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IL PRINCIPE AZZURRO FORSE NO Ruoli, valori e stereotipi nella
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
IL PRINCIPE AZZURRO FORSE NO
Ruoli, valori e stereotipi nella
letteratura per l’infanzia e
nell’immaginario
RELATORE
Prof. Paolo Borin
CANDIDATA
Lisa Cini
Anno Accademico 2010/2011
1
Indice
Introduzione
pag 3
Capitolo primo, Ritratti di bambine, donne e fanciulle
attraverso la letteratura
1.1 Memorie di un’eroina perbene
pag 5
1.2 Una protagonista diversa, Caterina
pag 8
1.3 Infanzie “senza famiglia”
pag 9
1.4 Giochi di ruolo
pag 10
1.5 Viaggiando per mondi fantastici
pag 11
1.6 Quattro tipologie femminili in un romanzo: Piccole
pag 12
Donne
1.7 Due bambine venute dal nord, Pippi e Bibi
pag 13
1.8 Una storia dall’oriente: Totto-chan
pag 17
1.9 Bambine a fumetti
pag 19
1.10 Arrivano le bambine dei cartoons
pag 22
Capitolo secondo, Intorno al ’68: riflessioni e discussioni
sui modelli femminili
2.1 Il ruolo delle bambine nell’immaginario
pag 25
2.2 Rosaconfetto e le altre
pag 29
2.3 Educazione e ruoli sessuali
pag 32
2.4 Contestazione e “contro fiabe”
pag 38
2.5 Fate, streghe e madonne
pag 55
2
Capitolo terzo, Tra decostruzioni e nuovi tentativi
3.1 Le fiabe di Marina Valcarenghi
pag 61
3.2 Fiabe minime
pag 61
3.3 Nuove fiabe minime
pag 80
3.4 Modelli universali per bambine nuove
pag 105
3.5 Le bambine di Bianca Pitzorno
pag 111
Capitolo quarto, L’educazione ai tempi delle Winx
4.1 Ancora dalla parte delle bambine?
pag 117
4.2 Dov’è finita Rosaconfetto?
pag 121
4.3 Rosa e azzurro: due universi contrapposti
pag 125
4.4 L’universo femminile visto alla TV
pag 136
Conclusioni
pag 145
Bibliografia
pag 151
3
Introduzione
Cercare di definire il ruolo che la rappresentazione della donna e della
figura femminile in genere ha assunto in questi ultimi cinquanta anni
attraverso la letteratura per l’infanzia, è un’operazione assai
complessa.
Un’indagine attenta e approfondita su questo tema dovrebbe tenere
conto della molteplicità dei messaggi che concorrono a formare i vari
modelli femminili nella società e nell’immaginario, con le loro
connotazioni, le loro diversità, le loro caratteristiche.
Che ne è oggi degli stereotipi femminili classici? Quanto ha influito
sull’immaginario moderno la decostruzione del ruolo della donna e
della bambina verificatasi nel ’68? E ai nostri giorni? Che tipo di
immagine emerge? Come riusciamo a vedere e a mantenere
un’autenticità che vada al di là delle rappresentazioni che ci vengono
imposte? È possibile descrivere in maniera approfondita la figura
femminile, un’immagine mutevole, sempre da ridefinire perché
sempre si rinnova, e che si presta a innumerevoli interpretazioni?
Partendo dall’idea della donna che ci presentano la letteratura e i
media, questo lavoro si propone di sviluppare un discorso più ampio
sul ruolo delle bambine e delle donne nell’immaginario.
Vorrei porre inoltre l'attenzione sul confronto tra i termini “stereotipo”
e “differenza”. Il primo esprime quella generalizzazione acritica e
quell'estrema semplificazione che danno sicurezza e invitano a
rimanere nella norma, nelle regole non dette; indirettamente assicura
la salvaguardia delle relazioni di potere. La differenza esprime invece
4
qualcosa che va contro il pensiero unico, che contiene sfumature,
campi infiniti di infinite differenze, non è lineare, non contempla
gerarchie e è necessariamente decentrata.
Così per l'educazione o le relazioni, come per la definizione di
maschile e femminile, è importante
che la categoria a cui si fa
riferimento sia la differenza e non lo stereotipo.
5
Capitolo primo
Ritratti di bambine, donne e fanciulle attraverso la letteratura
1.1 Memorie di un’eroina perbene
È difficile tracciare una mappa dei modelli femminili che emergono
dalla produzione letteraria dedicata alle bambine. Un’analisi
approfondita deve considerare l’estrema eterogeneità di queste figure,
il loro influenzarsi a vicenda, la varietà delle tipologie delle
protagoniste.
Nel primo dopoguerra, in Italia, erano più famosi i romanzi per
ragazzi, i cui protagonisti erano principalmente maschili: (Pinocchio,
Remy, David Copperfield, Gian Burrasca, Peter Pan, i ragazzi del
libro Cuore, Tom Sawyer eccetera), romanzi che venivano considerati
per tutti, bambini e bambine. Tuttavia non mancavano le produzioni
pensate esclusivamente per le bambine, così come non mancavano i
personaggi femminili, manifesti o nascosti di questo panorama
letterario in cui le eroine trovavano un loro spazio, anche se
certamente godevano di minore fama e popolarità.
Questa panoramica sull’universo “rosa” non sarebbe completa se non
venissero menzionate tutte quelle signorine un po’ all’antica, retrò,
tipiche della letteratura di un’epoca passata, per lo più nate dalla
penna di scrittrici vissute nei primi decenni del secolo scorso. Le
autrici in questione si sono dedicate proprio alla stesura di romanzi
6
“per ragazzine”, e hanno scritto storie sulla crescita, sui cambiamenti
dell’età, avendo come finalità quella di collocare la presenza
femminile in un ambito di grazia e docilità. Anna Vertua Gentile,
Maria Majocchi Plattis, Ada Cagli Della Pergola, Olga Visentini, tutte
queste scrittrici hanno avuto il merito di pensare le loro opere per un
pubblico femminile, cercando di inserire nei loro romanzi protagoniste
che dessero esempi positivi. Ne emergevano figure di donne dai
profili impeccabili, signorine “perbene”, che curavano l’aspetto e le
buone maniere, che si contrapponevano ad un universo maschile
lontano e poco conosciuto ma che allo stesso tempo sapevano che il
loro fine ultimo sarebbe stato quello di diventare buone mogli e buone
madri. Un esempio di questi tipi di fanciulle può essere rappresentato
anche dalle sorelle di Gian Burrasca, adolescenti che si comportano da
donnine, accudendo e rimproverando il fratellino più piccolo e
monello e che hanno dell’amore un’idea profondamente legata alla
vita sociale e alquanto pragmatica, come esemplifica questo estratto
del diario di Ada, la sorella maggiore di Giannino: “Oh se quel
vecchiaccio del Capitani non tornasse più! Ed invece è venuto anche
stasera. È impossibile! Non mi piace! Non mi piace e non mi piacerà
mai, mai mai…. La mamma ha detto che è molto ricco; e che se mi
chiedesse in moglie, dovrei sposarlo. Non è una crudeltà questa?
Povero cuore mio! Perché ti mettono a tali torture? ! Egli ha certe
mani grandi e rosse, e col babbo non sa parlare altro che di vino e di
olio, di campi, di contadini e di bestie; se lo avessi veduto, almeno una
volta, vestito a modo… Oh se questa storia finisse! Se non tornasse
più! Mi metterei l’anima in pace… Iersera, mentre l’accompagnavo
7
all’uscio, ed eravamo soli nella stanza d’ingresso, voleva baciarmi la
mano; ma io fui pronta a scappare, e rimase con un palmo di naso…
Ah no! Io amo il mio caro Alberto De Renzis. Che peccato che
Alberto non sia che un misero impiegatuccio…. Mi fa continuamente
delle scenate e io non ne posso più! Che delusione è la vita…. Mi
sento proprio infelice!!!....”1
Le eccezioni sono rare, pensiamo per esempio a Giana Anguissola ,
più spiritosa, versatile e venata di sottile ironia, con le sue bambine
che Antonio Faeti ha definito “paradigmatiche” 2, Violetta la timida,
Giulietta, Priscilla e tutte le altre, ragazzine moderne che vivono il
loro tempo con “tutti i suoi problemi psicologici, individuali, legati
alla vita di relazione, al lavoro allo studio, all’impegno morale e
civile. (…) Tali problemi sono affrontati dalla Anguissola, a
differenza che in molti altri romanzi scritti su ordinazione per
affrontare questo o quel problema socio-politico d’attualità, col dono
prezioso dell’ironia. Ed è questo che fa diventare le sue ragazzine dei
personaggi reali, e non semplicemente delle “portabandiera” senza
volto”3.
E singolare in questo panorama è anche Laura Orvieto, autrice delle
Storie della storia del mondo, stampato in origine dalla casa fiorentina
Bemporad e tradotto in inglese, francese, spagnolo, ebraico e polacco,
che vendette settantamila copie dal 1911 al 1938, quando fu ritirato a
causa delle leggi razziali, dato che l'autrice era ebrea. La scrittrice si
rivolgeva ai lettori come se stesse parlando ai figli, Leonfrancesco e
1
Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca, Giunti Marzocco, Firenze, 1980 p.6
Faeti A., Odette, anzi, Odetta, in Lazzarato F., e Ziliotto D.,(a cura di) Bimbe, donne e bambole,
protagoniste bambine nei libri per l’infanzia, Artemide, Roma, 1987 p.21
3
Pitzorno B., Ho il diritto di pensare, disse Alice alla duchessa, in Lazzarato F., Ziliotto D., (a
cura di) Bimbe, donne e bambole, op. cit. p. 52
2
8
Annalia e rispondendo ai loro interrogativi sulla vita; aveva idee
avanzate e egualitarie sul rapporto tra i sessi, che si distaccavano
molto dalla mentalità dell’epoca.
1.2 Una protagonista diversa: Caterina
Un’altra particolarità può essere rappresentata sicuramente anche da
Elsa Morante, che scrisse il suo libro quando aveva tredici anni, nel
1925 (anche se il romanzo verrà pubblicato da Einaudi nel 1942,
quando la scrittrice aveva già conseguito un certo successo letterario).
Il testo è molto ben scritto, curato nella sua freschezza e nei disegni
dell'autrice, che non sono semplicemente decorativi ma sono
strutturali alla narrazione. Si rivolge direttamente ai piccoli lettori, ma
anche ad un pubblico adulto che può cogliere la raffinatezza del
lessico e l'ironia che percorre tutti i personaggi, caratterizzati ognuno
da uno stile proprio attraverso un linguaggio specifico.
La protagonista del racconto, Caterina, è la sorella minore di Rosetta,
e all'inizio sembra non essere caratterizzata rispetto al genere, ma è
come se fosse una rappresentazione neutra dell’infanzia. Caterina
all’inizio fa sempre tanti capricci, vuole mangiare solo quello che le
piace, bistratta le sue bambole. Nel corso del racconto, occupandosi
delle sue bambole Tit e Bellissima, e confrontandosi con altri tipi di
femminilità (quella di tipo pratico e materno di Rosetta e quella più
universale della Regina delle Fate), acquisirà un senso di umiltà e di
consapevolezza delle sue mancanze, diventando più matura e capace
di pensare agli altri e trovando una sua personale forma di
9
femminilità.
Inoltre alla fine della straordinaria avventura tutto si risolve, e queste
diverse immagini del femminile possono mostrarsi ai piccoli lettori
come possibilità da vivere per le bambine e da incontrare per i
bambini.
1.3 Infanzie”senza famiglia”
Provando anche a varcare i confini della letteratura italiana, possiamo
poi incontrare altre tipologie di protagoniste ed altre tipologie di
storie,
cominciando
per
esempio
dai
racconti
di
infanzie
problematiche e rocambolesche, come quella di Sarah Crewe,
personaggio principale di La Piccola Principessa, romanzo della
stessa autrice del Piccolo Lord, Frances Hodgson Burnett. Sarah è una
bambina proveniente da una ricca famiglia inglese che rimane sola ed
è costretta a vivere da serva nel collegio per ragazze di buona famiglia
dove prima era studentessa. Un’altra eroina che deve rimboccarsi le
maniche è Perrine, protagonista del romanzo In famiglia (scritto dallo
stesso Ector Malot di Senza Famiglia), che rimasta orfana, lavora da
operaia in una grande fabbrica e contribuisce alla rivalsa sociale di
tutte le sue compagne. Su questa scia possiamo trovare anche Anna
dai Capelli Rossi, orfanella americana che viene adottata da due
anziani agricoltori, Pollyanna, anche lei americana, che viene adottata
da una zia apparentemente arcigna e senza sentimenti, ed Heidi, la
bambina svizzera diventata famosa grazie al celebre cartone animato,
che è costretta a vivere a Francoforte e a fare da dama di compagnia
10
alla ricca Clara, mentre vorrebbe tornare a giocare libera sulle alpi dal
nonno pastore.
Questo
filone
è
pressoché
inesauribile
e
ne
parleremo
approfonditamente anche nella sezione dedicata alle figure femminili
dei cartoni animati.
1.4 Giochi di ruolo
Ci sono poi le bambine-mamme, come la Wendy di Peter Pan, che
nell’Isola che non c’è, in un mondo lontano e fantastico dove potrebbe
fare quello che vuole, anche le cose impossibili, sceglie invece di
ricreare uno schema familiare tradizionale, giocando a fare da mamma
ai bambini sperduti ed il suo rapporto con Peter è simile a quello di
una coppia di genitori.
Un messaggio di conservazione e di eterno femminino è rappresentato
anche da Marigold, protagonista dell’omonimo romanzo di Lucy M.
Montgomery (la stessa autrice di Anna dai capelli rossi), che una volta
superata l’infanzia (durante la quale aveva sviluppato un rapporto
animistico e magico con tutte le cose della natura) sceglie di
abbandonare definitivamente quel mondo fatato, e si rifà al modello
sociale di sua madre, “dolce, bella, sensibile e quietamente,
rassegnatamente infelice”.4
E non dimentichiamo che sorella e mamma (pur nell’estrema
complessità che questa figura rappresenta) è anche la Fata dai Capelli
Turchini per Pinocchio, stereotipo a sua volta del bambino monello.
4
Pitzorno B., in Lazzarato F., Ziliotto D., (a cura di), Bimbe, donne e bambole, op. cit. p. 47
11
1.5 Viaggiando per mondi fantastici
Alcune eroine si confrontano con il tema del viaggio, come Alice nel
Paese delle Meraviglie. Alice è una bambina molto concreta, tipica
dell’Inghilterra vittoriana, profondamente legata alla sua vita di
piccola benestante, che cerca di essere educata e di comportarsi come
si conviene, “Alice in genere si dava ottimi consigli (benché poi li
seguisse molto di rado), e qualche volta si sgridava con tanta severità
da farsi venire le lacrime agli occhi” 5. Seguendo il Coniglio Bianco,
finisce in un universo surreale e completamente senza logica, conosce
personaggi strampalati e indimenticabili, vive avventure assurde, e in
ogni situazione interagisce con il mondo che la circonda, non è mai
passiva, ma sempre commenta, protesta, chiede, critica, espone i suoi
dubbi nell’osservare ciò che vede. Come ha scritto Bianca Pitzorno,
“Alice è simbolo dell’infanzia libera e irriverente che viaggia
perplessa in un universo che non la convince sino in fondo”. 6 E il suo
viaggio (benché alla fine si riveli essere soltanto uno straordinario
sogno) è un’avventura intellettuale ed emotiva che la cambia, non è
fine a se stesso.
Tutto diverso è invece il viaggio di Dorothy, anche lei bambina
profondamente immersa nel suo tempo, vive infatti in una tipica
fattoria del Kansas, allevata dagli zii Emma ed Henry, in compagnia
del suo cagnolino Totò: parliamo ovviamente del Mago di Oz, di L.
5
Carroll, L., Alice nel paese delle meraviglie, Londra, 1863, De Agostini, 1982, introduzione
critica di B. Pitzorno.
6
Pitzorno B., (Introduzione critica a) Alice nel Paese delle Meraviglie, op. cit.
12
Frank Baum, uscito nel 1900. Anche Dorothy è una bambina con la
testa sulle spalle, dotata di giudizio e di senso pratico. Anche lei si
ritrova in un mondo fiabesco, incontra buffi compagni di viaggio e
vive un’avventura fantastica seguendo il sentiero di mattoni gialli.
Ci sono tuttavia molte differenze tra Dorothy ed Alice: entrambe
vengono catapultate in un mondo fantastico, ma mentre Alice cade
nella tana del coniglio spinta dalla curiosità, l’avventura di Dorothy è
totalmente involontaria, perché è un ciclone a sradicare la sua casa, e
per tutta la vicenda lei desidera soltanto tornare alla fattoria degli zii.
Dorothy non vuole cambiare la sua condizione di partenza, “è
un’americanina
pragmatica,
razionale,
cordiale,
affettuosa
e
orgogliosa della sua semplicità. Alle torri della Città di Smeraldo
preferisce i cavoli del suo orto nel Kansas” 7.
1.6 Quattro tipologie femminili in un romanzo: Piccole donne
Le quattro sorelle March sono sicuramente tra le eroine più conosciute
(complici anche i vari adattamenti cinematografici e di animazione) e
benvolute. Rappresentano quattro modelli di donna molto diversi tra
loro:
Meg, la maggiore, è in età da marito e si comporta già da donna
adulta, dolce e paziente; tuttavia ha un atteggiamento un po’ snob e
tradizionalista, da prima della classe, e alla fine del romanzo infatti
riuscirà a coronare il suo sogno realizzandosi come moglie e come
madre.
7
Pitzorno B., in Lazzarato F. e Ziliotto D., (a cura di) Bimbe, donne e bambole, op. cit.p.61.
13
Jo è la secondogenita, la figura forse più complessa e amata del libro,
aspirante scrittrice, anticonformista, considerata dalle sorelle un vero e
proprio “maschiaccio”. Jo è l’unica delle quattro a voler uscire da una
dimensione domestica e femminile, a volersi realizzare come persona,
confrontandosi con il mondo del lavoro e mettendo in secondo piano il
suo essere donna (basti pensare al gesto simbolico del taglio dei
capelli, che decide di vendere per aiutare economicamente la
famiglia).
Beth è la terza sorella, docile, remissiva, timidissima, cagionevole di
salute e amante della musica, è lo stereotipo di un modello femminile
tutto rivolto all’interno, della famiglia, della casa, di se stessa.
L’ultima sorella è Amy, la più viziata e “civetta”, che cerca di emulare
Meg e che è già pronta a debuttare in società e a trovarsi un buon
partito da sposare.
Tutte e quattro le sorelle, comunque, nel momento del bisogno si
rivelano forti e generose, ognuna a suo modo, non si scoraggiano mai,
si sostengono a vicenda, promuovendo quel senso pratico e quella
solidarietà tipica di un esemplare american way of life.
1.7 Due bambine venute dal nord: Pippi e Bibi
Conchita De Gregorio parte proprio dal tipo di educazione e di
letteratura infantile che viene proposta alle bambine italiane per
spiegare le differenze culturali e di costume tra il nostro Paese e la
Svezia. Sostiene dunque che Pippi Calzelunghe non è una storia per
14
bambini. “E' una storia per adulti che si affannano a cercare un mondo
più giusto, più libero, per tutti uguale: uomini e donne, grandi e
piccoli, indigeni e ospiti. (...) E' proprio inutile rompersi la testa a
studiare le carte dei ministeri per capire il segreto del “modello
svedese. (...)La questione è questa. Mentre noi avevamo Pinocchio
loro avevano Pippi.”8 Ricorda che il libro è uscito nel 1945, “mentre
qui finiva la guerra e le donne stavano a casa a cercare il pane tra le
macerie.”9
In effetti la vita di Pippi, le sue giornate, si discostano dal perbenismo
e soprattutto dalla presenza della famiglia come microcosmo pieno di
regole, doveri e gerarchie.
Le eroine di Astrid Lindgren, infatti, stravaganti e alternative, si sono
imposte al mondo intero per la loro originalità, indipendenza e gioia di
vivere.
Pippi Calzelunghe si conferma una straordinaria eccezione nel
panorama editoriale della letteratura per l’infanzia degli anni ’40. La
stessa Lindgren parla delle aspre critiche che accolsero il libro
immediatamente dopo la sua uscita in Svezia: “Lei non somigliava
affatto alle protagoniste dei libri per l’infanzia di quelle poca. Molti
adulti ne furono disturbati e chiamarono Pippi una disgustosa
monellaccia”.10
È la stessa Donatella Ziliotto a parlare del suo incontro con la
Lindgren, “nel 1957 conobbi Astrid Lindgren, tradussi Pippi e lo
pubblicai nel ’58 in apertura alla collana Il Martin Pescatore che
8
De Gregorio C., Una madre lo sa, Mondadori, Milano 2006, p. 51 e 52.
Ibidem, p.53
10
Lindgren A., in Lazzarato F., e Ziliotto D., (a cura di), Bimbe donne e bambole, op.cit. p.13.
9
15
Vallecchi mi aveva incaricata di curare. Così anche le bambine
italiane seppero che potevano sognare di diventare forti e
indipendenti, ed aspirare, da grandi, a sollevare per aria e scaraventare
lontano tutto ciò che usava loro delle prepotenze, come fa Pippi con i
ladri”.11
Pippi,“in un certo senso è il contrario di Alice, bambina logica e
beneducata in un mondo assurdo, quanto Pippi è inaspettata e assurda
in un mondo che segue una logica convenzionale” 12
La famiglia dei due bambini amici di Pippi rappresenta l'ovvio, il
quotidiano come è rappresentato nei libri di scuola, ma la presenza
della bambina dalle trecce color carota, la sua generosità e anche la
sua capacità di prendersi cura di Annika e Tommy, convinceranno
anche la loro mamma a lasciare che i tre amici insieme trascorrano
avventurose e meravigliose vacanze. Alle comari che arricciano il
naso con aria schizzinosa risponde che forse
Pippi non ha un
comportamento esemplare, ma in compenso ha molto buon cuore.
Pippi non ha più la mamma, ma ha interiorizzato la sua presenza e può
così salutarla, immaginando che lei, seduta in cielo, possa guardarla
col cannocchiale attraverso un piccolo foro. La sua capacità di
immedesimarsi nell'altro arriva a salutarla dicendo: “Non stare in
pensiero per me! Io me la cavo sempre!” 13
E' capace di avere un dialogo con se stessa e di preparare sorprese agli
altri, proprio perché è capace di sorprendersi. Sull'educazione riesce a
enucleare profondi principi: “è assolutamente necessario, per i
11
12
13
Ibidem p.25.
Ibidem p.27.
Lindgren A., Pippi Calzelunghe, Salani, Milano, 2010, (prima edizione 1961)
16
bambini piccoli, avere una vita organizzata; specialmente quando se
l'organizzano da soli!”.14
E' consapevole di essere parte dell'universo ed è capace di identificarsi
con tutti gli esseri, tanto che quando riesce a salvare Tommy dal
pescecane poi piange perché “ il povero piccolo pescecane, oggi è
rimasto senza pranzo.”15
Le sue bugie non sono come quelle di Pinocchio, perché le racconta
per gioco e quando fa qualcosa di strano o di incongruo lo attribuisce
ad usanze di Paesi lontani, come a introdurre il sospetto che le stesse
cose possano essere giuste o sbagliate secondo il contesto. Ma forse il
tratto che rappresenta maggiormente la sua autonomia fatta di gioia e
di serenità è nelle parole che dice a Tommy quando lui teme che abbia
freddo nella sua casa non riscaldata: “finché il cuore è caldo e fa tictac come si deve, non c'è pericolo di gelare!” 16
Sempre parlando di letteratura nordica, non possiamo non citare
un’autrice che forse in Italia è meno conosciuta, ma che ha dato vita
ad un personaggio dotato di una carica rivoluzionaria: la danese Karin
Michaelis e la sua Bibi17, bambina ribelle e anticonformista che gira
da vagabonda per tutta la Danimarca. Nei suoi libri c’è “amore per
l’avventura, tenerezza per gli animali, rapporto di curiosità e di affetto
per tutti gli esseri umani, di qualsiasi classe o condizione fossero,
interesse per gli oggetti, i luoghi, i paesaggi, un senso straordinario di
14
Ibidem p. 179
Ibidem p. 235
16
Ibidem p.169
17
Michaelis A., Bibi, una bimba del nord, Vallecchi, Firenze, 1951
15
17
amicizia e di solidarietà femminile”18 . Sempre di Karin Michaelis è
anche L’età pericolosa, crudo bilancio sentimentale di una donna di
quarant’anni che sceglie di vivere in solitudine ma diventa preda di
angosce e frustrazioni, libro contro cui si sono scagliate le femministe
in quanto ritenuto colpevole di dare un’immagine di donna in
definitiva perdente. In realtà la Michaelis ha compiuto un grande
passo in avanti, perché non ha avuto paura di descrivere la donna in
negativo, senza demonizzarla e senza false retoriche, non ha avuto
paura di toglierla dalla perfezione, dal ruolo di angelo del focolare o
da quello di eroina coraggiosa.
1.8 Una storia dall’oriente: Totto-chan
Totto-chan, la bambina alla finestra, è un libro giapponese che è stato
pubblicato
nel
1982,
dalla
giornalista
Tetsuko
Kuroynagi,
ambasciatrice dell'UNICEF ed esponente del WWF. E' la storia degli
anni che ha trascorso nell’istituto Tomoe, vera scuola della periferia di
Tokio, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale . Il
libro è dedicato al preside di quella scuola, Sosaku Kobayashi, che
aveva aperto la scuola nel 1937. “Lui riteneva che tutti i bambini
nascessero fondamentalmente buoni, ma che la bontà della loro natura
potesse essere facilmente guastata dall'ambiente e dalle influenze
negative degli adulti. Il suo scopo era portare alla luce e stimolare la
“bontà” dei bambini in modo che, crescendo, sviluppassero una loro
18
Ziliotto D., Generazione Bibi, generazione Pippi, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, donne e
bambole, op. cit. p. 29
18
personalità.”19 Nella bambina giapponese troviamo delle affinità con
Pippi: Totto-chan non seguiva le lezioni, nella scuola precedente, da
cui verrà espulsa, ma stava alla finestra, aspettando i musicisti di
strada, parlava con loro e con le rondini che facevano il nido sotto il
cornicione dell'aula, non conteneva il suo entusiasmo e nemmeno il
foglio da disegno era sufficiente per lei, così usava anche il banco. Sua
madre si rende conto che la bambina ha bisogno di una scuola adatta a
lei e dopo molte ricerche, sceglie la Tomoe. Già il cancello era
indicativo
dei
principi
educativi,
perché
era
“consisteva
semplicemente in due corti pali con ramoscelli e foglie ancora
attaccati”
20
, mentre “il giardino della scuola, costellato di aiuole di
fiori rossi e gialli, era circondato da alberi anziché da un muro.”
21
Le
lezioni si svolgevano spesso sotto forma di passeggiate durante le
quali si potevano conoscere i nomi delle piante e le nozioni di
botanica e di scienze senza che apparissero doveri noiosi, ma come
cose importanti che si trovavano sul proprio cammino. Il preside
aveva inserito nel programma scolastico materie alternative e
all’avanguardia, come l’euritmia, perché sentiva che avrebbero portato
ad ottimi risultati e avrebbero aiutato i bambini a sviluppare
naturalmente la loro personalità, senza un'eccessiva interferenza da
parte degli adulti.
Il signor Kobayashi infatti, non condivideva i metodi educativi
contemporanei, che enfatizzavano troppo la parola scritta, tendendo ad
19
Kuroyanagi T., Totto-chan. La bambina lla finestra, Excelsior, Milano 2008, p.235.
Ibidem, p.17
20 Ibidem, p. 19
19
19
atrofizzare la percezione sensoriale della natura e la ricettività verso
l'ancora tenue voce di dio che è l'ispirazione.” 22
Bisogna anche aggiungere, però, che Totto-chan apparteneva ad una
famiglia speciale, perché il padre era un violinista che si rifiutava di
suonare nelle fabbriche di munizioni, pur non trovando facilmente
altri lavori, e la madre aveva una grande fiducia in lei; entrambi erano
stati capaci di darle fiducia e libertà pur riuscendo a darle sicurezza e
contenimento.
1.9 Bambine a fumetti
Adriana Di Stefano e Carmen Migani, notano lo sforzo del “Corriere
dei Piccoli” negli anni sessanta, di “mitigare l’iniqua e perdurante
esclusione della bambina dal mondo dei fumetti, neutralizzando però
questo tentativo con l’offerta di prodotti atti a ripristinare rassicuranti
schemi e consolidate convenzioni”.23 Le autrici fanno riferimento ai
racconti per immagini, struttura narrativa ibrida, che utilizzava il
montaggio di vignette illustrate (tipiche del fumetto), con didascalie in
prosa (che si rifacevano alla narrativa tradizionale). Un esempio di
questo procedimento è Priscilla, ideato e scritto da Giana Anguissola,
nel 1965, la cui protagonista è una bambina aspirante diva, un
prodotto molto ben confezionato e con un proprio spessore narrativo.
Parlando invece dei fumetti veri e propri, è da menzionare Valentina
22 Ibidem, p.95.
23
Di Stefano A., Migani C., Anna Livingstone, I suppose. Le bambine e i fumetti, in Beseghi E., (a
cura di), Ombre rosa, Giunti e Lisciani, Teramo, 1987, p.29
20
Mela Verde, di Grazia Nidasio, nata sulle pagine del “Corriere dei
Piccoli” nel 1969, in quel “ghetto femminile che si chiama Ragazzina
tu e circoscrive con grafica inequivocabilità le pagine del Corrierino in
cui si “tollerano” le bambine, a malapena sopportate e rinchiuse in un
giornale sempre prevalentemente “dalla parte dei maschietti”. 24
Valentina è profondamente connotata nel suo tempo e nel luogo in cui
vive, abita a Milano, e si confronta con i problemi tipici del suo
periodo storico e della sua età, affrontando anche grandi temi
scottanti: la scuola sperimentale, la vicinanza con ragazzi diversi, le
gravidanze indesiderate, il pacifismo, l’ecologia. Considerando che
viene pubblicata in un’epoca di grandi cambiamenti, “è necessario
sottolineare ancora come la storia di Valentina Mela Verde sia ricca di
significative contraddizioni e attenta -in un modo che appare
assolutamente insolito nel contesto della produzione italiana di
comics- a seguire l'evoluzione del nostro costume con un'ottica
abilmente attrezzata allo scopo. Proprio a causa di queste specifiche
caratteristiche a Valentina si potevano attribuire consistenti ambizioni
pedagogiche, sempre contraddistinte -nei confronti di delle più incerte
e meno facilmente determinabili vocazioni di altri personaggi- da una
chiara consapevolezza del ruolo che essa aveva assunto in questa
prospettiva.”25
Il testimone di Valentina verrà preso dalla sua sorella minore Stefi,
negli anni ottanta, e anche qui troviamo flash ironici ed incisivi sui
vari episodi di vita in una metropoli consumistica.
Un’altra famosa eroina dei fumetti è Mafalda, bambina-non bambina,
24
Faeti A., Letteratura per l’infanzia, La Nuova Italia, Firenze, 1977 p.25
25 Ibidem, p.56.
21
ironica e contestatrice, nata dalla penna di Quino sulle pagine del
quotidiano El mundo nel 1965 e arrivata in Italia grazie a Bompiani
nel 1968. Mafalda fa parte di un mondo “fondato soprattutto sui
bambini (…), spigoloso, sarcastico, anche duro. Quino sa bene che se
ci si sposta lì in basso, dove sono collocati i bambini, il mondo, gli
adulti, le vicende quotidiane, i fatti politici non si vedono mai davvero
in buona luce. C’è un’ingiustizia di fondo, tra le tante che vengono via
via denunciate: quel mondo va avanti come un’astronave, carica anche
di bambini, però questi suoi passeggeri tende a non ascoltarli mai (…).
Non di rado Mafalda quindi urla. Non è mai una lagna, non è una
querula protesta, è un urlo forte come quello di Tarzan, è rivolto
contro i mali del mondo, contro un’ipocrisia generalizzata e delittuosa,
contro un ordine falso e duraturo, forse perenne”. 26
Proprio per questo Mafalda non può essere identificata con le bambine
“classiche”, immerse in un mondo protetto e infantile, ma è una
bambina-non bambina, appunto, che parla di politica, che è capace di
individuare e giudicare le responsabilità e gli errori degli adulti.
Una bambina atipica, quasi adulta nei modi e nei giudizi taglienti è
anche la Lucy dei Peanuts, che con distacco e superiorità emette
sentenze sarcastiche e lapidarie sul mondo che vede, in cui i
protagonisti sono i bambini e dove gli adulti sono presenti solo in
lontananza.
D'altra parte come osserva Marco Dallari, “ la struttura del fumetto
“presenta una storia all'interno di un'altra storia, che è quella
dell'esistenza dei personaggi. La storia episodio per episodio, ha un
26
Faeti A., postfazione in Quino, Voi grandi siete tutti uguali! Fabbri, Milano, 1998 p.92
22
suo inizio e una fine, ma non la si può considerare portatrice di un
modello teleologico, e tutto sommato, neppure di una ineluttabile
etica, poiché situazioni e personaggi (e tutto questo è clamoroso
soprattutto nei cartoon) sono immortali, e ogni volta ripropongono se
stessi con le loro caratteristiche.”27
1.10 Arrivano le bambine dei cartoons
In questa carrellata sui personaggi femminili non potevano mancare
poi le eroine dei cartoni animati, che a partire dagli anni ottanta hanno
inesorabilmente condizionato l’immaginario delle bambine. Bisogna
dire che in quegli anni, il panorama sociale e politico in Italia era
molto cambiato rispetto al periodo della contestazione, e la figura
della bambina, le aspettative e i valori che le si attribuivano,
seguivano il senso di disimpegno e di “edonismo reaganiano” che
contraddistingueva quel particolare periodo storico. È il momento in
cui i cartoni giapponesi invadono gli schermi televisivi, riempiendo il
video con prodotti che si ispirano ai feuillettons, alle storie di infanzie
dolorose, di angherie subite, di innamoramenti tempestosi. “A queste
particolarissime bambine dal destino agitato, gli animatori giapponesi
erano ricorsi per conquistare una congrua fetta dei mercati televisivi
internazionali, mescolando con astuzia le costanti narrative impegnate
in generi diversi: la historical novel, il romanzo per bambini
dell’ottocento, il feuilleton classico, la narrativa per giovinette più
movimentata”.28
27 Dallari M., La fata intenzionale, La Nuova Italia, Firenze 1980, p.3.
28
Lazzarato F., Bambine in rosa, in Lazzarato F., Ziliotto D., (a cura di), Bimbe Donne e Bambole
23
Non a caso molte delle protagoniste di questi cartoni animati sono
proprio le eroine dei più famosi romanzi per bambine, le già citate
Anna dai Capelli Rossi, Peline, Sarah Crewe, Pollyanna, Heidi, le
sorelle March. Ma oltre alle eroine della letteratura, con i cartoons
arrivano anche altre protagoniste, alcune ispirate sempre alla narrativa
d’appendice otto-novecentesca, come Candy Candy, orfanella
americana adottata da una ricca famiglia che dopo mille peripezie
troverà la sua strada diventando infermiera e sposando il suo amore
Terrence, e come Georgie, altra trovatella bionda, che insegue il suo
sogno d’amore con un lord inglese ed è contesa dai suoi fratelli
adottivi, e altre più moderne e inquadrate in un ambiente teen ager,
come Licia, un’adolescente giapponese cresciuta da un padre
all’antica, che si innamora del trasgressivo leader di una rock band. In
Italia, sull’onda del successo strepitoso di questo cartone animato, è
uscito anche Love me Licia, un telefilm con personaggi in carne e
ossa, interpretato da Cristina D’Avena (che cantava tutte le sigle dei
cartoni) e dai conduttori di Bim Bum Bam, programma per ragazzi
durante il quale questi cartoni animati andavano in onda.
Un personaggio abbastanza particolare è stato poi Lady Oscar,
ambientato nella Francia della rivoluzione: Oscar è una fanciulla
nobile che per volere del padre viene educata come un ragazzo, e fin
da piccola è abituata a ricevere in regalo armi e uniformi da soldato,
come le bambole vestite da monache della manzoniana Gertrude.
Vengono create in questi anni anche le prime streghette, Bia, Sally,
Chappy, Stilly, Creamy, Emy, bambine con poteri magici o dotate di
op. cit. p. 101.
24
oggetti speciali, che quasi sempre finiscono per “rinunciare alla magia
per l’amore (perdendo nel matrimonio, insieme con le arti magiche,
ogni originalità)”29.
E seguono poi tutte le eroine dei cartoni animati dedicati agli sport e
alle professioni, Jenny la Tennista, Mimi e la nazionale di pallavolo,
Hilary la ginnasta, Pat la ragazza del baseball, Maya l’aspirante
attrice, Mila, cugina di Mimì e anche lei pallavolista.
Il giudizio più tagliente (oltre che spassoso e illuminante, almeno per
me che –ahimè!- con questi cartoni sono cresciuta), viene da Antonio
Faeti, che si chiede “più volte quale sia davvero la portata del danno
che le bambine dei cartoons giapponesi hanno provocato nelle
bambine italiane. Direi che questi modelli di sapientone, lacrimose,
tuttofare, bisbetiche, fanatiche, miscele di crocerossine di Crimea con
dementi da Circolo del Tennis, possono aver fatto credere a tante
bambine che in loro si annida una signorina Hyde dotata di queste
orrende prerogative. (…) Temo che un giorno gli efferati figli del Sol
Levante
trasformeranno
in
cartoons
persino
le
bambine
paradigmatiche di Giana Anguissola, e allora insorgerò, inviando
direttamente un messaggio all’Imperatore, un messaggio davvero
kafkiano”30.
29
Ziliotto D., Bambine e TV: quale programmazione? in Beseghi E., (a cura di) Ombre Rosa
op.cit. p.47.
30
Faeti A., Odette, anzi Odetta, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, Donne e Bambole, op.cit. p. 20
25
Capitolo secondo
Intorno al ’68: riflessioni e discussioni sui modelli femminili
2.1 Il ruolo delle bambine nell’immaginario
Dopo questa panoramica generale sui diversi tipi di femminilità
proposti nel corso degli anni dalla letteratura per l’infanzia, dalle
riviste e dalla televisione, è doveroso parlare di un periodo storico
specifico, in cui il ruolo delle donne e delle bambine nella letteratura è
stato particolarmente messo in discussione.
Con la contestazione studentesca ed il rovesciamento delle prospettive
esploso con il ’68, alcuni tra i temi più dibattuti sono stati proprio i
ruoli
sessuali
e
la
loro
connotazione
nella
letteratura
e
nell’immaginario.
Nel 1979 la casa editrice Savelli pubblica due raccolte di fiabe di
Marina Valcarenghi, un tentativo di raccontare storie diverse e attuali
pur restando ancorata ai valori universali della fiaba.
Nella Lettera agli adulti, sorta di manifesto programmatico posto alla
fine di Nuove fiabe minime, l’autrice spiega che le sue fiabe sono
“avventure interiori che vengono rappresentate attraverso simboli,
principi e
principesse sono simboli di aristocrazia interiore e il
matrimonio non è l'istituzione ma la fusione fra il maschile e il
femminile, l'inizio della maturità psico-fisica, così come la conquista
del trono simboleggia la conquista di un'autonomia per cui siamo
26
padroni di noi stessi e quindi del nostro mondo interiore.” 31
Le stesse considerazioni vengono proposte anche da Bettelheim32
insieme all'invito ai genitori a leggere ai loro figli con attenzione e
partecipazione, offrendo ai bambini un “dono d'amore”;
La
Valcarenghi afferma inoltre che “inventare una storia è pur sempre
una
storia
d'amore”
e
consiglia
di
avvicinarsi
alle
fiabe
abbandonandosi all'intuizione.
Le sue parole ricordano proprio i temi che in quegli anni erano stati
posti all'attenzione da una parte delle protagoniste dei movimenti
femminili e politici, ma non gli stereotipi, quelli che poi potevano
essere oggetti caricaturali, bensì gli elementi veri di riflessione e di
approfondimento. Ricordiamo che le protagoniste di questi movimenti
erano quelle che avevano avuto accesso di massa all'istruzione, ma
proprio avendo a portata di mano le premesse dell'emancipazione, ne
vedono i limiti. 33
Anna Bravo scrive che “il modello adulto degli anni cinquanta e
sessanta, soprattutto di sinistra, esibisce anche il modello prestigioso
dell'emancipata, che si occupa sia del lavoro che della famiglia, che
tiene insieme femminilità tradizionale e successo esterno senza
recriminazioni.
(...)
Di
questa
versione
semplificata
dell'emancipazione si portano a esempio la professionista affermata e
soprattutto l'esponente politica che nella vita ha fatto di tutto, la
partigiana, la dirigente, l'intellettuale, la madre, la moglie. Donne
eccezionali per risultati eccezionali. Ma alle ragazze si spiega che
31 Valcarenghi M., Nuove fiabe minime, Savelli, Roma 1979 pp.124-125.
32 Bettelheim B., Il mondo incantato, Feltrinelli Milano 1977.
33 Per uno sguardo sulle posizioni teorico-politiche del femminismo italiano cfr. R.Spagnoletti (a
cura di) I movimenti femministi in Italia, Roma 1974.
27
l'eccezionalità non è un fine, è il mezzo necessario per arrivare a una
vita che si prospetta invece soffocata e sacrificata, marito figli casa
lavoro. Il doverismo imperante predilige la formula dell'”armonico
equilibrio” con cui vanno conciliati ruolo familiare e lavorativo, e su
cui insistono i documenti delle associazioni sia cattoliche
sia di
sinistra.”34
La studiosa e psicoanalista Marie Louise Von Franz osserva: “Ho
conosciuto donne che sono orgogliose del fatto di aver portato avanti
la loro professione e di aver fatto al margine un bambino: il tutto,
dicono, senza scompiglio. E ha pure funzionato! Il bambino sarà pure
venuto al mondo normalmente, ma intanto, queste donne si sono
private di una straordinaria quantità di profonde percezioni, di
esperienze interiori, a livello religioso, sacro, archetipico.” 35
In realtà, continua Anna Bravo, “piuttosto che le grandi emancipate,
le ragazze ammirano attrici e scrittrici, altrettanto più inarrivabili ma
tanto più suggestive. (...) Osservano avidamente i corpi e le pratiche
della seduzione, su cui famiglia, scuola, media rispettabili tacciono;
(...) Crescono confuse, in un quadro dove opportunità e difficoltà si
trasformano facilmente le une nelle altre, dove neppure per gli adulti è
facile distinguere tra la vitalità e la cialtroneria. (...) Cercano un nuovo
modo di diventare donne procedendo con esitazioni, molti
compromessi sul piano dei comportamenti sessuali, a volte con
ribellioni, inganni, fughe da casa, scontri all'ultimo respiro con le
madri, sempre con un enorme dispendio di energie. E in relativa
34 Bravo A., A colpi di cuore, Laterza, Roma 2008, p.64 e 65.
35 Von Franz M., La gatta. Una fiaba sulla redenzione del femminile, Magi, Roma 2008, p.59.
28
solitudine.”36
Laura De Rossi37 scrive che nel sessantotto le donne portarono non
solo un disagio generazionale, ma una testimonianza del rapporto tra
la
loro
storia
individuale
e
la
cultura
dell'emancipazione,
un'emancipazione ferita dalla percezione della propria differenza
sessuata. E infatti l'aspetto più gradevole e fugace del '68 è stato un
modo di stare insieme in cui sembrava che potesse cadere la divisione
tra vita quotidiana e politica, in cui potessero avere posto anche il riso
e l'affettività. Anna Bravo ne definisce l'aspetto di grande famiglia, di
comunità “calda” e di rottura della solitudine nella società di massa. 38
Una storica come Luisa Passerini39 vede emergere dal movimento del
'68 i temi della soggettività, dell'immaginale, dell'emotivo, del
singolare, dell'empirico che saranno propri anche del movimento delle
donne. Infatti la memoria del femminismo al suo nascere, rimanda un
senso di benessere fisico e di felicità simile a quella del '68. Elena
Gianini Belotti40 parla di cortei che di decina di migliaia di donne che
suscitano la baldanza delle bambine che sono state, prima
dell'addestramento alla remissività della fanciulla perbene. Si faceva
riferimento alle antiche filosofe come Ipazia e Diotima e si
ricercavano le madri simboliche: De Beauvoir, Woolf, Mansfield. Al
di là delle rivendicazioni specifiche e dai risultati raggiunti in termini
legislativi, si possono individuare due dati significativi: l'andamento
36 Ibidem, p.66.
37 De Rossi L., Riflessioni sulle “origini”.Il femminismo e il '68., in Mezzosecolo, Annali, (19941996).
38 Bravo A., op.cit., p.87.
39 Passerni L., Il movimento delle donne, in La cultura e i luoghi del '68, a cura di A. Agosti,
Passerini L., Tranfaglia N., Dipartimento di storia dell'Università di Torino, Franco Angeli,
1991.
40 Gianini Belotti E., Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 1973.
29
carsico del femminismo( proprio in quest'ultimo anno si è assistito a
nuove manifestazioni e riflessioni sull'uso del corpo della donna) e sul
femminismo diffuso (patrimonio di tutte le donne almeno a livello di
coscienza e vorremmo augurare della parte più sensibile della società,
come abbiamo visto proprio a proposito delle ultime manifestazioni).
Alberto Collo in una conversazione tra amici sintetizza: “La libertà di
comportamento di tutti si è allargata ma i mondi possibili si sono
ridotti.”41 La frase è indicativa perché sembra che come nelle fiabe,
dopo un episodio magico, di utopia in questo caso, si ritorni alla
realtà, trasformati, ma occupati e risolvere i problemi della
quotidianità. La stessa Lea Melandri scrive:“Ma se è calata sul primo
femminismo una dimenticanza così tenace è perché la scrittura e la
memoria del singolo (...) hanno incontrato da subito le spinte opposte
di una “generalizzazione” che subordinava a criteri di “universalità” e
“appartenenza” la materia concreta di cui è fatta ogni vita.”42
Forse il dato più rilevante dell'eredità del movimento femminista è
stato quello della produzione culturale degli anni Ottanta: la nascita
dei centri di documentazione sulla storia delle donne, della Società
delle storiche, delle librerie e delle associazioni culturali.
2.2 Rosaconfetto e le altre
Nel 1973 esce il libro Dalla parte delle bambine in cui l'autrice, Elena
Gianini Belotti, analizza i diversi modi di porsi nei confronti dei
41 Papuzzi A., '68: l'eros ai tempi della rivoluzione, in La Stampa , 7 febbraio 1998.
42 Melandri L., L'infamia originaria. Facciamola finita col cuore e la politica, Manifestolibri,
Roma 1977. Prefazione p.8.
30
bambini e delle bambine, dimostrando che la differenza di carattere tra
maschi e femmine non è un'inclinazione naturale, ma il frutto di
condizionamenti culturali.
La collana Dalla parte delle bambine nasce invece nel 1974 e presenta
varie storie che trattano i rapporti tra maschile e femminile nella
famiglia e nella società, con un intento anticonformista e di rottura con
un passato dominato dalla predominanza maschile.
Mia madre, che aveva vissuto attivamente il periodo della
contestazione e del femminismo, mi leggeva spesso i libri di questa
collana, ricordo benissimo le storie e le illustrazioni, a cominciare dal
famoso Rosaconfetto, che narrava la vicenda di un’elefantina rosa
(aveva questo colore perché era obbligata a stare nel recinto delle
elefantine femmine a mangiare peonie) che sceglie di evadere e di
perdere il suo colore particolare per potersi divertire nel fango insieme
ai suoi coetanei maschi tutti grigi ma liberi di giocare e di sporcarsi.
Le storie, scritte da Adela Turin e illustrate da Nella Bosnia, per lo più
rivolte a “lettrici fra i quattro e i sei anni, entusiasmarono le madri
femministe che cercavano per i loro figli libri non sessisti, in cui
donne, fanciulle e bambine fossero raffigurate positivamente, fuori
dagli stereotipi convenzionali. Si trattasse di tartarughe o di regine, i
personaggi femminili (…) erano infatti pieni di iniziativa, allegri,
combattivi, coraggiosi, forti, creativi” 43. Ma nonostante la buona fede
degli intenti, proprio qui sta anche la pecca di questa iniziativa, perché
alla fine risulta troppo pedante e didascalica. Ai maschi infatti toccava
sempre “la parte del “cattivo”, un po’ sciocco, presuntuoso,
43
Lazzarato F., Bambine in rosa, in Lazzarato F., Ziliotto D., Bimbe, donne e bambole op. cit. p.
91.
31
guerrafondaio, collerico, ignorante, mentre la vita di coppia veniva
rappresentata come densa di umilianti rinunce e di incomprensioni
irrisolvibili: così le protagoniste preferivano girare il mondo da sole
piuttosto che sposare il principe azzurro” 44.
Questi esiti così dicotomici potevano verificarsi solo in un contesto
specifico come quello della contestazione, e anche Gianni Rodari ha
osservato che queste storie così separatiste e intransigenti avevano la
rigidezza del racconto a tesi.45 Lo stesso Antonio Faeti, nel suo libro
sulla letteratura per l'infanzia non giudica troppo positivamente questa
esperienza, dichiarando che la collana può essere “esaminata solo
facendo riferimento alla polemica femminista in atto nel nostro
paese”46.
Le fiabe della Valcarenghi nascono in questo contesto e rispondono
nel loro modo poetico, oltre a quesiti di tipo esistenziale come la
paura, a domande che le giovani madri si ponevano sulla loro nuova
identità e sui modi di incoraggiare le loro bambine a trovare se stesse,
senza compiacere le aspettative sulle doti e le virtù femminili. Queste
domande non erano relative ad un periodo, ma avrebbero parte per
sempre del modo di porsi come donna, sono le stesse di cui parla
Luisa Passerini: “La difficoltà di pensare il femminile in realtà altro
non è che l'incapacità di accettare se stessi, la specificità dell'essere
individuale.(....) Il femminile è la specificità di ciascuna donna, il
modo di essere se stessa (e forse il rapporto con l'altro dentro di sé, per
ciascun uomo)47.
44
Ibidem
AA.VV. Fiabe sui ruoli sessuali, Savelli, Roma, 1979
46 Faeti A., Letteratura per l'infanzia, La Nuova Italia, Firenze 1977.
47 Passerini L., Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze, 1988, p.55.
45
32
2.3 Educazione e ruoli sessuali
Nel 1979 usciva in Francia con la prefazione della Belotti, Emanuelle
ou l'enfance au féminin48 della psicologa Danielle Flamant e la figlia
Emanuelle Paparatti, una sorta di diario composto da quando la
bambina ha 22 mesi fino a sei anni. Nella prefazione Elena Gianini
Belotti afferma che il giornale rappresenta un esempio limpido e
coraggioso di rapporti nuovi tra una madre e sua figlia. La madre
attenta e intelligente ha deciso che sua figlia non sarà costretta a
rinunciare a se stessa, ad essere conformista, ad accettare
passivamente il suo ruolo. Quindi stimola la figlia a riflettere, a
ribellarsi, a criticare, a mettere tutto in discussione, a disobbedire e ad
opporsi. E' pienamente cosciente del suo dovere di rafforzare la
personalità della figlia, il suo spirito critico, la sua preparazione
culturale offrendole uno stabile e profondo appoggio affettivo perché
possa affrontare combattiva e preparata i conflitti che dovrà affrontare
e risolvere. Questo modo di educare le figlie è comune a molte
giovani madri che vogliono offrire loro una vita libera dai
condizionamenti culturali e vissuta pienamente, un futuro ricco di
possibilità, riscattando il loro doloroso passato di sofferenze, di
ingiustizie e di umiliazioni che ha caratterizzato la loro infanzia e di
cui continuano a portare il peso. Queste madri propongono libri che
non contengano messaggi maschilisti e che invece propongano nuovi
modelli di vita: autonomia, indipendenza, creatività. Abituano le figlie
48 Flamant-Paparatti D., Emanuelle ou l'enfance au fèminin, Editions Denoel/Gonthiers, Paris
1979.
33
ad una grande libertà verso il proprio corpo, che gratificano di carezze
e complimenti non per la sua bellezza, ma per la sua bontà.
A proposito del rapporto con il proprio corpo era stato tradotto in
Italia da Felrtinelli nel 1974 il famoso libro Noi e il nostro corpo, a
cura
del
Boston
Women's
Health
Book
Collective49.
Alla
pubblicazione avevano collaborato donne del movimento femminista,
tra cui Luisa Muraro.
La stessa Feltrinelli pubblicherà nel 1979 Noi e i nostri figli50, a cura
dello stesso collettivo. Si legge nella prefazione: “L'atto stesso di
scrivere questo libro riflette l'indissolubile intreccio di personale e
politico, di privato e di pubblico. (...) Per femminismo intendiamo qui
semplicemente un modo di vedere il mondo che tiene in
considerazione le donne come esseri umani completi che hanno diritto
a realizzarsi in ogni tipo di lavoro e attività creativa. Sappiamo di
uomini che, secondo la nostra definizione, sono “femministi”, che
come noi, cercano di liberarsi da ruoli rigidamente definiti.” 51
Elena Gianini Belotti osserva inoltre che queste nuove madri si
sentivano ancora dipendenti da una cultura interamente maschile, con
cui dovevano ancora competere e di cui non riuscivano a distaccarsi
con sufficiente equilibrio. Inoltre poneva l'accento su un tema che
affronteremo parlando del momento attuale: le ragazze non saranno
più disponibili ad accettare vecchi modelli di rapporto con l'altro sesso
e se i ragazzi non avranno realizzato per conto loro un'evoluzione,
continuando ad interiorizzare il senso della loro superiorità, dei loro
49 The Boston Women's Health Book Collective, Noi e il nostro corpo, Feltrinelli Milano 1974.
50 The Boston Women's Health Book Collective, Noi e i nostri figli, Feltrinelli Milano 1979.
51 Ibidem, p.20.
34
privilegi e del loro potere, il futuro delle nuove ragazze sarà piuttosto
agitato. In questo senso la stessa Valcarenghi ha scritto nella sua
qualità di terapeuta una serie di libri che affrontano temi quali
l'insicurezza, la violenza maschile e femminile e la difficoltà dei
rapporti tra i sessi.52
Simona Argentieri invece ha dovuto affrontare come psicanalista il
problema dell'anoressia a partire dagli anni Settanta quando sono stati
riconosciuti i primi casi di “anoressia nervosa”. Ha notato che già
negli anni Ottanta si poteva registrare una profonda mutazione non
solo da un punto di vista numerico, ma anche nelle variazioni
qualitative; la più interessante dal nostro punto di vista è la situazione
psicopatologica che sta dietro le quinte della sintomatologia. Mentre
prima “alla radice dei problemi dell'anoressia/bulimia (...) erano in
primo piano i problemi della voracità, dell'invidia, dell'aggressività
materna, oggi invece (...) le cause patogene sono da ricercare
nell'insufficienza delle esperienze di contenimento.” 53 L'autrice si
chiede: “Perché proprio in famiglie “mediamente buone”, nelle quali
c'è affetto e fiducia, rispetto per la libertà dei bambini nel momento di
crescita, non ci sono né grossi traumi né violenze, si sviluppano queste
sintomatologie?”54 Secondo lei il problema risale proprio alla
generazione del Sessantotto e agli equivoci che ne sono derivati. “In
un miscuglio di psicoanalisi, marxismo e femminismo si è creduto che
il modo giusto di allevare i figli e favorirne la creatività fosse quello di
52 Valcarenghi M., L'aggressività femminile, Bruno Mondadori Milano 2003.
“Ho paura di me”. Il comportamento sessuale violento, Bruno Mondadori Milano 2007.
Senza di te non esisto. Dialogo sulla dipendenza amorosa, Rizzoli Milano 2009.
L'amore difficile. Relazioni al tempo dell'insicurezza Bruno Mondadori Milano 2009.
53 Argentieri S.,Rossini S., La fatica di crescere, Frassinelli, Milano 1999, p.67.
54 Ibidem, p. 65.
35
non porre limiti, di non “reprimere” gli impulsi.” 55 Pur dicendo di non
rimpiangere le regole violente e aggressive del passato, di cui
riconosce le conseguenze patologiche, le dolorose nevrosi causate da
dai rapporti con padri violenti e madri tiranniche, la Argentieri
afferma che “non si è valutato ancora abbastanza il danno causato da
questa rotazione di 180 gradi, che ha “contestato” norme e proibizioni;
che ha disconosciuto l'autorità e le differenze generazionali tra grandi
e piccoli; ma che insieme alla funzione punitiva , ha azzerato anche la
funzione educativa e protettiva genitoriale.”56
Contro la pedagogia prosessista e il “politically correct”, c'è stato
l'effetto dirompente del libro di Amy Choua 57, sino-americana,
docente di diritto a Yale che adotta metodi educativi ispirati alla
dottrina confuciana, sostenendo che la pedagogia americana è troppo
comprensiva, ed è sostenuta in questa sua tesi dal fatto che i ragazzi
asiatici sono superiori negli studi a quelli europei ed americani. Il suo
metodo consiste in disciplina ferrea, proibisce
televisione,
videogiochi e feste, prevede una forte autorità dei genitori e un grande
spirito di sacrificio. Federico Rampini su Repubblica scrive che “Il
Wall Street Journal ha dovuto creare una rubrica apposita per ospitare
le numerosissime reazioni dei lettori: c'è di tutto, l'indignazione di chi
accusa l'autrice di sadismo, è l'ammirazione nostalgica di chi
rimpiange un'epoca in cui “anche le mamme ebree si comportavano
così.” Cioè l'epoca prima del Sessantotto, del femminismo, di tutti i
movimenti antiautoritari che hanno distrutto l'autorità parentale. Una
55 Ivi.
56 Ibidem, p.66.
57 Choua A., Il ruggito della mamma tigre, Sperling & Kupfer, Milano 2011.
36
lettura semplificata di questo dibattito può rinchiuderlo nella
contrapposizione destra-sinistra: la madre-tigre venuta dall'Asia è un
modello ideale per i conservatori che vogliono ristabilire un ordine
morale e le gerarchie travolte dal permissivismo; i progressisti
innamorati della scuola Montessori inorridiscono di fronte al revival
di metodi oppressivi destinati ad allevare figli nevrotici e infelici.”58
Recentemente lo psicologo ed economista Bryan Caplan psicologo ed
economista della George Mason University ha pubblicato uno studio
in cui sostiene che più dell'educazione sono influenti i geni e le scelte
autonome, per cui è preferibile lasciare i figli più liberi e dare loro
autonomia di scelta e di giudizio. Non si tratta di ritorno al
permissivismo, ma di un “approccio più rilassato e più giusto”, come
sostiene
sull'Observer
di
Londra
la
dottoressa
psicoterapeuta infantile della Kent University. 59
Ellie
Lee,
Il libro di Caplan
infatti si intitola Ragioni egoistiche per fare più figli perché essere un
bravo genitore è meno faticoso e più divertente.
Anche la psicoanalisi, ricorda Elena Rosci, “ci induce alla riflessione
quando descrive il figlio unico come soggetto ricco e povero a un
tempo, con un destino ora fastoso e fortunato, ora misero e meschino.
Nella famiglia tradizionale con numerosi figli, gli adulti di famiglia
potevano proiettare i loro desideri e le loro aspirazioni sui diversi
bambini di casa. Nelle famiglie attuali, dove l'impegno alla cura
scarseggia, in quanto ostacolerebbe il processo di autoaffermazione
del singolo, i figli diventano pochi, tendenzialmente unici, a volte
58 Rampini F., Una madre tigre sconvolge l'America La Repubblica, 6 febbraio 2011.
59 Riportato da Enrico Franceschini in Permissiva, rilassata, libertaria, la rivincita della mammaagnello, La Repubblica , 16 maggio 2011.
37
idolatrati: una generazione di tanti bambini Gesù”.60 I figli sono
diventati merce rara, gioielli preziosi, cercati a costi altissimi e spesso
il figlio è diventato il perno della famiglia: in una società di separati e
divorziati, in cui non è più la coppia a costituire il fondamento della
coesione familiare. Inoltre i bambini sono sospinti ad essere
precocemente adulti, mentre “proprio perché molte persone prossime
ai quaranta non hanno ancora le caratteristiche per essere definite
adulte, le ricerche sociologiche sull'adolescenza hanno innalzato l'età
di rilevazione fino ai trentaquattro anni.”61
In questa pluralità di voci contrastanti l'apporto delle fiabe rimane
fondamentale perché esse, con la loro capacità simbolica, continuano
ad esprimere “contenuti inconsci per i quali la mentalità collettiva non
possiede un linguaggio.”62
Il problema dell’educazione “diversa” ricevuta dalle bambine, era
stato segnalato anche da Lombardo radice. Nel suo libro Letteratura
per l'infanzia63 , infatti, Antonio Faeti espone il pensiero di questo
autore a proposito della differenza nella letteratura per bambini e
bambine: “E' già discretamente assurdo, intanto, che dei libri di lettura
ci siano quasi sempre due edizioni, per le scuole maschili e per le
scuole femminili, ma più assurdo che i libri di letture speciali per le
ragazze parlino principalmente di bambine e di piccolo mondo
femminile. Come se le ragazze di scuola non potessero avere padre,
fratelli, parenti, amici; come se le bambine non fossero anch'esse
spettatrici della stessa vita domestica e sociale di cui sono spettatori i
60
61
62
63
Rosci E., Mamme acrobate, Rizzoli, Milano 2007, p.118.
Ibidem, p.188.
Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri, Torino 1983, p.15.
A. Faeti, Letteratura per l'infanzia, La Nuova Italia, Firenze 1977.
38
maschietti; come se allargare l'orizzonte mentale e morale della
bambina non fosse lo stessissimo problema
educativo che
approfondire la consapevolezza del bambino.” 64 Lo stesso Faeti nota
che nel tempo non è cambiato molto e le parole di Lombardo radice
“rischiano di suonare addirittura “troppo” attuali.”65
2.4 Contestazione e “controfiabe”
Elena Gianini Belotti nel suo libro Dalla parte delle bambine,
tratteggia brevemente il significato delle fiabe classiche: “Cappuccetto
Rosso è la storia di una bambina al limite dell'insufficienza mentale
che viene mandata in giro da una madre irresponsabile...”;
“Biancaneve è anche lei una stolida ochetta che accetta la prima mela
che le viene offerta(...) Anche lei vive con la testa nel sacco ...”
“Cenerentola è il prototipo delle virtù domestiche, dell'umiltà, della
pazienza, del servilismo, del sottosviluppo della coscienza..(..:) Anche
lei non muove un dito per uscire da una situazione intollerabile, ingoia
umiliazioni e sopraffazioni, è priva di dignità e di coraggio. Anche lei
accetta il salvataggio che le viene da un uomo come unica risorsa, ma
non è poi certa che costui la tratterà meglio di quanto sia stata trattata
fino allora.”66
Ovviamente dobbiamo inquadrare questo sbrigativo giudizio sia nella
vis polemica che richiedeva l'argomento del libro, sia nel primo
64 G.Lombardo Radice, Lezioni di didattica, Sandron, Firenze 1951, p. 218. In A.Faeti, op.cit.,
p.11.
65 A.Faeti, op. cit., p.11.
66 Gianini Belotti E., op.cit., pp119-120.
39
tentativo di fare giustizia delle presunte umiliazioni e delle
discriminazioni nei confronti delle bambine.
In realtà il “movimento antifiaba” era nato nel secondo dopoguerra a
partire dal testo del Brauner Nos livres d'enfants ont menti67 ed
accusava le fiabe di non realismo, di tessere una cortina di
fantasticherie che poteva esercitare un potere coercitivo sul libero
sviluppo de capacità razionali del bambino. Questo movimento ha
avuto una rapida diffusione, soprattutto negli anni '60, quando la
critica fu rivolta soprattutto al fatto di “tramandare” valori, modelli e
aspirazioni discutibili. Nel 1966 esce la traduzione dei libri di Propp
sulla morfologia della fiaba68che sottolinea il legame esistente tra la
fiaba e i fenomeni etnologici della vita dei popoli a partire dalla
rigorosa composizione delle funzioni. Nello stesso periodo usciva
anche il libro della Cook, 69 Miti e fiabe per i bambini d'oggi. Elizabeth
Cook definisce così le differenze tra fiabe, miti e leggende: “i miti
trattano della creazione di tutte le cose, dell'origine del male e della
salvezza dell'anima; leggende e saghe illustrano imprese di re e di
popoli a volte anteriori ai tempi storici; fiabe e storie popolari narrano
del comportamento umano nel mondo della magia, spesso fondandosi
con le leggende.”70 Aggiunge che “l'intrinseca grandezza di miti e
fiabe è di natura poetica: le storie migliori sono dilatate immagini
liriche di vicende umane immutabili, di speranze, di paure, di amori e
di odi forti e durevoli.71Fa anche una breve storia sulle interpretazioni
67 Brauner A., Nos livres d'enfants ont menti, Wallon, Paris 1951.
68 Propp V. Ja., Morfologia della fiaba, con un interventodi C.Levi Strauss e la replica
dell'autore, Einaudi, Torino 1966.
69 Cook E., Miti e fiabe per i bambini d'oggi, La Nuova Italia, Firenze 1966.
70 Cook E., op.cit.,p.1.
71 Ibidem, p.3.
40
di tali immagini a cui “i critici hanno attribuito significati molto
diversi, a seconda della loro preparazione culturale, dei pregiudizi
personali o delle mode del tempo. Nel XIX secolo filologi e studiosi
di folklore ravvisarono in esse descrizioni prescientifiche e primitive
di fenomeni naturali, del sorgere e del tramontare del sole, delle
stagioni, supponendo che per esempio che gli dei della folgore, Zeus e
odino, fossero stati creati dall'uomo perché non riusciva a spiegarsi le
cause fisiche del temporale. Nel nostro secolo Freud li ha identificati
con terribili figure paterne, simboli delle gelosie sessuali e
dell'antagonismo tra genitori e figli. Jung ha dato un altro tipo di
interpretazione psicologica: i miti (...) rappresentano conflitti, non tra
padre e figlio, ma tra persona e anima di uno stesso individuo.”72
Prosegue con altre due teorie antropologiche. “Per Jessie Weston le
storie mitologiche sono abbellimenti di azioni che si svolgevano
durante i rituali primitivi della fertilità; Robert Graves le spiega,
invece, come testimonianze poetiche di riti per il matrimonio,
dell'uccisione di un re sacro, di eventi storici, quali ad esempio la
sopraffazione di una società matriarcale per opera di una matriarcale o
l'asservimento di sacerdotesse regnanti da parte di re invasori. Prima
che il Paganesimo si estinguesse, gli antichi Padri della Chiesa,
intravedendo un significato nelle sue immagini, le avevano
interpretate come profezie dei Gentili circa le verità cristiane.”73
L'autrice prosegue concludendo che “le testimonianze dei vari studiosi
sembrano condurre ad un unico paradosso: nessuno ha ragione in
particolare, ma tutti hanno intravisto un lembo di verità, anche se non
72 Ibidem, p.4.
73 Ibidem, p.4-5.
41
è da escludersi che i Padri Cristiani e Jung abbiano intuito più
acutamente di altri la simbologia profonda di queste antiche
narrazioni.74
Marco Dallari così sintetizza: “Il problema quindi che il magismo
contenuto nella fiaba può dare al bambino, se usato in maniera
pedagogicamente corretta, si scontra con e si problemizza con la
chiusura ideologica e politica dei modelli di cui la fiaba è
portatrice.”75
Lui stesso fa delle reiscrizioni o controfiabe: Cenerompola al posto di
Cenerentola che è giudicata non “un modello femminile in grado di
prendere coscienza dei termini del problema costituito dalle faccende
domestiche, ma attraverso una soluzione di tipo teleologico, che vede
nella ricchezza da acquisire col matrimonio la possibilità, in fondo, di
potersi poi pagare qualche Cenerentola che lavori al posto suo.” 76
Cenerompola viene descritta come “una fanciulla tediosa e
sgradevole, almeno per chi vede la necessità che la donna abbia una
sua emancipazione e una sua autonomia”77 mentre vengono rivalutate
le sorellastre e la matrigna “come donne autonome, emancipate,
libere, che riescono in fretta a sbrigare le faccende domestiche, che
non ne fanno un problema, e che sono piuttosto protese alla ricerca di
un modello di vita basato sulla possibilità di essere libere nei confronti
del rapporto con l'uomo se non in una logica di rapporto alla pari,
rispetto a questa fanciulla che ha la vocazione della casalinga, ma
soprattutto la nevrosi maniacale del pulito, dell'ordinato come
74
75
76
77
Ibidem, p.5.
Dallari M., op.cit., p.46.
Ivi.
Ibidem, p.98.
42
prolungamento di sé, e come qualificazione di quelli che ella ritiene i
suoi meriti.”78 Biancabeve, principessa ubriacona è la controfiaba di
Biancaneve, “modello femminile che deve essere rapita e quindi in
balia della volontà del maschio, che prima è nano, e poi Principe
Azzurro”79 , mentre Battista Quinto Borghi scrive Cappuccetto
Bianco. Queste storie sono state pubblicate come libretti illustrati nella
collana “Fiaba e Controfiaba” della Casa Editrice Ape di Bologna.
Esiste anche il delizioso libricino Favole a rovescio, su testo di
Rodari, illustrato da Nicoletta Costa 80, anche se la posizione di Gianni
Rodari sulla fiaba esula dal nostro studio.
Anche Roberto Denti81 prova a immaginare un finale diverso per
Cenerentola e Biancaneve, in una soluzione di autonomia e di
positività che possono ricordare le fiabe della Valcarenghi. Infatti
Cenerentola arriva fino alla prova della scarpetta e alla richiesta di
matrimonio del principe, ma sceglie un certo Maurizio che le piace di
più e “con lui lavorò nei campi, allevò le galline e i conigli, munse le
mucche, ebbero tanti figli e figlie e vissero tanti e tanti anni.” 82 Invece
a Biancaneve nella sua versione non piacciono le mele e quindi sono i
nanetti ad essere avvelenati. Li salverà un medico che fabbrica la
medicina con le erbe del bosco; poi il medico si innamora di
Biancaneve e mangia la mela che la regina ha portato nuovamente
nella casetta del bosco. Così è il medico vestito d'azzurro a cadere
morto e Biancaneve con il suo bacio, opera il miracolo della salvezza.
Il finale è molto poetico: “E la strega? La regina-strega interrogò
78
79
80
81
82
Ivi.
Ibidem, p. 46.
Rodari G., Costa N., Le favole a rovescio, Edizioni EL, Trieste 1980.
Denti R., I bambini leggono, Einaudi, Torino 1978.
Ibidem, p.42.
43
ancora lo specchio, ma quando seppe che Biancaneve si era sposata,
non riuscì più a fare magie, perché quando due persone si vogliono
bene non c'è niente al mondo che possa far loro del male.”83
Bruno Bettelheim nel suo libro Il mondo incantato cerca di mostrare
come le fiabe rappresentino in forma fantastica in che cosa consiste il
processo del sano sviluppo umano. Il libro è stato scritto nel 1975 e si
schiera, finalmente, molto decisamente a favore delle fiabe classiche,
affermando che le storie “realistiche” per l'infanzia appaiono spesso
comuni e banali e che risolvono problemi precisi e limitati incontrati
nella vita “reale”. Ma Bettelheim si chiede quali se esistono problemi
più difficili da affrontare, e più “reali” per il bambino, dei suoi
conflitti edipici, dell'integrazione della sua personalità e del
conseguimento della maturità che include la maturità sessuale. In
questo senso possiamo affermare che al contrario delle fiabe
realistiche alcune fiabe tradizionali e altre più contemporanee
particolarmente riuscite, come quelle di Marina Valcarenghi, sono
“vere” in quanto colgono impulsi, desideri e sentimenti presenti nella
mente del bambino.
Per Bettelheim “Cappuccetto Rosso proietta in forma simbolica la
bambina nei pericoli dei suoi conflitti edipici durante la pubertà e poi
la salva da essi, così che sia in grado di maturarsi libera da conflitti.” 84
Cioè
la protagonista sta “cercando di comprendere la natura
contraddittoria del maschio e sperimentando tutti gli aspetti distruttivi
della sua personalità: le tendenze egoistiche, asociali, violente,
potenzialmente distruttive dell'Es (il lupo); le propensioni generose,
83 Ibidem, p.90.
84 Bettelheim B., op.cit., p.166.
44
sociali, sollecite e protettive dell'Io (il cacciatore).” 85
Potremmo dire che assumendo la posizione di Freud rispetto al sogno,
per cui tutti i personaggi sono immagini del sognatore, così
Bettelheim riconduce i personaggi delle fiabe a istanze interiori e la
fiaba è “il sillabario mediante il quale il bambino impara a leggere la
propria mente nel linguaggio delle immagini”.86
A proposito di Biancaneve Bettelheim osserva che si tratta di una
fiaba che esprime i sentimenti di narcisismo e di gelosia del bambino.
L'autore parla genericamente di “bambino” anche quando le
protagoniste sono femminili; in questo caso esamina sia il rapporto
madre-figlia, anche come “proiezioni in figure separate di tendenze
che sono incompatibili nell'intimo di una sola persona.87
Mentre secondo la Belotti il fatto che i nani la ospitino in cambio dei
lavori domestici è la ricomposizione di un ruolo, per Bettelheim
invece i nani sono da mettere in relazione con i giorni della settimana
riempiti dal lavoro e “in questo mondo Biancaneve deve svolgere il
suo lavoro se vuol crescere bene.88
Quanto alle figure maschili qui troviamo un padre debole, il cacciatore
come immagine di padre adeguato e protettivo e il principe che la
“porta via”. Ma tutto il lavoro sembra svolgerlo proprio l'eroina che si
libera delle sue tendenze orali e distruttive, anche attraverso il sonno e
il risveglio che simboleggia una rinascita simbolica. Il matrimonio
secondo Bettelheim rappresenta un piano superiore e migliore, il
regno della propria indipendenza.
85
86
87
88
Ivi.
Ibidem, p.158.
Ibidem, p.203.
Ibidem, p.202.
45
La storia di Cenerentola sembra corrispondere a sentimenti profondi
del bambino, offrendo immagini che danno corpo a vaghe e imprecise
emozioni, anche se profondamente radicate ed in grado di
condizionarne la vita. Bettelheim la associa alla storia biblica di
Giuseppe; è una fiaba sulla rivalità fraterna o meglio sui sentimenti di
ansia che uno dei fratelli o sorelle possano diventare per il bambino
motivo di umiliazione e di dolore. Ma c'è anche qualcosa di più: “ogni
bambino crede a un certo punto della sua vita -e non soltanto in rari
momenti- di meritarsi per i suoi desideri segreti, se non anche per le
sue azioni clandestine, di essere umiliato, bandito dalla presenza
altrui, relegato in interni fuligginosi.(...)Egli vuole che gli altri -e
soprattutto i genitori- credano alla sua innocenza e quindi è lieto che
“chiunque” creda a quella di Cenerentola.” 89 quello che le sorellastre
fanno a cenerentola giustifica i suoi pensieri cattivi verso i fratelli ed
egli può non sentirsi colpevole per i suoi iracondi pensieri. Ma
soprattutto dietro l'apparente umiltà di Cenerentola si nasconde la
convinzione di una sua superiorità nei confronti della madre e delle
sorelle. Non è grazie alla scelta del Principe che avviene il riscatto di
Cenerentola, ma grazie ai propri sforzi e alla propria personalità. “Gli
anni trascorsi da Cenerentola in mezzo alla cenere dicono al bambino
che nessuno può sfuggire a questa esperienza. Ci sono momenti in cui
sembra che esistano soltanto forze ostili. Che non ne siano in vista di
favorevoli. (...) In certi momenti l'infelicità del bambino è così
profonda che sembra durare all'infinito.(...) Cenerentola deve soffrire
in intensità e in durata quanto il bambino crede di soffrire, perché la
89 Ibidem, pp.230-231.
46
sua liberazione risulti convincente e gli offra la certezza che lo stesso
accadrà nella sua vita. 90 Dunque la fiaba guida il bambino verso la
conquista della propria autonomia, dell'operosità e di una positiva
identità personale.
M. Von Franz dice di essere giunta alla conclusione che “tutte le fiabe
mirano a descrivere un solo evento psichico, sempre identico, ma di
tale complessità, di una così vasta portata e così difficilmente
riconoscibile da noi in tutti i diversi aspetti, che occorrono centinaia di
fiabe e migliaia di versioni, paragonabili alle variazioni di un tema
musicale,
perché
questo
evento
sconosciuto
penetri
nella
coscienza.(...) Questo fattore sconosciuto è ciò che Jung definisce il
Sé.”91
La stessa Von Franz dice di essere consapevole della relatività delle
interpretazioni, che non hanno valore assoluto, ma aggiunge: “Il
motivo che ci spinge a interpretare è lo stesso che muoveva a
raccontare fiabe e miti, è cioè l'effetto vivificante che se ne trae, la
reazione benefica così provocata, la pace con il subconscio istintivo
così raggiunta.”92
La scelta delle fiabe e l'interpretazione che ne viene data è
necessariamente soggettiva e risente delle esperienze e della
sensibilità personale. 93
Il metodo che si intende usare è quello illustrato da M. Von Franz,
cioè “far spiegare la fiaba da sé, assumendo come punto di partenza
90 Ibidem, p.246.
91 V.Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri, Torino 1980, p. 2. Per la definizione di Jung di
Sé, ci si riferisce in particolare a L'io e l'inconscio, Boringhieri, torino 1967, p.162.
92 Ibidem, p.40.
93 “In realtà l'interpretazione è un'arte, un'abilità, che si basa in definitiva sulla nostra realtà
personale.. (...). E' inevitabile e giusto che sia così, perché si è costretti a impegnarvi tutto il
proprio essere. Ibidem.
47
non una teoria prestabilita, ma l'ipotesi che si tratti d'un mistero
vissuto da un essere umano, che tenta, come può, di comunicarlo.” 94
Le fiabe di Marina Valcarenghi erano pubblicate dalla casa editrice
Savelli che nello stesso periodo pubblicò molte raccolte di fiabe a
tema, con introduzioni critiche. Per il nostro studio è importante la
raccolta Fiabe sui ruoli sessuali95, in cui troviamo nell'introduzione di
Pietro Angelini e Cecilia Codignola una convincente riflessione su
Cappuccetto Rosso. Seguendo le indicazioni di Bettelheim esaminano
i due finali delle differenti versioni, quella ripresa da Perrault e
tradotta da Collodi e l'altra, quella della tradizione orale raccolta dai
fratelli Grimm. Nella prima nonna e Cappuccetto Rosso finiscono
nella pancia del lupo, e la fiaba termina insegnando che “non bisogna
mai fermarsi a discorrere con gente che non si conosce, perché di lupi
ce n'è dappertutto”, mentre nella seconda il lupo viene ucciso e tutta la
fiaba assume un significato diverso.
Gli autori concludono che
“questa fiaba dunque aiuta il bambino a conoscere e dominare i
desideri nei confronti del lupo, a capire i pericoli a cui può andare
incontro se vuole forzare le tappe e crescere troppo in fretta, ma
contemporaneamente lo invita ad andare avanti, a crescere, a entrare
nel letto, assicurandogli che il lupo sarà sconfitto. E se prevede
l'esistenza del lupo dice che esiste il cacciatore, colui che vince il lupo
e lo uccide. Ma fa di più. Lo avvisa che i suoi sentimenti sono di
ognuno, e universalizza così quelle angosce che il bambino attribuiva
solo a sé colpevolizzandosi.96
94 V.Franz M., Le fiabe interpretate,Torino, Boringhieri, 1980, p.11.
95 A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op. cit.
96 Ibidem, p. 12.
48
Codignola e Angelini inoltre ricordano che è l'uso antipedagogico
delle fiabe ad essere responsabile del risentimento che oggi si nutre
per questa forma culturale: spesso i personaggi vengono utilizzati dai
genitori come strumento di terrore oppure come esempi di bontà e
gentilezza, “invitando le figlie a essere dolci e servizievoli come
Cenerentola, investendo le fiabe di problemi che sono loro, delle loro
angosce, dei loro sogni svaniti, e soprattutto dei loro conflitti con i
figli.”97
A loro dunque le fiabe tradizionali sembrano “utili, educative. Non
tanto (...) nei valori che propongono, modificabili dalla realtà
quotidiana, quanto per i problemi che affrontano, per il rapporto che
favoriscono tra adulto e bambino.”98 Per questo suggeriscono di
riappropriarsi di questo strumento culturale.
Alla fine del libro è pubblicato un dibatto con i curatori, Elena Gianini
Belotti, Mariella Gramaglia ed Enzo Rava. Belotti nota che “le fiabe
non solo sono raccontate in maniera diversa a seconda che ad
ascoltare sia un maschio o una femmina, (si pensi al tono della voce,
all'accentuazione di certi passaggi, ecc.), ma sono vissute in maniera
completamente diversa: in genere il ruolo del maschio è un ruolo
vincente, predominante e quindi gratificante per il maschio, il quale si
disinteressa completamente di quello che accade alla bambina
corrispondente; invece la bambina si identifica nel suo personaggio
che è in genere perdente e vive la fiaba in maniera conseguente e in
modo altrettanto inconscio. Solo da quando si possiede una certa
chiave (...) si è giunti a fare un'analisi critica di come e quanto le fiabe
97 Ibidem, p. 15.
98 Ivi.
49
possano rinforzare i ruoli.”99 Secondo Angelini invece il bambino si
identifica in ogni caso con il protagonista della fiaba, anche se il
personaggio non corrisponde al suo sesso e ricorda che La Bella
Addormentata nel bosco può essere narrata al maschi e alla femmina
allo stesso modo, perché “il maschi non si identificherà mai con il
principe che è praticamente inesistente nella storia. 100 La stessa cosa
era stata affermata da Bettelheim, parlando della passività e del sonno
della protagonista come una protezione contro gli incontri sessuali
prematuri.101 Per M. Von Franz “ che una figura femminile sia la
protagonista di un racconto non significa certamente che la fiaba parli
dei problemi delle donne, perché molte storie che descrivono le
avventure o le sofferenze di una donna sono state raccontate dagli
uomini e sono proiezioni della loro immaginazione, esprimono le loro
aspirazioni e le difficoltà a vivere il proprio lato femminile e a entrare
in rapporto con le donne.”102 In Particolare La bella addormentata
contiene il tema di “una figura femminile che scompare o muore per
rinascere o riapparire”103 , tema comune a leggende, miti e anche nei
sogni individuali. Ricorda il mito di Demetra, la cui figlia Persefone
scompare ogni inverno per raggiungere lo sposo Plutone e ricompare
ogni primavera. E conclude che la fiaba “nella prospettiva individuale
(..) è dunque quella di un complesso materno negativo nella donna, e
ciò vale anche per l'uomo nel quale l'Anima si è addormentata.” 104
Invece per la Belotti, la protagonista “è vittima della maledizione
99 Ibidem, p.134.
100
Ivi.
101
Bettelheim B., op.cit., p.224.
102
Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.8.
103
Von Franz M., op. cit., p.20.
104
Ibidem, p.55.
50
della strega, vittima dal principio alla fine, passa la vita inconsapevole
di quello che le è successo, addirittura dormendo in attesa di qualche
cosa che accadrà al di fuori al di là della sua volontà.” 105
Poiché l'angolazione della scrittrice è sempre attenta al problema delle
differenze sessuali, essa nota che nelle fiabe è molto importante il
problema dell'identificazione della bellezza con la donna: “nel
momento in cui perde la bellezza la donna non è più nulla; mentre
invece il potere le viene concesso proprio nel momento in cui diventa
vecchia (la strega) e perde la bellezza. C'è insomma la sostituzione
della bellezza con il potere, e con un potere malvagio.” 106
Per la verità questa affermazione viene confermata ed aggiornata dalla
realtà attuale, come afferma Barbara Mapelli, per la quale “c'è una
spinta a riportare le bambine nel mondo di una femminilità esasperata,
dai libri di testo alla pubblicità, dai giocattoli alla narrativa, dalla
moda al videogame, tutto descrive una figura di donna che culla e
accudisce, che torna nella sua casalinghitudine, ma nello stesso tempo
per vincere deve essere dotata di un corpo meraviglioso e attraente.”107
Per quanto riguarda la bellezza Codignola nota che “per la bellezza, è
vero che si racconta che Biancaneve è bella perché ha i capelli neri
come i corvi, la pelle bianca come la neve, e la bocca rossa come il
sangue, però c'è anche Re Bazza di tordo che è uno storpio, c'è La
Bella e la Bestia; (...) La fiaba è piena di tutto ciò che ci si vuol
trovare e per questo è importante chi la racconta e come, perché ha la
possibilità di premere, di insistere su certi valori piuttosto che su
105
106
107
.A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op. cit., p.135.
Ibidem, p.137 e 138.
Riportato in un articolo di Maria Novella De Luca, in Repubblica, 26/03/2011.
51
altri.”108
Rava sostiene che la cultura borghese ha usato le fiabe per un certo
periodo, ma poi le ha emarginate, sostituendole con le favole da
consumo, “le sole rimaste nella cultura corrente, impoverite, travisate,
piegate a veicolo di conformismo e indottrinamento” 109 e fa
riferimento alle versioni disneyane. Comunque dichiara: “la parola
d'ordine di “abolire le favole in quanto veicoli di valori borghesi” mi
sembra poi futurismo, come “fucilare il chiaro di luna”; come dire:
aboliamo tutto e raccontiamo solo cose positive.”110 E in questo
sembra
confermare
le
osservazioni
di
Simona
Argentieri
sull'educazione della generazione del Sessantotto.
Nel suo libro Il femminile nella fiaba, M. Von Franz ricorda “che la
psicologia di C. G. Jung ha fornito alcuni strumenti concettuali che
permettono di penetrare il senso delle fiabe e di accogliere, tradotti in
linguaggio moderno, gli insegnamenti e i benefici effetti che esse in
ogni tempo hanno avuto il compito di trasmettere.”111
Inoltre
“riflettono l' “uomo eterno” e la donna “eterna” in noi, il modello
fondamentale della nostra esistenza. Per i primitivi raccontar fiabe è
una necessità vitale. Noi, nella nostra visione razionale, abbiamo in
parte perduto quest'urgenza e a me sembra indispensabile cercare di
recuperarla. Al giorno d'oggi abbiamo il movimento femminista, ma
spesso mi pare che molti suoi membri siano quanto mai vaghi e incerti
nel definire in che cosa consista la femminilità. E' giusto che sia così,
perché essa al fondo è un mistero. Questi modelli fiabeschi, appunto,
108
109
110
111
A.A.V.V., Fiabe sui ruoli sessuali, op.cit, p.147.
Ibidem, p.145 1 146.
Ibidem, p.149.
Von Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri, Torino 1983, p.7.
52
possono gettare un po' di luce su tale mistero. Hanno il vantaggio di
essere astratti e vaghi. (...) In tal modo queste storie parlano alla nostra
anima e c'illuminano senza erigere schemi di comportamento e allo
stesso tempo senza defraudarci della responsabilità tutta nostra di
trovare la via interiore a noi stessi.”112
Con altre parole, Franco Cambi: “La fiaba è, possiamo dire, l'atto
narrativo primario che salda soggetto/tempo/destino in un percorso
esemplare. Ma c'è di più: il mondo che lì viene rappresentato è un
mondo antico, tradizionale, perduto, in cui i rapporti sociali, ruoli
lavorativi, paesaggi e figura appartengono ormai a una condizione
assai lontana, ma originaria e che è stata alla base di tutta la storia, pur
assai variegata, della specie Homo sapiens. E quel mondo è lì presente
nelle sue strutture, nelle sue ansie, nei suoi pericoli, nelle sue
speranze.”113
Differenza tra fiabe che vogliono trasmettere qualcosa e fiabe
tradizionali:
Franco Trequadrini ci ricorda che “Il più autorevole pensatore e
studioso che ci abbia posto sul territorio dei simboli e della loro
ricaduta sulla fiaba è stato Mircea Eliade, con lo studio fondamentale,
la Foresta dei simboli. Il simbolo nella fiaba non è dato dalla sua
112 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.205.
113 Cambi F., La fiaba e il mondo arcaico: la cultura magica, in F.Cambi, S.Landi, G.Rossi (a
cura di) La magia nella fiaba. Itinerari e riflessioni. Armando editore, Roma 210. Il libro fa
parte di un percorso formativo, iniziato nell'anno scolastico 1997-1998 con “Mostri e paure
nella letteratura per l'infanzia di ieri e di oggi”, al quale hanno fatto seguito “Il paesaggio nella
fiaba. Luoghi, scenari, percorsi”, “L'immagine della società nella fiaba” e appunto “La magia
nella fiaba, che ha impegnato l'IRRE Toscana in collaborazione con l'Università degli studi di
Firenze, Dipartimento di Scienze della Formazione, per dieci anni, in diverse sedi della
Regione.
53
discendenza dal mito quanto piuttosto dal fatto che la macchina
narrativa sarebbe destinata a rimanere inerte senza di esso. Essendo
l'intreccio povero, anzi, come si è detto, inesistente perché la fiaba ha
la sola fisiologia della fabula, essa sarebbe costituita, secondo alcuni
da schemi e modelli rigidi unici. In realtà tale unicità è giustificata
dalla mancanza di un obiettivo estetico e letterario da raggiungerequesto verrà solo in epoca relativamente recente- (...) Quella che
produce la fiaba è una società che parla il linguaggio del simbolo e
vive totalmente immersa in esso, (...) la fiaba non vuole tramandare
“valori” bensì accumuli di significati che accolgono in un unicum vari
aspetti che concorrono a comporre una visione e una valenza del
reale.(...)La fiaba nella sua assoluta a-didascalicità intende favorire
non la conoscenza, ma l'esperienza del male senza i traumi e le ferite
interiori che esso comporta e si serve di fatti e strutture simboliche che
condensano le immagini mentali che sono agente e strumento della
narrazione fiabesca.”114
Le fiabe della Valcarenghi e della Pitzorno sono anche simboliche,
infatti si prestano ad essere analizzate; per molte altre quello che conta
è solo l'intreccio, il plot, per questo nessuno le ricorda più dopo averle
lette. Secondo Paolo Borin “la produzione, da parte di autori
contemporanei, di fiabe con un preciso sfondo realistico e con un
chiaro riferimento all'ambiente reale di vita del bambino, non solo non
lo aiuta a conoscere meglio la realtà, ma gli toglie una possibilità
esplorativa della realtà stessa e può seriamente metterlo in allarme
riguardo alla frattura che egli percepisce tra il suo mondo interiore e
114
Trequadrini F., la fiaba: l'azione a distanza e il mondo dei simboli, in Ibidem, p.43.
54
quello degli adulti che lo circondano. Privato della possibilità di
frequentare un mondo dominato dalla fantasia e delle cui leggi egli
può sentirsi padrone, potrà, da adulto, percepire come insopportabile e
troppo gravoso il mondo reale e, per reazione, rifugiarsi in un mondo
che con il reale ha perso gli agganci.”115
Inoltre nelle fiabe edulcorate, viene eluso il problema del male.
Secondo la Von Franz “il grande rischio della dottrina cristiana del
male come privatio boni e, dunque, della non esistenza del male
consiste (...) nel fatto che essa provoca un'inflazione nel bene e un
genere sbagliato di ottimismo gonfiato. Essa è in parte responsabile
della nostra abitudine a considerare l'armonia delle cose e la felicità
umana come qualcosa di dovuto, che Dio o la Società hanno il
compito di offrirci. Un tale atteggiamento, mantenendo la passività
dell'individuo, lo lascia nell'infantilismo. Se questa visione ha
conferito slancio e ottimismo alla civiltà cristiana, è però alla base con
un falso rapporto con la realtà.”116 Questo è il limite di ogni visione
utopistica della storia della società e della storia e dunque della
stagione utopistica per eccellenza, il Sessantotto.
Inoltre possiamo notare che nel fantasy, che W. Grandi definisce
“narrativa popolare” in quanto “ai nostri giorni risulta essere la forma
di racconto più amata e consumata dal largo pubblico” 117,
“difficilmente si racconta il momento della scelta tra Bene e Male; il
lettore viene subito portato nel vivo della vicenda e della lotta: la
115 Borin P., Il senso del magico e la realtà del quotidiano, in op. cit., p.57.
116 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.185.
117 Grandi W., Elementi magici nella narrativa popolare: la Fiaba e il Fantasy, in La magia
nella fiaba, op. cit., p.45.
55
scelta tra Luce e Tenebre è già stata fatta.”118 F. Cambi aggiunge che
nella fiaba d'autore la magia “da visione-del-mondo partecipata e
condivisa (com'è tipico della fiaba popolare) si fa “ingrediente”
narrativo, che potenzia l'alterità di quel mondo narrato, la sua
estraneità al mondo reale e la potenza che in esso viene ad assumere il
fantastico.”119
“La fiaba, con la sua magia, assolve, anche al compito di rassicurare,
di consolare, assumendo, per il bambino, la funzione che ha, per
l'adulto, la fede. Come la fede, la soluzione magica non adotta i
parametri della razionalità, ma richiede lo sforzo e l'impegno relativo
necessari per la costruzione di un mondo del possibile, dove
l'individuo è chiamato a costruire una logica diversa, con nuove leggi
da comporre, con differenti conseguenze da ipotizzare.” 120
2.5 Fate, streghe e madonne
“La fiaba è desiderio di volare. Le fate, le streghe, le bacchette, gli
acciarini, i tappeti che volano, i topi che diventano valletti, le zucche
che diventano carrozze dorate altro non sono che il desiderio di
liberarsi da situazioni di disagio, di povertà estrema, di infinita
sofferenza. Il povero ha sempre desiderato diventare ricco, la fanciulla
povera di sposare il principe e di indossare splendidi vestiti con sopra
stampati il sole o la luna o le stelle che, con il loro brillio, rendessero
il vestito un pezzo di cielo.” 121 Volare è anche molto di più: desiderio
118 Ibidem, p.48.
119 Cambi F., Il magico nella fiaba d'autore, in la magia nella fiaba, op. cit., pp. 77-78.
120 Borin P., Il senso del magico e la realtà del quotidiano, in op. cit., p.59.
121 Rossi G., Presentazione del corso di formazione “La magia nella fiaba”, poi raccolto nel libro
56
di spiritualizzazione, aspirazione ad una natura fantastica anziché
terrestre. Campanellino, la fatina di Peter Pan riesce a far volare solo
chi crede nelle fate, molte fiabe parlano di fate che sono visibili solo a
qualcuno che è stato prescelto.
Secondo Sandra Landi la fata impersonifica “l'ispirazione, le soluzioni
inedite e creative.”122
“Le Fate abitano luoghi di meraviglie assolute (...); portano doni fatti
di pietre preziose, siano essi fiori, culle, ecc. E li producono con azioni
immediate, con semplici gesti, alla maniera della magia arcaica. Sono
mediatrici tra Cielo e Terra e rappresentano il Femminile, soprattutto
materno
e
salvifico.
Le
Fate
sono
figure
nuove,
emerse
dall'immaginario del Medioevo, che si rinnova radicalmente rispetto al
passato producendo nuove figure (come ci ha ricordato Le Goff), quali
il Cavaliere, il Santo, la Fata stessa.”123
Sappiamo anche le fate sono una nostra risorsa o qualcosa che
abbiamo
dimenticato,
come
la
fata
malvagia
della
Bella
Addormentata. “Il tema della dea offesa è frequente perché, in effetti,
la donna non sopporta di essere ignorata. (...) E' evidente che gli Dei
rappresentano contenuti archetipici dell'inconscio, cioè complessi che
ognuno possiede in sé e che non sono in alcun modo patologici(...).
Ogni dio corrisponde a un comportamento istintivo specifico. La
dimenticanza di un dio o di una dea sta a indicare che un
comportamento psicologico naturale è trascurato: non è stato preso in
dal titolo omonimo, Armando, Roma 2010, p.10.
122 Landi S., C'è bisogno di magia...a partire dalla fiaba, in La magia nella fiaba, op., cit., p.18.
123 Cambi F., La fiaba e il mondo arcaico: la cultura magica, in La magia nella fiaba, op. cit. ,
p.33.
57
considerazione o per artificio, o per stupidità.” 124
Così, le fate possono essere, come gli dei, capricciose, ambigue come
quella di Pinocchio o smemorate come quella di Cenerentola, fino alla
curiosa fata della Pitzorno.
Analizzando la fiaba di Vassilissa la Bella, M. Von Franz descrive la
figura della baba-jaga, che “incarna in modo meraviglioso il doppio
aspetto della Grande Madre; le antiche dee come Iside e Demetra,
possedevano questi due aspetti. Nei paesi cattolici l'aspetto luminoso
della Grande Madre, dell'Anima e della donna, è stato proiettato sulla
Vergine Maria, mentre quello ctonio, rimosso, s'incarnava nella figura
della strega. La baba-jaga rinvia a una figura della grande Madre di
tipo arcaico, nella quale il positivo e il negativo sono ancora
mescolati.” 125
La baba-jaga possiede anche una scopa con la quale cancella ogni
traccia del suo passaggio, che la Von Franz associa alla tecnica delle
streghe umane “del “ssst!”: Per l'amor del cielo, non fate allusioni a
me, non dite che sono io che ve l'ho detto...!”126
In un'altra fiaba citata dalla stessa autrice, La Gatta, compare una
Madre di Dio che assume anche il ruolo di una fata malvagia o di una
strega. “Evidentemente l'immagine ecclesiastica ufficiale della vergine
risulta incompleta e di conseguenza la gente provvede alla necessaria
compensazione.”127 L'autrice aveva parlato in precedenza del fatto che
la Vergine spesso sia stata rappresentata “che allarga il suo mantello,
sotto cui trova protezione una moltitudine di grandi piccole figure di
124 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.34.
125 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op. cit., p.164.
126 Ibidem, p.165.
127 Von Franz M., La gatta. Una fiaba della redenzione del femminile., op. cit., p.48.
58
peccatori che pregano; nella parte superiore, Dio padre con
un'espressione corrucciata, con arco e frecce li prende di mira. (...)
Maria è mediatrice. (...) Si crede che sia indulgente verso i difetti
dell'umanità.”128 Secondo l'allieva di Jung, mentre le sacre scritture e
gli insegnamenti religiosi forniscono la tradizione conscia di un
popolo, nel folklore si trova la compensazione inconscia della
tradizione collettiva. Così la gente semplice tende a “compensare e
correggere le posizioni ufficiali della Chiesa.” 129 Inoltre “Il fatto che la
Vergine Maria nella nostra fiaba sia rappresenta così al di fuori del
suo contesto, domiciliata nell'inconscio collettivo, a palazzo come una
sovrana, come un che di potente che ispira rispetto e sentimento di
mistero, significa che l'archetipo è ancora in ascesa, che sta sorgendo
all'orizzonte dell'inconscio collettivo.” 130
L'autrice mette in connessione la proclamazione dell'Assunzione della
Vergine Maria con la quantità di preti che volevano sposarsi e di
donne che chiedevano il permesso di accedere al sacerdozio. “E'
l'archetipo del femminile che sta sorgendo nell'inconscio collettivo ed
è ancora in ascesa. Così inaspettatamente, fra la gente, anche se non
capisce quello che sta facendo, nascono dei movimenti originali. Se si
osserva il fenomeno da una certa distanza, ci si rende conto che tali
esigenze, incluse quelle espresse dai movimenti femministi, sono in
completo accordo con ciò che accade nell'inconscio collettivo.” 131
Tra gli slogan del movimento femminista c'era : né streghe né
madonne; M. Von Franz si chiede:”Cosa ha a che fare la Vergine
128 Ibidem, p.47.
129 Ibidem, p.49.
130 Ibidem, p.50.
131 Ibidem, p.51.
59
Maria con la persecuzione delle streghe? (..) Prima del sorgere e del
diffondersi del culto della Vergine Maria era diffuso il fenomeno
dell'amor cortese, delle cosiddette corti d'amore. Nelle corti d'amore
gli uomini cominciarono a sviluppare il senso del rapporto con le
donne e le donne con gli uomini: era l'inizio della relazione amorosa
individuale con l'altro sesso. (...) Naturalmente l'amor cortese non era
sempre platonico.(...) La Chiesa combatté l'amor cortese poiché le
cose cominciavano a sfuggirle di mano. Fu proprio all'epoca della
repressione dell'amor cortese e della sua sostituzione con il culto della
Vergine Maria che cominciò la caccia alle streghe. “132
M. Von Franz, riferendosi a Jung, continua dicendo che “nell'amor
cortese l'Anima dell'uomo e l'individualità della donna erano
riconosciute, il valore individuale dell'esperienza era al centro della
questione: si trattava di quel determinato cavaliere e quella
determinata dama. L'uomo, in tal modo, poteva venire a conoscenza
degli aspetti della propria Anima, poiché la dama l'aveva scelta
personalmente, e anche la donna avere l'opportunità di sviluppare la
propria individualità. Invece, sostituendo la scelta individuale con la
Vergine Maria, un simbolo collettivo, l'elemento personale andava
perso. Veniva preservata solo l'immagine collettiva del femminile.” 133
Conoscendo le streghe e le fate delle fiabe, dunque, possiamo
conoscere le nostre emozioni e le istanze messe da parte, dimenticate
per percorrere un sentiero unico e irripetibile che è quello della nostra
vita.
132 Ibidem, p.68.
133 Ivi.
60
61
Capitolo terzo
Tra decostruzioni e nuovi tentativi
3.1 Le fiabe di Marina Valcarenghi
Sempre riferendoci al capitolo precedente sulle streghe e le fate,
possiamo dire che la donna contiene in sé una molteplicità di ruoli e di
funzioni; nelle fiabe di Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e scrittrice,
compaiono vari tipi di bambine e di donne adulte.
Nel panorama di revisionismo e messa in discussione dei significati e
dei messaggi che le fiabe classiche proponevano, spicca dunque
l’opera di questa autrice, che ha il merito di aver fatto un tentativo di
partecipare al dibattito sulla fiaba in modo attivo, proponendo in
prima persona due raccolte di fiabe molto originali e attente alla
disputa sui ruoli proposti dalle fiabe classiche tanto criticati dal
femminismo e dalla contestazione, ma allo stesso tempo fedeli agli
archetipi universali.
3.2 Fiabe minime
La prima fiaba della raccolta, Il Principe azzurro forse no inizia con
un lessico non tradizionale, la bambina viene definita simpatica e
carina e il padre “sempre ubriaco e capace di ordinarle solo questo e
quello”. Nel primo volume pubblicato, Fiabe minime, l'autrice ha
connotato i personaggi e gli ambienti in modo più contemporaneo e
62
preciso (compare in alcune fiabe il nome della città in cui si svolgono)
mentre in Nuove fiabe minime questa preoccupazione di modernità
sembra non sussistere. La fiaba poi ripercorre il tema tradizionale del
viaggio e dell'incontro con la vecchietta saggia, anche se si mantiene
sulla linea dell'ironia definendo i principi azzurri come personaggi che
“girano per i boschi a cavallo cantando stornelli”. Viene quindi
introdotta la trilogia degli oggetti magici, nello specifico un sasso, un
libro e una conchiglia. Il loro uso anziché simbolico è piuttosto
pragmatico per il sasso che si trasforma in grande roccia e la
conchiglia che diviene acqua scrosciante, mentre il libro viene usato
come strada, ponte e quindi come medium tra mondi diversi134.
L'oggetto magico può essere terrificante o salvifico, come in questo
caso. Flavia Bacchetti fa un lungo elenco di oggetti magici, dallo
specchio ai fusi, alle scarpe, fino agli anelli, ripercorrendo non solo
l'Alice di Carroll, ma anche la Rowling, fino alla Pitzorno: “L'oggetto
magico è funzionale alla storia, ha un mero scopo di “legame di
servizio”, utile al comporsi dell'intreccio narrativo. L'oggetto magico
proviene da una figura classica della fiabistica: il donatore (il
guardian spirit, secondo gli etnografi inglesi).”135 L'impatto con il
principe è piuttosto deludente, perché non solo è molto prosaico nel
suo benvenuto, ma si permette, lui che è stato passivo come una bella
addormentata, di denigrare gli oggetti che hanno aiutato Corinna. Il
principe azzurro così avventurosamente cercato non è che una
edizione più giovane del padre di Corinna, un essere inetto che cerca
134 L'uso degli oggetti magici viene riproposto anche nei cartoni proposti attualmente, dalla Casa
di Topolino a Dora e Diego, o I piccoli Einstein in cui come gioco interattivo si chiede ai
bambini quale è l'oggetto giusto nelle varie circostanze.
135 Bacchetti F., La fiaba di magia: dai classici alla narrativa contemporanea, in La magia nella
fiaba, op. cit., p.87.
63
di compensare le sue mancanze disprezzando l'altro, soprattutto
dell'altro sesso e che urla e ordina per coprire la propria mancanza di
identità. Come vedremo in seguito, comincia a delinearsi invece una
nuova figura maschile, con caratteristiche diverse dal maschile
tradizionale; infatti è dotata di Anima136, come compiutamente ha
spiegato M. Von Franz analizzando le fiabe tradizionali, e
analogamente le figure femminili vengono esaminate anche dal punto
di vista dell'Animus, che in questo caso è positivo perché Corinna si
libera di questo inetto e presuntuoso principe per unirsi a un ragazzo
normale “che mi capisca e col quale fare tante cose insieme.” Il
ragazzo adatto a lei viene descritto come bellissimo e viene aggiunto
che “le sorrideva senza chiedere niente”, come ad indicare che con lui
è possibile un rapporto paritario. Inoltre sappiamo che anche nelle sue
mani c'erano gli stessi oggetti che aveva Corinna, cioè che il loro
incontro è tra simili e che la relazione non è tra esseri mancanti, ma tra
persone complete che vogliono condividere un cammino insieme.
Sembra che questa fiaba, data la sua natura essenzialmente non
realistica possa essere usata al pari delle fiabe classiche come “un
importante espediente, perché evidenzia che il proposito della fiaba
non è quello di comunicare utili informazioni circa il mondo esterno,
ma di chiarire i processi interiori che hanno luogo in un individuo. 137
Le due bambine che si chiusero dentro parla di due sorelline che si
136 Jung chiama con le voci latine Anima, nell'uomo, e Animus, nella donna , la parte della psiche
che ha attinenza col sesso opposto e indica sia la conformazione del nostro rapporto con esso,
sia il deposito dell'esperienza collettiva umana al riguardo,. Vedi J.Jacobi, La psicologia di
C.G.Jung, Universale scientifica Boringhieri, Torino , p.143
137 Bettelelheim B., Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1977, p.29
64
chiudono in bagno un po' in polemica con le proibizioni e il potere
degli adulti. Loro vogliono “giocare in pace con l'acqua, che non ci
lasciano mai” e non vedere la baby-sitter. Si portano tanti oggetti utili:
coperte, cuscini, giochi, biscotti, panini, le bambole preferite, coltelli,
forchette, cucchiai, piatti, libri, giochi di costruzioni e le loro
seggioline di bambù. Resistono alle pressioni dei genitori, facendo
anche notare che sole lo sono anche nella loro cameretta e che loro di
giorno non ci sono mai. Le bambine si
mostrano capaci di
organizzare la loro giornata giocando con l'acqua, facendo il bagno
alle bambole e usando i trucchi della mamma, non per imitarla, bensì
per truccarsi da clown e da capo indiano. Infine mangiano e iniziano a
fare ginnastica. A questo punto un folletto entra dalla finestra e le
invita ad una festa. Il folletto somiglia a Tit, il personaggio del libro
delle Avventure di Caterina della Morante e anche l'atmosfera della
festa ricorda quella della Signora del Pineto con l'apparizione finale
delle lucciole. Ci sono riferimenti alla quotidianità con i wurstel alla
griglia, i gamberi con la maionese e le aranciate senza coloranti, sono
raccontate filastrocche e storielle e alla fine le due bambine dormono
tranquille nella vasca da bagno. Prima di dormire osservano che anche
nel bagno possono succedere “cose pazzesche” e i genitori, dopo
avere sfondato la porta le trovano “con un meraviglioso sorriso sulle
labbra. Quindi indoviniamo che non verranno punite e che questa
avventura avrà accresciuto il loro senso di indipendenza e la loro
sicurezza in se stesse.
La polverina magica ha per protagonista una bambina, Giovanna, che
65
decide di “fare qualcosa” a proposito di un Mostro, così lo chiamava
la gente, che riusciva a far fare alla gente tutto quello che voleva. Così
esce in pigiama, entra nel giardino della casa del Mostro, si arrampica
sul muro ed entra dalla finestra aperta nella casa. Abbiamo un
riferimento geografico preciso: la casa si trova a Roma. Giovanna non
ha poteri eccezionali, ha solo il suo coraggio, anche se in questa
occasione è messo a dura prova. La bambina scorge il Mostro che sta
andando in bagno e si accorge che è “più o meno un uomo come gli
altri, più o meno perché era più brutto e meno allegro”. Forse qui la
storia può riecheggiare La Bella e la Bestia, ma poi prosegue
descrivendo lo studio misterioso del Mostro, con i mobili neri, le
tende nere, gufi e civette nere impagliate: Sembra un po' il sotterraneo
della strega di Biancaneve anche per l'accenno alla magia e
all'alchimia. Sulla scrivania ingombra di biscotti morsicati, cicche e
altre cose c'è una scatolina con su scritto: “Polvere magica, basta un
pizzico.” Così scopriamo che il Mostro oltre ad andare in bagno e a
mangiare i biscotti è anche molto ingenuo e capace di arrabbiarsi
quando Giovanna gli ruba la polverina e riesce, dopo un concitato
inseguimento, a chiudersi in casa sua. Con la famosa polverina in suo
potere la bambina agisce un po' da giustiziera e un po' da fata: fa
chiudere le scuole noiose, lasciando aperte solo le altre; convince i
genitori a lasciare alzati i bambini anche la sera, lasciando aperte
anche le giostre e
fece in modo che i negozianti di giocattoli
regalassero la loro merce, facendo felici tutti i bambini di Roma.
Ma il potere di Giovanna aveva un prezzo molto alto perché doveva
stare chiusa in casa per difendersi dal mostro e anche dalla gente che
66
conosceva il suo segreto e per questo “adesso era lei che la gente non
poteva più soffrire”. Inoltre stando sempre chiusa Giovanna si accorge
che anche la sua casa sta diventando puzzolente di chiuso e di muffa,
con gli oggetti che tendono a prendere un odioso colore grigio. Così
volendo di nuovo la sua cameretta rosa, odorosa di sole e di pulito,
Giovanna esce anche questa volta di notte e butta la scatola della
polverina ben chiusa nel fiume pensando che “era giusto che ognuno
facesse quel che voleva lui e non quello che volevano gli altri”. Viene
da notare soprattutto il grande senso di responsabilità di Giovanna sia
quando vuole porre fine al potere del mostro, sia alla fine quando si
accorge che il potere finirebbe con l'annoiarla e rendere più triste la
sua vita. Come nelle fiabe classiche, dopo un momento un cui si entra
nel mondo della magia, ci si ritrova alla fine nella normalità, ma
cresciuti e trasformati dalla prova di iniziazione. Giovanna ha la
cameretta rosa, secondo i canoni, ma le sue gesta sono da moderna
eroina, coraggiosa, capace di riflettere e di avere presente anche il
bene degli altri.
L'aeroplano a pallini inizia con “due genitori selvaggi” che avevano
l'abitudine di punire Alice, la loro bambina, mettendola in castigo,
chiusa in una stanza. “E più la mettevano in castigo e più diventava
disubbidiente. Poche parole per commentare uno stile educativo
fondato sulla repressione. La bambina sta affacciata alla finestra,
“sperando di vedere qualcosa di bello”. Il libro della giapponese
Tetsuko Kuroyanagi si intitola proprio Totto-Chan. La bambina alla
finestra e parla di una bambina che è insofferente alle lezioni che le
67
vengono impartite e guarda sempre alla finestra in attesa dei suonatori
di strada. In questa storia della Valcarenghi la finestra non rappresenta
una via di fuga fantastica, ma reale perché appare un curioso
aeroplanino arancione
a pallini bianchi con “una buffa elica che
sembrava una farfalla.” Alice è già un nome da fiaba e la bambina
entra così nella magia, volando con il magico aeroplanino. Vanno sul
Mississipi, il più grande fiume del mondo, secondo i desideri di Alice
che può mangiare pannocchie abbrustolite e giocare a carte con i
marinai. Cose quotidiane e avventure straordinarie si mescolano
ancora una volta, con visioni di grandi alberi, grandi fiori e grandi
animali, fino all'inevitabile ritorno. La bambina non appariva
nemmeno all'inizio impaurita dalle punizioni, ma quasi annoiata
dall'incapacità dei suoi genitori di fornirle regole, offrendole sicurezza
e protezione. Ora chiede al piccolo aeroplano se tornerà e alla sua
risposta “Certo, ogni volta che ti metteranno in castigo”, non può che
dichiarare che si farà “mettere in castigo tutti i giorni”. Così i genitori
selvaggi si puniscono da soli ed Alice dimostra di non scoraggiarsi e
di saper utilizzare l'aiuto della magia.
Elisa e la solitudine parla di una bambina, Elisa che ha paura di stare
sola. L'autrice sembra suddividere il disagio di Elisa in una parte
difensiva, annoiarsi e in una reale: la paura dei fantasmi, degli orchi e
delle streghe. Anche in questa fiaba il mondo inconscio è vissuto
come minaccia, perché non è stato tradotto in immagini visive così il
problema di avere paura della solitudine appare alla bambina
incomprensibile e di conseguenza insolubile.
68
Si introduce poi un elemento di quotidianità, una madre che “era
andata a consegnare un lavoro”, ma è solo un inciso e quindi la fiaba
prosegue con Elisa che rivolge la sua attenzione a un ritratto.
Il ritratto rappresenta la Solitudine nelle vesti di una “signora pallida e
bruna” vestita di bianco, sullo sfondo di aranci in fiore “bianchi anche
loro”. Il riferimento ai fiori di arancio è alle nozze, come se per
diventare adulta la bambina avesse bisogno di superare la prova della
solitudine, di essere con se stessa e di bastare a se stessa. Inoltre il
bianco sembra alludere all' albedo e al confronto con l'Animus. 138
La signora esce dal quadro “con passo leggero” ,si presenta e chiede a
Elisa perché ha paura di lei. La bambina definisce le cose di cui ha
paura come “di tutto quello che può succedere...di quello che non
so...” e la signora la invita a considerare se stessa come un
interlocutore,
a
dialogare
quindi
con
la
propria
interiorità
conoscendola senza timore. Le mostra come la solitudine possa essere
risorsa e ricchezza insostituibile: “Ci sono cose che puoi fare solo con
me e sono cose belle...” e enumera degli esempi: “inventare una storia,
fare un disegno, un ricamo, e immaginare, ricordare, leggere, prendere
una decisione, ascoltare in silenzio la musica o lasciare i pensieri
correre dove vogliono loro..”
Elisa e la Solitudine vanno in giro a trovare persone che non hanno
paura di stare da sole su di un tappeto volante, richiamo alle fiabe
orientali e a tante fiabe classiche, ma anche a viaggiare con la fantasia.
Dopo un breve riferimento alla modernità, gli aerei, il primo
paesaggio che incontriamo sembra mediorientale: ”una città rosa coi
138 Per questo termine vedi la nota n.5, a proposito della prima fiaba.
69
pavoni blu che passeggiavano per le strade e gli alberi della vita
grandi come case.” Vanno a trovare un bambino con gli occhi neri che
ha disegnato “un cavallo alato tutto nero con gli occhi di fuoco”, la cui
immagine esce dal disegno per far salire Elisa e la Solitudine. Così il
viaggio continua sul cavallo alato, che sia Ippogrifo o Pegaso139
rimanda alla mitologia e ai viaggi ariosteschi. La seconda meta è un
igloo abitato da un uomo che suonava al violino una musica
“terribilmente dolce” e infine la terza è “una casetta azzurra sulla riva
del mare” abitata da una giovane donna “con un sorriso così bello che
Elisa non avrebbe mai smesso di guardarla.” Scopriamo insieme alla
bambina che la donna è una scrittrice e la sua ultima storia è sul
sorriso di una bambina che sorride per la prima volta alla sua mamma.
Quindi, dopo la scoperta di queste tre arti, la pittura, la musica e la
letteratura che hanno bisogno dell'apporto vivificante della solitudine,
Elisa sempre sul cavallo alato, viene riportata nella sua città. La
Solitudine le ricorda che “esistono anche gli altri: gli amici, la
mamma, il papà, i cuginetti, il nonno, la maestra, la gente che incontri
e tutti sono importanti per la tua vita.”
Come le fiabe classiche, la vicenda di Elisa inizia con uno spunto
reale, la mamma che va a consegnare un lavoro, e una situazione
problematica, la paura di stare da sola; poi “la logica e la casualità
normali sono sospese, come avviene con i processi inconsci, dove si
manifestano gli eventi più antichi nonché più mirabolanti e
sorprendenti.(...)Alla fine della storia l'eroe torna alla realtà: una realtà
139 Pegaso, nato dal collo decapitato di Medusa, che a causa del suo odio non era capace di darlo
alla luce, era figlio anche di Poseidone. Aveva aiutato Perseo a liberare Andromeda da un
mostro marino e Bellerofonte contro la Chimera. Infine era stato trasformato nell'omonima
costellazione. La parola greca pagai significa “sorgenti” o “acque”.
Il suo analogo nella cultura orientale è l’Ippogrifo.
70
felice, ma priva di magia.”140
Ilaria e l'anello verde inizia con la partenza del padre della bambina
“per un lungo viaggio, ma così lungo che nessuno poteva sapere né
quando, né se sarebbe tornato. L'allusione sembra ad una scomparsa
definitiva, ma il modo in cui è descritta è vago e favolistico e non
trasmette ansia, anche se viene detto che Ilaria pianse “per tre giorni e
per tre notti, e forse molto di più.” Bettelheim osserva: “Nelle fiabe il
numero tre sembra riferirsi a quelli che in psicanalisi sono visti come i
tre aspetti della mente: Es, Io e Super-io.141
Ilaria poi si immagina che il padre non avrebbe voluto vederla “triste e
indebolita” e così “ricominciò a vivere con allegria.” Il legame con il
padre attraverso l'Animus forse, non si è mai spezzato e Ilaria trova
curiosando in un cassetto, un anello che lui le ha lasciato insieme ad
un foglietto. Notiamo innanzi tutto il tema della curiosità, che nelle
fiabe è sempre ambivalente, può indurre a pericoli, ma è anche segno
di crescita e di cambiamento. Il mobile in cui è custodito l'anello è
rosa, colore femminile e il cassetto è anche simbolo femminile, come
un grembo, una borsa, qualcosa che custodisce, contiene. L'anello
invece è verde, un colore che richiama la natura e la rinascita
primaverile, la fertilità, ma anche la rabbia e l'invidia. Ilaria guarda i
disegni che sono incisi nell'anello, ma non lo prende perché sul
foglietto è scritto: “Bambina mia, questo anello sarà tuo quando saprai
che è arrivato il momento.” L'anello è considerato segno magico in
miniatura nelle fiabe e ovviamente segno di legame. Ilaria non può
140 Bettelheim B., op.cit., p.64.
141 Bettelheim B., op.cit., p.102.
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dunque metterlo subito, non può sposare il padre, ma deve aspettare il
momento giusto.
Notiamo anche che non ci sono altre figure, né maschili né femminili,
come se la coppia fosse composta da Ilaria e suo padre in modo un po'
compensatorio, per poi evolvere alla fine.
Infatti troviamo Ilaria grande, sappiamo che ha molti amici e che è
ancora allegra, “le piaceva far ridere gli amici.” La ragazza parte per
un viaggio in mare142 e non solo deve affrontare la tempesta e i
pescecani, ma la nave “si sbriciolò come pane secco contro gli scogli
di un'isola sconosciuta.”
Ilaria viene morsicata da un pescecane, si fascia la ferita con il vestito
e si addormenta. Certe volte i morsi degli animali trasmettono il potere
degli aggressori, la loro forza e Ilaria ne ha bisogno perché è sola su
questa isola, costretta a cibarsi di frutta e a pescare pesciolini. Il senso
di difficoltà viene poi alleggerito dicendo che “avrebbe preferito un
piatto di spaghetti e un pollo arrosto!” E Ilaria incontra un cavaliere,
“coperto da un'armatura di ferro, come quella dei guerrieri del Medio
Evo”. Gli chiede dove può trovare una casa e lui le dice che dovrà
attraversare un bosco di acanto, che la ferirà “a sangue” e le regala il
cimiero. Così Ilaria si accorge che il cavaliere è suo padre, la
abbraccia, ma le dice che ognuno deve fare la propria strada, per
ritrovarsi “un giorno”. Aggiunge anche: “sei grande ormai”.Il cimiero
era la parte dell'armatura che serviva anche a identificare i cavalieri,
quindi è una specie di firma, di immagine del padre trasferita alla
142 La nave è un contenitore femminile(...). La navigazione facilita le comunicazioni, il
commercio e il diffondersi della cultura. Di nuovo sembra attendere al femminile, ciò che crea
connessioni e porta la gente a incontrarsi. M.Von Franz, La gatta. Una fiaba di redenzione al
femminile. op. cit., p.37.
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figlia. Inoltre c'è il riferimento al sangue, simbolo di vita, ma anche di
sofferenza. Inoltre Ilaria scopre abbracciando il padre che si può anche
piangere di gioia; questa scoperta le apre lo scenario dell'isola non
solo come qualcosa di ostile, da tenere a bada, ma come
opportunità:“l'isola era bella: c'erano uccelli bellissimi e farfalle che
volavano tra i fiori, l'aria era carica di profumi e verso sera il tramonto
mandava il cielo in fiamme.”
E infine Ilaria arriva al bosco di acanto, bellissimo ma terribile; Ilaria
vorrebbe tornare indietro e non lo fa solo perché sa che si pungerebbe
di nuovo. Quando era ormai senza speranza, “sanguinante coi capelli
ritti e il vestito a brandelli, si trovò davanti a un castello.” L'acanto è
simbolo della Resurrezione, perché fiorisce ma è pieno di spine,
inoltre l'idea del capitello corinzio sembra abbia origine dalla
metamorfosi di una fanciulla greca in pianta, secondo un topos greco
abbastanza comune.
Il castello è un simbolo regale e essere padroni di un regno nelle fiabe
indica essere padroni della propria vita.143Ma un leone difende il
castello “digrignando i denti e spalancando la bocca in terribili
ruggiti.” Il leone rappresenta sia gli istinti vitali che la forza distruttiva
della natura; vedendo il cimiero, che Ilaria ha indossato per proteggere
la testa, il leone diventa docile, si umanizza e addirittura sorride.
L'Animus della ragazza è positivo e l'aiuta ha costruire la sua vita.
Infatti il castello contiene oggetti antichi, ma anche cose utili come
“vestiti, tovaglie, pentole, piatti, posate, scarpe, golf, coperte e anche
spaghetti, e libri e dischi, olio, burro, prosciutto e tante altre cose, tutte
143 Bettelheim B., op.cit., p.144.
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quelle che si possono desiderare.”
Ilaria ritorna alla realtà “facendosi finalmente un bagno” e si ricorda
dell'anello che ha lasciato a casa. Ora riesce a decifrare le sue
incisioni: le onde agitate del mare, un castello, un leone, un cimiero e
due rami di acanto. Può tornare a casa e prendere l'anello “perché
ormai era arrivato il momento.”
La protagonista di questa fiaba ritorna alla sua vita quotidiana adatta
per possedere l'anello, ha superato la pubertà come in un rito
d'iniziazione, come Biancaneve e La Bella Addormentata, senza i
genitori. Bettelheim osserva che “la temporanea assenza di entrambi i
genitori al manifestarsi di questo evento simboleggia l'incapacità di
tutti i genitori di proteggere i loro figli dalle varie crisi di crescita che
ogni essere umano deve attraversare.”.144
La prossima volta sì si svolge a Bari e parla di una bambina di nome
Martina che ha paura di essere contenta. La storia inizia con una
specie di spaesamento: è estate e i suoi amici abituali sono partiti.
Martina viene invitata a giocare con la fionda, ha voglia di farlo, ma
fugge via spinta da un impulso inarrestabile. E' il suo gatto145
Senofonte che le spiega che cosa è successo: “Eh cara mia, è la paura
. E la paura non è solo quella dei mostri o del buio, ma anche di essere
contenti.” Il gatto spiega meglio: “paura che la contentezza duri
troppo poco, paura di stare male dopo e anche paura che non sia
possibile essere contenti”. Sembra che l'autrice si addentri in un
144 Ibidem, p.223.
145 M.Von Franz asserisce che il gatto, sul piano simbolico, è in stretta connessione con la
coscienza e con tutti i processi creativi. Op. cit., p.63. Ci dice anche il gatto ha particolari
qualità mercuriali, è conoscitore della vita e guida dell'anima. Ibidem, p.65.
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territorio esistenziale e filosofico, ma in realtà anche i bambini
conoscono bene questa sensazione che accomuna sia femmine che
maschi.. Infatti Martina torna di nuovo ai giardini, ma non trova più
il bambino con la fionda; ne vede uno con lo skateboard e si avvicina
decisa, ma quello scappa via come lei aveva fatto prima. Martina
comincia a pensare che non è facile giocare e domanda ad un
passerotto: “Cosa dici tu? La prossima volta andrà meglio? Sarà
interessante? Saremo più furbi tutti e due?” E il passerotto
risponde”Sì, la prossima volta sì.” Martina crede al giudizio del
passerotto e si tranquillizza.
E' una storia molto moderna con questo accenno alle vacanze e a un
gioco nuovo come lo skate, anche se l'altro gioco è la fionda. E'
moderna la tematica: l'insicurezza, la paura di partecipare, di giocare e
insieme il desiderio di stare con l'altro, il rimpianto per quello che si è
perso.
Quanto al passerotto sappiamo che “gli uccelli rappresentano in
generale entità psichiche di carattere intuitivo o di pensiero.”146
Quindi ha tutta l'autorità per rassicurare una bambina sul suo futuro.
La bimba-rondine torna ancora sul tema degli uccelli, che come ci
insegna la Von Franz, sono “abitanti dell'aria, appartenenti al regno
del vento, che è sempre associato al respiro e quindi alla psiche
umana.”147L'inizio della fiaba però ha subito un riferimento
contemporaneo: l'uomo-ragno.
L'uomo-ragno è diventato tale mangiando una zampa di ragno e Lucia,
146 Von Franz M., Le fiabe interpretate, Boringhieri Torino 1980, p.60.
147 Ibidem, p.61.
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la protagonista, viene incoraggiata a mangiare un'ala di rondine per
poter volare. Ma la rondine si rifiuta di cedere l'ala e si accordano per
una piuma. La piuma ricorda la fiaba intitolata proprio Le tre piume
dei fratelli Grimm ed è simbolo dello spirito. Sempre la Von Franz
nota che gli Indiani del Nord America si attaccano delle piume sul
corpo quando “designa se stesso come un essere psichico e
spirituale”.148
Torna un riferimento ironico al quotidiano: Lucia non aveva molta
voglia di ingoiare una piuma, così nuda e cruda, preferiva le patate
fritte”. L'uomo-ragno interviene con una piccola filastrocca: “Per
poter alla fine volare, qualcosa dovrai pur pagare!” che sembra un
po' ricordare chi vuol bella apparire un po' deve soffrire. In realtà il
messaggio è molto diverso perché mentre quello dell'uomo-ragno è
rivolto ad entrambi i generi e sembra alla metamorfosi in generale, il
secondo è un messaggio per il genere femminile ed allude a tutte
quelle pratiche che accrescono la possibilità di essere avvenenti e di
accrescere la propria bellezza.
Lucia riesce ad ingoiare la piuma e si trasforma in rondine iniziando a
volare. Sono descritte le sue sensazioni mentre guarda le cose dall'alto,
sfiora le cime degli alberi ed abbraccia le nuvole. Ma poi si specchia
sulla superficie di un lago e si accorge di essere vestita in jeans e
maglietta, un abbigliamento inadatto ad una ragazza-rondine. In
questo caso l'abbigliamento sembra significare un atteggiamento
interiore, “nei misteri iniziatici il cambiar vestito indica la
trasformazione e il passaggio a una comprensione illuminata”. 149Così
148 Ibidem.
149 Ibidem, p.175.
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Lucia trova una donna che le cuce una tuta da rondine e torna nel
bosco da cui era partita. Qui si accorge che i cacciatori stanno
sparando agli uccellini e si nasconde insieme alle sue amiche rondini.
In questo caso i cacciatori non hanno valenza simbolica, come nella
fiaba di Biancaneve o di Cappuccetto Rosso, ma sono molto legati alla
realtà. Lucia a questo punto è un po' tentata di ritornare bambina, per
non essere più individuata come bersaglio, ma poi si vergogna di
questo pensiero e decide di “stare dalla parte delle rondini e non da
quella degli uomini”. In questa fiaba Lucia non ritorna quella di prima
, ma rimane ragazza-rondine e impara a volare in alto “ma così in alto
che mai nessun fucile e nemmeno nessun cannone riuscirebbe mai a
raggiungerla.” la fiaba termina con questo riferimento pacifista che è
anche la spiegazione del motivo per cui non abbiamo mai incontrato la
ragazza-rondine sopra le nostre teste.
Il viaggio di Marina è una delle fiabe più ricche di contenuti e di
suggestioni. Marina, la protagonista, ha lo stesso nome dell'autrice e
non ha mai visto il mare. “Questo fatto, considerando anche il suo
nome, le sembrava un'assurdità.” Poi sente il rumore del mare
attraverso una conchiglia “un sospiro forte come il vento e tenero
come una carezza, “come se il mare, attraverso quella conchiglia, le
dicesse di andare da lui.”
Marina non va verso il mare perché incompresa o sola, lascia una
bella casa, bravi genitori e fratelli simpatici. Prende con sé i suoi
risparmi, una coperta ed un temperino. Il temperino è un accessorio
maschile, la coperta serve a riscaldare il corpo, ma anche il cuore e i
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risparmi sono qualcosa di concreto. Marina cammina cammina, come
in tutte le fiabe ed incontra un ragazzino di nome Alessandro.
Alessandro è il nome di un grande imperatore e anche il ragazzino ha
grandi progetti perché è in viaggio alla ricerca delle montagne. Vuol
convincere Marina ad andare con lui e sembra convinto della
superiorità dei suoi progetti perché esclama”Ma che differenza fa per
te mare o montagna? Così facciamo il viaggio insieme e ci teniamo
compagnia...” L'obiezione di Marina è inoppugnabile: “Perché allora,
se è uguale, non vieni tu al mare?” Alessandro non sa cosa rispondere
e dopo avere insistito sul suo proposito con dolcezza e anche con
rabbia, minacciando di buttarsi nel fuoco o nel fiume, capisce che
Marina è decisa a raggiungere il mare e si incammina da solo verso i
monti. Questo episodio sembra riferirsi al rapporto tra i sessi, alla
presunta superiorità maschile e al diverso peso che sembrano avere le
inclinazioni e le scelte anche nell'ambito di una coppia adulta.
Marina cammina ancora per giorni e giorni dormendo nella coperta
sotto le stelle, finché in un bosco fitto e scuro, pieno di “rumori strani,
sibili, fruscii, ruggiti cavernosi”, viene punta da un serpente. Non si
perde d'animo e praticando un taglio nella gamba con il temperino, fa
uscire il veleno. Questa è una grande prova di coraggio e Marina ne è
consapevole; fa anche un'altra riflessione: “Che buffo che quando ci si
fa un male, per mandarlo via è necessario farsene un altro. Sarebbe più
logico che per mandare via una cosa brutta si dovesse fare una cosa
bella...” Il serpente può essere indicato come elargitore di conoscenza,
sia in senso negativo come nella Bibbia, che il senso positivo, come
nella filosofia Yoga o nella cultura Atzeca o egiziana.
78
Marina è stanca e teme di aver fatto una grossa sciocchezza in questo
suo tentativo di arrivare al mare; si lascia cadere su un prato e piange.
Le lacrime della bambina, che sono anche di rabbia, sembrano
evocare, nel loro elemento acqueo, una piccola nuvola, carina, bianca,
a forma di ricciolo.
La nuvola elemento del cielo e dell'acqua sembra anche nella sua
forma alludere a qualcosa di arrendevole nella sua mutevolezza e
morbidezza, forse un ritorno alla parte femminile con il riferimento al
ricciolo e all'essere carina. La nuvola riporta anche alla leggerezza
“non fare la fifona, non lo sapevi che andare al mare non è facile come
andare a scuola?” Così sdrammatizza e si mette “a correre per il cielo
allegra e pazzerellona.”
Poi la nuvoletta lascia Marina perché deve piovere sui campi e far
crescere i pomodori: una nozione di scienze e di filosofia nel senso
che non può splendere sempre il sole nel cielo e nel nostro orizzonte
personale. Marina non la vuole lasciare andare, non vuole stare sola,
ma la nuvola ha una risposta di grande rigore esistenziale anche a
questa affermazione: “Sciocchezze,-rise la nuvola- se non vuoi stare
sola vuol dire che non stai bene con te, vuol dire che non ti vuoi bene.
E se non ti vuoi bene tu come vuoi che te ne vogliano gli altri?” Il
fatto che dica tutto questo, così difficile da accettare per tutti e certo
maggiormente per le donne, ridendo, alleggerisce una verità profonda
e faticosa; Marina manda al diavolo nuvola e pomodori e decide di
cercare “persone e animali con cui stare.” La via dell'individuazione è
un percorso irto di prove e pericoli e la bambina sembra prendere un
periodo di sosta, di riposo in cui riprendere le forze. Non si fa mancare
79
niente: fa amicizia con “studenti, ippopotami, ragni, camionisti,
bambini, cani e gatti.”Quando sente di nuovo il rumore del mare
attraverso un'altra conchiglia ne ha paura, allora “cercò di non
pensarci e si abbonò a Topolino; andava sempre al cinema, giocava
sempre a flipper e beveva un sacco di aranciate. I riferimenti ai
passatempi e ai giochi è molto divertente e può ricordare anche un
determinato periodo politico-sociale, quello denominato del “riflusso”.
Una notte, senza dire niente a nessuno Marina parte ancora con
coperta e temperino, non ha neanche più i risparmi, ha paura
(consapevolezza), piange, ma ha voglia di andare. Quando il cammino
verso l'individuazione è stato intrapreso non si può rinunciare a
percorrerlo e Marina non si fa fermare neanche dall'orco “grande e
feroce, con due baffi spaventosi, un pancione enorme tutto pitturato a
draghi e col cranio pelato”. L'orco definisce il mare “una pozzanghera
salata” e solleva Marina come una piuma. Marina allora si arrabbia
davvero e l'autrice ci rivela che “le rare volte che si arrabbiava sul
serio, diventava forte come braccio di ferro e senza nemmeno bisogno
di spinaci”. Qui Marina ci ricorda un po' Pippi Calzelunghe, che tra le
molte cose eccezionali, poteva vantare anche
la forza. 150 L'orco
invece ricorda il Mago di Oz, perché quando viene spinto via
energicamente dalla bambina diventa lamentoso e la rimprovera così:
“io volevo solo dirti che ti comporti male, che fai stare in pena i tuoi
genitori, che non vai più a scuola, che sei tutta in disordine e tutto
questo non è da brava bambina!” Anche la risposta di Marina sembra
riecheggiare le caratteristiche di due dei personaggi del Mago di Oz,
150 “La cosa più eccezionale in lei era la sua forza.” Così Astrid Lingren definisce la sua eroina.
Lingren A., Pippi Calzelunghe, Salani Milano 1988, p.7.
80
infatti dice”non sei che uno stupido orco senza cervello e che fa finta
di avere un cuore.” Poi aggiunge parole che documentano il
raggiungimento della sua identità: “io sto facendo una cosa
importante, un viaggio e i miei genitori lo capiranno; e se non lo
capiranno peggio per loro.” L'orco si rivela invece un fifone perché
scappa di fronte a un ragnetto e Marina ride ritrovando l'allegria e
sentendo che ormai il mare è vicino.
Gli appare “all'alba, dietro a una collinetta: un verde infinito e
tremante.” Marina impara a nuotare e gode delle possibilità che il
mare le offre: tuffi, pesciolini, conchiglie, spruzzi, fresco su tutto il
corpo e gli occhi che bruciano per il sale. Solo dopo avrebbe ascoltato
le mare del mare: “Sono pericoloso, dentro di me si può morire; tu
impara a non resistermi, lasciati andare alla forza delle onde, la loro
forza è la tua, e tu sei parte di me.” Queste frasi ricordano i primi versi
della poesia di Baudelaire e contengono suggestioni profonde sulla
capacità di abbandono e in senso di appartenenza al cosmo in senso
creaturale.
3.3 Nuove fiabe minime
L'aquilotto e la strega ricorda un tema di Hansel e Gretel, l'oralità.
Infatti l'aquilotto Luciano non solo si mangia una casetta interamente
fatta di chicchi di miglio, ma anche la statuina di miglio che in realtà
era un'orrenda strega “piena di bitorzoli”. Luciano si è lasciato
trascinare dalla propria avidità e dalla soddisfazione orale e per questo
ha messo in pericolo la sua stessa vita. Bettelheim spiega molto bene
81
il
meccanismo
per
cui
la
regressione
“sopprime
ogni
individualizzazione e indipendenza. Essa giunge a mettere in pericolo
l'esistenza
stessa
dell'individuo,
dato
che
le
inclinazioni
cannibalistiche si incarnano nella figura della strega stessa. (...)
Quando i bambini cedono agli impulsi incontrollati dell'Es,
simboleggiati dalla loro sfrenata voracità, rischiano di essere
distrutti.”151
Inoltre l'aquila, re degli uccelli, “indica l'intuizione
spirituale, pensieri elevati, l'ispirazione.”152 Infatti Luciano capisce
subito la lezione e non mangia i sette grani di miglio che gli da la
strega, ma li usa per costruire un percorso che conduca il suo amico
merlo dalla mamma aquila. Il merlo nella tradizione celtica è
detentore dei segreti della magia. Il numero sette ha una simbologia
cosmica molto forte: sette sono i giorni della Creazione, i giorni della
settimana, i sette saggi e il sette è presente anche nella simbologia
dell'Islam. Il merlo giunge così dalla mamma aquila che le spiega che
cosa deve fare Luciano per sconfiggere la strega: quando lei sarà
vicina dovrà accecarla con due precisi colpi di becco. Così secondo i
consigli della sua mamma fedelmente riportati dal merlo, Luciano
acceca la strega che stava per ucciderlo e il coltello che lei teneva in
mano recide i lacci che lo tenevano prigioniero. Qui accecare sembra
riferirsi alla luce che viene tolta alla strega, per riportarla al regno
delle tenebre, ora che il suo travestimento è stato smascherato. Infatti
dopo che era stato svelato il suo vero aspetto anche il cielo si era
oscurato, il sole era scomparso e si era sentito un orribile tuono. Il
coltello che nelle mani della strega doveva servire ad uccidere cade
151 .Bettelheim B., op.cit., p.157.
152 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri Torino, 1983, p.199.
82
proprio sui lacci che legavano l'aquilotto e lui è così libero di volare.
La mamma aquila aveva detto che solo Luciano poteva accecare la
strega e ottenere così la sua liberazione e infatti le sue ali alla fine
della storia sono diventate più grandi e lui è libero di tornare dalla
madre. Sono ancora appropriate le osservazioni di Bettelheim a
proposito di Hansel e Gretel: “Per sopravvivere, essi devono
sviluppare l'iniziativa e rendersi conto che la loro unica risorsa
consiste nella progettazione intelligente e nell'azione. Invece di farsi
subordinare dalle pressioni dell'Es, devono agire in accordo con
l'Io.”153La fine della fiaba della Valcarenghi allude anche ad una
specie di iniziazione: il becco dell'aquilotto ancora tenero è però
capace di dare due colpi precisi che accechino la strega. Due del resto
è simbolo di separazione dell'unità e Luciano torna dalla mamma dopo
che ha superato la prova della separazione e del pericolo insito nella
simbiosi. Conclude Bettelheim:”Spesso il bambino in età scolare non
può ancora credere che sarà mai in grado di affrontare il mondo senza
i suoi genitori: è per questo che vuole aggrapparsi a loro oltre il tempo
necessario. Egli deve imparare a confidare che un giorno avrà la
meglio sui pericoli del mondo, anche nelle forme esagerate in cui gli
sono presentati dalla sua fantasia , e ne sarà arricchito.154
Lella che non cresceva mai era una bambina piccola come una
bambola. La sua piccolezza non disturbava i suoi genitori, ma era un
problema per lei, anche perché gli altri bambini, diventati grandi, la
chiamavano “nanetta”. Il tema del crescere, del diventare grande ed in
153 Ibidem, p.158.
154 Ibidem, p.161.
83
particolare del passaggio da piccolo a grande è uno dei principali delle
fiabe classiche ed anche di quelle dell'autrice. Questa fiaba allude
anche al tema della diversità perché Lella, la bambina protagonista, è
stanca di sentirsi chiamare “nanetta” ed è anche arrabbiata con i
genitori che non si preoccupano della sua statura. Lei per crescere ha
mangiato tanto, ma è diventata solo grassa ed ha fatto tanta ginnastica,
ma è dimagrita di nuovo senza crescere “neanche di un centimetro.”
Così Lella va nel bosco ed incontra una volpe che cerca di allungarla
legandola con le braccia ad un ramo di un albero e i piedi a un altro
ramo per poi cercare di allontanare un ramo dall'altro. Lella si presta a
questa pratica dolorosissima senza risultati. Qui la volpe sembra un
animale amico, anche se in alcune culture la volpe è un animalestrega.155
Lella piange fino a formare davanti a sé un piccolo lago. Il lago
ricorda la scena di Alice nel paese delle meraviglie, ma qui dal lago
esce un pesce “bello lucido che sembrava d'argento”. Il pesce è tra i
simboli archetipici del Sé156, inoltre qui sembrava d'argento. E'
associato a Diana, alla verginità, alla luna. Lella molto prosaicamente
se lo vuole mangiare, ma il pesce le parla e le chiede di cercare un
anello d'oro con una pietra rossa per salvarlo, dato che lui in realtà non
è un pesce. “L'anello, in quanto oggetto circolare, è ovviamente uno
dei molti simboli del Sé157, ma anche “simboleggia sia una relazione
che un vincolo”.158
La bambina decide di aiutarlo e dimenticando la sua piccolezza, va a
155 Von Franz M., op.cit., p.175.
156 Ibidem, p.26.
157 Ibidem, p.72.
158 Ibidem, p.73.
84
cercare l'anello. Deve affrontare un'orrenda strega perché è lei che ha,
al ditaccio adunco, l'anello d'oro con la pietra rossa. La strega si siede
per mangiare un ricco pic-nic: cotolette impanate, pollo arrosto,
patatine e sette ghiaccioli. Della simbologia del sette abbiamo parlato
a proposito della fiaba precedente, è divertente che sia intrecciata ai
ghiaccioli e alle cotolette. La strega si addormenta “come un ghiro”,
Lella esce dalla felce in cui si era nascosta, sfila l'anello alla strega e
fugge via. Naturalmente la strega si sveglia e minaccia di uccidere la
bambina e di “farla a pezzettini!” Lella approfitta di essere piccola e
saltella incessantemente, ma ha paura di stancarsi. Allora una voce le
dice di buttare indietro tutto il suo dolore e la bambina dice: “Butto
dietro di me tutto il mio dolore di bambina piccola.” Ancora una volta
compare un lago formato dalle lacrime, ma questa volta nel lago la
strega ci annega dentro. “In quello stesso istante la bimba si sentì
crescere crescere crescere finchè diventò una spilungona.” E' felice,
corre verso il pesce che le chiede l'anello. Lella teme di tornare
piccola senza anello, ma la solita voce le dice: “Non ti serve più
l'anello, dallo a qualcun altro, ora.” Così lo da al pesce che diventa un
bambino e la invita a portare l'anello a qualcuno che ne ha bisogno.
Così continua il viaggio di Lella che è ormai cresciuta e ha trovato un
compagno di viaggio.
Mauro entrò nella caverna ha per protagonista un bambino, Mauro,
con “occhi scuri e un sorriso bianchissimo perché si lavava
regolarmente i denti.” L'autrice mescola abilmente riferimenti al
85
quotidiano e temi più universali, come quello della caverna. Infatti
Mauro, a cui “piaceva andare dove di solito gli altri non vanno”, arriva
ad una caverna misteriosa, in cui nessuno aveva mai osato entrare. La
grotta è simbolo di ricovero e custodia, ma può essere interpretata
anche come simbolo di Ade, il mondo sotterraneo. Secondo il mito di
Platone la caverna è associata all'ignoranza, come i suoi abitanti che
credono che le ombre visibili siano cose vere. Può essere luogo di
nascita, come quella in cui nacque Gesù, ma anche tomba. La sua
ambivalenza è costituita anche dal fatto che può essere fonte di
pericolo come habitat di creature mostruose, ma anche rifugio come
quelle che sono state scelte dai santi. Questa grotta contiene molti dei
significati che abbiamo esaminato: la sua imboccatura già la isola
dalla città e dai rumori, ma è l'interno ad offrirsi agli occhi di Mauro
come un mondo straordinario, in cui si aprivano strade, c'era un fiume
sotterraneo con ponticelli, volte e stetti passaggi. Il bambino era
attratto e insieme impaurito, ma soprattutto era la curiosità a farlo
sentire forte dandogli coraggio. Così scende ancora fino a che sente
qualcosa che le sembra un lamento. Infatti scendendo tre scalini si
trova davanti un cane lupo dal muso feroce e dietro di lui scorge una
gabbia con dentro una bambina. Si può notare che alla bambina non
viene dato un nome, ma la sua condizione di prigioniera non sembra
legata al genere; infatti è solo ad una lettura superficiale che anche La
Bella Addormentata nel bosco viene interpretata come un modo di
rappresentare la passività femminile. Bettelheim coglie un aspetto
molto importante: “Anche quando la ragazza è presentata ripiegata su
se stessa nella sua lotta per la conquista della propria individualità e il
86
ragazzo in un rapporto aggressivo con il mondo esterno, sono questi
due atteggiamenti insieme che simboleggiano i due modi in cui
l'individuo deve conquistare la propria identità: imparando cioè a
comprendere e a dominare il mondo interiore e quello esterno. In
questo senso gli eroi maschili e femminili sono di nuovo proiezioni in
due diverse figure di due aspetti distinti (artificialmente) dello stesso
processo che chiunque deve attraversare per diventare adulto.” 159
Anche qui la bambina sembra introdurre al mondo dell'interiorità,
infatti il bambino non riesce neanche a vederla bene, ma sente che
dice: “Solo tu puoi salvarmi, tu che hai avuto il coraggio di arrivare
fino a qui. Contro il cane che mi fa da guardiano nessuna arma ti
servirà, dovrai trovare il serpente verde. Per aprire la gabbia è inutile
che cerchi la chiave, ti servirà solo una formula magica e per spezzare
le catene che mi legano, è inutile che cerchi lime o coltelli, ma solo un
raggio di luce. Se tu non riuscirai a salvarmi, io rimarrò prigioniera
per sempre.” Mauro decide di cercare queste tre cose. Tre è immagine
della Trinità, “Jung sostiene che il tre è generalmente connesso con il
flusso del movimento e perciò con il tempo, perché non c'è tempo
senza movimento.”160
Così Mauro che ha paura dei serpenti, va nella foresta per cercare il
serpente verde e lo trova che dondola dolcemente da un ramo
dell'albero della vita.. Questa volta il serpente compare nella sua
accezione positiva, associato appunto all'albero della vita e segue
Mauro quando il bambino lo prega di aiutarlo a salvare la bambina
prigioniera. Tutti hanno paura di loro e così i due si rifugiano in un
159 Bettelheim B., op. cit., p.218.
160 Von Franz M., op.cit.,p.81.
87
giardino dimenticato. Dopo la foresta ecco l'hortus conclusus, il
giardino medievale in cui avvenivano le Annunciazioni e le visioni dei
Santi. Qui sopra una pietra antica, Mauro legge un'iscrizione molto
antica, che si riusciva a malapena a leggere: “Se per fare due ci vuole
uno, per fare uno ci vuole due.” Mauro capisce che è una formula
magica e la impara a memoria anche se non riesce a capirla. Il raggio
di luce scende dal cielo in una notte di luna e si posa tra le sue mani.
Come il Principe della bella Addormentata era il solo che avrebbe
potuto
svegliarla
così
per
Mauro
le
tre
cose
compaiono
miracolosamente evocate dalla sua sofferenza e dal desiderio di
salvare la bambina. Come la vegetazione del castello si apriva al
passaggio del Principe, così il serpente morde il cane che era davanti
alla gabbia; allora Mauro recita la formula magica e la porta si apre da
sola; non rimane che estrarre il raggio di luce”Fu come se
all'improvviso tutto il sole, tutto il fuoco del mondo fossero entrati
nella caverna e le catene si sciolsero liberando una bambina molto
bella che finalmente poteva vivere.” La luna, che ha dato il raggio di
luce è simbolo del principio femminile, “indica un atteggiamento
femminile verso il mondo interiore ed esteriore, fatto di accettazione e
ricettività dinanzi a ciò che accade.” 161 Mauro acquisisce questa
capacità ricettiva e così riesce a salvare la bambina integrando con lei
i diversi aspetti della personalità. Il sole che entra nella caverna
“rappresenta un fattore psichico attivo che può creare consapevolezza
maggiore”.162 I due bambini si rispecchiano, come la Luna è collegata
al Sole, mentre il fuoco rappresenta la trasformazione. La fine della
161
Ibidem, p.139.
p.172.
162 Ibidem,
88
storia rappresenta i due bambini abbracciati “così stretti, così stretti,
che sembravano proprio diventati una cosa sola”, indicando sia la
spiegazione della formula magica, sia le due parti, maschile e
femminile, per giungere ad una identità completa e quindi alla
possibilità di un incontro, della nascita di una coppia e del
raggiungimento del Sé.
La ragazza coi capelli biondi ha per protagonista una bambina con
lunghi, fini e meravigliosi capelli biondi, di cui è molto fiera e che
adorna con mollette, forcine, fiocchi e nastri, facendo di tutto perché
vengano notati.
Una sera la mamma le raccontò una storia che parlava di una ragazza,
Sandra, che viveva vicino al polo nord ed aveva lunghissimi, fini,
meravigliosi capelli biondi, “che la coprivano come un caldo mantello
di seta.” Una sera la fanciulla stava affacciata al balcone guardando la
luna e sognando di quando si sarebbe innamorata. Passò sotto la sua
finestra un bel giovane che la guardò a lungo e poi le chiese di
sposarlo. Aggiunse anche che abitava in un paese lontano, “tiepido e
dolce”, con una casa in mezzo ad un giardino di erbe e fiori di cui lei
sarebbe stata il più bel fiore, oltre a diventare la regina del suo cuore.
Alla domanda della ragazza sul perché del suo amore, il giovane
rispose che era per i suoi capelli, dicendo:”Voglio intrecciare ai tuoi
capelli tutte le mie speranze e voglio potermi svegliare ogni giorno
inondandomi della loro luce.” La fanciulla rispose di tornare la prima
notte di luna piena per avere la risposta e il giovane se ne andò
cantando. Nel pensiero simbolico i capelli sono collegati all'erba,
89
capigliatura della terra e quindi alla vegetazione, come mostra
l'associazione mentale del giovane. Inoltre tradizionalmente i capelli
sono un'arma di seduzione, come ha già compreso la bambina a cui la
madre racconta la storia.
La storia continua con il passaggio di un altro ragazzo che chiese alla
ragazza di sposarlo. Disse di essere un marinaio e aggiunse: “Sulla
mia barca si sente il mormorio delle onde e il grande silenzio del cielo.
Le mie compagne sono le stelle. Tu sarai la regina della nave e la
stella più luminosa del mio cammino.” Alla domanda sulla ragione del
suo amore, il ragazzo rispose: “Per i tuoi capelli. Il loro chiarore
sconfigge il buio di qualsiasi notte. Voglio accarezzarli e vederli
splendere come la più bella bandiera della mia nave.” Anche a lui la
ragazza promise la risposta per la prima notte di luna piena e il
ragazzo se ne andò danzando.
Quando apparve la luna piena i due ragazzi si presentarono insieme
all'appuntamento con Sandra e lei apparve sul balcone, tagliò i capelli
e li gettò dal balcone dicendo: “Ecco, se sono i capelli che di me
amate, veli dono volentieri”. E se ne andò in casa. In una versione di
Cenerentola riportata da Bettelheim, la fanciulla si nasconde nella
piccionaia e sull'albero “perché il principe la veda e l'accetti nella sua
identità negativa di Cenerentola prima di assumere la propria identità
positiva come sposa, perché ogni vera identità ha i suoi aspetti
negativi oltre a quelli positivi.” 163
Questo può essere il motivo del comportamento di Sandra, insieme al
desiderio di essere amata per la sua bellezza interiore, come per il
163 Bettelheim B., op.cit., p.264.
90
Mostro della bella e la Bestia o Il Principe Ranocchio.
Inoltre il taglio dei capelli è simbolo di sacrificio e di trasformazione;
infatti Sandra si affaccia di nuovo al balcone “coi suoi quattro peli
sulla testa e il cuore gonfio di dolore.” Passò di lì un nuovo ragazzo,
che si mise a suonare la chitarra, cantando una canzone in una lingua
che la ragazza non conosceva, “ma il suono era così dolce che lei
ascoltava incantata.”
Anche questo giovane chiese a Sandra di sposarlo, ma aggiunse: “io
non ho terra, né case, ma molti sogni nella testa e folli progetti. Vorrei
vivere con te una vita di avventura e libertà.” Alla fatidica domanda
sulla ragione del suo amore il ragazzo rispose: “Non lo so, forse un
giorno fra molto tempo saprò dirti tutti i perché. Adesso so solo che,
quando ci siamo guardati una scintilla si è accesa dentro di noi e una
freccia ha inchiodato il mio cuore al pensiero di te.” La fanciulla non
lo lasciò neanche terminare e si buttò nella sue braccia.
Così finisce la storia di Sandra e la bambina domanda alla mamma:
“E' finita la storia?” Al sì della mamma domanda ancora: “Ma poi i
capelli le sono ricresciuti?” Alla risposta positiva della mamma la
bambina sbadiglia e si addormenta. Forse è legata così strettamente
all'identità fisica, rappresentata dai capelli, da temere di perderla, ma
la mamma sembra saperlo e sicuramente l'aiuterà a crescere e ad
acquisire consapevolezza.
Lalla e il topolino racconta la storia di Lalla, che viveva con la sua
famiglia in una casette di campagna e andava sempre a raccogliere le
verdure nell'orto. Una volta, mentre era andata a prendere dei rapanelli
91
vede tra le piante di cavolo un topolino che la guardava. Lalla
comincia ad urlare: “Mamma, un topo che schifo! Ho visto un topo!”
Così la mamma va nell'orto con la scopa, ma il topolino è sparito. “In
Grecia topi e ratti appartengono al dio solare Apollo nella sua fase
boreale e invernale, simboleggiano il lato oscuro del principio
solare.(...) Nel linguaggio psicologico significa che essi rappresentano
molto spesso la personalità inconscia di un essere umano.” 164
Quando il giorno dopo Lalla va a cogliere l'insalata sente una vocina
che diceva: “Ti prego, non scappare, Lalla” e poi aggiunge mentre la
bambina lo sta guardando: “Ti prego non avere paura di me. I topolini
non fanno male a nessuno. Guardami bene.” Lalla lo osserva in
silenzio, poi va in casa con l'insalata senza dire niente alla mamma.
La mattina dopo Lalla è impaziente di rivedere il topolino, che è lì che
l'aspetta mentre lei raccoglie i pomodori. Per la verità “aveva l'aspetto
morbido e gentile” e le chiede: “ Perché non mi parli? Perché scappi
quando mi vedi?”
La bambina risponde: “ I topi fanno schifo, sono sporchi, morsicano e
fanno venire le malattie.” Qui ovviamente ci si riferisce alla paura dei
topi come animali del sottosuolo, che mordicchiano, si muovono
furtivamente e simboleggiano il lato oscuro della psiche umana. Per
Freud erano legati anche alle fantasie sessuali. 165 Il topolino sembra
conoscere bene tutto questo perché replica: “Anche gli altri animali,
anche gli esseri umani qualche volta fanno schifo, sono sporchi,
morsicano e fanno venire le malattie. Ma non sempre e non tutti. E
così è anche per i topi. Io per esempio sono topo pulito, di buon
164 Von Franz M., op.cit., p.79.
165 Ibidem, p.80.
92
carattere e non capisco come posso fare schifo.” Così da a Lalla una
bella lezione di autostima, aggiungendo alla sua osservazione sul fatto
che la mamma ha paura dei topi e li scaccia con la scopa, “Peggio per
lei....” e misteriosamente scompare.
Lalla e il topolino incominciano ad incontrarsi ogni giorno nell'orto e
diventano amici. Si scambiano anche dei doni: formaggio in cambio di
libri. Qui l'associazione ironica è sul topo di biblioteca.
Passano gli anni e quando Lalla è diventata una bella ragazza il
topolino le chiede di sposarla, ma lei si mette a ridere dicendo: “Ma tu
sei un topo e io una ragazza, come vuoi che ci sposiamo, non è
possibile.” Lo accarezza, per addolcire il suo rifiuto, ma il topolino
piange e fugge via. La ragazza lo insegue, ma il topolino correva
velocissimo, fino ad arrivare ad un precipizio per buttarsi giù. Torna
il riferimento all'inconscio perché il burrone era così profondo che non
se ne vedeva la fine.
Lalla piange pensando che il topolino sia morto e torna a casa.
Ma non le interessa più niente, né l'orto, né gli amici e nemmeno i
libri che le aveva regalato il topolino. Così va fino al precipizio e si
butta giù sperando “con tutte, ma proprio con tutte le sue forze di
rivedere il topolino”. Dopo essere precipitata a lungo, senza sapere
dove, si trovò “adagiata su cuscini bianche di morbida seta nella sala
di un palazzo sfolgorante di luce. Confermando di essere “il lato
oscuro del principio solare”, il topolino è diventato un meraviglioso
principe dai dolcissimi occhi verdi. E' stato l'amore di Lalla ha vincere
il sortilegio di una strega cattiva e ora lei e il principe possono
sposarsi e vivere felici e contenti. Entrambi hanno raggiunto al propria
93
individuazione e quindi si sono anche completati unendo maschile e
femminile. Questo tipo di fiaba “quello che narra d'una donna che
libera un innamorato che ha l'aspetto d'un animale” 166 esiste da
duemila anni,, come illustra M. Von Franz, è stato inserito da Apuleio
nell'Asino d'oro attraverso la favola di Amore e Psiche, dai fratelli
Grimm in innumerevoli occasioni, come nella fiaba dell'Asinello, ma
l'esempio più noto è La Bella e la Bestia. Bettelheim ha dedicato un
intero capitolo alle fiabe sullo sposo-animale167 nel suo libro Il mondo
incantato, sostenendo che “il messaggio di queste storie è che
dobbiamo rinunciare agli atteggiamenti infantili e assumerne altri,
maturi, se vogliamo stabilire quel rapporto di intimità con un'altra
persona che promette felicità duratura per entrambi.”168
Silvia e il cavallo bianco parla di una bambina che abitava in una città
che non le piaceva per niente perché “c'era un gran disordine e la
gente andava sempre di corsa”. Silvia è comunque affezionata alla sua
città, anche se spesso si cercava un angolino dove poter inseguire i
suoi sogni ad occhi aperti. Il sogno le arrivava “come un cavallo
bianco, al galoppo e all'improvviso”. Il cavallo rappresenta secondo la
Von Franz “ la libido pulsionale”169; la bambina lo abbracciava come
si abbraccia un vecchi amico, saliva in groppa e “lasciava che fosse lui
a portarla nel mondo dei suoi sogni”. Le cose che faceva erano molto
importanti come combattere contro le ingiustizie e liberare i
166 Ibidem, p.3.
167 Bettelheim B., op.cit.. Il capitolo si intitola Il ciclo fiabesco dello sposo-animale , da p.266 a
p.297.
168 Ibidem, p.267.
169 Von Franz M., op.cit., p.138.
94
prigionieri di tutte le prigioni, ma anche piacevoli come nuotare fra i
coralli ascoltare l'eco delle conchiglie e musiche meravigliose. Gli
altri bambini non volevano giocare con lei e la prendevano in giro
dicendo: “Silvia va a cavallo!”
Ma un giorno il cavallo bianco arrivò davvero in città e aspettò Silvia
davanti alla scuola per portarla verso le loro straordinarie avventura.
Le disse anche: “La differenza col sogno è che questa volta non ci
metteremo pochi minuti, ma tanto tempo, chi lo sa quanto. E
attraverseremo pericoli e spaventi.” La bambina vuole essere
rassicurata sul fatto che saremo insieme e faranno le cose dei sogni
come liberare i prigionieri e suonare il violino, coltivare piante e
guardare le stelle. Il cavallo acconsente e alla domanda “E arriverà il
nostro mondo?”, risponde: “Arriverà”.
La fiaba si conclude con l'immagine della bambina e del cavallo
bianco “che correvano verso il loro mondo dei sogni che diventava
vero.”
Silvia ha accettato le sue parti più istintive, che la rendono diversa e
migliore dai suoi coetanei, non si accontenta più di sognare ed è in
grado di tradurre in azioni le sue fantasie. Questa fiaba è un esempio
molto chiaro dell'osservazione della Von Franz per cui “tutte le fiabe
ruotano intorno a un unico, identico contenuto, il Sé”. 170
La principessa più forte del mondo sembra parlare di quelle bambine a
cui si riferiva la Belotti, che sono state incoraggiate ad essere forti, ad
arrampicarsi sugli alberi e a combattere. Flavia era una giovane
170 Ibidem, p.188.
95
principessa, ma i suoi genitori non l'avevano incoraggiata in queste
sue caratteristiche e non erano contenti, anzi le borbottavano: “Figlia
cara, uomo dovevi nascere tu! Chi mai vorrà prenderti in moglie? Tu
fai paura, non tenerezza e i giovanotti hanno paura di lasciarci la pelle
in un matrimonio con te!” Sembra che abbiano dipinto il ritratto di una
donna dominata dall'Animus, come direbbe la Von Franz171 e infatti
Flavia rispondeva spavalda: “Se hanno paura che se ne stiano a casa
dalla loro mammina! Come posso sposare un uomo che ha paura di
me? Io sposerò solo chi riuscirà a farmi scendere dal mio cavallo e
non me ne importa niente che sia un principe o un contadino, un
guerriero o un poeta.”
Intanto le sue amiche si sposavano e lei no perché tutti i cavalieri che
si presentavano al castello venivano regolarmente disarcionati durante
la sfida a cavallo. Le amiche sembrano rappresentare quel femminile
compiacente e un po' ipocrita denunciato da tutta la letteratura
femminista, perché la consigliano così: “Flavia, perché non fai a finta,
solo a finta di essere un po' più debole? Che cosa te ne importa dopo
tutto?” Sembrano le cose scritte sui blog che denuncia Loredana
Lipperini nel suo libro Ancora dalla parte delle bambine. 172Flavia
difende la sua identità e risponde: “Mi vergognerei per me e anche per
la persona che dovrei imbrogliare.” L'idea di coppia di Flavia si basa
sull'idea di stare insieme tra pari, come persone e non in un rapporto
sbilanciato. Le amiche continuano nel suggerire luoghi comuni ed
aggiungono: “rimarrai sola e la solitudine non è bella.” Qui Flavia
ripete tra sé: “La solitudine...la solitudine..”, non si sa se pensando ai
171 Per la definizione di Animus vedi la nota n.24 che si riferisce alla prima fiaba.
172 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007.
96
suoi limiti o ironizzando sulle parole delle amiche. Intanto continua a
galoppare a cavallo, a correre sui prati, a nuotare nei torrenti, a tirare
con l'arco e “a starsene ore e ore sotto un albero con lo sguardo
perso.” La Von Franz così descrive l'Animus: “L'Animus può da un
lato paralizzare, dall'altro rendere più aggressivi. Le donne diventano
maschili o dominatrici, tendono a distrarsi, quasi non fossero del tutto
presenti a se stesse.”173
Un giorno si presenta un nuovo cavaliere, il principe di Agadir, che
vuole sfidare la principessa, ha un cavallo bianco come quello di
Flavia e combatte valorosamente, ma a vincere è ancora lei.
Poi si presentano un giornalista di Roma, un capitano bretone e un
chitarrista cileno, senza che cambi il risultato della sfida. Ormai
nessuno pensa più a sposare Flavia e neanche lei pensa più al
matrimonio, passano così molti anni.
Poi si presenta un nuovo cavaliere, bruno, bello, grande e con un
cavallo nero; ha il viso pallido ed un sorriso gentile. L'autrice descrive
deliziosamente il giorno del duello, con la piazza imbandierata, la
musica e i gelati. Con grande sorpresa di tutti, il cavaliere si presenta
senza armatura, vestito di una tunica bianca “con un sole e una luna
ricamati all'altezza del cuore; nelle mani non stringeva alcuna arma,
ma un ramo di fiori di lillà.” Il bianco è il colore dell'albedo che in
questo caso sembra rappresentare un atteggiamento ricettivo verso
l'inconscio174, mentre il sole e la luna insieme sembrano significare
l'unione dei due principi maschile e femminile; il fiore sembra
173Von Franz M., op.cit., p.159.
174 Ibidem, p. 144.
97
simboleggiare il sentimento175.
La folla urla al cavaliere di armarsi mentre Flavia sta al suo posto
con la visiera calata. Qui l'autrice sembra alludere anche al mostrarsi
senza difese, alludendo forse al fatto che il comportamento di Flavia
sia anche, oltre a un dato di carattere, un modo di difendersi dalla
propria femminilità e dalle parti più fragili, più profonde. Infatti il
cavaliere riesce a guardare Flavia negli occhi, mentre lei sta per tirare
un fendente e le sorride. La spada cade dalle mani della principessa e
il cavaliere le circonda il collo con il ramo di lillà. Così anche Flavia
toglie l'armatura e rimane con il solito vestito bianco. I due si
prendono per mano e vanno verso il re e la regina, che li attendevano a
bocca aperta. La fiaba finisce con il riconoscimento della similarità
del cavaliere e di Flavia, che ha scoperto attraverso di lui le parti che
non conosceva della sua personalità. Così può esclamare: “Ecco
l'uomo che non ha paura di me e non ha bisogno di farmi paura; io non
so chi sia; ma lui sarà il mio sposo.”
Il gabbiano e la colomba parla del perché i gabbiani, da uccelli che
vivevano sulla terra come tutti gli altri, sono passati a vivere tra cielo e
mare “e sembra che, giocando, vogliono unirli.”
L'autrice dice che la storia le è stata raccontata quando era piccola
come i suoi lettori.
Dunque, quando i gabbiani vivevano sulla terra ed avevano il loro
nido sugli alberi, il gabbiano Francesco fece un sogno in cui c'era una
175 Ibidem, p.151.
98
colomba bianca in mezzo al mare che gli sorrideva e lo invitava a
raggiungerlo, poi si nascondeva per apparire di nuovo cinguettando.
Il gabbiano non ebbe più voglia di vivere nel bosco e disse che
sarebbe andato per mare in cerca della colomba. Il mare generalmente
è simbolo dell'inconscio, assomiglia all'anima dell'essere vivente in
quanto non ha posa, è irrequieta, non ha principio e non ha fine. La
colomba rappresenta nella tradizione cristiana lo Spirito Santo e nelle
fiabe la donna che ama176; è l'uccello di Venere e nell'alchimia
raffigura l'albedo.177
La quaglia, il gufo sconsigliarono a Francesco di partire e il pettirosso
e il falco negarono addirittura l'esistenza della colomba.
Ma Francesco partì ugualmente, attraversò il bosco, una lunga pianura
e alla fine arrivò al mare. Rimase intimidito alla vista del mare, ma poi
cominciò a volarci sopra e gli venne fame. Lì non c'erano insetti da
mangiare, ma dalle onde spuntò un delfino che lo chiamò: “Ehi,
uccellino! Vieni a prendere i pesci. Sono buoni da mangiare e avrai
fame...Ti vedo volare da tanto tempo!”
Il gabbiano obiettò che non sapeva nuotare e il delfino si offrì di
insegnargli a prendere i pesci: “Quando vedi un pesciolino in cima
alle onde, ti butti in picchiata, tuffi solo il becco nell'acqua e lo prendi.
Prova.”
Dopo aver esitato per la paura, il gabbiano, vinto dalla fame, si buttò e
riuscì a conquistare la sua cena; allora chiese al delfino se sapeva dove
era la colomba bianca, “la più bella, quella dei sogni.” Ma il delfino
non l'aveva mai vista, però gliene aveva parlato la balena, che l'aveva
176 Ibidem, p.38.
177 Ibidem, p.146.
99
incontrata nel mare del Nord.
Così Francesco andò verso il Nord e volò a lungo, fino a non farcela
più. Allora “reclinò il capino sulla spalla e si lasciò andare sulle onde
rassegnato a morire.” Ma proprio in quel momento vide la vela di un
bastimento e cela fece a raggiungerlo.
Era una nave di pirati che gli dettero da mangiare e da bere e gli
fecero un nido caldo dove riposare. Francesco non usò il nido, ma si
arrampicò in cima all'albero del bastimento per scrutare l'orizzonte in
cerca della sua colomba. Stava sempre lì, anche se ogni tanto faceva
un giretto per pescare dei pesci.
Una notte scoppiò una bufera spaventosa e una tromba d'aria inghiottì
la nave. Francesco si sentì travolgere dalle onde e poi riuscì a
riemergere, ma la nave era sparita. Volò disperato al buio, alla sua
ricerca “finché apparve l'alba e una luce bellissima nel cielo sereno.”
Il gabbiano vide una zattera con sopra un uomo e quando fu vicino
riconobbe uno dei pirati che lo avevano aiutato. Allora lo aiutò a
procurarsi il cibo, pescando i pesci con il suo becco.
Poi una mattina apparve l'arcobaleno e poi la terra. L'arcobaleno è
proprio il ponte di comunicazione tra cielo e terra, come il gabbiano
della storia lo è tra cielo e mare.
Dopo aver approdato,infatti, il pirata salutò Francesco e lui riprese il
suo volo cercando la colomba. Quando stava domandandosi se
esisteva davvero, la colomba apparve, candida e volteggiante, che
spariva e riappariva nel cielo. Francesco la inseguì e quando
finalmente si incontrarono “si dice che il loro fu un grande amore
felice.”
100
Il gabbiano non tornò più sulla terra perché si era abituato a dormire
sull'albero delle navi e a cibarsi dei pesci, tra le onde, a stare sospeso
tra cielo e mare. Qui l'incontro tra maschile e femminile è inconsueto,
ma ugualmente poetico e misterioso.
L'elefante Tombolino e la lucciola Estrella erano innamorati, ma gli
altri animali non accettavano il loro amore, anzi ne ridevano e la zebra
e l'ippopotamo ne erano addirittura offesi. La loro convinzione era che
ci si dovesse innamorare di un proprio simile, come prescriveva la
legge. Invece l'elefante e la lucciola capivano che “l'amore è una cosa
strana che non puoi mica sapere con chi ti prende. E soprattutto che le
leggi non c'entrano per niente in queste cose.” Quindi la storia parla di
una sorta di diversità, di amore contrastato.
Infatti gli animali obbligarono Tombolino a guidare una spedizione di
elefanti contro le pantere e Estrella a trasferirsi nella parte più buia
della foresta per illuminarla. Tombolino combatté a lungo e
coraggiosamente, soprattutto fece un duello terribile con una pantera,
che lo mordeva e lo graffiava. Era rassegnato a farsi uccidere quando
ricordò la vita nella giungla e la sua lucciola. Il desiderio di rivederla e
la speranza che si sarebbero incontrati di nuovo lo indusse ad alzare la
zampa e a colpire la pantera che ormai lo considerava moribondo.
Così la guerra contro le pantere finì e Tombolino andò a cercare
Estrella.
Intanto la lucciola era intenta ad illuminare la jungla, anche se avrebbe
voluto lasciare tutti al buio ed andare in cerca di Tombolino. Il senso
101
di responsabilità è il sentimento che accomuna i due innamorati.
Ma una notte piombò su Estrella un enorme pipistrello che la circondò
e la chiuse tra le sue ali dicendo: “Basta con questa maledetta luce!
Devi piantarla lucciola del cavolo! Da quando sei arrivata tu le
formiche, le api, le vespe, i ragni e i moscerini e insomma tutti quelli
che io prima mi mangiavo allegramente riescono a vedere quando
arrivo e non si fanno prendere più. Adesso ti mangerò e vedrai che i
tuoi amici, che tu così gentilmente illuminavi, non muoveranno una
zampa per aiutarti!”
La lucciola si spense dalla pura, ma tutti gli insetti aiutarono Estrella a
liberarsi dal pipistrello e la festeggiarono su una grande ninfea
galleggiante sul fiume perché si erano resi conto che era molto
importante per loro.
Ma Estrella non partecipava ai festeggiamenti perché sentiva la
mancanza di Tombolino e sapeva che non poteva rivederlo,
mormorava: “ Ci hanno separati perché la gente non capisce che
l'amore non c'entra con la grandezza, l'età, il paese, o il colore.
L'amore arriva quando arriva.” Allora un'ape le chiese perché non
tornava da lui ed Estrella rispose che era andato a combattere contro le
pantere ed inoltre lei doveva continuare ad illuminare quella parte
della jungla. Allora all'ape venne un'idea: “Insegnaci a fare la luce e
poi vai a cercarlo.”
Estrella insegnò agli insetti a sfregare le ali o le zampette una contro
l'altra e “la notte in cui Estrella partì sembrò che la foresta ardesse in
un'enorme fiaccolata in suo onore.”
La storia termina con l'incontro dei due innamorati, l'accettazione da
102
parte di tutti gli animali di questo amore e la nascita di un “elefantino
volante con una lunga proboscide luminosa.”
E' una storia molto delicata, e poetica in cui i ruoli maschile e
femminile sono tradizionali e speculari, ma l'intensità del sentimento
riesce a convincere quelli che Estrella chiama la “gente”; quindi è
anche un invito a difendere le proprie convinzioni e speranze. Si
potrebbe anche dire che la luce di Estrella illumina non solo la jungla,
ma anche il cuore degli animali fino ad allora conformisti e egoisti.
Valeria partì per il mondo incantato ha per protagonista una bambina
che è bionda come un'ape e molto bella, anche se non lo sa. Anche lei,
come molti protagonisti delle fiabe di questa autrice, immagina un
mondo incantato che preferisce a quello reale. Così un giorno parte
alla ricerca di quel mondo. Il primo incontro è con “una signora molto
grande con degli occhi pieni di coraggio”.
Questa è una storia tutta al femminile in cui il viaggio è dentro se
stessi. Infatti la signora avverte Valeria: “Stai entrando nel mondo
incantato, dove l'ombra è più profonda e dove la luce è più limpida,
comincia all'inizio di quella foresta. Non ti dico di non andarci perché
so che è impossibile, ma voglio dirti che è pericoloso. Solo gli
sciocchi credono che nel mondo incantato tutto sia facile. Invece molti
da quel mondo non sono più tornati.”
Valeria chiese come erano quelli che tornavano e la signora le dice
che lei è tornata da quel mondo e poi aggiunge: “quando non avrai
più lacrime, cerca di ricordare il tuo nome e ripetilo tre volte.”
103
L'elemento maschile in questa fiaba è il numero tre, che rappresenta il
dinamismo dell'uno. Come abbiamo detto, M. Von Franz ricorda che
Jung “sostiene che il tre è generalmente connesso con il flusso del
movimento e perciò con il tempo, perché non c'è tempo senza
movimento.”178
Così Valeria visse a lungo nel mondo incantato, imparando a parlare
con gli animali e con le piante, conoscendo altri bambini con cui fare
magie buone per guarire. Lì le stelle scendevano dal cielo e si poteva
cavalcare la luna.
In genere le stelle sono associate all'anima, possono essere “germi
latenti e non definiti della coscienza”179 e in questo caso, dal momento
che scendono possono portare al riconoscimento della propria identità.
La luna che abbiamo visto come simbolo del principio femminile, qui
viene cavalcata, come ad unire maschile e femminile.
Erano proibite solo tre cose, ancora il numero tre: entrare nel punto
più oscuro del bosco, salire sulla cima della montagna bianca e tuffarsi
nel laghetto azzurro. La simbologia del bosco nelle fiabe è molto usata
perché il bosco è come un mondo a parte, dove la visibilità è limitata,
dove si può perdere la strada e incontrare animali selvaggi e pericoli
inattesi, perciò è simbolo dell'inconscio. Ancora la Von Franz
suggerisce una correlazione tra inconscio come natura selvaggia e
forma organica e il corpo invece come forma
inorganica,
rappresentato dalle sostanze minerali della terra. Quindi attraverso le
piante la materia inorganica diventa viva come la “vita del corpo nella
178 Ibidem, p.81.
179 Ibidem, p.139.
104
sua intima relazione con l'inconscio”.180La montagna come luogo
vicino ai cieli è spesso luogo della rivelazione; spesso “è la meta di
una lunga ricerca o il luogo di transizione verso l'eternità. Il motivo
della montagna denota dunque anche il Sé.”181Il questo caso è bianca,
colore dell'albedo, di cui abbiamo detto che è “caratteristico un
atteggiamento ricettivo verso l'inconscio.”182Anche il lago in quanto
elemento d'acqua indica un immergersi nell'inconscio, mentre il
genere l'azzurro è associato all'elemento spirituale.
Dunque Valeria pur sapendo che non doveva farlo entrò nell'ombra
più fitta della foresta; sentì un terribile tuono e si accorse che non
riusciva più a muovere le gambe. Il tuono in genere è associato alla
giustizia e al castigo, essendo l'attributo di Giove.
La bambina riuscì faticosamente ad uscire dal bosco e in un momento
di disperazione e di rabbia, decise di salire sulla montagna. “Con le
mani e coi gomiti strisciava verso la cima dicendo: “Voglio vedere
quello che si vede da lassù: se non posso più camminare voglio
almeno vedere.”
Arrivata sulla vetta fu colpita da “una luce così accecante accecante
che i suoi occhi si chiusero e non riuscì ad aprirli più.” La cecità
spesso è simbolo di una luce interiore e di una conoscenza interiore.
Valeria scese dalla montagna a tentoni, “urtando sassi e spine,
graffiandosi e cadendo, finché rotolando giù finì a precipitare proprio
nel lago azzurro. “
Sentì il piacere dell'acqua fresca sul corpo ferito e sugli occhi che
180 Ibidem, p.115.
181 Ibidem, p.116.
182 Ibidem, p.144.
105
bruciavano per le lacrime, ma quando uscì aveva perduto al memoria.
Non ricordava niente, né chi era, né il suo nome e pianse a lungo, fino
a non avere più forze ed a addormentarsi.
Allora sognò la signora con gli occhi pieni di coraggio che le diceva:
“Tu sei Valeria, un nome così bello, una così bella bambina. Coraggio
ripeti il tuo nome tre volte e la magia si compirà.”
Avevamo detto che il numero tre era simbolo del tempo e del
movimento e infatti dopo aver pronunciato per tre volte il suo nome,
la bambina si accorse che i suoi occhi si aprivano, le sue gambe si
muovevano e tornavano i ricordi. “L'ombra della foresta, la luce della
montagna e la profondità del lago erano intorno a lei. Valeria si
specchiò nell'acqua e vide che era diventata più grande e che anche i
suoi occhi erano pieni di coraggio. Era molto bella e adesso anche lei
lo sapeva.” Ora che ha raggiunto la consapevolezza di se stessa,
Valeria si rende conto che è difficile vivere nel mondo incantato, ma
sa anche che è il suo mondo e può tornare a casa, almeno per un po' di
tempo. Come nelle fiabe classiche si può tornare a casa, ma si è
cresciuti e diversi da come siamo partiti.
3.4 Modelli universali per bambine nuove
Le bambine di queste fiabe, come Alice, cercano un altrove in cui
fuggire e liberarsi; l'altrove può essere fisico o esistenziale, infatti si
alleano con animali, si trasformano in rondini, si librano a bordo di
106
aeroplani a pallini, rifiutano pretendenti banali, chiudono fuori i
genitori dal loro orizzonte, affrontano viaggi estremi alla ricerca della
loro identità, combattono in solitudine all'interno dei boschi che si
ergono davanti a sé. M. Von Franz parla del ritirarsi nella foresta
come “accettare coscientemente la propria solitudine e non cercare di
accettare artificialmente relazioni che non risolvono affatto il
problema. (...) Vivere nella foresta corrisponde, psicologicamente, a
immergersi nella più profonda interiorità del proprio essere per farne
la scoperta, liberi da ogni convenzione.”183 Aggiunge Emy Beseghi:
“Di fronte a un destino sociale duro e definito la bambina, non può
che stringere complicità segrete con tutto ciò che abita in zone
indeterminate. Come il bosco o la montagna simbolo di un altrove
rispetto ai territori su cui è tracciato il suo destino (casa, castello,
ecc.). Il bosco, ad esempio, non è un rifugio ma una zona d'esperienza
molto ricca, espressione di un'aspirazione primaria che precede
l'impatto con la legge il principe, il matrimonio, il castello. Un altro
motivo ricorrente è il senso di familiarità spontanea con lo sconosciuto
e con gli esseri non umani: di qui la facilità a trasformarsi in sirena,
ondina, ecc., quali percorsi immaginari più aderenti alla vita intesa
come apertura e non come immutabilità.”
184
Queste considerazioni
sulle fiabe sembrano comprendere anche quelle della nostra autrice,
che “possono essere considerate come percorsi di incubazione e
tentativi di tracciare la ricerca di una propria identità femminile.” 185
Questi personaggi dunque, a differenza di quelli delle fiabe classiche,
183 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, Boringhieri, Torino 1983, p.93.
184 Beseghi, E., Intorno ai silenzi sulle bambine, in Ombre rosa, (a cura di), Giunti e Lisciani
Editori, Teramo 1987, p.16.
185 Ibidem, p.18.
107
che M. Von Franz definisce “immagini di processi archetipici alle
quali manca un contesto umano, la vita reale, individuale e
concreta”186, hanno invece riferimenti alla quotidianità e alla
contemporaneità. Eppure, come gli eroi e le eroine di quelle fiabe,
“delineano una connessione archetipica tra l'Io e il Sé, che richiede poi
la realizzazione concreta nella vita di ogni persona.” 187 Le bambine
della Valcarenghi non hanno la “consolidata e nordica abitudine alla
libertà”, 188abitano le nostre città, hanno genitori distratti o apprensivi,
ma hanno la caratteristica di non accettare passivamente la loro
condizione, di voler superare le proprie paure e la dipendenza dagli
adulti, di non essere disposte a rinunciare ai propri sogni.
Elena
Gianini Belotti ci parla dell'inquietudine di una vita in cui ci si accorge
di ingiustizie contro la propria persona e si attribuiscono ad una
propria colpa: “perché io ero sbagliata, perché non accettavo le norme,
le regole, le esclusioni, le impossibilità, perché lottavo con rabbia
contro limiti, legami, doveri che non sentivo miei, mentre scoprivo via
via che non ero affatto importante per quello che ero, ma per quello
che sarei stata in grado di dare e di fare per gli altri. (...) In questa
altalena della mia identificazione tra l'uomo soggetto nell'avventura
della vita, cui accadeva di combattere e vincere contro la natura o
contro altri uomini perché lui stesso si era concesso questa vita e
questa avventura e si era dato leggi per sé e per gli altri, e la bambina
che era costretta a vivere da spettatrice la realtà maschile, stava la
ragione e la chiave della mia mancanza di identità.”189 Le fiabe a cui ci
186 Von Franz M., Il femmnile nella fiaba, op. cit., p.24.
187 Ibidem, p.27.
188 Lazzarato F., Il rosa e il nero,in Ombre rosa, op. cit., p.65.
189 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, Rizzoli, Milano 1980.
108
riferiamo contribuiscono a creare il senso di identità di cui parla Elena
Gianini
Belotti e forniscono una dose di autostima che rende le
bambine che le leggono più fiduciose verso il loro futuro. A queste
bambine sono richieste le leggi morali degli uomini: la lealtà, il
coraggio, la coerenza, la fedeltà alle scelte e alla idee, la serietà,
l'impegno, il rigore, il progetto, le idee, la costruzione. Virtù che non
erano contemplate per la bambina, che al contrario poteva fare tutto
quello che era concesso agli schiavi, come calcolare, mentire,
ingannare, sedurre, vendersi, prostituirsi, pregare, sorridere, piangere,
ricattare, implorare, fingere, tacere. Uno dei pregi delle fiabe della
Valcarenghi è che parlano anche di bambini che hanno virtù ritenute
femminili come la dolcezza, la tenerezza, l'empatia e maschi e
femmine sembrano camminare gli uni verso gli altri, non per abolire la
differenza, ma per scoprire le affinità e il reciproco bisogno, per un
vero dialogo. “Il vero dialogo si produce solo tra pari. Il resto è
finzione, difesa, menzogna”, ammonisce l’autrice di Dalla parte delle
bambine.
Per sottrarsi alla passività le donne del passato hanno reagito usando
varie strategie, dalle streghe alle piratesse alle avvelenatrici. Silvana
Bonura190 in un libro recente ha fatto un catalogo delle 101 donne più
malvagie della storia, cominciando da Lilith. Nell'intervista l'autrice
dice che “da sempre, e si parla almeno dai tempi della Bibbia, le
donne sono state descritte come figure angeliche o demoniache, senza
mezzi termini, in ogni caso come figure passive, vittime cioè della
propria natura, “gentile” o “debole”. Qui, in questo elenco nero ho
190 Bonura S., Le 101 donne più malvagie della storia, Newton Compton , Roma 2011.
109
voluto selezionare al contrario donne ingegnose, intriganti, spietate
che hanno agito consapevolmente, protagoniste, attive, con uno scopo
da perseguire, seppure malvagio.”191
Ma non c'è alternativa tra la passività e la devianza? In certi ambiti
sembra di no. Adriana Di Stefano e Carmen Migani parlano della
stregonerie di Pippi come di una seconda condizione, (la prima come
ricordiamo è essere orfane) sine qua non per accedere al mondo dei
fumetti. Loro la chiamano garanzia teratologica: “In base ad essa, alla
bambina sarà concessa la possibilità di vagare tra le vignette,
didascalie e balloons solo a patto che subisca visibilmente la propria
diversità; le sarà accordata una discreta libertà di movimento, una
definita identità, una decorosa quota di potere solo a condizione che
sgusci via attraverso la soglia di una riconoscibile devianza.” 192
Anche Antonio Faeti è abbastanza pessimista sulla situazione
dell'infanzia in generale, e scriveva nell' '87 “Proprio mentre si
dichiara che l'infanzia è scomparsa si è forse presi davvero dal senso
di vuoto, proprio determinato da questa assenza, e allora si è tesi a
colmarlo, questo spazio in cui si è determinata la sparizione con un
aumento incontrollato di presenze, di testimonianze, di allusioni. In
questo senso, allora, la ripetuta incessante, esibizione dei bambini
entro speciali recinti televisivi, resi come piccoli zoo domestici dove
l'animale in estinzione è offerto alla famelica percezione di chi non lo
distingue dalla foca monaca o dal falco pellegrino, può anche risultare
prossima ad un sedativo, usato per spegnere l'ansia data dal timore di
191 Mazzocchi S., Le 101 donne più malvagie della storia, Repubblica, 11 aprile 2011.
192 Di Stefano A., Migani E., op.cit., p.32.
110
vedere presto un mondo senza bambini.”193
Ora dovremmo aggiungere che sono ancora i bambini italiani a
diminuire, mentre aumentano quelli del nord-Africa e dell'Europa
orientale, che vorrebbero riempire le nostre scuole, se non fossero
respinti dalle nostre coste. Le osservazioni di Faeti, comunque, sono
ancora più valide proprio oggi: i programmi televisivi sono cambiati
in peggio, perché come ci viene confermato dall'accuratissima
indagine di Loredana Lipperini194, non esistono più nicchie protette
per l'infanzia, e i bambini “sono costretti a contentarsi” dei programmi
per adulti, ovviamente quelli più facilmente fruibili da un pubblico
non istruito e quindi programmi di serie B, privi di carattere narrativo
e di valenze culturali accettabili. I programmi citati da Faeti, quelli di
Enrica Bonaccorti e di Sandra Milo sono stati sostituiti da quelli di
Paolo Bonolis, Antonella Clerici e Gerry Scotti, ma le formule sono
immutabili e il bambino italiano agghindato come l'adulto di
riferimento, guardato con trepidazione dai familiari mentre si esibisce
in canzoni ed atteggiamenti non adatti alla sua età, trova il suo
palcoscenico nei programmi di intrattenimento, mentre i bambini
giapponesi, i piccoli rom e i nord-africani compaiono nei servizi dei
telegiornali, in una divisione schizoide sulla visione dell'infanzia.
Per fortuna ci sono prodotti culturali che riescono a sorprendere
positivamente, come ventate di aria fresca in uno spazio angusto e lo
stesso Faeti conclude il suo saggio parlando di Lavinia, la bambina
nata dalla fantasia di Bianca Pitzorno, “una bambina che si sa
193 Faeti A., Perduti nei vortici di pagina quattordici, in Ombre rosa, op.cit., p.72.
194 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007.
111
difendere molto bene dalle strettoie cupe del mondo di oggi.” 195
3.5 Le bambine di Bianca Pitzorno
Un’altra scrittrice che si attivamente dedicata alla letteratura per
l’infanzia, conservando un occhio di riguardo al genere femminile, è
Bianca Pitzorno.
La sua produzione letteraria è molto vasta ed eterogenea, dalla
collaborazione alla trasmissione televisiva L' Albero azzurro
alle
traduzioni di Silvia Plath , dalla consulenza editoriale, contribuendo
alla nascita della collana Gaia, ai romanzi storici e di formazione,
fino alla biografia di Giuni Russo196. Le eroine dei suoi romanzi
risultano così amate che molte bambine figlie delle sue lettrici
vengono battezzate con i loro nomi, come Prisca e Lavinia.
Emy Beseghi scrive di lei:”Bianca Pitzorno è forse l'unica, nel
panorama letterario italiano, ad aver eletto le bambine a esclusive
protagoniste dei suoi divertentissimi romanzi stabilendo un filo di
comunicazione intenso e solidale tra donna scrittrice, protagonista
bambina e lettrice, interlocutrice reale o immaginaria di un viaggio
fantastico verso inedite possibilità di espressione di sé. La differenza
sessuale e le prospettive di ermeneutica sessista stanno modificando
l'approccio ai diversi campi del sapere: la produzione di Bianca
Pitzorno apre un campo di riflessione veramente originale sulla
complessa vicenda della letteratura al femminile.(...)Il suo contributo
195 Faeti A., Perduti nei vortici di pagina quattordici,op.cit., p.84.
196 Giuni Russo, da un'estate al mare al Carmelo, Bompiani, Milano 2009.
112
si inserisce in una vera e propria mutazione nella letteratura per
l'infanzia dove spiccano ironia, anticonformismo e trasgressività
linguistica, e dove si è consumato un distacco dal filone istruttivo o
dal racconto ammonitore che alludeva al bambino come un futuro
adulto.”197
Pensiamo a Mo, protagonista di Extraterrestre alla pari198: per questo
personaggio B. Pitzorno dice di essersi ispirata al libro della Belotti
Dalla parte delle bambine; infatti proprio per far riflettere sulle
abitudini più ovvie e scontate rispetto all'educazione, l'autrice
immagina un ragazzino di nove anni, proveniente da un pianeta in cui
la differenza sessuale si manifesta solo all'età di venti anni ospite di
una famiglia molto convenzionale, che non concepisce di poter
allevare un individuo considerandolo semplicemente persona. Per
accontentarli Mo è costretto ad assumere i diversi ruoli, dando luogo a
momenti esilaranti e anche tragici.
Nel 1984 scrive il breve romanzo La casa sull'albero199, in cui “ il
mito iniziatico e adolescenziale della casa sull'albero, già proposto da
Calvino declinato al maschile, viene qui rappresentato attraverso un
autentico fuoco di artificio di invenzioni, una storia paradossale e
piena di humor che vede complici un adulto, guarda caso di nome
Bianca, e una bambina in vortice di avvenimenti comici.” 200 M. Von
Franz ricorda che” in religione comparata, l'albero e l'atto di
arrampicarvisi indicano l'avvicinamento al cielo, il salire sulla cima di
una montagna per conversare con gli Dei e gli spiriti celesti. (...)
197 Beseghi E., La cattedra di Peter, Comune di Campi Bisenzio, Li.Be.R., Campi Bisenzio,
1996, p.32.
198 Pitzorno B., Extraterrestre alla pari, La Sorgente Milano 1979.
199 Pitzorno B.,La casa sull'albero, Le Stelle, Milano 1984.
200 Beseghi E., op. cit., p.33.
113
Restare seduti su un albero significa regredire rispetto alla realtà e
rifugiarsi all'interno di ciò che è minaccioso, invece di evitarlo. Vi è il
pericolo di perdere ogni contatto con la realtà, e vi è il vantaggio che
dal contenuto minaccioso può sbocciare la rinascita. L'albero ha un
aspetto materno: in numerosi paesi si crede che i bambini nascano
dagli alberi. Così arrampicarsi su un albero e poi ridiscenderne
simboleggia il processo di rinascita spirituale.” 201
Nel 1985 esce per E. Elle di Trieste L'incredibile storia di Lavinia;
Bianca Pitzorno dice di averla scritta e illustrata da sola per Valentina,
che l'aveva fatta leggere ai propri amici, fino a che non era capitata
nelle mani della direttrice del Giornale dei genitori che l'aveva
pubblicata nel numero natalizio. Il libro racconta di una piccola
fiammiferaia di sette anni che sta per morire di freddo e di fame in una
Milano insensibile e snob; ma a bordo di un taxi arriva di
un'incredibile fata, che fuma disinvoltamente una sigaretta ed è vestita
da femme fatale. La fata le regala uno strano anello che può
trasformare qualsiasi cosa in cacca. All'inizio Lavinia è contrariata,
ma poi la sua fervida fantasia riuscirà a servirsi dell'arma letale per
rendere gli altri buoni, servizievoli e generosi. “La povera creatura
della storia di Andersen, prototipo della fanciulla infelice si prende
così le sue rivincite grazie a un'arma grottesca e paradossale che
simboleggia tutto ciò che i bambini devono evitare. L'orfana, in questo
modo, vendica non solo se stessa e tutte le tristi bambine che hanno
dovuto sopportare tremende vessazioni nei libri destinati all'infanzia
ma anche le piccole dame, tenute a dar esempio di buon
201 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., pp. 141-142.
114
comportamento e virtù.”202
L'autrice dedica la sua attenzione alla figura della strega, in modo
ironico in Streghetta mia203 e in A cavallo della scopa204 , mentre in
Ritratto di una strega205 usa il linguaggio dei processi secenteschi e si
avvale di materiali quali manoscritti, verbali e lettere dell'epoca per
raccontare la storia di Caterina di Vallebuja. Il libro, illustrato da Piero
Ventura è pubblicato dalla Mondadori nella sezione dedicata agli
adulti.
Nel frattempo Bianca Pitzorno aveva pubblicato, nel 1991 per la
collana Contemporanea della Mondoadori, Ascolta il mio cuore206, un
libro che è risultato terzo, dopo Il diario di Anna Frank e Il giornalino
di Gian Burrasca, in un'inchiesta del “Giornalino” della San Paolo sui
libri più importanti per i ragazzi. E' la storia, in parte autobiografica,
di un anno di scuola di una IV classe femminile negli anni Cinquanta
in una cittadina della Sardegna, durante il quale alcune bambine
capitanate da Prisca lottano contro le ingiustizie della maestra. La
scrittura quasi diaristica rende appassionante la lotta tra la maestra che
difende le bambine ricche e umilia quelle povere e le tre amiche che
riescono a superare la terribile prova, anche se la vittoria arriva lenta
come una tartaruga.
Nel 1992 può permettersi di pubblicare addirittura una parodia del
feuilletton, Polissena del Porcello207 storia della ricerca di una
bambina adottata dei suoi veri genitori, con tanto di “segnali di
202 Beseghi E., op.cit., p.33.
203 Pitzorno B., Streghetta mia, E.Elle, Trieste 1988.
204 Pitzorno B.,A cavallo della scopa, Mondadori , Milano 1999.
205 Pitzorno B.,Ritratto di una strega, Mondadori, Milano 1991.
206 Pitzorno B.,Ascolta il mio cuore, Mondadori, Milano 1991.
207 Pitzorno B.,Polissena del Porcello, Mondadori, Milano 1992.
115
riconoscimento” , mentre pubblica nel 1995 La bambola viva208,
romanzo meta- letterario in quanto si ispira al precedente La bambola
dell'Alchimista209: nel primo era la bambola ad animarsi, mentre nel
secondo sono due bambine a trattare come un giocattolo una neonata
che loro credono una bambola magica.
Tutti i temi trattati dalla letteratura per l'infanzia, come abbiamo visto
da questo breve excursus, sono stati rivisitati e risolti brillantemente
dalla Pitzorno in un'inesauribile vena di ironia e di resa dei conti a
nome delle bambine dei racconti precedenti, vessate, inermi e
perdenti. Ma Bianca Pitzorno non elude i temi attuali, come la
televisione: Speciale Violante210 del 1989 parla del rapporto tra una
bambine protagonista di una telenovela e delle sue ammiratrici e in
Tornatras211 (2000) la televisione incombe nella vita di Colomba,
annebbiando la mente di sua madre con le sue mirabolanti promesse di
denaro, successo e felicità, avventandosi sul dolore per carpirne le
smorfie e sulla felicità per incrinarla nella sua scompostezza. E' la
stessa televisione analizzata da TV Talk 212, che mette in evidenza i
vizi di voyeurismo di chi fa, usa e subisce i programmi di cronaca in
cui la realtà irrompe nelle case doppiando le caratteristiche peggiori
del paese.
Nel 2004 Bianca Pitzorno torna al romanzo storico con La bambinaia
208 Pitzorno B.,La bambola viva, Mondadori Milano 1995.
209 Pitzorno B., La bambola dell'Alchimista, Mondadori Milano 1988.
210 PitzornoB.,Speciale Violante, Mondadori, Milano 1989.
211 Pitzorno B.,Tornatras, Mondadori Milano 2000.
212 TV Talk è uno show-magazine sulla televisione di RAI Educational giunto alla decima
edizione e condotto da Massimo Bernardini. Un folto gruppo di giovani laureati e laureandi in
Comunicazione delle Università italiane analizzano in maniera critica i vari programmi
televisivi affiancati da esperti come Girorgio Simonelli, docente alla Università Cattolica di
Milano e Andrea Bellavita, esperto di linguaggi televisivi.
116
francese213 adatto a ragazzi ed adulti; collaboratrice dell'Unicef, nel
2006 scrive per il Saggiatore Le bambine dell'Avana non hanno paura
di nulla214in cui intreccia tre autobiografie di tre donne cubane vissute
nell'arco degli ultimi duecento anni.
213 Pitzorno B., La bambinaia francese, Mondadori, Milano 2004.
214 Pitzorno B.,Le bambine dell'Avana non hanno paura di nulla, Il Saggiatore, Milano 2004.
117
Capitolo quarto
L’educazione ai tempi delle Winx
4.1 Ancora dalla parte delle bambine?
In maniera molto significativa, Elena Gianini Belotti, scrive due
introduzioni a due libri scritti a distanza di circa trent'anni dal suo
libro, da due donne, Francesca Bellafronte e Loredana Lipperini che
analizzano l'universo femminile delle donne e delle bambine.
“Francesca Bellafronte, trent'anni fa, era una delle bambine il cui
breve percorso di vita stretto da norme stereotipi e pregiudizi ho
indagato in Dalla parte delle bambine. Trent'anni dopo tocca a lei
indagare il faticoso, torturato cammino compiuto dalle donne, gli
ostacoli che ancora lo ostruiscono, i cambiamenti intervenuti.”215 Così
Elena Belotti introduce lo studio della Bellafronte sull'identità di
genere di quelle bambine, cresciute guardando i cartoni giapponesi
degli anni Ottanta, della cui sorte era preoccupato Antonio Faeti. Lo
studio della Bellafronte fotografa l'immagine delle donne che sono
diventate, “attraverso gli indicatori della famiglia e del lavoro, ma
anche analizzando le sfere affettivo-sessuale, educativa e politica.(...)
Guardare alle donne di oggi, consente quasi di verificare quali
strategie riabilitative del sé siano riuscite a mettere in atto (ammesso
che ci siano riuscite) e soprattutto, con quali esiti.” 216 La seconda
Belotti E. Introduzione a Bellafronte F., Bambine (mal)educate.L'identità di genere trent'anni
dopo.Palomar, Bari 2003, p.10.
216 Bellafronte F:. op. cit.,p.16.
215
118
parte del libro invece è un'indagine sulle bambine di oggi, attraverso
una ricerca sociologica svolta su 109 soggetti di una scuola elementare
in provincia di Foggia.
Nella prima parte l'autrice nota che “la presenza crescente delle donne
sul mercato del lavoro avrebbe solo apparentemente scardinato lo
stereotipo legato alla sessualizzazione del lavoro, dal momento che le
occupazioni femminili riproducono quasi sempre le tradizionali
mansioni familiari.”217 Individua un elemento di contraddizione nel
fatto che se da un lato l'ingresso nel mondo del lavoro ha consentito
alle donne di vivere migliori condizioni sociali e familiari, dall'altro,
la condizione occupazionale è non solo inferiore a quella maschile, ma
è più fragile. Le cause sono sia negative, cioè relative ad uno scarso
valore attribuito alle capacità femminili di assumere determinate
competenze, sia (osiamo dire) positive, in quanto per le donne il
successo viene inteso in ambito non esclusivamente lavorativo, ma
implica una qualità della vita che comprende anche la vita affettiva,
emozionale e relazionale.
Per quanto riguarda l'esperienza amorosa e sessuale, l'autrice accosta
l'ideale romantico di Cenerentola, riproposto al cinema da Pretty
woman, con la sessualità proposta dalle femministe, vista come
“espressione di autoaffermazione, di valorizzazione della propria
soggettività femminile purché in una dimensione autentica, al di fuori
del
perbenismo
borghese.
(...)
Oggi
un
uomo
che
esalta
esageratamente la bellezza muliebre e malinconicamente d'amore
rasenta il ridicolo; la promessa dell'unione coniugale non fa più presa
217 Ibidem, p. 34.
119
nell'età in cui il sesso è libero e le donne sono sempre più spesso
indipendenti. I tradizionali protocolli della seduzione sono considerati
ipocriti, sessisti e la retorica sentimentale giudicata retrò.”218
I
cambiamenti riguardano anche la passività femminile, che era
considerata una caratteristica innata. “Aumentano i casi di
intraprendenza femminile nell'assumere l'iniziativa amorosa, nel
manifestare per prime il loro interesse attraverso vere e proprie
avance, soprattutto tra le più giovani. (...) Il cinema, la fiction, la
televisione con gli spot pubblicitari e le stesse riviste femminili, hanno
dato visibilità alle nuove attitudini femminili che rovesciano lo
schema tradizionale della seduzione.”219 Bellafronte conclude dicendo
che gli uomini sembrano aver imparato a ad esprimere meglio i loro
sentimenti, anche se sono le donne che “continuano a conservare un
legame privilegiato con l'amore, manifestando un interesse più
marcato per le questioni di cuore. (...) Anche se l'esistenza femminile
si costruisce sempre meno intorno all'ideale dell'amore nella famiglia,
preferendo spesso la convivenza al matrimonio, persiste la
sopravvalutazione femminile del sentimento amoroso, che tuttavia non
sembra esprimere, come nel passato, un bisogno di annullamento di sé
nell'altro, quanto piuttosto la ricerca di una valorizzazione individuale
e di intensificazione della vita soggettiva ed intersoggettiva.” 220
Passando all'educazione e all'istruzione, Bellafronte definisce la
creazione
di
stereotipi
come
generalizzazioni
acritiche
e
semplificazioni estreme che non tengono conto delle differenze
218
219
220
Ibidem, pp.79-80.
Ibidem, p.82.
Ibidem, p.84.
120
intersoggettive. “E' noto come lo stereotipo, pur alimentando il
pregiudizio,
svolga
un'importante
funzione
di
rassicurazione
psicologica. Il singolo e la collettività hanno bisogno di ordinare le
cose del mondo , di nominarle, di classificarle per stabilire gerarchie
di valore, schemi e norme di riferimento. Ogni cosa o persona deve
trovare collocazione all'interno di un universo di significati ordinato e
quindi stabile, tranquillizzante. (...) Lo stereotipo si radica nella
struttura stessa della comunicazione interpersonale, finendo col
condizionare le relazioni umane e quindi i processi di identità
personale e sociale. Il pregiudizio condiziona la conoscenza
interponendo una specie di filtro tra il soggetto e la realtà che orienta
la raccolta delle informazioni, tanto da rendere più immediatamente
percepibili proprio quelle che rafforzano e confermano la conoscenza
stereotipata.”221 Poiché ho già parlato dell'importanza dell'educazione
familiare nella reazione degli stereotipi, mi sembra importante
riportare una definizione che l'autrice deve a Vanna Iori 222, cioé
l'attribuzione a molte donne una sorta di “adultità mancata”.
Dalla seconda parte della ricerca risulta che “ le bambine erano e
continuano ad essere, nella stragrande maggioranza dei casi, educate
male in famiglia e a scuola, nel senso che le modalità con cui i
genitori e gli inesegnanti si rapportano loro risentono ancora di
pregiudizi sessisti.”223 Ma “sono proprio quelle rare bambine
insoddisfatte di appartenere al genere femminile, bambine straripanti
di energie, più indipendenti e capaci d' iniziativa, anticonformiste e
221
222
223
Ibidem, p p. 103-104.
Iori V., La maturità vietata, in Adultità, n.1, 1995, p.73.
Bellafronte F., op. cit., p.165.
121
fuori dalle regole, individuate socialmente come bambine maleducate
e giudicate un po' maschiacci, che ci consentono di sperare nella
costruzione di
precedenti
significativi,
capaci
di
modificare
progressivamente gli schemi e i modelli di un universo simbolico
sessista. “224
4.2 Dov’è finita Rosaconfetto?
Nella prefazione al libro di Loredana Lipperini, Ancora dalla parte
delle bambine225, intitolata significativamente Passaggio di testimone,
così scrive Elena Gianini Belotti: “Si ritorna con la massima
disinvoltura, come se non fosse stato detto niente in proposito, a
ridurre l'individuo di sesso femminile a un assemblaggio di pezzi di
carne privo di umanità, intelligenza, razionalità, dignità, volontà,
consentendogli l'unico obiettivo di piacere all'uomo e di conquistarsi
con ogni mezzo il principe azzurro, ribadendo una dipendenza
psicologica e affettiva dal maschile che cancella ogni progetto di vita
e conduce ad un insensato sperpero di se stesse. Un principe azzurro
che però non è più romantico, gentile e protettivo come un tempo
veniva poeticamente inventato e descritto, ma affamato di sesso, che
pretende e ottiene con maniere spicce per non dire brutali. La cronaca
è piena di storie di bambine di dodici anni preda e talvolta complici di
giovanissime belve senza scrupoli, sempre più spesso munite di
videotelefonini con cui le ritraggono in pose erotiche che subito
224 Ibidem, p.166.
225 Lipperini L., Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2007.
122
trasmettono ai compagni del branco.”226
“Le donne si affannano per dimostrarsi uguali all'uomo...E neanche
ora, dopo l'infelice risultato, balena in mente alle donne questo
sospetto:”Se si trattasse di somigliare a noi stesse? Se tutto fosse in
noi da creare, da estrarre alla luce?” Da qui bisognava partire e non si
seppe. La donna non è mai stata una vera e propria individualità: o si è
adattata a piacere all'uomo, non solo fisicamente ma anche
moralmente, senza ascoltare i comandi del suo organismo e della sua
psiche; o gli si è ribellata copiandolo, allontanandosi ancor più dalla
conquista del suo io.”
227
Dallo stile si capisce che sono parole di altri
tempi e infatti a parlare è Sibilla Aleramo, ma la sostanza non si
discosta molto dal testo del video di Lorella Zanardo Il corpo delle
donne228, che si domanda come mai le donne non appaiono mai con la
loro vera faccia rinunciando all'unicità e all'anima, nascondendo la
qualità della personalità per morire sconosciute a se stesse; termina
con questa affermazione:ӏ in gioco la sopravvivenza della nostra
identità” e con questi interrogativi:”perché non ci presentiamo nella
nostra verità? Di che cosa abbiamo paura? “ che somigliano molto alle
parole della Aleramo. Secondo Lea Melandri “ ciò che si teme di
perdere è un sogno d'interezza, l'onnipotente combinazione di
maschile e femminile”229. Sia nel documentario della Zanardo che nel
libro della Lipperini si nota che “le donne sono tornate a pigolare”, a
non parlare più come un adulto, mentre nella pubblicità le immagini
che vengono proposte sono quelle appetibili ai maschi per attrarre un
226 Ibidem, p.11.
227 Aleramo S., Diario di una donna, Feltrinelli, 1980, p.317.
228 E' un documentario di 25 minuti sull'uso del corpo della donna in TV, realizzato nel 2010
insieme a Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù.
229 Melandri L., Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, p.122.
123
pubblico femminile. Camille Paglia riprende in un articolo recente di
Repubblica un suo saggio su Penthouse in cui argomentava che
“attraverso star come Liz Taylor, percepiamo l'impatto rivoluzionario
per i destini del mondo di donne leggendarie come Dalila, Salomè ed
Elena di Troia. Il femminismo ha cercato di liquidare il modello della
femme fatale come una calunnia misogina, un trito cliché. Ma la
femme fatale esprime l'antico ed eterno controllo da parte delle donne
del regno della sessualità.” L'articolo continua prendendo in esame “il
classico look da inedia che ormai ci proiettano le star hollywoodiane:
una silhouette ossuta, anoressica, scolpita col pilates, lontana mille
miglia da quello che gran parte del mondo associa al concetto di
femminilità.”230 Non è d'accordo su questa ipotesi Federico Rampini,
che riporta, sempre su Repubblica, uno studio della School oh Human
Evolution and Social Change dell'Università dell'Arizona, dal titolo “I
canoni del corpo e il pregiudizio sui grassi in una prospettiva globale”,
in cui si dice che “gli Stati Uniti hanno importato nel mondo intero il
loro Frankestein-food: modelli di vita e di consumo che insieme al
cibo spazzatura hanno diffuso un'alimentazione iper-calorica e
patogena. E' esplosa la piaga dell'obesità di massa, che non è più un
male dei ricchi, ma nelle nazioni più sviluppate diventa una condanna
dei meno abbienti: quelli che non possono permettersi diete vegan,
palestre, e soggiorni nelle “cliniche della salute”. L'industria della
moda e dello spettacolo hanno contribuito a loro volta, con la
promozione di un'immagine femminile “dall'erotismo eternamente
adolescenziale”. Ed ecco dall'Occidente il nuovo paradigma dei valori
230 Paglia C., in Repubblica, 22 aprile 2011.
124
ha colonizzato velocemente il resto del mondo. (...) Sta cambiando
perfino il canone della bellezza in Africa, il continente che aveva
portato fino all'estremo l'adorazione artistica delle “veneri callipigie”,
con le mitiche statuette femminili dai fianchi larghissimi quali simboli
di fertilità.”231
Elena Gianini Belotti è d'accordo con la Lipperini sul fatto che “non è
sbagliato il sistema dei media in se stesso, compresa la rete Internet,
perché non inventa niente e i suoi contenuti non fanno che riflettere il
mondo reale, i simboli, le idee, i discorsi, i luoghi comuni, i pregiudizi
e gli stereotipi ben installati nella vita quotidiana delle persone.” 232
Infatti in particolare“la rete non fa che riflettere i discorsi e le
inclinazioni del mondo reale, quello dove le madri occhieggiano i figli
nei parchi pubblici, e si affollano all'uscita delle scuole o nei cortili dei
McDonald's quando ci sono le feste di compleanno, parlando delle
insegnanti, dei cibi, dei giochi.”233
Loredana Lipperini, partendo dal presupposto che per capire cosa sta
succedendo alle donne occorre vedere cosa è successo alle bambine
che sono state, nota che il ritorno ai generi è già presente dalla metà
degli anni novanta, nella produzione e nella diffusione dei giocattoli,
programmi televisivi, libri, film e cartoni. Scopre così che “il rilancio,
nel mondo adulto, di quella che è stata definita -e forse è- una nuova
guerra contro le donne trova riscontri meno visibili, ma non meno
forti, nell'immaginario che viene proposto all'infanzia. Che, insomma,
bisogna tornare a porsi, ancora una volta, dalla parte delle
231 Rampini F., in Repubblica, 1 aprile 2011.
232 Gianini Belotti E., prefazione a Ancora dalla parte delle bambine, op.cit., p.12.
233 Lipperini L., op.cit., p.23-24.
125
bambine.”234 Infatti “durante una decina di anni brillanti, immemori,
colorati tutto appare giusto e divertente”235: i cartoni giapponesi, le
riviste per preadolescenti che danno suggerimenti espliciti su problemi
sessuali, le foto di dive bambine con annessa la dieta per avere un
corpo simile al loro: caffè nero a colazione, una ciotolina di insalata a
pranzo, un uovo a cena. “Il culto di Ana, la dea dell'anoressia e del
rifiuto del proprio destino, è l'unico elemento che, di quando in
quando, traspare in superficie dal territorio delle nuove bambine: e,
spesso, con le motivazioni sbagliate. E' il brivido freddo alitato da un
mondo che sembra altresì del tutto innocuo e che risulta attraente
anche per le donne adulte. 236
4.3. Rosa e azzurro: due universi contrapposti
La Lipperini riporta il giudizio di una sessuologa sul fenomeno del
velinismo e delle giovani donne che puntavano esclusivamente
sull'aspetto fisico: “Queste ragazze sono figlie del femminismo. Oggi,
utilizzando anche quelle armi che una femminista avrebbe aborrito,
hanno dato vita a un modello di donna nuova. Che ha in sé molte
contraddizioni, ma è la premessa di una futura evoluzione.” 237 Lo
stesso Simonelli parlando a TV Talk del fenomeno delle vallette, dice
che ora si può parlare di “meta-valletta” perché il soggetto in
questione, consapevole del proprio ruolo, è in grado di ironizzare su di
234 Ibidem, p.23.
235 Ibidem, p.25.
236 Ivi.
237 Ibidem, p.28.
126
esso. Purtroppo però le immagini non sempre rispecchiano questa
lodevole convinzione. Secondo M. Von Franz “nella nostra civiltà
ebraico-cristiana, cioè in una tradizione rigidamente patriarcale,
l'immagine della donna non trova rappresentanza adeguata (...). E'
come dire che è trascurata l'Anima dell'uomo e la donna reale è incerta
sulla propria essenza, su ciò che è o che potrebbe essere. Così per la
donna si presentano due vie: o regredire al modello primitivo e
istintivo e aderirvi strettamente,
per proteggersi dalla pressione
esercitata su di lei dalla civiltà, oppure cadere in un atteggiamento di
Animus, identificarsi con esso totalmente e cercare di costruire
un'immagine maschile di se stessa, per compensare l'insicurezza che
sente dentro di sé sulla sua natura.238
L'indagine di Loredana Lipperini mette in luce che le ragazze studiano
di più, anche se si laureano in discipline definite “femminilizzate”
come Lettere, Lingue, Psicologia e Biologia, disertando Ingegneria,
Informatica e Fisica. Francesca Bellafronte parla di “pedagogia del
sapere femminile come ornamento”, per rendere la donna “più
gradevole, in grado di ascoltare e apprezzare i ragionamenti del sesso
forte.”239 E' interessante confrontare le parole di questa professoressa
con quelle di Sibilla Aleramo: “Gli uomini a cui parlo non sanno,
quando mi dicono con stupore leale che hanno l'impressione di
parlare con me da pari a pari, non sanno come echeggi penosa infondo
al mio spirito quella pur così lusinghiera dichiarazione, a quale
insolvibile dramma essa mi richiami. Per conquistare questa
necessaria stima dei miei fratelli, io ho dovuto adattare la mia
238 Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.10.
239 Ibidem, p.53.
127
intelligenza alla loro, con sforzo di decenni: capire l'uomo, imparare il
suo linguaggio, è stato allontanarmi da me stessa...In realtà io non mi
esprimo, non mi traduco neppure: rifletto la vostra rappresentazione
del mondo, aprioristicamente ammessa, poi compresa per virtù
d'analisi.”240
Seguendo alcuni studi di area anglo-americana, anche in Italia, a
partire dagli anni ’80, viene affrontata la problematica del
“trattamento discriminante tra i due sessi”. 241
Eppure parlare, oggi, di discriminazione di genere fra bambine e
bambini appare superato, le bambine ora possono arrampicarsi sugli
alberi, sporcarsi, “liberandosi di quella gonnellina a pieghe che le
costringeva a terra, obbligandole, come scriveva Simone De Beauvoir,
a guardare il mondo dal basso, senza mai poter provare l'ebbrezza di
osservarlo dalla cima dell'albero. Libere di lottare, mordere, aggredire,
saltare, correre, affermarsi.”242 La Belotti sottolinea che se per le
bambine, in questi ultimi anni, si è diventati più elastici è perché si
tollera che somiglino ai maschi perché si pensa che abbiano tutto da
guadagnarci. Al contrario “che al maschietto sia concesso di esprimere
anche le parti femminili di sé sembra una degradazione. E' proprio qui
che si misura il differente valore sociale attribuito ai due sessi. Molti
maschietti, a causa di questo apparente “ordine naturale delle cose”
sono costretti a rinunciare dolorosamente alla propria indole e ai
propri desideri più autentici. Considerati i brillanti risultati
dell'educazione alla virilità, mi sembra meglio imparare a esprimere i
240 Aleramo S., Andando e stando, Mondadori, Milano 1942., p.126.
241
Cfr Ulivieri S., (a cura di), Educazione al femminile, una storia da scoprire, Guerini scientifica,
Milano, 2007
242 Lipperini L., op.cit.,p.56.
128
propri sentimenti con le carezze piuttosto che con le botte. E ci si
dovrebbe chiedere se per caso non stiamo insegnando anche alle
bambine a esprimerli con le botte.” 243
Secondo la Lipperini tutto questo comunque è vero solo fino all'età
scolare, quando torna “il vecchi armamentario della seduzione
miniaturizzato, spesso senza esclusione di scritte allusive: occhiolini,
rivendicazione dello stato di bad girl, inviti al bacio.”244
Sempre parlando di anni ’80, una figura emblematica di immagine
distorta della femminilità ci viene mostrata da Puffetta, unica donna
del villaggio dei Puffi, in cui ogni personaggio maschile è
caratterizzato in modo specifico, (forzuto, goloso, saggio ecc…),
mentre la sua unica specificità è il genere femminile. La serie è stata
trasmessa da Italia 1 a partire dal 1982: dei Puffi esistevano 45 giri,
personaggi e la famosa Casa dei Puffi, realizzata da Giochi Preziosi.
Tutto deve essere inquadrato, come ricordavamo sopra, nel particolare
periodo storico, in cui “il declino dei valori collettivi e la vigorosa
ricerca del benessere materiale da parte di singoli nuclei familiari ha
portato a una ripresa del familismo e a un interesse più tenue per i
problemi della collettività.”245 R.D'Agostino sintetizza così il
cambiamento: “Si è chiuso il ciclo della politicizzazione, del
protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo
l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann. Di qui
complice la delusione sui risultati delle battaglie sociali e ideologiche,
243 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.121.
244 Ivi.
245 Ginsborg P., Storia D'Italia dal dopoguerra ad oggi, II Dal “miracolo economico” agli anni
'80, Einaudi, Torino 1989, p.557.
129
finite nell'assassinio di Aldo Moro, inizia un nuovo ciclo, quello della
felicità individuale, dell'affermazione personale. Mescolare le carte
dunque. Dal sinistrismo al narcisismo, dal Noi all'Io, dalla sommossa
delle Bierre alla mossa delle Pierre, da Lotta Continua al successo di
breve durata, dai furgoni cellulari al telefonino cellulare, dal
significato al significante, dalle fratte ai frattali, dal ciclostile al fax,
dalla rivolta a Travolta. (...) L'Edonismo reaganiano sbandiera la
“democrazia del frivolo”, sfacciatamente, portando con sé non solo
trash e flash, ma anche i bollori della creatività individuale e il
pluralismo, e riconcilia la tecnologia con il gioco, il potere politico
con la seduzione, il sesso con il piacere, il divertimento con la vita.” 246
Non a caso escono Il Manuale per le ragazzine che vogliono ottenere
successo, Il Libro di Barbie, del 1983 e Il Manuale di Barbie nel 1985
editi da Mondadori, Alla Scuola di successo secondo il categorico
imperativo che “l'immagine è tutto.” Per le teen-ager, termine che
sostituisce “ragazzine”, vengono pubblicate le riviste Dolly e Cioé.
Esaminando i giocattoli in commercio negli ultimi anni, Loredana
Lipperini osserva i blocchi pubblicitari inseriti nella programmazione
per ragazzi e nota che i maschi vengono rappresentati mentre giocano
con automobiline o action figures, mazzi di carte o giochi che tendono
a migliorare la cultura scientifica, mentre le bambine ballano di
felicità per le scarpe nuove, cullano bambolotti, anche se sempre più
tecnologici, o si rispecchiano nelle bambole tipo Barbie, Bratz o altre
creature provenienti dal mondo dei cartoni. Inoltre, “anche se non si
246 D’Agostino R.,La Stampa, 6/02/2011.
130
usano più i grembiulini, è ancora rosa il mondo delle bambine. Rosa la
loro Playstation, i loro telefonini, le copertine dei loro magazine, i
capelli delle Ninja dei cartoni animati, rosa i blog delle dodicenni,
rosa la letteratura usa e getta delle sorelle più grandi.”247
“Oggi nessuna madre ammetterà di porsi con atteggiamento diverso
di fronte al suo neonato, a seconda che sia maschio o femmina. Né
almeno nei primi mesi di vita, scoraggerà l'energia della bambina o la
tranquillità del bambino. Comincerà a farlo subito dopo, però: nello
stesso momento in cui le femmine verranno circondate da un
complesso e seduttivo mondo di abitini, di scarpette, di animaletti
antropomorfi che la inviteranno alla grazia e alla civetteria.” 248
L'autrice riporta un saggio della psicologa Francesca Romana Pegelli
che “spiega come lo sviluppo del concetto di genere avvenga per
essere precisi in tre fasi: fra i 9 e i 12 mesi i bambini individuano
come diversi i volti di uomini e donne; intorno ai 2 anni si
riconoscono come maschi o femmine, e a 3 attribuiscono a un genere
le persone che li circondano, anche attraverso abbigliamento o
pettinatura. A 4 sono pienamente consapevoli della propria
appartenenza. A 5 cercano informazioni sui ruoli in famiglia, a scuola,
con i coetanei: (...) durante la crescita acquisiscono sempre maggiori
conoscenze relative alla società in cui vivono, molte veicolate
attraverso i mass media.”249
Anche la Disney non divide i propri prodotti per genere fino alla
scuola: Winnie the Pooh va bene per maschi e femminucce, poi
247 Ibidem,
p.57.
Ibidem, p.105.
249 Ibidem, p.113.
248
131
subentrano la Disney Princesses (Biancaneve, Cenerentola, Jasmine,
Ariel, Mulan, Aurora) e Disney Faires (le Fatine) per le bambine e
Power Rangers per i maschietti. Fino al 1993 la Disney era stata
attentissima a proporre giornali e prodotto unisex, ma in quell'anno
nasce “Minnie & Company”, un mensile pensato inizialmente per le
bambine tra i 10 e i 12 anni; poi ha abbassato il target (6-9 anni) e dal
2001 si intitola “Minnie amica del cuore”. C'è anche il mensile
“Principesse”, che si rivolge a bambine fra i 4 e i 7 anni, contiene un
gadget in omaggio, brevi storie, molta pubblicità, test, bricolage e
oroscopo: tutto all'insegna di occuparsi della propria bellezza.
Esistono due versioni dello stesso gioco: Sapientino, per istruire i
bambini e Sapientina per imparare i nomi dei personaggi del mondo di
Barbie, o altre versioni in cui le schede sono ambientate in mondi di
bambole.
Non fanno eccezioni le pubblicazioni, le copertine dei libri per
bambine sono quasi sempre di colore rosa, o comunque fortemente
connotati, e persino accanto al topo investigatore Geronimo Stilton
(che per quanto sia un prodotto di non eccelsa qualità dovrebbe essere
“neutro”), ecco spuntare Tea Stilton, la sua versione femminile
dedicata alle piccole lettrici, una topolina alla moda, che occhieggia
dalle accattivanti copertine rosa e fucsia. I titoli? Tutto un programma:
Top model per un giorno, La strada del successo, Cinque amiche per
un musical, Sfida a ritmo di danza250, e così via.
Dai sei anni la differenziazione è netta: anche l'alfabeto si impara con
le Winx mentre Sbrodolina chiede di essere accudita da bambine
250
Tutti i libri di Tea Stilton sono pubblicati da Piemme
132
vestite come lei. Il sito dei Giochi Preziosi è rigorosamente
organizzato al maschile e al femminile, con i computer differenziati:
Accelerator quello per i maschietti e Princess Cleo per le bambine.
Loredana Lipperini analizza anche Barbie, comparsa per la prima
volta alla Fiera del giocattolo di New York nel 1959, chiedendosi
perché ad esempio, la maggior parte delle scrittrici esprime odio nei
suoi confronti: “Barbie è un ibrido, nasce da un incrocio fra le
bambole di carta con un guardaroba da ritagliare e un sex-toy. Esibisce
due seni da capogiro, ma che servono solo per sostenere a dovere le
scollature, perché sono finti, levigati, privi di capezzoli. Rappresenta
la donna secondo un concetto maschile: priva di quelle parti “segrete e
terribili” che tanto indignavano, secoli fa, pensatori e padri della
Chiesa. Incarna la femminilità ideale, muta e sigillata.” 251
E' interessante sapere che nel 2001 la Mattel italiana “allegò al
mensile che reca il nome della bambola, numero di agosto, la Barbie
Velina, bionda, topo color pesca, calzoncini fiorati:15.900 lire il
prezzo. Ricostruzione della scrivania di scena di Striscia la notizia
inclusa nella rivista.”252
Le Bratz “sono la versione street delle Barbie, meno perbene, ma
moto sexy, come le bionde seminude che sculettano vicino a rapper
pieni di catene e tatuaggi sui video di Mtv. (...) Non vogliono ribaltare
il mondo: è sufficiente che lo seducano con la curva delle loro labbra
imbronciate.”253
La Lipperini dedica molta attenzione a W.i.t.c.h., ricostruendone la
Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.125-126.
Ibidem, p.126-127.
253 Ivi.
251
252
133
storia: nasce nel 2001 ed è un mensile a fumetti pensato dalla Disney
Publishing italiana e dedicato inizialmente alle ragazzine tra i 9 e i 12
anni. Sta per strega ed è l'acronimo delle cinque protagoniste, che
sono preadolescenti che scoprono di avere poteri speciali; “inoltre
possono trasformarsi e visitare una realtà parallela dove svolgono il
ruolo di guardiane, agendo in accordo con l'Oracolo per mantenere
l'equilibrio fra i mondi e, in assoluto, fra bene e male. Missione
affidata, da secoli, a cinque creature di sesso femminile. L'avventura
sovrannaturale si intreccia in ogni numero con le problematiche del
quotidiano. La famiglia, le amicizie, gli amori. (..) ” 254 C'è
l'introduzione dell'elemento di discendenza matrilineare e una
rappresentazione non stereotipata del mondo delle ragazze e dei loro
familiari. Il resto del giornale però è simile a quello degli altri,
reclamizzando trucchi, gioielli e capi di abbigliamento, con
l'aggravante che le protagoniste dei racconti diventano testimonial dei
prodotti reclamizzati. Poi “con sempre maggior frequenza, il
salvataggio del mondo diventa meno centrale, e acquistano
importanza le feste, i ragazzi, il trucco. (...).La grafica somiglia
sempre più a “Top girl” (...). Le vicende amorose sono privilegiate
rispetto a tutto il resto.”255 Ci sono molte foto e addirittura poster di
attori e personaggi televisivi, mentre le protagoniste sembrano
desiderare gli stessi prodotti che invitano a far comprare alle loro
lettrici.
Invece il cartone animato Winx club nasce nel 2004, in uno studio
marchigiano da un'idea di Igino Straffi. Le sue bambole hanno
254
255
Ibidem, p.207.
Ibidem, p.208-209.
134
conquistato il 40% del mercato italiano, si vendono milioni di figurine
e il sito è visitatissimo. “Oltre ai capelli fluenti e alle bocche carnose,
hanno (...) vita strettissima e fianchi esageratamente ampi. Come le
statue votive. Come la femmina nella simbologia dei secoli.” 256 Con il
loro marchio esiste quasi tutto: abbigliamento, giocattoli, libri,
telefonini, lenzuola. Il target della rivista è compreso fra i 5 e i 12
anni, ma i prodotti reclamizzati sono per ragazze più grandi, l'editing
della rivista è affidato a Laura Scarpa, che ha collaborato a Linus e
Alter, ma i testi non fanno altro che addestrare alla femminilità
seduttiva.
È un mondo tutto uguale, per donne tutte uguali, bambine in età
prescolare che possono comprarsi le scarpe col tacco (la marca Lelly
Kelly propone scarpe con un mini tacco per le bambine piccolissime, a
partire dal numero 27), un mondo in cui la soglia dell’adolescenza
viene spostata già agli otto-nove anni, in cui la moda femminile è
identica per tutte, dai cinque ai sessant’anni tutte possono portare gli
stessi vestiti.
A Loredana Lipperini è stato chiesto recentemente di scrivere ancora
delle Winx, in occasione della parternship fra la Rainbow di Iginio
Straffi e la Paramount e l'apertura di un nuovi parco a tema 257,
Rainbow Magicland, a Valmonte, a pochi chilometri da Roma.
Esordisce affermando: “Le Winx non sono personaggi da fiaba: sono
un prodotto. Vivono, è vero, nei cartoni animati, su un sito (dove
dispensano consigli su come si usa la cipria e si stende il fondotinta),
256
257
Ivi.
A proposito dei parchi a tema vedi Augé M., Disneyland e altri non luoghi, Bollati Boringieri,
Torino 1999.
135
su una rivista, al cinema e a teatro: ma la loro forza è altrove. Ovvero,
nelle confezioni degli happy meals e degli ovetti di cioccolato da cui
spuntano, le lunghe gambe al vento, in forma di action figures. E poi
nei videogame, nelle scarpe, felpe, zaini, tostapane, sveglie,
asciugacapelli. (...) Dunque, se ogni eroina raccoglie lo spirito del
tempo (e contribuisce a rafforzarlo) le Winx hanno svolto il proprio
ruolo con energia maggiore delle compite e solidali sorelle March di
Piccole Donne, della candida Heidi di Johanna Spyri e persino della
sventatissima Barbie che andava a tutte le feste, conosceva almeno 10
modi per annodare un foulard e gestiva meravigliosamente la propria
casa. Alle Winx una casa non serve: basta il look. (...) Le loro
avventure si limitano a rimescolare elementi preesistenti: la scuola di
magia viene da Harry Potter, la sorellanza munita di superpoteri da
Sailor Moon (e come quanto meno parallela a quella delle disneyane
Witch)258.” Lo stesso Iginio Straffi ha candidamente ammesso quali
siano state le fonti di ispirazione per le sue Winx: Flora è modellata su
Jennifer Lopez, Aisha su Beyoncé, Bloom su Britney Spears, Stella su
Cameron Diaz, Musa su Lucy Liu e Techna su Pink, sono dunque
bambole che hanno riferimenti precisi nel mondo reale, che si rifanno
a tipi di donna molto ben identificabili (nello specifico star del cinema
o della musica pop); e tutto questo risulta vagamente inquietante, se si
pensa che le bambole delle Winx sono pensate anche per bambine in
età prescolare, un’età in cui di solito la bambola viene utilizzata per
esplicitare fantasie di ruoli materni e di cura verso l’altro.
258
Lipperini L., Domenicale di Repubblica, 17 aprile 2011
136
4.4 L’universo femminile visto alla TV
Torniamo così al problema dei corpi femminili in televisione: “in
fondo”, sottolinea la stessa Lipperini, “la storia della televisione è
stata costruita in gran parte sui corpi femminili in offerta: certo, in
passato la discrezione era maggiore, ma quel che ha sempre
caratterizzato i nostri palinsesti è stata una svestita ragazza
sorridente.”259 L'autrice elenca le trasmissioni, notando che “con la
nascita e la fioritura dell'emittenza privata, e con gli sventati anni
ottanta, la quantità della carne esibita era destinata ad aumentare.
Prima delle ragazze di Colpo grosso, pronte a mostrare il seno a
seconda delle risposte giuste o sbagliate dei concorrenti del quiz,
c'erano state le statuarie creature di Drive in, che segnarono
l'improvviso ritorno della maggiorata, destinata a decorare ed eccitare.
(...) Da quel momento, difficilmente un programma di intrattenimento
avrebbe resistito alla femmina da spogliare. Compreso il venerato,
intelligente, apparentemente satirico Renzo Arbore con le sue ragazze
Coccodè (certo in parodia con le altre). Da quel momento, la presenza
femminile di contorno sarebbe tornata a essere irrinunciabile: spesso,
anzi, il programma veniva costruito su di essa. Anche quando a ballare
e cantare e dimenarsi erano, indimenticabili, le bambine di Non è la
Rai.”260
Il programma più famoso è Striscia la notizia, nato nel 1988 dalla
fantasia di Antonio Ricci, che ha inventato anche le veline. In
Wikipedia si legge che “il termine velina viene utilizzato in modo
259
260
Lipperini L., op. cit, p.213-214.
Ivi.
137
spregiativo anche per indicare un'agognata carriera nel mondo dello
spettacolo che apre alle giovani le porte della notorietà e de benessere
economico senza necessità di fare studi impegnativi o lunghe gavette.”
Loredana Lipperini riporta che nel 2004 le richieste di partecipazione
per la selezione erano diecimila. E' stata creata anche una trasmissione
che manda in onda il casting: Veline.
Nascono anche le Letterine, le Paperine, le Meteorine, le
Professoresse, le Schedine, le Troniste e le Surfiste.
Tutti i programmi popolari, come Uomini e donne, Buona domenica,
Striscia la notizia, Amici destinati agli adulti, vengono guardati in
larghissima parte dai bambini. “Nel 2002, un'inchiesta Doxa
evidenziava che il programma quotidiano più visto dai bambini tra i 5
e i 13 anni era Striscia la notizia, a pari merito con Tom & Jerry su
Rai Due (53%). Al quarto posto, dopo Dragon Ball, Sarabanda. Al
sesto, con il 43% Saranno famosi. Quest'ultimo prediletto dal 46%
delle bambine contro il 36% dei maschi. Nelle trasmissioni
settimanali, al primo posto c'era Scherzi a parte, col 71% delle
preferenze. La quinto e al sesto La corrida e Stranamore, seguito da
L'albero azzurro e, subito dopo, da C'è posta per te. Sia nel pubblico
di Stranamore sia in quello di C'è posta per te la maggioranza di
bambine è schiacciante.”261 Infatti le bambine sognano l'amore, come
si era visto quando era esploso il caso Titanic, che Natalia Aspesi ha
definito “il film più femminile degli ultimi anni, quello che ha scavato
sotto gli strati brillanti dell'autonomia e della carriera, della
pseudoliberazione sessuale della massima attorno alle molestie
261
Ibidem, p.227-228.
138
sessuali. Tutte ci siamo guardate dentro, sia pure con qualche sbuffo
di noia e impazienza. E abbiamo ripescato il sogno sepolto e un po'
vile: un amore giovinetto e valzerino, tutto gioia e felicità, anche dopo
la morte: dell'altro.”262 E' il vecchio sogno delle principesse delle fiabe
che spiega il successo di prodotti come Elisa di Rivombrosa o Tre
metri sopra il cielo . E' il sogno d'amore che Lea Melandri cerca di
spiegare e spiegarsi.
Nel libro di Loredana Lipperini sono riportate le considerazioni di
Piermarco Airoldi, vicedirettore di un Centro di ricerca sui media
presso l'Università Cattolica di Milano, dove insegna: “i modelli di
comportamento proposti nei reality, con la loro iperemotività, così
come la costruzione dei personaggi delle fiction, soprattutto i teen
drama con The O.C. , Una mamma per amica o le sitcom giovanili
come Friends, Scrubs o Camera Café, privilegiano, infatti, una
formula sintetica che potremmo definire “adulto-adolescente”; (...) nel
caso del teen drama siamo di fronte a psicologie adulte calate in panni
e problematiche adolescenziali, che sembrerebbero richiedere una
precoce maturazione dei personaggi ma che in realtà non fanno altro
che rimandarla all'infinito, mentre nel caso delle sit-com (ma
potremmo aggiungere la maggior parte dei volti delle tv per giovani
come Italia 1 e Mtv) sono messi in scena trentenni che, di fatto,
dimostrano strutture della personalità e comportamenti tipicamente e
fissatamente adolescenziali, senza alcuna prospettiva possibile di
crescita o maturazione (pena la fine stessa della serie).”263
La Lipperini esamina quindi i reality: Vite spiate, che si svolge sul
262
263
Ibidem, p.189.
Ibidem, p.229.
139
web, con sette ragazzi e sette ragazze, che devono vivere almeno 24
ore al giorno in un appartamento alle porte di Milano con telecamere
accese, soprattutto sotto la doccia; Il grande Fratello; Cambio moglie;
L'uomo dei sogni; La pupa e il secchione; La sposa perfetta; La
fattoria, L'isola dei famosi. L'autrice sostiene che la televisione “sul
banco degli imputati è salita quasi sempre per motivi sbagliati: film,
cartoni, telefilm, spettacoli marcatamente basati sulla finzione come il
wrestling. In misura molto minore talk show o programmi di
intrattenimento. Quasi mai si è sottolineato che la televisione accoglie,
ma non inventa un modello sociale.”264
Sappiamo che la cultura televisiva sta cambiando: ci sono prodotti più
sofisticati, dalla narrazione non più lineare, come 24 o ER, dal ritmo
ipercinetico e dai rimandi di non immediata decifrazione. “Insieme
alla televisione, alla rete è cresciuto un pubblico più intelligente e
consapevole. Ma all'interno di quel sistema si continuano a veicolare
modelli inquietanti, conservatori e, sì, sessisti.”265 Così conclude la
Lipperini.
In una recente intervista l'autrice spiega che non intende fare un
discorso censorio, ma che “è necessario rivendicare la pluralità di
modelli e di rappresentazioni della femminilità, contro la passività di
un modello unico.”266
Silvia Vigetti Finzi nella prefazione al libro di Elena Rosci, Mamme
acrobate, parla delle molteplici identità presenti non solo nell'universo
femminile, ma in ciascuna donna: “Le identità del nostro Io multiplo
264
265
266
Ibidem, p.243.
Ibidem, p.247.
Intervista di Carla Fronteddu per Delt@, anno IX, n.43, 28 febbraio 2011.
140
rinviano alla genealogia che connette le donne nel tempo e nello
spazio, al loro essere l'uno dentro l'altra in una compenetrazione di
corpi che gli uomini non conoscono. Al di là delle urgenze presenti
vengono così chiamati in causa il tempo e la storia.” 267
A questo rimanda anche la profonda intuizione di M. Von Franz: “La
maggior parte delle figlie vivono in una relazione d'identità arcaica
con la madre, soprattutto se hanno una buona relazione con lei. Da
bambine parlano alla bambola come la madre fa con loro, arrivando
perfino a imitarne la voce e le parole. Molte donne con un complesso
materno positivo si occupano delle faccende domestiche, decorano
l'albero di Natale, e persino allevano figli “come faceva la mamma” :
e si sente da ciò che la vita scorre tranquillamente e senza
discontinuità. L'inconveniente è che non procede l'individuazione
della figlia diventata adulta: costei continua la figura femminile
positiva come tipo, non come individuo, senza realizzare la sua
differenza specifica. (...) Le donne ancor più degli uomini hanno la
tendenza a identificarsi col loro sesso e a rimanere in quest'identità
arcaica. A scuola, per esempio, le alunne imitano il modo di parlare o
le nuove pettinature l'una dell'altra. Sembrano pecore, tutte dello
stesso tipo.”268 Sviluppando il discorso sul rapporto madre-figlia,
l'autrice ossserva che “vi è una tale identità arcaica tra madre e figlia,
che può essere spezzata solo con uno sforzo sovrannaturale, così che
ognuna diventi cosciente della sua personalità. La madre deve
riprendersi tutte le proiezioni che fa sulla figlia, è diventare lei stessa
un individuo, e ciò è difficile per tutte le donne. Si parla molto delle
267
268
Vegetti Finzi S., prefazione a Rosci E., op.cit., p.9.
Von Franz M., Il femminile nella fiaba, op.cit., p.159.
141
madri che divorano i propri figli, ma molto spesso sono molto più
attaccate alle loro figlie. Si tratta di un fenomeno naturale e di un
problema tipicamente femminile. In questi casi, si scopre sempre che
la madre ha proiettato un simbolo del Sé sulla figlia e, poiché per lei la
figlia rappresenta il Sé, non riesce a staccarsi dalla proiezione; (...)
liberarsene nella seconda parte della vita, quando la figlia è adulta,
diventa un problema.”269
Elena Rosci cerca di definire quella che chiama madre postmoderna,
figlia della donna romantica, simboleggiata da Natasha, l'eroina di
Guerra e pace. “La donna d'oggi procede rimaneggiando l'universo
dei valori che le è stato trasmesso dalla madre.(...) E' una persona che
si sta modificando, a volte in modo vistoso, a volte impercettibile, ma
comunque sufficiente per consentirci di parlare della nascita di un
nuovo soggetto sociale. Possiamo quindi affermare che l'immagine
che la madre postmoderna ha di sé nasce da un'eredità materna che
deve essere rielaborata, ampliata e per molti versi sovvertita. Quindi
sia grazie alla madre, sia contro la madre.”270
Anche Elena Gianini Belotti riconosce che “in molti giovanissimi è
evidente una ricerca genuina e spesso molto sofferta di rapporti
paritari tra uomo e donna, che si esprime in una messa in discussione
quotidiana del rapporto stesso in cui la conflittualità viene accettata da
ambedue e anzi considerata inevitabile e necessaria. “Crescere
insieme” sembra essere la nuova formula capace di garantire vitalità e
continuità allo stare insieme. E' un processo ininterrotto e spesso
faticoso che implica la costante attenzione di entrambi per evitare il
269 Ibidem, p.162.
270 Rosci E., op. cit., p.87.
142
riprodursi dei vecchi giochi di potere, di sopraffazione, di dipendenza
in cui si giunge a controllare l'investimento affettivo per evitare di
scivolare in impossibili richieste di totalità all'altro, per “investire”
invece più sanamente in una molteplicità di rapporti affettivi di varia
natura, in interessi esterni alla coppia, in momenti e spazi personali
per ognuno dei due, conservati con sufficiente serenità di entrambi. E'
un tentativo radicale di rottura con gli schemi del passato, con l'eterno
gioco dei ruoli, che presuppone che anche l'uomo si metta in
discussione fino in fondo e sia capace di rispettare la donna come una
persona uguale a sé.”271
Questo non toglie poesia all'amore, “esso costituisce tuttavia quel che
per l'altra persona significa tutto, cioè il suo tramite di unione con la
vita, il suo incessante collegamento con il “fuori” delle cose, che non è
altrimenti raggiungibile. L'amore è il medium per bocca del quale la
vita le parla, diventa come per miracolo eloquente e trova proprio
quelle parole e quegli accenti particolari di cui essa aveva bisogno.
Amare significa conoscere qualcuno di cui le cose devono portare
l'impronta per poterci raggiungere, per cessare di essere sconosciute e
temibili, fredde e vuote, ma mettersi docilmente ai piedi della vita
come le fiere all'interno di un paradiso. In alcune delle più belle poesie
d'amore, nel desiderio erotico che si volge all'amata, vive qualcosa di
questa potente sensazione, come se la donna amata non fosse solo se
stessa ma il mondo intero, l'universo, e anche la piccola foglia che
trema sul ramo, il raggio di luce sull'acqua. Maga che tramuta tutte le
cose ed è in esse tramutata: l'immagine dell'oggetto di questo amore,
271 Gianini Belotti E., Prima le donne e i bambini, op. cit., p.137.
143
infatti, si moltiplica in mille sembianze, in una smisurata ricchezza
che spande fertilità, e fa sì che qualunque cammino esso prenda, non
esca dal proprio territorio. Se è così, allora il rischio maggiore per la
passione amorosa è certamente quando la persona, in uno stolto
abbagliamento, vuole rappresentare per l'altro più di una tale
mediazione (...) , quando tenta invece il contrario, cioè di cambiare
artificialmente il proprio essere adattandosi alle caratteristiche
dell'altro, per poter diventare uno con esso in modo più essenziale e
non solo nelle fantasie amorose. Solo chi rimane completamente se
stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua
pienezza vitale, può simbolizzare per l'altro la vita, essere avvertito
come una potenza di essa.”272
Secondo la Von Franz “quello che noi tutti stiamo ora tentando di fare
nel cercare di stabilire una relazione sentimentale personale tra uomini
e donne, è una situazione nuova. Cominciò nel Medioevo con l'amor
cortese. Quello fu il primo tentativo. Poi fu socialmente represso. Si
può dunque dire che stiamo veramente tastando un nuovo terreno, un
ambito che la poesia e le norme religiose hanno finora descritto come
tragico e impossibile, qualcosa che non ha mai un lieto fine. Ciò
rappresenta veramente un nuovo compito per entrambi i sessi. Non
andrebbe dimenticato che Jung fu un pioniere in questo campo, indicò
un cammino e lo incoraggiò, molto prima che ci fosse un movimento
di liberazione delle donne. Mostrò che, per la prima volta nella storia,
dobbiamo tentare di stabilire una vera relazione tra uomini e donne, al
di là della cieca attrazione determinata dalle proiezioni di Animus e
272 Salomé L., Riflessioni sul problema dell'amore,in La materia erotica, Editori Riuniti, Roma
1985, p.24; in lingua originale uscito in Deutsche Rundschau, v.II, 1900.
144
Anima.(...) nessuno può veramente integrare Anima e Animus fino al
punto che non s' intrufolino nella faccenda. Ma l'essere capaci di
aspettare e andare oltre, in una vera relazione d'amore, qualunque sia,
è il grande mistero anticipatorio in questa storia e in questo
incontro.”273
273
M.Von Franz, La gatta. Una fiaba di redenzione del femminile, op. cit., p.104.
145
Conclusioni
Cosa è emerso da questa analisi sulla rappresentazione del femminile
negli ultimi cinquant’anni? Il quadro è davvero così desolante?
L’inquietante ipotesi di Postman sulla “scomparsa dell’infanzia” deve
essere letto anche in modo specifico e femminile?274 Abbiamo fatto
troppi errori, abbiamo sbagliato a sottovalutare l’importanza che un
certo tipo di televisione aggressiva e qualunquista ha avuto
nell’educazione delle nostre bambine? O addirittura sono valide le
teorie come quella di Michel Houellebecq, che sostiene che il
femminismo non abbia portato libertà ma l’opposto? 275
Credo che la via che porti alla giusta direzione in questo senso, debba
essere cercata ancora una volta nella differenza; non una differenza di
genere, ma una differenza di contenuti, di proposte, di idee. È
importante avere la consapevolezza che è possibile fare scelte
personali e diverse.
Non mancano le indagini attente e approfondite su questi argomenti
(penso ai lavori di Loredana Lipperini, Lorella Zanardo, Silvia
Ballestra, Simonetta Ulivieri, Concita De Gregorio, Francesca
Bellafronte, solo per citare alcune delle produzioni degli ultimi anni),
e non mancano neanche proposte letterarie e culturali nuove e valide
rivolte ai bambini e alle bambine.
Ed è proprio seguendo queste tracce che penso debba essere
individuata una mappa preziosa sulla quale orientarsi e grazie alla
274
275
Postman N., La scomparsa dell’infanzia, Armando editore, Milano 2003
Houellebecq M., intervista a The Guardian & Observer - digital edition, domenica 6 Novembre
2005
146
quale scegliere. In questo modo sarà possibile avere un’idea autentica
e personale di come si siano trasformati i valori femminili, tenendo
conto di tutti i modelli che ci vengono proposti con consapevolezza
critica, e riconoscendo non un solo tipo di femminilità, ma un’insieme
di figure che si fondono e si incrociano in modo articolato e
complesso, una molteplicità di ruoli e inclinazioni che si avvicina più
possibile alla grande varietà delle bambine e delle donne reali.
Per concludere vorrei prendere a prestito una fiaba, tratta da “ciclo
Bretone”, intitolata “Re Artù”, raccontata da Gaetana Rossi
nell'ambito del percorso formativo “La magia nella fiaba”:
Un giorno, il giovane re Artù fu catturato e imprigionato dal sovrano
di un regno vicino. Mosso a compassione dalla gioia di vivere del
giovane, invece di ucciderlo, il sovrano gli offrì la libertà, a patto che
rispondesse ad un quesito molto difficile:
“Che cosa vogliono veramente le donne?”
Artù avrebbe avuto a disposizione un anno, trascorso il quale, nel caso
in cui non avesse trovato una risposta, sarebbe stato ucciso.
Un quesito simile avrebbe sicuramente lasciato perplesso anche il più
saggio fra gli uomini e sembrò al giovane Artù una sfida impossibile,
tuttavia, avendo come unica alternativa la morte, Artù accettò la
proposta e fece ritorno al suo regno. Ivi giunto, iniziò a interrogare
chiunque: le principesse, le prostitute, i sacerdoti, i saggi, le damigelle
di corte, e via dicendo, ma nessuno seppe dargli una risposta
soddisfacente. Ciò che la maggior parte della gente gli suggeriva era
di consultare una vecchia strega, poiché solo lei avrebbe potuto fornire
147
una risposta, ma a caro prezzo, dato che la strega era famosa in tutto il
regno per gli esorbitanti compensi che chiedeva per i suoi consulti.
Il tempo passò...e giunse l'ultimo giorno dell'anno prestabilito, così
che Artù non ebbe altra scelta che andare a parlare con la vecchia
strega, che accettò di rispondere alla domanda solo a patto di ottenere
la mano di Gawain, il più nobile dei cavalieri della Tavola Rotonda,
nonché migliore amico di Artù.
Il giovane Artù provò orrore a quella prospettiva...la strega aveva una
gobba ad uncino, era orrenda, aveva un solo dente, puzzava di fogna e
spesso faceva anche dei rumori osceni! Non aveva mai incontrato una
creatura tanto ripugnante. Perciò si rifiutò di accettare di pagare quel
prezzo e condannare l'amico a sobbarcarsi un fardello simile! Gawain,
venuto al corrente della proposta, volle parlare ad Artù dicendogli che
nessun sacrificio era troppo grande per salvare la vita del suo re e la
tavola rotonda, e che quindi avrebbe accettato di sposare la strega di
buon grado.
Il loro matrimonio fu proclamato e la strega finalmente rispose alla
domanda:
“Ciò che una donna vuole veramente è essere padrona della propria
vita.”
Tutti concordarono sul fatto che dalla bocca della strega era uscita
senz'altro una grande verità e che sicuramente la vita di Artù sarebbe
stata risparmiata.
Infatti il sovrano del regno vicino risparmiò la vita ad Artù e gli
garantì piena libertà.
Ma che matrimonio avrebbero avuto Gawain e la strega? Artù si
148
sentiva lacerato fra sollievo ed angoscia, mentre Gawain si
comportava come sempre gentile e cortese. La strega, al contrario,
esibì le peggiori maniere,(…) mettendo tutti a disagio.
La prima notte di nozze era vicina, e Gawain si preparava a trascorrere
una nottata orribile, ma alla fine prese il coraggio a due mani ed entrò
nella camera da lettoe ..che razza di vista l'attendeva!
Dinanzi a lui, discinta sul talamo nuziale, giaceva semplicemente la
più bella donna che avesse mai visto!
Gawain rimase allibito e non appena trovò l'uso della parola (il che
accadde dopo diversi minuti), chiese alla strega cosa le fosse accaduto.
La strega rispose che era stato talmente galante con lei quando si
trovava nella sua forma repellente che aveva deciso di mostrarglisi nel
suo altro aspetto, e che per metà del tempo sarebbe rimasta così,
mentre per l'altra metà sarebbe tornata la vecchiaccia orribile di prima.
A questo punto la strega chiese a Gawain quale dei due aspetti
avrebbe voluto che essa assumesse di giorno e quale di notte.
Che scelta crudele!
Gewain iniziò a pensare all'alternativa che gli si prospettava: una
donna meravigliosa al suo fianco durante il giorno, quando era con i
suoi amici, ed una stregaccia orripilante la notte? O forse la
compagnia della stregaccia di giorno e una fanciulla incantevole di
notte con cui condividere i momenti di intimità?
(...)
Il nobile Gawain disse alla strega che avrebbe lasciato a lei di decidere
per se stessa.
Sentendo ciò, la strega gli sorrise, e gli annunciò che sarebbe rimasta
149
bellissima per tutto il tempo, proprio perché Gawain l'aveva rispettata,
e l'aveva lasciata essere padrona di se stessa.”276
276
Rossi G., La fiaba: creare la magia dell'ascolto, in La magia nella fiaba, op. cit., pp25-27.
150
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