaginari più aderenti alla vita intesa come apertura e non come immutabilità.” 184 Queste considerazioni sulle fiabe sembrano comprendere anche quelle della nostra autrice, che “possono essere considerate come percorsi di incubazione e tentativi di tracciare la ricerca di una propria identità femminile.” 185 Questi personaggi dunque, a differenza di quelli delle fiabe classiche, 183 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri, Torino 1983, p.93. 184 Beseghi, E., Intorno ai silenzi sulle bambine, in Ombre rosa, (a cura di), Giunti e Lisciani Editori, Teramo 1987, p.16. 185 Ibidem, p.18. 107 che M. Von Franz definisce “immagini di processi archetipici alle quali manca un contesto umano, la vita reale, individuale e concreta”186, hanno invece riferimenti alla quotidianità e alla contemporaneità. Eppure, come gli eroi e le eroine di quelle fiabe, “delineano una connessione archetipica tra l'Io e il Sé, che richiede poi la realizzazione concreta nella vita di ogni persona.” 187 Le bambine della Valcarenghi non hanno la “consolidata e nordica abitudine alla libertà”, 188abitano le nostre città, hanno genitori distratti o apprensivi, ma hanno la caratteristica di non accettare passivamente la loro condizione, di voler superare le proprie paure e la dipendenza dagli adulti, di non essere disposte a rinunciare ai propri sogni. Elena Gianini Belotti ci parla dell'inquietudine di una vita in cui ci si accorge di ingiustizie contro la propria persona e si attribuiscono ad una propria colpa: “perché io ero sbagliata, perché non accettavo le norme, le regole, le esclusioni, le impossibilità, perché lottavo con rabbia contro limiti, legami, doveri che non sentivo miei, mentre scoprivo via via che non ero affatto importante per quello che ero, ma per quello che sarei stata in grado di dare e di fare per gli altri. (...) In questa altalena della mia identificazione tra l'uomo soggetto nell'avventura della vita, cui accadeva di combattere e vincere contro la natura o contro altri uomini perché lui stesso si era concesso questa vita e questa avventura e si era dato leggi per sé e per gli altri, e la bambina che era costretta a vivere da spettatrice la realtà maschile, stava la ragione e la chiave della mia mancanza di identità.”189 Le fiabe a cui ci 186 Von Franz M., Il femmnile nella fiaba, op. cit., p.24. 187 Ibidem, p.27. 188 Lazzarato F., Il rosa e il nero,in Ombre rosa, op. cit., p.65. 189 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, Rizzoli, Milano 1980. 108 riferiamo contribuiscono a creare il senso di identità di cui parla Elena Gianini Belotti e forniscono una dose di autostima che rende le bambine che le leggono più fiduciose verso il loro futuro. A queste bambine sono richieste le leggi morali degli uomini: la lealtà, il coraggio, la coerenza, la fedeltà alle scelte e alla idee, la serietà, l'impegno, il rigore, il progetto, le idee, la costruzione. Virtù che non erano contemplate per la bambina, che al contrario poteva fare tutto quello che era concesso agli schiavi, come calcolare, mentire, ingannare, sedurre, vendersi, prostituirsi, pregare, sorridere, piangere, ricattare, implorare, fingere, tacere. Uno dei pregi delle fiabe della Valcarenghi è che parlano anche di bambini che hanno virtù ritenute femminili come la dolcezza, la tenerezza, l'empatia e maschi e femmine sembrano camminare gli uni verso gli altri, non per abolire la differenza, ma per scoprire le affinità e il reciproco bisogno, per un vero dialogo. “Il vero dialogo si produce solo tra pari. Il resto è finzione, difesa, menzogna”, ammonisce l’autrice di Dalla parte delle bambine. Per sottrarsi alla passività le donne del passato hanno reagito usando varie strategie, dalle streghe alle piratesse alle avvelenatrici. Silvana Bonura190 in un libro recente ha fatto un catalogo delle 101 donne più malvagie della storia, cominciando da Lilith. Nell'intervista l'autrice dice che “da sempre, e si parla almeno dai tempi della Bibbia, le donne sono state descritte come figure angeliche o demoniache, senza mezzi termini, in ogni caso come figure passive, vittime cioè della propria natura, “gentile” o “debole”. Qui, in questo elenco nero ho 190 Bonura S., Le 101 donne più malvagie della storia, Newton Compton , Roma 2011. 109 voluto selezionare al contrario donne ingegnose, intriganti, spietate che hanno agito consapevolmente, protagoniste, attive, con uno scopo da perseguire, seppure malvagio.”191 Ma non c'è alternativa tra la passività e la devianza? In certi ambiti sembra di no. Adriana Di Stefano e Carmen Migani parlano della stregonerie di Pippi come di una seconda condizione, (la prima come ricordiamo è essere orfane) sine qua non per accedere al mondo dei fumetti. Loro la chiamano garanzia teratologica: “In base ad essa, alla bambina sarà concessa la possibilità di vagare tra le vignette, didascalie e balloons solo a patto che subisca visibilmente la propria diversità; le sarà accordata una discreta libertà di movimento, una definita identità, una decorosa quota di potere solo a condizione che sgusci via attraverso la soglia di una riconoscibile devianza.” 192 Anche Antonio Faeti è abbastanza pessimista sulla situazione dell'infanzia in generale, e scriveva nell' '87 “Proprio mentre si dichiara che l'infanzia è scomparsa si è forse presi davvero dal senso di vuoto, proprio determinato da questa assenza, e allora si è tesi a colmarlo, questo spazio in cui si è determinata la sparizione con un aumento incontrollato di presenze, di testimonianze, di allusioni. In questo senso, allora, la ripetuta incessante, esibizione dei bambini entro speciali recinti televisivi, resi come piccoli zoo domestici dove l'animale in estinzione è offerto alla famelica percezione di chi non lo distingue dalla foca monaca o dal falco pellegrino, può anche risultare prossima ad un sedativo, usato per spegnere l'ansia data dal timore di 191 Mazzocchi S., Le 101 donne più malvagie della storia, Repubblica, 11 aprile 2011. 192 Di Stefano A., Migani E., op.cit., p.32. 110 vedere presto un mondo senza bambini.”193 Ora dovremmo aggiungere che sono ancora i bambini italiani a diminuire, mentre aumentano quelli del nord-Africa e dell'Europa orientale, che vorrebbero riempire le nostre scuole, se non fossero respinti dalle nostre coste. Le osservazioni di Faeti, comunque, sono ancora più valide proprio oggi: i programmi televisivi sono cambiati in peggio, perché come ci viene confermato dall'accuratissima indagine di Loredana Lipperini194, non esistono più nicchie protette per l'infanzia, e i bambini “sono costretti a contentarsi” dei programmi per adulti, ovviamente quelli più facilmente fruibili da un pubblico non istruito e quindi programmi di serie B, privi di carattere narrativo e di valenze culturali accettabili. I programmi citati da Faeti, quelli di Enrica Bonaccorti e di Sandra Milo sono stati sostituiti da quelli di Paolo Bonolis, Antonella Clerici e Gerry Scotti, ma le formule sono immutabili e il bambino italiano agghindato come l'adulto di riferimento, guardato con trepidazione dai familiari mentre si esibisce in canzoni ed atteggiamenti non adatti alla sua età, trova il suo palcoscenico nei programmi di intrattenimento, mentre i bambini giapponesi, i piccoli rom e i nord-africani compaiono nei servizi dei telegiornali, in una divisione schizoide sulla visione dell'infanzia. Per fortuna ci sono prodotti culturali che riescono a sorprendere positivamente, come ventate di aria fresca in uno spazio angusto e lo stesso Faeti conclude il suo saggio parlando di Lavinia, la bambina nata dalla fantasia di Bianca Pitzorno, “una bambina che si sa 193 Faeti A., Perduti nei vortici di pagina quattordici, in Ombre rosa, op.cit., p.72. 194 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007. 111 difendere molto bene dalle strettoie cupe del mondo di oggi.” 195 3.5 Le bambine di Bianca Pitzorno Un’altra scrittrice che si attivamente dedicata alla letteratura per l’infanzia, conservando un occhio di riguardo al genere femminile, è Bianca Pitzorno. La sua produzione letteraria è molto vasta ed eterogenea, dalla collaborazione alla trasmissione televisiva L' Albero azzurro alle traduzioni di Silvia Plath , dalla consulenza editoriale, contribuendo alla nascita della collana Gaia, ai romanzi storici e di formazione, fino alla biografia di Giuni Russo196. Le eroine dei suoi romanzi risultano così amate che molte bambine figlie delle sue lettrici vengono battezzate con i loro nomi, come Prisca e Lavinia. Emy Beseghi scrive di lei:”Bianca Pitzorno è forse l'unica, nel panorama letterario italiano, ad aver eletto le bambine a esclusive protagoniste dei suoi divertentissimi romanzi stabilendo un filo di comunicazione intenso e solidale tra donna scrittrice, protagonista bambina e lettrice, interlocutrice reale o immaginaria di un viaggio fantastico verso inedite possibilità di espressione di sé. La differenza sessuale e le prospettive di ermeneutica sessista stanno modificando l'approccio ai diversi campi del sapere: la produzione di Bianca Pitzorno apre un campo di riflessione veramente originale sulla complessa vicenda della letteratura al femminile.(...)Il suo contributo 195 Faeti A., Perduti nei vortici di pagina quattordici,op.cit., p.84. 196 Giuni Russo, da un'estate al mare al Carmelo, Bompiani, Milano 2009. 112 si inserisce in una vera e propria mutazione nella letteratura per l'infanzia dove spiccano ironia, anticonformismo e trasgressività linguistica, e dove si è consumato un distacco dal filone istruttivo o dal racconto ammonitore che alludeva al bambino come un futuro adulto.”197 Pensiamo a Mo, protagonista di Extraterrestre alla pari198: per questo personaggio B. Pitzorno dice di essersi ispirata al libro della Belotti Dalla parte delle bambine; infatti proprio per far riflettere sulle abitudini più ovvie e scontate rispetto all'educazione, l'autrice immagina un ragazzino di nove anni, proveniente da un pianeta in cui la differenza sessuale si manifesta solo all'età di venti anni ospite di una famiglia molto convenzionale, che non concepisce di poter allevare un individuo considerandolo semplicemente persona. Per accontentarli Mo è costretto ad assumere i diversi ruoli, dando luogo a momenti esilaranti e anche tragici. Nel 1984 scrive il breve romanzo La casa sull'albero199, in cui “ il mito iniziatico e adolescenziale della casa sull'albero, già proposto da Calvino declinato al maschile, viene qui rappresentato attraverso un autentico fuoco di artificio di invenzioni, una storia paradossale e piena di humor che vede complici un adulto, guarda caso di nome Bianca, e una bambina in vortice di avvenimenti comici.” 200 M. Von Franz ricorda che” in religione comparata, l'albero e l'atto di arrampicarvisi indicano l'avvicinamento al cielo, il salire sulla cima di una montagna per conversare con gli Dei e gli spiriti celesti. (...) 197 Beseghi E., La cattedra di Peter, Comune di Campi Bisenzio, Li.Be.R., Campi Bisenzio, 1996, p.32. 198 Pitzorno B., Extraterrestre alla pari, La Sorgente Milano 1979. 199 Pitzorno B.,La casa sull'albero, Le Stelle, Milano 1984. 200 Beseghi E., op. cit., p.33. 113 Restare seduti su un albero significa regredire rispetto alla realtà e rifugiarsi all'interno di ciò che è minaccioso, invece di evitarlo. Vi è il pericolo di perdere ogni contatto con la realtà, e vi è il vantaggio che dal contenuto minaccioso può sbocciare la rinascita. L'albero ha un aspetto materno: in numerosi paesi si crede che i bambini nascano dagli alberi. Così arrampicarsi su un albero e poi ridiscenderne simboleggia il processo di rinascita spirituale.” 201 Nel 1985 esce per E. Elle di Trieste L'incredibile storia di Lavinia; Bianca Pitzorno dice di averla scritta e illustrata da sola per Valentina, che l'aveva fatta leggere ai propri amici, fino a che non era capitata nelle mani della direttrice del Giornale dei genitori che l'aveva pubblicata nel numero natalizio. Il libro racconta di una piccola fiammiferaia di sette anni che sta per morire di freddo e di fame in una Milano insensibile e snob; ma a bordo di un taxi arriva di un'incredibile fata, che fuma disinvoltamente una sigaretta ed è vestita da femme fatale. La fata le regala uno strano anello che può trasformare qualsiasi cosa in cacca. All'inizio Lavinia è contrariata, ma poi la sua fervida fantasia riuscirà a servirsi dell'arma letale per rendere gli altri buoni, servizievoli e generosi. “La povera creatura della storia di Andersen, prototipo della fanciulla infelice si prende così le sue rivincite grazie a un'arma grottesca e paradossale che simboleggia tutto ciò che i bambini devono evitare. L'orfana, in questo modo, vendica non solo se stessa e tutte le tristi bambine che hanno dovuto sopportare tremende vessazioni nei libri destinati all'infanzia ma anche le piccole dame, tenute a dar esempio di buon 201 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., pp. 141-142. 114 comportamento e virtù.”202 L'autrice dedica la sua attenzione alla figura della strega, in modo ironico in Streghetta mia203 e in A cavallo della scopa204 , mentre in Ritratto di una strega205 usa il linguaggio dei processi secenteschi e si avvale di materiali quali manoscritti, verbali e lettere dell'epoca per raccontare la storia di Caterina di Vallebuja. Il libro, illustrato da Piero Ventura è pubblicato dalla Mondadori nella sezione dedicata agli adulti. Nel frattempo Bianca Pitzorno aveva pubblicato, nel 1991 per la collana Contemporanea della Mondoadori, Ascolta il mio cuore206, un libro che è risultato terzo, dopo Il diario di Anna Frank e Il giornalino di Gian Burrasca, in un'inchiesta del “Giornalino” della San Paolo sui libri più importanti per i ragazzi. E' la storia, in parte autobiografica, di un anno di scuola di una IV classe femminile negli anni Cinquanta in una cittadina della Sardegna, durante il quale alcune bambine capitanate da Prisca lottano contro le ingiustizie della maestra. La scrittura quasi diaristica rende appassionante la lotta tra la maestra che difende le bambine ricche e umilia quelle povere e le tre amiche che riescono a superare la terribile prova, anche se la vittoria arriva lenta come una tartaruga. Nel 1992 può permettersi di pubblicare addirittura una parodia del feuilletton, Polissena del Porcello207 storia della ricerca di una bambina adottata dei suoi veri genitori, con tanto di “segnali di 202 Beseghi E., op.cit., p.33. 203 Pitzorno B., Streghetta mia, E.Elle, Trieste 1988. 204 Pitzorno B.,A cavallo della scopa, Mondadori , Milano 1999. 205 Pitzorno B.,Ritratto di una strega, Mondadori, Milano 1991. 206 Pitzorno B.,Ascolta il mio cuore, Mondadori, Milano 1991. 207 Pitzorno B.,Polissena del Porcello, Mondadori, Milano 1992. 115 riconoscimento” , mentre pubblica nel 1995 La bambola viva208, romanzo meta- letterario in quanto si ispira al precedente La bambola dell'Alchimista209: nel primo era la bambola ad animarsi, mentre nel secondo sono due bambine a trattare come un giocattolo una neonata che loro credono una bambola magica. Tutti i temi trattati dalla letteratura per l'infanzia, come abbiamo visto da questo breve excursus, sono stati rivisitati e risolti brillantemente dalla Pitzorno in un'inesauribile vena di ironia e di resa dei conti a nome delle bambine dei racconti precedenti, vessate, inermi e perdenti. Ma Bianca Pitzorno non elude i temi attuali, come la televisione: Speciale Violante210 del 1989 parla del rapporto tra una bambine protagonista di una telenovela e delle sue ammiratrici e in Tornatras211 (2000) la televisione incombe nella vita di Colomba, annebbiando la mente di sua madre con le sue mirabolanti promesse di denaro, successo e felicità, avventandosi sul dolore per carpirne le smorfie e sulla felicità per incrinarla nella sua scompostezza. E' la stessa televisione analizzata da TV Talk 212, che mette in evidenza i vizi di voyeurismo di chi fa, usa e subisce i programmi di cronaca in cui la realtà irrompe nelle case doppiando le caratteristiche peggiori del paese. Nel 2004 Bianca Pitzorno torna al romanzo storico con La bambinaia 208 Pitzorno B.,La bambola viva, Mondadori Milano 1995. 209 Pitzorno B., La bambola dell'Alchimista, Mondadori Milano 1988. 210 PitzornoB.,Speciale Violante, Mondadori, Milano 1989. 211 Pitzorno B.,Tornatras, Mondadori Milano 2000. 212 TV Talk è uno show-magazine sulla televisione di RAI Educational giunto alla decima edizione e condotto da Massimo Bernardini. Un folto gruppo di giovani laureati e laureandi in Comunicazione delle Università italiane analizzano in maniera critica i vari programmi televisivi affiancati da esperti come Girorgio Simonelli, docente alla Università Cattolica di Milano e Andrea Bellavita, esperto di linguaggi televisivi. 116 francese213 adatto a ragazzi ed adulti; collaboratrice dell'Unicef, nel 2006 scrive per il Saggiatore Le bambine dell'Avana non hanno paura di nulla214in cui intreccia tre autobiografie di tre donne cubane vissute nell'arco degli ultimi duecento anni. 213 Pitzorno B., La bambinaia francese, Mondadori, Milano 2004. 214 Pitzorno B.,Le bambine dell'Avana non hanno paura di nulla, Il Saggiatore, Milano 2004. 117 Capitolo quarto L’educazione ai tempi delle Winx 4.1 Ancora dalla parte delle bambine? In maniera molto significativa, Elena Gianini Belotti, scrive due introduzioni a due libri scritti a distanza di circa trent'anni dal suo libro, da due donne, Francesca Bellafronte e Loredana Lipperini che analizzano l'universo femminile delle donne e delle bambine. “Francesca Bellafronte, trent'anni fa, era una delle bambine il cui breve percorso di vita stretto da norme stereotipi e pregiudizi ho indagato in Dalla parte delle bambine. Trent'anni dopo tocca a lei indagare il faticoso, torturato cammino compiuto dalle donne, gli ostacoli che ancora lo ostruiscono, i cambiamenti intervenuti.”215 Così Elena Belotti introduce lo studio della Bellafronte sull'identità di genere di quelle bambine, cresciute guardando i cartoni giapponesi degli anni Ottanta, della cui sorte era preoccupato Antonio Faeti. Lo studio della Bellafronte fotografa l'immagine delle donne che sono diventate, “attraverso gli indicatori della famiglia e del lavoro, ma anche analizzando le sfere affettivo-sessuale, educativa e politica.(...) Guardare alle donne di oggi, consente quasi di verificare quali strategie riabilitative del sé siano riuscite a mettere in atto (ammesso che ci siano riuscite) e soprattutto, con quali esiti.” 216 La seconda Belotti E. Introduzione a Bellafronte F., Bambine (mal)educate.L'identità di genere trent'anni dopo.Palomar, Bari 2003, p.10. 216 Bellafronte F:. op. cit.,p.16. 215 118 parte del libro invece è un'indagine sulle bambine di oggi, attraverso una ricerca sociologica svolta su 109 soggetti di una scuola elementare in provincia di Foggia. Nella prima parte l'autrice nota che “la presenza crescente delle donne sul mercato del lavoro avrebbe solo apparentemente scardinato lo stereotipo legato alla sessualizzazione del lavoro, dal momento che le occupazioni femminili riproducono quasi sempre le tradizionali mansioni familiari.”217 Individua un elemento di contraddizione nel fatto che se da un lato l'ingresso nel mondo del lavoro ha consentito alle donne di vivere migliori condizioni sociali e familiari, dall'altro, la condizione occupazionale è non solo inferiore a quella maschile, ma è più fragile. Le cause sono sia negative, cioè relative ad uno scarso valore attribuito alle capacità femminili di assumere determinate competenze, sia (osiamo dire) positive, in quanto per le donne il successo viene inteso in ambito non esclusivamente lavorativo, ma implica una qualità della vita che comprende anche la vita affettiva, emozionale e relazionale. Per quanto riguarda l'esperienza amorosa e sessuale, l'autrice accosta l'ideale romantico di Cenerentola, riproposto al cinema da Pretty woman, con la sessualità proposta dalle femministe, vista come “espressione di autoaffermazione, di valorizzazione della propria soggettività femminile purché in una dimensione autentica, al di fuori del perbenismo borghese. (...) Oggi un uomo che esalta esageratamente la bellezza muliebre e malinconicamente d'amore rasenta il ridicolo; la promessa dell'unione coniugale non fa più presa 217 Ibidem, p. 34. 119 nell'età in cui il sesso è libero e le donne sono sempre più spesso indipendenti. I tradizionali protocolli della seduzione sono considerati ipocriti, sessisti e la retorica sentimentale giudicata retrò.”218 I cambiamenti riguardano anche la passività femminile, che era considerata una caratteristica innata. “Aumentano i casi di intraprendenza femminile nell'assumere l'iniziativa amorosa, nel manifestare per prime il loro interesse attraverso vere e proprie avance, soprattutto tra le più giovani. (...) Il cinema, la fiction, la televisione con gli spot pubblicitari e le stesse riviste femminili, hanno dato visibilità alle nuove attitudini femminili che rovesciano lo schema tradizionale della seduzione.”219 Bellafronte conclude dicendo che gli uomini sembrano aver imparato a ad esprimere meglio i loro sentimenti, anche se sono le donne che “continuano a conservare un legame privilegiato con l'amore, manifestando un interesse più marcato per le questioni di cuore. (...) Anche se l'esistenza femminile si costruisce sempre meno intorno all'ideale dell'amore nella famiglia, preferendo spesso la convivenza al matrimonio, persiste la sopravvalutazione femminile del sentimento amoroso, che tuttavia non sembra esprimere, come nel passato, un bisogno di annullamento di sé nell'altro, quanto piuttosto la ricerca di una valorizzazione individuale e di intensificazione della vita soggettiva ed intersoggettiva.” 220 Passando all'educazione e all'istruzione, Bellafronte definisce la creazione di stereotipi come generalizzazioni acritiche e semplificazioni estreme che non tengono conto delle differenze 218 219 220 Ibidem, pp.79-80. Ibidem, p.82. Ibidem, p.84. 120 intersoggettive. “E' noto come lo stereotipo, pur alimentando il pregiudizio, svolga un'importante funzione di rassicurazione psicologica. Il singolo e la collettività hanno bisogno di ordinare le cose del mondo , di nominarle, di classificarle per stabilire gerarchie di valore, schemi e norme di riferimento. Ogni cosa o persona deve trovare collocazione all'interno di un universo di significati ordinato e quindi stabile, tranquillizzante. (...) Lo stereotipo si radica nella struttura stessa della comunicazione interpersonale, finendo col condizionare le relazioni umane e quindi i processi di identità personale e sociale. Il pregiudizio condiziona la conoscenza interponendo una specie di filtro tra il soggetto e la realtà che orienta la raccolta delle informazioni, tanto da rendere più immediatamente percepibili proprio quelle che rafforzano e confermano la conoscenza stereotipata.”221 Poiché ho già parlato dell'importanza dell'educazione familiare nella reazione degli stereotipi, mi sembra importante riportare una definizione che l'autrice deve a Vanna Iori 222, cioé l'attribuzione a molte donne una sorta di “adultità mancata”. Dalla seconda parte della ricerca risulta che “ le bambine erano e continuano ad essere, nella stragrande maggioranza dei casi, educate male in famiglia e a scuola, nel senso che le modalità con cui i genitori e gli inesegnanti si rapportano loro risentono ancora di pregiudizi sessisti.”223 Ma “sono proprio quelle rare bambine insoddisfatte di appartenere al genere femminile, bambine straripanti di energie, più indipendenti e capaci d' iniziativa, anticonformiste e 221 222 223 Ibidem, p p. 103-104. Iori V., La maturità vietata, in Adultità, n.1, 1995, p.73. Bellafronte F., op. cit., p.165. 121 fuori dalle regole, individuate socialmente come bambine maleducate e giudicate un po' maschiacci, che ci consentono di sperare nella costruzione di precedenti significativi, capaci di modificare progressivamente gli schemi e i modelli di un universo simbolico sessista. “224 4.2 Dov’è finita Rosaconfetto? Nella prefazione al libro di Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine225, intitolata significativamente Passaggio di testimone, così scrive Elena Gianini Belotti: “Si ritorna con la massima disinvoltura, come se non fosse stato detto niente in proposito, a ridurre l'individuo di sesso femminile a un assemblaggio di pezzi di carne privo di umanità, intelligenza, razionalità, dignità, volontà, consentendogli l'unico obiettivo di piacere all'uomo e di conquistarsi con ogni mezzo il principe azzurro, ribadendo una dipendenza psicologica e affettiva dal maschile che cancella ogni progetto di vita e conduce ad un insensato sperpero di se stesse. Un principe azzurro che però non è più romantico, gentile e protettivo come un tempo veniva poeticamente inventato e descritto, ma affamato di sesso, che pretende e ottiene con maniere spicce per non dire brutali. La cronaca è piena di storie di bambine di dodici anni preda e talvolta complici di giovanissime belve senza scrupoli, sempre più spesso munite di videotelefonini con cui le ritraggono in pose erotiche che subito 224 Ibidem, p.166. 225 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007. 122 trasmettono ai compagni del branco.”226 “Le donne si affannano per dimostrarsi uguali all'uomo...E neanche ora, dopo l'infelice risultato, balena in mente alle donne questo sospetto:”Se si trattasse di somigliare a noi stesse? Se tutto fosse in noi da creare, da estrarre alla luce?” Da qui bisognava partire e non si seppe. La donna non è mai stata una vera e propria individualità: o si è adattata a piacere all'uomo, non solo fisicamente ma anche moralmente, senza ascoltare i comandi del suo organismo e della sua psiche; o gli si è ribellata copiandolo, allontanandosi ancor più dalla conquista del suo io.” 227 Dallo stile si capisce che sono parole di altri tempi e infatti a parlare è Sibilla Aleramo, ma la sostanza non si discosta molto dal testo del video di Lorella Zanardo Il corpo delle donne228, che si domanda come mai le donne non appaiono mai con la loro vera faccia rinunciando all'unicità e all'anima, nascondendo la qualità della personalità per morire sconosciute a se stesse; termina con questa affermazione:”è in gioco la sopravvivenza della nostra identità” e con questi interrogativi:”perché non ci presentiamo nella nostra verità? Di che cosa abbiamo paura? “ che somigliano molto alle parole della Aleramo. Secondo Lea Melandri “ ciò che si teme di perdere è un sogno d'interezza, l'onnipotente combinazione di maschile e femminile”229. Sia nel documentario della Zanardo che nel libro della Lipperini si nota che “le donne sono tornate a pigolare”, a non parlare più come un adulto, mentre nella pubblicità le immagini che vengono proposte sono quelle appetibili ai maschi per attrarre un 226 Ibidem, p.11. 227 Aleramo S., Diario di una donna, Feltrinelli, 1980, p.317. 228 E' un documentario di 25 minuti sull'uso del corpo della donna in TV, realizzato nel 2010 insieme a Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù. 229 Melandri L., Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, p.122. 123 pubblico femminile. Camille Paglia riprende in un articolo recente di Repubblica un suo saggio su Penthouse in cui argomentava che “attraverso star come Liz Taylor, percepiamo l'impatto rivoluzionario per i destini del mondo di donne leggendarie come Dalila, Salomè ed Elena di Troia. Il femminismo ha cercato di liquidare il modello della femme fatale come una calunnia misogina, un trito cliché. Ma la femme fatale esprime l'antico ed eterno controllo da parte delle donne del regno della sessualità.” L'articolo continua prendendo in esame “il classico look da inedia che ormai ci proiettano le star hollywoodiane: una silhouette ossuta, anoressica, scolpita col pilates, lontana mille miglia da quello che gran parte del mondo associa al concetto di femminilità.”230 Non è d'accordo su questa ipotesi Federico Rampini, che riporta, sempre su Repubblica, uno studio della School oh Human Evolution and Social Change dell'Università dell'Arizona, dal titolo “I canoni del corpo e il pregiudizio sui grassi in una prospettiva globale”, in cui si dice che “gli Stati Uniti hanno importato nel mondo intero il loro Frankestein-food: modelli di vita e di consumo che insieme al cibo spazzatura hanno diffuso un'alimentazione iper-calorica e patogena. E' esplosa la piaga dell'obesità di massa, che non è più un male dei ricchi, ma nelle nazioni più sviluppate diventa una condanna dei meno abbienti: quelli che non possono permettersi diete vegan, palestre, e soggiorni nelle “cliniche della salute”. L'industria della moda e dello spettacolo hanno contribuito a loro volta, con la promozione di un'immagine femminile “dall'erotismo eternamente adolescenziale”. Ed ecco dall'Occidente il nuovo paradigma dei valori 230 Paglia C., in Repubblica, 22 aprile 2011. 124 ha colonizzato velocemente il resto del mondo. (...) Sta cambiando perfino il canone della bellezza in Africa, il continente che aveva portato fino all'estremo l'adorazione artistica delle “veneri callipigie”, con le mitiche statuette femminili dai fianchi larghissimi quali simboli di fertilità.”231 Elena Gianini Belotti è d'accordo con la Lipperini sul fatto che “non è sbagliato il sistema dei media in se stesso, compresa la rete Internet, perché non inventa niente e i suoi contenuti non fanno che riflettere il mondo reale, i simboli, le idee, i discorsi, i luoghi comuni, i pregiudizi e gli stereotipi ben installati nella vita quotidiana delle persone.” 232 Infatti in particolare“la rete non fa che riflettere i discorsi e le inclinazioni del mondo reale, quello dove le madri occhieggiano i figli nei parchi pubblici, e si affollano all'uscita delle scuole o nei cortili dei McDonald's quando ci sono le feste di compleanno, parlando delle insegnanti, dei cibi, dei giochi.”233 Loredana Lipperini, partendo dal presupposto che per capire cosa sta succedendo alle donne occorre vedere cosa è successo alle bambine che sono state, nota che il ritorno ai generi è già presente dalla metà degli anni novanta, nella produzione e nella diffusione dei giocattoli, programmi televisivi, libri, film e cartoni. Scopre così che “il rilancio, nel mondo adulto, di quella che è stata definita -e forse è- una nuova guerra contro le donne trova riscontri meno visibili, ma non meno forti, nell'immaginario che viene proposto all'infanzia. Che, insomma, bisogna tornare a porsi, ancora una volta, dalla parte delle 231 Rampini F., in Repubblica, 1 aprile 2011. 232 Gianini Belotti E., prefazione a Ancora dalla parte delle bambine, op.cit., p.12. 233 Lipperini L., op.cit., p.23-24. 125 bambine.”234 Infatti “durante una decina di anni brillanti, immemori, colorati tutto appare giusto e divertente”235: i cartoni giapponesi, le riviste per preadolescenti che danno suggerimenti espliciti su problemi sessuali, le foto di dive bambine con annessa la dieta per avere un corpo simile al loro: caffè nero a colazione, una ciotolina di insalata a pranzo, un uovo a cena. “Il culto di Ana, la dea dell'anoressia e del rifiuto del proprio destino, è l'unico elemento che, di quando in quando, traspare in superficie dal territorio delle nuove bambine: e, spesso, con le motivazioni sbagliate. E' il brivido freddo alitato da un mondo che sembra altresì del tutto innocuo e che risulta attraente anche per le donne adulte. 236 4.3. Rosa e azzurro: due universi contrapposti La Lipperini riporta il giudizio di una sessuologa sul fenomeno del velinismo e delle giovani donne che puntavano esclusivamente sull'aspetto fisico: “Queste ragazze sono figlie del femminismo. Oggi, utilizzando anche quelle armi che una femminista avrebbe aborrito, hanno dato vita a un modello di donna nuova. Che ha in sé molte contraddizioni, ma è la premessa di una futura evoluzione.” 237 Lo stesso Simonelli parlando a TV Talk del fenomeno delle vallette, dice che ora si può parlare di “meta-valletta” perché il soggetto in questione, consapevole del proprio ruolo, è in grado di ironizzare su di 234 Ibidem, p.23. 235 Ibidem, p.25. 236 Ivi. 237 Ibidem, p.28. 126 esso. Purtroppo però le immagini non sempre rispecchiano questa lodevole convinzione. Secondo M. Von Franz “nella nostra civiltà ebraico-cristiana, cioè in una tradizione rigidamente patriarcale, l'immagine della donna non trova rappresentanza adeguata (...). E' come dire che è trascurata l'Anima dell'uomo e la donna reale è incerta sulla propria essenza, su ciò che è o che potrebbe essere. Così per la donna si presentano due vie: o regredire al modello primitivo e istintivo e aderirvi strettamente, per proteggersi dalla pressione esercitata su di lei dalla civiltà, oppure cadere in un atteggiamento di Animus, identificarsi con esso totalmente e cercare di costruire un'immagine maschile di se stessa, per compensare l'insicurezza che sente dentro di sé sulla sua natura.238 L'indagine di Loredana Lipperini mette in luce che le ragazze studiano di più, anche se si laureano in discipline definite “femminilizzate” come Lettere, Lingue, Psicologia e Biologia, disertando Ingegneria, Informatica e Fisica. Francesca Bellafronte parla di “pedagogia del sapere femminile come ornamento”, per rendere la donna “più gradevole, in grado di ascoltare e apprezzare i ragionamenti del sesso forte.”239 E' interessante confrontare le parole di questa professoressa con quelle di Sibilla Aleramo: “Gli uomini a cui parlo non sanno, quando mi dicono con stupore leale che hanno l'impressione di parlare con me da pari a pari, non sanno come echeggi penosa infondo al mio spirito quella pur così lusinghiera dichiarazione, a quale insolvibile dramma essa mi richiami. Per conquistare questa necessaria stima dei miei fratelli, io ho dovuto adattare la mia 238 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.10. 239 Ibidem, p.53. 127 intelligenza alla loro, con sforzo di decenni: capire l'uomo, imparare il suo linguaggio, è stato allontanarmi da me stessa...In realtà io non mi esprimo, non mi traduco neppure: rifletto la vostra rappresentazione del mondo, aprioristicamente ammessa, poi compresa per virtù d'analisi.”240 Seguendo alcuni studi di area anglo-americana, anche in Italia, a partire dagli anni ’80, viene affrontata la problematica del “trattamento discriminante tra i due sessi”. 241 Eppure parlare, oggi, di discriminazione di genere fra bambine e bambini appare superato, le bambine ora possono arrampicarsi sugli alberi, sporcarsi, “liberandosi di quella gonnellina a pieghe che le costringeva a terra, obbligandole, come scriveva Simone De Beauvoir, a guardare il mondo dal basso, senza mai poter provare l'ebbrezza di osservarlo dalla cima dell'albero. Libere di lottare, mordere, aggredire, saltare, correre, affermarsi.”242 La Belotti sottolinea che se per le bambine, in questi ultimi anni, si è diventati più elastici è perché si tollera che somiglino ai maschi perché si pensa che abbiano tutto da guadagnarci. Al contrario “che al maschietto sia concesso di esprimere anche le parti femminili di sé sembra una degradazione. E' proprio qui che si misura il differente valore sociale attribuito ai due sessi. Molti maschietti, a causa di questo apparente “ordine naturale delle cose” sono costretti a rinunciare dolorosamente alla propria indole e ai propri desideri più autentici. Considerati i brillanti risultati dell'educazione alla virilità, mi sembra meglio imparare a esprimere i 240 Aleramo S., Andando e stando, Mondadori, Milano 1942., p.126. 241 Cfr Ulivieri S., (a cura di), Educazione al femminile, una storia da scoprire, Guerini scientifica, Milano, 2007 242 Lipperini L., op.cit.,p.56. 128 propri sentimenti con le carezze piuttosto che con le botte. E ci si dovrebbe chiedere se per caso non stiamo insegnando anche alle bambine a esprimerli con le botte.” 243 Secondo la Lipperini tutto questo comunque è vero solo fino all'età scolare, quando torna “il vecchi armamentario della seduzione miniaturizzato, spesso senza esclusione di scritte allusive: occhiolini, rivendicazione dello stato di bad girl, inviti al bacio.”244 Sempre parlando di anni ’80, una figura emblematica di immagine distorta della femminilità ci viene mostrata da Puffetta, unica donna del villaggio dei Puffi, in cui ogni personaggio maschile è caratterizzato in modo specifico, (forzuto, goloso, saggio ecc…), mentre la sua unica specificità è il genere femminile. La serie è stata trasmessa da Italia 1 a partire dal 1982: dei Puffi esistevano 45 giri, personaggi e la famosa Casa dei Puffi, realizzata da Giochi Preziosi. Tutto deve essere inquadrato, come ricordavamo sopra, nel particolare periodo storico, in cui “il declino dei valori collettivi e la vigorosa ricerca del benessere materiale da parte di singoli nuclei familiari ha portato a una ripresa del familismo e a un interesse più tenue per i problemi della collettività.”245 R.D'Agostino sintetizza così il cambiamento: “Si è chiuso il ciclo della politicizzazione, del protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann. Di qui complice la delusione sui risultati delle battaglie sociali e ideologiche, 243 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.121. 244 Ivi. 245 Ginsborg P., Storia D'Italia dal dopoguerra ad oggi, II Dal “miracolo economico” agli anni '80, Einaudi, Torino 1989, p.557. 129 finite nell'assassinio di Aldo Moro, inizia un nuovo ciclo, quello della felicità individuale, dell'affermazione personale. Mescolare le carte dunque. Dal sinistrismo al narcisismo, dal Noi all'Io, dalla sommossa delle Bierre alla mossa delle Pierre, da Lotta Continua al successo di breve durata, dai furgoni cellulari al telefonino cellulare, dal significato al significante, dalle fratte ai frattali, dal ciclostile al fax, dalla rivolta a Travolta. (...) L'Edonismo reaganiano sbandiera la “democrazia del frivolo”, sfacciatamente, portando con sé non solo trash e flash, ma anche i bollori della creatività individuale e il pluralismo, e riconcilia la tecnologia con il gioco, il potere politico con la seduzione, il sesso con il piacere, il divertimento con la vita.” 246 Non a caso escono Il Manuale per le ragazzine che vogliono ottenere successo, Il Libro di Barbie, del 1983 e Il Manuale di Barbie nel 1985 editi da Mondadori, Alla Scuola di successo secondo il categorico imperativo che “l'immagine è tutto.” Per le teen-ager, termine che sostituisce “ragazzine”, vengono pubblicate le riviste Dolly e Cioé. Esaminando i giocattoli in commercio negli ultimi anni, Loredana Lipperini osserva i blocchi pubblicitari inseriti nella programmazione per ragazzi e nota che i maschi vengono rappresentati mentre giocano con automobiline o action figures, mazzi di carte o giochi che tendono a migliorare la cultura scientifica, mentre le bambine ballano di felicità per le scarpe nuove, cullano bambolotti, anche se sempre più tecnologici, o si rispecchiano nelle bambole tipo Barbie, Bratz o altre creature provenienti dal mondo dei cartoni. Inoltre, “anche se non si 246 D’Agostino R.,La Stampa, 6/02/2011. 130 usano più i grembiulini, è ancora rosa il mondo delle bambine. Rosa la loro Playstation, i loro telefonini, le copertine dei loro magazine, i capelli delle Ninja dei cartoni animati, rosa i blog delle dodicenni, rosa la letteratura usa e getta delle sorelle più grandi.”247 “Oggi nessuna madre ammetterà di porsi con atteggiamento diverso di fronte al suo neonato, a seconda che sia maschio o femmina. Né almeno nei primi mesi di vita, scoraggerà l'energia della bambina o la tranquillità del bambino. Comincerà a farlo subito dopo, però: nello stesso momento in cui le femmine verranno circondate da un complesso e seduttivo mondo di abitini, di scarpette, di animaletti antropomorfi che la inviteranno alla grazia e alla civetteria.” 248 L'autrice riporta un saggio della psicologa Francesca Romana Pegelli che “spiega come lo sviluppo del concetto di genere avvenga per essere precisi in tre fasi: fra i 9 e i 12 mesi i bambini individuano come diversi i volti di uomini e donne; intorno ai 2 anni si riconoscono come maschi o femmine, e a 3 attribuiscono a un genere le persone che li circondano, anche attraverso abbigliamento o pettinatura. A 4 sono pienamente consapevoli della propria appartenenza. A 5 cercano informazioni sui ruoli in famiglia, a scuola, con i coetanei: (...) durante la crescita acquisiscono sempre maggiori conoscenze relative alla società in cui vivono, molte veicolate attraverso i mass media.”249 Anche la Disney non divide i propri prodotti per genere fino alla scuola: Winnie the Pooh va bene per maschi e femminucce, poi 247 Ibidem, p.57. Ibidem, p.105. 249 Ibidem, p.113. 248 131 subentrano la Disney Princesses (Biancaneve, Cenerentola, Jasmine, Ariel, Mulan, Aurora) e Disney Faires (le Fatine) per le bambine e Power Rangers per i maschietti. Fino al 1993 la Disney era stata attentissima a proporre giornali e prodotto unisex, ma in quell'anno nasce “Minnie & Company”, un mensile pensato inizialmente per le bambine tra i 10 e i 12 anni; poi ha abbassato il target (6-9 anni) e dal 2001 si intitola “Minnie amica del cuore”. C'è anche il mensile “Principesse”, che si rivolge a bambine fra i 4 e i 7 anni, contiene un gadget in omaggio, brevi storie, molta pubblicità, test, bricolage e oroscopo: tutto all'insegna di occuparsi della propria bellezza. Esistono due versioni dello stesso gioco: Sapientino, per istruire i bambini e Sapientina per imparare i nomi dei personaggi del mondo di Barbie, o altre versioni in cui le schede sono ambientate in mondi di bambole. Non fanno eccezioni le pubblicazioni, le copertine dei libri per bambine sono quasi sempre di colore rosa, o comunque fortemente connotati, e persino accanto al topo investigatore Geronimo Stilton (che per quanto sia un prodotto di non eccelsa qualità dovrebbe essere “neutro”), ecco spuntare Tea Stilton, la sua versione femminile dedicata alle piccole lettrici, una topolina alla moda, che occhieggia dalle accattivanti copertine rosa e fucsia. I titoli? Tutto un programma: Top model per un giorno, La strada del successo, Cinque amiche per un musical, Sfida a ritmo di danza250, e così via. Dai sei anni la differenziazione è netta: anche l'alfabeto si impara con le Winx mentre Sbrodolina chiede di essere accudita da bambine 250 Tutti i libri di Tea Stilton sono pubblicati da Piemme 132 vestite come lei. Il sito dei Giochi Preziosi è rigorosamente organizzato al maschile e al femminile, con i computer differenziati: Accelerator quello per i maschietti e Princess Cleo per le bambine. Loredana Lipperini analizza anche Barbie, comparsa per la prima volta alla Fiera del giocattolo di New York nel 1959, chiedendosi perché ad esempio, la maggior parte delle scrittrici esprime odio nei suoi confronti: “Barbie è un ibrido, nasce da un incrocio fra le bambole di carta con un guardaroba da ritagliare e un sex-toy. Esibisce due seni da capogiro, ma che servono solo per sostenere a dovere le scollature, perché sono finti, levigati, privi di capezzoli. Rappresenta la donna secondo un concetto maschile: priva di quelle parti “segrete e terribili” che tanto indignavano, secoli fa, pensatori e padri della Chiesa. Incarna la femminilità ideale, muta e sigillata.” 251 E' interessante sapere che nel 2001 la Mattel italiana “allegò al mensile che reca il nome della bambola, numero di agosto, la Barbie Velina, bionda, topo color pesca, calzoncini fiorati:15.900 lire il prezzo. Ricostruzione della scrivania di scena di Striscia la notizia inclusa nella rivista.”252 Le Bratz “sono la versione street delle Barbie, meno perbene, ma moto sexy, come le bionde seminude che sculettano vicino a rapper pieni di catene e tatuaggi sui video di Mtv. (...) Non vogliono ribaltare il mondo: è sufficiente che lo seducano con la curva delle loro labbra imbronciate.”253 La Lipperini dedica molta attenzione a W.i.t.c.h., ricostruendone la Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.125-126. Ibidem, p.126-127. 253 Ivi. 251 252 133 storia: nasce nel 2001 ed è un mensile a fumetti pensato dalla Disney Publishing italiana e dedicato inizialmente alle ragazzine tra i 9 e i 12 anni. Sta per strega ed è l'acronimo delle cinque protagoniste, che sono preadolescenti che scoprono di avere poteri speciali; “inoltre possono trasformarsi e visitare una realtà parallela dove svolgono il ruolo di guardiane, agendo in accordo con l'Oracolo per mantenere l'equilibrio fra i mondi e, in assoluto, fra bene e male. Missione affidata, da secoli, a cinque creature di sesso femminile. L'avventura sovrannaturale si intreccia in ogni numero con le problematiche del quotidiano. La famiglia, le amicizie, gli amori. (..) ” 254 C'è l'introduzione dell'elemento di discendenza matrilineare e una rappresentazione non stereotipata del mondo delle ragazze e dei loro familiari. Il resto del giornale però è simile a quello degli altri, reclamizzando trucchi, gioielli e capi di abbigliamento, con l'aggravante che le protagoniste dei racconti diventano testimonial dei prodotti reclamizzati. Poi “con sempre maggior frequenza, il salvataggio del mondo diventa meno centrale, e acquistano importanza le feste, i ragazzi, il trucco. (...).La grafica somiglia sempre più a “Top girl” (...). Le vicende amorose sono privilegiate rispetto a tutto il resto.”255 Ci sono molte foto e addirittura poster di attori e personaggi televisivi, mentre le protagoniste sembrano desiderare gli stessi prodotti che invitano a far comprare alle loro lettrici. Invece il cartone animato Winx club nasce nel 2004, in uno studio marchigiano da un'idea di Igino Straffi. Le sue bambole hanno 254 255 Ibidem, p.207. Ibidem, p.208-209. 134 conquistato il 40% del mercato italiano, si vendono milioni di figurine e il sito è visitatissimo. “Oltre ai capelli fluenti e alle bocche carnose, hanno (...) vita strettissima e fianchi esageratamente ampi. Come le statue votive. Come la femmina nella simbologia dei secoli.” 256 Con il loro marchio esiste quasi tutto: abbigliamento, giocattoli, libri, telefonini, lenzuola. Il target della rivista è compreso fra i 5 e i 12 anni, ma i prodotti reclamizzati sono per ragazze più grandi, l'editing della rivista è affidato a Laura Scarpa, che ha collaborato a Linus e Alter, ma i testi non fanno altro che addestrare alla femminilità seduttiva. È un mondo tutto uguale, per donne tutte uguali, bambine in età prescolare che possono comprarsi le scarpe col tacco (la marca Lelly Kelly propone scarpe con un mini tacco per le bambine piccolissime, a partire dal numero 27), un mondo in cui la soglia dell’adolescenza viene spostata già agli otto-nove anni, in cui la moda femminile è identica per tutte, dai cinque ai sessant’anni tutte possono portare gli stessi vestiti. A Loredana Lipperini è stato chiesto recentemente di scrivere ancora delle Winx, in occasione della parternship fra la Rainbow di Iginio Straffi e la Paramount e l'apertura di un nuovi parco a tema 257, Rainbow Magicland, a Valmonte, a pochi chilometri da Roma. Esordisce affermando: “Le Winx non sono personaggi da fiaba: sono un prodotto. Vivono, è vero, nei cartoni animati, su un sito (dove dispensano consigli su come si usa la cipria e si stende il fondotinta), 256 257 Ivi. A proposito dei parchi a tema vedi Augé M., Disneyland e altri non luoghi, Bollati Boringieri, Torino 1999. 135 su una rivista, al cinema e a teatro: ma la loro forza è altrove. Ovvero, nelle confezioni degli happy meals e degli ovetti di cioccolato da cui spuntano, le lunghe gambe al vento, in forma di action figures. E poi nei videogame, nelle scarpe, felpe, zaini, tostapane, sveglie, asciugacapelli. (...) Dunque, se ogni eroina raccoglie lo spirito del tempo (e contribuisce a rafforzarlo) le Winx hanno svolto il proprio ruolo con energia maggiore delle compite e solidali sorelle March di Piccole Donne, della candida Heidi di Johanna Spyri e persino della sventatissima Barbie che andava a tutte le feste, conosceva almeno 10 modi per annodare un foulard e gestiva meravigliosamente la propria casa. Alle Winx una casa non serve: basta il look. (...) Le loro avventure si limitano a rimescolare elementi preesistenti: la scuola di magia viene da Harry Potter, la sorellanza munita di superpoteri da Sailor Moon (e come quanto meno parallela a quella delle disneyane Witch)258.” Lo stesso Iginio Straffi ha candidamente ammesso quali siano state le fonti di ispirazione per le sue Winx: Flora è modellata su Jennifer Lopez, Aisha su Beyoncé, Bloom su Britney Spears, Stella su Cameron Diaz, Musa su Lucy Liu e Techna su Pink, sono dunque bambole che hanno riferimenti precisi nel mondo reale, che si rifanno a tipi di donna molto ben identificabili (nello specifico star del cinema o della musica pop); e tutto questo risulta vagamente inquietante, se si pensa che le bambole delle Winx sono pensate anche per bambine in età prescolare, un’età in cui di solito la bambola viene utilizzata per esplicitare fantasie di ruoli materni e di cura verso l’altro. 258 Lipperini L., Domenicale di Repubblica, 17 aprile 2011 136 4.4 L’universo femminile visto alla TV Torniamo così al problema dei corpi femminili in televisione: “in fondo”, sottolinea la stessa Lipperini, “la storia della televisione è stata costruita in gran parte sui corpi femminili in offerta: certo, in passato la discrezione era maggiore, ma quel che ha sempre caratterizzato i nostri palinsesti è stata una svestita ragazza sorridente.”259 L'autrice elenca le trasmissioni, notando che “con la nascita e la fioritura dell'emittenza privata, e con gli sventati anni ottanta, la quantità della carne esibita era destinata ad aumentare. Prima delle ragazze di Colpo grosso, pronte a mostrare il seno a seconda delle risposte giuste o sbagliate dei concorrenti del quiz, c'erano state le statuarie creature di Drive in, che segnarono l'improvviso ritorno della maggiorata, destinata a decorare ed eccitare. (...) Da quel momento, difficilmente un programma di intrattenimento avrebbe resistito alla femmina da spogliare. Compreso il venerato, intelligente, apparentemente satirico Renzo Arbore con le sue ragazze Coccodè (certo in parodia con le altre). Da quel momento, la presenza femminile di contorno sarebbe tornata a essere irrinunciabile: spesso, anzi, il programma veniva costruito su di essa. Anche quando a ballare e cantare e dimenarsi erano, indimenticabili, le bambine di Non è la Rai.”260 Il programma più famoso è Striscia la notizia, nato nel 1988 dalla fantasia di Antonio Ricci, che ha inventato anche le veline. In Wikipedia si legge che “il termine velina viene utilizzato in modo 259 260 Lipperini L., op. cit, p.213-214. Ivi. 137 spregiativo anche per indicare un'agognata carriera nel mondo dello spettacolo che apre alle giovani le porte della notorietà e de benessere economico senza necessità di fare studi impegnativi o lunghe gavette.” Loredana Lipperini riporta che nel 2004 le richieste di partecipazione per la selezione erano diecimila. E' stata creata anche una trasmissione che manda in onda il casting: Veline. Nascono anche le Letterine, le Paperine, le Meteorine, le Professoresse, le Schedine, le Troniste e le Surfiste. Tutti i programmi popolari, come Uomini e donne, Buona domenica, Striscia la notizia, Amici destinati agli adulti, vengono guardati in larghissima parte dai bambini. “Nel 2002, un'inchiesta Doxa evidenziava che il programma quotidiano più visto dai bambini tra i 5 e i 13 anni era Striscia la notizia, a pari merito con Tom & Jerry su Rai Due (53%). Al quarto posto, dopo Dragon Ball, Sarabanda. Al sesto, con il 43% Saranno famosi. Quest'ultimo prediletto dal 46% delle bambine contro il 36% dei maschi. Nelle trasmissioni settimanali, al primo posto c'era Scherzi a parte, col 71% delle preferenze. La quinto e al sesto La corrida e Stranamore, seguito da L'albero azzurro e, subito dopo, da C'è posta per te. Sia nel pubblico di Stranamore sia in quello di C'è posta per te la maggioranza di bambine è schiacciante.”261 Infatti le bambine sognano l'amore, come si era visto quando era esploso il caso Titanic, che Natalia Aspesi ha definito “il film più femminile degli ultimi anni, quello che ha scavato sotto gli strati brillanti dell'autonomia e della carriera, della pseudoliberazione sessuale della massima attorno alle molestie 261 Ibidem, p.227-228. 138 sessuali. Tutte ci siamo guardate dentro, sia pure con qualche sbuffo di noia e impazienza. E abbiamo ripescato il sogno sepolto e un po' vile: un amore giovinetto e valzerino, tutto gioia e felicità, anche dopo la morte: dell'altro.”262 E' il vecchio sogno delle principesse delle fiabe che spiega il successo di prodotti come Elisa di Rivombrosa o Tre metri sopra il cielo . E' il sogno d'amore che Lea Melandri cerca di spiegare e spiegarsi. Nel libro di Loredana Lipperini sono riportate le considerazioni di Piermarco Airoldi, vicedirettore di un Centro di ricerca sui media presso l'Università Cattolica di Milano, dove insegna: “i modelli di comportamento proposti nei reality, con la loro iperemotività, così come la costruzione dei personaggi delle fiction, soprattutto i teen drama con The O.C. , Una mamma per amica o le sitcom giovanili come Friends, Scrubs o Camera Café, privilegiano, infatti, una formula sintetica che potremmo definire “adulto-adolescente”; (...) nel caso del teen drama siamo di fronte a psicologie adulte calate in panni e problematiche adolescenziali, che sembrerebbero richiedere una precoce maturazione dei personaggi ma che in realtà non fanno altro che rimandarla all'infinito, mentre nel caso delle sit-com (ma potremmo aggiungere la maggior parte dei volti delle tv per giovani come Italia 1 e Mtv) sono messi in scena trentenni che, di fatto, dimostrano strutture della personalità e comportamenti tipicamente e fissatamente adolescenziali, senza alcuna prospettiva possibile di crescita o maturazione (pena la fine stessa della serie).”263 La Lipperini esamina quindi i reality: Vite spiate, che si svolge sul 262 263 Ibidem, p.189. Ibidem, p.229. 139 web, con sette ragazzi e sette ragazze, che devono vivere almeno 24 ore al giorno in un appartamento alle porte di Milano con telecamere accese, soprattutto sotto la doccia; Il grande Fratello; Cambio moglie; L'uomo dei sogni; La pupa e il secchione; La sposa perfetta; La fattoria, L'isola dei famosi. L'autrice sostiene che la televisione “sul banco degli imputati è salita quasi sempre per motivi sbagliati: film, cartoni, telefilm, spettacoli marcatamente basati sulla finzione come il wrestling. In misura molto minore talk show o programmi di intrattenimento. Quasi mai si è sottolineato che la televisione accoglie, ma non inventa un modello sociale.”264 Sappiamo che la cultura televisiva sta cambiando: ci sono prodotti più sofisticati, dalla narrazione non più lineare, come 24 o ER, dal ritmo ipercinetico e dai rimandi di non immediata decifrazione. “Insieme alla televisione, alla rete è cresciuto un pubblico più intelligente e consapevole. Ma all'interno di quel sistema si continuano a veicolare modelli inquietanti, conservatori e, sì, sessisti.”265 Così conclude la Lipperini. In una recente intervista l'autrice spiega che non intende fare un discorso censorio, ma che “è necessario rivendicare la pluralità di modelli e di rappresentazioni della femminilità, contro la passività di un modello unico.”266 Silvia Vigetti Finzi nella prefazione al libro di Elena Rosci, Mamme acrobate, parla delle molteplici identità presenti non solo nell'universo femminile, ma in ciascuna donna: “Le identità del nostro Io multiplo 264 265 266 Ibidem, p.243. Ibidem, p.247. Intervista di Carla Fronteddu per Delt@, anno IX, n.43, 28 febbraio 2011. 140 rinviano alla genealogia che connette le donne nel tempo e nello spazio, al loro essere l'uno dentro l'altra in una compenetrazione di corpi che gli uomini non conoscono. Al di là delle urgenze presenti vengono così chiamati in causa il tempo e la storia.” 267 A questo rimanda anche la profonda intuizione di M. Von Franz: “La maggior parte delle figlie vivono in una relazione d'identità arcaica con la madre, soprattutto se hanno una buona relazione con lei. Da bambine parlano alla bambola come la madre fa con loro, arrivando perfino a imitarne la voce e le parole. Molte donne con un complesso materno positivo si occupano delle faccende domestiche, decorano l'albero di Natale, e persino allevano figli “come faceva la mamma” : e si sente da ciò che la vita scorre tranquillamente e senza discontinuità. L'inconveniente è che non procede l'individuazione della figlia diventata adulta: costei continua la figura femminile positiva come tipo, non come individuo, senza realizzare la sua differenza specifica. (...) Le donne ancor più degli uomini hanno la tendenza a identificarsi col loro sesso e a rimanere in quest'identità arcaica. A scuola, per esempio, le alunne imitano il modo di parlare o le nuove pettinature l'una dell'altra. Sembrano pecore, tutte dello stesso tipo.”268 Sviluppando il discorso sul rapporto madre-figlia, l'autrice ossserva che “vi è una tale identità arcaica tra madre e figlia, che può essere spezzata solo con uno sforzo sovrannaturale, così che ognuna diventi cosciente della sua personalità. La madre deve riprendersi tutte le proiezioni che fa sulla figlia, è diventare lei stessa un individuo, e ciò è difficile per tutte le donne. Si parla molto delle 267 268 Vegetti Finzi S., prefazione a Rosci E., op.cit., p.9. Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.159. 141 madri che divorano i propri figli, ma molto spesso sono molto più attaccate alle loro figlie. Si tratta di un fenomeno naturale e di un problema tipicamente femminile. In questi casi, si scopre sempre che la madre ha proiettato un simbolo del Sé sulla figlia e, poiché per lei la figlia rappresenta il Sé, non riesce a staccarsi dalla proiezione; (...) liberarsene nella seconda parte della vita, quando la figlia è adulta, diventa un problema.”269 Elena Rosci cerca di definire quella che chiama madre postmoderna, figlia della donna romantica, simboleggiata da Natasha, l'eroina di Guerra e pace. “La donna d'oggi procede rimaneggiando l'universo dei valori che le è stato trasmesso dalla madre.(...) E' una persona che si sta modificando, a volte in modo vistoso, a volte impercettibile, ma comunque sufficiente per consentirci di parlare della nascita di un nuovo soggetto sociale. Possiamo quindi affermare che l'immagine che la madre postmoderna ha di sé nasce da un'eredità materna che deve essere rielaborata, ampliata e per molti versi sovvertita. Quindi sia grazie alla madre, sia contro la madre.”270 Anche Elena Gianini Belotti riconosce che “in molti giovanissimi è evidente una ricerca genuina e spesso molto sofferta di rapporti paritari tra uomo e donna, che si esprime in una messa in discussione quotidiana del rapporto stesso in cui la conflittualità viene accettata da ambedue e anzi considerata inevitabile e necessaria. “Crescere insieme” sembra essere la nuova formula capace di garantire vitalità e continuità allo stare insieme. E' un processo ininterrotto e spesso faticoso che implica la costante attenzione di entrambi per evitare il 269 Ibidem, p.162. 270 Rosci E., op. cit., p.87. 142 riprodursi dei vecchi giochi di potere, di sopraffazione, di dipendenza in cui si giunge a controllare l'investimento affettivo per evitare di scivolare in impossibili richieste di totalità all'altro, per “investire” invece più sanamente in una molteplicità di rapporti affettivi di varia natura, in interessi esterni alla coppia, in momenti e spazi personali per ognuno dei due, conservati con sufficiente serenità di entrambi. E' un tentativo radicale di rottura con gli schemi del passato, con l'eterno gioco dei ruoli, che presuppone che anche l'uomo si metta in discussione fino in fondo e sia capace di rispettare la donna come una persona uguale a sé.”271 Questo non toglie poesia all'amore, “esso costituisce tuttavia quel che per l'altra persona significa tutto, cioè il suo tramite di unione con la vita, il suo incessante collegamento con il “fuori” delle cose, che non è altrimenti raggiungibile. L'amore è il medium per bocca del quale la vita le parla, diventa come per miracolo eloquente e trova proprio quelle parole e quegli accenti particolari di cui essa aveva bisogno. Amare significa conoscere qualcuno di cui le cose devono portare l'impronta per poterci raggiungere, per cessare di essere sconosciute e temibili, fredde e vuote, ma mettersi docilmente ai piedi della vita come le fiere all'interno di un paradiso. In alcune delle più belle poesie d'amore, nel desiderio erotico che si volge all'amata, vive qualcosa di questa potente sensazione, come se la donna amata non fosse solo se stessa ma il mondo intero, l'universo, e anche la piccola foglia che trema sul ramo, il raggio di luce sull'acqua. Maga che tramuta tutte le cose ed è in esse tramutata: l'immagine dell'oggetto di questo amore, 271 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.137. 143 infatti, si moltiplica in mille sembianze, in una smisurata ricchezza che spande fertilità, e fa sì che qualunque cammino esso prenda, non esca dal proprio territorio. Se è così, allora il rischio maggiore per la passione amorosa è certamente quando la persona, in uno stolto abbagliamento, vuole rappresentare per l'altro più di una tale mediazione (...) , quando tenta invece il contrario, cioè di cambiare artificialmente il proprio essere adattandosi alle caratteristiche dell'altro, per poter diventare uno con esso in modo più essenziale e non solo nelle fantasie amorose. Solo chi rimane completamente se stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l'altro la vita, essere avvertito come una potenza di essa.”272 Secondo la Von Franz “quello che noi tutti stiamo ora tentando di fare nel cercare di stabilire una relazione sentimentale personale tra uomini e donne, è una situazione nuova. Cominciò nel Medioevo con l'amor cortese. Quello fu il primo tentativo. Poi fu socialmente represso. Si può dunque dire che stiamo veramente tastando un nuovo terreno, un ambito che la poesia e le norme religiose hanno finora descritto come tragico e impossibile, qualcosa che non ha mai un lieto fine. Ciò rappresenta veramente un nuovo compito per entrambi i sessi. Non andrebbe dimenticato che Jung fu un pioniere in questo campo, indicò un cammino e lo incoraggiò, molto prima che ci fosse un movimento di liberazione delle donne. Mostrò che, per la prima volta nella storia, dobbiamo tentare di stabilire una vera relazione tra uomini e donne, al di là della cieca attrazione determinata dalle proiezioni di Animus e 272 Salomé L., Riflessioni sul problema dell'amore,in La materia erotica, Editori Riuniti, Roma 1985, p.24; in lingua originale uscito in Deutsche Rundschau, v.II, 1900. 144 Anima.(...) nessuno può veramente integrare Anima e Animus fino al punto che non s' intrufolino nella faccenda. Ma l'essere capaci di aspettare e andare oltre, in una vera relazione d'amore, qualunque sia, è il grande mistero anticipatorio in questa storia e in questo incontro.”273 273 M.Von Franz, La gatta. Una fiaba di redenzione del femminile, op. cit., p.104. 145 Conclusioni Cosa è emerso da questa analisi sulla rappresentazione del femminile negli ultimi cinquant’anni? Il quadro è davvero così desolante? L’inquietante ipotesi di Postman sulla “scomparsa dell’infanzia” deve essere letto anche in modo specifico e femminile?274 Abbiamo fatto troppi errori, abbiamo sbagliato a sottovalutare l’importanza che un certo tipo di televisione aggressiva e qualunquista ha avuto nell’educazione delle nostre bambine? O addirittura sono valide le teorie come quella di Michel Houellebecq, che sostiene che il femminismo non abbia portato libertà ma l’opposto? 275 Credo che la via che porti alla giusta direzione in questo senso, debba essere cercata ancora una volta nella differenza; non una differenza di genere, ma una differenza di contenuti, di proposte, di idee. È importante avere la consapevolezza che è possibile fare scelte personali e diverse. Non mancano le indagini attente e approfondite su questi argomenti (penso ai lavori di Loredana Lipperini, Lorella Zanardo, Silvia Ballestra, Simonetta Ulivieri, Concita De Gregorio, Francesca Bellafronte, solo per citare alcune delle produzioni degli ultimi anni), e non mancano neanche proposte letterarie e culturali nuove e valide rivolte ai bambini e alle bambine. Ed è proprio seguendo queste tracce che penso debba essere individuata una mappa preziosa sulla quale orientarsi e grazie alla 274 275 Postman N., La scomparsa dell’infanzia, Armando editore, Milano 2003 Houellebecq M., intervista a The Guardian & Observer - digital edition, domenica 6 Novembre 2005 146 quale scegliere. In questo modo sarà possibile avere un’idea autentica e personale di come si siano trasformati i valori femminili, tenendo conto di tutti i modelli che ci vengono proposti con consapevolezza critica, e riconoscendo non un solo tipo di femminilità, ma un’insieme di figure che si fondono e si incrociano in modo articolato e complesso, una molteplicità di ruoli e inclinazioni che si avvicina più possibile alla grande varietà delle bambine e delle donne reali. Per concludere vorrei prendere a prestito una fiaba, tratta da “ciclo Bretone”, intitolata “Re Artù”, raccontata da Gaetana Rossi nell'ambito del percorso formativo “La magia nella fiaba”: Un giorno, il giovane re Artù fu catturato e imprigionato dal sovrano di un regno vicino. Mosso a compassione dalla gioia di vivere del giovane, invece di ucciderlo, il sovrano gli offrì la libertà, a patto che rispondesse ad un quesito molto difficile: “Che cosa vogliono veramente le donne?” Artù avrebbe avuto a disposizione un anno, trascorso il quale, nel caso in cui non avesse trovato una risposta, sarebbe stato ucciso. Un quesito simile avrebbe sicuramente lasciato perplesso anche il più saggio fra gli uomini e sembrò al giovane Artù una sfida impossibile, tuttavia, avendo come unica alternativa la morte, Artù accettò la proposta e fece ritorno al suo regno. Ivi giunto, iniziò a interrogare chiunque: le principesse, le prostitute, i sacerdoti, i saggi, le damigelle di corte, e via dicendo, ma nessuno seppe dargli una risposta soddisfacente. Ciò che la maggior parte della gente gli suggeriva era di consultare una vecchia strega, poiché solo lei avrebbe potuto fornire 147 una risposta, ma a caro prezzo, dato che la strega era famosa in tutto il regno per gli esorbitanti compensi che chiedeva per i suoi consulti. Il tempo passò...e giunse l'ultimo giorno dell'anno prestabilito, così che Artù non ebbe altra scelta che andare a parlare con la vecchia strega, che accettò di rispondere alla domanda solo a patto di ottenere la mano di Gawain, il più nobile dei cavalieri della Tavola Rotonda, nonché migliore amico di Artù. Il giovane Artù provò orrore a quella prospettiva...la strega aveva una gobba ad uncino, era orrenda, aveva un solo dente, puzzava di fogna e spesso faceva anche dei rumori osceni! Non aveva mai incontrato una creatura tanto ripugnante. Perciò si rifiutò di accettare di pagare quel prezzo e condannare l'amico a sobbarcarsi un fardello simile! Gawain, venuto al corrente della proposta, volle parlare ad Artù dicendogli che nessun sacrificio era troppo grande per salvare la vita del suo re e la tavola rotonda, e che quindi avrebbe accettato di sposare la strega di buon grado. Il loro matrimonio fu proclamato e la strega finalmente rispose alla domanda: “Ciò che una donna vuole veramente è essere padrona della propria vita.” Tutti concordarono sul fatto che dalla bocca della strega era uscita senz'altro una grande verità e che sicuramente la vita di Artù sarebbe stata risparmiata. Infatti il sovrano del regno vicino risparmiò la vita ad Artù e gli garantì piena libertà. Ma che matrimonio avrebbero avuto Gawain e la strega? Artù si 148 sentiva lacerato fra sollievo ed angoscia, mentre Gawain si comportava come sempre gentile e cortese. La strega, al contrario, esibì le peggiori maniere,(…) mettendo tutti a disagio. La prima notte di nozze era vicina, e Gawain si preparava a trascorrere una nottata orribile, ma alla fine prese il coraggio a due mani ed entrò nella camera da lettoe ..che razza di vista l'attendeva! Dinanzi a lui, discinta sul talamo nuziale, giaceva semplicemente la più bella donna che avesse mai visto! Gawain rimase allibito e non appena trovò l'uso della parola (il che accadde dopo diversi minuti), chiese alla strega cosa le fosse accaduto. La strega rispose che era stato talmente galante con lei quando si trovava nella sua forma repellente che aveva deciso di mostrarglisi nel suo altro aspetto, e che per metà del tempo sarebbe rimasta così, mentre per l'altra metà sarebbe tornata la vecchiaccia orribile di prima. A questo punto la strega chiese a Gawain quale dei due aspetti avrebbe voluto che essa assumesse di giorno e quale di notte. Che scelta crudele! Gewain iniziò a pensare all'alternativa che gli si prospettava: una donna meravigliosa al suo fianco durante il giorno, quando era con i suoi amici, ed una stregaccia orripilante la notte? O forse la compagnia della stregaccia di giorno e una fanciulla incantevole di notte con cui condividere i momenti di intimità? (...) Il nobile Gawain disse alla strega che avrebbe lasciato a lei di decidere per se stessa. Sentendo ciò, la strega gli sorrise, e gli annunciò che sarebbe rimasta 149 bellissima per tutto il tempo, proprio perché Gawain l'aveva rispettata, e l'aveva lasciata essere padrona di se stessa.”276 276 Rossi G., La fiaba: creare la magia dell'ascolto, in La magia nella fiaba, op. cit., pp25-27. 150 151 Bibliografia AA.VV. 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