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di - 8½
Numeri
Festival, rassegne e contributi pubblici
Non solo Freaks!
Indagine sulle web series italiane
Geografie del cinema
Focus sul cinema svedese
Cinema e web
Mashup trailer
febbraio
2013
5,50 €
Engli
numero
2
NUMERI, VISIONI
E PROSPETTIVE
DEL CINEMA ITALIANO
e
s
sid
n
i
t
x
e
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SERVONO ANCORA
A QUALCOSA
I FESTIVAL
DEL CINEMA?
EDITORIALE
di Gianni Canova
PORSI LE DOMANDE
GIUSTE. ANCHE QUANDO
NON CI PIACCIONO.
a domanda che ci interrogava dalla copertina del numero
1 di 8 ½ (“Siamo un paese di analfabeti filmici?”) era di
fatto una domanda retorica. Implicava una risposta desolantemente affermativa. Nasceva dalla consapevolezza
dell’urgenza di porre in primo piano, nel nostro paese, la
questione della formazione e dell’alfabetizzazione al cinema e agli
audiovisivi. Sulla copertina del numero 2 c’è invece una domanda
(“Servono ancora a qualcosa i festival del cinema?”) che non consente
risposte altrettanto nette e univoche. Perchè i festival del cinema non
sono tutti uguali. Non hanno tutti né la medesima storia né un’ana-
L
loga funzione. Alla domanda se servono ancora a qualcosa, non si può
rispondere con un sì o con un no. Bisogna fare distinzioni, articolare
ragionamenti, tener d’occhio dettagli e sfumature. L’importante è porsela, una domanda del genere. E 8 ½ lo fa: coerente con la sua
missione (e ambizione) di voler essere una testata che pone problemi,
apre confronti e innesca riflessioni. Senza pregiudizi, senza preconcetti. Senza guardare in faccia nessuno. Ma nella convinzione che una
delle cose che maggiormente servono oggi al cinema italiano sia la
capacità di alzare la qualità dei discorsi sociali che esso è in grado di
produrre e di stimolare.
Le reazioni che abbiamo ricevuto dopo l’uscita del primo numero ci
dicono che abbiamo imboccato la strada giusta, che 8 ½ può davvero
colmare un vuoto e funzionare da volano per la promozione reputazionale del nostro cinema anche fuori dai confini nazionali. In questo
secondo numero – non a caso – alcune copie della rivista escono con
parecchie pagine tradotte in inglese: le manderemo al Festival di Berlino, ma in futuro saremo presenti con la versione bilingue anche a
Cannes, Venezia, Roma e ad altri grandi festival internazionali. Ma 8
½ sarà distribuita anche presso gli Istituti italiani di cultura sparsi un
po’ in tutto il mondo, e in tutte le istituzioni che hanno rapporti e relazioni con il cinema italiano. Siamo convinti che questo sforzo possa
servire a marcare una presenza non solo rituale, ma desiderosa di intervenire nel cuore dei problemi e di generare attenzione e riflessione.
Questo, almeno, è il nostro auspicio. Anche in questo numero cerchiamo di segnalare le novità positive e i giovani talenti che si affacciano sulla scena della produzione: nel numero 1 segnalavamo la new
wave dell’animazione italiana, nel numero 2 diamo invece spazio e
voce agli autori di alcune delle web series di maggior successo, spesso
frutto di coraggiose operazioni produttive e comunque piene di talento
genuino, originale, non stereotipato. Ci piacerebbe riuscire ad essere
appassionati senza essere corporativi, spregiudicati ma non velleitari,
problematici ma non autolesionisti. Sarà chi ci legge a dirci se ne
siamo capaci oppure no.
1
SOMMARIO
06
VIALE DEL
TRAMONTO
di G.C.
13
I FESTIVAL
COME IMPRESA
di Mario Abis
07
QUESTIONARIO
DAI CLASSICI... AI
CONTEMPORANEI
14
ELOGIO DEI
PICCOLI FESTIVAL,
DOVE LA GENTE VA
PER VEDERE I FILM.
di Maurizio Sciarra
EDITORIALE
08
01
PORSI LE DOMANDE
GIUSTE. ANCHE
QUANDO NON
CI PIACCIONO.
di Gianni Canova
09
10
SCENARI
04
ANCHE I LEONI
INVECCHIANO,
ANCHE LE PALME
INGIALLISCONO...
di Gianni Canova
IL RED CARPET?
NON È UNO
SPERPERO,
PERCHÉ CI FA
SOGNARE
di Lorenza Sebastiani
IL RED CARPET?
UN AMMASSO
DI POLVERE
E MICROBI
di Roberta Ronconi
VIE D’USCITA
DALLA LITURGIA
SENZA FEDE
DELL’EVENTO
VECCHIO STILE
di Giorgio Gosetti
16
24
RED CARPET?
NO GRAZIE.
RISORSE?
INSUFFICIENTI.
di Stefano Stefanutto
Rosa
34
OLTRE GLI
APOCALITTICI:
L’EUROPA DEI
SUPER INTEGRATI
di Andrea Bellavita
36
PLAYLIST
PILLOLE DAL
MONDO
DELLE WEB SERIES
ITALIANE
di Nicole Bianchi e
Andrea Guglielmino
COSA MI PIACE
DEL CINEMA
ITALIANO
26
DIETER KOSSLICK
di Micaela Taroni
INNOVAZIONI
30
CI SALVERANNO
LE WEB SERIES?
di Rocco Moccagatta
47
COME LO STATO
SOSTIENE LE
MANIFESTAZIONI
DI PROMOZIONE
CINEMATOGRAFICA
di Iole Maria
Giannattasio
FREAK OUT:
LE BRAND,
C’EST TREND!
48 IL CONTRIBUTO
INTERVISTA A
PUBBLICO A
LUCIANO MASSA
FESTIVAL E
di Andrea Guglielmino
RASSEGNE
43 VOGLIAMO
di I.M.G.
KUBRICK
50 LE CANDIDATURE
di Valerio Orsolini
E I PREMI CHE
DANNO PUNTEGGIO
AUTOMATICO NEL
REFERENCE SYSTEM
40
I PREMI
NON SONO TUTTO.
MA AIUTANO.
INTERVISTA A PAOLA
CORVINO
di Michela Greco
NUMERI
8½
NUMERI, VISIONI
E PROSPETTIVE
DEL CINEMA ITALIANO
Mensile d’informazione
e cultura cinematografica
Iniziativa editoriale realizzata
da Istituto Luce-Cinecittà
in collaborazione con ANICA
e Direzione Generale Cinema
Direttore Responsabile
Giancarlo Di Gregorio
Capo Redattore
Stefano Stefanutto Rosa
Coordinamento editoriale
Nicole Bianchi
Direttore Editoriale
Gianni Canova
In Redazione
Carmen Diotaiuti
Andrea Guglielmino
Traduzioni
Adele Dorothy Ciampa
Vice Direttore Responsabile
Cristiana Paternò
Coordinamento redazionale
DGCinema
Andrea Corrado
Hanno collaborato
Mario Abis, Andrea Bellavita,
Giulio Bursi, Federica D'Urso,
Iole Maria Giannattasio,
Giorgio Gosetti, Michela Greco,
Jan Lumholdt, Francesca Medolago,
Albani, Rocco Moccagatta,
Stefano Mordini, Valerio Orsolini,
Alberto Pezzotta, Giovanni Marco
Piemontese, Ilaria Ravarino,
Rossella Rinaldi, Roberta Ronconi,
Paola Ruggiero, Maurizio Sciarra,
Lorenza Sebastiani, Micaela Taroni
SOMMARIO
51
53
IL BOX OFFICE DEI
FILM DI INTERESSE
CULTURALE
di Andrea Corrado
BILANCIO
DI UN ANNO:
LA RECESSIONE
NON FRENA
CREATIVITÀ
E TALENTI
di A.C.
57
58
MEMORIA DIGITALE
55
SALVATORE
GIULIANO
ALLA RIVOLUZIONE
DELL’EBOOK
di Paola Ruggiero
62
ALLARGARE
GLI ORIZZONTI
GRAZIE AI
FESTIVAL-MERCATO
di Federica D’Urso e
Francesca Medolago
Albani (Ufficio Studi
ANICA)
60
Cinema italiano
nei festival stranieri
76
84
Progetto Creativo
19novanta communication partners
Creative Director
Bruno Capezzuoli
Designer
Giulia Arimattei, Matteo Cianfarani,
Lorenzo Mauro Di Rese,
Simona Merlini
PUNTI DI VISTA
90
ESERCENTI
RESISTENTI
di Stefano Mordini
92
LA CENSURA
NON MUORE MAI
di Alberto Pezzotta
95
BIOGRAFIE
ADATTAMENTO 2.0
di Ilaria Ravarino
GEOGRAFIE
78
GLI ITALIANI
CHE PIACCIONO
A REDFORD
di R.R.
QUERIDO CINEMA
ITALIANO
di R.R.
INTERVISTA
AL PRODUTTORE
FREDRIK WIKSTRÖM
NICASTRO.
di C.P.
IL MARKETING DEL
CINEMA ITALIANO
LA GRANDE
BELLEZZA
DI LUCA MARINELLI
di Rossella Rinaldi
INTERVISTA A
FRANCESCO ROSI.
di P.P.
Videoimpaginazione
Valeria Ciardulli
Import-export
NEL MONDO
57
54
62
FOCUS
69
IL CASO SVEZIA
70
VOGLIA DI NOVITÀ
E CACCIA ALLE
REGISTE. MA IL
PASSE-PARTOUT
È IL NOIR NORDICO.
di Cristiana Paternò
74
I LUOGHI
DEL CINEMA
di Nicole Bianchi
INTERNET E NUOVI
CONSUMI
86
EFFETTO
FRANKENSTEIN:
COSÌ IL WEB
“RICUCE”
IL TRAILER
di Carmen Diotaiuti
COSA CI MANCA?
CINEMA ESPANSO
UN LARS VON TRIER
80 LO SGUARDO
TUTTO NOSTRO
di Jan Lumholdt
ESPANSO
di Giulio Bursi
Stampa ed allestimento
Arti Grafiche La Moderna
Via di Tor Cervara, 171
00155 Roma
Distribuzione in libreria
Joo Distribuzione
Via F.Argelati,35
Milano
Direzione, Redazione,
Amministrazione
Istituto Luce-Cinecittà Srl
Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma
Tel. 06722861 fax: 067221883
[email protected]
Registrazione
presso il Tribunale
di Roma n° 339/2012
del 7/12/2012
Per le immagini della sezione
Scenari si ringrazia
VENICE MOVIE STAR AWARD
SCENARI
Festival del cinema
Anche i Leoni
invecchiano,
anche le Palme
ingialliscono...
di Gianni Canova
Non incrementano gli incassi.
Non attraggono nuovo
pubblico. Faticano a scoprire
e a valorizzare nuovi talenti.
Aumentano di poco la
reputazione dei vincitori.
Forse è venuto il momento
di interrogarsi - senza pregiudizi
e senza preconcetti - sul senso
presente e sulle prospettive
future dei grandi festival del
cinema europei.
4
n tempo servivano a promuovere il cinema e i film. A correggere le strozzature,
le pigrizie e le miopie del mercato. Ma oggi? A cosa servono oggi i grandi
Festival del Cinema? A guardare i dati degli incassi il panorama è sconfortante:
dopo giorni e giorni di esposizione mediatica senza pari, i film di Venezia e di
Cannes, di Roma e Berlino – anche quelli più acclamati e premiati – stentano
al box-office, non attraggono nuovo pubblico, galleggiano su performance poco più che
mediocri. Nello stesso tempo, manifestazioni culturali che hanno un’eco e una copertura
mediatica infinitamente minore rispetto ai grandi festival del cinema (basti pensare anche solo
ai vari festival della filosofia, della letteratura, dell’economia sparsi un po’ in tutta l’Italia)
attraggono molto più pubblico “vero” (che non è quello degli addetti ai lavori) della Mostra di
Venezia o del Festival di Roma. Perché? La risposta – se si vogliono chiamare le cose con il
loro nome – è (relativamente) semplice ma, a suo modo, spietata: perché Festival come
Venezia e Roma (ma lo stesso discorso vale per Cannes e Berlino) rischiano di apparire vecchi.
Obsoleti. Per certi versi perfino pateticamente decrepiti. Di fatto, mantengono la stessa
struttura e lo stesso concept di quando la Mostra di Venezia fu inventata dal conte Volpi per
promuovere il turismo al Lido negli Anni Trenta del millennio scorso. In questi 80 anni è
cambiato il cinema, è cambiato il mondo, siamo cambiati noi. È cambiato – radicalmente – il
nostro modo di guardare, di percepire, di relazionarci al cinema e ai film. Loro, i festival, no.
Loro sono ancora lì, con riti medievali come il red carpet (che è l’equivalente laico
dell’apparizione della Madonna nelle liturgie folcloriche religiose), con la manutenzione di
cerimoniali divistici che non stanno più in piedi, con la liturgia dell’evento e il gossip sul corpo
mistico della star. Sono lì con le loro selezioni spesso conformiste e lottizzate. E con la loro
ormai acclarata autoreferenzialità: più che a promuovere il cinema e i film, servono ormai
soprattutto a promuovere se stessi. Servono ancora a qualcosa? Con questo servizio vorremmo
provare ad aprire una discussione franca e costruttiva, incrociando il più possibile punti di
vista contrastanti. Ma per farlo è necessario porre a tutti – anche a noi stessi – alcune domande
ormai ineludibili.
U
5
DOMANDE
SCENARI // Festival del cinema
1. L’ossessione dell’ anteprima mondiale
Da molti anni i grandi festival vivono nell’ossessione (e nell’orgoglio) di presentare i loro
film in “anteprima mondiale”. È una tendenza che ha toccato il proprio apice all’ultimo Festival di Roma, con la promessa più volte ribadita, poi mancata, infine rinviata, di presentare
in anteprima mondiale Django Unchained di Quentin Tarantino. Ma nell’era del web 2.0 il
culto della “prima” – così locale e, in fondo, provinciale – non è divenuto di colpo obsoleto?
Non sono maturi i tempi – lo chiediamo ai direttori dei grandi festival – per passare dalla
filosofia del “far vedere per primi” a quella del “far vedere meglio”, del “far vedere di più” e
– soprattutto – del “far vedere cose che altrimenti non vedremmo”?
2. La composizione delle Giurie
Se si ripercorrono i Palmarès degli ultimi anni, balza all’occhio la sostanziale incapacità
delle Giurie di fare scelte coraggiose, sorprendenti e al tempo stesso autorevoli. In molti
casi i verdetti sono altamente discutibili. Rispondono a logiche incomprensibili al grande
pubblico. Peccano di conformismo e di pavidità. Stentano a individuare il nuovo e a
promuovere il talento (soprattutto se eretico…). A volte sorge il dubbio che la colpa di tutto
ciò derivi almeno in parte anche dal modo in cui le Giurie vengono composte. Per dirla
tutta: che competenza hanno certi artisti, certi musicisti, certi scrittori (che notoriamente
non vanno mai al cinema) per individuare l’eccellenza nel panorama complesso del cinema
contemporaneo? Perché i direttori dei grandi festival continuano a costruire Giurie che
confermano il luogo comune (del tutto infondato…) secondo cui chiunque è in grado di
giudicare – anche tecnicamente – un film? Perché nell’era in cui sul web spopolano i
giudizi sommari – quelli espressi con il pollice verso – almeno nei festival non si creano o
Giurie capaci di esprimere giudizi competenti oppure – una buona volta – Giurie popolari
ma formate da forti consumatori di film?
3. L’effetto “soliti noti”
Se si va a scorrere l’elenco dei film selezionati per il concorso nelle ultime edizioni dei grandi
festival europei, si ha come l’impressione di trovarsi di fronte al “club dei soliti noti”. Se non,
addirittura, a una festa di coscritti. Tra gli iscritti al club, se uno ha un film pronto te lo ritrovi
puntualmente selezionato. O qui o là. Senza eccezioni. I nomi sono quasi sempre gli stessi,
da Pedro Almodóvar ai fratelli Dardenne, da Aki Kaurismäki a Lars Von Trier. I debuttanti, se
ci sono, li devi cercare con il lanternino. Gli esordienti sono una rarità. Il sospetto che nel
meccanismo ci sia qualcosa che non va è non solo legittimo ma anche doveroso.
4. L’apartheid dei generi
Nei grandi festival ormai si coltiva un solo genere: quello dei film da festival. Non c’è spazio
per la commedia, l’horror, l’avventura, la fantascienza, per tutto ciò che è cinema-cinema, e
che non pretende di cucinare predicozzi sui destini ultimi dell’universo mondo. Cannes,
Venezia, Roma e Berlino dividono il cinema in una serie A e in una serie B. È una sorta di
pulizia etnico-estetica dell’immaginario. Col risultato che alcuni dei film più interessanti e
dei cineasti più innovativi di questi anni ai grandi festival non partecipano mai. Perché?
5. La spending review dei festival
Nello scenario critico che l’economia mondiale sta attraversando, forse è venuto il momento
di dire che anche i festival devono costare meno. Non credono i direttori che sia necessario
ridurre i costi e attenuare le spese?
Non pensano che sia opportuno spendere meno soldi per party e banchetti, o per desuete
liturgie divistiche, e investire invece di più per sostenere e promuovere – anche dal punto
di vista comunicazionale, visto che molti media non lo fanno più – il cinema di ricerca e i
progetti veramente innovativi?
5
SCENARI // Festival del cinema
Viale del tramonto
di G.C.
Il glamour della star non “tiene”
più. Neanche la vittoria di un
Oscar garantisce a un attore
o a un’attrice un alto tasso
di popolarità. 120 questionari
compilati da studenti universitari
confermano la labilità della
memoria divistica e la maggior
tenuta, al confronto, della
memoria filmica. Ha ancora
senso costruire un festival
attorno al culto delle star?
6
assimo Girotti e Alida Valli
ormai non li riconosce più
nessuno. Meno di uno su
dieci riconosce Ugo Tognazzi. E perfino Massimo
Troisi, a meno di vent’anni dalla morte, viene
ricordato e riconosciuto da poco più del 50 %
degli intervistati. Senza avere pretese di rigorosa rappresentatività sociologica, il questionario distribuito a 120 studenti di varie
università milanesi ha comunque un significativo valore sintomatologico: suona da un
lato come conferma del sostanziale analfabetismo iconico che 8 ½ denunciava già nel
primo numero fra le più gravi emergenze culturali italiane, ma rivela anche la tendenziale
labilità della memoria divistica. Un’idea di cinema tutta costruita intorno al glamour della
star non funziona più (ammesso che abbia
mai funzionato): il culto divistico ha il fiato
corto, si dissipa nell’arco di un paio di generazioni, non genera né memoria né cultura.
Genera business e mercato? Non è detto. Nei
120 questionari distribuiti e compilati, gli studenti erano invitati a scrivere, accanto al
nome dell’attore o dell’attrice, anche il titolo
di almeno un film da questi interpretato. In
moltissimi casi i ragazzi hanno scritto il titolo
di un film, ma non il nome dell’interprete.
Molti – per dire – non hanno riconosciuto il
volto (o non hanno ricordato il nome…) di
Anna Magnani, ma hanno scritto accanto alla
sua immagine Roma città aperta o, in un paio
di casi, La lupa, che per altro lei non ha mai
interpretato. Accanto a Ingrid Bergman qualcuno ha scritto solo Casablanca. E potremmo
continuare. Ciò significa che i film hanno una
capacità di radicarsi nell’immaginario e nella
memoria molto più forte delle star. Detto in
M
modo ancora più spiccio: è il film che traina
la star, non viceversa. Il film viene ricordato
molto più di colui (o colei) che l’ha interpretato. Ma se ciò è vero, ha ancora senso continuare a progettare festival (e a gestire la
comunicazione mediatica sui festival) attorno
al “culto delle star” e al rito del red carpet invece che sulla promozione dei film? Qualcuno potrebbe obiettare che i questionari
analizzati riguardano divi del passato. È vero,
ma la situazione non cambia di molto neanche con le star di oggi. Ai nostri 120 studenti
è stato somministrato anche un test con le
icone di 5 attori e 5 attrici del cinema contemporaneo. Questi, in ordine decrescente, i risultati dei “riconoscimenti”: Keira Knightley
105 su 120, Helena Bonham Carter 70 su 120,
Julianne Moore 57 su 120, Cate Blanchett 55
su 120, Helen Hunt 37 su 120. Tra gli attori:
Christian Bale 88 su 120, Colin Firth 81 su
120, Tim Roth 73 su 120, Viggo Mortensen 66
su 120, Jean Dujardin 13 su 120. Anche in
questo caso spesso l’attore viene riconosciuto non in quanto tale ma in quanto interprete del tal film (Christian Bale è indicato in
moti casi come “quello di Batman”, Colin
Firth più per Il diario di Bridget Jones che per
Il discorso del re, Tim Roth per Lie to Me). Neanche la vittoria recente di un premio Oscar
garantisce un alto livello di popolarità, come
dimostrano i riconoscimenti relativamente
scarsi di Helen Hunt e, soprattutto, di Jean
Dujardin. Sono dati che andrebbero meditati
e analizzati con estrema attenzione. Soprattutto dai direttori di festival. E da quei caporedattori delle pagine spettacoli che
continuano a pensare che la comunicazione
da un festival debba incentrarsi tutta e solo
attorno alle “apparizioni” delle star.
SCENARI // Festival del cinema
QUESTIONARIO
Dai Classici... Ai Contemporanei
Sono stati distribuiti 120 questionari, sempre a studenti universitari di varie facoltà (19-22 anni).
Il questionario chiedeva di indicare per ciascuna foto il nome dell’attrice/attore ed un film interpretato.
legenda
le risposte in bianco
le risposte esatte
Per continuare il test, collegati al sito 8-mezzo.it
A
G
48
64
15
6
H
B
0
0
I
C
105
D
E
81
J
K
57
L
37
66
A Anna Magnani B Silvana Mangano C Alida Valli D Keira Knightley E Julianne Moore F Helen Hunt
G Vittorio De Sica H Ugo Tognazzi I Massimo Girotti J Colin Firth K Tim Roth L Viggo Mortensen
F
73
7
I
l red carpet del cinema è un sogno.
Rosso è il suo colore, quello della passione. E non potrebbe certo essere un
altro. Sopra ci cammina chi ce l’ha
fatta: attori, attrici, registi. Trasformando così quel tappeto rosso nel più grande
generatore di invidia universale.
È tutta una corsa all’esserci: dallo stilista che
fa a gara per vestire l’attrice del momento, alla
soubrette che si gode la gloria per essere riuscita a fidanzarsi col bell’attore di turno, allo
sceneggiatore sempre dietro le quinte che sul
red carpet una volta l’anno vive il suo quarto
d’ora di “andywarholiana” celebrità.
Il tappeto rosso ha le sue regole e anche la sua
(sacrosanta) logica. E pertanto va protetto.
Eschilo nel suo Agamennone fa camminare
l’eroe su tappeti color porpora. Anche se oggi
abbiamo altri eroi, il red carpet resta una passeggiata per sole divinità.
Fa persino nascere mode e tendenze: di recente la cantante Elisa, alla prima romana del
nuovo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, per il quale ha inciso il brano inedito
Ancora qui scritto dal maestro Ennio Morricone, è apparsa sul red carpet mostrando ufficialmente il suo secondo pancione.
Insomma la donna passeggia sulla passerella,
quindi è ufficialmente consacrata a diva. Ma
è ingrassata, rifatta, felice della propria esi-
stenza? Il carpet risponde soprattutto a queste domande e ha quindi poco a che fare con
il cinema, ma paradossalmente molto con la
sua essenza. Incarna la sua radice onirica, il
motivo stesso per cui è stato creato. Poco
c’entra con la meritocrazia, il cinema serve
per sognare non (solo) per educare.
Che sia il Lido di Venezia o la montée des marches di Cannes quel che conta è consacrarsi a
star di massima celebrità e possibilmente di
fronte a tutti. E questo accade solo grazie a
quel tappeto.
C’è da dire, infine, che il red carpet è anche
democratico. Sì, perché permette a tanti ammiratori di vedere le proprie star da davvero
vicino e magari cercare di strappare loro un
autografo. Non a caso quello della notte degli
Oscar è il più famoso, al bordo del quale possono accostarsi solo pochi fortunati che sono
riusciti a prenotarsi con largo anticipo. Quella
passerella è una rara occasione di vicinanza col
pubblico, accorcia le distanze sottolineando la
lontananza tra “stelle” e persone comuni.
Quindi sì, i festival di cinema servono a mantenere il cinema funzionalmente lontano dal
popolo, per permettere al popolo di continuare a sognare. Ma non è uno “sperpero”,
perché il cinema è esso stesso la forma di
sperpero più sublime in circolazione.
IL RED CARPET?
Non è uno
sperpero,
perché ci
fa sognare
di Lorenza Sebastiani
Eschilo nel suo Agamennone fa
camminare l'eroe su tappeti color
porpora. Anche se oggi abbiamo
altri eroi, il red carpet resta una
passeggiata per sole divinità.
Eppure è anche democratico,
perché permette al popolo di
“accostare” i propri miti.
8
di Roberta Ronconi
Il tappeto rosso, che evoca
immagini da favola, è meno
di niente, un pezzaccio di stoffa
sporco. La differenza dunque la fa
“il gioco” più antico e crudele di
tutti i tempi: quello dell’esclusione.
Chi è sul tappeto rosso vince, chi
sta fuori, perde.
Un ammasso
di polvere
e microbi
I
l red carpet è un gioco. Il gioco più antico e crudele del mondo, a cui tutti i
bambini imparano a uniformarsi sin
dai primi anni di vita. È il gioco delle
linee, degli spazi, che delimitano il
fuori e il dentro. Chi tocca la linea si ferma un
giro, chi oltrepassa la linea è espulso, dentro
la linea vinci. In concreto il red carpet, (tappeto rosso, per noi Italians) è un pezzaccio di
stoffa, spesso assai polveroso, buttato in
mezzo a una strada o sopra una scala di compensato costruita nottetempo. A Venezia percorre orizzontalmente il Palazzo del cinema
del Lido, a Cannes si arrampica sulla scala di
un edificio che, fuori festival, è brutto forte, a
Roma scende la rampa dell’ingresso all’Auditorium, anonimissima se non fosse per gli arricchimenti artistici allestiti all’uopo.
Di per sé, dunque, questo red carpet che
evoca immagini da favola è meno di niente,
un ammasso di polvere e microbi. La differenza dunque la fa una non dichiarata convenzione, “il gioco”, il più antico e crudele gioco
di tutti i tempi: quello dell’esclusione. Chi è
sul tappeto rosso vince, chi sta fuori, perde.
Chi è sopra si veste da re, chi è sotto si veste
da suddito.
Ciò premesso, devo dire che a me la parte del
gioco e dei giocatori che piace meno è proprio
quella che normalmente si identifica con il red
carpet, ovvero i divi-registi-produttori-press
agent che fanno la parte dei re e delle regine.
Se da un lato è vero che hanno il ruolo apparentemente migliore (soldi, vestiti, gioielli,
macchine e tutto l’apparato mediatico addosso), il prezzo che pagano per questi privilegi (sic!) è l’abdicazione totale a se stessi.
Eccoli lì, splendidi nei loro sorrisi abbaglianti,
occhi seducenti, spacchi ammiccanti, tacchi
circensi, smoking fascianti. Agitano magna-
nimi la mano ai sudditi, giocano con i fotografi
e carezzano teste di bambini mentre in realtà
vorrebbero vomitare per le ulcere perforate
dall’alcool, urlare per la paura dei troppi stalker, sotterrarsi per il disgusto verso se stessi,
nascondersi dall’eccesso di falsità che li circonda. A volte, questa discrepanza tra vero e
falso è talmente evidente da risultare patetica.
A volte, quasi sempre, il gioco funziona e il povero sovrano riesce a trattenere il mal di pancia fino a casa. Ma anche lì, nel segreto della
sua toilette, un paparazzo lo aspetta.
Assai più tranquilla ed equilibrata la posizione
dei sudditi, che fanno la loro parte di popolo
adorante per qualche secondo e poi se ne tornano felici ai fatti propri. Con qualche eccezione per i “sudditi” cannensi che, al contrario
di quelli veneziani o romani, si “mettono in
parte” sin dalla mattinata. Eccoli lì, alle dieci
di mattina già piazzati lungo i marciapiedi
della Croisette con le loro seggioline, ombrellino parasole, busta con frutta e panini, macchinetta fotografica, bambini urlanti legati alla
catena, nella speranza di vedere Brad e Angelina salire la scalinata rossa verso le 20. Dieci
ore seduti a bivaccare, con le limousine che
sfiorano i marciapiedi per evitare stragi inopportune, a principale discapito dei più sfigati
partecipanti al gioco: noi, i cronisti cinematografici. Noi, che ci svegliamo all’alba e ci corichiamo a notte fonda, che passiamo tutta la
giornata a dribblare sovrani e popolani, che
vediamo tanti di quei fotogrammi da confondere, a sera, Gesù con un avatar. Noi, che il
gioco lo annusiamo appena e poi corriamo a
raccontarlo dalle stanze affollate dei terminali.
Sperando che quella limousine che sta arrivando a tutta velocità ci lasci campare almeno
fino al prossimo festival.
L RED CARPET
9
SCENARI // Festival del cinema
Vie d’uscita
dalla liturgia senza fede
dell’evento vecchio stile
Stefano Micozzi - Soggetto: John Woo, Marco Müller - 8th Venice Movie stars Award
di Giorgio Gosetti
10
A cosa serve un festival se la novità si scopre sul web, se l’eco di un nuovo talento viaggia in tempo
reale da un capo all’altro del mondo, se la comunicazione globalizzata spinge la volontà
di potenza dei selezionatori ad aspirare, sempre, a uno ius primae noctis terribilmente solipsista?
Forse si può cedere un po’del proprio potere locale per favorire l’idea del festival-circuito.
e formule danno sempre successo
se confermate e consolidate fino a
diventare una tradizione. A questa
regola i festival di cinema non si
sono quasi mai sottratti, tanto più
che proprio l’iterazione di modelli e comportamenti ha sancito la fortuna di manifestazioni storiche come Venezia e poi Cannes o
Berlino e che il rito si è presto trasformato in
liturgia con quel tanto di sacrale che, una
volta, andava di pari passo prima con lo star
system e poi con l’auteur system. Di fatto lo
schema fondamentale di ogni festival cinematografico è ancora figlio diretto del palinsesto
della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1934. Come Miklòs Jancso
possiamo dire che, nel corso del tempo, il rito
è prevalso sulla tecnica e che proprio questo
ha irrigidito gli schemi ideativi fino a sclerotizzare il sistema. Adesso facciamo i conti tardivi con un modello di promozione e scoperta
culturale che si sta usurando e arrugginendo,
ma che non regge il passo con i nuovi sistemi
dell’informazione, della visione, della conoscenza. Di fronte alle grandi kermesse mediatiche ci sentiamo a disagio e avvertiamo il
peso di un loro costo effimero che non trova
compensazione nei contenuti, ma non abbiamo proposte alternative e gestiamo l’ordinario (compresi i premi e i tappeti rossi) come
una liturgia privata della fede.
L
Scrivo con la coscienza di aver contribuito
per la mia parte a questo immobilismo che,
visto in prospettiva e senza ricorrere a inutili
toni apocalittici, rischia di segnare la fine di
un meccanismo virtuoso, ancor oggi potenzialmente vitale per tutti quelli che non sfor-
nano cibo predigerito e che non hanno i
mezzi per mettersi in prima fila in modo da
essere notati. E so anche bene che una furia
iconoclasta, una “rottamazione” compulsiva
non solo non si adatti al conservatorismo
della comunità cinematografica, ma rischi di
fare un servizio ancora peggiore a registi e artisti in cerca di visibilità. Propongo allora un
mini-decalogo delle innovazioni possibili, attingendo all’esistente e alle esperienze dell’industria culturale.
1
Partiamo dalla considerazione che i festival
metropolitani hanno certamente prodotto
uno svecchiamento dei riti elitari del passato
turistico/festivaliero (la radice anche di Venezia e Cannes), ma nel tempo hanno accreditato una pericolosa malattia: la bulimia del
direttore che ha spinto i festival a trasformarsi
in supermarket del fast food cinematografico.
Osserviamo anche che la moda del web festival, concepito sulla rete per il prodotto cinematografico che sulla rete trova il suo terreno di
coltura, non ha per ora lasciato segni di originalità, spingendo anzi la community cinefila
lontano da quel luogo identitario e collettivo
che è il teatro fisico del rito.
Accettiamo infine che il più importante salto
di qualità è avvenuto col Film Art di Rotterdam, quando per la prima volta un festival è
diventato collettore di progetti, idee, finanziamenti a sostegno della produzione indipendente e di qualità. Il modello, rimasto a lungo
unico, è adesso tra i più copiati e si può dire
che, dopo la stagione dei festival-mercato vissuti come imprescindibili (ricordate le batta-
2
3
11
1 Riccardo Cesari - Soggetto: Jessica Chastain 2 Alessandra Benedetti - Soggetto: Tim Burton - 4th Venice Movie stars 3 Alcide Boaretto - Soggetto: George Clooney - 4th Venice Movie stars
SCENARI // Festival del cinema
SCENARI // Festival del cinema
glie per avere anche a Venezia le tende dei
mercanti come a Cannes?), siamo alle prese
con un autentico “giro delle sette chiese” alla
ricerca di finanziatori da un festival all’altro.
Col brutto risvolto che anche iniziative nobili
come quelle dei forum di coproduzione finiscano a incoraggiare uno strano ircocervo definito “cinema da festival”, che ha portato sul
binario morto almeno una generazione di sognatori con la macchina da presa.
Dove cercare allora un nuovo che abbia un
senso? Personalmente sono molto tentato
dall’ibridazione con i festival di letteratura
e di pensiero, che fanno degli artisti e delle
loro idee la ragione dello spettacolo e sono
quindi modellati su un’idea di consumo sostenibile che ridarebbe al cinema uno spazio di approfondimento e godimento
collettivo. Certo, anche in questa formula i
rischi sono tangibili, ma si può fare, come
dimostra la sezione “Extra” di Roma. Mi
piace anche la provocazione della sala virtuale in parallelo con la sala reale che, con
molte ritrosie, si è presentata in scena all’ultima Mostra di Venezia. Poi mi piac-
ciono i festival che hanno come obiettivo
qualificante la formazione del pubblico, la
creazione di una nuova generazione di consumatori consapevoli (più importanti ancora degli “artisti consapevoli” cui si
dedicano l’Atelier della Cinéfondation e il
Biennale College). Di questo oggi si occupano soprattutto i festival di restauro (da
Lumière a Lione all’Immagine Ritrovata di
Bologna) che insegnano anche la regola
aurea della collaborazione tra manifestazioni lontane nel tempo e nello spazio, alla
faccia dell’ego direttoriale.
Di esperienze alternative e originali ce ne
sono anche in Italia e in questo il nostro
paese si conferma laboratorio del nuovo, proprio come accade fin dagli Anni ’60 al tempo
della Mostra di Pesaro. Ma la stagione che
andiamo ad affrontare non può limitarsi a cercare rinnovati “cento fiori” alla periferia dei
grandi flussi della distribuzione. Con la macchina-spettacolo è necessario fare i conti,
tanto più adesso che le trasformazioni dei linguaggi coincidono con le innovazioni tecnologiche e che una competizione globale
esiste: non sul fronte delle “anteprime” ad
ogni costo che esaltano solo l’ego direttoriale
e un pugno di riviste di settore, ma nella valorizzazione e rilancio di un cinema indipendente che dei festival ha bisogno come luogo
di visibilità. Il tema è tutto qui: si può applicare una tecnica rinnovata a un mito che si logora? Finché parliamo del mito della sala buia
combattiamo battaglie in difesa della nostalgia dell’esistente, riproduciamo modelli rassicuranti perché immutabili, andiamo incontro
a un lento declino. Se ci facciamo prendere
dalla frenesia della rincorsa al nuovo, sappiamo che tecnologia e realtà ci supereranno
in corsa. Abbiamo bisogno invece di una
nuova generazione di programmers che sappia inventare con la memoria dell’antico. Per
rinnovare dobbiamo ritrovare il gusto della
scoperta condivisa e della sfida alla convenzione. Ci vuole un po’di coraggio, ma il nostro
pubblico è migliore degli addetti ai lavori. Ed
è dal pubblico che bisogna ripartire. Non c’è
nulla di peggio di una sala vuota, con radi
spettatori attempati.
12
Camilla Morandi - Soggetto: Eva Herzigova - 5th Venice Movie stars Award
SCENARI // Festival del cinema
I FESTIVAL
COM E
I M PRESA
di Mario Abis
anno un valore economico
riconoscibile in un’economia
della cultura sempre più
competitiva e dominata dalla
scarsità delle risorse i festival
di cinema, che in Italia sono 130 e, tranne
poche eccezioni, tutti piccoli e di nicchia? Una
ricerca dell’università IULM pubblicata da
Johan & Levi, condotta con una metodologia
innovativa che incrocia i dati strutturali
disponibili con survey sui diversi player e
pubblici coinvolti, dà alcune risposte. Per ogni
euro investito viene restituito un valore di
circa 2,6 euro, valore che si ripete nei vari
contesti territoriali. Siamo lontani da alcuni
dati un po’ pompati, e mai certificati
scientificamente, diffusi dagli organizzatori,
però è certo che i festival non producono
perdite ma utili e coinvolgono una filiera
complessa in una linea di servizi, compreso
l’indotto turistico. Un festival mette in gioco
in pochissimo tempo una varietà di pubblici
di riferimento e articola una distribuzione di
servizi. Per esempio negli 11 festival
considerati dalla ricerca, la stima delle spese
H
Per ogni euro investito le rassegne
restituiscono un valore di circa 2,6
euro sul territorio.
di gestione, per la performance annuale, è
stata stimata in circa 4 milioni e 200mila
euro. Questa somma ha determinato una
produzione di quasi 10 milioni di euro. Un
sistema economico neanche tanto micro, se
consideriamo che il campione rappresenta il
10% del comparto, escludendo i grandi
festival come Venezia e Roma. E questa
dinamica è ancor più significativa se viene
proiettata sull’occupazione con 100 posti di
lavoro ad hoc creati, un 20% dei quali
permanenti. D’altra parte il tema del valore
non può esaurirsi qui, va integrato con
indicatori di marketing. Il pubblico di un
festival può essere a pieno titolo definito di
qualità: è giovane/medio giovane, colto,
competente e fedele. Le valutazioni sulla
varietà dei servizi proposti, su una scala da 1
a 10, si stabilizzano quasi sempre intorno al
7. Inoltre l’attrazione non riguarda singole
specificità (quel film, l’incontro con
quell’autore, quel dibattito) ma il festival nella
sua globalità. Questa dimensione ha una
ricaduta economica, misurabile in termini
d’interesse da parte degli sponsor diretti e
indiretti. In questo quadro, un valore tipico di
un’economia postmoderna che si ritrova nei
festival è la densità di scambi e relazioni che
vengono generate, producendo effetti anche
molto in là nel tempo e in contesti diversi dal
territorio di partenza. Compresa la spinta alla
cooperazione fra operatori e pubblica
amministrazione. Tutto bene dunque? Non
proprio. La ricerca mette in evidenza anche
profonde lacune e, in molti casi, arretratezze
significative: mancanza di informazioni di
base, bilanci approssimativi, scarse verifiche
sui pubblici di riferimento, in sostanza buchi
su quelle leve di marketing che, nelle
condizioni che abbiamo sintetizzato, possono
garantire la sopravvivenza stessa dei festival.
13
SCENARI // Festival del cinema
Elogio dei piccoli festival,
dove la gente va per vedere i film.
di Maurizio Sciarra
Villerupt, dove le signore che prima cucinavano
per i minatori ora preparano ravioli e tagliatelle
per gli invitati. Oppure Mons, dove il presidente,
che è un appassionato deputato della città,
è diventato primo ministro del Belgio.
are che fosse Konstantin
Stanislavskij a dire “non ci sono
piccole parti, solo piccoli attori”.
Beh, potremmo dire lo stesso dei
festival di cinema. Non ci sono
piccoli festival, ma festival “piccini”,
nell’accezione peggiore del termine.
P
Ci sono festival dove ci devi andare per forza,
ma dove sei un numero nel catalogo, stai
chiuso nella tua stanza d’albergo (magari
dorata) per tutto il periodo aspettando la tua
proiezione, o le interviste dei giornalisti. Ci
sono i festival in cui è il distributore
internazionale a dirti di andare, e tu ci vai
perché nulla resti di intentato, e da cui non
vedi l’ora di andar via. Oppure quelli dove
abbondano i red carpet, ma capisci che il film
è l’ultima cosa che interessi. Quelli in cui
capisci che il budget del festival è la più
importante delle storie raccontate. E poi ci
sono i festival “divertenti”, quelli dove ci vai
perché il clima è quello di un grande cineclub,
dove la gente va per vedere film e discuterli e
magari si stupisce di vederti in bagno dopo la
proiezione, a far pipì come tutti. Quelli sono
i festival che preferisco. Non sono nella
classifica della disinteressata FIAPF,
l’associazione internazionale dei produttori
che gestisce e controlla i festival, non ti fanno
guadagnare punti per il “reference system” se
14
devi chiedere fondi ministeriali, ma fanno
bene al cuore, rinfrancano l’ego dopo i lunghi
periodi di solitudine tra un film e un altro, tra
un’inutile conferenza stampa italiana dove ti
si chiede sempre più frequentemente “fatti
una domanda e datti una risposta” e il blog
dei critici fai da te che giudicano lavori che
non sanno giudicare. È lì che finalmente
guardi in faccia quella folla indistinta che
viene definita “spettatori”, quegli occhi e quei
cuori per cui hai sofferto nella ricerca del
soggetto, hai lottato per avere soldi e tempo
per girare, hai sperato di portare massa nelle
sale a vedere quello che sei riuscito a fare. Io
ci vado volentieri, la considero una delle
occupazioni più divertenti del mio lavoro,
seconda solo alle riprese, che rimangono
sempre il momento magico.
Spesso, sono anche luoghi dove la
convivialità, semplice e sincera, è parte
essenziale del “programma”. Metto in testa
due festival stranieri, Villerupt e Mons. L’uno
si tiene in un piccolo paese francese al confine
con il Lussemburgo (ti portano in albergo a
Strasburgo, passi un oramai inutile confine
quattro volte al giorno), che è stato centro
minerario, pieno di minatori italiani, quando
gli italiani emigravano ed erano minoranze
operose e mal viste, quando le mani
servivano a strappare la vita alle viscere delle
montagne. Ora gli italiani sono terze e quarte
generazioni, insegnano nelle università,
dirigono istituzioni. E organizzano festival di
cinema italiano che servono a riportare nella
loro comunità quel senso di patria, che
spesso proprio in patria, non si sente più. E
le signore che prima preparavano da
mangiare per i minatori oggi preparano
deliziosi pasti per gli invitati al festival. Sono
lasagne, ravioli, tagliatelle, accuratamente fatti
a mano, cotti in pentoloni da Festa dell’Unità,
con improbabili cuffiette bianche in testa,
innaffiati da vini che non vanno sciacquettati
in bocca. E vanno consumati ad una sola
condizione: che si continui a parlare di
cinema. Ci sono scolaresche che ti chiedono
perché hai fatto quel film, ignorando che
spesso ne volevi fare un altro ma quello sei
riuscito a far passare, e poi ci hai messo
l’anima. Fanno collegamenti con altri film a
cui non avresti mai pensato… tutto sotto
l’occhio vigile delle nonne che hanno cucinato
per te.
A Mons, “festival international du film
d’amour”, c’è andato per la prima volta il mio
La stanza dello scirocco (1998), senza di me.
E poi ci sono tornato con Quale amore
(2006), che mi sembrava fuori tema perché
parla di come l’amore può portare la morte,
ma mi hanno detto che andava bene lo
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Ceuterick, anime e occhi pulsanti di queste
rassegne fondamentali per il cinema italiano.
Ti può anche capitare di incontrare (Haifa) il
famoso regista italiano che si organizza la
visita a Gerusalemme e non te lo dice, ma
questo per fortuna avviene di rado. In questi
festival sono nati i film futuri, come successe
ad Annecy dove, passeggiando prima della
serata della premiazione con Beppe Cereda
che già sapeva del premio che avrei vinto, mi
venne fatta la famosa domanda: “ma cosa
pensi per dopo”? E io dissi che c’era un libro
su di un viaggio verso il Portogallo della
rivoluzione.
Insomma, i festival
non si dividono
in piccoli o grandi,
ma in festival
col cuore, oppure
senza. Io preferisco
quelli con il cuore.
Meglio se grande.
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stesso. Poi anche in giuria, e come ospite
nullafacente. Il presidente è un appassionato
deputato della città… che poi è diventato
primo ministro del Belgio, Monsieur Elio DI
RUPO, come dice ancora oggi il sito ufficiale.
Qui invece ci sono serate a tema, una serata
italiana, una araba, una belga. Ogni volta cibi
differenti, c’è un camion che frigge le più
buone patatine che abbia mai mangiato, sotto
il tendone delle feste, e distribuisce cartocci a
ospiti famosi e cittadini curiosi.
C’è Annecy, dove ho vinto inconsapevole di
quello che stava per succedere il primo
festival della mia vita e dove ho conosciuto la
raclette, formaggio di montagna tagliato fino
fino con una speciale ghigliottina, dopo averlo
fatto sciogliere sulla piastra.
C’è il Festival europeo del cinema di Lecce,
e l’Ischia Film Festival, che si occupa di
location (da non confondere con un altro
nella stessa località), esempi di conduzione
familiare appassionata, competente e calda,
dove cibo e film gareggiano in bontà.
Ma nei festival non si va solo per questo, ci si
va per far vedere i tuoi film, e per confrontarli
con gli altri. In questi festival conosci registi e
attori italiani che non hai mai visto a Roma,
consolidi amicizie che erano superficiali,
stringi legami forti con quegli organizzatori
che ti conoscono prima di quanto tu conosca
loro. Qui ho conosciuto persone del calibro
di Jean Gili, Oreste Sacchielli, Andrè
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15
SCENARI // Festival del cinema
Red carpet?
No grazie.
Risorse?
Insufficienti.
Rispondono i direttori di 14 festival.
di Stefano Stefanutto Rosa
Da Trieste alla punta estrema della Sicilia, passando per Pordenone, Courmayeur, Milano, Bologna, Firenze,
Roma, Salerno. I responsabili artistici e i fondatori di 14 festival, piccoli e medi, raccontano le finalità e le
difficoltà del loro lavoro. Si tratta di festival attenti ai giovani autori e alle cinematografie meno conosciute,
impegnati nella ricerca di nuovi generi e linguaggi. Luoghi dove, accanto a preziose rassegne, si svolgono forum
di coproduzione e workshop, rivolgendosi soprattutto a un pubblico giovane, amante di un cinema spesso assente
nel circuito commerciale. Nota dolente sono le risorse finanziarie che diminuiscono sempre più in tempi di tagli.
Nell’elenco non abbiamo considerato i festival di rilevanza nazionale di Torino, Pesaro e Taormina, per la loro
identità ormai consolidata e per l’eccellenza culturale acquisita nel tempo.
1 23
Qual è l'identità,
Negli ultimi anni,
l'anima del festival che cosa di
da Lei diretto?
innovativo ha
provato ad inserire
o sperimentare?
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Pensando a un
festival ideale, se
avesse più risorse
e mezzi a
disposizione,
quali cambiamenti
introdurrebbe?
SCENARI // Festival del cinema
Dalla prima edizione del 1995 nella chiesa sconsacrata di corso Garibaldi con 15 video
in concorso, 400 persone sedute per terra e un budget di un milione e 800mila lire, ad oggi,
con la direzione artistica affidata a Alessandro Beretta e Vincenzo Rossini, coadiuvati
e contornati da un bellissimo gruppo di persone, naturalmente molto è cambiato,
ma l’anima del festival rimane nell’atmosfera che si viene a creare prima, durante
e dopo le proiezioni, nel rapporto tra il pubblico e gli ospiti, tra il festival e la città.
MILANO FILM FESTIVAL
www.milanofilmfestival.it
Presidenti Lorenzo Castellini
e Beniamino Saibene
Da sempre il festival prodotto dal gruppo ‘esterni’ ha cercato di esprimere un lavoro
di ricerca su codici e linguaggi che ne facessero l’esempio di un festival contemporaneo,
dunque sempre rinnovato e in qualche modo sperimentale nella formula e nelle proposte,
che sapesse raccontare il mondo e intercettare le migliori e più innovative energie artistiche
del momento. Alcuni esperimenti sono diventati negli anni dei capisaldi del festival:
l’apertura a qualsiasi tipo di formato e genere, il festivalino per i bambini, il coinvolgimento
delle comunità straniere, la rassegna ‘colpe di stato’ che indaga i crimini delle “nostre”
democrazie, la collaborazione con le scuole e le università, la casa dei registi, il salon des
refuses dove anche i film non selezionati possono trovare un confronto con il pubblico,
il Milano Film Network che mette in rete i 7 festival cinematografici di Milano,
la ri-distribuzione dei film in concorso in decine di sale in tutta Italia, il nuovo concorso
per web series che partirà proprio quest’anno…
Ci piacerebbe poter sviluppare meglio quello che oggi chiamiamo il piccolo campus
per giovani registi (e attori, sceneggiatori, produttori...) selezionati nei due concorsi di
lungometraggi (opere prime o seconde) e di corti (registi under 40). La possibilità non solo
di vivere tutti insieme nella ormai famosa “casa dei registi”, ma anche di incontrare gli ospiti
più affermati durante laboratori, stage e visioni comuni. Passare qualche giorno con Terry
Gilliam, o far colazione con Jonathan Demme o Franco Maresco e poi andare al cinema
con loro può essere un’esperienza assai formativa… Con più risorse saremmo in grado
di dare continuità a questa forma di scambio culturale aiutando così il giovane cinema
italiano che di scambi ha sempre più bisogno.
Indagare su come l’animazione e il digitale abbiano cambiato e continuino a cambiare
la sintassi del cinema contemporaneo, senza mai dimenticare la (ri)scoperta dei pionieri
e dei maestri del passato. Scoprire nuove forme di narrazione per immagini, di ibridazione
tra un racconto lineare ed uno transmediale. Presentare nuove forme di video, dal web
al videogame, dalla produzione indipendente di animazione ai blockbuster, passando
in rassegna ogni paese: dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all'Inghilterra,
dalla Germania alla Francia.
FUTURE FILM FESTIVAL (Bologna)
www.futurefilmfestival.org
Direttori Oscar Cosulich
e Giulietta Fara
Abbiamo aperto il festival alle sperimentazioni musicali, con jam sessions di musicisti
italiani e la produzione di un concerto-evento con sonorizzazioni di Bill Laswell per il
montaggio cinematografico originale di una sessantina di pellicole catastrofiche realizzato
appositamente per il Future Film Festival da Cristiano Travaglioli. Abbiamo anche introdotto,
in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, alcuni appuntamenti per professionisti,
con l'obiettivo di far crescere le capacità e le relazioni dei singoli e delle società italiane
nel campo dell'animazione, degli effetti visivi, della motion graphics, aprendo collaborazioni
con India, Canada e Brasile. Negli ultimi anni si sono anche ampliate le offerte formative
e didattiche per i giovani, con laboratori d'animazione e effetti visivi.
Con più risorse si potrebbero ospitare più registi e artisti, spingendo ancor di più
l'acceleratore sulla leva principale di un festival, ovvero gli incontri e le occasioni di scambio
diretto di professionalità e competenze. Ampliando poi i giorni di programmazione,
si potrebbe coinvolgere sempre più la città di Bologna dove è nato e cresciuto il Festival,
per far sì che ogni cittadino si senta partecipe dell'evento. Ma soprattutto ci piacerebbe
valorizzare il patrimonio di archivio e competenze che lo staff del Festival ha accumulato
in quindici anni di lavoro, creando una struttura di formazione permanente e aperta,
ampliando le offerte formative del Festival a ogni grado di istruzione, collaborando con le
strutture della pubblica istruzione che sempre meno hanno risorse, e sempre più necessitano
invece di un apporto sostanziale nella formazione dei bambini e dei ragazzi sull'audiovisivo.
Bologna, con il Future Film Festival, potrebbe diventare polo di studio e riferimento europeo
sulle tematiche del digitale e dell'animazione applicati a vari ambiti di conoscenza
e produzione. Così, assieme al Festival, crescerebbero i cittadini e le imprese del territorio.
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SCENARI // Festival del cinema
TRIESTE FILM FESTIVAL
www.triestefilmfestival.it
Direttore Annamaria Percavassi
Obiettivo principale del Festival, nato nel 1987 con il nome di Alpe Adria Cinema-Incontri
con le cinematografie dell’Europa Centro-orientale, è stato fin dall’inizio quello di promuovere
e far conoscere all’occidente il grande fermento innovativo che stava movimentando
le cinematografie prodotte dalla complessa situazione dei paesi europei ancora nell’orbita
del vasto sistema sovietico e che assai raramente raggiungevano le grandi ribalte
internazionali del cinema e soprattutto il grande pubblico europeo. Obiettivo certamente
coraggioso e lungimirante all’epoca, anticipatore inconsapevole dei grandi passi della storia.
Obiettivo però che è sembrato naturale in una città dallo spirito internazionale come Trieste
che ha sempre vissuto e convissuto nella propria quotidianità con i problemi complessi di
una terra di frontiera, da sempre contesa dai giochi della politica internazionale e da sempre
crocevia di genti, religioni, lingue e culture diverse. E soprattutto da sempre luogo di culto
per il cinema, dove, da prima degli anni ‘70, gli autori dell’Est, soprattutto dell’Ungheria
e della Jugoslavia, erano di casa, perché il gruppo dei cinefili triestini che facevano capo
al Centro La Cappella Underground organizzava continue e preziose rassegne del cinema
di questi paesi. Certamente questo obiettivo primario ha via via improntato la fisionomia
della manifestazione, che ha scandagliato fedelmente e documentato anno per anno
attraverso il cinema le drammatiche vicende di quella parte d’Europa, e le ha consegnato
un’identità ormai inconfondibile: il TFF si sente, e vuole continuare ad esserlo, un piccolo
centro di ricerca permanente su un’area molto importante per la storia e la cultura europea,
come testimoniano non solo il cinema, ma la letteratura, il teatro, l’arte contemporanea.
Innovativo è stato senz’altro cinque anni fa avviare la sezione ‘EastWeek-Grandi maestri,
nuovi talenti’ che ospita ogni anno una cinquantina di giovani studenti delle importanti
scuole di cinema dell’Europa Centro-orientale, offrendo loro la possibilità non solo di seguire
il festival ma anche di conoscere grandi maestri nelle masterclass, incontrarsi tra di loro
e far vedere i propri primi film anche al pubblico. Quasi logica conseguenza del successo
di EastWeek è stato, un anno dopo, stabilire un sodalizio con il FVG FilmFund e istituire
un co-production forum già diventato un importante momento operativo d’incontro tra
la produzione est-europea e i produttori di una zona dell’Europa occidentale: per esaminare
progetti nuovi, già avviati, selezionati da una giuria internazionale e discussi in pubblico
dagli autori, e per verificare la possibilità di un lavoro comune tra est e ovest nel campo
della produzione. Quest’anno i progetti ammessi ai pitching sono 22 provenienti da 12 paesi.
Il festival ha una grande potenzialità di sviluppo, può contare su un solido gruppo di lavoro
formatosi e cresciuto col festival e che sa affrontare con tenacia ed energia i momenti di
difficoltà economica che pesano sempre di più sull’organizzazione. Se in futuro potessi
contare su budget più sostanziosi anzitutto premierei la fedeltà, la professionalità e la
pazienza di questo insostituibile staff con compensi finalmente adeguati alle loro capacità.
In secondo luogo mi ostinerei, come già fatto in anni passati, sulla realizzazione di grandi
retrospettive che richiedono un impegnativo lavoro di ricerca e di studio. Cercherei insomma
di mettere sempre più in contatto i giovani autori e gli studenti di cinema, a cominciare
da quelli presenti al festival per EastWeek e When East Meets West, con le grandi lezioni
di cinema che vengono da un passato glorioso o tormentato e sofferto che pochi delle nuove
generazioni conoscono e investirei quindi sulla necessità della ricerca. Investirei inoltre su
eventi che colleghino, arricchendolo, il programma con teatro, musica, arte contemporanea;
affitterei altre due sale, magari piccole, per le repliche di tutto quello che viene presentato.
Vorrei non avere troppo stretti limiti di budget per l’ospitalità: un festival riuscito è fatto
non solo di buoni film, ma anche da tante presenze autorevoli, amiche, interessate...
e via elencando… ma sono solamente sogni.
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SCENARI // Festival del cinema
Un festival specializzato e di genere si caratterizza di per sé con una forte matrice identitaria
e il Courmayeur Noir in Festival è così percepito da sempre. Occuparsi di crime stories
(al cinema, in letteratura, in tv, nei cartoons e nei new media) non vuol dire però limitarsi
a celebrare il genere più popolare in tutto il mondo. Per noi ha significato dar voce
all’inquietudine, alla rabbia, al disagio sociale e personale e quindi fare i conti, sempre
di più, con la realtà, con la storia recente, con quella memoria storica che oggi ci appare
indispensabile per credere in un futuro diverso. Questa coscienza civile è l’anima vera
del nostro festival.
COURMAYEUR NOIR
www.noirfest.com
Direttori Marina Fabbri
e Giorgio Gosetti
FILMMAKER (Milano)
www.filmmakerfest.com
Direttore Luca Mosso
Come tutti abbiamo lavorato sulle nuove piattaforme della produzione, distribuzione,
ma anche di critica e informazione, tanto più che sulle nuove piattaforme, sempre più
spesso, si trovano le rare novità rispetto ai cliché collaudati. Più di recente ci siamo
proposti come osservatorio delle idee per il cinema italiano che voglia usare l’esperienza
dell’inchiesta, della cronaca, della letteratura. Infine abbiamo rafforzato quell’incontro
costante tra cinema e letteratura che è un po’ il nostro marchio di fabbrica.
In primo luogo rafforzeremmo l’idea che il festival è l’occasione d’incontro con persone
straordinarie che solo nel contesto di Courmayeur sono felici di dialogare sulla propria arte
ed esperienza, senza steccati e formalità. Poi svilupperemmo le esperienze innovative
dei festival letterari per rinnovare liturgie altrimenti stereotipate. Infine useremmo meglio
la tecnologia per costruire un “ambiente” virtuale che abbia la stessa unicità di quello reale,
in cui abbiamo la fortuna di lavorare, e che sappia accogliere in modo davvero utile
le proposte di linguaggio e di espressione dei new media.
Filmmaker è un festival laboratorio che, insieme ai film che mostra (il meglio della
produzione internazionale di cinema della realtà), promuove la produzione di nuovi lavori
tramite contributi finanziari (quest'anno i tre corti del progetto “Passion”) e iniziative
seminariali (nel 2012-13 “Nutrimenti terrestri nutrimenti celesti”).
Le retrospettive diventano spesso occasioni di confronto diretto - incontri, seminari e master
class - con maestri del cinema oltre che momenti di riflessione critica e teorica nell'ancora
poco esplorato campo del documentario. Le personali dedicate a Johan van der Keuken,
Frederick Wiseman, Errol Morris, Ulrich Seidl e altri sono state all'origine delle vocazioni
a vedere e filmare di alcuni dei migliori documentaristi e artisti italiani di oggi.
Una giornata di visioni e ragionamenti sul cinema del futuro, in collaborazione con la rivista
online “Filmidee”, con proiezione di film come Tabu e Holy Motors eccentrici rispetto alla
consueta programmazione del festival. Il laboratorio “Nutrimenti terrestri nutrimenti celesti”
che ha portato quaranta giovani filmmaker a sviluppare un progetto di film con l'ausilio
di professionisti come Leonardo Di Costanzo, Michelangelo Frammartino, Ben Rivers, Alina
Marazzi, Sylvain George, Tizza Covi, Carlo Cresto-Dina, Alessandro Borrelli, Paolo Manera.
La collaborazione con altri festival (la retrospettiva Ben Rivers con il Milano Film Festival)
e organizzazioni interessanti (il progetto Daje con l'agenzia Codici). L'incarico a un
venticinquenne di curare la comunicazione del festival sui nuovi mezzi social, virali.
Potenzierei le relazioni e gli scambi europei. Temo che l'ultima crisi del cinema italiano
sia più grave delle precedenti e che solo l'introduzione di idee, ma soprattutto di pratiche
filmiche e modelli produttivi nuovi, possa aiutarci a superarla. I festival dovrebbero essere
degli agenti del cambiamento (come è stato negli anni '90 Rotterdam e oggi è CPH:
DOX di Copenhagen, neppure coperto dalla stampa italiana) e non limitarsi a riprodurre
la situazione e i vizi del presente.
19
SCENARI // Festival del cinema
Fin dalla sua prima edizione, anno 1959, il Festival dei Popoli si è dedicato al cinema
documentario, adottando dapprima un approccio etno-antropologico che si è poi ampliato
fino a comprendere l'ampia varietà di linguaggi, di approcci narrativi e di stili che il genere
documentario racchiude in sé.
FESTIVAL DEI POPOLI (Firenze)
www.festivaldeipopoli.org
Direttore Alberto Lastrucci
Il documentario è cinema di ricerca e di sperimentazione, mette a confronto la visione
soggettiva del cineasta e le suggestioni e gli interrogativi che la realtà pone all'osservatore.
Oggi il documentario costituisce senza dubbio uno dei terreni più fertili per la ricerca
cinematografica e sono innumerevoli gli autori e le opere in grado di offrire approcci originali
e freschezza narrativa che, di anno in anno, trovano spazio nella nostra manifestazione.
Il desiderio "proibito" è di contribuire attivamente allo sviluppo di un sistema per la circolazione
del documentario in Italia, cosa che non è mai stata realizzata se non in iniziative coraggiose
ma sporadiche. La "sfida" sarebbe quella di poter invitare - ovvero "ospitare" - a Firenze tutti i
professionisti della distribuzione cinematografica perché possano constatare il fatto - già evidente
a tutti i frequentatori del Festival dei Popoli - che esiste un pubblico numeroso, motivato e attento
al documentario. Resta una grave lacuna del settore distributivo nazionale il non contemplare
un settore di mercato che non attende altro che di essere stimolato; il che permetterebbe
non solo di contribuire a rinnovare il panorama delle proposte cinematografiche e televisive,
ma innescherebbe un sistema virtuoso per finanziare nuovi progetti.
Le Giornate del Cinema Muto sono il maggiore e il più antico festival dedicato
esclusivamente al cinema muto. Lo scopo principale è quello di proporre film che fanno
parte della storia del cinema non come pezzi da museo, ma come opere d'arte ancora
assolutamente vive e in grado di comunicare in maniera diretta con il pubblico del
ventunesimo secolo. I primi tre decenni del cinema rappresentano una vera età dell'oro
nell'arte del ventesimo secolo. Lo confermano la fedeltà e l'entusiasmo del pubblico,
che decretano anche il successo del festival.
GIORNATE DEL CINEMA MUTO
(Pordenone)
www.cinetecadelfriuli.org/gcm/
Direttore David Robinson
Le Giornate sono riuscite in questi anni - grazie a iniziative collaterali come il Collegium
e le Masterclasses - ad attrarre un pubblico nuovo, giovane, che risponde ai film del passato
in maniera nuova e stimolante. Il cinema muto non è più appannaggio solo di vecchi
studiosi, archivisti e nostalgici. Con i suoi “dialoghi” quotidiani fra 12 allievi che cambiano
ogni anno e gli esperti presenti al festival, il Collegium è fonte di continuo rinnovamento
della comunità del cinema muto. Sperimentiamo costantemente - soprattutto con
l'accompagnamento musicale - per riuscire a ricreare l'emozione con cui il pubblico
dell’epoca viveva l'esperienza cinematografica. Le Pordenone Masterclasses, lezioni
d’improvvisazione musicale sulle immagini, servono a trasmettere alle nuove generazioni
l'esperienza dei migliori musicisti al mondo nel campo dell’accompagnamento dei film muti.
Vorremmo sviluppare il carattere "internazionale" del festival in senso bidirezionale,
rispondendo da una parte alle richieste di presentare all'estero le produzioni del festival
e dall’altra invitando un maggior numero di personalità illustri e di produzioni estere.
Ci manca soprattutto la forza economica per esportare le nostre produzioni o per realizzare,
ad esempio, dei dvd, il che le “condanna” a rimanere dei grandi eventi a sé stanti,
senza possibilità di replica altrove.
20
SCENARI // Festival del cinema
Presentare e sviluppare un cinema indipendente, attento ai temi delle frontiere (geografiche,
artistiche e culturali), il suo carattere internazionale e soprattutto lo spirito genuino con cui
fa entrare in contatto gli autori con il pubblico, sia del luogo che quello di passaggio. Cinema
di Frontiera non cinema di periferia, cascame di un cinema dominante, centripeto, che
si difende; bensì un cinema che si interroga, che guarda all’altro da sé ,aperto al nuovo.
Cinema di Frontiera inteso nel suo valore simbolico, oltre che geografico nell’accezione
più ampia del termine. Frontiere territoriali, culturali, ma anche dell’anima e dei linguaggi.
Frontiera non come limite, confine, ma finestra sull’universo, sugli universi circostanti
e opposti. Cinema interculturale che cerca i caratteri congiungenti tra i popoli più che
quelli divisori. È questo il Cinema di Frontiera… no frontiera del cinema.
FESTIVAL INTERNAZIONALE
DEL CINEMA DI FRONTIERA
MARZAMEMI (Siracusa)
www.cinemadifrontiera.it
Ideatore e Direttore Nello Correale
Laboratori per giovani cineasti provenienti sia dall’area del Mediterraneo che dagli Stati Uniti
e incontri tra loro e il pubblico. Una presenza attiva e partecipata, con spettacoli e presentazioni
davanti al pubblico del Festival, di molti autori e musicisti che vengono a presentare i Ritratti
musicali nella Rassegna internazionale di Cinema e Musica che hanno visto la partecipazione
di Mika Kaurismaki, Franco Maresco, Franco Battiato, Vinicio Capossela, Carmen Consoli.
Trasformare la sala cinematografica a cielo aperto, più grande e più a Sud d’Europa in
un grande Laboratorio aperto ad incontri con altri Festival. Scambiare con Tunisi Barcellona,
Il Cairo, Tirana, Istanbul e Tel Aviv non solo i film come abbiamo fatto finora ma anche
progetti. Diventare, per una settimana, anche se in modo virtuale, il centro del Mediterraneo,
punto di incontro di tre continenti: Europa, Asia ed Africa.
L’alterità, crediamo, possa ben definire il piano di ricerca su cui amiamo confrontarci.
In questa dimensione ci siamo riconosciuti ed in questo campo visivo abbiamo cercato
di raccontare l’infanzia e l’adolescenza per davvero; uno sguardo che spesso ha messo in
luce l’esigenza di purezza, con l’incandescente volontà di manifestare quel gesto, inevitabile
- quasi ontologico - di dissenso che è alla base del progressivo definirsi dell’identità.
ALICE NELLA CITTÀ (Roma)
www.alicenellacitta.com
Direttori Fabia Bettini
e Gianluca Giannelli
Innovare è stato introdurre nei temi trattati dai film, uno strappo che interrompesse
la sicurezza della ‘storia ufficiale’, ispirasse la perplessità e finalmente rendesse possibile
il dialogo con il pubblico, fattore - oggi - imprescindibile e parte prediletta per chi lavora
con i ragazzi. Se il cinema - soprattutto quello italiano - non dimostrerà questa forza,
difficilmente potrà competere con la potenza che hanno le altre esperienze dei ragazzi.
Un anno di cinema con e nella scuola per non interrompere il dialogo con i ragazzi iniziato
durante il festival. Una piattaforma dotata delle nuove tecnologie VOD per mostrare
ai bambini film straordinari, che poi altro non vuol dire che film capaci di assorbire,
incantare, sorprendere, coinvolgere, spiazzare, pensare, facendo dell'esperienza della visione
- soprattutto nelle sale - un processo da cui si esce trasformati. Il cinema e la scuola per
coltivare l’educazione al dissenso ed il senso del bello. Saper riconoscere una cosa bella/vera
da una brutta/falsa è un’arma importante. Emozionarsi di fronte a qualcosa di bello
è il primo passo per arrabbiarsi di fronte a qualcosa di brutto.
21
SCENARI // Festival del cinema
L’identità, l’anima: ho sempre identificato nel nostro pubblico la vera “anima” e quindi
“l’identità” del Festival, e credo dovrebbe essere il punto di partenza di tutti i Festival,
anche quelli “generalisti”. Questo però non è per niente riconducibile esclusivamente
ad un pubblico “di settore” come temevano alcuni “eccellenti critici” alla nascita del Festival
nel 1986; ebbero modo di ricredersi quasi subito tessendone le lodi.
Non è semplice “sperimentare” se appunto è il pubblico il punto di partenza. Di innovativo
poi è il cinema in tutte le sue forme che si propone autonomamente, sta poi a noi selezionatori,
io con i miei collaboratori, ad individuare tendenze e temi da proporre, e questo forse, essendo
appunto un festival “tematico” in parte ci facilita le “responsabilità”.
GLBT FILM FESTIVAL (Torino)
www.tglff.com
Direttore Giovanni Minerba
CINEMADAMARE
www.cinemadamare.it
Direttore Franco Rina
Idealmente: con più “risorse” a disposizione la prima cosa sarebbe quella di aggiornare
i compensi di chi con “l’anima” ci lavora a questo Festival. Ma, purtroppo il mio è un
Festival che, vivendo quasi di soli finanziamenti pubblici, più risorse e mezzi può solo
sognarli. Negli ultimi anni ci sono stati solo “tagli” e continue “minacce”, di chiusura,
biennalità, accorpamento al TFF, e chi più ne ha… Quindi, mi è più congeniale pensare
a come “portare a casa” il prossimo Festival, e NON “lasciare a casa” nessuno dei
collaboratori; e se dovessero succedere i miracoli sicuramente non ci faremmo spaventare,
qualche cambiamento potrebbe anche starci. E a dispetto di chi dice che “con la Cultura
non si mangia”, faremmo di tutto per “arricchire” il pranzo, o la cena, di chi da sempre
ci segue e sostiene con affetto.
CinemadaMare è il più grande raduno di giovani registi del mondo, itinerante e dalla durata
di 2 mesi e mezzo. In queste cifre si radica la sua anima: circa 200 filmmakers, provenienti
da oltre 40 Paesi, fin dal 2003, si danno appuntamento in Italia con il solo scopo di fare
cinema insieme. Un popolo che vive su centinaia di set che allestiamo attraversando 9
regioni italiane (viaggia per 3.800 km), che grazie alle più moderne tecnologie digitali crea
continue opere cinematografiche destinate ad una diffusione mondiale, anche via web.
L’iniziativa interna a CinemadaMare che ha prodotto i più importanti risultati, è sicuramente
quella dei continui workshop. Questa sezione della nostra manifestazione, infatti, favorisce
l’effettivo scambio di progetti e informazioni tra i nostri giovani filmmakers ospiti.
Capita così, che un giapponese e un brasiliano inizino a lavorare insieme su un unico set,
e che un finlandese e un sudafricano avviino una nuova ricerca sui più sofisticati programmi
del montaggio digitale.
Non ho dubbi che di fronte ad una manifestazione come la nostra che ospita fisicamente
oltre 100 giovani artisti provenienti da tutto il mondo, che accettano il nostro invito a
partecipare a CinemadaMare con il solo scopo di realizzare tanti film insieme, il settore
in cui concentrerei la possibilità di più risorse sarebbe quello delle attrezzature tecniche.
Insomma, se avessimo più soldi a disposizione, affitteremmo più telecamere, più luci,
più carrelli e altre macchine per il cinema.
Il Festival lavora su diversi aspetti della creatività giovanile, musica, cinema e arti visive,
performing art e scrittura, perché intende promuovere ed esaltare la capacità di innovazione
di artisti dell'area europea. Soprattutto provare a comprendere i margini di possibili
contaminazioni tra generi e tendenze, sia dentro che oltre il mercato, senza tuttavia
sacrificare l'aspetto della forza comunicativa di ciascuna opera.
LINEA D'OMBRA (Salerno)
www.festivalculturegiovani.it
Direttore Peppe D'Antonio
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Ci siamo mossi in tutte le direzioni, prima andando oltre il tradizionale festival
cinematografico, poi abbandonando la formula della creatività giovanile per una creatività solo
giovane non in senso anagrafico. Poi, ancora, provando a utilizzare internet non solo come
strumento di comunicazione e promozione, ma anche come spazio virtuale di esibizione
e di presentazione delle proposte del festival, in particolare il cinema. È stata organizzata,
già tre anni fa, una sezione della giuria on line dei lungometraggi e dei cortometraggi.
Potenzierei due settori sui quali stiamo già lavorando: il primo la formazione, con stage
e workshop anche scollegati dalla durata temporale del festival. Penso a incontri con i
maggiori esperti e artisti internazionali che siano in grado di "fecondare" con le loro idee
e la loro professionalità il nostro territorio e il Sud in particolare. Il secondo settore
è l'intervento nella produzione o co-produzione di opere di giovani artisti, quelle
che un mercato oggi in difficoltà non sa né vedere né pre-vedere.
SCENARI // Festival del cinema
MEDFILM FESTIVAL (Roma)
www.medfilmfestival.org
Fondatore e Direttore Ginella Vocca
L’identità del MedFilm Festival è già nel suo nome, la dove Med sta per Mediterraneo, un
mare che racchiude un insieme di somiglianze e differenze, una sintesi inestricabile presente
nel profondo di ognuno di noi, ma pressoché assente nell’offerta dei circuiti culturali italiani.
Mentre l’anima del MedFilm è nell’urgenza di raccontare popoli e culture attraverso
informazioni di prima mano, testimonianze dirette di registi, artisti, pensatori e gente
comune, e di aprire, attraverso il potente mezzo del cinema, varchi di conoscenza e
cooperazione, offrendo anno dopo anno una panoramica d’autore su temi attuali, talvolta
difficili, come l’immigrazione e la xenofobia, per informare ed educare il grande pubblico
a superare l’ostacolo del “nuovo”. La coerenza, la qualità, l’audacia, il rigore, l’informazione,
la formazione sono le caratteristiche principali del Festival internazionale di cinema più
longevo della Capitale, con i suoi 19 anni di vita. I distributori internazionali ci affidano
i loro film con il preciso intento di costruire una sensibilità che nel tempo possa trasformarsi
in mercato; rappresentanze istituzionali di primaria importanza trovano nel festival una
preziosa occasione di incontro, come testimonia la revisione e la firma degli Accordi
bilaterali italo/sloveni avvenute nell’ambito dell’ultima edizione del festival. Infine la nostra
attività di promozione ha aperto la strada a numerose rassegne dedicate a cinematografie
assenti dai circuiti commerciali.
Il MedFilm benché viaggi in un solco ben definito e sia solidamente strutturato, gode di due
straordinari vantaggi che lo rendono sempre nuovo ed aperto alle sperimentazioni: il Tema
e i Paesi ospiti d’Onore che ne definiscono ad ogni nuova edizione il carattere. Tra le novità
degli ultimi anni abbiamo affiancato alla promozione culturale, la promozione commerciale
con le Giornate Professionali dedicate agli incontri tra gli operatori dell’area e gli operatori
italiani, e l’istituzione del Premio Koinè destinato a personalità di spicco che si siano distinte
per aver aiutato ad individuare i punti di contatto e i linguaggi condivisi tra i popoli dell’area
euro-mediterranea.
Un margine economico più ampio consentirebbe di garantire ai collaboratori condizioni
più favorevoli e durature, di migliorare la qualità dei servizi, incrementare il numero di film
ed ospiti, garantire la sottotitolatura per tutte le proiezioni, le repliche. La buona riuscita di
questo festival si basa sul lavoro di staff qualificati, persone spesso giovani, molto preparate
e fortemente motivate a cui però è sempre più difficile garantire continuità di impiego. In un
momento così drammatico per la mancanza di posti di lavoro, dovrebbe essere prioritario
il sostegno alle piccole e medie imprese che operano nel settore culturale, ovviamente
quelle meritorie che hanno dimostrato nel tempo di saper garantire il raggiungimento degli
obbiettivi richiesti. Invece, nel 2012, tagli violenti del 60% e in alcuni casi del 100%, hanno
portato il budget del MedFilm Festival a 60mila euro, laddove il FictionFest ha goduto di un
budget di due milioni e mezzo di euro, 41 volte superiore, e Il Festival di Roma, di 11 milioni,
184 volte superiore. Di fronte ad una così grave crisi economica e morale, dovrebbe essere
un obbligo ridistribuire i finanziamenti pubblici in modo equo, così da favorire una politica
culturale diversificata e più ricca, Non è forse un dovere istituzionale (come avviene in altri
Paesi europei) sostenere e promuovere un cinema di approfondimento accanto a
manifestazioni patinate, garantendo al contempo la creazione di posti di lavoro?
Il MedFilm Festival sicuramente non gode di uno status economico all’altezza della qualità
del suo prodotto. Che fare? Intanto noi un’idea l’abbiamo: ripartire con entusiasmo per la
preparazione della prossima edizione che sarà anticipata a giugno.
Il Cinema Ritrovato è stato il primo festival al mondo dedicato al restauro cinematografico,
quando il restauro stesso muoveva i suoi primi passi 'scientifici'. È passato molto tempo
da quel lontano 1986 e oggi tutti i festival importanti, da Cannes a Venezia, hanno una
sezione dedicata al restauro e la stessa Cinémathèque Française ha inaugurato, un mese fa,
la prima edizione di un suo festival esplicitamente ispirato al Cinema Ritrovato.
IL CINEMA RITROVATO (Bologna)
www.cinetecadibologna.it/
cinemaritrovato2012
Direttore Gian Luca Farinelli
Lo stesso pensare di mostrare tutta la storia del cinema - quali approcci tecnologici,
quali estetici e filologici per i restauri e le proiezioni - è un atto profondamente innovativo
e sperimentale. Il Cinema Ritrovato si presenta come un immenso museo del Novecento
(anzi, con le sue radici nell’Ottocento), che va dai primissimi documenti di cui non si
conosce l’autore, alla grande stagione del muto, a quella del CinemaScope: se posso giocare
con il termine ‘sperimentare’, diciamo che Il Cinema Ritrovato ‘sperimenta’ il piacere stesso
dell’esperienza estetica cinematografica. Un’esperienza per specialisti e per le 70mila
persone che in otto giorni affollano le nostre sale e Piazza Maggiore.
Sarebbe bellissimo pubblicare in DVD tutto quanto viene mostrato al festival, così da poter
dare vita infinita a ciò che solo in quel momento si può vedere.
23
SCENARI // Festival del cinema
I PREMI
NON SONO TUTTO.
MA AIUTANO.
INTERVISTA A PAOLA CORVINO
di Michela Greco
Paola Corvino, presidente di Unefa ed esperta di export, commenta la tabella degli incassi dei film vincitori:
“Deludente, certo, ma oltre al box office è importante anche la diffusione di un’opera”
Q
uarant’anni di film di qualità
portati nelle sale del mondo.
Centinaia di festival vissuti da
protagonista. Un catalogo che
va da Petri a Giovannesi, Virzì
e Verdone. Paola Corvino, titolare di Intramovies e presidente Unefa-Unione Nazionale
Esportatori Film e Audiovisivi, di qualità cinematografica, distribuzione e tendenze di mercato ne sa sicuramente qualcosa. 8 1/2 le ha
sottoposto l’eloquente tabella con gli incassi
dei film che hanno vinto i principali festival
del cinema internazionali tra il 2006 e il 2012.
Di fronte a questi dati cosa le viene da dire
sull’utilità dei festival oggi?
I festival sono diventati “troppi” ma sono comunque una vetrina che permette di portare i
film all’attenzione dei distributori. Ovunque il
numero dei distributori si è contratto e quelli
rimasti hanno obblighi di “output deals” con
le case americane, che ne assorbono energie,
impegno finanziario e tempi schermo. Perciò
per i film indipendenti una gestione mirata dei
festival significa dare una vetrina a un prodotto che il distributore può valutare anche in
termini di gradimento del pubblico.
Sembrerebbe che i premi non siano un
grande stimolo per gli incassi...
La tabella è forse “deludente”, ma si riferisce
al destino dei film nella sola Italia. Per avere un
quadro reale bisognerebbe capire in quanti territori nel mondo quei film hanno trovato una
distribuzione. Gli incassi sono un indicatore
importante, ma non meno importante è il riconoscimento dell’opera di un regista, la diffusione di un prodotto che non è soltanto di
consumo ma è anche cultura.
24
Fino a che punto i film premiati ai festival
hanno una marcia in più nelle vendite internazionali?
I premi maggiori conquistati a Cannes o Berlino danno un grande slancio alle vendite.
Purtroppo non posso fare esempi che riguardano la Intramovies, perché la tendenza dei
produttori italiani è di affidare le vendite dei
film più importanti a distributori internazionali, prevalentemente francesi.
Il Festival di Roma sembra fare caso a sé, con
i film distribuiti che fanno incassi bassi (tranne
Juno) e alcuni vincitori mai usciti in sala.
Schiacciato tra Venezia, Toronto e il più radicato Torino, il Festival di Roma probabilmente
soffre nel trovarsi in una data in cui si affollano
uscite già ampiamente decise in precedenza.
Quanto all’attenzione riservata ai film italiani
dai distributori all’estero, posso solo dire che
è un po’ deludente. Forse, spero, si rafforzerà
negli anni.
Un caso di film italiano trionfante a un festival è Cesare deve morire. Che idea si è fatta
del suo percorso?
Venduto da Rai Trade, ha raggiunto un grado
di penetrazione internazionale che non si vedeva da anni. Non è tanto importante il risultato economico di prima battuta, quanto il
livello di diffusione e la capacità di un film di
raggiungere il grande schermo. Anche senza
la partecipazione agli Oscar, che meritava, il
film dei Taviani non cambierà la sua vita,
anche se i risultati economici non avranno lo
stesso impulso.
C’è anche un problema di date di uscita
dopo il passaggio a un festival. Qual è la
strategia migliore?
I film indipendenti non raggiungono in contemporanea la distribuzione nei maggiori
paesi perché non gestiti dal colosso americano e i distributori locali prendono decisioni
soggette a tantissimi fattori: climatici, di lingua, di contro-programmazione. Nel controverso caso di Reality (Matteo Garrone, 2012)
c’è sicuramente stata una valutazione attenta
dei pro e dei contro. Ma Cannes ha luogo a
maggio, quando il bel tempo porta tutti verso
il mare piuttosto che verso la sala.
Tra i film recenti che la riguardano c’è Alì ha
gli occhi azzurri, uscito molto bene dal Festival di Roma. Quanto si riflette il successo
interno sulle vendite estere?
È un bellissimo film, ma chiaramente di nicchia.
Ora si tratta di fargli fare il suo percorso festivaliero. Per il momento uscirà sicuramente in
Francia e in Australia, poi vedremo.
Può stilare una classifica tra i grandi festival,
dai più efficaci come trampolino di lancio a
quelli che lo sono meno?
Senza grandi esitazioni direi che il primo è
Cannes, il secondo è Berlino, il terzo è Venezia e il quarto è Roma. Ma non bisogna dimenticare, per ragioni diverse, Toronto e il
Sundance.
Che suggerimento darebbe ai festival?
I festival maggiori si sono un po’ chiusi su
loro stessi, prediligono opere di autori che i
festival stessi hanno coltivato, o ripropongono anno dopo anno autori collaudati a discapito di opere fresche di registi emergenti
e “non allineati”. Ho l’impressione che un
tempo osassero di più, ma non ho suggerimenti: fare il direttore di festival è durissimo,
con una quantità improponibile di film da visionare, un occhio alla qualità, uno al red carpet. Forse bisognerebbe avere un terzo
occhio o un pezzetto di anima da riservare al
pubblico.
SCENARI // Festival del cinema
SPETTATORI IN ITALIA E IN FRANCIA DEI FILM VINCITORI DELLE ULTIME SETTE
EDIZIONI DELLA MOSTRA DI VENEZIA E DEI FESTIVAL DI CANNES, BERLINO E ROMA
Fonte presenze italiane: Cinetel 2 dicembre 2012
Fonte presenze francesi: database Lumière
PRESENZE
IN ITALIA
PRESENZE
IN FRANCIA
58.443
215.101
LEONE D’ORO
2006
Still Life di Jia Zhang-ke (Cina/Hong Kong)
2007
Lussuria-Seduzione e tradimento di Ang Lee (USA/Taiwan)
274.876
204.637
2008
The Wrestler di Darren Aronofsky (USA)
356.847
244.144
2009
Lebanon di Samuel Maoz (Israele)
65.286
non distribuito
2010
Somewhere di Sofia Coppola (USA)
353.028
480.215
2011
Faust di Aleksandr Sokurov (Russia)
87.051
-
2012
Pietà di Kim Ki-duk (Corea del Sud)
82.400
-
PALMA D’ORO
2006
Il vento che accarezza l’erba di Ken Loach (Gran Bretagna/Irlanda)
289.530
934.013
2007
4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Cristian Mungiu (Romania)
117.185
351.757
2008
La classe-Entre les murs di Laurent Cantet (Francia)
318.666
1.561.763
2009
Il nastro bianco di Michael Haneke (Germania/Austria)
117.613
686.240
2010
Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul (Thailandia)
22.913
132.511
2011
The Tree of Life di Terrence Malick (USA)
467.434
873.690
2012
Amour di Michael Haneke (Francia/Austria)
173.842
*569.685
*al 21 novembre 2012
ORSO D’ORO
2006
Il segreto di Esma (Grbavica) di Jasmila Žbanić (Bosnia e Erzegovina)
2007
Il matrimonio di Tuya di Wang Quan An (Cina)
2008
27.866
43.539
105.859
105.233
Tropa de elite-Gli squadroni della morte di José Padilha (Brasile)
26.717
10.514
2009
Il canto di Paloma di Claudia Llosa (Spagna/Perù)
38.733
35.703
2010
Bal di Semih Kaplanoğlu (Turchia)
non distribuito
49.500
2011
Una separazione di Asghar Farhadi (Iran)
105.922
923.411
2012
Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani (Italia)
129.978
-
non distribuito
non distribuito
343.522
875.109
non distribuito
non distribuito
MARC’AURELIO D’ORO
2006
Playing the Victim di Kirill Serebrennikov (Russia)
2007
Juno di Jason Reitman (USA)
2008
Opium War di Siddiq Barmak (Afghanistan/Giappone/Corea del Sud/Francia)
2009
Fratellanza-Brotherhood di Nicolo Donato (Danimarca)
23.527
non distribuito
2010
Kill Me Please di Olias Barco (Francia/Belgio)
22.633
8.257
2011
Cosa piove dal cielo? di Sebastián Borensztein (Argentina/Spagna)
59.358
-
2012
Marfa Girl di Larry Clark (USA)
il film sarà distribuito solo sul web
non distribuito
25
COSA MI PIACE
DEL CINEMA ITALIANO
Dieter
Kosslick
di Micaela Taroni
La capacità contemporanea di confrontarsi con la cultura classica, la necessità
dei registi di occuparsi, anche in periodi di crisi, della realtà politica, il talento
di esprimersi poeticamente anche nell’ambito del documentario.
“Buon umore, ecco quello che conta.
Per dirla con lo scrittore Heinrich
Heine, il mio motto per il Festival è:
più serio è un argomento, più bisogna
presentarlo in modo divertente”.
A parlare è Dieter Kosslick, direttore del Festival di Berlino. Con la sua magistrale capacità di
esprimere umorismo e leggerezza, Kosslick è ormai un’istituzione della Berlinale che guida
dal 2001. Da quando ne ha preso le redini sostituendo il suo predecessore Moritz de Hadeln,
il 64enne Kosslick ha impresso il suo inconfondibile marchio al Festival.
“Vogliamo diventare il festival più allegro del mondo”, proclamava Kosslick, un fan di Hitchcock
e della buona cucina, solo qualche anno fa. E sotto la sua supervisione attenta e competente, il
Festival ha esportato successi internazionali richiamando sempre più l’attenzione di pubblico e
critica. Il successo è tale che il Festival di Berlino lo ha nuovamente confermato in carica. Kosslick
avrebbe dovuto lasciare nel 2013, ma il suo mandato è stato prorogato per altri tre anni. Mentre
si consuma la 63° Berlinale, inaugurata da The Grandmaster di Wong Kar-wai, gli abbiamo chiesto
di parlarci del cinema italiano in Germania e in particolare proprio qui al Festival.
26
COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO
Dieter Kosslick, 64 anni,
è dal 2001 il direttore
del Festival di Berlino,
incarico che ha assunto
sostituendo Moritz de Hadeln
Dopo studi di comunicazione
e politica, Kosslick ha lavorato
come giornalista occupandosi
poi dal 1983 di finanziamenti
per la cinematografia
Nonostante le polemiche ricorrenti sull’assenza di film italiani a Berlino, il Festival ha
da sempre un occhio di riguardo per il cinema italiano che qui ha vinto numerosi
premi. Quali sono gli autori che a suo avviso
hanno maggiormente lasciato un segno?
Se solo guardiamo i vincitori dell’Orso d’Oro
degli ultimi decenni, si nota che il Festival di
Berlino ha da sempre accompagnato la storia
del cinema italiano. Penso ad esempio a Michelangelo Antonioni e al suo film La notte che
nel 1961 vinse il massimo riconoscimento. Si
tratta di un capolavoro che ha creato uno stile.
Oppure penso a registi come Francesco Rosi,
un importante rappresentante del cinema politicamente e socialmente impegnato, che nel
1962 per Salvatore Giuliano ottenne proprio
qui a Berlino il Premio alla regia. L’abbiamo voluto onorare ancora una volta attribuendogli
nel 2008 l’Orso d’Oro alla carriera e dedicandogli un omaggio. Ma ci sono molti altri registi italiani di spicco strettamente legati al
Festival di Berlino.
Nel 1988 ha contribuito
a fondare l’EFDO (European
Film Distribution Office)
divenendone presidente
fino al 1996
Come direttore del Festival di
Berlino ha lanciato nuove sezioni
e iniziative tra cui la "Perspektive
Deutsches Kino", che valorizza
i giovani registi tedeschi
Può fare qualche esempio?
Penso a maestri come Ermanno Olmi, Mario
Monicelli e Vittorio De Sica. Passando alla
mia personale esperienza di direttore del
Festival posso dire che l’ultimo vincitore
dell’Orso d’Oro, Cesare deve morire dei fratelli
Taviani, si colloca in una particolare
tradizione italiana del Festival. Questo film si
riallaccia ad una delle maggiori opere della
letteratura mondiale, il Giulio Cesare di
Shakespeare, un’opera del 1599, per occuparsi
di situazioni e conflitti sociali attuali. Questo
desiderio di reinterpretare opere classiche è
un aspetto degli autori italiani che mi ha
sempre profondamente affascinato. Questo
lato emerge in particolare anche in Pier Paolo
Pasolini, il suo Decamerone, Orso d’argento
nel 1971, nasce dalle fantastiche novelle di
Boccaccio. E I Racconti di Canterbury, con cui
Pasolini vinse nel 1972 l’Orso d’Oro, si basa
sui racconti medievali di Geoffrey Chaucer.
Sotto la sua guida la Berlinale
è diventata uno dei maggiori
festival in Europa
Per questo è stato insignito
in Germania con il Cavalierato
per le Arti e le Lettere
Sintetizzando, quali sono gli aspetti del
cinema italiano ricorrenti che trova
particolarmente significativi?
Direi la capacità contemporanea di confrontarsi con la cultura classica, la necessità dei
registi di occuparsi, anche in periodi di crisi,
della realtà politica e il talento di esprimersi
poeticamente anche nell’ambito del documentario.
Anche Nanni Moretti fa parte degli autori
che si occupano intensamente della realtà
politica italiana.
Nanni Moretti ha trattato, in parte anche in
maniera impetuosa, le realtà sociali,
mostrando in questo ambito sempre doti di
grande ironia e autoironia. I suoi film
oscillano fra tragedia e commedia. Anche
quando si occupa di esperienze dolorose,
riesce di solito a offrire qualcosa di divertente
e leggero. Come i fratelli Taviani, il cui Cesare
deve morire ha portato in Italia come
distributore, Moretti fa parte dei grandi
cineasti del nostro tempo.
27
COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO
ta
Fe s
Quali tra i registi della nuova generazione
hanno contribuito a suo avviso a rinnovare
l’immagine del cinema italiano all’estero?
Nella generazione dei giovani registi, Matteo
Garrone ha mostrato di saper portare sullo
schermo sia complicati rapporti emotivi e
personali sia la realtà di strutture di potere
criminale. Mi ha molto impressionato
L’imbalsamatore. Primo amore (2002) – un
film affascinante e opprimente – mostrato in
concorso proprio qui al Festival di Berlino.
Gomorra (2008) fa sicuramente parte dei più
significativi film europei degli ultimi anni. E
sono contento che Garrone abbia ottenuto
ulteriori successi internazionali con il suo
ultimo film, Reality (2012).
Nell’ambito dei registi più giovani, cosa
pensa di Paolo Sorrentino?
Sicuramente anche Sorrentino va annoverato
tra i giovani registi di talento, sia per Il Divo
(2008) sia per il meraviglioso Le conseguenze
dell’amore (2004). Voglio però citare anche
altri registi che abbiamo ospitato qui a Berlino. Gabriele Salvatores è andato in concorso
con il suo Io non ho paura (2003), un film
denso di atmosfera. Mi ha colpito anche il documentario di Pietro Marcello La bocca del
lupo (2009), che abbiamo presentato al
Forum. Mi è rimasto impresso da un lato la
toccante storia d’amore e d’altro lato il ritratto
di una città straordinaria come Genova, presentata in modo visivamente forte e intensamente poetico.
i
Come vengono considerati i nuovi film
italiani in Germania?
È molto difficile parlare solo del cinema
italiano rispetto all’apprezzamento del
pubblico tedesco. Piuttosto bisogna rivolgere
lo sguardo alla situazione complessiva del
cinema europeo. In Europa il mercato del
cinema è ancora dominato dai film americani.
Le pellicole europee riescono più raramente
a superare i confini nazionali e a ottenere
grossi successi internazionali al box office.
Sono fermamente convinto, tuttavia, che il
pubblico tedesco abbia interesse per i film
europei e quindi anche per quelli italiani.
Posso dire qualcosa a proposito di due vostre
opere presentate l’anno scorso al Festival di
Berlino. Cesare deve morire, da poco nei
cinema tedeschi, ha riscosso approvazione
sia presso il pubblico che presso la critica.
Diaz di Daniele Vicari ha ottenuto il premio
del pubblico della sezione Panorama. Ciò
dimostra che c’è un interesse reale per i film
italiani contemporanei e attuali.
Al cinema italiano viene spesso rimproverato di realizzare soprattutto commedie per
il mercato nazionale. Questo è a suo avviso
un limite oppure, nonostante tutto, le nostre
commedie possono piacere anche al pubblico straniero?
Spesso le commedie hanno un successo solo
nazionale, e questo non vale solo per l’Italia.
L’umorismo è difficilmente esportabile, però
esistono sempre delle eccezioni, come i film
di Roberto Benigni.
l
di
b
er
i
n
l
o
In base a quali criteri un film italiano viene
selezionato in concorso a Berlino?
Non ci sono criteri di scelta specifici per un
singolo paese, perché il cinema è un
linguaggio universale. Ci interessano film
visivamente interessanti, particolari e che
raccontino una buona storia. Bisogna poter
ricordare la trama di un film anche parecchi
giorni dopo averlo visto.
28
v
29
INNOVAZIONI
Le web series italiane
di Rocco Moccagatta
30
INNOVAZIONI // Le web series italiane
ANCHE IN ITALIA,
LE WEB SERIES SI OFFRONO
COME OCCASIONE
DI COSTRUZIONE E DI
RIVELAZIONE DI GRUPPI
CREATIVI NUOVI E FRESCHI,
SPESSO GIOVANISSIMI,
ESPRESSIONE DI
SENSIBILITA E IMMAGINARI
TERRITORIALI IN
APPARENZA PERIFERICI
E MARGINALI.
31
INNOVAZIONI // Le web series italiane
na prima ricognizione intorno
al mondo delle web series italiane - esplose definitivamente
anche da noi nel corso del
2012, dopo i successi negli Usa
e in Europa - non può che cominciare da Freaks!. La serie fenomeno che mescola quotidianità post-adolescenziale, superpoteri e
cospirazioni non è stata davvero la prima in
ordine cronologico e neppure, banalmente,
detiene il primato per una questione di numeri
(impressionanti: quelli ufficiali parlano di 7 milioni di visualizzazioni, con 2 milioni di utenti
unici, una platea più ampia di quella del PT di
diversi canali televisivi, satellitari e terrestri) o
di social buzz tra fan ossessionati e detrattori
implacabili.
In uno scenario mediale dominato da piattaforme di distribuzione e di condivisione video
(tra You Tube e i social network), tecnologie digitali di ripresa low cost qualitativamente soddisfacenti e device mobili sempre più
accessoriati (smartphone, tablet), Freaks! funziona bene come prototipo della web serie italiana per una concatenazione di elementi
iscritti nel suo DNA.
A cominciare proprio dalle origini grassroots,
al di fuori delle strutture produttive e distributive tradizionali (network tv, società di pro-
U
32
duzione classiche), esprimendo una creatività dal basso, fresca, inedita, finalmente giovane, poco o nulla già irreggimentata, al
limite rodata da una pregressa notorietà nel
web, visto che i suoi protagonisti e creatori
sono quasi tutti web celebrities e vlogger amatissimi. La naturale vicinanza a un target
anagrafico (15-28 anni) notoriamente allergico alla programmazione televisiva tradizionale si salda con un’attenzione rinnovata nei
confronti di generi trascurati, quando non
completamente ignorati, dai nostri media
mainstream: la fantascienza e l’horror, e più
in generale il fantastico, la teen comedy, il
dramedy sentimentale, la parodia e il demenziale, l’action e il thriller.
L’antagonismo delle web series nostrane nei
confronti della fiction italiana (televisiva ma
anche cinematografica) non passa attraverso
un’estremizzazione dei registri dell’amatorialità e dell’improvvisazione. Piuttosto si traduce
in un’adesione a stili e linguaggi propri della
serialità televisiva USA e UK, mimandone elementi di formato (l’orizzontalità forte delle
trame, l’organizzazione in stagioni, la pezzatura/durata degli episodi, la tendenza all’ibridazione e alle contaminazioni) e di messa in
scena (per esempio, da una certa sitcom monocamera l’inquadratura fissa), con modalità
spesso straniante rispetto ai set nazionali.
Così, Freaks! rielabora su sfondo romano atmosfere supereroistiche e paradossi temporali
della sci-fi anglosassone (con Misfits di Ch4
come nume tutelare, esplicitamente citato e
parodiato nella seconda stagione), mentre
Vincent Kosmos (questa è la web serie italiana
più longeva, dal 2008) gioca a fare il Dr Who
della BBC in quel di Torino e Hydra sciorina i
topoi del catastrofico-epidemico in un’inquietante ambientazione rurale toscana, che vale
almeno quanto le metropoli devastate dei
blockbuster hollywoodiani. In alcuni casi questo processo di appropriazione di modelli narrativi ed estetici, estranei alla nostra tradizione,
invano ricercati dal pubblico più giovane nella
fiction Rai e Mediaset, permette libertà e azzardi altrimenti impensabili nel raccontare personaggi, stili di vita, persino geografie del
desiderio: se Stuck (girato in inglese e sottotitolato in spagnolo e francese) gioca con l’immaginario del medical drama adulto e
provocatorio, con un life coach cinico tra
House e Nip/Tuck, Tris sogna addirittura le
ronde sentimentali e sessuali senza confini
alla Queer as Life e The L Word.
Ma in questa produzione vivace e disordinata,
a volte fin oltre i confini dell’incoscienza, resta
centrale l’attenzione per mondi e realtà trascu-
INNOVAZIONI // Le web series italiane
rati dal cinema e dalla tv nostrani, con particolare predilezione per adolescenti e giovani
adulti, raccontati ora flirtando con i meccanismi della sitcom e del teen drama (il surreale
ultimo anno di liceo al centro di Facce da
scuola), ora ironizzando su stereotipi e luoghi
comuni di genere e di gender (l’apocalisse
zombie a misura di nerd chiusi nelle loro camerette e incollati a skype di Skypocalypse).
Inoltre, misurarsi con la narrazione seriale e
periodica del web può anche alimentare un
piccolo divismo personale che si riverbera su
altri media più tradizionali: Flavio Parenti, giovane attore di fiction e di cinema, è contemporaneamente creatore e protagonista
dell’acclamato Bymyside, spericolato incontro
delle attese alla Godot con il mondo degli slacker di provincia alla Kevin Smith.
Su questo piano, le web series si offrono
anche e soprattutto come occasione di costruzione e di rivelazione di gruppi creativi nuovi
e freschi, spesso giovanissimi, espressione di
sensibilità e immaginari territoriali in apparenza periferici e marginali. Così, oltre il
gruppo di Youtuber romani di Freaks! (Guglielmo Scilla/Willwoosh, Claudio di
Biagio/Non aprite questo tubo, Matteo
Bruno/Cane secco etc.), ci sono i The Jackal
da Napoli (con la curiosa sci-fi di Lost in Goo-
gle e la sua interattività con il pubblico di fan
che alimenta le sceneggiature delle nuove
puntate), i Nirkiop di Taranto (e le loro tranche
de vie liceali di Facce da scuola), i Licaoni da
Livorno (con la demenzialità Saturday Night
Live style de Il corso di cazzotti del dr. Johnson, premiato al Web series Festival di Los
Angeles nel 2012).
Resta da capire come questa galassia di esperienze, ancora poco organizzata in maniera
coerente e sistematica, possa proporre un modello economico sostenibile e praticabile, oltre
l’interessamento di soggetti più o meno istituzionali (come il Giffoni Film Festival, dietro
She Died, horror romantico ibrido tra Lynch e
Twilight), magari ricorrendo al product placement, aprendo al branded content, oppure con
le pratiche di crowdfunding.
Dal canto loro, i media tradizionali cercano di
metabolizzare formati e modelli dal web: tra i
canali televisivi, Fox mantiene da qualche
anno FlopTV, una dependance in rete dedicata
alle nuove forme di comedy, tra tv e web series: modellata sul portale USA Funny or Die
e Comedy Central realizza una sitcom
(Amici@letto), distribuendola su Facebook.
Se Magnolia Fiction produce Kubrick-Una
Storia Porno, sguardo divertito sul mondo
delle luci rosse, dividendo in tre segmenti web
un pilota televisivo (scritto dal collettivo di autori de Labuoncostume, già dietro il successo
di Faccialibro), alcuni soggetti dall’online si
spostano verso l’on air: alla sua seconda stagione, Freaks! vede una partecipazione produttiva decisa da parte di Deejay, che lo
propone in prima tv esclusiva in contemporanea allo streaming web. The Pills, estroso racconto del mondo dei giovani universitari
romani tra impennate surreali e dialoghi sopra
le righe, prova a combinarsi con il talk show,
sempre nel palinsesto di Deejay Tv.
In questo processo di dialogo e di scambio
c’è, però, un rischio non da poco: la reazione
negativa e scomposta di quella platea web che
ha finora decretato il successo di serie e divi,
spesso delusa dall’avvicinamento ai media
mainstream (soprattutto la tv), vissuto come
un compromesso rispetto all’indipendenza
creativa associata alla rete (la sollevazione rabbiosa contro YouTuber$, accusato di essere
un prodotto para-televisivo che scimmiotta le
vere web series, è abbastanza illuminante).
Ma c’è anche – forse – un’occasione importante, nel segno di un processo di rinnovamento e di rifondazione delle pratiche del
racconto televisivo (e, magari, cinematografico), con la possibilità di coinvolgere un pubblico da troppo tempo perduto e distante.
33
INNOVAZIONI // Le web series italiane
di Andrea Bellavita
el mondo delle web series, i prodotti grassroots, più o meno ingenuamente freschi o naif, proliferano in ugual modo ovunque
tra USA e Europa almeno dalla
metà dello scorso decennio, e nascono, fioriscono
e muoiono con una rapidità tale da rendere subito
obsoleto qualsiasi tentativo di catalogazione.
Ma a fianco di questi processi di creazione dal
basso, sempre più spesso si consolidano esperienze che vedono come attori principali (a vario
titolo: ideatori, finanziatori, sponsor, semplici
fornitori di spazio digitale) soggetti che appartengono proprio a quelle forme strutturate dell’ecosistema mediale che il fenomeno delle web
series dovrebbe affiancare, quando non esplicitamente intaccare.
In particolare nel panorama europeo, il legame più stretto è proprio quello tra web series e reti televisive. In UK, nel 2007, Channel4, la rete della sperimentazione televisiva
per eccellenza, nei linguaggi, nei formati e
nella ricerca di un target nonsolotelevisivo, rilancia sul web e sul mobile Dubplate Drama
(in onda fin dal novembre 2005), tv drama
dedicato al pubblico teen che racconta la vita
di un gruppo di giovani musicisti di colore
(interpretati da veri esponenti della scena inglese) che devono trovare il loro spazio in
una realtà sociale difficile, oltre che nel mondo
del business. Duplate Drama diventa quindi
una serie multipiattaforma e interattiva, che
consente al pubblico di votare il finale preferito
di ogni episodio, e viene trasmessa anche sul
sito di Channel4 (4oD-4 on demand), su MySpace e su un canale di YouTube.
N
34
In modo analogo BBC nel 2009 realizza la micro-soap teen The Cut, attraverso la struttura
interna BBC Switch (che progetta prodotti crossmediali: interactive game, tutorial, micro-doc),
e commissiona la web serie comedy Proper
Messy, tutte distribuite sul portale omonimo.
Se nel 2010 BBC Switch ha dovuto chiudere i
battenti, l’attività di produzione crossmediale
del network pubblico inglese continua, spesso
impiegando il web come showcase delle nuove
proposte, da trasferire poi in tv (su BBC3, soprattutto) in caso di successo, con il progetto
Feed my Funny (che comprende Dawson Bros.
Funtime, collezione di micro-gag sul mondo
delle nuove tecnologie con protagonisti anche
youtuber molto noti).
D’altra parte il sistema televisivo UK è sempre
stato all’avanguardia anche nella creazione
delle companion series, ovvero spin-off per il
web di “accompagnamento” alle serie televisive regolari, con il compito di tenere desta
l’attenzione del pubblico tra una stagione e
l’altra o per incrociare segmenti di pubblico
più giovani rispetto a quelli dei prodotti di
partenza. Il modello delle companion (storicamente molto sviluppato negli USA, intorno
alle serie tv regolari: Scrubs, Battlestar Galactica, Lost, Heroes, Walking Dead) consente ai
canali televisivi di diversificare l’utenza dei
prodotti, sia in chiave anagrafica, sia in termini
di piattaforma di fruizione. Se BBC aggiorna
la sua soap storica, Eastenders, con la versione
teen Eastenders E20, che sviluppa i plot dei
personaggi più giovani intersecandoli con le
linee narrative verticali, Channel 4 sviluppa un
progetto analogo con Hollyoaks: The Morning
INNOVAZIONI // Le web series italiane
After the Night Before. Sulla stessa linea ci sono
gli esperimenti di approfondimento di personaggi e plot in situazioni parallele o alternative
a quelle della serie regolare. Ancora BBC elabora
nel 2011 Being Human: Becoming Human, che
sviluppa il personaggio di Adam, vampiro di
46 anni nel corpo di un sedicenne, già al centro
di una linea narrativa di Being Human, e Doctor Who: Pond Life, che approfondisce le vicende familiari di due dei protagonisti della
serie.
Un’evoluzione particolare della relazione tra
sistema televisivo “classico” e prodotto seriale
per il web si sta sviluppando nel sistema francese. Da anni il canale tematico culturale
franco-tedesco Arte sperimenta i modelli della
web serie e del web-doc in forma integrata sul
proprio sito e in programmazione regolare:
da Addicts, serie ibrida di fiction e doc ambientata nella banlieue di Bordaux, a Prison
Valley e La Vida loca, fino al più recente Alma,
une enfant de la violence, che segue le confessioni di Alma, giovane di 26 anni che da 14 ai
19 è stata membro di una gang criminale a
Ciudad Guatemala. Per “raccontare” la vita di
Alma, Arte predispone un progetto crossmediale che prevede applicazioni per iPad e Android, un webdoc trasmesso sul sito arte.tv,
che si aggiungono ad un doc classico programmato sul canale e un libro. Ma è il gruppo
France Télévisions che affronta il suo ruolo di
televisione pubblica attraverso un aggiornamento delle piattaforme di diffusione e di elaborazione di formati e con prodotti più vicini
al taget giovane: la struttura Nouvelles Ecritures
ha come obiettivo proprio la produzione di
progetti transmediali. Prima su tutte Les Opérateurs, che racconta in modo caustico l’ambiente di lavoro delle grandi multinazionali
(sul modello del francese DRH, del 2010, ambientata nel mondo delle risorse umane aziendali, e dell’americana The Temp Life), disponi-
bile sulla piattaforma web Studio 4.0, lanciata
in collaborazione con France 4, ma anche
Pause emploie e VRP, che fotografano in chiave
comedy il lavoro quotidiano di un’agenzia di
lavoro interinale e di un’agenzia di viaggi. Si
aggiungono progetti più classici, che ruotano
intorno alla forma del web-doc: B4, fenetres
sur tour, sulla vita quotidiana di un palazzo
abitato da varia umanità, Nos guerres d’Algérie,
che declina il macro-evento storico in chiave
famigliare, Geopolis, reportage sulla rivolta siriana a Homs e La campagne à velo, che racconta l’ultima campagna elettorale.
Non è un caso che la Francia sperimenti anche alcuni dei modelli produttivi e realizzativi
di web series più diffusi (e ormai prioritari)
negli USA. Quello del brand entertainment: a
fronte della pluralità di esperienze in questo
senso provenienti dagli Stati Uniti (Web Therapy, Easy to Assemble, In Gayle We Trust e lo
stesso The Temp Life, per citare le più note),
anche i francesi hanno il loro Les yeux dans le
pneus, docu-web series sulle vicende di un ex
ciclista che decide di partecipare alla preparazione del Tour de France della squadra Europcar. Naturalmente sponsorizzata dal brand.
La Francia è uno dei paesi europei (insieme a
UK e Germania) che sta sperimentando con
successo il modello degli youtube original
channels, ovvero dei canali di contenuti originali a cui YouTube accetta di fornire il proprio
marchio e di concedere condizioni economiche particolari (anticipa gli investimenti produttivi necessari ai creatori, restituiti quando
i canali incominciano a produrre utili, dividendo i profitti successivi), che oggi rappresentano l’humus di sviluppo più interessante
per le web series: da Machinima a WIGS e
Black Box TV, i nuovi canali sono destinati a
diventare luoghi non solo di distribuzione e
organizzazione dei contenuti seriali per il web,
ma anche di produzione. Spesso con l’appoggio e la collaborazione dei maggiori soggetti
internazionali che operano sui settori dell’audiovisivo più tradizionale, da Warner a Sony, in
un regime di convivenza con i portali di distribuzione di prodotto alternativi alla televisione
(Netflix e Hulu, ma anche i portali come MSN)
che si appresta a diventare competizione. Aspettando che Apple prenda una posizione.
Ma per noi, tutto questo, è SyFy, anche senza
un channel dedicato.
35
INNOVAZIONI // Le web series italiane
PLAYLIST
Pillole dal mondo
delle web series italiane
di Nicole Bianchi e Andrea Guglielmino
LOST IN GOOGLE
Istruzioni: andare sulla pagina di ricerca del
motore Google e digitare Google. È questo il
principio su cui si basa la serie web Lost in
Google, il cui “slogan” infatti recita: “Hai mai
provato a cercare Google su Google?”. Questa
web commedia si è distinta nel 2012 come
una tra le più promettenti serie della rete:
una produzione totalmente italiana, diretta
da Francesco Ebbasta (Francesco Capaldo),
del gruppo produttivo napoletano The Jackal,
nato nel 2005 con l’idea di rendere parodia
ogni spunto suggerito dal cinema tradizionale.
La trama? I protagonisti? Il personaggio Proxy
stuzzica la curiosità della webcelebrity Ruzzo
Simone, chiedendogli se abbia mai provato a
cercare Google su Google: lui non riesce a resistere e da qui in poi si apre un portale in
bilico tra realtà e realtà virtuale, che proietta
Simone nel web. La serie vanta di aver ospitato
personaggi del piccolo/grande schermo come
Claudio Bisio, Caparezza e Roberto Giacobbo.
Fantascienza – il genere di appartenenza della
serie – e realtà – l’interazione con gli utenti –
sono le colonne dell’idea: i commenti del
pubblico, scritti direttamente sotto l’episodio
su YouTube o sul sito ufficiale, generati a seguito della messa online di ogni puntata,
sono stati utilizzati per sceneggiare l’episodio
successivo. L’utente diventa co-sceneggiatore
e Lost in Google si dichiara lampante esempio
applicato del concetto di interazione, oltre
che innovativa espressione del linguaggio
classico della serialità applicato al nuovo
spazio del web.
http://lostingoogle.fanpage.it/
www.youtube.com/user/thejackall
BYMYSIDE
BMS ovvero Bymysidewebseries è anzitutto
una casa di produzione, e poi una web serie.
È Flavio Parenti, attore, il nucleo primo della
produzione, casa cinematografica dedicata e
specializzata al mondo della rete in Italia. A
titolo personale annovera, inoltre, di aver
recitato accanto a interpreti come Woody
Allen e Tilda Swinton o lavorato su set diretti
da Pupi Avati, Liliana Cavani e Peter
Greenaway. Bymyside – la serie, 10 episodi
complessivi, ha nella sua sinossi il mistero,
quello della scomparsa del cantante Filippo,
di cui il resto del gruppo musicale – gli amici
Bozo, Sparo e Teo – aspetta il ritorno nel
trascorrere di una lunga nottata. Bymyside, dal
mese di luglio appena trascorso, è stata scelta
dalla piattaforma web-tv Streamit per essere
inserita in palinsesto, accanto ad importanti
36
produzioni europee e americane come The
Confession di Kiefer Sutherland. La serie è
stata insignita del Premio SIAE 2012, nella
categoria Miglior Web Serie.
www.bymysidewebseries.com/
INNOVAZIONI // Le web series italiane
FACCE DA SCUOLA
“La prima sit-com pugliese!”, recita lo slogan
della serie. È il gruppo Nirkiop, capace di fare
numeri intorno alle 2.680.000 visualizzazioni
per puntata, ad avere scritto, diretto e
interpretato Facce da scuola. La serie, di
genere comico, è scritta intorno al luogo
comune e allo stereotipo, ricorrenti e
riconoscibili per ciascuno, caratteristici del
mondo della scuola. Non si abbandona solo
alla risata Facce da scuola, osa anche
riflettere, con leggera serietà, sulle piccole
problematiche quotidiane che la vita da
alunno comporta. Nicola (Conversa),
prototipo dello studente approdato alla
maturità con pochissimi crediti e destinato ad
un voto mediocre, sta per affrontare l’ultima
domanda orale del suo esame di stato: è in
questo istante che avverte l’avvicinarsi “della
fine”, il concludersi di una storia di classe, del
mondo del liceo. Chiude gli occhi, generando
un flash back di nove mesi che coinvolge lo
spettatore nei ricordi, portando alla
conoscenza degli amici, dei luoghi, che lo
hanno reso protagonista della sua stessa vita.
Testate giornaliste televisive di rilevanza
nazionale hanno parlato del gruppo Nirkiop
– mente creativa di sette elementi tra i 18 e i
22 anni - indicandolo nella terna da podio
degli youtuber più apprezzati e cliccati d’Italia.
www.youtube.com/user/nirkio?feature=chclk
SKYPOCALYPSE
Tre nerd, dopo un’apocalisse che ha tramutato gli umani in esseri mostruosi, per cercare
altri sopravvissuti, creano un gruppo su Skype
chiamato Skypocalypse, che è anche il titolo
di quella che si professa “la prima webserie
italiana in 4D” (qualunque cosa possa significare). La surreale commedia post-pandemica in streaming è un cult per migliaia di
navigatori, e nasce nel corso di un meeting tra
YouTubers, il 26 marzo 2011 a Milano. Suo
principale ispiratore è Karim Musa, conosciuto in Rete con il nickname di Yotobi, che
ha poi deciso di abbandonare il progetto a
causa di divergenze creative. Punto di forza è
una struttura narrativa che consente potenzialmente di espandere all’infinito il numero
di partecipanti, e che ha dato la possibilità di
farsi conoscere a molti Youtuber emergenti,
dai due Mattia (Ferrari e Pozzoli, in arte VictorLaszlo88 e Matioski) a PallonW a Cimdrp,
ormai piccole grandi celebrità del web. Sotto
il profilo produttivo, l’aspetto interessante è
quello di poter gestire una fiction i cui attori
principali sono sparsi in molteplici differenti
location. Che però, sono fondamentalmente
le “camerette” dei protagonisti, il cui numero
varia in base al quantitativo di personaggi che
intervengono in una singola puntata. Dal
punto di vista delle “riprese”, ogni attore può
tranquillamente filmare le scene a casa propria nei tempi e nelle modalità che preferisce.
Poi si fa il montaggio, dove si cerca, con un
lavoro certosino, di rendere omogenee le fonti
che vengono realizzate, per forza di cose, con
webcam di tipologia assai varia, tentando
anche di creare l’illusione di un contatto visivo
tra i personaggi, seppur mediato dalla tecnologia. Insomma, allo spettatore, chino davanti
al suo PC, pare di star assistendo ad una vera
chiamata su Skype. E naturalmente, la fanno
da padrone battute e citazioni, estrapolate
dall’universo ‘nerd’ (o Geek che dir si voglia),
ormai autentico crogiuolo di elementi di cultura pop che mastica e risputa ogni media –
dal cinema, alla tv, ai fumetti ai videogiochi –
sotto una diversa forma. E in questo caso, la
distanza tra pubblico e attori risulta davvero
minima. Chiunque, con una webcam e una
connessione a Skype, può sentirsi dalla parte
del “sopravvissuto”.
www.youtube.com/user/skypocalypse
Per approfondimenti
collegati al sito 8-mezzo.it
37
INNOVAZIONI // Le web series italiane
THE PILLS
Nel quartiere di Giardinetti a Roma, in un appartamento arrangiato alla bene e meglio, un
gruppo di studenti si confronta su temi “universali”: il rapporto con l’altro sesso, l’amicizia, la vita all’università. Pare una generazione
quantomeno incerta, ma a salvarla c’è l’ironia.
Questo il canovaccio di The Pills, web-series
in bianco e nero , scritta e diretta da un
gruppo di intraprendenti amici capitolini, che
in pochi mesi spopola sul web diventando un
tormentone sui maggiori social network (nel
momento in cui scriviamo, dicembre 2012,
13.000 contatti su facebook e decine di migliaia di visualizzazioni su YouTube). La serie
nasce nel 2005 come idea nella mente di Luca
Vecchi, che pian piano si circonda di un
gruppo ampio di interpreti – rigorosamente
non professionisti – scrittori, creativi e tecnici.
Quando il motore è l’entusiasmo, insomma.
Assi portanti sono Matteo Corradini, Luigi Di
Capua e Federica Marcaccini, che si destreggiano tra un tavolo e poche sedie di chiara
matrice Ikea, caffè a litri e sigarette a tonnel-
late. E una valanga di influenze e citazioni: dal
Clerks di Kevin Smith ai film di Jim Jarmusch,
passando per la serie USA Scrabs e il nostrano Santa Maradona. Attorno al gruppo
una dozzina di altri personaggi, che partecipano a turno, a seconda delle possibilità, dato
che tutti vivono grazie ad attività parallele. Lo
stesso gruppo creativo sta dietro alla pubblicazione Dudemagazine, nata “con l’intento
di focalizzarsi su progetti e lavori di qualità,
relegati ai margini del mercato e di conseguenza del pubblico”.
www.youtube.com/user/THEPILLSeries
www.dudemag.it/
SHE DIED
10 episodi, 10 minuti, e She Died. È il Giffoni
Film Festival, tra le più quotate rassegne al
mondo di cinema per ragazzi, ad aver ideato
– Luca Apolito, Manlio Castagna: responsabile creativo, vicedirettore artistico del Giffoni,
ma soprattutto sceneggiatori e registi – la
serie. Genere: supernaturale, She Died racconta l’amore destinato a non separare
nemmeno davanti alla morte. Il giocattolo, in
una versione illustrata macabra, per ideazione
del protagonista Davide, è lo spunto iniziale,
che poi si apre alla narrazione sentimentale.
L’incontro tra lui e Anastasia, subito innamorata del giovane disegnatore, è il cuore della
storia d’amore: Davide, però, deve individuare la modalità con cui liberarsene. Non
casualmente, probabilmente, la serie è stata
messa online dal 14 febbraio: San Valentino,
festa degli innamorati. Premessi gli importanti natali del Giffoni la serie si offre al
pubblico con il desiderio di sottolineare,
rispetto alla media delle produzioni per la
38
rete, la propria qualità produttiva. Gli stessi
autori hanno ribadito, infatti, di non avere l’intento di un impatto (come quello comico o
trash) a riscontro immediato ma, piuttosto,
l’ambizione di vivere come prodotto con tutte
le credenziali per essere concorrenziale con
una produzione cinematografica tradizionale
e di alto profilo.
www.webseriestv.it/video/1135
INNOVAZIONI // Le web series italiane
BABBALA E IL RAGAZZO IDIOTA
“Non c’è strategia nel mio successo, soltanto
idiozia”. A parlare così è Maccio Capatonda,
al secolo Marcello Macchia. Dopo aver fondato
la Shortcut Productions, insieme a Enrico
Venti, ha immediatamente spopolato anche
in tv grazie alle sue partecipazioni a programmi
celebri come Mai dire Lunedì e Mai dire
Martedì, intrise di una comicità inedita, principalmente basata sulla parodia di comuni
errori della lingua italiana o su termini usati
raramente e decontestualizzati dal loro ambito
abituale. Capatonda fa parlare i suoi personaggi
come goffi analfabeti che creano inconsapevolmente neologismi, che poi gli appassionati
tramutano in tormentoni. Tra le sue produzioni
figurano anche piccole scenette pubblicitarie
utilizzate per la promozione di prodotti o
emittenti televisive (All Music). Nel 2008
partecipa ai videoclip delle canzoni Parco
Sempione e Ignudi fra i nudisti del gruppo Elio
e le Storie Tese, da lui diretti, oltre a quello de
Il topo mangia il gatto di Francesco Baccini.
Nel 2012 presenta al Roma Fiction Fest l’esilarante serie Babbala e il ragazzo idiota (10
puntate in onda su Flop TV, televisione web
dedicata alla comicità, al surreale e all’umorismo e creata da FoxFactory e dal dipartimento
New Media di Fox). Parodia di una serie per
ragazzi degli anni ’70, Bigfoot and Wildboy,
la sitcom vede Capatonda vestirsi da scimmione affiancando nelle gag il suo storico
compare Herbert Ballerina (Luigi Luciano),
con cui fronteggia le macchinazioni del villain
della situazione, dall’improbabile nome di
Busto Arsizio (Ivo Avido) e sventa “temibili”
pericoli come l’ingestione di un vasetto di yogurt scaduto.
www.short-cut.it/
www.floptv.tv/
TRAVEL COMPANIONS
Piccoli estratti di viaggi quotidiani in auto di
due colleghi che si recano al lavoro, dividendo
spese ed esperienze, stanno alla base di Travel
Companions, web serie scaturita dalla mente
di due ingegneri partenopei, Ferdinando Carcavallo e Luca Napoletano. La partenza del
progetto è nel segno della spontaneità: nel
2010 i due decidono di riprendersi in auto
mentre vanno al lavoro, semplicemente per
passare il tempo e superare la noia e lo stress
causati dal traffico della tangenziale. Ma il
primo video realizzato, dominato dal nonsense, spopola nella cerchia di amici del duo
su facebook, così il progetto inizia a prendere
forma. Un anno dopo, a Los Angeles, la prima
stagione vince il premio come migliore serie
comedy in lingua straniera al Web Series Festival. Incoraggiati, i due videoamatori mettono su una seconda stagione, il network
televisivo Comedy Central ne acquista alcune
puntate per il programma TV Generica e l’interesse della stampa – specie quella online –
comincia a crescere. Nel 2011 arriva un cortometraggio celebrativo (Travel Companions a
colori), che raccoglie i migliori episodi fino ad
allora prodotti. Il corto viene presentato come
evento speciale al Roma Fiction Fest e vince
una menzione speciale al Napoli Film Festival. Seguono la miniserie Travel Companions
Bassa Stagione (sei episodi in partenza, poi
diventati undici) e un secondo corto, Travel
Companions in quattro terzi. Distribuito attraverso un sito ufficiale e un canale YouTube, il
serial fa capolino anche su Coming Soon Television, durante il programma Short Stories.
E gli autori non si fermano: nel gennaio 2012
realizzano un video per una collaborazione tra
il portale FutureScapes di Sony e l’organizzazione no-profit Forum for the Future, e
stanno pensando a una nuova serie, ancora
top-secret con il medesimo spirito della precedente (comico e surreale) ma con un budget più cospicuo, raccogliendo fondi in rete. I
finanziatori vedranno i loro nomi nei titoli di
coda in tutti gli episodi e negli eventuali derivati della serie, e quello che acquisterà più
quote degli altri – con un minimo di quattro
– comparirà nei titoli di testa.
http://travelcompanionswebserie.blogspot.it/
www.youtube.com/user/kinemazone
39
INNOVAZIONI // Le web series italiane
FREAK OUT:
LE BRAND, C’EST TREND!
Intervista a Luciano Massa
di Andrea Guglielmino
uando si parla di web-series italiane, il primo titolo che salta in
mente non può che essere Freaks! In primis, è innegabile, per
la presenza in doppia veste di
interprete e produttore della ‘webstar’ Guglielmo Scilla, famoso su YouTube con lo
pseudonimo di Willwoosh, sotto il quale ha
iniziato la sua attività pubblicando divertenti
video parodistici. Dietro Freaks!, però, ci
sono un impianto e una storia produttiva decisamente più strutturati, oltre a un’idea di
base molto forte che richiama alla memoria
celebri precursori statunitensi come Heroes
e Misfits (a cui tra l’altro viene reso direttamente un omaggio nella prima puntata della
seconda stagione). Cinque ragazzi apparentemente normali, vittime di un misterioso
svenimento collettivo, si risvegliano 4 mesi
dopo con forti vuoti di memoria e, soprattutto, con poteri speciali, sulla cui origine iniziano a indagare. Di qui il titolo: Freaks!,
mostri, fenomeni da baraccone, scherzi della
natura, ma anche persone dotate di capacità
fuori dalla norma.
Q
40
Riferimenti online:
www.freakstheseries.com/
www.show-reel.it/
Il primo episodio è stato pubblicato su YouTube l’8 aprile del 2011 – poi per la seconda
stagione (2012) la serie sarebbe passata in
televisione, sul canale Deejay Tv – con immediato e crescente successo di visualizzazioni, più di 8 milioni nei primi due mesi. Tre
dovrebbero essere le stagioni complessive:
la prima è stata realizzata con un budget limitato e con la partecipazione di un cast tecnico e artistico amatoriale e non retribuito.
Gli oneri produttivi se li sono messi sulle
spalle i principali interpreti: oltre a Scilla,
Giampaolo Speziale (leader della rockband
About Wayne) e Claudio Di Biagio (conosciuto sul web come Nonapritequestotubo).
Con loro, Matteo Bruno (su Internet, CaneSecco) che ha curato anche la fotografia. Per
la seconda stagione, trasmessa oltre che su
YouTube e su Deejay Tv, anche sul sito ufficiale (www.freakstheseries.com), è entrata
direttamente in ballo la creative farm Show
Reel, che per la prima si era impegnata a sviluppare piano marketing e comunicazione.
Dal 2006 Show Reel si occupa di Branded
Entertainment e social media marketing. Di
cosa si tratta? In breve, al centro dell’esperienza c’è un modo totalmente nuovo di fare
promozione, integrandola in prodotti d’intrattenimento di qualità, in cui gli autori
mantengono totale libertà artistica e al contempo si cerca di far coincidere gli interessi
di varie aziende, che si impegnano a fornire
contributi economici o di servizi in cambio
di un ritorno di contenuti e d’immagine innovativo e distante dalle politiche ‘invasive’
della pubblicità canonica.
Questo non significa che Freaks! sia uno
spot: al centro dell’operazione c’è sempre
l’obiettivo di realizzare un prodotto di alto livello artistico e renderlo disponibile gratuitamente su larga scala, così che sia l’utente
stesso a ricercare, indirettamente, la pubblicità, mentre si connette per guardare l’ultima puntata del suo serial preferito, invece
che ‘subire’ il messaggio promozionale
come tradizionalmente accade. Ne parliamo
con il General Manager di Show Reel Luciano Massa.
INNOVAZIONI // Le web series italiane
Ci presenta brevemente la Show Reel e le
sue attività?
Abbiamo portato in Italia il Branded Entertainment nel 2006. Ideiamo e sviluppiamo
format originali per le aziende con lo scopo
di intrattenere il pubblico. Cerchiamo di portarlo dentro luoghi virtuali o reali, con idee
semplici che lo coinvolgano direttamente risultando meno invasive delle tradizionali
forme di pubblicità. Il contenuto viene sempre
al primo posto e spesso viene co-creato dagli
utenti stessi, come nel caso di Twittastorie,
format che abbiamo prodotto per Telecom in
cui i partecipanti potevano diventare autori di
cortometraggi ispirati alle più belle città italiane, diretti da diversi registi famosi tra cui
Manetti Bros., Asia Argento, Cosimo Alemà,
con la partecipazione di guest star come la
modella Eva Riccobono.
riamo con molte realtà diverse, dalle telecomunicazioni tradizionali ai brand d’oltreoceano, agli istituti di cultura. Il bello dei
nostri progetti è che sono “notiziabili”: interessano i media, i giornali, le tv ne parlano,
quindi le aziende li vedono, trovano il nostro
marchio e da lì parte il filo d’Arianna che li
conduce a noi. Con la Mondadori ad esempio è andata così.
Certamente, un modo innovativo per promuovere prodotti…
Guardi, mi permetto di dirlo in maniera polemica. Molti dei creativi pubblicitari che ho conosciuto, anche di agenzie blasonate, se
lavorassero nell’industria dell’intrattenimento
italiano potrebbero al massimo fare gli stagisti. Ai brand che stanno diventando broadcaster – ovvero tutte le aziende che pubblicano
contenuti su YouTube, Facebook e simili –
non dico di rivolgersi necessariamente alla
Show Reel, ma a qualcuno che sappia fare intrattenimento e che conosca i mezzi per coinvolgere e interessare il pubblico. I canali e i
mezzi tradizionali si stanno prosciugando e
comunque, da soli, non bastano più. Il pubblico è cambiato: noi tutti siamo diventati
consumatori molto più difficili da convincere
rispetto a qualche anno fa.
chiediamo all’azienda quali sono gli obiettivi
che vuole raggiungere, studiamo il loro cluster e buttiamo giù le nostre “linee guida”… e
invece che una campagna adv realizziamo
progetti di cui l’utente si trova protagonista,
coinvolto in maniera diretta.
Ma i clienti come arrivano a conoscervi?
Con il passaparola, principalmente. Lavo-
Come vi ponete nei confronti di chi vi commissiona il lavoro?
Non da fornitori, ma da possibili partner.
Siamo molto critici, contiamo le pulci che
hanno in testa, ci mettiamo nei panni del
cliente finale e solo dopo, se ci piacciono veramente, accettiamo il lavoro. Poi tecnicamente si inizia come si partirebbe per la
realizzazione di una pubblicità tradizionale,
Freaks!, però, almeno a prima vista, pare un
prodotto a sé stante e non un mezzo per veicolare messaggi promozionali.
E lo è. Freaks! è un progetto artistico a cui il
mercato tradizionale (quello delle tv per intenderci) non avrebbe mai permesso di nascere.
In questo caso volevamo realizzare il sogno
di quattro venticinquenni intraprendenti: la
seconda stagione della loro serie. Poiché i
fondi necessari non sarebbero arrivati tutti
dalla tv, né da uno sponsor singolo, l’unica
strada era mettere insieme un gruppo di
aziende che da un lato hanno fatto da mecenati al progetto, e dall’altro hanno avuto un
ritorno forte in termini d’immagine e pubbli-
citari. Da Deejay Tv che si è posta come coproduttore e ha chiesto solo i diritti televisivi,
a Citroën che per prima ci ha creduto, a
Canon, Nintendo e varie marche d’abbigliamento, tra cui mi piace citare in particolare
Pennyblack. Feltrinelli, poi, ha dato la base
per una serie di iniziative interessanti: dall’ambientare alcune scene in libreria ai tour
organizzati nelle librerie stesse, passando per
la distribuzione del merchandising esclusivo.
È stato anche un modo per avvicinare i teenagers, che di solito malvolentieri frequentano
i libri, al mondo dell’editoria. E poi i videoblog, gli appunti di produzione. Questo, per
farle capire, è un autentico progetto di Branded Entertainment, però multi-brand. La soddisfazione più grande è che il prodotto
artistico non ne è affatto uscito svilito, la premessa che sin dai primi incontri abbiamo
posto ai nostri interlocutori era che sul lavoro
dei creativi non dovevano esserci ingerenze.
Dovevano avere assolutamente carta bianca
e uno dei primi a concedercela è stato proprio
Linus, direttore artistico di Deejay Tv.
Ma quando e come è nato l’incontro tra
Freaks! E Show Reel?
Me ne ha parlato per la prima volta Scilla, nel
novembre del 2010. Stavamo iniziando a lavorare insieme e lui mi ha detto che aveva
questo progetto da propormi. Ho risposto:
“Ok, parliamone”, ma si è bloccato un attimo.
Mi ha detto che prima doveva consultarsi con
i suoi partner, che poi sono Claudio, Matteo
e Giampaolo, che ormai conoscete bene.
Dopo un po’ di tempo abbiamo fatto un incontro, l’idea è piaciuta a me e ai miei soci,
ma proprio nell’ottica di cui le parlavo prima
ho detto loro: “Ok, vi diamo una mano, ma
non vogliamo vedere niente finché non avete
un prodotto finito”. Così, ci siamo messi a la-
41
INNOVAZIONI // Le web series italiane
vorare, ma separatamente, io col mio team al
marketing e alla comunicazione, loro con le
loro forze, alla fiction. Ci tengo a ricordare che
si sono prodotti la prima stagione da soli, con
appena duemila euro. Io la prima puntata l’ho
vista a Roma in albergo, tre giorni prima che
uscisse. E lì ho capito che avevamo scommesso sul cavallo giusto, di aver fatto bene a
lasciar loro totale libertà, quella che chiunque
vorrebbe, soprattutto a quell’età. Per la prima
serie noi abbiamo sostenuto solo i costi di
marketing e comunicazione.
In sostanza, quanto le ha reso?
Molto in termini di pubblicità e passaparola
tra le aziende, ma non ci abbiamo guadagnato nulla, né noi, né i creatori. Certo il valore totale dell’operazione si aggira attorno al
milione e mezzo di euro, ma devo dire che
per realizzarla ha aiutato molto anche il fatto
che gli interpreti siano stati pagati il minimo
sindacale, le maestranze solo con la garanzia
di un rimborso spese. Ai fornitori abbiamo
dato visibilità nei titoli di coda. Pensi l’entusiasmo: stiamo parlando anche di tecnici,
quindi non gente che ha un immediato ritorno d’immagine, l’hanno fatto per il piacere
di partecipare all’evento. Se così non avessero
fatto non saremmo riusciti a terminare il progetto, e pensare che gran parte del budget se
n’è andato in tasse.
Secondo lei, cosa c’è alla base del successo
della serie?
Certamente il fatto di essere arrivati per primi,
nel nostro paese. Senza dimenticare che Freaks!
è la prima serie sci-fi italiana dopo Spazio 1999,
co-produzione italo-britannica del 1973, quasi 40
anni fa. Ma anche e soprattutto una trama ac-
42
cattivante, misteriosa, un aspetto che intriga e
al contempo diverte. Sa qual è il commento che
ci lasciano più spesso sotto i video?
Me lo dica lei…
“Non ci ho capito un cxxxx… però fighissimo!”
E il futuro delle web series, in Italia, come lo
vede?
Come un modo di farsi pubblicità, di mostrare il proprio talento. Al momento è prematuro parlare di un’industria nascente,
perché i numeri di visualizzazioni in Italia,
seppur importanti, non permettono di mettere su una produzione contando solo su banner e pre-roll. E poi, mi permetta di essere di
nuovo polemico, stavolta nei confronti dei
giovani italiani: a volte sono fin troppo ottusi
e ciechi, perché se un progetto arriva dagli
USA supportato dalla Coca-Cola “è ok”, e lo
accolgono a braccia aperte, mentre in Italia,
secondo loro, si deve produrre, ma senza
sponsor, e condividendo tutto “aggratis”, mi
perdoni la licenza dialettale.
Di che si lamentano?
Alcune community considerano i ragazzi di
Freaks! come dei “venduti”, perché ora la
serie passa anche in tv, o magari perché vedono la pubblicità degli sponsor sul sito. E’
un prodotto di qualità, costato denaro e sacrifici, non si può pretendere di averlo – sottolineiamo, gratis – senza che qualche azienda
ci affianchi il proprio logo. Il fattore più importante della seconda stagione di Freaks! è
che ci sono aziende e uomini che credono ancora nei giovani di talento. E' importante far
capire che con la crisi che c’è, il fatto che diverse industrie complementari – dunque,
senza pestarsi i piedi a vicenda – si siano
unite per realizzare il sogno di un gruppo di
giovani, in Italia, è praticamente un miracolo.
Sono onorato di aver conosciuto questi talenti
“under 25” e di esser riuscito a trasmettere il
loro e il nostro entusiasmo ai manager delle
aziende che hanno deciso di seguirci e supportarci. Abbiamo fatto una cosa che non succedeva almeno dagli anni ’90, quando i sogni
dei ragazzi li realizzava l’industria discografica, ahimè oggi defunta. La pirateria è anche
un problema ‘culturale’: da noi la gente, specie i giovani, è fin troppo abituata a scaricare
tutto, illegalmente e senza spendere un soldo,
è una tendenza che non possiamo combattere ma che di fatto sta ammazzando la qualità. Pensate ai dischi che uscivano negli anni
‘90 e fate il confronto con quelli di oggi. Gli
ultimi dati dicono che 14 milioni di persone al
mese, in Italia, guardano video sul web. Ebbene, sono numeri ancora troppo bassi. Noi
gridiamo al successo per 100mila visualizzazioni, oltreoceano lo si fa per almeno dieci milioni. Questo vuol dire che un prodotto, da
solo, non si può reggere solo sulla base della
pubblicità raccolta dal canale YouTube, è necessario applicarsi a modelli misti, proprio
come abbiamo fatto noi con Freaks!
E nel futuro di Show Reel, cosa c’è?
Guardi, non posso dirle troppo, per scaramanzia. Inoltre i prossimi progetti sono sotto
stretto vincolo di riservatezza. Nel momento
in cui le parlo (dicembre 2012) posso darle solo
quest’anticipazione: una grossa realtà dell’Entertainment italiano, con capitali tutti nostrani,
ha visto in Show Reel un’entità capace di fare
ricerca e sviluppo come nessun altro fa attualmente, e ha deciso di supportarci.
INNOVAZIONI // Le web series italiane
VOGLIAMO
KUBRICK
di Valerio Orsolini
Ludovico Bessegato, ideatore, regista
e responsabile editoriale di Magnolia
Fiction e Fabrizio Luisi, autore
ed interprete di alcune delle web series
di maggior successo in Italia, hanno
da poco collaborato nella serie
Kubrick - Una Storia Porno.
l fenomeno si sta diffondendo
rapidamente in tutto il mondo. Dal
2009, l’International Academy of Web
Television, IAWTV, assegna gli
Streamy Awards, evento annuale
creato per premiare le migliori produzioni su
web, per le categorie regia, recitazione,
produzione e sceneggiatura. L’Italia non è
ancora protagonista internazionale in questo
campo, per sapere com’è la situazione nel
nostro paese ne parliamo con “quelli di
Kubrick”.
I
Fabrizio, Ludovico, il vostro mestiere e il
perché del titolo della serie.
F: Volevamo un titolo che fosse alto e basso
allo stesso tempo. Che è poi uno dei temi
della serie: scoprire che a volte certe
ambizioni intellettuali sono fredde e vuote e
anche un po’ ridicole, e invece ciò che prima
giudicavi poco degno, ha una sua nobiltà, un
suo valore, che poi ti permette di esprimere il
tuo di valore.
L: Gli autori avevano proposto una rosa di titoli.
Alcuni troppo sfacciati, altri troppo raffinati. Ad
un certo punto eravamo tutti convinti che si
dovesse chiamare Una Storia Porno. L’ufficio
legale aveva però difficoltà a far firmare contratti
con quel titolo. Abbiamo quindi rispolverato al
volo una vecchia ipotesi, appunto Kubrick, che
fa riferimento ad una battuta pronunciata nella
prima puntata della serie.
Casi italiani di web series sono, per esempio,
Faccialibro, The Pills: definite il concetto di
web serie e spiegate se esista davvero
differenza tra i media che usano comunque
il linguaggio video.
F: Siamo ancora in una fase pionieristica,
sperimentale, derivativa. Penso che tutte le
“regole su come fare un video su internet”
note al momento, siano infondate. Per
esempio la brevità. E Kony 2012? E se uscisse
Breaking Bad su YouTube non me lo vedrei
perché dura troppo? Piuttosto si può parlare
di qualità del testo e contesto produttivo: la
forza dell’idea, il ritmo interno, le scelte di
realizzazione e distribuzione, l’autorevolezza
di chi crea e distribuisce. Che poi può essere
un’autorevolezza amatoriale, anzi spesso è
preferibile l’amatorialità, perché implica una
sfida e quindi è di per sé una grande storia
che trasforma il pubblico in fan e tifosi.
L: Sono domande complesse a cui si troverà
una risposta fra qualche anno. Di fatto, in Italia
le web series sono racconti video serializzati,
diffusi principalmente su web. Fino a ora le
caratteristiche comuni sono la brevità,
l’economicità, il linguaggio “sporco” e la bassa
età di chi le realizza. Ma sono certo con il
tempo non saranno più paradigmi esclusivi.
Anche le prime radio libere avevano le stesse
caratteristiche e poi sappiamo come è andata.
43
INNOVAZIONI // Le web series italiane
Nella serie si parla di temi universali.
Quindi, spiegateci perché parlare di porno,
perché il sesso è uno degli argomenti più
popolari e “googlati” della rete.
F: L’idea di una storia con il porno ci piace
perché ci permette di parlare di sesso. È una
delle cose più presenti nelle nostre vite, in
così tante forme, e allo stesso tempo viene
raccontato così poco. Usato moltissimo,
raccontato poco.
L: Il porno interessa tutti, garantisce enormi
quantità di occasioni comiche e non è quasi
mai affrontato dalla nostra narrativa. Tre
ottime ragioni per parlarne, no?
In queste series ricorrono riferimenti espliciti
al mondo della rete. In Lost in google i
commenti degli utenti contribuiscono a
comporre la sceneggiatura delle puntate: in
tal senso Kubrik sembra essere rimasta un
passo indietro.
F: Ah che bella questa domanda! Penso che
l’interattività non sia una specifica del
racconto in rete. È un uso, come dicevo,
pionieristico del mezzo. È come dire che lo
specifico del cinema sia di spaventare gli
44
spettatori facendogli arrivare dei treni
addosso. Anche. Ma non è quello che ci è
rimasto di quest’arte dopo più di un secolo
che la frequentiamo. Specifiche della rete per
me sono l’orizzontalità, l’immediatezza, la
visibilità, la partecipazione, l’intelligenza
collettiva... Ma qui il discorso si fa lungo.
L: Non condivido il tuo “spesso”. La serie che
hai citato è infatti l’unica ad avere un
meccanismo che valorizzi davvero il mezzo
che la ospita. In ogni caso non credo che
Kubrick sia un passo indietro. Se l’Italia fosse
un paese dove la televisione promuove e
ospita ogni tipo di serialità sarebbe certo
stupido fare una web serie che non tenga
conto dello specifico del mezzo. Ma essendo
la nostra televisione molto chiusa, il web
diventa esclusivamente uno spazio di libertà.
Kubrick, web serie in tre puntate “pilota”:
ipotesi di futuro.
F: La serie è andata molto bene. Cerchiamo
qualcuno che la produca. Rete, televisione,
cinema: ogni mezzo è adatto a raccontare
questa storia.
L: Il futuro di Kubrick è molto nebuloso.
Aspettiamo responsi dalle reti, sogniamo il
cinema. Stiamo cercando il modo migliore
per sfruttare la credibilità che ci siamo
conquistati.
Con le nuove tecnologie, penso in special
modo a tutto ciò che è mobile, quali saranno i
cambiamenti nella produzione di web series?
Linguaggio, inquadrature, scrittura, altro?
F: Il concept, l’idea, sarà sempre più importante e dovrà essere un’idea di racconto, ma
allo stesso tempo un’idea di messa in scena
e un’idea di distribuzione. Tutto dovrà essere
subito molto giusto, coerente ed efficace. Su
mobile nei primi 30 secondi ti sei giocato
tutto. E poi il telefono è strumento sociale: il
video ti deve piacere, ma ti deve anche far piacere mostrarlo a chi è attorno a te.
L: Credo che il principale cambiamento
riguarderà la brevità del prodotto. E la ricerca
di elementi interni che favoriscano la viralità.
INNOVAZIONI // Le web series italiane
Alla fine del terzo e, per adesso,
ultimo episodio della serie,
gli autori di Kubrick chiedono
di scrivere “vogliamo
Kubrick” nei commenti
al video: coloro che hanno
voluto esprimere il proprio
gradimento alla serie sono
già molte migliaia.
Questo articolo è il nostro
“vogliamo Kubrick”, sperando
che siano sempre di più
i contenuti ed i contenitori
in grado di esprimere nuove
idee, nell’attesa che l’Italia
vinca il primo Streamy Award.
In ogni caso se Una Storia
Porno vi ha incuriosito
potete andare su
www.webseriestv.it/kubrickuna-storia-porno per farvi
un’idea più precisa e magari dire
anche voi “vogliamo Kubrick”.
In Italia gli argomenti delle fiction classiche tengono conto dell’utenza televisiva, che è
caratterizzata da una fascia di età piuttosto adulta e, si dice, con un livello culturale non
altissimo. Vuol dire che le web series faranno fatica a conquistarsi spazio in tv? Perlomeno nelle tv cosiddette generaliste?
F: Sì, ma va bene così. La tv generalista fa un grande servizio nell’intrattenere mia nonna
di 88 anni. Peccato che io compri molte più cose di mia nonna. Se ci fosse un sistema di
rating all’americana, che premia la qualità del pubblico anziché la quantità, qualcosa cambierebbe, perché spesso le web series intercettano un pubblico più “pregiato” per i pubblicitari, giovani aperti alle novità e con una grande “cultura narrativa” (libri, fumetti,
cinema o videogiochi poco importa). Detto ciò, vorrei anche che gli investimenti pubblicitari si spostassero sulla rete, i tempi sono maturi. Forza, un po’ di coraggio!
L: Assolutamente sì. Ma è banalmente un problema di numeri. La fiction di prima serata
viene vista da diversi milioni di persone. Una web serie da qualche centinaio di migliaia,
e va molto bene. E la Tv commerciale funziona solo sui grandi numeri. Attenzione inoltre
a sopravvalutare l’utenza web: YouTube è il regno di Nyan Cat, Mentos e Cani parlanti,
non certo dei film dei Dardenne.
45
NUMERI
Il dossier economico della DG Cinema
46
NUMERI // L'economia del cinema italiano
COME LO STATO SOSTIENE LE MANIFESTAZIONI
DI PROMOZIONE CINEMATOGRAFICA
di Iole Maria Giannattasio
L
o Stato sostiene le iniziative di promozione del cinema
principalmente nell’ambito del contributo alle cosiddette “attività
di promozione in Italia e all’estero” al fine di divulgare la cultura
cinematografica nel Paese, in particolare il cinema di qualità, e di
diffondere i film italiani all’estero. Festival, rassegne, premi,
convegni, lavori di restauro e conservazione del patrimonio filmico,
oltre ad attività editoriali e di formazione, rientrano tra le iniziative
finanziate.
I contributi sono erogati a enti pubblici e privati senza scopo di lucro,
istituti universitari, comitati e associazioni culturali e di categoria che
operino stabilmente nel settore promozionale secondo le disposizioni
del D.M. 28 ottobre 2004 modificato dal D.M. 3 ottobre 2005.
I finanziamenti vengono assegnati dalla “sottocommissione per la
promozione” della “Commissione per la cinematografia”, sia sulla
base delle indicazioni del programma triennale della Consulta
territoriale, sia in relazione a criteri che tengono conto della rilevanza
dell’iniziativa nella sua globalità, del riconoscimento e sostegno anche
finanziario di privati, locali, Stati esteri e organismi europei e
internazionali, della consistenza della struttura organizzativa con
l’iniziativa proposta, della tradizione culturale e cinematografica
dell’iniziativa e dell’ente promotore e, infine, della capacità di
promuovere la cultura e il prodotto cinematografico in aree
scarsamente servite.
Requisito indispensabile ai fini dell’ammissibilità al contributo per i
soggetti diversi dagli enti pubblici è la copertura di almeno il 30% del
costo complessivo delle iniziative con entrate diverse - pubbliche o
private - da quelle richieste alla DG Cinema.
Nello stanziamento per l’anno 2011 di 75,8 milioni di euro del Fondo
Unico per lo spettacolo destinato all’insieme della attività
cinematografiche, le attività di promozione in Italia occupano l’8,1% e
la promozione all’estero lo 0,7% per un totale di 6,6 milioni di euro.
Le iniziative di promozione del cinema hanno accesso anche alle
sovvenzioni destinate ai “Progetti speciali” (D.M. 28 ottobre 2004),
ossia le iniziative straordinarie di particolare rilevanza per le quali sia
stata presentata domanda di contributo da soggetti esterni anche su
invito dell’Amministrazione. I criteri su cui si basano i finanziamenti
prendono in considerazione, tra gli altri elementi, la forte vocazione
culturale e sociale dei progetti che per loro natura non troverebbero
altra forma di sostegno attraverso i canali ordinari e le attività
d’interesse nazionale ed internazionale che per la loro importanza
sono funzionali alla valorizzazione della cultura cinematografica
italiana. Nel 2011 sono stati finanziati 19 “progetti speciali” - tra cui
figurano anche iniziative diverse da festival e rassegne - con 5,1 milioni
di euro a valere sul Fondo per produzione, la distribuzione, l’esercizio
e le industrie tecniche.
A completare lo schema di sostegno diretto alle manifestazioni
promozionali non può mancare quello destinato agli enti di settore
come nel caso della Fondazione La Biennale di Venezia che nel 2011
ha ricevuto un finanziamento di 7,1 milioni di euro.
Tra gli aiuti alla promozione sono previsti anche contributi assegnati
alle associazioni nazionali di cultura cinematografica e alle sale d’essai.
47
NUMERI // L'economia del cinema italiano
IL CONTRIBUTO PUBBLICO A FESTIVAL E RASSEGNE
di I.M.G.
N
ell’ambito del sostegno destinato alle “attività cinematografiche
promozionali in Italia” - escludendo quindi le attività all’estero, la
Biennale di Venezia (sostenuta in quanto ente vigilato) e le
eventuali manifestazioni finanziate come “Progetti speciali” - i
contributi deliberati a favore di festival e rassegne realizzati sul
territorio nazionale nel 2011 sono andati a 101 iniziative organizzate
da 88 enti promotori. Lo Stato è intervenuto con un contributo di circa
3,5 milioni di euro (per i soggetti che hanno ricevuto un finanziamento
destinato oltre che a festival e/o rassegne anche ad altre iniziative
promozionali, l’importo utilizzato per la realizzazione del festival e/o
rassegna è stato stimato).
Le manifestazioni sono sparse sull’intero territorio nazionale, di
portata e volumi eterogenei e composte al 75,2% da festival e al 23,8%
da rassegne. Sono presenti sia manifestazioni “generaliste” che
“tematiche”, eventi dedicati esclusivamente a film del passato e
festival che presentano anteprime mondiali, iniziative che propongono
cinematografie internazionali e quelle caratterizzate dall’offerta di
cinema nazionale, manifestazioni fortemente radicate nel loro
territorio e festival itineranti.
La quota destinata nel 2011 alla realizzazione di festival e rassegne
assorbe il 56,3% dei 6,1 milioni di euro effettivamente deliberati a favore
del complesso delle attività promozionali che includono anche
promozione all’estero, editoria, formazione, convegni, premi,
conservazione e restauro. Il costo totale di questi festival e rassegne è
di 25,3 milioni di euro, coperti oltre che dall’intervento dello Stato da
quello delle istituzioni locali, da sponsor, da partner privati, dagli incassi
derivanti dalla vendita di biglietti e da abbonamenti e proventi vari.
Il contributo statale nel 2011 è andato a colmare circa il 57,8% del
deficit indicato dagli enti promotori nella copertura finanziaria delle
manifestazioni.
Suddividendo il contributo sulla base della sede legale del soggetto
beneficiario, il Lazio si distingue come la regione in cui hanno sede
gli enti promotori che hanno ottenuto la più alta percentuale di
sostegno, il 27,5% per 38 manifestazioni. Campania e Piemonte
seguono ciascuna con oltre il 15% del contributo nonostante il
numero di iniziative sia inferiore (7) a quelle realizzate da soggetti
con sede in Emilia Romagna (8) e Lombardia (12) a cui vanno
rispettivamente il 9% e il 5,7% del finanziamento. Ad eccezione delle
Marche con il 6,4% e la Sicilia con il 5%, i soggetti residenti nelle
restanti regioni hanno ricevuto contributi inferiori al 5% del totale per
manifestazioni inferiori a 6 ciascuna. Enti promotori con sede in
Basilicata, Liguria e Valle d’Aosta non hanno ottenuto nel 2011
finanziamenti per festival o rassegne (Fig. 1).
48
Attività di promozione in Italia
Festival e rassegne finanziati
nel 2011: ripartizione del contributo
pubblico per regione* in cui ha sede
il soggetto beneficiario
ABRUZZO
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA ROMAGNA
FRIULI
LAZIO
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO
UMBRIA
VENETO
2,2%
0,2%
15,8%
9%
3,7%
27,5%
5,7%
6,4%
0,3%
15,5%
1,2%
1,7%
5%
4,3%
0,2%
0,4%
0,9%
Fig.1)
Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC
*La regione è determinata sulla base della sede legale dell’ente
promotore che effettua la richiesta di sostegno
NUMERI // L'economia del cinema italiano
La sede dell’ente promotore non sempre, però, coincide con il luogo in
cui le iniziative vengono realizzate. Per molte di queste poi non è prevista
una sede unica ma un percorso itinerante per il Paese. Analizzando
quindi la ripartizione del numero di manifestazioni per regione in cui gli
eventi finanziati si sono svolti, emerge una minore concentrazione e la
presenza di iniziative in tutte le regioni. Il Lazio, anche in questo caso,
è il luogo in cui il maggior numero di festival e rassegne è realizzato
(26) ma lo scarto con le restanti regioni è meno rilevante. Le altre
regioni in cui si contano almeno 10 eventi sono Lombardia (13),
Piemonte (11), Campania (10) ed Emilia Romagna (10) (Fig. 2).
La distribuzione nell’arco temporale dell’anno di festival e rassegne
sovvenzionati nel 2011 raggiunge i picchi nei primi mesi estivi di
giugno (26) e luglio (33) oltre al mese di novembre che eguaglia
giugno con 26 iniziative. Nei restanti nove mesi dell’anno il numero
di eventi cinematografici sostenuti è piuttosto omogeneo con
oscillazioni che vanno dalle 14 alle 19 iniziative al mese (Fig. 3).
Attività di promozione in Italia
Festival e rassegne finanziati
nel 2011: ripartizione del numero di iniziative
per regione*in cui le iniziative
hanno avuto luogo**
Attività di promozione in Italia
Festival e rassegne finanziati
nel 2011: ripartizione delle iniziative per mese
in cui le iniziative hanno avuto luogo*
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA ROMAGNA
FRIULI
LAZIO
LOMBARDIA
LIGURIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO
UMBRIA
VALLE D'AOSTA
VENETO
4,3%
2,1%
4,3%
10,7%
10,7%
6,4%
25,18%
13,9%
3,2%
3,2%
3,2%
11,8%
3,2%
6,4%
9,6%
7,5%
3,2%
7,5%
3,2%
8,6%
GENNAIO
FEBBRAIO
MARZO
APRILE
MAGGIO
GIUGNO
LUGLIO
AGOSTO
SETTEMBRE
OTTOBRE
NOVEMBRE
DICEMBRE
14
14
17
18
17
26
33
19
19
17
26
18
0
5
10
15
20
25
30
35
Fig.3)
Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC
* Alcune manifestazioni hanno durate che coprono più mesi
Fig.2)
Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC
*La regione è determinata sulla base della sede legale dell’ente
promotore che effettua la richiesta di sostegno
** Alcune iniziative hanno luogo in più regioni e sono quindi state
contate più volte. Per le iniziative indicate come itineranti in tutto il
Paese sono state considerate tutte le regioni
49
NUMERI // L'economia del cinema italiano
LE CANDIDATURE E I PREMI CHE DANNO
PUNTEGGIO AUTOMATICO NEL REFERENCE SYSTEM
Alcuni festival hanno un peso nella valutazione dei lungometraggi diretti da registi già affermati che
richiedono al MiBAC il contributo pubblico selettivo e la qualifica di interesse culturale. L’aver partecipato a
determinate manifestazioni o aver vinto dei premi, infatti, genera un punteggio automatico nell’ambito del
cosiddetto Reference System (D.M. 27 settembre 2004. e D.M. 18 aprile 2012). Una percentuale del punteggio
complessivo attribuito al film matura sulla base dei premi e delle candidature ricevuti da regista, sceneggiatore
e attori principali nelle seguenti manifestazioni:
PER TUTTI I FILM
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
(comprese Settimana della critica e Giornate degli autori)
Festival International de Cannes (comprese Quinzaine des Réalisateurs e Semaine de la critique)
Berlin International Film Festival
Locarno International Film Festival
Festival des Films du Monde de Montréal
Sundance Film Festival
San Sebastian International Film Festival
Torino Film Festival
Moscow International Film Festival
Karlovy Vary Film Festival
Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro
Giffoni Film Festival
Festival Internazionale del Film di Roma (a partire dal 2013)
I premi: Academy Awards, David di Donatello, Nastri d’Argento, Golden Globe, European Film Awards,
César, Goya e Solinas
IN PIÙ SOLO PER I FILM DOCUMENTARI
IDFA-International Documentary Film Festival di Amsterdam
Festival dei Popoli di Firenze
Hot docs di Toronto
Festival International de Cinéma-Vision du Réel di Nyon
Cinéma du Réel di Parigi
FID-Festival Internazionale del Documentario di Marsiglia
Festival for documentary di Lipsia
IN PIÙ SOLO PER I FILM DI ANIMAZIONE
Cartoons on the Bay
FIFA-Festival International du Film d’Animation di Annecy
International Animation Festival di Hiroshima
International Animation Festival di Ottawa
Festival I Castelli Animati di Frascati
Il premio Cartoon d’or
50
NUMERI // L'economia del cinema italiano
IL BOX OFFICE DEI FILM DI INTERESSE CULTURALE
di Andrea Corrado
S
e è vero che il buongiorno si vede dal mattino, il 2013 promette
bene, visti i risultati al botteghino nel primo fine settimana
dell’anno, con due titoli italiani di interesse culturale, La migliore
offerta di Giuseppe Tornatore e Mai Stati Uniti di Carlo Vanzina,
in testa alla classifica degli incassi. Fino al 6 gennaio, i due film
avevano incassato rispettivamente 2.757.000 e 2.062.000 ¤,
conquistando l’ottavo e il decimo posto nella classifica dei migliori
incassi nel periodo delle festività natalizie, dal 13 dicembre al 6 gennaio
2013. Nella stessa classifica, dal secondo al quarto posto ci sono altri
tre film italiani: Colpi di fulmine, I 2 soliti idioti e Tutto tutto niente
niente.
I dati Cinetel dicono che, nello stesso periodo, i film italiani (e di
coproduzione) hanno complessivamente ottenuto una quota di
mercato del 51,71 per cento per biglietti venduti, rispetto al 34,02 del
2012, mente i film Usa sono arrivati al 28,36 per cento, in calo rispetto
al 35,38 dello scorso anno.
Intanto, si è attestato appena sotto i 7 milioni e 900mila ¤ il risultato
di Il peggior Natale della mia vita di Alessandro Genovesi, che ha
chiesto e ottenuto il riconoscimento dell’interesse culturale senza
contributo, mentre ha mancato di poco la soglia dei 5 milioni Venuto
al mondo di Sergio Castellitto, arrivato in sala l’8 novembre e realizzato
con un contributo pubblico di 700mila ¤.
Cosimo e Nicole di Francesco Amato, premiato come migliore
lungometraggio nella sezione Prospettive del Festival di Roma, sugli
schermi dal 29 novembre, ha incassato poco meno di 300mila ¤.
I risultati al botteghino di altri tre titoli di interesse culturale, nei cinema
dal 15 novembre: poco meno di 215mila ¤ di incasso per il secondo
lungometraggio di Stefano Mordini Acciaio, che ha avuto un sostegno
51
NUMERI // L'economia del cinema italiano
di 150mila ¤ , 120mila ¤ totalizzati da Alì ha gli occhi azzurri di Claudio
Giovannesi, con un contributo di 100mila ¤, vincitore del Premio
speciale della giuria e di quello per la Migliore opera prima o seconda
al Festival del Film di Roma, mentre non è andato oltre i 45mila ¤ Il
sole dentro di Paolo Bianchini, realizzato con 500 mila ¤ di contributo.
Tra i film in sala nel mese di gennaio troviamo tre titoli di interesse
culturale. A cominciare dalla coproduzione Asterix e Obelix al servizio
di Sua Maestà di Laurent Tirard, nuovo episodio della serie tratta dai
noti fumetti di Goscinny e Uderzo, girato in 3D con un cast di qualità
52
che include anche gli italiani Neri Marcorè, Niccolò Senni, Filippo Timi
e Luca Zingaretti. Il nuovo lavoro di Susanna Nicchiarelli, La scoperta
dell’alba, che ha ottenuto un contributo di 550mila ¤, e Ci vediamo
domani, seconda regia di Andrea Zaccariello, realizzata con un
contributo di 200mila ¤.
Il cinema italiano di interesse culturale è stato inoltre in competizione
al Sundance Film Festival, con le coproduzioni Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti e Il futuro di Alicia Scherson, entrambe realizzate con
il contributo della Direzione generale per il Cinema.
NUMERI // L'economia del cinema italiano
BILANCIO DI UN ANNO: ,
LA RECESSIONE NON FRENA CREATIVITA E TALENTI
di A.C.
I
bilanci ufficiali ancora non ci sono, ma un’indicazione è possibile: la
recessione non frena creatività e talenti e, per il cinema italiano, il
2013 può essere un anno davvero interessante. Nel 2012, tra
lungometraggi, corti e opere prime e seconde, i progetti riconosciuti
di interesse culturale dal ministero per i Beni e le Attività culturali
sono oltre 140, numero record da quando è in vigore la cosiddetta
legge cinema del 2004, e di questi 123 hanno ottenuto contributi per
la realizzazione.
Più in particolare, l’interesse culturale è stato attribuito a 44 progetti
di lungometraggio di registi non più esordienti e 35 di essi hanno avuto
il via libera per l’accesso al contributo pubblico. Diversi progetti sono
già diventati film e arrivati in sala: Bella addormentata di Marco
Bellocchio, Un giorno speciale di Francesca Comencini, La migliore
offerta di Giuseppe Tornatore, Tutti i santi giorni di Paolo Virzì, Viva
l’Italia di Massimiliano Bruno. Altri sono quasi pronti, come La
grande bellezza di Paolo Sorrentino e Storia mitologica della mia
famiglia di Daniele Luchetti. E sono attesi i nuovi lavori di Mimmo
Calopresti, Peter Del Monte, Renato De Maria, Mario Martone,
Francesco Patierno, Alessandro Piva, Marco Ponti, Alice Rohrwacher,
Sergio Rubini, Pasquale Squitieri, Giovanni Veronesi, Gianni Zanasi e
di tanti altri protagonisti del cinema italiano di questi anni.
Per quanto riguarda le nuove leve, l’interesse culturale è stato attribuito
a 58 opere prime e seconde, 52 delle quali con un contributo tra i 100
e i 300mila euro. Tra questi, alcuni titoli hanno già avuto
riconoscimenti in festival internazionali, come Alì dagli occhi azzurri
di Claudio Giovannesi e Cosimo e Nicole di Francesco Amato al
Festival del Film di Roma, Pulce non c’è di Giuseppe Bonito premiato
ad Alice nella città. Altri ancora sono debutti alla regia di attori noti al
grande pubblico: La grande scivolata di Claudio Amendola e Tutti
contro tutti di Rolando Ravello, oppure seconde regie di autori
dall’esordio felice, come Andrea Segre ora alle prese con il
lungometraggio Il legno e il miele. Nell’elenco dei film che hanno
avuto l’interesse culturale, c’è anche chi ha già conseguito ottimi
risultati al botteghino come Il peggior Natale della mia vita di
Alessandro Genovesi.
Sempre nel 2012, i cortometraggi riconosciuti di interesse culturale sono
40, 36 dei quali con un contributo tra i 30 e i 40mila euro. Dietro la
macchina da presa, una veterana del cinema del reale come Cecilia
Mangini e insieme a registi già affermati nel cinema di finzione e nel
documentario come Mimmo Calopresti, Egidio Eronico, Michelangelo
Frammartino, Wilma Labate, Mario Martone, Luca Miniero, Daniele
Segre. E ancora autori apprezzati in attesa di conferma: Gaetano Di Vaio,
Pippo Mezzapesa e Valerio Mieli. Per un raffronto con l’anno 2011: i
progetti di lungometraggio che avevano ottenuto l’interesse culturale
erano stati 31, 21 dei quali con il contributo, le opere prime o seconde
43, 40 con il contributo, e i cortometraggi 34, solo uno senza contributo.
53
SALVATORE GIULIANO
di Paola Ruggiero
Il volume di Tullio Kezich e Alessandra Levantesi
sul celebre film del 1962 inaugura
una nuova collana digitale di Luce Cinecittà.
MEMORIA
DIGITALE
renza tra toccare e sfogliare un libro fresco di
stampa e tenere in mano una chiavetta. Oppure tra recuperare in cantina un testo di tanti
anni fa che reca le nostre sottolineature e le
nostre note a margine, facendoci rivivere antiche emozioni, e rileggere la stessa opera, in
Times New Roman corpo 12, sullo schermo
del computer”. Non ha dubbi invece Erri De
Luca che in un’intervista alla Gazzetta di
Parma dichiara: “Le abitudini sono molto difficili da estirpare e la diffidenza verso le novità
è sempre parecchia in ognuno di noi. I nuovi
lettori invece, quelli che iniziano ora il loro
rapporto con i libri e a leggerli sul formato
elettronico, si potranno abituare presto”. Una
cosa è certa, il processo di cambiamento non
può essere ignorato.
Luce Cinecittà, da molti anni impegnato
nella pubblicazione di opere monografiche e
tematiche, inaugura il proprio ingresso nell’editoria digitale con la pubblicazione in formato e-book del volume Salvatore Giuliano
curato nel 1999 da Tullio Kezich in collabo-
razione con Alessandra Levantesi, edito in
formato cartaceo dall’allora Cinecittà Holding, oggi Luce Cinecittà. In questa nuova
versione digitale, il volume dedicato all’omonimo film di Francesco Rosi, del 1962, è
stato arricchito di materiali filmati, selezionati
dal vastissimo archivio Luce a cura di Lorenzo Codelli. La pubblicazione di questo ebook, che avverrà sulle maggiori piattaforme
con fruizione gratuita, sarà la prima di una
collana digitale che il Luce Cinecittà si appresta a curare e che troverà nella vasta offerta
dei materiali d’archivio il valore aggiunto di
opere già di per se stesse interessanti. L’ebook Salvatore Giuliano sarà disponibile in
rete alla fine di questo mese, inaugurando
l’apertura del Luce Cinecittà ai nuovi scenari
che si stanno configurando perché, come
dice Woody Allen: “credo che le nuove tecnologie offrano grandi opportunità, ma
anche che nascondano grandi pericoli. Il
trucco sta nel cogliere le opportunità, evitare
i pericoli e tornare a casa per cena”.
era della tecnologia ha invaso
anche il paludato mondo dell’editoria. La crescente diffusione di tablet ed e-reader sta
modificando le abitudini dei
lettori. Come ogni rivoluzione anche questa
ha i suoi sostenitori e i suoi avversari. I problemi, in questa fase iniziale, riguardano in
primis gli editori, spaventati dalla crescente
pirateria che in questi ultimi anni ha già
messo in rete moltissimi titoli, ma anche le librerie e gli stessi fruitori: tutto un sistema che
dovrà ristrutturarsi in tempi velocissimi per
far fronte al cambiamento in atto. Le naturali
resistenze dei cultori della carta stampata, affezionati al valore quasi feticistico che un libro
assume, preserveranno sicuramente ancora a
lungo una fetta di mercato che vede il libro
tradizionale come un’entità insostituibile.
Anche gli stessi autori hanno opinioni diverse
rispetto a questa trasformazione, Umberto
Eco sul settimanale L’Espresso scrive: “Il libro
cartaceo è più umano… c’è una bella diffe-
L’
54
MEMORIA DIGITALE
INTERVISTA A FRANCESCO ROSI.
SALVATORE GIULIANO,
QUANDO IL CINEMA CERCA LA VERITÀ
di P.R.
eonardo Sciascia quando uscì il suo film Salvatore
Giuliano lo definì “l’opera più vera che il cinema abbia
mai dato relativamente alla Sicilia, mai la Sicilia era stata
rappresentata con così preciso realismo”: come nasce il
progetto di fare un film sul bandito Giuliano?
Il progetto nasce perché il personaggio di Salvatore Giuliano in quegli anni interessava l’attualità del paese. La possibilità di affrontare
dei problemi, come quello del separatismo, di una regione difficile
e complessa come la Sicilia e quindi fare un film, partendo dalla storia di Salvatore Giuliano, mi è sembrato che fosse molto importante
per cercare di ripercorrere realisticamente la storia dell’Italia di quegli anni. L’interesse a questo tipo di problematiche era diffuso , solo
che io e Cristaldi siamo riusciti ad affrontare la questione cinematograficamente. Il film è stato inizialmente annunciato con la sceneggiatura di Franco Solinas, Suso Cecchi D’amico, Enzo
Provenzale e Francesco Rosi, dopo poco io ho ritenuto molto più
giusto seguire la mia idea senza dovermi più confrontare, nella fase
progettuale, con i miei collaboratori perché avevo una mia idea personale della struttura da seguire ed è quello che ho fatto. Alla fine
loro sono stati tutti d’accordo, c’è anche una dichiarazione di Franco
Solinas nel libro Salvatore Giuliano che dice che l’idea di quel genere
di narrazione era stata di Rosi.
L
L’Europeo scrisse in copertina: “Di sicuro c’è solo che è morto”.
Anche questa certezza è stata poi messa in discussione, nel 2010 è
stata riaperta l’inchiesta e riesumato il cadavere di Salvatore
Giuliano, ma i risultati del DNA non hanno dato risposte. Alcuni
studiosi ipotizzano che a morire fu il fratello del bandito Giuliano,
lei che idea si è fatto della vicenda?
Queste sono cose avvenute, delle quali si è occupata la stampa e
soprattutto la magistratura ed io non posso avere un’idea personale,
la questione peraltro è ancora aperta. Salvatore Giuliano è stato a mio
parere quel personaggio del quale ho ricostruito la storia attraverso
fatti accertati personalmente, perché data la difficoltà storica del
soggetto ho voluto fare un film sul personaggio ispirandomi al
rapporto che ho stabilito sui luoghi nei quali è avvenuta la storia,
perché solo in tal modo potevo raccogliere le testimonianze di
personaggi che avevano vissuto quegli anni.
Il film, che è stato girato a Montelepre e Castelvetrano e Portella della
Ginestra, è un film che attraverso la vicenda di Salvatore Giuliano indaga
sugli aspetti politici che l’hanno determinata. Ha avuto difficoltà,
durante le lavorazioni, a raccogliere le testimonianze di cui si è servito?
Quando si interrogano dei personaggi veri si trova sempre all’inizio o
una certa resistenza o addirittura un entusiasmo, che diventa più
55
MEMORIA DIGITALE
pericoloso, perché tradisce una voglia di protagonismo eccessiva che
potrebbe falsare il realismo del racconto. Io, insieme ai miei
collaboratori, sono ritornato più volte a Montelepre mentre scrivevo,
sono andato a vedere cosa era Portella della Ginestra, chi erano i
contadini coinvolti nella strage, ho cercato di raccogliere maggiori
informazioni possibili, di documentarmi in modo oggettivo e credo di
esserci riuscito.
Prima Salvatore Giuliano, circa un decennio dopo Il caso Mattei e
Lucky Luciano. Lei ha spesso incentrato i suoi film politici su
personaggi storici conosciuti. Se dovesse fare un nuovo film su una
figura della storia contemporanea, quale sceglierebbe?
Nel panorama politico italiano ci sono personaggi che hanno dato
un’impronta fondamentale e decisiva al corso della nostra storia,
durante quest’ultimo cinquantennio. Andreotti, ad esempio. Bisogna
però sempre fare una scelta molto responsabile per cercare di offrire un
ritratto veritiero. Anche lo stesso Sorrentino nel suo Il divo, che è un film
bello e interessante, si è preoccupato più di definire il personaggio
Andreotti secondo una visione di tipo cinematografico, che del racconto
realistico della vicenda.
Il suo è definito l’esempio più alto di cinema di impegno civile. Lei
come lo definirebbe?
Riuscire a definire nella maniera più precisa il carattere narrativo e
tematico di un film non è una cosa molto semplice. Io definisco il mio
cinema un cinema sulla realtà, che può essere di un paese, di una
politica, di un particolare momento storico.
Ci sono registi nel panorama attuale che perseguono un impegno civile?
L’argomento interessa molti, ma a volte rischia di diventare una debole
rappresentazione di quella che è la problematica trattata. L’impegno
civile, eredità del Neorealismo, è molto forte e presente nel nostro
cinema, per esempio Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio
Giordana è un film esemplare del genere, che è stato criticato, credo, in
maniera imprecisa.
Il volume curato da Kezich sul suo film Salvatore Giuliano sta per
diventare un e-book, cosa pensa della nascita dell’editoria digitale?
Tullio Kezich , al quale fu affidata all’epoca la stesura del volume, è
riuscito a farne un’opera estremamente interessante, anche dal punto
di vista storico. Io probabilmente per una questione generazionale e di
mia formazione culturale preferisco il libro cartaceo, perché un libro è
anche un oggetto, un’entità fisica, se un domani non dovessero più
esistere i libri sarebbe come togliere peso e importanza alla cultura.
Credo che l’editoria digitale possa e debba affiancare quella tradizionale,
ma non sostituirla.
Lei ha ricevuto da poco il Leone d’Oro alla carriera, un riconoscimento
prestigioso che premia il suo percorso artistico, come lo ha vissuto?
È un grande riconoscimento al mio cinema, ne sono fiero, alcuni hanno
detto che poteva arrivare prima, ma io non do importanza al tempo.
56
NEL MONDO
La Grande Bellezza
di Luca Marinelli
di Rossella Rinaldi
Il giovane attore, scoperto con La solitudine
dei numeri primi, tra le Shooting Stars 2013,
talenti emergenti dell’Europa unita.
ive a Berlino già da qualche tempo, Luca Marinelli,
l’attore italiano di Shooting Stars, l’evento organizzato
ogni anno dall’EFP (European Film Promotion) durante
la Berlinale. Una tre giorni di riflettori internazionali
puntati su dieci giovani europei, protagonisti di incontri
con casting director, registi e produttori, interviste, sessioni
fotografiche, workshop. Decisamente una punta di diamante
dell’attività di promozione del cinema europeo nei vari festival
internazionali, che permette a interpreti emergenti (i cui film abbiano
avuto un curriculum internazionale) di ampliare il loro panorama
professionale oltre i confini geografici e linguistici.
V
>
Da qui sono usciti nomi come Carey Mulligan, Mélanie Laurent,
Moritz Bleibtreu e sul versante italiano, per citarne solo alcuni, Filippo
Timi, Michele Riondino e Alba Rohrwarcher. Proprio Alba era
membro della prestigiosa giuria (con lei la produttrice tedesca Bettina
Brokemper, il giornalista francese Thierry Chèze, la casting director
inglese Jina Jay, la regista Bosniaca Jasmila Žbanic ) che ha scelto
quest’anno tra i ventisette candidati proposti dalle agenzie di
promozione nazionali la rosa finale. Dell’attore italiano i giurati hanno
apprezzato “lo sguardo ipnotico - una grande e rara qualità per un
attore - che illumina Tutti i santi giorni (Paolo Virzì, 2012), e la
recitazione, molto sobria e diversa da ogni altra cosa vista”.
Marinelli, classe 1984, romano, diplomato all’Accademia Silvio
D’Amico, con un curriculum teatrale di tutto rispetto, approda al
cinema come coprotagonista, proprio insieme ad Alba Rohrwacher,
del terzo film di Saverio Costanzo, La solitudine dei numeri primi
(2010). Seguono due esordi sorprendenti: L’ultimo terrestre (2011) di
Gipi (in un ruolo en travesti) e Nina (2012) di Elisa Fuksas. Con questa
manciata di titoli preziosi il suo volto ha viaggiato per i festival da
Venezia a Toronto, da Karlovy Vary a Shanghai, da Rotterdam a Tokyo.
Prossimamente lo vedremo ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino,
forse sulla Croisette.
57
NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri
Gli italiani
che piacciono
a Redford
di R.R.
Al Sundance trend positivo
per gli indipendenti dal 2000 a oggi.
E quest’anno Giorgio Diritti in versione brasiliana
e un’opera prima italo-cilena.
58
NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri
erano due titoli italiani nella
competizione internazionale
del Sundance Film Festival
(17-27 gennaio), il più elitario
dei festival statunitensi, nato
nel 1985 grazie alla volontà di Robert Redford
di supportare il cinema indipendente. Da
quando è divenuta competitiva nel 2005, la
sezione World Cinema ha ospitato quattro
titoli italiani (Viva Zapatero! nel 2006, Riprendimi nel 2008, Un altro pianeta l’anno
successivo, I baci mai dati nel 2011). Ma nel
decennio abbiamo avuto a Park City una
buona presenza anche nelle sezioni non competitive, anche grazie alle selezioni curate in
Italia proprio a partire dal 2000. Dal 1985 al
2000 erano state selezionate in totale solo
cinque opere provenienti dal nostro paese
con una predilezione per Davide Ferrario e
Giuseppe Tornatore, con due film a testa.
C’
Quest’anno è toccato all’opera terza di Giorgio
Diritti, Un giorno devi andare, prodotta da
Lumière, Arancia Film e dai francesi Groupe
Deux, una vicenda esistenziale che ha come
protagonista assoluta Jasmine Trinca, una
donna italiana alla ricerca di se stessa, in
viaggio nella foresta amazzonica a contatto
con la miseria delle favelas brasiliane. Un
film dalla lunga gestazione, girato tra Brasile
per 11 settimane e Trentino, con il sostegno
della Trentino Film Commission. Il futuro è
invece l’opera prima della regista cilena Alicia
Scherson, una coproduzione tra Cile, Germania,
Italia e Spagna che narra la vicenda difficile
ed estrema di due adolescenti di origine cilena
rimasti orfani a Roma. Il produttore italiano
Mario Mazzarotto (Movimento Film), ci spiega
che il film è l’adattamento del libro di Roberto
Bolaño Un romanzetto canaglia. “L’idea di
realizzarlo è nata nel corso di una riunione
del network di produttori ACE, il progetto si è
evoluto al Co-Production Market di Berlino,
ha usufruito del Programma Media, diventando
una produzione tra quattro paesi”. John Nein,
Senior Programmer del Sundance che si
occupa appunto delle selezioni italiane, chiarisce: “Il livello dei film italiani visionati quest’anno era notevole, con tanti titoli interessanti,
inventivi e coinvolgenti ed è stato un peccato
non trovare posto per tutti. Un giorno devi
andare ha uno stile autoriale e un modo di
raccontare sofisticato che ben si adatta al
livello del concorso del Sundance. Siamo stati
onorati di ospitare un regista del calibro di
Giorgio Diritti con un film bello e meditativo.
Il futuro è una pellicola con una voce brillante
e originale, una complessa relazione tra due
caratteri affascinanti. Insomma, due esempi
peculiari della varietà del cinema italiano”.
Da segnalare infine lo Slamdance, rassegna
indipendente che si è tenuta nelle stesse date
del Sundance, e che ha proposto L’ultimo pastore, la docufiction di Marco Bonfanti, vista
anche a Tokyo, Dubai e Torino.
59
QUERIDO
CINEMA ITALIANO
di R.R.
Gli Italian Screenings per la prima volta
a Buenos Aires, con 76 distributori
provenienti da 25 paesi.
Un’offerta monotematica portata
a domicilio, che si spera di replicare
in altre aree del pianeta.
60
NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri
en 76 distributori provenienti da
25 paesi, non solo sudamericani,
hanno raccolto l’invito degli organizzatori italiani, prolungando
di un giorno la loro permanenza
a Buenos Aires per gli Italian Screenings,
nome storico degli appuntamenti di mercato
del cinema italiano, nati a Perugia nel 2003 e
successivamente ospitati a Roma da The Business Street nel 2009 e 2010, che sono
andati per il primo anno in trasferta in Argentina. Un’iniziativa ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà con il supporto di UNEFA,
ICE, Direzionale Generale per il Cinema del
MiBAC e INCAA, l’Istituto Nazionale per il
Cinema e l’Audiovisivo argentino, che hanno
offerto ai buyers internazionali un’intera giornata di proiezioni italiane.
B
La formula è stata quella di sfruttare le
presenze di un evento ormai consolidato
come Ventana Sur, il mercato organizzato da
Marché du Film di Cannes e INCAA per il territorio sudamericano. Così il 4 dicembre, proprio al termine e nelle stesse sale di Ventana
Sur, sono stati presentati 16 recentissimi film
italiani. “L’originalità di questa iniziativa è
quella di aver offerto ai distributori di una
macroarea come il Sudamerica la possibilità
di vedere la nostra più recente produzione in
casa propria. Ci sono molti mercati di successo,
ma una offerta “monotematica” in senso nazionale portata a domicilio è un’esperienza
nuova che speriamo di poter replicare in altre
aree del nostro pianeta”, dice Roberto Cicutto,
AD di Istituto Luce Cinecittà, mentre Bernardo
Bergeret, responsabile degli Affari Internazionali
dell’INCAA e direttore esecutivo di Ventana
Sur, si augura che “questo sia il primo passo
per il grande ritorno del nostro pubblico al cinema italiano”.
Motivi di apprezzamento dei partecipanti
sono l’attenzione dedicata in esclusiva ai
nostri film, che ha di fatto evitato la perdita di
visibilità come negli altri mercati, e il periodo
strategicamente lontano da altre occasioni
internazionali, tanto più al termine di una
stagione di festival e di uscite in sala. Per
Mattia Oddone, Head of Cinema and Tv
Sales di Rai Trade, uno dei tre distributori internazionali presenti a Buenos Aires, “questo
evento ha consentito di mostrare film italiani
recenti a chi non aveva avuto modo di vederli
allo scorso Festival di Venezia o di Roma
poiché molti compratori, soprattutto sudamericani, partecipano sempre meno ai festival
europei. I buyers invitati sono apparsi ben disposti verso il prodotto italiano che hanno
potuto visionare nel corso di una giornata
dedicata, senza la concorrenza di prodotti
esteri”. Per Rai Trade ci sono molte trattative
in corso, anche sul fronte della distribuzione
televisiva. Secondo Raffaella Di Giulio di Fandango Portobello, che ha confermato la
vendita di Reality in Argentina, “questa vetrina
esclusiva è un buon modo per vedere i film
in un ambito più protetto e lontano dalla
confusione di Berlino”. Infine per Paola Corvino, Presidente Unefa e AD di Intramovies,
è sicuramente un’esperienza da ripetere. Sono
state concluse alcune vendite, e poste basi
concrete per altre.
Molti i suggerimenti per ottimizzare una seconda edizione: incrementare il numero dei
buyers sudamericani, aumentare i giorni di
proiezione (o diminuire il numero dei film)
per evitare sovrapposizioni, stabilire un “punto
Italia” almeno due giorni prima degli Screenings per informare gli operatori, sensibilizzare
i produttori e per assicurare la presenza dei
venditori internazionali.
61
NEL MONDO // Import-Export
Allargare gli orizzonti
grazie
ai festival-mercato
di Federica D’Urso e Francesca Medolago Albani (Ufficio Studi ANICA)
Coproduzioni internazionali e nuovi territori,come quello cinese,
aprono interessanti prospettive per il futuro del cinema indipendente:
l’importante è creare occasioni di incontro.
62
NEL MONDO // Import-Export
ervono ancora a qualcosa i festival?
Una prima risposta indiretta viene
dai dati sull’export del cinema italiano recente: essere selezionati e
magari vincere un premio a un festival internazionale serve a un film per farsi
conoscere e vendere di più. Una seconda risposta è specialmente a favore dei festival
con un mercato. In Europa, i principali sono
Berlino, Cannes e Roma, ma molti altri stanno
crescendo, anche nei cosiddetti “paesi obiettivo”. I mercati vivono un’esistenza parallela
a quella delle sezioni competitive di natura
artistica. Negli ultimi anni, accanto alle relazioni b2b, sono aumentati anche gli appuntamenti aperti all’intera comunità professionale, vere occasioni di networking. Un
esempio interessante si è avuto nel corso
dell’ultimo Festival di Roma, dove ANICA,
The Business Street e New Cinema Network
hanno promosso un confronto pubblico intitolato “Film Financing around the World” con
esponenti da tutto il mondo. Il tema era semplice e complesso: come si finanzia un film
viaggiando dall’estremo Ovest all’estremo Est
in un momento complesso della storia dell’economia? Due sono i principali percorsi
possibili, entrambi con luci e ombre: le coproduzioni e il grande mercato cinese.
S
63
NEL MONDO // Import-Export
Com’è noto, l’attività di reperimento delle risorse è la principale occupazione del produttore, che del film è il proprietario. Per l’ontologica imprevedibilità dei ricavi, il produttore
difficilmente può sostenere da solo l’intero
peso economico. Da questa difficoltà nascono
le numerose e variegate forme di finanziamento dei film, da fonti pubbliche o private,
dirette o indirette, con istituzioni diverse a tutti
i livelli territoriali, sistemi finanziari o soggetti
privati interni o esterni alla filiera. Senza scendere nel dettaglio, va rilevata una generale stanchezza che gli “incumbent” stanno conoscendo negli ultimi anni. Gli Stati Uniti e
l’Europa, pur continuando a mantenere il primato, sembra siano giunti a un esaurimento
delle risorse classiche e sono alla ricerca di
strade nuove per alimentare la propria produzione e ampliare i mercati a valle. Fanno da
contraltare cinematografie piccole ma molto
vitali, come quella israeliana, aperte a collaborazioni innovative.
È un tema ormai tradizionale quello del ridottissimo accesso al Fondo Eurimages da parte
dei produttori italiani. Alle articolate motivazioni
che vengono richiamate per spiegare tale inefficienza, dovute essenzialmente alla limitata
diffusione della lingua italiana, alla rigidità del
sistema di finanziamento nazionale e alla
scarsa capacità degli apparati creativi di rispondere alle esigenze di un mercato internazionale,
si è aggiunto – secondo alcuni - un ulteriore
freno indirettamente derivante dalla normativa
sul tax credit, in vigore in Italia dal 2008.
La soluzione che più in Europa è cresciuta nel
corso dei decenni è la coproduzione internazionale: strumento che i produttori italiani da
poco tempo sfruttano in modo significativo.
Nell’ambito del pacchetto di azioni di sostegno
all’industria cinematografica attivate dalle istituzioni sovranazionali a partire dalla fine degli
Anni ’80, ce n’è una che ha l’obiettivo di incrementare la produzione e circolazione di
opere europee. Si tratta del Fondo Eurimages,
nato nel 1988 e gestito dal Consiglio d’Europa:
attualmente vi aderiscono 35 paesi europei,
compresa la Russia, entrata nel 2011. Circa il
90% delle risorse annuali di Eurimages è destinata allo schema di supporto alla coproduzione. Il sostegno finanziario, rivolto a lungometraggi per la sala e che vedano il
coinvolgimento di società residenti in almeno
due paesi membri, non può superare il 17%
del budget di produzione, fino ad un massimo
di 700.000 euro. L’aiuto viene erogato in
forma di prestito, che i beneficiari sono tenuti
a restituire in proporzione ai proventi.
È significativo il caso di La migliore offerta, il
film di Giuseppe Tornatore prodotto da Paco
Cinematografica, uscito in Italia il 1° gennaio
2013. In questo caso il produttore ha deliberatamente scelto di non montare una coproduzione: nonostante il cast sia tutto straniero
e il progetto distributivo sia pensato per il
mercato mondiale, il film è stato realizzato
interamente con risorse italiane e da una
troupe tutta italiana. Oltre a due fondi regio-
sostegno Eurimages alla coproduzione, 2006-2012
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
56
61
57
55
56
72
68
15
11
10
7
10
8
7
Tot. sostegno a
co-produzioni
19.265.500
21.508.000
20.200.000
19.460.000
19.260.000
22.350.000
21.710.000
Tot. sostegno a
co-produzioni
con partecipazione
italiana
6.683.500
5.505.000
4.214.000
3.100.000
3.810.000
3.260.000
2.840.000
N. coproduzioni
sostenute
N. coproduzioni con
partecipazione
italiana sostenute
64
NEL MONDO // Import-Export
Tax credit negli
Stati USA
tra
le
abi
ile
rib
sfe
s
bor
rim
Alabama
Alaska
Arizona
California*
Connecticut
Georgia
Hawaii
Illinois
Indiana
Iowa
Kansas
Kentucky
Louisiana
Massachussetts
Michigan
Missouri
Montana
New Jersey
New Mexico
New York
North Carolina
Ohio
Pennsylvania
Rhode Island
Tennessee
Utah
West Virginia
Wisconsin
totale
14
nali, ha beneficiato del tax credit interno per
la produzione e del tax credit per il distributore. I vincoli posti dall’utilizzo dell’incentivo
fiscale, che limita il beneficio alla quota italiana, secondo il produttore Arturo Paglia,
hanno reso più conveniente reperire tutte le
risorse sul mercato interno piuttosto che usufruire di possibili coproduzioni con soggetti
stranieri che evidentemente, oltre a comportare un aumento dei costi di produzione,
avrebbero trattenuto quote del film riducendo
l’ammontare su cui far valere il credito fiscale.
Opposto è il famoso caso di This must be the
place, il film di Paolo Sorrentino premiato al
Festival di Cannes 2011, prodotto da Indigo
con Lucky Red e Medusa, che è invece diventato negli ultimi anni un caso di scuola di
coproduzione internazionale multilaterale, in
cui sono stati coinvolti Francia, Irlanda e Stati
Uniti attraverso un complesso lavoro di composizione delle risorse dirette e indirette provenienti dai paesi interessati nell’operazione.
Il film ha beneficiato anche del Fondo Eurimages.
In Italia, come negli altri paesi che hanno attivato strumenti d’incentivazione fiscale, si
tende a “scoraggiare” le coproduzioni. Questo
è uno dei temi su cui l’industria è chiamata a
riflettere nel prossimo futuro. L’impegno imprenditoriale richiesto da una coproduzione
internazionale è importante - sia sul piano artistico sia su quello organizzativo - e pesa nella
valutazione dei costi/benefici complessivi del
progetto. Va tuttavia rilevato che se per i grandi
paesi produttori di cinema la coproduzione è
spesso un’opzione alternativa, per i paesi più
piccoli o emergenti resta uno strumento fondamentale per la sostenibilità della realizzazione di un cinema di qualità in grado di confrontarsi con il mercato internazionale.
Gli Stati Uniti hanno indubbiamente dominato la storia del cinema del secolo scorso,
forti di un mercato potenziale non paragonabile per dimensioni e capacità di spesa agli
altri paesi occidentali e sostenuti da un’economia basata sul libero mercato in grado di
esportare, attraverso il prodotto cinematografico e televisivo, anche un modello culturale.
Causa-effetto è stata la potente crescita degli
Studios, sistemi completi e complessi che,
con modalità tipicamente industriali, hanno
sviluppato, prodotto e distribuito un numero
esorbitante di film conquistando quote di mercato ingombranti sia sul mercato interno sia
sui singoli mercati dell’Occidente.
La macchina degli Studios, che continua a
funzionare a ritmi sostenuti, vede nell’ultimo
decennio un agguerrito competitor in casa
propria: il cinema indipendente, per il cui sviluppo e visibilità internazionale il Sundance
Institute – fondato all’inizio degli anni ’80 da
Robert Redford - ha avuto un ruolo fondamentale. Nonostante quindi il primato delle
Major Companies, sta crescendo negli USA
un tessuto di produttori indipendenti che realizzano film a basso budget (in media 1 milione di dollari, contro i 20 milioni di un film
degli Studios) e che per comporre il piano finanziario devono sviluppare le proprie doti
creative. Le fonti principali per questi soggetti,
in assenza di un sostegno statale diretto, sono
le fondazioni e le organizzazioni private sparse
sul territorio, varie forme di equity e le diverse
forme di tax credit attivate in alcuni degli Stati
dell’Unione, a cui si aggiungono gli ambìti
premi in danaro per i vincitori dei festival.1
15
Fonte:
Special Report Movie Production Incentives
1
Per una approfondita panoramica sugli schemi di incentivazione fiscale attivi nei principali
paesi d’Europa e nei diversi stati degli USA, cfr. cap. 1 della pubblicazione LE RICADUTE DEL
TAX CREDIT. L’impatto economico delle forme di incentivazione alla produzione cinematografica,
ANICA – MiBAC DGCinema – LUISS Business School, 2012.
Disponibile online:
http://www.anica.it/online/tax_credit/LE%20RICADUTE%20DEL%20TAX%20CREDIT.pdf
65
NEL MONDO // Import-Export
La tendenza negli USA vede quindi la valorizzazione della creatività del produttore indipendente, chiamato a sopravvivere di fianco
a colossi iper-strutturati che, pur mantenendo
alta la propria quota di mercato sembra stiano
conoscendo una fase di stanchezza.
Contemporaneamente sta esplodendo, come
in tutti gli altri settori dell’economia, il fenomeno Cina: negli ultimi dieci anni l’industria
cinematografica cinese ha conosciuto una
straordinaria crescita sia in termini di film
prodotti che in termini di risultati al box office.
Nel 2011 vi sono stati prodotti 791 film che
hanno incassato 1,63 miliardi di euro, con un
incremento del 28% rispetto all’anno precedente. L’incasso dei film prodotti con il contributo statale è stato di 875 milioni di euro,
+53% sul 2010. Il budget medio per un film
di sicuro successo in patria oscilla fra i 2,5 e i
5 milioni di euro. Per comprendere le dimensioni di questo mercato, basti pensare che un
film di medio successo esce in sala con circa
8.000 copie. Il contributo pubblico alla produzione assume quindi un ruolo decisivo
nello sviluppo dell’industria cinematografica
cinese e l’esigenza denunciata sia dai grossi
produttori che dai pochi indipendenti protagonisti di questo mercato è quella di equilibrare il fenomeno sia attraverso l’incremento
di risorse private sia attraverso l’accesso al
mercato internazionale.
66
Oltre a un importante finanziamento statale
diretto, che copre il budget della maggioranza
dei film mainstream, in Cina attualmente le
altre due fonti per il produttore sono il finanziamento bancario - accessibile però solo per
i film diretti dai registi più noti - e i numerosi
fondi d’investimento, che raccolgono tanti
piccoli investimenti che altrimenti andrebbero
dispersi. Uno dei grandi temi intorno a cui si
sviluppa il fenomeno è il controllo sul mercato
operato dallo Stato che, accanto all’ingente
sostegno diretto, agisce attraverso due strumenti: la censura e le quote di importazione,
secondo cui ogni anno possono accedere al
mercato cinese al massimo 30 film stranieri.
Il dialogo con l’estero sembra essere il vero
obiettivo a cui l’industria cinese aspira. Gli
strumenti più immediati sono, da un lato, le
coproduzioni - che per il partner straniero sono
una chiave di accesso al mercato cinese molto
utile, dal momento che i film coprodotti con
la Cina non rientrano nelle quote di importazione - e dall’altro lato i festival e i mercati internazionali. Il dialogo con l’estero è una delle
più importanti chiavi di lettura sull’utilità dei
festival e l’esempio della Cina dà una risposta
positiva alla domanda di partenza.
SCENARI // Inchiesta
67
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
16,4 milioni
830 sale cinematografiche
totale ingressi in sala
di cui 272 sono digitali
29 lungometraggi svedesi
usciti nelle sale cinematografiche
con il finanziamento alla
produzione del Swedish
Film Institute (di cui 17
lungometraggi e 12
lungometraggi documentari)
1,7
media ingressi per
abitante nelle sale
19,8%
3,3 milioni
Quota di mercato
(percentuale di biglietti
acquistati per film svedesi)
totale ingressi per film svedesi
36%
percentuale di fondi
pubblici nel budget medio
di un lungometraggio
svedese
45%
nazionali
38 film
prime uscite 2011
(di cui 23 lungometraggi e 15
lungometraggi documentari)
68
lungometraggi finanziati nel
2011, che sono stati prodotti
da una donna (29% sono stati
diretti da una donna e i 40%
scritti da una donna)
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
FOCUS
Il caso
Svezia
Dati relativi al 2011
Popolazione 9,5 milioni
Superficie 449.964 km2
Densità 22 ab./km2
Moneta krona (plurale kronor)
Capitale Stoccolma
Forma di governo Monarchia
Sovrano Carlo XVI Gustavo di Svezia
69
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
VOGLIA DI NOVITÀ
E CACCIA ALLE REGISTE.
MA IL PASSE-PARTOUT
È IL NOIR NORDICO.
di Cristiana Paternò
ue dei film protagonisti dell’edizione 2013 dei Guldbagge, i David di Donatello
svedesi, sono opere prime: Call Girl di Michael Marcimain e Eat Sleep Die di
Gabriela Pichler. Il primo, che ha tra gli interpreti la brava Pernilla August, attrice
di Bergman e dell’ex marito Bille August, regista in proprio col notevole Beyond,
restituisce il clima di uno scandalo politico-sessuale a base di prostitute minorenni che nella seconda metà degli Anni ’70 ha sfiorato anche il premier Olof Palme. L’altro,
diretto da una regista di origine austro-bosniaca di cui sentiremo certamente ancora parlare, è
invece la storia di una Rosetta contemporanea. L’esordiente assoluta Nermina Lukac, una ventiduenne grande e grossa, dalla fisicità che non passa inosservata, subito accolta tra le Shooting
Star di Berlino 2013, ha il ruolo della figlia di un immigrato balcanico di religione musulmana,
che perde il lavoro di operaia e cerca di riconquistare, con tenacia e senza perdere la tenerezza
(specie verso il padre malato), il suo posto nella società. ”Volevo raccontare il mondo dei miei
genitori, persone che ho sempre amato ma di cui un tempo mi sono vergognata, e dare voce
alla classe operaia con autenticità”, ci spiegava la 32enne regista alla Mostra di Venezia dove il
suo bel film ha trovato spazio nella Settimana della critica vincendo anche il premio del pubblico. Aggiungendo che la Svezia non è quello che molti pensano, borghese e tormentata da
dilemmi esistenziali. ”Per questo ho scelto una storia ambientata in un paesaggio rurale e in
un ambiente working class”. Il percorso della pellicola è proseguito in vari festival da Los Angeles
a Zurigo, da Londra a Toronto, senza ancora arrestarsi: per Ann-Louice Dahlgren, addetto culturale dell’ambasciata svedese a Roma, Eat Sleep Die è senza mezzi termini ”il film dell’anno”.
D
70
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
Attenzione a forme e contenuti che si smarcano dal modello
bergmaniano e forte protagonismo femminile. Ecco due punti
chiave della cinematografia svedese, che gode del forte sostegno
dello Swedish Film Institute da ottobre 2011 guidato da una
donna. Prevale il cinema d'autore, ma è Millennium a fare scuola.
Attenzione alle novità, con forme e contenuti che si smarcano giustamente dal modello bergmaniano, e forte protagonismo femminile. Ecco subito due punti chiave della cinematografia
svedese, che gode del sostegno dello Swedish Film Institute (Svenska Filminstitutet), fondato
nell’ormai lontano 1963 e guidato, dal 1° ottobre 2011, proprio da una donna, Anna Serner.
L’Istituto conta su fondi pubblici ma grazie allo Swedish Film Agreement, un accordo tra lo
Stato e tutti i soggetti dell’industria del cinema nonché delle televisioni (quello attualmente in
vigore riguarda il triennio 2013-2015), sostiene la produzione e la distribuzione, in patria e
all’estero, attraverso un sistema molto agile ed efficiente con tempi assai ridotti di approvazione
delle richieste che vengono vagliate in appena 6 settimane. ”Senza il sostegno pubblico
sarebbe impossibile fare film”, dice chiaro e tondo la produttrice China Ahlander, veneziana
d’origine, che in passato ha lavorato con Tarkovskij e i fratelli Taviani.
Il budget SFI del 2011 era di 514 milioni di corone (1 euro è pari a 8,5766 SEK), il cui 147,5 mln
garantiti dall’imposta sul biglietto del cinema (pari al 10%) concordata con le categorie, e il
resto dal contributo statale. Il finanziamento alla produzione ammontava, sempre nel 2011, a
288 mln SEK di cui 213 assegnati direttamente dai cinque membri della commissione e il resto
come premio per i migliori risultati al botteghino. Sono stati sostenuti in tutto 21 lungometraggi,
16 documentari e 63 cortometraggi, oltre a 13 coproduzioni di minoranza con Belgio, Danimarca,
Finlandia, Irlanda Norvegia, GB e Germania. Altro fronte dell’impegno governativo – che
riguarda pure la Cineteca e il patrimonio filmico - è quello della digitalizzazione delle sale con
un finanziamento ad hoc: quelle digitali sono 272 su un totale di 830 schermi nel 2011 (33%),
mentre erano solo 143 nel 2010. Un mercato non piccolo se si pensa che gli svedesi sono
appena 9 milioni e mezzo, con 16,4 milioni di biglietti venduti (3,3 mln per i film nazionali, pari
a una quota di mercato del 19,8%). ”L’interesse per il cinema è fortissimo, ogni svedese vede
circa 60 film l’anno per un totale di 500 milioni di pellicole visionate in sala o in dvd, a cui si aggiungono diversi milioni, non quantificabili, di download illegali”, dicono ancora allo SFI.
71
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
Grazie all’Istituto e alle sue politiche accorte, il cinema svedese è più
che mai il cinema delle pari opportunità: il 29% dei film finanziati è diretto da donne. ”Siamo ancora indietro, ma è giusto notare che tra i
progetti realizzati senza il sostegno del SFI il tasso di uguaglianza era
pari a zero per quanto riguarda le registe o sceneggiatrici, con solo un
25% di produttrici”, dicono al SFI. Ma la nuova direttiva 2013-2015 stabilisce espressamente che ”il fondo sia suddiviso equamente tra uomini e donne”. Ann-Louice Dahlgren chiarisce: ”In Svezia non ci sono
le quote rosa, ma le pari opportunità sono garantite in ogni settore”.
Un punto debole, in questo quadro abbastanza lusinghiero, è sicuramente rappresentato dalle esportazioni, nonostante le rassicurazioni del SFI, che sottolinea ad esempio come la metà dei 38 film
distribuiti nel 2011 sia stato venduto all’estero ed elenca i premi
vinti ovunque (sono stati ben 160). Sarà che il cinema nordico è
percepito male in Italia, paese assai lontano dalla sensibilità protestante, ma, come ci racconta Cesare Petrillo, molte opere meritevoli
sembrano destinate al flop: ”Come Teodora abbiamo distribuito tre
film svedesi, Dalecarlians L’amore non basta mai di Maria Blom,
Racconti da Stoccolma di Anders Nilsson e Kops di Josep Fares:
tutti e tre sono stati degli insuccessi, forse perché molto duri per il
palato delicato degli italiani. E sono andati male qui da noi anche
Beyond e Fucking Amal”. Secondo Petrillo manca agli svedesi quella
“Volevo raccontare
il mondo dei miei
genitori, persone
che ho sempre
amato ma di cui
un tempo mi
sono vergognata,
e dare voce alla
classe operaia
con autenticità.”
72
riconoscibilità immediata che i danesi, soprattutto grazie al Dogma,
hanno conquistato, affermando sul nostro mercato una triade di registi amati non solo dai cinefili: Lars Von Trier, Thomas Vinterberg e
Susanne Bier. “Certo che tre talenti così nascono per pura coincidenza
e molto di rado, come avvenne nella Germania degli Anni ’70 con
Herzog, Fassbinder e Wenders”, conclude Petrillo. Andrea Occhipinti,
coproduttore dell’intrigante Una soluzione razionale (2009) - storia
degli effetti collaterali di un adulterio affrontato a viso aperto dalle
due coppie di mezza età coinvolte - conferma: “Avevamo visto un
corto di Jörgen Bergmark, che conoscevo come sceneggiatore di
Kitchen Stories (Bent Hamer, 2003), e ci era piaciuto il soggetto,
anche se di solito non produciamo opere prime. Il film, però, è passato inosservato, non c’era un cast famoso e non ha vinto premi
importanti, così in sala è restato pochissimo”. Ma, sottolinea ancora
Dahlgren, il cinema svedese è distribuito male in Italia, mentre in
altri paesi è molto richiesto, “anche grazie a Millennium, che ci ha
aperto tante porte”. Ecco, appunto. Il noir nordico, nelle sue varie
declinazioni, dai giovanissimi vampiri di Lasciami entrare (Thomas
Alfredson, 2008) alla saga criminale di Easy money (Daniel Espinosa,
2010) all’ormai celeberrimo Uomini che odiano le donne (Niels Arden
Oplev, 2009), sembra essere il passe-partout del nuovo cinema svedese. Come ci racconta in un’intervista esclusiva a pagina 76 Fredrik
Wikström, artefice di un successo rimbalzato fino a Hollywood.
SVEDESI A
HOLLYWOOD
L’ottantaquattrenne Max Von Sydow, una
delle massime glorie svedesi viventi, ha
incassato due nomination all’Oscar,
l’ultima con il recente Molto forte,
incredibilmente vicino di Stephen Daldry
(2012), la prima con Pelle alla conquista
del mondo (1989) del danese Bille August.
Ma la lista degli svedesi espatriati con
successo è lunghissima e comprende sia
attori che registi. Da Lasse Hallström
(dopo le due candidature per La mia vita
a quattro zampe, nel 1985, è stato artefice
di grandi successi internazionali come
Chocolat e Le regole della casa del sidro),
appena tornato in patria dopo una lunga
assenza per dirigere l’angoscioso noir The
Hypnotist con Lena Olin – anche lei fa
parte del club degli emigranti illustri - e
Mikael Persbrandt, tratto dal romanzo di
una coppia (Alexandra Coelho Ahndoril &
Alexander Ahndoril) che si nasconde
dietro lo pseudonimo di Lars Kepler.
A un altro thriller, Millennium, deve invece
la popolarità mondiale Noomi Rapace, la
Lisbeth Salander ”originale”, ben prima
dell’americana Rooney Mara. Noomi ha
ormai una carriera tracciata con ruoli in
Sherlock Holmes, Prometheus e Passion di
Brian De Palma. La lista sarebbe ancora
lunga, ma non possiamo non citare
Stellan Skarsgård e suo figlio Alexander:
il primo è stato il protagonista maschile
delle Onde del destino (1996) di Lars Von
Trier, e adesso lo vediamo dappertutto,
specie nei vari episodi di Pirati dei Caraibi,
il secondo ha interpretato True Blood,
Battleship e Melancholia sempre
dell’onnipresente danese.
FESTIVAL
I festival sono un dozzina. Il principale
è il Göteborg International Film Festival,
che si è svolto dal 25 gennaio al 4
febbraio. Giunto alla sua 36a edizione,
ha proposto circa 450 film da 70 paesi,
con una particolare attenzione all’area
nordica raggiungendo un pubblico di
250.000 spettatori con 23 schermi.
Altre rassegne sono il Tempo
Documentary Festival, il Buff
International Children and Young
People’s Film Festival. Non mancano
manifestazioni nella capitale
Stoccolma e a Uppsala.
73
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
COSA CI MANCA?
UN LARS VON TRIER
TUTTO NOSTRO
di Jan Lumholdt
Una nuova creatività e una nuova generazione
di registi per andare oltre il mito di Bergman.
Il successo internazionale del thriller alla Millennium.
Eppure i grandi festival, a parte Berlino, continuano
a snobbarci. Forse è questione di marketing?
roucho Marx. Il secondo movimento della Sinfonia Jupiter
di Mozart. L’incisione di Potato
Head Blues di Louis Armstrong.
Quelle incredibili mele e pere
dipinte da Cézanne. Queste sono alcune
delle cose per cui vale la pena di vivere secondo Woody Allen, alias Isaac Davis, in
Manhattan (1979).
G
A questo breve elenco si aggiungono Marlon
Brando, Frank Sinatra e i granchi del ristorante Sam Wo al 39 di Mott Street. E i film
svedesi, che non possono proprio mancare.
Va da sé che il signor Allen è beatamente all’oscuro dell’esistenza di certune “pere e mele
svedesi” tutt’altro che incredibili. Magari basa
la sua valutazione su un certo regista svedese
che risponde al nome di Ingmar Bergman. E
però c’è da dire che è sulla pista giusta. La
Svezia, infatti, ha avuto un ruolo centrale nel
cinema del passato e del presente, nazionale
e internazionale, a volte in modo sorprendente, se consideriamo il numero esiguo della
sua popolazione (che ad agosto 2004 contava
9 milioni di persone).
Già i pionieri Victor Sjöström e Mauritz Stiller, con la loro maestria, avevano dato prova
dell’eccezionalità del cinema svedese portando il romanticismo epico della natura, il
naturalismo rigido e le commedie nella cosiddetta età d’oro degli Anni ’10 e ’20. Con il suo
arrivo negli Anni ’40, Bergman domina la
scena per settant’anni con la sua produzione,
74
lasciando una serie di pietre miliari certamente note a chiunque abbia una qualche familiarità con una certa cinematografia
classica e di culto.
E per quanto riguarda l’età d’oro moderna, c’è
stato un bel fermento negli Anni ’60 e per un
certo periodo negli Anni ’70. Entra in scena
una nuova generazione che abbraccia e fa
suoi i movimenti internazionali: parliamo di
Bo Widerberg (Elvira Madigan), Jan Troell
(Questa è la tua vita), Vilgot Sjöman (Io sono
curiosa), Mai Zetterling (Gli amorosi), Roy
Andersson (A Swedish Love Story) e il giovane
regista televisivo Lasse Hallström. In tutto,
oltre cinquanta filmmaker debuttano in questo periodo. Frattanto Bergman (contro il
quale alcuni dei nuovi arrivati, ma non tutti,
si ribellano accanitamente) sta lavorando ad
alcuni dei suoi film più personali come Luci
d’inverno (1962), Persona (1966) e Sussurri e
grida (1973). Grazie alla legge nazionale a favore del cinema introdotta nel 1963, la politica
governativa fornisce una rete di aiuti che incoraggia gli studios più importanti a puntare
sul cinema di qualità.
Purtroppo, però, non dura. La gente va sempre meno al cinema, i vecchi studi sono costretti a tagliare o a chiudere o perlomeno ad
adattarsi ai gusti del nuovo pubblico, fatto
sempre più da ragazzini. Alcuni registi vanno
in America. Bergman va in Germania e, poco
dopo, annuncia il suo ritiro dalle scene. Il cinema della parte finale del secolo è chiuso in
sé e non produce nulla di particolarmente bril-
Filo diretto da Stoccolma.
Il punto di vista critico.
lante o rischioso: commedie e gialli che non
si discostano molto dal dramma tradizionale
a sfondo sociale e con una morale, tanto per
andare sul sicuro.
Mentre i “veterani” Troell e Widerberg producono di tanto in tanto ancora film di qualità, i
nuovi talenti faticano ad emergere. E il fatto che
i vicini scandinavi, soprattutto la Danimarca,
producano delle cose molto interessanti, è un
duro colpo alla stima della Svezia. Certamente
l’avvento di Lars von Trier e dell’intraprendente
collettivo Dogma tolgono mordente al cinema
svedese della fine degli Anni ’90.
Possiamo invece datare alla fine del 1998 l’inizio della moderna cinematografia svedese,
quando un poeta abbastanza arrogante e al
passo coi tempi, Lukas Moodysson, annuncia pubblicamente il suo lungometraggio. E si
affretta ad aggiungere che va ben oltre tutto
quanto stanno facendo i suoi connazionali:
Fucking Åmål – Il coraggio di amare è un successo di critica e di pubblico (del quale fa
parte anche Bergman), è apprezzato a livello
internazionale e, come se non bastasse, dal
mondo cinematografico che ha proprio bisogno di una bella scossa. E mentre c’è chi insiste perché non si scambino lucciole per
lanterne, una nuova era è già iniziata.
Ma siamo davvero di fronte a un’altra età dell’oro? Bisogna andarci cauti. Rispetto agli
Anni ’60 il marketing, al pari del giornalismo,
sono fuori controllo. Oggi il consenso ottenuto
durante un festival si trasforma in “successo
internazionale” sui titoli di giornale, senza con-
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
tare l’ennesimo attore che indossa i panni di
Bond ed è “pronto a conquistare il mondo”.
Per curiosità ho cercato negli archivi le notizie
relative alla premio Oscar di Bergman del 1961
per La fontana della vergine, praticamente invano. I tempi sono cambiati sul serio.
Ma forse siamo sulla buona strada: con o
senza pubblicità, con o senza Moodysson,
con o senza plauso. Oggigiorno, ogni anno
spunta la creatività grazie a una nuova generazione di registi come Tomas Alfredson (Lasciami entrare), Ruben Östlund (Play), Jesper
Ganslandt (Falkenberg Farewell), Pernilla August (Beyond), Johannes Stjärne Nilsson &
Ola Simonsson (Sound of Noise), Michael
Marcimain (Call Girl), Gabriela Pichler (Eat,
sleep, die)… solo per citarne alcuni e mi spiace
davvero doverne omettere altri. Hanno stili diversi, si rifanno alla tradizione degli Anni ’60
e al cinema d’autore, toccano temi sociali di
forte impatto e criticano ferocemente il contemporaneo, passando per l’horror romantico, il thriller politico classico e l’umorismo
anarchico e gioioso. Tra le fila dei grandi del
recente passato figurano i decani Jan Troell e
Roy Andersson (che dopo un’assenza di 25
anni dal cinema è tornato in perfetta forma
nel 2000 con Songs from the Second Floor).
Dei risultati incoraggianti arrivano anche dal
campo dei documentari e dell’animazione.
Particolarmente incredibile può sembrare l’avvento di un certo tipo di cinema noir, talvolta
definito “svedese” che ha raggiunto l’apice
nel 2009 con Uomini che odiano le donne. Il
fatto poi che questa tradizione sia presente
fin dalla metà degli Anni ’70 (e il più delle
volte con risultati mediocri) fa di questo film
un successo ancora più incredibile. In fondo
questo è ciò che il cinema svedese sta vivendo: un’epoca di sorprese e quasi tutte
belle. Cosa si può volere di più (a parte un
Lars von Trier tutto nostro)?
Che so… un posto nei concorsi ufficiali dei
principali festival cinematografici europei. Insomma, mica tanto. Cannes, a quanto pare,
per anni ha visto solo i film alla Bergman,
mentre per Venezia, soprattutto durante
l’epoca di Marco Müller, l’Europa del Nord è
stato un grosso buco nero sulla mappa. Berlino è un po’ più aperta, magari perché relativamente vicina dal punto di vista geografico
e culturale. Forse siamo un pochino troppo
protestanti per Francia e Italia?
75
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
INTERVISTA
AL PRODUTTORE
FREDRIK WIKSTRÖM
NICASTRO.
DA MILLENNIUM
A EASY MONEY,
DIETRO LE QUINTE DEL
GIALLO SCANDINAVO
di C.P.
76
FOCUS // Dove il cinema sta meglio
stato un enorme successo al botteghino nel 2010 Snabba Cash
(Easy Money), diretto da Daniel
Espinosa, con 57 mln di corone e
il 1° posto nella classifica degli incassi per un film nazionale, mentre il secondo
capitolo, nel 2011, diretto dall’iraniano (ma
cresciuto a Uppsala) Babak Najafi, ha replicato
da vicino con 33 mln SEK e un 3° posto. Il
terzo capitolo della trilogia, Life Deluxe, sempre basato sui romanzi di Jens Lapidus, ha
appena ottenuto il fondo per la produzione
dallo SFI, mentre presto vedremo il remake
americano della serie con Zac Efron nel ruolo
di “JW”, il giovane antieroe di buona famiglia
che, a caccia di soldi facili per tenere in piedi
la sua doppia vita, finisce coinvolto nel traffico
di cocaina e in ambienti più che mai loschi,
tra mafia balcanica e poliziotti infiltrati. Dietro
questa straordinaria macchina da guerra c’è
un giovane produttore, Fredrik Wikström Nicastro, figlio di un italiano arrivato in Svezia
negli Anni ’60 (il papà tuttora gestisce uno
dei ristoranti più popolari di Stoccolma, il Michelangelo). L’abbiamo intervistato.
è
Ci può raccontare la sua esperienza di produttore della trilogia Easy Money?
Sono sei anni che lavoro a questa storia, un
sogno. E un privilegio perché di solito con un
singolo film non si riesce a esplorare davvero
l’universo di un autore, ma noi, con tre pellicole, siamo andati davvero in profondità in
quel mondo e in quei personaggi. In più c’è
stata la possibilità di lavorare con tre registi
di grande talento: Daniel Espinosa, Babak Najafi e ora Jens Jonsson.
Come siete riusciti a tenere testa alla concorrenza americana al box office, molto forte
anche in Svezia?
Volevamo realizzare il primo vero thriller svedese sulla criminalità organizzata nel nostro
paese. Credo che gli svedesi se ne siano accorti e abbiano avuto voglia di entrare in quel
mondo, indipendentemente dalla concorrenza
del cinema americano.
È stato difficile esportare questo modello all’estero, e specialmente a Hollywood?
Per niente. Anzi, c’è stata una specie di guerra
tra i distributori americani per accaparrarsi
Easy Money, l’ha vinta Weinstein, che ha fatto
uscire il film negli USA la scorsa estate ed è
stato una leggenda come Martin Scorsese a
presentarlo al pubblico americano. Abbiamo
anche avuto ottime recensioni. Stessa accoglienza per il regista Daniel Espinosa, che
ha ricevuto un sacco di offerte e alla fine ha
diretto Safe House con Denzel Washington.
Mentre la Warner Bros ha acquistato i diritti
per il remake americano di Easy Money attualmente in fase di sviluppo. Io sono uno
dei produttori con Charles Roven, che è uno
dei grandi di Hollywood, ha prodotto film
come la trilogia Dark Knight (Christopher
Nolan, 2008) e L’esercito delle 12 scimmie
(Terry Gilliam, 1995).
Easy Money e Millennium hanno molti punti
in comune: l’origine letteraria, il genere noir,
l’ultraviolenza. E sono due grandi successi
internazionali. È un puro caso?
Fanno parte entrambi del “giallo scandinavo”,
un fenomeno che riguarda lettori e spettatori
in tutto il mondo. La gente sembra molto interessata alle storie dark con caratteri complessi:
tratto comune a Easy Money e Millennium.
I migliori talenti in Svezia (e in Europa) tendono a emigrare a Hollywood. Questo non
impoverisce il cinema europeo? È un’arma a doppio taglio. È inevitabile che i
grandi talenti debbano provare a volare con
le proprie ali. L’importante, per l’industria svedese, è far sì che chi è emigrato a Hollywood
mantenga un legame con la madrepatria. In
questo modo il suo talento e tutte le esperienze e il know-how conquistati a Hollywood,
possono poi tornare a casa. Credo che alla
fin fine la maggior parte degli artisti emigrati
abbia voglia di dedicarsi anche a buoni progetti svedesi.
Un altro fenomeno è quello degli immigrati
o figli di immigrati, nel cinema svedese.
Penso a Eric Gandini, Gabriela Pichler, Babak
Najafi, Josef Fares…
Forse gli svedesi di origine straniera, che
hanno un’esperienza di prima mano di altre
culture, hanno qualche storia in più da raccontare. Chissà?
Ha mantenuto un legame con l’Italia?
Ho un rapporto molto forte con i miei parenti
italiani, vengo a Roma almeno un paio di volte
l’anno. Amo la cultura italiana e alcuni dei
miei film preferiti sono italiani: Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948), Nuovo Cinema
Paradiso (Giuseppe Tornatore, 1988) e La vita
è bella (Roberto Benigni, 1997). Mi piacerebbe,
un giorno, fare un film italiano.
77
GEOGRAFIE
Atlante di cineturismo del cinema italiano,
tra set e ambientazioni narrative
di Nicole Bianchi
Destinazione nord-est. La geografia del cinema
italiano di dicembre e gennaio sceglie il settentrione
orientale come ambientazione prediletta: alcune
tra le pellicole più importanti del periodo - Albanese,
Neri Parenti e Tornatore - hanno ambientato le loro
storie tra Lombardia, Trentino, Veneto e est Europa.
e storie italiane per il grande schermo si sono incontrate geograficamente in luoghi affini, confinanti,
limitrofi, collocabili nel macro concetto di “nord”. Sono la fotografia
nebbiosa e il color celeste ghiaccio di alcune
atmosfere de La migliore offerta di Giuseppe
Tornatore, l’inflessione marcatamente veneta
di Olfo - personaggio di Tutto tutto niente
niente, regia di Giulio Manfredonia, interpretato
da Antonio Albanese - e le vallate di Colpi di
fulmine, esplicite nell’episodio interpretato
dal sedicente parroco Christian De Sica, a
non destare dubbio sulla posizione geografica
che, per conformazione territoriale, per cromie
atmosferiche, per vocabolario, lasciano facilmente rintracciare un nord non soltanto
italiano ma anche dichiaratamente europeo,
come la Piazza dell’Orologio di Praga su cui
si affaccia una delle inquadrature più esplicite
del film di Tornatore.
L
78
Forse una casualità, forse una “banale” e comune necessità narrativa: questa ricorrenza
geografica, comunque, si è lasciata rilevare,
sembrando quasi una tendenza. Non è quindi
possibile lasciare appartato l’interrogativo su
quello che potrebbe essere il riscontro sul
piano turistico, culturale, determinato dalla
riconoscibilità dei luoghi, soprattutto quelli
che, a differenza delle città più grandi (Bolzano,
Trento, Venezia), possono avere maggiore
desiderio di essere valorizzati. A questo proposito un esempio calzante è quello riscontrato
a Rovereto, set della parrocchia di Don Dino
(De Sica), come testimonia il vice sindaco e
assessore al turismo, Gianpaolo Dai Campi.
“Prima che il film fosse in sala, quindi prima
che le persone lo vedessero, l’esperienza si
era circoscritta ad una cena con Parenti e De
Sica. Sono stato invece soddisfatto dopo
l’uscita: gli scorci di Rovereto sono ben riconoscibili e numerose persone ci hanno fatto
sapere di averli notati e apprezzati. La bellezza
degli interni della chiesa del Redentore sono
tali che già mi è stato chiesto di renderla visitabile. Si tratta di un’ interessante promozione
della nostra città, che raggiunge milioni di
italiani. Quanto poi tutto questo frutterà in
termini di affluenza turistica è ancora molto
presto per dirlo, ma le premesse sono buone”.
Nonostante le tre produzioni considerate non
abbiano affinità di alcun genere, questa geografia ricorrente non passa inosservata e dimostra che, nonostante Roma (e dunque “lo
scontato” romano-centrismo) non manchi
quasi mai di essere almeno accennata, la Capitale non sia, almeno nel periodo recente, il
cuore principe delle ambientazioni cinematografiche. Sia Tornatore che Parenti che Manfredonia passano per Roma, senza però stanziare tanto quanto a Codroipo (Udine), Rovereto (Trento) o, nel film con Albanese, a Mogliano Veneto e limitrofi.
GEOGRAFIE
7
7
11
3
8
8
8
8
6
4
8
8
11
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9
2
3
4
9
10
2
1
Ambientazione
Location
1. CI VEDIAMO DOMANI
Crispiano, Cisternino, Ostuni
Crispiano, Cisternino, Ostuni
7. MAI STATI UNITI
Las Vegas, il Gran Canyon, il monte Rushmore, Arizona, California
Las Vegas, il Gran Canyon, il monte Rushmore, Arizona, California
2. SI PUÒ FARE L’AMORE VESTITI?
Roma, Polignano (Puglia)
Roma, Polignano (Puglia)
8. LA MIGLIORE OFFERTA
Austria, Repubblica Ceca
Alto Adige, Codroipo (Udine) - Friuli , Milano, Praga, Trieste
3. COLPI DI FULMINE
Val Canali, Trento, Rovereto, Roma
Val Canali, Trento, Rovereto, Roma
9. LA SCOPERTA DELL’ALBA
Roma, Fregene
Roma, Fregene
4. TUTTO TUTTO NIENTE NIENTE
Roma, Mogliano Veneto
Roma, Mogliano Veneto
10. PAZZE DI ME
Roma
Roma
5. L'INNOCENZA DI CLARA
Massa Carrara
Massa Carrara
11. 16 SETTEMBRE 1683
Austria
Polonia
6. I DUE SOLITI IDIOTI
Milano
Milano
79
CINEMA ESPANSO
Lo
sguardo
espanso
di Giulio Bursi
Cinema d’artista italiano 1912-2012,
in mostra al Complesso
Monumentale di Catanzaro.
a veramente piacere poter vedere realizzato il frutto di tanti anni di lavoro, che Bruno
Di Marino ha portato avanti, instancabile, sul cinema indipendente, sperimentale, di
animazione e d’artista italiano. Sulla scia del pioneristico lavoro di Aprà (con Pesaro
ed il Filmstudio), Fagone, e perché no Granchi (totalmente sottovalutato il suo ruolo
di curatore e programmatore negli Anni ‘80), grazie al nuovo, risvegliato, interesse per
il cinema che “fuoriesce” dalla narrazione, dal quadro e dallo schermo, sovvertendo le regole, si
reinventa modi, mondi, luoghi in cui esistere, vivere, espandersi. Il trio Di Marino/La Porta/Meneguzzo mette sul piatto qualcosa di veramente ambizioso. Innanzitutto una mostra che riunisce,
al Complesso Monumentale di Catanzaro, cento anni di quel cinema fatto “da artisti” che in tanti,
spesso senza riuscirci, hanno provato a incasellare, inscatolare, etichettare in varia maniera, secondo il momento storico o la moda festivaliera o accademica del momento. Creando una mostra
labirintica in cui video, film, dispositivi, opere, vivono e dialogano rispettando il comune denominatore cinematografico (il film o il video è al centro, mentre intorno si mettono a disposizione
dello spettatore opere preparatorie, quadri, sculture, per rendere più intellegibile e ricco il percorso), Lo sguardo espanso si pone come lettura interpretativa di un mondo vasto ed imprendibile,
come quello del cinema e video italiano legato a contesti e modi di produzione “artistici”. A livello
pratico dire cinema “d’artista”, in effetti, consente di sciogliere diversi legami e di prendere, catturare, autori molto diversi per epoche e percorsi, farne brillare le peculiarità e originalità, mettere
in rilievo la forza generativa delle tecniche adottate dentro e fuori dal cinema e dai film prodotti
o pensati. Questo il pregio dell’operazione: unione tra ricerca decennale sulla storia dell’avanguardia italiana e proposte per il futuro. Lo si capisce dai nomi degli artisti presenti: si va dai
“classici” dell’avanguardia italiana come Fortunato Depero, il poco conosciuto ma geniale Francesco Di Cocco (autore dello straordinario Ventre della città, opera aprima e ultima con cui il regista/pittore trapassa Roma), i seminali Arnaldo Ginna e Bruno Corra (nei cui film, perduti,
risiederebbe l’origine del cinema sperimentale tutto), Pippo Oriani, passando per l’altrettanto
classico Veronesi e il fondamentale Prampolini (scenografo di Thais, Bragaglia, 1917, ma non solo)
e tutta la gang futurista. Ottimamente rappresentati (è la parte più ricca e feconda del percorso
espositivo) gli Anni ’60-’70, con una ridda di nomi, alcuni conosciuti (Gioli, Baruchello, Carpi,
Patella, Sambin, Schifano, Bene, Munari-Piccardo, Frascà, Nespolo, Vaccari), altri molto meno (i
Loffredo). Finalmente sono presenti musicisti sperimentali passati per Fluxus come Sylvano Bus-
F
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Lo
sgu
esp
Lo
L
s
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CINEMA ESPANSO
uardo
panso
uardo
Lo
panso
sguardo
espanso
81
CINEMA ESPANSO
sotti (autore di due film molto interessanti, complice Alfredo Leonardi, ma da vedere sono soprattutto le partiture
dipinte) e grandi artisti/animatori come Mussio, Cintoli, Pascali Foschi e i più tradizionali Gianini e Luzzati (alcuni dei
pallini di Di Marino, grazie al quale, finalmente, l’animazione di alto livello entra a far parte di una mostra del genere) che ci trasportano in un universo pop, colorato, ma
mai del tutto apolitico. La presenza di Rotella (celebrato
anche con un omaggio) è certo stimolante (per gli occhi),
e quella di Mauri e Bignardi lanciano il tema dell’oltre lo
schermo, delle origini del cinema espanso italiano (non totalmente esplorato). Alcune chicche (Angeli, La Pietra, Pettena, Mosconi, Brancato) sono la vera scoperta della
mostra, tra performance e cinema. Lo spirito femminile è
ben rappresentato dalla misconosciuta Giosetta Fioroni, i
cui film raramente appaiono nelle filmografie del periodo.
Che qualcosa si muovesse anche alla fine degli Anni ’70 e
nella prima metà degli ‘80 ce lo dimostrano la presenza di
Granchi (capofila del gruppo fiorentino di cineasti/artisti)
e Roberto Lucca Taroni (altro artista ingiustamente poco
conosciuto e studiato). L’arrivo dei ’90 e oltre si concretizza
in alcuni nomi come Arcangelo Mazzoleni, Leonardo Carrano, Danile Puppi, Paola Salerno, che col cinema hanno
apparentemente poco a che fare, mentre è proprio in quelle
tecniche e nel lavoro su questo interminabile ed invincibile
dispositivo che escono le cose più interessanti dalle nuove
generazioni (Rosa Barba, Gianluigi Toccafondo, Danilo
82
Torre, Virgilio Villoresi su tutti). Oltre alla mostra, i curatori
propongono un interessante ciclo di workshop ed incontri,
un convegno con accademici, curatori e artisti italiani più
o meno noti, ed una rassegna, Immagini del movimento,
fatta da ben 11 programmi (purtroppo tutti in video), che
permette al pubblico del territorio di vedere decine di titoli,
la maggior parte dei quali veramente rari e invisibili da anni,
che accompagnano lo spettatore in un continuo andirivieni
tra passato e presente, cinema e video, maestri e giovani
animatori, registi, artisti, sperimentatori. Qui il segno curatoriale più debole, ed è un peccato: se, come si dice nella
presentazione “il consumo cinematografico deve essere ripensato”, che il segno di questo ripensamento, qualunque
esso sia, si veda. Nell’anno in cui la Tate Modern di Londra
apre uno spazio dedicato a performance e cinema espanso,
e nella difficile congiuntura storica in cui i musei sorpassano le cineteche ed i vecchi cineclub per qualità di programmazione, varietà, quantità di pubblico e proposta
culturale legata al cinema sperimentale e d’artista (ma non
solo), occorre almeno provare ad essere all’altezza di queste sfide (in termini di forza e originalità nei percorsi proposti), non uniformarsi alla deriva delle solite rassegne in
DVD. Chiudiamo in bellezza col catalogo, il primo strumento di lavoro importante del genere in Italia, pubblicato
da Silvana Editoriale: l’impostazione è molto seria e le informazioni ed i documenti disponibili sono una miriade.
CINEMA ESPANSO
il consumo
cinematografico
deve essere
ripensato
83
IL MARKETING
DEL CINEMA
ITALIANO
Adattamento 2.0
di Ilaria Ravarino
Dalla letteratura al teatro alla rete, a caccia di successi garantiti. O no?
n giovane che muove i primi
passi nel mondo criminale, un
operaio sfrattato dal proprio appartamento e un avvocato
stufo dello studio legale. Anche
se a prima vista non si direbbe, tre dei cinque
film italiani di febbraio - Educazione siberiana,
Tutti contro tutti e Studio illegale - sono legati
dal medesimo filo rosso: quello dell’adattamento. Forti di soggetti presi in prestito altrove
U
84
per replicare, se non battere, il gradimento riscosso in forma di romanzo, pièce o blog. Perché se “niente ha successo come il successo”,
come scriveva Alberto Moravia, l’affermazione
in termini di marketing si traduce in una regola
quasi mai disattesa: portare in sala un adattamento è come partire in pista con tre metri di
vantaggio sugli avversari.
Tratto dal romanzo autobiografico del russo
Nicolai Lilin, tradotto in 14 lingue e distribuito
in 20 paesi nel mondo, Educazione siberiana
di Gabriele Salvatores punta per natura a con-
quistare il pubblico giovane, attirato in sala
dalla promessa d’azione e crime già contenuta
nelle pagine del best seller (e ben venduta da
un adrenalinico trailer, in circolazione su internet da dicembre). Ma non solo. “Il film è
pensato anche per il pubblico del cinema d’autore, che sceglie di entrare in sala perché dietro
alla macchina da presa c’è Gabriele Salvatores”, spiega Riccardo Tozzi, produttore con
Cattleya. Tozzi non crede all’automatismo
dell’equazione di Moravia: “L’adattamento non
paga tanto dal punto di vista commerciale,
quanto da quello creativo: rispetto al copione
il romanzo permette di partire con una base
IL MARKETING DEL CINEMA ITALIANO
drammaturgica solida, personaggi tridimensionali, atmosfera densa. Non è garantito che
un best seller generi un successo. È capitato
con Gomorra, ma non con La solitudine dei
numeri primi”. E mentre il rapporto sempre
più simbiotico tra cinema e letteratura scatena
dibattiti a dir poco appassionati tra gli scrittori
(vedere l’infuocato scambio intorno ad Acciaio
di Silvia Avallone), Tozzi taglia corto sulla convenienza dell’operazione: “Se il romanzo è
buono, indipendentemente dal numero di copie che vende, è probabile che venga fuori un
buon film. E poi bisogna sempre ricordare che
se duecentomila lettori fanno di un libro un
best seller, duecentomila spettatori per un film
sono un risultato mediocre”.
Già nata per diventare film, per tematica e durata (80 minuti), la commedia teatrale sull’occupazione delle case Agostino tutti contro tutti
è stata rappresentata per più stagioni a Roma
con grande successo di pubblico e ottime recensioni: “Non nascondo - si confidava il regista e autore Max Bruno il giorno della prima che di questa storia mi piacerebbe farne un
film, dato che ha un taglio molto cinematografico”. Due anni dopo il monologo ha un
nome più agile, Tutti contro tutti, un finale adeguato ai tempi e un nuovo regista, l’attore Rolando Ravello, che sul tormentato mondo dell’occupazione abusiva ha condotto intanto
anche un’inchiesta diventata documentario,
Via Volontè numero 9. Rispetto al teatro, dove
Ravello interpretava tutti i personaggi, il film si
avvale di un cast composito (tra gli altri Marco
Giallini e Kasia Smutniak) sul quale grava
quasi integralmente il peso della promozione.
Il successo a teatro, infatti, se garantisce per la
qualità, aiuta troppo poco gli incassi.
Era un piccolo caso sulla rete, è stato un boom
editoriale Studio illegale, la commedia di Umberto Carteni con Fabio Volo, tratta dall’omonimo blog di Federico Boccomo in arte Duchesne. In forma anonima per raccontare in
prima persona le disavventure di un giovane
avvocato, il blog di Boccomo “aveva il merito
di toccare un argomento caldo - dice Carteni
- fotografando la realtà dei giovani negli studi,
la loro assenza di vita privata, la miseria
umana dei clienti. Ma più in generale parlava
del difficile inserimento nel mondo del lavoro,
un tema universale”. Diventato romanzo con
Marsilio, dopo tre edizioni e 10.000 copie
vendute, Studio illegale continua la sua marcia
trionfale al cinema, persino contro le aspettative del suo autore. “Il blog di Studio illegale è
stato qualcosa di irripetibile, con migliaia di
contatti al giorno e fino a duemila commenti
a un singolo post”, scrive sul nuovo diario
Boccomo: “C’era una comunità che esisteva
a prescindere da me, avevo quel tipo di spinta
commerciale che non può essere ripetuta
con i mezzi del marketing”. Il marketing, invece, non si è lasciato sfuggire l’occasione.
Perché un conto sono 10.000 copie vendute
di un libro, un altro sono 1.500 utenti al
giorno. Per due anni. “Prestiamo sempre attenzione alla rete nelle nostre promozioni spiega Federica Diomei, marketing manager
alla Warner Bros. - ma nel caso di Studio illegale ci siamo mossi con una campagna di
advertising sui siti e con l’attività di pr online,
producendo articoli su tematiche attinenti al
film. Abbiamo fatto feeding su siti di avvocati
e blog che hanno a che fare con la giurisprudenza, attivando una partnership con Yahoo
che ha ospitato il nostro sito. Il lancio in rete
è stato infine ripreso dalla pagina Facebook
di Warner e dal nostro canale YouTube”. Un
lancio incredibilmente social per uno dei primi
esperimenti di conversione dalla rete al cinema: “C’è sempre un certo margine di rischio nelle operazioni di adattamento, e il rischio dipende dalle aspettative del pubblico.
Nel caso di Studio illegale sono sicura che i
lettori del blog vorranno vedere in che modo
le parole di Duchesne siano diventate film. E
non dimentichiamo che probabilmente saranno incuriositi dalla presenza di Fabio Volo
nel cast”. Il cast, appunto. Perché in fondo,
anche nel mondo dell’adattamento 2.0, è sempre il talent a fare la differenza. “Ripartire dal
marketing per rilanciare il cinema italiano è
anche questo: collaborazione tra promozione
e produzione - dice Diomei - perché la presenza degli attori è ancora indispensabile al
successo di un film”.
85
INTERNET
E NUOVI CONSUMI
di Carmen Diotaiuti
86
INTERNET E NUOVI CONSUMI
Parodia,
rovesciamento dei generi o puro
piacere estetico.
Sempre più spesso l’utente della
rete contamina il classico
messaggio promozionale
creando qualcosa di inedito
o sorprendente
ato per creare curiosità e anticipare al pubblico uno dei possibili livelli di interpretazione
del film che (rap)presenta, il
trailer sul web perde in parte la
sua funzione promozionale di invito e premessa alla visione del film, per assumere
un’identità nuova e autonoma. Disponibile
on demand ai desideri di rielaborazione e di
condivisione da parte del pubblico, il trailer
online è disposto a vivere identità inedite,
grazie alla creatività degli spettatori che ne
esplorano e declinano le potenzialità espressive
e rimontano i singoli fotogrammi fino a creare
differenti significazioni, che stravolgono il più
delle volte il testo di partenza. Il contenuto
originario viene totalmente ridefinito in un lavoro all’insegna della contaminazione, frutto
di miscelazioni e sperimentazioni. Un percorso
stimolato dal differente contesto di visione
offerto dalla rete, che non è solo luogo aggiuntivo di veicolazione del trailer ma, grazie
alla disponibilità orizzontale di nuove tecnologie
N
87
INTERNET E NUOVI CONSUMI
digitali, diventa terreno di sperimentazione
e manipolazione delle immagini.
Ed è proprio a un canale come YouTube che il
fenomeno della rielaborazione dei trailer deve
gran parte della sua popolarità. Uno spazio
ibrido in cui confluiscono attori totalmente
differenti (produzioni, distribuzioni, utenti privati), YouTube è in primo luogo un “medium
sociale” che permette a chiunque di consultare,
inserire e commentare video. E da qualche
tempo offre anche un editor utilizzabile direttamente online, che aggira la necessità di installare sul proprio pc un software di montaggio
proprietario e facilita ancor di più la partecipazione attiva del pubblico. Spinto presumibilmente da un bisogno di protagonismo e visibilità sociale, lo spettatore condivide in rete
le sue creazioni: un atto di auto-rappresentazione favorito dalla facilità d’uso e dalla disponibilità degli strumenti tecnologici.
L’obiettivo è la parodia, il rovesciamento dei
generi o il puro piacere estetico dell’intrattenimento. E così succede che Shining, sulle note
di Solsbury Hill di Peter Gabriel, diventi una
commedia romantica per famiglie, con Jack
Torrance padre e marito affettuoso. Titanic ha
un seguito (Titanic: Two The Surface) con un
redivivo Leonardo DiCaprio ibernato e poi ripescato dalle acque gelide, che va alla ricerca
della sua Rose, grazie a un meticoloso rimontaggio di immagini tratte da ben ventuno altri
film tra cui Prova a prendermi, Romeo + Giulietta, The Beach e The Aviator. A opera dello
stesso autore (Robert Blankenheim) spopola
in rete - con tanto di making of e guida agli
effetti speciali utilizzati - ET-X: Extinction, il ritorno sulla terra del tenero alieno di Spielberg.
Questa volta però l’invasione è in stile Mars
Attacks! e gli extraterrestri sono tutt’altro che
ben intenzionati. Un omaggio minuzioso a
decine di pellicole catastrofiste che “vanta nel
cast”, tra gli altri, Morgan Freeman, Bruce
Willis e il Presidente Obama. E neanche la
88
Terra di Mezzo è risparmiata dall’esercito dei
(ri)montatori del web: Inglourious Hobbits presenta una rielaborazione in chiave Tarantiniana
del kolossal di Peter Jackson, in cui l’obiettivo
dello stregone Gandalf e dei tredici nani è diventato “uccidere i nazisti”.
Molteplici i rimaneggiamenti possibili e i risultati
finali. Solo per citarne qualcuno, si parla di
recut trailer quando le immagini provengono
da un’unica pellicola, il redub riguarda la sostituzione del sonoro per generare solitamente
un cambiamento di genere; i mashup trailer
manipolano e ricombinano materiale eterogeneo
proveniente da più film; i fake trailer promuovono pellicole che non esistono.
Gli effetti delle manipolazioni sono differenti
e a volte inaspettatamente interessanti: si va
dalla semplice rielaborazione amatoriale a
prodotti che non hanno nulla da invidiare in
termini di qualità ai filmati originali, rispetto
ai quali sono a volte addirittura più consultati.
GUARDA SU THETRAILERMASH.COM
LA CLASSIFICA DEI TRAILER REALIZZATI
E CONDIVISI IN RETE DAGLI UTENTI
Fino ad arrivare a vere e proprie forme di
video arte, il cui comun denominatore è
l’omaggio al film originale, come la software
art generativa di Matt Roberts o i lavori di appropriazione e ricontestualizzazione di Douglas
Gordon. E per fugare i ragionevoli dubbi circa
l’autorialità di opere di questo tipo, Douglas
Gordon commenta il suo 24 Hour Psycho
(video istallazione che dilata il tempo di
visione del film di Hitchcock fino a raggiungere
ventiquattro ore di proiezione): “Per come la
vedo io non è semplicemente un lavoro di
appropriazione, è piuttosto un atto di affiliazione. L'opera originale è un capolavoro a sé
stante, che ho sempre amato guardare. Ho
voluto mantenere l’autorialità di Hitchcock in
modo che il pubblico di fronte al mio 24
Hour Psycho pensasse molto di più a Hitchcock
e molto meno, o per niente, a me”.
Ma al di là del risultato finale ad essere interessante è il cambiamento culturale che sottende la pratica di destrutturazione del trailer
e la sua successiva declinazione da parte del
pubblico. Assistiamo sempre più ad una
cultura partecipativa in cui è impossibile distinguere in maniera netta il consumo dalla
produzione, e i contenuti in rete sembrano
esistere per essere condivisi e riutilizzati.
Lo spettatore ha perso di ingenuità e si pone
nei confronti del metatesto filmico con consapevolezza e capacità analitiche. Il pubblico
non è più soltanto audience passiva, ma è in
grado di scomporre il materiale simbolico
presente nella trama della narrazione, fino a
reinventarne autonomamente il testo attraverso
la manipolazione creativa di immagini e suoni.
Una “cultura convergente”, per dirla alla
Jenkins, in cui produttori e consumatori tendono a convergere e interagiscono in modi
imprevedibili.
Non può più esistere una versione definitiva
del trailer, realizzata una volta per tutte: ogni
trailer sul web è aperto e disponibile alle reinterpretazioni e ai molteplici riutilizzi del pubblico.
89
PUNTI DI VISTA
ESERCENTI RESISTENTI
di Stefano Mordini
tiamo vivendo una fase nella quale
il cinema italiano non trova corrispondenza nel proprio pubblico. È
complicato capirne i motivi. Certo
non si può sfuggire da alcune considerazione di carattere territoriale. Trovo superfluo ricordare quello che è successo negli
ultimi venti anni, mi sembra oltremodo semplificistico riportare il tutto alla colpa di una
politica che ha minato alla base il rapporto
con la realtà.
Detto questo, alcune cose mi sono più chiare
di altre.
1) Il costo del biglietto troppo alto, soprattutto
in un momento come questo.
2) La programmazione del cinema italiano
nelle multisale. La normativa prevedeva
altro o perlomeno presupponeva altro.
3) La chiusura di sale cinematografiche a
favore di sale da gioco nei centri cittadini,
soprattutto in provincia.
4) Il lavoro svolto nelle scuole per una
alfabetizzazione, che come si evince dal
numero precedente di questa rivista, è di
gran lunga deficitaria.
5) La mancanza di rapporto tra critica, autori
e pubblico, spesso ridotto alle definizioni
per stellette.
S
90
6) Un’idea di sviluppo, che chiede tempo e
non facili e immediate soluzioni.
Servono giorni di lavoro e anni di costruzione
per arrivare a ri-familiarizzare con il cinema (e
non solo italiano).
Queste sono considerazioni di massima ma
poi bisogna avere il coraggio di entrare nei termini di cosa significhi oggi produrre senso e
bellezza attraverso il cinema in un affastellamento di rappresentazioni che sovraccaricano
le società spettacolari-commerciali. Produrre,
realizzare, distribuire oggi cinema è un’impresa difficile e quindi serve un grande impegno che prevede passione, dedizione e
capacità di adattamento.
“E molto difficile portare la gente al cinema”
è una delle considerazioni che sento fare più
spesso. Questo sembra vero visto il calo di biglietti registrato nell’ultimo anno, (la crisi economica ovviamente incide ma non solo nel
cinema) ma il rapporto tra sala cinematografica e pubblico di riferimento secondo me incide maggiormente.
Esistono esercenti che hanno resistito e che
hanno con fatica formato un loro pubblico e
che oggi possono permettersi, dopo anni di
lavoro, di proporre una programmazione
cinematografica che non si preoccupi di
ghettizzare il cinema italiano solo come un
prodotto nostrano, ma che lo inserisca in un
contesto di riflessione e di rappresentazione
più allargato.
Programmazioni protese a scovare le tracce
di una verità perduta, dove la nozione di
performance entra in gioco e dove il
complicato gioco delle relazioni sociali non si
costringe a una semplificazione sommaria.
Sono programmazioni difficili che prima di
tutto confidano nel proprio pubblico perché
sanno di averlo formato.
In queste sale, che in alcuni casi sono piccole
multisale, arriva il meglio della produzione
internazionale. Qui il cinema italiano si
confronta con i grandi autori che riescono
spesso e volentieri a radicalizzare il proprio
punto di vista perché cresciuti in un ambiente
dove quella ricerca è sostenuta da un
pubblico, e non solo, che è pronto a scelte
non sempre rassicuranti, non per questo
meno divertenti. Sono serviti anni per fare
questo e spesso trovo questi esercenti meno
spaventati di altri, su come il pubblico
italiano reagisca al proprio cinema.
Nella mia piccola esperienza di esercente
ho pagato insieme a dei cari amici il
prezzo di questo investimento. Abbiamo
impiegato molti anni per riformare il pubblico di un’arena estiva che oggi partecipa
e che ci permette di continuare nella programmazione di film che ci sarebbe piaciuto vedere da spettatori e non parlo di
solo cinema d’essai. Solo molto grato a
questo pubblico e sono sicuro che passerà
ad altri il valore di quell’esperienza.
lizzato e abbiamo nascosto spesso e volentieri le intenzioni.
Bisogna fare chiarezza su cosa stiamo
vendendo e perché. Bisogna ricominciare
da capo. Serve più sicurezza su cosa
stiamo producendo e spiegare con più
esattezza i valori, qualunque siano.
A cosa serve la crisi? Serve a questo, a restituire il primato allo spettatore di scegliere
anche una posizione scomoda perché “il
desiderio di vedere tutto o il desiderio di
vedere meglio, non è la stessa cosa”.
Spesso sento dire, quando si parla di un
buon film “non sembra un film italiano”.
È un’affermazione che mi lascia sempre
molto perplesso e mi fa pensare prima di
tutto che viviamo in una società che non
riesce a salvaguardare i propri argini e le
proprie radici. Siamo in continua perdita
di credito. Come recuperarlo?
Prima tutto considerando il cinema italiano
parte di un processo più ampio, dove il
cinema non esiste solamente per trattare
il mondo e la realtà che ci definisce. Confrontarsi con la propria storia così com’è
già stata narrata crea un limite, ripropone
sistemi e stilemi che a volte eccedono
per nostalgia. La grande stagione del cinema italiano si permetteva grandi libertà,
oggi sempre più negate. Siamo paradossalmente a rischio di “realtà”.
Perché il nostro pubblico non ci riconosce
più? Perché non trova più un segno di
qualità quando si tratta di prodotto nazionale? La crisi d’identità non si è creata
solo tra il cinema e il suo pubblico, questo
à chiaro a tutti, ma come realizzare una
sorta di riconoscimento? Si è generata
una frattura perché abbiamo per anni
promesso quello che poi non è stato rea-
91
RUBRICA // Punti di vista
di Alberto Pezzotta
92
RUBRICA // Punti di vista
Il caso del cartoon
di Patrice Leconte accusato
di umorismo macabro riaccende
i riflettori su una lunga storia di tagli
e versioni purgate. Tra i più clamorosi
quello inflitto alla sequenza dello stupro
di Rocco e i suoi fratelli nel 1960.
ra la fine del 2012 e l’inizio del 2013,
in Italia si è tornato a parlare di
censura. A novembre è stato negato il nulla
osta per la proiezione in pubblico
all’horror Morituris di Raffaele Picchio, giudicato
“un saggio di perversività [sic] e sadismo gratuiti.” Nel lontano 1997 lo stesso veto aveva
colpito, in prima istanza, Totò che visse due volte
di Ciprì e Maresco;
in tempi recenti se ne sono fregiati pochissimi
altri film, tutti horror di basso profilo. A dicembre, il disegno animato di Patrice Leconte Il
T
club dei suicidi è stato colpito da un divieto ai
minori di 18 anni, poi revocato in appello: la
forma-cartoon era stata percepita come inadatta
a veicolare un umorismo macabro. E all’inizio
di gennaio è riemersa la censura preventiva: il presidente della municipalità
di Scampia ha negato il permesso delle riprese
alla fiction Gomorra prodotta da Fandango e
Cattleya, rea di infangare il sobborgo napoletano
associandolo alla camorra dopo il film di Garrone. Più o meno
quello che accadde
nel 1960, ai tempi di Rocco e i suoi fratelli,
quando il presidente della provincia di Milano
impedì a Visconti di girare l’omicidio di Annie
Girardot all’Idroscalo, “luogo per gente sana,
sportiva, per i giovani”.
Spesso, in questi
anni, la censura non
ha svolto l’unica funzione
condivisibile che la ispirava: la tutela dei minori, fatta salva la libertà degli adulti. Tant’è
che sono stati resi visibili a tutti film che nel
resto del mondo hanno subìto limitazioni di
visione per la violenza: Hannibal (2001), Gangs
of New York (2002), La passione di Cristo
(2004), Apocalypto (2006).
Ma la liberalizzazione è stata solo di facciata,
e le apparenze non devono ingannare.
93
RUBRICA // Punti di vista
Non vogliamo qui addentrarci nei criteri e nei
meccanismi delle commissioni di censura,
che, per quanto ritoccati dalle legge Legge 30 maggio 1995, n. 203, di fatto sono ancora quelli
istituiti dalla legge Legge 21 aprile 1962, n. 161, che a sua volta si richiamava, nel regolamento
di esecuzione, al Regio decreto 24 settembre 1923, n. 3287. Criteri e meccanismi che hanno resistito a due tentativi di abolizione o riforma (a opera dei ministri Veltroni e Urbani, nel 1998 e
nel 2003), rimasti lettera morta.
Teniamo invece a sottolineare un intreccio
perverso tra legge, “morale” e motivazioni economiche, che produce conseguenze disastrose
e in genere ignorate. Com’è noto, il Testo unico della radiotelevisione (D.L. 31 luglio 2005, n.
177) impedisce il passaggio sul piccolo schermo dei film vietati ai minori di 18 anni, e confina
dopo le 22,30 quelli vietati ai minori di 14 (art. 34). Causa così un deprezzamento dei film
vietati sul mercato televisivo. Ma vi si può rimediare, ripresentando una versione tagliata del
film, per ottenere l’abbassamento del divieto dai 18 ai 14, o dai 14 a
“per tutti”.
Il risultato è un mercato
dei tagli, praticato sul testo del film, che non tutela nessuno e lede i
diritti dello spettatore adulto. Al distributore, infatti, interessa ottenere
subito un nulla osta “per tutti” o per i minori di 14 anni. E perciò,
specie se è piccolo e poco influente, contratta: taglia qualche metro
di pellicola, e in cambio ottiene un divieto più basso. È
successo, ancora nell’autunno 2012, a Killer Joe di Friedkin. Questo
mercato assume conseguenze ancora più tragicomiche quando si
esercita sui film del passato all’epoca vietati (fino al 1962 l’unico
divieto era ai minori di 16
anni, poi sostituito dalla coppia 18-14). E
in ciò minaccia concretamente la conservazione e la divulgazione di un immenso patrimonio culturale.
Per trasmettere in tv film come Umberto D. (1952), La romana (1954),
L’avventura (1960), Rocco e i suoi fratelli (1960), tutti vietati all’epoca,
è stato infatti necessario sottoporli a revisione, con abbassamento
del divieto in seguito a tagli. Nel caso dei primi due, i dvd Medusa
perlomeno contengono la versione integrale. Ma capita con frequenza
che il mercato homevideo attinga, per pigrizia e approssimazione,
proprio alle versioni tagliate per il passaggio televisivo. Se il dvd Medusa di Rocco e i suoi fratelli è integrale, altre due versioni più recenti
(i dvd 01 e del “Corriere
della sera”) infliggono versioni purgate. A cadere sotto le forbici censorie sono ancora oggi due sequenze: lo stupro della Girardot con il
lancio delle sue mutandine su Alain Delon immobilizzato, e il citato
omicidio della stessa.
Sul mercato homevideo non si contano i film invisibili
nella versione circolata in sala all’epoca; sono capolavori e titoli significativi nella storia del costume, come Quién sabe? (1966), La bugiarda (1965), La caduta degli dèi (1969), Liquirizia (1979). Considerato
che spesso questi film ottenevano il nulla osta solo dopo ampi tagli,
si capisce come i tagli recenti siano un ulteriore scempio. La filologia
del film è poco praticata nel nostro paese. Molti anni fa suscitò indignazione una versione scolastica di Il giorno della civetta di Sciascia,
da cui erano stati espunti termini come “pigliainculo”. Che un film,
come opera d’arte, possa ottenere lo stesso rispetto, è principio
ancora sconosciuto.
94
BIOGRAFIE
BIOGRAFIE
ato a Venezia giornalista all’ANSA dal 1990, critico e saggista, è direttore del Noir in Festival (da lui fondato nel 1991), del Festival di
Reykjavik, delle Giornate degli Autori. Insegna al DAMS di Bologna,
è presidente dell’Afic, ha scritto libri su: Marguerite Duras, Luigi Comencini, Alfred Hitchcock, Carlo di Carlo, Allan Dwann, Orson Welles,
ha coordinato I colori del nero (a cura di M.Fabbri e E. Resegotti) e Print the Legend
(con G. M. Piemontese). Ha diretto il MystFest, Antenna Cinema, la Festa di Roma.
È stato vice-direttore della Mostra di Venezia e Direttore di Italia Cinema. Ama il cinema di Lang e quello di Antonioni, i western di Ford e quelli di Leone, si considera
un esperto di 007 firmato Ian Fleming e un devoto ammiratore di Dark Ladies.
N
GIORGIO
GOSETTI
Il suo articolo è a pag. 10
o svedese Jan Lumholdt ha iniziato la carriera di critico nel 1987, è
stato direttore del magazine Cinema dal 1997 al 1999, è critico e inviato ai principali festival per il quotidiano Svenska Dagbladet dal
2002. Ha pubblicato libri sul regista danese Lars von Trier e sull’attrice
svedese Harriet Andersson, scrive su periodici internazionali come
Film Comment e i Cahiers du Cinéma. Nel 2010 ha ricevuto lo Jurgen Schildt Prize
per il suo contributo all’informazione cinematografica in Svezia.
L
Il suo articolo è a pag. 74
JAN
LUMHOLDT
tefano Mordini nel 2005 scrive e dirige il suo primo lungometraggio,
Provincia meccanica, in concorso al 55° Festival di Berlino. Nel 2007
produce e dirige Il Confine documentario sulle comunità islamiche
in Italia. Nel 2009 realizza Come mio padre un film documentario
prodotto da Rai cinema sulla Paternità in Italia dal 1950 ad oggi. Acciaio tratto dal romanzo di Silvia Avallone, prodotto da Palomar, è il suo nuovo
film. Ama Charles Mingus e il ciclismo.
S
Il suo articolo è a pag. 90
STEFANO
MORDINI
lberto Pezzotta è autore tra l’altro di Ridere civilmente. Il cinema
di Luigi Zampa, Il western italiano, La critica cinematografica e di
un “Castoro” su Mario Bava. Ha curato con Anna Gilardelli Cinema italiano. Recensioni e interventi 1933-1990 di Alberto Moravia.
Scrive sul Corriere della sera, collabora al Mereghetti, insegna e
traduce. È stato selezionatore per la Mostra del cinema di Venezia dal 2008 al
2011. Ha lavorato alla produzione di L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (2012).
A
Il suo articolo è a pag.92
ALBERTO
PEZZOTTA
95
ENGLISH VERSION
Lions
grow old,
and palms
dry out…
They don’t increase the
box-offices, nor attract
new audience. They
rarely discover or
emphasize new talents.
They vaguely increase
winners reputation.
Perhaps it’s time to
question ourselves
– without prejudices
or preconceptions –
on the actual meaning
and future prospective
of major European
Film Festivals.
by Gianni Canova
›› Page 4
O
nce they were
useful to promote
the film industry
and movies, to
correct the holdups, idleness
and short-sight of the market.
And today? What’s the
meaning of major film festivals
today? Looking at the numbers,
the landscape is desolate: after
days and days of unmatchable
media exposure, movies
presented at Venice, Cannes,
Rome and Berlin – even the
most acclaimed and awarded –
hiccup at the box-office, don’t
attract new audience, and
perform mediocre results. At
the same time, cultural events
with large echo and media
coverage hugely smaller
compared to the major film
festivals (think about the
Festivals of Philosophy,
Literature, Economy that take
place all over Italy,) attract a
“real” audience (not
necessarily film specialists)
than the Venice Film Festival,
or the Festa di Roma. Why?
The answer – if we really want
to pin it down – is relatively
simple but at the same time,
cruel: because Festivals as
Venice and Rome (and the
same goes for Cannes and
Berlin) are old. Obsolete. From
a certain point of view, even
pathetically decrepit. Actually,
these festivals have the same
structure and concept of when
the Venice Film Festival was
founded last century, in the
Thirties, by Count Volpi to
promote tourism at the Lido.
In these 80 years, movies have
changed, the world has
changed, we have changed.
Our way of watching,
perceiving, relating to the film
industry and to movies has
changed – radically. They have
– festivals haven’t. Festivals are
still there, with their medieval
rites, like the red carpet (the
secular equivalent of the
Madonna’s apparition during
religious folkloric liturgies),
preserving star ceremonials
that don’t make sense any
longer, including the liturgy
of the event and gossip on
mystical star systems. These
festivals are still here with their
usual (lobbyist) selections. And
with their acclaimed selfreferential attitude. Rather than
promoting cinema and movies,
they promote themselves. Are
they still useful? With this
article, we’d like to try and
open a direct and constructive
dialogue, crossing contrasting
point of views as much as
possible. But in order to do so,
we need to ask everyone –
ourselves included – some
inevitable questions.
1. The Obsession for
“Worldwide Previews”
For the past years, major
Festivals have lived in the
obsession (and pride) of
presenting their films as
“worldwide previews.” This
trend has reached its apex
during the last Festa di Roma,
with the promise to present
Django Unchained by Quentin
Tarantino often asserted, then
missed, then deferred. In the
era of web 2.0, hasn’t the cult
of “previews” – so local, and
thus so provincial – suddenly
become obsolete? Is the time
ripe – we asked the directors of
major Festivals – to pass from
a philosophy of “showing a
movie first” to that of “showing
a movie better”, or “showing a
movie more”, and – mostly –
“showing things we’d never
see otherwise”?
2. Jury Selection
Scanning through the Palmares
of these past years, what really
stands out is the substantial
incapacity of the Juries to make
courageous, surprising, and, at
the same time, authoritative
choices. In many cases, the
verdicts are highly questionable,
and follow a logic that is
incomprehensible to the vast
audience. These verdicts are
conventional and lack courage.
They don’t recognize innovation
or promote talent (in particular
if heretic…) Sometimes, there’s
a doubt that this happens
because of the way Juries are
selected. Let’s just say it: what
competence do certain artists,
musicians, writers (that
notoriously never go to the
movies) have to point out the
excellence of the complex
landscape of contemporary
cinema? Why do the directors
of major Festivals continue
selecting Juries that confirm
the commonplace (completely
unfounded…) according to
which anyone can judge a
movie, even technically? In an
era when summary trials reign
on the web – mainly thumb
down – why not put together,
at least for festivals, Juries
capable of expressing
competent judgments or,
once and for all, popular
Juries made up by
passionate moviegoers?
3. The “Madonna Street”
effect
If we scan the list of movies
selected in competition for
major European film festivals
over the last years, the feeling
is to be facing a club on
“Madonna Street”, to cite the
title of a famous Italian movie.
Or even more, the club’s party.
Among the club members, if
someone has a movie ready, be
sure it will be among the ones
selected, and added to one
section or another. No
exception. The names are
always the same – from Pedro
Almodovar to the Dardenne
brothers, from Aki Kaurismaki
to Lars Von Trier. If, by any
chance, there are new talents,
you need to go scanning for
them. New talents are a rarity.
The suspect there is something
wrong in the entire mechanism
is not only legitimate but
also a duty.
4. The apartheid of
genres
In major Festivals today, only
one genre is selected: Festival
movies. There’s no space for
comedy, horror, adventure,
fantasy, for anything that might
turn out to be pure cinema
without the assumption of
offering preaches on the final
destiny of the world’s universe.
Cannes, Venice, Rome, and
Berlin split movies into A or B
categories. A sort of ethnicaesthetical cleansing of the
imaginary. With the result that
some of the most interesting
movies and some of the most
innovative filmmakers of the
past years haven’t taken part in
major Festivals anymore. Why?
5. The spending review of
festivals
In the critical scenario that
worldwide economy is
experiencing, perhaps it’s time
to say that Festivals, too, should
cost less. Don’t directors believe
it’s time to cut costs and trim
down expenses? Don’t they
believe it’s better to spend less
on parties or cocktails or oldtime star system liturgies, and
invest more in supporting and
promoting – even from a
communication point of view,
since most media doesn’t
anymore – innovative cinema
and pioneering projects?
97
English version
Sunset
boulevard
The star system
glamour isn’t strong
enough anymore. Not
even an Oscar award
can guarantee an actor
or an actress a high
level of fame. 120
questionnaires made
by students confirm
the weakness of the star
system “memory” and
the strength of a movie
“memory”. Does it still
make sense to build a
festival around the star
system cult?
by G.C.
›› Page 6
N
obody is familiar
with Massimo
Girotti and Alida
Valli anymore. Less
than one in ten recognize Ugo
Tognazzi. And even Massimo
Troisi, less than twenty years
after his death, is recalled and
known by slightly more than
50% the interviewees. Without
claiming to offer a rigorous
sociological representation,
the questionnaire distributed
to 120 students in several
universities in Milan has a
symptomatic connotation: on
one hand, it confirms the
substantial iconic illiteracy that
8 ½ spoke about in its first
issue as one of the most
serious Italian cultural
emergencies, on the other it
reveals the tendential weakness
of the memory of stardom. The
idea of cinema built around the
star system glamour doesn’t
work anymore (if it ever had):
the star system cult is weak,
fades away in a couple of
generations, and doesn’t
generate memory nor culture.
Does it generate business or
market? Not necessarily. In the
120 questionnaires distributed
and filled out, the students
98
were invited to write, next to
the picture of an actor or
actress, the title of at least one
movie he or she had worked in.
In many cases the students
wrote the title of a movie but
not the name of the actor or
actress. Many, for example,
didn’t recognize the features
(or remember the name…) of
Anna Magnani, but next to her
picture wrote Roma città
aperta, or in some cases, La
lupa. Next to Ingrid Bergman
some wrote only Casablanca.
And we could go on with
examples. This means that
movies take root in the
imaginary and in memory with
much more strength than
stars. To make a long story
short: movies haul stars, and
not vice versa. The movie is
remembered much more than
he (or she) that performed
within it. However, if this is
true, does it still make sense
to project festivals (and their
communication) around the
“cult of stars” and the rite of
the red carpet instead of the
movie’s promotion? Some
might object that the
questionnaires referred to stars
of the past. It’s true but the
situation doesn’t change much
even with today’s stars. The
120 students also underwent
a test regarding 5 actors and
5 actresses, icons of today’s
cinema. In decreasing order,
here are the “awareness”
results: Keira Knightley 105 in
120, Helena Bonham Carter
70 in 120, Julianne Moore 57
in 120, Cate Blanchett 55 in
120, Helen Hunt 37 in 120.
Among the actors: Christian
Bale 88 in 120, Colin Firth 81
in 120, Tim Roth 73 in 120,
Viggo Mortensen 66 in 120,
Jean Dujardin 13 in 120. Even
in this case, the actor was
often recognized as the star
of a certain movie (Christian
Bale is often mentioned as
“the guy who plays Batman”,
Colin Firth is known more for
The Diary of Bridget Jones
than for The King’s Speech,
Tim Roth for the TV series Lie
to Me). Not even a recent
Oscar award can guarantee a
level of popularity, as proven
by the low familiarity with
Helen Hunt, and even more,
Jean Dujardin. This data
should be deeply considered
and analyzed with extreme
attention, especially by
festival directors and chief
editors of entertainment
pages who continue thinking
that a festival’s
communication should
exclusively and utterly be
centered around the
“apparition” of stars.
How to avoid
the faithless
liturgy of an
old-fashioned
event
What’s the use of a
festival when all news
can be found on the
web? When the buzz
of a new talent travels
from one side of the
world to the other in an
instant, when global
communication pushes
the selectors’ appetite
for power towards an
awfully solipsistic
aspiration for a jus
primae noctis? Perhaps
a slice of local power
could be given up to
encourage the idea
of a circuit-festival.
by Giorgio Gosetti
›› Page 11
A
ll formulas are
successful if
repeated and
reinforced till
becoming tradition. This is a
rule that film festivals have
never ignored, especially
because it’s the iteration of
patterns and behaviors that
established the success of
festivals such as Venice,
Cannes and Berlin, where rites
soon turned into liturgy with
that certain sacredness that
used to go hand in hand with
the star system and later the
auteur system. Actually, the
fundamental scheme of all film
festivals is still a direct
descendant of the 1934 Venice
Film Festival. Just as Miklòs
Jancso, we can say that, over
the course of time, rite has
prevailed over technique,
consequently drying up creative
schemes and stiffening the
whole system. And now we’re
left with promotional and
scouting patterns that are worn
out and rusty, and can’t
possibly keep up with the pace
of the new media. We feel
uneasy when facing big media
shows and are aware of their
ephemeral costs, not
compensated by contents.
Lacking alternatives, however,
we end up managing the whole
apparatus (statuettes and red
carpets, included) like a liturgy
deprived of faith.
I’m fully aware of my own
contribution to this paralysis,
which, put into perspective and
in order to avoid useless
apocalyptic tones, could lead to
the end of a virtuous
mechanism, a mechanism that
is still potentially vital for those
who don’t offer standard predigested products or have the
means to stand out and be
noticed. And I know far too well
that an iconoclastic fury, a socalled compulsive “scrapping,”
doesn’t apply to the
conservatism of the film
community, and threatens even
more to damage directors and
actors in search of recognition.
I therefore propose a miniDecalogue of all possible
innovations, drawing from
the industry’s cultural
past and present.
Let’s start from the
consideration that urban
festivals have certainly
rejuvenated the elitist rites of
our tourist/festivals past (with
its roots in Venice and Cannes),
yet over time they’ve also spread
a dangerous disease: a certain
bulimia in artistic directors,
which has contributed to turning
most festivals into fast food
movie supermarkets.
We also note that the trend of
“web festivals” created online
for film products that
proliferate on the web, has so
far left no mark of originality
whatsoever. Indeed, it has
English version
pushed the moviegoers
community even farther from
that communal place of
identification that can be
considered the physical arena
of the rite.
Lastly, we acknowledge that the
most important breakthrough
was produced by the
International Film Festival of
Rotterdam, when for the first
time a festival became a
container of plans, ideas,
financings, all in support of
Indie productions, and quality.
This pattern – that had long
been unique – is now one of
the most standard, and so we
can say that after the season
when market festivals were
considered essential
(remember the struggles
Venice went through to add
stands like at Cannes?), we are
now witnessing an authentic
pilgrimage, from one festival
to another, in search of
backing. Even noble initiatives
such as co-production forums
ended up giving birth to that
unnatural creature defined as
“festival cinema,” an endeavor
that has put a generation
of filmmakers on a
path to nowhere.
So where can we turn to
for something new and
meaningful? I’m personally
tempted by the hybridization
of cinema with
literary/philosophical festivals;
those that make artists and
their ideas the reason behind
the show in the first place, and
are therefore planned around
the idea of sustainable
consumption that would give
cinema back a space of indepth and collective
enjoyment. Perhaps this
formula contains tangible risks,
but it can be carried out, as
proven by the “Extra” section at
the Rome Film Festival. I also
like the challenge of a Virtual
Movie Theatre in parallel to a
Real Movie Theatre, as
reluctantly presented at the last
edition of the Venice Film
Festival. I furthermore enjoy
festivals where the primary goal
is to educate the audience and
create new generation of
conscious consumers (who
happen to be more important
than the “conscious artists” to
whom the Cinéfondation and
the Biennale College are
dedicated). This is mainly the
work carried out by so-called
renovation festivals (from Fête
des Lumières in Lyon to the
Immagine Ritrovata in
Bologna) that adhere to the
golden rule of collaboration
among festivals that take
place in different places
and times, regardless of the
directors’ egos.
Alternative and original
experiences abound in Italy, as
well, and our country seems to
be a laboratory constantly
processing new material, as in
the Sixties and at the Pesaro
Film Festival. But we can’t be
limited to looking back at the
“Hundred Flowers Movement”
within the great flow of
distribution. The entertainment
machine must be confronted,
even more today in a time of
global competition – when the
transformation of language
corresponds to technological
innovations – and remade into
a competition that does not
boast previews at all costs for
the sake of a director’s ego and
a bunch of trade magazines,
but rather one that awards and
asserts Independent cinema
that needs festivals to be
showcased. This is the issue:
can a recycled technique be
applied to a worn-out myth?
Until we’re talking about the
myth of the dark movie theatre,
we’ll forever be defending
a nostalgic pattern while
reproducing the same old
reassuring and immutable
comparisons, and will therefore
slowly but surely decline. If we
give in to the mad dash
towards new initiatives, we
know that technology and
reality will beat us. Instead,
what we need is a new
generation of programmers that
know how to invent something
new, while keeping in mind the
past. For this renewal, we need
to re-whet our appetite for
sharing discoveries and for
challenging tradition. Courage
will be needed, but our
audience deserves more than
the experts are willing to settle
for. The audience, not the
critics, must be our starting
point. There’s nothing worse
than an empty movie theatre,
dotted with a handful of
aging viewers.
Festivals
as a business
For each euro invested,
film festivals return
nearly 2.6 Euros
to the territory.
by Mario Abis
›› Page 13
D
o film festivals, that
are 130 in Italy and
except for a few, all
small and niche
festivals, have an economical
asset emphasized by a more
and more competitive cultural
economy dominated by scarce
resources? A IULM university
research published by da Johan
& Levi and conducted with an
innovative methodology that
crosses structural available data
with surveys on different
players and moviegoers, is now
giving us answers. For each
euro invested, nearly 2.6 Euros
are returned, a proportion that
is repeated in different markets.
We’re far from the big numbers
released by festival organizers
and never actually proven,
however it seems sure that
festivals do not produce loss
but profit, involving a complex
mechanism within a group of
services, including the tourism
industry. A festival puts
together in a very short time a
vast and diverse audience, as
well as distributing a range of
services. For example, in the 11
festivals that took part in the
survey, the estimate of
management costs was 4
million and 200 thousand
Euros for yearly performance.
The return was nearly 10 million
Euros. This means we’re not
talking about a micro
economical system,
considering that the sample
that took part in the survey was
10% of the market, and it
excluded major festivals like
Venice and Rome. These
dynamics are even more
significant if we keep in mind
employment numbers, since it
mentions 100 purposely
created jobs, 20% of which
permanent. And the analysis
cannot end here, since it needs
to be integrated with marketing
data. A festival’s audience can
undoubtedly be considered a
quality audience: it’s
young/mid-aged, refined,
competent, and loyal. Valuation
on the variety of the offer, on a
scale from 1 to 10, is generally
stable around 7. Another
interesting point is that the
appeal is not necessarily related
to single specifics (a certain
movie, a certain filmmaker who
meets the audience, a certain
debate), but the festival as a
whole. This point has an
economical effect, which can be
measured through the interest
of major or minor sponsors.
Within this, another typical
value of postmodern economy
that can be found in festivals is
the intense exchange of
relations that are generated.
These relations generate
outcomes also over time and
within different contexts than
the original. Among these, an
incentive of cooperation
between operators and public
administration. So, all’s fine,
correct? Not exactly. The survey
also emphasizes deep
breaches, and in many cases,
a meaningful ‘backwardness’:
lack of basic information,
approximate budget balances,
scarce control on targeted
audiences. All in all, gaps in
those marketing leverages that,
as suggested in our premises,
can guarantee the survival
of festivals.
99
English version
Red carpet?
No,
thank you.
Resources?
Insufficient.
From Trieste to the
extreme terrains of
Sicily, passing by
Pordenone,
Courmayeur, Milan,
Bologna, Florence,
Rome, Salerno. Artistic
Director and Founders
of 14 middle and smallsize festivals talk about
their objectives and the
difficulty of their tasks.
These festivals keep an
eye on young
filmmakers and on less
explored genres,
committed to
innovation of style
and languages. This is
where co-production
forums and workshops
reside next to precious
exhibitions, mainly
addressed to a young
audience that has a
passion for a cinema
that cannot be found
in a commercial circuit.
The problem lies in the
financial resources that
are always less due to
budget cuts. In the list
we didn’t include major
domestic festivals, such
as Turin, Pesaro, and
Taormina, since their
identity is consolidated
by a cultural excellence
acquired over the years.
by Stefano
Stefanutto Rosa
›› Page 16
100
1) Thinking of an ideal
festival, if you had a
higher budget, which
changes would you
make?
2) What’s the identity the soul - of the festival
you direct?
3) Over the past years,
what are the innovative
solutions you included
or experimented?
MILANO FILM FESTIVAL
Presidents Lorenzo Castellini
and Beniamino Saibene
www.milanofilmfestival.it
1) Since the Festival’s birth in
1995 – inside the church of
Corso Garibaldi with only 15
movies competing, 400 people
sitting on the floor and a
budget of one million and 800
thousand liras – a lot has
changed. Under the artistic
direction of Alessandro Beretta
and Vincenzo Rossini, assisted
and surrounded by a wonderful
group of people, the soul of the
festival remains in the
atmosphere that is created
before, during and after the
screenings, and can also be
found in the relationship
between its public and guests,
between the festival
and the city.
2) The festival, produced by the
“esterni” group, has always
tried to express a research work
on codes and languages that
would become the manifesto of
what a contemporary festival
should be like, therefore it
should always be renewed and
somewhat experimental in itself
and the proposals. The festival
wants to be able to recount the
stories of the world and make
its own the best and most
innovative artistic energies of
the moment. As time went by,
some experiments have
become the cornerstones of the
festival: from the openness
towards any type of format and
genre, the children’s festival,
and the involvement of foreign
communities, to the exhibition
of the “state’s offenses” which
investigates the crimes of “our”
democracies, the collaboration
with schools and universities,
the house of directors, the
salon des
Refuses where even the non
selected movies can be shown
to the public, the Milano Film
Network, which provides a
network of the seven film
festivals in Milan, the
redistribution of the competing
movies in dozens of movie
theaters throughout Italy, and
the new web series competition
that will start this year.
3) We would like to better
develop what we now call the
small campus for young
filmmakers (and actors, writers,
producers...) selected in the two
contests of long movies (first or
second ones), and short movies
(directors under 40). Living on
campus means having the
possibility of not only living all
together in the famous “house
of directors,” but also to meet
very important guests during
workshops, internships and
screenings. Spending a couple
of days with Terry Gilliam, or
having breakfast with Jonathan
Demme or Franco Maresco and
then go to the movies with
them can be a very educational
experience! With more
resources, we would be able to
give continuity to this form of
cultural exchange and help the
young Italian cinema.
FUTURE FILM FESTIVAL
(Bologna)
Artistic Directors Oscar
Cosulich and Giulietta Fara
www.futurefilmfestival.org
1) Explore how animation and
the digital environment have
changed, and continue to
change, contemporary cinema’s
syntax, without ever forgetting
the (re)discovery of pioneers and
masters of the past. Discover
new forms of narration through
images, hybridization between a
linear and a transmedia
narrative. Get to know new video
forms, from the Internet to the
video games, from independent
animation productions to
blockbusters, reviewing each
country from Japan to the United
States, from Russia to England,
from Germany to France.
2) We opened the festival to
musical experimentation, with
Italian musicians’ jam sessions
and the production of a
concert/event with sound design
by Bill Laswell, for the original
film editing of sixty catastrophic
films made by Cristiano
Travaglioli specifically for the
Future Film Festival. We have
also introduced, in collaboration
with the Region of EmiliaRomagna, some professional
events, aiming to increase each
individual’s talents and
relationships. The event aims
also at opening Italian
companies to the fields of
animation, visual effects, motion
graphics, leading to
collaborations with
India, Canada and Brazil. In
recent years we have also
expanded the educational
offering for young people,
with animation and visual
effect classes.
3) With more resources, we
could accommodate many
more filmmakers and artists,
where all can meet and have
the opportunity to directly
exchange professional support
and expertise. Furthermore, by
expanding the length of the
programming days, we would
be able to even more involve
the city of Bologna, where the
festival was born and raised,
ensuring that every citizen feels
part of the event. Most of all,
we would like to underline the
knowledge and skills heritage
that the staff of the Festival has
accumulated in fifteen years of
work, creating an open place
for lifelong learning, enhancing
the Festival’s training offers to
all levels of education. The
festival also collaborates with
the structures of public
education, which has fewer and
fewer resources and needs
more and more contributions
for the development of children
and young adults in the
audiovisual. With the Future
Film Festival, Bologna could
become the European center
for study and reference on the
topics of digital animation
applied to various areas of
knowledge and production.
Together with the Festival,
citizens and local businesses
would grow as well.
English version
TRIESTE FILM FESTIVAL
Artistic Director Annamaria
Percavassi
www.triestefilmfestival.it
1) The main objective of the
Festival, founded in 1987 under
the name of Alpe Adria
Cinema_Incontri with
Central and Eastern European
cinema, has always been to
promote and introduce to the
West the great innovation that
was animating the cinema of
the European countries. They
were creating under the
complex situation of the time,
still under pressure from the
vast Soviet system, and their
movies rarely reached
International recognition and
especially the great European
public. Their aim was certainly
brave and sighted at the time,
anticipating unconsciously of
the great changes that would
come. Yet, this objective,
seemed natural to an
internationally spirited city like
Trieste, a city that has always
lived with simple things, with
the complex problems of being
a Frontier land, and has always
been contended by the game of
international politics, and has
always been a crossroads of
nations, religions, languages
and cultures. Above all, Trieste
has always been a place of
worship for the cinema. In fact,
before the 70’s, Eastern Europe
authors, mostly from Hungary
and Yugoslavia, felt at home
because the group of movielovers from Trieste, who were
linked to the “Underground
Chapel” group, organized
continuous and valuable film
festivals mostly with movies
from these countries. Of
course, this goal has gradually
shaped the Festival, which has
faithfully explored and
documented year after year
through cinema, the dramatic
events of that part of Europe
giving it an unmistakable
identity. The Trieste Film
Festival is still alive and wants
to continue to be so. A small
permanent research center on
a very important area for
European history and culture,
as not only the cinema testifies,
but also literature, theater, and
contemporary art.
2) It was certainly innovative to
start, five years ago, the
“EastWeek-Great teachers, new
talent” section, which annually
hosts about fifty young students
of important film schools from
Central and Eastern Europe,
offering them the opportunity
not only to take part in the
festival but also to meet great
artists in the master classes, to
meet each other and to show
their first films to the public.
The logical consequence of the
EastWeek’s success was to
establish, a year later, a
partnership with FVG FilmFund
and establish a coproduction
forum, that has already become
an important operational
meeting between Eastern
European production and
producers from Western Europe
to examine existing new
projects, selected by an
international jury and discussed
in public by the authors, to
verify the possibility of a joint
effort between East and West in
the production field. This year,
22 projects from 12 countries
have been selected for
the pitching.
3) The festival has a great
potential for development, you
can count on a solid work team
that has formed and developed
with the festival and that can
face with tenacity and energy
moments of economic
difficulties that weigh more and
more on the organization. If in
the future I could count on
more substantial incomes,
I would definitely reward the
loyalty, professionalism and the
patience of this irreplaceable
staff with compensations
finally to the level of their
abilities. Secondly, I would
ensure, as in previous years,
the construction of large
retrospectives that require hard
work of research and study.
I would try to put more and
more in touch young authors
and film students, starting
from those who were at the
EastWeek festival and “When
East Meets West”, with the
great cinema lessons that
come from a glorious or
tormented past and much
suffered, which few of the new
generation are familiar with
and hence I would invest on
research needs. I would also
invest on events that enrich the
program like theater, music,
and contemporary art. I would
rent two other rooms, small
maybe, as place to replicate
what has been shown. I would
like budget freedom on
hospitality: a good festival is
made not only of good movies,
but also of many authoritative,
friendly, interested
persons..and I could go on
listing them all, but it is
only a dream.
COURMAYEUR NOIR IN
FESTIVAL
Artistic Directors Marina Fabbri
and Giorgio Gosetti
www.noirfest.com
1) A specialized and genre
specific festival characterizes
itself with a strong identity and
this is how Courmayeur Noir in
Festival has always been seen.
Dealing with crime stories (in
movies, literature, on TV, in
cartoons and new media) does
not mean, however, to
celebrate the most popular
genre in the world. For us it
meant giving voice to the
trouble, anger, to the personal
and social problems and
therefore facing reality, the
recent events, with the
historical memory that now
seems necessary to believe
in a different future. This social
conscience is the true soul
of our festival.
2) Like everyone else, we all
worked on the new platforms
of production and distribution,
but also of critique and
information, so much so that
now more and more often, it’s
easier to find on the platforms
rare novelties rather than
tested clichés. Recently we
proposed ourselves as
observatory of ideas for the
Italian cinema that wants to
use the experience of
investigation, of chronicle and
of literature. Finally, we
strengthened that constant link
between cinema and literature
that has become a
bit ‘our trademark.
3) Firstly, we’ll strengthen the
idea that the festival is the
perfect opportunity to meet
with extraordinary people that
are happy to talk about their
creations and experiences,
without fences and formalities,
yet only in the Courmayeur
environment. Then, we will
develop the innovative
experiences of the literary
festivals to renew otherwise
stereotyped liturgies. Finally,
we will make the best use of
technology to build a virtual
“environment” as unique as
the real world, in which we are
lucky to work with, and that can
respond very usefully to the
language and expression
proposals of the new media.
FILMMAKER (Milan)
Artistic Director Luca Mosso
www.filmmakerfest.com
1) Filmmaker is a laboratory film
festival that, together with its
film (the best of the international
production of reality films),
promotes the production of new
works through financial
contributions (this year, three
short movies from the “Passion”
project) and seminar initiatives
(in 2012-13 it was “Terrestrial
nutrients celestial nutrients”). To
look back on the past gives often
the opportunity for a direct
comparison - through seminars
and master classes - with the
great masters of the cinema, as
well as moments of critical and
theoretical thought on the
unexplored field of documentary.
The personal dedicated to Johan
van der Keuken, Frederick
Wiseman, Errol Morris, Ulrich
Seidl and others, were at the
origin of the vocations to see
and film some of the best Italian
artists and filmmakers today.
2) A full day of visions and
thoughts on the future of
cinema, in collaboration with the
online magazine ‘Filmidee’,
along with film screenings such
as Tabue Holy Motors, eccentric
compared to the usual
programming of the festival. The
workshop “Terrestrial nutrients
celestial nutrients”, which led
forty young filmmakers to
develop a film project with the
help of professionals such as
Leonardo Di Costanzo,
Michelangelo Frammartino, Ben
Rivers, Alina Marazzi, Sylvain
George, Tizza Covi, Carlo
101
English version
Cresto-Dina, Alessandro Borrelli,
Paul Manera. The collaboration
with other festivals (the
retrospective Ben Rivers with the
Milano Film Festival) and
interesting organizations (the
“Daje” project with the Codici
agency). The task to take care of
the festival’s communication on
the new social media, was given
to a twenty-five year old.
3) I would strengthen all
European relations and
exchanges. I fear that the recent
crisis in the Italian cinema, is
much worse than the previous
ones, and that the mere
introduction of ideas and, above
all, film techniques and
production models will not help
us to overcome it. Festivals
should act as agents of change
and should not simply talk about
today’s vices and issues (as
Rotterdam was in the 90s, and
today is Copenhagen’s CPH:
DOX, not even mentioned in the
Italian press)
FESTIVAL DEI
POPOLI (Florence)
Artistic Director Alberto
Lastrucci
www.festivaldeipopoli.org
1) Since its first edition in 1959,
the Festival dei Popoli has always
been about documentary
cinema, first taking a ethnoanthropological approach that
has since expanded to
encompass the wide variety of
languages, narrative approaches
and styles that the documentary
genre contains.
2) The documentary genre
is a film made of research and
experimentation, which
compares the subjective vision
of the filmmaker and the
opinions and questions that
reality poses to the viewer. Today,
the documentary is without
doubt one of the most fertile soil
for film research, and there are
countless authors and works
able to offer original approaches
and narrative freshness that find
a place in our event with every
passing year.
3) The “forbidden” desire is to
actively contribute to the
development of a system for the
spread of the documentary genre
102
in Italy, something that has
never been achieved if not in
bold yet sporadic initiatives. The
“challenge” would to invite - or
“host” - in Florence all of the
professionals in film
distribution so that they can
witness the fact - already evident
to all those who go to the
Festival dei Popoli - that there is
a large motivated and attentive
audience to the documentary
genre. What remains is a major
shortcoming of the national
retail sector of not deciding to
act upon a market area that
needs to be stimulated; which
would enable not only to help
renovate film and television
proposals, but trigger a virtuous
system to finance
new projects.
LE GIORNATE DEL CINEMA
MUTO (Pordenone)
Artistic Director David
Robinson
www.cinetecadelfriuli.org/gcm
1) The Silent Film Festival is
the largest and oldest festival
dedicated exclusively to silent
cinema. The main purpose is
to propose films that have
taken part in the creation of
cinema’s history, yet not as
museum pieces, but as works
of art still absolutely alive and
able to communicate directly
with the public of the XXI
century. The first three decades
of the film industry represent a
true golden age in the art of
the XX century. This is
confirmed by the loyalty and
enthusiasm of the public,
whom is also responsible for
the festival’s success.
2) The Festival has been
successful in recent years thanks to initiatives such
as the Collegium and the
Masterclasses - to attract a
new audience, young, whom
responds to the movies of the
past in a new and stimulating
manner. Silent movies are no
longer old scholars, archivists
and nostalgic movie-lovers’
prerogative. With its daily
“dialogues” among 12
students, different every year,
and experts attending the
festival, the Collegium has
become source of constant
community renewal of the
silent film genre. We are
constantly experimenting –
especially with musical
arrangements – to recreate the
emotions that the public of the
time must have felt when
experiencing movies. The
Pordenone Master classes,
classes on musical
improvisation based on
images, are aimed at conveying
at the new generations, the
experience of the world’s
best musicians in the
musical accompaniment of
silent movies.
3) We would like to develop
the “international” element
of the festival in a bidirectional
way, on one hand answering
to the requests of presenting
overseas the festival’s
production, and on the other
hand to invite a great number
of important people and
foreign productions. What is
missing is mostly the economic
force necessary to export our
productions abroad, or to
create for example, dvds, which
condemns them to remain
undiscovered, with no
possibility of being
replicated elsewhere.
FESTIVAL INTERNAZIONALE
DEL CINEMA DI FRONTIERA
(Marzamemi, Siracusa)
Founder and Artistic Director
Nello Correale
www.cinemadifrontiera.it
1) Presenting and developing
an independent film industry,
attentive to the frontier issues
(geographical, artistic and
cultural), its international
character, and above all the
genuine spirit with which the
festival links the authors with
the public, both native of the
place and not. We are talking
about frontier film and not of
the suburbs, not a fallout
cinema that is dominant,
centripetal, that defends itself,
yet a genre that questions itself,
that looks at what is around,
open to what’s new. Frontier
cinema, intended in its
symbolic value, other than in
its geographical and much
more vast term. Territorial,
cultural, but also of the soul
and languages.
Frontier intended not as a limit,
a border, but an open window
to the universe, on the
surrounding and opposite
universes. An intercultural
cinema, that looks for the
things that bring people
together rather than those
which divide them. This is the
frontier movie genre, not the
frontier of movie.
2) There are classes for young
movie makers, both from the
Mediterranean and from the
United States, and meetings
between them and the public.
An active and participatory
presence, with shows and
demonstrations by many
authors and musicians in front
of the Festival’s public, here to
present Musical Portraits in the
International Festival of Film
and Music, with the
participation of Mika
Kaurismaki, Franco Maresco,
Franco Battiato, Vinicio
Capossela, Carmen Consoli etc.
3) Transforming the biggest
and southest European movie
theater in a great workshop
open to meetings with other
Festivals. Exchanging with
Tunis, Barcellona, Cairo,
Tirana, Istanbul, and Tel Aviv
not only movies as we did up
until now, but also projects.
Becoming, for a week, although
virtually, the center of the
Mediterranean, meeting point
between three continents:
Europe, Asia and Africa.
ALICE NELLA CITTÁ (Rome)
Artistic Directors Fabia Bettini
and Gianluca Giannelli
www.alicenellacitta.com
1) Otherness, we believe, may
well define the research plan on
which we love to confront each
other. We recognized ourselves
in this dimension, and we tried
to tell you about childhood and
adolescence through this field
of view, a view that has often
highlighted the need for purity,
with the eager will of showing
that gesture, inevitable –
almost ontological – of dissent
which is at the base of the
progressive definition
of identity.
2) It was innovative to
introduce within the topics
English version
covered by films, an exception
that would interrupt the
“official story”, and that would
inspire the perplexity and
would finally allow the dialogue
with the public, something that
today is essential and beloved
by those who work with kids. If
the movie industry, especially
the Italian one, won’t be able to
show this strength, it definitely
cannot compete with the
strength of the other
kids’ experiences.
3) A full year of cinema with
and within the school to make
sure that the dialogue with the
kids, started with the Festival,
stays open. A platform with all
the newest VOD technologies,
to show extraordinary movies
to the children, which only
means movies able to absorb,
enchant, surprise, involve,
overwhelm, think, transforming
the vision experience –
especially in movie theaters –
into a process that will
transform you. The cinema and
the school to shape education
to dissent and to the sense of
beauty. Knowing how to
recognize something
beautiful/real from something
bad/false is a very important
weapon. To get excited in front
of something beautiful is the
first step towards getting angry
when seeing something bad.
FROM SODOMA TO
HOLLYWOOD
GLBT FILM FESTIVAL (Turin)
Artistic Director Giovanni
Minerba
www.tglff.com
in all its expressions is also
innovative, and it’s up to us,
myself together with my team,
to select themes and trends to
propose, and this is maybe
made easier by the fact
that this is a festival with
a thematic.
3) Ideally with more resources
at hand, the first thing to do
would be to update the
compensations of whom has
put their soul in the Festival.
Yet, unfortunately, mine is a
Festival that lives thanks to
public funds, and hence it can
only dream of more resources
and tools. In recent years, there
have been only cuts and
continuous threats stopping
the festival, or of making it
happen only twice a year, or of
merging it with the Turin Film
Festival, and many more.
Therefore, I’m thinking more of
making the next Festival
happen rather than leaving
someone of the team at home;
and if miracles were to happen
we will be prepared, changes
are always accepted. And in
spite of who says that “you
cannot eat with culture”, we
will do anything to enrich your
lunch or dinner, of who’s
always been there to follow us
and support us with affection.
CINEMADAMARE
Artistic Director Franco Rina
www.cinemadamare.it
1) The identity, the soul: I have
always identified in our public
the true “soul” and therefore,
the “Identity” of the festival,
and I think it should be the
starting point for all Festivals,
also the “general” ones. But
this is by no means to be
attributed solely to a niche
public, as feared by some
“excellent critics” when the
Festival was born in 1986,
whom were able to change
their minds almost
immediately by praising it.
1) CinemadaMare is the
biggest gathering of young
directors in the world, that
moves around the world in a
time period of 2 and a half
months. Since 2003, about 200
filmmakers, from more than 40
countries, meet in Italy with the
only aim of doing movies
together, forming the core of
the Festival’s soul. A crowd that
lives on hundreds of sets that
we set up across 9 Italian
regions, travelling for 3,800km,
and that thanks to the newest
digital technologies is able to
create constantly
cinematographic works
destined to be spread
worldwide, and via web.
2) It’s not easy to
“experiment” if the starting
point is the audience. Cinema
2) The initiative within
CinemadaMare that has
delivered the most important
results, is without any doubts
that of having constant
workshops. This section of our
Festival, in fact, promotes the
real exchange of projects and
information among our young
filmmakers. It is not rare to see
a Japanese and a Brazilian
working on the same set, or
that a Finnish and a SouthAfrican start researching on the
most sophisticated programs
on digital editing.
3) I have no doubt that when
faced with an event like ours,
that houses physically more
than 100 young artists from
all over the world, who have
accepted our invitation to
participate in CinemadaMare
with the only purpose to realize
films together, the sector in
which I would focus the
possibility of having more
resources would be the
technical equipment. In short,
if we had a higher budget, we
would rent more cameras,
lights, carts, and other
cinema machines.
LINEA D’OMBRA (Salerno)
Artistic Director Peppe
D’Antonio
www.festivalculturegiovani.it
1) The Festival is composed of
different aspects of young
creativity, music, movies, visual
arts, performing arts, and
writing as it is intending to
promote and exalt the
innovative capabilities of artists
in Europe. Above all it’s to try
and understand the margins
of possible influence between
genres and tendencies, both
within and beyond the market,
while at the same time not
sacrificing the aspect of the
communicative force in
each work.
2) We have moved in all
directions, first going beyond
the traditional cinema-graphic
festival followed by
abandoning trying to utilize the
internet not only as a
communicative and
promotional instrument but
also as a virtual exhibition and
presentation space of the
proposals of the festival, in
particular the movies. The
online jury of feature films and
short films has already been
chosen since three years ago.
3) There are two main sectors
we are already working on: the
first is education, with
internships and workshops
apart from the time duration
of the festival. I am thinking of
meetings with leading experts
and international artists that
are capable of bringing their
ideas to fruition as well as their
professionalism in our territory
and in Southern Italy in
particular. The second sector
is the intervention in the
production and co-production
of young artists’ work,
something that in today’s
market that finds itself in such
difficulty is not capable of
neither seeing now nor in
the future.
MEDFILM FESTIVAL (Rome)
Founder and Artistic Director
Ginella Vocca
www.medfilmfestival.org
1) The identity of MedFilm
Festival is already found within
its name, where Med stands
for Mediterranean, the sea that
contains a set of similarities
and differences, an
impenetrable synthesis that
is deep inside each of us, but
almost absent in the offer of
Italian cultural circuits. While
the soul of MedFilm is in the
urgency of telling people and
cultures through first-hand
information, direct evidence
of filmmakers, artists, thinkers
and ordinary people, through
the powerful medium of
cinema, to open gaps of
knowledge and cooperation,
providing an overview of
authors on relevant themes
year after year, sometimes
difficult, such as immigration
and xenophobia, to inform and
educate the general public to
overcome the obstacle of the
“new”. Consistency, quality,
audacity, rigor, information
and training are the main
characteristics of the oldest
International Film Festival in
the capital, with its 19 years of
life. The international
distributors entrust their film
with the specific intent to build
a sensibility that in time is likely
to develop into the market
103
English version
while the festival provides a
valuable opportunity for
institutional representatives of
the utmost importance to
meet, as shown by the review
and signing of bilateral Italian
and Slovenian agreements,
which took place at the last
festival. Finally, our
promotional activities give an
opportunity to numerous
dedicated exhibitions to cinema
that otherwise would be absent
from commercial channels.
2) Although MedFilm is solidly
structured thanks to two
unique advantages that make it
new and open to
experimentation: the theme
and the host countries that
define the main rules of the
recurring festivals. In the last
few years we have supported
cultural promotion,
commercial promotion with the
opening days dedicated to the
meetings between operators of
Europe and Italian operators,
and the establishment of the
Koinè Award given to
outstanding personalities who
have distinguished themselves
for helping to identify the
points of contact and shared
languages between the
peoples of the
Euro-Mediterranean area.
3) A higher budget would
certainly ensure our
contributors with more
favorable and long-term
conditions, with higher service
quality, with more movies and
guests, with subtitles for all
screenings, and with replicas.
The success of this festival is
based on the work of qualified
staff, often young people, yet
very much prepared and
strongly motivated to whom,
however, is increasingly difficult
to ensure a workplace. In such
a dramatic moment, due to
lack of jobs, supporting small
and medium-sized enterprises
working in the cultural sector
should be a priority. Of course,
only those who demonstrate to
be worthy and have proven
overtime to be able to achieve
the required objectives.
Instead, in 2012, violent cuts of
about 60% and in some cases
even 100% have brought the
MedFilm Festival’s budget
104
down to 60thousand euro,
whereas FictionFest has
enjoyed a budjet of two and a
half million euro, 41 times
higher, and the Roman Festival
of 11 million euro, about 184
times higher. When facing such
a serious economic and moral
crisis, redistributing public
funds in a fair manner should
be an obligation, so as to favor
a cultural policy more diverse
and rich. Is it not an
institutional duty (as it is in
other European countries) to
support and promote film
studies next to coated events,
ensuring jobs at the same
time? The MedFilm Festival
does certainly not enjoy an
economic status worthy of the
quality of its product. What
should we do? Meanwhile, we
have an idea: start with
enthusiasm for the preparation
of the next edition, which will
be anticipated to June.
“experiment”, let’s say that
Cinema Rediscovered has
“experimented” with the
pleasure of film aesthetic. An
experience for those who are
specialized in this sort of thing,
but also for the 70thousand
people that in 8 days have
crowded our theaters and
Piazza Maggiore.
3) It would be great to publish
on DVD everything that was
shown at the Festival, in order
to give immortality to
something that you can
see only during that
precise moment.
“
IL CINEMA
RITROVATO (Bologna)
Artistic Director Gian Luca
Farinelli
www.cinetecadibologna.it/cine
maritrovato2012
1) The Rediscovered Cinema
was the first festival in the world
dedicated to film restoration,
when restoration itself was
taking its first steps towards
science. It’s been a long time
since 1986, and today all major
film festivals, from Cannes to
Venice, have a section
dedicated to restoration. Even
the same Cinémathèque
Française opened, a month ago,
the first edition of its festival
explicitly inspired by Cinema
Rediscovered.
2) The thought of showing the
entire history of cinema – the
technological, aesthetic or
philological approaches were
behind the restorations – is a
deeply innovative and
experimental act. Cinema
Rediscovered presents itself as
an immense museum of the
Twentieth century (actually its
roots are from the nineteenth
century), going from the
earliest anonymous
documents, to the silent movie
era, to the CinemaScope.
If I can play with the verb
a journalist and since 1983 he
mainly focused on film
financing. In 1988 he was
among the founders of EFDO
(European Film Distribution
Office), becoming its President
till 1996. As a Director of the
Berlin Film Festival he launched
new sections and programs,
among which the "Perspektive
Deutsches Kino", a highlight on
new talents of German cinema.
Under his aegis, the Berlinale
has become one of the most
important film festivals in
Europe, which has earned him
the German title of ‘Cavalier for
Arts and Literature’.
What do I like
about Italian
cinema?
The contemporary
attitude it shows in
relating to classical
culture, the necessity
that directors feel in
dealing with political
reality even in periods
of crisis, and their
talent for expressing
poetry even within
the documentary field.
by Micaela Taroni
Good spirits, that’s all
that matters. To say it
with writer Heinrich
Heine, my motto for a
festival is: the more a topic is
serious, the more it needs to be
presented in a fun way.” This is
the belief of Dieter Kosslick,
Director of the International
Film Festival of Berlin. With his
masterly ability to express
humor and lightness, Kosslick is
considered an institution of the
Berlinale that he’s been leading
since 2001. Since he took over,
substituting Moritz de Hadeln,
64 year-old Kosslick marked
the festival with his
unmistakable signature.
“We want to be the most
cheerful festival in the world,”
Kosslick said only a few year
ago, the man being a Hitchcock
and a haute cuisine fan. And
under the aegis of his careful
and competent supervision, the
Festival exported international
successes, calling for more and
more audience and critics
attention. The success has been
such, that the Berlin Festival
confirmed his mandate.
Kosslick should have left in 2013
but he’ll be staying three more
years. While the 63rd annual
takes place, opened by The
Grandmaster by WongKar-wai,
we asked him to talk about
Italian cinema in Germany, and
particularly at the Festival.
›› Page 26
Dieter Kosslick, 64, has been the
Director of the Berlin Film
Festival since 2001, upon
substituting Moritz de Hadeln.
After studying communication
and politics, Kosslick worked as
In spite of the recurrent
polemics on the lack of Italian
movies at Berlin, the Festival
has always had a particular
regard for Italian cinema, that
happened to win many awards
here. Who are the authors that
English version
you believe have mostly
left a sign?
If we simply look at the winners
of the Golden Bear in the past
decades, we can see that the
Berlin Film Festival has always
accompanied the history of
Italian cinema. I’m thinking of
Michelangelo Antonioni and his
picture La notte that won the
Bear in 1961. It’s a masterpiece
and it founded a style. Or
Francesco Rosi, a director who
represents Italy’s political and
social cinema, and won a
Director’s award here in Berlin
in 1962 for Salvatore Giuliano.
And then he was awarded again
in 2009 with a Golden Bear for
Lifetime Achievement, together
with a tribute. And there are
many more major Italian
directors who are strongly
bound to the
Berlin Festival.
Can you mention a few?
I’m thinking of Maestros such
as Ermanno Olmi, Mario
Monicelli, and Vittorio De Sica.
Considering my personal
experience as the festival’s
director, I can say that the last
winner of a Golden Bear, Cesare
deve morire by the Taviani
brothers, fits within a specific
Italian tradition of the Festival.
This movie starts out from one
of the main works of worldwide
literature, Shakespeare’s Julius
Caesar of 1599, to focus on
modern social conflicts and
facts. This aspiration to
elaborate classical works is one
of the aspect of Italian auteurs
that has always deeply
fascinated me. This stands out
also in Pier Paolo Pasolini’s The
Decameron, that won a Golden
Bear in 1971 and was born from
the fantasy tales of Boccaccio.
And The Canterbury Tales, that
earned another Golden Bear to
Pasolini in 1972, based upon
the medieval tales of
Geoffrey Chaucer.
Summarizing, which are the
recurrent aspects of Italian
cinema you find particularly
significant?
I’d say the contemporary
attitude it shows in relating to
classical culture, the necessity
that directors feel in dealing with
political reality even in periods of
crisis, and their talent for
expressing poetry even within
the documentary field.
visually strong style,
and intensely poetic.
Even Nanni Moretti is part of
the directors that focus deeply
on Italy’s political reality.
Nanni Moretti has faced Italy’s
social reality, at times even
impulsively, always expressing
his skills with great irony and
self-irony. His movies oscillate
between tragedy and comedy.
Even when he deals with
painful experiences, he ends up
offering fun and light material.
Just as the Taviani brothers,
whose Caesar Must Die he
distributed in Italy, Moretti is
one of today’s
great filmmakers.
How are Italian new movies
considered
in Germany?
It’s very difficult to talk
exclusively about Italian cinema
as seen by the German
audience. What should be
examined is the complex
situation of European cinema.
In Europe, the film market is
still dominated by American
movies. European films rarely
pass domestic borders and
achieve international box-office
success. I am firmly convinced
that the German audience has
interest for European movies,
and therefore also for Italy’s
movies. I can mention two
Italian movies presented at the
Berlin Festival last year. Cesare
deve morire, recently in theaters,
has earned audience and critics
approval. Diaz by Daniele Vicari
won the audience award in the
Panorama section. This means
that there’s a true interest for
contemporary and modern
Italian movies.
Which directors of the new
generation contributed to
renovate the image of Italian
film industry abroad, according
to you?
Among the generation of young
directors, Matteo Garrone has
proven to be capable of
translating onto the screen both
emotional and personal
relations and criminal stories. I
was touched by
L’imbalsamatore. Primo amore
(2002) – a fascinating and
oppressive movie – was actually
presented here at the Berlin
Festival. Gomorra (2008) is
certainly among the most
significant European movies of
these last years. And I’m happy
Garrone achieved further
international successes with his
last picture, Reality (2012).
Among the younger directors,
what do you think of Paolo
Sorrentino?
Certainly Sorrentino should be
listed among the most talented
directors, both for Il Divo
(2008) and for his marvelous Le
conseguenze dell’amore (2004).
However, I want to mention
even other directors we hosted
here in Berlin. Gabriele
Salvatores was in competition
with his Io non ho paura (2003),
a movie with a dense
atmosphere. I was also touched
by a documentary by Pietro
Marcello La bocca del lupo that
we presented at the Forum. I
was touched by the moving love
story, and the portrait of an
extraordinary city like Genoa,
presented in a
Italian cinema is often
reproached for mainly making
comedies addresses to a
domestic market. Is this a
limitation, according to you,
or, in spite of everything, can
our comedies be appreciated
by a foreign audience?
Often comedies achieve
domestic success only, and
this works not only for Italy.
Humor is hardly exportable,
but there are always some
exceptions, as Roberto
Benigni’s movies.
With what criteria is an Italian
movie selected for the
competition section of the
Berlin Festival?
There is no specific criteria
choice for a single country,
because cinema is a universal
language. What we’re really
interested in are visually
interesting pictures that have a
particular edge and are capable
of telling a good story. It’s
important to remember a
movie’s plot even days after
having seen it.
Will web
series save
us?
Even in Italy, web
series are an
opportunity to put
together and disclose
new and innovative
creative teams, often
very young, that
express a territorial
sensitivity and
imaginary only
apparently suburban
and marginal.
by Rocco Moccagatta
›› Page 30
A
first
acknowledgment
concerning the
world of Italian web
series – that in 2012 finally
exploded in Italy, after the
success in USA and Europe –
must begin with Freaks!. This
phenomenon series, that blends
daily post-teen-age life,
superpowers and conspiracies,
was not the first to be
produced, and actually doesn’t
even detain the first place in
rankings (amazingly official data
refer to 7 million viewers, and 2
million unique viewers – an
arena larger than the platforms
of free TV, satellite or terrestrial
channels), or in social buzz
among obsessed fans and
fierce defamers.
In a worldwide scenario
dominated by video distribution
and video sharing platforms
(YouTube and Social networks),
105
English version
low cost shooting digital
technologies offering good
quality, and more and more
accessorized mobile devices
(smartphones, tablets), Freaks!
works well as the prototype of
an Italian web series for a sum
of elements within its DNA.
Starting from its grassroots
origins – far from traditional
production or distribution
structures (network TV, regular
production companies) – it
expresses a certain creativity
born from “below”, fresh, new,
finally young, not yet entirely
structured, although well-known
within the web, since its
protagonists and creators are
practically all beloved web
celebrities and vloggers, and are
close to the age target (15-28
years old) which is allergic to
traditional television programs,
and deeply anchored to genres
that have been forgotten or
ignored by the Italian
mainstream media: sci-fi, horror,
or more in general fantasy, teen
comedy, romantic dramedy,
parody, dementia, action,
thrillers.
The antagonism of Italian web
series towards domestic
television (and cinema, as well)
doesn’t force the viewers to an
unprofessional or improvised
product. It rather adheres to a
style and language that belong
to the US and UK TV series,
miming the formats (as for
episodes, seasons, length of
episodes, hybridization, and
contaminations), and staging
(check those sitcoms with a
single fixed camera) as proven
by the estranged choices,
compared to Italy’s sets.
Freaks! has created superhero
atmospheres set in Rome
within an Anglo-Saxon sci-fi
chronological paradox (Ch4’s
Misfits a definite reference, as
clearly quoted in the second
season), while Vincent Kosmos
(the longest Italian web series,
since 2008) is in a certain way
a Turin version of BBC’s Dr
Who. Hydra follows a
catastrophic-epidemic theme in
a disturbing atmosphere in
rural Tuscany, that has nothing
less that the devasted cities of
Hollywood blockbusters. In
some cases, taking over
narrative and aesthetical
models that don’t belong to
106
Italian tradition – hopelessly
sought by the young audience
in Rai and Mediaset TV dramas
– has offered the freedom of
taking risks in describing
characters, lifestyles, and even
geographies of desire, that
otherwise would have been
impossible: if Stuck (shot in
English and subtitled in
Spanish and French) plays with
the imaginary of a mature and
provocative medical drama,
with a cynical life coach
something between House and
Nip/Tuck, Tris dreams about
the boundless sentimental and
sexual excesses of Queer as Life
and The L Word.
In this lively and disorderly
production, that at times goes
even beyond the edge of
recklessness, what emerges is an
infatuation for worlds and
realities that Italian film and TV
neglect, with particular attention
for teen-agers and young adults,
described through the formats of
sitcom and teen drama (check
the surreal senior high school
year of Facce da scuola), or
through ironic genre or gender
stereotypes and commonplaces
(check the apocalyptic zombie
nerd locked in his rooms on
skype in Skypocalypse).
A web series can even influence
a star’s behavior, usually
invested on other more tradition
medias, who decides to confront
the genre. It’s the case of Flavio
Parenti, a young TV and film
actor, creator and protagonist of
the acclaimed web series
Bymyside, something between
‘Waiting for Godot’ and the
world of slackers of Kevin Smith.
In this case, Web series can
also be seen as an opportunity
to build new and fresh creative
groups, often very young, that
express the sensitivity and
imaginary of apparently
suburban and marginal
realities. Thus, besides the
Roman Youtuber group of
Freaks! (Guglielmo
Scilla/Willwoosh, Claudio di
Biagio/Non aprite questo tubo,
Matteo Bruno/Cane secco
etc.), let’s mention The Jackal
from Napoli (with their curious
sci-fi of Lost in Google open to
interaction with the audience
that suggests the stories for
the next episodes), the Nirkiop
from Taranto (and their high
school tranche de vie in Facce
da scuola), the Licaoni from
Livorno (with their demential
Saturday Night Live style in Il
corso di cazzotti del dr. Johnson,
awarded at the 2012 Los
Angeles Web series Festival.)
What still isn’t clear is how this
galaxy of experiences, still not
structured coherently nor
systematically, can create a
sustainable and useful
economical model, besides
the interest of more or less
institutional parties (as the
Giffoni Film Festival behind the
series She Died, a horror
romantic drama between Lynch
and Twilight): perhaps seeking
product placement, opening to
branded content, or through
crowdfunding.
On the other hand, traditional
media try to metabolize
formats and models of the
web: among TV channels,
for the past few years, Fox has
offered FlopTV, an online
dependance dedicated to new
forms of comedy, between TV
and web series, based on
channels such as USA Funny or
Die and Comedy Central, that
realized a sitcom (Amici@letto)
distributed on Facebook. If
Magnolia Fiction is producing
Kubrick-Una Storia Porno, an
eye wink on the world of porno,
dividing a TV pilot (written by
a group of screenwriters called
Labuoncostume, authors of the
successful Faccialibro) into
three web segments, some
switch from online to on air:
for its second season, Freaks!
is co-produced by Deejay that
televised it while in web
streaming. The Pills, a witty
story of Roman university
students amid surreal
situations and over-the-line
dialogue, also combined to a
talk show format, is also part
of Deejay Tv’s programming.
Within this dialogue and
exchange process, something
is however at risk: the negative
reaction of the web audience
that has till now confirmed the
success of series and stars
because disappointed by
mainstream media (mainly TV),
and consider this interaction a
compromise that might
endanger the creative
independence of the web (as
clearly proven by the fierce
anger that took place against
YouTuber$ accused of being
a para-television product that
apes real web series).
At the same time, what could be
taking place is a turning point,
a sign of renovation and refoundation of television stories
(and perhaps even films), with
the possibility to involve an
audience that has been lost
and distant for too long.
Freak out:
le band, c’est
trend!
INTERVIEW WITH
LUCIANO MASSA
by Andrea Guglielmino
›› Page 40
W
hen we think
of Italian web
series, the first
title that
comes to mind is Freaks!
There’s no doubt about it,
especially for “webstar”:
Guglielmo Scilla’s presence in
his double-role as both
performer and producer.
He became famous on
YouTube as Willwoosh by
posting funny movie parodies,
and his career took off.
Freaks! however, compared to
the previous, has a much more
structured system and a
production history, as well as
a very strong basic idea which
recalls famous American
forerunners like Heroes and
Misfits (to which, by the way,
a direct tribute is made in the
first episode of season 2). Five
apparently normal kids, all faint
at the same time and wake up
4 months later with severe
memory lapses and, most
importantly, with special
powers, on which they
start investigating.
Hence, the title Freaks!,
monsters, freak shows, but
also people with ‘out of the
ordinary’ abilities.
The first episode aired on
YouTube, on April 8, 2011 and
had an immediate and ongoing
success, more than 8 million
views in the first two months –
English version
the second season (2012) the
series aired on television on
Deejay Tv. In total there should
be three seasons. The first was
realized on a limited budget
and with the participation of an
unwaged technical and artistic
amateur cast. All production
expenses were dealt by the
main actors: other than Scilla,
Giampaolo Speziale (“About
Wayne” rock band leader), and
Claudio Di Biagio (known on
the internet as
Nonapritequestotubo). In
addition, Matteo Bruno
(known on the internet as
CaneSecco) was the
photography director. For the
second season, which aired
both on YouTube and DeejayTv,
as well as on the official
website
(http://www.freakstheseries.co
m/), the creative farm Show
Reel took charge, which had
already developed the
marketing and communication
plan for season one.
Since 2006, Show Reel deals
with Branded Entertainment
and social media marketing.
What is it about? In short, the
experience revolves around a
completely new way of
promoting, integrating it into
high quality entertainment
products, where the authors
can have total artistic freedom.
At the same time, Show Reel
tries to match various
companies’ interests, which
in turn commit to provide
financial contributions or
professional services, in
exchange for innovative
advertising far from the
“invasive” policy of classic
advertising.
This doesn’t make Freaks! an
advertisement. The aim of the
whole operation was to create
a high-level artistic product and
make it available for free on a
large scale, so that when the
user connects to watch the
latest episode of his favorite
series, it is he himself that
searches for the ad, although
indirectly, instead of enduring
the ad as it happens normally.
On this topic, we spoke with
Show Reel’s General Manager
Luciano Massa.
Can you give us a brief
presentation of Show Reel and
its activities?
We were able to bring Branded
Entertainment to Italy in 2006.
We conceive and develop
original formats for companies
with the aim of entertaining the
public. We try to take the public
to virtual or real worlds, with
simple ideas that will engage it
directly, seeming less invasive
than traditional forms of
advertising. Content is very
important, and is often cocreated by the users themselves,
as in the case of “Twittastorie”,
a program that we created for
Telecom where participants
could become authors of short
movies inspired by Italy’s most
beautiful cities, and directed by
famous directors like Manetti
Bros., Asia Argento, Cosimo
Alemà, with special guests like
model Eva Riccobono.
Certainly, a very innovative way
to promote products…
Look, let me say this polemically.
Many of the advertising
creatives I’ve met, even from
emblazoned agencies, if they
worked in the Italian
entertainment industry, at the
most they could be employed as
interns. I’d like to say to the
brands that are becoming
broadcasters – i.e. all the
companies that publish content
on YouTube, Facebook and such
– that they don’t have to
necessarily come to Show Reel,
but to someone who knows how
to entertain and has the tools to
engage and interest the public.
All traditional means are worn
out, and aren’t enough on their
own, anymore. Today’s
audience is different, we have
all become consumers that
are much harder to convince
compared to a couple
of years ago.
How do clients learn
about you?
Mostly, by word of mouth.
We work with many different
settings, from traditional
telecommunications to overseas
brand, and cultural institutions.
The beauty of our projects is
that they are “newsworthy”.
They attract the media, the
newspapers, then TVs talk about
it, then companies see them,
see our brand and so the
domino effect starts, leading
them to us. For example, that’s
what happened with Mondadori.
How do you relate to those
who commission the work?
Not as suppliers, but as
potential partners. We are very
demanding, we try to walk in
the clients’ shoes, and only
then, if we really like them, we
accept the job. Then
technically, we begin as if we
were going to create a
traditional advertising gig, we
ask what are the goals that the
company wants to achieve, we
study their cluster and we start
drafting. Instead of creating an
ad campaign, we create
projects where the user is the
main character directly
involved.
Although Freaks!, at least at
first sight, seems like a standalone project and not a means
to create promotional
messages.
In fact, that’s how it is. Freaks!
is an artistic project that would
have been barred by the
traditional Television market.
In this case, we wanted to fulfill
four adventurous 25 year-olds’
dreams, which is the second
season of the series. Because
the funds we received did not
all come from television, nor
from a single sponsor, our only
solution was to put together a
group of companies, that on
one hand would finance the
project, and on the other they
would be greatly rewarded in
terms of brand image and
advertising. From DeejayTv,
that as a co-producer
requested the television rights,
to Citroën, whom was the first
to believe in us, to Canon,
Nintendo and other clothing
brands, among which
Pennyblack. Feltrinelli, then,
set the foundations for a series
of interesting initiatives. From
setting some scenes in a
library, to organizing tours
inside libraries, to distributing
exclusive merchandise. It was
also a way to bring teenagers
closer to the publishing world,
since they’re known for not
reading much. And also video
blogs, and production notes.
All of this is to make you
understand that the Branded
Entertainment project is
authentic, yet multi-branded.
The biggest satisfaction is that
the artistic product was not
devalued. The premise that we
always told from the beginning
to our partners was that there
was to be no interference with
the works of our staff. We
asked for complete carte
blanche, and one of the first
ones to give it to us was
Linus, the artistic director
of DeejayTv.
But how and when did Freaks!
and Show Reel meet?
Scilla was the first one to talk
to me about it, in November
2010. We were just starting to
work together and he told me
that he had this project that he
wanted to propose to me.
I said “Ok, let’s talk about it”,
but then he had some second
thoughts. He told me that he
wanted to consult his partners
first, whom are Claudio,
Matteo and Giampaolo, as you
all know very well. After some
time we all met, both my
partners and I liked the idea,
and following my previous
reasoning I told them “Ok,
we’ll help you, but we don’t
want to see anything until you
come to us with the final
product”. So we started
working, separately.
I worked with my team
on communications and
marketing, they worked on their
own on the series. I would like
to underline the fact that they
created the first season by
themselves, with no more than
two thousand euro. I saw the
first episode in a hotel in
Rome, three days before it went
viral. And right then and there I
realized that we had done a
great deal, and did the right
thing to let them have
complete freedom, which is
something that anyone would
want, especially at that age.
So, for the first season we only
financed all the marketing and
communications costs.
Essentially, how much was the
turnover?
In terms of advertising and
word of mouth between
companies, a lot. Yet, in
economic terms nothing,
neither for us nor the creators.
Of course, the total value of the
107
English version
operation is around one million
euro and a half, but I have to
say that the fact that the actors
were paid minimum wage
helped a lot, while skilled
workers were promised
refunds. Suppliers were given
visibility in the final credits.
Think about the enthusiasm,
we’re talking about technicians,
so not a group of people that
had immediate advantage.
They simply did it for the fun of
it. If they hadn’t, we wouldn’t
have been able to complete the
project, especially because
most of our budget was spent
on taxes…
In your opinion, what’s the
main reason of the series’
success?
Certainly, the fact that we were
the first ones in our country.
Don’t forget that Freaks! is the
first sci-fi series after Spazio
1999, which was a coproduction with Britain in 1973,
almost 40 years ago. But it also
has a very captivating plot, with
a mystery line that’s intriguing
but at the same time
entertaining. Do you know the
No. 1 comment viewers leave
beneath our videos?
Please tell me…
“I didn’t understand a f——-g
thing, but it’s awesome!”
And how do you see the future
of the web series in Italy?
I see it as a way of promoting
oneself, a means to show one’s
talent. At the moment, it’s early
to speak about a rising
industry, because the number
of views in Italy, although high,
are not enough to start a
production based only on
banners and pre-roll. Further,
let me be a little polemic here
this time towards the young
Italian generation, sometimes
they are a little too naïve and
blind, because if a project
comes from the US financed by
Coca-Cola then there’s no
problem, and they welcome it
with open arms. While in Italy,
they think that everything
should be produced without
sponsors and shared for free.
What are they
complaining about?
Some communities consider
108
the cast of Freaks! as “sold”,
because now the series is
broadcasted on TV, or maybe
because they see the sponsors’
ads on the web site. It’s a
quality product, which has cost
us money and sacrifices, and
they cannot expect to have it
for free, without having the
company’s logo alongside. The
most important thing in Freaks!
second season, is that there
are still companies and people
who believe in young talents.
It’s important to show that
with the crisis we’re facing, the
fact that different
complementary companies
came together – without
interfering with each other – to
fulfill the dream of a group of
young actors in Italy, is
practically a miracle. I’m
honored to have met those
talented “under 25”, and to
have been able to
communicate their and our
enthusiasm to the company
managers that decided to
follow and support us. We were
able to do something that
hadn’t happened since the 90s,
when the deceased - alas! recording industry used to
fulfill kids’ dreams. Piracy is
also a cultural issue. In Italy,
especially teenagers are way
too used to download
everything illegally, without
spending a cent. It’s a tendency
that we can’t fight, but that is
certainly killing quality. Think
about the CD’s that came out
in the 90s and compare them
to those of today. Recent
studies show that 14million
people every month watch
movies on the internet. Well,
these are still low numbers. We
claim success with only
10thousand views, while
overseas you have to have at
least 10million views. This
means that a product by itself
cannot survive only on
YouTube advertisement, and
it’s necessary to apply different
models just like we did
with Freaks!
What’s in store for Show Reel?
I can’t say much, I don’t want
to jinx it. Plus, our next projects
are under strict obligation of
confidentiality. Right now,
December 2012, all I can say is
that a big portion of the Italian
entertainment, with Italian
funds, has seen in Show Reel
a business able to do research
and development like no one
can, and has decided to
finance us.
Online reference:
www.freakstheseries.com
www.show-reel.it
We want
Kubrick
Ludovico Bessegato,
Creator, Artistic
Director and Chief
Editor of Magnolia
Fiction, and Fabrizio
Luisi, author and
performer in some of
Italy’s most successful
web series, have
recently worked
together on the series
Kubrick – Una
Storia Porno.
by Valerio Orsolini
›› Page 43
T
he phenomenon is
rapidly spreading
around the world
since 2009, when the
International Academy of Web
Television (IAWTV) presented
the Streamy Awards, an annual
event that awards the best web
productions, for the categories
Best Director, Actor, Production
and Screenplay. Italy has yet to
have an international leading
role in this field. To know what
the Italian situation is, we sat
down for a chat with “those
from Kubrick”.
Fabrizio, Ludovico, tell us about
what you do and why you
chose this title for the series.
F: We wanted a title that was
high and low at the same time.
Which is also one of the themes
of the series: to understand that
sometimes intellectual
ambitions are cold and empty
and even a bit ridiculous, and
instead what you thought was
actually not worthy has its
nobility and value that allows
you to express your merit.
L: The authors came up with
plenty of titles. Some were too
bold, others too polished. At
some point we all thought that
the title was going to be “A Porn
Story”, but the legal department
encountered difficulties in
having the contracts signed with
that title. So, we went back to a
previous option, precisely
Kubrick, which refers to a line
said in the first episode of the
series.
Other Italian web series are,
for example Faccialibro, The
Pills: could you please define
what you mean with web
series and explain whether
there’s a difference with other
medias that also make use of
videos.
F: We’re still in a pioneering,
experimental, derivative phase.
I think that all the “rules on
how to make a movie on
internet” known at the moment
are unfounded - for example,
shortness. And what about
Kony 2012? What if Breaking
Bad were to be broadcasted on
YouTube? Does that mean I
wouldn’t watch it because it’s
too long? We can certainly talk
about screenplay and
production quality, the strength
of the idea, the inner rhythm,
the production and distribution
choices, the authority of who
creates and distributes. Which
can very well be an amateur
authority, which is actually
preferable because it implies a
challenge, and hence becomes
a story in itself, which will
transform the audience
into fans.
L: These are complex questions
to which we’ll find answers
only in a couple of years. In
fact, web series in Italy are
serialized video-stories,
broadcasted mostly over the
internet. Up until now the
common characteristics are
shortness, affordability, “dirty”
language and the young age of
the producers. But I’m sure
that with time, those will no
longer be exclusive paradigms.
Even the first free radio
stations had those same
characteristics, then we all
know what happened.
The series deals with universal
themes. So tell us why you’ve
English version
chosen to talk about porn.
Perhaps because sex is one of
the most popular and googled
arguments online?
F: We liked the idea of a porn
story because it allowed us to
talk about sex. It’s one of the
most constant things in our
lives, in so many ways, and at
the same time there’s little talk
about it. It’s used a lot, yet not
spoken about.
L: Everybody is interested in
porn, it guarantees so many
funny occasions, but it’s rarely
faced in drama. Hence, three
perfect reasons to talk
about it, right?
In web series, generally
there’s a lot of explicit
references to the internet. In
“Lost in Google”, the viewers’
comments contribute in
creating the series’ plot. In
this sense Kubrick seems to
be a step behind.
F: Ah, I like this assertion! I
don’t believe that interactivity is
an essential web series
element. Its use is still in a
testing phase. It’s like saying
that the core of cinema is to
scare the viewers by showing
them trains heading towards
them. That, too. But it’s not the
only thing that we’ve learned
after more than a century of
practice. Specific elements of
the web are, at least for me,
horizontality, fastness, visibility,
participation, collective
intelligence… But I could go on
for hours.
L: I don’t agree on the fact that
it’s done most of the time.
Among the series that you
mentioned, “Lost in Google” is
the only one that uses a
mechanism that emphasizes
the media as it does. And I
don’t believe that Kubrick is a
step behind. If Italy were a
country where television
promoted and hosted all kinds
of series, then it would be
foolish to make a series that
doesn’t consider its media.
But, because our television is
very closed, the web becomes
an exclusive place of freedom.
Kubrick, a web series with
three pilot episodes: future
hypothesis.
F: The series went really well.
We’re looking for someone that
will produce it. Networks,
television, cinema: any media
is able to tell this story.
L: Kubrick’s future is still foggy.
We’re still waiting to hear from
the networks, but we’re
dreaming of taking it to the
cinema. We’re looking for the
best way to use the credibility
that we’ve conquered.
With the new technologies –
and I’m mainly thinking about
mobile technology – what
changes will take place in the
production of web series?
Language, shots, screenplays,
more?
F: The concept will be
growingly important, and it will
need to be a good story, but at
the same time there needs to
be a good staging and
distribution idea. Everything
will have to be right from the
beginning, coherent and
effective. The first 30 seconds
are the most important when
on a mobile phone. Plus, the
mobile is also a social tool. So
besides liking the video, you’ll
also need to share it
with others.
L: I believe that the biggest
change will concern the
shortness of the product. And
also, there will be a great
research on internal elements
that will help it go viral.
In Italy, the themes discussed
in most TV series keep in
mind TV viewers, which are
usually made up of adults and,
it is said, with a not so clever
cultural background. Does
that mean that web series will
struggle to conquer their
space on TV? At least on
“general” Television?
F: Yes, but that’s ok. General
TV does a lot to entertain my
88 year old granny. Except that
I buy so much more than my
granny. If there were a rating
system, like the one they have
in America, that would reward
the quality of the public rather
than the quantity, and
something would definitely
change. More often than not,
web series aim to an audience
that the advertising companies
consider more “valuable”:
usually it’s young adults open
to new experiences and with a
great “narrative culture”
(books, comics, cinema,
videogames, it doesn’t matter).
Having said this, I would also
like advertising budgets to shift
towards the Internet. The time
is here. Come on, show
some courage!
L: Yes, absolutely. But it’s
merely a numeric problem.
Prime time movies are seen
by some millions of people.
A web series, usually by some
hundreds of thousands, and
it’s great. Commercial TV only
works on big numbers. But you
have to be careful to
overestimate internet views.
YouTube is also Nyan Cat,
Mentos e Cani Parlanti’s
kingdom, certainly not the
Dardenne’s movies.
At the end of the third and, for
now, last episode of the series,
Kubrick’s authors ask
to write “We want
Kubrick” in the comments
to the video: those who
expressed their appreciation of
the series are
already a couple of thousand.
This article is our “We want
Kubrick”, hoping that there will
be more
content and media
able to express new
ideas, while we wait for Italy to
win its first Streamy Award.
Anyway, if Kubrick – Una
Storia Porno.
has tickled your curiosity,
hop on
www.webseriestv.it/kubrick-aporn-story
to better understand it,
so that you, too, can say
“we want Kubrick”.
Salvatore
Giuliano
to the ebook
revolution
An essay by Tullio
Kezich and Alessandra
Levantesi
on the legendary 1962
feature film opens
a new digital collection
by Luce Cinecittà.
by Paola Ruggiero
›› Page 54
T
he technological era
has invaded the
swampy world of
publishing. The
growing diffusion of tablets and
e-readers is changing readers’
habits. As for all revolutions,
even this has its supporters
and opponents. In this initial
step, the major issue concerns
editors, frightened by the
growth of piracy that has
already sent viral a great
number of titles, but also
bookshops and users
themselves: an entire system
that needs to restructure in
a very short time to face the
changes that are taking place.
The natural resistance of those
who love printed paper, and its
nearly fetishist connotation, will
still preserve the market share
where traditional books are
considered irreplaceable. Even
authors have different opinions
when facing these changes.
On L’Espresso, Umberto Eco
wrote, “Paper books are more
human… there’s quite a
difference when touching or
109
English version
leafing through a book that just
left the printing room, rather
than hold a USB key. Or find a
book we read years earlier with
all our notes on the side, giving
us the same emotions of the
time, rather than reading the
same book in Times New
Roman 12, on a pc screen.”
Erri De Luca has different
opinions, as asserted in an
interview to Gazzetta di Parma,
“Habits are difficult to change
and the suspicion towards
innovation is always deeply
rooted in all of us. New
readers, that are just beginning
their relation with books in
electronic format, will soon get
used to it.” One thing is sure:
this change cannot be ignored.
For many years, Luce Cinecittà
has been committed to
publishing monographic and
thematic collections. Today, it
enters digital publishing with
the release of an e-book on
Salvatore Giuliano of 1999
edited by Tullio Kezich in
collaboration with Alessandra
Levantesi, and published in
paper format by former
Cinecittà Holding, today Luce
Cinecittà. In this new digital
format, the volume dedicated
to the homonymous 1962
feature film by Francesco Rosi
was enriched by footage
selected among the extremely
vast Luce archive curated by
Lorenzo Codelli. The publishing
of this e-book that will launch
on major platforms with free
access will be the first of a
digital collection that Luce
Cinecittà will be editing and
that can boast an extra value
thanks to its rich archive
material. The Salvatore
Giuliano e-book will be
available at the end of the
month, opening Luce Cinecittà
to the new publishing
landscape, since, as Woody
Allen says, “I believe that new
technologies offer great
opportunities, but conceal
major dangers. The trick is to
try to seize the opportunities,
avoid dangers and get back
home in time for dinner.”
110
Interview with
Francesco Rosi
Salvatore
Giuliano,
when cinema
seeks truth
by Paola Ruggiero
›› Page 55
When your picture “Salvatore
Giuliano” was released,
Leonardo Sciascia defined it,
“the most authentic movie that
cinema has ever given as an
account of Sicily. Never had
Sicily been described with such
realism.” How was the project
on the bandit
Giuliano decided?
The project came up because in
those years Salvatore Giuliano
was part of the topical interests
of the Country. The possibility to
face problems such as
separatism in a difficult and
complex region as Sicily, and
from that make a movie focused
on Salvatore Giuliano, seemed
very important to me as a way to
meander through the history of
Italy, and from a realistic point of
view. There was a general
interest for these kind of issues,
but Cristaldi and I decided to
face the matter with a movie.
Initially, the script was supposed
to be written by Franco Solinas,
Suso Cecchi D’Amico, Enzo
Provenzale and Francesco Rosi.
Soon, I felt I wanted to follow
my idea for the story, without
having to compare notes with
co-writers, since I had such a
specific and personal idea of the
structure that I would eventually
follow as a director. So that’s
what I did. In the end, they all
agreed. In the book Salvatore
Giuliano there’s an assertion by
Franco Solinas when he
mentions that the idea of the
narration was Rosi’s.
On its cover story, the weekly
L’Europeo stated, “One thing is
sure: he’s dead.” This certainty
was eventually debated, and in
2010 an investigation was
opened again and the corpse
of Salvatore Giuliano exhumed.
The DNA results however
didn’t give final answers. Some
say that his brother was killed
in his place. What’s your idea?
These conjectures are part of the
past. The press gave a lot of
attention to the matter, and
even more the judicial system.
So I don’t feel I can have my
own personal opinion, also
considering that the
investigation is still open.
According to me, Salvatore
Giuliano was the character
I recreated through the facts that
I personally verified, because,
due to the historical difficulty of
the story, I needed to create the
character by finding inspiration
in the relation I created with the
places the story took place in.
That was the only way I could
actually gather testimonies of
those who had lived during
those years.
The movie was shot on location
in Montelepre, Castelvetrano
and Portella della Ginestra.
Through the story of Salvatore
Giuliano, the movie
investigates the political issues
that determined it. Was it
difficult to gather the
testimonies you’re mentioning?
When interviewing real people
there’s always some suspicion
or resistance at the beginning,
or even enthusiasm, which is
dangerous, because it betrays a
certain desire to be in the
spotlight, which could distort
the story. Together with my
collaborators, I went to
Montelepre many times while
writing the story. I went to see
what Portella della Ginestra was,
who the farmers involved in the
massacre were. I tried to collect
all possible information, and
gather evidence as objectively
as possible, and I believe
I succeeded.
First you shot Salvatore
Giuliano, nearly ten years later
Il caso Mattei and Lucky
Luciano. You often center your
political pictures on well-known
historical characters. If you
were to make another movie on
a contemporary historical
personality, who would you
choose?
Within the Italian political
landscape, during the past 50
years there are personalities that
left a significant and crucial step
in the course of our history.
Andreotti, for example. What
really matters, however, is to
make responsible choices to
offer a true portrait. Even
Sorrentino in Il divo – a truly
nice and interesting movie –
paid more attention to
describing Andreotti as a
movie character, rather than
a realistic one.
Your cinema is defined as the
highest example of socially
committed cinema. How would
you define it?
It isn’t easy to define the
narrative or thematic trait of a
movie in the most accurate way.
I define my filmmaking a cinema
based on reality, which can
mean of a particular country,
policy, historical moment.
Do you believe there are
directors today that pursue
social commitment?
Many are interested in the
matter, but sometimes this can
become a weak representation
of the issue dealt with. Social
commitment, which comes
from Neorealism, is very
important and often present in
our cinema. Think about
Romanzo di una strage (2012)
by Marco Tullio Giordana, which
can be considered an example
of the genre, which I believe,
was criticized in an
uncertain way.
The book that Kezich curated
on your film Salvatore Giuliano
is about to become an e-book.
What do you think about digital
publishing?
Tullio Kezich , who worked on
the volume, wrote an extremely
interesting book, even from a
historical point of view. Perhaps
for a generational reason and
due to my cultural education,
I prefer paper books, because
books are even an object, a
physical entity. If books should
disappear it would be like
annulling the weight and value
of culture. I believe digital
publishing can and should flank
traditional publishing, not
substitute it.
You were recently awarded with
a Golden Lion for Lifetime
Achievement, a prestigious
recognition that awards your
English version
artistic career. What were your
feelings in regards?
It is a great recognition for my
filmmaking. I’m proud of it.
Some said it could have arrived
earlier, but I don’t think time
is important.
Broadening
horizons
thanks to
festivalmarkets
International
co-productions and
new markets, like
China, open an
interesting prospective
for the future of the
Indie-Film industry:
what matters is
creating networking
opportunities.
by Federica D’Urso
and Francesca
Medolago Albani
(Ufficio Studi ANICA)
›› Page 62
A
re festivals still
useful or not? A
first indirect
answer comes
from export
data concerning Italian
contemporary movies: being
selected or furthermore
winning an award at an
international film festival can
help a movie’s notoriety and
sell more. A second answer
tips the scale towards festivals
with a market. In Europe, the
most important are Berlin,
Cannes, Rome, and more are
growing even in so-called
“target countries”. Markets
have a span that can be seen
as parallel to the competitive
artistic categories. In the past
years, debates opened to the
entire field of professionals,
true networking opportunities,
have increased, together with
B2B reports. An interesting
example took place during the
last Roma Festival, where
ANICA, The Business Street
and New Cinema Network
promoted an open conference
entitled “Film Financing
Around the World” with
worldwide representatives. The
theme was simple and
complex: how to finance a
movie today - traveling from
the extreme West to the
extreme East - in such a
complex moment of the history
of economy? Two are the main
paths possible, both presenting
ups and downs:
co-productions and the
great Chinese market.
As known, scouting for finance
is the main job of a producer,
the movie’s owner. Due to the
ontological unpredictability of
profits, the producer can rarely
support the entire economical
weight of a movie by himself.
Which explains the many and
varied financing methods a
movie can experience, whether
public or private, direct or
indirect, through institutions on
all territorial levels, financial
systems, insiders or outsiders.
Without getting into details, the
incumbents have certainly
expressed general fatigue over
the past years. The United
States and Europe, although
still in first place, seem to have
exhausted their classical
resources and are seeking new
roads to foster their
productions and broaden their
markets. On the other hand,
there are small yet very lively
film industries, such as
the Israeli, open to
innovative collaborations.
The most increasing solution
in Europe over the past
decades has been international
co-production: a tool that
Italian producers have actually
been exploiting for a short
time. Within the support system
to the film industry activated by
major international institutions
starting from the end of the
Eighties, there’s one that has the
objective of increasing
production and distribution of
European products. It’s
Eurimages Fund, founded in
1988 and managed by the
European Council: presently 35
European countries take part in
it, including Russia that entered
in 2011. Nearly 90% of yearly
resources of Eurimages is
destined to support coproductions. Financial support
concern feature films for theater
distribution, involving
production companies of at
least two member countries.
The support cannot exceed 17%
the production budget, up to a
maximum of 700,000 . The
support is offered as a loan, and
the beneficiaries need to return
in proportion to their profits.
It’s well-known that Italian
producers have practically no
access to Eurimages Funds.
To the many and articulated
reasons that are asserted to
explain such inefficiency –
mainly referring to the limited
diffusion of the Italian
language, to the rigid system
of domestic financing, and the
meager capacity of the creative
display to comply the
international market – a further
reason according to some
is indirectly based on the tax
credit law applied in Italy
since 2008.
Significant the case of The Best
Offer by Giuseppe Tornatore
produced by Paco
Cinematografica, released in
Italy on January 1st, 2013. In this
case, the producer deliberately
chose not to enter a coproduction: in spite of the fact
the cast is entirely foreign, and
distribution is planned for the
international market, the movie
was entirely realized with
Italian resources and by an
Italian crew. Besides two
regional funds, the movie was
under tax credit for production
and distribution. According to
the producer Arturo Paglia, the
limitations of this type of
financing, which involves only
the Italian share, made it more
convenient to find all financing
on the domestic market, rather
than exploit co-productions
with foreign parties that not
only would have increased the
productions costs, but would
have kept shares of the movie,
reducing the sum that finds
benefit under the tax shelter.
Opposite the famous case of
This Must Be the Place, a movie
by Paolo Sorrentino awarded at
the 2011 Cannes Film Festival
and produced by Indigo with
Lucky Red and Medusa, an
emblematic case of a pluriinternational co-production
involving France, Ireland, and
the United States thanks to a
complex planning of direct and
indirect resources coming from
each country involved in the
production. The movie also
received money from
Euroimages Funds.
In Italy, as in other countries
that activated tax shelters, the
idea is to discourage coproductions. This should be
something the industry should
think over in a nearby future.
The business commitment
required by an international coproduction is important – both
on an artistic and management
level – and is fundamental in
the valuation of the entire
costs/benefits of the project.
Naturally, if co-production is an
alternative for major countries
that produce cinema, for
smaller or emerging countries
it’s a fundamental tool for the
sustainability of quality
filmmaking in order
to compete on
international markets.
The United States have
certainly dominated the history
of last century’s cinema,
thanks to a potential market
that cannot be compared to
other western countries neither
for dimension nor budget, also
supported by an economy
based on a free market that
exports, through film and
television products, even a
cultural model. Cause-effect
was the reason behind the
powerful growth of the
Studios, a complete and
complex system based
on an industrial structure
that developed, produced,
and distributed an amazing
number of films conquering
major market shares both
within the domestic and single
Western markets.
Studios that continue working
at a high rhythm have faced a
major competitor over the past
decade in its own house: the
Indie industry, that found in
the Sundance Institute –
founded in the beginning of
the Eighties by Robert Redford
– a fundamental role for its
111
English version
development and international
visibility. In spite of the
primate of the Majors, a group
of Indie producers that make
low budget movies (1 million
dollars per film vs. the 20
million of a Studios movie)
and that need to exploit their
own creative talents to put
together a financial plan has
been growing. The main
source of financing, in the
absence of direct public
support, lies in foundations
and private organizations
within the country, several
equity systems, and tax credits
that exist in some of the US
states, plus the coveted money
awarded to festival winners.1
In USA, the trend leads to a
valorization of the creativity of
an Indie producer, who needs to
survive side to side with major
hyper-structured colossus,
which although owners of a high
share of the market, seem to be
getting quite tired.
At the same time, as in all other
economy sectors, the China
phenomenon is exploding: in
the past ten years the Chinese
film industry has grown
extraordinarily both in numbers
and in box-office results. In 2011
791 movies were produced and
collected 1.63 billion Euros with
an increase of 28% compared
to the previous year. The profits
made with government
financing was 875 million
Euros, +53% compared to 2010.
The average budget for a movie
that will certainly be successful
in China is anywhere between
2.5 and 5 million Euros. To
understand the dimensions of
this market in depth, an average
successful movie is distributed
in exhibits in nearly 8,000
prints. The public contribution
to production is therefore
fundamental in the
development of the Chinese
film industry and the need
expressed by major producers
or the few Indie filmmakers of
this market is to balance the
phenomenon through an
increase of private resources
and through access to the
international market.
Besides the significant direct
public financing that covers
most of the mainstream movies
112
Eurimages support to co-productions, 2006-2012
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
N.co-productions supported
56
61
57
55
56
72
68
N. co-productions supported
with Italian participation
15
11
10
7
10
8
7
€19.265.500
€21.508.000
€20.200.000
€19.460.000
€19.260.000
€22.350.000
€21.710.000
€6.683.500
€5.505.000
€4.214.000
€3.100.000
€3.810.000
€3.260.000
€2.840.000
Tot. support to
co-productions
Tot. support to
co-productions
with Italian participation
budgets, presently in China
other two sources for a
producer are bank financing –
available however only for films
directed by famous directors –
and several investment funds,
that puts together many small
investments that would
otherwise go lost. One of the
great themes that puts together
the phenomenon is the control
operated on the market by the
government that, besides
offering major contributions,
acts through two tools:
censorship and import shares,
according to which every year a
maximum of 30 foreign movies
can enter the Chinese market.
Opening to foreign film
industries seems to be the true
goal of the Chinese film
industry. The most immediate
requests are, on one hand, coproductions – a very useful
access key to the Chinese
market for the foreign partner,
since movies co-produced with
China are not part of the import
shares – and on the other hand
festivals and international
markets. Opening to foreign
markets is one of the most
important aspects of a festival’s
value, and the example of China
offers a positive answer to the
starting point of this discussion.
1
For an in-depth analysis of tax
incentive plans in major European
countries and in several USA states,
check Chapter 1 of the essay LE
RICADUTE DEL TAX CREDIT.
L’impatto economico delle forme
di incentivazione alla produzione
cinematografica, ANICA – MiBAC
DGCinema – LUISS Business School,
2012. Available online here:
http://www.anica.it/online/tax_credit/L
E%20RICADUTE%20DEL%20TAX%2
0CREDIT.pdf
Tax credit
in USA States
bile
feri
tras
Alabama
Alaska
Arizona
California*
Connecticut
Georgia
Hawaii
Illinois
Indiana
Iowa
Kansas
Kentucky
Louisiana
Massachussetts
Michigan
Missouri
Montana
New Jersey
New Mexico
New York
North Carolina
Ohio
Pennsylvania
Rhode Island
Tennessee
Utah
West Virginia
Wisconsin
totale
14
Source: Special Report Movie
Production Incentives
15
le
abi
ors
b
rim
Sul prossimo numerO
in uscita a marzo 2013
SCENARI
Chi ha paura del successo?
Perchè in Italia si fa così fatica a conciliare qualità e quantità?
INNOVAZIONI
I fan film.
Di che storie ha bisogno il cinema italiano?
FOCUS
Come funziona il cinema in Russia.
(Gary Cooper in Mr. Deeds Goes to Town,
1936, di Frank Capra)
ISSN 2281-5597
9
772281 559003
30002
Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -70% - Aut. GIPA/C/RM/04/2013
" Le persone celebri
non bisogna mai
guardarle da vicino"
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