L`atto di indirizzo del dirigente scolastico: chiarimenti e proposte
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L`atto di indirizzo del dirigente scolastico: chiarimenti e proposte
L'atto di indirizzo del dirigente scolastico: chiarimenti e proposte. (Anna Armone, Ivana Summa) Ma cos'è un atto di indirizzo? Il collegio dei docenti è chiamato, ai sensi della legge 107 del 13 luglio 2015, comma 14, p.4, ad elaborare - “sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico” - il piano dell'offerta formativa che poi dovrà essere approvato dal Consiglio d'istituto. Come è noto, la legge trasforma il POF in Piano triennale dell'offerta formativa (PTOF) che, in quanto tale, è integrato con la gestione finanziaria e con tutte le risorse concretamente disponibili ed è rivedibile annualmente. Ed ecco, dunque, i dirigenti scolastici che si chiedono non solo come e quando elaborare l’atto di indirizzo, bensì anche su quali contenuti esso dovrà focalizzarsi per orientare davvero il collegio sugli “obiettivi formativi individuati come prioritari” tra quelli previsti al comma 7 della legge 107. A questo punto, è bene fare un po' di chiarezza, a partire dal fatto che l'atto di indirizzo è, propriamente, uno strumento d’azione dell’organo politico per indirizzare la successiva gestione dirigenziale. Tutto nasce nel lontano 1993 con la c.d. “privatizzazione del rapporto di lavoro” che, come prima mossa, provvide a distinguere la funzione di indirizzo politico da quella di gestione. Venne, formalamente “smontata” la piramide gerarchica che non faceva altro che stemperare le responsabilità degli attori di vertice della PA. In tal modo, il legislatore riteneva che entrambe le parti sarebbero state responsabilizzate rispetto al loro operato: l’organo politico attraverso la filiera della responsabilità di Governo e l’organo di gestione attraverso la responsabilità in ordine ai risultati della sua azione. La finalizzazione dell’attività di gestione dirigenziale fu ispirata dalle riforme degli anni ’80, che stavano facendo proprie le teorie del news public management, di matrice anglosassone. In Italia era allora Ministro della Funzione Pubblica, il professore Sabino Cassese. Ancora oggi, la ripartizione delle funzioni è definita nel d.lgs. n. 165/2001 che, nei primi articoli, chiarisce le funzioni dei due soggetti principali dell’azione politico-amministrativa: il Ministro da una parte e i burocrati di vertice e i capi dipartimento dall'altra. Tutta la PA, indipendentemente dalla sua conformazione, si è ispirata a questi principi in quanto ritenuti garanzia di imparzialità, efficienza e responsabilità. Ebbene, il meccanismo funziona laddove l’organo politico può esercitare il controllo dell’azione amministrativa e della gestione dirigenziale esclusivamente sui risultati e svincolato da valutazioni di politiche. L’atto di indirizzo è, dunque, lo strumento principale dell’organo politico, ancorato alla programmazione economico-finanziaria e incluso nel piano della Performance. Di ben altra natura e forza sono gli indirizzi di cui parla il c. 14 della l. 107/2015, sopra riportato integralmente, in quanto l’assetto organizzativo interno all’istituzione scolastica risulta modificato rispetto al passato. In fondo la ripartizione delle funzioni tra consiglio di istituto e dirigente si 1 ispirava all’ultimo comma dell’art. 4 del d.lgs. 165/2001, il quale prevedeva (e prevede ancora!) la ripartizione delle funzioni tra indirizzo e controllo da una parte e gestione dall'altra. Ma, allora, l'attività d'indirizzo richiamata dal nuovo testo dell'art. 3 del d.p.r n. 275/1999, come modificato dalla legge n. 107/2015, in cosa può e deve consistere? La norma parla genericamente di “attività della scuola”, lasciando, nel contempo, la gestione e l’amministrazione alle “scelte” dirigenziali. Il legislatore della recente legge di riforma del sistema nazionale d'istruzione e formazione – si ritiene in modo consapevole - ha distinto due livelli di “forza” della posizione dirigenziale nella scuola: gli indirizzi e le scelte. In questa prospettiva, solo le scelte sembrano avere forza impositiva nei confronti del collegio. D’altronde la gestione e l’amministrazione sono azioni strumentali al raggiungimento delle finalità istituzionali, per cui devono già trovare ancoraggio in determinazioni programmatorie precedenti che, in quanto tali, non possono essere oggetto di elaborazione da parte del collegio dei docenti. Dunque, diventa necessario e dirimente rispondere alla seguente domanda: in questo nuovo contesto, gli indirizzi in questione afferiscono al modello testuale dell’art. 4, ultimo comma del d.lgs. 165/2001 o si tratta di un’azione più squisitamente di coordinamento dirigenziale? Se afferenti al potere di coordinamento, gli indirizzi dirigenziali al collegio presenterebbero due correlazioni chiare. La prima correlazione sarebbe con gli esiti del rapporto di autovalutazione (RAV) e il conseguente piano di miglioramento (PdM) della singola scuola e con gli obiettivi “individuati come prioritari” nell'ambito dei numerosi obiettivi previsti dal comma 7 dell'art.1 della legge 107/2015 e che riguardano tutto il sistema scolastico. In tal senso la filiera decisionale offrirebbe una possibilità di lettura trasparente e coerente rispetto alla missione istituzionale della singola scuola e alla sua autonomia, nel quadro di finalità strategiche generali. La seconda correlazione sarebbe con la discrezionalità tecnica del collegio, che troverebbe la sua precipua e concreta espressione nell'elaborazione del PTOF. In tale fase il collegio potrebbe anche ritarare gli indirizzi sulla base di motivazioni tecniche, attivando un circuito partecipativo e collaborativo virtuoso con il dirigente scolastico che, in ultima analisi, pur restando il garante dell’azione programmatoria e progettuale, deve contribuire a dare nuova linfa ad un’autonomia partecipata che rappresenta la matrice identitaria di tutte le istituzioni scolastiche. Una lettura di diverso tipo, correlata ad un potere dirigenziale di indirizzo vincolante, mostrerebbe profonde differenziazioni rispetto al modello decisionale evidenziato. In questo caso il meccanismo decisionale corrisponderebbe al potere dell’organo di indirizzo politico di natura vincolante per il soggetto destinatario. Ci troveremmo, però, di fronte alla messa in discussione dell’esercizio di una discrezionalità di tipo tecnico di competenza collegiale. Tale possibilità, peraltro, non è da escludere se si ritiene che la l. n. 107/2015 modifichi già di fatto le attribuzioni di potere contenute nel Testo Unico sulla scuola. In questo momento la decretazione delegata, 2 abilitata peraltro a modificare e ad eliminare le antinomie tra le fonti regolative della materia scolastica, ancora non è stata emanata, per cui rimane una lettura interpretativa letterale. Come procedere, allora, in questo anno scolastico nel quale è previsto che entro ottobre le scuole predispongano il PTOF triennale 2016/2019? Se consideriamo il 2015/2016 l’anno zero di una articolazione così complessa richiede una riflessione sul divenire a breve termine, nel senso che nel corso dell’attuale anno scolastico dovranno essere ritarati obiettivi e strategie in correlazione alle risorse umane e finanziarie assegnate successivamente alla redazione del PTOF. Infatti, la procedura parte prima dell’assegnazione dell’organico dell’autonomia previsto entro novembre 2015 e senza la revisione del Programma annuale, inadatto ad accogliere anche formalmente una programmazione triennale che, come previsto dalla legge n. 107/201, richiede ben altri strumenti di gestione amministrativa, contabile, finanziaria ed economica. Peraltro, la nota del MIUR del 21 settembre 2015 va esattamente in questa direzione. Ritornando alla nostra iniziale riflessione sugli indirizzi dirigenziali, in considerazione della mancanza dei presupposti necessari ad un corretto e completo iter, sembra opportuno assumere la prima visione della funzione di indirizzo dirigenziale che vede il collegio coinvolto anche prima della formulazione formale degli indirizzi. In sostanza il dirigente dovrebbe coinvolgere il collegio in un continuum decisionale, creando un doppio circuito, uno formale e uno sostanziale. Gli indirizzi sulle attività della scuola, in tal modo, verrebbero formalizzati dal dirigente, ma a seguito di una partecipazione e condivisione collegiale. Non saremmo di fronte ad una negazione del potere dirigenziale, visto che lo stesso sarebbe l’attore principale nella costruzione di un intero processo di pianificazione dell’offerta formativa. Il valore aggiunto sarebbe rappresentato dalla fattibilità concreta del Piano, in quanto già condiviso nel processo di partecipazione attivato.Si potrebbe affermare che la leadership educativa condivisa si gioca tutta in questo processo. Transitare dal POF al PTOF. La natura degli indirizzi dirigenziali nell'attuale (e incompleto) quadro normativo, in cui sono oggi collocate le singole istituzioni scolastiche con i loro organi, deve indurre le scuole ad agire con grande consapevolezza, a partire dalla considerazione che si è aperta, con la legge di riforma, una fase di transizione normativa che deve essere accompagnata da una transizione organizzativa, oltre che professionale e culturale. Parliamo di transizione perché non si tratta né di un evento previsto ad una data precisa, né di una procedura da rispettare, bensì di mettere in moto un processo che si snoda nel tempo. E' un passaggio delicato, che coinvolge una pluralità di aspetti e di attori sociali ed individuali e il cui esito dipende dalla quantità e qualità di energie che si riesce a mobilitare. Ciò significa che le modalità organizzative e gestionali, generate a seguito dell'attribuzione dell'autonomia scolastica e praticate per un quindicennio o vengono reinterpretate positivamente così come sopra accennato oppure, nel tentare di applicare procedure, si rischia una nuova burocratizzazione e una dannosa ed inutile conflittualità. Nel passaggio dalle riforme alle 3 innovazioni, la fase di transizione è rilevante, ma non è un male o un bene in sé, perché l'esito dipende da come ci si prepara ad affrontarla, da quali competenze si mettono in atto, se la si considera un'opportunità di sviluppo, di crescita e di arricchimento, oppure – come purtroppo accade nelle scuole quando si sentono “costrette” ad allinearsi alla legge di riforma - fa immaginare scenari minacciosi ai quali resistere, arginando i cambiamenti reali e mantenere lo status quo. E' facile comprendere allora che la transizione richiesta dalla legge n. 107/2015, proprio perché spinge le professionalità esistenti verso innovazioni consistenti, richiede una crescita autentica dell'identità pedagogica e didattica delle istituzioni scolastiche, e non un frettoloso allineamento da parte dei dirigenti scolastici, finora e ancora impietosamente assimilati a sceriffi o a solitari despoti, ai quali però si affida tutta la responsabilità di realizzare la c.d “buona scuola”. Eppure, la trasformazione delle istituzioni scolastiche verso un'autonomia fatta di responsabilità e controllo ha avuto inizio con una data di nascita ben precisa, quella del d.p.r. n. 80 del 28 marzo 2013, la cui implementazione, iniziata nell'anno scolastico 2014/2015, troverà la sua dispiegazione triennale fino al 2018. In questa temporizzazione, l'anno scolastico in corso prevede, in modo prioritario e centrale l'elaborazione e l'attuazione del piano di miglioramento, recentemente fatto oggetto della Nota del 1° settembre 2015, avente per oggetto la pubblicazione del RAV e i primi orientamenti per il PdM. Proprio da queste note esplicative si può e si deve partire per aggiornare il POF dell'anno scolastico in corso, sintonizzandolo per un verso con il processo di miglioramento avviato con l'autovalutazione e che sarà successivamente oggetto di valutazione esterna e di rendicontazione sociale e, dall'altro, con il riorientamento strategico richiesto dalla legge n. 107/2015 alle singole scuole, condizione per utilizzare l'organico dell'autonomia. La fase di transizione ha il suo banco di prova proprio in questa difficile azione, tutta a carico della capacità di guida del dirigente scolastico che dovrà tenere insieme una pluralità di elementi e i diversi tempi di attuazione: allineare le esigenze interne alla scuola con quelle espresse dalla legge di riforma; traghettare il POF già in atto verso una triennalizzazione che dovrà necessariamente fare riferimento alla legge n. 196/2009 riguardante la contabilità e la finanza pubblica; dare continuità a ciò che è stato realizzato negli anni precedenti e che fin qui ha determinato l'identità di ogni istituzione scolastica e la specificità dell'offerta formativa. Che fare, dunque, tenendo conto - tra una moltitudine di aspetti che investono perfino questioni istituzionali come le nuove funzioni delle regioni in materia scolastica - che: • il dirigente scolastico non è ancora entrato in possesso di tutte le sue potestà (si pensi alla questione, ancora da interpretare e regolamentare, della possibilità di individuare “ nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell'istituzione scolastica.”(comma 83, art. 1 Legge n. 107/2015); 4 • non è ancora stato attribuito, nella sua reale consistenza quantitativa e qualitativa per ciascuna scuola, “l'organico dell'autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche” … i cui docenti “concorrono alla realizzazione del piano triennale dell'offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”. (comma 5, art. 1 Legge n. 107/2015). La recente nota del MIUR del 21 settembre, peraltro, non dà un contributo di chiarezza! • il reclutamento dei docenti (la c.d fase C) sarà completato a novembre 2015 e, dunque, non è urgente predisporre, entro ottobre 2015, il piano triennale dell'offerta formativa, ma lo stesso va considerato in costruzione e sempre provvisorio (un vero e proprio work in process, un cantiere aperto) e, dunque, da rivedere entro ottobre 2016. (comma 12, art. 1 Legge n. 107/2015); • la quantificazione della formazione in servizio dei docenti che è diventata “obbligatoria, permanente e strutturale” dovrà essere definita ...”sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali di categoria. (comma 124, art. 1 Legge n. 107/2015). La disamina fin qui condotta ci induce a concludere che l'atto di indirizzo previsto dal comma 14, p.4 dell'art. 1 della Legge n. 1ot/2015, ancorché obbligatorio per il dirigente scolastico e senza il quale il collegio non può elaborare il PTOF, non può essere emanato in modo esaustivo perché – come più sopra punteggiato, mancano alcuni presupposti fondamentali. E, tuttavia, la scuola sta già lavorando e il dirigente scolastico non può non esercitare la sua funzione di guida responsabile. La proposta è quella di elaborare alcune linee di indirizzo per le attività della scuola, che poi troveranno il loro assetto definitivo allorché l'atto di indirizzo potrà essere elaborato su basi concrete e rigorose. In allegato “Le prime linee di indirizzo per la realizzazione del POF 2015/2016 e la progettazione del PTOF 2016/2019” che, in quanto bozza e fac-simile – ogni dirigente adatterà alla storia della propria scuola e all'identità che la rende specifica. 5