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di - 8½
Numeri Festival, rassegne e contributi pubblici Non solo Freaks! Indagine sulle web series italiane Geografie del cinema Focus sul cinema svedese Cinema e web Mashup trailer febbraio 2013 5,50 € Engli numero 2 NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO e s sid n i t x e ht SERVONO ANCORA A QUALCOSA I FESTIVAL DEL CINEMA? EDITORIALE di Gianni Canova PORSI LE DOMANDE GIUSTE. ANCHE QUANDO NON CI PIACCIONO. a domanda che ci interrogava dalla copertina del numero 1 di 8 ½ (“Siamo un paese di analfabeti filmici?”) era di fatto una domanda retorica. Implicava una risposta desolantemente affermativa. Nasceva dalla consapevolezza dell’urgenza di porre in primo piano, nel nostro paese, la questione della formazione e dell’alfabetizzazione al cinema e agli audiovisivi. Sulla copertina del numero 2 c’è invece una domanda (“Servono ancora a qualcosa i festival del cinema?”) che non consente risposte altrettanto nette e univoche. Perchè i festival del cinema non sono tutti uguali. Non hanno tutti né la medesima storia né un’ana- L loga funzione. Alla domanda se servono ancora a qualcosa, non si può rispondere con un sì o con un no. Bisogna fare distinzioni, articolare ragionamenti, tener d’occhio dettagli e sfumature. L’importante è porsela, una domanda del genere. E 8 ½ lo fa: coerente con la sua missione (e ambizione) di voler essere una testata che pone problemi, apre confronti e innesca riflessioni. Senza pregiudizi, senza preconcetti. Senza guardare in faccia nessuno. Ma nella convinzione che una delle cose che maggiormente servono oggi al cinema italiano sia la capacità di alzare la qualità dei discorsi sociali che esso è in grado di produrre e di stimolare. Le reazioni che abbiamo ricevuto dopo l’uscita del primo numero ci dicono che abbiamo imboccato la strada giusta, che 8 ½ può davvero colmare un vuoto e funzionare da volano per la promozione reputazionale del nostro cinema anche fuori dai confini nazionali. In questo secondo numero – non a caso – alcune copie della rivista escono con parecchie pagine tradotte in inglese: le manderemo al Festival di Berlino, ma in futuro saremo presenti con la versione bilingue anche a Cannes, Venezia, Roma e ad altri grandi festival internazionali. Ma 8 ½ sarà distribuita anche presso gli Istituti italiani di cultura sparsi un po’ in tutto il mondo, e in tutte le istituzioni che hanno rapporti e relazioni con il cinema italiano. Siamo convinti che questo sforzo possa servire a marcare una presenza non solo rituale, ma desiderosa di intervenire nel cuore dei problemi e di generare attenzione e riflessione. Questo, almeno, è il nostro auspicio. Anche in questo numero cerchiamo di segnalare le novità positive e i giovani talenti che si affacciano sulla scena della produzione: nel numero 1 segnalavamo la new wave dell’animazione italiana, nel numero 2 diamo invece spazio e voce agli autori di alcune delle web series di maggior successo, spesso frutto di coraggiose operazioni produttive e comunque piene di talento genuino, originale, non stereotipato. Ci piacerebbe riuscire ad essere appassionati senza essere corporativi, spregiudicati ma non velleitari, problematici ma non autolesionisti. Sarà chi ci legge a dirci se ne siamo capaci oppure no. 1 SOMMARIO 06 VIALE DEL TRAMONTO di G.C. 13 I FESTIVAL COME IMPRESA di Mario Abis 07 QUESTIONARIO DAI CLASSICI... AI CONTEMPORANEI 14 ELOGIO DEI PICCOLI FESTIVAL, DOVE LA GENTE VA PER VEDERE I FILM. di Maurizio Sciarra EDITORIALE 08 01 PORSI LE DOMANDE GIUSTE. ANCHE QUANDO NON CI PIACCIONO. di Gianni Canova 09 10 SCENARI 04 ANCHE I LEONI INVECCHIANO, ANCHE LE PALME INGIALLISCONO... di Gianni Canova IL RED CARPET? NON È UNO SPERPERO, PERCHÉ CI FA SOGNARE di Lorenza Sebastiani IL RED CARPET? UN AMMASSO DI POLVERE E MICROBI di Roberta Ronconi VIE D’USCITA DALLA LITURGIA SENZA FEDE DELL’EVENTO VECCHIO STILE di Giorgio Gosetti 16 24 RED CARPET? NO GRAZIE. RISORSE? INSUFFICIENTI. di Stefano Stefanutto Rosa 34 OLTRE GLI APOCALITTICI: L’EUROPA DEI SUPER INTEGRATI di Andrea Bellavita 36 PLAYLIST PILLOLE DAL MONDO DELLE WEB SERIES ITALIANE di Nicole Bianchi e Andrea Guglielmino COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO 26 DIETER KOSSLICK di Micaela Taroni INNOVAZIONI 30 CI SALVERANNO LE WEB SERIES? di Rocco Moccagatta 47 COME LO STATO SOSTIENE LE MANIFESTAZIONI DI PROMOZIONE CINEMATOGRAFICA di Iole Maria Giannattasio FREAK OUT: LE BRAND, C’EST TREND! 48 IL CONTRIBUTO INTERVISTA A PUBBLICO A LUCIANO MASSA FESTIVAL E di Andrea Guglielmino RASSEGNE 43 VOGLIAMO di I.M.G. KUBRICK 50 LE CANDIDATURE di Valerio Orsolini E I PREMI CHE DANNO PUNTEGGIO AUTOMATICO NEL REFERENCE SYSTEM 40 I PREMI NON SONO TUTTO. MA AIUTANO. INTERVISTA A PAOLA CORVINO di Michela Greco NUMERI 8½ NUMERI, VISIONI E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO Mensile d’informazione e cultura cinematografica Iniziativa editoriale realizzata da Istituto Luce-Cinecittà in collaborazione con ANICA e Direzione Generale Cinema Direttore Responsabile Giancarlo Di Gregorio Capo Redattore Stefano Stefanutto Rosa Coordinamento editoriale Nicole Bianchi Direttore Editoriale Gianni Canova In Redazione Carmen Diotaiuti Andrea Guglielmino Traduzioni Adele Dorothy Ciampa Vice Direttore Responsabile Cristiana Paternò Coordinamento redazionale DGCinema Andrea Corrado Hanno collaborato Mario Abis, Andrea Bellavita, Giulio Bursi, Federica D'Urso, Iole Maria Giannattasio, Giorgio Gosetti, Michela Greco, Jan Lumholdt, Francesca Medolago, Albani, Rocco Moccagatta, Stefano Mordini, Valerio Orsolini, Alberto Pezzotta, Giovanni Marco Piemontese, Ilaria Ravarino, Rossella Rinaldi, Roberta Ronconi, Paola Ruggiero, Maurizio Sciarra, Lorenza Sebastiani, Micaela Taroni SOMMARIO 51 53 IL BOX OFFICE DEI FILM DI INTERESSE CULTURALE di Andrea Corrado BILANCIO DI UN ANNO: LA RECESSIONE NON FRENA CREATIVITÀ E TALENTI di A.C. 57 58 MEMORIA DIGITALE 55 SALVATORE GIULIANO ALLA RIVOLUZIONE DELL’EBOOK di Paola Ruggiero 62 ALLARGARE GLI ORIZZONTI GRAZIE AI FESTIVAL-MERCATO di Federica D’Urso e Francesca Medolago Albani (Ufficio Studi ANICA) 60 Cinema italiano nei festival stranieri 76 84 Progetto Creativo 19novanta communication partners Creative Director Bruno Capezzuoli Designer Giulia Arimattei, Matteo Cianfarani, Lorenzo Mauro Di Rese, Simona Merlini PUNTI DI VISTA 90 ESERCENTI RESISTENTI di Stefano Mordini 92 LA CENSURA NON MUORE MAI di Alberto Pezzotta 95 BIOGRAFIE ADATTAMENTO 2.0 di Ilaria Ravarino GEOGRAFIE 78 GLI ITALIANI CHE PIACCIONO A REDFORD di R.R. QUERIDO CINEMA ITALIANO di R.R. INTERVISTA AL PRODUTTORE FREDRIK WIKSTRÖM NICASTRO. di C.P. IL MARKETING DEL CINEMA ITALIANO LA GRANDE BELLEZZA DI LUCA MARINELLI di Rossella Rinaldi INTERVISTA A FRANCESCO ROSI. di P.P. Videoimpaginazione Valeria Ciardulli Import-export NEL MONDO 57 54 62 FOCUS 69 IL CASO SVEZIA 70 VOGLIA DI NOVITÀ E CACCIA ALLE REGISTE. MA IL PASSE-PARTOUT È IL NOIR NORDICO. di Cristiana Paternò 74 I LUOGHI DEL CINEMA di Nicole Bianchi INTERNET E NUOVI CONSUMI 86 EFFETTO FRANKENSTEIN: COSÌ IL WEB “RICUCE” IL TRAILER di Carmen Diotaiuti COSA CI MANCA? CINEMA ESPANSO UN LARS VON TRIER 80 LO SGUARDO TUTTO NOSTRO di Jan Lumholdt ESPANSO di Giulio Bursi Stampa ed allestimento Arti Grafiche La Moderna Via di Tor Cervara, 171 00155 Roma Distribuzione in libreria Joo Distribuzione Via F.Argelati,35 Milano Direzione, Redazione, Amministrazione Istituto Luce-Cinecittà Srl Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma Tel. 06722861 fax: 067221883 [email protected] Registrazione presso il Tribunale di Roma n° 339/2012 del 7/12/2012 Per le immagini della sezione Scenari si ringrazia VENICE MOVIE STAR AWARD SCENARI Festival del cinema Anche i Leoni invecchiano, anche le Palme ingialliscono... di Gianni Canova Non incrementano gli incassi. Non attraggono nuovo pubblico. Faticano a scoprire e a valorizzare nuovi talenti. Aumentano di poco la reputazione dei vincitori. Forse è venuto il momento di interrogarsi - senza pregiudizi e senza preconcetti - sul senso presente e sulle prospettive future dei grandi festival del cinema europei. 4 n tempo servivano a promuovere il cinema e i film. A correggere le strozzature, le pigrizie e le miopie del mercato. Ma oggi? A cosa servono oggi i grandi Festival del Cinema? A guardare i dati degli incassi il panorama è sconfortante: dopo giorni e giorni di esposizione mediatica senza pari, i film di Venezia e di Cannes, di Roma e Berlino – anche quelli più acclamati e premiati – stentano al box-office, non attraggono nuovo pubblico, galleggiano su performance poco più che mediocri. Nello stesso tempo, manifestazioni culturali che hanno un’eco e una copertura mediatica infinitamente minore rispetto ai grandi festival del cinema (basti pensare anche solo ai vari festival della filosofia, della letteratura, dell’economia sparsi un po’ in tutta l’Italia) attraggono molto più pubblico “vero” (che non è quello degli addetti ai lavori) della Mostra di Venezia o del Festival di Roma. Perché? La risposta – se si vogliono chiamare le cose con il loro nome – è (relativamente) semplice ma, a suo modo, spietata: perché Festival come Venezia e Roma (ma lo stesso discorso vale per Cannes e Berlino) rischiano di apparire vecchi. Obsoleti. Per certi versi perfino pateticamente decrepiti. Di fatto, mantengono la stessa struttura e lo stesso concept di quando la Mostra di Venezia fu inventata dal conte Volpi per promuovere il turismo al Lido negli Anni Trenta del millennio scorso. In questi 80 anni è cambiato il cinema, è cambiato il mondo, siamo cambiati noi. È cambiato – radicalmente – il nostro modo di guardare, di percepire, di relazionarci al cinema e ai film. Loro, i festival, no. Loro sono ancora lì, con riti medievali come il red carpet (che è l’equivalente laico dell’apparizione della Madonna nelle liturgie folcloriche religiose), con la manutenzione di cerimoniali divistici che non stanno più in piedi, con la liturgia dell’evento e il gossip sul corpo mistico della star. Sono lì con le loro selezioni spesso conformiste e lottizzate. E con la loro ormai acclarata autoreferenzialità: più che a promuovere il cinema e i film, servono ormai soprattutto a promuovere se stessi. Servono ancora a qualcosa? Con questo servizio vorremmo provare ad aprire una discussione franca e costruttiva, incrociando il più possibile punti di vista contrastanti. Ma per farlo è necessario porre a tutti – anche a noi stessi – alcune domande ormai ineludibili. U 5 DOMANDE SCENARI // Festival del cinema 1. L’ossessione dell’ anteprima mondiale Da molti anni i grandi festival vivono nell’ossessione (e nell’orgoglio) di presentare i loro film in “anteprima mondiale”. È una tendenza che ha toccato il proprio apice all’ultimo Festival di Roma, con la promessa più volte ribadita, poi mancata, infine rinviata, di presentare in anteprima mondiale Django Unchained di Quentin Tarantino. Ma nell’era del web 2.0 il culto della “prima” – così locale e, in fondo, provinciale – non è divenuto di colpo obsoleto? Non sono maturi i tempi – lo chiediamo ai direttori dei grandi festival – per passare dalla filosofia del “far vedere per primi” a quella del “far vedere meglio”, del “far vedere di più” e – soprattutto – del “far vedere cose che altrimenti non vedremmo”? 2. La composizione delle Giurie Se si ripercorrono i Palmarès degli ultimi anni, balza all’occhio la sostanziale incapacità delle Giurie di fare scelte coraggiose, sorprendenti e al tempo stesso autorevoli. In molti casi i verdetti sono altamente discutibili. Rispondono a logiche incomprensibili al grande pubblico. Peccano di conformismo e di pavidità. Stentano a individuare il nuovo e a promuovere il talento (soprattutto se eretico…). A volte sorge il dubbio che la colpa di tutto ciò derivi almeno in parte anche dal modo in cui le Giurie vengono composte. Per dirla tutta: che competenza hanno certi artisti, certi musicisti, certi scrittori (che notoriamente non vanno mai al cinema) per individuare l’eccellenza nel panorama complesso del cinema contemporaneo? Perché i direttori dei grandi festival continuano a costruire Giurie che confermano il luogo comune (del tutto infondato…) secondo cui chiunque è in grado di giudicare – anche tecnicamente – un film? Perché nell’era in cui sul web spopolano i giudizi sommari – quelli espressi con il pollice verso – almeno nei festival non si creano o Giurie capaci di esprimere giudizi competenti oppure – una buona volta – Giurie popolari ma formate da forti consumatori di film? 3. L’effetto “soliti noti” Se si va a scorrere l’elenco dei film selezionati per il concorso nelle ultime edizioni dei grandi festival europei, si ha come l’impressione di trovarsi di fronte al “club dei soliti noti”. Se non, addirittura, a una festa di coscritti. Tra gli iscritti al club, se uno ha un film pronto te lo ritrovi puntualmente selezionato. O qui o là. Senza eccezioni. I nomi sono quasi sempre gli stessi, da Pedro Almodóvar ai fratelli Dardenne, da Aki Kaurismäki a Lars Von Trier. I debuttanti, se ci sono, li devi cercare con il lanternino. Gli esordienti sono una rarità. Il sospetto che nel meccanismo ci sia qualcosa che non va è non solo legittimo ma anche doveroso. 4. L’apartheid dei generi Nei grandi festival ormai si coltiva un solo genere: quello dei film da festival. Non c’è spazio per la commedia, l’horror, l’avventura, la fantascienza, per tutto ciò che è cinema-cinema, e che non pretende di cucinare predicozzi sui destini ultimi dell’universo mondo. Cannes, Venezia, Roma e Berlino dividono il cinema in una serie A e in una serie B. È una sorta di pulizia etnico-estetica dell’immaginario. Col risultato che alcuni dei film più interessanti e dei cineasti più innovativi di questi anni ai grandi festival non partecipano mai. Perché? 5. La spending review dei festival Nello scenario critico che l’economia mondiale sta attraversando, forse è venuto il momento di dire che anche i festival devono costare meno. Non credono i direttori che sia necessario ridurre i costi e attenuare le spese? Non pensano che sia opportuno spendere meno soldi per party e banchetti, o per desuete liturgie divistiche, e investire invece di più per sostenere e promuovere – anche dal punto di vista comunicazionale, visto che molti media non lo fanno più – il cinema di ricerca e i progetti veramente innovativi? 5 SCENARI // Festival del cinema Viale del tramonto di G.C. Il glamour della star non “tiene” più. Neanche la vittoria di un Oscar garantisce a un attore o a un’attrice un alto tasso di popolarità. 120 questionari compilati da studenti universitari confermano la labilità della memoria divistica e la maggior tenuta, al confronto, della memoria filmica. Ha ancora senso costruire un festival attorno al culto delle star? 6 assimo Girotti e Alida Valli ormai non li riconosce più nessuno. Meno di uno su dieci riconosce Ugo Tognazzi. E perfino Massimo Troisi, a meno di vent’anni dalla morte, viene ricordato e riconosciuto da poco più del 50 % degli intervistati. Senza avere pretese di rigorosa rappresentatività sociologica, il questionario distribuito a 120 studenti di varie università milanesi ha comunque un significativo valore sintomatologico: suona da un lato come conferma del sostanziale analfabetismo iconico che 8 ½ denunciava già nel primo numero fra le più gravi emergenze culturali italiane, ma rivela anche la tendenziale labilità della memoria divistica. Un’idea di cinema tutta costruita intorno al glamour della star non funziona più (ammesso che abbia mai funzionato): il culto divistico ha il fiato corto, si dissipa nell’arco di un paio di generazioni, non genera né memoria né cultura. Genera business e mercato? Non è detto. Nei 120 questionari distribuiti e compilati, gli studenti erano invitati a scrivere, accanto al nome dell’attore o dell’attrice, anche il titolo di almeno un film da questi interpretato. In moltissimi casi i ragazzi hanno scritto il titolo di un film, ma non il nome dell’interprete. Molti – per dire – non hanno riconosciuto il volto (o non hanno ricordato il nome…) di Anna Magnani, ma hanno scritto accanto alla sua immagine Roma città aperta o, in un paio di casi, La lupa, che per altro lei non ha mai interpretato. Accanto a Ingrid Bergman qualcuno ha scritto solo Casablanca. E potremmo continuare. Ciò significa che i film hanno una capacità di radicarsi nell’immaginario e nella memoria molto più forte delle star. Detto in M modo ancora più spiccio: è il film che traina la star, non viceversa. Il film viene ricordato molto più di colui (o colei) che l’ha interpretato. Ma se ciò è vero, ha ancora senso continuare a progettare festival (e a gestire la comunicazione mediatica sui festival) attorno al “culto delle star” e al rito del red carpet invece che sulla promozione dei film? Qualcuno potrebbe obiettare che i questionari analizzati riguardano divi del passato. È vero, ma la situazione non cambia di molto neanche con le star di oggi. Ai nostri 120 studenti è stato somministrato anche un test con le icone di 5 attori e 5 attrici del cinema contemporaneo. Questi, in ordine decrescente, i risultati dei “riconoscimenti”: Keira Knightley 105 su 120, Helena Bonham Carter 70 su 120, Julianne Moore 57 su 120, Cate Blanchett 55 su 120, Helen Hunt 37 su 120. Tra gli attori: Christian Bale 88 su 120, Colin Firth 81 su 120, Tim Roth 73 su 120, Viggo Mortensen 66 su 120, Jean Dujardin 13 su 120. Anche in questo caso spesso l’attore viene riconosciuto non in quanto tale ma in quanto interprete del tal film (Christian Bale è indicato in moti casi come “quello di Batman”, Colin Firth più per Il diario di Bridget Jones che per Il discorso del re, Tim Roth per Lie to Me). Neanche la vittoria recente di un premio Oscar garantisce un alto livello di popolarità, come dimostrano i riconoscimenti relativamente scarsi di Helen Hunt e, soprattutto, di Jean Dujardin. Sono dati che andrebbero meditati e analizzati con estrema attenzione. Soprattutto dai direttori di festival. E da quei caporedattori delle pagine spettacoli che continuano a pensare che la comunicazione da un festival debba incentrarsi tutta e solo attorno alle “apparizioni” delle star. SCENARI // Festival del cinema QUESTIONARIO Dai Classici... Ai Contemporanei Sono stati distribuiti 120 questionari, sempre a studenti universitari di varie facoltà (19-22 anni). Il questionario chiedeva di indicare per ciascuna foto il nome dell’attrice/attore ed un film interpretato. legenda le risposte in bianco le risposte esatte Per continuare il test, collegati al sito 8-mezzo.it A G 48 64 15 6 H B 0 0 I C 105 D E 81 J K 57 L 37 66 A Anna Magnani B Silvana Mangano C Alida Valli D Keira Knightley E Julianne Moore F Helen Hunt G Vittorio De Sica H Ugo Tognazzi I Massimo Girotti J Colin Firth K Tim Roth L Viggo Mortensen F 73 7 I l red carpet del cinema è un sogno. Rosso è il suo colore, quello della passione. E non potrebbe certo essere un altro. Sopra ci cammina chi ce l’ha fatta: attori, attrici, registi. Trasformando così quel tappeto rosso nel più grande generatore di invidia universale. È tutta una corsa all’esserci: dallo stilista che fa a gara per vestire l’attrice del momento, alla soubrette che si gode la gloria per essere riuscita a fidanzarsi col bell’attore di turno, allo sceneggiatore sempre dietro le quinte che sul red carpet una volta l’anno vive il suo quarto d’ora di “andywarholiana” celebrità. Il tappeto rosso ha le sue regole e anche la sua (sacrosanta) logica. E pertanto va protetto. Eschilo nel suo Agamennone fa camminare l’eroe su tappeti color porpora. Anche se oggi abbiamo altri eroi, il red carpet resta una passeggiata per sole divinità. Fa persino nascere mode e tendenze: di recente la cantante Elisa, alla prima romana del nuovo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, per il quale ha inciso il brano inedito Ancora qui scritto dal maestro Ennio Morricone, è apparsa sul red carpet mostrando ufficialmente il suo secondo pancione. Insomma la donna passeggia sulla passerella, quindi è ufficialmente consacrata a diva. Ma è ingrassata, rifatta, felice della propria esi- stenza? Il carpet risponde soprattutto a queste domande e ha quindi poco a che fare con il cinema, ma paradossalmente molto con la sua essenza. Incarna la sua radice onirica, il motivo stesso per cui è stato creato. Poco c’entra con la meritocrazia, il cinema serve per sognare non (solo) per educare. Che sia il Lido di Venezia o la montée des marches di Cannes quel che conta è consacrarsi a star di massima celebrità e possibilmente di fronte a tutti. E questo accade solo grazie a quel tappeto. C’è da dire, infine, che il red carpet è anche democratico. Sì, perché permette a tanti ammiratori di vedere le proprie star da davvero vicino e magari cercare di strappare loro un autografo. Non a caso quello della notte degli Oscar è il più famoso, al bordo del quale possono accostarsi solo pochi fortunati che sono riusciti a prenotarsi con largo anticipo. Quella passerella è una rara occasione di vicinanza col pubblico, accorcia le distanze sottolineando la lontananza tra “stelle” e persone comuni. Quindi sì, i festival di cinema servono a mantenere il cinema funzionalmente lontano dal popolo, per permettere al popolo di continuare a sognare. Ma non è uno “sperpero”, perché il cinema è esso stesso la forma di sperpero più sublime in circolazione. IL RED CARPET? Non è uno sperpero, perché ci fa sognare di Lorenza Sebastiani Eschilo nel suo Agamennone fa camminare l'eroe su tappeti color porpora. Anche se oggi abbiamo altri eroi, il red carpet resta una passeggiata per sole divinità. Eppure è anche democratico, perché permette al popolo di “accostare” i propri miti. 8 di Roberta Ronconi Il tappeto rosso, che evoca immagini da favola, è meno di niente, un pezzaccio di stoffa sporco. La differenza dunque la fa “il gioco” più antico e crudele di tutti i tempi: quello dell’esclusione. Chi è sul tappeto rosso vince, chi sta fuori, perde. Un ammasso di polvere e microbi I l red carpet è un gioco. Il gioco più antico e crudele del mondo, a cui tutti i bambini imparano a uniformarsi sin dai primi anni di vita. È il gioco delle linee, degli spazi, che delimitano il fuori e il dentro. Chi tocca la linea si ferma un giro, chi oltrepassa la linea è espulso, dentro la linea vinci. In concreto il red carpet, (tappeto rosso, per noi Italians) è un pezzaccio di stoffa, spesso assai polveroso, buttato in mezzo a una strada o sopra una scala di compensato costruita nottetempo. A Venezia percorre orizzontalmente il Palazzo del cinema del Lido, a Cannes si arrampica sulla scala di un edificio che, fuori festival, è brutto forte, a Roma scende la rampa dell’ingresso all’Auditorium, anonimissima se non fosse per gli arricchimenti artistici allestiti all’uopo. Di per sé, dunque, questo red carpet che evoca immagini da favola è meno di niente, un ammasso di polvere e microbi. La differenza dunque la fa una non dichiarata convenzione, “il gioco”, il più antico e crudele gioco di tutti i tempi: quello dell’esclusione. Chi è sul tappeto rosso vince, chi sta fuori, perde. Chi è sopra si veste da re, chi è sotto si veste da suddito. Ciò premesso, devo dire che a me la parte del gioco e dei giocatori che piace meno è proprio quella che normalmente si identifica con il red carpet, ovvero i divi-registi-produttori-press agent che fanno la parte dei re e delle regine. Se da un lato è vero che hanno il ruolo apparentemente migliore (soldi, vestiti, gioielli, macchine e tutto l’apparato mediatico addosso), il prezzo che pagano per questi privilegi (sic!) è l’abdicazione totale a se stessi. Eccoli lì, splendidi nei loro sorrisi abbaglianti, occhi seducenti, spacchi ammiccanti, tacchi circensi, smoking fascianti. Agitano magna- nimi la mano ai sudditi, giocano con i fotografi e carezzano teste di bambini mentre in realtà vorrebbero vomitare per le ulcere perforate dall’alcool, urlare per la paura dei troppi stalker, sotterrarsi per il disgusto verso se stessi, nascondersi dall’eccesso di falsità che li circonda. A volte, questa discrepanza tra vero e falso è talmente evidente da risultare patetica. A volte, quasi sempre, il gioco funziona e il povero sovrano riesce a trattenere il mal di pancia fino a casa. Ma anche lì, nel segreto della sua toilette, un paparazzo lo aspetta. Assai più tranquilla ed equilibrata la posizione dei sudditi, che fanno la loro parte di popolo adorante per qualche secondo e poi se ne tornano felici ai fatti propri. Con qualche eccezione per i “sudditi” cannensi che, al contrario di quelli veneziani o romani, si “mettono in parte” sin dalla mattinata. Eccoli lì, alle dieci di mattina già piazzati lungo i marciapiedi della Croisette con le loro seggioline, ombrellino parasole, busta con frutta e panini, macchinetta fotografica, bambini urlanti legati alla catena, nella speranza di vedere Brad e Angelina salire la scalinata rossa verso le 20. Dieci ore seduti a bivaccare, con le limousine che sfiorano i marciapiedi per evitare stragi inopportune, a principale discapito dei più sfigati partecipanti al gioco: noi, i cronisti cinematografici. Noi, che ci svegliamo all’alba e ci corichiamo a notte fonda, che passiamo tutta la giornata a dribblare sovrani e popolani, che vediamo tanti di quei fotogrammi da confondere, a sera, Gesù con un avatar. Noi, che il gioco lo annusiamo appena e poi corriamo a raccontarlo dalle stanze affollate dei terminali. Sperando che quella limousine che sta arrivando a tutta velocità ci lasci campare almeno fino al prossimo festival. L RED CARPET 9 SCENARI // Festival del cinema Vie d’uscita dalla liturgia senza fede dell’evento vecchio stile Stefano Micozzi - Soggetto: John Woo, Marco Müller - 8th Venice Movie stars Award di Giorgio Gosetti 10 A cosa serve un festival se la novità si scopre sul web, se l’eco di un nuovo talento viaggia in tempo reale da un capo all’altro del mondo, se la comunicazione globalizzata spinge la volontà di potenza dei selezionatori ad aspirare, sempre, a uno ius primae noctis terribilmente solipsista? Forse si può cedere un po’del proprio potere locale per favorire l’idea del festival-circuito. e formule danno sempre successo se confermate e consolidate fino a diventare una tradizione. A questa regola i festival di cinema non si sono quasi mai sottratti, tanto più che proprio l’iterazione di modelli e comportamenti ha sancito la fortuna di manifestazioni storiche come Venezia e poi Cannes o Berlino e che il rito si è presto trasformato in liturgia con quel tanto di sacrale che, una volta, andava di pari passo prima con lo star system e poi con l’auteur system. Di fatto lo schema fondamentale di ogni festival cinematografico è ancora figlio diretto del palinsesto della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1934. Come Miklòs Jancso possiamo dire che, nel corso del tempo, il rito è prevalso sulla tecnica e che proprio questo ha irrigidito gli schemi ideativi fino a sclerotizzare il sistema. Adesso facciamo i conti tardivi con un modello di promozione e scoperta culturale che si sta usurando e arrugginendo, ma che non regge il passo con i nuovi sistemi dell’informazione, della visione, della conoscenza. Di fronte alle grandi kermesse mediatiche ci sentiamo a disagio e avvertiamo il peso di un loro costo effimero che non trova compensazione nei contenuti, ma non abbiamo proposte alternative e gestiamo l’ordinario (compresi i premi e i tappeti rossi) come una liturgia privata della fede. L Scrivo con la coscienza di aver contribuito per la mia parte a questo immobilismo che, visto in prospettiva e senza ricorrere a inutili toni apocalittici, rischia di segnare la fine di un meccanismo virtuoso, ancor oggi potenzialmente vitale per tutti quelli che non sfor- nano cibo predigerito e che non hanno i mezzi per mettersi in prima fila in modo da essere notati. E so anche bene che una furia iconoclasta, una “rottamazione” compulsiva non solo non si adatti al conservatorismo della comunità cinematografica, ma rischi di fare un servizio ancora peggiore a registi e artisti in cerca di visibilità. Propongo allora un mini-decalogo delle innovazioni possibili, attingendo all’esistente e alle esperienze dell’industria culturale. 1 Partiamo dalla considerazione che i festival metropolitani hanno certamente prodotto uno svecchiamento dei riti elitari del passato turistico/festivaliero (la radice anche di Venezia e Cannes), ma nel tempo hanno accreditato una pericolosa malattia: la bulimia del direttore che ha spinto i festival a trasformarsi in supermarket del fast food cinematografico. Osserviamo anche che la moda del web festival, concepito sulla rete per il prodotto cinematografico che sulla rete trova il suo terreno di coltura, non ha per ora lasciato segni di originalità, spingendo anzi la community cinefila lontano da quel luogo identitario e collettivo che è il teatro fisico del rito. Accettiamo infine che il più importante salto di qualità è avvenuto col Film Art di Rotterdam, quando per la prima volta un festival è diventato collettore di progetti, idee, finanziamenti a sostegno della produzione indipendente e di qualità. Il modello, rimasto a lungo unico, è adesso tra i più copiati e si può dire che, dopo la stagione dei festival-mercato vissuti come imprescindibili (ricordate le batta- 2 3 11 1 Riccardo Cesari - Soggetto: Jessica Chastain 2 Alessandra Benedetti - Soggetto: Tim Burton - 4th Venice Movie stars 3 Alcide Boaretto - Soggetto: George Clooney - 4th Venice Movie stars SCENARI // Festival del cinema SCENARI // Festival del cinema glie per avere anche a Venezia le tende dei mercanti come a Cannes?), siamo alle prese con un autentico “giro delle sette chiese” alla ricerca di finanziatori da un festival all’altro. Col brutto risvolto che anche iniziative nobili come quelle dei forum di coproduzione finiscano a incoraggiare uno strano ircocervo definito “cinema da festival”, che ha portato sul binario morto almeno una generazione di sognatori con la macchina da presa. Dove cercare allora un nuovo che abbia un senso? Personalmente sono molto tentato dall’ibridazione con i festival di letteratura e di pensiero, che fanno degli artisti e delle loro idee la ragione dello spettacolo e sono quindi modellati su un’idea di consumo sostenibile che ridarebbe al cinema uno spazio di approfondimento e godimento collettivo. Certo, anche in questa formula i rischi sono tangibili, ma si può fare, come dimostra la sezione “Extra” di Roma. Mi piace anche la provocazione della sala virtuale in parallelo con la sala reale che, con molte ritrosie, si è presentata in scena all’ultima Mostra di Venezia. Poi mi piac- ciono i festival che hanno come obiettivo qualificante la formazione del pubblico, la creazione di una nuova generazione di consumatori consapevoli (più importanti ancora degli “artisti consapevoli” cui si dedicano l’Atelier della Cinéfondation e il Biennale College). Di questo oggi si occupano soprattutto i festival di restauro (da Lumière a Lione all’Immagine Ritrovata di Bologna) che insegnano anche la regola aurea della collaborazione tra manifestazioni lontane nel tempo e nello spazio, alla faccia dell’ego direttoriale. Di esperienze alternative e originali ce ne sono anche in Italia e in questo il nostro paese si conferma laboratorio del nuovo, proprio come accade fin dagli Anni ’60 al tempo della Mostra di Pesaro. Ma la stagione che andiamo ad affrontare non può limitarsi a cercare rinnovati “cento fiori” alla periferia dei grandi flussi della distribuzione. Con la macchina-spettacolo è necessario fare i conti, tanto più adesso che le trasformazioni dei linguaggi coincidono con le innovazioni tecnologiche e che una competizione globale esiste: non sul fronte delle “anteprime” ad ogni costo che esaltano solo l’ego direttoriale e un pugno di riviste di settore, ma nella valorizzazione e rilancio di un cinema indipendente che dei festival ha bisogno come luogo di visibilità. Il tema è tutto qui: si può applicare una tecnica rinnovata a un mito che si logora? Finché parliamo del mito della sala buia combattiamo battaglie in difesa della nostalgia dell’esistente, riproduciamo modelli rassicuranti perché immutabili, andiamo incontro a un lento declino. Se ci facciamo prendere dalla frenesia della rincorsa al nuovo, sappiamo che tecnologia e realtà ci supereranno in corsa. Abbiamo bisogno invece di una nuova generazione di programmers che sappia inventare con la memoria dell’antico. Per rinnovare dobbiamo ritrovare il gusto della scoperta condivisa e della sfida alla convenzione. Ci vuole un po’di coraggio, ma il nostro pubblico è migliore degli addetti ai lavori. Ed è dal pubblico che bisogna ripartire. Non c’è nulla di peggio di una sala vuota, con radi spettatori attempati. 12 Camilla Morandi - Soggetto: Eva Herzigova - 5th Venice Movie stars Award SCENARI // Festival del cinema I FESTIVAL COM E I M PRESA di Mario Abis anno un valore economico riconoscibile in un’economia della cultura sempre più competitiva e dominata dalla scarsità delle risorse i festival di cinema, che in Italia sono 130 e, tranne poche eccezioni, tutti piccoli e di nicchia? Una ricerca dell’università IULM pubblicata da Johan & Levi, condotta con una metodologia innovativa che incrocia i dati strutturali disponibili con survey sui diversi player e pubblici coinvolti, dà alcune risposte. Per ogni euro investito viene restituito un valore di circa 2,6 euro, valore che si ripete nei vari contesti territoriali. Siamo lontani da alcuni dati un po’ pompati, e mai certificati scientificamente, diffusi dagli organizzatori, però è certo che i festival non producono perdite ma utili e coinvolgono una filiera complessa in una linea di servizi, compreso l’indotto turistico. Un festival mette in gioco in pochissimo tempo una varietà di pubblici di riferimento e articola una distribuzione di servizi. Per esempio negli 11 festival considerati dalla ricerca, la stima delle spese H Per ogni euro investito le rassegne restituiscono un valore di circa 2,6 euro sul territorio. di gestione, per la performance annuale, è stata stimata in circa 4 milioni e 200mila euro. Questa somma ha determinato una produzione di quasi 10 milioni di euro. Un sistema economico neanche tanto micro, se consideriamo che il campione rappresenta il 10% del comparto, escludendo i grandi festival come Venezia e Roma. E questa dinamica è ancor più significativa se viene proiettata sull’occupazione con 100 posti di lavoro ad hoc creati, un 20% dei quali permanenti. D’altra parte il tema del valore non può esaurirsi qui, va integrato con indicatori di marketing. Il pubblico di un festival può essere a pieno titolo definito di qualità: è giovane/medio giovane, colto, competente e fedele. Le valutazioni sulla varietà dei servizi proposti, su una scala da 1 a 10, si stabilizzano quasi sempre intorno al 7. Inoltre l’attrazione non riguarda singole specificità (quel film, l’incontro con quell’autore, quel dibattito) ma il festival nella sua globalità. Questa dimensione ha una ricaduta economica, misurabile in termini d’interesse da parte degli sponsor diretti e indiretti. In questo quadro, un valore tipico di un’economia postmoderna che si ritrova nei festival è la densità di scambi e relazioni che vengono generate, producendo effetti anche molto in là nel tempo e in contesti diversi dal territorio di partenza. Compresa la spinta alla cooperazione fra operatori e pubblica amministrazione. Tutto bene dunque? Non proprio. La ricerca mette in evidenza anche profonde lacune e, in molti casi, arretratezze significative: mancanza di informazioni di base, bilanci approssimativi, scarse verifiche sui pubblici di riferimento, in sostanza buchi su quelle leve di marketing che, nelle condizioni che abbiamo sintetizzato, possono garantire la sopravvivenza stessa dei festival. 13 SCENARI // Festival del cinema Elogio dei piccoli festival, dove la gente va per vedere i film. di Maurizio Sciarra Villerupt, dove le signore che prima cucinavano per i minatori ora preparano ravioli e tagliatelle per gli invitati. Oppure Mons, dove il presidente, che è un appassionato deputato della città, è diventato primo ministro del Belgio. are che fosse Konstantin Stanislavskij a dire “non ci sono piccole parti, solo piccoli attori”. Beh, potremmo dire lo stesso dei festival di cinema. Non ci sono piccoli festival, ma festival “piccini”, nell’accezione peggiore del termine. P Ci sono festival dove ci devi andare per forza, ma dove sei un numero nel catalogo, stai chiuso nella tua stanza d’albergo (magari dorata) per tutto il periodo aspettando la tua proiezione, o le interviste dei giornalisti. Ci sono i festival in cui è il distributore internazionale a dirti di andare, e tu ci vai perché nulla resti di intentato, e da cui non vedi l’ora di andar via. Oppure quelli dove abbondano i red carpet, ma capisci che il film è l’ultima cosa che interessi. Quelli in cui capisci che il budget del festival è la più importante delle storie raccontate. E poi ci sono i festival “divertenti”, quelli dove ci vai perché il clima è quello di un grande cineclub, dove la gente va per vedere film e discuterli e magari si stupisce di vederti in bagno dopo la proiezione, a far pipì come tutti. Quelli sono i festival che preferisco. Non sono nella classifica della disinteressata FIAPF, l’associazione internazionale dei produttori che gestisce e controlla i festival, non ti fanno guadagnare punti per il “reference system” se 14 devi chiedere fondi ministeriali, ma fanno bene al cuore, rinfrancano l’ego dopo i lunghi periodi di solitudine tra un film e un altro, tra un’inutile conferenza stampa italiana dove ti si chiede sempre più frequentemente “fatti una domanda e datti una risposta” e il blog dei critici fai da te che giudicano lavori che non sanno giudicare. È lì che finalmente guardi in faccia quella folla indistinta che viene definita “spettatori”, quegli occhi e quei cuori per cui hai sofferto nella ricerca del soggetto, hai lottato per avere soldi e tempo per girare, hai sperato di portare massa nelle sale a vedere quello che sei riuscito a fare. Io ci vado volentieri, la considero una delle occupazioni più divertenti del mio lavoro, seconda solo alle riprese, che rimangono sempre il momento magico. Spesso, sono anche luoghi dove la convivialità, semplice e sincera, è parte essenziale del “programma”. Metto in testa due festival stranieri, Villerupt e Mons. L’uno si tiene in un piccolo paese francese al confine con il Lussemburgo (ti portano in albergo a Strasburgo, passi un oramai inutile confine quattro volte al giorno), che è stato centro minerario, pieno di minatori italiani, quando gli italiani emigravano ed erano minoranze operose e mal viste, quando le mani servivano a strappare la vita alle viscere delle montagne. Ora gli italiani sono terze e quarte generazioni, insegnano nelle università, dirigono istituzioni. E organizzano festival di cinema italiano che servono a riportare nella loro comunità quel senso di patria, che spesso proprio in patria, non si sente più. E le signore che prima preparavano da mangiare per i minatori oggi preparano deliziosi pasti per gli invitati al festival. Sono lasagne, ravioli, tagliatelle, accuratamente fatti a mano, cotti in pentoloni da Festa dell’Unità, con improbabili cuffiette bianche in testa, innaffiati da vini che non vanno sciacquettati in bocca. E vanno consumati ad una sola condizione: che si continui a parlare di cinema. Ci sono scolaresche che ti chiedono perché hai fatto quel film, ignorando che spesso ne volevi fare un altro ma quello sei riuscito a far passare, e poi ci hai messo l’anima. Fanno collegamenti con altri film a cui non avresti mai pensato… tutto sotto l’occhio vigile delle nonne che hanno cucinato per te. A Mons, “festival international du film d’amour”, c’è andato per la prima volta il mio La stanza dello scirocco (1998), senza di me. E poi ci sono tornato con Quale amore (2006), che mi sembrava fuori tema perché parla di come l’amore può portare la morte, ma mi hanno detto che andava bene lo Mon s Isc hia Fil m Fe st iva l ns Mo ce Lec i d a inem c l o de ope r u lE tiva s e F Ville rup t y nec n A Ceuterick, anime e occhi pulsanti di queste rassegne fondamentali per il cinema italiano. Ti può anche capitare di incontrare (Haifa) il famoso regista italiano che si organizza la visita a Gerusalemme e non te lo dice, ma questo per fortuna avviene di rado. In questi festival sono nati i film futuri, come successe ad Annecy dove, passeggiando prima della serata della premiazione con Beppe Cereda che già sapeva del premio che avrei vinto, mi venne fatta la famosa domanda: “ma cosa pensi per dopo”? E io dissi che c’era un libro su di un viaggio verso il Portogallo della rivoluzione. Insomma, i festival non si dividono in piccoli o grandi, ma in festival col cuore, oppure senza. Io preferisco quelli con il cuore. Meglio se grande. y nec n A al estiv lm F ia Fi Isch stesso. Poi anche in giuria, e come ospite nullafacente. Il presidente è un appassionato deputato della città… che poi è diventato primo ministro del Belgio, Monsieur Elio DI RUPO, come dice ancora oggi il sito ufficiale. Qui invece ci sono serate a tema, una serata italiana, una araba, una belga. Ogni volta cibi differenti, c’è un camion che frigge le più buone patatine che abbia mai mangiato, sotto il tendone delle feste, e distribuisce cartocci a ospiti famosi e cittadini curiosi. C’è Annecy, dove ho vinto inconsapevole di quello che stava per succedere il primo festival della mia vita e dove ho conosciuto la raclette, formaggio di montagna tagliato fino fino con una speciale ghigliottina, dopo averlo fatto sciogliere sulla piastra. C’è il Festival europeo del cinema di Lecce, e l’Ischia Film Festival, che si occupa di location (da non confondere con un altro nella stessa località), esempi di conduzione familiare appassionata, competente e calda, dove cibo e film gareggiano in bontà. Ma nei festival non si va solo per questo, ci si va per far vedere i tuoi film, e per confrontarli con gli altri. In questi festival conosci registi e attori italiani che non hai mai visto a Roma, consolidi amicizie che erano superficiali, stringi legami forti con quegli organizzatori che ti conoscono prima di quanto tu conosca loro. Qui ho conosciuto persone del calibro di Jean Gili, Oreste Sacchielli, Andrè upt r e l l Vi n An ns Mo 15 SCENARI // Festival del cinema Red carpet? No grazie. Risorse? Insufficienti. Rispondono i direttori di 14 festival. di Stefano Stefanutto Rosa Da Trieste alla punta estrema della Sicilia, passando per Pordenone, Courmayeur, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Salerno. I responsabili artistici e i fondatori di 14 festival, piccoli e medi, raccontano le finalità e le difficoltà del loro lavoro. Si tratta di festival attenti ai giovani autori e alle cinematografie meno conosciute, impegnati nella ricerca di nuovi generi e linguaggi. Luoghi dove, accanto a preziose rassegne, si svolgono forum di coproduzione e workshop, rivolgendosi soprattutto a un pubblico giovane, amante di un cinema spesso assente nel circuito commerciale. Nota dolente sono le risorse finanziarie che diminuiscono sempre più in tempi di tagli. Nell’elenco non abbiamo considerato i festival di rilevanza nazionale di Torino, Pesaro e Taormina, per la loro identità ormai consolidata e per l’eccellenza culturale acquisita nel tempo. 1 23 Qual è l'identità, Negli ultimi anni, l'anima del festival che cosa di da Lei diretto? innovativo ha provato ad inserire o sperimentare? 16 Pensando a un festival ideale, se avesse più risorse e mezzi a disposizione, quali cambiamenti introdurrebbe? SCENARI // Festival del cinema Dalla prima edizione del 1995 nella chiesa sconsacrata di corso Garibaldi con 15 video in concorso, 400 persone sedute per terra e un budget di un milione e 800mila lire, ad oggi, con la direzione artistica affidata a Alessandro Beretta e Vincenzo Rossini, coadiuvati e contornati da un bellissimo gruppo di persone, naturalmente molto è cambiato, ma l’anima del festival rimane nell’atmosfera che si viene a creare prima, durante e dopo le proiezioni, nel rapporto tra il pubblico e gli ospiti, tra il festival e la città. MILANO FILM FESTIVAL www.milanofilmfestival.it Presidenti Lorenzo Castellini e Beniamino Saibene Da sempre il festival prodotto dal gruppo ‘esterni’ ha cercato di esprimere un lavoro di ricerca su codici e linguaggi che ne facessero l’esempio di un festival contemporaneo, dunque sempre rinnovato e in qualche modo sperimentale nella formula e nelle proposte, che sapesse raccontare il mondo e intercettare le migliori e più innovative energie artistiche del momento. Alcuni esperimenti sono diventati negli anni dei capisaldi del festival: l’apertura a qualsiasi tipo di formato e genere, il festivalino per i bambini, il coinvolgimento delle comunità straniere, la rassegna ‘colpe di stato’ che indaga i crimini delle “nostre” democrazie, la collaborazione con le scuole e le università, la casa dei registi, il salon des refuses dove anche i film non selezionati possono trovare un confronto con il pubblico, il Milano Film Network che mette in rete i 7 festival cinematografici di Milano, la ri-distribuzione dei film in concorso in decine di sale in tutta Italia, il nuovo concorso per web series che partirà proprio quest’anno… Ci piacerebbe poter sviluppare meglio quello che oggi chiamiamo il piccolo campus per giovani registi (e attori, sceneggiatori, produttori...) selezionati nei due concorsi di lungometraggi (opere prime o seconde) e di corti (registi under 40). La possibilità non solo di vivere tutti insieme nella ormai famosa “casa dei registi”, ma anche di incontrare gli ospiti più affermati durante laboratori, stage e visioni comuni. Passare qualche giorno con Terry Gilliam, o far colazione con Jonathan Demme o Franco Maresco e poi andare al cinema con loro può essere un’esperienza assai formativa… Con più risorse saremmo in grado di dare continuità a questa forma di scambio culturale aiutando così il giovane cinema italiano che di scambi ha sempre più bisogno. Indagare su come l’animazione e il digitale abbiano cambiato e continuino a cambiare la sintassi del cinema contemporaneo, senza mai dimenticare la (ri)scoperta dei pionieri e dei maestri del passato. Scoprire nuove forme di narrazione per immagini, di ibridazione tra un racconto lineare ed uno transmediale. Presentare nuove forme di video, dal web al videogame, dalla produzione indipendente di animazione ai blockbuster, passando in rassegna ogni paese: dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all'Inghilterra, dalla Germania alla Francia. FUTURE FILM FESTIVAL (Bologna) www.futurefilmfestival.org Direttori Oscar Cosulich e Giulietta Fara Abbiamo aperto il festival alle sperimentazioni musicali, con jam sessions di musicisti italiani e la produzione di un concerto-evento con sonorizzazioni di Bill Laswell per il montaggio cinematografico originale di una sessantina di pellicole catastrofiche realizzato appositamente per il Future Film Festival da Cristiano Travaglioli. Abbiamo anche introdotto, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, alcuni appuntamenti per professionisti, con l'obiettivo di far crescere le capacità e le relazioni dei singoli e delle società italiane nel campo dell'animazione, degli effetti visivi, della motion graphics, aprendo collaborazioni con India, Canada e Brasile. Negli ultimi anni si sono anche ampliate le offerte formative e didattiche per i giovani, con laboratori d'animazione e effetti visivi. Con più risorse si potrebbero ospitare più registi e artisti, spingendo ancor di più l'acceleratore sulla leva principale di un festival, ovvero gli incontri e le occasioni di scambio diretto di professionalità e competenze. Ampliando poi i giorni di programmazione, si potrebbe coinvolgere sempre più la città di Bologna dove è nato e cresciuto il Festival, per far sì che ogni cittadino si senta partecipe dell'evento. Ma soprattutto ci piacerebbe valorizzare il patrimonio di archivio e competenze che lo staff del Festival ha accumulato in quindici anni di lavoro, creando una struttura di formazione permanente e aperta, ampliando le offerte formative del Festival a ogni grado di istruzione, collaborando con le strutture della pubblica istruzione che sempre meno hanno risorse, e sempre più necessitano invece di un apporto sostanziale nella formazione dei bambini e dei ragazzi sull'audiovisivo. Bologna, con il Future Film Festival, potrebbe diventare polo di studio e riferimento europeo sulle tematiche del digitale e dell'animazione applicati a vari ambiti di conoscenza e produzione. Così, assieme al Festival, crescerebbero i cittadini e le imprese del territorio. 17 SCENARI // Festival del cinema TRIESTE FILM FESTIVAL www.triestefilmfestival.it Direttore Annamaria Percavassi Obiettivo principale del Festival, nato nel 1987 con il nome di Alpe Adria Cinema-Incontri con le cinematografie dell’Europa Centro-orientale, è stato fin dall’inizio quello di promuovere e far conoscere all’occidente il grande fermento innovativo che stava movimentando le cinematografie prodotte dalla complessa situazione dei paesi europei ancora nell’orbita del vasto sistema sovietico e che assai raramente raggiungevano le grandi ribalte internazionali del cinema e soprattutto il grande pubblico europeo. Obiettivo certamente coraggioso e lungimirante all’epoca, anticipatore inconsapevole dei grandi passi della storia. Obiettivo però che è sembrato naturale in una città dallo spirito internazionale come Trieste che ha sempre vissuto e convissuto nella propria quotidianità con i problemi complessi di una terra di frontiera, da sempre contesa dai giochi della politica internazionale e da sempre crocevia di genti, religioni, lingue e culture diverse. E soprattutto da sempre luogo di culto per il cinema, dove, da prima degli anni ‘70, gli autori dell’Est, soprattutto dell’Ungheria e della Jugoslavia, erano di casa, perché il gruppo dei cinefili triestini che facevano capo al Centro La Cappella Underground organizzava continue e preziose rassegne del cinema di questi paesi. Certamente questo obiettivo primario ha via via improntato la fisionomia della manifestazione, che ha scandagliato fedelmente e documentato anno per anno attraverso il cinema le drammatiche vicende di quella parte d’Europa, e le ha consegnato un’identità ormai inconfondibile: il TFF si sente, e vuole continuare ad esserlo, un piccolo centro di ricerca permanente su un’area molto importante per la storia e la cultura europea, come testimoniano non solo il cinema, ma la letteratura, il teatro, l’arte contemporanea. Innovativo è stato senz’altro cinque anni fa avviare la sezione ‘EastWeek-Grandi maestri, nuovi talenti’ che ospita ogni anno una cinquantina di giovani studenti delle importanti scuole di cinema dell’Europa Centro-orientale, offrendo loro la possibilità non solo di seguire il festival ma anche di conoscere grandi maestri nelle masterclass, incontrarsi tra di loro e far vedere i propri primi film anche al pubblico. Quasi logica conseguenza del successo di EastWeek è stato, un anno dopo, stabilire un sodalizio con il FVG FilmFund e istituire un co-production forum già diventato un importante momento operativo d’incontro tra la produzione est-europea e i produttori di una zona dell’Europa occidentale: per esaminare progetti nuovi, già avviati, selezionati da una giuria internazionale e discussi in pubblico dagli autori, e per verificare la possibilità di un lavoro comune tra est e ovest nel campo della produzione. Quest’anno i progetti ammessi ai pitching sono 22 provenienti da 12 paesi. Il festival ha una grande potenzialità di sviluppo, può contare su un solido gruppo di lavoro formatosi e cresciuto col festival e che sa affrontare con tenacia ed energia i momenti di difficoltà economica che pesano sempre di più sull’organizzazione. Se in futuro potessi contare su budget più sostanziosi anzitutto premierei la fedeltà, la professionalità e la pazienza di questo insostituibile staff con compensi finalmente adeguati alle loro capacità. In secondo luogo mi ostinerei, come già fatto in anni passati, sulla realizzazione di grandi retrospettive che richiedono un impegnativo lavoro di ricerca e di studio. Cercherei insomma di mettere sempre più in contatto i giovani autori e gli studenti di cinema, a cominciare da quelli presenti al festival per EastWeek e When East Meets West, con le grandi lezioni di cinema che vengono da un passato glorioso o tormentato e sofferto che pochi delle nuove generazioni conoscono e investirei quindi sulla necessità della ricerca. Investirei inoltre su eventi che colleghino, arricchendolo, il programma con teatro, musica, arte contemporanea; affitterei altre due sale, magari piccole, per le repliche di tutto quello che viene presentato. Vorrei non avere troppo stretti limiti di budget per l’ospitalità: un festival riuscito è fatto non solo di buoni film, ma anche da tante presenze autorevoli, amiche, interessate... e via elencando… ma sono solamente sogni. 18 SCENARI // Festival del cinema Un festival specializzato e di genere si caratterizza di per sé con una forte matrice identitaria e il Courmayeur Noir in Festival è così percepito da sempre. Occuparsi di crime stories (al cinema, in letteratura, in tv, nei cartoons e nei new media) non vuol dire però limitarsi a celebrare il genere più popolare in tutto il mondo. Per noi ha significato dar voce all’inquietudine, alla rabbia, al disagio sociale e personale e quindi fare i conti, sempre di più, con la realtà, con la storia recente, con quella memoria storica che oggi ci appare indispensabile per credere in un futuro diverso. Questa coscienza civile è l’anima vera del nostro festival. COURMAYEUR NOIR www.noirfest.com Direttori Marina Fabbri e Giorgio Gosetti FILMMAKER (Milano) www.filmmakerfest.com Direttore Luca Mosso Come tutti abbiamo lavorato sulle nuove piattaforme della produzione, distribuzione, ma anche di critica e informazione, tanto più che sulle nuove piattaforme, sempre più spesso, si trovano le rare novità rispetto ai cliché collaudati. Più di recente ci siamo proposti come osservatorio delle idee per il cinema italiano che voglia usare l’esperienza dell’inchiesta, della cronaca, della letteratura. Infine abbiamo rafforzato quell’incontro costante tra cinema e letteratura che è un po’ il nostro marchio di fabbrica. In primo luogo rafforzeremmo l’idea che il festival è l’occasione d’incontro con persone straordinarie che solo nel contesto di Courmayeur sono felici di dialogare sulla propria arte ed esperienza, senza steccati e formalità. Poi svilupperemmo le esperienze innovative dei festival letterari per rinnovare liturgie altrimenti stereotipate. Infine useremmo meglio la tecnologia per costruire un “ambiente” virtuale che abbia la stessa unicità di quello reale, in cui abbiamo la fortuna di lavorare, e che sappia accogliere in modo davvero utile le proposte di linguaggio e di espressione dei new media. Filmmaker è un festival laboratorio che, insieme ai film che mostra (il meglio della produzione internazionale di cinema della realtà), promuove la produzione di nuovi lavori tramite contributi finanziari (quest'anno i tre corti del progetto “Passion”) e iniziative seminariali (nel 2012-13 “Nutrimenti terrestri nutrimenti celesti”). Le retrospettive diventano spesso occasioni di confronto diretto - incontri, seminari e master class - con maestri del cinema oltre che momenti di riflessione critica e teorica nell'ancora poco esplorato campo del documentario. Le personali dedicate a Johan van der Keuken, Frederick Wiseman, Errol Morris, Ulrich Seidl e altri sono state all'origine delle vocazioni a vedere e filmare di alcuni dei migliori documentaristi e artisti italiani di oggi. Una giornata di visioni e ragionamenti sul cinema del futuro, in collaborazione con la rivista online “Filmidee”, con proiezione di film come Tabu e Holy Motors eccentrici rispetto alla consueta programmazione del festival. Il laboratorio “Nutrimenti terrestri nutrimenti celesti” che ha portato quaranta giovani filmmaker a sviluppare un progetto di film con l'ausilio di professionisti come Leonardo Di Costanzo, Michelangelo Frammartino, Ben Rivers, Alina Marazzi, Sylvain George, Tizza Covi, Carlo Cresto-Dina, Alessandro Borrelli, Paolo Manera. La collaborazione con altri festival (la retrospettiva Ben Rivers con il Milano Film Festival) e organizzazioni interessanti (il progetto Daje con l'agenzia Codici). L'incarico a un venticinquenne di curare la comunicazione del festival sui nuovi mezzi social, virali. Potenzierei le relazioni e gli scambi europei. Temo che l'ultima crisi del cinema italiano sia più grave delle precedenti e che solo l'introduzione di idee, ma soprattutto di pratiche filmiche e modelli produttivi nuovi, possa aiutarci a superarla. I festival dovrebbero essere degli agenti del cambiamento (come è stato negli anni '90 Rotterdam e oggi è CPH: DOX di Copenhagen, neppure coperto dalla stampa italiana) e non limitarsi a riprodurre la situazione e i vizi del presente. 19 SCENARI // Festival del cinema Fin dalla sua prima edizione, anno 1959, il Festival dei Popoli si è dedicato al cinema documentario, adottando dapprima un approccio etno-antropologico che si è poi ampliato fino a comprendere l'ampia varietà di linguaggi, di approcci narrativi e di stili che il genere documentario racchiude in sé. FESTIVAL DEI POPOLI (Firenze) www.festivaldeipopoli.org Direttore Alberto Lastrucci Il documentario è cinema di ricerca e di sperimentazione, mette a confronto la visione soggettiva del cineasta e le suggestioni e gli interrogativi che la realtà pone all'osservatore. Oggi il documentario costituisce senza dubbio uno dei terreni più fertili per la ricerca cinematografica e sono innumerevoli gli autori e le opere in grado di offrire approcci originali e freschezza narrativa che, di anno in anno, trovano spazio nella nostra manifestazione. Il desiderio "proibito" è di contribuire attivamente allo sviluppo di un sistema per la circolazione del documentario in Italia, cosa che non è mai stata realizzata se non in iniziative coraggiose ma sporadiche. La "sfida" sarebbe quella di poter invitare - ovvero "ospitare" - a Firenze tutti i professionisti della distribuzione cinematografica perché possano constatare il fatto - già evidente a tutti i frequentatori del Festival dei Popoli - che esiste un pubblico numeroso, motivato e attento al documentario. Resta una grave lacuna del settore distributivo nazionale il non contemplare un settore di mercato che non attende altro che di essere stimolato; il che permetterebbe non solo di contribuire a rinnovare il panorama delle proposte cinematografiche e televisive, ma innescherebbe un sistema virtuoso per finanziare nuovi progetti. Le Giornate del Cinema Muto sono il maggiore e il più antico festival dedicato esclusivamente al cinema muto. Lo scopo principale è quello di proporre film che fanno parte della storia del cinema non come pezzi da museo, ma come opere d'arte ancora assolutamente vive e in grado di comunicare in maniera diretta con il pubblico del ventunesimo secolo. I primi tre decenni del cinema rappresentano una vera età dell'oro nell'arte del ventesimo secolo. Lo confermano la fedeltà e l'entusiasmo del pubblico, che decretano anche il successo del festival. GIORNATE DEL CINEMA MUTO (Pordenone) www.cinetecadelfriuli.org/gcm/ Direttore David Robinson Le Giornate sono riuscite in questi anni - grazie a iniziative collaterali come il Collegium e le Masterclasses - ad attrarre un pubblico nuovo, giovane, che risponde ai film del passato in maniera nuova e stimolante. Il cinema muto non è più appannaggio solo di vecchi studiosi, archivisti e nostalgici. Con i suoi “dialoghi” quotidiani fra 12 allievi che cambiano ogni anno e gli esperti presenti al festival, il Collegium è fonte di continuo rinnovamento della comunità del cinema muto. Sperimentiamo costantemente - soprattutto con l'accompagnamento musicale - per riuscire a ricreare l'emozione con cui il pubblico dell’epoca viveva l'esperienza cinematografica. Le Pordenone Masterclasses, lezioni d’improvvisazione musicale sulle immagini, servono a trasmettere alle nuove generazioni l'esperienza dei migliori musicisti al mondo nel campo dell’accompagnamento dei film muti. Vorremmo sviluppare il carattere "internazionale" del festival in senso bidirezionale, rispondendo da una parte alle richieste di presentare all'estero le produzioni del festival e dall’altra invitando un maggior numero di personalità illustri e di produzioni estere. Ci manca soprattutto la forza economica per esportare le nostre produzioni o per realizzare, ad esempio, dei dvd, il che le “condanna” a rimanere dei grandi eventi a sé stanti, senza possibilità di replica altrove. 20 SCENARI // Festival del cinema Presentare e sviluppare un cinema indipendente, attento ai temi delle frontiere (geografiche, artistiche e culturali), il suo carattere internazionale e soprattutto lo spirito genuino con cui fa entrare in contatto gli autori con il pubblico, sia del luogo che quello di passaggio. Cinema di Frontiera non cinema di periferia, cascame di un cinema dominante, centripeto, che si difende; bensì un cinema che si interroga, che guarda all’altro da sé ,aperto al nuovo. Cinema di Frontiera inteso nel suo valore simbolico, oltre che geografico nell’accezione più ampia del termine. Frontiere territoriali, culturali, ma anche dell’anima e dei linguaggi. Frontiera non come limite, confine, ma finestra sull’universo, sugli universi circostanti e opposti. Cinema interculturale che cerca i caratteri congiungenti tra i popoli più che quelli divisori. È questo il Cinema di Frontiera… no frontiera del cinema. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI FRONTIERA MARZAMEMI (Siracusa) www.cinemadifrontiera.it Ideatore e Direttore Nello Correale Laboratori per giovani cineasti provenienti sia dall’area del Mediterraneo che dagli Stati Uniti e incontri tra loro e il pubblico. Una presenza attiva e partecipata, con spettacoli e presentazioni davanti al pubblico del Festival, di molti autori e musicisti che vengono a presentare i Ritratti musicali nella Rassegna internazionale di Cinema e Musica che hanno visto la partecipazione di Mika Kaurismaki, Franco Maresco, Franco Battiato, Vinicio Capossela, Carmen Consoli. Trasformare la sala cinematografica a cielo aperto, più grande e più a Sud d’Europa in un grande Laboratorio aperto ad incontri con altri Festival. Scambiare con Tunisi Barcellona, Il Cairo, Tirana, Istanbul e Tel Aviv non solo i film come abbiamo fatto finora ma anche progetti. Diventare, per una settimana, anche se in modo virtuale, il centro del Mediterraneo, punto di incontro di tre continenti: Europa, Asia ed Africa. L’alterità, crediamo, possa ben definire il piano di ricerca su cui amiamo confrontarci. In questa dimensione ci siamo riconosciuti ed in questo campo visivo abbiamo cercato di raccontare l’infanzia e l’adolescenza per davvero; uno sguardo che spesso ha messo in luce l’esigenza di purezza, con l’incandescente volontà di manifestare quel gesto, inevitabile - quasi ontologico - di dissenso che è alla base del progressivo definirsi dell’identità. ALICE NELLA CITTÀ (Roma) www.alicenellacitta.com Direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli Innovare è stato introdurre nei temi trattati dai film, uno strappo che interrompesse la sicurezza della ‘storia ufficiale’, ispirasse la perplessità e finalmente rendesse possibile il dialogo con il pubblico, fattore - oggi - imprescindibile e parte prediletta per chi lavora con i ragazzi. Se il cinema - soprattutto quello italiano - non dimostrerà questa forza, difficilmente potrà competere con la potenza che hanno le altre esperienze dei ragazzi. Un anno di cinema con e nella scuola per non interrompere il dialogo con i ragazzi iniziato durante il festival. Una piattaforma dotata delle nuove tecnologie VOD per mostrare ai bambini film straordinari, che poi altro non vuol dire che film capaci di assorbire, incantare, sorprendere, coinvolgere, spiazzare, pensare, facendo dell'esperienza della visione - soprattutto nelle sale - un processo da cui si esce trasformati. Il cinema e la scuola per coltivare l’educazione al dissenso ed il senso del bello. Saper riconoscere una cosa bella/vera da una brutta/falsa è un’arma importante. Emozionarsi di fronte a qualcosa di bello è il primo passo per arrabbiarsi di fronte a qualcosa di brutto. 21 SCENARI // Festival del cinema L’identità, l’anima: ho sempre identificato nel nostro pubblico la vera “anima” e quindi “l’identità” del Festival, e credo dovrebbe essere il punto di partenza di tutti i Festival, anche quelli “generalisti”. Questo però non è per niente riconducibile esclusivamente ad un pubblico “di settore” come temevano alcuni “eccellenti critici” alla nascita del Festival nel 1986; ebbero modo di ricredersi quasi subito tessendone le lodi. Non è semplice “sperimentare” se appunto è il pubblico il punto di partenza. Di innovativo poi è il cinema in tutte le sue forme che si propone autonomamente, sta poi a noi selezionatori, io con i miei collaboratori, ad individuare tendenze e temi da proporre, e questo forse, essendo appunto un festival “tematico” in parte ci facilita le “responsabilità”. GLBT FILM FESTIVAL (Torino) www.tglff.com Direttore Giovanni Minerba CINEMADAMARE www.cinemadamare.it Direttore Franco Rina Idealmente: con più “risorse” a disposizione la prima cosa sarebbe quella di aggiornare i compensi di chi con “l’anima” ci lavora a questo Festival. Ma, purtroppo il mio è un Festival che, vivendo quasi di soli finanziamenti pubblici, più risorse e mezzi può solo sognarli. Negli ultimi anni ci sono stati solo “tagli” e continue “minacce”, di chiusura, biennalità, accorpamento al TFF, e chi più ne ha… Quindi, mi è più congeniale pensare a come “portare a casa” il prossimo Festival, e NON “lasciare a casa” nessuno dei collaboratori; e se dovessero succedere i miracoli sicuramente non ci faremmo spaventare, qualche cambiamento potrebbe anche starci. E a dispetto di chi dice che “con la Cultura non si mangia”, faremmo di tutto per “arricchire” il pranzo, o la cena, di chi da sempre ci segue e sostiene con affetto. CinemadaMare è il più grande raduno di giovani registi del mondo, itinerante e dalla durata di 2 mesi e mezzo. In queste cifre si radica la sua anima: circa 200 filmmakers, provenienti da oltre 40 Paesi, fin dal 2003, si danno appuntamento in Italia con il solo scopo di fare cinema insieme. Un popolo che vive su centinaia di set che allestiamo attraversando 9 regioni italiane (viaggia per 3.800 km), che grazie alle più moderne tecnologie digitali crea continue opere cinematografiche destinate ad una diffusione mondiale, anche via web. L’iniziativa interna a CinemadaMare che ha prodotto i più importanti risultati, è sicuramente quella dei continui workshop. Questa sezione della nostra manifestazione, infatti, favorisce l’effettivo scambio di progetti e informazioni tra i nostri giovani filmmakers ospiti. Capita così, che un giapponese e un brasiliano inizino a lavorare insieme su un unico set, e che un finlandese e un sudafricano avviino una nuova ricerca sui più sofisticati programmi del montaggio digitale. Non ho dubbi che di fronte ad una manifestazione come la nostra che ospita fisicamente oltre 100 giovani artisti provenienti da tutto il mondo, che accettano il nostro invito a partecipare a CinemadaMare con il solo scopo di realizzare tanti film insieme, il settore in cui concentrerei la possibilità di più risorse sarebbe quello delle attrezzature tecniche. Insomma, se avessimo più soldi a disposizione, affitteremmo più telecamere, più luci, più carrelli e altre macchine per il cinema. Il Festival lavora su diversi aspetti della creatività giovanile, musica, cinema e arti visive, performing art e scrittura, perché intende promuovere ed esaltare la capacità di innovazione di artisti dell'area europea. Soprattutto provare a comprendere i margini di possibili contaminazioni tra generi e tendenze, sia dentro che oltre il mercato, senza tuttavia sacrificare l'aspetto della forza comunicativa di ciascuna opera. LINEA D'OMBRA (Salerno) www.festivalculturegiovani.it Direttore Peppe D'Antonio 22 Ci siamo mossi in tutte le direzioni, prima andando oltre il tradizionale festival cinematografico, poi abbandonando la formula della creatività giovanile per una creatività solo giovane non in senso anagrafico. Poi, ancora, provando a utilizzare internet non solo come strumento di comunicazione e promozione, ma anche come spazio virtuale di esibizione e di presentazione delle proposte del festival, in particolare il cinema. È stata organizzata, già tre anni fa, una sezione della giuria on line dei lungometraggi e dei cortometraggi. Potenzierei due settori sui quali stiamo già lavorando: il primo la formazione, con stage e workshop anche scollegati dalla durata temporale del festival. Penso a incontri con i maggiori esperti e artisti internazionali che siano in grado di "fecondare" con le loro idee e la loro professionalità il nostro territorio e il Sud in particolare. Il secondo settore è l'intervento nella produzione o co-produzione di opere di giovani artisti, quelle che un mercato oggi in difficoltà non sa né vedere né pre-vedere. SCENARI // Festival del cinema MEDFILM FESTIVAL (Roma) www.medfilmfestival.org Fondatore e Direttore Ginella Vocca L’identità del MedFilm Festival è già nel suo nome, la dove Med sta per Mediterraneo, un mare che racchiude un insieme di somiglianze e differenze, una sintesi inestricabile presente nel profondo di ognuno di noi, ma pressoché assente nell’offerta dei circuiti culturali italiani. Mentre l’anima del MedFilm è nell’urgenza di raccontare popoli e culture attraverso informazioni di prima mano, testimonianze dirette di registi, artisti, pensatori e gente comune, e di aprire, attraverso il potente mezzo del cinema, varchi di conoscenza e cooperazione, offrendo anno dopo anno una panoramica d’autore su temi attuali, talvolta difficili, come l’immigrazione e la xenofobia, per informare ed educare il grande pubblico a superare l’ostacolo del “nuovo”. La coerenza, la qualità, l’audacia, il rigore, l’informazione, la formazione sono le caratteristiche principali del Festival internazionale di cinema più longevo della Capitale, con i suoi 19 anni di vita. I distributori internazionali ci affidano i loro film con il preciso intento di costruire una sensibilità che nel tempo possa trasformarsi in mercato; rappresentanze istituzionali di primaria importanza trovano nel festival una preziosa occasione di incontro, come testimonia la revisione e la firma degli Accordi bilaterali italo/sloveni avvenute nell’ambito dell’ultima edizione del festival. Infine la nostra attività di promozione ha aperto la strada a numerose rassegne dedicate a cinematografie assenti dai circuiti commerciali. Il MedFilm benché viaggi in un solco ben definito e sia solidamente strutturato, gode di due straordinari vantaggi che lo rendono sempre nuovo ed aperto alle sperimentazioni: il Tema e i Paesi ospiti d’Onore che ne definiscono ad ogni nuova edizione il carattere. Tra le novità degli ultimi anni abbiamo affiancato alla promozione culturale, la promozione commerciale con le Giornate Professionali dedicate agli incontri tra gli operatori dell’area e gli operatori italiani, e l’istituzione del Premio Koinè destinato a personalità di spicco che si siano distinte per aver aiutato ad individuare i punti di contatto e i linguaggi condivisi tra i popoli dell’area euro-mediterranea. Un margine economico più ampio consentirebbe di garantire ai collaboratori condizioni più favorevoli e durature, di migliorare la qualità dei servizi, incrementare il numero di film ed ospiti, garantire la sottotitolatura per tutte le proiezioni, le repliche. La buona riuscita di questo festival si basa sul lavoro di staff qualificati, persone spesso giovani, molto preparate e fortemente motivate a cui però è sempre più difficile garantire continuità di impiego. In un momento così drammatico per la mancanza di posti di lavoro, dovrebbe essere prioritario il sostegno alle piccole e medie imprese che operano nel settore culturale, ovviamente quelle meritorie che hanno dimostrato nel tempo di saper garantire il raggiungimento degli obbiettivi richiesti. Invece, nel 2012, tagli violenti del 60% e in alcuni casi del 100%, hanno portato il budget del MedFilm Festival a 60mila euro, laddove il FictionFest ha goduto di un budget di due milioni e mezzo di euro, 41 volte superiore, e Il Festival di Roma, di 11 milioni, 184 volte superiore. Di fronte ad una così grave crisi economica e morale, dovrebbe essere un obbligo ridistribuire i finanziamenti pubblici in modo equo, così da favorire una politica culturale diversificata e più ricca, Non è forse un dovere istituzionale (come avviene in altri Paesi europei) sostenere e promuovere un cinema di approfondimento accanto a manifestazioni patinate, garantendo al contempo la creazione di posti di lavoro? Il MedFilm Festival sicuramente non gode di uno status economico all’altezza della qualità del suo prodotto. Che fare? Intanto noi un’idea l’abbiamo: ripartire con entusiasmo per la preparazione della prossima edizione che sarà anticipata a giugno. Il Cinema Ritrovato è stato il primo festival al mondo dedicato al restauro cinematografico, quando il restauro stesso muoveva i suoi primi passi 'scientifici'. È passato molto tempo da quel lontano 1986 e oggi tutti i festival importanti, da Cannes a Venezia, hanno una sezione dedicata al restauro e la stessa Cinémathèque Française ha inaugurato, un mese fa, la prima edizione di un suo festival esplicitamente ispirato al Cinema Ritrovato. IL CINEMA RITROVATO (Bologna) www.cinetecadibologna.it/ cinemaritrovato2012 Direttore Gian Luca Farinelli Lo stesso pensare di mostrare tutta la storia del cinema - quali approcci tecnologici, quali estetici e filologici per i restauri e le proiezioni - è un atto profondamente innovativo e sperimentale. Il Cinema Ritrovato si presenta come un immenso museo del Novecento (anzi, con le sue radici nell’Ottocento), che va dai primissimi documenti di cui non si conosce l’autore, alla grande stagione del muto, a quella del CinemaScope: se posso giocare con il termine ‘sperimentare’, diciamo che Il Cinema Ritrovato ‘sperimenta’ il piacere stesso dell’esperienza estetica cinematografica. Un’esperienza per specialisti e per le 70mila persone che in otto giorni affollano le nostre sale e Piazza Maggiore. Sarebbe bellissimo pubblicare in DVD tutto quanto viene mostrato al festival, così da poter dare vita infinita a ciò che solo in quel momento si può vedere. 23 SCENARI // Festival del cinema I PREMI NON SONO TUTTO. MA AIUTANO. INTERVISTA A PAOLA CORVINO di Michela Greco Paola Corvino, presidente di Unefa ed esperta di export, commenta la tabella degli incassi dei film vincitori: “Deludente, certo, ma oltre al box office è importante anche la diffusione di un’opera” Q uarant’anni di film di qualità portati nelle sale del mondo. Centinaia di festival vissuti da protagonista. Un catalogo che va da Petri a Giovannesi, Virzì e Verdone. Paola Corvino, titolare di Intramovies e presidente Unefa-Unione Nazionale Esportatori Film e Audiovisivi, di qualità cinematografica, distribuzione e tendenze di mercato ne sa sicuramente qualcosa. 8 1/2 le ha sottoposto l’eloquente tabella con gli incassi dei film che hanno vinto i principali festival del cinema internazionali tra il 2006 e il 2012. Di fronte a questi dati cosa le viene da dire sull’utilità dei festival oggi? I festival sono diventati “troppi” ma sono comunque una vetrina che permette di portare i film all’attenzione dei distributori. Ovunque il numero dei distributori si è contratto e quelli rimasti hanno obblighi di “output deals” con le case americane, che ne assorbono energie, impegno finanziario e tempi schermo. Perciò per i film indipendenti una gestione mirata dei festival significa dare una vetrina a un prodotto che il distributore può valutare anche in termini di gradimento del pubblico. Sembrerebbe che i premi non siano un grande stimolo per gli incassi... La tabella è forse “deludente”, ma si riferisce al destino dei film nella sola Italia. Per avere un quadro reale bisognerebbe capire in quanti territori nel mondo quei film hanno trovato una distribuzione. Gli incassi sono un indicatore importante, ma non meno importante è il riconoscimento dell’opera di un regista, la diffusione di un prodotto che non è soltanto di consumo ma è anche cultura. 24 Fino a che punto i film premiati ai festival hanno una marcia in più nelle vendite internazionali? I premi maggiori conquistati a Cannes o Berlino danno un grande slancio alle vendite. Purtroppo non posso fare esempi che riguardano la Intramovies, perché la tendenza dei produttori italiani è di affidare le vendite dei film più importanti a distributori internazionali, prevalentemente francesi. Il Festival di Roma sembra fare caso a sé, con i film distribuiti che fanno incassi bassi (tranne Juno) e alcuni vincitori mai usciti in sala. Schiacciato tra Venezia, Toronto e il più radicato Torino, il Festival di Roma probabilmente soffre nel trovarsi in una data in cui si affollano uscite già ampiamente decise in precedenza. Quanto all’attenzione riservata ai film italiani dai distributori all’estero, posso solo dire che è un po’ deludente. Forse, spero, si rafforzerà negli anni. Un caso di film italiano trionfante a un festival è Cesare deve morire. Che idea si è fatta del suo percorso? Venduto da Rai Trade, ha raggiunto un grado di penetrazione internazionale che non si vedeva da anni. Non è tanto importante il risultato economico di prima battuta, quanto il livello di diffusione e la capacità di un film di raggiungere il grande schermo. Anche senza la partecipazione agli Oscar, che meritava, il film dei Taviani non cambierà la sua vita, anche se i risultati economici non avranno lo stesso impulso. C’è anche un problema di date di uscita dopo il passaggio a un festival. Qual è la strategia migliore? I film indipendenti non raggiungono in contemporanea la distribuzione nei maggiori paesi perché non gestiti dal colosso americano e i distributori locali prendono decisioni soggette a tantissimi fattori: climatici, di lingua, di contro-programmazione. Nel controverso caso di Reality (Matteo Garrone, 2012) c’è sicuramente stata una valutazione attenta dei pro e dei contro. Ma Cannes ha luogo a maggio, quando il bel tempo porta tutti verso il mare piuttosto che verso la sala. Tra i film recenti che la riguardano c’è Alì ha gli occhi azzurri, uscito molto bene dal Festival di Roma. Quanto si riflette il successo interno sulle vendite estere? È un bellissimo film, ma chiaramente di nicchia. Ora si tratta di fargli fare il suo percorso festivaliero. Per il momento uscirà sicuramente in Francia e in Australia, poi vedremo. Può stilare una classifica tra i grandi festival, dai più efficaci come trampolino di lancio a quelli che lo sono meno? Senza grandi esitazioni direi che il primo è Cannes, il secondo è Berlino, il terzo è Venezia e il quarto è Roma. Ma non bisogna dimenticare, per ragioni diverse, Toronto e il Sundance. Che suggerimento darebbe ai festival? I festival maggiori si sono un po’ chiusi su loro stessi, prediligono opere di autori che i festival stessi hanno coltivato, o ripropongono anno dopo anno autori collaudati a discapito di opere fresche di registi emergenti e “non allineati”. Ho l’impressione che un tempo osassero di più, ma non ho suggerimenti: fare il direttore di festival è durissimo, con una quantità improponibile di film da visionare, un occhio alla qualità, uno al red carpet. Forse bisognerebbe avere un terzo occhio o un pezzetto di anima da riservare al pubblico. SCENARI // Festival del cinema SPETTATORI IN ITALIA E IN FRANCIA DEI FILM VINCITORI DELLE ULTIME SETTE EDIZIONI DELLA MOSTRA DI VENEZIA E DEI FESTIVAL DI CANNES, BERLINO E ROMA Fonte presenze italiane: Cinetel 2 dicembre 2012 Fonte presenze francesi: database Lumière PRESENZE IN ITALIA PRESENZE IN FRANCIA 58.443 215.101 LEONE D’ORO 2006 Still Life di Jia Zhang-ke (Cina/Hong Kong) 2007 Lussuria-Seduzione e tradimento di Ang Lee (USA/Taiwan) 274.876 204.637 2008 The Wrestler di Darren Aronofsky (USA) 356.847 244.144 2009 Lebanon di Samuel Maoz (Israele) 65.286 non distribuito 2010 Somewhere di Sofia Coppola (USA) 353.028 480.215 2011 Faust di Aleksandr Sokurov (Russia) 87.051 - 2012 Pietà di Kim Ki-duk (Corea del Sud) 82.400 - PALMA D’ORO 2006 Il vento che accarezza l’erba di Ken Loach (Gran Bretagna/Irlanda) 289.530 934.013 2007 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Cristian Mungiu (Romania) 117.185 351.757 2008 La classe-Entre les murs di Laurent Cantet (Francia) 318.666 1.561.763 2009 Il nastro bianco di Michael Haneke (Germania/Austria) 117.613 686.240 2010 Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul (Thailandia) 22.913 132.511 2011 The Tree of Life di Terrence Malick (USA) 467.434 873.690 2012 Amour di Michael Haneke (Francia/Austria) 173.842 *569.685 *al 21 novembre 2012 ORSO D’ORO 2006 Il segreto di Esma (Grbavica) di Jasmila Žbanić (Bosnia e Erzegovina) 2007 Il matrimonio di Tuya di Wang Quan An (Cina) 2008 27.866 43.539 105.859 105.233 Tropa de elite-Gli squadroni della morte di José Padilha (Brasile) 26.717 10.514 2009 Il canto di Paloma di Claudia Llosa (Spagna/Perù) 38.733 35.703 2010 Bal di Semih Kaplanoğlu (Turchia) non distribuito 49.500 2011 Una separazione di Asghar Farhadi (Iran) 105.922 923.411 2012 Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani (Italia) 129.978 - non distribuito non distribuito 343.522 875.109 non distribuito non distribuito MARC’AURELIO D’ORO 2006 Playing the Victim di Kirill Serebrennikov (Russia) 2007 Juno di Jason Reitman (USA) 2008 Opium War di Siddiq Barmak (Afghanistan/Giappone/Corea del Sud/Francia) 2009 Fratellanza-Brotherhood di Nicolo Donato (Danimarca) 23.527 non distribuito 2010 Kill Me Please di Olias Barco (Francia/Belgio) 22.633 8.257 2011 Cosa piove dal cielo? di Sebastián Borensztein (Argentina/Spagna) 59.358 - 2012 Marfa Girl di Larry Clark (USA) il film sarà distribuito solo sul web non distribuito 25 COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO Dieter Kosslick di Micaela Taroni La capacità contemporanea di confrontarsi con la cultura classica, la necessità dei registi di occuparsi, anche in periodi di crisi, della realtà politica, il talento di esprimersi poeticamente anche nell’ambito del documentario. “Buon umore, ecco quello che conta. Per dirla con lo scrittore Heinrich Heine, il mio motto per il Festival è: più serio è un argomento, più bisogna presentarlo in modo divertente”. A parlare è Dieter Kosslick, direttore del Festival di Berlino. Con la sua magistrale capacità di esprimere umorismo e leggerezza, Kosslick è ormai un’istituzione della Berlinale che guida dal 2001. Da quando ne ha preso le redini sostituendo il suo predecessore Moritz de Hadeln, il 64enne Kosslick ha impresso il suo inconfondibile marchio al Festival. “Vogliamo diventare il festival più allegro del mondo”, proclamava Kosslick, un fan di Hitchcock e della buona cucina, solo qualche anno fa. E sotto la sua supervisione attenta e competente, il Festival ha esportato successi internazionali richiamando sempre più l’attenzione di pubblico e critica. Il successo è tale che il Festival di Berlino lo ha nuovamente confermato in carica. Kosslick avrebbe dovuto lasciare nel 2013, ma il suo mandato è stato prorogato per altri tre anni. Mentre si consuma la 63° Berlinale, inaugurata da The Grandmaster di Wong Kar-wai, gli abbiamo chiesto di parlarci del cinema italiano in Germania e in particolare proprio qui al Festival. 26 COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO Dieter Kosslick, 64 anni, è dal 2001 il direttore del Festival di Berlino, incarico che ha assunto sostituendo Moritz de Hadeln Dopo studi di comunicazione e politica, Kosslick ha lavorato come giornalista occupandosi poi dal 1983 di finanziamenti per la cinematografia Nonostante le polemiche ricorrenti sull’assenza di film italiani a Berlino, il Festival ha da sempre un occhio di riguardo per il cinema italiano che qui ha vinto numerosi premi. Quali sono gli autori che a suo avviso hanno maggiormente lasciato un segno? Se solo guardiamo i vincitori dell’Orso d’Oro degli ultimi decenni, si nota che il Festival di Berlino ha da sempre accompagnato la storia del cinema italiano. Penso ad esempio a Michelangelo Antonioni e al suo film La notte che nel 1961 vinse il massimo riconoscimento. Si tratta di un capolavoro che ha creato uno stile. Oppure penso a registi come Francesco Rosi, un importante rappresentante del cinema politicamente e socialmente impegnato, che nel 1962 per Salvatore Giuliano ottenne proprio qui a Berlino il Premio alla regia. L’abbiamo voluto onorare ancora una volta attribuendogli nel 2008 l’Orso d’Oro alla carriera e dedicandogli un omaggio. Ma ci sono molti altri registi italiani di spicco strettamente legati al Festival di Berlino. Nel 1988 ha contribuito a fondare l’EFDO (European Film Distribution Office) divenendone presidente fino al 1996 Come direttore del Festival di Berlino ha lanciato nuove sezioni e iniziative tra cui la "Perspektive Deutsches Kino", che valorizza i giovani registi tedeschi Può fare qualche esempio? Penso a maestri come Ermanno Olmi, Mario Monicelli e Vittorio De Sica. Passando alla mia personale esperienza di direttore del Festival posso dire che l’ultimo vincitore dell’Orso d’Oro, Cesare deve morire dei fratelli Taviani, si colloca in una particolare tradizione italiana del Festival. Questo film si riallaccia ad una delle maggiori opere della letteratura mondiale, il Giulio Cesare di Shakespeare, un’opera del 1599, per occuparsi di situazioni e conflitti sociali attuali. Questo desiderio di reinterpretare opere classiche è un aspetto degli autori italiani che mi ha sempre profondamente affascinato. Questo lato emerge in particolare anche in Pier Paolo Pasolini, il suo Decamerone, Orso d’argento nel 1971, nasce dalle fantastiche novelle di Boccaccio. E I Racconti di Canterbury, con cui Pasolini vinse nel 1972 l’Orso d’Oro, si basa sui racconti medievali di Geoffrey Chaucer. Sotto la sua guida la Berlinale è diventata uno dei maggiori festival in Europa Per questo è stato insignito in Germania con il Cavalierato per le Arti e le Lettere Sintetizzando, quali sono gli aspetti del cinema italiano ricorrenti che trova particolarmente significativi? Direi la capacità contemporanea di confrontarsi con la cultura classica, la necessità dei registi di occuparsi, anche in periodi di crisi, della realtà politica e il talento di esprimersi poeticamente anche nell’ambito del documentario. Anche Nanni Moretti fa parte degli autori che si occupano intensamente della realtà politica italiana. Nanni Moretti ha trattato, in parte anche in maniera impetuosa, le realtà sociali, mostrando in questo ambito sempre doti di grande ironia e autoironia. I suoi film oscillano fra tragedia e commedia. Anche quando si occupa di esperienze dolorose, riesce di solito a offrire qualcosa di divertente e leggero. Come i fratelli Taviani, il cui Cesare deve morire ha portato in Italia come distributore, Moretti fa parte dei grandi cineasti del nostro tempo. 27 COSA MI PIACE DEL CINEMA ITALIANO ta Fe s Quali tra i registi della nuova generazione hanno contribuito a suo avviso a rinnovare l’immagine del cinema italiano all’estero? Nella generazione dei giovani registi, Matteo Garrone ha mostrato di saper portare sullo schermo sia complicati rapporti emotivi e personali sia la realtà di strutture di potere criminale. Mi ha molto impressionato L’imbalsamatore. Primo amore (2002) – un film affascinante e opprimente – mostrato in concorso proprio qui al Festival di Berlino. Gomorra (2008) fa sicuramente parte dei più significativi film europei degli ultimi anni. E sono contento che Garrone abbia ottenuto ulteriori successi internazionali con il suo ultimo film, Reality (2012). Nell’ambito dei registi più giovani, cosa pensa di Paolo Sorrentino? Sicuramente anche Sorrentino va annoverato tra i giovani registi di talento, sia per Il Divo (2008) sia per il meraviglioso Le conseguenze dell’amore (2004). Voglio però citare anche altri registi che abbiamo ospitato qui a Berlino. Gabriele Salvatores è andato in concorso con il suo Io non ho paura (2003), un film denso di atmosfera. Mi ha colpito anche il documentario di Pietro Marcello La bocca del lupo (2009), che abbiamo presentato al Forum. Mi è rimasto impresso da un lato la toccante storia d’amore e d’altro lato il ritratto di una città straordinaria come Genova, presentata in modo visivamente forte e intensamente poetico. i Come vengono considerati i nuovi film italiani in Germania? È molto difficile parlare solo del cinema italiano rispetto all’apprezzamento del pubblico tedesco. Piuttosto bisogna rivolgere lo sguardo alla situazione complessiva del cinema europeo. In Europa il mercato del cinema è ancora dominato dai film americani. Le pellicole europee riescono più raramente a superare i confini nazionali e a ottenere grossi successi internazionali al box office. Sono fermamente convinto, tuttavia, che il pubblico tedesco abbia interesse per i film europei e quindi anche per quelli italiani. Posso dire qualcosa a proposito di due vostre opere presentate l’anno scorso al Festival di Berlino. Cesare deve morire, da poco nei cinema tedeschi, ha riscosso approvazione sia presso il pubblico che presso la critica. Diaz di Daniele Vicari ha ottenuto il premio del pubblico della sezione Panorama. Ciò dimostra che c’è un interesse reale per i film italiani contemporanei e attuali. Al cinema italiano viene spesso rimproverato di realizzare soprattutto commedie per il mercato nazionale. Questo è a suo avviso un limite oppure, nonostante tutto, le nostre commedie possono piacere anche al pubblico straniero? Spesso le commedie hanno un successo solo nazionale, e questo non vale solo per l’Italia. L’umorismo è difficilmente esportabile, però esistono sempre delle eccezioni, come i film di Roberto Benigni. l di b er i n l o In base a quali criteri un film italiano viene selezionato in concorso a Berlino? Non ci sono criteri di scelta specifici per un singolo paese, perché il cinema è un linguaggio universale. Ci interessano film visivamente interessanti, particolari e che raccontino una buona storia. Bisogna poter ricordare la trama di un film anche parecchi giorni dopo averlo visto. 28 v 29 INNOVAZIONI Le web series italiane di Rocco Moccagatta 30 INNOVAZIONI // Le web series italiane ANCHE IN ITALIA, LE WEB SERIES SI OFFRONO COME OCCASIONE DI COSTRUZIONE E DI RIVELAZIONE DI GRUPPI CREATIVI NUOVI E FRESCHI, SPESSO GIOVANISSIMI, ESPRESSIONE DI SENSIBILITA E IMMAGINARI TERRITORIALI IN APPARENZA PERIFERICI E MARGINALI. 31 INNOVAZIONI // Le web series italiane na prima ricognizione intorno al mondo delle web series italiane - esplose definitivamente anche da noi nel corso del 2012, dopo i successi negli Usa e in Europa - non può che cominciare da Freaks!. La serie fenomeno che mescola quotidianità post-adolescenziale, superpoteri e cospirazioni non è stata davvero la prima in ordine cronologico e neppure, banalmente, detiene il primato per una questione di numeri (impressionanti: quelli ufficiali parlano di 7 milioni di visualizzazioni, con 2 milioni di utenti unici, una platea più ampia di quella del PT di diversi canali televisivi, satellitari e terrestri) o di social buzz tra fan ossessionati e detrattori implacabili. In uno scenario mediale dominato da piattaforme di distribuzione e di condivisione video (tra You Tube e i social network), tecnologie digitali di ripresa low cost qualitativamente soddisfacenti e device mobili sempre più accessoriati (smartphone, tablet), Freaks! funziona bene come prototipo della web serie italiana per una concatenazione di elementi iscritti nel suo DNA. A cominciare proprio dalle origini grassroots, al di fuori delle strutture produttive e distributive tradizionali (network tv, società di pro- U 32 duzione classiche), esprimendo una creatività dal basso, fresca, inedita, finalmente giovane, poco o nulla già irreggimentata, al limite rodata da una pregressa notorietà nel web, visto che i suoi protagonisti e creatori sono quasi tutti web celebrities e vlogger amatissimi. La naturale vicinanza a un target anagrafico (15-28 anni) notoriamente allergico alla programmazione televisiva tradizionale si salda con un’attenzione rinnovata nei confronti di generi trascurati, quando non completamente ignorati, dai nostri media mainstream: la fantascienza e l’horror, e più in generale il fantastico, la teen comedy, il dramedy sentimentale, la parodia e il demenziale, l’action e il thriller. L’antagonismo delle web series nostrane nei confronti della fiction italiana (televisiva ma anche cinematografica) non passa attraverso un’estremizzazione dei registri dell’amatorialità e dell’improvvisazione. Piuttosto si traduce in un’adesione a stili e linguaggi propri della serialità televisiva USA e UK, mimandone elementi di formato (l’orizzontalità forte delle trame, l’organizzazione in stagioni, la pezzatura/durata degli episodi, la tendenza all’ibridazione e alle contaminazioni) e di messa in scena (per esempio, da una certa sitcom monocamera l’inquadratura fissa), con modalità spesso straniante rispetto ai set nazionali. Così, Freaks! rielabora su sfondo romano atmosfere supereroistiche e paradossi temporali della sci-fi anglosassone (con Misfits di Ch4 come nume tutelare, esplicitamente citato e parodiato nella seconda stagione), mentre Vincent Kosmos (questa è la web serie italiana più longeva, dal 2008) gioca a fare il Dr Who della BBC in quel di Torino e Hydra sciorina i topoi del catastrofico-epidemico in un’inquietante ambientazione rurale toscana, che vale almeno quanto le metropoli devastate dei blockbuster hollywoodiani. In alcuni casi questo processo di appropriazione di modelli narrativi ed estetici, estranei alla nostra tradizione, invano ricercati dal pubblico più giovane nella fiction Rai e Mediaset, permette libertà e azzardi altrimenti impensabili nel raccontare personaggi, stili di vita, persino geografie del desiderio: se Stuck (girato in inglese e sottotitolato in spagnolo e francese) gioca con l’immaginario del medical drama adulto e provocatorio, con un life coach cinico tra House e Nip/Tuck, Tris sogna addirittura le ronde sentimentali e sessuali senza confini alla Queer as Life e The L Word. Ma in questa produzione vivace e disordinata, a volte fin oltre i confini dell’incoscienza, resta centrale l’attenzione per mondi e realtà trascu- INNOVAZIONI // Le web series italiane rati dal cinema e dalla tv nostrani, con particolare predilezione per adolescenti e giovani adulti, raccontati ora flirtando con i meccanismi della sitcom e del teen drama (il surreale ultimo anno di liceo al centro di Facce da scuola), ora ironizzando su stereotipi e luoghi comuni di genere e di gender (l’apocalisse zombie a misura di nerd chiusi nelle loro camerette e incollati a skype di Skypocalypse). Inoltre, misurarsi con la narrazione seriale e periodica del web può anche alimentare un piccolo divismo personale che si riverbera su altri media più tradizionali: Flavio Parenti, giovane attore di fiction e di cinema, è contemporaneamente creatore e protagonista dell’acclamato Bymyside, spericolato incontro delle attese alla Godot con il mondo degli slacker di provincia alla Kevin Smith. Su questo piano, le web series si offrono anche e soprattutto come occasione di costruzione e di rivelazione di gruppi creativi nuovi e freschi, spesso giovanissimi, espressione di sensibilità e immaginari territoriali in apparenza periferici e marginali. Così, oltre il gruppo di Youtuber romani di Freaks! (Guglielmo Scilla/Willwoosh, Claudio di Biagio/Non aprite questo tubo, Matteo Bruno/Cane secco etc.), ci sono i The Jackal da Napoli (con la curiosa sci-fi di Lost in Goo- gle e la sua interattività con il pubblico di fan che alimenta le sceneggiature delle nuove puntate), i Nirkiop di Taranto (e le loro tranche de vie liceali di Facce da scuola), i Licaoni da Livorno (con la demenzialità Saturday Night Live style de Il corso di cazzotti del dr. Johnson, premiato al Web series Festival di Los Angeles nel 2012). Resta da capire come questa galassia di esperienze, ancora poco organizzata in maniera coerente e sistematica, possa proporre un modello economico sostenibile e praticabile, oltre l’interessamento di soggetti più o meno istituzionali (come il Giffoni Film Festival, dietro She Died, horror romantico ibrido tra Lynch e Twilight), magari ricorrendo al product placement, aprendo al branded content, oppure con le pratiche di crowdfunding. Dal canto loro, i media tradizionali cercano di metabolizzare formati e modelli dal web: tra i canali televisivi, Fox mantiene da qualche anno FlopTV, una dependance in rete dedicata alle nuove forme di comedy, tra tv e web series: modellata sul portale USA Funny or Die e Comedy Central realizza una sitcom (Amici@letto), distribuendola su Facebook. Se Magnolia Fiction produce Kubrick-Una Storia Porno, sguardo divertito sul mondo delle luci rosse, dividendo in tre segmenti web un pilota televisivo (scritto dal collettivo di autori de Labuoncostume, già dietro il successo di Faccialibro), alcuni soggetti dall’online si spostano verso l’on air: alla sua seconda stagione, Freaks! vede una partecipazione produttiva decisa da parte di Deejay, che lo propone in prima tv esclusiva in contemporanea allo streaming web. The Pills, estroso racconto del mondo dei giovani universitari romani tra impennate surreali e dialoghi sopra le righe, prova a combinarsi con il talk show, sempre nel palinsesto di Deejay Tv. In questo processo di dialogo e di scambio c’è, però, un rischio non da poco: la reazione negativa e scomposta di quella platea web che ha finora decretato il successo di serie e divi, spesso delusa dall’avvicinamento ai media mainstream (soprattutto la tv), vissuto come un compromesso rispetto all’indipendenza creativa associata alla rete (la sollevazione rabbiosa contro YouTuber$, accusato di essere un prodotto para-televisivo che scimmiotta le vere web series, è abbastanza illuminante). Ma c’è anche – forse – un’occasione importante, nel segno di un processo di rinnovamento e di rifondazione delle pratiche del racconto televisivo (e, magari, cinematografico), con la possibilità di coinvolgere un pubblico da troppo tempo perduto e distante. 33 INNOVAZIONI // Le web series italiane di Andrea Bellavita el mondo delle web series, i prodotti grassroots, più o meno ingenuamente freschi o naif, proliferano in ugual modo ovunque tra USA e Europa almeno dalla metà dello scorso decennio, e nascono, fioriscono e muoiono con una rapidità tale da rendere subito obsoleto qualsiasi tentativo di catalogazione. Ma a fianco di questi processi di creazione dal basso, sempre più spesso si consolidano esperienze che vedono come attori principali (a vario titolo: ideatori, finanziatori, sponsor, semplici fornitori di spazio digitale) soggetti che appartengono proprio a quelle forme strutturate dell’ecosistema mediale che il fenomeno delle web series dovrebbe affiancare, quando non esplicitamente intaccare. In particolare nel panorama europeo, il legame più stretto è proprio quello tra web series e reti televisive. In UK, nel 2007, Channel4, la rete della sperimentazione televisiva per eccellenza, nei linguaggi, nei formati e nella ricerca di un target nonsolotelevisivo, rilancia sul web e sul mobile Dubplate Drama (in onda fin dal novembre 2005), tv drama dedicato al pubblico teen che racconta la vita di un gruppo di giovani musicisti di colore (interpretati da veri esponenti della scena inglese) che devono trovare il loro spazio in una realtà sociale difficile, oltre che nel mondo del business. Duplate Drama diventa quindi una serie multipiattaforma e interattiva, che consente al pubblico di votare il finale preferito di ogni episodio, e viene trasmessa anche sul sito di Channel4 (4oD-4 on demand), su MySpace e su un canale di YouTube. N 34 In modo analogo BBC nel 2009 realizza la micro-soap teen The Cut, attraverso la struttura interna BBC Switch (che progetta prodotti crossmediali: interactive game, tutorial, micro-doc), e commissiona la web serie comedy Proper Messy, tutte distribuite sul portale omonimo. Se nel 2010 BBC Switch ha dovuto chiudere i battenti, l’attività di produzione crossmediale del network pubblico inglese continua, spesso impiegando il web come showcase delle nuove proposte, da trasferire poi in tv (su BBC3, soprattutto) in caso di successo, con il progetto Feed my Funny (che comprende Dawson Bros. Funtime, collezione di micro-gag sul mondo delle nuove tecnologie con protagonisti anche youtuber molto noti). D’altra parte il sistema televisivo UK è sempre stato all’avanguardia anche nella creazione delle companion series, ovvero spin-off per il web di “accompagnamento” alle serie televisive regolari, con il compito di tenere desta l’attenzione del pubblico tra una stagione e l’altra o per incrociare segmenti di pubblico più giovani rispetto a quelli dei prodotti di partenza. Il modello delle companion (storicamente molto sviluppato negli USA, intorno alle serie tv regolari: Scrubs, Battlestar Galactica, Lost, Heroes, Walking Dead) consente ai canali televisivi di diversificare l’utenza dei prodotti, sia in chiave anagrafica, sia in termini di piattaforma di fruizione. Se BBC aggiorna la sua soap storica, Eastenders, con la versione teen Eastenders E20, che sviluppa i plot dei personaggi più giovani intersecandoli con le linee narrative verticali, Channel 4 sviluppa un progetto analogo con Hollyoaks: The Morning INNOVAZIONI // Le web series italiane After the Night Before. Sulla stessa linea ci sono gli esperimenti di approfondimento di personaggi e plot in situazioni parallele o alternative a quelle della serie regolare. Ancora BBC elabora nel 2011 Being Human: Becoming Human, che sviluppa il personaggio di Adam, vampiro di 46 anni nel corpo di un sedicenne, già al centro di una linea narrativa di Being Human, e Doctor Who: Pond Life, che approfondisce le vicende familiari di due dei protagonisti della serie. Un’evoluzione particolare della relazione tra sistema televisivo “classico” e prodotto seriale per il web si sta sviluppando nel sistema francese. Da anni il canale tematico culturale franco-tedesco Arte sperimenta i modelli della web serie e del web-doc in forma integrata sul proprio sito e in programmazione regolare: da Addicts, serie ibrida di fiction e doc ambientata nella banlieue di Bordaux, a Prison Valley e La Vida loca, fino al più recente Alma, une enfant de la violence, che segue le confessioni di Alma, giovane di 26 anni che da 14 ai 19 è stata membro di una gang criminale a Ciudad Guatemala. Per “raccontare” la vita di Alma, Arte predispone un progetto crossmediale che prevede applicazioni per iPad e Android, un webdoc trasmesso sul sito arte.tv, che si aggiungono ad un doc classico programmato sul canale e un libro. Ma è il gruppo France Télévisions che affronta il suo ruolo di televisione pubblica attraverso un aggiornamento delle piattaforme di diffusione e di elaborazione di formati e con prodotti più vicini al taget giovane: la struttura Nouvelles Ecritures ha come obiettivo proprio la produzione di progetti transmediali. Prima su tutte Les Opérateurs, che racconta in modo caustico l’ambiente di lavoro delle grandi multinazionali (sul modello del francese DRH, del 2010, ambientata nel mondo delle risorse umane aziendali, e dell’americana The Temp Life), disponi- bile sulla piattaforma web Studio 4.0, lanciata in collaborazione con France 4, ma anche Pause emploie e VRP, che fotografano in chiave comedy il lavoro quotidiano di un’agenzia di lavoro interinale e di un’agenzia di viaggi. Si aggiungono progetti più classici, che ruotano intorno alla forma del web-doc: B4, fenetres sur tour, sulla vita quotidiana di un palazzo abitato da varia umanità, Nos guerres d’Algérie, che declina il macro-evento storico in chiave famigliare, Geopolis, reportage sulla rivolta siriana a Homs e La campagne à velo, che racconta l’ultima campagna elettorale. Non è un caso che la Francia sperimenti anche alcuni dei modelli produttivi e realizzativi di web series più diffusi (e ormai prioritari) negli USA. Quello del brand entertainment: a fronte della pluralità di esperienze in questo senso provenienti dagli Stati Uniti (Web Therapy, Easy to Assemble, In Gayle We Trust e lo stesso The Temp Life, per citare le più note), anche i francesi hanno il loro Les yeux dans le pneus, docu-web series sulle vicende di un ex ciclista che decide di partecipare alla preparazione del Tour de France della squadra Europcar. Naturalmente sponsorizzata dal brand. La Francia è uno dei paesi europei (insieme a UK e Germania) che sta sperimentando con successo il modello degli youtube original channels, ovvero dei canali di contenuti originali a cui YouTube accetta di fornire il proprio marchio e di concedere condizioni economiche particolari (anticipa gli investimenti produttivi necessari ai creatori, restituiti quando i canali incominciano a produrre utili, dividendo i profitti successivi), che oggi rappresentano l’humus di sviluppo più interessante per le web series: da Machinima a WIGS e Black Box TV, i nuovi canali sono destinati a diventare luoghi non solo di distribuzione e organizzazione dei contenuti seriali per il web, ma anche di produzione. Spesso con l’appoggio e la collaborazione dei maggiori soggetti internazionali che operano sui settori dell’audiovisivo più tradizionale, da Warner a Sony, in un regime di convivenza con i portali di distribuzione di prodotto alternativi alla televisione (Netflix e Hulu, ma anche i portali come MSN) che si appresta a diventare competizione. Aspettando che Apple prenda una posizione. Ma per noi, tutto questo, è SyFy, anche senza un channel dedicato. 35 INNOVAZIONI // Le web series italiane PLAYLIST Pillole dal mondo delle web series italiane di Nicole Bianchi e Andrea Guglielmino LOST IN GOOGLE Istruzioni: andare sulla pagina di ricerca del motore Google e digitare Google. È questo il principio su cui si basa la serie web Lost in Google, il cui “slogan” infatti recita: “Hai mai provato a cercare Google su Google?”. Questa web commedia si è distinta nel 2012 come una tra le più promettenti serie della rete: una produzione totalmente italiana, diretta da Francesco Ebbasta (Francesco Capaldo), del gruppo produttivo napoletano The Jackal, nato nel 2005 con l’idea di rendere parodia ogni spunto suggerito dal cinema tradizionale. La trama? I protagonisti? Il personaggio Proxy stuzzica la curiosità della webcelebrity Ruzzo Simone, chiedendogli se abbia mai provato a cercare Google su Google: lui non riesce a resistere e da qui in poi si apre un portale in bilico tra realtà e realtà virtuale, che proietta Simone nel web. La serie vanta di aver ospitato personaggi del piccolo/grande schermo come Claudio Bisio, Caparezza e Roberto Giacobbo. Fantascienza – il genere di appartenenza della serie – e realtà – l’interazione con gli utenti – sono le colonne dell’idea: i commenti del pubblico, scritti direttamente sotto l’episodio su YouTube o sul sito ufficiale, generati a seguito della messa online di ogni puntata, sono stati utilizzati per sceneggiare l’episodio successivo. L’utente diventa co-sceneggiatore e Lost in Google si dichiara lampante esempio applicato del concetto di interazione, oltre che innovativa espressione del linguaggio classico della serialità applicato al nuovo spazio del web. http://lostingoogle.fanpage.it/ www.youtube.com/user/thejackall BYMYSIDE BMS ovvero Bymysidewebseries è anzitutto una casa di produzione, e poi una web serie. È Flavio Parenti, attore, il nucleo primo della produzione, casa cinematografica dedicata e specializzata al mondo della rete in Italia. A titolo personale annovera, inoltre, di aver recitato accanto a interpreti come Woody Allen e Tilda Swinton o lavorato su set diretti da Pupi Avati, Liliana Cavani e Peter Greenaway. Bymyside – la serie, 10 episodi complessivi, ha nella sua sinossi il mistero, quello della scomparsa del cantante Filippo, di cui il resto del gruppo musicale – gli amici Bozo, Sparo e Teo – aspetta il ritorno nel trascorrere di una lunga nottata. Bymyside, dal mese di luglio appena trascorso, è stata scelta dalla piattaforma web-tv Streamit per essere inserita in palinsesto, accanto ad importanti 36 produzioni europee e americane come The Confession di Kiefer Sutherland. La serie è stata insignita del Premio SIAE 2012, nella categoria Miglior Web Serie. www.bymysidewebseries.com/ INNOVAZIONI // Le web series italiane FACCE DA SCUOLA “La prima sit-com pugliese!”, recita lo slogan della serie. È il gruppo Nirkiop, capace di fare numeri intorno alle 2.680.000 visualizzazioni per puntata, ad avere scritto, diretto e interpretato Facce da scuola. La serie, di genere comico, è scritta intorno al luogo comune e allo stereotipo, ricorrenti e riconoscibili per ciascuno, caratteristici del mondo della scuola. Non si abbandona solo alla risata Facce da scuola, osa anche riflettere, con leggera serietà, sulle piccole problematiche quotidiane che la vita da alunno comporta. Nicola (Conversa), prototipo dello studente approdato alla maturità con pochissimi crediti e destinato ad un voto mediocre, sta per affrontare l’ultima domanda orale del suo esame di stato: è in questo istante che avverte l’avvicinarsi “della fine”, il concludersi di una storia di classe, del mondo del liceo. Chiude gli occhi, generando un flash back di nove mesi che coinvolge lo spettatore nei ricordi, portando alla conoscenza degli amici, dei luoghi, che lo hanno reso protagonista della sua stessa vita. Testate giornaliste televisive di rilevanza nazionale hanno parlato del gruppo Nirkiop – mente creativa di sette elementi tra i 18 e i 22 anni - indicandolo nella terna da podio degli youtuber più apprezzati e cliccati d’Italia. www.youtube.com/user/nirkio?feature=chclk SKYPOCALYPSE Tre nerd, dopo un’apocalisse che ha tramutato gli umani in esseri mostruosi, per cercare altri sopravvissuti, creano un gruppo su Skype chiamato Skypocalypse, che è anche il titolo di quella che si professa “la prima webserie italiana in 4D” (qualunque cosa possa significare). La surreale commedia post-pandemica in streaming è un cult per migliaia di navigatori, e nasce nel corso di un meeting tra YouTubers, il 26 marzo 2011 a Milano. Suo principale ispiratore è Karim Musa, conosciuto in Rete con il nickname di Yotobi, che ha poi deciso di abbandonare il progetto a causa di divergenze creative. Punto di forza è una struttura narrativa che consente potenzialmente di espandere all’infinito il numero di partecipanti, e che ha dato la possibilità di farsi conoscere a molti Youtuber emergenti, dai due Mattia (Ferrari e Pozzoli, in arte VictorLaszlo88 e Matioski) a PallonW a Cimdrp, ormai piccole grandi celebrità del web. Sotto il profilo produttivo, l’aspetto interessante è quello di poter gestire una fiction i cui attori principali sono sparsi in molteplici differenti location. Che però, sono fondamentalmente le “camerette” dei protagonisti, il cui numero varia in base al quantitativo di personaggi che intervengono in una singola puntata. Dal punto di vista delle “riprese”, ogni attore può tranquillamente filmare le scene a casa propria nei tempi e nelle modalità che preferisce. Poi si fa il montaggio, dove si cerca, con un lavoro certosino, di rendere omogenee le fonti che vengono realizzate, per forza di cose, con webcam di tipologia assai varia, tentando anche di creare l’illusione di un contatto visivo tra i personaggi, seppur mediato dalla tecnologia. Insomma, allo spettatore, chino davanti al suo PC, pare di star assistendo ad una vera chiamata su Skype. E naturalmente, la fanno da padrone battute e citazioni, estrapolate dall’universo ‘nerd’ (o Geek che dir si voglia), ormai autentico crogiuolo di elementi di cultura pop che mastica e risputa ogni media – dal cinema, alla tv, ai fumetti ai videogiochi – sotto una diversa forma. E in questo caso, la distanza tra pubblico e attori risulta davvero minima. Chiunque, con una webcam e una connessione a Skype, può sentirsi dalla parte del “sopravvissuto”. www.youtube.com/user/skypocalypse Per approfondimenti collegati al sito 8-mezzo.it 37 INNOVAZIONI // Le web series italiane THE PILLS Nel quartiere di Giardinetti a Roma, in un appartamento arrangiato alla bene e meglio, un gruppo di studenti si confronta su temi “universali”: il rapporto con l’altro sesso, l’amicizia, la vita all’università. Pare una generazione quantomeno incerta, ma a salvarla c’è l’ironia. Questo il canovaccio di The Pills, web-series in bianco e nero , scritta e diretta da un gruppo di intraprendenti amici capitolini, che in pochi mesi spopola sul web diventando un tormentone sui maggiori social network (nel momento in cui scriviamo, dicembre 2012, 13.000 contatti su facebook e decine di migliaia di visualizzazioni su YouTube). La serie nasce nel 2005 come idea nella mente di Luca Vecchi, che pian piano si circonda di un gruppo ampio di interpreti – rigorosamente non professionisti – scrittori, creativi e tecnici. Quando il motore è l’entusiasmo, insomma. Assi portanti sono Matteo Corradini, Luigi Di Capua e Federica Marcaccini, che si destreggiano tra un tavolo e poche sedie di chiara matrice Ikea, caffè a litri e sigarette a tonnel- late. E una valanga di influenze e citazioni: dal Clerks di Kevin Smith ai film di Jim Jarmusch, passando per la serie USA Scrabs e il nostrano Santa Maradona. Attorno al gruppo una dozzina di altri personaggi, che partecipano a turno, a seconda delle possibilità, dato che tutti vivono grazie ad attività parallele. Lo stesso gruppo creativo sta dietro alla pubblicazione Dudemagazine, nata “con l’intento di focalizzarsi su progetti e lavori di qualità, relegati ai margini del mercato e di conseguenza del pubblico”. www.youtube.com/user/THEPILLSeries www.dudemag.it/ SHE DIED 10 episodi, 10 minuti, e She Died. È il Giffoni Film Festival, tra le più quotate rassegne al mondo di cinema per ragazzi, ad aver ideato – Luca Apolito, Manlio Castagna: responsabile creativo, vicedirettore artistico del Giffoni, ma soprattutto sceneggiatori e registi – la serie. Genere: supernaturale, She Died racconta l’amore destinato a non separare nemmeno davanti alla morte. Il giocattolo, in una versione illustrata macabra, per ideazione del protagonista Davide, è lo spunto iniziale, che poi si apre alla narrazione sentimentale. L’incontro tra lui e Anastasia, subito innamorata del giovane disegnatore, è il cuore della storia d’amore: Davide, però, deve individuare la modalità con cui liberarsene. Non casualmente, probabilmente, la serie è stata messa online dal 14 febbraio: San Valentino, festa degli innamorati. Premessi gli importanti natali del Giffoni la serie si offre al pubblico con il desiderio di sottolineare, rispetto alla media delle produzioni per la 38 rete, la propria qualità produttiva. Gli stessi autori hanno ribadito, infatti, di non avere l’intento di un impatto (come quello comico o trash) a riscontro immediato ma, piuttosto, l’ambizione di vivere come prodotto con tutte le credenziali per essere concorrenziale con una produzione cinematografica tradizionale e di alto profilo. www.webseriestv.it/video/1135 INNOVAZIONI // Le web series italiane BABBALA E IL RAGAZZO IDIOTA “Non c’è strategia nel mio successo, soltanto idiozia”. A parlare così è Maccio Capatonda, al secolo Marcello Macchia. Dopo aver fondato la Shortcut Productions, insieme a Enrico Venti, ha immediatamente spopolato anche in tv grazie alle sue partecipazioni a programmi celebri come Mai dire Lunedì e Mai dire Martedì, intrise di una comicità inedita, principalmente basata sulla parodia di comuni errori della lingua italiana o su termini usati raramente e decontestualizzati dal loro ambito abituale. Capatonda fa parlare i suoi personaggi come goffi analfabeti che creano inconsapevolmente neologismi, che poi gli appassionati tramutano in tormentoni. Tra le sue produzioni figurano anche piccole scenette pubblicitarie utilizzate per la promozione di prodotti o emittenti televisive (All Music). Nel 2008 partecipa ai videoclip delle canzoni Parco Sempione e Ignudi fra i nudisti del gruppo Elio e le Storie Tese, da lui diretti, oltre a quello de Il topo mangia il gatto di Francesco Baccini. Nel 2012 presenta al Roma Fiction Fest l’esilarante serie Babbala e il ragazzo idiota (10 puntate in onda su Flop TV, televisione web dedicata alla comicità, al surreale e all’umorismo e creata da FoxFactory e dal dipartimento New Media di Fox). Parodia di una serie per ragazzi degli anni ’70, Bigfoot and Wildboy, la sitcom vede Capatonda vestirsi da scimmione affiancando nelle gag il suo storico compare Herbert Ballerina (Luigi Luciano), con cui fronteggia le macchinazioni del villain della situazione, dall’improbabile nome di Busto Arsizio (Ivo Avido) e sventa “temibili” pericoli come l’ingestione di un vasetto di yogurt scaduto. www.short-cut.it/ www.floptv.tv/ TRAVEL COMPANIONS Piccoli estratti di viaggi quotidiani in auto di due colleghi che si recano al lavoro, dividendo spese ed esperienze, stanno alla base di Travel Companions, web serie scaturita dalla mente di due ingegneri partenopei, Ferdinando Carcavallo e Luca Napoletano. La partenza del progetto è nel segno della spontaneità: nel 2010 i due decidono di riprendersi in auto mentre vanno al lavoro, semplicemente per passare il tempo e superare la noia e lo stress causati dal traffico della tangenziale. Ma il primo video realizzato, dominato dal nonsense, spopola nella cerchia di amici del duo su facebook, così il progetto inizia a prendere forma. Un anno dopo, a Los Angeles, la prima stagione vince il premio come migliore serie comedy in lingua straniera al Web Series Festival. Incoraggiati, i due videoamatori mettono su una seconda stagione, il network televisivo Comedy Central ne acquista alcune puntate per il programma TV Generica e l’interesse della stampa – specie quella online – comincia a crescere. Nel 2011 arriva un cortometraggio celebrativo (Travel Companions a colori), che raccoglie i migliori episodi fino ad allora prodotti. Il corto viene presentato come evento speciale al Roma Fiction Fest e vince una menzione speciale al Napoli Film Festival. Seguono la miniserie Travel Companions Bassa Stagione (sei episodi in partenza, poi diventati undici) e un secondo corto, Travel Companions in quattro terzi. Distribuito attraverso un sito ufficiale e un canale YouTube, il serial fa capolino anche su Coming Soon Television, durante il programma Short Stories. E gli autori non si fermano: nel gennaio 2012 realizzano un video per una collaborazione tra il portale FutureScapes di Sony e l’organizzazione no-profit Forum for the Future, e stanno pensando a una nuova serie, ancora top-secret con il medesimo spirito della precedente (comico e surreale) ma con un budget più cospicuo, raccogliendo fondi in rete. I finanziatori vedranno i loro nomi nei titoli di coda in tutti gli episodi e negli eventuali derivati della serie, e quello che acquisterà più quote degli altri – con un minimo di quattro – comparirà nei titoli di testa. http://travelcompanionswebserie.blogspot.it/ www.youtube.com/user/kinemazone 39 INNOVAZIONI // Le web series italiane FREAK OUT: LE BRAND, C’EST TREND! Intervista a Luciano Massa di Andrea Guglielmino uando si parla di web-series italiane, il primo titolo che salta in mente non può che essere Freaks! In primis, è innegabile, per la presenza in doppia veste di interprete e produttore della ‘webstar’ Guglielmo Scilla, famoso su YouTube con lo pseudonimo di Willwoosh, sotto il quale ha iniziato la sua attività pubblicando divertenti video parodistici. Dietro Freaks!, però, ci sono un impianto e una storia produttiva decisamente più strutturati, oltre a un’idea di base molto forte che richiama alla memoria celebri precursori statunitensi come Heroes e Misfits (a cui tra l’altro viene reso direttamente un omaggio nella prima puntata della seconda stagione). Cinque ragazzi apparentemente normali, vittime di un misterioso svenimento collettivo, si risvegliano 4 mesi dopo con forti vuoti di memoria e, soprattutto, con poteri speciali, sulla cui origine iniziano a indagare. Di qui il titolo: Freaks!, mostri, fenomeni da baraccone, scherzi della natura, ma anche persone dotate di capacità fuori dalla norma. Q 40 Riferimenti online: www.freakstheseries.com/ www.show-reel.it/ Il primo episodio è stato pubblicato su YouTube l’8 aprile del 2011 – poi per la seconda stagione (2012) la serie sarebbe passata in televisione, sul canale Deejay Tv – con immediato e crescente successo di visualizzazioni, più di 8 milioni nei primi due mesi. Tre dovrebbero essere le stagioni complessive: la prima è stata realizzata con un budget limitato e con la partecipazione di un cast tecnico e artistico amatoriale e non retribuito. Gli oneri produttivi se li sono messi sulle spalle i principali interpreti: oltre a Scilla, Giampaolo Speziale (leader della rockband About Wayne) e Claudio Di Biagio (conosciuto sul web come Nonapritequestotubo). Con loro, Matteo Bruno (su Internet, CaneSecco) che ha curato anche la fotografia. Per la seconda stagione, trasmessa oltre che su YouTube e su Deejay Tv, anche sul sito ufficiale (www.freakstheseries.com), è entrata direttamente in ballo la creative farm Show Reel, che per la prima si era impegnata a sviluppare piano marketing e comunicazione. Dal 2006 Show Reel si occupa di Branded Entertainment e social media marketing. Di cosa si tratta? In breve, al centro dell’esperienza c’è un modo totalmente nuovo di fare promozione, integrandola in prodotti d’intrattenimento di qualità, in cui gli autori mantengono totale libertà artistica e al contempo si cerca di far coincidere gli interessi di varie aziende, che si impegnano a fornire contributi economici o di servizi in cambio di un ritorno di contenuti e d’immagine innovativo e distante dalle politiche ‘invasive’ della pubblicità canonica. Questo non significa che Freaks! sia uno spot: al centro dell’operazione c’è sempre l’obiettivo di realizzare un prodotto di alto livello artistico e renderlo disponibile gratuitamente su larga scala, così che sia l’utente stesso a ricercare, indirettamente, la pubblicità, mentre si connette per guardare l’ultima puntata del suo serial preferito, invece che ‘subire’ il messaggio promozionale come tradizionalmente accade. Ne parliamo con il General Manager di Show Reel Luciano Massa. INNOVAZIONI // Le web series italiane Ci presenta brevemente la Show Reel e le sue attività? Abbiamo portato in Italia il Branded Entertainment nel 2006. Ideiamo e sviluppiamo format originali per le aziende con lo scopo di intrattenere il pubblico. Cerchiamo di portarlo dentro luoghi virtuali o reali, con idee semplici che lo coinvolgano direttamente risultando meno invasive delle tradizionali forme di pubblicità. Il contenuto viene sempre al primo posto e spesso viene co-creato dagli utenti stessi, come nel caso di Twittastorie, format che abbiamo prodotto per Telecom in cui i partecipanti potevano diventare autori di cortometraggi ispirati alle più belle città italiane, diretti da diversi registi famosi tra cui Manetti Bros., Asia Argento, Cosimo Alemà, con la partecipazione di guest star come la modella Eva Riccobono. riamo con molte realtà diverse, dalle telecomunicazioni tradizionali ai brand d’oltreoceano, agli istituti di cultura. Il bello dei nostri progetti è che sono “notiziabili”: interessano i media, i giornali, le tv ne parlano, quindi le aziende li vedono, trovano il nostro marchio e da lì parte il filo d’Arianna che li conduce a noi. Con la Mondadori ad esempio è andata così. Certamente, un modo innovativo per promuovere prodotti… Guardi, mi permetto di dirlo in maniera polemica. Molti dei creativi pubblicitari che ho conosciuto, anche di agenzie blasonate, se lavorassero nell’industria dell’intrattenimento italiano potrebbero al massimo fare gli stagisti. Ai brand che stanno diventando broadcaster – ovvero tutte le aziende che pubblicano contenuti su YouTube, Facebook e simili – non dico di rivolgersi necessariamente alla Show Reel, ma a qualcuno che sappia fare intrattenimento e che conosca i mezzi per coinvolgere e interessare il pubblico. I canali e i mezzi tradizionali si stanno prosciugando e comunque, da soli, non bastano più. Il pubblico è cambiato: noi tutti siamo diventati consumatori molto più difficili da convincere rispetto a qualche anno fa. chiediamo all’azienda quali sono gli obiettivi che vuole raggiungere, studiamo il loro cluster e buttiamo giù le nostre “linee guida”… e invece che una campagna adv realizziamo progetti di cui l’utente si trova protagonista, coinvolto in maniera diretta. Ma i clienti come arrivano a conoscervi? Con il passaparola, principalmente. Lavo- Come vi ponete nei confronti di chi vi commissiona il lavoro? Non da fornitori, ma da possibili partner. Siamo molto critici, contiamo le pulci che hanno in testa, ci mettiamo nei panni del cliente finale e solo dopo, se ci piacciono veramente, accettiamo il lavoro. Poi tecnicamente si inizia come si partirebbe per la realizzazione di una pubblicità tradizionale, Freaks!, però, almeno a prima vista, pare un prodotto a sé stante e non un mezzo per veicolare messaggi promozionali. E lo è. Freaks! è un progetto artistico a cui il mercato tradizionale (quello delle tv per intenderci) non avrebbe mai permesso di nascere. In questo caso volevamo realizzare il sogno di quattro venticinquenni intraprendenti: la seconda stagione della loro serie. Poiché i fondi necessari non sarebbero arrivati tutti dalla tv, né da uno sponsor singolo, l’unica strada era mettere insieme un gruppo di aziende che da un lato hanno fatto da mecenati al progetto, e dall’altro hanno avuto un ritorno forte in termini d’immagine e pubbli- citari. Da Deejay Tv che si è posta come coproduttore e ha chiesto solo i diritti televisivi, a Citroën che per prima ci ha creduto, a Canon, Nintendo e varie marche d’abbigliamento, tra cui mi piace citare in particolare Pennyblack. Feltrinelli, poi, ha dato la base per una serie di iniziative interessanti: dall’ambientare alcune scene in libreria ai tour organizzati nelle librerie stesse, passando per la distribuzione del merchandising esclusivo. È stato anche un modo per avvicinare i teenagers, che di solito malvolentieri frequentano i libri, al mondo dell’editoria. E poi i videoblog, gli appunti di produzione. Questo, per farle capire, è un autentico progetto di Branded Entertainment, però multi-brand. La soddisfazione più grande è che il prodotto artistico non ne è affatto uscito svilito, la premessa che sin dai primi incontri abbiamo posto ai nostri interlocutori era che sul lavoro dei creativi non dovevano esserci ingerenze. Dovevano avere assolutamente carta bianca e uno dei primi a concedercela è stato proprio Linus, direttore artistico di Deejay Tv. Ma quando e come è nato l’incontro tra Freaks! E Show Reel? Me ne ha parlato per la prima volta Scilla, nel novembre del 2010. Stavamo iniziando a lavorare insieme e lui mi ha detto che aveva questo progetto da propormi. Ho risposto: “Ok, parliamone”, ma si è bloccato un attimo. Mi ha detto che prima doveva consultarsi con i suoi partner, che poi sono Claudio, Matteo e Giampaolo, che ormai conoscete bene. Dopo un po’ di tempo abbiamo fatto un incontro, l’idea è piaciuta a me e ai miei soci, ma proprio nell’ottica di cui le parlavo prima ho detto loro: “Ok, vi diamo una mano, ma non vogliamo vedere niente finché non avete un prodotto finito”. Così, ci siamo messi a la- 41 INNOVAZIONI // Le web series italiane vorare, ma separatamente, io col mio team al marketing e alla comunicazione, loro con le loro forze, alla fiction. Ci tengo a ricordare che si sono prodotti la prima stagione da soli, con appena duemila euro. Io la prima puntata l’ho vista a Roma in albergo, tre giorni prima che uscisse. E lì ho capito che avevamo scommesso sul cavallo giusto, di aver fatto bene a lasciar loro totale libertà, quella che chiunque vorrebbe, soprattutto a quell’età. Per la prima serie noi abbiamo sostenuto solo i costi di marketing e comunicazione. In sostanza, quanto le ha reso? Molto in termini di pubblicità e passaparola tra le aziende, ma non ci abbiamo guadagnato nulla, né noi, né i creatori. Certo il valore totale dell’operazione si aggira attorno al milione e mezzo di euro, ma devo dire che per realizzarla ha aiutato molto anche il fatto che gli interpreti siano stati pagati il minimo sindacale, le maestranze solo con la garanzia di un rimborso spese. Ai fornitori abbiamo dato visibilità nei titoli di coda. Pensi l’entusiasmo: stiamo parlando anche di tecnici, quindi non gente che ha un immediato ritorno d’immagine, l’hanno fatto per il piacere di partecipare all’evento. Se così non avessero fatto non saremmo riusciti a terminare il progetto, e pensare che gran parte del budget se n’è andato in tasse. Secondo lei, cosa c’è alla base del successo della serie? Certamente il fatto di essere arrivati per primi, nel nostro paese. Senza dimenticare che Freaks! è la prima serie sci-fi italiana dopo Spazio 1999, co-produzione italo-britannica del 1973, quasi 40 anni fa. Ma anche e soprattutto una trama ac- 42 cattivante, misteriosa, un aspetto che intriga e al contempo diverte. Sa qual è il commento che ci lasciano più spesso sotto i video? Me lo dica lei… “Non ci ho capito un cxxxx… però fighissimo!” E il futuro delle web series, in Italia, come lo vede? Come un modo di farsi pubblicità, di mostrare il proprio talento. Al momento è prematuro parlare di un’industria nascente, perché i numeri di visualizzazioni in Italia, seppur importanti, non permettono di mettere su una produzione contando solo su banner e pre-roll. E poi, mi permetta di essere di nuovo polemico, stavolta nei confronti dei giovani italiani: a volte sono fin troppo ottusi e ciechi, perché se un progetto arriva dagli USA supportato dalla Coca-Cola “è ok”, e lo accolgono a braccia aperte, mentre in Italia, secondo loro, si deve produrre, ma senza sponsor, e condividendo tutto “aggratis”, mi perdoni la licenza dialettale. Di che si lamentano? Alcune community considerano i ragazzi di Freaks! come dei “venduti”, perché ora la serie passa anche in tv, o magari perché vedono la pubblicità degli sponsor sul sito. E’ un prodotto di qualità, costato denaro e sacrifici, non si può pretendere di averlo – sottolineiamo, gratis – senza che qualche azienda ci affianchi il proprio logo. Il fattore più importante della seconda stagione di Freaks! è che ci sono aziende e uomini che credono ancora nei giovani di talento. E' importante far capire che con la crisi che c’è, il fatto che diverse industrie complementari – dunque, senza pestarsi i piedi a vicenda – si siano unite per realizzare il sogno di un gruppo di giovani, in Italia, è praticamente un miracolo. Sono onorato di aver conosciuto questi talenti “under 25” e di esser riuscito a trasmettere il loro e il nostro entusiasmo ai manager delle aziende che hanno deciso di seguirci e supportarci. Abbiamo fatto una cosa che non succedeva almeno dagli anni ’90, quando i sogni dei ragazzi li realizzava l’industria discografica, ahimè oggi defunta. La pirateria è anche un problema ‘culturale’: da noi la gente, specie i giovani, è fin troppo abituata a scaricare tutto, illegalmente e senza spendere un soldo, è una tendenza che non possiamo combattere ma che di fatto sta ammazzando la qualità. Pensate ai dischi che uscivano negli anni ‘90 e fate il confronto con quelli di oggi. Gli ultimi dati dicono che 14 milioni di persone al mese, in Italia, guardano video sul web. Ebbene, sono numeri ancora troppo bassi. Noi gridiamo al successo per 100mila visualizzazioni, oltreoceano lo si fa per almeno dieci milioni. Questo vuol dire che un prodotto, da solo, non si può reggere solo sulla base della pubblicità raccolta dal canale YouTube, è necessario applicarsi a modelli misti, proprio come abbiamo fatto noi con Freaks! E nel futuro di Show Reel, cosa c’è? Guardi, non posso dirle troppo, per scaramanzia. Inoltre i prossimi progetti sono sotto stretto vincolo di riservatezza. Nel momento in cui le parlo (dicembre 2012) posso darle solo quest’anticipazione: una grossa realtà dell’Entertainment italiano, con capitali tutti nostrani, ha visto in Show Reel un’entità capace di fare ricerca e sviluppo come nessun altro fa attualmente, e ha deciso di supportarci. INNOVAZIONI // Le web series italiane VOGLIAMO KUBRICK di Valerio Orsolini Ludovico Bessegato, ideatore, regista e responsabile editoriale di Magnolia Fiction e Fabrizio Luisi, autore ed interprete di alcune delle web series di maggior successo in Italia, hanno da poco collaborato nella serie Kubrick - Una Storia Porno. l fenomeno si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Dal 2009, l’International Academy of Web Television, IAWTV, assegna gli Streamy Awards, evento annuale creato per premiare le migliori produzioni su web, per le categorie regia, recitazione, produzione e sceneggiatura. L’Italia non è ancora protagonista internazionale in questo campo, per sapere com’è la situazione nel nostro paese ne parliamo con “quelli di Kubrick”. I Fabrizio, Ludovico, il vostro mestiere e il perché del titolo della serie. F: Volevamo un titolo che fosse alto e basso allo stesso tempo. Che è poi uno dei temi della serie: scoprire che a volte certe ambizioni intellettuali sono fredde e vuote e anche un po’ ridicole, e invece ciò che prima giudicavi poco degno, ha una sua nobiltà, un suo valore, che poi ti permette di esprimere il tuo di valore. L: Gli autori avevano proposto una rosa di titoli. Alcuni troppo sfacciati, altri troppo raffinati. Ad un certo punto eravamo tutti convinti che si dovesse chiamare Una Storia Porno. L’ufficio legale aveva però difficoltà a far firmare contratti con quel titolo. Abbiamo quindi rispolverato al volo una vecchia ipotesi, appunto Kubrick, che fa riferimento ad una battuta pronunciata nella prima puntata della serie. Casi italiani di web series sono, per esempio, Faccialibro, The Pills: definite il concetto di web serie e spiegate se esista davvero differenza tra i media che usano comunque il linguaggio video. F: Siamo ancora in una fase pionieristica, sperimentale, derivativa. Penso che tutte le “regole su come fare un video su internet” note al momento, siano infondate. Per esempio la brevità. E Kony 2012? E se uscisse Breaking Bad su YouTube non me lo vedrei perché dura troppo? Piuttosto si può parlare di qualità del testo e contesto produttivo: la forza dell’idea, il ritmo interno, le scelte di realizzazione e distribuzione, l’autorevolezza di chi crea e distribuisce. Che poi può essere un’autorevolezza amatoriale, anzi spesso è preferibile l’amatorialità, perché implica una sfida e quindi è di per sé una grande storia che trasforma il pubblico in fan e tifosi. L: Sono domande complesse a cui si troverà una risposta fra qualche anno. Di fatto, in Italia le web series sono racconti video serializzati, diffusi principalmente su web. Fino a ora le caratteristiche comuni sono la brevità, l’economicità, il linguaggio “sporco” e la bassa età di chi le realizza. Ma sono certo con il tempo non saranno più paradigmi esclusivi. Anche le prime radio libere avevano le stesse caratteristiche e poi sappiamo come è andata. 43 INNOVAZIONI // Le web series italiane Nella serie si parla di temi universali. Quindi, spiegateci perché parlare di porno, perché il sesso è uno degli argomenti più popolari e “googlati” della rete. F: L’idea di una storia con il porno ci piace perché ci permette di parlare di sesso. È una delle cose più presenti nelle nostre vite, in così tante forme, e allo stesso tempo viene raccontato così poco. Usato moltissimo, raccontato poco. L: Il porno interessa tutti, garantisce enormi quantità di occasioni comiche e non è quasi mai affrontato dalla nostra narrativa. Tre ottime ragioni per parlarne, no? In queste series ricorrono riferimenti espliciti al mondo della rete. In Lost in google i commenti degli utenti contribuiscono a comporre la sceneggiatura delle puntate: in tal senso Kubrik sembra essere rimasta un passo indietro. F: Ah che bella questa domanda! Penso che l’interattività non sia una specifica del racconto in rete. È un uso, come dicevo, pionieristico del mezzo. È come dire che lo specifico del cinema sia di spaventare gli 44 spettatori facendogli arrivare dei treni addosso. Anche. Ma non è quello che ci è rimasto di quest’arte dopo più di un secolo che la frequentiamo. Specifiche della rete per me sono l’orizzontalità, l’immediatezza, la visibilità, la partecipazione, l’intelligenza collettiva... Ma qui il discorso si fa lungo. L: Non condivido il tuo “spesso”. La serie che hai citato è infatti l’unica ad avere un meccanismo che valorizzi davvero il mezzo che la ospita. In ogni caso non credo che Kubrick sia un passo indietro. Se l’Italia fosse un paese dove la televisione promuove e ospita ogni tipo di serialità sarebbe certo stupido fare una web serie che non tenga conto dello specifico del mezzo. Ma essendo la nostra televisione molto chiusa, il web diventa esclusivamente uno spazio di libertà. Kubrick, web serie in tre puntate “pilota”: ipotesi di futuro. F: La serie è andata molto bene. Cerchiamo qualcuno che la produca. Rete, televisione, cinema: ogni mezzo è adatto a raccontare questa storia. L: Il futuro di Kubrick è molto nebuloso. Aspettiamo responsi dalle reti, sogniamo il cinema. Stiamo cercando il modo migliore per sfruttare la credibilità che ci siamo conquistati. Con le nuove tecnologie, penso in special modo a tutto ciò che è mobile, quali saranno i cambiamenti nella produzione di web series? Linguaggio, inquadrature, scrittura, altro? F: Il concept, l’idea, sarà sempre più importante e dovrà essere un’idea di racconto, ma allo stesso tempo un’idea di messa in scena e un’idea di distribuzione. Tutto dovrà essere subito molto giusto, coerente ed efficace. Su mobile nei primi 30 secondi ti sei giocato tutto. E poi il telefono è strumento sociale: il video ti deve piacere, ma ti deve anche far piacere mostrarlo a chi è attorno a te. L: Credo che il principale cambiamento riguarderà la brevità del prodotto. E la ricerca di elementi interni che favoriscano la viralità. INNOVAZIONI // Le web series italiane Alla fine del terzo e, per adesso, ultimo episodio della serie, gli autori di Kubrick chiedono di scrivere “vogliamo Kubrick” nei commenti al video: coloro che hanno voluto esprimere il proprio gradimento alla serie sono già molte migliaia. Questo articolo è il nostro “vogliamo Kubrick”, sperando che siano sempre di più i contenuti ed i contenitori in grado di esprimere nuove idee, nell’attesa che l’Italia vinca il primo Streamy Award. In ogni caso se Una Storia Porno vi ha incuriosito potete andare su www.webseriestv.it/kubrickuna-storia-porno per farvi un’idea più precisa e magari dire anche voi “vogliamo Kubrick”. In Italia gli argomenti delle fiction classiche tengono conto dell’utenza televisiva, che è caratterizzata da una fascia di età piuttosto adulta e, si dice, con un livello culturale non altissimo. Vuol dire che le web series faranno fatica a conquistarsi spazio in tv? Perlomeno nelle tv cosiddette generaliste? F: Sì, ma va bene così. La tv generalista fa un grande servizio nell’intrattenere mia nonna di 88 anni. Peccato che io compri molte più cose di mia nonna. Se ci fosse un sistema di rating all’americana, che premia la qualità del pubblico anziché la quantità, qualcosa cambierebbe, perché spesso le web series intercettano un pubblico più “pregiato” per i pubblicitari, giovani aperti alle novità e con una grande “cultura narrativa” (libri, fumetti, cinema o videogiochi poco importa). Detto ciò, vorrei anche che gli investimenti pubblicitari si spostassero sulla rete, i tempi sono maturi. Forza, un po’ di coraggio! L: Assolutamente sì. Ma è banalmente un problema di numeri. La fiction di prima serata viene vista da diversi milioni di persone. Una web serie da qualche centinaio di migliaia, e va molto bene. E la Tv commerciale funziona solo sui grandi numeri. Attenzione inoltre a sopravvalutare l’utenza web: YouTube è il regno di Nyan Cat, Mentos e Cani parlanti, non certo dei film dei Dardenne. 45 NUMERI Il dossier economico della DG Cinema 46 NUMERI // L'economia del cinema italiano COME LO STATO SOSTIENE LE MANIFESTAZIONI DI PROMOZIONE CINEMATOGRAFICA di Iole Maria Giannattasio L o Stato sostiene le iniziative di promozione del cinema principalmente nell’ambito del contributo alle cosiddette “attività di promozione in Italia e all’estero” al fine di divulgare la cultura cinematografica nel Paese, in particolare il cinema di qualità, e di diffondere i film italiani all’estero. Festival, rassegne, premi, convegni, lavori di restauro e conservazione del patrimonio filmico, oltre ad attività editoriali e di formazione, rientrano tra le iniziative finanziate. I contributi sono erogati a enti pubblici e privati senza scopo di lucro, istituti universitari, comitati e associazioni culturali e di categoria che operino stabilmente nel settore promozionale secondo le disposizioni del D.M. 28 ottobre 2004 modificato dal D.M. 3 ottobre 2005. I finanziamenti vengono assegnati dalla “sottocommissione per la promozione” della “Commissione per la cinematografia”, sia sulla base delle indicazioni del programma triennale della Consulta territoriale, sia in relazione a criteri che tengono conto della rilevanza dell’iniziativa nella sua globalità, del riconoscimento e sostegno anche finanziario di privati, locali, Stati esteri e organismi europei e internazionali, della consistenza della struttura organizzativa con l’iniziativa proposta, della tradizione culturale e cinematografica dell’iniziativa e dell’ente promotore e, infine, della capacità di promuovere la cultura e il prodotto cinematografico in aree scarsamente servite. Requisito indispensabile ai fini dell’ammissibilità al contributo per i soggetti diversi dagli enti pubblici è la copertura di almeno il 30% del costo complessivo delle iniziative con entrate diverse - pubbliche o private - da quelle richieste alla DG Cinema. Nello stanziamento per l’anno 2011 di 75,8 milioni di euro del Fondo Unico per lo spettacolo destinato all’insieme della attività cinematografiche, le attività di promozione in Italia occupano l’8,1% e la promozione all’estero lo 0,7% per un totale di 6,6 milioni di euro. Le iniziative di promozione del cinema hanno accesso anche alle sovvenzioni destinate ai “Progetti speciali” (D.M. 28 ottobre 2004), ossia le iniziative straordinarie di particolare rilevanza per le quali sia stata presentata domanda di contributo da soggetti esterni anche su invito dell’Amministrazione. I criteri su cui si basano i finanziamenti prendono in considerazione, tra gli altri elementi, la forte vocazione culturale e sociale dei progetti che per loro natura non troverebbero altra forma di sostegno attraverso i canali ordinari e le attività d’interesse nazionale ed internazionale che per la loro importanza sono funzionali alla valorizzazione della cultura cinematografica italiana. Nel 2011 sono stati finanziati 19 “progetti speciali” - tra cui figurano anche iniziative diverse da festival e rassegne - con 5,1 milioni di euro a valere sul Fondo per produzione, la distribuzione, l’esercizio e le industrie tecniche. A completare lo schema di sostegno diretto alle manifestazioni promozionali non può mancare quello destinato agli enti di settore come nel caso della Fondazione La Biennale di Venezia che nel 2011 ha ricevuto un finanziamento di 7,1 milioni di euro. Tra gli aiuti alla promozione sono previsti anche contributi assegnati alle associazioni nazionali di cultura cinematografica e alle sale d’essai. 47 NUMERI // L'economia del cinema italiano IL CONTRIBUTO PUBBLICO A FESTIVAL E RASSEGNE di I.M.G. N ell’ambito del sostegno destinato alle “attività cinematografiche promozionali in Italia” - escludendo quindi le attività all’estero, la Biennale di Venezia (sostenuta in quanto ente vigilato) e le eventuali manifestazioni finanziate come “Progetti speciali” - i contributi deliberati a favore di festival e rassegne realizzati sul territorio nazionale nel 2011 sono andati a 101 iniziative organizzate da 88 enti promotori. Lo Stato è intervenuto con un contributo di circa 3,5 milioni di euro (per i soggetti che hanno ricevuto un finanziamento destinato oltre che a festival e/o rassegne anche ad altre iniziative promozionali, l’importo utilizzato per la realizzazione del festival e/o rassegna è stato stimato). Le manifestazioni sono sparse sull’intero territorio nazionale, di portata e volumi eterogenei e composte al 75,2% da festival e al 23,8% da rassegne. Sono presenti sia manifestazioni “generaliste” che “tematiche”, eventi dedicati esclusivamente a film del passato e festival che presentano anteprime mondiali, iniziative che propongono cinematografie internazionali e quelle caratterizzate dall’offerta di cinema nazionale, manifestazioni fortemente radicate nel loro territorio e festival itineranti. La quota destinata nel 2011 alla realizzazione di festival e rassegne assorbe il 56,3% dei 6,1 milioni di euro effettivamente deliberati a favore del complesso delle attività promozionali che includono anche promozione all’estero, editoria, formazione, convegni, premi, conservazione e restauro. Il costo totale di questi festival e rassegne è di 25,3 milioni di euro, coperti oltre che dall’intervento dello Stato da quello delle istituzioni locali, da sponsor, da partner privati, dagli incassi derivanti dalla vendita di biglietti e da abbonamenti e proventi vari. Il contributo statale nel 2011 è andato a colmare circa il 57,8% del deficit indicato dagli enti promotori nella copertura finanziaria delle manifestazioni. Suddividendo il contributo sulla base della sede legale del soggetto beneficiario, il Lazio si distingue come la regione in cui hanno sede gli enti promotori che hanno ottenuto la più alta percentuale di sostegno, il 27,5% per 38 manifestazioni. Campania e Piemonte seguono ciascuna con oltre il 15% del contributo nonostante il numero di iniziative sia inferiore (7) a quelle realizzate da soggetti con sede in Emilia Romagna (8) e Lombardia (12) a cui vanno rispettivamente il 9% e il 5,7% del finanziamento. Ad eccezione delle Marche con il 6,4% e la Sicilia con il 5%, i soggetti residenti nelle restanti regioni hanno ricevuto contributi inferiori al 5% del totale per manifestazioni inferiori a 6 ciascuna. Enti promotori con sede in Basilicata, Liguria e Valle d’Aosta non hanno ottenuto nel 2011 finanziamenti per festival o rassegne (Fig. 1). 48 Attività di promozione in Italia Festival e rassegne finanziati nel 2011: ripartizione del contributo pubblico per regione* in cui ha sede il soggetto beneficiario ABRUZZO CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA FRIULI LAZIO LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO UMBRIA VENETO 2,2% 0,2% 15,8% 9% 3,7% 27,5% 5,7% 6,4% 0,3% 15,5% 1,2% 1,7% 5% 4,3% 0,2% 0,4% 0,9% Fig.1) Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC *La regione è determinata sulla base della sede legale dell’ente promotore che effettua la richiesta di sostegno NUMERI // L'economia del cinema italiano La sede dell’ente promotore non sempre, però, coincide con il luogo in cui le iniziative vengono realizzate. Per molte di queste poi non è prevista una sede unica ma un percorso itinerante per il Paese. Analizzando quindi la ripartizione del numero di manifestazioni per regione in cui gli eventi finanziati si sono svolti, emerge una minore concentrazione e la presenza di iniziative in tutte le regioni. Il Lazio, anche in questo caso, è il luogo in cui il maggior numero di festival e rassegne è realizzato (26) ma lo scarto con le restanti regioni è meno rilevante. Le altre regioni in cui si contano almeno 10 eventi sono Lombardia (13), Piemonte (11), Campania (10) ed Emilia Romagna (10) (Fig. 2). La distribuzione nell’arco temporale dell’anno di festival e rassegne sovvenzionati nel 2011 raggiunge i picchi nei primi mesi estivi di giugno (26) e luglio (33) oltre al mese di novembre che eguaglia giugno con 26 iniziative. Nei restanti nove mesi dell’anno il numero di eventi cinematografici sostenuti è piuttosto omogeneo con oscillazioni che vanno dalle 14 alle 19 iniziative al mese (Fig. 3). Attività di promozione in Italia Festival e rassegne finanziati nel 2011: ripartizione del numero di iniziative per regione*in cui le iniziative hanno avuto luogo** Attività di promozione in Italia Festival e rassegne finanziati nel 2011: ripartizione delle iniziative per mese in cui le iniziative hanno avuto luogo* ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA FRIULI LAZIO LOMBARDIA LIGURIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO UMBRIA VALLE D'AOSTA VENETO 4,3% 2,1% 4,3% 10,7% 10,7% 6,4% 25,18% 13,9% 3,2% 3,2% 3,2% 11,8% 3,2% 6,4% 9,6% 7,5% 3,2% 7,5% 3,2% 8,6% GENNAIO FEBBRAIO MARZO APRILE MAGGIO GIUGNO LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 14 14 17 18 17 26 33 19 19 17 26 18 0 5 10 15 20 25 30 35 Fig.3) Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC * Alcune manifestazioni hanno durate che coprono più mesi Fig.2) Fonte: Elaborazione su dati Direzione Generale per il Cinema-MiBAC *La regione è determinata sulla base della sede legale dell’ente promotore che effettua la richiesta di sostegno ** Alcune iniziative hanno luogo in più regioni e sono quindi state contate più volte. Per le iniziative indicate come itineranti in tutto il Paese sono state considerate tutte le regioni 49 NUMERI // L'economia del cinema italiano LE CANDIDATURE E I PREMI CHE DANNO PUNTEGGIO AUTOMATICO NEL REFERENCE SYSTEM Alcuni festival hanno un peso nella valutazione dei lungometraggi diretti da registi già affermati che richiedono al MiBAC il contributo pubblico selettivo e la qualifica di interesse culturale. L’aver partecipato a determinate manifestazioni o aver vinto dei premi, infatti, genera un punteggio automatico nell’ambito del cosiddetto Reference System (D.M. 27 settembre 2004. e D.M. 18 aprile 2012). Una percentuale del punteggio complessivo attribuito al film matura sulla base dei premi e delle candidature ricevuti da regista, sceneggiatore e attori principali nelle seguenti manifestazioni: PER TUTTI I FILM Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (comprese Settimana della critica e Giornate degli autori) Festival International de Cannes (comprese Quinzaine des Réalisateurs e Semaine de la critique) Berlin International Film Festival Locarno International Film Festival Festival des Films du Monde de Montréal Sundance Film Festival San Sebastian International Film Festival Torino Film Festival Moscow International Film Festival Karlovy Vary Film Festival Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro Giffoni Film Festival Festival Internazionale del Film di Roma (a partire dal 2013) I premi: Academy Awards, David di Donatello, Nastri d’Argento, Golden Globe, European Film Awards, César, Goya e Solinas IN PIÙ SOLO PER I FILM DOCUMENTARI IDFA-International Documentary Film Festival di Amsterdam Festival dei Popoli di Firenze Hot docs di Toronto Festival International de Cinéma-Vision du Réel di Nyon Cinéma du Réel di Parigi FID-Festival Internazionale del Documentario di Marsiglia Festival for documentary di Lipsia IN PIÙ SOLO PER I FILM DI ANIMAZIONE Cartoons on the Bay FIFA-Festival International du Film d’Animation di Annecy International Animation Festival di Hiroshima International Animation Festival di Ottawa Festival I Castelli Animati di Frascati Il premio Cartoon d’or 50 NUMERI // L'economia del cinema italiano IL BOX OFFICE DEI FILM DI INTERESSE CULTURALE di Andrea Corrado S e è vero che il buongiorno si vede dal mattino, il 2013 promette bene, visti i risultati al botteghino nel primo fine settimana dell’anno, con due titoli italiani di interesse culturale, La migliore offerta di Giuseppe Tornatore e Mai Stati Uniti di Carlo Vanzina, in testa alla classifica degli incassi. Fino al 6 gennaio, i due film avevano incassato rispettivamente 2.757.000 e 2.062.000 ¤, conquistando l’ottavo e il decimo posto nella classifica dei migliori incassi nel periodo delle festività natalizie, dal 13 dicembre al 6 gennaio 2013. Nella stessa classifica, dal secondo al quarto posto ci sono altri tre film italiani: Colpi di fulmine, I 2 soliti idioti e Tutto tutto niente niente. I dati Cinetel dicono che, nello stesso periodo, i film italiani (e di coproduzione) hanno complessivamente ottenuto una quota di mercato del 51,71 per cento per biglietti venduti, rispetto al 34,02 del 2012, mente i film Usa sono arrivati al 28,36 per cento, in calo rispetto al 35,38 dello scorso anno. Intanto, si è attestato appena sotto i 7 milioni e 900mila ¤ il risultato di Il peggior Natale della mia vita di Alessandro Genovesi, che ha chiesto e ottenuto il riconoscimento dell’interesse culturale senza contributo, mentre ha mancato di poco la soglia dei 5 milioni Venuto al mondo di Sergio Castellitto, arrivato in sala l’8 novembre e realizzato con un contributo pubblico di 700mila ¤. Cosimo e Nicole di Francesco Amato, premiato come migliore lungometraggio nella sezione Prospettive del Festival di Roma, sugli schermi dal 29 novembre, ha incassato poco meno di 300mila ¤. I risultati al botteghino di altri tre titoli di interesse culturale, nei cinema dal 15 novembre: poco meno di 215mila ¤ di incasso per il secondo lungometraggio di Stefano Mordini Acciaio, che ha avuto un sostegno 51 NUMERI // L'economia del cinema italiano di 150mila ¤ , 120mila ¤ totalizzati da Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, con un contributo di 100mila ¤, vincitore del Premio speciale della giuria e di quello per la Migliore opera prima o seconda al Festival del Film di Roma, mentre non è andato oltre i 45mila ¤ Il sole dentro di Paolo Bianchini, realizzato con 500 mila ¤ di contributo. Tra i film in sala nel mese di gennaio troviamo tre titoli di interesse culturale. A cominciare dalla coproduzione Asterix e Obelix al servizio di Sua Maestà di Laurent Tirard, nuovo episodio della serie tratta dai noti fumetti di Goscinny e Uderzo, girato in 3D con un cast di qualità 52 che include anche gli italiani Neri Marcorè, Niccolò Senni, Filippo Timi e Luca Zingaretti. Il nuovo lavoro di Susanna Nicchiarelli, La scoperta dell’alba, che ha ottenuto un contributo di 550mila ¤, e Ci vediamo domani, seconda regia di Andrea Zaccariello, realizzata con un contributo di 200mila ¤. Il cinema italiano di interesse culturale è stato inoltre in competizione al Sundance Film Festival, con le coproduzioni Un giorno devi andare di Giorgio Diritti e Il futuro di Alicia Scherson, entrambe realizzate con il contributo della Direzione generale per il Cinema. NUMERI // L'economia del cinema italiano BILANCIO DI UN ANNO: , LA RECESSIONE NON FRENA CREATIVITA E TALENTI di A.C. I bilanci ufficiali ancora non ci sono, ma un’indicazione è possibile: la recessione non frena creatività e talenti e, per il cinema italiano, il 2013 può essere un anno davvero interessante. Nel 2012, tra lungometraggi, corti e opere prime e seconde, i progetti riconosciuti di interesse culturale dal ministero per i Beni e le Attività culturali sono oltre 140, numero record da quando è in vigore la cosiddetta legge cinema del 2004, e di questi 123 hanno ottenuto contributi per la realizzazione. Più in particolare, l’interesse culturale è stato attribuito a 44 progetti di lungometraggio di registi non più esordienti e 35 di essi hanno avuto il via libera per l’accesso al contributo pubblico. Diversi progetti sono già diventati film e arrivati in sala: Bella addormentata di Marco Bellocchio, Un giorno speciale di Francesca Comencini, La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, Tutti i santi giorni di Paolo Virzì, Viva l’Italia di Massimiliano Bruno. Altri sono quasi pronti, come La grande bellezza di Paolo Sorrentino e Storia mitologica della mia famiglia di Daniele Luchetti. E sono attesi i nuovi lavori di Mimmo Calopresti, Peter Del Monte, Renato De Maria, Mario Martone, Francesco Patierno, Alessandro Piva, Marco Ponti, Alice Rohrwacher, Sergio Rubini, Pasquale Squitieri, Giovanni Veronesi, Gianni Zanasi e di tanti altri protagonisti del cinema italiano di questi anni. Per quanto riguarda le nuove leve, l’interesse culturale è stato attribuito a 58 opere prime e seconde, 52 delle quali con un contributo tra i 100 e i 300mila euro. Tra questi, alcuni titoli hanno già avuto riconoscimenti in festival internazionali, come Alì dagli occhi azzurri di Claudio Giovannesi e Cosimo e Nicole di Francesco Amato al Festival del Film di Roma, Pulce non c’è di Giuseppe Bonito premiato ad Alice nella città. Altri ancora sono debutti alla regia di attori noti al grande pubblico: La grande scivolata di Claudio Amendola e Tutti contro tutti di Rolando Ravello, oppure seconde regie di autori dall’esordio felice, come Andrea Segre ora alle prese con il lungometraggio Il legno e il miele. Nell’elenco dei film che hanno avuto l’interesse culturale, c’è anche chi ha già conseguito ottimi risultati al botteghino come Il peggior Natale della mia vita di Alessandro Genovesi. Sempre nel 2012, i cortometraggi riconosciuti di interesse culturale sono 40, 36 dei quali con un contributo tra i 30 e i 40mila euro. Dietro la macchina da presa, una veterana del cinema del reale come Cecilia Mangini e insieme a registi già affermati nel cinema di finzione e nel documentario come Mimmo Calopresti, Egidio Eronico, Michelangelo Frammartino, Wilma Labate, Mario Martone, Luca Miniero, Daniele Segre. E ancora autori apprezzati in attesa di conferma: Gaetano Di Vaio, Pippo Mezzapesa e Valerio Mieli. Per un raffronto con l’anno 2011: i progetti di lungometraggio che avevano ottenuto l’interesse culturale erano stati 31, 21 dei quali con il contributo, le opere prime o seconde 43, 40 con il contributo, e i cortometraggi 34, solo uno senza contributo. 53 SALVATORE GIULIANO di Paola Ruggiero Il volume di Tullio Kezich e Alessandra Levantesi sul celebre film del 1962 inaugura una nuova collana digitale di Luce Cinecittà. MEMORIA DIGITALE renza tra toccare e sfogliare un libro fresco di stampa e tenere in mano una chiavetta. Oppure tra recuperare in cantina un testo di tanti anni fa che reca le nostre sottolineature e le nostre note a margine, facendoci rivivere antiche emozioni, e rileggere la stessa opera, in Times New Roman corpo 12, sullo schermo del computer”. Non ha dubbi invece Erri De Luca che in un’intervista alla Gazzetta di Parma dichiara: “Le abitudini sono molto difficili da estirpare e la diffidenza verso le novità è sempre parecchia in ognuno di noi. I nuovi lettori invece, quelli che iniziano ora il loro rapporto con i libri e a leggerli sul formato elettronico, si potranno abituare presto”. Una cosa è certa, il processo di cambiamento non può essere ignorato. Luce Cinecittà, da molti anni impegnato nella pubblicazione di opere monografiche e tematiche, inaugura il proprio ingresso nell’editoria digitale con la pubblicazione in formato e-book del volume Salvatore Giuliano curato nel 1999 da Tullio Kezich in collabo- razione con Alessandra Levantesi, edito in formato cartaceo dall’allora Cinecittà Holding, oggi Luce Cinecittà. In questa nuova versione digitale, il volume dedicato all’omonimo film di Francesco Rosi, del 1962, è stato arricchito di materiali filmati, selezionati dal vastissimo archivio Luce a cura di Lorenzo Codelli. La pubblicazione di questo ebook, che avverrà sulle maggiori piattaforme con fruizione gratuita, sarà la prima di una collana digitale che il Luce Cinecittà si appresta a curare e che troverà nella vasta offerta dei materiali d’archivio il valore aggiunto di opere già di per se stesse interessanti. L’ebook Salvatore Giuliano sarà disponibile in rete alla fine di questo mese, inaugurando l’apertura del Luce Cinecittà ai nuovi scenari che si stanno configurando perché, come dice Woody Allen: “credo che le nuove tecnologie offrano grandi opportunità, ma anche che nascondano grandi pericoli. Il trucco sta nel cogliere le opportunità, evitare i pericoli e tornare a casa per cena”. era della tecnologia ha invaso anche il paludato mondo dell’editoria. La crescente diffusione di tablet ed e-reader sta modificando le abitudini dei lettori. Come ogni rivoluzione anche questa ha i suoi sostenitori e i suoi avversari. I problemi, in questa fase iniziale, riguardano in primis gli editori, spaventati dalla crescente pirateria che in questi ultimi anni ha già messo in rete moltissimi titoli, ma anche le librerie e gli stessi fruitori: tutto un sistema che dovrà ristrutturarsi in tempi velocissimi per far fronte al cambiamento in atto. Le naturali resistenze dei cultori della carta stampata, affezionati al valore quasi feticistico che un libro assume, preserveranno sicuramente ancora a lungo una fetta di mercato che vede il libro tradizionale come un’entità insostituibile. Anche gli stessi autori hanno opinioni diverse rispetto a questa trasformazione, Umberto Eco sul settimanale L’Espresso scrive: “Il libro cartaceo è più umano… c’è una bella diffe- L’ 54 MEMORIA DIGITALE INTERVISTA A FRANCESCO ROSI. SALVATORE GIULIANO, QUANDO IL CINEMA CERCA LA VERITÀ di P.R. eonardo Sciascia quando uscì il suo film Salvatore Giuliano lo definì “l’opera più vera che il cinema abbia mai dato relativamente alla Sicilia, mai la Sicilia era stata rappresentata con così preciso realismo”: come nasce il progetto di fare un film sul bandito Giuliano? Il progetto nasce perché il personaggio di Salvatore Giuliano in quegli anni interessava l’attualità del paese. La possibilità di affrontare dei problemi, come quello del separatismo, di una regione difficile e complessa come la Sicilia e quindi fare un film, partendo dalla storia di Salvatore Giuliano, mi è sembrato che fosse molto importante per cercare di ripercorrere realisticamente la storia dell’Italia di quegli anni. L’interesse a questo tipo di problematiche era diffuso , solo che io e Cristaldi siamo riusciti ad affrontare la questione cinematograficamente. Il film è stato inizialmente annunciato con la sceneggiatura di Franco Solinas, Suso Cecchi D’amico, Enzo Provenzale e Francesco Rosi, dopo poco io ho ritenuto molto più giusto seguire la mia idea senza dovermi più confrontare, nella fase progettuale, con i miei collaboratori perché avevo una mia idea personale della struttura da seguire ed è quello che ho fatto. Alla fine loro sono stati tutti d’accordo, c’è anche una dichiarazione di Franco Solinas nel libro Salvatore Giuliano che dice che l’idea di quel genere di narrazione era stata di Rosi. L L’Europeo scrisse in copertina: “Di sicuro c’è solo che è morto”. Anche questa certezza è stata poi messa in discussione, nel 2010 è stata riaperta l’inchiesta e riesumato il cadavere di Salvatore Giuliano, ma i risultati del DNA non hanno dato risposte. Alcuni studiosi ipotizzano che a morire fu il fratello del bandito Giuliano, lei che idea si è fatto della vicenda? Queste sono cose avvenute, delle quali si è occupata la stampa e soprattutto la magistratura ed io non posso avere un’idea personale, la questione peraltro è ancora aperta. Salvatore Giuliano è stato a mio parere quel personaggio del quale ho ricostruito la storia attraverso fatti accertati personalmente, perché data la difficoltà storica del soggetto ho voluto fare un film sul personaggio ispirandomi al rapporto che ho stabilito sui luoghi nei quali è avvenuta la storia, perché solo in tal modo potevo raccogliere le testimonianze di personaggi che avevano vissuto quegli anni. Il film, che è stato girato a Montelepre e Castelvetrano e Portella della Ginestra, è un film che attraverso la vicenda di Salvatore Giuliano indaga sugli aspetti politici che l’hanno determinata. Ha avuto difficoltà, durante le lavorazioni, a raccogliere le testimonianze di cui si è servito? Quando si interrogano dei personaggi veri si trova sempre all’inizio o una certa resistenza o addirittura un entusiasmo, che diventa più 55 MEMORIA DIGITALE pericoloso, perché tradisce una voglia di protagonismo eccessiva che potrebbe falsare il realismo del racconto. Io, insieme ai miei collaboratori, sono ritornato più volte a Montelepre mentre scrivevo, sono andato a vedere cosa era Portella della Ginestra, chi erano i contadini coinvolti nella strage, ho cercato di raccogliere maggiori informazioni possibili, di documentarmi in modo oggettivo e credo di esserci riuscito. Prima Salvatore Giuliano, circa un decennio dopo Il caso Mattei e Lucky Luciano. Lei ha spesso incentrato i suoi film politici su personaggi storici conosciuti. Se dovesse fare un nuovo film su una figura della storia contemporanea, quale sceglierebbe? Nel panorama politico italiano ci sono personaggi che hanno dato un’impronta fondamentale e decisiva al corso della nostra storia, durante quest’ultimo cinquantennio. Andreotti, ad esempio. Bisogna però sempre fare una scelta molto responsabile per cercare di offrire un ritratto veritiero. Anche lo stesso Sorrentino nel suo Il divo, che è un film bello e interessante, si è preoccupato più di definire il personaggio Andreotti secondo una visione di tipo cinematografico, che del racconto realistico della vicenda. Il suo è definito l’esempio più alto di cinema di impegno civile. Lei come lo definirebbe? Riuscire a definire nella maniera più precisa il carattere narrativo e tematico di un film non è una cosa molto semplice. Io definisco il mio cinema un cinema sulla realtà, che può essere di un paese, di una politica, di un particolare momento storico. Ci sono registi nel panorama attuale che perseguono un impegno civile? L’argomento interessa molti, ma a volte rischia di diventare una debole rappresentazione di quella che è la problematica trattata. L’impegno civile, eredità del Neorealismo, è molto forte e presente nel nostro cinema, per esempio Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio Giordana è un film esemplare del genere, che è stato criticato, credo, in maniera imprecisa. Il volume curato da Kezich sul suo film Salvatore Giuliano sta per diventare un e-book, cosa pensa della nascita dell’editoria digitale? Tullio Kezich , al quale fu affidata all’epoca la stesura del volume, è riuscito a farne un’opera estremamente interessante, anche dal punto di vista storico. Io probabilmente per una questione generazionale e di mia formazione culturale preferisco il libro cartaceo, perché un libro è anche un oggetto, un’entità fisica, se un domani non dovessero più esistere i libri sarebbe come togliere peso e importanza alla cultura. Credo che l’editoria digitale possa e debba affiancare quella tradizionale, ma non sostituirla. Lei ha ricevuto da poco il Leone d’Oro alla carriera, un riconoscimento prestigioso che premia il suo percorso artistico, come lo ha vissuto? È un grande riconoscimento al mio cinema, ne sono fiero, alcuni hanno detto che poteva arrivare prima, ma io non do importanza al tempo. 56 NEL MONDO La Grande Bellezza di Luca Marinelli di Rossella Rinaldi Il giovane attore, scoperto con La solitudine dei numeri primi, tra le Shooting Stars 2013, talenti emergenti dell’Europa unita. ive a Berlino già da qualche tempo, Luca Marinelli, l’attore italiano di Shooting Stars, l’evento organizzato ogni anno dall’EFP (European Film Promotion) durante la Berlinale. Una tre giorni di riflettori internazionali puntati su dieci giovani europei, protagonisti di incontri con casting director, registi e produttori, interviste, sessioni fotografiche, workshop. Decisamente una punta di diamante dell’attività di promozione del cinema europeo nei vari festival internazionali, che permette a interpreti emergenti (i cui film abbiano avuto un curriculum internazionale) di ampliare il loro panorama professionale oltre i confini geografici e linguistici. V > Da qui sono usciti nomi come Carey Mulligan, Mélanie Laurent, Moritz Bleibtreu e sul versante italiano, per citarne solo alcuni, Filippo Timi, Michele Riondino e Alba Rohrwarcher. Proprio Alba era membro della prestigiosa giuria (con lei la produttrice tedesca Bettina Brokemper, il giornalista francese Thierry Chèze, la casting director inglese Jina Jay, la regista Bosniaca Jasmila Žbanic ) che ha scelto quest’anno tra i ventisette candidati proposti dalle agenzie di promozione nazionali la rosa finale. Dell’attore italiano i giurati hanno apprezzato “lo sguardo ipnotico - una grande e rara qualità per un attore - che illumina Tutti i santi giorni (Paolo Virzì, 2012), e la recitazione, molto sobria e diversa da ogni altra cosa vista”. Marinelli, classe 1984, romano, diplomato all’Accademia Silvio D’Amico, con un curriculum teatrale di tutto rispetto, approda al cinema come coprotagonista, proprio insieme ad Alba Rohrwacher, del terzo film di Saverio Costanzo, La solitudine dei numeri primi (2010). Seguono due esordi sorprendenti: L’ultimo terrestre (2011) di Gipi (in un ruolo en travesti) e Nina (2012) di Elisa Fuksas. Con questa manciata di titoli preziosi il suo volto ha viaggiato per i festival da Venezia a Toronto, da Karlovy Vary a Shanghai, da Rotterdam a Tokyo. Prossimamente lo vedremo ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino, forse sulla Croisette. 57 NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri Gli italiani che piacciono a Redford di R.R. Al Sundance trend positivo per gli indipendenti dal 2000 a oggi. E quest’anno Giorgio Diritti in versione brasiliana e un’opera prima italo-cilena. 58 NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri erano due titoli italiani nella competizione internazionale del Sundance Film Festival (17-27 gennaio), il più elitario dei festival statunitensi, nato nel 1985 grazie alla volontà di Robert Redford di supportare il cinema indipendente. Da quando è divenuta competitiva nel 2005, la sezione World Cinema ha ospitato quattro titoli italiani (Viva Zapatero! nel 2006, Riprendimi nel 2008, Un altro pianeta l’anno successivo, I baci mai dati nel 2011). Ma nel decennio abbiamo avuto a Park City una buona presenza anche nelle sezioni non competitive, anche grazie alle selezioni curate in Italia proprio a partire dal 2000. Dal 1985 al 2000 erano state selezionate in totale solo cinque opere provenienti dal nostro paese con una predilezione per Davide Ferrario e Giuseppe Tornatore, con due film a testa. C’ Quest’anno è toccato all’opera terza di Giorgio Diritti, Un giorno devi andare, prodotta da Lumière, Arancia Film e dai francesi Groupe Deux, una vicenda esistenziale che ha come protagonista assoluta Jasmine Trinca, una donna italiana alla ricerca di se stessa, in viaggio nella foresta amazzonica a contatto con la miseria delle favelas brasiliane. Un film dalla lunga gestazione, girato tra Brasile per 11 settimane e Trentino, con il sostegno della Trentino Film Commission. Il futuro è invece l’opera prima della regista cilena Alicia Scherson, una coproduzione tra Cile, Germania, Italia e Spagna che narra la vicenda difficile ed estrema di due adolescenti di origine cilena rimasti orfani a Roma. Il produttore italiano Mario Mazzarotto (Movimento Film), ci spiega che il film è l’adattamento del libro di Roberto Bolaño Un romanzetto canaglia. “L’idea di realizzarlo è nata nel corso di una riunione del network di produttori ACE, il progetto si è evoluto al Co-Production Market di Berlino, ha usufruito del Programma Media, diventando una produzione tra quattro paesi”. John Nein, Senior Programmer del Sundance che si occupa appunto delle selezioni italiane, chiarisce: “Il livello dei film italiani visionati quest’anno era notevole, con tanti titoli interessanti, inventivi e coinvolgenti ed è stato un peccato non trovare posto per tutti. Un giorno devi andare ha uno stile autoriale e un modo di raccontare sofisticato che ben si adatta al livello del concorso del Sundance. Siamo stati onorati di ospitare un regista del calibro di Giorgio Diritti con un film bello e meditativo. Il futuro è una pellicola con una voce brillante e originale, una complessa relazione tra due caratteri affascinanti. Insomma, due esempi peculiari della varietà del cinema italiano”. Da segnalare infine lo Slamdance, rassegna indipendente che si è tenuta nelle stesse date del Sundance, e che ha proposto L’ultimo pastore, la docufiction di Marco Bonfanti, vista anche a Tokyo, Dubai e Torino. 59 QUERIDO CINEMA ITALIANO di R.R. Gli Italian Screenings per la prima volta a Buenos Aires, con 76 distributori provenienti da 25 paesi. Un’offerta monotematica portata a domicilio, che si spera di replicare in altre aree del pianeta. 60 NEL MONDO // Cinema Italiano nei festival stranieri en 76 distributori provenienti da 25 paesi, non solo sudamericani, hanno raccolto l’invito degli organizzatori italiani, prolungando di un giorno la loro permanenza a Buenos Aires per gli Italian Screenings, nome storico degli appuntamenti di mercato del cinema italiano, nati a Perugia nel 2003 e successivamente ospitati a Roma da The Business Street nel 2009 e 2010, che sono andati per il primo anno in trasferta in Argentina. Un’iniziativa ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà con il supporto di UNEFA, ICE, Direzionale Generale per il Cinema del MiBAC e INCAA, l’Istituto Nazionale per il Cinema e l’Audiovisivo argentino, che hanno offerto ai buyers internazionali un’intera giornata di proiezioni italiane. B La formula è stata quella di sfruttare le presenze di un evento ormai consolidato come Ventana Sur, il mercato organizzato da Marché du Film di Cannes e INCAA per il territorio sudamericano. Così il 4 dicembre, proprio al termine e nelle stesse sale di Ventana Sur, sono stati presentati 16 recentissimi film italiani. “L’originalità di questa iniziativa è quella di aver offerto ai distributori di una macroarea come il Sudamerica la possibilità di vedere la nostra più recente produzione in casa propria. Ci sono molti mercati di successo, ma una offerta “monotematica” in senso nazionale portata a domicilio è un’esperienza nuova che speriamo di poter replicare in altre aree del nostro pianeta”, dice Roberto Cicutto, AD di Istituto Luce Cinecittà, mentre Bernardo Bergeret, responsabile degli Affari Internazionali dell’INCAA e direttore esecutivo di Ventana Sur, si augura che “questo sia il primo passo per il grande ritorno del nostro pubblico al cinema italiano”. Motivi di apprezzamento dei partecipanti sono l’attenzione dedicata in esclusiva ai nostri film, che ha di fatto evitato la perdita di visibilità come negli altri mercati, e il periodo strategicamente lontano da altre occasioni internazionali, tanto più al termine di una stagione di festival e di uscite in sala. Per Mattia Oddone, Head of Cinema and Tv Sales di Rai Trade, uno dei tre distributori internazionali presenti a Buenos Aires, “questo evento ha consentito di mostrare film italiani recenti a chi non aveva avuto modo di vederli allo scorso Festival di Venezia o di Roma poiché molti compratori, soprattutto sudamericani, partecipano sempre meno ai festival europei. I buyers invitati sono apparsi ben disposti verso il prodotto italiano che hanno potuto visionare nel corso di una giornata dedicata, senza la concorrenza di prodotti esteri”. Per Rai Trade ci sono molte trattative in corso, anche sul fronte della distribuzione televisiva. Secondo Raffaella Di Giulio di Fandango Portobello, che ha confermato la vendita di Reality in Argentina, “questa vetrina esclusiva è un buon modo per vedere i film in un ambito più protetto e lontano dalla confusione di Berlino”. Infine per Paola Corvino, Presidente Unefa e AD di Intramovies, è sicuramente un’esperienza da ripetere. Sono state concluse alcune vendite, e poste basi concrete per altre. Molti i suggerimenti per ottimizzare una seconda edizione: incrementare il numero dei buyers sudamericani, aumentare i giorni di proiezione (o diminuire il numero dei film) per evitare sovrapposizioni, stabilire un “punto Italia” almeno due giorni prima degli Screenings per informare gli operatori, sensibilizzare i produttori e per assicurare la presenza dei venditori internazionali. 61 NEL MONDO // Import-Export Allargare gli orizzonti grazie ai festival-mercato di Federica D’Urso e Francesca Medolago Albani (Ufficio Studi ANICA) Coproduzioni internazionali e nuovi territori,come quello cinese, aprono interessanti prospettive per il futuro del cinema indipendente: l’importante è creare occasioni di incontro. 62 NEL MONDO // Import-Export ervono ancora a qualcosa i festival? Una prima risposta indiretta viene dai dati sull’export del cinema italiano recente: essere selezionati e magari vincere un premio a un festival internazionale serve a un film per farsi conoscere e vendere di più. Una seconda risposta è specialmente a favore dei festival con un mercato. In Europa, i principali sono Berlino, Cannes e Roma, ma molti altri stanno crescendo, anche nei cosiddetti “paesi obiettivo”. I mercati vivono un’esistenza parallela a quella delle sezioni competitive di natura artistica. Negli ultimi anni, accanto alle relazioni b2b, sono aumentati anche gli appuntamenti aperti all’intera comunità professionale, vere occasioni di networking. Un esempio interessante si è avuto nel corso dell’ultimo Festival di Roma, dove ANICA, The Business Street e New Cinema Network hanno promosso un confronto pubblico intitolato “Film Financing around the World” con esponenti da tutto il mondo. Il tema era semplice e complesso: come si finanzia un film viaggiando dall’estremo Ovest all’estremo Est in un momento complesso della storia dell’economia? Due sono i principali percorsi possibili, entrambi con luci e ombre: le coproduzioni e il grande mercato cinese. S 63 NEL MONDO // Import-Export Com’è noto, l’attività di reperimento delle risorse è la principale occupazione del produttore, che del film è il proprietario. Per l’ontologica imprevedibilità dei ricavi, il produttore difficilmente può sostenere da solo l’intero peso economico. Da questa difficoltà nascono le numerose e variegate forme di finanziamento dei film, da fonti pubbliche o private, dirette o indirette, con istituzioni diverse a tutti i livelli territoriali, sistemi finanziari o soggetti privati interni o esterni alla filiera. Senza scendere nel dettaglio, va rilevata una generale stanchezza che gli “incumbent” stanno conoscendo negli ultimi anni. Gli Stati Uniti e l’Europa, pur continuando a mantenere il primato, sembra siano giunti a un esaurimento delle risorse classiche e sono alla ricerca di strade nuove per alimentare la propria produzione e ampliare i mercati a valle. Fanno da contraltare cinematografie piccole ma molto vitali, come quella israeliana, aperte a collaborazioni innovative. È un tema ormai tradizionale quello del ridottissimo accesso al Fondo Eurimages da parte dei produttori italiani. Alle articolate motivazioni che vengono richiamate per spiegare tale inefficienza, dovute essenzialmente alla limitata diffusione della lingua italiana, alla rigidità del sistema di finanziamento nazionale e alla scarsa capacità degli apparati creativi di rispondere alle esigenze di un mercato internazionale, si è aggiunto – secondo alcuni - un ulteriore freno indirettamente derivante dalla normativa sul tax credit, in vigore in Italia dal 2008. La soluzione che più in Europa è cresciuta nel corso dei decenni è la coproduzione internazionale: strumento che i produttori italiani da poco tempo sfruttano in modo significativo. Nell’ambito del pacchetto di azioni di sostegno all’industria cinematografica attivate dalle istituzioni sovranazionali a partire dalla fine degli Anni ’80, ce n’è una che ha l’obiettivo di incrementare la produzione e circolazione di opere europee. Si tratta del Fondo Eurimages, nato nel 1988 e gestito dal Consiglio d’Europa: attualmente vi aderiscono 35 paesi europei, compresa la Russia, entrata nel 2011. Circa il 90% delle risorse annuali di Eurimages è destinata allo schema di supporto alla coproduzione. Il sostegno finanziario, rivolto a lungometraggi per la sala e che vedano il coinvolgimento di società residenti in almeno due paesi membri, non può superare il 17% del budget di produzione, fino ad un massimo di 700.000 euro. L’aiuto viene erogato in forma di prestito, che i beneficiari sono tenuti a restituire in proporzione ai proventi. È significativo il caso di La migliore offerta, il film di Giuseppe Tornatore prodotto da Paco Cinematografica, uscito in Italia il 1° gennaio 2013. In questo caso il produttore ha deliberatamente scelto di non montare una coproduzione: nonostante il cast sia tutto straniero e il progetto distributivo sia pensato per il mercato mondiale, il film è stato realizzato interamente con risorse italiane e da una troupe tutta italiana. Oltre a due fondi regio- sostegno Eurimages alla coproduzione, 2006-2012 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 56 61 57 55 56 72 68 15 11 10 7 10 8 7 Tot. sostegno a co-produzioni 19.265.500 21.508.000 20.200.000 19.460.000 19.260.000 22.350.000 21.710.000 Tot. sostegno a co-produzioni con partecipazione italiana 6.683.500 5.505.000 4.214.000 3.100.000 3.810.000 3.260.000 2.840.000 N. coproduzioni sostenute N. coproduzioni con partecipazione italiana sostenute 64 NEL MONDO // Import-Export Tax credit negli Stati USA tra le abi ile rib sfe s bor rim Alabama Alaska Arizona California* Connecticut Georgia Hawaii Illinois Indiana Iowa Kansas Kentucky Louisiana Massachussetts Michigan Missouri Montana New Jersey New Mexico New York North Carolina Ohio Pennsylvania Rhode Island Tennessee Utah West Virginia Wisconsin totale 14 nali, ha beneficiato del tax credit interno per la produzione e del tax credit per il distributore. I vincoli posti dall’utilizzo dell’incentivo fiscale, che limita il beneficio alla quota italiana, secondo il produttore Arturo Paglia, hanno reso più conveniente reperire tutte le risorse sul mercato interno piuttosto che usufruire di possibili coproduzioni con soggetti stranieri che evidentemente, oltre a comportare un aumento dei costi di produzione, avrebbero trattenuto quote del film riducendo l’ammontare su cui far valere il credito fiscale. Opposto è il famoso caso di This must be the place, il film di Paolo Sorrentino premiato al Festival di Cannes 2011, prodotto da Indigo con Lucky Red e Medusa, che è invece diventato negli ultimi anni un caso di scuola di coproduzione internazionale multilaterale, in cui sono stati coinvolti Francia, Irlanda e Stati Uniti attraverso un complesso lavoro di composizione delle risorse dirette e indirette provenienti dai paesi interessati nell’operazione. Il film ha beneficiato anche del Fondo Eurimages. In Italia, come negli altri paesi che hanno attivato strumenti d’incentivazione fiscale, si tende a “scoraggiare” le coproduzioni. Questo è uno dei temi su cui l’industria è chiamata a riflettere nel prossimo futuro. L’impegno imprenditoriale richiesto da una coproduzione internazionale è importante - sia sul piano artistico sia su quello organizzativo - e pesa nella valutazione dei costi/benefici complessivi del progetto. Va tuttavia rilevato che se per i grandi paesi produttori di cinema la coproduzione è spesso un’opzione alternativa, per i paesi più piccoli o emergenti resta uno strumento fondamentale per la sostenibilità della realizzazione di un cinema di qualità in grado di confrontarsi con il mercato internazionale. Gli Stati Uniti hanno indubbiamente dominato la storia del cinema del secolo scorso, forti di un mercato potenziale non paragonabile per dimensioni e capacità di spesa agli altri paesi occidentali e sostenuti da un’economia basata sul libero mercato in grado di esportare, attraverso il prodotto cinematografico e televisivo, anche un modello culturale. Causa-effetto è stata la potente crescita degli Studios, sistemi completi e complessi che, con modalità tipicamente industriali, hanno sviluppato, prodotto e distribuito un numero esorbitante di film conquistando quote di mercato ingombranti sia sul mercato interno sia sui singoli mercati dell’Occidente. La macchina degli Studios, che continua a funzionare a ritmi sostenuti, vede nell’ultimo decennio un agguerrito competitor in casa propria: il cinema indipendente, per il cui sviluppo e visibilità internazionale il Sundance Institute – fondato all’inizio degli anni ’80 da Robert Redford - ha avuto un ruolo fondamentale. Nonostante quindi il primato delle Major Companies, sta crescendo negli USA un tessuto di produttori indipendenti che realizzano film a basso budget (in media 1 milione di dollari, contro i 20 milioni di un film degli Studios) e che per comporre il piano finanziario devono sviluppare le proprie doti creative. Le fonti principali per questi soggetti, in assenza di un sostegno statale diretto, sono le fondazioni e le organizzazioni private sparse sul territorio, varie forme di equity e le diverse forme di tax credit attivate in alcuni degli Stati dell’Unione, a cui si aggiungono gli ambìti premi in danaro per i vincitori dei festival.1 15 Fonte: Special Report Movie Production Incentives 1 Per una approfondita panoramica sugli schemi di incentivazione fiscale attivi nei principali paesi d’Europa e nei diversi stati degli USA, cfr. cap. 1 della pubblicazione LE RICADUTE DEL TAX CREDIT. L’impatto economico delle forme di incentivazione alla produzione cinematografica, ANICA – MiBAC DGCinema – LUISS Business School, 2012. Disponibile online: http://www.anica.it/online/tax_credit/LE%20RICADUTE%20DEL%20TAX%20CREDIT.pdf 65 NEL MONDO // Import-Export La tendenza negli USA vede quindi la valorizzazione della creatività del produttore indipendente, chiamato a sopravvivere di fianco a colossi iper-strutturati che, pur mantenendo alta la propria quota di mercato sembra stiano conoscendo una fase di stanchezza. Contemporaneamente sta esplodendo, come in tutti gli altri settori dell’economia, il fenomeno Cina: negli ultimi dieci anni l’industria cinematografica cinese ha conosciuto una straordinaria crescita sia in termini di film prodotti che in termini di risultati al box office. Nel 2011 vi sono stati prodotti 791 film che hanno incassato 1,63 miliardi di euro, con un incremento del 28% rispetto all’anno precedente. L’incasso dei film prodotti con il contributo statale è stato di 875 milioni di euro, +53% sul 2010. Il budget medio per un film di sicuro successo in patria oscilla fra i 2,5 e i 5 milioni di euro. Per comprendere le dimensioni di questo mercato, basti pensare che un film di medio successo esce in sala con circa 8.000 copie. Il contributo pubblico alla produzione assume quindi un ruolo decisivo nello sviluppo dell’industria cinematografica cinese e l’esigenza denunciata sia dai grossi produttori che dai pochi indipendenti protagonisti di questo mercato è quella di equilibrare il fenomeno sia attraverso l’incremento di risorse private sia attraverso l’accesso al mercato internazionale. 66 Oltre a un importante finanziamento statale diretto, che copre il budget della maggioranza dei film mainstream, in Cina attualmente le altre due fonti per il produttore sono il finanziamento bancario - accessibile però solo per i film diretti dai registi più noti - e i numerosi fondi d’investimento, che raccolgono tanti piccoli investimenti che altrimenti andrebbero dispersi. Uno dei grandi temi intorno a cui si sviluppa il fenomeno è il controllo sul mercato operato dallo Stato che, accanto all’ingente sostegno diretto, agisce attraverso due strumenti: la censura e le quote di importazione, secondo cui ogni anno possono accedere al mercato cinese al massimo 30 film stranieri. Il dialogo con l’estero sembra essere il vero obiettivo a cui l’industria cinese aspira. Gli strumenti più immediati sono, da un lato, le coproduzioni - che per il partner straniero sono una chiave di accesso al mercato cinese molto utile, dal momento che i film coprodotti con la Cina non rientrano nelle quote di importazione - e dall’altro lato i festival e i mercati internazionali. Il dialogo con l’estero è una delle più importanti chiavi di lettura sull’utilità dei festival e l’esempio della Cina dà una risposta positiva alla domanda di partenza. SCENARI // Inchiesta 67 FOCUS // Dove il cinema sta meglio 16,4 milioni 830 sale cinematografiche totale ingressi in sala di cui 272 sono digitali 29 lungometraggi svedesi usciti nelle sale cinematografiche con il finanziamento alla produzione del Swedish Film Institute (di cui 17 lungometraggi e 12 lungometraggi documentari) 1,7 media ingressi per abitante nelle sale 19,8% 3,3 milioni Quota di mercato (percentuale di biglietti acquistati per film svedesi) totale ingressi per film svedesi 36% percentuale di fondi pubblici nel budget medio di un lungometraggio svedese 45% nazionali 38 film prime uscite 2011 (di cui 23 lungometraggi e 15 lungometraggi documentari) 68 lungometraggi finanziati nel 2011, che sono stati prodotti da una donna (29% sono stati diretti da una donna e i 40% scritti da una donna) FOCUS // Dove il cinema sta meglio FOCUS Il caso Svezia Dati relativi al 2011 Popolazione 9,5 milioni Superficie 449.964 km2 Densità 22 ab./km2 Moneta krona (plurale kronor) Capitale Stoccolma Forma di governo Monarchia Sovrano Carlo XVI Gustavo di Svezia 69 FOCUS // Dove il cinema sta meglio VOGLIA DI NOVITÀ E CACCIA ALLE REGISTE. MA IL PASSE-PARTOUT È IL NOIR NORDICO. di Cristiana Paternò ue dei film protagonisti dell’edizione 2013 dei Guldbagge, i David di Donatello svedesi, sono opere prime: Call Girl di Michael Marcimain e Eat Sleep Die di Gabriela Pichler. Il primo, che ha tra gli interpreti la brava Pernilla August, attrice di Bergman e dell’ex marito Bille August, regista in proprio col notevole Beyond, restituisce il clima di uno scandalo politico-sessuale a base di prostitute minorenni che nella seconda metà degli Anni ’70 ha sfiorato anche il premier Olof Palme. L’altro, diretto da una regista di origine austro-bosniaca di cui sentiremo certamente ancora parlare, è invece la storia di una Rosetta contemporanea. L’esordiente assoluta Nermina Lukac, una ventiduenne grande e grossa, dalla fisicità che non passa inosservata, subito accolta tra le Shooting Star di Berlino 2013, ha il ruolo della figlia di un immigrato balcanico di religione musulmana, che perde il lavoro di operaia e cerca di riconquistare, con tenacia e senza perdere la tenerezza (specie verso il padre malato), il suo posto nella società. ”Volevo raccontare il mondo dei miei genitori, persone che ho sempre amato ma di cui un tempo mi sono vergognata, e dare voce alla classe operaia con autenticità”, ci spiegava la 32enne regista alla Mostra di Venezia dove il suo bel film ha trovato spazio nella Settimana della critica vincendo anche il premio del pubblico. Aggiungendo che la Svezia non è quello che molti pensano, borghese e tormentata da dilemmi esistenziali. ”Per questo ho scelto una storia ambientata in un paesaggio rurale e in un ambiente working class”. Il percorso della pellicola è proseguito in vari festival da Los Angeles a Zurigo, da Londra a Toronto, senza ancora arrestarsi: per Ann-Louice Dahlgren, addetto culturale dell’ambasciata svedese a Roma, Eat Sleep Die è senza mezzi termini ”il film dell’anno”. D 70 FOCUS // Dove il cinema sta meglio Attenzione a forme e contenuti che si smarcano dal modello bergmaniano e forte protagonismo femminile. Ecco due punti chiave della cinematografia svedese, che gode del forte sostegno dello Swedish Film Institute da ottobre 2011 guidato da una donna. Prevale il cinema d'autore, ma è Millennium a fare scuola. Attenzione alle novità, con forme e contenuti che si smarcano giustamente dal modello bergmaniano, e forte protagonismo femminile. Ecco subito due punti chiave della cinematografia svedese, che gode del sostegno dello Swedish Film Institute (Svenska Filminstitutet), fondato nell’ormai lontano 1963 e guidato, dal 1° ottobre 2011, proprio da una donna, Anna Serner. L’Istituto conta su fondi pubblici ma grazie allo Swedish Film Agreement, un accordo tra lo Stato e tutti i soggetti dell’industria del cinema nonché delle televisioni (quello attualmente in vigore riguarda il triennio 2013-2015), sostiene la produzione e la distribuzione, in patria e all’estero, attraverso un sistema molto agile ed efficiente con tempi assai ridotti di approvazione delle richieste che vengono vagliate in appena 6 settimane. ”Senza il sostegno pubblico sarebbe impossibile fare film”, dice chiaro e tondo la produttrice China Ahlander, veneziana d’origine, che in passato ha lavorato con Tarkovskij e i fratelli Taviani. Il budget SFI del 2011 era di 514 milioni di corone (1 euro è pari a 8,5766 SEK), il cui 147,5 mln garantiti dall’imposta sul biglietto del cinema (pari al 10%) concordata con le categorie, e il resto dal contributo statale. Il finanziamento alla produzione ammontava, sempre nel 2011, a 288 mln SEK di cui 213 assegnati direttamente dai cinque membri della commissione e il resto come premio per i migliori risultati al botteghino. Sono stati sostenuti in tutto 21 lungometraggi, 16 documentari e 63 cortometraggi, oltre a 13 coproduzioni di minoranza con Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda Norvegia, GB e Germania. Altro fronte dell’impegno governativo – che riguarda pure la Cineteca e il patrimonio filmico - è quello della digitalizzazione delle sale con un finanziamento ad hoc: quelle digitali sono 272 su un totale di 830 schermi nel 2011 (33%), mentre erano solo 143 nel 2010. Un mercato non piccolo se si pensa che gli svedesi sono appena 9 milioni e mezzo, con 16,4 milioni di biglietti venduti (3,3 mln per i film nazionali, pari a una quota di mercato del 19,8%). ”L’interesse per il cinema è fortissimo, ogni svedese vede circa 60 film l’anno per un totale di 500 milioni di pellicole visionate in sala o in dvd, a cui si aggiungono diversi milioni, non quantificabili, di download illegali”, dicono ancora allo SFI. 71 FOCUS // Dove il cinema sta meglio Grazie all’Istituto e alle sue politiche accorte, il cinema svedese è più che mai il cinema delle pari opportunità: il 29% dei film finanziati è diretto da donne. ”Siamo ancora indietro, ma è giusto notare che tra i progetti realizzati senza il sostegno del SFI il tasso di uguaglianza era pari a zero per quanto riguarda le registe o sceneggiatrici, con solo un 25% di produttrici”, dicono al SFI. Ma la nuova direttiva 2013-2015 stabilisce espressamente che ”il fondo sia suddiviso equamente tra uomini e donne”. Ann-Louice Dahlgren chiarisce: ”In Svezia non ci sono le quote rosa, ma le pari opportunità sono garantite in ogni settore”. Un punto debole, in questo quadro abbastanza lusinghiero, è sicuramente rappresentato dalle esportazioni, nonostante le rassicurazioni del SFI, che sottolinea ad esempio come la metà dei 38 film distribuiti nel 2011 sia stato venduto all’estero ed elenca i premi vinti ovunque (sono stati ben 160). Sarà che il cinema nordico è percepito male in Italia, paese assai lontano dalla sensibilità protestante, ma, come ci racconta Cesare Petrillo, molte opere meritevoli sembrano destinate al flop: ”Come Teodora abbiamo distribuito tre film svedesi, Dalecarlians L’amore non basta mai di Maria Blom, Racconti da Stoccolma di Anders Nilsson e Kops di Josep Fares: tutti e tre sono stati degli insuccessi, forse perché molto duri per il palato delicato degli italiani. E sono andati male qui da noi anche Beyond e Fucking Amal”. Secondo Petrillo manca agli svedesi quella “Volevo raccontare il mondo dei miei genitori, persone che ho sempre amato ma di cui un tempo mi sono vergognata, e dare voce alla classe operaia con autenticità.” 72 riconoscibilità immediata che i danesi, soprattutto grazie al Dogma, hanno conquistato, affermando sul nostro mercato una triade di registi amati non solo dai cinefili: Lars Von Trier, Thomas Vinterberg e Susanne Bier. “Certo che tre talenti così nascono per pura coincidenza e molto di rado, come avvenne nella Germania degli Anni ’70 con Herzog, Fassbinder e Wenders”, conclude Petrillo. Andrea Occhipinti, coproduttore dell’intrigante Una soluzione razionale (2009) - storia degli effetti collaterali di un adulterio affrontato a viso aperto dalle due coppie di mezza età coinvolte - conferma: “Avevamo visto un corto di Jörgen Bergmark, che conoscevo come sceneggiatore di Kitchen Stories (Bent Hamer, 2003), e ci era piaciuto il soggetto, anche se di solito non produciamo opere prime. Il film, però, è passato inosservato, non c’era un cast famoso e non ha vinto premi importanti, così in sala è restato pochissimo”. Ma, sottolinea ancora Dahlgren, il cinema svedese è distribuito male in Italia, mentre in altri paesi è molto richiesto, “anche grazie a Millennium, che ci ha aperto tante porte”. Ecco, appunto. Il noir nordico, nelle sue varie declinazioni, dai giovanissimi vampiri di Lasciami entrare (Thomas Alfredson, 2008) alla saga criminale di Easy money (Daniel Espinosa, 2010) all’ormai celeberrimo Uomini che odiano le donne (Niels Arden Oplev, 2009), sembra essere il passe-partout del nuovo cinema svedese. Come ci racconta in un’intervista esclusiva a pagina 76 Fredrik Wikström, artefice di un successo rimbalzato fino a Hollywood. SVEDESI A HOLLYWOOD L’ottantaquattrenne Max Von Sydow, una delle massime glorie svedesi viventi, ha incassato due nomination all’Oscar, l’ultima con il recente Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry (2012), la prima con Pelle alla conquista del mondo (1989) del danese Bille August. Ma la lista degli svedesi espatriati con successo è lunghissima e comprende sia attori che registi. Da Lasse Hallström (dopo le due candidature per La mia vita a quattro zampe, nel 1985, è stato artefice di grandi successi internazionali come Chocolat e Le regole della casa del sidro), appena tornato in patria dopo una lunga assenza per dirigere l’angoscioso noir The Hypnotist con Lena Olin – anche lei fa parte del club degli emigranti illustri - e Mikael Persbrandt, tratto dal romanzo di una coppia (Alexandra Coelho Ahndoril & Alexander Ahndoril) che si nasconde dietro lo pseudonimo di Lars Kepler. A un altro thriller, Millennium, deve invece la popolarità mondiale Noomi Rapace, la Lisbeth Salander ”originale”, ben prima dell’americana Rooney Mara. Noomi ha ormai una carriera tracciata con ruoli in Sherlock Holmes, Prometheus e Passion di Brian De Palma. La lista sarebbe ancora lunga, ma non possiamo non citare Stellan Skarsgård e suo figlio Alexander: il primo è stato il protagonista maschile delle Onde del destino (1996) di Lars Von Trier, e adesso lo vediamo dappertutto, specie nei vari episodi di Pirati dei Caraibi, il secondo ha interpretato True Blood, Battleship e Melancholia sempre dell’onnipresente danese. FESTIVAL I festival sono un dozzina. Il principale è il Göteborg International Film Festival, che si è svolto dal 25 gennaio al 4 febbraio. Giunto alla sua 36a edizione, ha proposto circa 450 film da 70 paesi, con una particolare attenzione all’area nordica raggiungendo un pubblico di 250.000 spettatori con 23 schermi. Altre rassegne sono il Tempo Documentary Festival, il Buff International Children and Young People’s Film Festival. Non mancano manifestazioni nella capitale Stoccolma e a Uppsala. 73 FOCUS // Dove il cinema sta meglio COSA CI MANCA? UN LARS VON TRIER TUTTO NOSTRO di Jan Lumholdt Una nuova creatività e una nuova generazione di registi per andare oltre il mito di Bergman. Il successo internazionale del thriller alla Millennium. Eppure i grandi festival, a parte Berlino, continuano a snobbarci. Forse è questione di marketing? roucho Marx. Il secondo movimento della Sinfonia Jupiter di Mozart. L’incisione di Potato Head Blues di Louis Armstrong. Quelle incredibili mele e pere dipinte da Cézanne. Queste sono alcune delle cose per cui vale la pena di vivere secondo Woody Allen, alias Isaac Davis, in Manhattan (1979). G A questo breve elenco si aggiungono Marlon Brando, Frank Sinatra e i granchi del ristorante Sam Wo al 39 di Mott Street. E i film svedesi, che non possono proprio mancare. Va da sé che il signor Allen è beatamente all’oscuro dell’esistenza di certune “pere e mele svedesi” tutt’altro che incredibili. Magari basa la sua valutazione su un certo regista svedese che risponde al nome di Ingmar Bergman. E però c’è da dire che è sulla pista giusta. La Svezia, infatti, ha avuto un ruolo centrale nel cinema del passato e del presente, nazionale e internazionale, a volte in modo sorprendente, se consideriamo il numero esiguo della sua popolazione (che ad agosto 2004 contava 9 milioni di persone). Già i pionieri Victor Sjöström e Mauritz Stiller, con la loro maestria, avevano dato prova dell’eccezionalità del cinema svedese portando il romanticismo epico della natura, il naturalismo rigido e le commedie nella cosiddetta età d’oro degli Anni ’10 e ’20. Con il suo arrivo negli Anni ’40, Bergman domina la scena per settant’anni con la sua produzione, 74 lasciando una serie di pietre miliari certamente note a chiunque abbia una qualche familiarità con una certa cinematografia classica e di culto. E per quanto riguarda l’età d’oro moderna, c’è stato un bel fermento negli Anni ’60 e per un certo periodo negli Anni ’70. Entra in scena una nuova generazione che abbraccia e fa suoi i movimenti internazionali: parliamo di Bo Widerberg (Elvira Madigan), Jan Troell (Questa è la tua vita), Vilgot Sjöman (Io sono curiosa), Mai Zetterling (Gli amorosi), Roy Andersson (A Swedish Love Story) e il giovane regista televisivo Lasse Hallström. In tutto, oltre cinquanta filmmaker debuttano in questo periodo. Frattanto Bergman (contro il quale alcuni dei nuovi arrivati, ma non tutti, si ribellano accanitamente) sta lavorando ad alcuni dei suoi film più personali come Luci d’inverno (1962), Persona (1966) e Sussurri e grida (1973). Grazie alla legge nazionale a favore del cinema introdotta nel 1963, la politica governativa fornisce una rete di aiuti che incoraggia gli studios più importanti a puntare sul cinema di qualità. Purtroppo, però, non dura. La gente va sempre meno al cinema, i vecchi studi sono costretti a tagliare o a chiudere o perlomeno ad adattarsi ai gusti del nuovo pubblico, fatto sempre più da ragazzini. Alcuni registi vanno in America. Bergman va in Germania e, poco dopo, annuncia il suo ritiro dalle scene. Il cinema della parte finale del secolo è chiuso in sé e non produce nulla di particolarmente bril- Filo diretto da Stoccolma. Il punto di vista critico. lante o rischioso: commedie e gialli che non si discostano molto dal dramma tradizionale a sfondo sociale e con una morale, tanto per andare sul sicuro. Mentre i “veterani” Troell e Widerberg producono di tanto in tanto ancora film di qualità, i nuovi talenti faticano ad emergere. E il fatto che i vicini scandinavi, soprattutto la Danimarca, producano delle cose molto interessanti, è un duro colpo alla stima della Svezia. Certamente l’avvento di Lars von Trier e dell’intraprendente collettivo Dogma tolgono mordente al cinema svedese della fine degli Anni ’90. Possiamo invece datare alla fine del 1998 l’inizio della moderna cinematografia svedese, quando un poeta abbastanza arrogante e al passo coi tempi, Lukas Moodysson, annuncia pubblicamente il suo lungometraggio. E si affretta ad aggiungere che va ben oltre tutto quanto stanno facendo i suoi connazionali: Fucking Åmål – Il coraggio di amare è un successo di critica e di pubblico (del quale fa parte anche Bergman), è apprezzato a livello internazionale e, come se non bastasse, dal mondo cinematografico che ha proprio bisogno di una bella scossa. E mentre c’è chi insiste perché non si scambino lucciole per lanterne, una nuova era è già iniziata. Ma siamo davvero di fronte a un’altra età dell’oro? Bisogna andarci cauti. Rispetto agli Anni ’60 il marketing, al pari del giornalismo, sono fuori controllo. Oggi il consenso ottenuto durante un festival si trasforma in “successo internazionale” sui titoli di giornale, senza con- FOCUS // Dove il cinema sta meglio tare l’ennesimo attore che indossa i panni di Bond ed è “pronto a conquistare il mondo”. Per curiosità ho cercato negli archivi le notizie relative alla premio Oscar di Bergman del 1961 per La fontana della vergine, praticamente invano. I tempi sono cambiati sul serio. Ma forse siamo sulla buona strada: con o senza pubblicità, con o senza Moodysson, con o senza plauso. Oggigiorno, ogni anno spunta la creatività grazie a una nuova generazione di registi come Tomas Alfredson (Lasciami entrare), Ruben Östlund (Play), Jesper Ganslandt (Falkenberg Farewell), Pernilla August (Beyond), Johannes Stjärne Nilsson & Ola Simonsson (Sound of Noise), Michael Marcimain (Call Girl), Gabriela Pichler (Eat, sleep, die)… solo per citarne alcuni e mi spiace davvero doverne omettere altri. Hanno stili diversi, si rifanno alla tradizione degli Anni ’60 e al cinema d’autore, toccano temi sociali di forte impatto e criticano ferocemente il contemporaneo, passando per l’horror romantico, il thriller politico classico e l’umorismo anarchico e gioioso. Tra le fila dei grandi del recente passato figurano i decani Jan Troell e Roy Andersson (che dopo un’assenza di 25 anni dal cinema è tornato in perfetta forma nel 2000 con Songs from the Second Floor). Dei risultati incoraggianti arrivano anche dal campo dei documentari e dell’animazione. Particolarmente incredibile può sembrare l’avvento di un certo tipo di cinema noir, talvolta definito “svedese” che ha raggiunto l’apice nel 2009 con Uomini che odiano le donne. Il fatto poi che questa tradizione sia presente fin dalla metà degli Anni ’70 (e il più delle volte con risultati mediocri) fa di questo film un successo ancora più incredibile. In fondo questo è ciò che il cinema svedese sta vivendo: un’epoca di sorprese e quasi tutte belle. Cosa si può volere di più (a parte un Lars von Trier tutto nostro)? Che so… un posto nei concorsi ufficiali dei principali festival cinematografici europei. Insomma, mica tanto. Cannes, a quanto pare, per anni ha visto solo i film alla Bergman, mentre per Venezia, soprattutto durante l’epoca di Marco Müller, l’Europa del Nord è stato un grosso buco nero sulla mappa. Berlino è un po’ più aperta, magari perché relativamente vicina dal punto di vista geografico e culturale. Forse siamo un pochino troppo protestanti per Francia e Italia? 75 FOCUS // Dove il cinema sta meglio INTERVISTA AL PRODUTTORE FREDRIK WIKSTRÖM NICASTRO. DA MILLENNIUM A EASY MONEY, DIETRO LE QUINTE DEL GIALLO SCANDINAVO di C.P. 76 FOCUS // Dove il cinema sta meglio stato un enorme successo al botteghino nel 2010 Snabba Cash (Easy Money), diretto da Daniel Espinosa, con 57 mln di corone e il 1° posto nella classifica degli incassi per un film nazionale, mentre il secondo capitolo, nel 2011, diretto dall’iraniano (ma cresciuto a Uppsala) Babak Najafi, ha replicato da vicino con 33 mln SEK e un 3° posto. Il terzo capitolo della trilogia, Life Deluxe, sempre basato sui romanzi di Jens Lapidus, ha appena ottenuto il fondo per la produzione dallo SFI, mentre presto vedremo il remake americano della serie con Zac Efron nel ruolo di “JW”, il giovane antieroe di buona famiglia che, a caccia di soldi facili per tenere in piedi la sua doppia vita, finisce coinvolto nel traffico di cocaina e in ambienti più che mai loschi, tra mafia balcanica e poliziotti infiltrati. Dietro questa straordinaria macchina da guerra c’è un giovane produttore, Fredrik Wikström Nicastro, figlio di un italiano arrivato in Svezia negli Anni ’60 (il papà tuttora gestisce uno dei ristoranti più popolari di Stoccolma, il Michelangelo). L’abbiamo intervistato. è Ci può raccontare la sua esperienza di produttore della trilogia Easy Money? Sono sei anni che lavoro a questa storia, un sogno. E un privilegio perché di solito con un singolo film non si riesce a esplorare davvero l’universo di un autore, ma noi, con tre pellicole, siamo andati davvero in profondità in quel mondo e in quei personaggi. In più c’è stata la possibilità di lavorare con tre registi di grande talento: Daniel Espinosa, Babak Najafi e ora Jens Jonsson. Come siete riusciti a tenere testa alla concorrenza americana al box office, molto forte anche in Svezia? Volevamo realizzare il primo vero thriller svedese sulla criminalità organizzata nel nostro paese. Credo che gli svedesi se ne siano accorti e abbiano avuto voglia di entrare in quel mondo, indipendentemente dalla concorrenza del cinema americano. È stato difficile esportare questo modello all’estero, e specialmente a Hollywood? Per niente. Anzi, c’è stata una specie di guerra tra i distributori americani per accaparrarsi Easy Money, l’ha vinta Weinstein, che ha fatto uscire il film negli USA la scorsa estate ed è stato una leggenda come Martin Scorsese a presentarlo al pubblico americano. Abbiamo anche avuto ottime recensioni. Stessa accoglienza per il regista Daniel Espinosa, che ha ricevuto un sacco di offerte e alla fine ha diretto Safe House con Denzel Washington. Mentre la Warner Bros ha acquistato i diritti per il remake americano di Easy Money attualmente in fase di sviluppo. Io sono uno dei produttori con Charles Roven, che è uno dei grandi di Hollywood, ha prodotto film come la trilogia Dark Knight (Christopher Nolan, 2008) e L’esercito delle 12 scimmie (Terry Gilliam, 1995). Easy Money e Millennium hanno molti punti in comune: l’origine letteraria, il genere noir, l’ultraviolenza. E sono due grandi successi internazionali. È un puro caso? Fanno parte entrambi del “giallo scandinavo”, un fenomeno che riguarda lettori e spettatori in tutto il mondo. La gente sembra molto interessata alle storie dark con caratteri complessi: tratto comune a Easy Money e Millennium. I migliori talenti in Svezia (e in Europa) tendono a emigrare a Hollywood. Questo non impoverisce il cinema europeo? È un’arma a doppio taglio. È inevitabile che i grandi talenti debbano provare a volare con le proprie ali. L’importante, per l’industria svedese, è far sì che chi è emigrato a Hollywood mantenga un legame con la madrepatria. In questo modo il suo talento e tutte le esperienze e il know-how conquistati a Hollywood, possono poi tornare a casa. Credo che alla fin fine la maggior parte degli artisti emigrati abbia voglia di dedicarsi anche a buoni progetti svedesi. Un altro fenomeno è quello degli immigrati o figli di immigrati, nel cinema svedese. Penso a Eric Gandini, Gabriela Pichler, Babak Najafi, Josef Fares… Forse gli svedesi di origine straniera, che hanno un’esperienza di prima mano di altre culture, hanno qualche storia in più da raccontare. Chissà? Ha mantenuto un legame con l’Italia? Ho un rapporto molto forte con i miei parenti italiani, vengo a Roma almeno un paio di volte l’anno. Amo la cultura italiana e alcuni dei miei film preferiti sono italiani: Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948), Nuovo Cinema Paradiso (Giuseppe Tornatore, 1988) e La vita è bella (Roberto Benigni, 1997). Mi piacerebbe, un giorno, fare un film italiano. 77 GEOGRAFIE Atlante di cineturismo del cinema italiano, tra set e ambientazioni narrative di Nicole Bianchi Destinazione nord-est. La geografia del cinema italiano di dicembre e gennaio sceglie il settentrione orientale come ambientazione prediletta: alcune tra le pellicole più importanti del periodo - Albanese, Neri Parenti e Tornatore - hanno ambientato le loro storie tra Lombardia, Trentino, Veneto e est Europa. e storie italiane per il grande schermo si sono incontrate geograficamente in luoghi affini, confinanti, limitrofi, collocabili nel macro concetto di “nord”. Sono la fotografia nebbiosa e il color celeste ghiaccio di alcune atmosfere de La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, l’inflessione marcatamente veneta di Olfo - personaggio di Tutto tutto niente niente, regia di Giulio Manfredonia, interpretato da Antonio Albanese - e le vallate di Colpi di fulmine, esplicite nell’episodio interpretato dal sedicente parroco Christian De Sica, a non destare dubbio sulla posizione geografica che, per conformazione territoriale, per cromie atmosferiche, per vocabolario, lasciano facilmente rintracciare un nord non soltanto italiano ma anche dichiaratamente europeo, come la Piazza dell’Orologio di Praga su cui si affaccia una delle inquadrature più esplicite del film di Tornatore. L 78 Forse una casualità, forse una “banale” e comune necessità narrativa: questa ricorrenza geografica, comunque, si è lasciata rilevare, sembrando quasi una tendenza. Non è quindi possibile lasciare appartato l’interrogativo su quello che potrebbe essere il riscontro sul piano turistico, culturale, determinato dalla riconoscibilità dei luoghi, soprattutto quelli che, a differenza delle città più grandi (Bolzano, Trento, Venezia), possono avere maggiore desiderio di essere valorizzati. A questo proposito un esempio calzante è quello riscontrato a Rovereto, set della parrocchia di Don Dino (De Sica), come testimonia il vice sindaco e assessore al turismo, Gianpaolo Dai Campi. “Prima che il film fosse in sala, quindi prima che le persone lo vedessero, l’esperienza si era circoscritta ad una cena con Parenti e De Sica. Sono stato invece soddisfatto dopo l’uscita: gli scorci di Rovereto sono ben riconoscibili e numerose persone ci hanno fatto sapere di averli notati e apprezzati. La bellezza degli interni della chiesa del Redentore sono tali che già mi è stato chiesto di renderla visitabile. Si tratta di un’ interessante promozione della nostra città, che raggiunge milioni di italiani. Quanto poi tutto questo frutterà in termini di affluenza turistica è ancora molto presto per dirlo, ma le premesse sono buone”. Nonostante le tre produzioni considerate non abbiano affinità di alcun genere, questa geografia ricorrente non passa inosservata e dimostra che, nonostante Roma (e dunque “lo scontato” romano-centrismo) non manchi quasi mai di essere almeno accennata, la Capitale non sia, almeno nel periodo recente, il cuore principe delle ambientazioni cinematografiche. Sia Tornatore che Parenti che Manfredonia passano per Roma, senza però stanziare tanto quanto a Codroipo (Udine), Rovereto (Trento) o, nel film con Albanese, a Mogliano Veneto e limitrofi. GEOGRAFIE 7 7 11 3 8 8 8 8 6 4 8 8 11 5 9 2 3 4 9 10 2 1 Ambientazione Location 1. CI VEDIAMO DOMANI Crispiano, Cisternino, Ostuni Crispiano, Cisternino, Ostuni 7. MAI STATI UNITI Las Vegas, il Gran Canyon, il monte Rushmore, Arizona, California Las Vegas, il Gran Canyon, il monte Rushmore, Arizona, California 2. SI PUÒ FARE L’AMORE VESTITI? Roma, Polignano (Puglia) Roma, Polignano (Puglia) 8. LA MIGLIORE OFFERTA Austria, Repubblica Ceca Alto Adige, Codroipo (Udine) - Friuli , Milano, Praga, Trieste 3. COLPI DI FULMINE Val Canali, Trento, Rovereto, Roma Val Canali, Trento, Rovereto, Roma 9. LA SCOPERTA DELL’ALBA Roma, Fregene Roma, Fregene 4. TUTTO TUTTO NIENTE NIENTE Roma, Mogliano Veneto Roma, Mogliano Veneto 10. PAZZE DI ME Roma Roma 5. L'INNOCENZA DI CLARA Massa Carrara Massa Carrara 11. 16 SETTEMBRE 1683 Austria Polonia 6. I DUE SOLITI IDIOTI Milano Milano 79 CINEMA ESPANSO Lo sguardo espanso di Giulio Bursi Cinema d’artista italiano 1912-2012, in mostra al Complesso Monumentale di Catanzaro. a veramente piacere poter vedere realizzato il frutto di tanti anni di lavoro, che Bruno Di Marino ha portato avanti, instancabile, sul cinema indipendente, sperimentale, di animazione e d’artista italiano. Sulla scia del pioneristico lavoro di Aprà (con Pesaro ed il Filmstudio), Fagone, e perché no Granchi (totalmente sottovalutato il suo ruolo di curatore e programmatore negli Anni ‘80), grazie al nuovo, risvegliato, interesse per il cinema che “fuoriesce” dalla narrazione, dal quadro e dallo schermo, sovvertendo le regole, si reinventa modi, mondi, luoghi in cui esistere, vivere, espandersi. Il trio Di Marino/La Porta/Meneguzzo mette sul piatto qualcosa di veramente ambizioso. Innanzitutto una mostra che riunisce, al Complesso Monumentale di Catanzaro, cento anni di quel cinema fatto “da artisti” che in tanti, spesso senza riuscirci, hanno provato a incasellare, inscatolare, etichettare in varia maniera, secondo il momento storico o la moda festivaliera o accademica del momento. Creando una mostra labirintica in cui video, film, dispositivi, opere, vivono e dialogano rispettando il comune denominatore cinematografico (il film o il video è al centro, mentre intorno si mettono a disposizione dello spettatore opere preparatorie, quadri, sculture, per rendere più intellegibile e ricco il percorso), Lo sguardo espanso si pone come lettura interpretativa di un mondo vasto ed imprendibile, come quello del cinema e video italiano legato a contesti e modi di produzione “artistici”. A livello pratico dire cinema “d’artista”, in effetti, consente di sciogliere diversi legami e di prendere, catturare, autori molto diversi per epoche e percorsi, farne brillare le peculiarità e originalità, mettere in rilievo la forza generativa delle tecniche adottate dentro e fuori dal cinema e dai film prodotti o pensati. Questo il pregio dell’operazione: unione tra ricerca decennale sulla storia dell’avanguardia italiana e proposte per il futuro. Lo si capisce dai nomi degli artisti presenti: si va dai “classici” dell’avanguardia italiana come Fortunato Depero, il poco conosciuto ma geniale Francesco Di Cocco (autore dello straordinario Ventre della città, opera aprima e ultima con cui il regista/pittore trapassa Roma), i seminali Arnaldo Ginna e Bruno Corra (nei cui film, perduti, risiederebbe l’origine del cinema sperimentale tutto), Pippo Oriani, passando per l’altrettanto classico Veronesi e il fondamentale Prampolini (scenografo di Thais, Bragaglia, 1917, ma non solo) e tutta la gang futurista. Ottimamente rappresentati (è la parte più ricca e feconda del percorso espositivo) gli Anni ’60-’70, con una ridda di nomi, alcuni conosciuti (Gioli, Baruchello, Carpi, Patella, Sambin, Schifano, Bene, Munari-Piccardo, Frascà, Nespolo, Vaccari), altri molto meno (i Loffredo). Finalmente sono presenti musicisti sperimentali passati per Fluxus come Sylvano Bus- F 80 Lo sgu esp Lo L s e sgu esp CINEMA ESPANSO uardo panso uardo Lo panso sguardo espanso 81 CINEMA ESPANSO sotti (autore di due film molto interessanti, complice Alfredo Leonardi, ma da vedere sono soprattutto le partiture dipinte) e grandi artisti/animatori come Mussio, Cintoli, Pascali Foschi e i più tradizionali Gianini e Luzzati (alcuni dei pallini di Di Marino, grazie al quale, finalmente, l’animazione di alto livello entra a far parte di una mostra del genere) che ci trasportano in un universo pop, colorato, ma mai del tutto apolitico. La presenza di Rotella (celebrato anche con un omaggio) è certo stimolante (per gli occhi), e quella di Mauri e Bignardi lanciano il tema dell’oltre lo schermo, delle origini del cinema espanso italiano (non totalmente esplorato). Alcune chicche (Angeli, La Pietra, Pettena, Mosconi, Brancato) sono la vera scoperta della mostra, tra performance e cinema. Lo spirito femminile è ben rappresentato dalla misconosciuta Giosetta Fioroni, i cui film raramente appaiono nelle filmografie del periodo. Che qualcosa si muovesse anche alla fine degli Anni ’70 e nella prima metà degli ‘80 ce lo dimostrano la presenza di Granchi (capofila del gruppo fiorentino di cineasti/artisti) e Roberto Lucca Taroni (altro artista ingiustamente poco conosciuto e studiato). L’arrivo dei ’90 e oltre si concretizza in alcuni nomi come Arcangelo Mazzoleni, Leonardo Carrano, Danile Puppi, Paola Salerno, che col cinema hanno apparentemente poco a che fare, mentre è proprio in quelle tecniche e nel lavoro su questo interminabile ed invincibile dispositivo che escono le cose più interessanti dalle nuove generazioni (Rosa Barba, Gianluigi Toccafondo, Danilo 82 Torre, Virgilio Villoresi su tutti). Oltre alla mostra, i curatori propongono un interessante ciclo di workshop ed incontri, un convegno con accademici, curatori e artisti italiani più o meno noti, ed una rassegna, Immagini del movimento, fatta da ben 11 programmi (purtroppo tutti in video), che permette al pubblico del territorio di vedere decine di titoli, la maggior parte dei quali veramente rari e invisibili da anni, che accompagnano lo spettatore in un continuo andirivieni tra passato e presente, cinema e video, maestri e giovani animatori, registi, artisti, sperimentatori. Qui il segno curatoriale più debole, ed è un peccato: se, come si dice nella presentazione “il consumo cinematografico deve essere ripensato”, che il segno di questo ripensamento, qualunque esso sia, si veda. Nell’anno in cui la Tate Modern di Londra apre uno spazio dedicato a performance e cinema espanso, e nella difficile congiuntura storica in cui i musei sorpassano le cineteche ed i vecchi cineclub per qualità di programmazione, varietà, quantità di pubblico e proposta culturale legata al cinema sperimentale e d’artista (ma non solo), occorre almeno provare ad essere all’altezza di queste sfide (in termini di forza e originalità nei percorsi proposti), non uniformarsi alla deriva delle solite rassegne in DVD. Chiudiamo in bellezza col catalogo, il primo strumento di lavoro importante del genere in Italia, pubblicato da Silvana Editoriale: l’impostazione è molto seria e le informazioni ed i documenti disponibili sono una miriade. CINEMA ESPANSO il consumo cinematografico deve essere ripensato 83 IL MARKETING DEL CINEMA ITALIANO Adattamento 2.0 di Ilaria Ravarino Dalla letteratura al teatro alla rete, a caccia di successi garantiti. O no? n giovane che muove i primi passi nel mondo criminale, un operaio sfrattato dal proprio appartamento e un avvocato stufo dello studio legale. Anche se a prima vista non si direbbe, tre dei cinque film italiani di febbraio - Educazione siberiana, Tutti contro tutti e Studio illegale - sono legati dal medesimo filo rosso: quello dell’adattamento. Forti di soggetti presi in prestito altrove U 84 per replicare, se non battere, il gradimento riscosso in forma di romanzo, pièce o blog. Perché se “niente ha successo come il successo”, come scriveva Alberto Moravia, l’affermazione in termini di marketing si traduce in una regola quasi mai disattesa: portare in sala un adattamento è come partire in pista con tre metri di vantaggio sugli avversari. Tratto dal romanzo autobiografico del russo Nicolai Lilin, tradotto in 14 lingue e distribuito in 20 paesi nel mondo, Educazione siberiana di Gabriele Salvatores punta per natura a con- quistare il pubblico giovane, attirato in sala dalla promessa d’azione e crime già contenuta nelle pagine del best seller (e ben venduta da un adrenalinico trailer, in circolazione su internet da dicembre). Ma non solo. “Il film è pensato anche per il pubblico del cinema d’autore, che sceglie di entrare in sala perché dietro alla macchina da presa c’è Gabriele Salvatores”, spiega Riccardo Tozzi, produttore con Cattleya. Tozzi non crede all’automatismo dell’equazione di Moravia: “L’adattamento non paga tanto dal punto di vista commerciale, quanto da quello creativo: rispetto al copione il romanzo permette di partire con una base IL MARKETING DEL CINEMA ITALIANO drammaturgica solida, personaggi tridimensionali, atmosfera densa. Non è garantito che un best seller generi un successo. È capitato con Gomorra, ma non con La solitudine dei numeri primi”. E mentre il rapporto sempre più simbiotico tra cinema e letteratura scatena dibattiti a dir poco appassionati tra gli scrittori (vedere l’infuocato scambio intorno ad Acciaio di Silvia Avallone), Tozzi taglia corto sulla convenienza dell’operazione: “Se il romanzo è buono, indipendentemente dal numero di copie che vende, è probabile che venga fuori un buon film. E poi bisogna sempre ricordare che se duecentomila lettori fanno di un libro un best seller, duecentomila spettatori per un film sono un risultato mediocre”. Già nata per diventare film, per tematica e durata (80 minuti), la commedia teatrale sull’occupazione delle case Agostino tutti contro tutti è stata rappresentata per più stagioni a Roma con grande successo di pubblico e ottime recensioni: “Non nascondo - si confidava il regista e autore Max Bruno il giorno della prima che di questa storia mi piacerebbe farne un film, dato che ha un taglio molto cinematografico”. Due anni dopo il monologo ha un nome più agile, Tutti contro tutti, un finale adeguato ai tempi e un nuovo regista, l’attore Rolando Ravello, che sul tormentato mondo dell’occupazione abusiva ha condotto intanto anche un’inchiesta diventata documentario, Via Volontè numero 9. Rispetto al teatro, dove Ravello interpretava tutti i personaggi, il film si avvale di un cast composito (tra gli altri Marco Giallini e Kasia Smutniak) sul quale grava quasi integralmente il peso della promozione. Il successo a teatro, infatti, se garantisce per la qualità, aiuta troppo poco gli incassi. Era un piccolo caso sulla rete, è stato un boom editoriale Studio illegale, la commedia di Umberto Carteni con Fabio Volo, tratta dall’omonimo blog di Federico Boccomo in arte Duchesne. In forma anonima per raccontare in prima persona le disavventure di un giovane avvocato, il blog di Boccomo “aveva il merito di toccare un argomento caldo - dice Carteni - fotografando la realtà dei giovani negli studi, la loro assenza di vita privata, la miseria umana dei clienti. Ma più in generale parlava del difficile inserimento nel mondo del lavoro, un tema universale”. Diventato romanzo con Marsilio, dopo tre edizioni e 10.000 copie vendute, Studio illegale continua la sua marcia trionfale al cinema, persino contro le aspettative del suo autore. “Il blog di Studio illegale è stato qualcosa di irripetibile, con migliaia di contatti al giorno e fino a duemila commenti a un singolo post”, scrive sul nuovo diario Boccomo: “C’era una comunità che esisteva a prescindere da me, avevo quel tipo di spinta commerciale che non può essere ripetuta con i mezzi del marketing”. Il marketing, invece, non si è lasciato sfuggire l’occasione. Perché un conto sono 10.000 copie vendute di un libro, un altro sono 1.500 utenti al giorno. Per due anni. “Prestiamo sempre attenzione alla rete nelle nostre promozioni spiega Federica Diomei, marketing manager alla Warner Bros. - ma nel caso di Studio illegale ci siamo mossi con una campagna di advertising sui siti e con l’attività di pr online, producendo articoli su tematiche attinenti al film. Abbiamo fatto feeding su siti di avvocati e blog che hanno a che fare con la giurisprudenza, attivando una partnership con Yahoo che ha ospitato il nostro sito. Il lancio in rete è stato infine ripreso dalla pagina Facebook di Warner e dal nostro canale YouTube”. Un lancio incredibilmente social per uno dei primi esperimenti di conversione dalla rete al cinema: “C’è sempre un certo margine di rischio nelle operazioni di adattamento, e il rischio dipende dalle aspettative del pubblico. Nel caso di Studio illegale sono sicura che i lettori del blog vorranno vedere in che modo le parole di Duchesne siano diventate film. E non dimentichiamo che probabilmente saranno incuriositi dalla presenza di Fabio Volo nel cast”. Il cast, appunto. Perché in fondo, anche nel mondo dell’adattamento 2.0, è sempre il talent a fare la differenza. “Ripartire dal marketing per rilanciare il cinema italiano è anche questo: collaborazione tra promozione e produzione - dice Diomei - perché la presenza degli attori è ancora indispensabile al successo di un film”. 85 INTERNET E NUOVI CONSUMI di Carmen Diotaiuti 86 INTERNET E NUOVI CONSUMI Parodia, rovesciamento dei generi o puro piacere estetico. Sempre più spesso l’utente della rete contamina il classico messaggio promozionale creando qualcosa di inedito o sorprendente ato per creare curiosità e anticipare al pubblico uno dei possibili livelli di interpretazione del film che (rap)presenta, il trailer sul web perde in parte la sua funzione promozionale di invito e premessa alla visione del film, per assumere un’identità nuova e autonoma. Disponibile on demand ai desideri di rielaborazione e di condivisione da parte del pubblico, il trailer online è disposto a vivere identità inedite, grazie alla creatività degli spettatori che ne esplorano e declinano le potenzialità espressive e rimontano i singoli fotogrammi fino a creare differenti significazioni, che stravolgono il più delle volte il testo di partenza. Il contenuto originario viene totalmente ridefinito in un lavoro all’insegna della contaminazione, frutto di miscelazioni e sperimentazioni. Un percorso stimolato dal differente contesto di visione offerto dalla rete, che non è solo luogo aggiuntivo di veicolazione del trailer ma, grazie alla disponibilità orizzontale di nuove tecnologie N 87 INTERNET E NUOVI CONSUMI digitali, diventa terreno di sperimentazione e manipolazione delle immagini. Ed è proprio a un canale come YouTube che il fenomeno della rielaborazione dei trailer deve gran parte della sua popolarità. Uno spazio ibrido in cui confluiscono attori totalmente differenti (produzioni, distribuzioni, utenti privati), YouTube è in primo luogo un “medium sociale” che permette a chiunque di consultare, inserire e commentare video. E da qualche tempo offre anche un editor utilizzabile direttamente online, che aggira la necessità di installare sul proprio pc un software di montaggio proprietario e facilita ancor di più la partecipazione attiva del pubblico. Spinto presumibilmente da un bisogno di protagonismo e visibilità sociale, lo spettatore condivide in rete le sue creazioni: un atto di auto-rappresentazione favorito dalla facilità d’uso e dalla disponibilità degli strumenti tecnologici. L’obiettivo è la parodia, il rovesciamento dei generi o il puro piacere estetico dell’intrattenimento. E così succede che Shining, sulle note di Solsbury Hill di Peter Gabriel, diventi una commedia romantica per famiglie, con Jack Torrance padre e marito affettuoso. Titanic ha un seguito (Titanic: Two The Surface) con un redivivo Leonardo DiCaprio ibernato e poi ripescato dalle acque gelide, che va alla ricerca della sua Rose, grazie a un meticoloso rimontaggio di immagini tratte da ben ventuno altri film tra cui Prova a prendermi, Romeo + Giulietta, The Beach e The Aviator. A opera dello stesso autore (Robert Blankenheim) spopola in rete - con tanto di making of e guida agli effetti speciali utilizzati - ET-X: Extinction, il ritorno sulla terra del tenero alieno di Spielberg. Questa volta però l’invasione è in stile Mars Attacks! e gli extraterrestri sono tutt’altro che ben intenzionati. Un omaggio minuzioso a decine di pellicole catastrofiste che “vanta nel cast”, tra gli altri, Morgan Freeman, Bruce Willis e il Presidente Obama. E neanche la 88 Terra di Mezzo è risparmiata dall’esercito dei (ri)montatori del web: Inglourious Hobbits presenta una rielaborazione in chiave Tarantiniana del kolossal di Peter Jackson, in cui l’obiettivo dello stregone Gandalf e dei tredici nani è diventato “uccidere i nazisti”. Molteplici i rimaneggiamenti possibili e i risultati finali. Solo per citarne qualcuno, si parla di recut trailer quando le immagini provengono da un’unica pellicola, il redub riguarda la sostituzione del sonoro per generare solitamente un cambiamento di genere; i mashup trailer manipolano e ricombinano materiale eterogeneo proveniente da più film; i fake trailer promuovono pellicole che non esistono. Gli effetti delle manipolazioni sono differenti e a volte inaspettatamente interessanti: si va dalla semplice rielaborazione amatoriale a prodotti che non hanno nulla da invidiare in termini di qualità ai filmati originali, rispetto ai quali sono a volte addirittura più consultati. GUARDA SU THETRAILERMASH.COM LA CLASSIFICA DEI TRAILER REALIZZATI E CONDIVISI IN RETE DAGLI UTENTI Fino ad arrivare a vere e proprie forme di video arte, il cui comun denominatore è l’omaggio al film originale, come la software art generativa di Matt Roberts o i lavori di appropriazione e ricontestualizzazione di Douglas Gordon. E per fugare i ragionevoli dubbi circa l’autorialità di opere di questo tipo, Douglas Gordon commenta il suo 24 Hour Psycho (video istallazione che dilata il tempo di visione del film di Hitchcock fino a raggiungere ventiquattro ore di proiezione): “Per come la vedo io non è semplicemente un lavoro di appropriazione, è piuttosto un atto di affiliazione. L'opera originale è un capolavoro a sé stante, che ho sempre amato guardare. Ho voluto mantenere l’autorialità di Hitchcock in modo che il pubblico di fronte al mio 24 Hour Psycho pensasse molto di più a Hitchcock e molto meno, o per niente, a me”. Ma al di là del risultato finale ad essere interessante è il cambiamento culturale che sottende la pratica di destrutturazione del trailer e la sua successiva declinazione da parte del pubblico. Assistiamo sempre più ad una cultura partecipativa in cui è impossibile distinguere in maniera netta il consumo dalla produzione, e i contenuti in rete sembrano esistere per essere condivisi e riutilizzati. Lo spettatore ha perso di ingenuità e si pone nei confronti del metatesto filmico con consapevolezza e capacità analitiche. Il pubblico non è più soltanto audience passiva, ma è in grado di scomporre il materiale simbolico presente nella trama della narrazione, fino a reinventarne autonomamente il testo attraverso la manipolazione creativa di immagini e suoni. Una “cultura convergente”, per dirla alla Jenkins, in cui produttori e consumatori tendono a convergere e interagiscono in modi imprevedibili. Non può più esistere una versione definitiva del trailer, realizzata una volta per tutte: ogni trailer sul web è aperto e disponibile alle reinterpretazioni e ai molteplici riutilizzi del pubblico. 89 PUNTI DI VISTA ESERCENTI RESISTENTI di Stefano Mordini tiamo vivendo una fase nella quale il cinema italiano non trova corrispondenza nel proprio pubblico. È complicato capirne i motivi. Certo non si può sfuggire da alcune considerazione di carattere territoriale. Trovo superfluo ricordare quello che è successo negli ultimi venti anni, mi sembra oltremodo semplificistico riportare il tutto alla colpa di una politica che ha minato alla base il rapporto con la realtà. Detto questo, alcune cose mi sono più chiare di altre. 1) Il costo del biglietto troppo alto, soprattutto in un momento come questo. 2) La programmazione del cinema italiano nelle multisale. La normativa prevedeva altro o perlomeno presupponeva altro. 3) La chiusura di sale cinematografiche a favore di sale da gioco nei centri cittadini, soprattutto in provincia. 4) Il lavoro svolto nelle scuole per una alfabetizzazione, che come si evince dal numero precedente di questa rivista, è di gran lunga deficitaria. 5) La mancanza di rapporto tra critica, autori e pubblico, spesso ridotto alle definizioni per stellette. S 90 6) Un’idea di sviluppo, che chiede tempo e non facili e immediate soluzioni. Servono giorni di lavoro e anni di costruzione per arrivare a ri-familiarizzare con il cinema (e non solo italiano). Queste sono considerazioni di massima ma poi bisogna avere il coraggio di entrare nei termini di cosa significhi oggi produrre senso e bellezza attraverso il cinema in un affastellamento di rappresentazioni che sovraccaricano le società spettacolari-commerciali. Produrre, realizzare, distribuire oggi cinema è un’impresa difficile e quindi serve un grande impegno che prevede passione, dedizione e capacità di adattamento. “E molto difficile portare la gente al cinema” è una delle considerazioni che sento fare più spesso. Questo sembra vero visto il calo di biglietti registrato nell’ultimo anno, (la crisi economica ovviamente incide ma non solo nel cinema) ma il rapporto tra sala cinematografica e pubblico di riferimento secondo me incide maggiormente. Esistono esercenti che hanno resistito e che hanno con fatica formato un loro pubblico e che oggi possono permettersi, dopo anni di lavoro, di proporre una programmazione cinematografica che non si preoccupi di ghettizzare il cinema italiano solo come un prodotto nostrano, ma che lo inserisca in un contesto di riflessione e di rappresentazione più allargato. Programmazioni protese a scovare le tracce di una verità perduta, dove la nozione di performance entra in gioco e dove il complicato gioco delle relazioni sociali non si costringe a una semplificazione sommaria. Sono programmazioni difficili che prima di tutto confidano nel proprio pubblico perché sanno di averlo formato. In queste sale, che in alcuni casi sono piccole multisale, arriva il meglio della produzione internazionale. Qui il cinema italiano si confronta con i grandi autori che riescono spesso e volentieri a radicalizzare il proprio punto di vista perché cresciuti in un ambiente dove quella ricerca è sostenuta da un pubblico, e non solo, che è pronto a scelte non sempre rassicuranti, non per questo meno divertenti. Sono serviti anni per fare questo e spesso trovo questi esercenti meno spaventati di altri, su come il pubblico italiano reagisca al proprio cinema. Nella mia piccola esperienza di esercente ho pagato insieme a dei cari amici il prezzo di questo investimento. Abbiamo impiegato molti anni per riformare il pubblico di un’arena estiva che oggi partecipa e che ci permette di continuare nella programmazione di film che ci sarebbe piaciuto vedere da spettatori e non parlo di solo cinema d’essai. Solo molto grato a questo pubblico e sono sicuro che passerà ad altri il valore di quell’esperienza. lizzato e abbiamo nascosto spesso e volentieri le intenzioni. Bisogna fare chiarezza su cosa stiamo vendendo e perché. Bisogna ricominciare da capo. Serve più sicurezza su cosa stiamo producendo e spiegare con più esattezza i valori, qualunque siano. A cosa serve la crisi? Serve a questo, a restituire il primato allo spettatore di scegliere anche una posizione scomoda perché “il desiderio di vedere tutto o il desiderio di vedere meglio, non è la stessa cosa”. Spesso sento dire, quando si parla di un buon film “non sembra un film italiano”. È un’affermazione che mi lascia sempre molto perplesso e mi fa pensare prima di tutto che viviamo in una società che non riesce a salvaguardare i propri argini e le proprie radici. Siamo in continua perdita di credito. Come recuperarlo? Prima tutto considerando il cinema italiano parte di un processo più ampio, dove il cinema non esiste solamente per trattare il mondo e la realtà che ci definisce. Confrontarsi con la propria storia così com’è già stata narrata crea un limite, ripropone sistemi e stilemi che a volte eccedono per nostalgia. La grande stagione del cinema italiano si permetteva grandi libertà, oggi sempre più negate. Siamo paradossalmente a rischio di “realtà”. Perché il nostro pubblico non ci riconosce più? Perché non trova più un segno di qualità quando si tratta di prodotto nazionale? La crisi d’identità non si è creata solo tra il cinema e il suo pubblico, questo à chiaro a tutti, ma come realizzare una sorta di riconoscimento? Si è generata una frattura perché abbiamo per anni promesso quello che poi non è stato rea- 91 RUBRICA // Punti di vista di Alberto Pezzotta 92 RUBRICA // Punti di vista Il caso del cartoon di Patrice Leconte accusato di umorismo macabro riaccende i riflettori su una lunga storia di tagli e versioni purgate. Tra i più clamorosi quello inflitto alla sequenza dello stupro di Rocco e i suoi fratelli nel 1960. ra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, in Italia si è tornato a parlare di censura. A novembre è stato negato il nulla osta per la proiezione in pubblico all’horror Morituris di Raffaele Picchio, giudicato “un saggio di perversività [sic] e sadismo gratuiti.” Nel lontano 1997 lo stesso veto aveva colpito, in prima istanza, Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco; in tempi recenti se ne sono fregiati pochissimi altri film, tutti horror di basso profilo. A dicembre, il disegno animato di Patrice Leconte Il T club dei suicidi è stato colpito da un divieto ai minori di 18 anni, poi revocato in appello: la forma-cartoon era stata percepita come inadatta a veicolare un umorismo macabro. E all’inizio di gennaio è riemersa la censura preventiva: il presidente della municipalità di Scampia ha negato il permesso delle riprese alla fiction Gomorra prodotta da Fandango e Cattleya, rea di infangare il sobborgo napoletano associandolo alla camorra dopo il film di Garrone. Più o meno quello che accadde nel 1960, ai tempi di Rocco e i suoi fratelli, quando il presidente della provincia di Milano impedì a Visconti di girare l’omicidio di Annie Girardot all’Idroscalo, “luogo per gente sana, sportiva, per i giovani”. Spesso, in questi anni, la censura non ha svolto l’unica funzione condivisibile che la ispirava: la tutela dei minori, fatta salva la libertà degli adulti. Tant’è che sono stati resi visibili a tutti film che nel resto del mondo hanno subìto limitazioni di visione per la violenza: Hannibal (2001), Gangs of New York (2002), La passione di Cristo (2004), Apocalypto (2006). Ma la liberalizzazione è stata solo di facciata, e le apparenze non devono ingannare. 93 RUBRICA // Punti di vista Non vogliamo qui addentrarci nei criteri e nei meccanismi delle commissioni di censura, che, per quanto ritoccati dalle legge Legge 30 maggio 1995, n. 203, di fatto sono ancora quelli istituiti dalla legge Legge 21 aprile 1962, n. 161, che a sua volta si richiamava, nel regolamento di esecuzione, al Regio decreto 24 settembre 1923, n. 3287. Criteri e meccanismi che hanno resistito a due tentativi di abolizione o riforma (a opera dei ministri Veltroni e Urbani, nel 1998 e nel 2003), rimasti lettera morta. Teniamo invece a sottolineare un intreccio perverso tra legge, “morale” e motivazioni economiche, che produce conseguenze disastrose e in genere ignorate. Com’è noto, il Testo unico della radiotelevisione (D.L. 31 luglio 2005, n. 177) impedisce il passaggio sul piccolo schermo dei film vietati ai minori di 18 anni, e confina dopo le 22,30 quelli vietati ai minori di 14 (art. 34). Causa così un deprezzamento dei film vietati sul mercato televisivo. Ma vi si può rimediare, ripresentando una versione tagliata del film, per ottenere l’abbassamento del divieto dai 18 ai 14, o dai 14 a “per tutti”. Il risultato è un mercato dei tagli, praticato sul testo del film, che non tutela nessuno e lede i diritti dello spettatore adulto. Al distributore, infatti, interessa ottenere subito un nulla osta “per tutti” o per i minori di 14 anni. E perciò, specie se è piccolo e poco influente, contratta: taglia qualche metro di pellicola, e in cambio ottiene un divieto più basso. È successo, ancora nell’autunno 2012, a Killer Joe di Friedkin. Questo mercato assume conseguenze ancora più tragicomiche quando si esercita sui film del passato all’epoca vietati (fino al 1962 l’unico divieto era ai minori di 16 anni, poi sostituito dalla coppia 18-14). E in ciò minaccia concretamente la conservazione e la divulgazione di un immenso patrimonio culturale. Per trasmettere in tv film come Umberto D. (1952), La romana (1954), L’avventura (1960), Rocco e i suoi fratelli (1960), tutti vietati all’epoca, è stato infatti necessario sottoporli a revisione, con abbassamento del divieto in seguito a tagli. Nel caso dei primi due, i dvd Medusa perlomeno contengono la versione integrale. Ma capita con frequenza che il mercato homevideo attinga, per pigrizia e approssimazione, proprio alle versioni tagliate per il passaggio televisivo. Se il dvd Medusa di Rocco e i suoi fratelli è integrale, altre due versioni più recenti (i dvd 01 e del “Corriere della sera”) infliggono versioni purgate. A cadere sotto le forbici censorie sono ancora oggi due sequenze: lo stupro della Girardot con il lancio delle sue mutandine su Alain Delon immobilizzato, e il citato omicidio della stessa. Sul mercato homevideo non si contano i film invisibili nella versione circolata in sala all’epoca; sono capolavori e titoli significativi nella storia del costume, come Quién sabe? (1966), La bugiarda (1965), La caduta degli dèi (1969), Liquirizia (1979). Considerato che spesso questi film ottenevano il nulla osta solo dopo ampi tagli, si capisce come i tagli recenti siano un ulteriore scempio. La filologia del film è poco praticata nel nostro paese. Molti anni fa suscitò indignazione una versione scolastica di Il giorno della civetta di Sciascia, da cui erano stati espunti termini come “pigliainculo”. Che un film, come opera d’arte, possa ottenere lo stesso rispetto, è principio ancora sconosciuto. 94 BIOGRAFIE BIOGRAFIE ato a Venezia giornalista all’ANSA dal 1990, critico e saggista, è direttore del Noir in Festival (da lui fondato nel 1991), del Festival di Reykjavik, delle Giornate degli Autori. Insegna al DAMS di Bologna, è presidente dell’Afic, ha scritto libri su: Marguerite Duras, Luigi Comencini, Alfred Hitchcock, Carlo di Carlo, Allan Dwann, Orson Welles, ha coordinato I colori del nero (a cura di M.Fabbri e E. Resegotti) e Print the Legend (con G. M. Piemontese). Ha diretto il MystFest, Antenna Cinema, la Festa di Roma. È stato vice-direttore della Mostra di Venezia e Direttore di Italia Cinema. Ama il cinema di Lang e quello di Antonioni, i western di Ford e quelli di Leone, si considera un esperto di 007 firmato Ian Fleming e un devoto ammiratore di Dark Ladies. N GIORGIO GOSETTI Il suo articolo è a pag. 10 o svedese Jan Lumholdt ha iniziato la carriera di critico nel 1987, è stato direttore del magazine Cinema dal 1997 al 1999, è critico e inviato ai principali festival per il quotidiano Svenska Dagbladet dal 2002. Ha pubblicato libri sul regista danese Lars von Trier e sull’attrice svedese Harriet Andersson, scrive su periodici internazionali come Film Comment e i Cahiers du Cinéma. Nel 2010 ha ricevuto lo Jurgen Schildt Prize per il suo contributo all’informazione cinematografica in Svezia. L Il suo articolo è a pag. 74 JAN LUMHOLDT tefano Mordini nel 2005 scrive e dirige il suo primo lungometraggio, Provincia meccanica, in concorso al 55° Festival di Berlino. Nel 2007 produce e dirige Il Confine documentario sulle comunità islamiche in Italia. Nel 2009 realizza Come mio padre un film documentario prodotto da Rai cinema sulla Paternità in Italia dal 1950 ad oggi. Acciaio tratto dal romanzo di Silvia Avallone, prodotto da Palomar, è il suo nuovo film. Ama Charles Mingus e il ciclismo. S Il suo articolo è a pag. 90 STEFANO MORDINI lberto Pezzotta è autore tra l’altro di Ridere civilmente. Il cinema di Luigi Zampa, Il western italiano, La critica cinematografica e di un “Castoro” su Mario Bava. Ha curato con Anna Gilardelli Cinema italiano. Recensioni e interventi 1933-1990 di Alberto Moravia. Scrive sul Corriere della sera, collabora al Mereghetti, insegna e traduce. È stato selezionatore per la Mostra del cinema di Venezia dal 2008 al 2011. Ha lavorato alla produzione di L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (2012). A Il suo articolo è a pag.92 ALBERTO PEZZOTTA 95 ENGLISH VERSION Lions grow old, and palms dry out… They don’t increase the box-offices, nor attract new audience. They rarely discover or emphasize new talents. They vaguely increase winners reputation. Perhaps it’s time to question ourselves – without prejudices or preconceptions – on the actual meaning and future prospective of major European Film Festivals. by Gianni Canova ›› Page 4 O nce they were useful to promote the film industry and movies, to correct the holdups, idleness and short-sight of the market. And today? What’s the meaning of major film festivals today? Looking at the numbers, the landscape is desolate: after days and days of unmatchable media exposure, movies presented at Venice, Cannes, Rome and Berlin – even the most acclaimed and awarded – hiccup at the box-office, don’t attract new audience, and perform mediocre results. At the same time, cultural events with large echo and media coverage hugely smaller compared to the major film festivals (think about the Festivals of Philosophy, Literature, Economy that take place all over Italy,) attract a “real” audience (not necessarily film specialists) than the Venice Film Festival, or the Festa di Roma. Why? The answer – if we really want to pin it down – is relatively simple but at the same time, cruel: because Festivals as Venice and Rome (and the same goes for Cannes and Berlin) are old. Obsolete. From a certain point of view, even pathetically decrepit. Actually, these festivals have the same structure and concept of when the Venice Film Festival was founded last century, in the Thirties, by Count Volpi to promote tourism at the Lido. In these 80 years, movies have changed, the world has changed, we have changed. Our way of watching, perceiving, relating to the film industry and to movies has changed – radically. They have – festivals haven’t. Festivals are still there, with their medieval rites, like the red carpet (the secular equivalent of the Madonna’s apparition during religious folkloric liturgies), preserving star ceremonials that don’t make sense any longer, including the liturgy of the event and gossip on mystical star systems. These festivals are still here with their usual (lobbyist) selections. And with their acclaimed selfreferential attitude. Rather than promoting cinema and movies, they promote themselves. Are they still useful? With this article, we’d like to try and open a direct and constructive dialogue, crossing contrasting point of views as much as possible. But in order to do so, we need to ask everyone – ourselves included – some inevitable questions. 1. The Obsession for “Worldwide Previews” For the past years, major Festivals have lived in the obsession (and pride) of presenting their films as “worldwide previews.” This trend has reached its apex during the last Festa di Roma, with the promise to present Django Unchained by Quentin Tarantino often asserted, then missed, then deferred. In the era of web 2.0, hasn’t the cult of “previews” – so local, and thus so provincial – suddenly become obsolete? Is the time ripe – we asked the directors of major Festivals – to pass from a philosophy of “showing a movie first” to that of “showing a movie better”, or “showing a movie more”, and – mostly – “showing things we’d never see otherwise”? 2. Jury Selection Scanning through the Palmares of these past years, what really stands out is the substantial incapacity of the Juries to make courageous, surprising, and, at the same time, authoritative choices. In many cases, the verdicts are highly questionable, and follow a logic that is incomprehensible to the vast audience. These verdicts are conventional and lack courage. They don’t recognize innovation or promote talent (in particular if heretic…) Sometimes, there’s a doubt that this happens because of the way Juries are selected. Let’s just say it: what competence do certain artists, musicians, writers (that notoriously never go to the movies) have to point out the excellence of the complex landscape of contemporary cinema? Why do the directors of major Festivals continue selecting Juries that confirm the commonplace (completely unfounded…) according to which anyone can judge a movie, even technically? In an era when summary trials reign on the web – mainly thumb down – why not put together, at least for festivals, Juries capable of expressing competent judgments or, once and for all, popular Juries made up by passionate moviegoers? 3. The “Madonna Street” effect If we scan the list of movies selected in competition for major European film festivals over the last years, the feeling is to be facing a club on “Madonna Street”, to cite the title of a famous Italian movie. Or even more, the club’s party. Among the club members, if someone has a movie ready, be sure it will be among the ones selected, and added to one section or another. No exception. The names are always the same – from Pedro Almodovar to the Dardenne brothers, from Aki Kaurismaki to Lars Von Trier. If, by any chance, there are new talents, you need to go scanning for them. New talents are a rarity. The suspect there is something wrong in the entire mechanism is not only legitimate but also a duty. 4. The apartheid of genres In major Festivals today, only one genre is selected: Festival movies. There’s no space for comedy, horror, adventure, fantasy, for anything that might turn out to be pure cinema without the assumption of offering preaches on the final destiny of the world’s universe. Cannes, Venice, Rome, and Berlin split movies into A or B categories. A sort of ethnicaesthetical cleansing of the imaginary. With the result that some of the most interesting movies and some of the most innovative filmmakers of the past years haven’t taken part in major Festivals anymore. Why? 5. The spending review of festivals In the critical scenario that worldwide economy is experiencing, perhaps it’s time to say that Festivals, too, should cost less. Don’t directors believe it’s time to cut costs and trim down expenses? Don’t they believe it’s better to spend less on parties or cocktails or oldtime star system liturgies, and invest more in supporting and promoting – even from a communication point of view, since most media doesn’t anymore – innovative cinema and pioneering projects? 97 English version Sunset boulevard The star system glamour isn’t strong enough anymore. Not even an Oscar award can guarantee an actor or an actress a high level of fame. 120 questionnaires made by students confirm the weakness of the star system “memory” and the strength of a movie “memory”. Does it still make sense to build a festival around the star system cult? by G.C. ›› Page 6 N obody is familiar with Massimo Girotti and Alida Valli anymore. Less than one in ten recognize Ugo Tognazzi. And even Massimo Troisi, less than twenty years after his death, is recalled and known by slightly more than 50% the interviewees. Without claiming to offer a rigorous sociological representation, the questionnaire distributed to 120 students in several universities in Milan has a symptomatic connotation: on one hand, it confirms the substantial iconic illiteracy that 8 ½ spoke about in its first issue as one of the most serious Italian cultural emergencies, on the other it reveals the tendential weakness of the memory of stardom. The idea of cinema built around the star system glamour doesn’t work anymore (if it ever had): the star system cult is weak, fades away in a couple of generations, and doesn’t generate memory nor culture. Does it generate business or market? Not necessarily. In the 120 questionnaires distributed and filled out, the students 98 were invited to write, next to the picture of an actor or actress, the title of at least one movie he or she had worked in. In many cases the students wrote the title of a movie but not the name of the actor or actress. Many, for example, didn’t recognize the features (or remember the name…) of Anna Magnani, but next to her picture wrote Roma città aperta, or in some cases, La lupa. Next to Ingrid Bergman some wrote only Casablanca. And we could go on with examples. This means that movies take root in the imaginary and in memory with much more strength than stars. To make a long story short: movies haul stars, and not vice versa. The movie is remembered much more than he (or she) that performed within it. However, if this is true, does it still make sense to project festivals (and their communication) around the “cult of stars” and the rite of the red carpet instead of the movie’s promotion? Some might object that the questionnaires referred to stars of the past. It’s true but the situation doesn’t change much even with today’s stars. The 120 students also underwent a test regarding 5 actors and 5 actresses, icons of today’s cinema. In decreasing order, here are the “awareness” results: Keira Knightley 105 in 120, Helena Bonham Carter 70 in 120, Julianne Moore 57 in 120, Cate Blanchett 55 in 120, Helen Hunt 37 in 120. Among the actors: Christian Bale 88 in 120, Colin Firth 81 in 120, Tim Roth 73 in 120, Viggo Mortensen 66 in 120, Jean Dujardin 13 in 120. Even in this case, the actor was often recognized as the star of a certain movie (Christian Bale is often mentioned as “the guy who plays Batman”, Colin Firth is known more for The Diary of Bridget Jones than for The King’s Speech, Tim Roth for the TV series Lie to Me). Not even a recent Oscar award can guarantee a level of popularity, as proven by the low familiarity with Helen Hunt, and even more, Jean Dujardin. This data should be deeply considered and analyzed with extreme attention, especially by festival directors and chief editors of entertainment pages who continue thinking that a festival’s communication should exclusively and utterly be centered around the “apparition” of stars. How to avoid the faithless liturgy of an old-fashioned event What’s the use of a festival when all news can be found on the web? When the buzz of a new talent travels from one side of the world to the other in an instant, when global communication pushes the selectors’ appetite for power towards an awfully solipsistic aspiration for a jus primae noctis? Perhaps a slice of local power could be given up to encourage the idea of a circuit-festival. by Giorgio Gosetti ›› Page 11 A ll formulas are successful if repeated and reinforced till becoming tradition. This is a rule that film festivals have never ignored, especially because it’s the iteration of patterns and behaviors that established the success of festivals such as Venice, Cannes and Berlin, where rites soon turned into liturgy with that certain sacredness that used to go hand in hand with the star system and later the auteur system. Actually, the fundamental scheme of all film festivals is still a direct descendant of the 1934 Venice Film Festival. Just as Miklòs Jancso, we can say that, over the course of time, rite has prevailed over technique, consequently drying up creative schemes and stiffening the whole system. And now we’re left with promotional and scouting patterns that are worn out and rusty, and can’t possibly keep up with the pace of the new media. We feel uneasy when facing big media shows and are aware of their ephemeral costs, not compensated by contents. Lacking alternatives, however, we end up managing the whole apparatus (statuettes and red carpets, included) like a liturgy deprived of faith. I’m fully aware of my own contribution to this paralysis, which, put into perspective and in order to avoid useless apocalyptic tones, could lead to the end of a virtuous mechanism, a mechanism that is still potentially vital for those who don’t offer standard predigested products or have the means to stand out and be noticed. And I know far too well that an iconoclastic fury, a socalled compulsive “scrapping,” doesn’t apply to the conservatism of the film community, and threatens even more to damage directors and actors in search of recognition. I therefore propose a miniDecalogue of all possible innovations, drawing from the industry’s cultural past and present. Let’s start from the consideration that urban festivals have certainly rejuvenated the elitist rites of our tourist/festivals past (with its roots in Venice and Cannes), yet over time they’ve also spread a dangerous disease: a certain bulimia in artistic directors, which has contributed to turning most festivals into fast food movie supermarkets. We also note that the trend of “web festivals” created online for film products that proliferate on the web, has so far left no mark of originality whatsoever. Indeed, it has English version pushed the moviegoers community even farther from that communal place of identification that can be considered the physical arena of the rite. Lastly, we acknowledge that the most important breakthrough was produced by the International Film Festival of Rotterdam, when for the first time a festival became a container of plans, ideas, financings, all in support of Indie productions, and quality. This pattern – that had long been unique – is now one of the most standard, and so we can say that after the season when market festivals were considered essential (remember the struggles Venice went through to add stands like at Cannes?), we are now witnessing an authentic pilgrimage, from one festival to another, in search of backing. Even noble initiatives such as co-production forums ended up giving birth to that unnatural creature defined as “festival cinema,” an endeavor that has put a generation of filmmakers on a path to nowhere. So where can we turn to for something new and meaningful? I’m personally tempted by the hybridization of cinema with literary/philosophical festivals; those that make artists and their ideas the reason behind the show in the first place, and are therefore planned around the idea of sustainable consumption that would give cinema back a space of indepth and collective enjoyment. Perhaps this formula contains tangible risks, but it can be carried out, as proven by the “Extra” section at the Rome Film Festival. I also like the challenge of a Virtual Movie Theatre in parallel to a Real Movie Theatre, as reluctantly presented at the last edition of the Venice Film Festival. I furthermore enjoy festivals where the primary goal is to educate the audience and create new generation of conscious consumers (who happen to be more important than the “conscious artists” to whom the Cinéfondation and the Biennale College are dedicated). This is mainly the work carried out by so-called renovation festivals (from Fête des Lumières in Lyon to the Immagine Ritrovata in Bologna) that adhere to the golden rule of collaboration among festivals that take place in different places and times, regardless of the directors’ egos. Alternative and original experiences abound in Italy, as well, and our country seems to be a laboratory constantly processing new material, as in the Sixties and at the Pesaro Film Festival. But we can’t be limited to looking back at the “Hundred Flowers Movement” within the great flow of distribution. The entertainment machine must be confronted, even more today in a time of global competition – when the transformation of language corresponds to technological innovations – and remade into a competition that does not boast previews at all costs for the sake of a director’s ego and a bunch of trade magazines, but rather one that awards and asserts Independent cinema that needs festivals to be showcased. This is the issue: can a recycled technique be applied to a worn-out myth? Until we’re talking about the myth of the dark movie theatre, we’ll forever be defending a nostalgic pattern while reproducing the same old reassuring and immutable comparisons, and will therefore slowly but surely decline. If we give in to the mad dash towards new initiatives, we know that technology and reality will beat us. Instead, what we need is a new generation of programmers that know how to invent something new, while keeping in mind the past. For this renewal, we need to re-whet our appetite for sharing discoveries and for challenging tradition. Courage will be needed, but our audience deserves more than the experts are willing to settle for. The audience, not the critics, must be our starting point. There’s nothing worse than an empty movie theatre, dotted with a handful of aging viewers. Festivals as a business For each euro invested, film festivals return nearly 2.6 Euros to the territory. by Mario Abis ›› Page 13 D o film festivals, that are 130 in Italy and except for a few, all small and niche festivals, have an economical asset emphasized by a more and more competitive cultural economy dominated by scarce resources? A IULM university research published by da Johan & Levi and conducted with an innovative methodology that crosses structural available data with surveys on different players and moviegoers, is now giving us answers. For each euro invested, nearly 2.6 Euros are returned, a proportion that is repeated in different markets. We’re far from the big numbers released by festival organizers and never actually proven, however it seems sure that festivals do not produce loss but profit, involving a complex mechanism within a group of services, including the tourism industry. A festival puts together in a very short time a vast and diverse audience, as well as distributing a range of services. For example, in the 11 festivals that took part in the survey, the estimate of management costs was 4 million and 200 thousand Euros for yearly performance. The return was nearly 10 million Euros. This means we’re not talking about a micro economical system, considering that the sample that took part in the survey was 10% of the market, and it excluded major festivals like Venice and Rome. These dynamics are even more significant if we keep in mind employment numbers, since it mentions 100 purposely created jobs, 20% of which permanent. And the analysis cannot end here, since it needs to be integrated with marketing data. A festival’s audience can undoubtedly be considered a quality audience: it’s young/mid-aged, refined, competent, and loyal. Valuation on the variety of the offer, on a scale from 1 to 10, is generally stable around 7. Another interesting point is that the appeal is not necessarily related to single specifics (a certain movie, a certain filmmaker who meets the audience, a certain debate), but the festival as a whole. This point has an economical effect, which can be measured through the interest of major or minor sponsors. Within this, another typical value of postmodern economy that can be found in festivals is the intense exchange of relations that are generated. These relations generate outcomes also over time and within different contexts than the original. Among these, an incentive of cooperation between operators and public administration. So, all’s fine, correct? Not exactly. The survey also emphasizes deep breaches, and in many cases, a meaningful ‘backwardness’: lack of basic information, approximate budget balances, scarce control on targeted audiences. All in all, gaps in those marketing leverages that, as suggested in our premises, can guarantee the survival of festivals. 99 English version Red carpet? No, thank you. Resources? Insufficient. From Trieste to the extreme terrains of Sicily, passing by Pordenone, Courmayeur, Milan, Bologna, Florence, Rome, Salerno. Artistic Director and Founders of 14 middle and smallsize festivals talk about their objectives and the difficulty of their tasks. These festivals keep an eye on young filmmakers and on less explored genres, committed to innovation of style and languages. This is where co-production forums and workshops reside next to precious exhibitions, mainly addressed to a young audience that has a passion for a cinema that cannot be found in a commercial circuit. The problem lies in the financial resources that are always less due to budget cuts. In the list we didn’t include major domestic festivals, such as Turin, Pesaro, and Taormina, since their identity is consolidated by a cultural excellence acquired over the years. by Stefano Stefanutto Rosa ›› Page 16 100 1) Thinking of an ideal festival, if you had a higher budget, which changes would you make? 2) What’s the identity the soul - of the festival you direct? 3) Over the past years, what are the innovative solutions you included or experimented? MILANO FILM FESTIVAL Presidents Lorenzo Castellini and Beniamino Saibene www.milanofilmfestival.it 1) Since the Festival’s birth in 1995 – inside the church of Corso Garibaldi with only 15 movies competing, 400 people sitting on the floor and a budget of one million and 800 thousand liras – a lot has changed. Under the artistic direction of Alessandro Beretta and Vincenzo Rossini, assisted and surrounded by a wonderful group of people, the soul of the festival remains in the atmosphere that is created before, during and after the screenings, and can also be found in the relationship between its public and guests, between the festival and the city. 2) The festival, produced by the “esterni” group, has always tried to express a research work on codes and languages that would become the manifesto of what a contemporary festival should be like, therefore it should always be renewed and somewhat experimental in itself and the proposals. The festival wants to be able to recount the stories of the world and make its own the best and most innovative artistic energies of the moment. As time went by, some experiments have become the cornerstones of the festival: from the openness towards any type of format and genre, the children’s festival, and the involvement of foreign communities, to the exhibition of the “state’s offenses” which investigates the crimes of “our” democracies, the collaboration with schools and universities, the house of directors, the salon des Refuses where even the non selected movies can be shown to the public, the Milano Film Network, which provides a network of the seven film festivals in Milan, the redistribution of the competing movies in dozens of movie theaters throughout Italy, and the new web series competition that will start this year. 3) We would like to better develop what we now call the small campus for young filmmakers (and actors, writers, producers...) selected in the two contests of long movies (first or second ones), and short movies (directors under 40). Living on campus means having the possibility of not only living all together in the famous “house of directors,” but also to meet very important guests during workshops, internships and screenings. Spending a couple of days with Terry Gilliam, or having breakfast with Jonathan Demme or Franco Maresco and then go to the movies with them can be a very educational experience! With more resources, we would be able to give continuity to this form of cultural exchange and help the young Italian cinema. FUTURE FILM FESTIVAL (Bologna) Artistic Directors Oscar Cosulich and Giulietta Fara www.futurefilmfestival.org 1) Explore how animation and the digital environment have changed, and continue to change, contemporary cinema’s syntax, without ever forgetting the (re)discovery of pioneers and masters of the past. Discover new forms of narration through images, hybridization between a linear and a transmedia narrative. Get to know new video forms, from the Internet to the video games, from independent animation productions to blockbusters, reviewing each country from Japan to the United States, from Russia to England, from Germany to France. 2) We opened the festival to musical experimentation, with Italian musicians’ jam sessions and the production of a concert/event with sound design by Bill Laswell, for the original film editing of sixty catastrophic films made by Cristiano Travaglioli specifically for the Future Film Festival. We have also introduced, in collaboration with the Region of EmiliaRomagna, some professional events, aiming to increase each individual’s talents and relationships. The event aims also at opening Italian companies to the fields of animation, visual effects, motion graphics, leading to collaborations with India, Canada and Brazil. In recent years we have also expanded the educational offering for young people, with animation and visual effect classes. 3) With more resources, we could accommodate many more filmmakers and artists, where all can meet and have the opportunity to directly exchange professional support and expertise. Furthermore, by expanding the length of the programming days, we would be able to even more involve the city of Bologna, where the festival was born and raised, ensuring that every citizen feels part of the event. Most of all, we would like to underline the knowledge and skills heritage that the staff of the Festival has accumulated in fifteen years of work, creating an open place for lifelong learning, enhancing the Festival’s training offers to all levels of education. The festival also collaborates with the structures of public education, which has fewer and fewer resources and needs more and more contributions for the development of children and young adults in the audiovisual. With the Future Film Festival, Bologna could become the European center for study and reference on the topics of digital animation applied to various areas of knowledge and production. Together with the Festival, citizens and local businesses would grow as well. English version TRIESTE FILM FESTIVAL Artistic Director Annamaria Percavassi www.triestefilmfestival.it 1) The main objective of the Festival, founded in 1987 under the name of Alpe Adria Cinema_Incontri with Central and Eastern European cinema, has always been to promote and introduce to the West the great innovation that was animating the cinema of the European countries. They were creating under the complex situation of the time, still under pressure from the vast Soviet system, and their movies rarely reached International recognition and especially the great European public. Their aim was certainly brave and sighted at the time, anticipating unconsciously of the great changes that would come. Yet, this objective, seemed natural to an internationally spirited city like Trieste, a city that has always lived with simple things, with the complex problems of being a Frontier land, and has always been contended by the game of international politics, and has always been a crossroads of nations, religions, languages and cultures. Above all, Trieste has always been a place of worship for the cinema. In fact, before the 70’s, Eastern Europe authors, mostly from Hungary and Yugoslavia, felt at home because the group of movielovers from Trieste, who were linked to the “Underground Chapel” group, organized continuous and valuable film festivals mostly with movies from these countries. Of course, this goal has gradually shaped the Festival, which has faithfully explored and documented year after year through cinema, the dramatic events of that part of Europe giving it an unmistakable identity. The Trieste Film Festival is still alive and wants to continue to be so. A small permanent research center on a very important area for European history and culture, as not only the cinema testifies, but also literature, theater, and contemporary art. 2) It was certainly innovative to start, five years ago, the “EastWeek-Great teachers, new talent” section, which annually hosts about fifty young students of important film schools from Central and Eastern Europe, offering them the opportunity not only to take part in the festival but also to meet great artists in the master classes, to meet each other and to show their first films to the public. The logical consequence of the EastWeek’s success was to establish, a year later, a partnership with FVG FilmFund and establish a coproduction forum, that has already become an important operational meeting between Eastern European production and producers from Western Europe to examine existing new projects, selected by an international jury and discussed in public by the authors, to verify the possibility of a joint effort between East and West in the production field. This year, 22 projects from 12 countries have been selected for the pitching. 3) The festival has a great potential for development, you can count on a solid work team that has formed and developed with the festival and that can face with tenacity and energy moments of economic difficulties that weigh more and more on the organization. If in the future I could count on more substantial incomes, I would definitely reward the loyalty, professionalism and the patience of this irreplaceable staff with compensations finally to the level of their abilities. Secondly, I would ensure, as in previous years, the construction of large retrospectives that require hard work of research and study. I would try to put more and more in touch young authors and film students, starting from those who were at the EastWeek festival and “When East Meets West”, with the great cinema lessons that come from a glorious or tormented past and much suffered, which few of the new generation are familiar with and hence I would invest on research needs. I would also invest on events that enrich the program like theater, music, and contemporary art. I would rent two other rooms, small maybe, as place to replicate what has been shown. I would like budget freedom on hospitality: a good festival is made not only of good movies, but also of many authoritative, friendly, interested persons..and I could go on listing them all, but it is only a dream. COURMAYEUR NOIR IN FESTIVAL Artistic Directors Marina Fabbri and Giorgio Gosetti www.noirfest.com 1) A specialized and genre specific festival characterizes itself with a strong identity and this is how Courmayeur Noir in Festival has always been seen. Dealing with crime stories (in movies, literature, on TV, in cartoons and new media) does not mean, however, to celebrate the most popular genre in the world. For us it meant giving voice to the trouble, anger, to the personal and social problems and therefore facing reality, the recent events, with the historical memory that now seems necessary to believe in a different future. This social conscience is the true soul of our festival. 2) Like everyone else, we all worked on the new platforms of production and distribution, but also of critique and information, so much so that now more and more often, it’s easier to find on the platforms rare novelties rather than tested clichés. Recently we proposed ourselves as observatory of ideas for the Italian cinema that wants to use the experience of investigation, of chronicle and of literature. Finally, we strengthened that constant link between cinema and literature that has become a bit ‘our trademark. 3) Firstly, we’ll strengthen the idea that the festival is the perfect opportunity to meet with extraordinary people that are happy to talk about their creations and experiences, without fences and formalities, yet only in the Courmayeur environment. Then, we will develop the innovative experiences of the literary festivals to renew otherwise stereotyped liturgies. Finally, we will make the best use of technology to build a virtual “environment” as unique as the real world, in which we are lucky to work with, and that can respond very usefully to the language and expression proposals of the new media. FILMMAKER (Milan) Artistic Director Luca Mosso www.filmmakerfest.com 1) Filmmaker is a laboratory film festival that, together with its film (the best of the international production of reality films), promotes the production of new works through financial contributions (this year, three short movies from the “Passion” project) and seminar initiatives (in 2012-13 it was “Terrestrial nutrients celestial nutrients”). To look back on the past gives often the opportunity for a direct comparison - through seminars and master classes - with the great masters of the cinema, as well as moments of critical and theoretical thought on the unexplored field of documentary. The personal dedicated to Johan van der Keuken, Frederick Wiseman, Errol Morris, Ulrich Seidl and others, were at the origin of the vocations to see and film some of the best Italian artists and filmmakers today. 2) A full day of visions and thoughts on the future of cinema, in collaboration with the online magazine ‘Filmidee’, along with film screenings such as Tabue Holy Motors, eccentric compared to the usual programming of the festival. The workshop “Terrestrial nutrients celestial nutrients”, which led forty young filmmakers to develop a film project with the help of professionals such as Leonardo Di Costanzo, Michelangelo Frammartino, Ben Rivers, Alina Marazzi, Sylvain George, Tizza Covi, Carlo 101 English version Cresto-Dina, Alessandro Borrelli, Paul Manera. The collaboration with other festivals (the retrospective Ben Rivers with the Milano Film Festival) and interesting organizations (the “Daje” project with the Codici agency). The task to take care of the festival’s communication on the new social media, was given to a twenty-five year old. 3) I would strengthen all European relations and exchanges. I fear that the recent crisis in the Italian cinema, is much worse than the previous ones, and that the mere introduction of ideas and, above all, film techniques and production models will not help us to overcome it. Festivals should act as agents of change and should not simply talk about today’s vices and issues (as Rotterdam was in the 90s, and today is Copenhagen’s CPH: DOX, not even mentioned in the Italian press) FESTIVAL DEI POPOLI (Florence) Artistic Director Alberto Lastrucci www.festivaldeipopoli.org 1) Since its first edition in 1959, the Festival dei Popoli has always been about documentary cinema, first taking a ethnoanthropological approach that has since expanded to encompass the wide variety of languages, narrative approaches and styles that the documentary genre contains. 2) The documentary genre is a film made of research and experimentation, which compares the subjective vision of the filmmaker and the opinions and questions that reality poses to the viewer. Today, the documentary is without doubt one of the most fertile soil for film research, and there are countless authors and works able to offer original approaches and narrative freshness that find a place in our event with every passing year. 3) The “forbidden” desire is to actively contribute to the development of a system for the spread of the documentary genre 102 in Italy, something that has never been achieved if not in bold yet sporadic initiatives. The “challenge” would to invite - or “host” - in Florence all of the professionals in film distribution so that they can witness the fact - already evident to all those who go to the Festival dei Popoli - that there is a large motivated and attentive audience to the documentary genre. What remains is a major shortcoming of the national retail sector of not deciding to act upon a market area that needs to be stimulated; which would enable not only to help renovate film and television proposals, but trigger a virtuous system to finance new projects. LE GIORNATE DEL CINEMA MUTO (Pordenone) Artistic Director David Robinson www.cinetecadelfriuli.org/gcm 1) The Silent Film Festival is the largest and oldest festival dedicated exclusively to silent cinema. The main purpose is to propose films that have taken part in the creation of cinema’s history, yet not as museum pieces, but as works of art still absolutely alive and able to communicate directly with the public of the XXI century. The first three decades of the film industry represent a true golden age in the art of the XX century. This is confirmed by the loyalty and enthusiasm of the public, whom is also responsible for the festival’s success. 2) The Festival has been successful in recent years thanks to initiatives such as the Collegium and the Masterclasses - to attract a new audience, young, whom responds to the movies of the past in a new and stimulating manner. Silent movies are no longer old scholars, archivists and nostalgic movie-lovers’ prerogative. With its daily “dialogues” among 12 students, different every year, and experts attending the festival, the Collegium has become source of constant community renewal of the silent film genre. We are constantly experimenting – especially with musical arrangements – to recreate the emotions that the public of the time must have felt when experiencing movies. The Pordenone Master classes, classes on musical improvisation based on images, are aimed at conveying at the new generations, the experience of the world’s best musicians in the musical accompaniment of silent movies. 3) We would like to develop the “international” element of the festival in a bidirectional way, on one hand answering to the requests of presenting overseas the festival’s production, and on the other hand to invite a great number of important people and foreign productions. What is missing is mostly the economic force necessary to export our productions abroad, or to create for example, dvds, which condemns them to remain undiscovered, with no possibility of being replicated elsewhere. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI FRONTIERA (Marzamemi, Siracusa) Founder and Artistic Director Nello Correale www.cinemadifrontiera.it 1) Presenting and developing an independent film industry, attentive to the frontier issues (geographical, artistic and cultural), its international character, and above all the genuine spirit with which the festival links the authors with the public, both native of the place and not. We are talking about frontier film and not of the suburbs, not a fallout cinema that is dominant, centripetal, that defends itself, yet a genre that questions itself, that looks at what is around, open to what’s new. Frontier cinema, intended in its symbolic value, other than in its geographical and much more vast term. Territorial, cultural, but also of the soul and languages. Frontier intended not as a limit, a border, but an open window to the universe, on the surrounding and opposite universes. An intercultural cinema, that looks for the things that bring people together rather than those which divide them. This is the frontier movie genre, not the frontier of movie. 2) There are classes for young movie makers, both from the Mediterranean and from the United States, and meetings between them and the public. An active and participatory presence, with shows and demonstrations by many authors and musicians in front of the Festival’s public, here to present Musical Portraits in the International Festival of Film and Music, with the participation of Mika Kaurismaki, Franco Maresco, Franco Battiato, Vinicio Capossela, Carmen Consoli etc. 3) Transforming the biggest and southest European movie theater in a great workshop open to meetings with other Festivals. Exchanging with Tunis, Barcellona, Cairo, Tirana, Istanbul, and Tel Aviv not only movies as we did up until now, but also projects. Becoming, for a week, although virtually, the center of the Mediterranean, meeting point between three continents: Europe, Asia and Africa. ALICE NELLA CITTÁ (Rome) Artistic Directors Fabia Bettini and Gianluca Giannelli www.alicenellacitta.com 1) Otherness, we believe, may well define the research plan on which we love to confront each other. We recognized ourselves in this dimension, and we tried to tell you about childhood and adolescence through this field of view, a view that has often highlighted the need for purity, with the eager will of showing that gesture, inevitable – almost ontological – of dissent which is at the base of the progressive definition of identity. 2) It was innovative to introduce within the topics English version covered by films, an exception that would interrupt the “official story”, and that would inspire the perplexity and would finally allow the dialogue with the public, something that today is essential and beloved by those who work with kids. If the movie industry, especially the Italian one, won’t be able to show this strength, it definitely cannot compete with the strength of the other kids’ experiences. 3) A full year of cinema with and within the school to make sure that the dialogue with the kids, started with the Festival, stays open. A platform with all the newest VOD technologies, to show extraordinary movies to the children, which only means movies able to absorb, enchant, surprise, involve, overwhelm, think, transforming the vision experience – especially in movie theaters – into a process that will transform you. The cinema and the school to shape education to dissent and to the sense of beauty. Knowing how to recognize something beautiful/real from something bad/false is a very important weapon. To get excited in front of something beautiful is the first step towards getting angry when seeing something bad. FROM SODOMA TO HOLLYWOOD GLBT FILM FESTIVAL (Turin) Artistic Director Giovanni Minerba www.tglff.com in all its expressions is also innovative, and it’s up to us, myself together with my team, to select themes and trends to propose, and this is maybe made easier by the fact that this is a festival with a thematic. 3) Ideally with more resources at hand, the first thing to do would be to update the compensations of whom has put their soul in the Festival. Yet, unfortunately, mine is a Festival that lives thanks to public funds, and hence it can only dream of more resources and tools. In recent years, there have been only cuts and continuous threats stopping the festival, or of making it happen only twice a year, or of merging it with the Turin Film Festival, and many more. Therefore, I’m thinking more of making the next Festival happen rather than leaving someone of the team at home; and if miracles were to happen we will be prepared, changes are always accepted. And in spite of who says that “you cannot eat with culture”, we will do anything to enrich your lunch or dinner, of who’s always been there to follow us and support us with affection. CINEMADAMARE Artistic Director Franco Rina www.cinemadamare.it 1) The identity, the soul: I have always identified in our public the true “soul” and therefore, the “Identity” of the festival, and I think it should be the starting point for all Festivals, also the “general” ones. But this is by no means to be attributed solely to a niche public, as feared by some “excellent critics” when the Festival was born in 1986, whom were able to change their minds almost immediately by praising it. 1) CinemadaMare is the biggest gathering of young directors in the world, that moves around the world in a time period of 2 and a half months. Since 2003, about 200 filmmakers, from more than 40 countries, meet in Italy with the only aim of doing movies together, forming the core of the Festival’s soul. A crowd that lives on hundreds of sets that we set up across 9 Italian regions, travelling for 3,800km, and that thanks to the newest digital technologies is able to create constantly cinematographic works destined to be spread worldwide, and via web. 2) It’s not easy to “experiment” if the starting point is the audience. Cinema 2) The initiative within CinemadaMare that has delivered the most important results, is without any doubts that of having constant workshops. This section of our Festival, in fact, promotes the real exchange of projects and information among our young filmmakers. It is not rare to see a Japanese and a Brazilian working on the same set, or that a Finnish and a SouthAfrican start researching on the most sophisticated programs on digital editing. 3) I have no doubt that when faced with an event like ours, that houses physically more than 100 young artists from all over the world, who have accepted our invitation to participate in CinemadaMare with the only purpose to realize films together, the sector in which I would focus the possibility of having more resources would be the technical equipment. In short, if we had a higher budget, we would rent more cameras, lights, carts, and other cinema machines. LINEA D’OMBRA (Salerno) Artistic Director Peppe D’Antonio www.festivalculturegiovani.it 1) The Festival is composed of different aspects of young creativity, music, movies, visual arts, performing arts, and writing as it is intending to promote and exalt the innovative capabilities of artists in Europe. Above all it’s to try and understand the margins of possible influence between genres and tendencies, both within and beyond the market, while at the same time not sacrificing the aspect of the communicative force in each work. 2) We have moved in all directions, first going beyond the traditional cinema-graphic festival followed by abandoning trying to utilize the internet not only as a communicative and promotional instrument but also as a virtual exhibition and presentation space of the proposals of the festival, in particular the movies. The online jury of feature films and short films has already been chosen since three years ago. 3) There are two main sectors we are already working on: the first is education, with internships and workshops apart from the time duration of the festival. I am thinking of meetings with leading experts and international artists that are capable of bringing their ideas to fruition as well as their professionalism in our territory and in Southern Italy in particular. The second sector is the intervention in the production and co-production of young artists’ work, something that in today’s market that finds itself in such difficulty is not capable of neither seeing now nor in the future. MEDFILM FESTIVAL (Rome) Founder and Artistic Director Ginella Vocca www.medfilmfestival.org 1) The identity of MedFilm Festival is already found within its name, where Med stands for Mediterranean, the sea that contains a set of similarities and differences, an impenetrable synthesis that is deep inside each of us, but almost absent in the offer of Italian cultural circuits. While the soul of MedFilm is in the urgency of telling people and cultures through first-hand information, direct evidence of filmmakers, artists, thinkers and ordinary people, through the powerful medium of cinema, to open gaps of knowledge and cooperation, providing an overview of authors on relevant themes year after year, sometimes difficult, such as immigration and xenophobia, to inform and educate the general public to overcome the obstacle of the “new”. Consistency, quality, audacity, rigor, information and training are the main characteristics of the oldest International Film Festival in the capital, with its 19 years of life. The international distributors entrust their film with the specific intent to build a sensibility that in time is likely to develop into the market 103 English version while the festival provides a valuable opportunity for institutional representatives of the utmost importance to meet, as shown by the review and signing of bilateral Italian and Slovenian agreements, which took place at the last festival. Finally, our promotional activities give an opportunity to numerous dedicated exhibitions to cinema that otherwise would be absent from commercial channels. 2) Although MedFilm is solidly structured thanks to two unique advantages that make it new and open to experimentation: the theme and the host countries that define the main rules of the recurring festivals. In the last few years we have supported cultural promotion, commercial promotion with the opening days dedicated to the meetings between operators of Europe and Italian operators, and the establishment of the Koinè Award given to outstanding personalities who have distinguished themselves for helping to identify the points of contact and shared languages between the peoples of the Euro-Mediterranean area. 3) A higher budget would certainly ensure our contributors with more favorable and long-term conditions, with higher service quality, with more movies and guests, with subtitles for all screenings, and with replicas. The success of this festival is based on the work of qualified staff, often young people, yet very much prepared and strongly motivated to whom, however, is increasingly difficult to ensure a workplace. In such a dramatic moment, due to lack of jobs, supporting small and medium-sized enterprises working in the cultural sector should be a priority. Of course, only those who demonstrate to be worthy and have proven overtime to be able to achieve the required objectives. Instead, in 2012, violent cuts of about 60% and in some cases even 100% have brought the MedFilm Festival’s budget 104 down to 60thousand euro, whereas FictionFest has enjoyed a budjet of two and a half million euro, 41 times higher, and the Roman Festival of 11 million euro, about 184 times higher. When facing such a serious economic and moral crisis, redistributing public funds in a fair manner should be an obligation, so as to favor a cultural policy more diverse and rich. Is it not an institutional duty (as it is in other European countries) to support and promote film studies next to coated events, ensuring jobs at the same time? The MedFilm Festival does certainly not enjoy an economic status worthy of the quality of its product. What should we do? Meanwhile, we have an idea: start with enthusiasm for the preparation of the next edition, which will be anticipated to June. “experiment”, let’s say that Cinema Rediscovered has “experimented” with the pleasure of film aesthetic. An experience for those who are specialized in this sort of thing, but also for the 70thousand people that in 8 days have crowded our theaters and Piazza Maggiore. 3) It would be great to publish on DVD everything that was shown at the Festival, in order to give immortality to something that you can see only during that precise moment. “ IL CINEMA RITROVATO (Bologna) Artistic Director Gian Luca Farinelli www.cinetecadibologna.it/cine maritrovato2012 1) The Rediscovered Cinema was the first festival in the world dedicated to film restoration, when restoration itself was taking its first steps towards science. It’s been a long time since 1986, and today all major film festivals, from Cannes to Venice, have a section dedicated to restoration. Even the same Cinémathèque Française opened, a month ago, the first edition of its festival explicitly inspired by Cinema Rediscovered. 2) The thought of showing the entire history of cinema – the technological, aesthetic or philological approaches were behind the restorations – is a deeply innovative and experimental act. Cinema Rediscovered presents itself as an immense museum of the Twentieth century (actually its roots are from the nineteenth century), going from the earliest anonymous documents, to the silent movie era, to the CinemaScope. If I can play with the verb a journalist and since 1983 he mainly focused on film financing. In 1988 he was among the founders of EFDO (European Film Distribution Office), becoming its President till 1996. As a Director of the Berlin Film Festival he launched new sections and programs, among which the "Perspektive Deutsches Kino", a highlight on new talents of German cinema. Under his aegis, the Berlinale has become one of the most important film festivals in Europe, which has earned him the German title of ‘Cavalier for Arts and Literature’. What do I like about Italian cinema? The contemporary attitude it shows in relating to classical culture, the necessity that directors feel in dealing with political reality even in periods of crisis, and their talent for expressing poetry even within the documentary field. by Micaela Taroni Good spirits, that’s all that matters. To say it with writer Heinrich Heine, my motto for a festival is: the more a topic is serious, the more it needs to be presented in a fun way.” This is the belief of Dieter Kosslick, Director of the International Film Festival of Berlin. With his masterly ability to express humor and lightness, Kosslick is considered an institution of the Berlinale that he’s been leading since 2001. Since he took over, substituting Moritz de Hadeln, 64 year-old Kosslick marked the festival with his unmistakable signature. “We want to be the most cheerful festival in the world,” Kosslick said only a few year ago, the man being a Hitchcock and a haute cuisine fan. And under the aegis of his careful and competent supervision, the Festival exported international successes, calling for more and more audience and critics attention. The success has been such, that the Berlin Festival confirmed his mandate. Kosslick should have left in 2013 but he’ll be staying three more years. While the 63rd annual takes place, opened by The Grandmaster by WongKar-wai, we asked him to talk about Italian cinema in Germany, and particularly at the Festival. ›› Page 26 Dieter Kosslick, 64, has been the Director of the Berlin Film Festival since 2001, upon substituting Moritz de Hadeln. After studying communication and politics, Kosslick worked as In spite of the recurrent polemics on the lack of Italian movies at Berlin, the Festival has always had a particular regard for Italian cinema, that happened to win many awards here. Who are the authors that English version you believe have mostly left a sign? If we simply look at the winners of the Golden Bear in the past decades, we can see that the Berlin Film Festival has always accompanied the history of Italian cinema. I’m thinking of Michelangelo Antonioni and his picture La notte that won the Bear in 1961. It’s a masterpiece and it founded a style. Or Francesco Rosi, a director who represents Italy’s political and social cinema, and won a Director’s award here in Berlin in 1962 for Salvatore Giuliano. And then he was awarded again in 2009 with a Golden Bear for Lifetime Achievement, together with a tribute. And there are many more major Italian directors who are strongly bound to the Berlin Festival. Can you mention a few? I’m thinking of Maestros such as Ermanno Olmi, Mario Monicelli, and Vittorio De Sica. Considering my personal experience as the festival’s director, I can say that the last winner of a Golden Bear, Cesare deve morire by the Taviani brothers, fits within a specific Italian tradition of the Festival. This movie starts out from one of the main works of worldwide literature, Shakespeare’s Julius Caesar of 1599, to focus on modern social conflicts and facts. This aspiration to elaborate classical works is one of the aspect of Italian auteurs that has always deeply fascinated me. This stands out also in Pier Paolo Pasolini’s The Decameron, that won a Golden Bear in 1971 and was born from the fantasy tales of Boccaccio. And The Canterbury Tales, that earned another Golden Bear to Pasolini in 1972, based upon the medieval tales of Geoffrey Chaucer. Summarizing, which are the recurrent aspects of Italian cinema you find particularly significant? I’d say the contemporary attitude it shows in relating to classical culture, the necessity that directors feel in dealing with political reality even in periods of crisis, and their talent for expressing poetry even within the documentary field. visually strong style, and intensely poetic. Even Nanni Moretti is part of the directors that focus deeply on Italy’s political reality. Nanni Moretti has faced Italy’s social reality, at times even impulsively, always expressing his skills with great irony and self-irony. His movies oscillate between tragedy and comedy. Even when he deals with painful experiences, he ends up offering fun and light material. Just as the Taviani brothers, whose Caesar Must Die he distributed in Italy, Moretti is one of today’s great filmmakers. How are Italian new movies considered in Germany? It’s very difficult to talk exclusively about Italian cinema as seen by the German audience. What should be examined is the complex situation of European cinema. In Europe, the film market is still dominated by American movies. European films rarely pass domestic borders and achieve international box-office success. I am firmly convinced that the German audience has interest for European movies, and therefore also for Italy’s movies. I can mention two Italian movies presented at the Berlin Festival last year. Cesare deve morire, recently in theaters, has earned audience and critics approval. Diaz by Daniele Vicari won the audience award in the Panorama section. This means that there’s a true interest for contemporary and modern Italian movies. Which directors of the new generation contributed to renovate the image of Italian film industry abroad, according to you? Among the generation of young directors, Matteo Garrone has proven to be capable of translating onto the screen both emotional and personal relations and criminal stories. I was touched by L’imbalsamatore. Primo amore (2002) – a fascinating and oppressive movie – was actually presented here at the Berlin Festival. Gomorra (2008) is certainly among the most significant European movies of these last years. And I’m happy Garrone achieved further international successes with his last picture, Reality (2012). Among the younger directors, what do you think of Paolo Sorrentino? Certainly Sorrentino should be listed among the most talented directors, both for Il Divo (2008) and for his marvelous Le conseguenze dell’amore (2004). However, I want to mention even other directors we hosted here in Berlin. Gabriele Salvatores was in competition with his Io non ho paura (2003), a movie with a dense atmosphere. I was also touched by a documentary by Pietro Marcello La bocca del lupo that we presented at the Forum. I was touched by the moving love story, and the portrait of an extraordinary city like Genoa, presented in a Italian cinema is often reproached for mainly making comedies addresses to a domestic market. Is this a limitation, according to you, or, in spite of everything, can our comedies be appreciated by a foreign audience? Often comedies achieve domestic success only, and this works not only for Italy. Humor is hardly exportable, but there are always some exceptions, as Roberto Benigni’s movies. With what criteria is an Italian movie selected for the competition section of the Berlin Festival? There is no specific criteria choice for a single country, because cinema is a universal language. What we’re really interested in are visually interesting pictures that have a particular edge and are capable of telling a good story. It’s important to remember a movie’s plot even days after having seen it. Will web series save us? Even in Italy, web series are an opportunity to put together and disclose new and innovative creative teams, often very young, that express a territorial sensitivity and imaginary only apparently suburban and marginal. by Rocco Moccagatta ›› Page 30 A first acknowledgment concerning the world of Italian web series – that in 2012 finally exploded in Italy, after the success in USA and Europe – must begin with Freaks!. This phenomenon series, that blends daily post-teen-age life, superpowers and conspiracies, was not the first to be produced, and actually doesn’t even detain the first place in rankings (amazingly official data refer to 7 million viewers, and 2 million unique viewers – an arena larger than the platforms of free TV, satellite or terrestrial channels), or in social buzz among obsessed fans and fierce defamers. In a worldwide scenario dominated by video distribution and video sharing platforms (YouTube and Social networks), 105 English version low cost shooting digital technologies offering good quality, and more and more accessorized mobile devices (smartphones, tablets), Freaks! works well as the prototype of an Italian web series for a sum of elements within its DNA. Starting from its grassroots origins – far from traditional production or distribution structures (network TV, regular production companies) – it expresses a certain creativity born from “below”, fresh, new, finally young, not yet entirely structured, although well-known within the web, since its protagonists and creators are practically all beloved web celebrities and vloggers, and are close to the age target (15-28 years old) which is allergic to traditional television programs, and deeply anchored to genres that have been forgotten or ignored by the Italian mainstream media: sci-fi, horror, or more in general fantasy, teen comedy, romantic dramedy, parody, dementia, action, thrillers. The antagonism of Italian web series towards domestic television (and cinema, as well) doesn’t force the viewers to an unprofessional or improvised product. It rather adheres to a style and language that belong to the US and UK TV series, miming the formats (as for episodes, seasons, length of episodes, hybridization, and contaminations), and staging (check those sitcoms with a single fixed camera) as proven by the estranged choices, compared to Italy’s sets. Freaks! has created superhero atmospheres set in Rome within an Anglo-Saxon sci-fi chronological paradox (Ch4’s Misfits a definite reference, as clearly quoted in the second season), while Vincent Kosmos (the longest Italian web series, since 2008) is in a certain way a Turin version of BBC’s Dr Who. Hydra follows a catastrophic-epidemic theme in a disturbing atmosphere in rural Tuscany, that has nothing less that the devasted cities of Hollywood blockbusters. In some cases, taking over narrative and aesthetical models that don’t belong to 106 Italian tradition – hopelessly sought by the young audience in Rai and Mediaset TV dramas – has offered the freedom of taking risks in describing characters, lifestyles, and even geographies of desire, that otherwise would have been impossible: if Stuck (shot in English and subtitled in Spanish and French) plays with the imaginary of a mature and provocative medical drama, with a cynical life coach something between House and Nip/Tuck, Tris dreams about the boundless sentimental and sexual excesses of Queer as Life and The L Word. In this lively and disorderly production, that at times goes even beyond the edge of recklessness, what emerges is an infatuation for worlds and realities that Italian film and TV neglect, with particular attention for teen-agers and young adults, described through the formats of sitcom and teen drama (check the surreal senior high school year of Facce da scuola), or through ironic genre or gender stereotypes and commonplaces (check the apocalyptic zombie nerd locked in his rooms on skype in Skypocalypse). A web series can even influence a star’s behavior, usually invested on other more tradition medias, who decides to confront the genre. It’s the case of Flavio Parenti, a young TV and film actor, creator and protagonist of the acclaimed web series Bymyside, something between ‘Waiting for Godot’ and the world of slackers of Kevin Smith. In this case, Web series can also be seen as an opportunity to build new and fresh creative groups, often very young, that express the sensitivity and imaginary of apparently suburban and marginal realities. Thus, besides the Roman Youtuber group of Freaks! (Guglielmo Scilla/Willwoosh, Claudio di Biagio/Non aprite questo tubo, Matteo Bruno/Cane secco etc.), let’s mention The Jackal from Napoli (with their curious sci-fi of Lost in Google open to interaction with the audience that suggests the stories for the next episodes), the Nirkiop from Taranto (and their high school tranche de vie in Facce da scuola), the Licaoni from Livorno (with their demential Saturday Night Live style in Il corso di cazzotti del dr. Johnson, awarded at the 2012 Los Angeles Web series Festival.) What still isn’t clear is how this galaxy of experiences, still not structured coherently nor systematically, can create a sustainable and useful economical model, besides the interest of more or less institutional parties (as the Giffoni Film Festival behind the series She Died, a horror romantic drama between Lynch and Twilight): perhaps seeking product placement, opening to branded content, or through crowdfunding. On the other hand, traditional media try to metabolize formats and models of the web: among TV channels, for the past few years, Fox has offered FlopTV, an online dependance dedicated to new forms of comedy, between TV and web series, based on channels such as USA Funny or Die and Comedy Central, that realized a sitcom (Amici@letto) distributed on Facebook. If Magnolia Fiction is producing Kubrick-Una Storia Porno, an eye wink on the world of porno, dividing a TV pilot (written by a group of screenwriters called Labuoncostume, authors of the successful Faccialibro) into three web segments, some switch from online to on air: for its second season, Freaks! is co-produced by Deejay that televised it while in web streaming. The Pills, a witty story of Roman university students amid surreal situations and over-the-line dialogue, also combined to a talk show format, is also part of Deejay Tv’s programming. Within this dialogue and exchange process, something is however at risk: the negative reaction of the web audience that has till now confirmed the success of series and stars because disappointed by mainstream media (mainly TV), and consider this interaction a compromise that might endanger the creative independence of the web (as clearly proven by the fierce anger that took place against YouTuber$ accused of being a para-television product that apes real web series). At the same time, what could be taking place is a turning point, a sign of renovation and refoundation of television stories (and perhaps even films), with the possibility to involve an audience that has been lost and distant for too long. Freak out: le band, c’est trend! INTERVIEW WITH LUCIANO MASSA by Andrea Guglielmino ›› Page 40 W hen we think of Italian web series, the first title that comes to mind is Freaks! There’s no doubt about it, especially for “webstar”: Guglielmo Scilla’s presence in his double-role as both performer and producer. He became famous on YouTube as Willwoosh by posting funny movie parodies, and his career took off. Freaks! however, compared to the previous, has a much more structured system and a production history, as well as a very strong basic idea which recalls famous American forerunners like Heroes and Misfits (to which, by the way, a direct tribute is made in the first episode of season 2). Five apparently normal kids, all faint at the same time and wake up 4 months later with severe memory lapses and, most importantly, with special powers, on which they start investigating. Hence, the title Freaks!, monsters, freak shows, but also people with ‘out of the ordinary’ abilities. The first episode aired on YouTube, on April 8, 2011 and had an immediate and ongoing success, more than 8 million views in the first two months – English version the second season (2012) the series aired on television on Deejay Tv. In total there should be three seasons. The first was realized on a limited budget and with the participation of an unwaged technical and artistic amateur cast. All production expenses were dealt by the main actors: other than Scilla, Giampaolo Speziale (“About Wayne” rock band leader), and Claudio Di Biagio (known on the internet as Nonapritequestotubo). In addition, Matteo Bruno (known on the internet as CaneSecco) was the photography director. For the second season, which aired both on YouTube and DeejayTv, as well as on the official website (http://www.freakstheseries.co m/), the creative farm Show Reel took charge, which had already developed the marketing and communication plan for season one. Since 2006, Show Reel deals with Branded Entertainment and social media marketing. What is it about? In short, the experience revolves around a completely new way of promoting, integrating it into high quality entertainment products, where the authors can have total artistic freedom. At the same time, Show Reel tries to match various companies’ interests, which in turn commit to provide financial contributions or professional services, in exchange for innovative advertising far from the “invasive” policy of classic advertising. This doesn’t make Freaks! an advertisement. The aim of the whole operation was to create a high-level artistic product and make it available for free on a large scale, so that when the user connects to watch the latest episode of his favorite series, it is he himself that searches for the ad, although indirectly, instead of enduring the ad as it happens normally. On this topic, we spoke with Show Reel’s General Manager Luciano Massa. Can you give us a brief presentation of Show Reel and its activities? We were able to bring Branded Entertainment to Italy in 2006. We conceive and develop original formats for companies with the aim of entertaining the public. We try to take the public to virtual or real worlds, with simple ideas that will engage it directly, seeming less invasive than traditional forms of advertising. Content is very important, and is often cocreated by the users themselves, as in the case of “Twittastorie”, a program that we created for Telecom where participants could become authors of short movies inspired by Italy’s most beautiful cities, and directed by famous directors like Manetti Bros., Asia Argento, Cosimo Alemà, with special guests like model Eva Riccobono. Certainly, a very innovative way to promote products… Look, let me say this polemically. Many of the advertising creatives I’ve met, even from emblazoned agencies, if they worked in the Italian entertainment industry, at the most they could be employed as interns. I’d like to say to the brands that are becoming broadcasters – i.e. all the companies that publish content on YouTube, Facebook and such – that they don’t have to necessarily come to Show Reel, but to someone who knows how to entertain and has the tools to engage and interest the public. All traditional means are worn out, and aren’t enough on their own, anymore. Today’s audience is different, we have all become consumers that are much harder to convince compared to a couple of years ago. How do clients learn about you? Mostly, by word of mouth. We work with many different settings, from traditional telecommunications to overseas brand, and cultural institutions. The beauty of our projects is that they are “newsworthy”. They attract the media, the newspapers, then TVs talk about it, then companies see them, see our brand and so the domino effect starts, leading them to us. For example, that’s what happened with Mondadori. How do you relate to those who commission the work? Not as suppliers, but as potential partners. We are very demanding, we try to walk in the clients’ shoes, and only then, if we really like them, we accept the job. Then technically, we begin as if we were going to create a traditional advertising gig, we ask what are the goals that the company wants to achieve, we study their cluster and we start drafting. Instead of creating an ad campaign, we create projects where the user is the main character directly involved. Although Freaks!, at least at first sight, seems like a standalone project and not a means to create promotional messages. In fact, that’s how it is. Freaks! is an artistic project that would have been barred by the traditional Television market. In this case, we wanted to fulfill four adventurous 25 year-olds’ dreams, which is the second season of the series. Because the funds we received did not all come from television, nor from a single sponsor, our only solution was to put together a group of companies, that on one hand would finance the project, and on the other they would be greatly rewarded in terms of brand image and advertising. From DeejayTv, that as a co-producer requested the television rights, to Citroën, whom was the first to believe in us, to Canon, Nintendo and other clothing brands, among which Pennyblack. Feltrinelli, then, set the foundations for a series of interesting initiatives. From setting some scenes in a library, to organizing tours inside libraries, to distributing exclusive merchandise. It was also a way to bring teenagers closer to the publishing world, since they’re known for not reading much. And also video blogs, and production notes. All of this is to make you understand that the Branded Entertainment project is authentic, yet multi-branded. The biggest satisfaction is that the artistic product was not devalued. The premise that we always told from the beginning to our partners was that there was to be no interference with the works of our staff. We asked for complete carte blanche, and one of the first ones to give it to us was Linus, the artistic director of DeejayTv. But how and when did Freaks! and Show Reel meet? Scilla was the first one to talk to me about it, in November 2010. We were just starting to work together and he told me that he had this project that he wanted to propose to me. I said “Ok, let’s talk about it”, but then he had some second thoughts. He told me that he wanted to consult his partners first, whom are Claudio, Matteo and Giampaolo, as you all know very well. After some time we all met, both my partners and I liked the idea, and following my previous reasoning I told them “Ok, we’ll help you, but we don’t want to see anything until you come to us with the final product”. So we started working, separately. I worked with my team on communications and marketing, they worked on their own on the series. I would like to underline the fact that they created the first season by themselves, with no more than two thousand euro. I saw the first episode in a hotel in Rome, three days before it went viral. And right then and there I realized that we had done a great deal, and did the right thing to let them have complete freedom, which is something that anyone would want, especially at that age. So, for the first season we only financed all the marketing and communications costs. Essentially, how much was the turnover? In terms of advertising and word of mouth between companies, a lot. Yet, in economic terms nothing, neither for us nor the creators. Of course, the total value of the 107 English version operation is around one million euro and a half, but I have to say that the fact that the actors were paid minimum wage helped a lot, while skilled workers were promised refunds. Suppliers were given visibility in the final credits. Think about the enthusiasm, we’re talking about technicians, so not a group of people that had immediate advantage. They simply did it for the fun of it. If they hadn’t, we wouldn’t have been able to complete the project, especially because most of our budget was spent on taxes… In your opinion, what’s the main reason of the series’ success? Certainly, the fact that we were the first ones in our country. Don’t forget that Freaks! is the first sci-fi series after Spazio 1999, which was a coproduction with Britain in 1973, almost 40 years ago. But it also has a very captivating plot, with a mystery line that’s intriguing but at the same time entertaining. Do you know the No. 1 comment viewers leave beneath our videos? Please tell me… “I didn’t understand a f——-g thing, but it’s awesome!” And how do you see the future of the web series in Italy? I see it as a way of promoting oneself, a means to show one’s talent. At the moment, it’s early to speak about a rising industry, because the number of views in Italy, although high, are not enough to start a production based only on banners and pre-roll. Further, let me be a little polemic here this time towards the young Italian generation, sometimes they are a little too naïve and blind, because if a project comes from the US financed by Coca-Cola then there’s no problem, and they welcome it with open arms. While in Italy, they think that everything should be produced without sponsors and shared for free. What are they complaining about? Some communities consider 108 the cast of Freaks! as “sold”, because now the series is broadcasted on TV, or maybe because they see the sponsors’ ads on the web site. It’s a quality product, which has cost us money and sacrifices, and they cannot expect to have it for free, without having the company’s logo alongside. The most important thing in Freaks! second season, is that there are still companies and people who believe in young talents. It’s important to show that with the crisis we’re facing, the fact that different complementary companies came together – without interfering with each other – to fulfill the dream of a group of young actors in Italy, is practically a miracle. I’m honored to have met those talented “under 25”, and to have been able to communicate their and our enthusiasm to the company managers that decided to follow and support us. We were able to do something that hadn’t happened since the 90s, when the deceased - alas! recording industry used to fulfill kids’ dreams. Piracy is also a cultural issue. In Italy, especially teenagers are way too used to download everything illegally, without spending a cent. It’s a tendency that we can’t fight, but that is certainly killing quality. Think about the CD’s that came out in the 90s and compare them to those of today. Recent studies show that 14million people every month watch movies on the internet. Well, these are still low numbers. We claim success with only 10thousand views, while overseas you have to have at least 10million views. This means that a product by itself cannot survive only on YouTube advertisement, and it’s necessary to apply different models just like we did with Freaks! What’s in store for Show Reel? I can’t say much, I don’t want to jinx it. Plus, our next projects are under strict obligation of confidentiality. Right now, December 2012, all I can say is that a big portion of the Italian entertainment, with Italian funds, has seen in Show Reel a business able to do research and development like no one can, and has decided to finance us. Online reference: www.freakstheseries.com www.show-reel.it We want Kubrick Ludovico Bessegato, Creator, Artistic Director and Chief Editor of Magnolia Fiction, and Fabrizio Luisi, author and performer in some of Italy’s most successful web series, have recently worked together on the series Kubrick – Una Storia Porno. by Valerio Orsolini ›› Page 43 T he phenomenon is rapidly spreading around the world since 2009, when the International Academy of Web Television (IAWTV) presented the Streamy Awards, an annual event that awards the best web productions, for the categories Best Director, Actor, Production and Screenplay. Italy has yet to have an international leading role in this field. To know what the Italian situation is, we sat down for a chat with “those from Kubrick”. Fabrizio, Ludovico, tell us about what you do and why you chose this title for the series. F: We wanted a title that was high and low at the same time. Which is also one of the themes of the series: to understand that sometimes intellectual ambitions are cold and empty and even a bit ridiculous, and instead what you thought was actually not worthy has its nobility and value that allows you to express your merit. L: The authors came up with plenty of titles. Some were too bold, others too polished. At some point we all thought that the title was going to be “A Porn Story”, but the legal department encountered difficulties in having the contracts signed with that title. So, we went back to a previous option, precisely Kubrick, which refers to a line said in the first episode of the series. Other Italian web series are, for example Faccialibro, The Pills: could you please define what you mean with web series and explain whether there’s a difference with other medias that also make use of videos. F: We’re still in a pioneering, experimental, derivative phase. I think that all the “rules on how to make a movie on internet” known at the moment are unfounded - for example, shortness. And what about Kony 2012? What if Breaking Bad were to be broadcasted on YouTube? Does that mean I wouldn’t watch it because it’s too long? We can certainly talk about screenplay and production quality, the strength of the idea, the inner rhythm, the production and distribution choices, the authority of who creates and distributes. Which can very well be an amateur authority, which is actually preferable because it implies a challenge, and hence becomes a story in itself, which will transform the audience into fans. L: These are complex questions to which we’ll find answers only in a couple of years. In fact, web series in Italy are serialized video-stories, broadcasted mostly over the internet. Up until now the common characteristics are shortness, affordability, “dirty” language and the young age of the producers. But I’m sure that with time, those will no longer be exclusive paradigms. Even the first free radio stations had those same characteristics, then we all know what happened. The series deals with universal themes. So tell us why you’ve English version chosen to talk about porn. Perhaps because sex is one of the most popular and googled arguments online? F: We liked the idea of a porn story because it allowed us to talk about sex. It’s one of the most constant things in our lives, in so many ways, and at the same time there’s little talk about it. It’s used a lot, yet not spoken about. L: Everybody is interested in porn, it guarantees so many funny occasions, but it’s rarely faced in drama. Hence, three perfect reasons to talk about it, right? In web series, generally there’s a lot of explicit references to the internet. In “Lost in Google”, the viewers’ comments contribute in creating the series’ plot. In this sense Kubrick seems to be a step behind. F: Ah, I like this assertion! I don’t believe that interactivity is an essential web series element. Its use is still in a testing phase. It’s like saying that the core of cinema is to scare the viewers by showing them trains heading towards them. That, too. But it’s not the only thing that we’ve learned after more than a century of practice. Specific elements of the web are, at least for me, horizontality, fastness, visibility, participation, collective intelligence… But I could go on for hours. L: I don’t agree on the fact that it’s done most of the time. Among the series that you mentioned, “Lost in Google” is the only one that uses a mechanism that emphasizes the media as it does. And I don’t believe that Kubrick is a step behind. If Italy were a country where television promoted and hosted all kinds of series, then it would be foolish to make a series that doesn’t consider its media. But, because our television is very closed, the web becomes an exclusive place of freedom. Kubrick, a web series with three pilot episodes: future hypothesis. F: The series went really well. We’re looking for someone that will produce it. Networks, television, cinema: any media is able to tell this story. L: Kubrick’s future is still foggy. We’re still waiting to hear from the networks, but we’re dreaming of taking it to the cinema. We’re looking for the best way to use the credibility that we’ve conquered. With the new technologies – and I’m mainly thinking about mobile technology – what changes will take place in the production of web series? Language, shots, screenplays, more? F: The concept will be growingly important, and it will need to be a good story, but at the same time there needs to be a good staging and distribution idea. Everything will have to be right from the beginning, coherent and effective. The first 30 seconds are the most important when on a mobile phone. Plus, the mobile is also a social tool. So besides liking the video, you’ll also need to share it with others. L: I believe that the biggest change will concern the shortness of the product. And also, there will be a great research on internal elements that will help it go viral. In Italy, the themes discussed in most TV series keep in mind TV viewers, which are usually made up of adults and, it is said, with a not so clever cultural background. Does that mean that web series will struggle to conquer their space on TV? At least on “general” Television? F: Yes, but that’s ok. General TV does a lot to entertain my 88 year old granny. Except that I buy so much more than my granny. If there were a rating system, like the one they have in America, that would reward the quality of the public rather than the quantity, and something would definitely change. More often than not, web series aim to an audience that the advertising companies consider more “valuable”: usually it’s young adults open to new experiences and with a great “narrative culture” (books, comics, cinema, videogames, it doesn’t matter). Having said this, I would also like advertising budgets to shift towards the Internet. The time is here. Come on, show some courage! L: Yes, absolutely. But it’s merely a numeric problem. Prime time movies are seen by some millions of people. A web series, usually by some hundreds of thousands, and it’s great. Commercial TV only works on big numbers. But you have to be careful to overestimate internet views. YouTube is also Nyan Cat, Mentos e Cani Parlanti’s kingdom, certainly not the Dardenne’s movies. At the end of the third and, for now, last episode of the series, Kubrick’s authors ask to write “We want Kubrick” in the comments to the video: those who expressed their appreciation of the series are already a couple of thousand. This article is our “We want Kubrick”, hoping that there will be more content and media able to express new ideas, while we wait for Italy to win its first Streamy Award. Anyway, if Kubrick – Una Storia Porno. has tickled your curiosity, hop on www.webseriestv.it/kubrick-aporn-story to better understand it, so that you, too, can say “we want Kubrick”. Salvatore Giuliano to the ebook revolution An essay by Tullio Kezich and Alessandra Levantesi on the legendary 1962 feature film opens a new digital collection by Luce Cinecittà. by Paola Ruggiero ›› Page 54 T he technological era has invaded the swampy world of publishing. The growing diffusion of tablets and e-readers is changing readers’ habits. As for all revolutions, even this has its supporters and opponents. In this initial step, the major issue concerns editors, frightened by the growth of piracy that has already sent viral a great number of titles, but also bookshops and users themselves: an entire system that needs to restructure in a very short time to face the changes that are taking place. The natural resistance of those who love printed paper, and its nearly fetishist connotation, will still preserve the market share where traditional books are considered irreplaceable. Even authors have different opinions when facing these changes. On L’Espresso, Umberto Eco wrote, “Paper books are more human… there’s quite a difference when touching or 109 English version leafing through a book that just left the printing room, rather than hold a USB key. Or find a book we read years earlier with all our notes on the side, giving us the same emotions of the time, rather than reading the same book in Times New Roman 12, on a pc screen.” Erri De Luca has different opinions, as asserted in an interview to Gazzetta di Parma, “Habits are difficult to change and the suspicion towards innovation is always deeply rooted in all of us. New readers, that are just beginning their relation with books in electronic format, will soon get used to it.” One thing is sure: this change cannot be ignored. For many years, Luce Cinecittà has been committed to publishing monographic and thematic collections. Today, it enters digital publishing with the release of an e-book on Salvatore Giuliano of 1999 edited by Tullio Kezich in collaboration with Alessandra Levantesi, and published in paper format by former Cinecittà Holding, today Luce Cinecittà. In this new digital format, the volume dedicated to the homonymous 1962 feature film by Francesco Rosi was enriched by footage selected among the extremely vast Luce archive curated by Lorenzo Codelli. The publishing of this e-book that will launch on major platforms with free access will be the first of a digital collection that Luce Cinecittà will be editing and that can boast an extra value thanks to its rich archive material. The Salvatore Giuliano e-book will be available at the end of the month, opening Luce Cinecittà to the new publishing landscape, since, as Woody Allen says, “I believe that new technologies offer great opportunities, but conceal major dangers. The trick is to try to seize the opportunities, avoid dangers and get back home in time for dinner.” 110 Interview with Francesco Rosi Salvatore Giuliano, when cinema seeks truth by Paola Ruggiero ›› Page 55 When your picture “Salvatore Giuliano” was released, Leonardo Sciascia defined it, “the most authentic movie that cinema has ever given as an account of Sicily. Never had Sicily been described with such realism.” How was the project on the bandit Giuliano decided? The project came up because in those years Salvatore Giuliano was part of the topical interests of the Country. The possibility to face problems such as separatism in a difficult and complex region as Sicily, and from that make a movie focused on Salvatore Giuliano, seemed very important to me as a way to meander through the history of Italy, and from a realistic point of view. There was a general interest for these kind of issues, but Cristaldi and I decided to face the matter with a movie. Initially, the script was supposed to be written by Franco Solinas, Suso Cecchi D’Amico, Enzo Provenzale and Francesco Rosi. Soon, I felt I wanted to follow my idea for the story, without having to compare notes with co-writers, since I had such a specific and personal idea of the structure that I would eventually follow as a director. So that’s what I did. In the end, they all agreed. In the book Salvatore Giuliano there’s an assertion by Franco Solinas when he mentions that the idea of the narration was Rosi’s. On its cover story, the weekly L’Europeo stated, “One thing is sure: he’s dead.” This certainty was eventually debated, and in 2010 an investigation was opened again and the corpse of Salvatore Giuliano exhumed. The DNA results however didn’t give final answers. Some say that his brother was killed in his place. What’s your idea? These conjectures are part of the past. The press gave a lot of attention to the matter, and even more the judicial system. So I don’t feel I can have my own personal opinion, also considering that the investigation is still open. According to me, Salvatore Giuliano was the character I recreated through the facts that I personally verified, because, due to the historical difficulty of the story, I needed to create the character by finding inspiration in the relation I created with the places the story took place in. That was the only way I could actually gather testimonies of those who had lived during those years. The movie was shot on location in Montelepre, Castelvetrano and Portella della Ginestra. Through the story of Salvatore Giuliano, the movie investigates the political issues that determined it. Was it difficult to gather the testimonies you’re mentioning? When interviewing real people there’s always some suspicion or resistance at the beginning, or even enthusiasm, which is dangerous, because it betrays a certain desire to be in the spotlight, which could distort the story. Together with my collaborators, I went to Montelepre many times while writing the story. I went to see what Portella della Ginestra was, who the farmers involved in the massacre were. I tried to collect all possible information, and gather evidence as objectively as possible, and I believe I succeeded. First you shot Salvatore Giuliano, nearly ten years later Il caso Mattei and Lucky Luciano. You often center your political pictures on well-known historical characters. If you were to make another movie on a contemporary historical personality, who would you choose? Within the Italian political landscape, during the past 50 years there are personalities that left a significant and crucial step in the course of our history. Andreotti, for example. What really matters, however, is to make responsible choices to offer a true portrait. Even Sorrentino in Il divo – a truly nice and interesting movie – paid more attention to describing Andreotti as a movie character, rather than a realistic one. Your cinema is defined as the highest example of socially committed cinema. How would you define it? It isn’t easy to define the narrative or thematic trait of a movie in the most accurate way. I define my filmmaking a cinema based on reality, which can mean of a particular country, policy, historical moment. Do you believe there are directors today that pursue social commitment? Many are interested in the matter, but sometimes this can become a weak representation of the issue dealt with. Social commitment, which comes from Neorealism, is very important and often present in our cinema. Think about Romanzo di una strage (2012) by Marco Tullio Giordana, which can be considered an example of the genre, which I believe, was criticized in an uncertain way. The book that Kezich curated on your film Salvatore Giuliano is about to become an e-book. What do you think about digital publishing? Tullio Kezich , who worked on the volume, wrote an extremely interesting book, even from a historical point of view. Perhaps for a generational reason and due to my cultural education, I prefer paper books, because books are even an object, a physical entity. If books should disappear it would be like annulling the weight and value of culture. I believe digital publishing can and should flank traditional publishing, not substitute it. You were recently awarded with a Golden Lion for Lifetime Achievement, a prestigious recognition that awards your English version artistic career. What were your feelings in regards? It is a great recognition for my filmmaking. I’m proud of it. Some said it could have arrived earlier, but I don’t think time is important. Broadening horizons thanks to festivalmarkets International co-productions and new markets, like China, open an interesting prospective for the future of the Indie-Film industry: what matters is creating networking opportunities. by Federica D’Urso and Francesca Medolago Albani (Ufficio Studi ANICA) ›› Page 62 A re festivals still useful or not? A first indirect answer comes from export data concerning Italian contemporary movies: being selected or furthermore winning an award at an international film festival can help a movie’s notoriety and sell more. A second answer tips the scale towards festivals with a market. In Europe, the most important are Berlin, Cannes, Rome, and more are growing even in so-called “target countries”. Markets have a span that can be seen as parallel to the competitive artistic categories. In the past years, debates opened to the entire field of professionals, true networking opportunities, have increased, together with B2B reports. An interesting example took place during the last Roma Festival, where ANICA, The Business Street and New Cinema Network promoted an open conference entitled “Film Financing Around the World” with worldwide representatives. The theme was simple and complex: how to finance a movie today - traveling from the extreme West to the extreme East - in such a complex moment of the history of economy? Two are the main paths possible, both presenting ups and downs: co-productions and the great Chinese market. As known, scouting for finance is the main job of a producer, the movie’s owner. Due to the ontological unpredictability of profits, the producer can rarely support the entire economical weight of a movie by himself. Which explains the many and varied financing methods a movie can experience, whether public or private, direct or indirect, through institutions on all territorial levels, financial systems, insiders or outsiders. Without getting into details, the incumbents have certainly expressed general fatigue over the past years. The United States and Europe, although still in first place, seem to have exhausted their classical resources and are seeking new roads to foster their productions and broaden their markets. On the other hand, there are small yet very lively film industries, such as the Israeli, open to innovative collaborations. The most increasing solution in Europe over the past decades has been international co-production: a tool that Italian producers have actually been exploiting for a short time. Within the support system to the film industry activated by major international institutions starting from the end of the Eighties, there’s one that has the objective of increasing production and distribution of European products. It’s Eurimages Fund, founded in 1988 and managed by the European Council: presently 35 European countries take part in it, including Russia that entered in 2011. Nearly 90% of yearly resources of Eurimages is destined to support coproductions. Financial support concern feature films for theater distribution, involving production companies of at least two member countries. The support cannot exceed 17% the production budget, up to a maximum of 700,000 . The support is offered as a loan, and the beneficiaries need to return in proportion to their profits. It’s well-known that Italian producers have practically no access to Eurimages Funds. To the many and articulated reasons that are asserted to explain such inefficiency – mainly referring to the limited diffusion of the Italian language, to the rigid system of domestic financing, and the meager capacity of the creative display to comply the international market – a further reason according to some is indirectly based on the tax credit law applied in Italy since 2008. Significant the case of The Best Offer by Giuseppe Tornatore produced by Paco Cinematografica, released in Italy on January 1st, 2013. In this case, the producer deliberately chose not to enter a coproduction: in spite of the fact the cast is entirely foreign, and distribution is planned for the international market, the movie was entirely realized with Italian resources and by an Italian crew. Besides two regional funds, the movie was under tax credit for production and distribution. According to the producer Arturo Paglia, the limitations of this type of financing, which involves only the Italian share, made it more convenient to find all financing on the domestic market, rather than exploit co-productions with foreign parties that not only would have increased the productions costs, but would have kept shares of the movie, reducing the sum that finds benefit under the tax shelter. Opposite the famous case of This Must Be the Place, a movie by Paolo Sorrentino awarded at the 2011 Cannes Film Festival and produced by Indigo with Lucky Red and Medusa, an emblematic case of a pluriinternational co-production involving France, Ireland, and the United States thanks to a complex planning of direct and indirect resources coming from each country involved in the production. The movie also received money from Euroimages Funds. In Italy, as in other countries that activated tax shelters, the idea is to discourage coproductions. This should be something the industry should think over in a nearby future. The business commitment required by an international coproduction is important – both on an artistic and management level – and is fundamental in the valuation of the entire costs/benefits of the project. Naturally, if co-production is an alternative for major countries that produce cinema, for smaller or emerging countries it’s a fundamental tool for the sustainability of quality filmmaking in order to compete on international markets. The United States have certainly dominated the history of last century’s cinema, thanks to a potential market that cannot be compared to other western countries neither for dimension nor budget, also supported by an economy based on a free market that exports, through film and television products, even a cultural model. Cause-effect was the reason behind the powerful growth of the Studios, a complete and complex system based on an industrial structure that developed, produced, and distributed an amazing number of films conquering major market shares both within the domestic and single Western markets. Studios that continue working at a high rhythm have faced a major competitor over the past decade in its own house: the Indie industry, that found in the Sundance Institute – founded in the beginning of the Eighties by Robert Redford – a fundamental role for its 111 English version development and international visibility. In spite of the primate of the Majors, a group of Indie producers that make low budget movies (1 million dollars per film vs. the 20 million of a Studios movie) and that need to exploit their own creative talents to put together a financial plan has been growing. The main source of financing, in the absence of direct public support, lies in foundations and private organizations within the country, several equity systems, and tax credits that exist in some of the US states, plus the coveted money awarded to festival winners.1 In USA, the trend leads to a valorization of the creativity of an Indie producer, who needs to survive side to side with major hyper-structured colossus, which although owners of a high share of the market, seem to be getting quite tired. At the same time, as in all other economy sectors, the China phenomenon is exploding: in the past ten years the Chinese film industry has grown extraordinarily both in numbers and in box-office results. In 2011 791 movies were produced and collected 1.63 billion Euros with an increase of 28% compared to the previous year. The profits made with government financing was 875 million Euros, +53% compared to 2010. The average budget for a movie that will certainly be successful in China is anywhere between 2.5 and 5 million Euros. To understand the dimensions of this market in depth, an average successful movie is distributed in exhibits in nearly 8,000 prints. The public contribution to production is therefore fundamental in the development of the Chinese film industry and the need expressed by major producers or the few Indie filmmakers of this market is to balance the phenomenon through an increase of private resources and through access to the international market. Besides the significant direct public financing that covers most of the mainstream movies 112 Eurimages support to co-productions, 2006-2012 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 N.co-productions supported 56 61 57 55 56 72 68 N. co-productions supported with Italian participation 15 11 10 7 10 8 7 €19.265.500 €21.508.000 €20.200.000 €19.460.000 €19.260.000 €22.350.000 €21.710.000 €6.683.500 €5.505.000 €4.214.000 €3.100.000 €3.810.000 €3.260.000 €2.840.000 Tot. support to co-productions Tot. support to co-productions with Italian participation budgets, presently in China other two sources for a producer are bank financing – available however only for films directed by famous directors – and several investment funds, that puts together many small investments that would otherwise go lost. One of the great themes that puts together the phenomenon is the control operated on the market by the government that, besides offering major contributions, acts through two tools: censorship and import shares, according to which every year a maximum of 30 foreign movies can enter the Chinese market. Opening to foreign film industries seems to be the true goal of the Chinese film industry. The most immediate requests are, on one hand, coproductions – a very useful access key to the Chinese market for the foreign partner, since movies co-produced with China are not part of the import shares – and on the other hand festivals and international markets. Opening to foreign markets is one of the most important aspects of a festival’s value, and the example of China offers a positive answer to the starting point of this discussion. 1 For an in-depth analysis of tax incentive plans in major European countries and in several USA states, check Chapter 1 of the essay LE RICADUTE DEL TAX CREDIT. L’impatto economico delle forme di incentivazione alla produzione cinematografica, ANICA – MiBAC DGCinema – LUISS Business School, 2012. Available online here: http://www.anica.it/online/tax_credit/L E%20RICADUTE%20DEL%20TAX%2 0CREDIT.pdf Tax credit in USA States bile feri tras Alabama Alaska Arizona California* Connecticut Georgia Hawaii Illinois Indiana Iowa Kansas Kentucky Louisiana Massachussetts Michigan Missouri Montana New Jersey New Mexico New York North Carolina Ohio Pennsylvania Rhode Island Tennessee Utah West Virginia Wisconsin totale 14 Source: Special Report Movie Production Incentives 15 le abi ors b rim Sul prossimo numerO in uscita a marzo 2013 SCENARI Chi ha paura del successo? Perchè in Italia si fa così fatica a conciliare qualità e quantità? INNOVAZIONI I fan film. Di che storie ha bisogno il cinema italiano? FOCUS Come funziona il cinema in Russia. (Gary Cooper in Mr. Deeds Goes to Town, 1936, di Frank Capra) ISSN 2281-5597 9 772281 559003 30002 Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -70% - Aut. GIPA/C/RM/04/2013 " Le persone celebri non bisogna mai guardarle da vicino"