Per alcuni leggere è fonte di grande ricchezza, per altri una perdita
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Per alcuni leggere è fonte di grande ricchezza, per altri una perdita
Per alcuni leggere è fonte didi grande Per alcuni leggere è fonte grande ricchezza, per altri una perdita ricchezza, per altri una perdita inutile didi tempo. Ma leggere è soinutile tempo. Ma leggere è soprattutto pensare, è collegare anima cioè può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di idee quegli prattutto pensare, è collegare idee esseri di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte immagini, emozioni, sensazioni, nostre, e si producono in noi; dacché tengonocon sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro con immagini, emozioni, sensazioni, eded è compiere unun percorso e l’intensità del nostro sguardo? E una volta parole... che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione parole... è compiere percorso è aumentata del decuplo, in cui saremo turbati dal suoMentre libro come da unun sogno, ma un sogno più chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più interiore. leggiamo buon interiore. Mentre leggiamo un buon duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi per un’ora tutti i beni e tutti i mali possibili; nella vita impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più romanzo, inaftti, generiamo invaromanzo, inaftti, invaintensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la lentezza del loro generiamo determinarsi ce ne toglie la percezione (così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo riabilmente un’identificazione con riabilmente un’identificazione con realtà muta, come certi fenomeni della natura, con lentezza sufficiente il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, instoria. fantasia; nella unun personaggio della Quella personaggio dellastati storia. Quella per contro la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già perchè, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi differenti, identificazione fafa sommare lala mia identificazione sommare mia meno interiore al mio corpo di quella vita deistoria personaggi, veniva poi, semiproiettato dinanzi a me, il paesaggio dove si svolgeva l’azione, e che esercitava alla sua, le sue emozioni alle storia alla sua,che le sue emozioni sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro, quello avevo sotto glialle occhi quando li levavo dal libro. Così, per due estati, nel calore del giardino mie, inin unun turbine emotivo nel quale turbine emotivo nel quale di Combray, ebbi, a causa del libro che allora mie, leggevo, nostalgia d’un paese montuoso e fluviale, dove avrei potuto vedere molte segherie, e dove, nel il lettore è parte attiva. Il Il termine il lettore è parte termine fondo dell’acqua chiara, dei pezzi di legno marcivano sotto ciuffiattiva. di crescione; non lontano s’arrampocavano, lungo dei muri bassi, grappoli di fiori viola e “biblioterapia”, dada pochi rossastri. E come il sogno d’una donna che m’avrebbe amato coniato era anima cioè può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di quegli esseri “biblioterapia”, coniato pochi anni, viene sempre più usato vari di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte nostre, e si con producono anni, viene sempre più usato con vari in noi; dacché tengono sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo Tra i etanti indica l’utilizzo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità delsignificati. nostro respiro del nostro sguardo? E una volta che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui, significati. Tra i l’intensità tanti indica l’utilizzo della lettura strumento didi come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione ècome aumentata del decuplo, in cui saremo turbati dal suo libro come da un sogno, ma un sogno più della lettura come strumento chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi per un’ora tutti i beni e tutti i mali possibili; nella vita impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più intensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la lentezza del loro determinarsi ce ne toglie la percezione (così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, in fantasia; nella realtà muta, come certi fenomeni della natura, con lentezza sufficiente perchè, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi stati differenti, per contro la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata). Già meno interiore al mio corpo di quella vita dei personaggi, veniva poi, semiproiettato dinanzi a me, il paesaggio dove si svolgeva l’azione, e che esercitava sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro, quello che avevo sotto gli occhi quando li levavo dal libro. Così, per due estati, nel calore del giardino di Combray, ebbi, a causa del libro che allora leggevo, nostalgia d’un paese montuoso e fluviale, dove avrei La Biblioteca è anche… i libri che leggiamo Per alcuni leggere è fonte didi grande Per alcuni leggere è fonte grande ricchezza, per altri una perdita ricchezza, per altri una perdita inutile didi tempo. Ma leggere è soinutile tempo. Ma leggere è soprattutto pensare, è collegare anima cioè può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di idee quegli prattutto pensare, è collegare idee esseri di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte immagini, emozioni, sensazioni, nostre, e si producono in noi; dacché tengonocon sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro con immagini, emozioni, sensazioni, eded è compiere unun percorso e l’intensità del nostro sguardo? E una volta parole... che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione parole... è compiere percorso è aumentata del decuplo, in cui saremo turbati dal suoMentre libro come da unun sogno, ma un sogno più chiaro di quelli che facciamo dormendo, e che avrà più interiore. leggiamo buon interiore. Mentre leggiamo un buon duraturo ricordo, allora eccolo scatenare in noi per un’ora tutti i beni e tutti i mali possibili; nella vita impiegheremmo anni a conoscerne alcuni, e i più romanzo, inaftti, generiamo invaromanzo, inaftti, invaintensi non ci sarebbero mai rivelati, perchè la lentezza del loro generiamo determinarsi ce ne toglie la percezione (così il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo riabilmente un’identificazione con riabilmente un’identificazione con realtà muta, come certi fenomeni della natura, con lentezza sufficiente il più grande dolore; ma noi non lo conosciamo che nella lettura, instoria. fantasia; nella unun personaggio della Quella personaggio della storia. Quella perchè, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi stati differenti, per contro la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata). 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E come il sogno d’una donna che m’avrebbe amato coniato era anima cioè può assimilare. Che importa quindi che le azioni, le emozioni di quegli esseri “biblioterapia”, coniato pochi anni, viene sempre più usato vari di nuova natura ci appaiono come vere, dacché le abbiamo fatte nostre, e si con producono anni, viene sempre più usato con vari in noi; dacché tengono sotto la propria dipendenza, mentre voltiamo significati. Tra i tanti indica l’utilizzo febbrilmente le pagine del libro, la rapidità del nostro respiro nostro sguardo? E una volta che lo scrittore ci ha messi in questo stato, in cui, significati. 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Già meno interiore al mio corpo di quella vita dei personaggi, veniva poi, semiproiettato dinanzi a me, il paesaggio dove si svolgeva l’azione, e che esercitava sul mio pensiero un influsso ben più grande dell’altro, quello che avevo sotto gli occhi quando li levavo dal libro. Così, per due estati, nel calore del giardino di Combray, ebbi, a causa del libro che allora leggevo, nostalgia d’un paese montuoso e fluviale, dove avrei Biblioteca Civica Gambalunga 2011 Testi Oriana Maroni Voci dalla Biblioteca pag. 3 Lorella Barlaam Erotica ed etica della lettura 5 Giuliana Merlini Il gruppo di lettura come luogo di incontro, di dialogo, di relazioni, di cultura 15 Isa Valbonesi Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico 28 Taccuino pubblicato in occasione di Biblioterapia. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri, 2011 Le figure del male Sala del Giudizio - Museo della Città 15 ottobre - 10 dicembre 2011 A cura di Oriana Maroni Comunicazione Lorella Barlaam Ufficio stampa Emilio Salvatori Segreteria Patrizia Bebi, Anna Mazzavillani, Grazia Tonni Amministrazione Cesare Novara, Anna Morri Redazione web Cesare Banducci, Silvia Renzini Assistenza grafica Nadia Bizzocchi Assistenza tecnica Maurizio Fantini Contributi Patrocinio Progetto grafico e impaginazione Colpo d’occhio Stampa Cooperativa Cento Fiori Finito di stampare dicembre 2011 Voci dalla Biblioteca > Oriana Maroni Ha quattro secoli la Biblioteca Gambalunga, e molte storie da raccontare che qui vivono dentro le sue carte e i suoi libri, che come in un “gabinetto magico” di “spiriti stregati”, si svegliano quando noi li chiamiamo. Fantasmi che tornano a vivere solo in quanto un essere vivo dà loro voce e vita. La suggestione viene dalle parole di Ezio Raimondi, il grande italianista amico delle biblioteche, frequentatore immaginifico dei labirinti piranesiani delle sue biblioteche interiori. Con l’austera sapienza della sua vita secolare, la Biblioteca lega memorie e immaginazioni, crea ogni giorno sinfonie di voci fra i viventi e gli uomini del passato, tesse legami sottili ma tenaci fra parole e esseri, fra scrittori e lettori, fra lettori e lettori. I libri legano e conducono verso gli altri. Sono una porta d’ingresso su altri secoli, su altri Paesi, ha scritto Marguerite Yourcenar. Nelle sue sale batte il cuore della città, ma nei suoi libri si spalancano anche gli affacci sulla civiltà del mondo. È per questo che la Biblioteca è parte della polis, anima della città, ma anche luogo custode del rapporto tra identità e differenza, un ponte fra i saperi e le persone. I lettori sono viaggiatori a cui la Biblioteca apre ogni giorno le sue porte, per offrire la sua ospitalità e per dar loro mappe che permettono di leggere più a fondo i testi, aprire strade verso altri libri, o varchi inediti in quelli noti, per aiutarli a coltivare il loro talento di lettori, che è la capacità di leggere con una lanterna propria e il saper coltivare la passione per i grandi dubbi, come suggerisce lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas. Ma «leggere bene» è anche «uno dei grandi piaceri che la solitudine può condurci» ed anche «il più terapeutico dei piaceri». L’osservazione è del grande critico letterario americano Harold Bloom. Da un libero conversare su lettura e scrittura, in una sala della Biblioteca, “sorvegliata” dallo sguardo di Santa Cecilia protettrice dei musicisti, in verità pittoricamente poco riuscita, è nata l’idea della “Biblioterapia”, il ciclo di conversazioni dedicate ai libri e alla lettura, che da tre anni la Biblioteca Gambalunga organizza. Il titolo fu idea di Marcello Di Bella, allora direttore della Gambalunga; il sottotitolo: “come curarsi (o ammalarsi) coi libri” di Piero Meldini, scrittore e direttore della Biblioteca prima di lui. La lettura, si pensò, è un pharmakon, e ripropone l’ambiguità del termine greco: medicina e insieme veleno, a seconda di come viene praticata, prima ancora che per effetto dei testi che ne sono oggetto. Può produrre conoscenza, piacere, trasformazione, o essere un mero esercizio di consumo, di assoggettamento al testo. Il critico letterario Alfonso Berardinelli voci dalla biblioteca ha ben chiarito che di per sé il libro non è un valore. «Lo è solo se vale. E nel caso presente di sovrapproduzione libraria i peggiori nemici dei libri che vale leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo a fatica di difenderci». Dopo avere attraversato memorie intellettuali, storie di letture e biblioteche interiori, ascoltato conversazioni che ci hanno parlato di scrittura e generi letterari, nel 2011 si è approdati a un’idea di lettura come “passione per i grandi dubbi”, confronto aperto con i diversi registri umani attraverso cui si compie la riflessione e la battaglia per trovare un senso e una direzione alla propria vita. In realtà questo ci appare solo un punto d’arrivo, per prepararsi ad altre partenze. Al nostro viator lasciamo dunque la possibilità di riascoltare il “giornale di bordo” scritto insieme ai nostri ospiti (http://www. bibliotecagambalunga.it), ma anche l’opportunità di sintonizzarsi sull’ascolto delle “voci dalla biblioteca”, vale a dire dei due gruppi di lettura, formati da “persone che leggono nello stesso tempo un libro” che si incontrano in Gambalunga, per scambiarsi la loro esperienza di lettura, ed insieme avventurarsi alla scoperta di nuovi libri e autori. La lettura lega, ma la lettura è anche ribelle e vagabonda, esige libertà; è una straordinaria forma di piacere, conoscenza e dunque un’occasione di trasformazione e cura. Assonanze, affinità elettive che legano per lasciarsi liberi, dunque. Ne parlano le due conduttrici Lorella Barlaam e Giuliana Merlini. C’è infine un terzo gruppo di persone che ha “casa” in Biblioteca. Ed è il gruppo ideato e condotto da Isa Valbonesi, che sperimenta il tentativo di accostarsi al pensiero filosofico per imparare l’esercizio del pensiero e della parola anche nella vita quotidiana. La filosofia come un “osare a sentire”, un esercizio per “cuori pensanti”, per usare le splendide definizioni di Maria Zambrano. Ci sono giorni in cui in Biblioteca pare cogliersi una percezione leggera di felicità, l’han lasciata quei lettori che han trovato «un po’ d’aria respirabile dentro i libri, la felicità di sentire che c’è ancora la possibilità di uno spazio in cui far andare l’immaginazione, per trafficare con l’insensato, lo stravagante, e quello che è messo ai margini delle nostre vite fatte di preoccupazioni, conti e disastri» (Rossana Campo). Quel brusio che ci giunge, forse significa che ne è nato un contagio. Etica ed erotica del lettore Verso un Gruppo di Lectura activa > Lorella Barlaam Hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frère! Charles Baudelaire, I fiori del male 1 − Il “venire al mondo” del lettore «Il libro è un dialogo […] un indirizzamento o un appello. Sotto la linea melodica del suo canto corre, ininterrottamente, il basso continuo del suo invito, della sua domanda, della sua ingiunzione o della sua preghiera: “Leggimi! Leggetemi!”» Così Jean Luc Nancy rivela quel richiamo struggente che, una volta ascoltato, mette al mondo di nuovo noi, Genti del Libro. Non si nasce lettori, infatti, ma alla lettura si nasce ed è in senso pieno una seconda nascita, che ci permette di agire nel mondo e contro il mondo. Ma sempre per amore del mondo. Jean-Baptiste Siméon Chardin, Il primo significato del lemma “lettura” sul Le Philosophe lisant (1734) vocabolario Treccani è “l’azione di leggere”. Un agire, eticamente orientato, che accoglie la responsabilità dell’incontro con l’altro da sé prendendosi cura delle sue parole, ri-costruendone il senso. Ma – e noi lettrici lo sappiamo bene! – la lettura è anche una passio che nasce dal desiderio e dalla mancanza, nel grembo delle prime storie che ci sono state lette e che diventa il rannicchiarsi smemorato nelle pagine di un romanzo divorato per sapere “come va a finire”. Imparare a leggere non è perciò, mai, soltanto un apprendimento. Certo: ogni lettura parte da una tecnica di decodificazione di segni dati secondo un certo codice e dall’operazione di decifrazione dei segni si arriva all’attività della decifrazione dei testi. E leggere “bene” diventa per antonomasia leggere un libro. E leggere libri (molti libri, tutti i libri che la Legge, la Moda o il Canone prescrivono) la via regia alla costituzione di una Cultura. Come se crearsi una Biblioteca – nello spazio o nell’interiorità – fosse un accumulare capitale, e non costruirsi una cassetta degli attrezzi per leggere (e J. L. Nancy, Del libro e della libreria, Cortina, 2006 voci dalla biblioteca vivere) sempre meglio. In comune con la nascita, riflette Luca Ferrieri, la lettura forse ha anche altri due elementi. La singolarità: come ogni nuovo nato, ogni lettura è irripetibile, un evento originario. E la fragilità, perché anche il venire al mondo di un lettore è sempre esposto al rischio d’un fallimento. Se non trova l’ambiente adatto, pieno di libri e intriso del loro valore, o magari di libri del tutto sguarnito, dove anzi tocca leggere di nascosto – un invito a fare esperienza della lettura come di un mondo opposto, come scrive Bichsel – oppure se non incontra l’iniziatore adatto, è destinata a non riuscire. E, come per ogni nascita, il “seme della lettura” viene da fuori, ma la gestazione «è interna alla mente e al corpo che legge». È per questo valore inaugurale che la passione della lettura non può essere oggetto di insegnamento: alla lettura si viene iniziati, da un aiutante che ci “presenta” questo strumento “magico”, che può essere anche un Gruppo, grembo di condivisione di letture singolari in cui il discorso si fa plurale e polifonico, e si diffonde per contagio. Un Gruppo di lettura, infatti, come la “scuola di lettura creativa” auspicata da George Steiner, può diventare l’iniziatore di quella “lettura ben fatta” che per Peguy è una «cooperazione letterale, una collaborazione intima, interiore» con il testo, ma anche «una suprema, eccelsa, sconcertante responsabilità». Perché al testo restituisce vita e ne costituisce il coronamento. Non è un caso, se il nodo ricorrente nell’attività del Gruppo sia la scelta del libro da condividere, al bivio tra testi complessi e percorsi strutturati – in nome di un’etica della lettura come formazione di sé e incontro con l’altro – e pagine più agevoli, per abbandonarsi alla passione, al piacere della lettura. E non è un caso che la scelta passi attraverso prese di posizione appassionate e conflittuali, che danno peso e valore a questa pratica che era al centro del farsi del sapere nel mondo occidentale, capace di aggregare metafore e farsi metafora dell’intero universo, e che sembra arrivata oggi alla fine delle sue funzioni. È il secondo anno che il gruppo di lettura che coordino presso la Biblioteca Gambalunga è attivo, e se le mie perplessità di lettore al singolare erano tante – il mondo è già abbastanza pieno «di vicini indiscreti» scrive Roland Barthes, «con i quali mi tocca condividere l’altro» – mi sono dovuta ricredere. Ferrieri afferma che «la solitudine del lettore è la premessa a una socialità che sgorga come atto necessario e libero a un tempo» e nel Gruppo ho sperimentato questa solitudine non “troppo rumorosa” ma risonante di voci diverse, resa possibile dalla condivisione proprio del “libro che amo”. Quello che avviene nell’apertura all’altro della «stanza tutta per sé» non è una lettura in gruppo, che enfatizza la fruizione corale, “dionisiaca”, ma un leggere singolare L. Ferrieri, La lettura spiegata a chi non legge, Editrice Bibliografica, 2011 condiviso. «Un gruppo di lettura» asserisce Blanca Calvo, «è un gruppo di persone che leggono nello stesso tempo un libro». E si ritrovano per parlarne e per ascoltarne, lasciando segni (la lettura è dispersiva, leggendo «si dimentica e ci si dimentica») e tracciando sentieri da un libro a un altro. Una modalità anfibia, che contagia il virus della lettura ma fornisce il contravveleno del passaparola, potente strumento per scegliere e valutare autonomamente i libri continuamente sfornati dall’industria editoriale. Una strada per l’ecologia della lettura, dunque. Guardando al nostro percorso, di libro in libro si disegna una mappa, a partire dal “patto” fondativo del Gruppo: affrontare testi più complessi di quelli che si sarebbero scelti da soli, e dar finalmente la scalata ai “fondamentali” sempre rimandati, facendosi forza del “leggere insieme”. Così abbiamo indagato in più direzioni, dalla strutturazione dei personaggi alla traduzione alle letture “tematizzate” al senso della lettura dei classici oggi, aizzati da Italo Calvino. Partiti da La valigia di mio padre di Orhan Pahmuk, in cui la scrittura è definita lo «scavare un pozzo con un ago» – come anche l’acuminata paziente lettura dovrebbe fare – abbiamo percorso La strada di Cormac McCarthy, che ha rivelato nella sagace lettura di alcuni le parole bibliche sottese. Questo andare di un padre e di un figlio fino in fondo all’apocalisse ci ha portato a La storia di Elsa Morante, via crucis di una madre, Ida, e del suo caprettino Useppe. Con la sorpresa delle diverse risonanze che un testo così amato od odiato quando uscì, nel 1974, può avere per il lettore di adesso, e persino per chi – come me – ne è ri-ri-lettore. Davvero nel tempo si compie un “gioco segreto” di prospettive. In Olive Kitteridge di Elizabeth Strout, filtrata dal saggio Gradazioni di vitalità di Antonia Byatt, abbiamo “letto” la costruzione dei personaggi, e poi la Trilogia della città di K., di Agota Kristof – favola nera e scabra – ha suscitato letture diversissime, senza lasciare nessuno indifferente. A La trilogia del ritorno di Fred Uhlman, che con Lettera a uno sconosciuto di Kressman Taylor ha sfiorato il tema della letteratura sulla Shoah, è seguito il “Grande Romanzo Americano”, dalla ri-scoperta di Revolutionary road di Richard Yates a Le correzioni di Jonathan Franzen a Pastorale Americana di Philip Roth… ma su Underworld di Don De Lillo c’è stata una levata di scudi collettiva, e Madri & figlie, esercizio bibliografico a tema, è sembrata la soluzione. I successivi Se consideri le colpe e di Ogni promessa di Andrea Bajani risentivano un po’ del senso di colpa dell’aver trascurato la letteratura italiana contemporanea; Auto da fè di Elias Canetti, Altre inquisizioni di Jorge Luis Borges e La casa di carta di Carlos Maria Dominguez hanno chiuso il cerchio parlando di libri, e del rapporto che si instaura con loro. Biblioteche. Che forse hanno appesantito il nostro andare. Mentre il Gruppo si assestava su una decina di presenze stabili cominciava ad avvertirsi un certo malessere sul significato del nostro viaggio, e la sensazione che quel desiderio che è «la cuna e la cruna» del leggere stesse un po’ smarrendo la direzione del piacere della lettura… voci dalla biblioteca Ma le discussioni accese degli incontri ultimi, la leggerezza calviniana rivendicata sulla pesanteur avvertita ogni volta che la lettura chiedeva uno spaesamento forse hanno bisogno di una riflessione più articolata che indaghi i confini e le interazioni di quelle che chiamerò l’Erotica e l’Etica del lettore. «Donde» scrive Roland Barthes, «due regimi di lettura: una che va direttamente alle articolazioni del testo, per ritrovare al più presto i luoghi scottanti dell’aneddoto, quanto fa avanzare lo svelamento dell’enigma o il destino. L’altra che non fa passare niente; pesa, aderisce al testo, legge, se così si può dire, con applicazione e trasporto, coglie in ogni punto del testo l’asindeto che taglia i linguaggi e non l’aneddoto». Intanto: si fa presto, a dire “piacere della lettura”… 2 – “Io” – Sotto il segno di Eros Del piacere della lettura Barthes traccia tre vie, «quella che si arresta di fronte al piacere del testo» sintetizza Michel De Certeau, «quella che corre verso il finale e “non riesce ad aspettare”, quella che nutre il desiderio di scrivere. Lettura erotica, cacciatrice o iniziatica. Ma, oltre a queste, ce ne sono altre, di tipo onirico, antagonistico e autodidattico…». Qui si tocca un cuore del discorso, e tocca mettersi sotto la protezione di un dàimon, Eros, il desiderio. Demone filosofo, astuto e indicibile. Ma figlio della Povertà e del Bisogno. «Ciascuno di noi» ha scritto Remo Bodei, «vive nell’immaginazione altre vite. Per sfuggire agli orizzonti ristretti entro cui sarebbe confinata la nostra dobbiamo intrecciarla e ricombinarla con quella di altri, vicini e lontani nel tempo, servendoci del desiderio e dell’immaginazione quale antidoto alla povertà di ogni esperienza singola. Grazie alla grande letteratura vivo per procura altre vite parallele, mi immedesimo in più biografie: sono Odisseo, Antigone, Socrate, Cesare, Amleto, l’Innominato, Madame Bovary, Anna Karenina, Hans Castorp». Ma il desiderio non si esaurisce in un catalogo di esistenze accessibili all’immaginazione. «È evidente» nota Barthes «che esiste un erotismo della lettura (nella lettura il desiderio è presente con il suo oggetto, il che corrisponde alla definizione dell’erotismo)». A guardia della lettura desiderante sta l’immagine di Sant’Ambrogio che legge a fior di labbra, come lo sorprende Sant’Agostino nelle Confessioni. L’icona di quella lettura silenziosa e appartata che consente un rapporto con lo scritto segreto e interiore. Fino alla «stanzettina odorosa d’iris» che, confessa Marcel Proust, «per lungo tempo mi servì di rifugio, senza dubbio perché era la sola che mi fosse permesso R. Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, 1975 M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, 2001 R. Bodei, dal ciclo di lezioni sulle “Vite Immaginate”, Scuola di Studi Umanistici di Bologna (dic. 2011) di chiudere a chiave, in tutte le occupazioni che invocano un’inviolabile solitudine: la lettura, le fantasticherie, le lagrime e la voluttà». Le righe in cui Barthes rintraccia i tratti della lettura desiderante: uno stato assolutamente separato, clandestino, nel quale il mondo intero è abolito e il lettore, come l’innamorato o il mistico, disinveste la realtà, interamente trasportato nel registro dell’immaginario. In rapporto fusionale con il libro, come chi ama pende dal viso amato. Durante questo tipo di lettura, «nel corpo si mescolano e si intrecciano tanti moti diversi: il fascino, la vacanza, il dolore, la voluttà». L’atto del leggere è sentito come una pratica di godimento solitario, quasi onanistico. Non è, questo, un agire bensì un patire: l’assoggettarsi al volere del testo. «Il testo è un oggetto feticcio» chiosa Barthes. «E questo feticcio mi desidera. Il testo mi sceglie». È nel Settecento che la lettura diviene passio. Specie quella femminile, a giudicare dall’iconografia sull’argomento, come mostra Le donne che leggono sono pericolose, di S. Bollmann ed E. Heidenreich. Estremizzando, Francesca Serra afferma che siamo tutte “pornolettrici”, possedute da una lettura che è proprio quella voluta e strutturata subliminarmente dalla forma-romanzo, sin dal suo sorgere: lettura passiva, fisicamente e mentalmente rilassata, in cui l’io non valuta e non filtra ma accoglie, che favorisce l’immedesimazione coi personaggi e tende a consumare velocemente i suoi oggetti. «L’opera narrativa è il rovescio esatto, l’alveolo in cui si deposita docilmente la lettura» ammonisce Emanuele Trevi. «Quando la storia ci ha catturati nel suo intrigo, noi aderiamo perfettamente all’idea di lettura che essa implica. Questa “collaborazione narrativa” è il motore segreto della fabbrica dei best seller». Michel de Certeau ribatte: «Ciò che va rimesso in discussione è l’assimilazione della lettura alla passività» perché la ricostituzione di ogni testo avviene «attraverso un gioco di implicazioni e di astuzie tra due tipi di aspettative combinate: quella che organizza uno spazio leggibile (una letteralità) e quello che organizza un percorso necessario all’effettuazione dell’opera (una lettura). Lungi dall’essere degli scrittori, che fondano un luogo proprio, scavatori di pozzi o costruttori di case, i lettori sono dei viaggiatori: circolano su terreni altrui, come nomadi che praticano il bracconaggio attraverso pagine che non hanno scritto». Un’operazione che consente al lettore/bracconiere di sfuggire alla Legge che regola il suo rapporto col testo (che sia quella della Chiesa, della Scuola o della Biblioteca), ma che rischia di generare un paradosso: «Per comune ammissione» avverte Barthes, che R. Barthes, Il brusio della lingua, Einaudi, 1988 R. Loretelli, L’invenzione del romanzo, Laterza, 2010 F. Serra, Le brave ragazze non leggono romanzi, Bollati Boringhieri, 2011 http://www.italianieuropei.it/it/italianieuropei-8-2011/item/1597-la-lettura-nella-società-postmoderna.html voci dalla biblioteca pure aveva celebrato la nascita del Lettore dal ritrarsi dal testo dell’Autore, «leggere significa decodificare – lettere, parole, sensi, strutture – e ciò è incontestabile; ma accumulando le decodifiche, dal momento che la lettura è teoricamente infinita, togliendo il punto d’arresto del senso, lasciando procedere a ruota libera il lettore è preso in un rovesciamento dialettico: finisce per non decodificare, ma per sovracodificare; non decifra, bensì produce, accumula linguaggi, se ne lascia attraversare infinitamente e instancabilmente: è questo attraversamento». È il paradosso del lettore, di volta in volta Onanista, Posseduto, Bracconiere, Paragrammatico e Folle che finisce per ribaltare l’utopia della lettura in un’eterotopia. 3 – “Io e Tu” – Etiche della lettura «Così nella Biblioteca di Babele, una scrittura differisce dall’altra meno per il testo che per il modo in cui viene letto» commenta Ezio Raimondi10. «Ma in questa ricerca di un colloquio entro cui alla fine ritrova se stesso, il lettore non dispone dell’arbitrio di manovra di una soggettività assoluta, perché leggere significa vedere e comprendere nella dinamica inventiva del testo una coscienza diversa […] Qui certo appare chiaro che l’estetica dell’interprete e dell’esecutore deve convertirsi in un’etica». Ma «che cosa può voler dire questa formula, etica della lettura? Che cosa indica il genitivo della?» si chiede J. Hillis Miller11. Ve lo riassumo a spanne, il suo interrogarsi: quest’etica è l’ethos proprio del lettore (la “lettura ben fatta”) o l’entelechia della lettura (la lettura “migliora il mondo”)? Ci farà comodo, per ora, la sua definizione di «momento etico nell’atto della lettura» che «se esiste, va in due direzioni. Da una parte è risposta a qualcosa, di cui è responsabile, a cui risponde, di cui è rispettoso». «Non c’è dubbio che quando leggiamo le parole di un testo, lo riempiamo della nostra esperienza» continua Raimondi, «e nondimeno, pur in questo spazio gelosamente solitario e individuale, la lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. […] E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica». L’origine dell’esistenza etica, secondo Emmanuel Levinàs, è proprio il venirci incontro della faccia dell’altro, con la sua richiesta: cui rispondiamo istintivamente. Nel doppio senso di “rispondere di” e “rispondere a”. Che non significa “dare delle risposte”, ma assumere e condividere un legame. Si risponde innanzi tutto ponendosi in dialogo, e «non si dà vero dialogo col testo senza avvertire la responsabilità dell’altro da sé» 10 11 E. Raimondi, Un’etica del lettore, Il Mulino, 2007 J.H. Miller, L’etica della lettura, Mucchi editore, 1988 10 spiega Ferrieri. Responsabilità che si accetta nel rispondere alla chiamata dell’autore, accogliendo l’intenzione del testo senza rinunciare alla sovrana libertà della lettura. Responsabilità nel distinguere tra autore e testo, entità diverse che vivono di vita propria, nel “prendersi cura” anzitutto del testo e della relazione che esso instaura. Il punto più alto dell’etica della lettura consiste nella scoperta dell’alterità, un’esperienza di libertà compresente con il pieno riconoscimento dell’altro. «Attraverso l’etica della lettura, il rapimento mistico del lettore chiuso nel suo stanzino diventa cura del mondo: La mia stanza e questo vasto spazio/vegliante nel paese notturno/sono una cosa sola (R. M. Rilke)». È per questo forse che la seconda direzione dell’etica della lettura, secondo Hillis Miller, può diventare “l’agire”. «La lettura sta stretta nella coscienza di un solo uomo e scoppia verso l’altro» scrive Levinàs. E determina un cambiamento di visuale, che ci evita di «prendere i limiti del nostro campo visivo per i confini del mondo». Cambiamento che si ripercuote molecolarmente nel mondo circostante. Eppure. Non è detto che il lettore sia persona migliore del non-lettore, in assoluto. Un uomo, riflette Steiner, «può leggere Goethe e Rilke la sera, e al mattino dopo recarsi al suo lavoro ad Auschwitz». Ma poi penso come a preservare Charlotte Delbo dall’orrore di Auschwitz sia stata la presenza in cella di Fabrizio Del Dongo, come racconta Todorov12. E che nel Gulag la narrazione “a memoria” della Recherche di Joseph Czapski ha salvato lui e i suoi compagni da La morte indifferente. E che c’è il furto di un prezioso volume di Proust in uno dei Racconti della Kolyma di Varlam Salamov. La storia sanguinosa del secolo breve è anche la storia del secolo colto. La lettura non garantisce contro il perpetuarsi del Male: ma senza l’utopia che possa cambiare il mondo in meglio non avrebbe senso leggere. E quanto più crescerà la capacità di leggere empaticamente e criticamente, tanto più forte sarà questa speranza. 4 – “Noi” – Lectura activa Ma oggi forse il lettore deve ri-nascere a questa lectura activa la cui sequenza centrale, secondo Enrique Vila Matas13, «contiene il gesto più profondamente democratico che io conosca. È il gesto di chi sa aprirsi al mondo e alle verità relative dell’altro, alla sacra rivelazione di una coscienza aliena. Se si esige talento da uno scrittore, si deve esigere anche dal lettore». Un gesto che sembra ribaltare la passio della lettura di puro piacere nella direzione 12 T. Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008 13 http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-09-30/sente-esigenza-nuovo-patto-121237. shtml?uuid=AaZnMo8D 11 voci dalla biblioteca dell’agire tra gli uomini proposto da Hannah Arendt in Vita activa. Lectura activa, dunque, perché la lettura “ben fatta” richiede sapienza, tecnica e gusto, come l’esecuzione di una partitura. «Un tipo di lettura poliedrico, capace di determinate forme di attenzione e di piacere, incline all’avventura», lo descrive Trevi. Che ritroviamo nei saggi di Virginia Woolf, ad apertura di pagina. O nel “buon lettore” delle Lezioni di letteratura di Vladimir Nabokov. Un atto che, in una reciprocità dinamica, risponde alla vita del testo che, per quanto ispirato, non può significare se non viene letto. Da qui la Biblioteca di Ermanno Cavazzoni14 «piena di morti che non si dan pace. Non è carta quella disposta in fila ordinata dentro le teche. Sono anime. Anime piene di speranza di vivere e risorgere». Il libro ha bisogno del lettore quanto il lettore di lui. «A un impoverimento della lettura, si può farne una specie di regola, corrisponde un impoverimento della letteratura» aggiunge Trevi. E viceversa. È in questo senso assolutamente concreto e creatore che ogni atto autentico di lettura è atto etico per eccellenza. Allora c’è bisogno di un nuovo patto tra chi scrive e chi legge, sottolinea Vila-Matas. Già. Ma questa lectura activa come, concretamente, si fa? Ne cercheremo la “figura”, sulle orme di George Steiner15, nel quadro “Le philosophe lisant” di Jean Baptiste Chardin (1734). Il Philosophe in abito da cerimonia, con un ricco cappello, s’è vestito apposta per fare onore al libro: la lettura è un incontro cortese con un “eccelso ospite”, come quello di Niccolò Machiavelli con i classici, che richiedeva “abiti curiali”. Accanto al lettore, una clessidra proclama (così come il teschio-vanitas sullo scaffale) che tra libro e tempo esiste una molteplicità di relazioni. In primis, quella tra la vita brevis del lettore e l’ars longa del suo libro: non a caso Flaubert morente protestò contro il paradosso che lo faceva morire «come un cane» mentre «quella puttana» di Madame Bovary sopravviveva. E poi, mentre il lettore legge, la sua esistenza si accorcia. Ma prolunga la vita del testo. La clessidra ci ricorda anche quanto sia breve il tempo per leggere, e quanti invece i libri… non è forse un vero lettore chi non s’è mai sentito accusato dai libri non letti. Davanti alla clessidra, una penna. Che definisce la lettura come un’azione. Quella di “leggere bene” che – continua Steiner – «significa rispondere al testo, e implica una “responsabilità” che sia anche risposta». Dal segno sui marginalia, traccia del monologo interiore e discussione con l’autore, alla trascrizione e memorizzazione di passi, all’impulso a scrivere un altro libro in risposta a quello che leggiamo. «L’intellettuale è, semplicemente, un essere umano che legge libri con la matita in mano». 14 E. Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet, 2009 15 G. Steiner, Nessuna passione spenta, Garzanti, 2001 12 E intanto la luce che emana dal libro si rifrange e duplica in quella che viene dal volto del lettore: “leggere bene” significa anche venir letti da ciò che leggiamo. E leggere bene, ammonisce Steiner, ci mette a repentaglio, perchè «significa correre grossi rischi. Significa rendere vulnerabile la nostra identità, il nostro autocontrollo. Chi ha letto la Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi allo specchio senza indietreggiare è forse capace, tecnicamente, di leggere i caratteri stampati, ma è analfabeta nell’unico senso che conti realmente». Intorno al philosophe, come spesso nella pittura di Chardin, c’è un gran silenzio, reso dalla luce soffusa, dalla grana degli oggetti, dalla pelliccia che attutisce i suoni. Il lettore, l’in-folio che sta leggendo ne sono avvolti. Alla destra del quadro, una tenda, chiusa tra il lettore e il mondo. Il quadro di Chardin forse ci in-segna una lettura non più possibile. E sono diventati un lusso il silenzio e il tempo dell’otium, che consentono il leggere bene come «leggere lentamente, in profondità, pieno di riguardi e con attenzione, lasciando porte aperte, con dita e occhi delicati» come vagheggia Nietzsche nell’Aurora. Oggi, se è «tutt’altro che morta (si vendono milioni e milioni di libri ogni anno) – riflette Trevi – la lettura ha ridotto le sue prerogative, si è stabilizzata su uno standard universale: sempre di più, con l’andare del tempo, leggere un’opera letteraria è sinonimo di consumare una prestazione narrativa. Da esecutore, il lettore retrocede al rango di strumento». C’è bisogno di ri-afferrarle, le briglie della lettura. «Porto con me – scrive Steiner – una visione di “scuole di lettura creativa” (una stanza silenziosa con un tavolo sarebbe sufficiente)». Roland Barthes sogna una “Società degli amici del testo”, Ivan Illich delinea una simile istituzione in Nella vigna del testo: «Anch’io sogno […] che ci possa essere una sorta di “case della lettura”, simili allo shul ebraico, dove i pochi che scoprano la passione per una vita imperniata sulla lettura possano trovare l’opportuna guida, il silenzio e la complicità di una compagnia disciplinata che occorrono per la lunga iniziazione all’una o all’altra delle molteplici ‘spiritualità’ o stili di celebrazione del libro». Potrebbe essere questa, al tempo dello Schermo, la nuova vocazione della Biblioteca? E la vera funzione di un Gruppo di lettura? 5 – Leggere “come se” Ma forse non basta neanche questo, lamenta Steiner, oggi che in dubbio sono la credibilità stessa e la pratica razionale di questo progresso verso la comprensione testuale. È la 13 voci dalla biblioteca possibilità stessa di un’ermeneutica che la “crisi attuale del significato” ha contestato. «Fëdor Dostoevskij – scrive Franco Rella16 – ha detto che se non c’è Dio tutto è permesso. È il nichilismo del XIX secolo. Oggi si afferma che, se non esiste senso, non esiste una responsabilità nei confronti del senso, del mondo e degli uomini che lo esprimono. È il nichilismo della nostra epoca». E invece. Dobbiamo leggere “come se”, chiede Steiner. «Quando leggiamo autenticamente, quando l’esperienza deve essere quella del significato, facciamo come se il testo incarnasse una vera presenza dell’essenza significante». Che, come quella che esiste in un’icona, è in ultima analisi indicibile. Ma che «proviamo ogni volta che una poesia o un passo di prosa si impadroniscono delle nostre idee e sentimenti. Essere abitati dalla letteratura, essere resi responsabili, dover rispondere a quell’arrivo come l’ospite fa con lo straniero, magari sconosciuto e inatteso, che giunge a casa sua di sera» significa provare questo mistero banale. Alla fine del nostro vagabondaggio attraverso l’Erotica e l’Etica del lettore, invece che a un bivio mi accorgo di essere arrivata a un giardino di sentieri che si biforcano, in cui forse dobbiamo affidare la nostra lettura alla preghiera che il re Salomone elevava all’Altissimo: quella di concedergli “un cuore intelligente”. Ma oggi «se vogliamo ricevere risposta – scrive Alain Finkielkraut – non è a lui direttamente né alla Storia, moderno avatar della teodicea, che dobbiamo rivolgere la nostra domanda, bensì alla letteratura, forma di mediazione che non offre garanzie, ma senza la quale ci sarebbe per sempre preclusa la grazia di un cuore intelligente. Senza letteratura, potremmo forse conoscere le leggi della vita, ma ci sarebbe preclusa per sempre la sua giurisprudenza».17 Al gruppo di lettura del sabato, grazie. Tutto questo nasce da voi. 16 17 F. Rella, Interstizi, Garzanti, 2011 A. Finkielkraut, Un cuore intelligente, Adelphi, 2011 14 Leggere Il Gruppo di lettura come luogo di incontro, di dialogo, di relazioni, di cultura > Giuliana Merlini Il 13 gennaio 2010 presso la Biblioteca Gambalunga si è costituito il primo Gruppo di lettura. Ciò che si racconta qui, è la storia di un cammino fatto insieme: il nostro viaggio tra i libri fino ad oggi, per dire che il percorso non è una strada tracciata in partenza, ma sono gli stessi libri che con i loro rimandi e intrecci, guidano e portano a sentieri laterali che accendono di significato il “prima” e il “poi”. Perché è bello partecipare ad un gruppo di lettura? Il gruppo di lettura è un “luogo” dove si attivano idee da mettere a confronto, un modo per avere una visione dei fatti da varie angolature, una possibilità di mettere in relazione ciò che si legge con ciò che si vive. È quindi uno “spazio” gradevole di pensieri, opinioni, sentimenti ed emozioni dove ci sono voci e menti che si ascoltano con consapevolezza. Leggere in gruppo favorisce lo spirito critico, aiuta a capire come i punti di vista possano essere diversi e come spesso altri abbiano colto aspetti a cui non avevamo mai pensato. Nel confronto si comprende che ciascun autore e ciascun libro hanno uno stile, per giudicare il quale, bisogna andare oltre le categorie “bello/ brutto”, “mi piace/non mi piace”, per diventare lettori “intelligenti”, che leggono per imparare ad ampliare il loro orizzonte, per uscire dai propri singoli mondi con la curiosità di scoprirne altri. Condividere la lettura di un libro favorisce lo sviluppo di abilità empatiche, comunicative, relazionali, apre nuovi orizzonti, nuovi paesaggi interiori, diverse interpretazioni del mondo. Alcuni critici hanno affermato che esiste un’etica del leggere, così Harold Bloom si esprime in merito alla scelta di cosa leggere: «Per scegliere che cosa continuare a leggere o insegnare mi attengo soltanto a tre criteri: lo splendore estetico, il vigore intellettuale, la saggezza. Le pressioni della società e le mode giornalistiche possono anche oscurare per un certo tempo, questi criteri, ma appunto si tratta di periodi sempre limitati e alla fine le opere che non riescono a trascendere il loro particolare contesto storico, sono destinate a non sopravvivere. La mente finisce sempre per tornare al suo bisogno di bellezza, di verità, di comprensione». (“Sapienza” in La saggezza dei libri, Rizzoli 2004). 15 voci dalla biblioteca Ezio Raimondi, forse il più importante critico italiano, ci regala queste riflessioni: La lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. La solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non convenzionali, che aspirino a essere autentici. E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica. (Un’Etica del lettore, il Mulino 2007) In questo breve, intenso e nitido saggio, l’atto della lettura è presentato come un’esperienza morale che richiede pazienza, attenzione, capacità di saper cogliere una ricchezza e complessità di significati; chi legge fa vivere un testo, lo interpreta, entra in relazione con l’autore; il libro non è solo un mezzo per informare e intrattenere, ma uno stimolo a creare rapporti, a stabilire relazioni tra le cose, a intraprendere un viaggio alla ricerca di noi stessi. Il messaggio che viene da queste pagine, va al di là della letteratura, per farsi lezione di civiltà. Diario di un viaggio “di carta” Ed è stato proprio il prezioso libro di Ezio Raimondi a guidare la nostra riflessione sul leggere, a partire dal primo appuntamento. Confrontarsi nel gruppo non è stato solo porsi in relazione con una diversità-libro/autore, ma anche con la diversità delle persone che quel gruppo costituiscono: presenze in carne e ossa, diverse nella loro molteplicità di esperienze, letture, conoscenze, linguaggio. Si è trattato, inoltre, di coagulare interesse, curiosità, passione di molti e trovare un comune punto d’incontro tra chi prediligeva generi molto differenti. Certo, l’idea di compiere insieme un “viaggio”, lungo il quale scoprire legami e relazioni, confrontare stili e linguaggi di autori vicini e lontani, nel tempo e nello spazio geografico, ci ha dato un po’ l’idea di un’avventura con scoperte e sorprese, prevalentemente positive, senza negare dei punti di criticità. Ci siamo tenuti lontano dalle classifiche, è stato un avvio “in sordina” con autori giovani, ma non giovanissimi: Antonio Pascale è stato il primo. Di lui abbiamo letto: S’è fatta ora (Minimumfax, 2006), un’occasione per raccontare l’uomo e la società meridionale in modo nuovo, additandone le contraddizioni con un’alternanza di malinconia e ilarità, di j’accuse e rassegnazione. Il secondo autore scelto è Alessandro Banda, scrittore “di confine”, altoatesino, che 16 vive in un’area geografica in cui s’intrecciano varie lingue e culture. Da questo luogo ha tratto ispirazione per La città dove le donne dicono di no: è un libro di trenta racconti, ma è anche un romanzo nel senso che tutti i racconti sono collegati e parlano, da vari punti di vista, della città immaginaria di Meridiano, simbolo di tutte le città, attraverso la cui descrizione, l’Autore sceglie di scrutare la demenzialità della vita quotidiana. Contrastanti i pareri dei lettori: “Lettura interessante, ma delinea un mondo lontano, quasi “fantascientifico”; “ Banda è fantastico per lo stile, per l’uso fantasioso e azzardato della lingua, delinea con ironia al limite della satira, un mondo di confine, chiuso e arroccato”; “i racconti di cui si compone il libro, sono come tanti pezzi di un puzzle, che potremmo ‘riscrivere’ per ritrarre altri mondi a noi più noti e scoprire che non sono poi tanto lontani da quello che Banda racconta”; “una scrittura e uno stile freddi, che non catturano il lettore”. Abbiamo sperimentato la difficoltà a misurarci con il “diverso” inteso come luogo, mentalità, abitudini, ma anche come stile narrativo, in un inevitabile faccia a faccia tra Nord e Sud del nostro Paese, con un dibattito vivace e coinvolgente per tutti. Oltre il confine con un libro-ponte Il nostro “andare” ci ha condotto a “varcare il confine” scegliendo una nuova lettura: È Oriente di Paolo Rumiz, un libro-ponte e nello stesso tempo “viatico” verso altri mondi. È un diario di viaggio di uno dei più grandi reporter italiani che segue dall‘86 gli eventi dell’area balcanica e danubiana, esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa. «Rumiz è viaggiatore che ama sentire gli odori, vedere, toccare, parlare con le persone. E fa di questo suo viaggiare una condizione dello scrivere, una necessità a cui non riesce a sottrarsi». Le lettrici: “Tessera dopo tessera, come il formarsi di un mosaico, anche il nostro leggere è stato un andare tra paesaggi tracciati e disegnati dalla penna di Rumiz, dove il “prima” annuncia il “poi” in una continua scoperta”; “Rumiz mi piace perché è uno scrittore che ama la lentezza e ama i mezzi di trasporto che gli permettono di avvicinare le persone. La lentezza lo fa ‘piegare’ su cose e persone che prendono forma e colore. Srotola sotto i nostri occhi un panorama culturale, storico politico attraverso le piccole storie individuali che preannunciano la terra verso cui viaggia”; “ho trovato il libro di Rumiz coinvolgente. La sua narrazione segue il ritmo del viaggiatore, privilegiando la lentezza; viaggiare e narrare sono per lui tutt’uno”. Il libro, con il suo fascino, ci ha fatto deviare per un sentiero laterale: quello della 17 voci dalla biblioteca Mitteleuropa. Che cosa è la Mitteleuropa? Quali sono gli scrittori mitteleuropei? Si è aperto un mondo. La Mitteleuropa e gli scrittori mitteleuropei Per 2.888 Km il Danubio si snoda verso il suo immenso delta sul Mar Nero attraverso civiltà diverse che si riassumono nella civiltà mitteleuropea, realtà complessa, babele linguistica, crogiuolo di culture ed etnie diverse di cui il comune denominatore è proprio il fiume che attraversa cinque paesi e città come Vienna, la capitale degli Asburgo, il cuore pulsante dell’Impero austroungarico, che raccoglieva sotto le sue ali popoli diversissimi tra loro. Il termine Mitteleuropa fa il suo ingresso nel vocabolario tedesco intorno al 1914 per opera di F. Neumann. Vienna “dove era splendido vivere” ci dice Franz Werfel, era una città gaudente, raffinata, cosmopolita, qui avevano confluito le varie correnti della cultura europea. Dalle varie regioni dell’Impero, dalla Galizia, come dalla Bucovina, arrivavano a Vienna menti brillanti, arricchendone la vita culturale e artistica: molti erano ebrei e alcuni divennero punto di riferimento della cultura viennese e di Praga. Dopo il 1918 molti scrittori rievocano il mondo di ieri, ordinato, sicuro, dignitoso, trasfigurandolo poeticamente e cercandovi rifugio dall’insoddisfazione di un presente caotico dove è stato stravolto l’ordine delle cose. Questi scrittori che si erano formati nell’impero d’Austria, nel regno d’Ungheria, di Boemia, partono dall’esperienza drammatica del crollo di tutto un mondo, cui è seguito lo smarrimento, il disorientamento, il vuoto; per molti si è aperta la via dell’esilio, esperienza divenuta uno dei temi centrali di questi scrittori, esilio dalla patria ed esilio da tutte le certezze. Alcuni esempi: Stefan Zweig (Il mondo di ieri); Joseph Roth (Ebrei erranti); Robert Musil (L’uomo senza qualità). Di questo mondo abbiamo scelto di leggere Joseph Roth (La Cripta dei cappuccini) e Sándor Márai (Le braci). La cripta dei cappuccini, del 1938, è la metafora letteraria di una tragedia antropologica: l’annullamento dell’identità culturale austriaca, il crollo della società nella quale essa si produce, e la quasi speculare crisi di individualità esistenziale. Di Sándor Márai il gruppo ha scelto di leggere Le braci, un romanzo che spinge a riflettere su alcuni grandi temi dell’esistenza: l’amore, l’amicizia, la vecchiaia, i rapporti tra le persone che rimangono tenaci anche dopo molti anni. Qualcuno conosceva già gli autori, ormai dei classici, per altri si è trattato di una scoperta. Quasi tutti, per quella forza propulsiva che un libro bello produce, sono andati individualmente a leggere La Marcia Radezsky, Fuga senza fine, Giobbe, ed altri romanzi di Roth; La donna giusta, L’eredità di Eszter, La sorella di Márai. 18 Ma, ancora una volta, sono stati gli autori stessi e i loro libri a guidarci verso altre scelte. Ci siamo domandati: «quali sono gli scrittori di origine ebraica, le voci importanti nella letteratura del nostro Paese?» Siamo andate a documentarci. Scrittori italiani di origine ebraica di ieri e di oggi Molti scrittori italiani del dopoguerra sono di origine ebraica. Fra i più importanti cresciuti nel Ventennio: Alberto Moravia, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Primo Levi, Giorgio Bassani. Scrittori molto noti, quindi, dei quali avevamo letto almeno un libro. L’esperienza del fascismo, delle leggi razziali, dell’occupazione nazista con le deportazioni, hanno fatto maturare la loro coscienza umana e artistica che ha dato vita ad altissime espressioni della condizione dell’uomo nel periodo della dittatura e della guerra. Pensiamo a Gli Indifferenti, La Storia, Le piccole virtù, Se questo è un uomo, Il giardino dei Finzi Contini: libri bellissimi. Nel corso degli anni ’80 si spegne la loro generazione, ma non la letteratura italoebraica, presente anche oggi. Il nuovo orientamento ha assunto spesso anche una dimensione religiosa che ha indotto scrittori come Moni Ovadia ed Alain Elkan a riflessioni etico-filosofiche nei loro testi sulla tradizione ebraica. Appartengono invece alla generazione che si è affacciata negli anni ’80: i fratelli Pressburger, di origine ungherese, sicuramente fra le voci più autentiche; sempre dall’Ungheria era arrivata Edith Bruck, sopravvissuta ad Auschwitz da bambina. Gli scrittori di origine ungherese, provenienti da un’area geografica di radicate tradizioni linguistiche, hanno avuto problemi di scelta della lingua in cui esprimersi: ungherese, yiddisch, o tedesco? Queste erano le lingue che si parlavano nella loro “geografia” fin dai tempi dell’Impero austroungarico. Il problema si è ripresentato anche a coloro che sono emigrati: per i fratelli Pressburger, e per Edith Bruck, la lingua scelta è l’italiano. Cambiamento non da poco, che comporta varie metamorfosi per lo scrittore, con esiti diversi: perdere o rafforzare la propria identità. Molti scrittori ebrei sono invece giunti in Italia in fuga da altri paesi, dalla Siria, dalla Turchia, dalla Libia; fra questi, Miro Silvera, e Viktor Magiar; Marina Giarre è arrivata dalla Lettonia, Elena Janaczeck è di origine tedesca. Sono presenti anche scrittori che appartengono alle varie comunità ebraiche in Italia: Lia Levi a Roma, Stefano Jesurum a Milano, Alain Elkan, Elena Loewenthal a Torino, per citarne alcuni. La scrittura italo-ebraica che è certamente di grande attualità per il suo carattere multietnico e multiculturale, in noi ha generato curiosità ed esercitato attrazione. La scelta è caduta su Edith Bruck, ebrea ungherese che sopravvissuta da bambina ai campi di sterminio, 19 voci dalla biblioteca dopo varie peregrinazioni è approdata in Italia, e ne adotta la lingua. Quanta stella c’è nel cielo, il romanzo scelto. Il titolo non è un errore, è il primo verso di una ballata amara del grande poeta ungherese Sándor Petőfi. Quei versi sono tra le poche cose che Anita, la protagonista del romanzo, porta con sé assieme a molti ricordi laceranti. Protagonista, assieme ad Anita, è un’umanità dolente e multietnica alla ricerca di una nuova esistenza. Nel libro, la diversità linguistica è presente come ‘barriera’ che impedisce la comunicazione, ma la lingua è percepita anche come simbolo di identità. Nel suo viaggio verso la “liberazione”, Anita dice: «spaventata all’idea di perdere la mia lingua, sarei quasi quasi tornata indietro». Fanno da sfondo alla vicenda di Anita, paesaggi già noti: la numerosa presenza ebraica, la mescolanza di lingue ed etnie nei territori che la ragazza attraversa; è stato come ritornare a La cripta dei cappuccini o al libro di Rumiz È oriente. Le lettrici: “Questo libro mi ha fatto cogliere i ‘fili’ che legano un libro ad un altro, e leggerlo mi è sembrato un muoversi avanti e indietro lungo la linea del tempo in una scoperta continua”. “La Bruck, attraverso una narrazione intensa e coinvolgente, in cui gioca un ruolo importante lo stile e il linguaggio estremamente realistico e poetico insieme, non intenzionalmente, porta il lettore a riflettere su uno scenario più ampio, quello della formazione dello Stato di Israele, in un’area che dal secondo dopoguerra ad oggi, non ha ancora conosciuto la pace, tema di scottante attualità”. “Il libro, dice un’ altra lettrice, ci ha fatto pensare al mondo di oggi, dove ci troviamo a vivere con tante persone provenienti da Paesi diversi con lingue e culture ‘altre’ dalla nostra e alle difficoltà ad accogliere e a comprendere il ‘diverso’”. Una svolta nel nostro cammino Quanta stella c’è nel cielo ha segnato una svolta verso l’universo femminile, filo conduttore delle nostre letture dall’autunno 2010 a giugno 2011. Prima di salutarci decidiamo di accogliere le proposte di lettura di tutti: per dare spazio alle diverse passioni. Scegliamo: L ‘ultima estate di Cesarina Vighi, (premio Campiello 2009), un esempio di letteratura che si fa terapia, per l’anima e per il corpo sofferente e rinchiuso nella gabbia della malattia. Quello di Cesarina Vighi è il miracolo di chi racconta il proprio dolore senza renderlo davvero protagonista, grazie a una prosa pervasa di ironia, uno stile rapido, quasi di cronaca o di diario. Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi è la lettura che scegliamo di condividere per l’autunno a venire. Rimane il desiderio di ritrovarci, perché ci sentiamo un po’ “gruppo”. 20 Un anno al femminile: settembre 2010 - giugno 2011 A settembre, al Festivaletteratura di Mantova, due lettrici incontrano Azar Nafisi, che parla di Leggere Lolita a Teheran e del suo seguito Le cose che non ho detto. Nell’ affrontare il tema della scrittura, la Nafisi la tematizza secondo due prospettive: la prima, rompere il silenzio che si raccomanda nella cultura persiana sulla sfera privata e sui vissuti emozionali; la seconda, scrivere in una lingua diversa da quella materna. Quando si scrive in una lingua straniera, si mantengono le radici e lo spirito della propria lingua e si mescolano a quelle della nuova lingua e cultura, creando un linguaggio sorprendente e più ricco. Raccontare per “fare memoria”, testimoniare ciò che è accaduto perché non si perda: perciò ci piace ricordare la citazione di Czesław Milosz dalla prima pagina del libro : «A chi raccontiamo ciò che è accaduto sulla terra, per chi sistemiamo ovunque specchi enormi, nella speranza che riflettano qualcosa e non svanisca?» E Nafisi racconta dell’Iran al tempo della rivoluzione di Khomeini, di un seminario semiclandestino di letteratura tenuto nella sua casa, per due anni, a sette giovani donne, che in quel luogo si concedono il lusso di togliersi veli e chador. Così le ragazze apprendono, nell’immenso carcere di Teheran, che cosa è la letteratura. Apprendono di essere in quanto donne, le vittime a cui è stata confiscata l’esistenza e che le dittature si assomigliano tutte nel degradare le persone. Irrompe nelle nostre discussioni il tema della libertà individuale e della condizione delle donne nel matrimonio e non solo. Infine le domande che percorrono il libro sono diventate di riflesso le domande da porre a noi stesse: «Perché leggere romanzi? Che rapporto c’è tra finzione letteraria e realtà?» Dall’Iran della Nafisi, siamo tornate in patria, o meglio in Europa. Abbiamo scelto una scrittrice che a lungo ha parlato della scrittura e della donna: Virginia Woolf e il suo libro Una stanza tutta per sé. Le lettrici: “Mi ha interessato il contrasto tra il ruolo marginale delle donne nei secoli, descritto dalla Woolf e i grandi ruoli femminili nei romanzi, nelle tragedie greche, nei melodrammi sempre scritti da uomini”. “Ho amato molto questo titolo, la stanza tutta per sé, in cui scrivere, leggere, pensare. Ho trasferito il suo poter scrivere al mio poter leggere in pace, in solitudine in un luogo tranquillo. Anche oggi poterlo fare è un privilegio che richiede tempo, spazi, e libertà”.“In un punto del saggio si paragonano le donne a specchi: ‘Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi del potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali’”. Ciò implica l’importanza del giudizio femminile per l’uomo, un giudizio 21 voci dalla biblioteca negativo se rimpicciolisce l’immagine, l’uomo mal sopporta di venire criticato da una donna ed è per questo che non le si dà voce; ciò ci riporta al libro di Azar Nafisi sulla condizione della donna in Iran”. “È lungimirante la Woolf e precorre i tempi quando si rivolge alle donne dicendo di non imitare l’uomo, ma di esprimere se stesse. È aperta a ogni genere di scrittura e argomento: ‘Perché i libri hanno un modo tutto proprio di influenzarsi a vicenda. Il romanzo migliorerà molto dallo stare guancia a guancia con poesia e filosofia’”. Dall’Inghilterra alla Francia, negli anni dell’occupazione nazista. Abbiamo letto Suite francese e Il ballo della scrittrice francese di origine ebraica, Irène Némirovsky. Suite francese, scritto nel 1940-’41 prima che la scrittrice fosse deportata ad Auschwitz, dove morirà nel 1942, è stato pubblicato postumo in Francia nel 2004 e in Italia nel 2005 da Adelphi. Abbiamo letto insieme Il ballo un breve racconto di cui si riportano alcune annotazioni: “Splendido racconto di un’adolescenza inquieta”; “un piccolo capolavoro, profondo nel contenuto, perfetto nella forma”. In questo secondo anno, il nostro viaggio è stato caratterizzato da un girovagare per l’Europa da est ad ovest alla ricerca di scrittrici e di libri non comuni come il premio Nobel per la letteratura Herta Müller, di cui abbiamo letto Il paese delle prugne verdi. La Müller è un’importante scrittrice della Germania, ma proviene dall’enclave germanofona del Banato Rumeno che lascia nel 1987. Nel libro racconta la Romania degli anni ’80 al tempo della dittatura di Ceausescu, un paese pervaso dal terrore e dalla morte. Sopravvive l’amicizia che si annuncia nei versi di Gellu Naum fin dall’incipit: «Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola / Così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore». Il paese delle prugne verdi ha fatto molto discutere “Il libro è spietato e di impatto molto duro, lo stile scelto dalla Müller è frammentato con salti temporali improvvisi e sconcertanti, ampio è l’uso della metafora, crude le immagini, ma altamente poetiche”. “Ci comunica la sensazione di un paese di morte: campagne polverose, campi di girasoli anneriti, dormitori di studenti, tram dal pavimento bucato, parchi incolti”. “La forza della scrittrice sta nel farci toccare quasi con mano una realtà a noi estranea o parzialmente nota per sentito dire, lo stile scelto è estremamente efficace anche se non facile per chi si accosta la prima volta. “Questo libro mi ha fatto male, mi sentivo come se le parole mi venissero addosso e mi pungessero, è più forte di un film: qui le immagini ossessive vengono fuori da un immaginario che ritrae però la realtà”. “Certamente l’aspetto del linguaggio è molto importante e lo si potrebbe definire con la parola ‘frammentazione’ che rimanda alla frammentazione della persona ad una 22 specie di destrutturazione dell’individuo da parte della dittatura”. “La prosa poetica di questo libro, procede per immagini non sempre decifrabili, ma che tuttavia si dipano man mano che si procede nella lettura. Rende bene l’atmosfera di un paese dove ‘tutto doveva diventare altro’ se si voleva sopravvivere”. “È un libro che va letto con calma e nel tempo giusto, altrimenti respinge e sconcerta. L’incedere delle frasi è spigoloso, spezzettato, ossessivo. La narrazione presenta salti temporali e cambio continuo di registro narrativo: prima, terza persona. Atmosfere senza un preciso punto di riferimento spaziale”. “Per me la difficoltà è derivata proprio dallo stile, ho preso il libro in mano varie volte e altrettante l’ho lasciato”. Ancora una sosta in Ungheria, con un amore a prima vista: Magda Szabó, una delle più grandi scrittrici ungheresi del ’900, premiata negli USA per il romanzo La porta e Via Katalin; abbiamo letto e commentato il secondo. Via Katalin è l’opera più corale di Magda Szabó, un romanzo di grande suggestione, che coinvolge il lettore nella dolente nostalgia del ricordo e dei sogni non realizzati. «Perdere la giovinezza è terribile, non per ciò che viene tolto, ma per qualcosa che vien dato. Non è la saggezza, né la serenità, né la lucidità, né la pace. È la consapevolezza che l’insieme si è dissolto» scrive Magda Szabó. Le lettrici: “La struttura del romanzo è polifonica, si passa dalla terza persona del narratore (una sorta di voce fuori campo), alla prima persona dei vari personaggi che di volta in volta, raccontano la loro versione dei fatti”. “È un romanzo fortemente evocativo, in cui viene rappresentata una realtà dell’infanzia fatta di legami e sentimenti, una realtà che dà sicurezza e viene continuamente evocata nel corso delle vicende che cambiano profondamente la vita dei protagonisti”. “Le vicende storiche intervengono nella vita dei vari personaggi, frantumando il loro mondo le loro relazioni, nessuno di loro sarà più lo stesso […] cambia il loro carattere, cambiano i loro rapporti, ognuno è come se fosse in fuga continuamente dalla realtà per tornare al mitico mondo di Via Katalin, il mondo della nostalgia, una specie di paradiso perduto; la narrazione appare come un affresco circolare dove sono presenti sia i vivi che i morti”. Scrive infatti la Szabó: «Ormai sapevamo che la differenza tra i morti e i vivi è solo qualitativa, non conta granché e sapevamo che a ciascuno tocca un solo essere umano da invocare nell’istante della morte». Questa scrittrice non è ancora particolarmente nota in Italia, di lei abbiamo letto individualmente altri suoi romanzi fra quelli tradotti in italiano: La porta, L’altra Eszter, La ballata di Iza. 23 voci dalla biblioteca Si viaggia si viaggia, si incontrano altri mondi, ma c’è il momento in cui si sente il bisogno di tornare a casa… Dopo questo bel libro che ha appassionato tutti, la voglia di conoscere qualche scrittrice italiana contemporanea, pescando tra quelle più promettenti; ma si è anche affacciata per la prima volta nel gruppo una domanda, che era anche un desiderio: perché non leggere o rileggere i classici? Abbiamo coltivato questa aspirazione con l’aiuto di Calvino e il suo Perché leggere i classici e per pensare a un possibile itinerario per un prossimo futuro. Prima dell’estate volevamo completare il nostro viaggio al femminile ed ecco Sirene di Laura Pugno, (premio Stephen Dedalus) che nonostante la critica favorevole, non ha “toccato le corde” del gruppo. Ambientato nel mondo di Underwater, città sotto l’oceano, il libro è a metà tra favola e fantascienza e delinea un mondo sotterraneo marino, dopo una catastrofe che ha reso la terra inospitale per l’uomo. Le lettrici: “Da un lato mi ha emozionato, dall’altro mi ha respinto, tuttavia l’ho letto. Credo che il genere possa piacere ai più giovani, ad esempio è piaciuto moltissimo a mia figlia che ha quindici anni e ama i cartoni giapponesi a cui la storia un pò si ispira. Il libro mi ha comunicato una visione catastrofica del mondo, dove la yacuza, la mafia giapponese, sfrutta i deboli, gli indifesi, i diversi, simboleggiati dalle Sirene, non più figure mitiche, ma esseri usati come cibo prelibato o come animali da monta”. “Il mondo rappresentato è disumano, privo di sentimenti, forse non così distante da quello attuale, tuttavia mi ha sorpreso che una scrittrice giovane abbia fatto ricorso a questo tipo di rappresentazione per raccontare un possibile futuro”. “Ho interpretato la narrazione come una specie di allarme ecologista, una sorta di parabola della nostra Terra, dove il sole, di solito fonte di vita, è qui fonte di morte”. “Mi ha impressionato l’assenza di sentimenti, il ‘Potere’ che controlla tutto e tutti, il denaro come unico valore”. “Forse ho apprezzato lo stile, la lingua, perché rivestono un ruolo importante nel rappresentare il mondo di Underwater immaginato da Laura Pugno”. Da un mondo futuro, ad uno del passato, atavico, affascinante come meglio non poteva raccontare la penna di Michela Murgia nel suo libro Accabadora, ambientato nella Sardegna degli anni ’50 (premio Campiello 2009). La Murgia ha commentato: «Accabadora esprime il mio sguardo sul mondo, è un doppio sguardo, sulle cose serie e su quelle divertenti. Forse è un segno di schizofrenia o di eclettismo». 24 Le lettrici: “Romanzo da leggere prima col cuore poi con la testa. Una narrazione stilisticamente eccellente che offre l’immagine di un mondo chiuso, isolano, in cui i gesti hanno una ripetitività ancestrale”. “Il racconto unisce mondo arcaico e attualità (l’eutanasia che attraversa il mondo occidentale) con sullo sfondo una questione etica, tra le più delicate che la modernità abbia prodotto“. “Mi ha sorpreso; uno stile che ci riporta indietro in una Sardegna atavica. Mi ha colpito per come è trattato il tema della maternità e il rapporto madre-figlia. La vita e la morte sono presentate quasi come necessità e dono. I temi e la lingua rendono questo libro molto intenso”. ”Ho trovato nel libro una grande ‘pietà’, mi sono piaciuti i temi trattati e lo stile scelto per raccontarli. Interessante il rapporto tra le varie figure femminili e quello con la vita e con la morte”. ”Le figure forti sono quelle femminili, quelle maschili sono meno significative, dipendenti con varie modalità dal mondo femminile; ho trovato questo libro molto intenso, comunica una grande forza che può venire dal mondo femminile”. Che cosa poteva esserci in comune tra Accabadora, la Sardegna di Michela Murgia, e La vita accanto di Mariapia Veladiano, con sullo sfondo la provincia veneta? Molto in realtà: l’importanza attribuita alle figure femminili, quelle maschili sfocate e sbiadite, l’attualità dei temi trattati, una lingua e uno stile impeccabili in entrambi i libri. La vita accanto (premio Calvino 2010) è la storia di una donna abituata a «esistere sempre in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo». Le lettrici: “ In un mondo che propone ossessivamente canoni di bellezza esteriore, è coraggioso, da parte della Veladiano, aver scelto come protagonista una bambina brutta che tuttavia nasconde una grande bellezza interiore”. “Il libro è semplice solo in apparenza, in realtà rivela complessità nell’intrecciarsi dei sentimenti, delle vite delle persone che interagiscono con Rebecca, la protagonista, e che l’aiutano nella rilettura della propria vita. La musica è l’altra grande protagonista, che diventa la voce di Rebecca, con la quale spera di raggiungere la madre, sempre chiusa nella sua stanza. Anche la musica fa parte del libro come fonte di riscatto e di liberazione”. E i classici? Non ci saremmo aspettate che Elisabeth von Arnim (Sidney 1866, USA 1941) fosse la scrittrice preferita di Mariapia Veladiano (così ha dichiarato in un’intervista dopo aver vinto il premio Calvino nel 2010). Il giardino di Elisabeth è stato oltre che una piacevolissima lettura, anche un libro-ponte verso i grandi classici del ’900. Ancora 25 voci dalla biblioteca un libro al femminile che conclude un ciclo e apre la strada ad un altro, quello sui classici. La von Arnim, donna anticonformista e cosmopolita, nata in Australia, studia in Inghilterra, si sposa in Germania e vive tra Berlino e la Pomerania; vedova, conduce la sua vita tra Inghilterra, Francia, Svizzera e infine Stati Uniti. Certamente una vita non comune data l’epoca; la scrittura è inizialmente per lei un “rifugio”, diventa poi una vera e propria professione: la scrittrice rivela una grande abilità nel tratteggiare un mondo dominato dall’ipocrisia e dalle convenzioni sociali, mette in discussione i fondamenti della cultura borghese di inizio ’900 e lo fa con leggerezza e ironia. Sapiente la sua tecnica narrativa, degna dei grandi narratori del ’900. È una donna consapevole della mancanza di “potere” femminile in un mondo dominato dagli uomini. Una lettrice: “Mi è piaciuto il libro di Elisabeth von Arnim, ho pensato al ‘giardino’ come ad un luogo privilegiato, una sorta di ‘stanza tutta per sé’, in cui pensare, leggere, scrivere. Accanto alla cura delle piante, c’è anche la cura di sé come donna, come scrittrice”. Come in altre occasioni, siamo andate individualmente alla scoperta di altri suoi romanzi: Vera, Un’estate da sola, Il padre, La storia di Cristine, Sally, Lettera di una donna indipendente. Siamo arrivati a giugno 2011: è il momento di salutarci. Ma prima facciamo un bilancio e un progetto per l’autunno. Il bilancio: “Il gruppo mi ha permesso di avere maggiori strumenti per approfondire la lettura e vorrei proseguire su questa strada”. “C’è coesione e dinamismo nel gruppo, che ha trovato un “linguaggio comune”. “Il gruppo di lettura ha creato un legame che è presente anche nel quotidiano quando ciascuno legge individualmente e sente di avere un ‘luogo’ in cui potrà confrontarsi”.“Abbiamo imparato ad ascoltarci, a rispettare la diversità delle opinioni, ad arricchirci di idee a cui non avevamo mai pensato”. “Da qualche parte ho letto un’espressione che mi è piaciuta – dice una lettrice – ‘ci vuole orecchio’, il gruppo di lettura come prova di ascolto e dialogo, la lettura come esperienza co-creativa”. Ritornano alla nostra mente le parole di Ezio Raimondi, che nel suo Un’etica del lettore, scrive: «leggere è anzitutto un percepire dello sguardo e dell’udito, un indugio sui suoni e sui colori della parola, ma proprio questa esattezza d’osservazione nella 26 materialità del testo, […] schiude una trama di senso e implica sempre un’esplorazione dell’invisibile, in un’avventura congiunta della sensibilità e del pensiero”. E ancora “per Bachtin la comprensione equivaleva ad una ‘co-creazione’ e a volte anche a una ‘lotta’, con un’attitudine acuita a sperimentare nella parola altrui la propria energia di raffronto e di invenzione, tanto più creativa e vitale quanto più rispettosa del segno inviolabile della diversità». Settembre 2011. Si riparte con i classici del ’900 Ma questa è una nuova storia. In qualità di conduttrice, ringrazio lettrici e lettori, “compagni di viaggio” per la passione, l’entusiasmo, la generosità date al gruppo, permettendo a tutti di arricchirsi e di crescere. 27 voci dalla biblioteca Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico > Isa Valbonesi I pensieri vengono a me, non sono più un’estranea per loro. Cresco e divento la loro dimora come un campo coltivato. Hannah Arendt Sono una voce dalla biblioteca. Ho promosso, animato e coordinato il gruppo di lettura di testi filosofici, attualmente, al suo secondo anno di attività; un gruppo che potremmo, ormai, definire storico; un’esperienza singolare insieme ad un gruppo di adulti; un gruppo eterogeneo per anagrafe, genere, strumenti di base e, tuttavia, tenuto insieme dalla curiosità di conoscenza senza pregiudizio. Sperimentavo, dopo aver, per oltre quarant’anni, insegnato a studenti liceali, che quella forma di sapere, la filosofia, poteva essere partecipata anche a persone completamente digiune perché, come insegna Platone nel Menone, ciò che veramente conta è assumere la responsabilità dei propri ragionamenti per Raffaello, Madonna col bambino scambiare opinioni con altri in un’atmosfera di (1498) reciproco rispetto, al fine di affrontare i problemi per, possibilmente, risolverli. Mi soffermerei, allora, innanzitutto, sul titolo che ho inteso dare a questa mia conversazione: “Coltivare il pensiero. La lettura come esercizio dianoetico”. Il titolo di per sé sottende i tre concetti guida che hanno animato l’esperienza del gruppo di lettura e di studio di testi filosofici. Innanzi tutto intrecciare filosofia e vita, filosofia ed esistenza per pensare non sulla vita ma con la vita; poi coltivare il pensiero, prendersene cura, essere giardinieri di humanitas; e infine, propriamente, leggere come esercizio dianoetico, esercizio che attiene alla virtù, cioè ai vari modi con i quali l’anima, la coscienza, la complessa interiorità umana si muove verso la luce. Il termine dianoetico appartiene al lessico concettuale aristotelico e riguarda, in quell’ambito, arte, scienza, intelletto, saggezza, sapienza, che sono attività teoretiche, cioè attività riflessive, le più alte; la sapienza, in 28 particolare, è la più alta di tutte. La lettura è, in questo senso, esercizio dianoetico, cioè esercizio virtuoso perché aiuta a coltivare il pensiero e permette a ciascuno di essere giardiniere di sé e della comunità di appartenenza perché quello che vale per la terra vale per l’educazione e la cultura nel complesso la quale nasce e si preserva nel segno della disponibilità. Che cosa è infatti la lettura se non relazione? Una bella citazione di James Joyce «non si sa mai di chi si masticano i pensieri» suggerisce che esistono fili invisibili attraverso cui sentimenti e riflessioni divengono comuni a esseri umani diversi, nel tempo e nello spazio. La lettura pone, necessariamente, in relazione con l’alterità, implicando disponibilità ed è, pertanto, un atto che riguarda l’etica personale, interpersonale e pubblica. L’aver costituito un gruppo di lettura e di studio di testi filosofici in uno spazio della civica biblioteca Gambalunga, l’essere insieme in un’interazione intenzionale è, di per sé, etica pubblica. Un cittadino lettore che si confronta, che si confronta in dialogo, è una risorsa per l’intera comunità perché mentre cresce in conoscenza acquista in coscienza. «Meditare è un’occupazione potente e piena: io preferisco formare la mia anima che arredarla» soleva dire Michel de Montaigne, un grande pensatore della prima modernità, alludendo alla potenza e alla pienezza del meditare che al leggere è strettamente connesso al fine di edificare la propria anima, gettarne le fondamenta, non limitandosi a renderla gradevole in apparenza, ornarla in superficie, poiché l’anima non ha bisogno di suppellettili, piuttosto di alimento. Per fare ciò, per edificarsi insieme è necessaria la critica, l’esercizio kantiano della distinzione come presagiva già Francis Bacon quando sosteneva che «alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti». Poiché i libri sono creature viventi, fragili, delicate e insieme forti, energetiche che parlano della vita e della morte, del bene e del male, della luce e delle tenebre, della realtà e del sogno, delle contraddizioni, dell’altro da sé, insomma della mirabile tragedia della vita. Rammento le parole del poeta bolognese Roberto Roversi che in un’intervista di qualche tempo fa, rievocando narrazioni, passioni e incontri intorno alla lettura, osservava «I libri? Non moriranno mai. A me hanno salvato la vita». E aggiungeva il severo patriarca, dall’alto dei suoi novant’anni, lui autore di poemi, di prosa civile, teatro, già conduttore di una libreria antiquaria in Bologna, «ricordo tutti i libri della mia vita; i libri sono individui, parlano, cantano, profumano, si muovono secondo il vento e le stagioni; quel che rimpiango di più è non aver abbastanza forza nelle gambe per andare in una libreria, aspirarne l’odore come quando si entra in un bosco, scaffali come alberi e libri come foglie, perché i libri non sono corpi morti». Pensare con la vita, coltivare il pensiero come istanza morale alla luce della ragion critica, sono state le linee guida del gruppo di studio e di lettura di testi di donne filosofe. Sì, abbiamo inteso dedicarci al pensiero al femminile, anche per contribuire a far 29 voci dalla biblioteca emergere dall’ombra del dibattito culturale intelligenze sensibili spesso tenute ai margini con grave danno, comprensibilmente, per la cultura tutta; pensatrici che nel loro tempo, il Novecento, hanno, con profondità, avvertito drammaticamente i confini dei loro spazi personali, grandi intellettuali che sono state “cuori pensanti”, secondo una bella definizione di una di esse, la spagnola Maria Zambrano, per esplorare il bisogno di lògos intero tanto caro al pensiero al femminile e per chiarificare l’oscuro secondo un’efficace espressione della filosofa svizzera Jeanne Hersch e ancora per essere attori di libertà, sempre attraverso una nuova nascita, secondo la concezione della tedesca Hannah Arendt. Gli obiettivi programmatici dell’agire del gruppo sono stati pertanto molteplici e correlati. Ne ricorderò alcuni, i più stringenti: - Cogliere la potenzialità della filosofia come liberazione perché fornisce gli strumenti necessari a illuminare i problemi e a formare giudizi. - Avvertire la libertà come natura costitutiva della nostra esistenza e insieme, i modi del suo esercizio quotidiano, etico, politico, intellettuale. - Leggere criticamente il presente a partire dall’hic et nunc per capire che la normalità ha problemi, che andare alla ricerca di senso significa mettersi in gioco, esporre se stessi attraverso l’esercizio della domanda e la chiarificazione del pensiero, talora paralizzato e murato in un’unica dimensione. - Imparare che il dolore che non sempre è patologia può essere accolto e anche trasformato in straordinaria energia. - Promuovere una politica della soggettività come esercizio della mente e del cuore, dell’intendere e del sentire; coltivare attenzione all’alterità e avere cura della parola che è discorso ma che anche si rivela nella pausa e nel silenzio. - Avvertire i pericoli del potere, sottrarsi alla tirannia delle cose, del loro possesso; disimparare a servire perché ciò significa, come sostiene Montaigne, «imparare a morire, impegno nobile delle nostre vite finite». In particolare coltivare attenzione all’alterità e aver cura della parola, sottrarsi alla tirannia delle cose, del loro possesso, disimparare a servire: questi mi sembrano essere obiettivi di impegno che interrogano oggi le coscienze individuali e l’opinione pubblica attenta, là dove ci si pone il problema di darsi una forma, un metodo, uno stile per guardare e affrontare la vita. Ancora una volta testi e autori lontani nello spazio e nel tempo vengono in soccorso. Il tragico Sofocle esclama nell’Antigone, rappresentata in Atene nel 441: «Molte sono le cose meravigliose, ma nessuna più meravigliosa dell’uomo; l’uomo inventore delle arti ha vinto il mare e ha vinto la terra e gli animali e ha costruito case e città, e a se stesso insegnò l’uso dell’agile pensiero espresso in aeree parole e l’impulso a ordinarsi in città». E dirà Gorgia di Leontini, uno dei massimi sofisti: «Gran dominatrice è la parola 30 che con piccolissimo corpo e invisibilissimo riesce a compiere divinissime cose». Si legge nel Fedro di Platone «usando l’arte della dialettica e prendendo un’anima congeniale vi si piantano e vi si seminano parole con scientifica consapevolezza. Le quali sono sempre in grado di venire in aiuto a se stesse e a coloro che le hanno seminate e non sono sterili, ma poiché racchiudono in sé un germe da cui nuove parole germogliano in altre indoli esse sono capaci di rendere questo seme immortale e rendono beato chi lo possiede, quanto può esserlo un umano». Usando l’arte della dialettica socratica, seminando parole con scientifica consapevolezza, si contribuisce a renderne immortale il senso e beato chi questo senso possiede. La parola in virtù della consapevolezza e della beatitudine diviene terapeutica e salvifica. La parola che salva è una parola consapevole, vitale. Sì, la parola uno dei problemi più grandi che la cultura in generale e la filosofia in particolare, sono chiamate ad affrontare in questo nostro tempo per dire con verità la vita, la storia, l’umanità delle donne e degli uomini. Oggi, di fronte all’ “eclisse della parola”, si fa largo il bisogno di reimparare a parlare, dopo la gran vertigine della violenza e dell’abuso si fa largo l’esigenza di rieducare l’orecchio violentato dai suoni insensati delle chiacchiere e delle banalità. Gianfranco Ravasi in uno dei suoi folgoranti breviari proponeva i versi di una ballata della poetessa ebrea tedesca Nelly Sachs, Nobel 1964. I versi recitano «Se i profeti irrompessero per le porte della notte / e cercassero un orecchio come patria, orecchio degli uomini, ostruito d’ortica / sapresti ascoltare?» Ed egli annotava come le parole profetiche, oracoli incandescenti simili a scintille che sprizzano dalle pietre percosse incidano “ferite” nei campi delle abitudini impedendo l’assopimento sonnolento del quieto vivere sfidando il potere. La parola vera assume una valenza straordinaria nella costituzione della persona come ha insegnato anche una pensatrice fra le più originali del secolo scorso, Maria Zambrano che abbiamo imparato a conoscere un po’ all’interno del nostro gruppo. La persona ha a che fare con il personaggio e la maschera che sono le forme del suo oscuramento e sfiguramento. Il personaggio gioca con le parole, la maschera ne nasconde il senso. Sono in agguato l’omologazione, la ripetizione, la passività, la imitazione del costume dominante, gli idoli della società di massa. Personaggio e maschera distruggono la persona e la democrazia, rendono molto difficile la creazione della civitas hominis, alimentano la politica senza parola, la menzogna del potere tirannico e populista, deprimono il linguaggio responsabile ed esaltano, per lo più, il linguaggio amorfo dei media. Accostarsi al sapere filosofico per imparare a conquistare la semplicità alta del pensiero e della parola è stata la sfida del gruppo, mentre cresceva la consapevolezza che la cultura non è possesso o consumo ma amore per il pensiero infinitamente altro come insegna la pedagogia socratica. Socrate proclamò che è degna d’essere 31 voci dalla biblioteca vissuta quella vita che è sottoposta ad esame e ragionamento; perse la vita perché fedele all’interrogazione critica. L’interrogazione critica preserva dalla confusione, dalla passività, dall’assenza di rispetto per gli altri. Chi è educato a seguire il ragionamento è una persona utile per la democrazia; incoraggiando la posizione attiva di ciascuno, si promuove anche una cultura della responsabilità. Ed è più probabile che la responsabilità delle proprie idee produca azioni responsabili. Pertanto la cultura non è possesso o consumo ma amore per il sapere. Tale significato della cultura è presente e chiaramente espresso nelle conclusioni di un saggio recente della filosofa statunitense Martha Nussbaum «senza istruzione, senza cultura non c’è progresso e non c’è democrazia. Il senso profondo della vita appartiene al sapere disinteressato, alla conoscenza non necessariamente finalizzata a obiettivi concreti”. “La lettura è un’arte; la lettura attiva allunga la vita» ha sostenuto lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas nella sua lectio magistralis, in occasione dell’assegnazione del premio Bottari Lattes, aggiungendo poi che «la sequenza centrale di ogni lettura attiva contiene il gesto più profondamente democratico che io conosca. È il gesto di chi sa aprirsi al mondo e alle verità relative dell’altro, alla sacra rivelazione di una coscienza aliena. Se si esige talento da uno scrittore, si deve esigere anche dal lettore. Perché il viaggio della lettura attraversa spesso terreni difficili che richiedono tolleranza, libertà di spirito, capacità di emozioni intelligenti, desiderio di avvicinarsi a un linguaggio differente da quello in cui siamo sequestrati». E poi ancora «leggere, quando lo si fa con una lanterna propria, è difficile e appassionante quanto scrivere. Sia chi scrive sia chi legge, pur intravedendo il fallimento, cerca la rivelazione certa di ciò che siamo, la rivelazione esatta della propria coscienza personale, e anche di quella dell’altro. È per questo che nulla più distrae dall’ineluttabilità della morte della lettura attiva quando bandito il consumo passivo anche del leggere si coopera per migliorare se stessi». In un bel ricordo del grande poeta Andrea Zanzotto, Massimo Cacciari annotava che “abitiamo il linguaggio non come una dimora assicurata, ma come ciò che sempre ha ancora da venire, e che si fonda sull’abisso del proprio passato” e aggiungeva che la parola è resistente «in forza della sua nobiltà simbolica che è l’energia che ci costituisce e che costituisce la sola, vera essenza dell’umano». 32