L` offerta di conciliazione - Distretto della Corte di Appello di Roma
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L` offerta di conciliazione - Distretto della Corte di Appello di Roma
L’ offerta conciliativa Relazione al convegno del 26 ottobre 2015 “La Giustizia del lavoro senza Giudice del Lavoro” in ricordo di Attilio Palladini, organizzato a Roma dalla Scuola Superiore della Magistratura, struttura territoriale decentrata di Roma, e dal Centro Studi Domenico Napoletano, in corso di pubblicazione su: “Lavoro e Previdenza oggi”. di M. Lavinia Buconi - Giudice del Tribunale di Roma Sezione Lavoro L’art.6 del D. Lgs. n.23/2015 così recita: “1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire ad ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all’art. 2113, comma 4, del codice civile, e all’art. 76 del decreto legislativo 10.9.2003 n. 276, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento che sia stata eventualmente già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario. 2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 pari a 2 milioni di euro per l’anno 2015, 7,9 milioni di euro per l’anno 2016, 13,8 milioni di euro per l’anno 2017, 17,5 milioni di euro per l’anno 2018, 21,2 milioni di euro per l’anno 2019, 24,4 milioni di euro per l’anno 2020, 27,6 milioni di euro per l’anno 2021, 30,8 milioni di euro per l’anno 2022, 34,0 milioni di euro per l’anno 2023 e 37,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all’art. 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 3. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull’attuazione della presente disposizione. A tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all’art. 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1 e la cui omissione è assoggettata alla medesima sanzione prevista per l’omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4-bis. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria è conseguentemente riformulato. Alle attività di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.” L’art. 9, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015 prevede inoltre il dimezzamento dell’importo di cui all’art. 6, comma 1, precisando che non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità, ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, della L. n. 300/70; in tali casi l’importo dell’offerta di conciuliazione ammonta dunque a mezza mensilità della retribuzione di riferimento per ogni anno di servizio, in misura non inferiore ad una e non superiore a sei mensilità. 1 Ratio della norma e collocazione sistematica dell’istituto La ratio della norma, che si pone nel solco della progressiva riduzione dell’intervento del giudice sul rapporto di lavoro 1 , è evidentemente quella di consentire la deflazione del contenzioso, consentendo alle parti di prevenire o di definire la lite sul licenziamento con vantaggi reciproci: accedendo all’offerta di conciliazione, il datore di lavoro ha la possibilità di monetizzare il licenziamento, a costo fisso e predeterminato, risparmiando sull’indennità risarcitoria eventualmente dovuta e beneficiando anche degli sgravi contributivi, mentre il lavoratore ha la certezza di percepire una contropartita economica esentasse rispetto al licenziamento, evitando l’alea del giudizio2. L’istituto non costituisce uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie rispetto a quelli presenti nell’ordinamento, ma si inserisce nell’ambito di modelli già esistenti, come si desume sal richiamo alle “sedi protette” di cui all’art. 2113, comma 4, c.c., e all’art. 76 del D. Lgs. n. 276/20033. D’altronde, tanto la rubrica che il testo della norma evocano testualmente l’istituto della conciliazione, cioè di un accordo in forza del quale le parti, con l’assistenza di un soggetto terzo, prevengono o definiscono una lite facendosi reciproche concessioni, dismettendo pretese proprie, o riconoscendo integralmente pretese altrui. I particolari requisiti per l’offerta sono infatti richiesti dalla norma solo al fine di consentire alle parti l’accesso ai vantaggi fiscali e contributivi previsti dalla medesima, e non alterano quindi la struttura negoziale della fattispecie4. A fronte della previsione dello sconto fiscale, che costituisce un onere indiretto per le finanze pubbliche, il comma 2 prevede una copertura finanziaria delle minori entrate: nell’interpretazione della norma, non può dunque prescindersi dalla sua valenza pubblicistica 5. Il riferimento “ad ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge” fa comunque salva la possibilità delle parti di sottoscrivere validamente una transazione privata, e dunque non assistita, anche sul licenziamento, a condizioni diverse. Questioni di compatibilità costituzionale e comunitaria A fronte dell’assenza, nella legge delega, di riferimenti all’istituto della conciliazione, sono stati innanzitutto sollevati dubbi sulla compatibilità della disposizione in esame con l’art. 76 della Costituzione6. 1 Secondo M. FALSONE, La conciliazione ex art.6 D. Lgs. 23/2015 tra autonomia privata e incentivi statali, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 274/2015, 4 ss., l’istituto si colloca tra gli “equivalenti giurisdizionali”, cioè tra gli strumenti alternativi di composizione delle controversie (arbitrato, arbitraggio, transazione, negozi di accertamento e conciliazione/mediazione). 2 F. AMENDOLA, Offerta di conciliazione, in F. CARINCI e C. CESTER (a cura di), Il licenziamento all’indomani del d.lgs. n.23/2015”, Bollettino adapt, ADAPT Labour Studies e-book series n.46, 171, evidenzia che la norma recita testualmente: “al fine di evitare il giudizio…”, senza riferimenti alla finalità di deflazionare il contenzioso o a formule analoghe; in senso analogo C. BOLLER, Licenziamento, comunicazione obbligatoria per l’offerta di conciliazione, in Guida al Lav. 32-33/2015, 17. 3 In questo senso M. FALSONE, op.cit. 5 ss., secondo il quale non è stata introdotta una nuova tipologia legale di conciliazione, ma è stata disciplinata una fattispecie negoziale che si realizza attraverso una trattativa tra privati, cui si applicano le disposizioni generali sui negozi giuridici; evidenzia in particolare la possibilità di pattuire ulteriori somme a chiusura di ogni pendenza, a riprova della sussistenza di un “seppur minimo spazio di libertà contrattuale”. 4 La giurisprudenza di legittimità è da tempo solidamente attestata sull’orientamento secondo cui il diritto di impugnare il licenziamento è nella disponibilità del lavoratore ed esula dall’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c.: ex plurimis Cass. 28 novembre 1992, n.12745, Cass. 20 novembre 1997, n.11581; Cass. 3 ottobre 2000, n.13134 e Cass. 21 agosto 2003, n.12301. 5 In questo senso C. CESTER, op.cit., 98 ss.; F. AMENDOLA, op.cit., 165; R. VOZA op.cit., 779 evidenzia che la conciliazione diventa “trilaterale”, data la partecipazione dello Stato, che rinuncia a tasse e contributi, ma evita che le parti attingano alla risorsa della giurisdizione “senpre più scarsa e preziosa”. 2 La questione può tuttavia essere risolta sulla scorta dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui, in ragione della varietà delle materie rispetto alle quali si può ricorrere all’istituto della delega legislativa, non esiste una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di “principi e criteri direttivi”7, donde la necessità di individuare la ratio della legge delega, al fine di verificare la coerenza della norma delegata rispetto alla delega stessa8; inoltre l’emanazione di norme che costituiscano un coerente sviluppo dei principi e criteri espressi dal legislatore delegante è senz’altro compatibile con l’art. 76 Cost.9. Applicando i principi enunciati dal giudice delle leggi, e tenuto conto del dichiarato scopo della L. n. 183/2014 (“rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione”), la disposizione in esame sembra perfettamente coerente con le finalità legge delega, ove si consideri che una conciliazione a costi fissi e predeterminati per i licenziamenti intimati nei confronti dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, con l’incentivo dello sconto fiscale, contribuisce a rendere ulteriormente appetibili le nuove assunzioni10. L’offerta di conciliazione è dunque compatibile con il principio di cui all’art.1 c.7 della L. n. 183/2014, in cui si legge che il Governo è delegato a “promuovere … il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”11. Anche i dubbi sulla compatibilità costituzionale dell’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 con l’art. 24 Cost., con l’art. 30 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con l’art. 24 della Carta Sociale europea sembrano agevolmente superabili, ove si consideri che l’accettazione dell’offerta conciliativa è rimessa alla volontà del lavoratore, donde l’insussistenza di qualsivoglia limitazione al diritto del singolo di agire in giudizio per ottenere una pronuncia di merito sulla legittimità del licenziamento intimatogli12. La disposizione in commento sembra inoltre perfettamente compatibile con l’art. 18 della direttiva n. 2006/54, secondo cui l’indennizzo in caso di atti discriminatori non consente le previsioni di massimali a priori, in quanto l’offerta conciliativa viene posta in essere prima che possa accertarsi (e anzi allo scopo di evitare che si accerti giudizialmente) la discriminatorietà del licenziamento13. Ambito di applicazione soggettivo Sotto il profilo soggettivo, l’offerta conciliativa è rimessa unilateralmente al datore di lavoro, che può decidere se effettuarla o meno; destinatari dell’offetta possono essere solo i soggetti indicati nell’art. 1 del D. Lgs. n. 23/2015; e dunque i lavoratori assunti a tempo indeterminato, ovvero impiegati, operai e quadri assunti dopo il 7.3.201514, i lavoratori assunti a tempo determinato prima 6 Affrontano la questione C. CELENTANO, La tutela indennitaria e reintegratoria: compatibilità costituzionale e comunitaria, 10 ss., relazione al Corso di alta formazione della Scuola Superiore della Magistratura dal tema: “La disciplina dei licenziamenti: un primo bilancio”, tenutosi a Scandicci (FI) dal 13 al 15 aprile 2015, in www.scuolamagistratura.it, e F. AMENDOLA, op.cit. 169 ss. . 7 In questo senso C. Cost., 12 ottobre 2007, n.340 e C. Cost., 22 maggio 1991, n.250. 8 Questi i principi espressi da C. Cost., 5 giugno 2003, n.199. 9 In questa prospettiva le sentenze della C. Cost., 25 maggio 2000, n. 163 e C. Cost., 20 maggio 1998, n.198 e l’ordinanza C. Cost., 26 maggio 2005. 10 Sul punto concordano in questo senso C. CELENTANO, op.cit., 10 ss. F. AMENDOLA, op.cit., 170 e C. CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 273/2015, 96 . 11 M. FALSONE, op. cit., 3, ritiene infattti che il rischio del giudizio possa essere considerato come onere indiretto, considerando che la cessazione del rapporto di lavoro può realizzarsi in modo traumatico e dare luogo ad un lungo, sgradito e costoso iter giurisdizionale . 12 F.ROSSI, L’offerta di conciliazione prevista dall’art.6 del D. Lgs. n.23 del 2015, in Lav. Giur., 8-9/2015, 783 e ss. . 13 C. CESTER, op.cit. 96. 14 Sono dunque esclusi dall’ambito di applicazione della norma i dirigenti, i lavoratori domestici, gli sportivi professionisti, nonché il personale navigante del settore marittimo e aeronautico, atteso che tali categorie di prestatori di lavoro esulano dalla classificazione di cui all’art.2095 c.c.; secondo M. MARAZZA, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel Jobs Act, par. 3.3, relazione all’incontro di studio dal titolo: “Il tramonto dell’art.18 e le prime luci (ed ombre) del nuovo diritto del lavoro. Licenziamenti – Collaborazioni – Mansioni” organizzato dalla Scuola Superiore 3 di tale data, se la conversione del contratto è successiva al 7.3.201515, compresi gli apprendisti16, e i lavoratori assunti prima del 7.3.2015 da datori di lavoro che abbiano raggiunto la soglia dimensionale di cui all’art. 18 L. n. 300/70 in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo tale data17. E’ stato in proposito sostenuto che le parti possono accedere all’offerta di conciliazione di cui alla disposizione in esame anche se abbiano derogato in sede di contratto individuale o collettivo alla disciplina di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D. Lgs. n. 23/201518. A prescindere dal rilievo che il problema si pone solo se le parti nel contratto individuale o collettivo hanno specificato le norme del D. Lgs. n. 23/2015 cui intendono derogare, senza includere tra le medesime la disposizione in commento (e non invece nel caso in cui abbiano escluso l’applicazione dell’intero D. Lgs. n. 23/2015), tale opzione interpretativa non è della Magistratura Struttura territoriale di formazione decentrata della Corte di Appello di Roma in data 24 marzo 2015, in relazione all’apprendistato, il richiamo testuale all’applicabilità delle sanzioni previste dalla normativa vigente, contenuto nell’art.2 c.1 lett.l) del D. Lgs. n.167/2011 comporta l’adeguamento del regime sanzionatorio applicabile vigente tempo per tempo. A fronte del discrimine temporale di cui all’art.1 del D. Lgs. n.23/2015, per i lavoratori assunti prima del 7.3.2015, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere preceduto dalla procedura presso la DTL prevista dalla Legge Fornero, mentre per i lavoratori assunti dopo tale data il datore di lavoro procederà direttamente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, stante il disposto dell’art.3, comma 3, D. Lgs. n.23/2015. 15 In ordine alle disposizioni contenute nell’art.1 c.2 D. Lgs. n.23/2015 si pone la questione della conformità alla delega, atteso che la L. n.183/2014 si è limitata ad individuare nella data di assunzione il discrimine temporale per l’applicazione della nuova disciplina; ci si è chiesti inoltre se il termine “conversione” vada inteso in senso giudiziale o negoziale e se tali previsioni si applichino anche ai lavoratori assunti con contratti a progetto, contratti di somministrazione o con il patto di prova; per un approfondimento di tali questioni e per le soluzioni proposte sia consentito rimandare a M. L. BUCONI, Il decreto legislativo n.23/2015: ambito applicativo e profili di compatibilità costituzionale, in Lav. giur., 7/2015, 661 e ss.; si vedano inoltre G. MIMMO, La disciplina del licenziamento nell’ambito del contratto a tutele crescenti: il decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23 (attuazione della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183), in giustiziacivile.com del 24.4.2015, 7 e a M. MARAZZA, op.cit. par. 3.1 e 3.5. 16 Ciò è espressamente previsto dall’art.1 c.2 D. Lgs. n.23/2015. 17 In relazione all’art.1 c.3 D. Lgs. n.23/2015, va verificato se il requisito dimensionale ivi previsto debba sussistere anche al momento del licenziamento o se, una volta superato il limite suddetto, la nuova disciplina sia applicabile anche qualora il numero dei dipendenti successivamente diminuisca a meno di sedici unità (in data antecedente al licenziamento); il dato letterale della norma fa propendere per la soluzione negativa, ove si consideri che la richiamata disposizione condiziona tout court l’applicabilità del regime delle tutele crescenti al conseguimento del requisito dimensionale di cui all’art.18 L. n.300/70, in qualunque momento successivo al 7.3.2015 ciò sia avvenga, senza richiedere che tale requisito venga mantenuto. La questione del contrasto della norma, così come formulata, con gli artt. 76 e 77 Cost., in quanto, ai sensi dell’art. 1, comma 7 lettera c), della legge n. 183 del 2014, il Governo è stato delegato ad introdurre una nuova disciplina dei licenziamenti illegittimi solo “per le nuove assunzioni”, è stata affrontata evidenziando la necessità di tenere conto degli ulteriori criteri direttivi contenuti nella L. n.183 del 2014, e segnatamente di quello indicato nella lett.b), relativo alla promozione del contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, anche in termini di convenienza a livello di oneri diretti ed indiretti, rispetto ad altre tipologie contrattuali; secondo questa impostazione, la norma sarebbe conforme alla legge delega; per un approfondimento di tali questioni si rimanda a M. L. BUCONI, op.cit., 667, a G. MIMMO, op.cit., 6 e a M. MARAZZA, op.cit. par. 3.4 . 18 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 8; in dottrina è comunque controversa la legittimità di accordi derogatori in melius per il lavoratore: secondo C. PISANI, Il nuovo regime delle tutele per il licenziamento ingiustificato, in Jobs Act e Licenziamento AA.VV., Torino, 2015, 34 e ss., poiché a differenza di quanto previsto dall’art. 12 L. n. 604/1966, il decreto in esame non fa salve deroghe in melius, peraltro in contrasto con la sua ratio (costituita dalla riduzione delle tutele per favorire l’aumento dell’occupazione), clausole di questo tipo sarebbero contrarie a norme imperative; in senso contrario, M. TIRABOSCHI - G. GAMBERINI, Licenziamenti: la disciplina dopo il contratto a tutele crescenti, in La disciplina dei licenziamenti dopo il Jobs Act, Il Punto in Guida al Lav. 18, 1 maggio 2015 XXIII, richiamando la giurisprudenza di legittimità sull’estensione in via pattizia della tutela reale (Cass. 26 maggio 2000, n.6908), ritengono che le parti abbiano la facoltà di derogare in melius alla disciplina del D. Lgs. n.23/2015, mentre F. CARINCI, Un contratto alla ricerca di una sua identità: il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (‘a sensi della bozza del D.Lgs. 24 dicembre 2014) 2015, in Lav. Giur. 2, 2015, 120, ritiene compatibili con la nuova disciplina codici disciplinari più favorevoli, sul presupposto che in forza dell’art. 39 Cost. la contrattazione collettiva “non possa essere completamente spogliata della possibilità di intervenire in materia tradizionalmente attribuitale, a cominciare dall’art. 2106 c.c., quale appunto le sanzioni disciplinari”. 4 condivisibile, ove si consideri che le modalità e le condizioni dell’offerta di conciliazione, nei termini disciplinati dall’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 sembrano inscindibilmente connesse all’applicazione delle tutele previste dalle restanti disposizioni del medesimo decreto. Il riferimento alle ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 1 del D. Lgs. n. 23/2015 coincide infatti con l’ambito di applicazione del regime sanzionatorio previsto dal medesimo decreto; d’altro canto l’importo dell’offerta di conciliazione è determinato ex lege in misura pari alla metà dell’indennità risarcitoria prevista dagli artt. 3 e 9 del D. Lgs. n. 23/2015, mentre non c’è nessuna relazione aritmetica tra l’importo dell’offerta con le tutele economiche di cui all’art.18 L. n. 300/70. Il D. Lgs. n. 23/2015 nulla prevede infine in ordine all’applicabilità delle disposizioni ivi contenute al pubblico impiego19. Va comunque evidenziato che il richiamo alle categorie dei lavoratori di cui all’art. 2095 c.c. non è pertinente rispetto ai pubblici dipendenti20 e che l’esclusione dei dirigenti prevista dall’art. 1 D. Lgs. n. 23/2015 non è comprensibile per il pubblico impiego21; la finalità di ridurre la disoccupazione, posta a fondamento della riduzione delle tutele, è inoltre del tutto estranea al pubblico impiego22: tali argomenti portano dunque ad escludere che le disposizioni del D. Lgs. n. 23/2015 (compreso, dunque, l’art.6) si applichino ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni23. Ambito di applicazione oggettivo Sotto il profilo oggettivo, l’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 si applica solo ai licenziamenti, e non ad altre ipotesi di cessazione del rapporto24, come si desume univocamente dal dato testuale: l’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 non è dunque applicabile nei casi di scadenza del termine apposto al contratto di lavoro25, né alle fattispecie di risoluzione consensuale. 19 Si vedano sull’argomento M. MARAZZA, op. cit., par. 3.2, e G. MIMMO, op.cit., 8 ss. e M. L. BUCONI, Il decreto legislativo n.23/2015: ambito applicativo e profili di compatibilità costituzionale, in Lav. giur., 7/2015, 667 ss. . 20 M. MARAZZA, op. cit., par. 3.2 . 21 In questo senso F. CARINCI, op.cit., 114; l’autore ravvisa inoltre l’impraticabilità nel settore del pubblico impiego privatizzato di un regime di tutela diversificato solo in ragione della data di assunzione, stante il disposto dell’art.97 Cost. . 22 In questa prospettiva A. VALLEBONA, Jobs Act e licenziamento, in Jobs Act e Licenziamento AA.VV., Torino, 2015, 100. 23 Contra: G. MIMMO, La disciplina del licenziamento nell’ambito del contratto a tutele crescenti: il decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23 (attuazione della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183), in giustiziacivile.com del 24.4.2015, 8 ss., il quale evidenzia la mancanza di un esplicito divieto normativo in tal senso e sottolinea che in forza dell’art.51 c.2 del D. Lgs. n.165 del 2001, la legge n.300/70 trova applicazione alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal requisito dimensionale, donde l’inapplicabilità ai rapporti di pubblico impiego dell’art.8 L. n.604/66, ma non di una normativa che prescinda dal requisito dimensionale; la circostanza che il D. Lgs. n.23/2015 disciplina fattispecie di licenziamento non previste nel pubblico impiego (il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o i licenziamenti collettivi) secondo l’autore non determina alcuna incompatibilità con il pubblico impiego per le residue disposizioni applicabili licenziamenti dei pubblici dipendenti (e dunque per i licenziamenti nulli, orali e disciplinari). 24 M. FALSONE, op.cit. 9. 25 In questo senso M. MISCIONE, Tutele crescenti: un’ipotesi di rinnovamento del diritto del lavoro in Dir. Prat. Lav. 12/2015, 760. Comunque, se il rapporto è stato formalizzato con contratto a tempo determinato, ed è cessato alla scadenza del termine, non viene in rilievo un licenziamento: la Suprema Corte ha infatti da tempo chiarito che la cessazione di un rapporto di lavoro a termine alla data di scadenza contrattuale non può essere qualificata come licenziamento, essendo ontologicamente diversa l’apposizione contrattuale di un termine al rapporto di lavoro all’inizio del medesimo rispetto ad un atto di recesso datoriale intervenuto in un rapporto a tempo indeterminato; nei casi di conversione giudiziale di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato per illegittimità del termine trova infatti applicazione l’art.1 D. Lgs. n.368 del 2001, e non si applicano invece le disposizioni di cui all’art.18 L. n.300/70 e di cui all’art.8 L. n.604/66: in questo senso Cass., SS.UU., 8 ottobre 2002, n.14381; Cass., 27 ottobre 2005, n.20858 e Cass., 27 marzo 2008, n.7979. Analogamente, quando il lavore deduca il carattere subordinato di un contratto formalmente a progetto, o di somministrazione, la qualificazione del contratto in termini di subordinazione non implica la qualificazione del recesso datoriale, avvenuto alla scadenza del termine apposto al contratto, come licenziamento: in questa ipotesi trovano applicazione rispettivamente l’art. 69 del D. Lgs. n.276/2003, che prevede la trasformazione del contratto a tempo indeterminato e l’art.27 del D. Lgs. n.276/2003, che stabilisce la costituzione del rapporto con 5 La norma, prevedendo che la procedura può essere attivata entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, e dunque entro sessanta giorni “dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta”, come previsto dall’art. 6 L. n. 604/66, esclude indirettamente l’applicabilità dell’istituto ai licenziamenti intimati in forma orale 26 o per fatti concludenti. Va inoltre verificato se l’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 sia applicabile ai casi di cessazione di fatto di un rapporto di lavoro la cui qualificazione in termini di licenziamento dipende dalla risoluzione di altre questioni preliminari 27. La questione si pone innanzitutto se il rapporto è totalmente privo di regolarizzazione; in tale ipotesi il recesso datoriale non può tuttavia essere intimato in forma scritta, e come si è visto la formulazione della norma esclude l’applicabilità dell’istituto ai licenziamenti intimati verbalmente o per fatti concludenti. Se invece il rapporto di lavoro è stato regolarizzato solo in parte, si pone la questione dell’anzianità in base alla quale computare l’importo, dovendo verificarsi se debba essere quella “ufficiale”, risultante dai periodi regolari28 o quella effettiva 29, comprensiva dell’eventuale periodo “in nero”. In questa ipotesi, anche se l’accordo tra le parti sulla decorrenza del rapporto fosse posto in essere conformemente al reale svolgimento del medesimo, con l’inclusione di un eventuale periodo “in nero”, non sarebbe comunque possibile riscontrare l’effettività dell’anzianità dichiarata; le parti potrebbero dunque utilizzare tale espediente per eludere gli obblighi fiscali e contributivi previsti da norme inderogabili di legge, imputando formalmente le somme all’offerta di conciliazione sul licenziamento, ma di fatto inserire anche differenze di retribuzione, al fine di usufruire dei vantaggi fiscali e contributivi; per tali ragioni deve ritenersi che l’anzianità in base alla quale computare l’ammontare dell’offerta debba essere quella risultante dalle buste paga. Per le stesse ragioni, deve ritenersi che il livello di inquadramento rispetto al quale va determinata la retribuzione da utilizzare come base di calcolo debba essere quello risultante dalle buste paga. Ove in sede di applicazione dovesse comunque prevalere l’orientamento contrario, secondo cui l’anzianità o il livello di inquadramento, in base alla quale va effettuato il computo dell’importo da corrispondere in sede conciliativa, possano essere indicate dalle parti anche in modo difforme quella risultante dalle buste paga, la dichiarazione del datore di lavoro sull’anzianità effettiva, o sullo svolgimento di mansioni proprie di un livello da quelle proprie del livello di inquadramento superiore a quello riconosciuto, attenendo a fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte, stante il disposto degli artt. 2730 ss. c.c., avrebbero valenza confessoria in un eventuale giudizio tra l’utilizzatore. Invece, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia esercitato il proprio diritto di recesso alla scadenza di un contratto di apprendistato o anche in epoca anteriore si configura un licenziamento, atteso che il contratto di apprendistato è un contratto a tempo indeterminato (come prevede espressamente l’art.1 D. Lgs. n.167/2011; a sua volta l’art. 42 del D. Lgs. n.81/2015 stabilisce che durante l’apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo). 26 Questa la tesi di R. VOZA, “Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”: l’irresistibile forza deflattiva dell’art.6, D. Lgs. n.23/2015, in Lav. Giur. 8-9/2015, 778 ss.; contra M. FALSONE, op.cit., 10, il quale evidenzia che la norma non fa eccezioni in ordine all’abito di applicazione oggettivo e che il termine previsto per formulare l’offerta coincide con il termine per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, senza distinzioni tra termine di decadenza e di prescrizione: ritiene pertanto che in caso di licenziamento verbale l’offerta di conciliazione possa essere formulata entro il termine di prescrizione quinquennale. 27 M. FALSONE, op.cit. 10 ss., ritenendo dirimente la qualificazione del fatto estintivo effettuata dalla parte ed evidenziando che la norma consente la transazione anche in ordine ad altre pendenze derivanti dal rapporto di lavoro, propende per la tesi affermativa ed evidenzia che l’art.32 commi 3 ss. L. n.183/2010 prevedono in questi casi dei termini di impugnazione stragiudiziale che renderebbero funzionante tale meccanismo conciliativo; in ragione del fatto che il datore di lavoro effettivo non potrebbe materialmente comunicare agli enti l’esito positivo o negativo della conciliazione, essendo ciò consentito solo al datore di lavoro formale, esclude tuttavia che l’istituto dell’offerta di conciliazione possa applicarsi nelle ipotesi in cui il lavoratore pretenda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso da quello che risulta ufficialmente esserne il titolare. 28 Aderisce a questa opzione interpretativa R. VOZA, op.cit., 780, ritenendo che l’ordinamento non può riconoscere un beneficio fiscale e previdenziale a fronte del comportamento elusivo del datore di lavoro; secondo l’autore si tratterebbe di un “condono al quadrato”. 29 Propende per questa seconda tesi M. MISCIONE, op.cit., 761. 6 le stesse parti aventi ad oggetto differenze di retribuzione rivendicate in ragione dell’anzianità di servizio o il livello di inquadramento. La questione dell’applicabilità della disposizione in commento ai casi di cessazione di un rapporto di lavoro la cui qualificazione in termini di licenziamento dipende dalla risoluzione di altre questioni preliminari si pone anche nei casi in cui il rapporto di lavoro sia stato formalizzato tra le parti con contratto di lavoro autonomo e il datore di lavoro abbia intimato un recesso, in quanto, se il lavoratore abbia prospettato o intenda prospettare la sussistenza degli indici propri della subordinazione, il recesso datoriale scritto andrebbe astrattamente qualificato come licenziamento. Analogamente, nell’ipotesi in cui le parti abbiano stipulato un contratto di lavoro a progetto, e il lavoratore abbia dedotto o intenda dedurre la fittizietà o illegittimità del progetto, lamentando altresì che il recesso datoriale è avvenuto per iscritto ante tempus (cioè prima della scadenza contrattuale) o dopo la scadenza del termine, verrebbe in questione un vero e proprio licenziamento30. Se è vero che in tali ipotesi sussiste un parametro certo per la determinazione dell’anzianità di servizio ai fini del calcolo della somma da offrire, in quanto il rapporto di lavoro ha una data di inizio ufficiale risultante dal contratto di assunzione, la disposizione in commento non può tuttavia ritenersi applicabile, atteso che, accedendo alla contraria opzione interpretativa, le parti potrebbero astrattamente dare atto che il rapporto si è svolto con le modalità proprie della subordinazione al solo scopo di beneficiare dei vantaggi fiscali e contributivi previsti dalla norma in esame, ancorché il medesimo rapporto abbia invece di fatto presentato i caratteri di un rapporto di lavoro autonomo o a progetto; per tali ragioni la norma non può ritenersi applicabile alle fattispecie in esame. Tali controindicazioni non sussistono invece nelle ipotesi in cui le parti abbiano stipulato un contratto a tempo determinato o un contratto di somministrazione, e il lavoratore abbia dedotto o intenda dedurre in giudizio rispettivamente l’illegittima apposizione della clausola di limitazione temporale o l’irregolarità della somministrazione, lamentando altresì che il recesso datoriale è avvenuto ante tempus, o dopo la scadenza del termine (anche in questi casi viene in rilievo un vero e proprio licenziamento), atteso che in queste fattispecie è stato formalizzato un contratto di lavoro subordinato (ancorchè con un soggetto diverso, se si tratta di somministrazione), che ha anche una decorrenza certa ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio; in queste fattispecie deve pertanto ritenersi applicabile l’istituto dell’offerta di conciliazione31. E’ altresì dubbia l’applicabilità dell’istituto dell’offerta conciliativa ai licenziamenti collettivi: l’ampiezza della formulazione e l’assenza di uno specifico divieto fanno comunque propendere per la tesi positiva 32. Non si ritiene inoltre condivisibile la tesi secondo cui esulerebbero dall’ambito applicativo della norma in commento i recessi nulli o inefficaci assolutamente protetti dalla legge (per maternità, matrimonio, motivo illecito…) con norme cogenti 33, sul presupposto che altrimenti verrebbero aggirate: l’art. 6 non prevede infatti alcuna eccezione, inoltre sotto il profilo logico va evidenziato che la ratio della norma è quella di evitare il contenzioso anche per tale tipologia di licenziamenti; d’altro canto non si può dare per scontato che le doglianze del lavoratore sulla nullità, sulla discrominatorietà o sulla ritorsività di un recesso siano a priori fondate, né è possibile accertarlo se 30 M. FALSONE, op.cit., 8, ritiene che le parti possano accedere all’istituto dell’offerta di conciliazione previsto dalla disposizione in commento anche durante il periodo di prova; tuttavia, secondo la nota operativa del Ministero del Lavoro del 22 luglio 2015, la comunicazione agli enti ex art.6 c.3 D. Lgs. n.23/2015 non deve essere effettuata quando il rapporto di lavoro si risolve durante il periodo di prova. 31 Né può rilevare in contrario, quanto al contratto di somministrazione, la previsione di cui al comma 3, atteso che la procedura ivi prevista si limita a richiedere che il datore di lavoro comunichi la data di cessazione, ma non richiede necessariamente la coincidenza tra il soggetto che comunica la cessazione e quello che ha comunicato l’assunzione; anzi, non richiede neanche che sia stata comunicata un’assunzione. 32 Si esprime a favore di questo orientamento C. BOLLER, op. cit., 13, e M. FALSONE, op.cit., 12; contra: A. GARILLI, Nuova disciplina dei licenziamenti e tecniche di prevenzione del conflitto, in Riv. it. dir. lav., 2015, I, 223 e ss., secondo cui l’applicazione della norma in esame a questa titologia di licenziamenti potrebbe comportare una violazione del principio giurisprudenziale comunitario secondo cui le sanzioni previste dall’ordinamento interno a garanzia di regole dell’UE devono essere effettive, proporzionali e dissuasive . 33 E. MASSI, Contratto a tutele crescenti e risoluzione del rapporto di lavoro, in Dir. Prat. Lav., 2015, inserto, 13, XV. 7 si accede alla transazione: la qualificazione del vizio e il riscontro della sua sussistenza rimangono una prerogativa del giudice, che la conciliazione inibisce 34. Le sedi abilitate Stante riferimento all’art. 2113 c.c., le sedi abilitate sono quelle previste dall’art. 185 c.p.c., dagli artt. 410 e 411 c.p.c., dagli artt. 412-ter e 412-quater c.p.c., oltre alle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del D. Lgs. n. 276/2003, espressamente richiamato. Il legislatore ha dunque condizionato l’estinzione del rapporto e la rinuncia al licenziamento allo svolgimento della conciliazione in sede “protetta”, ancorchè il diritto di impugnare il licenziamento sia nella disponibilità del lavoratore ed esuli dall’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c.35. Quanto alla conciliazione in sede giudiziale ex art. 185 c.p.c., ben difficilmente l’iter procedimentale potrà completarsi entro il termine previsto dalla norma, essendo necessario che entro tale termine il lavoratore abbia depositato il ricorso, che il giudice sia stato designato e abbia fissato l’udienza, che il ricorrente abbia notificato l’atto introduttivo e il decreto di fissazione dell’udienza, che il datore di lavoro si costituisca e che le parti congiuntamente facciano istanza per la comparizione e la conciliazione36. La sede prevista dagli artt. 410 e 411 c.p.c. è quella costituita nell’ambito delle Direzioni Territoriali del Lavoro; il richiamo contenuto nell’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 sembra comunque riferito solo alle sedi e non anche alle modalità e ai termini della conciliazione37. L’art. 412-ter c.p.c. fa riferimento alle sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, mentre la sede abilitata ai sensi dell’art. 412quater c.p.c. è il collegio di conciliazione e di arbitrato irrituale38. Secondo una parte della dottrina, in quanto la funzione transattiva delle commissioni di conciliazione era già prevista dall’art. 82 del D. Lgs. n. 276/2003, il riferimento alle commissioni di certificazione previste dall’art. 76 del D. Lgs. n. 276/2003 implica il rispetto delle procedure previste dagli artt. 75 ss. dello stesso decreto, in quanto richiamato dall’art. 82 cit.39. Tale assunto non appare condivisibile, atteso che il richiamo contenuto nell’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 riguarda solo le sedi e non i termini e le modalità dell’offerta. 34 In questa prospettiva C. CESTER, op.cit., 97 e F. ROSSI, op.cit., 784, secondo cui il lavoratore può porre in essere un atto abdicativo valido rispetto a qualunque tipo di licenziamento, quale che sia il vizio da cui è affetto, e non necessariamente in una sede protetta, R. VOZA, op.cit., 778, il quale si chiede quando un licenziamento debba considerasi nullo per tabulas e chi dovrebbe attestare la sussistenza di tale vizio. 35 Questo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità: si veda da ultimo Cass., 18 marzo 2014, n.6265. 36 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 17, il quale evidenzia che a questa tipologia di controversie non si applica il rito previsto dall’art.1 c.48 ss. L. n.92/2012. 37 In senso contrario M. FALSONE, op.cit., 18, secondo cui a norma del comma 6 dell’art.410 c.p.c. la richiesta del tentativo di conciliazione non deve contenere alcuna proposta transattiva, ma solo l’indicazione delle pretese, le generalità delle parti e la descrizione dei fatti, mentre il datore di lavoro è libero di indicare o meno l’intenzione di offrire una somma a titolo transattivo, nella quantità e con le modalità previste dall’art.6 D., Lgs. n.23/2015; secondo l’autore, infatti, l’offerta non deve perfezionarsi nella fase della promozione del tentativo di conciliazione, ma nel momento in cui viene effettivamente esperito davanti all’organo adito; così come la controparte potrà aspettare l’esperimento effettivo della conciliazione per decidere se accettare o meno l’offerta. Lo stesso autore ritiene che, come il termine di decadenza previsto a carico del lavoratore per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento si interrompe per l’intero periodo del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, anche il termine per la formulazione della proposta conciliativa da parte del datore di lavoro è posticipato di un numero di giorni pari al periodo di sospensione. 38 M. FALSONE, op.cit., 19, considerati i tempi necessari per la costituzione del collegio degli arbitri e per depositare il ricorso, ed in mancanza di una disposizione che preveda la sospensione dei termini di decadenza come quella contenuta nell’art.410 c.p.c., ritiene impraticabile il ricorso a tale sede abilitata. 39 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 19, secondo cui l’istanza deve essere presentata da entrambe le parti e non solo dal datore di lavoro, entro 30 giorni dalla comunicazione del licenziamento, ai sensi dell’art.78 del D. Lgs. n.276/2003. 8 Modalità e termini dell’offerta La norma in esame presenta diverse peculiarità: da un lato fissa un criterio predeterminato per la quantificazione della somma oggetto dell’offerta datoriale (una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto40 per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità; l’art. 9 prevede poi un importo dimezzato, con un tetto massimo di sei mensilità, per i datori di lavoro che non raggiungano i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 L. n. 300/70), disciplinando anche il quomodo dell’offerta 41; dall’altro prevede che “la somma non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribuzione previdenziale”. L’offerta deve essere dunque completa degli elementi rilevanti per il calcolo: anzianità di servizio (data di assunzione e del recesso), la retribuzione percepita e quella di riferimento, nonché l’ammontare offerto, per consentire all’organo adito di verificare la corrispondenza dell’offerta alle previsioni di legge ed eventualmente rideterminare il dovuto. Per godere dei benefici fiscali e contributivi previsti dalla norma, è comunque necessario un pagamento immediato ed integrale (quindi non rateale)42, con assegno circolare, previsione, questa, che risolve in radice il problema della “copertura” e dunque della liquidità; è sicuramente escluso, ai fini dell’applicazione della norma, il pagamento con bonifico bancario, né può ritenersi consentito un pagamento in contanti in quanto la norma non lo consente, verisimilmente per i limiti legislativi alla circolazione del contante. Poiché la norma ricollega all’accettazione dell’assegno due importantissimi effetti (l’estinzione del rapporto e la rinuncia all’impugnazione), la consegna dell’assegno deve avvenire presso la sede protetta 43. Eventuali somme ulteriori, che possono essere erogate anche con modalità diverse 44 , sono testualmente soggette al regime fiscale ordinario; non è chiaro se il mancato riferimento all’assoggettamento a contribuzione previdenziale comporta che siano esenti dal medesimo (in base al dato testuale sembrerebbe di sì). D’altro canto la conciliazione sul solo licenziamento non preclude alle parti un contenzioso su altre pretese anche di tipo economico da parte del lavoratore (ad esempio non può ritenersi precluso 40 F. ROSSI, op.cit., 782 e M. FALSONE op.cit., 20, ritengono che la retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR debba essere l’ultima, anche se l’art.6 del D. Lgs. n.23/2015 non riporta tale aggettivo, a differenza delle disposizioni che disciplinano il regime sanzionatorio. Tanto la retribuzione globale di fatto quanto la retribuzione ai fini del calcolo del TFR includono ogni emolumento corrisposto con modalità non occasionali in dipendenza del rapporto di lavoro; tuttavia ai fini della retribuzione globale di fatto rileva ogni elemento concretamente corrisposto dal datore di lavoro, mentre, secondo quanto previsto dall’art. 2120 c.2 c.c., è salva la diversa previsione dei contratti collettivi: le parti sociali possono dunque escludere determinati emolumenti dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto; F. AMENDOLA, op.cit. 167, evidenzia che i dubbi interpretativi sugli elementi retributivi computabili sono particolarmente insidiosi in questo contesto, in quanto “le parti potrebbero avere un comune interesse ad incrementare la retribuzione quantificata a parametro, magari gravando su di essa altre poste oggetto di transazione, per giovarsi dell’esenzione fiscale”. 41 R. VOZA, op.cit., 779 evidenzia in proposito che “le parti non devono trattare, ma solo…contare”. 42 In questo senso M. MISCIONE, op.cit., 761 . 43 M. FALSONE, op. cit., 21, evidenzia che se il legislatore avesse voluto imporre la consegna immediata dell’assegno circolare, sarebbe stato preferibile che individuasse il momento del perfezionamento della transazione nella consegna o ricevuta del titolo di pagamento e non nell’accettazione dell’assegno, il cui significato giuridico prescinde da qualunque esecuzione dell’accordo; se invece non avesse inteso imporre la consegna immediata dell’assegno circolare, avrebbe dovuto far scaturire gli effetti dell’accordo dall’accettazione dell’offerta o proposta e non dall’accettazione dell’assegno. 44 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 22; F. AMENDOLA, op.cit., 166, ritiene che la norma consenta la redazione di un unico verbale di conciliazione, purchè nel medesimo siano ben definiti i termini dell’accordo, e dunque i parametri di calcolo (periodo di servizio e mensilità di retribuzione parametro); nello stesso senso C. CESTER, op.cit, 99 ss., il quale ritiene necessario in questo caso che le diverse poste siano chiaramente individuabili e distinguibili. 9 l’accertamento in sede giudiziale del diritto al riconoscimento di una qualifica superiore o di differenze di retribuzione). Ai fini della tempestività dell’offerta, è dirimente la comunicazione della medesima da parte del datore di lavoro, mentre la formalizzazione dell’accordo e la consegna dell’assegno circolare possono avvenire anche in tempi successivi45. A fronte della non immediata disponibilità delle sedi protette, deve infatti ritenersi che il datore di lavoro abbia rispettato il termine previsto dalla legge per la formulazione dell’offerta, quando entro quel termine abbia integralmente compiuto l’attività a lui demandata, e dunque abbia inviato al lavoratore l’offerta con gli estremi dell’assegno circolare e richiesto la convocazione in una delle sedi protette previste dalla norma in esame; non potrà dunque ritenersi che il datore di lavoro sia incorso nella decadenza prevista dall’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 se la convocazione sia avvenuta oltre i 60 giorni a causa del carico di richieste gravante sugli organi preposti all’assistenza46. Inoltre, a fronte della coincidenza del termine per formulare l’offerta di conciliazione e quello per l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, è evidente che se il datore di lavoro ha ricevuto l’impugnativa stragiudiziale sarà più motivato a formulare l’offerta conciliativa (è dunque opportuno a tal fine che i lavoratori si attivino il prima possibile per l’impugnativa stragiudiziale), anche se ben può accadere che il datore di lavoro riceva l’impugnativa stragiudiziale di licenziamento quando per lui sono già decorsi i termini per formulare l’offerta di conciliazione prevista dalla norma in esame. Pur in assenza di specifiche disposizioni sulla revocabilità dell’offerta, a fronte del carattere negoziale della conciliazione prevista dalla norma in esame, devono trovare applicazione i principi generali in materia di contratti, ed in particolare gli artt. 1326, 1328 e 1334 c.c.: l’offerta produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza del lavoratore e può essere revocata finché il contratto non è concluso (cioè fino a che il datore di lavoro ha conscenza dell’accettazione della controparte)47. Accedendo alla tesi contraria, che non ha tuttavia appigli testuali né sistematici, il lavoratore potrebbe non accettare una proposta transattiva più consistente rispetto a quella prevista dalla norma in esame, o che risolva altre potenziali pendenze, e mantenere il diritto alla conclusione dell’accordo, rinunciando all’impugnativa del licenziamento e incassando l’assegno circolare offerto. 45 F.ROSSI, op.cit., 784 ss., F. AMENDOLA, op.cit., 166. evidenziano che il ritardo nella consegna dell’assegno circolare può dipendere da impedimenti burocratici estranei alla volontà delle parti. In ordine all’impugnativa del licenziamento, la giurisprudenza di legittimità è da tempo attesta sull’orientamento secondo cui è sufficiente che il lavoratore nel termine di 60 giorni spedisca la comunicazione con cui manifesta la volontà di impugnare: Cass. SS.UU. 14 aprile 2010, n.8830 e Cass. 4 settembre 2008 n.22287. Secondo M. FALSONE, op.cit.,15, tale interpretazione non è risolutiva, a fronte della disposizione contenuta nell’art.6 c.3 D. Lgs. n.23/2015 e ritiene opportuno che il datore di lavoro formuli l’offerta di conciliazione a ridosso del licenziamento, stabilendo un limite temporale di efficacia della proposta, che cooincida con quello dell’impugnazione stragiudiziale (considerato che decorso il termine le diverse condizioni fiscali e contributive dell’accordo, che rimarrebbe valido anche se stipulato fuori termine, potrebbero incidere sull’interesse delle parti alla risoluzione della controversia), così come è consigliabile per il lavoratore impugnare stragiudizialmente il licenziamento, al fine di scongiurare la decadenza, nel caso in cui la conciliazione non andasse a buon fine. 46 F. ROSSI, op.cit., 786, esclude la necessità e la rilevanza dei c.d. “preaccordi”, atteso che il diritto del datore di lavoro a formulare l’offerta di conciliazione prescinde dal consenso del lavoratore e che gli effetti della suddetta offerta sono subordinati a specifiche condizioni. 47 In questo senso M. FALSONE, op.cit. 24; contra: R. VOZA, op.cit., 781, il quale propende per l’irrevocabilità dell’offerta, per evitare un uso distorto del meccanismo legislativo; l’autore ritiene infatti che ogni altra lettura della norma trasformerebbe la condotta delle parti “in una partita di poker, fatta di bluff e controbluff” . Secondo C. CESTER, op.cit, 100, se il lavoratore a fronte dell’offerta non avesse impugnato il licenziamento, un’eventuale revoca dell’offerta fraudolentemente effettuata a ridosso della scadenza del termine, non sarebbe ammissibile; questa tesi non appare tuttavia convincente, a fronte delle orevisioni contenute nell’art.1334 c.c., e dell’onere per il lavoratore di impugnare stragiudizialmente il licenziamento nel termine di 60 giorni. 10 Effetti della conciliazione L’accettazione dell’assegno comporta l’estinzione del rapporto (anche di quei licenziamenti nulli o inefficaci, che come tali non sono suscettibili di produrre effetto)48 e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento. Tali effetti si producono dunque in modo automatico, ex lege, a prescindere da una dichiarazione ad hoc del lavoratore. Criticità della norma Con l’accettazione dell’assegno, si determina l’estinzione del rapporto alla data del recesso datoriale e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. La norma non precisa quali siano i poteri dell’organo innanzi al quale si svolge la procedura conciliativa, questione, questa, che rileva sotto diversi profili49. Innanzitutto, l’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015 nulla dispone per l’ipotesi in cui il calcolo sia errato per eccesso o per difetto (ad esempio per l’omissione di voci retributive); tuttavia, considerato che la funzione deflattiva del contenzioso e lo sconto fiscale previsto hanno connotazioni di pubblico interesse, deve ritenersi che i soggetti preposti siano tenuti a controllare, prima dell’accettazione, la correttezza del calcolo ai fini dell’eventuale correzione dell’offerta50. Le obiezioni sollevate in senso contrario, ed in particolare quelle secondo cui la Commissione non conosce i dati di partenza, è priva degli strumenti per effettuare valutazioni e non può nemmeno sviluppare conteggi51, devono infatti ritenersi superabili, ove si consideri che ai fini della verifica dei parametri di calcolo, consistente in una moltiplicazione tra gli anni di servizio e l’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR, è sufficiente visionare l’ultima busta paga ed eventualmente le tabelle salariali, previa individuazione, da parte dell’organo adito, delle voci che entrano nella base di calcolo del TFR (tenendo conto di eventuali esclusioni previste dalla contrattazione collettiva); si tratta dunque di scegliere un criterio da applicare una volta per tutte e 48 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 29. Secondo Cass., 3 settembre 2003, n.12858, Cass., 22 maggio 2008 n.13217, in Mass. giur. lav., 2009 e Cass., 23 ottobre 2013, n.24024 il soggetto terzo deve garantire un’assistenza effettiva al lavoratore, affinchè il suo consenso sia informato e consapevole; in relazione alla procedura conciliativa prevista dalla disposizione in esame, M. TATARELLI, Il regime del licenziamento nel contratto di lavoro a tutele crescenti in Il licenziamento individuale e collettivo, lavoro privato e pubblico, Padova, 2015, 536 e ss., distingue tra l’ipotesi in cui l’accordo riguardi solo l’estinzione del rapporto (nel qual caso ritiene sufficiente l’intervento dell’autorità amministrativa abilitata, in quanto è la legge a prevedere l’effetto, senza nemmeno imporre l’assistenza di un soggetto fiduciario) e l’ipotesi in cui vengano coinvolti altri aspetti del rapporto di lavoro (nel qual caso l’assistenza deve essere effettiva ed evidenzia che in tutte le transazioni sottoscritte in sede protetta è necessario che l’organo preposto spieghi al lavoratore le conseguenze che scaturiscono dalla sottoscrizione, nonchè l’opporunità di dare atto a verbale di quanto accaduto); 50 C. CESTER, op.cit, 99 ss., pur manifestando perplessità sull’entità dei poteri di controllo spettanti agli organismi conciliativi, propende per la tesi secondo cui i soggetti conciliatori debbano effettuare almeno un minimo controllo sulla correttezza del’esenzione fiscale, sulla determinazione dell’anzianità e del parametro retributivo; secondo M. FALSONE, op.cit., 26 ss., l’art.6 D. Lgs. n.23/2015 non impone all’organo di conciliazione di svolgere una funzione di controllo a tutela del pubblico interesse, né gli fornisce gli strumenti ed i poteri per farlo efficacemente; il conciliatore deve solo accertare la libera e cosciente volontà delle parti e considerare la convenienza economica delle parti a chiudere una pendenza; l’autore evidenzia comunque che gli organi di conciliazione pubblici potrebbero ritenere legittimo o doveroso rifiutare di formalizzare una conciliazione dal contenuto palesemente iniquo o in violazione degli artt. 1343 e 1344 c.c., mentre gli organi privati hanno interesse a non essere sospettati di avallare operazioni in frode ala legge (di qui la possibilità che richiedano la documentazione utile ad accertare le condizioni dell’accordo o a precisare nel verbale di conciliazione l’assunzione di responsabilità delle parti della corrispondenza dell’importo con i parametri indicati dall’art.6 cit.). 51 F. ROSSI, op.cit., 786. 49 11 per tutti i casi corrispondenti a quello in esame, optando per uno specifico orientamento nel caso di oscillazioni giurisprudenziali. Tale opzione interpretativa è avvalorata dalla valenza pubblicistica della norma: se l’importo fosse errato per eccesso, le parti verrebbero a godere di sgravi contributivi e fiscali, non dovuti. Ma quid juris nel caso in cui il lavoratore abbia accettato un importo erroneamente determinato per difetto? Potrà in tal caso impugnare l’atto transattivo 52? Il fatto che l’importo sia matematicamente determinato ex lege farebbe propendere per la tesi affermativa, ma in senso contrario sembra militare l’argomento secondo cui l’impugnazione dell’offerta farebbe rivivere il diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento. In dottrina è stata operata la seguente distinzione: se la somma offerta e consegnata è errata per difetto, il lavoratore potrà contestarlo anche dopo avere ricevuto l’assegno, con la conseguenza che l’effetto preclusivo del giudizio e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento non si produrranno, a condizione che nel verbale di conciliazione non abbia rinunciato all’impugnazione del licenziamento (in tal caso l’effetto abdicativo rispetto all’impugnazione di licenziamento si produrrebbe comunque); mentre, se il lavoratore non ha espressamente rinunciato all’impugnazione del licenziamento, in caso di erroneità per difetto della somma offerta e accettata, sarà tenuto a restituire la somma percepita, che diventa corrisposta sine titulo, ed il successivo giudizio si svolgerà secondo i canoni ordinari53. Tale ricostruzione non convince, atteso che la legge ricollega automaticamente all’accettazione dell’assegno l’effetto abdicativo, mentre non attribuisce alcun rilievo alla rinuncia espressa dal lavoratore, ancorchè presente nell’accordo; tuttavia l’effetto abdicativo è sì ricollegato all’accettazione dell’assegno, ma a condizione l’importo sia determinato nel pieno dei parametri indicati dall’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015. Né può ritenersi dirimente ai fini dell’effetto abdicativo la circostanza che le parti abbiano espressamente riconosciuto a verbale la correttezza del calcolo: la valenza pubblicistica della norma impone che il calcolo sia controllabile, e condiziona tale effetto alla correttezza della quantificazione dell’importo, che a sua volta dipende dalla correttezza dei parametri utilizzati per il calcolo. A fronte delle finalità pubblicistiche della norma, e alla luce di quanto fin qui evidenziato, deve ritenersi che se il calcolo è viziato per difetto l’accettazione dell’assegno non precluda la possibilità di rideterminare l’importo innanzi alla sede protetta o il diritto del lavoratore ad impugnare il licenziamento. Anche se la norma non prevede la possibilità di modificare l’importo in seconda battuta presso l’organo adito, nel caso di errore di calcolo, a fronte del carattere predeterminato del calcolo e della circostanza che l’effetto abdicativo dipende dal rispetto dei termini aritmetici dell’accordo, non sembra confliggere con la funzione deflattiva della norma e con la sua valenza pubblicistica la possibilità di rideterminare correttamente la somma; diversamente la questione dovrebbe essere risolta in sede giudiziale. Se invece il calcolo fosse viziato per eccesso, troverebbe applicazione l’art. 6 c. 1 ultimo periodo D. Lgs. n. 23/2015, secondo cui le ulteriori somme pattuite nella stessa sede a chiusura di ogni altra pendenza sono soggette al regime fiscale ordinario: l’Agenzia delle Entrate sarebbe dunque legittimata a sollevare la questione della correttezza del calcolo ai fini dell’agevolazione fiscale ed applicare la tassazione ordinaria54. Ulteriori e diverse violazioni della norma (per mancato rispetto del termine nella formalizzazione dell’offerta, per sottoscrizione privata della transazione, per mancata consegna o verbalizzazione della consegna dell’assegno circolare innanzi all’organo di conciliazione) comportano che l’INPS e l’Agenzia delle Entrate potranno applicare il regime fiscale e contributivo ordinario, ma non inficiano la validità del contratto sotto l’aspetto civilistico, rimanendo preclusa in tali ipotesi 52 Pone tali questioni C. BOLLER, op.cit., 16. F. ROSSI, op.cit., 787. 54 In questo senso M. FALSONE, op.cit., 32. 53 12 l’impugnativa del licenziamento, mentre se l’accordo è viziato per ragioni che prescindono dal rispetto dei requisiti di cui all’art. 6 D. Lgs. n. 23/2015, il lavoratore potrà impugnarlo secondo la disciplina di diritto comune55. Considerato che il risarcimento dei danni ulteriori derivanti dal licenziamento (alla salute, all’immagine, alla vita di relazione) ha come presupposto l’illegittimità del medesimo, deve ritenersi che l’accettazione dell’offerta conciliativa precluda la possibilità di agire in giudizio a tal fine56. In assenza di specifiche previsioni sul punto, sembrerebbe che il rifiuto dell’offerta conciliativa da parte del lavoratore non comporti conseguenze in sede giudiziale57. A fronte delle previsioni contenute nell’art. 6, comma 3, D. Lgs. n. 23/2015 e nelle note del Ministero del Lavoro n. 2788 del 27.5.2015 e 3845 del 22.7.2015, dal 1° giugno 2015 le aziende che intendono proporre la conciliazione in caso di licenziamento di lavoratori cui si applichi il regime delle tutele crescenti, entro 65 giorni dalla comunicazione del licenziamento ed in aggiunta alla comunicazione di cessazione, sono tenute a procedere ad ulteriore comunicazione telematica, utilizzando il modello “UNILAV conciliazione” con valore statistico e di monitoraggio, indicando se l’offerta è stata accettata o meno, pena una sanzione amministrativa da euro 100,00 ad euro 500,00 per ogni lavoratore interessato. Premesso che tale comunicazione è dovuta solo nei casi in cui il datore di lavoro abbia effettuato l’offerta conciliativa (è dovuta anche dalle agenzie per il lavoro in caso di risoluzione del rapporto), i tempi strettissimi per la comunicazione non sembrano compatibili con i tempi per l’iter di chiusura della conciliazione presso le sedi protette, con il rischio per il datore di lavoro di incorrere nella sanzione pecuniaria anche se abbia formulato l’offerta nei termini58. Infine, in assenza di specifiche previsioni sul punto, deve ritenersi che l’accettazione dell’offerta conciliativa sia compatibile con la conservazione del diritto all’ASPI (non dovuta, in base all’art. 2 L. n. 92/2012, nelle tassative ipotesi di dimissioni senza giusta causa e di risoluzione consensuale del contratto), ove si consideri che la conciliazione, a fronte delle reciproche concessioni delle parti, non equivale ad una risoluzione consensuale tout court59. 55 In questa prospettiva M. FALSONE, op.cit., 31, secondo cui se oltre alla rinuncia all’impugnazione di licenziamento vengano poste in essere rinunce a diritti indisponibili, a queste ultime troveranno applicazione le regole comuni in forza delle quali l’eventuale abdicazione in sede privata o la mancanza di un’assistenza sindacale effettiva sarà impugnabile ai sensi dell’art. 2113 c.c. . 56 M. TATARELLI, op.cit., 537. 57 In questo senso M. MISCIONE, op.cit., 761. 58 C. CESTER, op.cit, 102 ; C. BOLLER, op.cit., 16, evidenzia che la norma costringe le parti “ad una inutile corsa contro il tempo”. 59 In questo senso M. TATARELLI, op.cit., 539. 13