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CORPOREO, AFFETTI E PENSIERO

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CORPOREO, AFFETTI E PENSIERO
CORPOREO, AFFETTI E PENSIERO
Antonella Granieri
CAPITOLO 1 - UNA LETTURA FILOSOFICA DEL SENTIMENTO
Presupposti Teorici per un Discorso Integrato sul Sentimento
La prospettiva che sostiene questo lavoro sui sentimenti e sul loro ruolo evolutivo-clinico proviene
principalmente dai contributi degli psicoanalisti britannici Indipendenti, chiamati così in quanto
mantennero la loro indipendenza di pensiero e sostennero l'interdipendenza di oggetti interni e
ambiente negli anni '40 durante la contesta tra Melanie Klein e Anna Freud.
Essi ritenevano quindi fondamentale il ruolo degli oggetti reali nello sviluppo psichico dell’individuo e
prestavano particolare attenzione ai fattori ambientali e alla loro influenza sulle dinamiche relazionali,
comprese quelle che si sviluppano nel setting psicoanalitico.
I Sentimenti assumono allora una particolare importanza non solo in quanto collegati alle pulsioni, ma
anche perché contengono le relazioni tra il sé e l’oggetto.
Il Pensiero di Susanne Langer
Nella prima metà del secolo scorso la filosofia, nelle sue diverse correnti di pensiero, si è interessata
in particolare del linguaggio, ed è proprio in tale argomento che Susanne Langer si distingue dai suoi
contemporanei. Secondo la Langer se la filosofia è linguaggio, allora è importante ascoltare sia i
linguaggi logici sia i linguaggi dell’emozione. Si fa quindi strada una sorta di Filosofia del Linguaggio
del Sentimento. Il simbolo, come sintesi di linguaggio e pensiero, è allora il nuovo oggetto della
filosofia, ed in tal senso deve essere considerato anche nella sua funzione rappresentazionale di
sentimento e immaginazione.
Si dovrà riconoscere che esistono differenti tipologie di pensiero e che ciascuna di esse è
indissolubilmente connessa ad uno specifico linguaggio e ad una specifica forma simbolica.
Un’immagine non equivale alla costruzione di un modello dell’oggetto secondo un principio
organizzatore logico ma piuttosto ne ricava le qualità fenomeniche, i suoi effetti sulla persona o i modi
in cui appare ai nostri sensi.
In questo modo il linguaggio del sentimento ha un valore conoscitivo nella misura in cui comunica,
talvolta al di fuori della stessa consapevolezza del soggetto, le esperienze sensoriali e il loro fluire, e
quindi il modo in cui si apprende dall’esperienza.
L’autrice illustra senza contrapporle due diverse Modalità di Funzionamento Mentale:
- Simbolismo Non Discorsivo: produce immagini a partire dai cambiamenti elettrochimici del sistema
nervoso e da emozioni, sensazioni e idee. E' una forma di attività mentale analogica e iconologica,
agrammaticale, non sintattica, caratterizzata dalla presentazione simultanea di più contenuti e
dall’assenza di generalizzazione;
- Simbolismo Discorsivo: è affine al pensiero cosciente e razionale. Le parole sono presentate in
successione, conformemente alle convenzioni grammaticali, e le modalità di pensiero sono quelle
logico deduttive.
Nel suo testo "Mind an Essay on Human Feeling" (1967) la Langer teorizza che l’esperienza umana,
fatta di immagini, movimenti corporei, ritmi e modi di essere, è sempre accompagnata da un vissuto
emotivo ed è quindi il sentimento che unifica e organizza il caos dell’esperienza sensibile, e questo
avviene quotidianamente nell'esperienza clinica.
Già Aristotele postulava la possibilità di regolare gli affetti eccessivi, che in quanto tali diventerebbero
contrari alla ragione e dannosi. Da parte loro gli Stoici non pensavano che fosse possibile modulare gli
affetti che ineluttabilmente vanno oltre la possibilità di essere controllati dal soggetto, e questa stessa
concezione è stata accolta in parte dallo stesso pensiero cristiano.
In particolare, la Langer si sofferma sulla "Sesta Meditazione" di Cartesio che offre una visione della
relazione che l’uomo intrattiene con il suo corpo affermando che noi non siamo nel nostro corpo come
un comandante su di una nave ma al contrario, la mente dell’essere umano è talmente legata e unita
al corpo che con esso forma una singola unità. In questo senso l’immaginazione è un’intrusione del
corpo nel pensiero, così come i sentimenti sono modalità confuse di pensiero.
Già Spinoza si era confrontato con la dimensione corporea del pensiero concependo gli esseri umani
come menti corporeizzate e insistendo sul fatto che l’esperienza corporea sia direttamente accessibile
alla mente.
Sia Cartesio che Spinoza quindi sottolineavano la dimensione corporea degli affetti pur riconoscendoli
al contempo come eventi mentali.
Su questo sfondo Susanne Langer sostiene più esplicitamente che la mente e il corpo formano
un’unità e che il sentimento è l’essenza dell’essere umano, mentre i pensieri sono solo una delle sue
manifestazioni evidenti.
Il Sentimento, non più il pensiero, è ciò che contraddistingue l’essere umano, il suo segno distintivo e
la sua essenza. La natura umana del sentimento ha potuto evolvere nel linguaggio, nella cultura, nella
consapevolezza della vita e della morte, collocandoci così in un’area specifica e separata dal regno
animale.
Vi è allora una doppia valenza delle emozioni, che sono eventi fisici, elettrochimici, ma anche eventi
psichici, capaci a loro volta di influenzare il controllo sui fenomeni fisici. In questo senso il sentimento
include sia le sensazioni che le emozioni, il responso degli organi di senso all’ambiente, del sistema
propriocettivo ai cambiamenti interni e dell’organismo intero in una situazione generale.
Secondo l’autrice, le componenti fisiche e quelle psichiche delle emozioni appartengono a sistemi
diversi in interazione fra loro.
L’incommensurabilità degli eventi fisici e di quelli psichici origina dal fatto che essi non sono diversi
solo sul piano della formulazione logica, ma appartengono a due tipi di realtà differenti:
- realtà come materia o sostanza primaria;
- realtà come dato e come esperienza immediata del soggetto che può dare origine ad una operatività.
La mente umana ha a che fare con l’esperienza soggettiva che raccoglie i dati di realtà attraverso gli
organi di senso e fra i due tipi di elementi di base, fisico e psichico, non vi è una correlazione causale,
ma entrambi servono alla mente umana per la conoscenza.
Secondo l’autrice il fenomeno solitamente descritto come sentimento rimanda ad un organismo che
sente qualcosa, cioè qualcosa è sentito da lui in termini emozionali. Ciò che è sentito è un processo,
forse un ampio insieme di processi, all’interno dell’organismo (Langer, 1967).
L’essere percepito è una fase del processo stesso, vale a dire una modalità di essere e non un’entità
separata o un fattore aggiunto.
Quando il sentimento sarà considerato una fase di un processo fisiologico, invece che un suo
prodotto, cioè una nuova entità metafisicamente diversa da esso, allora scomparirà il paradosso che
divide il fisico dallo psichico.
Emozioni e Agire Umano
Susanne Langer evidenzia l’aspetto processuale e operativo dei sentimenti. In particolare distingue
l’operatività legata al sentire due Modalità con cui l’essere umano può avvertire la sua relazione
con il mondo circostante:
- il sentimento è qualcosa che non può essere percepito come risposta immediata e non controllata ad
uno stimolo improvviso;
- il sentimento è avvertito come un’azione propria.
L’esistere di questi due modi distinti di sentire ha a che fare con la natura dell’esistenza stessa, in
quanto essi sono inerenti alla relazione dei sistemi viventi con l’ambiente circostante.
L’interscambio individuo-ambiente ha un carattere asimmetrico. L’ambiente non è un organismo, ma
un complesso di attività e funzioni non connesse in modo sistematico, in cui è l’essere vivente,
comunque in grado di intervenire sull’ambiente in modo più mirato, a detenere il maggiore controllo.
Lo scambio di materia non è, pertanto, un mutuo scambio, ma uno scambio in cui l’ambiente ha il
controllo grossolano e l’organismo quello dettagliato.
Ogni atto eseguito da un essere vivente trasforma il suo ambiente e questo rende necessarie nuove
azioni sotto l’impatto di questo ulteriore sviluppo.
La struttura di ogni organismo vivente riflette uno schema procedurale di base in cui la sua periferia è
adattata alle esigenze del contatto con la totalità degli eventi esterni ed è specializzata per affrontare
le emergenze. Le sue attività sono di solito caratterizzate da improvvisazione e da adattamento a
risposta rapida. Anche se raggiungono la soglia della percezione, generalmente ciò avviene sotto
forma di impatto, senza preavviso e con la sensazione che provengano dall’esterno verso l’interno,
dall’ambiente verso l’organismo.
Gli organi di senso, che si sviluppano come strutture permanenti in tutti gli animali, sono aree
periferiche altamente elaborate per affrontare gli eventi ambientali che raggiungono l’organismo e
spesso si tratta di eventi che la periferia organizza senza che sia attivata una fase psichica.
Benché le sensazioni possano sorgere anche all’interno del corpo, tuttavia abitualmente la loro origine
è periferica. Un atto generato prevalentemente all’interno, come l’attivazione di un gruppo di neuroni
causata da processi organici senza una specifica stimolazione esterna, se percepita, è sentita in
modo differente rispetto alla risposta ad un impatto ambientale.
Il mutato concetto di sentimento produce allora un diverso approccio ai termini:
- Soggettivo: tutto ciò che è avvertito da noi come attività interna;
- Oggettivo: ciò che è percepito come uno stimolo proveniente dall’esterno.
Ogni processo che coinvolge un sentire può essere soggettivo da un lato e oggettivo dall’altro, e
contenere elementi di entrambi i tipi che variano continuamente, in quanto tali termini indicano delle
proprietà funzionali.
La Psicologia, come studio della mente, è in primo luogo studio delle emozioni, delle loro origini,
forme e complessità.
Nel seguire il pensiero della Langer abbiamo visto come il collegamento tra forme sensibili e
sentimenti costituisce una modalità simbolica in cui l’intreccio tra emozioni e sensazioni dà luogo a
veri e propri concetti, ovvero sintesi tra segni e significati. Le esperienze sensoriali connesse a quelle
emozionali possono assemblarsi in rappresentazioni stabili che sono conservati in memoria in forma
estetica. E' tale attività simbolica di tipo intuitivo che la Langer definisce Simbolismo
Presentazionale.
In conclusione Susanne Langer offre un contributo prezioso poiché argomenta sul piano filosofico che
i sentimenti sono attività psichiche, attraverso cui il soggetto percepisce a valuta a livello intuitivo il suo
essere e operare nell’ambiente.
La ricerca psicoanalitica ha confermato che gli affetti sono attività dell’Io e preziosi strumenti simbolici
di conoscenza e di adattamento rispetto alla realtà.
CAPITOLO 2 - EMOZIONI E VALUTAZIONE
Nel 1960 Magda Arnold pubblica "Psychological Aspects", primo volume dell'opera "Emotion and
Personality", con l'intento di formulare una teoria delle emozioni completa.
In tale volume, che rappresenta un tentativo di organizzare teorie psicologiche, neurologiche e
filosofiche dei fenomeni affettivi, le Emozioni assumono il ruolo di fattori centrali nello sviluppo della
personalità e nella declinazione di comportamenti e pattern relazionali. A questo proposito l’autrice
descrive tre filoni di dibattito:
- la percezione provoca l’emozione e questa comporta dei cambiamenti corporei;
- la percezione induce dei cambiamenti corporei che vengono percepiti come emozioni;
- la percezione provoca sia dei cambiamenti corporei sia delle emozioni.
E' quindi fondamentale per Arnold un’analisi fenomenologica dell'intera sequenza
percezione-emozione.
Nell’emozione, come nella percezione, non c’è solo qualcuno che esperisce, ma anche qualcuno o
qualcosa che origina l’esperienza. Secondo l’autrice quindi teorizzare che l’emozione potrebbe essere
priva di un oggetto porta a confondere la questione.
Vi è sempre qualcosa che provoca l’emozione, anche se ciò che provoca l’emozione non è
necessariamente una persona o una cosa singola (ad es. un gruppo di persone, una situazione
complessa, un esame o un affare di lavoro) e può trattarsi anche di uno stato mentale come un senso
di esaltazione o un sentimento di inferiorità.
Sia la percezione che l’emozione hanno un oggetto.
In sostanza, l’emozione implica che vi sia un oggetto e che questo oggetto non sia solo percepito ma
anche valutato tanto che influenza, ad un qualche livello, i nostri pensieri, obiettivi e comportamenti.
L’autrice si chiede allora se l’emozione non consista proprio in quell’irragionevole e involontario non so
che di attrazione e repulsione.
In altri termini, conoscere le cose o le persone per come sono, distinte da noi, non produce emozione,
così come nel riconoscerle buone in modo astratto non può esserci ancora emozione, ma se
pensiamo che un qualcosa sia buono per noi, qui ed ora, e ci sentiamo attratti verso di esso, a volte
anche a dispetto di un giudizio pensato, allora l’esperienza che stiamo vivendo è di tipo non razionale,
anzi aggiunge un quid all’intelligenza ed è emozione.
Secondo la Arnold deve esserci una capacità psicologica di valutare come una certa cosa ci
influenzerà, se ci danneggerà o ci farà piacere, prima che si possa desiderare di avvicinarla o evitarla.
Diventa quindi futile parlare solo di puro apprendimento o di esperienza passata o di riflesso
condizionato, poiché senza una valutazione di questo genere ogni apprendimento sarebbe impossibile
e l’esperienza passata inutile.
In realtà esiste un’enorme differenza tra il giudizio sensoriale e quello ragionato. I giudizi dei sensi
sono diretti, immediati, automatici, intuitivi, non razionali e non intellettuali, ma in qualche modo
fondano i giudizi razionali e consapevoli, tanto che a questo proposito la Arnold conia il termine di
Valutazione Intuitiva.
Nell’essere umano adulto e nel bambino già grande, la valutazione di dolore o di piacere è sia intuitiva
che ragionata, in quanto il giudizio intuitivo, che è immediato ed è un giudizio di piacere o di dolore, è
seguito da quello ragionato ma non in modo deterministico tanto che talvolta la stessa valutazione
intuitiva è supportata o modificata, in alcune sfumature, a seguito di una riflessione secondaria (ad es.
un bambino o una persona turbata potrebbero credere di percepire un fantasma e quindi iniziare a
scappare. Tuttavia questo non impedisce loro di accorgersi che, in realtà, si tratta di un indumento
steso ad asciugare e il panico che aveva indotto la fuga si trasforma in sollievo).
L’aspetto che evidenzia la presenza di un’emozione è proprio la Valutazione Intuitiva dell’oggetto o
della situazione con cui interagiamo. Se vi è solo un giudizio ragionato, le emozioni sono assenti.
Nei casi clinici che presentano una reiterata e consistente presenza di giudizi ragionati a scapito di un
pensiero di tipo emotivo, si può presupporre alessitimia o addirittura schizofrenia.
La valutazione intuitiva di uno stimolo comporta la spinta ad agire avvertita nel soggetto come
emozione, emozione che si esprime attraverso numerosi cambiamenti corporei e che eventualmente
conduce all’azione (Arnold, 1960), e l'azione è la realizzazione visibile del processo valutativo.
L’Azione non è quindi solo espressione di un’emozione, ma ha a che fare con un personale processo
valutativo che parte da cambiamenti corporei, diviene emozione e promuove un determinato interagire
nella realtà.
Si può quindi definire l’emozione come l’inclinazione che noi avvertiamo verso ciò che valutiamo
intuitivamente come buono (che porta a noi beneficio) o come cattivo (cioè dannoso). La nostra
attrazione o avversione verso una situazione è accompagnata da un pattern di cambiamenti fisiologici
volti all’avvicinamento o all’allontanamento dalla stessa. Ogni emozione è connotata da un pattern
fisiologico suo proprio.
Il Pensiero, nel suo ruolo di connessione tra emozioni e corporeità, è quindi un processo valutativo
che permette di realizzare un’operatività sintonica con il Sé.
CAPITOLO 3 - GLI AFFETTI IN SIGMUND FREUD
In Freud un accenno agli affetti si ritrova nelle prime riflessioni sul conflitto psichico inteso come
qualcosa che ha luogo tra due idee incompatibili per le loro cariche affettive. È proprio questo
ammontare affettivo a conferire una qualità dinamica alle idee in quanto le mette in movimento, le
oppone e le avvicina.
L’Affetto è allora inteso come espressione qualitativa della quantità di energia istintuale e delle sue
fluttuazioni.
Secondo questa prospettiva, il concetto di affetto si configura come un elemento determinante
nell’insorgere della nevrosi, dato che di fronte ad un evento traumatico o ad un desiderio
psichicamente inaccettabile l’affetto rimosso, che non ha potuto manifestarsi ed è rimasto incapsulato
all’interno della persona, si scarica e trova una via di espressione attraverso il sintomo isterico.
Non a caso, negli "Studi sull’Isteria" (1893-1895), Freud sottolinea come l’efficacia del metodo
catartico, ideato da Breuer per la cura delle pazienti afflitte da sintomatologia isterica, sia da ricercare
nella forza della scarica affettiva che si libera nel momento dell’abreazione.
In questa accezione gli affetti sono intesi come stati di tensione psichica che inducono un’eccitazione
motoria, secretiva e circolatoria, avvertita come un’alterazione interna al corpo della persona che
necessita di una scarica energetica.
Quando una rappresentazione è intollerabile a livello psichico viene sottoposta a rimozione ed esclusa
dal ricordo, mentre l’affetto che l’accompagna non può essere cancellato e rimane fluttuante.
L’energia ad esso associata viene così indirizzata verso un’altra utilizzazione e può generare il
sintomo di natura isterica (se l’investimento energetico viene convertito in energia somatica) o
nevrotica (se la tensione psichica viene spostata su un’altra componente ideativa più tollerabile).
La rimozione, secondo questa prospettiva, agisce scindendo affetto e rappresentazione al fine di
ridurre la tensione generata dal conflitto intrapsichico e, per questo, lo scopo dell’analisi deve essere
quello di ricollegare l’affetto alla rappresentazione ideativa iniziale (non veniva considerato che un
affetto potesse non essere ricollegato ad alcuna rappresentazione, come invece è stato dimostrato
recentemente dalla psicoanalisi) restituendogli il suo significato originario.
In una fase successiva del pensiero freudiano, il concetto di affetto verrà integrato in quello più
complesso di Pulsione. Nella "Metapsicologia" (1915) Freud utilizza il termine pulsione per indicare
un processo dinamico il cui il soggetto a causa di un’eccitazione
somatica (elemento corporeo) è sottoposto ad una spinta (elemento psichico/motivazionale) che lo fa
tendere verso una meta.
La pulsione ha a che fare con il corpo ma lo trascende dato che la sua fonte è nel corpo, ma il
processo che innesca è di natura squisitamente psichica.
Dal punto di vista energetico la pulsione è costituita da un certo ammontare affettivo e da una
rappresentazione collegata e ha come meta la riduzione della tensione psichica ad esso associata.
In base alla natura della meta, Freud distingue tra due tipi di pulsione:
- Pulsioni Sessuali: travalicano l’individuo singolo e hanno come contenuto la generazione di altri
individui, ovvero la conservazione della specie. Rispondono al principio di piacere.
- Pulsioni dell’Io: sono finalizzate alla sopravvivenza dell’individuo stesso, all’autoconservazione. Sono
sottoposte al principio di realtà.
Secondo questa prospettiva, gli affetti vengono descritti come sensazioni che provengono dall’interno
e hanno una relazione peculiare con le pulsioni. Essi, però, si distinguono dalle pulsioni in relazione
alla differente possibilità di accesso alla coscienza dato che una pulsione non può mai diventare
oggetto della coscienza, mentre fa certamente parte della natura di un sentimento il fatto che esso sia
avvertito e quindi noto alla coscienza.
Freud, ponendo l’accento sulla dimensione pulsionale degli affetti, sembra non avere pienamente
considerato il fatto che essi svolgono un ruolo importante nella progressiva organizzazione dell’Io dal
momento che, nelle primissime fasi di vita, il bambino non è in grado di distinguere l’oggetto
dall’affetto, poiché il suo immaturo apparato psichico non riesce a distinguere ciò che appartiene al Sé
e ciò che proviene dall’esterno. Per questo motivo l’esperienza soggettiva del bambino coincide con le
sensazioni corporee cariche
d’affetto che egli sperimenta e la sua vita psichica si organizza attorno ad esse.
Solo nel 1925 Freud, pur mantenendo una considerazione degli affetti basata su un modello
quantitativo e fisiologico, nella creazione della Seconda Teoria dell'Angoscia introduce la
differenziazione tra:
- Angoscia Automatica: fenomeno automatico basato su una risposta spontanea dell’organismo ad
una situazione traumatica cioè ad un afflusso di stimoli minacciosi per l’organismo che si sente
soverchiato;
- Segnale d’Angoscia: ha a che fare con una minore quantità di affetto che mette in moto appropriate
funzioni adattive dell’Io.
In particolare l’angoscia più antica che muove ansie ed emozioni è quella di separazione.
Essa è soggetta ad un sequenza evolutiva in cui prima c’è il terrore di perdere l’oggetto, cioè la
madre, poi fa seguito la paura di perdere l’amore dell’oggetto e infine emerge l’angoscia di perdere
l’amore dell’oggetto interiorizzato, il Super-Io.
Si giunge quindi a considerare gli affetti non solo come disturbo e tensione interna ma anche come
fondamentale strumento di orientamento verso la realtà.
Freud ritiene allora che le emozioni hanno la loro manifestazione nel corpo, ma allo stesso tempo
possiedono un significato psichico e arriva a sottolinearne la natura biologica senza trascurare
l’aspetto soggettivo.
CAPITOLO 4 - LA FUNZIONE COMUNICATIVA DEGLI AFFETTI
Le Comunicazioni Affettive Inconsce
Dal punto di vista filogenetico, già Darwin ha intuito la funzione adattativa dei sentimenti, nel senso di
agevolare la sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Stern, il quale ha compiuto numerose ricerche sperimentali sull'interazione affettiva madre-bambino,
ritiene che sia necessario aggiungere agli affetti darwiniani una serie di qualità e tonalità emotive che li
accompagnano sempre, e che egli chiama Affetti Vitali.
È quindi importante sottolineare che le gestalt comportamentali che ogni madre utilizza con il proprio
bambino si contraddistinguono per essere forme di comunicazione di natura essenzialmente non
verbale e inconscia, che le differenzia in modo significativo dai comportamenti sociali rivolti a soggetti
di età superiore. Tali condotte si realizzano tramite espressioni facciali, vocalizzi, sguardi e
presentazioni del volto che si esprimono con caratteristiche tali da favorire al massimo il
riconoscimento e la discriminazione da parte del neonato. Sono inoltre fondamentali i comportamenti
di estinzione della relazione, tra cui silenzio, evitamento dello sguardo e allontanamento, in quanto
permettono lo sviluppo relazionare del bambino.
È importante come avviene un qualsiasi comportamento, in base a intensità e modalità, e non solo
quale comportamento sia stato eseguito. Gli affetti vitali sono presenti continuamente e permettono ai
partner della relazione di segnalarsi reciprocamente che cosa sentono quando compiono un certo
movimento l’uno verso l’altro.
Nel descrivere la qualità essenziale della relazione madre-bambino, Stern utilizza la Metafora della
Danza (1985) per indicare il fatto che madre e bambino devono continuamente cooperare nel regolare
la qualità, la quantità e la durata degli stimoli, al fine di mantenere eccitamento e risonanza affettiva di
tono positivo.
La meravigliosa danza tra madre e bambino è, secondo Stern, caratterizzata da continue trasgressioni
al limite di tolleranza che, costruendo frustrazioni ottimali che "costringono" il bambino ad affrontare
nuovi adattamenti. Essa è costituita da molteplici forme di interazione e stimolazione sia sensoriali sia
cognitive tra le quali rivestono un ruolo di particolare importanza i momenti di Sintonizzazione
Affettiva, intesa da Stern come quel processo caratteristico di corrispondenza tra gli stati interni della
diade madre-bambino, in virtù del quale sia realizza la condivisione di un sentimento, pur senza
l’imitazione dell’espressione comportamentale.
Madre e bambino, cioè, interagiscono esprimendosi secondo modalità differenti, siano esse vocali o
non vocali, e in tal modo realizzano una modulazione dello stesso affetto su un diverso registro
comportamentale.
La sintonizzazione, dunque, consente ai due membri della coppia di risalire ai reciproci stati interni e,
spostando l’attenzione su ciò che sta dietro il comportamento, di comprendere la qualità dello stato
d’animo condiviso. Il bambino apprende a leggere gli stati emotivi dell’altro e, allo stesso tempo, sente
che i suoi stati d’animo sono riconosciuti e condivisi dalla madre.
Le stimolazioni che il bambino riceve nel rapporto con la madre, infatti, gli consentono di elaborare
schemi mentali degli oggetti e delle relazioni, che sono il risultato, contemporaneamente:
- dell’esperienza motoria;
- dell'esperienza percettiva;
- dell'esperienza affettiva.
Stern chiama Rappresentazione la risultante di questi tre processi esperienziali e Episodio l'unità
dell'esperienza senso-motoria e affettiva..
L’ipotesi di Stern è che il bambino, percependo uno stimolo, possa astrarne un modello, memorizzarlo
e rievocarlo come termine di confronto in contesti simili, formando quelle che egli chiama
Rappresentazioni di Interazioni Generalizzate (RIG). È probabile quindi che i bambini utilizzino tali
capacità di rappresentazione all’interno di contesti interattivi, sviluppando aspettative rispetto ai primi
eventi sociali sino ad identificarne, attraverso successive ripetizioni di un certo episodio, gli aspetti
invarianti, definiti Isole di Coerenza.
È chiaro che all’interno di tali schemi gli elementi delle rappresentazioni si ricompongono nella mente
del bambino secondo la valenza positiva o negativa dell’esperienza senso-motoria e affettiva della
madre e contribuiscano a costruire l’esperienza di un rapporto buono e di una madre buona o
viceversa l’esperienza di un rapporto cattivo e di una madre cattiva.
Madre e bambino, fin dalle primissime fasi di vita, così come avviene tra tutti gli individui in età adulta,
cooperano per regolare reciprocamente il loro stato di attivazione attraverso un elaborato sistema di
comunicazione non verbale fondato sul corpo.
I Sistemi Cerebrali dell'Emisfero Destro
Le ricerche neurofisiologiche hanno dimostrato il ruolo dell'Emisfero Destro nei sistemi cerebrali di
micro-regolazione affettiva che sottendono le interazioni precoci tra madre e bambino.
È stato dimostrato che il viso carico di espressività della madre rappresenta il più potente stimolo
visivo nel primo ambiente di vita del bambino e, parallelamente, lo sguardo del bambino agisce come
un canale interpersonale per la trasmissione di mutue influenze reciproche.
All’interno di questi scambi interattivi, il fatto che le risposte si coordinino così rapidamente suggerisce
con forza l’esistenza di un legame di comunicazione inconscia.
L’esito naturale di questi scambi è che entrambi i componenti della coppia riescono a ricreare uno
stato psicofisiologico interno simile a quello del partner.
Schore (2003) suggerisce che dal punto di vista neurofunzionale questo tipo di comunicazione
emotiva interattiva è sostenuta dai sistemi cerebrali dell’emisfero destro e, in particolare, dalla
Corteccia Orbitofrontale Destra la quale è l’unico sistema corticale ad avere collegamenti sia con la
corteccia cerebrale che con le regioni sottocorticali e, di conseguenza, agisce come zona di
convergenza, permettendo l’integrazione tra le informazioni elaborate nella corteccia relativamente
all’ambiente esterno (stimoli visivi ed uditivi) e quelle elaborate a livello sottocorticale rispetto agli
stimoli che provengono dall’ambiente viscerale (cambiamenti degli stati emotivi e somatici del Sé). Dal
punto di vista ontogenetico inoltre tale area è collocata all’apice gerarchico del sistema limbico, che è
responsabile delle emozioni.
Per tutti questi motivi, l’emisfero destro può essere considerato dominante per i processi
inconsci e per aspetti più ampi della comunicazione, mentre l’emisfero sinistro media la maggior parte
dei comportamenti linguistici.
L’emisfero destro esercita allora una funzione di codifica e valutazione della valenza positiva o
negativa dell’esperienza e contiene un lessico affettivo non verbale in grado di decifrare le espressioni
facciali, i gesti e le posture.
Inoltre il cervello destro, essendo dominante per il senso somatico ed emotivo del Sé, contribuisce in
maniera decisiva allo sviluppo delle interazioni reciproche all’interno dei sistemi di regolazione
madre-bambino. Esse quindi possono essere considerate come forme di comunicazione tra emisferi
destri appaiati ed emotivamente sintonizzati che elaborano in modo totalmente inconscio informazioni
collegate ai vissuti di natura affettiva sperimentati soggettivamente all’interno della relazione primaria.
In altri termini, si tratta di comunicazioni che avvengono al di là del livello di coscienza e che si
trasmettono in maniera specifica attraverso le espressioni del volto, la prosodia, la postura e la
gestualità, quindi attraverso quella che può essere definita la Comunicazione Emozionale Spontanea.
La loro caratteristica, quindi, è quella di essere comunicazioni non verbali.
La Maturazione Dipendente dall'Esperienza dell'Emisfero Destro
Fin dalla nascita e nel corso di tutta la vita, il cervello, e in modo particolare l’emisfero destro matura
più precocemente ed è dominante sin dagli inizi. Inoltre esso subisce specificatamente l’impatto delle
prime esperienze relazionali sia in senso positivo che negativo.
La letteratura neuroscientifica indica che alla nascita è attiva solo l’Amigdala, un sistema di
regolazione primitivo capace di valutare le informazioni grezze sugli stimoli esterni e di modulare il
sistema nervoso autonomo e sistemi di vigilanza.
Nell’amigdala destra vengono immagazzinate, già a partire dalle ultime settimane di gestazione, le
informazioni sensoriali provenienti dalle primissime relazioni di attaccamento sotto forma di ricordi di
natura implicita, pre-simbolica e carica d’affetto.
Successivamente, a partire dall’ottava settimana di vita, si verifica un rapido Aumento dell’Attività
Metabolica della Corteccia Cerebrale, che preannuncia un significativo
progresso della maturazione delle aree del cingolato anteriore della corteccia frontale mediale dovuta
alla stimolazione visiva sottesa alle interazioni vis à vis delle prime esperienze di gioco.
La terza fase caratterizzante lo sviluppo del cervello infantile si realizza verso la metà del primo anno
di vita, quando inizia la Maturazione Dipendente dall’Esperienza del Giro del Cingolo che ha un
ruolo fondamentale per gli stati di coscienza.
A partire dall’ultimo quarto del primo anno di vita e fino alla metà del secondo anno, infine, si assiste
alla rapida Maturazione delle Aree Associative della Corteccia e del Sistema Limbico. Dopo i 9
mesi si raggiunge la fase critica per lo sviluppo delle aree frontolimbiche della corteccia orbitale
prefrontale che, rappresentando l’apice gerarchico del sistema limbico, svolgono una funzione di
ricezione e valutazione sottocorticale del significato regolativo degli stimoli ambientali, sostenendo
l’espressione degli stati affettivi e monitorando gli aggiustamenti alle perturbazioni esterne.
Il cervello destro agisce come un sistema efficiente e coesivo in grado di reagire in modo
relativamente flessibile alle mutevoli richieste del’ambiente interno ed esterno, garantendo un
adattamento coerente all’esperienza soggettiva.
Ricerche neuropsichiatriche hanno mostrato che ambienti che ostacolano la crescita hanno un impatto
negativo sull’ontogenesi dei sistemi prefrontali di regolazione e generano una riduzione del volume
delle aree prefrontali che, secondo alcuni autori, rappresenta uno marcatore endofenotipico della
predisposizione alla psicopatologia.
I principali Disturbi Associati a Pattern Inefficienti di Organizzazione del Cervello Destro,
specialmente nelle aree prefrontali, dovuti a scambi relazionali di sregolati e non funzionali, sono quelli
che riguardano:
- Capacità di Cognizioni Sociali (disturbi dell’empatia e della codifica degli stimoli emotivi);
- Capacità di Autoregolazione (difficoltà a modulare la durata e l’intensità degli affetti, specialmente di
quelli biologicamente primitivi);
- Capacità di Mentalizzazione (intesa da Krystal come desomatizzazione, ovvero come la difficoltà a
riflettere sui propri stati mentali e a valutare gli indizi interni sui propri stati somatici, e da Schore come
alessitimia, ossia come difficoltà ad esprimere a livello semantico gli affetti e le emozioni sperimentati
a livello corporeo.
CAPITOLO 5 - IL SISTEMA VALUTATIVO DELLE EMOZIONI IN JOHN BOWLBY
John Bowlby è uno dei primi psicoanalisti a dimostrare l’importanza dei sentimenti nello sviluppo
sociale e cognitivo dell’individuo. Egli ritiene che non si debba privilegiare né il mondo esterno della
realtà né quello interno dei fantasmi e l’oggetto della psicoanalisi debba essere la loro reciproca
interazione.
Su incarico dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, nel 1950 sviluppa una ricerca sulla salute
mentale dei bambini senza famiglia, mettendo in evidenza che la presenza o l’assenza materna è
fondamentale nello sviluppo del neonato.
Il suo pensiero è espresso nei lavori pubblicati dal 1958 al 1963 che presentano i lineamenti della
teoria dell’attaccamento.
Già Freud aveva parlato di infanzia ma, il più delle volte, aveva utilizzato i dati provenienti
dall’osservazione sugli adulti nevrotici. Bowlby invece è convinto che solo la diretta osservazione del
bambino e del cucciolo dell’animale possa fornire materiale realmente significativo.
Questa intuizione è stata confermata dai risultati delle più recenti ricerche in campo neurobiologico
che indicano con assoluta chiarezza che il cervello in via di sviluppo, sia negli animali sia negli esseri
umani, è qualitativamente diverso dal cervello adulto. Ciò implica che, per costruire modelli evolutivi
sempre più accurati della mente umana, è necessario utilizzare un approccio che non si fondi solo su
una ricostruzione retrospettiva basata sul funzionamento del cervello adulto, ma che si serva di
strumenti e metodologie specifici volti a descrivere i processi di natura prevalentemente affettiva che
caratterizzano le prime fasi dell’esperienza.
Bowlby ritiene allora essenziale per la salute mentale del bambino che egli sperimenti un rapporto
caldo, intimo e ininterrotto con la madre o con un sostituto materno permanente.
Mentre nel modello freudiano la mente è pre-strutturata e organizzata secondo un sistema
motivazionale monadico delle pulsioni, dove le dinamiche interattive ricalcano le vicissitudini
pulsionali, con Bowlby sono le reali interazioni a generare fantasie, affetti e strategie difensive di fronte
agli imprevisti e ai fallimenti dell’ambiente.
Si fa strada, quindi, l’idea che ad un modello di psicologia monopersonale centrata sugli impulsi si
debba affiancare un modello di psicologia bipersonale centrata sull’intersoggettività.
In accordo con l’ipotesi di Bowlby, oggi, gli studi in campo neuropsicologico pongono la loro attenzione
non tanto sui fenomeni affettivi soggettivi, quanto su ciò che viene definito Neurobiologia
dell’Intersoggettività, ovvero sui meccanismi attraverso i quali le relazioni interpersonali regolano
sinergicamente gli stati psicobiologici nel campo intersoggettivo creato da due cervelli che
interagiscono.
La Natura Istintuale dei Comportamenti di Attaccamento
A partire dagli studi etologici e dal confronto con quelli psicoanalitici, Bowlby definisce la duplice
Funzione del Comportamento di Attaccamento:
- assicura la vicinanza alla figura di accudimento;
- protegge il neonato dal pericolo.
L’attaccamento ha un carattere pulsionale ma la sua motivazione è indipendente dai sistemi pulsionali
che favoriscono l’accoppiamento e la nutrizione.
Il neonato è istintivamente predisposto a stabilire un’interazione di attaccamento con il caregiver, ma il
legame affettivo fra l’adulto e il bambino può crescere solo in una atmosfera relazionale dove i bisogni
emotivi del bambino sono in grado di trovare soddisfazione all’interno di un contenimento
sufficientemente continuativo.
Il comportamento di attaccamento si crea a partire da un numero di componenti istintuali all’inizio
abbastanza indipendenti e che maturano in tempi diversi nel corso del primo anno di vita. Queste
componenti hanno la funzione di legare il bambino alla propria madre e viceversa.
Emerge qui come l’autore veda l’unità madre-bambino caratterizzata da dimensioni di reciprocità, così
come già sostenevano Ferenczi e Hermann.
Bowlby postula cinque Risposte Istintuali:
- succhiare;
- aggrapparsi e seguire (per tenere la madre vicina);
- sorridere e piangere (per attivare il comportamento materno).
La caratteristica saliente di questo tipo di risposte istintuali risiede nel loro carattere manifesto e
osservabile.
L’idea di Bowlby è che i bambini, come i piccoli di altre specie, nei primi mesi di vita maturano un
adeguato bagaglio di risposte istintuali, al fine di assicurarsi e ricevere quelle cure parentali
necessarie alla sopravvivenza.
L’attaccamento, a suo parere, si realizza con una sola persona ed è questa la ragione che rende gli
uomini capaci di emozioni profonde. Avere un attaccamento profondo verso una persona, una cosa o
un luogo, ha a che fare con l’averli individuati come oggetti verso i quali possono essere orientate le
nostre risposte istintuali.
La Neurobiologia dell'Attaccamento
Gli studi neurobiologici sul cervello destro, dominante alla nascita per l’elaborazione dell’informazione
emotiva, e, in particolare, sulla maturazione dipendente dal’esperienza della corteccia orbitofrontale
destra hanno mostrato che questa regione è significativamente coinvolta nei processi di
co-regolazione affettiva che sottendono i meccanismi di proto-attaccamento.
È stato osservato che, sin dalla nascita, il bambino è predisposto dal punto di vista neurobiologico a
utilizzare le sue capacità sensoriali in via di sviluppo per interagire con l’ambiente.
Già a partire dai primi mesi di vita appare impegnato in frequenti scambi comunicativi con il caregiver
(interazioni vis à vis, vocalizzi e atteggiamenti posturali) volti ad avviare una reciproca stimolazione e
a garantire il coordinamento di stati affettivi a valenza positiva all’interno di un processo di risonanza
diadica.
Possiamo affermare che i genitori sufficientemente maturi dal punto di vista psichico agiscono ad un
livello non verbale al di fuori della coscienza, come dei regolatori psicobiologici esterni che, facilitando
le esperienze di regolazione affettiva, promuovono la crescita cerebrale del bambino.
Studi nel campo dell’attaccamento in chiave psicobiologica hanno mostrato che gli scambi di
rispecchiamento a elevata intensità affettiva innescano una scarica di endorfine nel cervello in via di
sviluppo del bambino che determina un’amplificazione del livello delle emozioni positive. Tale stato di
attivazione esercita un potente influsso sui processi evolutivi, perché promuove un trasporto
simbiotico tra il sistema neuroendocrino maturo della madre e quello immaturo del figlio attraverso la
stimolazione di risposte ormonali che attivano il Sistema Nervoso Centrale e il Sistema Nervoso
Periferico del bambino.
Questi dati, quindi, sembrano supportare l’idea che i legami di attaccamento stabili in grado di
trasmettere elevati livelli di affetti positivi, sono di vitale importanza per la continuità dello sviluppo
neurobiologico del bambino.
Il bambino forma un legame di attaccamento con la figura che lo accudisce in maniera preferenziale,
sintonizzata dal punto di vista neurobiologico, che svolge una funzione di regolazione e che non solo
minimizza gli affetti negativi, ma potenzia anche le opportunità di sperimentare affetti positivi.
Siamo di fronte ad un meccanismo biologicamente determinato di interdipendenza tra un ambiente
interno ed esterno nel soggetto in crescita, in quanto se infatti da un lato la relazione d’attaccamento
modella in maniera diretta la maturazione dei sistemi di gestione dello stress dell’emisfero destro che
agiscono ad un livello inconsapevole, dall’altro l’emisfero destro contribuisce allo sviluppo delle
interazioni reciproche all’interno dei sistemi di regolazione madre-bambino e media la capacità di
sincronia biologica, il meccanismo di regolazione dell’attaccamento.
Attaccamento Sicuro e Co-Regolazione degli Affetti
Il bambino attraverso il rispecchiamento materno, entra in contatto con il proprio mondo interiore in
virtù delle risposte che le figura di attaccamento offre ai suoi comportamenti e impara a riconoscere il
vissuto affettivo dell’altro.
La figura di attaccamento svolge un ruolo essenziale nella regolazione degli affetti, monitorando,
modulando e correggendo le risposte emotive attraverso procedure di feedback.
In caso di mancata o parziale sintonizzazione, infatti, si verifica un fallimento delle capacità di
autoregolazione del bambino che determina la sperimentazione di un senso di discontinuità nel
proprio essere.
In altre parole, ciò che consente al bambino di sviluppare le proprie capacità di autoregolazione è la
costruzione di schemi di interazione all’interno dei quali la figura di accudimento sufficientemente
buona, che ha indotto una reazione di stress emotivo nel bambino a causa di una perdita di
sintonizzazione, è però in grado di evocare con il giusto tempismo Meccanismi di Riparazione
Interattiva che consentono di recuperare lo stato di sintonizzazione e di trasformare l’emozione
negativa in una positiva.
Attaccamento Sicuro e Modelli Operativi Interni
All’interno della relazione di attaccamento, il bambino costruisce una serie di immagini e di aspettative
su di sé, sulla propria madre e sull’ambiente. Immagini e aspettative confluiscono in una serie di
Modelli Operativi rappresentativi di sé stesso e degli altri, basati su pattern ripetuti di esperienze
interattive. Questi modelli sono definiti operativi poiché il piccolo li usa per predire il mondo e mettersi
in relazione con esso, e sono definiti modelli in quanto si creano grazie all'interazione tra soggetti.
È importante sottolineare la caratteristica di Complementarietà che Bowlby attribuisce ai modelli
operativi:
- una persona che ha costruito un modello operativo interno delle proprie figure di attaccamento come
amorevoli ha buone possibilità di costruire un modello operativo complementare del sé come soggetto
degno di amore;
- una persona che, invece, ha costruito un modello operativo interno delle proprie figure di
attaccamento come ambivalenti, molto probabilmente costruirà al suo interno un modello cognitivo
complementare del sé come soggetto non sempre degno di amore.
Le aspettative che il soggetto ha nei confronti delle figure di accudimento lo portano, da bambino
prima e successivamente da adulto, ad effettuare delle previsioni sul comportamento dell’altro oltre
che a guidare, alla luce del proprio modello operativo, le risposte che egli darà specie nelle situazioni
di bisogno e ansia.
Ciò accade perché il cervello possiede una funzione fondamentale che può essere definita Funzione
Predittiva grazie alla quale ogni individuo, a partire da stimoli attuali, produce in modo inconsapevole
tendenze percettive sulla base di esperienze precedenti immagazzinate nei differenti sistemi di
memoria.
Sulla base di ciò si può ipotizzare che le esperienze di interazione precoci immagazzinate
nell’inconscio possano funzionare da modelli di relazione sulla base dei quali il soggetto costruisce
predizioni per tutte le relazioni successive.
Ogni coppia madre-bambino si impegna in ripetute interazioni di accudimento che, come abbiamo
visto comportano, oltre che cure fisiche, scambi emozionali e comunicativi non
verbali. Tali interazioni possono essere immagazzinate nei gangli della base a costituire un nucleo
inconscio in virtù del quale il soggetto, anche in età adulta, tenderà a valutare le interazioni successive
e a predirne l’esito.
L’ipotesi oggi più accreditata è che a essere interiorizzati non siano gli oggetti, ma le relazioni e le
interazioni, mediante la registrazione a livello mentale delle esperienze affettive precoci nella forma di
rappresentazioni interattive del Sé che effettua delle transazioni emotivamente significative con
l’oggetto.
Le osservazioni dimostrano che durante i primi due o tre anni di vita lo schema di attaccamento è una
proprietà della relazione (madre/bambino o padre/bambino). Non di
meno, quando il bambino cresce, lo schema diventa sempre più di proprietà del bambino stesso, il
che significa che egli tende ad imporlo, o a imporre un suo derivato, nelle nuove relazioni che
intreccia.
Nei primi anni di vita queste strutture operative sono relativamente soggette al cambiamento in quanto
possono sviluppare modelli separati e indipendenti a partire dalle diverse qualità di scambio fra loro
che con il passare del tempo si configurano gradualmente come aspetti di personalità del soggetto.
In età adulta i modelli operativi diventano vere e proprie configurazioni della memoria organizzate
gerarchicamente e si riferiscono ai diversi aspetti della realtà. Non sono quindi semplici sistemi
comportamentali, ma vere e proprie reti rappresentative, e hanno un diverso grado di influenza e si
attivano nel soggetto in particolari situazioni di vita, non funzionando come filtri passivi dell’esperienza
ma come strutture che concorrono al ricrearsi di situazioni relazionali note.
I Fallimenti dell'Attaccamento Sicuro
Nelle Relazioni di Attaccamento Non Soddisfacenti, quando la base sicura stenta ad esprimersi,
può accadere che il soggetto metta in campo manovre difensive per attenuare la sofferenza che ne
deriva e ciò ostacola ulteriormente l’instaurarsi di una relazione calda e reciproca con la figura di
attaccamento.
Tali interazioni disfunzionali con un genitore psicobiologicamente non sintonizzato determinano
l’impossibilità per il bambino di accedere alla regolazione da parte della madre dei propri stati affettivi
e ciò produce una persistente incapacità di autoregolare ed elaborare le esperienze emotive.
Questi soggetti sono caratterizzati da una capacità limitata di modulare l’intensità e la durata degli
affetti più primitivi, specialmente in condizioni di difficoltà e stress socioemozionale.
Contemporaneamente, a causa del parziale o mancato rispecchiamento da parte della figura di
accudimento del proprio stato interno, i bambini con attaccamento insicuro mostrano difficoltà
nell’integrare le informazioni somato-sensoriali con quelle di natura affettivo-relazionale e faticano a
strutturare rappresentazioni di Sé unitarie e coese.
Ripetuti e protratti episodi di disregolazione affettiva determinano una compromissione
dell’organizzazione precoce e delle connessioni del sistema orbito-frontale, dal momento che il
bambino che viene sottoposto ad elevati livelli di ormoni dello stress deve investire tutte le proprie
risorse nei processi di auto-regolazione e perde potenziali opportunità di apprendimento
socio-emotivo.
Come conseguenza il soggetto si trova impossibilitato ad accedere al sistema di regolazione affettiva
più maturo gestito dalle strutture superiori del cervello destro e prevale un’elaborazione degli stimoli
interni ed affettivi di tipo più primitivo. Gli affetti vengono quindi sperimentati semplicemente come
sensazioni corporee e non come stati soggettivi discreti la cui intensità e durata può essere modulata.
Come conseguenza i segnali corporei enterocettivi, inadeguatamente elaborati dai sistemi corticali
superiori dell’emisfero destro, non possono essere comunicati al sinistro attraverso le connessioni del
corpo calloso per un’ulteriore elaborazione di tipo semantico. Il trasferimento interemisferico inefficace
delle informazioni affettive, nei casi più gravi, produce alessitimia e determina l’impossibilità per i due
emisferi cerebrali di cooperare per integrare le rappresentazioni di Sé implicite e fondate
sull’esperienza somatosensoriale elaborate dal cervello destro con quelle esplicite ed esprimibili in
forma dichiarativa dal cervello sinistro.
Bowlby era dell’idea che l’individuo sviluppi un Modello Operativo Scisso del Sé in relazione alla
figura di attaccamento:
- un aspetto del modello, quello che valuta il sé come cattivo giustificando la figura di attaccamento
che lo rifiuta, sarà accessibile alla coscienza;
- l’altro, che valuta il sé come buono e la figura di attaccamento come cattiva, verrà, invece,
difensivamente escluso e situato al di fuori della consapevolezza, ma sarà in grado di influenzare i
processi di pensiero.
È interessante sottolineare che i modelli operativi definiscono non solo l’idea che l’individuo ha di sé,
ma anche l’idea di quello che può aspettarsi dalla realtà.
Questi modelli operativi, declinati secondo i ritmi e i modi emotivi della diade caregiver-bambino,
hanno quindi un valore prognostico non solo sull’evoluzione dell’idea di sé ma anche sulle possibilità
percettive e ideative, cognitive e affettive, del soggetto rispetto alla realtà.
Gli Effetti del Trauma sulla Relazione di Attaccamento
È evidente che, nei casi in cui la figura di accudimento non solo è poco sintonizzata sugli stati affettivi
del bambino ma è addirittura negligente o abusante nei suoi confronti, può succedere che si
inneschino Stati Emotivi Traumatici duraturi caratterizzati da un tono affettivo fortemente negativo.
Il bambino si trova abbandonato in uno stato di disregolazione affettiva dal quale non riesce a
fuoriuscire autonomamente e sperimenta vissuti angosciosi di disorganizzazione e solitudine. Precoci
esposizioni a forme di trascuratezza emozionale, disattenzione, insensibilità, svalorizzazione e
mancanza di rispetto dei limiti dell’altro espongono quindi il bambino a deficit evolutivi perché vengono
meno quelle condizioni minime di sicurezza emotiva e mentale necessarie allo sviluppo.
Il bambino si trova solo nel difficile compito di regolare il proprio equilibrio omeostatico e, dovendo
investire tutte le proprie risorse ed energie nei processi di regolazione interna, non può utilizzarle per i
processi di maturazione cerebrale con un conseguente fallimento nella continuità dello sviluppo.
I modelli operativi cui hanno accesso sono parziali e non contengono le informazioni necessarie per
mentalizzare i propri stati emotivi o per fuoriuscire dagli stati mentali negativi indotti dallo stress
relazionale. Per minimizzare l’ansia devono ricorrere a strategie difensive di tipo primitivo quali:
- il ritiro emotivo;
- la somatizzazione;
- la dissociazione (nei casi più gravi).
I bambini esposti a trauma relazionale, a causa della loro incapacità di mettere in atto strategie
comportamentali coerenti per affrontare tale situazione, utilizzano Risposte Psicobiologiche
Primitive e composte da due modalità distinte:
- Iperattivazione: durante la prima fase della minaccia, la reazione di allarme innescata dal trauma
attiva in modo significativo le componenti simpatiche del SNA, determina una aumento della
frequenza cardiaca e della pressione arteriosa e si manifesta attraverso il pianto e le urla;
- Dissociazione: se il tentativo del bambino di suscitare una reazione di contenimento da parte del
genitore fallisce, compare e perdura nel tempo una seconda componente di reazione dominata dal
sistema parasimpatico in virtù della quale il bambino si distacca dagli stimoli del mondo esterno per
rifugiarsi nel proprio mondo interno e le cui manifestazioni sono l’obnubilamento, la condiscendenza,
l’evitamento e la restrizione degli affetti.
Tali episodi, però, interrompendo la normale integrazione di pensieri, sentimenti ed esperienze nel
flusso della coscienza e della memoria, hanno effetti devastanti sul Sé in via di sviluppo del bambino e
sul suo senso di coesione interna con effetti che possono perdurare nel tempo.
È quindi possibile che in particolari situazioni di stress interattivo il soggetto, non riuscendo ad
accedere a strategie di autoregolazione mature ed efficaci, regredisca verso le stesse primitive forme
di difesa di tipo difensivo sperimentate nella primissima infanzia e riattualizzi comportamenti di tipo
dissociativo.
Attaccamento e Memoria: il Nucleo Inconscio del Senso di Sé
I sistemi cerebrali del cervello destro, deputati all’elaborazione dell’informazione emotiva, alla
regolazione dei vissuti affettivi e all’integrazione delle informazioni somatosensoriali con quelle
provenienti dal mondo esterno, giungono a piena maturazione solo se sostenuti e adeguatamente
stimolati da quelli del caregiver all’interno di una relazione diadica significativa.
Ciò consente al bambino di sperimentare l’emergere di un’organizzazione del Sé sempre più
complessa attraverso la condivisione di momenti interattivi a forte valenza affettiva.
Il Senso di Sé, secondo la prospettiva di Stern, è una qualità emergente dell’individuo che si struttura
attraverso fasi successive all’interno del campo intersoggettivo fin dalle primissime fasi di vita. Esso
nasce dall’esperienza e dall’integrazione dei dati provenienti dagli organi di senso in rappresentazioni
astratte di natura inconscia e a-verbale.
CAPITOLO 6 - DAL SENTIRE AL PENSARE
Come già avevano evidenziato a livello clinico Ferenczi (1927) e Winnicott (1965), il
Rispecchiamento che il genitore offre agli stati emotivi del bambino, peraltro ancora inconsci per lui,
è decisivo nel determinare le possibilità di un’elaborazione simbolica degli stessi. In altri termini, se il
rispecchiamento dell’adulto è disfunzionale il bambino rimarrà in uno stato di confusione rispetto alle
proprie emozioni, che non potranno essere riconosciute e integrate nel proprio Sé.
In un primo momento, grazie al rispecchiamento materno, il bambino può rendersi conto di provare
sentimenti e pensieri e, in un certo senso, possiamo dire che egli può entrare in contatto con il proprio
mondo interiore. Successivamente egli impara che il genitore può collegare i suoi vissuti e le sue
emozioni in modo significativo e rispondervi. Questo lo rende gradualmente capace non solo di
distinguere i propri stati emotivi, ma di comprendere che anche i suoi interlocutori hanno sentimenti e
pensieri (Fonagy, 2001).
Le esperienze di interazione regolate e non regolate dalla figura di accudimento sono registrate e
conservate nella memoria implicita, che si forma precocemente nell’ambito del sistema orbitofrontale,
sotto forma di rappresentazioni che includono non solo gli elementi significativi per l’apprendimento di
eventi legati all’ambiente esterno, ma anche gli indizi riguardati i cambiamenti del proprio stato interno
in relazione all’ambiente. Ciò determina la
possibilità di sviluppare quella che Fonagy e Target (1997) hanno definito Funzione Riflessiva,
ovvero l’insieme di quelle operazioni psichiche che consentono la percezione dello stato mentale
dell’altro attraverso il rispecchiamento offerto dal caregiver ai propri stati interni.
Un’altra funzione centrale della corteccia orbitofrontale destra, che riveste un ruolo particolare nello
sviluppo delle competenze meta cognitive del bambino, è la capacità di rappresentare a livello
mentale le esperienze soggettive del passato, del presente e del futuro e di diventare consapevoli.
Tale Coscienza Autonoetica, intesa come capacità di riflettere sul Sé nel tempo, compare attorno ai
18 mesi, quando la corteccia orbitofrontale giunge a completa maturazione.
Naturalmente tutto ciò avviene quando il rispecchiamento non è disfunzionale agli stati affettivi del
bambino.
Ogni fenomeno psichico quindi va analizzato nella sua complessità e specificità tenendo conto delle
componenti motivazionali che lo hanno sovra determinato, dei movimenti difensivi che in un
particolare momento possono sostenerlo e delle dimensioni strutturali più profonde che caratterizzano
la mente di ogni soggetto (Bleichmar, 1997).
Ogni interazione reale della diade viene registrata a livello inconscio nei circuiti di memoriaimplicita ed
emotiva del bambino non tanto in termini di ricordo di tipo dichiarativo, quanto piuttosto in termini di
rappresentazione e di processo.
Queste due componenti, Affettiva e Processuale, dell’esperienza precoce si imprimono nella memoria
sottoforma di Matrici-Credenze Passionali (Bleichmar, 1997) che tendono ad orientare la vita
psichica del soggetto attraverso l’attivazione della vigilanza nella direzione di quei segnali che,
riconfermando la matrice, tendono a riattualizzare il sentimento ad essa collegato.
L’ambiente fornisce al soggetto in crescita qualcosa in più del semplice sostegno ad un processo
evolutivo che è già inscritto nell’individuo (ambiente facilitante), in quanto esso deve provvedere al
bambino, fornendo alla sua mente ancora immatura quelle stimolazioni, quelle funzioni e quei
contenuti che altrimenti non potrebbe avere (ambiente provvidente).
Molti autori, a partire da Freud, hanno distinto tra:
- Patologie da Conflitto: traggono origine dal conflitto intrapsichico che si genera a causa di desideri e
pulsioni la cui intollerabilità psichica è fonte di angoscia;
- Patologie da Deficit: derivano da arresti dello sviluppo attribuibili all’incapacità dell’ambiente primario
di fornire al soggetto quanto richiesto dal processo evolutivo.
Nelle patologie da deficit il soggetto è in balia di sentimenti di impotenza e vulnerabilità dovuti alle sue
deficitarie funzioni psichiche e preferisce attribuire a se stesso (senso di colpa) o ad altri reali
(angosce persecutorie) la responsabilità del proprio malessere pur di mantenere un illusione di
controllo.
In queste patologie quindi, l’angoscia precede il desiderio e ne rende impossibile l’emergere e lo
svilupparsi.
Nelle patologie da conflitto, al contrario, è la forza del desiderio che genera angoscia e ne impone la
rimozione. Il desiderio c’è e agisce, e il conflitto che si genera è tra l’intensità del desiderio e quella
della rimozione.
Il Percorso Terapeutico può rendere il paziente più responsabile rispetto alla qualità delle proprie
esperienze affettive. Il che lo renderà più capace di esercitare la funzione della regolazione affettiva e
quindi più in grado di realizzare il proprio Sé nella realtà. Si tratta quindi di ristrutturare l’inconscio del
paziente e non semplicemente di disvelarlo.
La relazione genitore-bambino e quella paziente-analista condividono alcuni meccanismi di
trasmissione emotiva, tra i quali rivestono un ruolo fondamentale le mutue influenze reciproche che si
esprimono attraverso comunicazioni non verbali e inconsce.
Possiamo dire che tali interventi clinici sono finalizzati alla transizione da uno stato in cui gli effetti
venivano vissuti solo a un livello esperienziale preverbale a uno rappresentazionale simbolico con lo
scopo, a lungo termine, di permettere al paziente di internalizzare le funzioni regolative
temporaneamente svolte dal terapeuta.
Nel lavoro a lungo termine, con l’internalizzazione delle funzioni di regolazione del terapeuta, il
paziente dovrebbe diventare sempre più capace di accedere ad una funzione autoriflessiva che gli
permetta di valutare il significato di una molteplicità di stati interni.
Da un punto di vista interattivo e di assetto psicoanalitico, l’analista sceglierà, alla luce del suo
controtransfert, come posizionarsi rispetto a richieste talvolta destabilizzanti.
E' importante infine sottolineare come la comprensione dei pazienti più gravi presupponga la
disponibilità ad accogliere esperienze controtransferali dure e molto difficili, dato che non si tratta di
valutare solo l’analizzabilità del paziente, ma anche di tener conto dei sentimenti e delle capacità di
prendere quella persona in cura. Il fatto che la rappresentazione emotiva del mondo interiore sia molto
compromessa richiede molta pazienza e fiducia nelle proprie risorse personali e psicoanalitiche.
CAPITOLO 7 - IL LINGUAGGIO DEI SENTIMENTI NEL LAVORO CLINICO
Rispetto a quanto detto precedentemente è da considerare allora che è all'interno del Campo,
elemento sviluppato dai Baranger (1961) che intende gli elementi non pensati ed emotivi del rapporto,
che il paziente apprende cosa vuol dire tollerare il vuoto ideativo che lo abita.
In questo il corporeo è da pensare, come già sostenuto da Ferenczi, come ad un corpo e ad una
mente integrati a livello di esperienza di Sé e in grado perciò di produrre cambiamento nella vita della
persona. È proprio il poter fare esperienza di tale integrazione che arricchisce nel tempo il soggetto
fornendogli, in continuità con la mente, quelle informazioni che riguardano emozioni fino a quel
momento dissociate e accumulate in alcune zone del corpo.
Ciò che rende patogeno il trauma non è solo l’evento traumatico, ma la successiva e assoluta
Negazione dell’Accaduto da Parte dell’Adulto.
È ormai dimostrato che le esperienze che contribuiscono alla rappresentazione delle relazioni
oggettuali, sia neutre che traumatiche, si verificano in un momento troppo precoce per essere
ricordate nel senso conscio del termine. Tuttavia le esperienze precoci risultano formative e vengono
trattenute in parti del cervello separate da quelle in cui le memorie vengono codificate, conservate e
riutilizzate.
Il Lavoro Psicoanalitico e Corporeo su se stessi può consentire al paziente una nuova modalità di
stare in relazione con sé e con l’altro senza necessariamente estraniarsi dal corpo come conseguenza
della dissociazione.
Il paziente il più delle volte non è interessato né ad un discorso che chiarisca quanto gli sta
accadendo, né tantomeno al rimando puro e semplice da parte dell’analista della condivisione del suo
racconto, bensì chiede di diventare in grado di vivere in se stesso emozioni riconoscibili che diano
significato alla realtà vissuta di ogni giorno, al posto di una confusione generalizzata che può
diventare intrusiva e dispotica a livello mentale e paralizzante a livello corporeo.
È cioè sempre più condiviso il fatto che il lavoro psicoanalitico non sia semplicemente la tradizionale
esperienza conoscitiva di un soggetto verso oggetti di indagine bensì assuma sempre di più il
significato centrale della relazione tra due soggetti.
In senso più generale sembra che questi pazienti abbiano bisogno di coinvolgimento corporeo e
coinvolgimento emotivo, di sperimentare un sentimento di vera fiducia nella capacità di comprensione
e accoglienza da parte dell’analista. La realizzabilità di questo tipo di ambiente relazionale è legata
alla disponibilità dell’analista a scendere con coraggio in quel luogo oscuro che è diventato rifugio
nella mente del paziente. Uno spazio in cui il paziente si è dapprima nascosto e poi smarrito.
A questo punto del discorso è superfluo forse sottolineare che lo psicologo clinico che desideri
lavorare con questo tipo di pazienti debba opportunamente formarsi anche su un piano più
squisitamente corporeo. Si tratta di sperimentare in prima persona come poter oscillare, trovando un
proprio equilibrio dapprima al proprio interno e poi con i pazienti, tra aree mentali che sono solo in
apparenza localizzate su una linea di confine tra mente e corpo. Queste aree in realtà, infatti, non
appartengono né alla mente né al corpo, ma esistono in quanto entità indipendenti e complementari
capaci di influire sulla possibilità di pensare i pensieri e le emozioni, al fine di declinarli in azioni
significative per la persona.
Il pensiero, quindi, tramite un lavoro sincronico e sintonico con un corporeo consapevole, potrà
esprimersi dando voce ad un corpo che, a sua volta, nel passato non ha potuto imparare a muoversi
in modo regolato con un pensiero sottostante.
Prima di giungere a pensare questo luogo lontano è probabile che l’analista per qualche verso colluda
con il paziente, nel senso di essere disponibile a mischiarsi con lui per incontrarlo. Mi riferisco a quella
traiettoria, auspicabile in un’analisi, che partendo dal rispetto del setting, incrementa le capacità
introiettive dell’analista e nel tempo dello stesso paziente.
Saper stare il più vicino possibile al paziente e consentigli di attualizzare, rivivendole con l’analista,
anche situazioni molto intricate e dolorose non ha nulla a che fare con il confondersi con lui. Solo così
si può creare un sentire a due, diverso dal semplice capire il paziente. Interpretazione e contenimento
devono funzionare all’unisono, come elementi di un unico sistema. Ne consegue che, se a entrare in
crisi è anche uno solo degli elementi, l’intero sistema si blocca. Il contenimento dell’angoscia, così
come di altre emozioni, si può instaurare nell’essere umano solo se egli ha potuto introiettare
qualcuno capace di provare questo tipo di comprensione psichica e corporea nei suoi confronti.
L’occasione per il paziente di imparare a comprendere è legata alla possibilità di vivere l’esperienza
con un’analista in grado di accogliere le emozioni ricevute, piuttosto che respingerle. È essenziale che
quest’ultimo le possa accogliere senza giudicarle o difendersene allontanandosi.
I sentimenti dell’analista si intrecciano con le idee dell’analizzato e le idee dell’analista con i sentimenti
dell’analizzato. In questo modo le immagini, che altrimenti rimarrebbero prive di vita diventano degli
eventi, e le tempeste emotive che non possiedono un contenuto vengono riempite di un contenuto
rappresentativo.
Ciò può avvenire poiché immagini e tempeste emotive incontrano un contenitore sufficientemente
elastico e flessibile. Sto parlando di un contenitore, psichico e corporeo, condiviso tra analista e
paziente e che realizza una prima forma di reciprocità.
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