Testimone dello Spirito - Fondazione Gesù Divino Operaio
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Testimone dello Spirito - Fondazione Gesù Divino Operaio
Testimone dello Spirito Testi di don Giulio Salmi I testi pubblicati in questo volume sono per lo più tratti da «Collaboriamo», periodico della Fondazione Gesù Divino Operaio. I titoli sono redazionali. Si ringrazia Mauro Finelli per la preziosa collaborazione. La scelta dei testi è stata effettuata da don Alberto Di Chio. Prima edizione 2003 © Copyright 2003 Fondazione «Gesù Divino Operaio» Via M. E. Lepido, 196 40132 Bologna Tel. 051.40.10.27 Printed in Italy SAB, San Lazzaro di Savena (Bologna), 2003 Presentazione Sono passati sessant’anni da quando Mons. Giulio Salmi è stato ordinato prete. Da quel lontano 1943 ad oggi quanti fatti, quante persone, quanta storia è passata sotto i suoi occhi, il suo ministero, la sua carità!… Don Giulio non è stato solo testimone di questa storia, ma – per la sua parte – ne è stato artefice attivo e generoso. Una delle sue caratteristiche peculiari è stata la sua sensibilità a cogliere i ‘segni dei tempi’, a scrutare l’azione dello Spirito nella Chiesa e nel mondo per rendersi strumento umile ma efficace del Vangelo della salvezza. Non si è preoccupato di parlare molto o di scrivere: la sua parola è stata soprattutto l’eloquenza della carità, del servizio, dell’amore. Ma ogni tanto qualche piccolo scritto di don Giulio è apparso, prevalentemente sul notiziario dell’Onarmo ‘Collaboriamo’. Non con la pretesa letteraria della esposizione completa o della trattazione teorica, ma con il linguaggio del cuore don Giulio manifesta il suo pensiero, le preoccupazioni, i progetti, a volte il suo rimprovero per un cammino che vorrebbe più deciso e coerente… Partendo dalla sua storia personale e della Chiesa bolognese, egli parla delle varie iniziative che man mano crescono sotto i suoi occhi: dai Rastrellati durante la guerra alle varie opere per il mondo del lavoro, dei giovani, degli anziani, dei poveri, degli extracomunitari… Si direbbe che man mano che passano gli anni, quello che potrebbe sembrare fantasia si trasforma sempre più in obbedienza allo Spirito nella concretezza dell’amore. Ora apparentemente don Giulio non può più parlarci o scrivere il suo pensiero. Il Signore gli ha chiesto una nuova e più dolorosa partecipazione alla Croce. Ma il suo sguardo penetrante e la semplice sua presenza in mezzo ai suoi è di una straordinaria ricchezza per tutti. Anche questo volume vorrebbe essere un tentativo per continuare ad ascoltarne la voce, a non disperdere l’animazione profonda che ha guidato le varie fasi della sua vita, a portare avanti – nella fedeltà alle origini - un patrimonio spirituale valido anche nel terzo millennio. don Antonio Allori Bologna 1 maggio 2003 – Villa Pallavicini 3 APPUNTI DI UNA VITA Il prete del lager N el febbraio 1944 fui nominato dal Cardinale Arcivescovo Giovanni Battista Nasalli Rocca, cappellano di questi lavoratori, dietro interessamento della prof. Maria Bagini presso l’ufficiale tedesco addetto a questa attività, il colonnello Friedmann. Dal giorno del mio primo ingresso alle Caserme Rosse in quello stesso mese di febbraio, per tutta la durata del loro triste funzionamento, e fino ai bombardamenti che distrussero il centro di smistamento come tale, 14 persone in tutto – fra uomini e donne – si presentarono per partire volontari. Fu nel mese di giugno che il fenomeno della deportazione in massa mi apparve in tutta la sua orribile imponenza. Cominciarono ad arrivare dapprima i carabinieri, colpevoli d’aver prestato un solo giuramento, poi gente di Toscana e delle Marche, strappati con la forza alle famiglie e alla terra che li aveva visti nascere, per andare a morire, la maggior parte di loro, al di là del Brennero. Le Caserme Rosse cominciarono allora a mostrare il loro vero volto ed il significato che assunsero in quei giorni, fu nero presagio di quanto avvenne in seguito. A completare il quadro della situazione, si deve dire che c’era anche un reparto di militari, che conducevano vita autonoma, occupando tutta l’ala sud del fabbricato; esso era composto di alcune centinaia di militari aderenti alla Repubblica di Salò, con ufficiali e cappellano militare. Chiesi ed ottenni dal Cardinale di prestare l’assistenza religiosa agli uomini che i tedeschi stavano ammassando nel campo, uomini che il popolo aveva già battezzato con immediata e dolorosa espressione “rastrellati”, come se un gigantesco pettine d’acciaio fosse passato sulla loro terra, trascinando con sé in anonimo miscuglio operai ed intellettuali, uomini di scienza ed impiegati, gente resa affine da una sorte crudele. A coadiuvarmi in quest’opera che si rivelava di giorno in giorno più necessaria vennero, per ordine del Cardinale, due suore della Congregazione delle Visitandine, incaricate della refezione calda. Erano suor Matilde e suor Raffaella. 7 La sorveglianza era esplicata da una pattuglia comandata da un ufficiale tedesco e da un’altra composta di militi della GNR. Venne costituito un ufficio medico, composto di un gruppetto di expartigiani alle dipendenze del dott. De Biase, che doveva designare, d’accordo con un ufficiale medico tedesco, l’idoneità o meno dei rastrellati al lavoro in Germania e sul fronte italiano. Era brava gente all’ufficio medico e di alcuni ricordo ancora i nomi: Amedeo Tarozzi di San Cesario sul Panaro, poi Vice-Sindaco del suo paese alla liberazione; ed inoltre Tantini, Frabetti, Sancini tutti di Castenaso. La vita che si conduceva era nel complesso ancora sopportabile: i tedeschi del primo periodo (febbraio-settembre 1944) e come loro le guardie repubblicane tennero un contegno assai umano e per quanto continuassero a servire l’ingiustizia, con me molte volte disapprovarono le malvagità commesse dai nazisti. Gli sventurati che dovevano finire ai lavori forzati o alla deportazione arrivavano quasi sempre di notte: gli autocarri ce ne scaricavano quanti potevano esserne stipati nei cameroni – anche migliaia in una sola notte – mentre a volte nemmeno si fermavano, proseguendo per Fossoli di Carpi, dove era situato un altro campo, o per essere convogliati direttamente al Brennero. Le città più colpite dai rastrellamenti furono Firenze, Pisa, Lucca, Livorno, Siena. Ebbi modo di conoscere le malefatte della cosiddetta “Banda Carità” ed i particolari strazianti dei prelevamenti operati dai tedeschi nottetempo, quando, violentate le mogli al loro cospetto trascinavano i rastrellati così com’erano, credendo di aumentarne lo scherno, non sospettando di rivestirli della dignità di Cristo sul Calvario. Sul principio la presenza di un prete nel campo dette l’impressione, a quanto poi mi venne riferito, che io fossi lì per “tenerli buoni” e non per aiutarli. Per parte mia, posto di fronte ad un compito che eccedeva di gran lunga le mie povere forze, cercai di comunicare, quanto più possibile, attraverso i mezzi a mia disposizione ed il mio colloquio avveniva al Vangelo, ove parlavo con semplicità, con il cuore in mano, ottenendo quasi sempre con l’aiuto di Dio l’amicizia e l’apertura del loro cuore, la confidenza e la possibilità di lenire sofferenze tanto aspre. Il luogo che avevo scelto per esercitare, prete di 23 anni, il ministero sacerdotale era realmente una palestra tra le più difficili, ove alle difficoltà ambientali si sposava la diffidenza dei comandi tedeschi. Tuttavia cercai di organizzarmi nell’intento di far fronte al progetto tragicamente grandioso di assistere, in condizioni quasi impossibili, 8 migliaia di persone; trovai alcuni sacerdoti miei coetanei, alcune crocerossine, alcuni giovani coraggiosi. Rivolgendomi a destra e a sinistra per avere aiuto e comprensione, scoprii che era molto facile ottenere l’uno e l’altra: ogni giorno riferivo al mio Arcivescovo sull’andamento del campo, descrivendogli lo stato penoso di quella povera gente, ottenendone sempre sollecitamente l’espressione dell’umana solidarietà, il sospirato tangibile aiuto anche in denaro e la collaborazione di tutte le forze cattoliche. Venne costituito un Comitato “Pro Rastrellati”, chiamato Pro-Ra, che fece del suo nome un simbolo di carità eroica, prodigandosi con tutti i mezzi a disposizione per alleviare le sofferenze. Questo gruppo in realtà era nato quasi un anno prima col nome di O.N.A.R.M.O., per giustificarne l’attività agli occhi delle autorità civili e militari (in principio, nell’ottobre 1943, non furono più di 4 persone; poi giunse fino a 24 per salire a 50 con la Pro-Ra); tuttavia privatamente esso conservò sempre quello più realistico di Pro-Ra. Furono aperti altri centri di raccolta, mettendo a disposizione il ricreatorio Salus, il collegio San Bartolomeo di Via Riva Reno, il Seminario ONARMO di via Valverde, il Convento dei Canonici Lateranensi, mentre centinaia di rastrellati furono inviati agli ospedali San Domenico e Sant’Orsola. Centro di propulsione, luogo di incontro, rifugio tranquillo era l’Arcivescovado, messo a disposizione in tutto il suo piano terreno: l’archivio fu riempito di centinaia di quintali di farina, mele, vestiti, generi di prima necessità e di conforto, distribuiti poi tra i vari centri di raccolta e smistamento, ai quali si aggiunge la basilica di San Petronio ed i locali di Via Zamboni 22. Si lavorava in grande unità di spirito e compattezza di intenti: lo scopo principale restava quello di fare quel bene che era tanto necessario in quelle circostanze, sia a quelli venuti da lontano sia alla gente trascinata giù dal nostro appennino. Soltanto nel campo delle Caserme Rosse furono 35.000 i rastrellati che soggiornarono, in tragico avvicendamento, dal giugno all’ottobre 1944. Cercai di trascorrere in mezzo a loro quanto più tempo mi era concesso, raccogliendo le confessioni di circa 7.000 persone e facendo giungere le loro lettere alle famiglie lontane, tramite l’Arcivescovado di Bologna, quello di Firenze prima e di Lucca poi. Trovai in ogni spirito grande rispondenza ed un profondo, disperato bisogno di non cedere alla solitudine e di alimentare la speranza. Così molti ritrovarono, per mezzo dell’opera dei sacerdoti, civili e crocerossine della Pro-Ra, la serenità perduta ed il coraggio necessario ad affrontare il pericolo della fuga. 9 Molti, riusciti nel loro drammatico intento, vollero essere messi a contatto con formazioni partigiane: a tutti indistintamente continuò l’affettuosa assistenza del Comitato. Naturalmente le fughe dei rastrellati suscitarono maggiori sospetti e ritorsioni di quanto non potessero pacchi-dono e assistenza religiosa: la sorveglianza e l’ostilità nei miei confronti si fecero più pressanti e soltanto la Divina Provvidenza in un paio di occasioni poté impedire che concludessi tragicamente il mio lavoro alle Caserme Rosse. La situazione precipitò alla fine di settembre quando ci fu il cambio della guardia: il comandante fu sostituito e vennero le SS. Le Caserme Rosse videro tra i rastrellati anche 18 preti della nostra diocesi, dei quali uno anziano. Mentre la Pro-Ra continuava la sua opera benefica ed io mi adoperavo per rendermi maggiormente utile, giunse il veto delle SS: mi si proibiva, pena la morte, il servizio religioso dentro le Caserme Rosse. La mattina del 9 ottobre fui buttato fuori dei cancelli, mentre una folla di bolognesi mi si parava tutt’intorno a chiedermi notizie dei congiunti che erano di là: assolsi per l’ultima volta questo compito con le lacrime agli occhi. La signora Tagliavini, ex assessore al Comune di Bologna, doveva più tardi ricordare questa scena, essendo anch’essa in quella folla assiepata ai cancelli del campo, per chiedere se il marito si trovasse all’interno. Mi recai subito a riferire al cardinale Arcivescovo, che mi ricevette in cucina a Villa Revedin mentre era già pronto per uscire: si informò di tutto, mi sbatté personalmente un uovo e mentre versava un po’ di latte, parte del liquido si versò sulla porpora, poiché vedendoci poco aveva afferrato il recipiente per il becco anziché per il manico. Nessuna parola di circostanza o di conforto avrebbe potuto giovare di più al mio morale che quella squisita affabilità e quel piccolo infortunio quasi divertente occorso al Principe della Chiesa. Una componente della Pro-Ra, la signora Bice Braschi, rimase alle Caserme Rosse nella sua qualità di crocerossina fino al 12 ottobre, quando un pesante bombardamento danneggiò gran parte dei fabbricati, con morti e feriti e fuga di quasi tutti, militari compresi. La caserma d’artiglieria di viale Panzacchi divenne il successivo luogo di raccolta dei rastrellati. Il 14 ottobre Sua Eminenza mi comunicava che potevo riprendere il mio lavoro di assistenza alla caserma d’artiglieria ed anche ai gruppi di rastrellati che erano a Pieve del Pino, Sasso Marconi (Villa Malvasia), Croara, Paderno, Roncrio e nei nuovi centri da noi istituiti. Soltanto i toscani in quei giorni erano quasi 2.000 a Bologna: perso10 ne cui siamo tuttora legati da rapporti di affettuosa amicizia. L’attività assistenziale continuò su tutto il fronte dei centri di raccolta. Il Natale del 1944, mentre il paese era ormai spezzato in due tronconi, vide il miracolo della Pro-Ra che confezionò e distribuì 2.000 pacchi dono contenenti vestiario, dolci e sigarette per i rastrellati costretti al lavoro sul fronte nei dintorni di Pianoro, Rastignano, Sasso Morelli, Lugo e Conselice. Il 21 aprile, con la primavera, giunse la liberazione. Un caloroso e commosso omaggio venne improvvisamente quanto spontaneamente rivolto dai rastrellati, ormai liberi di far ritorno in seno alle famiglie lontane, all’indirizzo del Cardinale Arcivescovo e fu come un trionfo mentre Sua Eminenza tornava in Arcivescovado dal Comune. Da questo racconto di dolori e di lacrime, ma anche di autentiche testimonianze di eroismo si trae l’immagine di quella eclissi di civiltà in cui la logica della violenza aveva precipitato uomini e strutture. Nacque allora il moderno volontariato come rifiuto di veder cancellata ogni traccia di umanità e chiara denuncia di un sistema che aveva alle sue origini il mistero del male. In quei giorni drammatici la Chiesa, e il suo pastore, tennero viva la speranza di un mondo nuovo in cui libertà, giustizia e solidarietà si dessero la mano. A mezzo secolo di distanza sale dal profondo del cuore l’anelito e l’impegno di non disperdere un’eredità così preziosa. Non ci lasceremo travolgere da una retorica commemorativa. Vogliamo che quella cordata fraterna riprenda il suo slancio sugli impervi tornanti del secolo che muore. 1995 11 A PERENNE MEMORIA O Maria, madre desolata, nei giorni dell’ira alzammo lo sguardo a te dai capannoni delle Caserme Rosse, su cui si allungava l’ombra funesta dei lager dello sterminio. Vergine del silenzio, Signora delle solitudini, ai piedi della croce tu hai provato le stesse angosce che figlie, fidanzate, spose, mamme soffrirono in quel tempo, quando ogni pietà fu spenta e uomini senza cuore e senza volto consumarono con lucida follia, nel segno della croce uncinata, il crimine di lesa umanità. Nell’attesa di riabbracciare i nostri cari lontani salì a te il nostro grido, madre della speranza. Ti pregammo di intercedere per noi presso il Cristo tuo figlio. Fu esaudita la nostra supplica. Oggi, in questo campo, noi superstiti collochiamo con animo memore la tua venerata immagine. 21 aprile 1995 50° della liberazione di Bologna 12 Medaglia d’oro dal Comune di Bologna I llustri Signori, Mentre sento in me vivo il desiderio di esprimere la mia riconoscenza per l’onore che mi si è voluto accordare, sento il dovere di collegare, sia pur brevemente, il momento che stiamo vivendo questa sera con altri “momenti” della mia vita di prete bolognese, impegnato a porre le mie povere forze al servizio della comunità intera e in particolare al servizio di coloro che il Cristo via via mi indicava come gli esclusi, gli oppressi, i deboli. Povere forze le mie, ma grandi e memorabili l’arco di tempo e gli eventi in cui quelle forze si sentivano sollecitate a rispondere e ad agire. Nel momento crudele della guerra, quando, spente ormai le illusioni pagane del potere della violenza e del diritto del più forte, erano i poveri a soffrire più di ogni altro le conseguenze di ciò che non avevano voluto, mi trovai, giovanissimo sacerdote, chiamato dal Signore in mezzo a coloro che attendevano, e forse neppure più speravano, una parola di speranza ed un volto amico. Mai come allora capii che non da mia capacità, ma solo dalla bontà del Signore poteva venire quell’ansia, che allora sentivo, d’essere presente e attivo tra i fratelli colpiti dalle sciagure della guerra. Non ero l’unico prete a sentire in quei tempi tale ansia e tale angoscia: perciò sono sicuro che, questa sera, nel voler onorare la mia persona, in realtà Bologna vuole celebrare la memoria ed esprimere la riconoscenza per tutti i miei confratelli nel sacerdozio, che nel momento del bisogno seppero tanto fedelmente portare a tutti l’amore appreso da Cristo, piangente per l’amico Lazzaro. E, dopo la guerra, la faticosa rinascita, e insieme la possibilità per me di ritirarmi da un’azione di supplenza che ormai la società civile poteva riassumere, per dedicarmi a quel servizio dei poveri che, caratteristica peculiare del sacerdozio cui Cristo mi aveva chiamato, si esprimeva nelle due vie essenziali e inseparabili dell’annuncio del Vangelo e del concreto e sollecito aiuto ai più sfortunati. E molti, moltissimi erano in quegli anni gli sfortunati che, come sap13 piamo, son sempre i poveri a pagar cara la ricostruzione di ciò che non possedevano e non possederanno: negli sfruttati, e in particolare negli operai, il Signore mi si presentò per chiedere che provassi a donare ciò che Lui mi aveva affidato da porgere ai fratelli. Sperimentando così la gioia sublime di servire i poveri, facendomi il più possibile simile a loro, e cercando con tutte le mie forze di amarli di un amore vero, sincero, che non tenesse conto di differenze o separazioni, ma unicamente della comune paternità di Dio, ho avuto la grazia di una vita densa, quasi affollata, di volti, di esistenze le più diverse, di persone….tante persone, che vorrei qui riunite in questo momento per dire loro quanta ricchezza hanno portato nella vita di un povero prete. Ringraziare tutti voi: infatti per me questa sera è soprattutto l’occasione di dire grazie: grazie per tutto quello che da voi ha appreso in tanti anni; grazie per il sostegno che avete dato alla mia vocazione sacerdotale; grazie infine, per essermi stati vicini nei momenti meno facili della mia vita. E insieme al ringraziamento venga la mia richiesta d’essere da voi compreso e perdonato per tutti i momenti nei quali non sono stato all’altezza della mia missione; momenti nei quali avete cercato in me, senza trovarlo, il volto amoroso di Dio Padre. E, infine, l’impegno: impegno d’essere tra voi, sorretto da voi, a ripetere un annuncio di salvezza che, come si limitava a fare nella sua vecchiaia l’evangelista Giovanni, si sintetizzi, si concerti e si esprima in pochissime parole: - Amatevi l’un l’altro, fratelli carissimi! 8 Ottobre 1968 14 Il Vangelo continua... S ono stato accolto il 12 ottobre 1932 al Collegio dei Buoni Fanciulli, in Via Zamboni n. 53, da don Filippo Cremonini. Eravamo in 14 giovani, dalla prima media alla terza media. L’ambiente era bello: due saloni con 7 letti ciascuno, un ingressino, una sala per mangiare che serviva anche per studio, una cappella, una cucina e una camera per le suore Orsoline suor Ardea e suor Elena. Tutti erano assistiti gratuitamente, la Provvidenza pensava a tutto tramite don Filippo. Lascio di descrivere le angosce di chi, libero nei campi, diviene prigioniero in un centro cittadino. Rimaneva solo il sogno di tornare in estate in quel paradiso meraviglioso che era il Farneto. Si viveva per questo. Poi la scuola al ginnasio liceo “M. Malpighi”. Che supplizio! Che tormento! Una vera prigione. Poi si allargano gli orizzonti, si scopre che un mondo meraviglioso è dentro di te. Trovi a 12 anni Gesù il Signore. Il Farneto è bello quanto Gesù. Gesù sostituisce il Farneto. Allora tutto cambia. Sei preso, comprendi, desideri di conoscere, di donarti e di essere tutto a tutti. La bontà di don Filippo diviene un punto base di partenza e di ritorno. In quell’anno scolastico 1932-33 don Filippo parla di don Giovanni Calabria come di un santo. Le vite dei santi mi piacciono tanto, ma un santo vero, un santo da miracoli fa un po’ paura, poi non vi dico i discorsi di Roberto e di Giuseppe. Il giorno che don Calabria arriva in Via Zamboni 53, sono costretto a letto per influenza. Non si può sfuggire. Passa accanto al mio letto. Un esame di coscienza. Mi guarda con occhi così profondi e così buoni! Mi benedice e mi dice parole buone. Tutto il mio creato su di lui cade, non avrò più paura. Mi sembra veramente un santo. Non mi ha scacciato! Non mi ha maledetto! Non mi ha rimproverato! Don Giovanni Calabria è veramente l’amico di don Filippo. Se don 15 Filippo è buono, al dire di don Filippo, don Calabria è cento volte più buono. Tutto quello che fa don Calabria diviene patrimonio nostro, anche la storia delle sedie che si muovevano da sole, le sue opere, i suoi scritti, tutto. Anche di far parte della sua famiglia noi desideriamo. Poi ci sono dei dispiaceri in casa di don Calabria. Finalmente due figli di Don Calabria, don Augusto Cogo e don Mariano Sartori sono mandati a Bologna per fare una unica famiglia con il piccolo collegino di don Filippo. Immediatamente la loro bontà ci conquista. Traslochiamo a San Vittore, luogo bellissimo ma un po’ lontano dal centro. Noi 15 ragazzi conosciamo finalmente la preghiera, la meditazione, la direzione spirituale. Don Augusto Cogo ci parla spesso di don Calabria, della sua bontà e della sua santità. Abbiamo visite importanti. L’abate Caronti viene a piedi da Bologna a San Vittore. Si ferma due giorni. Ci interroga, non capisco niente, so solo che ci rovina i nostri piani di quei giorni. Poi la Provvidenza (sempre si parla della Provvidenza di Dio) ci dona una magnifica Villa con parco alla periferia di Bologna, in un luogo stupendo dove sorgeva la secolare chiesa di S.Maria in Valverde e dove i ragazzi di S.Filippo Neri da Bologna venivano lì a ricrearsi. La scuola è a pochi minuti di strada. La casa viene intitolata a San Benedetto. Il collegio cresce, i ragazzi sono già tanti. Don Augusto Cogo ci porta nell’estate del 1935 finalmente a Verona a vedere don Calabria. In luglio del 1935 primo incontro con don Giovanni. Confessione. Mi lasciò questo ricordo, di essere come Daniele il profeta, giovane da orizzonti cosmici. Fu un incontro che determinò la mia vocazione. Poi nel 1937 i rapporti con Verona e la Casa Buoni Fanciulli cessarono per il Collegino. Don Augusto e don Mariano partirono da Bologna. Don Filippo prese una nuova strada. Il 20 luglio rimase sempre la giornata che indicava a don Filippo la via di Verona perché era la festa patronale della casa, e ci parlava di don Giovanni con entusiasmo e nostalgia. Venne la guerra, le lettere di don Giovanni venivano lette per trovarvi i segni del Signore. Nel 1943 feci i miei esercizi spirituali nella casa di Maguzzano, il 20 agosto, festa di San Bernardo, sarà una data che non dimenticherò. In quei giorni vidi don Giovanni: fu veramente paterno. Il nostro Arcivescovo, il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, aveva venerazione grandissima per don Giovanni, diceva: è un santo. 16 Nel 1945 con il Cardinale Nasalli Rocca vidi di nuovo don Giovanni. Le sue parole furono per me sempre illuminanti come ci aveva detto sempre don Filippo. Don Giovanni ricambiava questa amicizia di don Filippo con una stima ed una libertà veramente da santo. Don Filippo aveva conosciuto don Giovanni quando era militare, tenente di complemento a Verona. Era divenuto suo discepolo, obbediente e devoto. Da quell’incontro fino alla morte, avvenuta il 29 settembre 1970, don Filippo parlava di don Giovanni con gioia ed entusiasmo. Sentiva da vivo di avere un guida sicura, da morto un avvocato in Cielo. 1984 17 Alle Caserme Rosse S ono cinquant’anni dalla vostra deportazione alle “Caserme Rosse” di Bologna in Via Corticella. Molti arrivarono il 31 Marzo, gli ultimi il 10 Ottobre 1944. Fu un triste calvario che ho dentro di me ogni giorno. Furono momenti di grande sgomento. Ognuno aveva un dramma da raccontare e poi c’era l’incognita della guerra perduta dai tedeschi che per questo erano più “velenosi”. Facevamo arrivare a Lucca e a Firenze le vostre lettere ai famigliari; erano più di quattrocento ogni sera. Siete stati presi dal letto, dai campi o dal lavoro, eravate smarriti. La Pro.Ra (pro-rastrellati) vi portò qualcosa per vestirvi, molto insufficiente per le vostre necessità, ma con il cuore e la donazione totale dei sacerdoti, ragazze e “fucini”. Poi venne la chiusura fra Bologna e la Toscana e la guerra si portò sulla linea gotica. Più di duemila rastrellati erano rifugiati nelle caserme, nei centri profughi, nei conventi e nelle case private. Il Convento di S.Domenico, divenuto ospedale, era il rifugio più sicuro. Chi non ricorda don Guerrino Fantinato sempre pronto ad aiutarvi, chi non ricorda padre Innocenze Casati domenicano sempre disposto a portare le nostre pene al Comando Tedesco? Tutto questo è passato. Ci siamo incontrati tante volte a Bologna, specie a Villa Pallavicini, per dirci che ci volevamo bene. Ora su questo amore edifichiamo una nuova era di libertà, di pace e di gioia. 1994 18 Come è sorta l’idea Q uesto che sto per dirvi ha una lunga storia, si inserisce in un lungo cammino di continua corrispondenza e di visite fra l’O.N.A.R.M.O. ed i rastrellati dai tedeschi nel periodo della guerra che va dal 1943 al 1945 alle Caserme Rosse. La cifra documentata di questi rastrellati passati da Bologna è stata di circa 35.000 persone, alle cui famiglie fu dato un segnale di vita, tramite i Vescovi di Firenze e di Lucca, e ogni giorno con il corriere Pardini di Corticella partivano, con la farina, 1.000 lettere, e questo dal giugno al settembre 1944. Poi cominciarono le corrispondenze, le visite e culminò nel 1947 con un incontro alle Caserme Rosse e al Vescovado di 800 persone, con pellegrinaggio a S.Luca. Poi furono inviate circa 7.000 lettere il 18 aprile. Poi incontri a Pisa, Firenze, Lucca. Infine visite, almeno 10, a Bologna con la partecipazione di un centinaio di rastrellati ogni volta. Bisognava ricordare le Caserme Rosse come punto di coalizione di tutti i cattolici durante la deportazione a Bologna. Fu un momento molto suggestivo quando nel 1974 il Sindaco di Bologna ricevette dal Demanio Militare quei locali per la città. Feci un pensierino di radunare lì tutti quei fratelli anziani che vi avevano passato giorni di angoscia per farne un centro di speranza. Dopo alcuni anni mi recai dal vice – sindaco per esporre il mio programma, ma mi fu risposto dal dr. Gabriele Gherardi che già l’Istituto Giovanni XXIII (ex ricovero cittadino) avrebbe lì costituito un Day Hospital. Chiesi anche se si poteva con un segno di solidarietà dei cattolici bolognesi ricordare con un gesto significativo quel periodo. Mi fu risposto che bisognava chiederlo come comitato di tutti i rappresentanti cattolici. Fu durante una cena a Villa Pallavicini con l’assessore Mazzetti che si decise di lasciare un ricordo durante il raduno dei rastrellati indetto per il 1 maggio 1983. Poi tutto tacque. Improvvisamente nel luglio del 1983 il Comune decise di porre alle Caserme Rosse una lapide, così come era stata dettata da Mons. Luciano Gherardi. Dal 1956 l’O.N.A.R.M.O., con un accordo con l’E.C.A. inviava cir19 ca 400 poveri in soggiorno gratuito alle Case per Ferie estive. Da questi contatti si è cominciato a conoscere con più razionalità le necessità degli anziani. Si è iniziato, con tanto successo, dal 1979 una accoglienza diurna di questi anziani a Villa Pallavicini nei mesi di luglio e agosto. La convivenza dei giovani con gli anziani è stata meravigliosa. Questo ha fatto sorgere il desiderio di fare qualcosa di permanente per continuare così valida esperienza. In questo ultimo periodo si è reso disponibile il terreno ai confini di Villa Pallavicini; si è deciso di acquistarlo per costruirvi sopra quest’Opera permanente: un Villaggio per anziani, con casette dotate di orto e giardino. Gli anziani saranno liberi di programmare il loro ménage di vita, potranno usufruire di un servizio permanente di assistenza sanitaria e sociale. Per gli anziani che vivono soli sarà disponibile la mensa dei ragazzi ospiti della Villa. È mio vivo desiderio che il complesso abbia il nome di “VILLAGGIO DELLA SPERANZA Giacomo Lercaro” per ricordare il suo dono della Villa Pallavicini alla nostra opera. 1989 20 Nella Chiesa di Bologna G li educatori di questi figli del popolo hanno battuto tutti la via maestra già tracciata dai santi; usati gli stessi metodi, svolto il medesimo programma anche nella nostra Bologna. La schiera di questi educatori delle generazioni giovanili e dei benefattori dei figli del popolo era numerosa nella nostra città quando noi ci affacciammo alla vita; poi andò assotigliandosi sempre di più finchè scomparve. E di loro non rimane che il benedetto ricordo. Accenniamo ai più vicini a noi di tempo e di luogo. Don Grandi fondava in Castel San Pietro l’Istituto dell’Immacolata; e, in Bologna, i fratelli Gualandi raccoglievano i sordomuti e le sordomute in un ampio e magnifico Istituto. E prima di loro, il Padre Lanzerini e don Moretti avevano dato vita a due collegi per orfani, ed il benemerito canonico Breventani pensava alle povere orfanelle, che raccoglieva in uno dei nostri più fiorenti ritiri. Viveva nella nostra Bologna un santo, che spandeva attorno a sé luce d’esempio e fiamma di carità: quel gran servo di Dio Mons. Giuseppe Bedetti, la cui figura patriarcale e maestosa dopo 46 anni dal suo volo verso il cielo, rivive e parla tra noi e rimarrà in eterna benedizione con le sue “Scuole Notturne” e le “Congregazioni Festive” per gli operai. Dietro al suo esempio fiorirono allora in Bologna le Congregazioni Mariane, dirette secondo il metodo tradizionale di educazione e di formazione spirituale, da lui usato coi figli del popolo. Dietro le sue orme giunse a santità anche quel Don Antonio Cornacchi umile e caritatevole, che la Congregazione della SS.Trinità ancora ricorda con venerazione e riconoscenza e che ebbe a successori Mons. Luigi Pedrelli e D.Scarabelli, il venerando P.Bonora, seguito dl P. Zuffi, faceva rivivere nei giovani dell’Oratorio lo spirito di S.Filippo Neri. Il Canonico Achille Manara (che fu poi vescovo di Ancona e Cardinale) e il fratello suo don Carlo dirigevano la Congregazione festiva di S.Nicolò; don Lodovico Neri e don Giovanni Scandellari quella di S.Maria della Visitazione al Ponte Lame; don Carlotti quella di S.Stefano; don Pedezani quella di S.Colombano; don Cappelletti, seguita poi dal Canonico Raffaele Mariotti, fondatore dei Ricreatori Ma21 schili Popolari Cattolici, quella della Maddalena; don Gamberini quella della Mascarella; don Agostino Gnudi, sì benemerito con la sua scuola per i chierici poveri, quella di Santa Maria della Pietà; don Franzoni quella delle Muratelle; Mons. Ranuzzi de Bianchi che fu poi vescovo di Recanati e Loreto e cardinale, quella degli Angeli. Ora sono nella gloria immortale; ma quando rifiorirà la mistica aiuola di spiriti accesi della medesima fiamma, che vengano a gettare nelle anime giovanili i semi di eterna verità? 1985 22 Onarmo: ieri – oggi – domani C redo sia opportuno per me ed anche per voi fare un “excursus” della storia dell’O.N.A.R.M.O. di Bologna. Della sua fedeltà al Signore e della sua infedeltà al Signore. Narrare tutte le grazie che il Signore ci ha fatto, confessare tutti i nostri peccati. Per noi si apre la vita dell’O.N.A.R.M.O. nel febbraio 1944. Quando l’Italia è divisa in due e gli italiani sono in guerra gli uni contro gli altri. La Chiesa è la Madre degli uni e degli altri. Ma tutti i due mondi sono radicali: o con noi o contro di noi. Fortunatamente c’è un resto silenzioso, molto numeroso, di persone che ragiona e pensa di affidare al Signore questi fratelli, di mettersi al lavoro per gettare ponti, distruggere fortilizi e di presentarsi a tutti con il solo Vangelo di Gesù. Come sempre i primi generosi e i primi a capire queste verità (come per la Risurrezione di Gesù) furono le donne, che in 100 si misero al lavoro per fare ponti, fare dialoghi costruttivi su base di cose necessarie alla vita, portare messaggi di vivi, dispersi dalla guerra e infondere speranza; a chiamare altri a lavorare con loro. In questa fraternità venne la liberazione dai tedeschi e dai fascisti. Iniziò subito la caccia all’uomo dall’altra parte. Ecco, le stesse donne sfidando gli stessi pericoli iniziarono a fare le stesse cose di prima, portare messaggi di speranza, viveri di necessità. Poi arrivò finalmente la pace degli italiani. Iniziò una nuova era. Non più eroismo fino alla morte, ma dare senso alla parola “amore”, fare partecipi tutti del pane, della casa e del lavoro, perché ogni uomo fosse veramente libero. Momento difficile. Appaiono gli egoismi, le gelosie, il desiderio di comandare. Nascono le simpatie e le antipatie. L’umanità si mostra nella sua realtà. È finito il tempo degli eroi. Con queste donne e con questi uomini bisogna costruire un nuovo mondo, una nuova società, non fondata sul profitto, ma sulla fraternità. Ora non sono più i saggi anziani a credere a questo; ma i giovani e molti. L’O.N.A.R.M.O. è presente in tutti i campi dove c’è uno spirito nuo23 vo da infondere: l’O.N.A.R.M.O. a Bologna è dei laici. Sono loro a infondere agli altri laici questo spirito di fraternità. A certi livelli della vita ecclesiale ci sono: P.Giorgio Flich, Mons. Luigi Bettazzi, Mons. Luigi Dardani, Mons. G. Baroni, veri apostoli che cercano solo il Regno di Dio. È un crescere continuo, dove non si è accettati, si manda chi è accettato, dove si è combattuti si risponde con il Centro della Pace, dove ci si vuole morti, ci si presenta come vittime da uccidere. Si supera anche questo primo periodo di lotta intestina e si arriva all’entrata in Bologna come Vescovo di Mons. Giacomo Lercaro. Non è più il periodo clandestino, ma ora si agisce ai raggi del sole, Lui Pastore avanti avanti, avanti, e noi gregge si tenta di seguire. Esplodono le iniziative. Il Cardinale Lercaro è sempre presente. Ma i laici dell’O.N.A.R.M.O. sono sempre in forma o si sono adattati a un nuovo tenore di vita? Ecco le nostre colpe. Abbiamo ceduto le assistenti sociali Nardini Liliana, Wilma Decio, Lucilla Fronticelli, Gabriella Gardini, Giuseppina Vaccari Grossi, Giorgina Balboni Gottardi. Siamo diventati poveri; una società senza le donne è poverissima, non ha più il senso della misura. Gli uomini da soli sono tante briciole. Sono rimaste le collaboratrici delle varie attività con tutto l’entusiasmo e poi perderemo anche loro in parte divenendo sempre più poveri. Gli uomini, è successo come quando è stato arrestato Gesù, sono svaniti nel buio, solo pochi e qui ricordo Dante Calzoni che ha sempre conservato lo stesso spirito, anzi si è assunto il peso di tutta la baracca, pregando, soffrendo e portando la croce ogni giorno. I soci fondatori sono spariti per sempre. Hanno iniziato altre attività alcune personali, altre sociali e pubbliche. Abbiamo gustato il calice fino all’ultima goccia. Poi si continua. Il Signore manda sempre dei segni visibili in uomini che incarnano l’ideale dell’O.N.A.R.M.O. dei tempi eroici. I laici tornano sovrani con l’Associazione Matteo Talbot, si continua e si spera di fare sempre quello che piace al Signore. Il nostro motto: “Noli timere, Ego sum”. 1988 24 Lo spirito degli inizi C he cosa ci ha spinto a fare le case per ferie? La nostra formazione spirituale ed umana per i lontani, che sono la gente della nostra terra, i parenti, gli amici. Poi la guerra, la guerra fratricida, la fame, il freddo, l’odio, e il sospetto. Nel digiuno forzato e nella preghiera in quel tempo abbiamo scoperto la paternità e l’amore di Dio, il valore dei profeti e la bontà del Vescovo. Fra i tanti ricordo don Giovanni Calabria, don Giulio Facibeni, il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, veri uomini della speranza ed autentici testimoni del coraggio. Le giornate a Bologna dal 21 al 25 Aprile: desolazione materiale, morale e spirituale. Dalle dieci assoluzioni sacramentali della Confessione nei rifugi antiaerei, alla bestemmia e al rifiuto della Chiesa e di Dio. Nel Natale 1945 visita alle officine del Gas, alla Sabiem, alla Calzoni, alle Officine dell’Azienda Tramviaria: rifiuto totale, sia dagli operai e sia dagli industriali; per il prete, così gradito durante la guerra, ora non c’è più posto. Sorgono a migliaia le sale da ballo, perché tutti vogliono divertirsi, neanche i più saggi pensano a costruire e farsi un avvenire materiale. La Chiesa si chiude, si apre un fossato. I nostri e gli altri. Gli altri a Bologna sono tanti. La Roma male informata aiuta i nostri. Gli altri? Assistenza, pacchi, beneficenza ecc.. All’Officina del Gas, come agli esploratori di Gerico, ti salva una ragazza: alla Sabiem ti viene in aiuto un divorziato… Vendetta, morte, terrorismo rosso dopo quello nero. Il Vescovo di Bologna rimane lo stesso di ieri cioè paterno. I suoi giudizi sono severi, ma con la pazienza la Chiesa vince. I pochi cristiani delle fabbriche ti supplicano di non andare. Allora si gettano ponti per coprire il fossato: mense interaziendali, ristoranti economici, colonie per i figli degli operai, assistenti sociali di fabbrica, aiuto a tutti. Chi pensa ai giovani? La G.I.A.C. ha formato cristiani autentici. Ma essi messi nel caldero25 ne delle fabbriche, hanno spesso sentito la mancanza di una loro formazione sociale e ciò causò tanta confusione politica. Nel 1945 al Farneto vanno alla Messa domenicale tre persone. Prima erano più di 400 su 500 parrocchiani. Necessita dare speranza ai dispersi, rifare le famiglie, trovarsi in un ambiente lontano dalle lotte. Siamo senza soldi quando nel Natale 1946 espongo a don Giovanni Calabria (chi lo conosce e ha letto i suoi scritti, rimarrà meravigliato) la mia vita vagabonda per trovare un modo di aiutare questi fratelli; egli mi dice: “Continua, non avere paura, il Signore ti darà quell’unione con Lui, che tu temi di perdere. La Chiesa oggi deve fare quello che tu tenti di fare”. Così nel 1947, in agosto, con sette milioni di debiti si parte, guidati dal giovane Dante Calzoni con 16 giovani, per Canazei. Inizia l’esperienza delle Case per Ferie. Vita da pionieri. Ore tre alzata, ore 21 riposo sulla paglia, S.Messa, rosario, meditazione, esame di coscienza. Il 15 Agosto alla recita dell’Angelus, sulla forcella del Sassolungo, Carlo lancia l’idea delle Case per Ferie per gli amici vicini e lontani. Senza un soldo si affitta ad Alba di Canazei il vecchio albergo Fedaia. Ernesto pensa al numero degli ospiti: è classificato per 15 ma si può adattarlo per ben 111 ospiti. Poi la Curia suscita lo scandalo della promiscuità di maschi e femmine. Il Cardinale chiede consiglio ad un padre di famiglia, il Conte Paolo Senni, il quale lo rassicura e gli dice che è un bene che i ragazzi si conoscano in un ambiente sano. Si prenotano più di 150 giovani di Azione Cattolica, ragazze e giovani per lavorare. Molti chiedono di fare anche un’esperienza in missione fra i più poveri. È una grande primavera! Sorgono le case per gli apprendisti e i fattorini, sorgono i campeggi per i fanciulli e le fanciulle e tutto gratuitamente. A S.Vigilio su 70 ragazzi, dai 14 ai 20 anni, 50 sono con le tessere del F.G.C. Siamo nel 1949: scomunica al Comunismo e “Miremur” alla C.G.L. Poi arrivano ragazzi soli, abbandonati dalle madri, perché d’estate sono in altri luoghi. Le case per ferie non superano mai il numero di dieci, ma i campeggi in località diverse raggiungono anche i quaranta. Nel 1959 siamo sotto zero: duecentosettanta milioni di debito. Sulla parola e l’esempio del prof. Giorgio La Pira si inizia a costruire la palestra e gli impianti di Villa Pallavicini. 26 Si lasciano ristoranti, le cooperative di consumo, le mense aziendali. Preparazione professionale e sportiva per i giovani. La Casa di ospitalità S.Petronio accoglie gratuitamente 1000 giovani e altrettanti alla Polisportiva. Si continua con le Case per Ferie. Ma oggi in molti è avvenuto un fermo di entusiasmo. Lo spirito di sacrificio si è allentato. Siamo diventati vecchi! Fu fatto un giuramento di distruggere tutto, piuttosto che fare prebende per i canonici. Ci rinnoviamo o distruggiamo. I giuramenti sono sacri, bisogna mantenerli. Per me oggi i lontani sono più del 1945; anche noi siamo senza identità. La Chiesa ha ritrovato nel Concilio la sua espressione di verità, ma non la sua unità di metodo: lo Spirito Santo che agisce nella Chiesa e nei singoli deve infondere a noi dell’O.N.A.R.M.O. una piena comunione con il Vescovo per esprimere con forme nuove e con mezzi evangelici, questo nostro dono di servizio alla nostra Chiesa. Dobbiamo essere i servi inutili e sempre disponibili ove il bisogno ci attende. Tutti i sacerdoti che attendono alle iniziative dell’O.N.A.R.M.O. debbono sentirsi responsabili in proprio di tutto, quando anche momentaneamente sono impegnati nel ministero delle Case per Ferie. Così pure i collaboratori. Non vi sia fra di voi nessun maestro, ma tutti discepoli di quel Maestro Divino che “non è venuto per essere servito, ma per servire”. 1988 27 Rievocare le origini V ecchi amici delle Case per Ferie, facciamo una chiacchierata e rievochiamo insieme quei tempi di ricerca comunitaria di un sistema per comprenderci ed amarci. E ci riuscimmo perché ci credevamo e perché volemmo. Credere e volere: due verbi che non debbono mai mancare ad un cristiano. Credere a Dio ed agli uomini, volere con tutte le forze, rinnegando noi stessi e scarificandoci per gli altri. 1945 – 1946 – 1947: anni meravigliosi, libertà riconquistata; noi giovani del ’20 scoprivamo le fonti della vita associativa. Eravamo ansiosi di conoscere le encicliche sociali dei Papi, le opere sociali dei grandi che il fascismo ci aveva impedito di conoscere. Volevamo essere utili. Non più solo per i ragazzi, a cui le belle esperienze di Miramare, Riccione, Igea Marina, ci avevano entusiasmati, ma provarci a conoscere, per sentirci pronti ad operare. La G.I.O.C., di cui era segretario diocesano Dante Calzoni, provò l’esperimento. Eravamo 17: 13 operai, un sacerdote, 2 impiegati e un giovane apprendista. Si partì per Canazei di Fassa con destinazione l’Albergo Croce Bianca. Era il giorno 10 agosto dell’anno del Signore 1947. L’Albergo era affittato dalla Pontificia Commissione Assistenza di Bologna. Il direttore ci cacciò fuori dicendo di non aver posto. Un bel fienile dell’Albergo Rosa, di cui era affittuario il parroco della Maddalena di Bologna don Arturo Stanzani, fu messo con tanta comprensione a nostra completa disposizione da don Arturo. I soldi erano pochi. Il sacerdote aveva 1.000 lire in tutto e in più alcuni pacchetti di sigarette della razione. I viveri accumulati erano sufficienti, ma sovrabbondava l’anice per le gite. Qualche minestra riuscimmo ad averla dalle cuoche della Pontificia, ma quello che trovammo lassù fu come trovare noi stessi. Il silenzio della montagna, la magnificenza di quei luoghi ci fecero trovare la forza di credere agli uomini e di farci operare in questo sen28 so. Fu una illuminazione dello Spirito Santo. Non temevamo più nulla, volevamo solo essere utili. Servire gli altri con tutto l’entusiasmo. Sarà sempre memorabile la scalata del 15 agosto 1947 alla Forcella del Sassolungo e a mezzogiorno, quando stavamo per recitare l’Angelus, le parole di Carlo: “Se portassimo qua tutti gli operai di Bologna, ci ameremmo di più e ci riconosceremmo tutti fratelli”. Fu la scintilla, il gruppo non parlò d’altro, anche se i più giovani dovevano cercare le stelle alpine da inviare alle presunte fidanzate, anche se i tre della balla del maglione non potevano sottostare a tutte le ferree leggi di Dante, il discorso era sempre quello: aiutare gli altri. Si andò ad Alba. Alba fu incontro di fede. Si combinò per il vecchio Fedaia. L’anno prossimo saremmo venuti in tanti, per conoscerci, per amarci, per servire ed infine per dare uno scopo alla vita, che è il pensare alla nostra origine di figli di Dio, parlare al Padre con la preghiera e vivere la grazia. Abbiamo creduto, siamo venuti a vedere ed ora siamo un popolo. Più di 20.000 sono stati gli ospiti delle Case per Ferie. Siamo nati peggio che a Betlemme: in un fienile accomodato da Dino eravamo in trenta a dormire. Povero Fedaia, fatto per 15 posti, così diceva la Guida del Touring, siamo stati fino a 125. Pian della Sega, Villa Azzurra, nomi indimenticabili di gioia e di saper vivere con poco. Poi sono venute le Case di S.Vigilio di Marebbe, di Bagni di Moso, di Perra di Fassa, di Fonti di Pejo, di Passo allo Stelvio, di Casere, di S.M. Maddalena di Funes, di Tarasp in Svizzera, di Semriach in Austria, di Granaglione, di Porretta Terme, di Milano Marittima, di Gaggio Montano. Con il passare del tempo le attrezzature e gli impianti sono migliorati e non sono più richiesti i sacrifici dei pionieri. Lo spirito però deve rimanere intatto; sempre ci deve unire una profonda amicizia ed una sentita fraternità, una disposizione di servizio nei confronti degli altri, perché solo in questo sta il segreto della vera pace interiore, che si spande al di fuori di una serena felicità. Con questo spirito le Case per Ferie potranno affrontare serenamente, e con consapevolezza della loro utilità, un altro ventennio. 1966 29 La lezione della storia U n gruppo di potere, nell’anno zero dell’Era Volgare, teneva nella mano di pochi tutto il mondo. La legge che dominava era la forza. Dopo 1974 anni, il mondo è in mano di pochi. Anno zero i Romani, anno 1974 gli Americani e i Russi. Anno zero, lo spettro della schiavitù e della morte – anno 1974, la distruzione totale dell’uomo. Anno zero, gli abitanti del mondo conosciuto erano venti milioni circa – anno 1974, gli abitanti sono oltre tre miliardi e mezzo. Anno zero, comandava solo Cesare Augusto, imperatore dei Romani. Ora un triumvirato, ridotto a due, e poi chi vincerà…? Chi sarà quel nuovo imperatore del mondo? Forse Kissinger? Cosa ti fa pensare a questo: Medio Oriente, Grecia, Portogallo, Cile, di questi giorni? Qualcosa di nuovo c’è a rompere gli schemi di equilibrio e a turbare la pace fittizia, uomini che non vogliono essere schiavi. Sarà come nel 70 d.C. la fine di Gerusalemme; come nel 104 d.C. la fine di Masada. Chi è l’uomo che può dirsi libero, se non il cristiano? Siamo noi, in virtù della nascita di Gesù Cristo, che dobbiamo essere i segni di questa rivolta, non possiamo assistere passivamente a questo nuovo scempio; a noi la morte non importa, perché per la nascita di Gesù siamo vivi. A noi le ricchezze, i beni di questo mondo non interessano, perché se vogliamo essere suoi discepoli dobbiamo abbandonare tutto. Davanti agli sforzi di giustizia e alle iniziative di violenza, a chi impugna le armi, ai sequestri, dobbiamo rispondere con i fatti, farci sequestrare – non per perpetuare un sistema di oppressione – ma per indicare a questi fratelli rivoluzionari che non è questa la strada giusta, ma un nuovo modo di vivere, e indicare ai fratelli nella fede di essere Chiesa, segno del Cristo che viene a nascere. Indicare con i fatti concreti il modo di essere cristiani. Così è il Natale. 30 La mia casa è aperta per mangiare e dormire a tutti, tutti i giorni. La mia vita deve essere povera e desiderare di essere il servo degli altri. Essere pace e portare la pace a tutti. In qualsiasi posto della società civile che io occupi, ritenermi sempre l’ultimo, il servo di tutti. Così viene risolta la crisi del mio essere cristiano, è questo l’apporto minimo che posso dare ai fratelli. Così si celebra il Natale. Così comprendiamo perché il Figlio di Dio, Re universale, nasce in una stalla. In questa maniera si preparano gli sposi a fare la loro casa. Tutte le altre maniere sono falsificazioni del Natale e ipocrisie per noi. 1974 31 I segni dei tempi A “ ttendere i segni dei tempi”: per me è il compito principale del cristiano e del sacerdote, e l’O.N.A.R.M.O. ha atteso a questi segni; e guai a noi se cambiamo rotta. Nel 1943 erano gli sfollati, in particolare i rastrellati, i deportati, i prigionieri politici. Nel 1945 erano i prigionieri che tornavano dalla Germania e dagli altri campi di prigionia, e tutti i bisognosi a causa della guerra. Poi le mense popolari: con poche lire si mangiava primo e secondo. Nel 1946 i bambini nati durante la guerra, denutriti e malati, a migliaia furono mandati nelle colonie. Nel 1947 le prime esperienze dei lavoratori sulle Dolomiti per vivere insieme un momento della loro vita in pace e amicizia: sorsero così le Case per Ferie. Nel 1951 la prima Casa del Giovane Lavoratore a cui ne seguirono altre. Nel 1954 il Centro Professionale “San Petronio” e la base sportiva per i giovani. Sempre nel 1954, per vivo desiderio del card. Giacomo Lercaro, il Villaggio dei giovani sposi come testimonianza che la casa è un bene necessario per l’uomo. Nel 1955 la comunità dei sacerdoti per il mondo del lavoro. Nel 1962 penetrazione in tutti gli ambienti di lavoro. Nel 1964 fondazione del Centro di Azione per la Pace; identità di vedute con tutti i lavoratori sul problema della pace. Nel 1965 parrocchia come esperimento di lavoro e di carità. Nel 1968 a tutti i sacerdoti dell’O.N.A.R.M.O. un campo più specifico di lavoro per mettere a fuoco questi segni. Nel 1970: responsabilità in diocesi per la pastorale del mondo del lavoro. Documento pastorale del Consiglio Pastorale Diocesano per gli operai, considerato dagli esperti della pastorale (vedi mons. Ancel) il più aderente ai problemi religiosi dei lavoratori. 32 Poi un momento di stasi e di riflessione: - nel 1968 abdica il card. Giacomo Lercaro; - nel 1970 muore don Filippo Cremonini; - nel 1974 muore don Tonino Zanotti, - nel 1976 muore il card. Giacomo Lercaro; - nel 1978 muore il prof. Cesare Ottaviani. Sono segni troppo importanti per non tenerne conto. Bisogna che il Signore si manifesti, parli. Nel 1978 ecco la casa di preghiera di S.Vittore. Nel 1979 una malattia mi porta alle soglie della morte; le vostre preghiere mi hanno tirato fuori. Nel 1979 non sono più Vicario per il mondo del lavoro. Il Signore parla e si manifesta: sorge la nuova Casa per ferie a Castiglione dei Pepoli. Attenzione tutta particolare agli anziani ed agli studenti eritrei. Ma non è tutto: don Guido Gnudi alla responsabilità della Polisportiva e della Casa del Giovane Lavoratore. La creazione della Associazione Matteo Talbot degli amici delle Case per ferie e del tempo libero e della Cooperativa Matteo Talbot. Sono questi i segni che il Signore ci ha manifestato, e noi dobbiamo dare, sempre dare senza aspettare il grazie, e tutto nella Chiesa con il Vescovo per formare il “popolo di Dio fatto di apostoli, profeti e sacerdoti”. Programmi per il futuro tanti, e come al solito li esperimentiamo insieme e se sono buoni e voluti da Dio rimarranno come segni del suo Amore. Tutte queste opere sono state fatte perché si è atteso alle necessità del momento. Quando l’O.N.A.R.M.O. si è accorto che il campo delle proprie azioni era realizzato meglio da altri, ha rivolto la propria attività laddove nessuno ancora operava. 1980 33 Fioretti delle origini ALBA 1947 Diciassette giovani operai, in campeggio a Canazei, il 15 Agosto 1947 sulla forcella del Sassolungo ideano la prima Casa per Ferie. ALBA AGOSTO 1948 Siamo in tanti nella prima Casa, il “Fedaia” di Alba. Tre giovani, Luigi, Dino ed Ernesto vogliono scalare il Collaccio. Scende la notte e li accoglie in parete. Sono in calzoncini e maglietta. Si sono fermati a cavalcioni di un pino. Noi siamo in angustia. Un fiammiféro ci segnala la loro presenza. Apriamo la chiesa e cominciamo a pregare. Il mattino dopo il Soccorso Alpino ce li porta a casa. Uno di loro ci racconta che nella notte un vento caldo proveniente dalla chiesa li ha scaldati. Dopo alcuni giorni, in visita a quel punto, non c’era neppure il pino che li aveva fermati. CIMABANCHE 1954 È stato scelto come uno dei posti più belli delle Dolomiti. C’è una casa dell’ANAS con l’acqua potabile e anche la luce. Portiamo su vecchie tende della ex GIL. Si sono prenotati 90 ragazzi. C’è tutto da allestire perché il giorno dopo arriveranno. Due giovani di 17 e 18 anni si offrono di preparare il campeggio. Sono Angiolino e Massimo. Partono con una lambretta. Vi mettono la tenda canadese con alcuni viveri; arrivano, piove e le tende fanno acqua. Con coraggio e audacia vanno a S.Candido al Comando degli Alpini. Chiedono del Colonnello. Li riceve e dicono: “Don Giulio ci ha detto di rivolgersi a Lei per montare le tende”. Il Colonnello non conosce don Giulio, come don Giulio non conosce il Colonnello. Li fa entrare nello studio. Li guarda, anche lui ha un figlio della loro età che si gode le ferie ad Alassio. Chiama il tenente, fa preparare una decina di tende, manda dieci alpini e per il giorno dopo tutto è preparato. Quegli alpini non ci lasceranno mai, merito anche delle tagliatelle di Zia Mela. 1998 34 Teresa di Lisieux Q uanti libri di avventura aveva letto Ignazio di Loyola. Lo avevano esaltato, ma uno, la leggenda dei santi, cambiò quel cavaliere in un asceta e in un grande santo. Nella mia vita è stato la “Storia di un’anima” di S.Teresa del Bambino Gesù a farmi conoscere l’amore di Dio per me. Su quella scia è stato facile esaminare e avere la pace nel cuore. Tutto è possibile a chi ama. Allora solo l’amore è necessario a vivere. Siamo figli di Dio e lo siamo realmente perché per noi ci ha dato suo figlio, e per distruggere tutti i peccati del mondo Gesù si è sacrificato sulla Croce, è morto e risorto. Dal 1925 da quando fu dichiarata santa, l’ebbi come consigliera, aiuto e protettrice. Devo a lei la mia consacrazione sacerdotale. Devo alla sua ispirazione tutti i momenti della mia vita. Debbo a lei il mio amore per il Papa, il Vescovo e Roma. Nel 1945 per 50 giorni visitai Roma dalle 6 del mattino alle 18 di sera. A lei l’emozione delle catacombe e dei martiri. Fu lei che mi liberò dall’andare a Roma a lavorare in una Congregazione del Vaticano. Fu lei che mi fece conoscere i poveri. Fu lei che mi sostenne nelle insidie di cedere alla ribellione contro i ricchi, veramente insensibili ai diritti dei lavoratori. Fu lei con una grazia singolare a volere la Casa di S.Sisto per i fattorini. Fu lei con un gesto della sua Mano a deviare i colpi di lupara dai ragazzi che giocavano a S.Vigilio di Marebbe. Questi fatti sono stati per me un segno della sua presenza in tutte le nostre attività religiose e sociali. Quest’anno ricorre il centenario della sua morte. Andiamo a ringraziarla alla sua tomba a Lisieux, perché continui a intercedere per noi presso il Padre celeste per operare il Regno di Dio fino alla fine dei giorni. 1996 35 Don Giovanni Calabria • Nel 1933 il primo incontro a Bologna in Via Zamboni 59 presso il Collegio “Buoni Fanciulli”, una visita breve ma efficace. • Nel 1936 a Verona nella Casa dei Buoni Fanciulli di S. Zeno in Monte. • Nel 1945, d’estate, un incontro assieme al Cardinale G.B.Nasalli Rocca a S.Zeno. • Nel 1946, il 1° gennaio, sempre a S.Zeno in Monte. • Nel 1948/49 a Maguzzano, con l’on. Angelo Salizzoni ed altri amici. L’incontro che più mi ha colpito e che ha avuto per me un segno di gratitudine perenne è stato quello del 1 gennaio 1946. Ero stato a passare l’ultimo giorno dell’anno 1945 a Pescantina, da don Tonino Zanotti preposto alla assistenza dei reduci dei campi di concentramento della Germania e degli altri paesi già dominati dal Reich. Avevamo passato una serata serena, il freddo era intenso; nella tenda, avevo riempito la stufa di tanta legna ed avevamo preparato le brande e brindato al nuovo anno 1946; il tubo della stufa, surriscaldato, fece prendere fuoco alla tenda, ci avvisarono quelli delle tende vicine quando era già divampato anche all’esterno, e cominciarono a portare secchi d’acqua. Io inciampo nelle corde, cado e mi bagno tutta la veste, il fuoco aumenta ma all’improvviso si apre un buco nella tenda. Il resto della notte lo passai con don Tonino a discutere i programmi delle nostre attività future al cielo aperto. Il mattino seguente celebrammo la Santa Messa nella cappella del centro, poi chiesi a don Tonino di condurmi a Verona da don Giovanni Calabria; gli avevo parlato tanto di questo prete da rendergli difficile la mia compagnia. Dopo un fresco viaggio in motocicletta da Pescantina a Verona, arrivammo verso le 9,30 alla dimora di don Calabria; chiedo di parlare con don Giovanni ma mi rispondono che è impossibile: il Padre è in camera ammalato. Allora mi reco sul terrazzo che domina dall’alto Verona, di fronte alla camera di don Giovanni; giro, prego. Ho bisogno di parlare con lui. Ecco che all’improvviso arriva un signore e mi dice che don Giovanni vuole vedermi; conoscevo quel gentiluomo, era il conte Fran36 cesco Perer, fratello religioso dell’Opera: anche lui dava l’impressione di un vero santo. L’incontro con don Calabria fu quello di un figlio con il padre. La sua bontà, la sua magnanimità, l’apertura di orizzonti cosmici rafforzarono la necessità di continuare in questo campo di assistenza che avevamo iniziato: era questo che voleva Gesù e la sua Chiesa…Continuate, continuate ed aumentate il lavoro, il Signore è con voi.. Mi confessai e poi volai alla Basilica di San Zeno dove avevo appuntamento con don Tonino. Ero tanto felice e comunicai la mia gioia a don Tonino; a questo punto gli dispiacque molto di non aver visto e parlato con don Giovanni; credevo, mi disse, che fosse un prete di tante Ave Maria, ma dalle tue parole mi sono accorto che è un profeta, un grande profeta. 1988 37 Don Calabria santo N el luglio 1936 il mio primo colloquio con don Giovanni Calabria. Avevo 16 anni. Con don Augusto Cogo, don Angelo Magagnoli e Giorgio Marzadori partii per Verona. Non ci interessavano le meraviglie artistiche della città. Ci interessava solo vedere don Giovanni Calabria a tu per tu. Arrivai a S.Zeno in Monte con una veduta stupenda su Verona. Perché ci interessava solo don Calabria? Dal 1932 don Filippo Cremonini ci parlava di questo santo vivente. Don Augusto aumentò la dose, essendo vissuto con don Giovanni tanti anni.. L’accoglienza della casa splendida. Il pranzo insieme con don Giovanni, superiori e ragazzi. Poi alle 16 del pomeriggio nello studio di don Giovanni, soli. Il nostro colloquio di 20 minuti mi confermò quanto mi avevano detto: è veramente un santo. Mi lasciò con queste parole che non ho mai dimenticato: “Sii come Daniele, dai sogni cosmici… Sii una stufa che prima riscalda se stessa e poi tutto l’ambiente, non una candela che brucia e poi si consuma… Sii una conca sempre piena d’acqua, non un rubinetto che funziona solo se la conca è piena”. Mi benedisse dicendomi: “Ama Gesù e amalo tanto”. Sentii che Gesù era in Lui; tanto è vero che scendendo dalle scale mi fermavo per vedere se c’era Gesù con me. 1999 38 Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca C hi è questo Cardinale? Un vescovo del medioevo che ha sconfitto i barbari con la parola e la corona del rosario. A lui si deve se 50.000 bolognesi non sono stati deportati in Germania; a lui se il magnifico Santuario di San Luca non è stato distrutto! Allora io sogno che Bologna per lui facesse un grande piazzale davanti alla Basilica di S.Luca e in questo 50° di liberazione intitolasse a lui quel piazzale. Sarebbe per Bologna un decoro e per lui finalmente un riconoscimento. I documenti che attestano quanto detto si trovano nell’Archivio Arcivescovile di Bologna. Noi dell’O.N.A.R.M.O., modestamente, gli dedichiamo nel Villaggio della Speranza la sesta Corte. 1996 39 Il Cardinale Giacomo Lercaro H o assistito alla Sua morte il 18 ottobre u.s. Ho pregato. Ho pianto. Ho pensato poi al suo lavoro apostolico. Ho rivissuto i suoi piani geniali di evangelizzazione. Ho partecipato alle sue gioie ed ai suoi molti dolori. Ho visto la mensa del Vescovo in cui si spezzava il pane con giovani poveri. Ho visto le sale del Vescovado accogliere gli operai della Ducati licenziati, trovare parole di giustizia e pane per i figli. Ho visto il Cardinale visitare l’azienda, farsi operaio fra gli operai e stringere migliaia di mani. Quando un suo sacerdote viene minacciato di essere scacciato da un’azienda, Lui si trova ai cancelli dell’uscita degli operai per ribadire la sua solidarietà con quel sacerdote. Non solo il pane è necessario alla vita, ma il lavoro e la casa. Costruisce, come segno da imitare da enti pubblici e associazioni industriali, 58 appartamenti per giovani sposi tutti in condizioni disagiate. È un grande segno il villaggio “Cardinal Lercaro”, fatto fidandosi della Provvidenza. Si preoccupa dell’alloggio a Bologna dei fattorini. Dice che non una, ma dieci, venti case sono necessarie. Ogni canonica ospiti gratuitamente questi ragazzi. Lui ne dà l’esempio in casa sua. Visita tutte le Case per Ferie dei lavoratori. Ne mette un limite: una nuova casa ogni anno. Vuole vedere tutti suoi diocesani in ferie, e per loro, ogni anno, celebrerà la S.Messa prima a Passo Pordoi, poi al Sella. È un momento di fede e di amicizia. Vuole a Villa Pallavicini, da Lui donata all’O.N.A.R.M.O. di Bologna, una “Casa di Ospitalità” per giovani apprendisti, una “base sportiva”, un “Centro Professionale” per la formazione dei giovani lavoratori. Indica come necessarie alla diocesi altre tre basi sportive, una a Sud, altre a Nord ed a Est della città. Costituisce una comunità di sacerdoti impegnati a tempo pieno per l’assistenza ai lavoratori. Indica le vie apostoliche da seguire. Ogni 40 mese ci accoglie in Arcivescovado e ci incoraggia ad ampliare e approfondirci. Un suo sacerdote, cappellano in fabbrica, è minacciato da informazioni sbagliate e false; si reca a Roma a dissipare i dubbi e a ridare fiducia a tutti noi sacerdoti e collaboratori. È sempre tanto affettuoso e paterno. Ha un’anima cattolica. La sua Chiesa di Bologna deve essere missionaria per aiutare le Chiese più povere. Istituisce “il Samaritano” per l’Eritrea, consacra sacerdote don Alberto Gritti per il Brasile. Nella zona periferica di Corticella vuole che il biglietto di ingresso in parrocchia di don Giuseppe Nozzi sia la “Casa della Carità”. Ne vorrebbe tante in Diocesi. Vede la verità della Chiesa così trasparente che ci vuole tutti, noi sacerdoti, in dialogo costante. Ogni ponte lanciato verso gli indifferenti è un segno di amore. Crede al bene ed alla verità. Per questo guarda con grande simpatia il sorgere del “Centro d’Azione per la Pace”. È contento che la sede sia in Via Marescalchi 4, presso l’O.N.A.R.M.O. e che gli incontri si svolgano nella sua Casa di Villa Pallavicini. Vuole esserne informato. Gli amici ex rastrellati che vengono a Bologna li accoglie con paterna bontà, partecipa alla loro mensa a Villa Pallavicini. Parla con loro come amico e fratello e insegna da sapiente maestro. È una grande primavera di speranza e di frutti per il Regno di Dio. Da poco è andato al Padre. Ringraziamo il Padre che ce l’ha lasciato per tanti anni. Ringraziamo per il bene che ci ha voluto. Ricordiamo, cari Amici delle Case per Ferie, quanto ci ha amato. Diciamolo ogni giorno al Signore: grazie per questo dono di avercelo dato come Pastore, Maestro e Padre. Ora dal Signore e dalla sua Mamma, Maria Santissima, ci può ottenere luce per lo Spirito e forza di lavorare per il Regno di Dio in cui lui vive. 1976 41 Don Libero e don Armando R icordare e rivivere la nostra giovinezza è una grande gioia. Noi sacerdoti ogni giorno rinnoviamo la nostra giovinezza con il Pane del Cielo e con il Calice della Salute. Tutto l’universo era nei nostri cuori per portarlo a Cristo. Per noi non vi erano ostacoli. Tutto era possibile. Bastava volere. Erano tempi da pionieri.In quel periodo sono nate le nostre amicizie con don Libero e don Armando. Il Cardinale Arcivescovo Nasalli Rocca, purché informato, lasciava fare ogni cosa per il bene del prossimo ed era molto contento quando le cose avevano successo. Diceva spesso: “…io dei soldi non ne ho; state attenti perché la Chiesa castiga chi fa debiti; ha paura dei debiti dei sacerdoti.” Quando nel 1947 mi trovai indebitato per sette milioni di lire, non avevo il coraggio di parlargliene. Poi, una sera, il mio padre spirituale – P.Innocenzo Casati – mi sollevò dal debito ottenendo un contributo di sette milioni. In questo spirito di totale abbandono alla Provvidenza, ma anche aperti gli occhi e la mano. Gli assegni, per ordine del Cardinale, dovevano essere firmati sempre dal sottoscritto. C’era tanto lavoro e bisogno di tante braccia di laici e di sacerdoti. I laici per fare le cose umane e i sacerdoti per portare la parola del Vangelo. Le cose umane funzionavano ottimamente e prosperavano in qualità e quantità: mense, ristoranti popolari, case per ferie, campeggi per ragazzi e ragazze dai 12 ai 18 anni. Occorrevano sacerdoti per dare il sale della sapienza divina.Il primo sacerdote che abbandonò la parrocchia per mettersi al servizio dei ferrovieri, delle case per ferie d’estate e della squadra di calcio del Bologna oltre a gite e pellegrinaggi fu don Libero Nanni. Don Armando Ricci si dedicò ai cantieri di lavoro e ai corsi professionali: erano tanti, con migliaia di lavoratori. Don Armando ha continuato la sua assistenza fino all’esaurimento. Don Libero continua ancora l’assistenza ai ferrovieri, al Bologna ed alle case per ferie: dal 1948 va ad Alba di Canazei e per migliaia di persone, per lo più bolognesi, è divenuto un punto fermo come amico e confidente. Il 4 ottobre i nostri due amici – don Libero e don Armando – celebrano il loro cinquantesimo di Messa con tutti noi. 1995 42 Don Libero Nanni L e Case per Ferie hanno da parte loro sperimentato fin dalle origini lo zelo sacerdotale di don Libero, animatore e promotore della più vera amicizia e di un più profondo senso di servizio verso gli altri. Pertanto la sua festa è anche la nostra festa. Un mezzo per essergli vicini quel giorno, essendo don Libero presidente della Polisportiva “Antal Pallavicini”, è quello di aiutarlo a mettere a disposizione dei ragazzi e degli sportivi due campi da tennis, che egli benedirà il primo maggio. Ogni offerta, piccola o grande, è un vero regalo. 1970 43 Suor Elena Carletti N ella primavera del 1945 incontrai Suor Carletti lungo le scale dell’Arcivescovado, ci salutammo e con l’audacia del prete della resistenza le chiesi se poteva venire in via Riva Reno 122 ad aprire il refettorio del Papa per i reduci dai campi di deportazione e per i tanti poveri della città. Al n.122 di via Riva Reno vi era una scuola adibita dalle autorità comunali a “Centro Profughi” assegnato all’O.N.A.R.M.O. – il direttore don Angelo Magagnoli era ritornato al suo Seminario dell’O.N.A.R.M.O., alcuni profughi erano già tornati alle loro case. Suor Carletti mi guardò con viso interrogativo, poi disse: verrò a vedere. L’ampia cucina era spoglia di ogni utensile e senza piatti, senza forchette e priva di tutto il necessario; nel cortile c’era gente che chiedeva cibo, molti di loro erano reduci, laceri e affamati. Uscendo, suor Carletti, chiese la chiave e cominciò a portare il necessario per cuocere la minestra, mandò Suor Caterina per cuoca e iniziammo la refezione. Siamo arrivati ad avere fino a 1.000 persone al giorno e tutti furono rifocillati con abbondanza. La fila dei reduci durò per gli anni 1945 e 1946. Nel 1947 c’erano tanti lavoratori dei laboratori vicini che venivano a mangiare un pasto con poche lire. Nel 1946 si iniziò anche l’attività delle colonie: Suor Carletti diede tutta se stessa, interessò tutta la comunità della Casa della Misericordia per l’assistenza a quei bambini nati e cresciuti nelle caserme o nei campi-profughi, malati e deboli; portati gratuitamente dalla P.O.A. nelle colonie. L’organizzazione e la direzione delle colonie era tutta di Suor Carletti. La Casa della Misericordia divenne così il centro di tutte le attività assistenziali della città e della diocesi di Bologna. I Vescovi erano di casa ed i sacerdoti erano i ben venuti. 44 Tutti trovavamo in Suor Carletti quella accoglienza che ci faceva ritenere la Casa della Misericordia come casa nostra. Vorrei aggiungere una nota che mi ha sempre edificato: Suor Carletti amava di un amore intenso tutte le sue consorelle suore. Erano per lei tutte buone e brave. Mai un giudizio, mai un lamento ma felice di essere con loro sempre, sentiva la mancanza della loro presenza come un uoto. Trentanove anni di conoscenza di Suor Carletti sono bastati a conoscere questo amore di Madre per le Figlie della Carità a lei assegnate, era l’esempio più fulgido del suo essere suora ed il segno del suo grande amore per la famiglia di S.Vincenzo, alla quale si sentiva onorata di appartenere. 1985 45 La Madonna e il Sindaco U n plauso a chi ha reso stupendo il Santuario della Vergine di S.Luca, vero decoro e vanto di Bologna. Si può oggi esclamare con il Salmista “La figlia del Re è tutta splendore, gemme e tessuto d’oro è il suo vestito”. Appena liberata Bologna il 21 aprile 1945 il Cardinale Arcivescovo portò l’immagine della Vergine di S.Luca a S.Pietro, cattedrale di Bologna. Una folla di 200.000 persone l’accolse e ogni giorno una grande folla si stringeva attorno al suo altare a dire grazie. Tra la folla anche il primo cittadino di Bologna si fermò ad ammirare quel volto, per un po’ di tempo. Alla sua mente ritornarono i ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza. La Madre aveva colpito il figlio nei suoi affetti e lo capii quel giorno quando mi presentai a chiedere un tetto per una vedova. Mi parlò a lungo del suo esilio, delle sue sofferenze. Aveva nostalgia della sua Bologna, città di pace e di gioia. Aveva desiderio di libertà, aveva visto tante conquiste sociali nella terra d’esilio, ma amava la sua gente. Tanto è vero che quando nel 1947 arrivarono a Bologna 100.000 giovani cattolici da tutta Italia, a questi giovani Giuseppe Dozza aprì il Palazzo Comunale e fece parlare, dal balcone di Palazzo d’Accursio, Carlo Carretto, il quale terminò recitando il Credo e cantando la Salve Regina. Una certa Bologna vide una sfida alla sua fede quando il Partito Comunista decise di costruire ai piedi del Santuario di S.Luca una scuola di partito, ma se esternamente quegli uomini e quelle donne davano l’impressione di voler essere contrari, intimamente amavano quella Madre Santa. E infatti fece bene il Cardinale Arcivescovo Nasalli Rocca nel 1945 a non accettare i 20.000.000 di lire dei cattolici americani che destinarono a Bologna per fare una Casa del Pellegrino a S.Luca con una sigla. Il Vescovo rifiutò i 20.000.000 (siamo nel 1945) e disse “La Casa della Madre deve essere per tutti i figli. Non deve esserci nessuna sigla, nessun motivo di commercio”. E infatti da quella scuola di partito tanti stranieri dell’Est andarono a visitare il Santuario ammirando l’arte e soffermandosi davanti all’immagine della Vergine. E il direttore del Santuario di allora, Mons. Ercole Roda, sacerdote 46 ottimo, mi diceva: “Se tu vedessi quanti russi, rumeni, polacchi, bulgari, ecc., vengono quassù a visitare il magnifico Santuario e quale contegno tengono da fare arrossire i nostri bolognesi”. Così si avverava il desiderio dell’Arcivescovo Giovanni Battista Nasalli Rocca: che tutti, di qualunque idea politica, potessero venire al Santuario, perché non vi era nessun ostacolo di sigle a mettere impedimenti al colloquio intimo tra la persona e la Vergine. Proprio ai piedi della Madonna sono accaduti due grandi avvenimenti. Qui è stato progettato e preparato il piano della cittadinanza onoraria di Bologna al Cardinale Giacomo Lercaro. Qui il Cardinale e il Sindaco si sono incontrati più volte. Qui ai piedi della Vergine di S.Luca si sarebbero potuti evitare due dei più grandi mali d’Italia: il divorzio e l’aborto, se si fosse ascoltata la voce di uomini di Dio. E termino con un ricordo. Mi trovavo nella camera ardente del Palazzo Comunale di Bologna a rendere omaggio al Sindaco Dozza. Vedevo passare centinaia di persone con le lacrime agli occhi e più della metà salutava la bara con il segno della Croce. Mi ricordai di quell’aprile 1945 quando il Sindaco Dozza era in S.Pietro e alcuni dicevano con le lacrime agli occhi: “S’incontrò con gli occhi dolci e affabili della Vergine di S. Luca”. 1989 47 Silenziosi operatori Q uesto è il ricordo marmoreo che viene messo nella Casa “Matteo Talbot” (il facchino irlandese santo) di Alba di Canazei: “Non con l’oro di mecenati, non con fondi reperiti nelle chiese, ma solo dal sacrificio dei collaboratori è stata edificata questa casa, ricordo e monito a tutti della fede e della donazione di chi ha saputo capire l’amore.” Proprio di questi silenziosi operatori dell’amore voglio ricordare qualche gesto e qualche nome. Dante e Gilberto, i primi a darsi totalmente a questo lavoro. Luisa, Suor Matilde, le prime a scoprire il senso profondo di Dio in questo lavoro. Ernesto e Giuseppe, dare tutto se stessi, perché si realizzasse un così nobile sogno. Dino, Gilberto Sgarbi, Sergio e Giancarlo, porre la loro giovinezza al servizio degli altri con tanta fede e abnegazione. Don Tonino Bartoli, don Tonino Zanotti, scoprire nelle vacanze l’anima dei singoli, per dare ad ognuno il cibo necessario per riprendere il cammino verso Dio. Don Libero, don Napoleone, don Giuseppe Poli, chi li può dimenticare? Sono stati i primi, con loro don Bruno, don Colombo, don Dario, don Francis, mons. Sabattani, il caro mons. Vincenzo Galletti, quanto ci ha amato. L’Angiolina e Giuseppe ed il loro figlio don Gianni, quale poema di donazione. Attilio, Vincenzo, Giuseppe, Ermete, Tonino, nomi che non si dimenticano. Elena, Bruna, Maria, Anna, Rosina, Antonietta, Alba, Lea, Elsa, Rina, Lina, Dina, le vere pietre angolari delle Case. Amedeo delle valli nuove, Ivano, Tonino e Corrado, sempre giovani ed entusiasti. L’Ing. Saverio, prima direttore e poi sacerdote assistente. Mons. Pietro Raimondi, padre e guida alle ragazze, con la signora Fina e Paolo. 48 I campeggi del prof. Cesare, Pietro, Ferruccio, Bob e Giovanni. Quelli che ci hanno lasciato: Luciano, il dott. Luigi e mons. Giovanni, sempre pronti. Poi la generazione dei nuovi: don Francesco, don Giuseppe, don Peppino, don Enrico, don Vittorio, don Albino, don Guido, don Gianni. Si aggiungono al gruppo delle generose: Lorenzina, Oralda, Genoveffa, Ninetta, Lucia, Pierina. I giovani portano avanti la fiaccola di un nuovo modo di essere Chiesa: Franco, Alpino, Giorgio. Era un obbligo ricordarli. Ora sto bene. Un grazie. 1972 49 LE PAROLE DALLA PAROLA 51 La vera vita U omini siate e non pecore matte! È meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecora. Lo sportivo che non sa vincere viene meno al suo impegno. Lo Spirito Santo dichiara che la vita sulla terra è una lotta e solo chi vince avrà la corona immarcescibile di vittoria. Il tuo impegno di lotta è su tre fronti: te stesso, l’ambiente, il compagno. Finché non avrai preso conoscenza della tua dignità e delle tue possibilità di trionfo, non sarai un uomo. Sarai sempre una pecora matta senza criterio e senza meta. • Vegeterai e non vivrai. • Ridi ma non sorridi. • Il vuoto più profondo è in te. • Sei da compiangere: appartieni al ceppo animale che nulla ha avuto a che vedere con l’uomo. Lo stile è l’uomo. Occorre un modo di essere. Occorre una presenza di se stessi. Occorre una personalità spiccata. Bisogna andare contro corrente. Gli avvenimenti, le tradizioni, le convenienze se non sono secondo la tua dignità di uomo debbono essere abbandonate. Prima di entrare nella società come uomo, nella pienezza della virilità devi avere messo un fossato fra te e gli altri affinché tu abbia ad assimilare tutto ciò che è buono; farlo parte integrante di te stesso per poter vivere da uomini liberi; di quella libertà onde Cristo ci ha redenti. 1962 53 Ascoltare lo Spirito A i vecchi e nuovi amici un invito ad aiutarci, a camminare nella libertà dei figli di Dio. In questi 30 anni abbiamo camminato assieme per trovarci sempre uomini fra gli uomini e scoprire assieme qual era il fratello che più aveva bisogno d’amore. Nel 1942-45 eravamo tutti sperduti e dall’Uomo-Dio abbiamo avuto la speranza e a tutti, prigionieri, rastrellati, reduci abbiamo cercato di portare il dono della speranza e del pane della pace, con mense, refettori, visite e Pro-Ra (pro-rastrellati). Nel 1945-55 abbiamo pensato ai figli degli uccisi dall’odio e dalla disperazione; abbiamo cercato di infondere a migliaia di giovani la speranza nell’uomo, a credere all’uomo per poter credere a Dio. Allora sono sorte le Case per i giovani lavoratori, le case per i giovani sposi. Erano segni dei valori umani autentici per camminare sempre più avanti, assieme ai fratelli, verso un mondo nuovo pieno di pace. Abbiamo costruito assieme le Case per Ferie, dove ci siamo incontrati ed amati per andare avanti sempre assieme. 1955-1972. La fame di pane era cessata. Lo spettro della guerra era ormai un triste ricordo. La nostra patria entrava a far parte delle nazioni più tecnicamente progredite e benestanti. Bisognava trovare l’uomo nella sua interezza, eliminare gli ostacoli e superare i fossati che dividono gli uomini. Bologna diveniva un campo di prova. Lo Spirito di Dio, tramite il Concilio, si librava su di noi e ci rendeva partecipi dell’amore del Padre che è nei Cieli. La Chiesa era il Popolo di Dio, in cammino verso la terra promessa a tutti: il Cielo. Abbiamo riconosciuto i valori dei giovani, e di tutti, nella cultura, nello sport, negli incontri di pace, ove l’uomo ritrovava l’altro uomo, non più segnato da ideologie, ma un fratello a cui parlare, comunicare, ascoltare e costruire assieme. Scoprivamo che i fratelli più affamati, più ammalati, più bisognosi, erano così per causa del nostro egoismo. A loro si pensava e per loro si 54 tentava di testimoniare con la Casa della Carità, con il Centro San Francesco, con il Samaritano e con altre iniziative. Ora ci troviamo ad operare, per infondere la speranza e l’amore, senza lasciare nulla di quello che è stato fatto di buono nel passato, ascoltando la voce dello Spirito di Dio che ci comanda di fare quello che più libera il fratello e lo sublima di più. Per questo abbiamo bisogno del suo consiglio e del suo fraterno aiuto. Lo Spirito del Signore dia a noi, a Lei e a tutti la sua grazia e la sua pace. Così rinasceremo e il Cristo lo vedremo. 1972 55 Opere di misericordia P adre, tutti quelli che mi hai dato, li ho conservati per Te, o Padre. Sono pieno di gioia e di grande ottimismo quando penso ai tanti amici dell’O.N.A.R.M.O. che sono miei fratelli, perché tutti figli adottivi di Dio. Allora il mio entusiasmo mi fa prorompere in un grido di letizia. Tutto è possibile. Anche piccole cose che abbiamo fatto assieme, possono sussistere e farne tante altre sempre per il bene dei fratelli che sono in condizione di essere aiutati da noi. Non è, credetolo, un elenco di esaltazione, ma un elenco di riflessione: cosa posso fare io! Accogli questo elenco nel tuo cuore, presentalo al Padre Celeste e Lui attraverso lo Spirito Santo ti dirà quello che devi fare qui o altrove. Stiamo entrando in Quaresima, la nostra offerta a Dio sia la preghiera, la lettura della Bibbia e produrre opere di misericordia. Ricordiamo che le opere della misericordia sono 14, ce n’è per tutti. Desideriamo informarvi di quanto cerchiamo portare avanti. Sono sette le Case per Ferie: 1. Alba di Canazei, 2. Cogne, 3. Lizzano in Belvedere, 4. Massignano, 5. Milano Marittima, 6. San Vigilio di Marebbe, 7. San Silvestro di Dobbiaco. Impegnano tanti organizzatori e ospitano tante persone. A Villa Pallavicini sono sorte o continuate tante attività: 1. Casa del Giovane Lavoratore, 2. S.O.S. Beata Vergine Madonna della Quercia, 3. Residenza dei Bosniaci, 56 4. Polisportiva Antal Pallavicini, 5. Villaggio della Speranza, 6. Casa di Accoglienza Card. Nasalli Rocca, 7. Sabato al Villaggio. Tanti giovani, tanti anziani – anziani anche malati. Altre cose sono urgenti: Casa per Ferie – Albergo nella città “Madonna del Borgo”; • Palestra auditorium; • Cooperativa Amici del Villaggio; • Piccolo centro di addestramento al lavoro. Per questi lavori c’è un ufficio in via Marescalchi 4, ove la cooperativa Matteo Talbot dirige tutta la parte amministrativa. Un eletto numero di sacerdoti assiste le Case per Ferie d’inverno, nelle settimane bianche e d’estate. 1997 57 Il mio amore P erché tanti giovani, oggi, non si fanno preti,? perché non sono capaci d’amare. Credono l’amore una sensazione fisica, ma è qualcosa di più sublime e una totale donazione di se stessi all’oggetto da amare. L’oggetto da amare deve essere visibile per conquistare, deve avere tutte le prerogative d’essere degno di sacrificio, di rinuncia e d’attesa. Per me questa conquista è la Chiesa Cattolica Apostolica Romana. È vergine, madre bella e indefettibile: Vergine perché è tutta santa. Madre perché mi ha generato alla vera vita. Indefettibile perché è sempre giovane. Romana perché colui che la presiede è successore di Pietro, primo Vescovo di Roma; Romana perché è cattolica, cioè universale; Romana perché colui che la dirige ha dallo Spirito Santo il dono dell’infallibilità. Ha vinto tutte le eresie, ha sempre conservato il deposito della fede: “Sacra Scrittura e Tradizione”. Ha sempre preservato i suoi fedeli da qualsiasi eccesso di sbandamento quando teorie nazionaliste e anticristiane minacciavano il mondo: a reggere la Chiesa Papa Pio XI. Quando teorie atee minacciavano l’Italia e l’Europa: a Roma Papa Pio XII. Quando il rinnovamento si faceva urgente: ecco il Concilio con Giovanni XXIII. Quando la confusione di rinnovamento invadeva la Chiesa: ecco un santo a Roma, Paolo VI. Così in ogni epoca e in ogni tempo, Cristo ha amato la sua Sposa e l’ha resa presente a risolvere le crisi di coscienza. Allora bisogna cancellare quelle pagine della storia che parlano di “Inquisizione, Papi guerrieri e corrotti, guerre di religione, imposizione coatta del proprio credo”. Sono questi i segni voluti da Dio perché la 58 “Sposa” del suo Figlio prendesse coscienza della sua fragilità e si rinnovasse. Poi lo scandalo di Vescovi e preti autoritari, pieni di sicurezze spirituali, politiche e morali. Anche per questo un amore e una devozione più grande a questa Chiesa che si mostra, nei suoi membri più elevati, bisognosa d’amore per essere sempre tutta bella e splendente. Termino con un ricordo di cronaca: All’Opera di Parigi fu presentata una commedia di Cocteau, c’era anche lo scrittore Francois Mauriac, una scena rappresentava la Chiesa Cattolica Romana come un albero tutto vecchio, brutto e repellente: Mauriac uscì dall’Opera sbattendo la porta. Poi scrisse una lettera al “Le Figaro” dicendo: “Caro Cocteau, quella scena ha offeso mia Madre, più cara della madre natale, quella è il mio amore…” Cocteau rispose scusandosi e ritirò la scena. 1993 59 Nuova evangelizzazione L’ Irlanda di S.Colombano nel secolo VI portò nell’Europa invasa dai barbari una nuova evangelizzazione. S.Pier Damiani e S.Bernardo dopo il X secolo rifecero cristiana l’Europa. Nel XIII secolo S.Francesco e S.Domenico diedero un segno come gli europei potessero salvarsi ad essere cristiani. Nel XVIII secolo, S.Giovanni Bosco, S.Giuseppe Cafasso, S.Benedetto Giuseppe Cottolengo indicarono con quale spirito fare l’unità d’Italia ed essere fedeli alla Chiesa. Ora la Massoneria, la cultura laica radicale e socialista ha impregnato tutto lo scibile italiano. Noi siamo diventati incapaci di resistere a questa ondata di laicismo. Che fare? Ripetere gli stessi riti, non più compresi? Fare le stesse cose del passato prese in giro dai mass-media? Lamentarsi di questi tempi così calamitosi? S.Colombano, come S.Giovanni Battista, minacciò i potenti, e fu esiliato, fondò monasteri e ne è un esempio Bobbio che divenne il faro di cultura cristiana. S.Pier Damiani stigmatizzò gli ecclesiastici indegni e formò a Fonte Avellana un monastero pieno di 50 santi contemporanei. S.Bernardo cambiò i vertici della Curia Romana, dall’alto venne una linfa vitale per il mondo occidentale. S.Francesco e S.Domenico mendicarono con i poveri un pane per donare pane della vita al popolo. S.Giovanni Bosco – S.Cafasso – S.Cottolengo: il primo diede forza ai giovani per essere costruttori di un mondo nuovo; Cafasso nei prigionieri vide Cristo e li amò; Cottolengo indicò negli ultimi il tesoro della Chiesa. All’Italia unita un esempio e uno sprone. Ora si è tornati ai tempi di S.Colombano. Distruggere con la potenza di Dio i santuari degli uomini della cultura laica. Non più misurarsi con costoro che non hanno più nulla in comune con i cristiani. Ma come S.Martino distruggere i santuari di questi pagani perché non sorga un nuovo imperatore apostata. Ce ne sono stati assai in questo secolo. I nunzi apostolici non vivano alla maniera degli ambasciatori, ma siano portatori di quella carità di cui la Chiesa di Roma eccelle. 60 Non avvenga come mi è accaduto in una nazione che il nunzio mi proibì di visitare un campo rifugiati di cui il 50% erano cattolici per non compromettere l’equilibrio diplomatico. Far sorgere tanti luoghi di preghiera e di studio religioso. Essere nella Chiesa una cosa sola con il Vescovo. Non avere paura di allontanare chi la pensa diversamente. Perché il Vescovo porta il pastorale se non l’adopera? È un suo imperativo “regere et gubernare” non solo benedicere et praedicare. La Chiesa è un sacramento pertanto è un’opera di Dio, bisogna conservarla pura e a santa. 1992 61 La lezione della storia L a nostra vita è un esempio, un modello quando noi agiamo secondo il piano di Dio, diversamente è un fallimento. Per spiegarmi meglio, mi porto alla nostra vita durante la guerra. Nei rifugi antiaerei era tutta una preghiera, un confessare a Dio le nostre mancanze. Nelle case a coabitazione vi era pace e amicizia, ci sembrava d’aver raggiunto la solidarietà umana e cristiana. Finito il pericolo della guerra, si è tutto rovinato. La coabitazione impossibile; vantarsi di aver dei diritti, perché si era stati dalla parte dei vincitori. Condannare quelli che la pensavano diversamente, uccidere, impossessarsi dei loro beni. I partigiani credevano di aver liberato l’Italia, avere privilegi, occupare posti rimunerativi. Non pensavano che erano state le preghiere e i sacrifici delle persone buone che avevano ottenuto la cessazione del flagello della guerra. L’uomo aveva fatto altri dei da servire: il denaro, i posti importanti, l’ambizione e l’idolatria del partito che li aveva aiutati a salire. Così gli uomini impegnati nel mondo politico per far valere i valori cristiani nella Democrazia Cristiana, finché sono stati fedeli a Dio, e non hanno voluto per sé denaro, posti importanti, sono stati credibili al popolo, ma quando l’ambizione e il denaro li hanno accecati sono divenuti controtestimonianza cristiana. Così in Europa, basta guardare la Polonia. Dalla profonda fede cattolica ha ricevuto la libertà, poi si è pensato ai propri interessi, ci si è divisi in tante frazioni da rendere impossibile una vita di sviluppo e di amore. Il denaro è diventato un Dio. Così la Cecoslovacchia unita in un solo popolo, poi la divisione della Slovacchia, i risentimenti, le ambizioni, il denaro. Così la Iugoslavia, anche l’Albania l’ultima redenta dal comunismo reale, già rivendica: chi ha sofferto di più deve meritare di più, di essere gli unici capaci di governare. Se avessimo sempre presente la parola di Gesù “Non sono venuto per dominare, ma per servire”. Abbiamo appreso dal Vangelo che noi cristiani dobbiamo essere la cenere che feconda l’albero, essere il sale della terra e la luce del mondo. Sappiamo dalla mistica cristiana che non furono gli eserciti del re, le prediche dei domenicani, ma un atto di amore perfetto a Dio di Teresa d’Avila, a fare l’unità della Spagna. 1992 62 Contro ogni ingiustizia Q uesto per merito particolare di Papa Giovanni Paolo II che agli uomini di ogni colore e religione denuncia le ingiustizie della società. Come per merito suo cadde il Muro di Berlino, così per merito suo sta tornando la pace nella Serbia. Ha stigmatizzato gli orrendi delitti di Milosevic, ma con altrettanta forza ha stigmatizzato la NATO, che ha posto soprattutto nelle armi la speranza della pace. La pace è giustizia, è verità, è amore. Dunque la NATO è condannabile sotto ogni aspetto. Noi cristiani - cattolici riconosciamo nel Papa l’uomo dalla fedeltà indiscussa al Vangelo e gli esprimiamo la nostra gratitudine. 1999 63 Saper cambiare C redo che il cambiamento di una persona o di una istituzione siano indispensabili per conservare uno spirito di novità all’operare stesso. La cosa più brutta di un uomo è riconoscersi necessario nelle cose che fa o che ha fatto. Basta pensare alla morte e subito si comprende che nessuno è necessario, ma tutti utili se facciamo il bene. Guardiamo alle stagioni dell’anno, la primavera dà le primizie, ma sono acquose e non posseggono alcun zucchero: sono i nostri anni della giovinezza. L’estate che dà frutti succulenti, ma ancora immaturi al gusto: è la nostra maturità. L’autunno dà frutti saporiti pieni di ogni gusto: è la nostra virilità. L’inverno prepara con il freddo a uccidere tutti i germi dannosi, serve per potare e dare ai frutti il loro vigore, nel silenzio: è la nostra vecchiaia. Come vedete, ogni stagione ha la sua pienezza di vita. Ricordiamoci che siamo in questa vita per compiere quanto ha stabilito il Padre Celeste, e questa vita è un passaggio per la vera vita eterna. Non dobbiamo affezionarci alle opere; ma compierle come un dovere e quando viene stabilito di lasciarle, essere felici, perché il Padre ci rinnova in un altro lavoro più consono alla sua volontà. L’inverno non cambia con l’estate, l’estate non cambia con la primavera, e la primavera con l’autunno, ogni stagione ha il suo frutto. Se dovessi cambiare, e questo avverrà spero presto, mi sento troppo felice, per incominciare una vita nuova piena di stupore e di avventura. Immaginate due sposi, che non abbiano figli, la loro vita diviene monotona e piena di angosce, se non si apre all’amore di tutti i figli, come suoi figli; così pure una famiglia che si racchiude in se stessa, vive solo per i figli, e non per l’umanità intera, diviene noiosa, non ha slanci missionari, il Regno dei cieli diviene una immagine puerile, e lo Spirito si offusca in piccole cose: è veramente un disastro. Così le opere che diventano istituzioni da conservare, (pensando di 64 rimanere nello spirito del fondatore), ma al contrario si rimane in una ipocrisia delle più terribili, e si diventa acidi, isterici. Siamo fatti per essere uomini nuovi, ciò che era bene ieri non vale per oggi, dobbiamo essere gli uomini nuovi della resurrezione. Perché mi piace cambiare, perché i gusti degli uomini cambiano, l’unica verità che rimane è Dio, la Chiesa e l’uomo. Tutto si rinnova, solo Dio e la Santa Chiesa sono immortali, la Chiesa per il Regno di Dio. Così noi già inverno, dobbiamo permettere che si poti, che si uccidano i germi cattivi che sono molte volte generati da noi e che noi abbiamo coltivato come un vero bene, ma la vecchiaia ci dimostra che erano dannosissimi. Allora dobbiamo produrre i frutti della nostra stagione che sono la preghiera specialmente mentale, l’esempio, la pazienza e l’incoraggiamento alle nuove generazioni che cercano il Regno di Dio con i mezzi loro appropriati e prepararci come naufraghi al sospirato porto della vera vita con dignità e molta fede. Inoltre se lo Spirito ci spinge a operare per gli altri, facciamolo con tanto entusiasmo, coscienti che è un dono del Signore e non un merito nostro. Facciamo apparire i giovani, perché a noi interessa solo questo: che il Signore ci rimetta le colpe per essere più pronti ad accogliere l’invito dello Sposo celeste ad entrare nel convito nuziale. 1990 65 Provare per credere S iamo un po’ come il tempo: ora bello sereno, ora nuvoloso, ora nero, ora freddo e piovoso o nevoso, ora torrido e senza refrigerio. Così le opere fatte dagli uomini ne risentono gli umori e le malinconie. Che cosa manca per trovare l’equilibrio necessario e non lasciarsi abbattere nei momenti tristi? Avere dentro di noi un sole che splenda sempre e dia vita, volontà e gusto; bisogna vivere, non vegetare, non piegarci su noi stessi; donarsi sempre agli altri. Ma per fare questo è indispensabile avere in noi l’autore della vita: Cristo Gesù. “Chi cammina dietro di me non cammina nelle tenebre, perché io sono la luce del mondo… Chi ascolta la mia parola e la mette in pratica possiede la Verità, la Via e la Vita”. Dobbiamo liberarci dal nostro io per lasciare posto a Dio. Abbandonarci alla sua provvidenza e lasciar fare a Lui. Non mettere ostacoli con la nostra volontà e la nostra natura. “Se vuoi seguirmi, rinnega te stesso e seguimi, avrai la vita eterna”. Allora tutto è sereno, bello e splendente anche in mezzo alle più grandi tribolazioni. Provare per credere. 1991 66 Esame di coscienza È venuto il tempo di riflettere sul nostro essere soci della “Matteo Talbot”. • È una tradizione lasciata dai padri dell’O.N.A.R.M.O. oppure è un modo di vivere oggi? • Che cosa ci hanno lasciato, strutture materiali o un impegno evangelico? Per fare le strutture hanno adoperato la grazia e l’amore alla Chiesa. Solo per questo è sorto l’O.N.A.R.M.O. • Ora i soci dell’associazione fanno opere corrispondenti ai tempi di oggi o conservano le strutture? Allora il più vecchio ero io con 28 anni. • Oggi quanti sono i giovani? Perché non ci sono? L’altro giorno ho assistito al raduno dell’associazione “Giovanni XXIII”, erano circa 200 i giovani e 15 o 20 gli anziani. • Perché, mi sono chiesto, questo non è più dell’O.N.A.R.M.O.? L’opera “Villaggio della Speranza” richiede giovani per gli anziani. Non solo offerte, ma un servizio di presenza e di ascolto. • Stiamo forse diventando un gruppo di “amiconi” per stare bene assieme? L’associazione si divide in tre gruppi: 1. I lavoratori bravi e buoni che fanno cose belle; 2. Gli affezionati che per l’opera fanno tutto; 3. I passivi ed attendisti. È necessario rinnovarsi. 1991 67 Perseveranza C’ è un desiderio vivo di arrampicarmi al carro del vincitore. C’è una stanchezza in tutti, ma c’è anche un grande risveglio del nuovo. È necessario approfondire dentro di noi cosa possiamo fare con le nostre forze e vedere se fra i nostri amici c’è un punto di riferimento per non essere soli; non importa essere in tanti, importa essere convinti che siamo nel giusto. Poi unirci nel più profondo abbandono alla Provvidenza. Avere in noi la certezza che quello che vogliamo fare è secondo il piano di Dio. La nostra coscienza informata e formata dalla legge del Signore ci assicura che siamo sulla retta strada. Intanto fare segni visibili dagli uomini. Non stancarci mai. Avremo la sensazione che non abbiamo fatto nulla di valido, ma scacciamo la tentazione e continuiamo con tanta gioia e fantasia. I brontoloni cesseranno di brontolare e si metteranno in attesa di giudicare, vedranno che tutti parlano ma nessuno fa qualcosa di concreto per gli altri. Allora se saremo nell’umiltà vera noi potremo continuare a dimostrarci chi siamo e che cosa vogliamo. 1994 68 La pietra scartata S iamo stati tutti chiamati dal Padre per il suo Regno. Ma abbiamo prodotto scuse per non andarci. Cento sono i chiamati, ma nessuno ha risposto, come nella parabola del convito di cui parla Gesù. Nei miei 47 anni di sacerdozio solo i poveri, gli scartati dalla società sono venuti a lavorare nella vigna del Signore. I ricchi, i sapienti, i furbi hanno rifiutato. Si è sempre dovuto ricorrere alle pietre scartate dagli uomini e divenute testate d’angolo per il Regno dei cieli. Perché non è sufficiente essere chiamati, ma bisogna lasciarsi potare, come la vite, perché produca frutti in abbondanza. Questo fa male. È il famoso “rinnega te stesso e seguimi”. A questo momento c’è l’abbandono del Regno, per superbia, per orgoglio e idolatria di se stessi. La luce della vita vera si offusca, si ritroverà sul letto di morte, perché il Padre è buono e misericordioso. Ma se uno vuole camminare nella luce: deve rispondere alla chiamata, lasciarsi potare e vivere nella gioia in attesa della felicità eterna. 1990 69 Le opere di Dio L e opere di Dio, se non trovano ostacoli, non sono più del Signore, ma nostre soddisfazioni. Le opere del Signore debbono trovare ostacoli perché noi preghiamo, ci purifichiamo ed appaia chiaro che è il Signore che fa, non noi! Per le opere del Signore il denaro è una componente secondaria, la prima è la certezza della nostra incapacità di servi inutili ma disponibili sempre a dire “sì” anche in mezzo alle più atroci difficoltà. Questo è quello che vuole il Signore e forse da parte nostra non c’era ancora questa assoluta disponibilità. Il Signore ci fa attendere, per divenire i servi dei poveri, per servire meno inadeguatamente coloro che sono i prediletti di Gesù. 1986 70 Lievito N ella nostra società sono avvenuti tanti cambiamenti, si è modificato il nostro modo di pensare e, conseguentemente, il nostro modo di vivere cristianamente. Si è tentato di cristianizzare l’ambiente esterno, di dare alla nostra vita un ideale, e gli apologisti cristiani hanno voluto vedere sempre, anche negli avvenimenti umani, un trionfo del Cristo. Abbiamo dimenticato la nostra origine di poveri, di figli di poveri, e ci siamo, noi preti, molte volte adagiati in questa nostra evoluzione civile, come fosse una conquista. Abbiamo accettato lo stesso giudizio di famigliari ed amici come approvazione di una nostra elevazione, a cui avevamo diritto. Tutte le strutture civili e religiose avevano bisogno di un nostro modo di essere così. Faceva molto “società bene”. Tutto questo ha creato una frattura fra noi e chi non tollera così falsa interpretazione evangelica dei valori della vita. Da parte di noi preti vi è stata una certa difesa di questa società borghese, per bene e moderata, con fare paternalistico, assistenziale, ed anche autoritario. Noi portavamo la verità, chi era contro di noi era contro la verità. Pertanto abbiamo voluto imporre, minacciare, combattere, difendere, dividere, costituire e disfare gruppi, fare barriera e baluardo, frenare. Cioè, mancando di fede, rispondere con mezzi umani ad una sfida che ci veniva da Satana. Occorre rientrare in noi stessi, pregare lo Spirito Santo, leggere il Vangelo, accettare le categorie evangeliche come base del nostro operare, presentarci come preti che desiderano sapere, ascoltare, ascoltare, ascoltare. Non ribattere, non polemizzare, ma valorizzare ciò che hanno acquisito gli operai con sacrifici, lotte e tanta volontà. Il nostro presentarci agli operai deve essere trasparente e chiaro, come lo è il Vangelo della paternità di Dio, della uguaglianza dei figli di Dio. 71 Evangelico fino in fondo: solidarietà con i poveri e maledizione per i prepotenti ricchi. Ci dicono gli operai: “Come si può essere veri fratelli e assiderci alla mensa eucaristica con il fratello ricco e con quello che non ha da mangiare? Come può un ricco, fatto tale dal lavoro degli operai, ritenersi in grazia e capace di ricevere il Cristo eucaristico, quando la sua giustizia è solo legale, lui sa di poter dare di più e non lo fa?”. Come si può recitare il Magnificat “Ha riempito di beni i poveri ed ha rimandato a mani vuote i ricchi; ha esaltato i deboli ed ha annietato i prepotenti?”. La nostra giustizia non è forse uguale a quella del mondo?; Non siamo forse, anche noi preti, figli del tempo, e come tali ragioniamo secondo i principi del tempo?; Adattando il Cristianesimo alle situazioni del tempo, secondo le nostre vedute, i nostri studi, la nostra educazione? “Ma se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli”. Non ritengo per nulla che la nostra giustizia sia superiore a quella del mondo: ci teniamo tutti i privilegi, li adoperiamo e li consideriamo un bene per il popolo. Questo è un impedimento alla giustizia evangelica. Dobbiamo convertirci al Signore, rivestirci solo della parola del Vangelo, ed essere Chiesa in mezzo agli operai, sacramento di salvezza. Dobbiamo ridare a loro prove di verità e di amore concreto. Considerare i lavoratori più vicini a capire il Regno di Dio, piuttosto che i padroni. Sforziamoci di crescere tutti in una visione di vita più elevata, così da essere il lievito di Cristo: Lui poi farà il resto. 1968 72 Allargarsi o morire I l 1967 ha messo alla prova il vincolo di vera amicizia degli ospiti delle Case per Ferie. Il fare cose difficili ed anche grosse quando si vede il segno di Dio è bello, perché sappiamo che è Lui che fa. Ma fare da noi, bisogna fidarsi solo sulle nostre forze, e allora è un fiasco su tutta la linea. Gli amici dell’O.N.A.R.M.O. non hanno dilatato il loro spirito di carità e di amore per gli altri in questo 1967. Direi che la forza dinamica di estensione e di elevazione si è ridotta. Forse gli ospiti delle Case per Ferie si sono imborghesiti. Qualcosa c’è che non va. Nel 1947-48 eravamo in cento ed era un fuoco, ora siamo in mille ed è un lumicino. L’acquisto della Casa di Gressoney mette alla prova la nostra corrispondenza alle grazie avute nei periodi di soggiorno alle Case per Ferie. Se non ci scuotiamo da questo torpore, se non ci impegniamo fino in fondo, anche quest’opera delle Case per Ferie diventerà una delle tante istituzioni arcaiche, ed un peso per la comunità cristiana. Non vogliamo istituzionalizzare; vogliamo essere solo fermento. Questo è l’ultimo appello agli amici: o allargarsi o morire. La grazia di Gesù salvatore sia sempre con voi e vi porti il dono della carità verso i fratelli. 1967 73 Scelta obbligata “Ascoltatemi, signori di Sichem, e Dio ascolterà voi” (Giudici 9, 8 – 16) S i misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi. Dissero all’ulivo: Regna su noi. Rispose loro l’ulivo :Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, e andrò ad agitarmi sugli alberi? Dissero gli alberi al fico: Vieni tu, regna su di noi. Rispose loro il fico: Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, e andrò ad agitarmi sugli alberi? Dissero gli alberi alla vite: Vieni tu, regna su di noi. Rispose loro la vite: Rinuncerò al mio mosto Che allieta dèi e uomini, e andrò ad agitarmi sugli alberi? Dissero tutti gli alberi al rovo: Vieni tu, regna su di noi. Rispose il rovo agli alberi: Se in verità ungete Me re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano. Nella vita bisogna fare una scelta. Non rinunziare per i propri interessi, ma mettersi a disposizione dei fratelli per il bene della patria. Non recriminare se poi escono rovi a prendere il posto dell’ulivo, della vite e del fico. Ulivo: pace, prosperità e salute; Vite: gioia e allegria; Fico: dolcezza e mitezza; Rovo: rissa e scompiglio. La scelta è obbligatoria. 1995 74 I novelli Balaam C hi sei tu che giudichi il prossimo? A me è stato detto che solo i profeti di Dio possono giudicare perché a loro è stato svelato da Dio il passato, il presente e il futuro dell’uomo. Chi, dalle rovine della guerra, ha portato l’Italia ad essere una delle nazioni più grandi del mondo? A questi artefici della ricostruzione viene gettato fango e sospetti. C’è chi vuole rinnegare il Risorgimento, autore dell’unità d’Italia creando piccoli staterelli in balia di se stessi. C’è chi vuole rinnegare la Resistenza autrice della liberazione d’Italia. Ma credo che lo scopo di questi signori sia quello di non voler riconoscere questa realtà storica: tutto è venuto sotto il segno della Croce di Cristo. Allora gettiamo in croce questi artefici della nostra ricostruzione. A questi novelli Balaam rispondiamo con il grido della sua asina. Allora pesiamo il bene e il male e vediamo che sulla bilancia sorpassa di gran lunga il bene. Non ascoltiamo questi falsi profeti. Riconosciamo la necessità di cambiare rotta verso un bene migliore e diamo a questa Italia verità e vera giustizia. 1993 75 Per mia colpa... V oglio confessarmi pubblicamente, non per avere l’assoluzione, ma la penitenza. 1. Ho creduto che la gente migliorando il tenore della vita, diventasse più fedele ai comandamenti del Signore. Ho grandemente peccato! 2. Ho creduto che con l’evoluzione culturale, i giovani si rendessero più desiderosi di conoscere i misteri della fede. Ho molto peccato! 3. Credevo che la donna andando a lavorare comprendesse meglio la santità della famiglia. Mia colpa, mia grandissima colpa! 4. Ritenevo che la pensione generale portasse le persone ad una scelta di vita per approfondire quelle cose che maggiormente elevano a conoscenze più vere ed eterne. Ho sbagliato molto! 5. Ho pensato che offrire ai fanciulli quelle cose che noi non abbiamo avuto li rendesse più consapevoli della fortuna loro capitata e divenissero più generosi verso quei fanciulli più sfortunati, invece ne abbiamo fatto degli egoisti. Pietà di me Signore! Che cosa ho fatto nella mia vita? 1. Ho creato il consumismo. 2. Ho procurato ai giovani le discoteche. 3. Ho distrutto il focolare domestico e ho creato il femminismo. 4. Ho aumentato i brontoloni. 5. Ho fatto sorgere una genia di ribelli ad ogni solidarietà. 1996 76 Guarire dall’anemia S e ne va il tempo, e non lascia neppure il rimpianto del suo passaggio, ma un non so che di amaro, di indefinito, di non chiaro. Tutti siamo travolti da una insoddisfazione profonda, dalla quale non sappiamo risalire per arrivare alla sorgente pura della vita. Siamo tutti malati di una anemia spaventosa!. Dobbiamo guarire. Guariti per agire, occorre che ognuno sia nel suo giusto mezzo. È necessario che noi scopriamo la nostra vocazione. C’è una vocazione individuale e una vocazione collettiva. Crediamo di aver centrato quest’anno; di aver dimensionato il lavoro, per renderlo più confacente alla nostra vocazione. La nostra è una vocazione sacra, e, per conseguenza, dobbiamo riconsacrare tutto il nostro modo di agire. Le esperienze passate nella ricerca della linea giusta ci hanno arricchiti, ma non soddisfatti; ci hanno dilatati all’infinito nel mondo nuovo, ma ci hanno sperduti nell’infinito mondo spirituale di Dio. Ora, rinati a questa speranza divina, illuminati dalla nostra vocazione ci lanciamo alla conquista del mondo delle anime, ma con i mezzi propri della nostra vocazione. Grati a tutti quelli che ci vorranno seguire ed aiutare. 1962 77 La famiglia capolavoro di Dio H o sempre avuto questa convinzione: la famiglia è il capolavoro di Dio Padre, la Chiesa di Dio Figlio, al conservazione della Chiesa e della famiglia di Dio Spirito Santo. La famiglia in Italia, nella visuale di Dio Padre, è molto migliorata. L’uomo non è più padre – marito -padrone nella misura di quando ero bambino. Come in tutte le scoperte dell’uomo, c’è un rifiorire di egoismo che corrompe e deturpa lo splendore della scoperta. Ora l’uomo e la donna sono liberissimi nella scelta della persona a cui dare il proprio consenso, sono liberi da condizionamenti sociali e razziali, sono liberi dai genitori e dalla parentela, sono liberi dai pregiudizi delle malattie ereditarie; ma pensano di essere gli arbitri assoluti, senza nessuna regola divina, nei loro rapporti di sposo e sposa; misurano secondo la loro comodità, spinti dall’egoismo, la nascita dei figli. Adoperano mezzi proibiti dalla Chiesa, unica interprete della legge di Dio nei loro rapporti. Non vogliono nessuna mortificazione della carne. La famiglia non vuole più il Dio vivo e vero, ma un idolo che protegga il solo egoismo. Profanata la famiglia: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo abbandonano l’uomo al loro destino. Ecco la frana. I figli e le figlie profanano il loro amore prima del matrimonio. Gli sposi si rendono capaci di tutte le aberrazioni, anche dell’adulterio, e, non possono più parlare ai figli perché non si sentono a posto in coscienza. Il male contagia anche le famiglie di chi ha osservato la legge di Dio con piena adesione. La giovane donna perde la verginità per una “manciata di lenticchie”. Il giovane non sente più la bellezza del matrimonio e rimane in casa dai genitori per farsi mantenere. Le scuse sono tutte false (casa, lavoro, sicurezza sociale ecc.). La corruzione ha preso tutto e tutti, falsi sentimenti di pietà dei genitori scusano la loro vigliaccheria. È diventata una bolgia di bugiardi che si consolano a vicenda. 78 Noi preti… Non confessiamo più i fedeli, per non renderci responsabili dei loro peccati, cioè facciamo la fine degli struzzi, ci nascondiamo davanti ad una catastrofe, per non essere profeti pronti a morire. Siamo anche noi responsabili. Allora?! Alziamo il capo e affrettiamo la venuta della luce, per divenire figli della luce, quella luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. 1988 79 Amore e matrimonio I n fondo noi sappiamo di essere un’unica famiglia. Non facciamo distinzione fra quelli che son morti e quelli che sono vivi. Perché coloro che hanno ricevuto il battesimo sono tutti vivi. Anche noi non abbiamo paura della morte perché siamo cristiani e il cristiano non ha paura della morte. Noi siamo vivi, noi viviamo… L’essere su questa terra non ha nessuna importanza. Anzi è un dolore per noi, perché se potessimo arrivare a vedere il Padre, quella sarebbe la nostra felicità. La vita è amore e nulla vale al di fuori dell’amore. Diceva Shakespeare: “Quando parli di amore parli molto piano”. In questi giorni noi abbiamo assistito alla morte di un grande romanziere che è stato la stella della nostra vita: Cronin. Noi abbiamo letto i suoi libri: “La Cittadella”, “Le stelle stanno a guardare”, “Caleidoscopio”. In particolare ci è piaciuta “La chiave del Regno”. Perché, che cos’è la “Chiave del Regno”? Racconta di un mondo in cui ci sono pagani e cristiani. Dove è la verità? Cronin ne fa un discorso ne “La chiave del Regno”. C’è un povero Padre missionario che viene cacciato dalla Cina perché non riesce a convertire: non fa dei fedeli. E vengono gli americani con tanti mezzi e fanno tanti fedeli. Però c’è un medico miscredente. Quel medico dice a un certo momento che quel padre è il vero missionario, non i mezzi che loro hanno portato… Ed è il messaggio che dovrebbe essere portato ad ogni uomo specialmente oggi, quando i giovani non si sposano perché non hanno la casa e non hanno mezzi. È veramente una cosa obbrobriosa. Che cos’è che vale nella vita? L’amore verso la provvidenza, l’amore verso Dio. La serietà del proprio lavoro e la coscienza che tutto viene da Dio. Se qualcosa viene da noi è esclusivamente il peccato, la morte e la nostra superbia. Mentre il bene viene da Dio…. Non crediamo ai mezzi umani. Non crediamo alle possibilità umane. Crediamo solo nella Provvidenza di Dio… Questo è il grande messaggio: noi non esistiamo. Esiste solo il Cristo. Esiste la sua Provvidenza. Esiste il suo amore. E quello che noi facciamo è tutto male, mentre quello che Lui ci dona è tutto bene. E quello che Lui ci dona molte volte noi lo rendiamo incomprensibile. Mentre se noi siamo capaci di ascoltare quello che Lui ci dona, la nostra fede diventa molto più sensibile e la nostra donazione più efficace. 1981 80 Politica fuori degli schemi O gni epoca ha i suoi uomini capaci di risolvere i problemi del momento. Alla fine di quest’era due uomini rappresentano l’Italia: l’on. Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica, democristiano, e l’on. Giuliano Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri, socialista: insieme conservano questa Repubblica, democratica e libera. È un bellissimo tramonto color rosa che apre nuovi orizzonti alla nostra patria. Quanti vogliono la distruzione di questa repubblica, non saranno certamente gli artefici della nuova. È compito delle persone comuni addossarsi l’impegno del rinnovamento. I governanti democristiani, quando hanno accettato il responso del referendum sul divorzio e sull’aborto, dovevano abbandonare la guida del governo, perché il popolo non era più con loro; nella loro cecità hanno invece continuato a governare fino al 5 aprile 1992. Ora si è aperta una nuova stagione: bisogna considerarsi minoritari, riflettere e fare gli “stoppabuchi”. Se siamo richiesti e c’è necessità, dobbiamo dire di sì, ma occorre tanta umiltà nel fare e nel ricevere. Occorre creare nuove generazioni fuori degli schemi prefissati, piene di spirito cristiano e di servizio ai poveri, solo allora torneranno la stima ed il successo politico. La politica, come la definisce S.Tommaso d’Aquino, è amore e dono agli altri. Sono sicuro che la Democrazia Cristiana trionferà sempre in Italia se ci saranno uomini nuovi che si presenteranno al popolo con il segno della croce non sullo stemma, ma nel cuore e nelle azioni. 1993 81 La cultura del vuoto I nostri parroci sbraitavano quando le donne con le labbra imbellettate si avvicinavano all’Eucarestia, quando i gomiti delle braccia erano scoperti e quando la gonna era sopra al ginocchio. Poi si sono accettate tutte queste cose. Non ci si fa più caso. Alcune chiese rimangono ancora interdette ai calzoncini corti, ma sono poche. Non trovo malizia in quanti si presentano in questo stato, per me gusto estetico, forma che denota la mancanza di un contenuto di sostanza. Ricordo Mons. Santa che veniva dall’Africa, vescovo di Rimini, diceva: “ Sono meravigliato! Noi andiamo in Africa a vestire gli africani e gli italiani vengono nella mia diocesi a svestirsi”. Nel suo modo di dire non c’era requisitoria o predica. Era un missionario. Non è l’abito che fa il monaco. Ma il modo di vestire e di apparire denota una povertà di contenuti, così la musica, gli orecchini agli uomini, un senso di vuoto. È di questo vuoto che ci preoccupiamo. Quella giovane sposa che dichiara alle compagne di lavoro: ho abortito perché non ero libera di andare in ferie; quei giovani che all’una vanno in discoteca fino alle quattro del mattino, per disintegrarsi in un mondo irreale e immorale. L’adulto non si comporta meglio: pensa e vuole il suo interesse, non gli importa di ottenerlo anche con metodi poco ortodossi. Non c’è più l’uomo. “Homo homini lupus”. Diogene con la lanterna, in pieno giorno, per la città in cerca di uomini. Questo è successo ad ogni fine di millennio. Il duemila è vicino, vedremo cose peggiori, ma sappiamo che l’uomo vero c’è ed è Cristo. Cristo ha vinto le potenze del mondo, anche noi con Lui vinceremo per formare l’uomo nuovo, l’uomo della Resurrezione. 1994 82 Come ai tempi di Noè L a situazione di tutto l’Occidente è spaventosa. Sembra di vivere i tempi di Noè. Ma nessuno prepara un arca per salvare questa umanità. La corruzione ha invaso tutto l’apparato del vivere. L’uomo si è costituito una sua legge per uniformare la sua morale. Dio vivo e vero è messo in dubbio. L’inferno non c’è e il paradiso dobbiamo godercelo in questa terra. Poi….. Questa è la vita degli uomini d’Europa, d’America, d’Australia. Per fortuna che c’è una vera umanità in Asia e in Africa e in alcune zone dell’America meridionale. Questi popoli ci daranno una lezione che ci farà prendere forza ed energia. Ci rifaranno nuovi. I germi vivi di quel Cristianesimo tradito, prenderanno vita e scopriranno i veri valori dell’umanità. Le sue due dimensioni: divina – umana. Lo spirito dominerà la carne, e la gioia di vivere sarà in noi. Un solo pericolo: i musulmani che tenteranno di fare “guerra di Religione”. Con questi, attenzione ai falsi martiri ed ai vari compromessi. Poi tutta l’Europa ritornerà alla sua fede cristiana. 1992 83 Una generazione nuova U no sguardo alla nostra gente a quarant’anni dalla pienezza della democrazia. Gli ultrasessantenni sono stati gli artefici della ricostruzione e della prosperità nazionale. I responsabili di tutte le mancanze di moralità, di responsabilità, di amore al sacrificio e alla vita semplice ed umile, sono quelli al di sotto dei sessanta anni, che hanno creduto solo in se stessi e nelle loro possibilità di saper fare. A questi uomini, si aggiunge, un manipolo di preti che hanno perduto il senso della loro missione e della loro stessa natura di essere preti, non hanno voluto aggregare i giovani, hanno frainteso la libertà, hanno tradito la gente parlando di libertà di coscienza, ma era solo comodo di non fare quello che era più importante: formare le nuove generazioni a quella fede in Dio e alla Chiesa che i nostri vecchi preti avevano saputo fare qua a Bologna durante la bufera della massoneria, dell’anticlericalismo esasperato, del socialismo alla Prampolini, senza aspettarsi nulla. Solo lavorando per il Signore in aridità e povertà. È vero che la nostra generazione di sessantenni non ha tenuto come quella generazione di nonni nostri, perché il fare, il costruire, aveva impoverito lo spirito per cui davanti alla prepotenza consumistica della generazione che emergeva non ha fatto argine valido. Ma è mancato l’apporto di chi avrebbe dovuto essere il lievito di quella massa con quei mezzi che lo Spirito di Cristo sa dare alla sua Chiesa. Era troppo antiquato: • pregare • soffrire • digiunare Era meglio discutere, fare assemblee, tavole rotonde, fare cinema. Un secolarismo ha mutato tutti, clero e popolo. Le tentazioni sono sempre quelle, i peccati degli uomini sono sempre quelli. Le resistenze sono diminuite. Ed ecco una generazione ricca, galante, chiacchierona, spavalda, che genera un’altra generazione di per84 sone che non credono più ai valori umani, famiglia, figli, matrimonio. Ecco divorzio, separazione, aborto, e tutto quello che l’uomo vuole e piace. La donna crea il “femminismo”, il più delirante dei giochi politici. L’uomo rinuncia ai suoi doveri, per vivere la sua vita libertina. I preti stanno a guardare. Si ritirano nello spirituale, falso e gretto. Dopo quarant’anni bisogna risorgere, prima che il fuoco si spenga. Gettarsi nella mischia della vita per riattivare il fuoco assopito perché divampi in tutto il mondo. Cristo deve regnare nei cuori di tutti gli uomini, • in tutte le famiglie • nelle fabbriche • nelle scuole e ovunque. Il grido dei nostri Padri: “NOI VOGLIAM DIO” deve divenire il canto quotidiano di tutti i cristiani. 1984 85 Il cristiano nel mondo I n Italia oggi, manifestare la fede con atti esterni è facile. Tutti lasciano fare, nessuno disturba. Sembra di avere raggiunto veramente una tolleranza. Il cristiano non è più segno di scandalo. Sa vivere e lasciar vivere. Non ci sono più i penitenti. Non ci sono più le recluse. I monasteri non sono più centri ricercati per rafforzare la fede. Ci si adatta al vivere comune. Si lavora per costruire solidarietà per aiutare i bisognosi, ma non nutriti dalla Parola di Dio, ma spinti da un forte sentimento di partecipazione. Bisogna essere in gruppo e fare quello che il gruppo decide. Quando il sentimento cede, si lascia e si cercano altre emozioni. Si è tanto parlato del male del comunismo che ha distrutto la libertà ed ha fatto dell’uomo un robot di un bene irrealizzabile, ma non si è parlato mai del male portato dagli americani che ha distrutto l’uomo facendone un robot in cerca di tutti i piaceri e adoratore di mammona e ponendo l’uomo al centro del mondo. È necessario essere belli per piacere agli uomini. Essere eleganti. Essere spigliati. Saper fare. Perfino i bambini delle scuole elementari hanno bisogno di avere scarpe, vestiti, zaini “firmati”. Educare allo sport. Studiare lingue, danza, essere competitivi in questa società. Gli americani ci hanno sfamati di pane, ma ci hanno caricato sulle spalle pesi insopportabili di cui ci gloriamo e crediamo di vivere bene. Mi sovviene una lettera scritta da intellettuali polacchi, dal carcere, ad uno di loro che scappò e fu accolto con festa da intellettuali Inglesi: “…siamo preoccupati per te, perché qui in carcere avevamo trovato la pace dello Spirito e insieme cercavamo il Signore, fonte di gioia, ora il chiasso dei giornali e della televisione ti porterà via questa pace e tu ritornerai al buio nel tuo interno…”. 86 È proprio così. È necessario trovare se stessi. Bandire dal nostro cuore ogni accettazione di questa civiltà. Apparire retrogradi per conquistare l’essenza della vera vita e ritornare alle nostre antiche realtà spirituali con la Parola di Dio e con il vivere nello spirito dei primi cristiani nella visione della lettera a Diogneto “I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti di novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano. Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e, pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutte le attività di buoni cittadini ed accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro mentre ogni patria, per essi, è terra straniera. Come tutti gli altri si sposano ed hanno dei figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno comune la mensa, ma non il talamo. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del Cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere sono superiori alle leggi. Amano tutti. Sono ingiuriati e benedicono; sono trattati ignominiosamente e ricambiano con l’amore: pur facendo il bene, sono puniti come malfattori – quasi si desse loro la vita. In una parola, i cristiani sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo; anche i cristiani sono sparsi in tutte le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile”. Mi piace di chiudere questi pensieri con una frase di un “sessantotto” che mi diceva: noi facciamo le riforme per fare una società nuova, voi cristiani date uno spirito di vita…. 1992 87 La donna L’ Anno Santo Mariano richiama noi sacerdoti ad una riflessione profonda sul ruolo della donna. La nostra educazione, prettamente ed esclusivamente maschile, ci ha portato a non valutare fino in fondo i disegni del Signore, il quale nella creazione ci ha voluto maschio e femmina. Non dobbiamo confondere i carismi del Signore con le leggi degli uomini. Pertanto la verginità della donna è un dono di Dio per tutta l’umanità, così come la castità dell’uomo è un dono di Dio per una paternità universale. Questi sono doni non derivanti da leggi ma dallo Spirito Santo. Fatta questa premessa, la donna è pari all’uomo in tutto il creato, così ha voluto il Signore. Non ci sono rivendicazioni, ma solo osservare quanto il Signore ci ha detto: che si compia il disegno del suo amore. Non c’è libertà di uccidere, di tradire, di confondere; perché l’aborto, il divorzio, l’egoismo sono mali che dobbiamo evitare, mentre la vita, l’amore, la donazione, la solidarietà, la pace che deriva dall’amore sono i beni che dobbiamo cercare. Con questi valori la donna è la regina; senza questi valori la donna è una schiava. 1987 88 Il fico infruttuoso S ono 100 anni che è nata Santa Teresa del Bambino Gesù e sono 25 anni che è in attività la Casa per Ferie di San Vigilio di Marebbe, a Lei dedicata e da Lei voluta. È indispensabile in questo momento fare tutti un esame di coscienza e cercare una soluzione a quanto sto per dire. Gesù trovò un fico, bello, pieno di foglie, ma arido e privo di frutti, lo maledì ed il fico si seccò, fra lo stupore dei suoi apostoli. Anche gli amici delle Case per Ferie che non danno frutti di amicizia operatrice di amore e di comprensione per gli altri, sono tralci secchi e debbono lasciare il posto ad altri. Questo riguarda tutte le Case per Ferie, e tutti coloro che si ritengono offesi o incompresi nella scelta dei turni. L’amore non è a parole, ma a fatti. Chi non ha impegni di lavoro e sceglie per sé i momenti di ferie dei lavoratori, è un ospite abusivo, se non si dona per gli altri. L’amore è il dono di darsi senza nulla chiedere, e se chiediamo qualcosa per noi, non è più amore, ma egoismo. Se in questi 25 anni non abbiamo imparato ad amare, lasciamo il posto a nuovi amici che possano provare, essendo certi che sapranno amare e fare meglio di noi. 1973 89 Verso l’anno 2000 Q uesta era una massima alla quale tutti credevano. Noi, che siamo arrivati alle soglie del 2000, pensiamo che Dio Padre, ma anche Giudice, possa sopportare oltre questi figli degeneri che siamo noi? Quando l’uomo non pensava che a mangiare, bere e divertirsi, Dio scelse Noè come uomo giusto per salvare l’umanità, mentre tutti gli altri perirono nel diluvio universale. Gli uomini di oggi sono uguali a quelli del tempo di Noè: non pensano che a fare soldi, a stare bene, a divertirsi. In Europa, oggi, la situazione è la stessa di allora, nonostante la Madre di Dio sia apparsa in vari luoghi per richiamare a una vita più aderente al Vangelo. In tutte le nazioni europee il clima religioso è scaduto. Ricordo la Spagna del 1950 e la confronto con la stessa del 1989. Nel 1950 era vivo il ricordo della guerra civile e i figli ricorrevano al Padre Celeste. Nella sola Chiesa del Gesù a Madrid il primo venerdì del mese si facevano 20.000 S.Comunioni. Nel 1989 a Granada alla Messa solenne delle ore 11 hanno partecipato 10 persone. Non crediamo che la grande festa del Patrono sia cosa gradita a Dio: a volte è solo esteriorità – non conforme allo spirito evangelico – dalla quale possiamo essere contagiati: crediamo, così facendo, di far piacere a Dio. Può ancora la Madre di Gesù fermare il braccio del Figlio alzato per castigare i figli ribelli? Ritengo che nel 2000 avverranno cose nuove a scapito del corpo, ma a salvezza delle anime. 1999 90 LE OPERE In obbedienza allo Spirito Q uando pensiamo a tutto quello che dobbiamo ancora fare per adempiere alla volontà di Dio ci viene freddo, ma se pensiamo che sono tanti gli amici che con noi cercano il Regno di Dio, allora la fiducia nella Provvidenza aumenta la nostra audacia a metterci in ascolto per costruire quello che Lui ci dice. Dopo l’emergenza degli Albanesi è venuta l’emergenza dei Bosniaci. Così abbiamo aperto a loro la nostra casa e il centro “S.O.S. – Madonna della Quercia”. Come ringraziamento al Signore per il dono del Villaggio della Speranza abbiamo iniziato il Centro Professionale in Eritrea. Per costituire un ponte con il folto gruppo degli extracomunitari ne abbiamo ospitato a Villa Pallavicini una trentina. Quello che ci conforta è questo: ogni opera nuova è sempre al completo come lo sono le Case per Ferie nei mesi di attività. Ma lo scopo primo della Fondazione Gesù Divino Operaio è la formazione morale e religiosa dei suoi membri. Ecco il motivo impellente che ci spinge a costruire la nuova Casa per Ferie di Lizzano in Belvedere: avere un luogo aperto tutto l’anno dove tenere questi incontri di formazione. L’Azione Cattolica nel 1943 fu la fonte dei giovani collaboratori e collaboratrici che hanno fatto l’O.N.A.R.M.O. Ora dopo 50 anni aspettiamo altri giovani a rinnovare e rifare la nostra opera. Di questo siamo convinti: se diamo uno sguardo all’emergenza del nostro Paese e del mondo riconosciamo che non abbiamo fatto nulla a confronto dei bisogni reali che ci sono. La nostra disponibilità all’azione dello Spirito sia sempre a ricordarci che siamo servi inutili e incapaci. A Dio solo onore e gloria nei secoli. 1995 93 Carità concreta L’ area di Villa Pallavicini nel pensiero del nostro Arcivescovo Card. Giacomo Biffi, è indicata con queste parole: “Nei suoi programmi intende farsi sempre più come segno e strumento di nuova evangelizzazione lungo le linee della testimonianza concreta della carità. Essa si presenta come uno spaccato di quella “civiltà dell’amore” tanto predicata da Paolo VI”. La Polisportiva Antal Pallavicini con i suoi obiettivi di educazione integrale della gioventù, alla luce del recupero della grande tradizione bolognese del ricreatorio che richiamano l’idea oratoriana. “La Casa della carità, il Villaggio della Speranza, la Cooperativa del C.I.M., costituiscono un segno vivo e uno stimolo efficace per formare l’uomo che ragiona, che ha voglia di lavorare, che ama la vita e si diverte nel contesto dell’amore di Dio e del prossimo”. Il testo di questo breve intervento ci fa tremare “le vene e i polsi”. Sappiamo per esperienza che la voce del Vescovo è la voce di Dio. Allora attendiamo con la grazia di Dio a realizzare con le nostre povere forze quanto richiesto. La Pallavicini come casa dei giovani, il S.O.S. Madonna della Quercia come accoglienza degli extracomunitari, la Polisportiva Antal Pallavicini come palestra di valori umani e religiosi. Il Villaggio della Speranza, la Casa della carità e la Cooperativa C.I.M. come segno di servizio ai poveri e ai malati di tutta la Chiesa bolognese. Inoltre la presenza di Sua Santità richiede un segno permanente di questo Congresso Eucaristico Nazionale. Ma Gesù è nei poveri e nei malati: allora costruire un soggiorno giornaliero di ospitalità per anziani malati a favore delle famiglie che di giorno lavorano e non possono assistere i loro cari. Li porteranno al mattino e verranno a prenderli quando tornano dal lavoro. La famiglia dell’O.N.A.R.M.O. è numerosa, quelle delle case per ferie ancora di più, gli amici sono tanti. Costruire un auditorium capace di ospitare dalle 1000 alle 2000 persone, che quando non è occupato è al servizio per i giovani sportivi ad allenarsi. Andiamo per ordine: la prima cosa da farsi subito è il soggiorno giornaliero per gli anziani malati e per questo chiediamo il vostro aiuto. Per il resto impegniamo la Provvidenza per noi. 1995 94 L’Opera “Gesù Divino Operaio”: il sì di Dio L’ Opera “Gesù Divino Operaio”, con il preciso compito di garantire l’ispirazione autenticamente religiosa delle diverse iniziative e attività già promosse, o che potranno essere promosse, nel campo del lavoro. È chiaro che chi ci guida è Dio, attraverso le sue strade al confine del tempo, nel solco misterioso della Divina Provvidenza. Non era certo nostra intenzione stabilirci qui a Bologna; sognavamo l’Africa e l’apostolato missionario; consideravamo il possesso dei beni temporali come il più grande male che potesse affliggere la Chiesa, che, liberata nella sfera più alta della spiritualità, deve porsi alla ricerca dei valori immutabili ed eterni. Indubbiamente lo stesso nostro “modo di possedere”, nonché la sempre vistosa caterva dei debiti ci impediscono di strumentare le nostre opere a dei fini puramente umani; anche se potrebbe subentrare il pericolo di venir sopraffatti dalla angoscia dovuta alle pressioni continue esercitate dalle più urgenti necessità. Perché allora l’Opera “Gesù Divino Operaio”? Non si può spiegare quell’imponderabile mistero di Dio che guida gli avvenimenti sorti nella purezza di ideali, e non vuol far morire ciò che ha voluto e benedetto. Il SI’ di Dio è immutabile. Tutto il resto si scioglie e si dilegua, ma il SI’ di Dio rimane, anche quando chi l’ha udito cerca di fraintenderlo. Non abbiamo certezza più profonda e sicura di questo SI’. Possiamo sbagliare su tutta la nostra vita, possiamo considerarla un tempo non sempre vissuto come Dio la voleva, ma di questo SI’ noi abbiamo la certezza assoluta. C’è sempre, nelle nostre iniziative e nelle nostre necessità, il grave pericolo di aggiungere altra paglia al fuoco che potrebbe quanto prima attecchire ai beni umani da noi posseduti in Italia; il pericolo di valorizzare noi stessi “sapendoci fare” nel groviglio dell’economia, alle prese con i più esperti uomini d’affari; il pericolo, comunque, di lasciare fil95 trare, anche nelle opere più schiettamente divine, lo spirito invadente del mondo. Dimenticando, così, che solo dopo il passaggio attraverso il severo crogiolo purificatore della mano di Dio, che non scherza in queste cose, potremo godere i frutti delle opere sue. Tutto ci deve portare alle origini della Chiesa, che è povertà e amore ai poveri; tutto ci deve portare a valorizzare la Parola di Dio e a disprezzare la parola degli uomini che è funzione; a ricercare gli appoggi di Dio e non quelli degli uomini, in modo da imprimere nelle nostre comunità cristiane un contenuto di fede genuina e di idee matrici di Verità superiori a tutte le verità anche degli uomini migliori. Insomma è ora di impegnarci a ritrovare in noi e dentro di noi il fermento del Regno dei Cieli e di vedere se il lievito è veramente buono e se può realmente fermentare. I figli di Dio usciranno per mano di Dio, e noi saremo gli strumenti inutili, che hanno restituito a Lui ciò che da Lui hanno ricevuto, e ci rivestiremo della gloria e della potenza di Dio, perché noi saremo poveri, ma Lui, il Padre, è ricco ed onnipotente. Il nostro lavoro apostolico è questo: metterci presto e con generosità al suo servizio completo e non chiedere altro che di essere strumenti suoi per compiere le sue opere. Possa l’Impresa del Divino Operaio trovare in noi operai capaci di collaborare con Lui. 1963 96 Per i giovani È necessario pensare sul serio a trasmettere alle nuove generazioni le responsabilità dei nostri pesi e delle nostre opere di servizio. È vero che i genitori, gli educatori, i sindacalisti ed i politici hanno esautorato i giovani dai loro doveri, portandoli spesso a pensare solo ad ipotetici diritti. È vero che la famiglia si è sfaldata. È vero che i figli non obbediscono più ai genitori. È vero che ognuno vuol fare le esperienze per proprio conto. Tutto questo però è sempre accaduto. I giovani bisogna metterli alla prova, occorre solo individuare il giovane che possiede le quattro virtù cardinali e le tre virtù teologali; quando possiede questo tesoro, si risolve sempre tutto. Occorre meditare e pregare. Scrive il Curato d’Ars: “quante volte entriamo in chiesa senza sapere che cosa andiamo a fare o a domandare, mentre ogni qual volta ci rechiamo da qualcuno, sappiamo bene perché ci andiamo. Anzi vi sono alcuni che sembrano dire così al buon Dio: “Ho soltanto due parole da dirti, così mi sbrigherò presto e me ne andrò via da te”. Io penso che quando veniamo ad adorare il Signore otterremmo tutto quello che domandiamo se pregassimo con fede proprio viva e con cuore totalmente puto”.. Infine a noi il compito di conservare la fede, perseverando nel bene fino alla morte e offrendo la vita per la Chiesa e per le sue opere. Stiamo sempre saldi nella fede. 1985 97 Cooperativa Matteo Talbot L a vostra partecipazione alle Case per Ferie è stata molto intensa e condivisa da molti ospiti, perciò grazie. Ora ci troviamo ad un bivio della vita italiana, prima che sia troppo tardi e ci troviamo a recriminare ciò che non è stato previsto in tempo. Già altre volte in questi tempi i cattolici hanno recriminato contro il divorzio e contro l’aborto, ma potevano evitarli e non l’hanno fatto. Uomini santi e profeti avevano previsto ed ottenuto che questi mali fossero evitati. Ma non sono stati ascoltati. Prima che i soci radicali e i compagni eliminino il Concordato e mettano in crisi tutti gli enti religiosi, noi abbiamo deciso di creare una cooperativa e di affidare a questa cooperativa “Matteo Talbot” tutte le attività che erano dell’O.N.A.R.M.O.. Ma all’ONARMO c’è la vigilanza piena della Chiesa con i suoi ministri. Ora tutta la comunità degli amici cristiani deve costituirsi Chiesa per conservare questo spirito di servizio, di carità e di donazione a Dio e ai fratelli. Questo è, di tutti gli impegni, il più valido e il più necessario. Dobbiamo costituire un’Associazione “Amici Case per Ferie ONARMO”, sotto la protezione di Matteo Talbot, che è la base per la vita delle Case per Ferie, per la conservazione comune di queste Case. Come fondamento costitutivo, da sempre la proprietà di queste opere è della Chiesa locale, la quale le affida ora alla Cooperativa “Matteo Talbot” sostenuta, per il nostro sviluppo e animazione, dalla Associazione degli Amici. I sacerdoti assistenti delle Case per Ferie sono i Padri di questa Opera che, con la parola e l’attività, devono dare l’esempio a tutti. I collaboratori fissi dell’O.N.A.R.M.O., che con il prossimo anno saranno i primi collaboratori della Cooperativa “M.Talbot”, insieme con gli altri che lo sono già, formano il primo nucleo. Siate vigilanti, siate prudenti come i serpenti. Prevenite le cause del male per apporvi rimedio. Chi vede il pericolo che l’incombe, non intervenga troppo presto perché non è creduto, ma neppure troppo tardi perché sarebbe fatale. Impariamo dalla storia a leggere i segni dei tempi. 98 Così vi parlai nella Festa di S.Martino 1979. Ora vi posso annunciare con gioia la costituzione dell’Associazione “M.Talbot” che raduna gli Amici delle Case per Ferie, i Collaboratori e tutti quelli che si dedicano alle attività delle opere di Villa Pallavicini (Polisportiva A.Pallavicini, Casa di Ospitalità, “S.Petronio”, tempo libero, Comitato per gli Anziani, Feste patronali di categoria, “Ragazzi al lavoro”, “Brasile ed Eritrea segno di fraternità”, Centro di cultura “N. Albergati”, Centro sociale per la cultura popolare e la musica, ecc…). A tutti è data la possibilità di cooperare. Lo Spirito Santo vi spinga a dare tutto voi stessi per essere quali volete essere. 1980 99 Congresso Eucaristico I l Farneto nel 1927 era una sperduta parrocchia della Diocesi di Bologna, senza benefici e molto piccola – 400 anime. Il parroco era un extradiocesano di Imola. La parrocchia era composta di contadini, braccianti e muratori. Non c’era nessun laureato o diplomato. Le maestre della scuola elementare venivano da Bologna, quella che abitava nei locali della scuola era romagnola di Bagnacavallo. La vita era onesta e semplice. Il Congresso Eucaristico fu un grande avvenimento. A noi ragazzi della dottrina (eravamo tanti) il parroco ce ne parlava con tanto calore e ci invitò tutti a partecipare con lui all’Eucarestia dei ragazzi che si teneva ai Giardini Margherita. Eravamo in tanti, ma solo Gesù Eucaristico ci interrogava. Da quel momento qualcosa cambiò in noi. Ci interessavano la vita di S.Tarcisio e della Beata Imelda Lambertini. Questa partecipazione al Congresso portò nella piccola parrocchia più fervore alla Santa Eucarestia. E questo lo dimostravamo il giovedì del Corpus Domini raccogliendo tutti i fiori possibili per metterli lungo il cammino della processione del Santissimo. C’era una gara fra noi bambini e fra le bambine per chi ne raccoglieva di più. Quella processione è rimasta nella mia anima come uno dei ricordi più sacri. Passarono dieci anni e al carissimo don Filippo Cremonini furono affidati dal Cardinale Nasalli Rocca tutti i documenti del Congresso Eucaristico Nazionale del 1927; don Filippo ci chiamò giù dal Collegino Buoni Fanciulli di Via Valverde 14 ad aiutarlo. A me toccarono le lettere dei Vescovi di tutto il mondo cattolico. Non ricordo il numero ma erano tante, più di 700 e lessi quelle lettere tutte di plauso eccetto due. Una era del Vescovo Ridolfi di Vicenza e l’altra di un Vescovo che non ricordo. Si formò un grosso volume di moltissime pagine che lessi con tanta curiosità. Divenuto sacerdote il Cardinale godeva a parlare della Santa Sede, della sua perfetta organizzazione, conosceva tutti i Nunzi e tutti i Vescovi d’Italia e dell’Europa. Voleva 100 che io sapessi i nomi dei Vescovi Italiani, quel lavoro sul Congresso Eucaristico del 1927 mi aveva ben informato. Ora il nostro Arcivescovo ci chiama a partecipare a questo Congresso Nazionale. Ci dobbiamo preparare con azzimi nuovi per divenire Pane Celeste. Ha detto Gesù: “Io sono il Pane vivo disceso dal Cielo, chi mangia di questo Pane vivrà in eterno”. Una buona volta dobbiamo essere gli uomini nuovi della resurrezione. Via da noi gli azzimi vecchi. Io personalmente credo che questo Congresso sarà per tutta l’Italia una svolta definitiva a vivere il Vangelo. Per questo, negli ultimi giorni, il nostro essere veramente convinti della presenza di Gesù nell’Eucarestia infonderà una luce misteriosa verso tutti quelli che verranno alla nostra festa e a tutti gli italiani da rimanere edificati. La presenza del Papa è un segno universale della Chiesa nella stessa fede. Ma a noi sta il compito di essere nuovi e non versare vino nuovo in otri vecchi. 1997 101 Una festa giubilare A fondare il turismo sociale noi dell’O.N.A.R.M.O. di Bologna abbiamo contribuito con le Case per Ferie dei lavoratori. È stata una battaglia dura, ma con l’aiuto di un grande amico: Angelo Salizzoni, è stata vinta. La legge dello Stato e delle Regioni riconoscono le Case per Ferie turismo sociale. Perché l’O.N.A.R.M.O. ha sostenuto questa battaglia? I motivi sono tanti, ma tre importanti: 1. I luoghi che hanno queste bellezze naturali non potevano essere appannaggio solo dei ricchi. 2. La natura con le sue meraviglie eleva l’anima a DIO. 3. La bellezza, la pace, il silenzio: l’uomo ritrova se stesso, e sente il bisogno dell’amicizia e la necessità di legarsi gli uni agli altri. Oggi, rendendo grazie a Dio validi collaboratori hanno reso e rendono le Case per Ferie momenti di grande amicizia e d’intenso calore umano che sconfina in un inno di grazie al Creatore. Per questo celebriamo il 20 e 21 Giugno p.v. ad Alba di Canazei le nozze d’oro di tutte le Case per Ferie. Nessuno manchi perché vecchio o invalido. 1997 102 Un sogno I l mio desiderio è di avere una casa per accogliere ragazzi poveri, orfani ed extracomunitari dai 14 ai 18 anni, avviarli ad un lavoro con preparazione appropriata e condurli alla vita secondo i loro piani; non mi dispiacerebbe che alcuni divenissero sacerdoti. Mi sento ancora tanta forza di volontà per fare questa cosa. Pensare a S.Sisto 1953 e rifare quell’esperienza nel 1998 è il sogno più bello. 1998 Il nostro segreto M i fa meraviglia la stima che gode quest’opera. Siamo tanto piccoli e tanto inesperti della finanza e della burocrazia; siamo però coscienti di fare tutto il possibile per seguire il bene dei più bisognosi. Ci sentiamo un gruppo unito nel sostenerci l’uno con l’altro. Quello che fa uno, è come se fossimo tutti a farlo. Se qualcuno non riesce per incapacità, l’altro l’aiuta perché il lavoro riesca bene. Non ci sono fra di noi gerarchie, ma solo voglia di amarci e di lavorare solo per il Signore. Ci sentiamo veramente servi, il nostro padrone è il povero. Siamo nati così e così vogliamo vivere. 1998 103 Sognare 1. Ci sono tante cose belle da farsi. È proprio vero che si ripetono i tempi. “Corsi e ricorsi storici”. Credevamo fosse finita l’emergenza dei ristoranti economici e delle Case per Ferie, invece si rendono necessari in città. Lavoratori che trovano un posto di lavoro e non sanno dove andare a dormire e mangiare. Allora creiamo un “albergo della città”, ove con prezzi modici si possa mangiare e dormire, come avvenne alle Case per Ferie nel 1947. 2. Si sono avverate le previsioni: fatti i campi di gioco con collaboratori seri e preparati, i ragazzi vengono e sono tanti alla Pallavicini: si rende ora necessaria una nuova Palestra che serva anche per accogliere tutte le persone che si vogliono interessare, ascoltare, e partecipare ad incontri di formazione culturale. Allora la Palestra diverrà un luogo di ascolto e di partecipazione: un vero auditorio. 3. Le giovani coppie che hanno fatto esperienza al Villaggio della Speranza non vogliono lasciare questo campo di formazione per loro e per i figli, dalla vicinanza degli anziani. Chiedono di fare lì alla Pallavicini una cooperativa per avere una abitazione permanente, cioè un complesso abitativo per gli amici del Villaggio della Speranza. 1996 104 Le Case per ferie: ieri e oggi “… chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza”. La teoria di Lorenzo il Magnifico è divenuta una norma per la maggioranza degli uomini del nostro tempo. Il “carpe diem” dei romani è ormai un’abitudine, mentre il modello di vita di gran parte degli americani degli U.S.A. condiziona il modo di vivere e di pensare di molti di noi. La nostra vita semplice e capace di contemplare le bellezze della natura è un sogno che appartiene al passato. Il vivere insieme (anche nelle camere), il camminare insieme, l’esprimere la gioia con canti, il promuovere la conoscenza reciproca e l’amicizia erano per noi grandi valori che ci riempivano l’anima. Piano piano si sono avute le prime defezioni dei pionieri delle Case per Ferie. Le mogli, che pur venivano per riposare, ma pulivano le camere, rifacevano i letti….hanno cominciato a scegliere vacanze in albergo con tutta la famiglia. Solo i bambini reclamano il clima delle Case per Ferie. Molti dei primi sono spariti dalle nostre Case, ma vedere come alcuni continuino a frequentare ci dà forza e spinta per progredire. Ma fino a quando? Ora viene il bello! Avere in vacanza lo stesso spirito borghese di sempre segna un regresso di valori – comunione, partecipazione, amicizia – che fa cadere nell’apatia morale e spirituale: la storia ci insegna che così caddero le grandi nazioni. Non avere un punto di riferimento sicuro, anche solo per quattordici giorni, è un regresso. Come per l’anima un corso di esercizi spirituali può significare il risveglio di tante cose dimenticate o mal fatte, così quattordici giorni di ferie nelle nostre Case possono essere un ritorno all’essenziale della vita. Purtroppo il nostro oggi ci porta a pensare e a riflettere: le famiglie con pochi componenti, i giovani liberi di spendere e scegliere dove e con chi andare in vacanza, la ricerca delle comodità dei servizi più consoni ai bisogni acquisiti, la facilità a preoccuparsi di tutto ciò che serve al benessere del corpo, l’assenza di valori veri… Allora per poter continuare a proporre le Case per ferie cosa possiamo fare? Aspettiamo le vostre proposte. Scriveteci. Il tempo gioca a nostro svantaggio. 1999 105 Verso il Villaggio A vevamo proposto di fare il Villaggio della Speranza, abbiamo chiesto al Signore un segno che fosse a Lui gradito questo omaggio agli anziani. Il Signore ha mostrato di gradire l’offerta, e, il nostro Arcivescovo lo ha messo come segno del Congresso Eucaristico 1987. Quando la Chiesa parla è Dio che si manifesta. I tempi si allungano; ma noi vogliamo accorciarli. Tutto il Villaggio si fa: sono 72 alloggi per famiglie, più quattro per i sacerdoti anziani e l’ambulatorio. Non vogliamo portarlo troppo alla lunga. Con il 1993 vogliamo finire. A noi bolognesi le cose troppo lunghe stancano. Anche la Chiesa di San Petronio, dopo 500 anni, è ancora priva della facciata, perché andava troppo alla lunga. Occorre un aiuto sostanzioso, con l’aiuto di tutti possiamo completare il nostro “impegno”. Devo ringraziarvi in modo particolare perché senza di voi non avremmo fatto nulla. Il Signore ha dimostrato che il Villaggio è suo, perché l’Arcivescovo lo ha voluto. Noi compiamo l’opera. 1991 106 Le radici del Villaggio L e radici del Villaggio della Speranza affondano in un ricordo di tanti anni fa, quando eravamo intenti a svolgere la nostra continua assistenza ai Rastrellati dai tedeschi negli anni 1944-1945 alle Caserme Rosse. La cifra documentata di questi rastrellati passati da Bologna è stata di circa 35.000 persone, alle cui famiglie fu dato un segnale di vita, tramite i Vescovi di Firenze e di Lucca, che i loro cari erano sani e salvi. Ogni giorno con il corriere Pardini di Corticella partivano con la farina 1000 lettere, questo dal giugno 1944 fino a quando le truppe alleate non sono entrate in città. Poi cominciarono le corrispondenze, le visite che culminarono nel 1947 con un incontro alle Caserme Rosse, al Vescovado e con un pellegrinaggio a S.Luca di 800 persone. Poi furono inviate circa 7.000 lettere il 18 aprile. Poi gli incontri a Pisa, Firenze, Lucca. Poi le visite a Bologna, almeno 10, con la partecipazione di un centinaio di rastrellati ogni volta. E ogni volta che ci vedevamo mancava un amico perché defunto o malato. Sarebbe stato bello fare delle Caserme Rosse un Villaggio per anziani ex-Rastrellati toscani insieme ai bolognesi. Sarebbe stata una memoria perenne di un luogo doloroso trasformato in un giardino di speranza, ma il tempo e i bisogni cambiano. Nel 1956 noi dell’O.N.A.R.M.O., con un accordo con l’E.C.A. inviavamo circa 400 poveri in soggiorno estivo gratuito nelle nostre Case per Ferie. Da questi contatti si è cominciato a conoscere con più razionalità le necessità degli anziani. Si sono messe a disposizione due assistenti e tanti volontari che andavano a trovarli nelle loro case per portare piccoli doni. Si è iniziata, con tanto successo, dal 1979 una accoglienza diurna di questi anziani a Villa Pallavicini nei mesi di luglio e agosto. La convivenza dei giovani con gli anziani è stata meravigliosa, per gli uni e per gli altri. Questo ha fatto sorgere il desiderio di fare qualcosa di permanente per continuare così valida esperienza. L’iniziativa, voluta anche dal nostro Arcivescovo, con l’aiuto della Vergine Santa ci ha dato la possibilità di realizzare il sogno di tanti anni fa, e così è sorto il “Villaggio della Speranza”. 1993 107 Convertitevi C’ è tanta confusione fra la nostra brava gente. Tutto sembra capovolto. Sembra che nessuno più faccia il bene. Tutti sono coinvolti. È un momento di riflessione per non cadere in tentazione. Si aspetta l’uomo che ci salvi da questa situazione. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”. Allora chi ci salverà? “Il mare era burrascoso, le onde coprivano la barca, e Lui riposava. Svegliati Signore, noi periamo”. Comanda ai venti e si placano, comanda le onde e il mare diventa calmo. Convertitevi e credete al Vangelo. Purifichiamoci dei nostri peccati e poi Gesù ci salverà. 1994 108 Uno stile A ncora per nove mesi stendiamo la mano per il Villaggio della Speranza perché abbiamo fiducia che gli amici diano la prova della loro solidarietà come hanno fatto per il portico superando le spese di 500 milioni. È necessario in questo momento rivolgere la nostra partecipazione a tante nuove iniziative urgenti di solidarietà; ma è nostro stile pagare i debiti e poi farne degli altri per i fratelli bisognosi. Noi, nella festa di S.Petronio (4 Ottobre), facciamo i piani, avendo soppesato i pro e i contro e poi si parte di volata. Così è avvenuto nel passato e così vogliamo continuare. In cantiere ci sono tante iniziative, ve le comunicheremo tramite “Collaboriamo”, perché voi siete parte della Provvidenza del Padre Celeste che ci ama alla follia. Scusate l’insistenza di chiedere per il Villaggio della Speranza; ma è necessario. Confidiamo in voi. 1994 109 Camminiamo insieme I l 1994 sarà l’ultimo anno che chiediamo aiuto per il Villaggio della Speranza. Siete stati meravigliosi per il portico. Avete fatto il pieno. Da parte mia voglio dire un grazie ad uno ad uno ai 30.000 offerenti che ci hanno aiutati in questa impresa. In modo particolare agli amici delle Case per Ferie. Come posso ricambiarvi? Prenderò “il calice della Salvezza e lo offrirò a Dio Padre!”. Questo è il mio compito: ogni giorno, mettere tutti voi amici nel calice della S.Messa perché Gesù vi ricompensi della vostra generosità. Il 4 Ottobre la gioia ha invaso la mia anima e si è riempita di grande consolazione. È impossibile esprimere questo sentimento di gratitudine, specialmente dopo aver letto le tante lettere. Solo due pensieri espressi da Maria Santissima, Madre amabilissima, possono essere una vera risposta: • “… Si faccia di me quello che il Signore vuole”; • “…Grandi cose ha fatto in me il Signore”. La famiglia dell’O.N.A.R.M.O. così grande, così gioiosa può fare grandi cose. Con voi tutto è possibile, purché Gesù lo voglia. Coraggio, camminiamo insieme per poter raggiungere insieme quella corona di gloria che Gesù il giusto giudice ci ha preparato. 1994 110 Il portico I l progetto del Centro di accoglienza giornaliera per anziani malati, nella sesta corte – dedicata al Card. G.B. Nasalli Rocca – prevede il collegamento con le altre corti del Villaggio della Speranza. Com’è avvenuto tra le altre corti, la congiunzione sarà realizzata con un portico per consentire agli ospiti di muoversi da una corte all’altra e raggiungere il “centro”, anche in carrozzella, al riparo dalle intemperie e dal sole. Auspichiamo che, come i passato, ad ogni luce di portico si possa ritrovare la memoria di qualcuno che è stato molto amato. Sarà bello e utile per coloro che vivranno in questa opera. Vorremmo dunque che ogni arcata del portico appartenesse a qualcuno. Qualcuno che sarà affidato alla preghiera di quanti passeranno. … se volete lasciare un ricordo perenne nel Villaggio della Speranza sottoscrivete un arco del portico. Il nome della persona ricordata sarà luce “…perché non inciampi nella pietra…” il piede infermo dell’abitante del Villaggio. L’offerta per ogni arcata del portico è di cinque milioni, possono sembrare tanti ma saranno senz’altro più utili e duraturi di tanti fiori, viaggi e rinfreschi…. 1996 111 Il Villaggio della Speranza completato I l nostro Arcivescovo Cardinale Giacomo Biffi durante il Congresso Eucaristico 1987 ci aveva affidato una meta: realizzare il “Villaggio della Speranza” per anziani. Oggi lo consegniamo all’Arcivescovo come segno della Chiesa di Bologna. Come uno scalatore che ha raggiunto la cima più alta della montagna vede e sente tanta gioia pensando che la via per arrivarci è stata ardua e difficile, così anche per noi raggiungere la meta è stata cosa faticosa ma nello stesso tempo anche facile perché costellata da tanti amici che ci hanno facilitato il cammino. Allora si rende necessario ricordare questi aiuti perché non si creda di essere dei campioni: in primo luogo gli amici delle Case per Ferie ed una miriade infinita di benefattori, il Centro di Addestramento Professionale per Giovani Lavoratori di don Saverio Aquilano, la Conferenza Episcopale Italiana, la defunta Macchia Faustina, la famiglia Bertuzzi, la Regione Emilia Romagna, il Comune di Bologna che ha saputo accogliere quest’opera come un nuovo modo di assistere gli anziani bisognosi. Un ricordo poi per tutti coloro che lungo il cammino, con amore e disinteresse, hanno creduto e operato perché il villaggio giungesse a realizzazione. 1993 112 Libici, eritrei, colombiani, russi e albanesi a Villa Pallavicini N oi tutti, siamo chiamati a riparare gli sbagli dei nostri fratelli italiani. Abbiamo occupato con la forza la Libia, abbiamo fatto della Libia una nostra colonia. Abbiamo creduto di essere più bravi. Ma dobbiamo divenire più umili e pensare che ogni popolo ha diritto alla sua libertà, alla sua indipendenza. Con i libici, abbiamo capito che erano ragazzi semplici, amanti del lavoro e carichi di valori. Alcuni con un carattere difficile, ma la maggior parte buoni e pacifici. La Villa allora era molto povera, ma l’amore e lo spirito di sacrificio ha tutto rimediato. Nell’anno Santo del 1975, dopo 9 anni dall’istituzione del Samaritano del Card. Giacomo Lercaro e un quasi gemellaggio con l’Asmara e tutta l’Eritrea, si era fatto ben poco. Uscivano dal loro paese martoriato dalla guerra centinaia di giovani. Gli amici della Radio Vaticana ce ne affidarono 7 e poi altri, ancora oggi alcuni si trovano qui alla Villa. Tutti hanno trovato un’occupazione purtroppo fuori d’Italia. È stata per noi e per loro un’esperienza molto bella. Si ricordano a Natale e a Pasqua con lettere molto affettuose. Era un piccolo segno di solidarietà per rispondere alla nostra conquista Eritrea e al sacrificio compiuto per aiutare i nostri soldati. Dopo l’avventura mondiale dei calciatori della Colombia, che hanno avuto momenti di alta commozione e amicizia ed è durata dall’8 Maggio al 27 Giugno, sono arrivati 29 bambini russi, accompagnati da nove genitori. Per due grossi motivi, abbiamo fatto questa accoglienza al bambini russi. 1 Per riparare ad una nostra invasione della terra russa, per motivi ideologici, popolo che è sempre stato buono e amante della pace. 2 Per incoraggiare questa iniziativa del Fondo per l’Infanzia, che è privato e che vuole rimediare alla rovina dell’educazione dello stato nel sostituire la famiglia, avendo fatto dei ragazzi senza sentimento e privi 113 di ogni dignità sociale, politica e religiosa. Sono stati ospitati completamente a nostre spese. Si è creato uno spirito di grande amicizia. I bambini dai 2 ai 14 anni, di cui di 14 anni solo due, sono stati gli artefici di questa solidarietà. La dirigente Ludmilla, intelligente e comprensiva, ci ha fatto passare giorni di festa. L’interprete Alexei, grande amante dell’Italia, ha saputo comunicare con tutti e farci capire la loro gioia di essere con noi. Sono partiti per la loro patria il 31 di luglio con tanta nostalgia di tornare. L’9 Agosto alle 18,45 sono arrivati alla Villa Pallavicini 46 albanesi dal campo di Brindisi. Era un mio sogno ospitare degli albanesi, questo popolo così eroico era stato il Venerdi Santo del 1939 occupato per ragioni politiche e militari di spazio vitale dalle forze militari italiane comandate dal Re e Benito Mussolini. Gli inglesi scrissero al sacrilegio; per l’Inghilterra il Venerdi Santo è festa e pertanto i giornali scrissero il “Delitto del Venerdì Santo”. La nostra storia, e la carta geografica s’inserisce nella storia di quella nazione. L’Italia ha dato asilo a molti albanesi nel periodo della persecuzione religiosa. Poi avevo avuto modo di conoscere nel periodo postbellico parecchi di questi giovani che non volevano più tornare nella loro patria a causa di un cambiamento di indirizzo politico del loro paese. Ricordo con tanto affetto l’Ing. Xevdet Musarai ora defunto, come uno dei più buoni uomini che abbia conosciuto. Questi motivi mi hanno spinto ad accettare l’invito del presidente della Regione Emilia Romagna ad accogliere questi 46 fratelli. Cosa sarà di loro? Siamo nelle mani della Provvidenza, e sappiamo di essere in buone mani. Il Signore ci ha sempre assistiti, spero che continui. Poi la Villa cosa farà? Un momento di pausa, attendiamo un segno dal nostro Arcivescovo, e con quel segno ci metteremo con solerzia ad adoperare perché Villa Pallavicini diventi un segno sempre più chiaro della Chiesa bolognese nella carità e nel servizio dei più poveri, come ha fatto nel passato, il futuro deve essere più fulgido e più splendente nella più grande umiltà e nascondimento. 1990 114 La polisportiva I l 1955 erano per Bologna momenti di grande passione politica sociale e religiosa. Una visione ideologica, scambiava l’azione della Chiesa come aiuto alla Democrazia Cristiana. Il compito della Chiesa è quello di fare conoscere Gesù e il suo messaggio di salvezza. Bisognava prima sgombrare i pregiudizi e far conoscere questo scopo della Chiesa. E questo è stato il compito della Pallavicini. Direi con le parole di don Paolino, parroco di Borgo Panigale: “In queste benedizioni pasquali ho avuto accoglienza in tutte le case e tutti mi hanno mostrato i trofei della Pallavicini”. Ora i giovani sono cambiati in meglio o in peggio, i giovani sono pianticelle che ricevono il sole per divenire uomini di valore, molti hanno la luna come loro incremento, altri le stelle, altri fuochi fatui, se poi sapranno essere sole che trasmette calore e vita, la vittoria è per questi ragazzi certa, saranno più degni dei giovani passati per la Polisportiva. Allora cari collaboratori, coraggio: il Sole che splende sempre, Cristo Signore, ci riempie del suo calore e noi saremo capaci di far nuova la Pallavicini, più bella più umile, ma più forte e libera. 1991 115 Il Campus L e scuole finiscono a metà giugno. Molti genitori lavorano, e le ferie sono ancora lontane. Allora mettiamo a disposizione le nostre attrezzature e i nostri educatori per accogliere i ragazzi dai 10 ai 17 anni. Si farà un piano: di formazione, di studio, di divertimento. Piano che sarà mantenuto e chi non ci sta rimane fuori. Genitori per voi facciamo questo campus, aiutateci. 1991 116 L’identità della polisportiva L a Polisportiva ha già svolto il suo programma di supplenza nello sport. Ha già costituito il suo bagaglio di presenza. Ora necessita la sua identità. È nata dalla Chiesa di Bologna per essere testimone di fede, speranza e carità. Ma sono gli uomini che fanno le opere, non le istituzioni fanno gli uomini. La nostra Polisportiva è nata cristiana, vuole rimanere cristiana, vuole che i suoi membri eletti siano cristiani (che osservino i dieci comandamenti e i precetti della Chiesa), non esteriormente ma con convinzione e adesione. È questa la grandezza della Polisportiva, è questo che ci distingue dalle altre. Ogni membro elettivo deve fare una scelta e per rimanere alla Pallavicini deve fare la scelta cristiana. Non è più come nel 1959 quando le polisportive erano poche e i campi zero, oggi sono tante e di tutti i gusti. Non importa se rimaniamo in pochi, quello che è importante è che siamo consapevoli della nostra vocazione. Invano vi lavorano gli atleti per costruire la Polisportiva se il Signore non la costruisce. Poi c’è la promessa del Signore che a chi lavora con Lui, sarà moltiplicato il suo lavoro. Ad Abramo senza figli, vecchio, il Signore per la sua fede, disse che la sua discendenza sarà più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare. Ora non c’è più bisogno di supplenza, c’è necessità di identità, di chiarezza e di contarsi fra di noi. 1988 117 Il restauro di Villa Pallavicini C ome sapemmo dei mondiali di calcio in Italia, scrivemmo a S.E. Carraro allora presidente del CONI, mettendo a disposizione Villa Pallavicini e la casa S.Giovanni di Castiglione. L’offerta fu gradita al presidente e tramite il dottor Romano scrisse al CONI Regionale. Interessammo per Villa Pallavicini il presidente della Regione, il vertice del COL Nazionale, il Comune di Bologna e l’Assessore della Regione. Ci fece fare un programma e Villa Pallavicini fu scelta fra le candidate a Bologna. Venne a visitare un funzionario di Roma, e tutto bene. Era già un vecchio progetto di sistemare la Villa per accogliere a Bologna 5 squadre e persone interessate alla vita religiosa e civile della città. Preparate le persone e gli intenti si è dato inizio ai lavori. E il 28 Aprile 1989, tutto il piano nobile era pronto ed è stato benedetto dal Card. Arcivescovo. Il primo piano era occupato in parte dal Centro professionale S.Petronio. Il Centro ha trovato un’altra sistemazione e si completerà il lavoro anche al primo piano. Poi si è pensato alla sistemazione dell’esterno. Così l’11 Novembre p.v. i lavori alla Villa saranno terminati. Cosa serve? Attendiamo il 5 Dicembre quando i clubs internazionali delle squadre decidono la sede. Così ci siamo impegnati. Non viene scelta Villa Pallavicini?! Allora si dà inizio all’accoglienza delle nuove povertà di oggi: Il terzo millennio della Redenzione che sta per iniziare trova i giovani e le famiglie in situazioni diverse. Non hanno più bisogno di un pane, di un letto, di un mestiere, ma la necessità di aprirsi a nuovi orizzonti di questa realtà sociale. Sono i figli dei divorziati, che non si trovano con la matrigna o con il patrigno. Sono gli immigrati interni in cerca di un lavoro o di uno studio. Sono gli anziani lasciati soli quando i figli vanno a lavorare. Sono 118 gli immigrati che non hanno i famigliari e non sanno a chi lasciare i figli quando vengono ricoverati in ospedale. Sono gli stranieri di passaggio ovvero qui a studiare. Sono persone sole che cercano amici per rifarsi dello stress, etc… Ecco, la Villa Pallavicini si presta a questo. Quando una sciagura ci capita, siamo qui per lenire i dolori dei fratelli, per fasciare le ferite. Era un sogno dei tempi lontani, quando nel 1945 vidi passare mamme e spose in giro per l’Italia a cercare i loro cari. Un S.O.S. tempestivo di poca durata ma senza burocrazia e con tanta carità. La chiameremo S.O.S. “Madonna della Quercia” – Borgo Panigale Villa Pallavicini in Via M.E.Lepido 196 – Bologna. Così allo Spazio Verde E. 87 si aggiunge questo segno della comunità cristiana bolognese. È un piccolo segno, un premio di amore e di speranza che illumini l’avvento del terzo millennio della Redenzione di Cristo per divenire faro di luce per tutti coloro che cercano pace, salvezza, cioè il Cristo nostra pace e nostra salvezza. 1989 119 La palestra per disabili “don Giuseppe Dossetti” C i domanderete: “Perché costruire una nuova palestra? Perché chiedete offerte per questa palestra? Noi abbiamo risposto con slancio quando ci avete chiesto l’aiuto per gli anziani del Villaggio della Speranza. Così quando avete chiesto per gli orfani di guerra dell’Eritrea. Così per la casa dell’Accoglienza per anziani malati. Ma per una palestra la cosa è più difficile a comprendersi”. Ma dobbiamo pensare in modo speciale ai giovani che sono colpiti da grave infermità e sono costretti a non trovare una palestra fatta apposta per loro, senza barriere, onde esercitare le loro possibilità fisiche per sentirsi ancora vivi e capaci di essere atleti come gli altri. Questa è stata la molla per la costruzione di questa opera. La nostra polisportiva ha già oltre 500 atleti e non può soddisfare le loro necessità di allenamento. Inoltre la vecchia palestra, “afona”, non è adatta per i nostri incontri. Alla morte del Cardinale Giacomo Lercaro si dedicò subito a Lui questa palestra come appare nella targa messa all’ingresso. Così la nuova palestra avrà un nome: “don Giuseppe Dossetti”. Per noi, per Bologna e per l’Italia sono state due personalità di grandi innovazioni sociali, di grande prestigio, in più nostri grandi amici. 1998 120 La dignità del lavoro L a nostra opera “Gesù Divino Operaio” celebra oggi la sua festa. È per tutti noi un grande momento, perché è la festa degli operai. Dio, fatto uomo, ha scelto di essere operaio: ha scartato tutte le altre istituzioni dell’uomo per scegliere la strada voluta da suo Padre per il primo uomo: “…lavorerai con il sudore della tua fronte”. Mi ha sempre stupito e nello stesso tempo entusiasmato la storia di Israele: il vero israelita, oltre allo studio, ha il dovere di imparare un mestiere manuale. E questo popolo, più volte distrutto, è sempre risorto con le sue forze. La cultura di massa del nostro popolo, angariato dalla prepotenza di una classe sociale, ha voluto liberarsi del lavoro manuale per cercare in un pezzo di carta (diploma o laurea) la sua emancipazione. Al contrario invece, ha perduto il gusto del lavoro, ha perduto la gioia di fare qualcosa di suo, ha perduto la libertà. Solo il lavoro cosciente e responsabile rende all’uomo la gioia di vivere. Gesù, il Signore, ha scelto il lavoro manuale per essere libero ed indicarci la strada che dobbiamo percorrere. Insegniamo ai nostri ragazzi un lavoro, ma con arte e perfezione: dimostriamo di amare la povertà come virtù e ricchezza dello spirito; andiamo contro corrente, non lasciamoci vincere dal mondo che adora “mammona”. Non vogliamo imitare quelli che si dicono arrivati, perché hanno tutti i prodotti dei “carosello”. Siamo uomini e non “pecore matte”. Da qui nasce una nuova generazione: si stabilisce un nuovo rapporto fra noi ed il Signore. Vedremo sorgere la Provvidenza, ameremo questa terra come nostro regno, i suoi frutti come dono del Padre che è nei cieli, il frutto delle nostre mani come capolavoro della potenza di Dio infusa in noi. La Fondazione “Gesù Divino Operaio” ha creato le Case del giovane lavoratore, le Case per Ferie per i lavoratori, il Centro professionale per 121 i lavoratori, l’Oasi della Speranza per i pensionati mal retribuiti per un lavoro spesso improbo. Non vorrei essere frainteso: questo non toglie che chi ha maggior intelligenza e capacità non debba emergere e conseguire studi più elevati, ma sempre per essere guida e servitore di tutti. Ancora questo non toglie l’obbligo di studiare per scoprire la nostra incapacità e tenerci continuamente in uno stato di grande umiltà. Scegliamo noi liberamente questa strada, oggi, prima che ci sia imposta con la forza e la potenza delle armi. “...se oggi ascolti la mia voce, non indurire il tuo cuore…”. 1984 122 Primo maggio È la nostra festa. È il giorno in cui dobbiamo rinnovare la nostra consacrazione al Signore, come ogni comunità, rinnova i propri voti. Che cos’è la fondazione “Gesù Divino Operaio”?…Non è un mistero; ma con l’affermazione della filosofia perenne è la realtà di essere e di fare. Come per un sacramento occorrono tre cose: materia, forma, ministro. Così per essere nella realtà di fare, a noi occorre: l’associazione “Matteo Talbot” (materia), la Fondazione “Gesù Divino Operaio” (forma), l’O.N.A.R.M.O. (ministro). Tutto si riduce alla Trinità, essendo uno lo Spirito, una la fede, uno il Signore. Ma per essere materia occorre lasciarsi plasmare, essere duttili e disponibili all’azione dello Spirito Santo. Non occorre competenza, cultura o capacità manageriale, ma solo coscienza retta, conoscenza di Dio, comunione continua con Lui e amore assoluto agli uomini. Vedere in ogni uomo il volto del Signore. A riempire i vuoti della nostra capacità e cultura ci pensa lo Spirito del Signore. La Fondazione Gesù Divino Operaio, come forma occorre di: • povertà assoluta; • servizio, sempre, agli altri; • considerarsi gli ultimi, sempre gioiosi. Non chiedere mai nulla per noi, ma dare tutto agli altri. Non avere sicurezze alcune dagli uomini, sapere e credere fermamente che tutto ci viene da Dio. Solo Dio ci basta. Considerare spazzatura il giudizio del mondo sia quando ci dicono bene, sia quando ci dicono male. Vedere la struttura della società di oggi, fondata sull’uomo, menzognera e fallace. Richiamare tutti, in particolare gli operai, a sperare solo in Dio e a Lui solo confidare tutta la vita. Il ministero di Amore datoci da Gesù il Signore viene operato dagli uomini, che siamo noi con tutti i difetti possibili. L’O.N.A.R.M.O. si 123 presenta come opera di Dio per mezzo nostro: così vedranno che quanto c’è di buono è di Dio, e, tutto quello che è cattivo è opera nostra. È chiaro: quanto più siamo una cosa sola con Cristo, più operiamo in profondità nel bene vero: meno siamo inseriti in Cristo, più deboli siamo e meno diamo agli altri, rendendoci così meno credibili e veri. Il primo maggio è il giorno della conversione e il giorno del perdono. Dobbiamo inserirci totalmente in Cristo Gesù per operare. Dobbiamo scegliere quale fondamento di vita le beatitudini; cioè essere: poveri, miti, misericordiosi, operatori di pace, amanti della giustizia, deboli. 1985 124 Il figlio del carpentiere M i hanno sempre fatto tenerezza i ragazzi apprendisti. La loro dignità, il loro entusiasmo, la loro voglia di imparare. Quando penso che Gesù è stato apprendista nella bottega di Giuseppe il Falegname, la mia tenerezza si cambia in amore infinito. Che il Figlio di Dio abbia scelto per 18 anni il lavoro manuale mi rende felice. Mi rende felice che abbia scelto la strada della maggioranza degli uomini per guadagnarsi il necessario per la vita. La scena della bottega di Nazareth è un capolavoro della bontà di Dio Padre: Giuseppe che insegna il mestiere a Gesù, unigenito di Dio, Maria che fa la cuoca e cura la pulizia della casa. Quadro di incomparabile grandezza di pace e d’amore! Allora voi capirete perché noi abbiamo creato la Fondazione Gesù Divino Operaio: perché anche in questa scelta Gesù ci ha insegnato non con parabole ma con la stessa vita come possiamo salvarci. Nel lavoro Gesù ha dato a tutti gli uomini la possibilità di salvarsi e di essere assieme a Lui per tutta l’eternità. Per noi della Fondazione Gesù Divino Operaio, il 1° Maggio è la nostra festa e il modo più semplice per essere vicino a Dio e agli uomini, è condividere la loro gioia e le loro angustie, e dir loro: “Guarda il Dio Operaio e fa quello che ha fatto Lui”. 1998 125 Anno dell’anziano P ure questo è un anno “dedicato” a uomini nostri fratelli in Cristo. Il 1982, che già corre, si è aperto come una promessa veramente impellente verso gli altri: gli anziani. Ad una prima occhiata, saremmo tentati di dire che ci stiamo di casa nell’argomento. Non per elencarli, ma per notare che sono traguardi di ieri, rammentiamo l’assistenza agli anziani bisognosi nelle Case per Ferie, in particolare quelle di Castiglione dei Pepoli e di Milano Marittima, realizzata grazie alla generosità di tanti amici. Non per sollecitare consensi, né per vivacizzare opinioni, rammentiamo l’esperienza di luglio e di agosto a Villa Pallavicini. Tuttavia non ieri, ma oggi e domani ci chiedono il solito impegno: anzi non il solito, ma altro impegno. Perché nell’anno dell’anziano sembra doversi fare, se non qualche cosa di diverso, certo qualche cosa di più. Avete presenti talune “Case” imprenditoriali che, nel venticinquesimo o nel centesimo anniversario di “qualche cosa”, pubblicizzando un prodotto speciale? Ebbene, le “Case per Ferie” dovrebbero lanciare quest’anno il prodotto speciale. Fuor di metafora, occorre dire che un amico ha offerto un soggiorno per un anziano bisognoso; subito altri amici hanno suggerito: “ Non sarebbe il caso di…estendere l’iniziativa”?. Ben vengano dunque i “prodotti speciali”! Ma non solo questi, perché non di pane soltanto è intessuta la vita. Lo stare assieme, l’ascoltare, dare il poco che gli anziani ci chiedono, nel nome del Signore, farà sì che la dedica dell’anno travalichi un impegno aridamente laico. Chiediamoci, con i discepoli del Battista: “Maestro, dove abiti”? Crescerà allora in noi una certezza: riceveremo in cambio moltissimo. Non soltanto dagli anziani. Come del resto sanno già numerosi amici. 1982 126 Grazie a Dio Padre per Gesù Cristo C he ha dato ai nostri fratelli e amici il suo Spirito per compiere opere buone. Sono cinque i doni: • La chiesa della Pallavicini è stata completamente restaurata per un dono del geom. Mario Guidi. • Alcune sale del piano terreno della Villa Pallavicini sono state riportate alla loro originale bellezza per un dono dell’Istituto bancario Credito Romagnolo. • Le camere al piano terreno della Casa per Ferie al mare “Don Filippo Cremonini” di Massignano sono state ristrutturate per poter ospitare persone handicappate per dono della Cassa Rurale di S.Sisto, della parrocchia di Corticella e dei signori Antonio e Fernanda Boschi. • Grazie per il cuore degli amici delle Case per Ferie che ci hanno donato la Casa per Ferie di Cogne. • Grazie ancora al Signore e a tutti gli amici dell’O.N.A.R.M.O. stiamo definendo l’Opera degli anziani a Villa Pallavicini. Ma ancora più ringraziamo Dio Padre per l’amore che ci unisce a Lui e ci rende strumenti della sua Provvidenza per i fratelli. 1984 127 Dall’Africa P er te Signore Gesù ho cercato di dissetarmi alla sorgente dell’amore. Ho chiesto a tutti un sorso d’acqua fresca ma era inquinata. Ho chiesto un pane ma era immangiabile. Ho chiesto una parola buona ma mi hanno offeso. Ho chiesto pietà e mi hanno sputacchiato. Allora ho lasciato questa terra amica e sono andato in terra straniera in Africa. Ero stanco e sfiduciato, mi hanno detto parole buone e mi hanno ospitato, mi hanno offerto miele e latte e acqua fresca. Ho deciso di restarci. Mi sono guardato attorno, ho visto nugoli di ragazzi, orfani di guerra. Avevano occhi splendidi e dolci. Mi sono chiesto: “che cosa fare?” Un coro di voci invisibili mi hanno risposto: “Insegnaci a lavorare per avere il pane quotidiano. Quello che nutre il corpo e quello che nutre lo spirito”. 1994 128 In Eritrea I l Cardinale Lercaro consegnandoci Villa Pallavicini ci indicò tre mete: 1. Casa di Ospitalità per Giovani; 2. Base Sportiva; 3. Centro Professionale. Furono raggiunte subito. La Villa ci fu donata il 5 Aprile 1955 e già in ottobre la Casa di Ospitalità era piena di ragazzi che si preparavano al lavoro. Nel 1958 sorse il Centro Professionale che ha accolto nel corso degli anni oltre 10.000 allievi. Nel 1959 iniziò l’attività della Polisportiva “Antal Pallavicini “. Il Centro Professionale “San Petronio” ha avuto alti e bassi; Poi pian piano ha cessato di avere alunni, poiché erano sorti tanti centri nella varie città d’Italia. Volendo mantenere l’impegno alle indicazioni del Card. Lercaro e volendo lasciare anche una memoria della sua azione missionaria – già dimostrata in Eritrea nel 1966 con la creazione di scuole – si è pensato di avviare un Centro Professionale con il nome del Card. Giacomo Lercaro ad Hagaz, zona depressa dell’Eritrea. Dopo 30 anni di guerra l’Eritrea, già colonia italiana, è divenuta una nazione libera ed indipendente. Noi abbiamo il dovere morale di dare segni di solidarietà verso questo popolo valoroso e laborioso. Sono tanti i giovani desiderosi di essere utili alla loro patria. La guerra ha procurato tanti disastri e tanti morti. Sono tanti gli orfani e le vedove. Le offerte si raccolgono a questo scopo in tutte le opere dell’O.N.A.R.M.O. e alla fine di quest’anno desideriamo presentarvi l’opera già realizzata. Ci aiutano, in questa occasione, le nozze d’oro sacerdotali di don Libero Nanni e di don Armando Ricci. 1995 129 Africa T ornando dall’Africa ho meditato sul destino del mondo. Dopo l’Impero di Alessandro Magno, di Augusto e di Roma, di Costantinopoli, di Aquisgrana e dell’Europa deve arrivare la sovranità dei valori umani. L’America con il consumismo ha fatto il suo tempo; la Cina con la sua rivoluzione culturale ha distrutto la sua immagine di bontà e di saggezza; il Giappone con la sua ferocia suicida ha perduto il momento. Rimane solo l’Africa con i suoi valori a ridare al mondo la speranza di un’era nuova e di energie nuove. L’Africa di S.Cipriano, S.Atanasio e S.Agostino ha segnato la strada giusta alla Chiesa e ora unita, segni al mondo una speranza di salvezza. 1995 130 Il sabato al Villaggio I l Signore ci ha assistito e abbiamo messo fine alla costruzione del Villaggio. Ora il nostro pensiero va ai fratelli lontani giunti nella nostra città per lavorare onde mantenere la loro famiglia in patria. Per questi vorremmo applicare la parola di Gesù: “Beati i poveri in spirito, di essi è il Regno dei Cieli”. Vorremmo dir loro che li amiamo e siamo loro amici. Non solo per assisterli materialmente, ma per dare loro una condivisione di stima e d’affetto. Per questo vorremmo invitarli, alla Pallavicini, il sabato a stare con noi, offrire loro, secondo le loro usanze, un pranzo e inserirli nelle nostre attività sportive e ricreative. Per mantenere la loro unione nazionale, il sabato ne chiameremo 50 della stessa patria. Far sentire loro tutta la nostra solidarietà. Il nostro motto sarà: “Il sabato al Villaggio”. La casa di ospitalità dei giovani bisogna metterla a disposizione di chi ne ha più bisogno. Dopo l’esperienza della nostra montagna, dell’Italia centrale e del mezzogiorno, dei libici, degli eritrei e di studenti di altre nazioni africane, dei russi, degli albanesi, ora bisogna rivolgere la nostra attenzione ad un popolo bisognoso dell’Africa. La nostra simpatia va agli eritrei per un vincolo di amicizia di lunga data con questo popolo. Sappiamo che la guerra lunga ha fatto molti orfani e molte vedove. Un altro popolo, di cui abbiamo in casa un giovane studente, ci affascina molto: il BurkinaFaso, l’ex Alto Volta. Come attuare tutto questo? È tutto da vedere e da meditare. Sarà necessaria la permanenza di qualche settimana in questi paesi, per vedere quello che è meglio fare. 1993 131 “Va’ e fai lo stesso” (Luca 10-37) O gni giorno noi ci troviamo a contatto di tanta gente che ha fame e sete di giustizia. Noi cristiani potremmo dissetarli e sfamarli se fossimo capaci di ascoltarli e di capirli. Il Papa Paolo VI ci ha messo a contatto di un popolo di affamati, o meglio, di tanti che muoiono letteralmente di fame. Questa invocazione ha avuto una vasta eco nel cuore di tanti e, compreso il problema, ha tentato di dare qualcosa. Non basta commuoverci, non basta toglierci lo scrupolo di non aver dato. Occorre tenere presente sempre, ogni giorno, questo dramma. Occorre parlarne con gli amici, occorre aderire alla magnifica iniziativa del nostro Cardinale Arcivescovo con l’Opera “IL SAMARITANO”, facendo gruppi di appoggio per sfamare con il nostro superfluo degli autentici bisognosi, che a guisa della parola del Vangelo sono degli stranieri e degli sconosciuti per noi; eppure c’è un comando anche per noi dato da Gesù:…” Va’ e fa lo stesso”. Già cinque amici delle Case per Ferie hanno costituito, estendendo l’iniziativa del Cardinale, un gruppo di appoggio per la sconfitta della fame nel mondo, indirizzando le loro offerte e le loro preghiere a un villaggio di affamati. Questa è la sola guerra che i cristiani possono fare. Questa è la sola vittoria che ci inorgoglisce: sconfiggere la fame! 1966 132 Un sogno nel sogno R icordo bene i giorni di maggio e di settembre dello scorso anno, il 1999. A maggio sono stati molti i giorni di viaggio e non trovavo mai una casa per abitare. Ogni luogo che conoscevo era sempre occupato. Ricordo di aver attrezzato nel sottotetto di Villa Pallavicini un posto per dormire; ma a sera era occupato. Continuavo a cercare; sudavo, mi agitavo, ma non trovavo nessuno che mi prendesse a dormire. Ho visto il mio paese, il Farneto, tutto cambiato; nessuno mi ospitava, solo alcuni forestieri mi offrivano un posto per dormire: però erano intenti a compiere sortilegi e magie. Scappavo da quelle case e giravo per boschi e calanchi. A settembre le cose sono cambiate. Mi sono trovato in un tunnel buio sotto terra. Un buio terribile. Solo una piccola luce in lontananza. Soffrivo terribilmente. Ho avuto un sogno nel sogno: quello di essere arrivato alla fine dei miei giorni. Mi sono visto come ero dentro di me. Impaurito per la mia miseria, ma fiducioso di rimediare in futuro. Con tanta speranza e gioia. Poi sono stato trasportato al piano di sopra. Mi sono accorto di essere vivo. Un desiderio grande di vivere, di vedere il verde e gli uccelli, di volere un gran bene a tutti gli uomini. Ho capito che solo l’amore a Dio e agli uomini è la base della vita. Si crede di aver rinunciato a tutto, ma non avere un letto per dormire diventa un tormento. Bisogna provare per credere. 2000 133 Meglio dare che ricevere T utte le opere dell’O.N.A.R.M.O. sono frutto della generosità e della partecipazione degli “amici”. Da questa grande generosità sono nate nel tempo le Case per Ferie di Alba di Canazei, San Vigilio di Marebbe, San Silvestro di Dobbiaco, Milano Marittima e Massignano, la palestra Cardinal Giacomo Lercaro e poi la sistemazione della Villa Pallavicini per l’accoglienza ai giovani italiani e stranieri. Se ancora ho potuto realizzare prima il “Villaggio della Speranza”, poi la “Casa di Accoglienza Cardinal Nasalli Rocca” ed ora la “Maison d’accueil Dal Monte” che ospiterà i pellegrini nell’anno giubilare, è perché tu, amico, me lo hai permesso, ti sei fatto strumento, anche piccolo, della Provvidenza che si serve di ognuno di noi per fare il bene. Ma poi ci sono pronti tanti altri progetti ancora da realizzare tra cui la nuova palestra per disabili “don Giuseppe Dossetti”. All’inizio del nuovo millennio mi rivolgo a tutti gli “amici” perché queste opere, nate dalla generosità di tante persone in maggior parte scomparse, possano continuare a vivere per la generosità di altre. Anche i vostri morti vivono nel ricordo e, attraverso voi, possono e vogliono continuare a fare del bene: è un sogno che ho fatto durante la mia lunga malattia. “Continua a sentirti strumento della Provvidenza facendo sì che il vuoto che si fosse mai fatto attorno a te per la scomparsa di una persona cara, venga riempito con un gesto che dà vita…” È così che spero che la Provvidenza attraverso la tua generosità e il tuo buon cuore, continui a dare alla Fondazione Gesù Divino Operaio i mezzi necessari a realizzare nuovi progetti e a far vivere quelli già attuati. 1999 134 TESTI SIGNIFICATIVI Il Nettuno d’oro S ono profondamente grato e grandemente commosso per il prezioso riconoscimento che avete voluto assegnarmi a nome della città, della mia città. Se infatti nei lontani anni della mia prima infanzia non esisteva neppure di fatto un’area metropolitana e San Lazzaro era un’entità ben distinta, Bologna era già Bologna e io vi ho proseguito gli studi fino all’ordinazione sacerdotale, e quivi ho svolto per oltre 50 anni il mio ministero. Ministero che ho proprio iniziato nei modi e nelle forme che avete avuto l’amabilità di ricordare, in tempi tragici e turbinosi, per espresso desiderio dell’allora Arcivescovo Cardinal Nasalli Rocca, dando vita a quell’opera di soccorso e di assistenza ai rastrellati che ha poi segnato profondamente e permanentemente la mia vita di bolognese di sacerdote. Non rivelo certo un segreto a indicare nella Pro-Ra la radice delle successive opere che come delegato Arcivescovile dell’O.N.A.R.M.O. ho proseguito nei decenni che allora si definivano post-bellici e ora non si chiamano affatto, perché purtroppo si tende a perderne anche la memoria. Il Cardinale Nasalli Rocca pensava che un pretino giovane di età e di figura esile, avesse più facile entratura presso le autorità tedesche, ma la tonaca non bastò a rimuovere i pericoli e i rischi dell’illegalità diffusa fra occupanti e collaborazionisti, anche perché all’opera di conforto e di assistenza morale e materiale si aggiunsero fughe sospette sempre più numerose dalle Caserme Rosse, e addirittura un folto gruppo di rastrellati toscani non si limitò a nascondersi nei rifugi che avevamo preparato, ma entrò nel movimento clandestino di resistenza. La Pro-Ra non è stata quindi una persona sola, perché ovviamente non sarebbe stata possibile senza la partecipazione e il coinvolgimento di molti, ma l’impegno e lo sforzo comune della Chiesa bolognese, di confratelli parroci e soprattutto di molte donne, in particolare del ceto medio-alto, che avevano maggiori risorse reali da donare: abiti, scarpe, viveri – allora il denaro valeva poco – e lo fecero, rispondendo con ge137 nerosità all’appello, lavorando con le mani e dedicando alla Pro-Ra il loro tempo maggiore. Ora non sono più: ed è pensando a loro, e alla loro memoria che ho ritenuto di accettare un così lusinghiero riconoscimento personale, in loro rappresentanza, tutti insieme come ai tempi delle Caserme Rosse. La comunità dei credenti sa che ogni opera di misericordia è testimonianza di amore ai fratelli nel bisogno, e che perciò è scritta nel gran libro della Vita e mai sarà dimenticata. Fra due giorni, 50 anni fa Bologna esultava per la fine di un dramma e di un incubo, sostituiti da radiose speranze e splendide prospettive. Forse, perché si rinnovino e rinverdiscano per i prossimi 50 anni, è necessario che anche la società civile, la classe dirigente, gli studiosi, la pubblica opinione, i giovani innanzitutto, non dimentichino le “pietre vive” che nella diversità dei carismi e delle volontà hanno lavorato per la sopravvivenza comune e per rendere possibile la rinascita, di cui anche gli immemori godono i frutti pur non sapendo riconoscerli come tali; una cecità che speriamo non debba di nuovo costare cara al nostro Paese. 19 aprile 1995 138 1 maggio 1995: un discorso in Piazza Maggiore È per me una grande gioia trovarmi in Piazza Maggiore con voi lavoratori; ed anche una grande trepidazione. Questo è dovuto alla mia età di 75 anni e per la mia storia di sacerdote addetto ad un grande campo di concentramento di uomini e donne deportati dai nazifascisti nel 1944 alle caserme rosse di Via Corticella. Dal 1932 dal Farneto di S.Lazzaro venni a Bologna dove abito oggi. Ho vissuto intensamente la storia del movimento operaio. Ho visto i grandi successi ottenuti dal sindacato. Nell’opinione della gente che valeva per la sua posizione sociale e per la posizione finanziaria, il vostro lottare per essere veramente liberi e stare in piedi alla pari con loro; era considerato un atto di guerra ai loro privilegi e pertanto la vostra lotta era una ribellione e bisognava soffocarla a tutti i costi. Venivate ritenuti come nemici dell’ordine pubblico. Mentre qua a Bologna, città universitaria, certe pazzie degli studenti goliardi erano accettate dall’opinione pubblica come cose normali. Al contrario le vostre richieste di lavoro, di casa e di un pane per sfamare i figli erano provocatrici e si doveva impedire con tutte le forze queste giustissime istanze. Dobbiamo ricordare le parole di G.B.Vico: corsi e ricorsi storici. Se non siamo vigilanti sempre questi tempi possono tornare proprio qui. Il mio essere alle caserme rosse di Via Corticella, in mezzo ai rastrellati senza condividerne la loro sorte e cercare la loro liberazione, sarebbe stato un tradimento della mia coscienza cristiana. Così anche voi lavoratori se vi chiudete nelle vostre istanze di un sempre miglior andamento finanziario ed economico, e non dilatate i vostri cuori e le vostre menti a tutti i lavoratori del mondo che sono oppressi da fame e miseria, voi vi inaridite ed è stata vana tutta la vostra lotta per il bene dei lavoratori. Non è cessata la Resistenza, anzi ora si fa più acuta perché non si lotta più con un nemico in carne ed ossa come erano i nazifascisti, ma si deve lottare contro l’egoismo e il consumismo che ci pervade per far trionfare la solidarietà umana. 139 Non è più possibile come allora, nel 1944/45, avere tutta la città di Bologna allineata ai nostri ideali, adesso c’è una sfiducia generale, ma io credo che se troveremo un punto di appoggio, solleveremo non più Bologna e l’Italia, ma il mondo intero. Dobbiamo vedere il bene da qualsiasi persona vien fatto e coadiuvarla perché la sua impresa sia coronata da successo. Non più distinzione e discriminazione secondo chi è che fa il bene. Ricordo due episodi: uno durante la guerra e uno subito dopo, in fabbrica. Un giovane sergente che mi serviva la Messa ogni mattina alle caserme rosse e per questo dai compagni era continuamente preso in giro. Viene l’ordine dalle SS di portare in Germania 300 giovani rinchiusi. I superiori scappano tutti; lui diviene l’unico punto di riferimento di quei ragazzi. Allora lui apre un buco nel muro di cinta del campo e fa scappare tutti. Poi si presenta da me, tutto vestito coi gradi e mi dice, vado dal comandante tedesco a dire che in caserma non c’è più nessuno e mi consegno. Sei matto, gli dico. Quello ti ammazza. Va, nasconditi e torna al tuo paese. In una grande fabbrica di Bologna dove lavoravano anche degli apprendisti di Villa Pallavicini, un anziano operaio si accorge che gli apprendisti sono applicati a lavori pesanti non destinati a loro. Va dal direttore del personale a protestare energicamente e con forza: viene licenziato; però gli apprendisti non sono più applicati a quei lavori e la notizia si diffonde anche nelle altre fabbriche. Così risparmia a tanti lavoratori un invecchiamento precoce e con malattie. Gli chiedo il perché l’ha fatto; mi risponde non per motivi religiosi, ma per la giustizia e la solidarietà operaia. Forse nessuno di quei giovani delle caserme rosse ha ringraziato quel sergente; e nessuno dei nostri apprendisti ha ringraziato quell’operaio che per loro ha perduto il posto di lavoro. Davanti a queste persone mi sento commosso e penso che il loro sacrificio non è stato vano perché noi dobbiamo imparare a sacrificarci per le persone più deboli e indifese; e da questi fatti dobbiamo apprendere l’insegnamento per essere tutti assieme impegnati a formare una società libera e solidale nella quale non ci sia più posto per l’egoismo e l’assenteismo. 1° maggio 1995 140 Il Cardinale Lercaro ai cappellani del lavoro C arissimi, Ricevo il vostro telegramma, mentre sto per recarmi dal S.Padre. Non posso dirvi molto; vi raccomando questi punti: 1. Coltivate la vita interiore; 2. Coltivate lo spirito di Comunità nell’unione col Vostro Vescovo e tra voi; 3. Meditate e approfondite la vostra annuale promessa di dedicarvi all’opera che caratterizzò il ministero di Gesù: l’evangelizzazione dei poveri; 4. Studiate nell’esperienza vostra già pluriennale e nell’esperienza di altri le forme – e, se volete, anche le tecniche – per una più efficace opera di apostolato; 5. In quest’opera abbiate sempre la preoccupazione di unire (unione di tutte le forze cattoliche rappresentate nell’Azienda; unione tra i settori dell’Azienda: Dirigenti e prestatori d’opera; unione con la parrocchia…); 6. Studiate il modo o i modi di estendere l’assistenza religiosa quanto più è possibile. Il Signore benedica il vostro impegno apostolico e lo renda fruttuoso. Con tanti cari cordiali saluti. Aff.mo Card. Giacomo Lercaro 15 settembre 1965 141 Il Cardinale Lercaro in occasione del 25 di don Giulio D on Giulio carissimo, sono dunque 25 anni di Sacerdozio che ti appresti a ricordare riconoscente e commosso… Con te li ricordano tanti…; dirò meglio: tante anime. E con te e con loro li ricordo anch’io, che di quei venticinque ne ho seguito dappresso con amoroso interesse e compiacimento ben sedici… Anni pieni, grazie a Dio, che hanno lasciato nei cuori di tanti il ricordo di un sacerdozio generoso, prodigo di se stesso, umile e forte; che hanno rianimato in tanti cuori una luce di fede e di speranza ed hanno tracciato a molti una strada nella vita, per la meta oltre la vita. L’ansia di comunicare l’unica parola di fraternità, di riportare nella società l’unico vero “buon annunzio”, il Vangelo, ti ha naturalmente aperto il cuore ai problemi sociali; il mondo operaio ti ha attratto e agli umili ti sei dato con tutta la ricchezza della tua intelligenza e del tuo spirito attivo, con sete evangelica di giustizia, con lo slancio della Carità attinta al Cuore del Signore. Il Vescovo, che ti fu accanto in questi anni, che vanno dal ’52 al ’67, non può non ricordare le “Case per ferie”, i Campeggi giovanili, il “Villaggio dei giovani sposi”, la Comunità dei Cappellani di fabbrica, la “Casa della Carità” e, in modo particolare, la “Villa S.Petronio”, divenuta ormai, come era nel lontano sogno, una Casa di ospitalità per giovani Lavoratori, una Scuola, la sede di una magnifica Polisportiva, ma soprattutto un centro di vita spirituale, di irradiazione apostolica, di testimonianza evangelica. Di tanto lavoro, delle fatiche, delle ansie, delle amarezze che lo hanno soprannaturalmente fecondato, il Vescovo di quegli anni ti ringrazia 142 ancora… E pensa che tutto questo è nato – e non poteva altrimenti nascere – dall’Altare, sul quale da 25 anni rinnovi, sempre commosso e trepidante come la prima volta, il Mistero di Croce e di Risurrezione che salva il mondo. E ti auguro, caro Don Giulio, di poter ancora per lunghissimi anni godere la gioia della Messa, nella quale trovano pace tutti gli affanni, ristoro tutte le fatiche e le delusioni della vita si cangiano in speranza che non confonde. “Il mondo – diceva nella sua sofferenza Padre Pio – potrebbe fare a meno del sole, non della Messa…”. È infatti la Messa il sole della nostra giornata quaggiù; al di là c’è il Paradiso… Ti benedico con tanto devoto affetto, insieme a tutti coloro che hai nel cuore e a te vicini, e alle tue opere. Aff.mo Giacomo Cardinal Lercaro Villa San Giacomo, 30 settembre 1968 143 Un dono dall’alto Omelia di don Giuseppe Dossetti nel 50° sacerdozio di Don Giulio Salmi S iamo qui per ringraziare. Vogliamo con intensa effettività ringraziare. Ringraziare anzitutto il Signore del dono che ha fatto alla sua Chiesa in don Giulio: sacerdote al quale quando apparirà il Principe dei pastori, certo riserberà una corona di gloria che non marcisce: corona meritata per la sua grande carità. La carità di don Giulio è stata – come non può non essere la vera carità – una carità audace. Sempre audace. Audace dall’inizio del suo sacerdozio alle caserme rosse che lo portò a rischiare la morte per i rastrellati di molte province circostanti; alla carità pure altrettanto audace che gli fece cercare, nonostante la dura resistenza, il disprezzo, l’ironia beffarda di tanti, le anime dei lavoratori nelle fabbriche bolognesi; alla carità pure audace che lo buttò in tante imprese difficili e finanziariamente rischiose per le Case per ferie, per l’assistenza ai giovani lavoratori, per l’organizzazione delle scuole professionali, per la polisportiva Pallavicini, per il grande numero di giovani stranieri ospitati (libici, eritrei, russi, albanesi e tanti altri); e infine carità audace quella che gli fece superare infinite resistenze e blocchi quasi definitivi nella realizzazione del Villaggio della Speranza inaugurato stamane. Questa carità così audace eppure così bene piantata in terra e così perseverante e realizzatrice, non può essere stata altro che puro dono dall’alto. Di essa e per essa dobbiamo ringraziare il Padre, donatore di ogni bene, elargitore appunto di quella sapienza che viene dall’alto, che è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità e senza ipocrisia. (Gc.3,17). Tutti dobbiamo ringraziare: oltre che Dio, anche don Giulio. Qui siamo tutti suoi beneficati. Non c’è nessuno di noi che non abbia avuto da Dio tramite don Giulio grandi benefici. E il primo sono io e tutta la mia 144 comunità: che sin dagli esordi è stata da don Giulio, con mille ausili – morali, spirituali, materiali e concreti – aiutata ad inserirsi nella nostra Chiesa. Perciò, don Giulio, il nostro ringraziamento stamane deve essere ed è tanto effettivo e intenso e veramente riepilogante tutta la nostra vita e tutta la sua. Nella prima lettura, Isaia già prefigura la nuova economia, quella definitiva, in cui Cristo Pastore mostrerà le opere del Padre di lui, (Gv.10,25 e 32), l’Unigenito e l’Archipastore (I Pt. 5,4). In questa nuova economia, come dice il nostro S.Petronio nel sermone tenuto per l’anniversario della sua ordinazione, è il Cristo stesso che trasforma gli umili pastori di mestiere in profeti, e i pescatori in apostoli: è lui che converte gli uomini per salvarli, cambia i lupi in agnelli e sa trasformare le belve in pecorelle. Perciò il testo di Isaia dobbiamo rileggerlo come parlante già di Cristo Pastore, e possiamo rileggerlo oggi come perfettamente adeguato al Santo patrono della nostra città. Ma in terza lettura, esso si applica mirabilmente, parola per parola, al nostro don Giulio: mandato a portare il lieto annunzio ai poveri; a fasciare le piaghe dei cuori spezzati; a proclamare la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei progionieri; a consolare gli afflitti; a dare loro una corona invece della cenere; olio di letizia invece dell’abito di lutto. Ma tutto questo non per virtù propria, ma unicamente nella forza dello Spirito del Signore che lo ha consacrato con l’unzione. Don Giulio lo sa bene, che tutte le sue opere – tutte le molte opere di cui oggi con gratitudine lo riconosciamo artefice, e noi beneficiati vogliamo ringraziarlo – non sono propriamente sue, sono opere di Cristo e del Padre. Il Vangelo di oggi ce lo ricorda, con i suoi detti imperiosi che vogliono distruggere ogni vanto umano e riportare tutto all’esclusivo assoluto dell’opera del Padre e di Cristo: Non chiamate nessuno vostro padre sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste; non fatevi chiamare guide, perché una sola è la vostra guida, il Cristo; il più grande fra voi, sia vostro servitore. Gesù così non intende solo mettere in questione l’uso dei titoli, espressione di una vanità spirituale e umana, ma sottrae ogni fonda145 mento alle eventuali pretese che questi titoli rappresentano nei rapporti comunitari: cioè l’autorità o il potere intesi come controllo e dominio di una persona sulle altre. Precisamente come ammonisce Pietro nella sua prima lettera: Esorto gli anziani che sono fra di voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio, non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge (I Pt.5,1ss). La comunità dei discepoli ha un solo maestro e capo: Cristo; perciò essa è una comunità di fratelli, alla cui base sta una comune dignità di figli, i quali hanno riconosciuto un solo Padre, quello del cielo. Ciò però non toglie il ruolo autorevole di chi nella comunità ha il compito di essere grande e primo. Questo compito deve essere attuato nella forma del servitore, diaconos, sul modello del Servo per eccellenza che è Gesù, Messia umile e povero, e che ha prestato il suo servizio nella forma suprema della donazione totale e della morte. Egli è a un tempo il Pastore supremo e il Pastore buono che pone la sua vita per le sue opere. Come possano coesistere queste due cose, questo duplice atteggiamento, di autorevolezza piena e di servizio umile e oblativo, lo dice meravigliosamente S.Paolo nei versetti che abbiamo letto e che, in prima lettura, sono riferibili solo al Cristo, e da lui solo perfettamente realizzati: egli solo ha supremamente offerto il suo corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rm 12,1). In seconda lettura lo hanno realizzato i grandi santi pastori fondatori delle nostre Chiese, come appunto S.Petronio, che hanno fatto loro l’esempio dato loro da Cristo, e ne hanno fedelmente seguito le orme (I Pt.2,21). In terza lettura, siamo noi tutti tenuti, secondo l’odierna parola di S.Paolo, a coniugare continuamente, nella nostra vita, virtù che parrebbero opposte e sono complementari: la carità senza finzione, l’amore fraterno, il gareggiare nello stimarsi a vicenda, il fervore dello spirito, il servizio del Signore; la letizia della speranza, la perseveranza della preghiera, la sollecitudine per le necessità dei fratelli, la premura nell’ospitalità, e finalmente il rallegrarsi con quelli che sono nella gioia, il piangere con quelli che sono nel pianto. Non possiamo non dire a questo punto che don Giulio ha praticato tutto questo; e lo ha praticato, sin dall’inizio del suo sacerdozio, cinquant’anni fa, in un mondo e in condizioni che non erano certo più facili del presente. Nel 1943 l’Italia era praticamente annientata, distrutta 146 anzitutto nel suo onore, nella sua cultura, nelle sue strutture economiche, nell’organizzazione del suo lavoro, e per giunta oppressa dallo straniero e dai traditori, entrambi tirannici e crudeli. Se qualcuno di noi pensasse – e potrebbe pensare bene e con verità – che il corso dei tempi e gli eventi degli ultimi anni ci hanno riportato indietro e forse le strutture consolidate del peccato e della morte si stanno facendo (non solo in Italia, ma in tutto il mondo) non meno capaci di avvilire e degradare la nostra umanità e di opporsi a una vita autenticamente cristiana, doabbiamo nella fede della vittoria sul mondo del Cristo risorto, ravvivare la nostra speranza nella sua Parola impreteribile e incancellabile e trovare il coraggio, (cioè quella carità audace che il Signore ha elargito a don Giulio nel 1943) di ricominciare da capo. La coppa della vertigine (Is.51,17) che il mondo sembra avere bevuto dalla mano dell’ira del Signore, può essere ancora allontanata se ognuno di noi, giovane o vecchio che sia, decide, con fermezza e gratitudine a un tempo, di ricominciare da capo e di abbeverarsi alla coppa della speranza che non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato (Rm.5,5). 4 ottobre 1993 147 AI GIOVANI Ai giovani della Polisportiva SIATE AQUILE Un’aquila è il vostro emblema. Siate aquile nella vita. Volate sempre più alto. Liberatevi dal peso della materia che v’ingombra, per essere più forti. Non c’è soddisfazione più grande che vincere se stessi, e divenire liberi dalle passioni. Non c’è gioia più grande per un giovane che vincere la pigrizia del proprio corpo per perfezionarlo alla sua volontà. Chi vuole, può. Chi può, domina. Chi domina, si sente utile agli altri. Lo sport è un mezzo per vincere le tentazioni, per essere puro e vedere Dio. 1959 UNO STILE ED UN PROGRAMMA Donarci agli altri completamente con un servizio fattivo ed intelligente è il nostro motto. La libertà, la chiarezza, la sincerità e la lealtà nel dipingere il quadro di chi assume l’impegno sportivo sono costantemente presenti, il nostro modo di essere. Ai giovani di buona volontà la Polisportiva Antal Pallavicini è una palestra di perfezione fisica, morale e spirituale. I giovani deboli nella loro volontà, ma sinceri, trovano il mezzo di formarsi, di distinguersi nella loro vita. I giovani scrocconi, falsi, lavativi, che credono di poter ingannare la bontà di una veste che è superiore ad ogni interferenza politica e religiosa si sbagliano: per essi e solo per essi il cuore e la porta della nostra Polisportiva rimangono ermeticamente chiusi, affinché non abbiano ad infettare e viziare gli altri giovani che hanno diritto alla libertà ed alla gioia di vivere. 1962 151 DUE GARE Noi assistiamo a due gare: una traversata di Gerusalemme di corsa fra Pietro e Giovanni per andare al Sepolcro di Gesù; ed una marcia di 12 chilometri da Gerusalemme ad Emmaus per stare con Gesù. Nessuno è stanco. Tutti sono entusiasti. E vincono la vera coppa del Graal, la coppa della vita e della gioia. Anche voi giovani sportivi se correte non solo per amare, ma percorrete la vita con Gesù, siete certi di avere una doppia vittoria: primi su voi stessi, secondo di essere al servizio degli altri. Ed adempirete così al nuovo comandamento del Vangelo di amarsi gli uni e gli altri e di portare i pesi gli uni degli altri. Questo lo possiamo fare se sappiamo nutrirci del Pane dei forti che è l’Eucarestia. 1963 ANTAL “È forse il discepolo maggiore del maestro? Come hanno perseguitato me, essi perseguiteranno anche voi”. Così Gesù si esprimeva con i suoi discepoli per incoraggiarli a nulla temere, affinché il tempo della pace e della bontà si stabilisse fra gli uomini. Ogni giorno, cari giovani, dovete lottare contro tutti e tutte le forze del male per instaurare questo tempo desiderato, anche offrendo la vostra giovane vita per questo ideale. Per la libertà e la pace della sua Ungheria il giovane eroe ANTAL PALLAVICINI il 15 novembre 1956 moriva. Ed il suo nome è scritto nel libro degli eroi; così John Kennedy per il bene della sua patria, bene che si identificava con i valori immortali della libertà di tutti gli uomini e di tutti i paesi, immolava la sua laboriosa e giovane vita; la loro eredità deve essere da tutti raccolta. Noi, accettando il testamento di ANTAL PALLAVICINI, ci impegniamo di renderlo esecutivo ogni giorno per essere degni di portare i colori di cui la nostra Polisportiva si è fregiata. 1963 152 IL LINGUAGGIO DEI SEGNI Il 25 gennaio è la festa di San Paolo dei segni. Se vuoi sapere di essere un vero atleta, metti sulla finestra della tua camera un catino pieno d’acqua il 24 gennaio sera. Al mattino vedrai, se sai leggere, scritto il tuo destino di atleta tracciato nel ghiaccio. Occorre saper leggere. Dicevano i latini: poeti si nasce, oratori si diventa. Atleti si nasce. Sparta ha insegnato agli uomini della antichità. Tutti debbono conoscere se stessi, per essere sempre se stessi. Ancora il poeta Ariosto dice: chi troppo sale, precipitevolissimevolmente cade. La stanchezza di molti giovani è di credersi grandi atleti, ma sono solo semplici ragazzi sani e forti a cui la vita di squadra e di educazione fisica dà l’equilibrio per essere se stessi. Questo insegnano i maltesi. Sono isolani privi di ogni risorsa materiale, ma hanno creduto di essere uomini, cristiani, ed hanno fatto della loro isola una comunità di uomini che amano, e sanno darsi agli altri per la gioia di vivere. Questo noi abbiamo imparato andando a Malta. Malta è un’oasi dello spirito, così si esprimeva Vittorio, capitano della 1^ squadra di calcio al suo ritorno in Italia. Se Malta ci dà la gioia di vivere in terra, Roma ci ha dato il senso della grandezza divina e la gioia di far parte di una comunità mondiale. L’armonia dell’arte di Michelangelo che in S.Pietro ci dà il senso del divino, la moltitudine dei pellegrini di tutte le razze e di tutti i continenti i quali racchiusi sotto la cupola di San Pietro divenivano il simbolo del mondo intero. La figura bianca di Paolo VI, immagine viva del Cristo che salva gli uomini di oggi, ha fatto vibrare tutte le corde del nostro animo. Poi quando l’Antal Pallavicini è divenuta oggetto di augurio e di saluto da parte del Papa, allora è esplosa la nostra gioia simile in tutto a quella di Pietro Apostolo sul Tabor: “Signore, facciamo qui per sempre tre tende: una per Paolo VI, vicario di Cristo, una per l’umanità che è qui racchiusa tutta, ed una per noi dell’Antal Pallavicini”. Solo Roma dà il senso dell’immensità, solo a Roma il tempo ci porta a Dio. Solo Roma è la città Santa, la città di Dio, il tabernacolo dell’Altissimo, il centro dell’alleanza di Dio con gli uomini, la vera Gerusalemme. Solo chi ha vissuto come abbiamo vissuto noi quei giorni può capire il senso del verso del poeta immortale “di quella Roma donde Cristo è romano” e allora noi, reduci da Roma e compenetrati dal vero spirito della Roma cristiana ci onoriamo di capire il verso del poeta, e di proclamarci con gioia: “Cives Romani sumus”. 153 1968 SIATE PERFETTI COME È PERFETTO IL PADRE MIO CHE È NEI CIELI Il giovane in tutto cerca la perfezione: Nella persona, essere padrone di sé stesso; Nella cultura, conoscere quanto più è possibile; Nello sport, essere il primo in ogni disciplina; Nel lavoro, capire perché produce, e che cosa serve la sua fatica. Nulla vuol perdere. Tutto vuol finalizzare al bene e alla pace. A una cosa molti giovani non pensano: come piacere a Dio, che cosa fare per essere in comunione con Dio. Pochi conoscono fino a fondo Gesù. La Sua presenza ed il Suo messaggio sempre nuovo ed attuale. Un messaggio che dà vita e gioia e forza. • • • • 1984 154 Avvenimenti e date 19 maggio 1920 - nasce a S.Lazzaro di Savena, località Farneto. 20 maggio 1920 - battezzato da don Lorenzo Taroni, con i nomi Giulio, Diego, Pietro. 1932 - viene accolto nel Collegino dei Buoni Fanciulli, fondato da don Filippo Cremonini – in Via Zamboni di Bologna. 18 dicembre 1943 - è ordinato sacerdote dal Cardinale Gian Battista Nasalli Rocca. 1943 - delegato Arcivescovile dell’ONARMO di Bologna 1944 - viene mandato dall’Arcivescovo di Bologna ad esercitare il suo primo ministero sacerdotale alle Caserme Rosse. 1945 - organizza l’assistenza ai rastrellati tramite un organismo denominato Pro-Ra (Pro-Rastrellati). 1946 - entra come Cappellano del lavoro nelle fabbriche di Bologna: Calzoni e successivamente Ducati, Buton a Manifattura Tabacchi. 1946-47 - apre le prime mense interaziendali e successivamente i ristoranti popolari ed i primi spacci. 1947 - assieme ad un gruppo di giovani, dà vita alla prima Casa per Ferie all’albergo Fedaia di Alba di Canazei (TN) 1952 - con l’assenso del Cardinale Giacomo Lercaro, da poco Arcivescovo di Bologna, apre la prima Casa del giovane lavoratore a S.Sisto, successivamente la seconda a S.Michelino. 1955 - il Cardinale Giacomo Lercaro affida a don Giulio Salmi la Villa Pallavicini. 1955-1959 - a Villa Pallavicini, oltre alla Casa di Ospitalità per i giovani, sorgono un centro di addestramento professionale ed un centro sportivo. 155 1959 - a Villa Pallavicini viene istituita la Polisportiva. 1964 - il Comune di Lucca assegna a don Giulio la medaglia d’oro per l’attività svolta a favore dei rastrellati. 1966 - istituisce il centro “Samaritano” per aiutare le popolazioni in Eritrea della regione di Keren. 1967 - il Comune di Bologna assegna a don Giulio la medaglia d’oro nella ricorrenza del 25° di sacerdozio. 1973 - realizza a Villa Pallavicini la Casa della Carità, dedicata alla Madonna di S.Luca, per malati irrecuperabili. 1970-1980 - si occupa direttamente della pastorale del mondo del lavoro come Vicario Episcopale. 1979 - i Comuni di Capannori (LU) e S.Giuliano Terme (PI) assegnano a don Giulio la medaglia d’oro per l’attività svolta negli anni 1944-45 alle Caserme Rosse. 4 ottobre 1993 - celebra il 50° di Ordinazione Sacerdotale in concomitanza con l’inaugurazione del Villaggio della Speranza. 1995 - in Eritrea, nella regione di Keren, costruisce un Centro di addestramento professionale dedicato al Cardinale Giacomo Lercaro. 1996 - NETTUNO D’ORO da parte del Comune di Bologna. 1997 - a Villa Pallavicini istituisce un Centro diurno per anziani malati dedicato al Cardinale Nasalli Rocca. 1999 - sempre a Villa Pallavicini, realizza la Casa per Ferie “Bartolomeo Dal Monte”. Utilizzata dai pellegrini del Giubileo, acoglie giovani lavoratori che hanno difficoltà a trovare un alloggio decoroso. 2002 - Il Comune di Bologna assegna a don Giulio il premio “CIVITAS”. 2003 - 1° maggio a Villa Pallavicini celebra il 60° di Ordinazione Sacerdotale. 156 Indice Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 Appunti di una vita Il prete del lager (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Medaglia d’oro dal Comune di Bologna (1968) . . . . . . . . . . Il Vangelo continua… (1984) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Alle Caserme Rosse (1984) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Come è sorta l’idea (1989) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nella Chiesa di Bologna (1985) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Onarmo: ieri - oggi - domani (1988) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lo spirito degli inizi (1988) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rievocare le origini (1966) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La lezione della storia (1974) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I segni dei tempi (1980) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fioretti delle origini (1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Teresa di Lisieux (1996) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Don Giovanni Calabria (1988) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Don Calabria santo (1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca (1996) . . . . . . . . Il Cardinale Giacomo Lercaro (1976) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Don Libero e don Armando (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Don Libero Nanni (1970) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Suor Elena Carletti (1985) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La Madonna e il Sindaco (1989) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Silenziosi operatori (1972) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » 7 13 15 18 19 21 23 25 28 30 32 34 35 36 38 39 40 42 43 44 46 48 » » » » » » » » 53 54 56 58 60 62 63 64 Le parole dalla Parola La vera vita (1962) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ascoltare lo Spirito (1972) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Opere di misericordia (1997) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il mio amore (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nuova evangelizzazione (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La lezione della storia (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Contro ogni ingiustizia (1999) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Saper cambiare (1990) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 Provare per credere (1991) pag. Esame di coscienza (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Perseveranza (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La pietra scartata (1990) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Le opere di Dio (1986) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Lievito (1968) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Allargarsi o morire (1967) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Scelta obbligata (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » I novelli Balaam (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Per mia colpa… (1996) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Guarire dall’anemia (1962) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La famiglia capolavoro di Dio (1988) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Amore e matrimonio (1981) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Politica fuori degli schemi (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La cultura del vuoto (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Come ai tempi di Noè (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Una generazione nuova (1984) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il cristiano nel mondo (1992) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La donna (1987) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il fico infruttuoso (1973) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Verso l’anno 2000 (1999) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 66 67 68 69 70 71 73 74 75 76 77 78 80 81 82 83 84 86 88 89 90 Le opere In obbedienza allo Spirito (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carità concreta (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’opera “Gesù Divino Operaio”: il sì di Dio (1963) . . . . . . . Per i giovani (1985) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cooperativa Matteo Talbot (1980) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Congresso Eucaristico (1997) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Una festa giubilare (1997) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un sogno (1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il nostro segreto (1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sognare (1996) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le Case per ferie ieri e oggi (1999 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Verso il Villaggio (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le radici del Villaggio (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Convertitevi (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Uno stile (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Camminiamo insieme (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il portico (1996) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Villaggio della Speranza completato (1993) . . . . . . . . . . . . 158 » » » » » » » » » » » » » » » » » » 93 94 95 97 98 100 102 103 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 Libici, eritrei, colombiani, russi e albanesi alla Villa Pallavicini (1990) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. La polisportiva (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il Campus (1991) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » L’identità della polisportiva (1988) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il restauro di Villa Pallavicini (1989) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » La palestra per disabili “don Giuseppe Dossetti” (1998) . . . . » La dignità del lavoro (1984) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Primo maggio (1985) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il figlio del carpentiere (1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Anno dell’anziano (1982) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Grazie a Dio Padre per Gesù Cristo (1984) . . . . . . . . . . . . . . » Dall’Africa (1994) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » In Eritrea (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Africa (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il sabato nel Villaggio (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » “Va’ e fai lo stesso” (1996) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Un sogno nel sogno (2000) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Meglio dare che ricevere (1999) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113 114 116 117 118 120 121 123 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 Testi significativi Il Nettuno d’oro (1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1° maggio 1995: discorso in Piazza Maggiore (1995) . . . . . . Il Cardinale Giacomo Lercaro ai cappellani del lavoro (1965) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Cardinal Lercaro in occasione del 25° di don Giulio (1968) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un dono dall’alto (1993) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » 137 139 » 141 » » 142 144 » » » » » » 151 151 152 152 153 154 Avvenimenti e date . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 155 Ai giovani Siate aquile (1959) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Uno stile ed un programma (1962) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Due gare (1963) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antal (1963) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il linguaggio dei segni (1968) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che è nei cieli (1984) 159 Con il contributo della litografia SAB S. Lazzaro di Savena - Bologna