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Per alcuni leggere è fonte di grande ricchezza, per altri una perdita

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Per alcuni leggere è fonte di grande ricchezza, per altri una perdita
Per
alcuni
leggere
è fonte
didi
grande
Per
alcuni
leggere
è fonte
grande
ricchezza,
per
altri
una
perdita
ricchezza,
per
altri
una
perdita
inutile
didi
tempo.
Ma
leggere
è soinutile
tempo.
Ma
leggere
è soprattutto
pensare,
è collegare
anima cioè può assimilare. Che importa quindi
che le azioni,
le emozioni
di idee
quegli
prattutto
pensare,
è collegare
idee esseri di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte
immagini,
emozioni,
sensazioni,
nostre, e si producono in noi; dacché tengonocon
sotto
la propria
dipendenza,
mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro
con
immagini,
emozioni,
sensazioni,
eded
è compiere
unun
percorso
e l’intensità del nostro sguardo? E una volta parole...
che
lo scrittore
ci ha messi
in
questo stato, in cui, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione
parole...
è compiere
percorso
è aumentata del decuplo, in cui saremo turbati
dal suoMentre
libro come
da unun
sogno,
ma un sogno più chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più
interiore.
leggiamo
buon
interiore. Mentre leggiamo un buon
duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi
per un’ora
tutti
i beni e tutti
i mali possibili; nella vita impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più
romanzo,
inaftti,
generiamo
invaromanzo,
inaftti,
invaintensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la
lentezza del
loro generiamo
determinarsi
ce ne toglie la percezione (così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo
riabilmente
un’identificazione
con
riabilmente
un’identificazione
con realtà muta, come certi fenomeni della natura, con lentezza sufficiente
il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo
che
nella lettura,
instoria.
fantasia;
nella
unun
personaggio
della
Quella
personaggio
dellastati
storia.
Quella per contro la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già
perchè, se possiamo constatare successivamente
ciascuno
dei
suoi
differenti,
identificazione
fafa
sommare
lala
mia
identificazione
sommare
mia
meno interiore al mio corpo di quella vita deistoria
personaggi,
veniva
poi,
semiproiettato
dinanzi a me, il paesaggio dove si svolgeva l’azione, e che esercitava
alla
sua,
le
sue
emozioni
alle
storia alla
sua,che
le sue
emozioni
sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro,
quello
avevo
sotto glialle
occhi quando li levavo dal libro. Così, per due estati, nel calore del giardino
mie, inin
unun
turbine
emotivo
nel
quale
turbine
emotivo
nel
quale
di Combray, ebbi, a causa del libro che allora mie,
leggevo,
nostalgia
d’un paese
montuoso e fluviale, dove avrei potuto vedere molte segherie, e dove, nel
il lettore
è parte
attiva. Il Il
termine
il lettore
è parte
termine
fondo dell’acqua chiara, dei pezzi di legno marcivano
sotto
ciuffiattiva.
di crescione;
non lontano s’arrampocavano, lungo dei muri bassi, grappoli di fiori viola e
“biblioterapia”,
dada
pochi
rossastri. E come il sogno d’una donna che m’avrebbe
amato coniato
era
anima
cioè
può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di quegli esseri
“biblioterapia”,
coniato
pochi
anni,
viene
sempre
più
usato
vari
di nuova natura ci appaiono come vere, dacché
le
abbiamo
fatte
nostre,
e si con
producono
anni,
viene
sempre
più
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vari in noi; dacché tengono sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo
Tra
i etanti
indica
l’utilizzo
febbrilmente le pagine del libro, la rapidità delsignificati.
nostro
respiro
del
nostro sguardo? E una volta che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui,
significati.
Tra
i l’intensità
tanti
indica
l’utilizzo
della
lettura
strumento
didi
come in tutti gli stati puramente interiori, ogni
emozione
ècome
aumentata
del decuplo,
in cui saremo turbati dal suo libro come da un sogno, ma un sogno più
della
lettura
come
strumento
chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi per un’ora tutti i beni e tutti i mali possibili; nella vita
impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più intensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la lentezza del loro determinarsi ce ne toglie la percezione
(così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, in fantasia; nella realtà muta, come certi
fenomeni della natura, con lentezza sufficiente perchè, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi stati differenti, per contro la sensazione
stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già meno interiore al mio corpo di quella vita dei personaggi, veniva poi, semiproiettato dinanzi a me, il paesaggio
dove si svolgeva l’azione, e che esercitava sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro, quello che avevo sotto gli occhi quando li levavo dal libro.
Così, per due estati, nel calore del giardino di Combray, ebbi, a causa del libro che allora leggevo, nostalgia d’un paese montuoso e fluviale, dove avrei
La Biblioteca è anche…
i libri che leggiamo
Per
alcuni
leggere
è fonte
didi
grande
Per
alcuni
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ricchezza,
per
altri
una
perdita
ricchezza,
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altri
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Ma
leggere
è soinutile
tempo.
Ma
leggere
è soprattutto
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è collegare
anima cioè può assimilare. Che importa quindi
che le azioni,
le emozioni
di idee
quegli
prattutto
pensare,
è collegare
idee esseri di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte
immagini,
emozioni,
sensazioni,
nostre, e si producono in noi; dacché tengonocon
sotto
la propria
dipendenza,
mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro
con
immagini,
emozioni,
sensazioni,
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è compiere
unun
percorso
e l’intensità del nostro sguardo? E una volta parole...
che
lo scrittore
ci ha messi
in
questo stato, in cui, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione
parole...
è compiere
percorso
è aumentata del decuplo, in cui saremo turbati
dal suoMentre
libro come
da unun
sogno,
ma un sogno più chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più
interiore.
leggiamo
buon
interiore. Mentre leggiamo un buon
duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi
per un’ora
tutti
i beni e tutti
i mali possibili; nella vita impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più
romanzo,
inaftti,
generiamo
invaromanzo,
inaftti,
invaintensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la
lentezza del
loro generiamo
determinarsi
ce ne toglie la percezione (così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo
riabilmente
un’identificazione
con
riabilmente
un’identificazione
con realtà muta, come certi fenomeni della natura, con lentezza sufficiente
il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo
che
nella lettura,
instoria.
fantasia;
nella
unun
personaggio
della
Quella
personaggio
della
storia.
Quella
perchè, se possiamo constatare successivamente
ciascuno dei
suoi stati differenti,
per contro la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già
identificazione
fafa
sommare
lala
mia
identificazione
sommare
mia
meno interiore al mio corpo di quella vita deistoria
personaggi,
veniva
poi,
semiproiettato
dinanzi a me, il paesaggio dove si svolgeva l’azione, e che esercitava
alla
sua,
le
sue
emozioni
alle
storia alla
sua,che
le sue
emozioni
sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro,
quello
avevo
sotto glialle
occhi quando li levavo dal libro. Così, per due estati, nel calore del giardino
mie, inin
unun
turbine
emotivo
nel
quale
turbine
emotivo
nel
quale
di Combray, ebbi, a causa del libro che allora mie,
leggevo,
nostalgia
d’un paese
montuoso e fluviale, dove avrei potuto vedere molte segherie, e dove, nel
il lettore
è parte
attiva. Il Il
termine
il lettore
è parte
termine
fondo dell’acqua chiara, dei pezzi di legno marcivano
sotto
ciuffiattiva.
di crescione;
non lontano s’arrampocavano, lungo dei muri bassi, grappoli di fiori viola e
“biblioterapia”,
dada
pochi
rossastri. E come il sogno d’una donna che m’avrebbe
amato coniato
era
anima
cioè
può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di quegli esseri
“biblioterapia”,
coniato
pochi
anni,
viene
sempre
più
usato
vari
di nuova natura ci appaiono come vere, dacché
le
abbiamo
fatte
nostre,
e si con
producono
anni,
viene
sempre
più
usato
con
vari in noi; dacché tengono sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo
significati.
Tra
i
tanti
indica
l’utilizzo
febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro
respiro
nostro sguardo? E una volta che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui,
significati.
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l’utilizzo
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lettura
strumento
didi
come in tutti gli stati puramente interiori, ogni
emozione
ècome
aumentata
del decuplo,
in cui saremo turbati dal suo libro come da un sogno, ma un sogno più
della
lettura
come
strumento
chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi per un’ora tutti i beni e tutti i mali possibili; nella vita
impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più intensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la lentezza del loro determinarsi ce ne toglie la percezione
(così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, in fantasia; nella realtà muta, come certi
fenomeni della natura, con lentezza sufficiente perchè, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi stati differenti, per contro la sensazione
stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già meno interiore al mio corpo di quella vita dei personaggi, veniva poi, semiproiettato dinanzi a me, il paesaggio
dove si svolgeva l’azione, e che esercitava sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro, quello che avevo sotto gli occhi quando li levavo dal libro.
Così, per due estati, nel calore del giardino di Combray, ebbi, a causa del libro che allora leggevo, nostalgia d’un paese montuoso e fluviale, dove avrei
Biblioteca Civica Gambalunga
2011
Testi
Oriana Maroni Voci dalla Biblioteca
pag. 3
Lorella Barlaam Erotica ed etica della lettura
5
Giuliana Merlini Il gruppo di lettura come luogo di incontro,
di dialogo, di relazioni, di cultura
15
Isa Valbonesi Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico
28
Taccuino pubblicato in occasione di
Biblioterapia. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri, 2011
Le figure del male
Sala del Giudizio - Museo della Città
15 ottobre - 10 dicembre 2011
A cura di Oriana Maroni
Comunicazione Lorella Barlaam
Ufficio stampa Emilio Salvatori
Segreteria Patrizia Bebi, Anna Mazzavillani, Grazia Tonni
Amministrazione Cesare Novara, Anna Morri
Redazione web Cesare Banducci, Silvia Renzini
Assistenza grafica Nadia Bizzocchi
Assistenza tecnica Maurizio Fantini
Contributi
Patrocinio
Progetto grafico e impaginazione Colpo d’occhio
Stampa Cooperativa Cento Fiori
Finito di stampare dicembre 2011
Voci dalla Biblioteca
> Oriana Maroni
Ha quattro secoli la Biblioteca Gambalunga, e molte storie da raccontare che qui vivono
dentro le sue carte e i suoi libri, che come in un “gabinetto magico” di “spiriti stregati”,
si svegliano quando noi li chiamiamo. Fantasmi che tornano a vivere solo in quanto un
essere vivo dà loro voce e vita. La suggestione viene dalle parole di Ezio Raimondi,
il grande italianista amico delle biblioteche, frequentatore immaginifico dei labirinti
piranesiani delle sue biblioteche interiori.
Con l’austera sapienza della sua vita secolare, la Biblioteca lega memorie e
immaginazioni, crea ogni giorno sinfonie di voci fra i viventi e gli uomini del passato,
tesse legami sottili ma tenaci fra parole e esseri, fra scrittori e lettori, fra lettori e lettori.
I libri legano e conducono verso gli altri. Sono una porta d’ingresso su altri secoli, su
altri Paesi, ha scritto Marguerite Yourcenar. Nelle sue sale batte il cuore della città, ma
nei suoi libri si spalancano anche gli affacci sulla civiltà del mondo. È per questo che la
Biblioteca è parte della polis, anima della città, ma anche luogo custode del rapporto tra
identità e differenza, un ponte fra i saperi e le persone.
I lettori sono viaggiatori a cui la Biblioteca apre ogni giorno le sue porte, per offrire la sua
ospitalità e per dar loro mappe che permettono di leggere più a fondo i testi, aprire strade
verso altri libri, o varchi inediti in quelli noti, per aiutarli a coltivare il loro talento di lettori,
che è la capacità di leggere con una lanterna propria e il saper coltivare la passione per
i grandi dubbi, come suggerisce lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas.
Ma «leggere bene» è anche «uno dei grandi piaceri che la solitudine può condurci»
ed anche «il più terapeutico dei piaceri». L’osservazione è del grande critico letterario
americano Harold Bloom.
Da un libero conversare su lettura e scrittura, in una sala della Biblioteca, “sorvegliata”
dallo sguardo di Santa Cecilia protettrice dei musicisti, in verità pittoricamente poco
riuscita, è nata l’idea della “Biblioterapia”, il ciclo di conversazioni dedicate ai libri e alla
lettura, che da tre anni la Biblioteca Gambalunga organizza. Il titolo fu idea di Marcello
Di Bella, allora direttore della Gambalunga; il sottotitolo: “come curarsi (o ammalarsi)
coi libri” di Piero Meldini, scrittore e direttore della Biblioteca prima di lui. La lettura, si
pensò, è un pharmakon, e ripropone l’ambiguità del termine greco: medicina e insieme
veleno, a seconda di come viene praticata, prima ancora che per effetto dei testi che
ne sono oggetto. Può produrre conoscenza, piacere, trasformazione, o essere un mero
esercizio di consumo, di assoggettamento al testo. Il critico letterario Alfonso Berardinelli
voci dalla biblioteca
ha ben chiarito che di per sé il libro non è un valore. «Lo è solo se vale. E nel caso
presente di sovrapproduzione libraria i peggiori nemici dei libri che vale leggere sono i
troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo a fatica di difenderci».
Dopo avere attraversato memorie intellettuali, storie di letture e biblioteche interiori,
ascoltato conversazioni che ci hanno parlato di scrittura e generi letterari, nel 2011 si
è approdati a un’idea di lettura come “passione per i grandi dubbi”, confronto aperto
con i diversi registri umani attraverso cui si compie la riflessione e la battaglia per
trovare un senso e una direzione alla propria vita. In realtà questo ci appare solo un
punto d’arrivo, per prepararsi ad altre partenze. Al nostro viator lasciamo dunque la
possibilità di riascoltare il “giornale di bordo” scritto insieme ai nostri ospiti (http://www.
bibliotecagambalunga.it), ma anche l’opportunità di sintonizzarsi sull’ascolto delle
“voci dalla biblioteca”, vale a dire dei due gruppi di lettura, formati da “persone che
leggono nello stesso tempo un libro” che si incontrano in Gambalunga, per scambiarsi
la loro esperienza di lettura, ed insieme avventurarsi alla scoperta di nuovi libri e
autori. La lettura lega, ma la lettura è anche ribelle e vagabonda, esige libertà; è una
straordinaria forma di piacere, conoscenza e dunque un’occasione di trasformazione
e cura. Assonanze, affinità elettive che legano per lasciarsi liberi, dunque. Ne parlano
le due conduttrici Lorella Barlaam e Giuliana Merlini.
C’è infine un terzo gruppo di persone che ha “casa” in Biblioteca. Ed è il gruppo ideato
e condotto da Isa Valbonesi, che sperimenta il tentativo di accostarsi al pensiero
filosofico per imparare l’esercizio del pensiero e della parola anche nella vita quotidiana.
La filosofia come un “osare a sentire”, un esercizio per “cuori pensanti”, per usare le
splendide definizioni di Maria Zambrano.
Ci sono giorni in cui in Biblioteca pare cogliersi una percezione leggera di felicità, l’han
lasciata quei lettori che han trovato «un po’ d’aria respirabile dentro i libri, la felicità di
sentire che c’è ancora la possibilità di uno spazio in cui far andare l’immaginazione,
per trafficare con l’insensato, lo stravagante, e quello che è messo ai margini delle
nostre vite fatte di preoccupazioni, conti e disastri» (Rossana Campo). Quel brusio che
ci giunge, forse significa che ne è nato un contagio.
Etica ed erotica del lettore
Verso un Gruppo di Lectura activa
> Lorella Barlaam
Hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frère!
Charles Baudelaire, I fiori del male
1 − Il “venire al mondo” del lettore
«Il libro è un dialogo […] un indirizzamento o un
appello. Sotto la linea melodica del suo canto
corre, ininterrottamente, il basso continuo del suo
invito, della sua domanda, della sua ingiunzione o
della sua preghiera: “Leggimi! Leggetemi!”» Così
Jean Luc Nancy rivela quel richiamo struggente
che, una volta ascoltato, mette al mondo di nuovo
noi, Genti del Libro.
Non si nasce lettori, infatti, ma alla lettura si nasce
ed è in senso pieno una seconda nascita, che ci
permette di agire nel mondo e contro il mondo. Ma
sempre per amore del mondo.
Jean-Baptiste Siméon Chardin,
Il primo significato del lemma “lettura” sul
Le Philosophe lisant (1734)
vocabolario Treccani è “l’azione di leggere”. Un
agire, eticamente orientato, che accoglie la responsabilità dell’incontro con l’altro da sé
prendendosi cura delle sue parole, ri-costruendone il senso. Ma – e noi lettrici lo sappiamo
bene! – la lettura è anche una passio che nasce dal desiderio e dalla mancanza, nel
grembo delle prime storie che ci sono state lette e che diventa il rannicchiarsi smemorato
nelle pagine di un romanzo divorato per sapere “come va a finire”.
Imparare a leggere non è perciò, mai, soltanto un apprendimento. Certo: ogni lettura
parte da una tecnica di decodificazione di segni dati secondo un certo codice e
dall’operazione di decifrazione dei segni si arriva all’attività della decifrazione dei testi.
E leggere “bene” diventa per antonomasia leggere un libro. E leggere libri (molti libri,
tutti i libri che la Legge, la Moda o il Canone prescrivono) la via regia alla costituzione
di una Cultura. Come se crearsi una Biblioteca – nello spazio o nell’interiorità – fosse
un accumulare capitale, e non costruirsi una cassetta degli attrezzi per leggere (e
J. L. Nancy, Del libro e della libreria, Cortina, 2006
voci dalla biblioteca
vivere) sempre meglio. In comune con la nascita, riflette Luca Ferrieri, la lettura
forse ha anche altri due elementi. La singolarità: come ogni nuovo nato, ogni lettura
è irripetibile, un evento originario. E la fragilità, perché anche il venire al mondo di un
lettore è sempre esposto al rischio d’un fallimento. Se non trova l’ambiente adatto,
pieno di libri e intriso del loro valore, o magari di libri del tutto sguarnito, dove anzi
tocca leggere di nascosto – un invito a fare esperienza della lettura come di un mondo
opposto, come scrive Bichsel – oppure se non incontra l’iniziatore adatto, è destinata
a non riuscire. E, come per ogni nascita, il “seme della lettura” viene da fuori, ma la
gestazione «è interna alla mente e al corpo che legge».
È per questo valore inaugurale che la passione della lettura non può essere oggetto
di insegnamento: alla lettura si viene iniziati, da un aiutante che ci “presenta” questo
strumento “magico”, che può essere anche un Gruppo, grembo di condivisione di
letture singolari in cui il discorso si fa plurale e polifonico, e si diffonde per contagio.
Un Gruppo di lettura, infatti, come la “scuola di lettura creativa” auspicata da George
Steiner, può diventare l’iniziatore di quella “lettura ben fatta” che per Peguy è una
«cooperazione letterale, una collaborazione intima, interiore» con il testo, ma anche
«una suprema, eccelsa, sconcertante responsabilità». Perché al testo restituisce vita
e ne costituisce il coronamento.
Non è un caso, se il nodo ricorrente nell’attività del Gruppo sia la scelta del libro da
condividere, al bivio tra testi complessi e percorsi strutturati – in nome di un’etica
della lettura come formazione di sé e incontro con l’altro – e pagine più agevoli, per
abbandonarsi alla passione, al piacere della lettura. E non è un caso che la scelta passi
attraverso prese di posizione appassionate e conflittuali, che danno peso e valore a
questa pratica che era al centro del farsi del sapere nel mondo occidentale, capace di
aggregare metafore e farsi metafora dell’intero universo, e che sembra arrivata oggi
alla fine delle sue funzioni.
È il secondo anno che il gruppo di lettura che coordino presso la Biblioteca Gambalunga
è attivo, e se le mie perplessità di lettore al singolare erano tante – il mondo è già
abbastanza pieno «di vicini indiscreti» scrive Roland Barthes, «con i quali mi tocca
condividere l’altro» – mi sono dovuta ricredere. Ferrieri afferma che «la solitudine del
lettore è la premessa a una socialità che sgorga come atto necessario e libero a un
tempo» e nel Gruppo ho sperimentato questa solitudine non “troppo rumorosa” ma
risonante di voci diverse, resa possibile dalla condivisione proprio del “libro che amo”.
Quello che avviene nell’apertura all’altro della «stanza tutta per sé» non è una lettura
in gruppo, che enfatizza la fruizione corale, “dionisiaca”, ma un leggere singolare
L. Ferrieri, La lettura spiegata a chi non legge, Editrice Bibliografica, 2011
condiviso. «Un gruppo di lettura» asserisce Blanca Calvo, «è un gruppo di persone
che leggono nello stesso tempo un libro». E si ritrovano per parlarne e per ascoltarne,
lasciando segni (la lettura è dispersiva, leggendo «si dimentica e ci si dimentica») e
tracciando sentieri da un libro a un altro. Una modalità anfibia, che contagia il virus della
lettura ma fornisce il contravveleno del passaparola, potente strumento per scegliere
e valutare autonomamente i libri continuamente sfornati dall’industria editoriale. Una
strada per l’ecologia della lettura, dunque.
Guardando al nostro percorso, di libro in libro si disegna una mappa, a partire dal “patto”
fondativo del Gruppo: affrontare testi più complessi di quelli che si sarebbero scelti da
soli, e dar finalmente la scalata ai “fondamentali” sempre rimandati, facendosi forza
del “leggere insieme”. Così abbiamo indagato in più direzioni, dalla strutturazione dei
personaggi alla traduzione alle letture “tematizzate” al senso della lettura dei classici
oggi, aizzati da Italo Calvino. Partiti da La valigia di mio padre di Orhan Pahmuk, in
cui la scrittura è definita lo «scavare un pozzo con un ago» – come anche l’acuminata
paziente lettura dovrebbe fare – abbiamo percorso La strada di Cormac McCarthy,
che ha rivelato nella sagace lettura di alcuni le parole bibliche sottese. Questo andare
di un padre e di un figlio fino in fondo all’apocalisse ci ha portato a La storia di Elsa
Morante, via crucis di una madre, Ida, e del suo caprettino Useppe. Con la sorpresa
delle diverse risonanze che un testo così amato od odiato quando uscì, nel 1974, può
avere per il lettore di adesso, e persino per chi – come me – ne è ri-ri-lettore. Davvero
nel tempo si compie un “gioco segreto” di prospettive. In Olive Kitteridge di Elizabeth
Strout, filtrata dal saggio Gradazioni di vitalità di Antonia Byatt, abbiamo “letto” la
costruzione dei personaggi, e poi la Trilogia della città di K., di Agota Kristof – favola
nera e scabra – ha suscitato letture diversissime, senza lasciare nessuno indifferente.
A La trilogia del ritorno di Fred Uhlman, che con Lettera a uno sconosciuto di Kressman
Taylor ha sfiorato il tema della letteratura sulla Shoah, è seguito il “Grande Romanzo
Americano”, dalla ri-scoperta di Revolutionary road di Richard Yates a Le correzioni di
Jonathan Franzen a Pastorale Americana di Philip Roth… ma su Underworld di Don
De Lillo c’è stata una levata di scudi collettiva, e Madri & figlie, esercizio bibliografico a
tema, è sembrata la soluzione. I successivi Se consideri le colpe e di Ogni promessa
di Andrea Bajani risentivano un po’ del senso di colpa dell’aver trascurato la letteratura
italiana contemporanea; Auto da fè di Elias Canetti, Altre inquisizioni di Jorge Luis
Borges e La casa di carta di Carlos Maria Dominguez hanno chiuso il cerchio parlando
di libri, e del rapporto che si instaura con loro. Biblioteche.
Che forse hanno appesantito il nostro andare. Mentre il Gruppo si assestava su una
decina di presenze stabili cominciava ad avvertirsi un certo malessere sul significato
del nostro viaggio, e la sensazione che quel desiderio che è «la cuna e la cruna» del
leggere stesse un po’ smarrendo la direzione del piacere della lettura…
voci dalla biblioteca
Ma le discussioni accese degli incontri ultimi, la leggerezza calviniana rivendicata sulla
pesanteur avvertita ogni volta che la lettura chiedeva uno spaesamento forse hanno
bisogno di una riflessione più articolata che indaghi i confini e le interazioni di quelle
che chiamerò l’Erotica e l’Etica del lettore. «Donde» scrive Roland Barthes, «due
regimi di lettura: una che va direttamente alle articolazioni del testo, per ritrovare al più
presto i luoghi scottanti dell’aneddoto, quanto fa avanzare lo svelamento dell’enigma
o il destino. L’altra che non fa passare niente; pesa, aderisce al testo, legge, se così
si può dire, con applicazione e trasporto, coglie in ogni punto del testo l’asindeto che
taglia i linguaggi e non l’aneddoto».
Intanto: si fa presto, a dire “piacere della lettura”…
2 – “Io” – Sotto il segno di Eros
Del piacere della lettura Barthes traccia tre vie, «quella che si arresta di fronte al
piacere del testo» sintetizza Michel De Certeau, «quella che corre verso il finale e
“non riesce ad aspettare”, quella che nutre il desiderio di scrivere. Lettura erotica,
cacciatrice o iniziatica. Ma, oltre a queste, ce ne sono altre, di tipo onirico, antagonistico
e autodidattico…». Qui si tocca un cuore del discorso, e tocca mettersi sotto la
protezione di un dàimon, Eros, il desiderio. Demone filosofo, astuto e indicibile.
Ma figlio della Povertà e del Bisogno. «Ciascuno di noi» ha scritto Remo Bodei, «vive
nell’immaginazione altre vite. Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe
confinata la nostra dobbiamo intrecciarla e ricombinarla con quella di altri, vicini e
lontani nel tempo, servendoci del desiderio e dell’immaginazione quale antidoto alla
povertà di ogni esperienza singola. Grazie alla grande letteratura vivo per procura
altre vite parallele, mi immedesimo in più biografie: sono Odisseo, Antigone, Socrate,
Cesare, Amleto, l’Innominato, Madame Bovary, Anna Karenina, Hans Castorp». Ma il
desiderio non si esaurisce in un catalogo di esistenze accessibili all’immaginazione. «È
evidente» nota Barthes «che esiste un erotismo della lettura (nella lettura il desiderio
è presente con il suo oggetto, il che corrisponde alla definizione dell’erotismo)». A
guardia della lettura desiderante sta l’immagine di Sant’Ambrogio che legge a fior di
labbra, come lo sorprende Sant’Agostino nelle Confessioni. L’icona di quella lettura
silenziosa e appartata che consente un rapporto con lo scritto segreto e interiore.
Fino alla «stanzettina odorosa d’iris» che, confessa Marcel Proust, «per lungo
tempo mi servì di rifugio, senza dubbio perché era la sola che mi fosse permesso
R. Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, 1975
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, 2001
R. Bodei, dal ciclo di lezioni sulle “Vite Immaginate”, Scuola di Studi Umanistici di Bologna
(dic. 2011)
di chiudere a chiave, in tutte le occupazioni che invocano un’inviolabile solitudine:
la lettura, le fantasticherie, le lagrime e la voluttà». Le righe in cui Barthes rintraccia
i tratti della lettura desiderante: uno stato assolutamente separato, clandestino, nel
quale il mondo intero è abolito e il lettore, come l’innamorato o il mistico, disinveste
la realtà, interamente trasportato nel registro dell’immaginario. In rapporto fusionale
con il libro, come chi ama pende dal viso amato. Durante questo tipo di lettura, «nel
corpo si mescolano e si intrecciano tanti moti diversi: il fascino, la vacanza, il dolore,
la voluttà». L’atto del leggere è sentito come una pratica di godimento solitario, quasi
onanistico. Non è, questo, un agire bensì un patire: l’assoggettarsi al volere del testo.
«Il testo è un oggetto feticcio» chiosa Barthes. «E questo feticcio mi desidera. Il testo
mi sceglie».
È nel Settecento che la lettura diviene passio. Specie quella femminile, a giudicare
dall’iconografia sull’argomento, come mostra Le donne che leggono sono pericolose,
di S. Bollmann ed E. Heidenreich. Estremizzando, Francesca Serra afferma che
siamo tutte “pornolettrici”, possedute da una lettura che è proprio quella voluta e
strutturata subliminarmente dalla forma-romanzo, sin dal suo sorgere: lettura passiva,
fisicamente e mentalmente rilassata, in cui l’io non valuta e non filtra ma accoglie, che
favorisce l’immedesimazione coi personaggi e tende a consumare velocemente i suoi
oggetti. «L’opera narrativa è il rovescio esatto, l’alveolo in cui si deposita docilmente la
lettura» ammonisce Emanuele Trevi. «Quando la storia ci ha catturati nel suo intrigo,
noi aderiamo perfettamente all’idea di lettura che essa implica. Questa “collaborazione
narrativa” è il motore segreto della fabbrica dei best seller». Michel de Certeau ribatte: «Ciò che va rimesso in discussione è l’assimilazione della
lettura alla passività» perché la ricostituzione di ogni testo avviene «attraverso un gioco
di implicazioni e di astuzie tra due tipi di aspettative combinate: quella che organizza
uno spazio leggibile (una letteralità) e quello che organizza un percorso necessario
all’effettuazione dell’opera (una lettura). Lungi dall’essere degli scrittori, che fondano
un luogo proprio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i lettori sono dei viaggiatori:
circolano su terreni altrui, come nomadi che praticano il bracconaggio attraverso
pagine che non hanno scritto».
Un’operazione che consente al lettore/bracconiere di sfuggire alla Legge che regola il
suo rapporto col testo (che sia quella della Chiesa, della Scuola o della Biblioteca), ma
che rischia di generare un paradosso: «Per comune ammissione» avverte Barthes, che
R. Barthes, Il brusio della lingua, Einaudi, 1988
R. Loretelli, L’invenzione del romanzo, Laterza, 2010
F. Serra, Le brave ragazze non leggono romanzi, Bollati Boringhieri, 2011
http://www.italianieuropei.it/it/italianieuropei-8-2011/item/1597-la-lettura-nella-società-postmoderna.html
voci dalla biblioteca
pure aveva celebrato la nascita del Lettore dal ritrarsi dal testo dell’Autore, «leggere
significa decodificare – lettere, parole, sensi, strutture – e ciò è incontestabile; ma
accumulando le decodifiche, dal momento che la lettura è teoricamente infinita, togliendo
il punto d’arresto del senso, lasciando procedere a ruota libera il lettore è preso in un
rovesciamento dialettico: finisce per non decodificare, ma per sovracodificare; non
decifra, bensì produce, accumula linguaggi, se ne lascia attraversare infinitamente e
instancabilmente: è questo attraversamento».
È il paradosso del lettore, di volta in volta Onanista, Posseduto, Bracconiere,
Paragrammatico e Folle che finisce per ribaltare l’utopia della lettura in un’eterotopia.
3 – “Io e Tu” – Etiche della lettura
«Così nella Biblioteca di Babele, una scrittura differisce dall’altra meno per il testo che
per il modo in cui viene letto» commenta Ezio Raimondi10. «Ma in questa ricerca di
un colloquio entro cui alla fine ritrova se stesso, il lettore non dispone dell’arbitrio di
manovra di una soggettività assoluta, perché leggere significa vedere e comprendere
nella dinamica inventiva del testo una coscienza diversa […] Qui certo appare chiaro
che l’estetica dell’interprete e dell’esecutore deve convertirsi in un’etica». Ma «che cosa
può voler dire questa formula, etica della lettura? Che cosa indica il genitivo della?»
si chiede J. Hillis Miller11. Ve lo riassumo a spanne, il suo interrogarsi: quest’etica è
l’ethos proprio del lettore (la “lettura ben fatta”) o l’entelechia della lettura (la lettura
“migliora il mondo”)? Ci farà comodo, per ora, la sua definizione di «momento etico
nell’atto della lettura» che «se esiste, va in due direzioni. Da una parte è risposta a
qualcosa, di cui è responsabile, a cui risponde, di cui è rispettoso». «Non c’è dubbio che
quando leggiamo le parole di un testo, lo riempiamo della nostra esperienza» continua
Raimondi, «e nondimeno, pur in questo spazio gelosamente solitario e individuale, la
lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela
qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo
della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. […] E qui forse, tra
il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una
vera e propria relazione etica».
L’origine dell’esistenza etica, secondo Emmanuel Levinàs, è proprio il venirci incontro
della faccia dell’altro, con la sua richiesta: cui rispondiamo istintivamente. Nel doppio
senso di “rispondere di” e “rispondere a”. Che non significa “dare delle risposte”, ma
assumere e condividere un legame. Si risponde innanzi tutto ponendosi in dialogo,
e «non si dà vero dialogo col testo senza avvertire la responsabilità dell’altro da sé»
10
11
E. Raimondi, Un’etica del lettore, Il Mulino, 2007
J.H. Miller, L’etica della lettura, Mucchi editore, 1988
10
spiega Ferrieri. Responsabilità che si accetta nel rispondere alla chiamata dell’autore,
accogliendo l’intenzione del testo senza rinunciare alla sovrana libertà della lettura.
Responsabilità nel distinguere tra autore e testo, entità diverse che vivono di vita
propria, nel “prendersi cura” anzitutto del testo e della relazione che esso instaura. Il
punto più alto dell’etica della lettura consiste nella scoperta dell’alterità, un’esperienza
di libertà compresente con il pieno riconoscimento dell’altro. «Attraverso l’etica della
lettura, il rapimento mistico del lettore chiuso nel suo stanzino diventa cura del mondo:
La mia stanza e questo vasto spazio/vegliante nel paese notturno/sono una cosa sola
(R. M. Rilke)».
È per questo forse che la seconda direzione dell’etica della lettura, secondo Hillis Miller,
può diventare “l’agire”. «La lettura sta stretta nella coscienza di un solo uomo e scoppia
verso l’altro» scrive Levinàs. E determina un cambiamento di visuale, che ci evita di
«prendere i limiti del nostro campo visivo per i confini del mondo». Cambiamento che
si ripercuote molecolarmente nel mondo circostante. Eppure.
Non è detto che il lettore sia persona migliore del non-lettore, in assoluto. Un uomo,
riflette Steiner, «può leggere Goethe e Rilke la sera, e al mattino dopo recarsi al suo
lavoro ad Auschwitz». Ma poi penso come a preservare Charlotte Delbo dall’orrore
di Auschwitz sia stata la presenza in cella di Fabrizio Del Dongo, come racconta
Todorov12. E che nel Gulag la narrazione “a memoria” della Recherche di Joseph
Czapski ha salvato lui e i suoi compagni da La morte indifferente. E che c’è il furto di
un prezioso volume di Proust in uno dei Racconti della Kolyma di Varlam Salamov.
La storia sanguinosa del secolo breve è anche la storia del secolo colto. La lettura
non garantisce contro il perpetuarsi del Male: ma senza l’utopia che possa cambiare
il mondo in meglio non avrebbe senso leggere. E quanto più crescerà la capacità di
leggere empaticamente e criticamente, tanto più forte sarà questa speranza.
4 – “Noi” – Lectura activa
Ma oggi forse il lettore deve ri-nascere a questa lectura activa la cui sequenza centrale,
secondo Enrique Vila Matas13, «contiene il gesto più profondamente democratico che
io conosca. È il gesto di chi sa aprirsi al mondo e alle verità relative dell’altro, alla
sacra rivelazione di una coscienza aliena. Se si esige talento da uno scrittore, si deve
esigere anche dal lettore».
Un gesto che sembra ribaltare la passio della lettura di puro piacere nella direzione
12 T. Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008
13 http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-09-30/sente-esigenza-nuovo-patto-121237.
shtml?uuid=AaZnMo8D
11
voci dalla biblioteca
dell’agire tra gli uomini proposto da Hannah Arendt in Vita activa.
Lectura activa, dunque, perché la lettura “ben fatta” richiede sapienza, tecnica e gusto,
come l’esecuzione di una partitura. «Un tipo di lettura poliedrico, capace di determinate
forme di attenzione e di piacere, incline all’avventura», lo descrive Trevi. Che ritroviamo
nei saggi di Virginia Woolf, ad apertura di pagina. O nel “buon lettore” delle Lezioni di
letteratura di Vladimir Nabokov. Un atto che, in una reciprocità dinamica, risponde alla
vita del testo che, per quanto ispirato, non può significare se non viene letto. Da qui la
Biblioteca di Ermanno Cavazzoni14 «piena di morti che non si dan pace. Non è carta
quella disposta in fila ordinata dentro le teche. Sono anime. Anime piene di speranza
di vivere e risorgere». Il libro ha bisogno del lettore quanto il lettore di lui.
«A un impoverimento della lettura, si può farne una specie di regola, corrisponde
un impoverimento della letteratura» aggiunge Trevi. E viceversa. È in questo senso
assolutamente concreto e creatore che ogni atto autentico di lettura è atto etico per
eccellenza.
Allora c’è bisogno di un nuovo patto tra chi scrive e chi legge, sottolinea Vila-Matas.
Già. Ma questa lectura activa come, concretamente, si fa? Ne cercheremo la “figura”,
sulle orme di George Steiner15, nel quadro “Le philosophe lisant” di Jean Baptiste
Chardin (1734).
Il Philosophe in abito da cerimonia, con un ricco cappello, s’è vestito apposta per fare
onore al libro: la lettura è un incontro cortese con un “eccelso ospite”, come quello di
Niccolò Machiavelli con i classici, che richiedeva “abiti curiali”. Accanto al lettore, una
clessidra proclama (così come il teschio-vanitas sullo scaffale) che tra libro e tempo
esiste una molteplicità di relazioni. In primis, quella tra la vita brevis del lettore e l’ars longa
del suo libro: non a caso Flaubert morente protestò contro il paradosso che lo faceva
morire «come un cane» mentre «quella puttana» di Madame Bovary sopravviveva. E
poi, mentre il lettore legge, la sua esistenza si accorcia. Ma prolunga la vita del testo. La
clessidra ci ricorda anche quanto sia breve il tempo per leggere, e quanti invece i libri…
non è forse un vero lettore chi non s’è mai sentito accusato dai libri non letti.
Davanti alla clessidra, una penna. Che definisce la lettura come un’azione. Quella di
“leggere bene” che – continua Steiner – «significa rispondere al testo, e implica una
“responsabilità” che sia anche risposta». Dal segno sui marginalia, traccia del monologo
interiore e discussione con l’autore, alla trascrizione e memorizzazione di passi,
all’impulso a scrivere un altro libro in risposta a quello che leggiamo. «L’intellettuale è,
semplicemente, un essere umano che legge libri con la matita in mano».
14 E. Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet, 2009
15 G. Steiner, Nessuna passione spenta, Garzanti, 2001
12
E intanto la luce che emana dal libro si rifrange e duplica in quella che viene dal volto
del lettore: “leggere bene” significa anche venir letti da ciò che leggiamo. E leggere
bene, ammonisce Steiner, ci mette a repentaglio, perchè «significa correre grossi rischi.
Significa rendere vulnerabile la nostra identità, il nostro autocontrollo. Chi ha letto la
Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi allo specchio senza indietreggiare è forse
capace, tecnicamente, di leggere i caratteri stampati, ma è analfabeta nell’unico senso
che conti realmente». Intorno al philosophe, come spesso nella pittura di Chardin, c’è
un gran silenzio, reso dalla luce soffusa, dalla grana degli oggetti, dalla pelliccia che
attutisce i suoni. Il lettore, l’in-folio che sta leggendo ne sono avvolti.
Alla destra del quadro, una tenda, chiusa tra il lettore e il mondo.
Il quadro di Chardin forse ci in-segna una lettura non più possibile. E sono diventati un
lusso il silenzio e il tempo dell’otium, che consentono il leggere bene come «leggere
lentamente, in profondità, pieno di riguardi e con attenzione, lasciando porte aperte,
con dita e occhi delicati» come vagheggia Nietzsche nell’Aurora. Oggi, se è «tutt’altro
che morta (si vendono milioni e milioni di libri ogni anno) – riflette Trevi – la lettura
ha ridotto le sue prerogative, si è stabilizzata su uno standard universale: sempre di
più, con l’andare del tempo, leggere un’opera letteraria è sinonimo di consumare una
prestazione narrativa. Da esecutore, il lettore retrocede al rango di strumento».
C’è bisogno di ri-afferrarle, le briglie della lettura.
«Porto con me – scrive Steiner – una visione di “scuole di lettura creativa” (una stanza
silenziosa con un tavolo sarebbe sufficiente)». Roland Barthes sogna una “Società
degli amici del testo”, Ivan Illich delinea una simile istituzione in Nella vigna del testo:
«Anch’io sogno […] che ci possa essere una sorta di “case della lettura”, simili allo
shul ebraico, dove i pochi che scoprano la passione per una vita imperniata sulla
lettura possano trovare l’opportuna guida, il silenzio e la complicità di una compagnia
disciplinata che occorrono per la lunga iniziazione all’una o all’altra delle molteplici
‘spiritualità’ o stili di celebrazione del libro».
Potrebbe essere questa, al tempo dello Schermo, la nuova vocazione della Biblioteca?
E la vera funzione di un Gruppo di lettura?
5 – Leggere “come se”
Ma forse non basta neanche questo, lamenta Steiner, oggi che in dubbio sono la credibilità
stessa e la pratica razionale di questo progresso verso la comprensione testuale. È la
13
voci dalla biblioteca
possibilità stessa di un’ermeneutica che la “crisi attuale del significato” ha contestato.
«Fëdor Dostoevskij – scrive Franco Rella16 – ha detto che se non c’è Dio tutto è permesso.
È il nichilismo del XIX secolo. Oggi si afferma che, se non esiste senso, non esiste
una responsabilità nei confronti del senso, del mondo e degli uomini che lo esprimono.
È il nichilismo della nostra epoca». E invece. Dobbiamo leggere “come se”, chiede
Steiner. «Quando leggiamo autenticamente, quando l’esperienza deve essere quella
del significato, facciamo come se il testo incarnasse una vera presenza dell’essenza
significante». Che, come quella che esiste in un’icona, è in ultima analisi indicibile.
Ma che «proviamo ogni volta che una poesia o un passo di prosa si impadroniscono
delle nostre idee e sentimenti. Essere abitati dalla letteratura, essere resi responsabili,
dover rispondere a quell’arrivo come l’ospite fa con lo straniero, magari sconosciuto e
inatteso, che giunge a casa sua di sera» significa provare questo mistero banale.
Alla fine del nostro vagabondaggio attraverso l’Erotica e l’Etica del lettore, invece che
a un bivio mi accorgo di essere arrivata a un giardino di sentieri che si biforcano, in
cui forse dobbiamo affidare la nostra lettura alla preghiera che il re Salomone elevava
all’Altissimo: quella di concedergli “un cuore intelligente”. Ma oggi «se vogliamo
ricevere risposta – scrive Alain Finkielkraut – non è a lui direttamente né alla Storia,
moderno avatar della teodicea, che dobbiamo rivolgere la nostra domanda, bensì
alla letteratura, forma di mediazione che non offre garanzie, ma senza la quale ci
sarebbe per sempre preclusa la grazia di un cuore intelligente. Senza letteratura,
potremmo forse conoscere le leggi della vita, ma ci sarebbe preclusa per sempre la
sua giurisprudenza».17
Al gruppo di lettura del sabato, grazie. Tutto questo nasce da voi.
16
17
F. Rella, Interstizi, Garzanti, 2011
A. Finkielkraut, Un cuore intelligente, Adelphi, 2011
14
Leggere
Il Gruppo di lettura come luogo di incontro, di dialogo, di relazioni, di cultura
> Giuliana Merlini
Il 13 gennaio 2010 presso la Biblioteca Gambalunga si è costituito il primo Gruppo
di lettura. Ciò che si racconta qui, è la storia di un cammino fatto insieme: il nostro
viaggio tra i libri fino ad oggi, per dire che il percorso non è una strada tracciata in
partenza, ma sono gli stessi libri che con i loro rimandi e intrecci, guidano e portano a
sentieri laterali che accendono di significato il “prima” e il “poi”.
Perché è bello partecipare ad un gruppo di lettura?
Il gruppo di lettura è un “luogo” dove si attivano idee da mettere a confronto, un
modo per avere una visione dei fatti da varie angolature, una possibilità di mettere
in relazione ciò che si legge con ciò che si vive. È quindi uno “spazio” gradevole di
pensieri, opinioni, sentimenti ed emozioni dove ci sono voci e menti che si ascoltano
con consapevolezza. Leggere in gruppo favorisce lo spirito critico, aiuta a capire come
i punti di vista possano essere diversi e come spesso altri abbiano colto aspetti a cui
non avevamo mai pensato. Nel confronto si comprende che ciascun autore e ciascun
libro hanno uno stile, per giudicare il quale, bisogna andare oltre le categorie “bello/
brutto”, “mi piace/non mi piace”, per diventare lettori “intelligenti”, che leggono
per imparare ad ampliare il loro orizzonte, per uscire dai propri singoli mondi con la
curiosità di scoprirne altri.
Condividere la lettura di un libro favorisce lo sviluppo di abilità empatiche, comunicative,
relazionali, apre nuovi orizzonti, nuovi paesaggi interiori, diverse interpretazioni del mondo.
Alcuni critici hanno affermato che esiste un’etica del leggere, così Harold Bloom si
esprime in merito alla scelta di cosa leggere: «Per scegliere che cosa continuare a
leggere o insegnare mi attengo soltanto a tre criteri: lo splendore estetico, il vigore
intellettuale, la saggezza. Le pressioni della società e le mode giornalistiche possono
anche oscurare per un certo tempo, questi criteri, ma appunto si tratta di periodi sempre
limitati e alla fine le opere che non riescono a trascendere il loro particolare contesto
storico, sono destinate a non sopravvivere. La mente finisce sempre per tornare al suo
bisogno di bellezza, di verità, di comprensione». (“Sapienza” in La saggezza dei libri,
Rizzoli 2004).
15
voci dalla biblioteca
Ezio Raimondi, forse il più importante critico italiano, ci regala queste riflessioni:
La lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel
libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo
in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un
atto d’amore. La solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro
un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non
convenzionali, che aspirino a essere autentici. E qui forse, tra il lettore e
lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una
vera e propria relazione etica. (Un’Etica del lettore, il Mulino 2007)
In questo breve, intenso e nitido saggio, l’atto della lettura è presentato come
un’esperienza morale che richiede pazienza, attenzione, capacità di saper cogliere
una ricchezza e complessità di significati; chi legge fa vivere un testo, lo interpreta,
entra in relazione con l’autore; il libro non è solo un mezzo per informare e intrattenere,
ma uno stimolo a creare rapporti, a stabilire relazioni tra le cose, a intraprendere un
viaggio alla ricerca di noi stessi. Il messaggio che viene da queste pagine, va al di là
della letteratura, per farsi lezione di civiltà.
Diario di un viaggio “di carta”
Ed è stato proprio il prezioso libro di Ezio Raimondi a guidare la nostra riflessione
sul leggere, a partire dal primo appuntamento. Confrontarsi nel gruppo non è stato
solo porsi in relazione con una diversità-libro/autore, ma anche con la diversità delle
persone che quel gruppo costituiscono: presenze in carne e ossa, diverse nella loro
molteplicità di esperienze, letture, conoscenze, linguaggio.
Si è trattato, inoltre, di coagulare interesse, curiosità, passione di molti e trovare un
comune punto d’incontro tra chi prediligeva generi molto differenti. Certo, l’idea di
compiere insieme un “viaggio”, lungo il quale scoprire legami e relazioni, confrontare
stili e linguaggi di autori vicini e lontani, nel tempo e nello spazio geografico, ci ha dato
un po’ l’idea di un’avventura con scoperte e sorprese, prevalentemente positive, senza
negare dei punti di criticità.
Ci siamo tenuti lontano dalle classifiche, è stato un avvio “in sordina” con autori giovani,
ma non giovanissimi: Antonio Pascale è stato il primo. Di lui abbiamo letto: S’è fatta
ora (Minimumfax, 2006), un’occasione per raccontare l’uomo e la società meridionale
in modo nuovo, additandone le contraddizioni con un’alternanza di malinconia e ilarità,
di j’accuse e rassegnazione.
Il secondo autore scelto è Alessandro Banda, scrittore “di confine”, altoatesino, che
16
vive in un’area geografica in cui s’intrecciano varie lingue e culture. Da questo luogo ha
tratto ispirazione per La città dove le donne dicono di no: è un libro di trenta racconti,
ma è anche un romanzo nel senso che tutti i racconti sono collegati e parlano, da vari
punti di vista, della città immaginaria di Meridiano, simbolo di tutte le città, attraverso la
cui descrizione, l’Autore sceglie di scrutare la demenzialità della vita quotidiana.
Contrastanti i pareri dei lettori: “Lettura interessante, ma delinea un mondo lontano,
quasi “fantascientifico”; “ Banda è fantastico per lo stile, per l’uso fantasioso e azzardato
della lingua, delinea con ironia al limite della satira, un mondo di confine, chiuso e
arroccato”; “i racconti di cui si compone il libro, sono come tanti pezzi di un puzzle, che
potremmo ‘riscrivere’ per ritrarre altri mondi a noi più noti e scoprire che non sono poi
tanto lontani da quello che Banda racconta”; “una scrittura e uno stile freddi, che non
catturano il lettore”.
Abbiamo sperimentato la difficoltà a misurarci con il “diverso” inteso come luogo,
mentalità, abitudini, ma anche come stile narrativo, in un inevitabile faccia a faccia tra
Nord e Sud del nostro Paese, con un dibattito vivace e coinvolgente per tutti.
Oltre il confine con un libro-ponte
Il nostro “andare” ci ha condotto a “varcare il confine” scegliendo una nuova lettura:
È Oriente di Paolo Rumiz, un libro-ponte e nello stesso tempo “viatico” verso altri
mondi.
È un diario di viaggio di uno dei più grandi reporter italiani che segue dall‘86 gli eventi
dell’area balcanica e danubiana, esperto del tema delle Heimat e delle identità in
Italia e in Europa. «Rumiz è viaggiatore che ama sentire gli odori, vedere, toccare,
parlare con le persone. E fa di questo suo viaggiare una condizione dello scrivere, una
necessità a cui non riesce a sottrarsi».
Le lettrici: “Tessera dopo tessera, come il formarsi di un mosaico, anche il nostro
leggere è stato un andare tra paesaggi tracciati e disegnati dalla penna di Rumiz, dove
il “prima” annuncia il “poi” in una continua scoperta”; “Rumiz mi piace perché è uno
scrittore che ama la lentezza e ama i mezzi di trasporto che gli permettono di avvicinare
le persone. La lentezza lo fa ‘piegare’ su cose e persone che prendono forma e colore.
Srotola sotto i nostri occhi un panorama culturale, storico politico attraverso le piccole
storie individuali che preannunciano la terra verso cui viaggia”; “ho trovato il libro di
Rumiz coinvolgente. La sua narrazione segue il ritmo del viaggiatore, privilegiando la
lentezza; viaggiare e narrare sono per lui tutt’uno”.
Il libro, con il suo fascino, ci ha fatto deviare per un sentiero laterale: quello della
17
voci dalla biblioteca
Mitteleuropa. Che cosa è la Mitteleuropa? Quali sono gli scrittori mitteleuropei? Si è
aperto un mondo.
La Mitteleuropa e gli scrittori mitteleuropei
Per 2.888 Km il Danubio si snoda verso il suo immenso delta sul Mar Nero attraverso
civiltà diverse che si riassumono nella civiltà mitteleuropea, realtà complessa, babele
linguistica, crogiuolo di culture ed etnie diverse di cui il comune denominatore è proprio
il fiume che attraversa cinque paesi e città come Vienna, la capitale degli Asburgo,
il cuore pulsante dell’Impero austroungarico, che raccoglieva sotto le sue ali popoli
diversissimi tra loro. Il termine Mitteleuropa fa il suo ingresso nel vocabolario tedesco
intorno al 1914 per opera di F. Neumann.
Vienna “dove era splendido vivere” ci dice Franz Werfel, era una città gaudente,
raffinata, cosmopolita, qui avevano confluito le varie correnti della cultura europea.
Dalle varie regioni dell’Impero, dalla Galizia, come dalla Bucovina, arrivavano a Vienna
menti brillanti, arricchendone la vita culturale e artistica: molti erano ebrei e alcuni
divennero punto di riferimento della cultura viennese e di Praga.
Dopo il 1918 molti scrittori rievocano il mondo di ieri, ordinato, sicuro, dignitoso,
trasfigurandolo poeticamente e cercandovi rifugio dall’insoddisfazione di un presente
caotico dove è stato stravolto l’ordine delle cose. Questi scrittori che si erano formati
nell’impero d’Austria, nel regno d’Ungheria, di Boemia, partono dall’esperienza
drammatica del crollo di tutto un mondo, cui è seguito lo smarrimento, il disorientamento,
il vuoto; per molti si è aperta la via dell’esilio, esperienza divenuta uno dei temi centrali
di questi scrittori, esilio dalla patria ed esilio da tutte le certezze. Alcuni esempi: Stefan
Zweig (Il mondo di ieri); Joseph Roth (Ebrei erranti); Robert Musil (L’uomo senza
qualità).
Di questo mondo abbiamo scelto di leggere Joseph Roth (La Cripta dei cappuccini)
e Sándor Márai (Le braci).
La cripta dei cappuccini, del 1938, è la metafora letteraria di una tragedia antropologica:
l’annullamento dell’identità culturale austriaca, il crollo della società nella quale essa
si produce, e la quasi speculare crisi di individualità esistenziale. Di Sándor Márai
il gruppo ha scelto di leggere Le braci, un romanzo che spinge a riflettere su alcuni
grandi temi dell’esistenza: l’amore, l’amicizia, la vecchiaia, i rapporti tra le persone che
rimangono tenaci anche dopo molti anni.
Qualcuno conosceva già gli autori, ormai dei classici, per altri si è trattato di una
scoperta. Quasi tutti, per quella forza propulsiva che un libro bello produce, sono
andati individualmente a leggere La Marcia Radezsky, Fuga senza fine, Giobbe, ed
altri romanzi di Roth; La donna giusta, L’eredità di Eszter, La sorella di Márai.
18
Ma, ancora una volta, sono stati gli autori stessi e i loro libri a guidarci verso altre
scelte. Ci siamo domandati: «quali sono gli scrittori di origine ebraica, le voci importanti
nella letteratura del nostro Paese?» Siamo andate a documentarci.
Scrittori italiani di origine ebraica di ieri e di oggi
Molti scrittori italiani del dopoguerra sono di origine ebraica. Fra i più importanti
cresciuti nel Ventennio: Alberto Moravia, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Primo
Levi, Giorgio Bassani. Scrittori molto noti, quindi, dei quali avevamo letto almeno un
libro. L’esperienza del fascismo, delle leggi razziali, dell’occupazione nazista con le
deportazioni, hanno fatto maturare la loro coscienza umana e artistica che ha dato vita
ad altissime espressioni della condizione dell’uomo nel periodo della dittatura e della
guerra. Pensiamo a Gli Indifferenti, La Storia, Le piccole virtù, Se questo è un uomo, Il
giardino dei Finzi Contini: libri bellissimi.
Nel corso degli anni ’80 si spegne la loro generazione, ma non la letteratura italoebraica, presente anche oggi.
Il nuovo orientamento ha assunto spesso anche una dimensione religiosa che ha
indotto scrittori come Moni Ovadia ed Alain Elkan a riflessioni etico-filosofiche nei loro
testi sulla tradizione ebraica.
Appartengono invece alla generazione che si è affacciata negli anni ’80: i fratelli
Pressburger, di origine ungherese, sicuramente fra le voci più autentiche; sempre
dall’Ungheria era arrivata Edith Bruck, sopravvissuta ad Auschwitz da bambina. Gli
scrittori di origine ungherese, provenienti da un’area geografica di radicate tradizioni
linguistiche, hanno avuto problemi di scelta della lingua in cui esprimersi: ungherese,
yiddisch, o tedesco? Queste erano le lingue che si parlavano nella loro “geografia” fin
dai tempi dell’Impero austroungarico. Il problema si è ripresentato anche a coloro che
sono emigrati: per i fratelli Pressburger, e per Edith Bruck, la lingua scelta è l’italiano.
Cambiamento non da poco, che comporta varie metamorfosi per lo scrittore, con esiti
diversi: perdere o rafforzare la propria identità.
Molti scrittori ebrei sono invece giunti in Italia in fuga da altri paesi, dalla Siria, dalla
Turchia, dalla Libia; fra questi, Miro Silvera, e Viktor Magiar; Marina Giarre è arrivata
dalla Lettonia, Elena Janaczeck è di origine tedesca.
Sono presenti anche scrittori che appartengono alle varie comunità ebraiche in Italia:
Lia Levi a Roma, Stefano Jesurum a Milano, Alain Elkan, Elena Loewenthal a Torino,
per citarne alcuni.
La scrittura italo-ebraica che è certamente di grande attualità per il suo carattere multietnico
e multiculturale, in noi ha generato curiosità ed esercitato attrazione. La scelta è caduta
su Edith Bruck, ebrea ungherese che sopravvissuta da bambina ai campi di sterminio,
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voci dalla biblioteca
dopo varie peregrinazioni è approdata in Italia, e ne adotta la lingua.
Quanta stella c’è nel cielo, il romanzo scelto. Il titolo non è un errore, è il primo verso
di una ballata amara del grande poeta ungherese Sándor Petőfi. Quei versi sono tra
le poche cose che Anita, la protagonista del romanzo, porta con sé assieme a molti
ricordi laceranti. Protagonista, assieme ad Anita, è un’umanità dolente e multietnica
alla ricerca di una nuova esistenza. Nel libro, la diversità linguistica è presente come
‘barriera’ che impedisce la comunicazione, ma la lingua è percepita anche come
simbolo di identità. Nel suo viaggio verso la “liberazione”, Anita dice: «spaventata
all’idea di perdere la mia lingua, sarei quasi quasi tornata indietro». Fanno da sfondo
alla vicenda di Anita, paesaggi già noti: la numerosa presenza ebraica, la mescolanza
di lingue ed etnie nei territori che la ragazza attraversa; è stato come ritornare a La
cripta dei cappuccini o al libro di Rumiz È oriente.
Le lettrici:
“Questo libro mi ha fatto cogliere i ‘fili’ che legano un libro ad un altro, e leggerlo mi
è sembrato un muoversi avanti e indietro lungo la linea del tempo in una scoperta
continua”. “La Bruck, attraverso una narrazione intensa e coinvolgente, in cui gioca
un ruolo importante lo stile e il linguaggio estremamente realistico e poetico insieme,
non intenzionalmente, porta il lettore a riflettere su uno scenario più ampio, quello della
formazione dello Stato di Israele, in un’area che dal secondo dopoguerra ad oggi, non
ha ancora conosciuto la pace, tema di scottante attualità”. “Il libro, dice un’ altra lettrice,
ci ha fatto pensare al mondo di oggi, dove ci troviamo a vivere con tante persone
provenienti da Paesi diversi con lingue e culture ‘altre’ dalla nostra e alle difficoltà ad
accogliere e a comprendere il ‘diverso’”.
Una svolta nel nostro cammino
Quanta stella c’è nel cielo ha segnato una svolta verso l’universo femminile, filo
conduttore delle nostre letture dall’autunno 2010 a giugno 2011.
Prima di salutarci decidiamo di accogliere le proposte di lettura di tutti: per dare spazio
alle diverse passioni. Scegliamo: L ‘ultima estate di Cesarina Vighi, (premio Campiello
2009), un esempio di letteratura che si fa terapia, per l’anima e per il corpo sofferente
e rinchiuso nella gabbia della malattia. Quello di Cesarina Vighi è il miracolo di chi
racconta il proprio dolore senza renderlo davvero protagonista, grazie a una prosa
pervasa di ironia, uno stile rapido, quasi di cronaca o di diario.
Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi è la lettura che scegliamo di condividere per
l’autunno a venire. Rimane il desiderio di ritrovarci, perché ci sentiamo un po’ “gruppo”.
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Un anno al femminile: settembre 2010 - giugno 2011
A settembre, al Festivaletteratura di Mantova, due lettrici incontrano Azar Nafisi, che
parla di Leggere Lolita a Teheran e del suo seguito Le cose che non ho detto. Nell’
affrontare il tema della scrittura, la Nafisi la tematizza secondo due prospettive: la
prima, rompere il silenzio che si raccomanda nella cultura persiana sulla sfera privata
e sui vissuti emozionali; la seconda, scrivere in una lingua diversa da quella materna.
Quando si scrive in una lingua straniera, si mantengono le radici e lo spirito della
propria lingua e si mescolano a quelle della nuova lingua e cultura, creando un
linguaggio sorprendente e più ricco.
Raccontare per “fare memoria”, testimoniare ciò che è accaduto perché non si perda:
perciò ci piace ricordare la citazione di Czesław Milosz dalla prima pagina del libro :
«A chi raccontiamo ciò che è accaduto sulla terra, per chi sistemiamo ovunque specchi
enormi, nella speranza che riflettano qualcosa e non svanisca?»
E Nafisi racconta dell’Iran al tempo della rivoluzione di Khomeini, di un seminario
semiclandestino di letteratura tenuto nella sua casa, per due anni, a sette giovani
donne, che in quel luogo si concedono il lusso di togliersi veli e chador. Così le ragazze
apprendono, nell’immenso carcere di Teheran, che cosa è la letteratura. Apprendono
di essere in quanto donne, le vittime a cui è stata confiscata l’esistenza e che le
dittature si assomigliano tutte nel degradare le persone.
Irrompe nelle nostre discussioni il tema della libertà individuale e della condizione
delle donne nel matrimonio e non solo. Infine le domande che percorrono il libro sono
diventate di riflesso le domande da porre a noi stesse: «Perché leggere romanzi? Che
rapporto c’è tra finzione letteraria e realtà?»
Dall’Iran della Nafisi, siamo tornate in patria, o meglio in Europa. Abbiamo scelto una
scrittrice che a lungo ha parlato della scrittura e della donna: Virginia Woolf e il suo
libro Una stanza tutta per sé.
Le lettrici:
“Mi ha interessato il contrasto tra il ruolo marginale delle donne nei secoli, descritto
dalla Woolf e i grandi ruoli femminili nei romanzi, nelle tragedie greche, nei melodrammi
sempre scritti da uomini”. “Ho amato molto questo titolo, la stanza tutta per sé, in cui
scrivere, leggere, pensare. Ho trasferito il suo poter scrivere al mio poter leggere in
pace, in solitudine in un luogo tranquillo. Anche oggi poterlo fare è un privilegio che
richiede tempo, spazi, e libertà”.“In un punto del saggio si paragonano le donne a
specchi: ‘Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi del potere magico e
delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni
normali’”. Ciò implica l’importanza del giudizio femminile per l’uomo, un giudizio
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voci dalla biblioteca
negativo se rimpicciolisce l’immagine, l’uomo mal sopporta di venire criticato da una
donna ed è per questo che non le si dà voce; ciò ci riporta al libro di Azar Nafisi sulla
condizione della donna in Iran”. “È lungimirante la Woolf e precorre i tempi quando si
rivolge alle donne dicendo di non imitare l’uomo, ma di esprimere se stesse. È aperta
a ogni genere di scrittura e argomento: ‘Perché i libri hanno un modo tutto proprio di
influenzarsi a vicenda. Il romanzo migliorerà molto dallo stare guancia a guancia con
poesia e filosofia’”.
Dall’Inghilterra alla Francia, negli anni dell’occupazione nazista. Abbiamo letto Suite
francese e Il ballo della scrittrice francese di origine ebraica, Irène Némirovsky. Suite
francese, scritto nel 1940-’41 prima che la scrittrice fosse deportata ad Auschwitz,
dove morirà nel 1942, è stato pubblicato postumo in Francia nel 2004 e in Italia nel
2005 da Adelphi. Abbiamo letto insieme Il ballo un breve racconto di cui si riportano
alcune annotazioni: “Splendido racconto di un’adolescenza inquieta”; “un piccolo
capolavoro, profondo nel contenuto, perfetto nella forma”.
In questo secondo anno, il nostro viaggio è stato caratterizzato da un girovagare per
l’Europa da est ad ovest alla ricerca di scrittrici e di libri non comuni come il premio
Nobel per la letteratura Herta Müller, di cui abbiamo letto Il paese delle prugne
verdi. La Müller è un’importante scrittrice della Germania, ma proviene dall’enclave
germanofona del Banato Rumeno che lascia nel 1987. Nel libro racconta la Romania
degli anni ’80 al tempo della dittatura di Ceausescu, un paese pervaso dal terrore e
dalla morte. Sopravvive l’amicizia che si annuncia nei versi di Gellu Naum fin dall’incipit:
«Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola / Così è infatti con gli amici dove
il mondo è pieno di terrore».
Il paese delle prugne verdi ha fatto molto discutere
“Il libro è spietato e di impatto molto duro, lo stile scelto dalla Müller è frammentato con
salti temporali improvvisi e sconcertanti, ampio è l’uso della metafora, crude le immagini,
ma altamente poetiche”. “Ci comunica la sensazione di un paese di morte: campagne
polverose, campi di girasoli anneriti, dormitori di studenti, tram dal pavimento bucato,
parchi incolti”. “La forza della scrittrice sta nel farci toccare quasi con mano una realtà a
noi estranea o parzialmente nota per sentito dire, lo stile scelto è estremamente efficace
anche se non facile per chi si accosta la prima volta. “Questo libro mi ha fatto male, mi
sentivo come se le parole mi venissero addosso e mi pungessero, è più forte di un film:
qui le immagini ossessive vengono fuori da un immaginario che ritrae però la realtà”.
“Certamente l’aspetto del linguaggio è molto importante e lo si potrebbe definire con
la parola ‘frammentazione’ che rimanda alla frammentazione della persona ad una
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specie di destrutturazione dell’individuo da parte della dittatura”. “La prosa poetica di
questo libro, procede per immagini non sempre decifrabili, ma che tuttavia si dipano
man mano che si procede nella lettura. Rende bene l’atmosfera di un paese dove
‘tutto doveva diventare altro’ se si voleva sopravvivere”. “È un libro che va letto con
calma e nel tempo giusto, altrimenti respinge e sconcerta. L’incedere delle frasi è
spigoloso, spezzettato, ossessivo. La narrazione presenta salti temporali e cambio
continuo di registro narrativo: prima, terza persona. Atmosfere senza un preciso punto
di riferimento spaziale”. “Per me la difficoltà è derivata proprio dallo stile, ho preso il
libro in mano varie volte e altrettante l’ho lasciato”.
Ancora una sosta in Ungheria, con un amore a prima vista: Magda Szabó, una delle
più grandi scrittrici ungheresi del ’900, premiata negli USA per il romanzo La porta e
Via Katalin; abbiamo letto e commentato il secondo.
Via Katalin è l’opera più corale di Magda Szabó, un romanzo di grande suggestione,
che coinvolge il lettore nella dolente nostalgia del ricordo e dei sogni non realizzati.
«Perdere la giovinezza è terribile, non per ciò che viene tolto, ma per qualcosa
che vien dato. Non è la saggezza, né la serenità, né la lucidità, né la pace. È la
consapevolezza che l’insieme si è dissolto» scrive Magda Szabó.
Le lettrici:
“La struttura del romanzo è polifonica, si passa dalla terza persona del narratore (una
sorta di voce fuori campo), alla prima persona dei vari personaggi che di volta in volta,
raccontano la loro versione dei fatti”. “È un romanzo fortemente evocativo, in cui viene
rappresentata una realtà dell’infanzia fatta di legami e sentimenti, una realtà che
dà sicurezza e viene continuamente evocata nel corso delle vicende che cambiano
profondamente la vita dei protagonisti”. “Le vicende storiche intervengono nella vita
dei vari personaggi, frantumando il loro mondo le loro relazioni, nessuno di loro sarà
più lo stesso […] cambia il loro carattere, cambiano i loro rapporti, ognuno è come se
fosse in fuga continuamente dalla realtà per tornare al mitico mondo di Via Katalin, il
mondo della nostalgia, una specie di paradiso perduto; la narrazione appare come un
affresco circolare dove sono presenti sia i vivi che i morti”.
Scrive infatti la Szabó: «Ormai sapevamo che la differenza tra i morti e i vivi è solo
qualitativa, non conta granché e sapevamo che a ciascuno tocca un solo essere
umano da invocare nell’istante della morte».
Questa scrittrice non è ancora particolarmente nota in Italia, di lei abbiamo letto
individualmente altri suoi romanzi fra quelli tradotti in italiano: La porta, L’altra Eszter,
La ballata di Iza.
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voci dalla biblioteca
Si viaggia si viaggia, si incontrano altri mondi, ma c’è il momento in cui si sente il
bisogno di tornare a casa…
Dopo questo bel libro che ha appassionato tutti, la voglia di conoscere qualche scrittrice
italiana contemporanea, pescando tra quelle più promettenti; ma si è anche affacciata
per la prima volta nel gruppo una domanda, che era anche un desiderio: perché non
leggere o rileggere i classici? Abbiamo coltivato questa aspirazione con l’aiuto di
Calvino e il suo Perché leggere i classici e per pensare a un possibile itinerario per
un prossimo futuro.
Prima dell’estate volevamo completare il nostro viaggio al femminile ed ecco Sirene
di Laura Pugno, (premio Stephen Dedalus) che nonostante la critica favorevole, non
ha “toccato le corde” del gruppo. Ambientato nel mondo di Underwater, città sotto
l’oceano, il libro è a metà tra favola e fantascienza e delinea un mondo sotterraneo
marino, dopo una catastrofe che ha reso la terra inospitale per l’uomo.
Le lettrici:
“Da un lato mi ha emozionato, dall’altro mi ha respinto, tuttavia l’ho letto. Credo che il
genere possa piacere ai più giovani, ad esempio è piaciuto moltissimo a mia figlia che
ha quindici anni e ama i cartoni giapponesi a cui la storia un pò si ispira. Il libro mi ha
comunicato una visione catastrofica del mondo, dove la yacuza, la mafia giapponese,
sfrutta i deboli, gli indifesi, i diversi, simboleggiati dalle Sirene, non più figure mitiche,
ma esseri usati come cibo prelibato o come animali da monta”. “Il mondo rappresentato
è disumano, privo di sentimenti, forse non così distante da quello attuale, tuttavia mi ha
sorpreso che una scrittrice giovane abbia fatto ricorso a questo tipo di rappresentazione
per raccontare un possibile futuro”. “Ho interpretato la narrazione come una specie di
allarme ecologista, una sorta di parabola della nostra Terra, dove il sole, di solito fonte
di vita, è qui fonte di morte”.
“Mi ha impressionato l’assenza di sentimenti, il ‘Potere’ che controlla tutto e tutti, il
denaro come unico valore”. “Forse ho apprezzato lo stile, la lingua, perché rivestono
un ruolo importante nel rappresentare il mondo di Underwater immaginato da Laura
Pugno”.
Da un mondo futuro, ad uno del passato, atavico, affascinante come meglio non
poteva raccontare la penna di Michela Murgia nel suo libro Accabadora, ambientato
nella Sardegna degli anni ’50 (premio Campiello 2009). La Murgia ha commentato:
«Accabadora esprime il mio sguardo sul mondo, è un doppio sguardo, sulle cose serie
e su quelle divertenti. Forse è un segno di schizofrenia o di eclettismo».
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Le lettrici:
“Romanzo da leggere prima col cuore poi con la testa. Una narrazione stilisticamente
eccellente che offre l’immagine di un mondo chiuso, isolano, in cui i gesti hanno una
ripetitività ancestrale”. “Il racconto unisce mondo arcaico e attualità (l’eutanasia che
attraversa il mondo occidentale) con sullo sfondo una questione etica, tra le più delicate
che la modernità abbia prodotto“. “Mi ha sorpreso; uno stile che ci riporta indietro in
una Sardegna atavica. Mi ha colpito per come è trattato il tema della maternità e il
rapporto madre-figlia. La vita e la morte sono presentate quasi come necessità e dono.
I temi e la lingua rendono questo libro molto intenso”. ”Ho trovato nel libro una grande
‘pietà’, mi sono piaciuti i temi trattati e lo stile scelto per raccontarli. Interessante il
rapporto tra le varie figure femminili e quello con la vita e con la morte”. ”Le figure forti
sono quelle femminili, quelle maschili sono meno significative, dipendenti con varie
modalità dal mondo femminile; ho trovato questo libro molto intenso, comunica una
grande forza che può venire dal mondo femminile”.
Che cosa poteva esserci in comune tra Accabadora, la Sardegna di Michela Murgia, e
La vita accanto di Mariapia Veladiano, con sullo sfondo la provincia veneta? Molto
in realtà: l’importanza attribuita alle figure femminili, quelle maschili sfocate e sbiadite,
l’attualità dei temi trattati, una lingua e uno stile impeccabili in entrambi i libri.
La vita accanto (premio Calvino 2010) è la storia di una donna abituata a «esistere
sempre in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo».
Le lettrici:
“ In un mondo che propone ossessivamente canoni di bellezza esteriore, è coraggioso,
da parte della Veladiano, aver scelto come protagonista una bambina brutta che
tuttavia nasconde una grande bellezza interiore”. “Il libro è semplice solo in apparenza,
in realtà rivela complessità nell’intrecciarsi dei sentimenti, delle vite delle persone che
interagiscono con Rebecca, la protagonista, e che l’aiutano nella rilettura della propria
vita. La musica è l’altra grande protagonista, che diventa la voce di Rebecca, con la
quale spera di raggiungere la madre, sempre chiusa nella sua stanza. Anche la musica
fa parte del libro come fonte di riscatto e di liberazione”.
E i classici?
Non ci saremmo aspettate che Elisabeth von Arnim (Sidney 1866, USA 1941) fosse
la scrittrice preferita di Mariapia Veladiano (così ha dichiarato in un’intervista dopo
aver vinto il premio Calvino nel 2010). Il giardino di Elisabeth è stato oltre che una
piacevolissima lettura, anche un libro-ponte verso i grandi classici del ’900. Ancora
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voci dalla biblioteca
un libro al femminile che conclude un ciclo e apre la strada ad un altro, quello sui
classici. La von Arnim, donna anticonformista e cosmopolita, nata in Australia, studia
in Inghilterra, si sposa in Germania e vive tra Berlino e la Pomerania; vedova, conduce
la sua vita tra Inghilterra, Francia, Svizzera e infine Stati Uniti.
Certamente una vita non comune data l’epoca; la scrittura è inizialmente per lei un
“rifugio”, diventa poi una vera e propria professione: la scrittrice rivela una grande
abilità nel tratteggiare un mondo dominato dall’ipocrisia e dalle convenzioni sociali,
mette in discussione i fondamenti della cultura borghese di inizio ’900 e lo fa con
leggerezza e ironia. Sapiente la sua tecnica narrativa, degna dei grandi narratori del
’900. È una donna consapevole della mancanza di “potere” femminile in un mondo
dominato dagli uomini.
Una lettrice:
“Mi è piaciuto il libro di Elisabeth von Arnim, ho pensato al ‘giardino’ come ad un luogo
privilegiato, una sorta di ‘stanza tutta per sé’, in cui pensare, leggere, scrivere. Accanto
alla cura delle piante, c’è anche la cura di sé come donna, come scrittrice”.
Come in altre occasioni, siamo andate individualmente alla scoperta di altri suoi
romanzi: Vera, Un’estate da sola, Il padre, La storia di Cristine, Sally, Lettera di una
donna indipendente.
Siamo arrivati a giugno 2011: è il momento di salutarci. Ma prima facciamo un bilancio
e un progetto per l’autunno.
Il bilancio:
“Il gruppo mi ha permesso di avere maggiori strumenti per approfondire la lettura
e vorrei proseguire su questa strada”. “C’è coesione e dinamismo nel gruppo, che
ha trovato un “linguaggio comune”. “Il gruppo di lettura ha creato un legame che è
presente anche nel quotidiano quando ciascuno legge individualmente e sente di
avere un ‘luogo’ in cui potrà confrontarsi”.“Abbiamo imparato ad ascoltarci, a rispettare
la diversità delle opinioni, ad arricchirci di idee a cui non avevamo mai pensato”.
“Da qualche parte ho letto un’espressione che mi è piaciuta – dice una lettrice – ‘ci
vuole orecchio’, il gruppo di lettura come prova di ascolto e dialogo, la lettura come
esperienza co-creativa”.
Ritornano alla nostra mente le parole di Ezio Raimondi, che nel suo Un’etica del
lettore, scrive: «leggere è anzitutto un percepire dello sguardo e dell’udito, un indugio
sui suoni e sui colori della parola, ma proprio questa esattezza d’osservazione nella
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materialità del testo, […] schiude una trama di senso e implica sempre un’esplorazione
dell’invisibile, in un’avventura congiunta della sensibilità e del pensiero”. E ancora “per
Bachtin la comprensione equivaleva ad una ‘co-creazione’ e a volte anche a una
‘lotta’, con un’attitudine acuita a sperimentare nella parola altrui la propria energia di
raffronto e di invenzione, tanto più creativa e vitale quanto più rispettosa del segno
inviolabile della diversità».
Settembre 2011. Si riparte con i classici del ’900
Ma questa è una nuova storia.
In qualità di conduttrice, ringrazio lettrici e lettori, “compagni di viaggio” per la passione,
l’entusiasmo, la generosità date al gruppo, permettendo a tutti di arricchirsi e di
crescere.
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voci dalla biblioteca
Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico
> Isa Valbonesi
I pensieri vengono a me, non sono più un’estranea per loro.
Cresco e divento la loro dimora come un campo coltivato.
Hannah Arendt
Sono una voce dalla biblioteca. Ho promosso,
animato e coordinato il gruppo di lettura di testi
filosofici, attualmente, al suo secondo anno di
attività; un gruppo che potremmo, ormai, definire
storico; un’esperienza singolare insieme ad
un gruppo di adulti; un gruppo eterogeneo per
anagrafe, genere, strumenti di base e, tuttavia,
tenuto insieme dalla curiosità di conoscenza
senza pregiudizio. Sperimentavo, dopo aver, per
oltre quarant’anni, insegnato a studenti liceali, che
quella forma di sapere, la filosofia, poteva essere
partecipata anche a persone completamente
digiune perché, come insegna Platone nel
Menone, ciò che veramente conta è assumere
la responsabilità dei propri ragionamenti per
Raffaello, Madonna col bambino
scambiare opinioni con altri in un’atmosfera di
(1498)
reciproco rispetto, al fine di affrontare i problemi
per, possibilmente, risolverli.
Mi soffermerei, allora, innanzitutto, sul titolo che ho inteso dare a questa mia
conversazione: “Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico”.
Il titolo di per sé sottende i tre concetti guida che hanno animato l’esperienza del
gruppo di lettura e di studio di testi filosofici.
Innanzi tutto intrecciare filosofia e vita, filosofia ed esistenza per pensare non sulla
vita ma con la vita; poi coltivare il pensiero, prendersene cura, essere giardinieri di
humanitas; e infine, propriamente, leggere come esercizio dianoetico, esercizio che
attiene alla virtù, cioè ai vari modi con i quali l’anima, la coscienza, la complessa
interiorità umana si muove verso la luce. Il termine dianoetico appartiene al lessico
concettuale aristotelico e riguarda, in quell’ambito, arte, scienza, intelletto, saggezza,
sapienza, che sono attività teoretiche, cioè attività riflessive, le più alte; la sapienza, in
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particolare, è la più alta di tutte.
La lettura è, in questo senso, esercizio dianoetico, cioè esercizio virtuoso perché aiuta
a coltivare il pensiero e permette a ciascuno di essere giardiniere di sé e della comunità
di appartenenza perché quello che vale per la terra vale per l’educazione e la cultura nel
complesso la quale nasce e si preserva nel segno della disponibilità. Che cosa è infatti
la lettura se non relazione? Una bella citazione di James Joyce «non si sa mai di chi
si masticano i pensieri» suggerisce che esistono fili invisibili attraverso cui sentimenti
e riflessioni divengono comuni a esseri umani diversi, nel tempo e nello spazio. La
lettura pone, necessariamente, in relazione con l’alterità, implicando disponibilità ed è,
pertanto, un atto che riguarda l’etica personale, interpersonale e pubblica.
L’aver costituito un gruppo di lettura e di studio di testi filosofici in uno spazio della civica
biblioteca Gambalunga, l’essere insieme in un’interazione intenzionale è, di per sé, etica
pubblica. Un cittadino lettore che si confronta, che si confronta in dialogo, è una risorsa
per l’intera comunità perché mentre cresce in conoscenza acquista in coscienza.
«Meditare è un’occupazione potente e piena: io preferisco formare la mia anima
che arredarla» soleva dire Michel de Montaigne, un grande pensatore della prima
modernità, alludendo alla potenza e alla pienezza del meditare che al leggere è
strettamente connesso al fine di edificare la propria anima, gettarne le fondamenta,
non limitandosi a renderla gradevole in apparenza, ornarla in superficie, poiché l’anima
non ha bisogno di suppellettili, piuttosto di alimento.
Per fare ciò, per edificarsi insieme è necessaria la critica, l’esercizio kantiano della
distinzione come presagiva già Francis Bacon quando sosteneva che «alcuni libri
vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti». Poiché i libri sono creature
viventi, fragili, delicate e insieme forti, energetiche che parlano della vita e della
morte, del bene e del male, della luce e delle tenebre, della realtà e del sogno, delle
contraddizioni, dell’altro da sé, insomma della mirabile tragedia della vita.
Rammento le parole del poeta bolognese Roberto Roversi che in un’intervista di qualche
tempo fa, rievocando narrazioni, passioni e incontri intorno alla lettura, osservava «I
libri? Non moriranno mai. A me hanno salvato la vita». E aggiungeva il severo patriarca,
dall’alto dei suoi novant’anni, lui autore di poemi, di prosa civile, teatro, già conduttore di
una libreria antiquaria in Bologna, «ricordo tutti i libri della mia vita; i libri sono individui,
parlano, cantano, profumano, si muovono secondo il vento e le stagioni; quel che
rimpiango di più è non aver abbastanza forza nelle gambe per andare in una libreria,
aspirarne l’odore come quando si entra in un bosco, scaffali come alberi e libri come
foglie, perché i libri non sono corpi morti».
Pensare con la vita, coltivare il pensiero come istanza morale alla luce della ragion critica,
sono state le linee guida del gruppo di studio e di lettura di testi di donne filosofe.
Sì, abbiamo inteso dedicarci al pensiero al femminile, anche per contribuire a far
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voci dalla biblioteca
emergere dall’ombra del dibattito culturale intelligenze sensibili spesso tenute ai
margini con grave danno, comprensibilmente, per la cultura tutta; pensatrici che nel
loro tempo, il Novecento, hanno, con profondità, avvertito drammaticamente i confini
dei loro spazi personali, grandi intellettuali che sono state “cuori pensanti”, secondo
una bella definizione di una di esse, la spagnola Maria Zambrano, per esplorare il
bisogno di lògos intero tanto caro al pensiero al femminile e per chiarificare l’oscuro
secondo un’efficace espressione della filosofa svizzera Jeanne Hersch e ancora per
essere attori di libertà, sempre attraverso una nuova nascita, secondo la concezione
della tedesca Hannah Arendt.
Gli obiettivi programmatici dell’agire del gruppo sono stati pertanto molteplici e correlati.
Ne ricorderò alcuni, i più stringenti:
- Cogliere la potenzialità della filosofia come liberazione perché fornisce gli
strumenti necessari a illuminare i problemi e a formare giudizi.
- Avvertire la libertà come natura costitutiva della nostra esistenza e insieme, i
modi del suo esercizio quotidiano, etico, politico, intellettuale.
- Leggere criticamente il presente a partire dall’hic et nunc per capire che la
normalità ha problemi, che andare alla ricerca di senso significa mettersi in
gioco, esporre se stessi attraverso l’esercizio della domanda e la chiarificazione
del pensiero, talora paralizzato e murato in un’unica dimensione.
- Imparare che il dolore che non sempre è patologia può essere accolto e anche
trasformato in straordinaria energia.
- Promuovere una politica della soggettività come esercizio della mente e del
cuore, dell’intendere e del sentire; coltivare attenzione all’alterità e avere cura
della parola che è discorso ma che anche si rivela nella pausa e nel silenzio.
- Avvertire i pericoli del potere, sottrarsi alla tirannia delle cose, del loro possesso;
disimparare a servire perché ciò significa, come sostiene Montaigne, «imparare
a morire, impegno nobile delle nostre vite finite».
In particolare coltivare attenzione all’alterità e aver cura della parola, sottrarsi alla
tirannia delle cose, del loro possesso, disimparare a servire: questi mi sembrano
essere obiettivi di impegno che interrogano oggi le coscienze individuali e l’opinione
pubblica attenta, là dove ci si pone il problema di darsi una forma, un metodo, uno stile
per guardare e affrontare la vita.
Ancora una volta testi e autori lontani nello spazio e nel tempo vengono in soccorso.
Il tragico Sofocle esclama nell’Antigone, rappresentata in Atene nel 441: «Molte sono le
cose meravigliose, ma nessuna più meravigliosa dell’uomo; l’uomo inventore delle arti
ha vinto il mare e ha vinto la terra e gli animali e ha costruito case e città, e a se stesso
insegnò l’uso dell’agile pensiero espresso in aeree parole e l’impulso a ordinarsi in
città». E dirà Gorgia di Leontini, uno dei massimi sofisti: «Gran dominatrice è la parola
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che con piccolissimo corpo e invisibilissimo riesce a compiere divinissime cose».
Si legge nel Fedro di Platone «usando l’arte della dialettica e prendendo un’anima
congeniale vi si piantano e vi si seminano parole con scientifica consapevolezza. Le
quali sono sempre in grado di venire in aiuto a se stesse e a coloro che le hanno
seminate e non sono sterili, ma poiché racchiudono in sé un germe da cui nuove
parole germogliano in altre indoli esse sono capaci di rendere questo seme immortale
e rendono beato chi lo possiede, quanto può esserlo un umano». Usando l’arte della
dialettica socratica, seminando parole con scientifica consapevolezza, si contribuisce
a renderne immortale il senso e beato chi questo senso possiede. La parola in virtù
della consapevolezza e della beatitudine diviene terapeutica e salvifica. La parola che
salva è una parola consapevole, vitale. Sì, la parola uno dei problemi più grandi che la
cultura in generale e la filosofia in particolare, sono chiamate ad affrontare in questo
nostro tempo per dire con verità la vita, la storia, l’umanità delle donne e degli uomini.
Oggi, di fronte all’ “eclisse della parola”, si fa largo il bisogno di reimparare a parlare,
dopo la gran vertigine della violenza e dell’abuso si fa largo l’esigenza di rieducare
l’orecchio violentato dai suoni insensati delle chiacchiere e delle banalità.
Gianfranco Ravasi in uno dei suoi folgoranti breviari proponeva i versi di una ballata
della poetessa ebrea tedesca Nelly Sachs, Nobel 1964. I versi recitano «Se i profeti
irrompessero per le porte della notte / e cercassero un orecchio come patria, orecchio
degli uomini, ostruito d’ortica / sapresti ascoltare?» Ed egli annotava come le parole
profetiche, oracoli incandescenti simili a scintille che sprizzano dalle pietre percosse
incidano “ferite” nei campi delle abitudini impedendo l’assopimento sonnolento del
quieto vivere sfidando il potere.
La parola vera assume una valenza straordinaria nella costituzione della persona
come ha insegnato anche una pensatrice fra le più originali del secolo scorso, Maria
Zambrano che abbiamo imparato a conoscere un po’ all’interno del nostro gruppo.
La persona ha a che fare con il personaggio e la maschera che sono le forme del
suo oscuramento e sfiguramento. Il personaggio gioca con le parole, la maschera
ne nasconde il senso. Sono in agguato l’omologazione, la ripetizione, la passività, la
imitazione del costume dominante, gli idoli della società di massa.
Personaggio e maschera distruggono la persona e la democrazia, rendono molto
difficile la creazione della civitas hominis, alimentano la politica senza parola, la
menzogna del potere tirannico e populista, deprimono il linguaggio responsabile ed
esaltano, per lo più, il linguaggio amorfo dei media.
Accostarsi al sapere filosofico per imparare a conquistare la semplicità alta del
pensiero e della parola è stata la sfida del gruppo, mentre cresceva la consapevolezza
che la cultura non è possesso o consumo ma amore per il pensiero infinitamente
altro come insegna la pedagogia socratica. Socrate proclamò che è degna d’essere
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voci dalla biblioteca
vissuta quella vita che è sottoposta ad esame e ragionamento; perse la vita perché
fedele all’interrogazione critica. L’interrogazione critica preserva dalla confusione, dalla
passività, dall’assenza di rispetto per gli altri. Chi è educato a seguire il ragionamento
è una persona utile per la democrazia; incoraggiando la posizione attiva di ciascuno,
si promuove anche una cultura della responsabilità. Ed è più probabile che la
responsabilità delle proprie idee produca azioni responsabili.
Pertanto la cultura non è possesso o consumo ma amore per il sapere.
Tale significato della cultura è presente e chiaramente espresso nelle conclusioni di
un saggio recente della filosofa statunitense Martha Nussbaum «senza istruzione,
senza cultura non c’è progresso e non c’è democrazia. Il senso profondo della vita
appartiene al sapere disinteressato, alla conoscenza non necessariamente finalizzata
a obiettivi concreti”. “La lettura è un’arte; la lettura attiva allunga la vita» ha sostenuto
lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas nella sua lectio magistralis, in occasione
dell’assegnazione del premio Bottari Lattes, aggiungendo poi che «la sequenza
centrale di ogni lettura attiva contiene il gesto più profondamente democratico che io
conosca. È il gesto di chi sa aprirsi al mondo e alle verità relative dell’altro, alla sacra
rivelazione di una coscienza aliena. Se si esige talento da uno scrittore, si deve esigere
anche dal lettore. Perché il viaggio della lettura attraversa spesso terreni difficili che
richiedono tolleranza, libertà di spirito, capacità di emozioni intelligenti, desiderio di
avvicinarsi a un linguaggio differente da quello in cui siamo sequestrati». E poi ancora
«leggere, quando lo si fa con una lanterna propria, è difficile e appassionante quanto
scrivere. Sia chi scrive sia chi legge, pur intravedendo il fallimento, cerca la rivelazione
certa di ciò che siamo, la rivelazione esatta della propria coscienza personale, e anche
di quella dell’altro. È per questo che nulla più distrae dall’ineluttabilità della morte della
lettura attiva quando bandito il consumo passivo anche del leggere si coopera per
migliorare se stessi».
In un bel ricordo del grande poeta Andrea Zanzotto, Massimo Cacciari annotava che
“abitiamo il linguaggio non come una dimora assicurata, ma come ciò che sempre
ha ancora da venire, e che si fonda sull’abisso del proprio passato” e aggiungeva
che la parola è resistente «in forza della sua nobiltà simbolica che è l’energia che ci
costituisce e che costituisce la sola, vera essenza dell’umano».
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