jim dine sam francis robert indiana franz kline robert rauschenberg
by user
Comments
Transcript
jim dine sam francis robert indiana franz kline robert rauschenberg
AMERICAN DREAM Jim Dine Sam Francis Robert Indiana Franz Kline Robert Rauschenberg Larry Rivers Mark Tobey Andy Warhol In mostra: AMERICAN DREAM AMERICAN DREAM AMERICAN DREAM Sommario / Contents Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia 29.10.2012 – 16.03.2013 Mostra e catalogo a cura di Exhibition and catalog curated by Dominique Stella Roberto Agnellini Direttore / Director Roberto Agnellini Direzione artistica / Art direction Dominique Stella Organizzazione e coordinamento Organization and coordination Giancarlo Patuzzi Direzione commerciale / Commercial direction Ugo Ruggeri Ufficio stampa / Communication Spaini & Partners Progetto grafico / Graphic project Guglielmo Losio per Tipografia Camuna S.p.A. Si ringraziano particolarmente Special thanks to Famiglia Donati Ringraziamenti / Thanks to On. Avv. Adriano Paroli, Sindaco della Città di Brescia Avv. Andrea Arcai, Assessore alla Cultura e al Turismo della Città di Brescia Lanfranco Cirillo Armando Donati Emanuele e Mario Dora Ettore Marchina Alessandro Medici Angelo Medici Cesare Medici Roberto Morigi Roberto Pellizzari Alberto Riva Nicola Sebastiani Marco Setti Marinella Spagnoli Redazione / Editing Domenico Pertocoli Traduzione / Translation Dal francese e dall’inglese all’italiano From French and English to Italian: Silvia Denicolai Dal francese e dall’italiano all’inglese From French and Italian to English: Timothy Stroud Fotografie delle opere / Artworks photos © Fabio Cattabiani Crediti / Copyright © testo / text: Dominique Stella, Galleria Agnellini Arte Moderna © Sam Francis Foundation, California / Artists Rights Society (ARS), New York Copertina / Cover Robert Indiana, Love, 1966-1998 Le motociclette d’epoca provengono dalla collezione “Le Americane” del Signor Tiberio Lonati, al quale rivolgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti The vintage motorbikes come from the collection “Le Americane” of Mr Tiberio Lonati, whom we warmly thank Comune di Brescia Assessorato alla Cultura e al Turismo 9 American Dream 23 American Dream Dominique Stella 39 Motociclette / Motorbikes 61 Opere / Works Apparati / Appendix 161 La mostra è stata realizzata con il sostegno di The exhibition is realized with the support of Note Biografiche / Biographical Notes American Dream Dominique Stella Alle pagine precedenti / Previous pages Harley-Davidson FL Panhead Hydra Glide, 1949 (particolare / detail) L’ America del dopoguerra ha prodotto un modello di società che negli anni a seguire si è imposto al mondo. Dal 1945 al 1960 l’egemonia politica, economica e culturale degli Stati Uniti si è costruita sull’estromissione dell’Europa indebolita dalla guerra. Questo periodo consacra l’idea di progresso e di avanzata tecnologica al rango di dogma che si applica tanto all’industria quanto all’economia e alla cultura. La superpotenza americana, nel 1945, si fondava innanzitutto su una schiacciante egemonia economica, certo illusoria poiché eretta sulle rovine dell’Europa e del Giappone e di conseguenza necessariamente provvisoria, ma che ciò nondimeno raggiungeva, in termini di cifre, un livello senza precedenti nella storia. Questa mostra, attraverso opere significative di artisti espressionisti o pop che animarono la scena americana degli anni Sessanta, vuole illustrare lo spirito di entusiasmo e di libertà che s’impose nel paese in quegli anni in cui l’arte, l’industria e l’economia parteciparono a uno slancio creativo che sconvolse le abitudini di vita. La meccanizzazione produceva già da lungo tempo oggetti di desiderio che l’arte, grazie alla pop art, trasformò in icone moderne, rappresentazioni spesso moltiplicate di simboli di una civiltà potente e dominatrice. Gli Stati Uniti, in uno stesso slancio, seppero altrettanto bene esportare il loro modello di società e imporre un’arte che ne era il principale sostegno. Questa rassegna ci mostra, in un parallelo tra le mitiche moto Harley-Davidson e Indian, e le opere di artisti come Mark Tobey, Franz Kline, Andy Warhol, Jim Dine, Robert Rauschenberg, Sam Francis, Robert Indiana, Larry Rivers, il rapporto sottile che esistette tra l’industria e l’arte in quegli anni di totale euforia. Il mito americano Il desiderio di conquista che anima gli Stati Uniti in questi anni di crescita e di prosperità collettiva trae origine dallo sviluppo intenso dell’attività economica del paese tra la fine del XIX secolo e i primi cinquant’anni del XX. In questo periodo l’industrializzazione trasforma gli Stati Uniti. L’agricoltura e l’industria si meccanizzano, mentre i servizi conoscono una standardizzazione precoce. Le innovazioni tecnologiche e l’utilizzo delle macchine utensili sono molto più importanti qui che altrove. Il telefono, inventato da Alexander Bell, è già diffuso in un milione di esemplari nel 1900. Lo spirito d’invenzione e la capacità di trasformarla in modello industriale innovativo costituiscono la base di una società in pieno sviluppo. Un dinamismo straordinario, combinato con il desiderio individuale 9 Logo della Indian Motorbike Indian logo di ricchezza e di successo, spingono i pionieri dell’industria a sviluppare sistemi di produzione su ampia scala. Basti citare la perseveranza di Henry Ford, fondatore della celebre Ford Motor Company di Detroit, per illustrare questa tenacia nell’imporre un’idea che si rivelerà rivoluzionaria: il montaggio in serie di veicoli destinati al grande pubblico. Nel 1908 la prima Modello T esce dalla fabbrica Ford di Detroit, fondata nel 1903. La costruzione dell’autovettura è semplificata e ne rende il costo particolarmente interessante. Nel 1914 il costruttore di automobili americano istituisce un nuovo metodo di lavoro: la catena di montaggio. Grazie a questa innovazione i tempi di produzione della Ford T si riducono considerevolmente, passando da sei ore a un’ora e mezza. La produttività della fabbrica si moltiplica per quattro. L’operaio sta quasi fermo e assembla i pezzi che sfilano davanti a lui: è nato il fordismo. Tra il 1908 e il 1927 saranno prodotti più di 15 milioni di Ford Modello T. Il mito americano si costruisce sulla produzione di oggetti che cambiano la vita quotidiana degli individui apportando profonde modificazioni nella loro esistenza. La meccanizzazione trasforma le realtà più comuni, come l’uso della cucina, della sala da bagno e delle loro apparecchiature, radicandosi profondamente in una prassi che penetra e trasforma lo spirito umano. Lo sviluppo degli elettrodomestici, dell’automobile e delle altre macchine ottimizza la velocità d’esecuzione delle varie mansioni stabilendo nuovi standard. Questi oggetti tanto ambiti, la cui produzione tocca livelli di precisione e di eleganza assai elevati, raggiungono il pantheon di una mitologia contemporanea al pari delle opere d’arte. Motociclette, automobili, aerei sono le “sculture” dei tempi moderni, ideali di perfezione, oggetti di desiderio, magnifici nelle loro strutture e nella loro concezione. Insieme alle automobili nascono le prime moto. Le Indian si impongono per prime. Nel 1899 Oscar Hedström, che partecipa regolarmente a gare 10 American Dream Lee Marvin in The Wild One Ma le Indian conservano la loro leggenda e restano tra gli oggetti mitici di un’epoca in cui l’invenzione favorisce i sogni e permette di sviluppare sistemi innovativi, che devono tuttavia rispettare strette regole di competitività. La macchina economica non tollera il fallimento. La spietatezza del sistema impone una legge di vita o di morte sulle imprese come sugli individui. E alcuni soccombono, malgrado il loro talento. di bicicletta su pista, mette a punto un tandem motorizzato per l’allenamento dei corridori, ispirandosi a un motore del costruttore di automobili De Dion-Bouton per creare il proprio propulsore. George Hendee, rappresentante di biciclette, rimane talmente affascinato dalle prestazioni di questo tandem che propone a Hedström di mettersi in società con lui. Nasce così, nel 1901, la loro prima motocicletta, alla quale danno il nome Indian, modello rivoluzionario per l’epoca. Ben presto attorno a queste moto nasono leggende, sfide. Il marchio progredisce e s’impone partecipando a varie competizioni. Le gare per dimostrare la supremazia di una casa sulle altre diventano cosa frequente già a quell’epoca: per rispondere a una sfida lanciata da Collier, fondatore (insieme al fratello) della Matchless, Jake De Rosier, pilota di Indian, giunge a chiedere alla casa omonima di preparargli una moto specifica per battere il concorrente sulla celebre pista di Brooklands. È così che nasce la famosa moto a motore bicilindrico di 994 cm3 a otto valvole: una delle prime, se non la prima in assoluto della storia. Per la cronaca, era sprovvista di acceleratore. Nel 1913 Indian è forse uno dei costruttori più innovativi d’America, se non del mondo. Tuttavia, malgrado una tecnologia sempre più moderna, la marca attraverserà con difficoltà la crisi del 1929 e uscirà dalla seconda guerra mondiale debolissima. Il mondo industriale non perdona gli imprenditori sfortunati, e la Indian Motor Company continuerà il suo declino fino al 1953, anno in cui cesserà di esistere. Peter Fonda in Easy Rider L’aspetto trionfante dell’“America vincente” è ben illustrato dall’epopea Harley-Davidson. Questa marca, adottata da attori cult come Marlon Brando, è un simbolo degli Stati Uniti: Harley-Davidson, del resto, è tra i dieci marchi americani più conosciuti al mondo, insieme a Coca-Cola e Disney. La sua storia appartiene alla leggenda americana che tocca il suo apogeo negli anni Sessanta con un film come Easy Rider, diretto da Dennis Hopper nel 1969, entrato nel repertorio del National Film Registry nel 1998 per il suo apporto significativo al cinema e alla cultura americana. Questo road movie, destinato a diventare un emblema della generazione hippy degli anni Sessanta-Settanta, racconta il viaggio di due giovani motociclisti (Peter Fonda e Dennis Hopper) a bordo dei loro “choppers” Harley attraverso gli Stati Uniti, da est a ovest, sulla Route 66. Durante la loro “cavalcata” i protagonisti incontrano una comunità hippy e scoprono quel modo di vita. Dopo varie peripezie proseguono la loro traversata confrontandosi con l’America profonda, razzista e conservatrice che rifiuta le novità degli anni Sessanta. Il film rafforza l’immagine della marca Harley, ancorandola alla sfera di una mitologia moderna, sostenitrice della libertà e della provocazione. Questa simbologia la rende un oggetto di culto al pari delle opere prodotte dagli esponenti della pop art. Il chopper di Peter Fonda, nel film, era del resto customizzato con una bandiera americana, a immagine delle Three Flags di Jasper Johns. La storia della Harley-Davidson risale al 1903, anno in cui fu fondata da due giovanissimi americani: William Harley e Arthur Davidson. Come molte storie di successo industriale, la leggenda della Harley iniziò in una piccola rimessa di Milwaukee. I due amici, allora ventenni, lanciarono la loro impresa costruendo un prototipo di bicicletta motorizzata. Il primo anno realizzarono solamente tre motociclette, battezzate Silent Grey e vendute a duecento dollari l’una. Divenuta un’impresa familiare, nel 1907 la Harley-Davidson Motor Company ebbe come primo presidente Walter Davidson e contava allora 18 dipendenti. Ben presto, nel 1908, la Harley-Davidson debutta in gara e Walter Davidson vince la New York’s Catskill Mountain sulla sua Silent Grey Fellow davanti a 62 avversari. Grazie a questa vittoria le vendite prendono il volo. Lo stesso anno la polizia di Chicago ordina un lotto di HarleyDavidson (che allora è prodotta in 450 esemplari all’anno). Nel 1909 la casa lancia il suo primo motore bicilindrico e diventa la moto più veloce sul mercato. Il famoso logo “Bar and Shield” (barra e scudetto) vede la luce nel 1910, conferendole un’autenticità visiva e un’identità culturale. Nel 1919 l’impresa ha già più di duecento concessionarie negli Stati Uniti e a partire dal 1913 domina il mercato americano con una produzione di 12.904 moto. Alla fine della seconda guerra mondiale sono uscite dalla fabbrica 90.000 motociclette in versione armata. Nel 1946 la casa riprende l’attività civile e inaugura una nuova fabbrica a Wauwatosa, nel Wisconsin. Nel 1953 esce negli Stati Uniti il film The Wild One (Il selvaggio), che illustra i conflitti generazionali attraverso l’ostilità giovanile contro la tradizione. Questo violento road movie consacra la Harley-Davidson nel ritratto di una società americana in mutazione e annuncia gli sconvolgimenti del decennio successivo. Il film è l’adattamento di una notizia ispirata a un fatto di cronaca avvenuto nel 1947 a Hollister, in California, dove quattromila motociclisti “fuorilegge” irruppero in quella piccola e tranquilla cittadina. Il selvaggio racconta l’impennarsi della violenza in questa pacifica borgata sconvolta dal comportamento sfrenato dei teppisti, rappresentanti di una generazione tormentata da un certo mal di vivere. Due bande rivali di giovani motociclisti si affrontano: i Ribelli Neri sotto la guida di Johnny (Marlon Brando) e la banda di Chino (Lee 11 Marvin); quest’ultimo corre sulla sua Harley con l’atteggiamento insolente di un vero e proprio biker, mentre Marlon sfoggia una scintillante Triumph. Sprezzante delle autorità di polizia, l’orda selvaggia distrugge tutto senza che lo sceriffo osi intervenire. Il film farà scandalo alla sua uscita negli Stati Uniti e in Europa alcuni paesi lo censureranno per diversi anni. Ma esso illustra la parte innegabile che il mito del biker occupa presso una gioventù che rivendica indipendenza e libertà. E così Il selvaggio regala una risonanza mondiale, certo molto deformata, al movimento biker iniziato in California, inscrivendolo per sempre nella controcultura, così come il nascente rock’n’roll e il movimento letterario della beat generation… L’universo dei bikers s’impone da allora come fatto sociale che culmina dopo la guerra in movimenti di rivendicazione tra i quali gli “harleysti” occupano un posto di primo piano e che determinano fenomeni di appartenenza tendenti a incoraggiare lo sviluppo di comportamenti collettivi i quali portano all’emergere di una comunità legata al marchio. Il culto dell’oggetto sacralizzato apparenta la motocicletta a un ideale assoluto dotato di qualità di eccellenza tecnica, estetica, simbolica, avvicinandola a un’opera d’arte. Damien Hirst, del resto, ne realizzerà una versione ricreando il look di una Harley-Davidson Cross Bones a beneficio del “Project Angel Food”. La mitologia industriale entra così nel pantheon della storia artistica, dimostrando la capacità dell’arte di assorbire una realtà quotidiana sublimata. Marcel Duchamp e il ready-made La storia del XX secolo ci insegna che non esiste più frontiera tra l’oggetto banalizzato dall’uso quotidiano e l’oggetto d’arte idealizzato. Questa, almeno, la lezione lasciataci da Marcel Duchamp. Infatti, parallelamente alle trasformazioni tecnologiche che permettono la moltiplicazione in massa del prodotto, inducendo modificazioni definitive dei comportamenti sociali, la storia dell’arte integra i nuovi elementi della produzione e della moltiplicazione. Ed è proprio a New York, dove si trasferisce nel 1915, che Duchamp sviluppa l’idea del ready-made, il quale consiste nello scegliere oggetti d’uso quotidiano, preferibilmente prodotti industrialmente, ed esporli come opere d’arte, aprendo la via alle pratiche avanguardistiche più estreme. Nel 1917, con un gesto provocatorio, egli propone così la sua Fontaine, un orinatoio firmato che sarà rifiutato al Salon della Society of Independent Artists. L’oggetto è un semplice sa- 12 American Dream nitario acquistato in un negozio della ditta J.L. Mott Iron Works a New York. Duchamp vi ha solo aggiunto la firma “R. Mutt 1917” in colore nero. Con questo gesto l’artista proclama il rinnegamento dell’immagine artistica così come è stata veicolata dalla storia. Si tratta, per lui, di uno sconvolgimento ragionato della tradizione. Era dal 1915 che egli elaborava l’idea di una demolizione radicale delle convenzioni, delle tendenze e delle tecniche tradizionali della pittura. Sotto l’influenza di quel gusto dell’invenzione che aveva sconvolto le scienze a partire dal XVIII secolo, Duchamp immagina che sia possibile scoprire, in tutti i nostri sentimenti, segreti paragonabili a quelli svelati dalle scoperte di laboratorio. E si appresta dunque a fare tabula rasa dello spirito, dei suoi valori di espressione, delle sue ragioni e delle sue realizzazioni, allo scopo di attribuire all’immagine un ruolo che non ha ancora definito esattamente, ma che pretende radicalmente nuovo. Il “progresso” diventa fonte di creazione e la pittura rimane una tecnica arcaica alla quale egli sostituisce procedimenti creativi innovativi. Le Grand Verre è, in questo senso, un’opera esemplare, poiché si tratta di un lavoro di “ricerca” mai conclusa, il cui titolo originale è La mariée mise à nu par ses célibatraires, même. Messa a punto tra il 1915 e il 1923 a New York, l’opera è composta da due lastre di vetro assemblate (complessivamente 272 x 176 cm), pittura a olio, filo di piombo, polvere… Involontariamente danneggiata alcuni anni dopo, fu poi ricostruita. Qui non si tratta più di pittura, ma di un’elaborazione progressiva che integra il dato temporale. Duchamp giudica impossibile e irrisorio accedere a nuovi linguaggi basandosi solamente sull’utilizzo di mezzi rimasti, in fondo, tradizionali. È in questo senso che egli pone un principio di trasposizione che costituisce la base logica della creazione di un universo sotto la forma del quale egli intende trascendere l’antico. La concezione generale dell’artista nei suoi rapporti con il mondo reale è quindi ispirata dall’idea di un’inversione totale, che egli considera la sola in grado di gettare nuova luce sui rapporti tra le cose e sulle operazioni dello spirito. E gli intenti di Duchamp eserciteranno sull’arte un’influenza considerevole… Il trasferimento di Duchamp negli Stati Uniti rappresenta il preludio di una modificazione nel meccanismo di funzionamento del mondo dell’arte. Parigi e la Francia restano assai influenti tra le due guerre, e vi continuano a operare artisti come Picasso che diventa una gloria dell’arte internazionale, ma intanto New York, già consapevole delle nuove impli- cazioni, organizza una risposta creando, sull’esempio del Salon parigino, l’Armory Show. La sua prima edizione, nel 1913, organizzata da un gruppo di artisti, accorda infatti ampio spazio alle avanguardie europee, ma intende anche affermare una produzione americana che si liberi del suo provincialismo e imponga un’arte innovatrice. L’Armory Show del 1913, ufficialmente conosciuto come International Exhibition of Modern Art, è la prima grande esposizione di queste opere in America. La mostra contesta e modifica la definizione e l’atteggiamento accademico e pubblico nei confronti dell’arte, e così facendo cambia il corso della storia per gli artisti americani. Segnando la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, l’Armory Show infrange la quiete provinciale dell’arte americana, scuotendo il pubblico e mettendo in crisi le accademie di pittura e scultura. Quattromila persone visitano quelle sale nella serata inaugurale. Per la prima volta il pubblico americano, la stampa e il mondo dell’arte in generale assistono ai cambiamenti provocati dai grandi innovatori dell’arte europea, da Cézanne a Picasso. La mostra suscita profondi cambiamenti nel mercato dell’arte americano e porta all’accettazione nei confronti delle opere moderne. Con l’Armory Show gli americani intendono entrare nella competizione internazionale dell’arte, prendendo come punto di partenza le avanguardie europee. Il trasferimento di Marcel Duchamp a New York lo induce a un periodo di riflessione creativa. Egli realizza, come abbiamo visto, opere fondamentali come Le Grand Verre o la Fontaine, ma presto il suo interesse per l’arte si attenua e se ne allontana per alcuni anni. Sarà attraverso il surrealismo che egli rinnoverà le sue ricerche artistiche, organizzando numerosi eventi in collaborazione con André Breton. Lo spirito che aveva guidato le sue creazioni prefabbricate ritrova un’eco notevole negli anni della seconda guerra mondiale, durante i quali numerosi surrealisti si rifugiano negli Stati Uniti. La ridefinizione dell’arte, adottando la provocazione come mezzo d’azione, così come l’ironia e la libertà, elementi caratteristici anche del comportamento dada, s’impone in un mondo che si reinventa. È così che Marcel Duchamp acquista una fama crescente e diviene celebre dopo la guerra. Ma solo nel 1964 saranno prodotte repliche della Fontaine del 1917, in una versione realizzata dalla Galleria Schwarz di Milano. E però già negli anni Cinquanta una nuova generazione di artisti americani che si qualificano neo-dadaisti, come Jasper Johns e Robert Rauschenberg, riconosce Duchamp come precursore. L’anticonformismo come marchio di fabbrica Per tornare alla Harley-Davidson e al film Easy Rider, vi ritroviamo le interazioni che guidano il regista del film, Dennis Hopper, ricordando le relazioni che legano il suo percorso al mondo pop degli anni Sessanta, celebrando anche l’unione inscindibile di una meccanica elevata al rango di icona con uno spirito anticonformista, caratteristica necessaria e indispensabile dei principali esponenti della cultura pop di quegli anni. Simbolo della gioventù e del rifiuto dei pregiudizi, Dennis Hopper incarna un cinema libertario, al limite della rottura. Con Easy Rider, road movie nichilista e metafisico dalla colonna sonora esplosiva, si crea un nuovo ordine del mondo. Un’America in cui si esprimono liberamente gli amanti del rock e degli allucinogeni, uomini che sognano, donne che accettano la propria sessualità, artisti che riconquistano il reale. Easy Rider è un film nel quale Dennis Hopper, con modi di sceneggiatura insoliti, invita per la durata di una scena gli eroi della sua epoca: Phil Spector (il produttore musicale più influente e inventivo della storia della musica pop), Wallace Berman (artista che esponeva regolarment alla Ferus Gallery, grande galleria pop di Los Angeles che nel 1962 accolse la prima mostra personale di Andy Warhol: Campbell’s Soup Cans), George Herms (artista noto per i suoi assemblages fatti con oggetti di recupero), e naturalmente gli attori Peter Fonda e Jack Nicholson, prima che diventassero mostri sacri. Questo mix culturale Dennis Hopper lo rivendica. Nel 1969, sulla sua Harley-Davidson, egli è conosciuto dai cineamatori che lo ricordano a fianco di James Dean teppista in Gioventù bruciata di Nicholas Ray (1955). È famoso per aver cofirmato un ready-made con Marcel Duchamp nel 1963, per aver recitato in film sperimentali di Andy Warhol (Tarzan and Jane Regained… Sort of, del 1964), per aver collezionato pop art prima di chiunque altro a Los Angeles (Roy Lichtenstein e Jasper Johns), per aver sostenuto i fautori della rivolta politica (da Jane Fonda a Martin Luther King), per aver scattato centinaia di fotografie in bianco e nero di manifestazioni e performance artistiche, per aver pubblicato le sue foto affascinanti di una nuova mitologia americana sulle copertine di “Vogue” e di “Artforum”… “Vengo dall’espressionismo astratto e dal jazz”, amava dire l’attore-regista-artista. Hopper è sempre stato un appassionato amante dell’arte e un collezionista ispirato, che ha cercato di inscrivere la moltitudine dei suoi interessi in una rete di rapporti intensi con il mondo contemporanea. Le sue passioni lo portano al di là delle attese del suo pubblico: dal cine- 13 ma verso la fotografia; dalla fotografia verso la pittura e la scultura; dalla scultura verso la performance; dalla performance verso il cinema sperimentale… I suoi amici appartengono ai movimenti pittorici più ribelli e sovversivi del tempo. Espressionismo tra libertà e ufficialità Dennis Hopper incarna perfettamente la generazione americana del dopoguerra il cui atteggiamento disinvolto, sperimentale e conquistatore trova la sua degna rappresentazione nel mondo dell’arte che si apre a tutte le possibilità. L’espressionismo astratto – rappresentato in questa mostra da Franz Kline, Mark Tobey, Sam Francis e, in misura minore, da Larry Rivers, il cui lavoro oscilla tra astrazione e figurazione – inventa nuove tecniche, mescolando influenze diverse come il surrealismo (subconscio, scrittura automatica, dripping), l’astrazione di Wassily Kandinsky e di Arshile Gorky e l’insegnamento di Hans Hofmann. La nozione di espressionismo astratto nasce nel 1948, a New York, nell’ambito di un circolo fondato da Willem de Kooning, Franz Kline e alcuni altri artisti, che presto attira personalità assai diverse come Ad Reinhardt e Jackson Pollock, in un clima fortemente ostile al formalismo. In quel dopoguerra che fa da traino al boom economico degli Stati Uniti, New York diventa la capitale mondiale dell’avanguardia e, più in generale, dell’arte moderna, e l’espressionismo astratto è al centro del dibattito. L’arte simboleggia questa egemonia appena conquistata dagli Stati Uniti e manifesta la propria autenticità, in un primo tempo, attraverso una rimessa in discussione dei canoni e degli stereotipi. Artisti come Pollock, Rothko e Motherwell rivendicano una totale libertà creativa: secondo Jackson Pollock gli artisti contemporanei non devono più rivolgersi a un soggetto esterno come fonte d’ispirazione. Egli inventa il dripping e dipinge per terra, perché, come dice lui stesso: “Per terra, sono più a mio agio. Mi sento più vicino al quadro, ne faccio maggiormente parte; perché in questo modo posso camminarci attorno ed essere letteralmente dentro al quadro.” Non c’è paesaggio né contesto. “Io sono la natura!” ci dice. La sua pittura si orchestra per ritmi puri alla maniera del jazz, che egli ascolta incessantemente e che è una musica d’improvvisazione. Le grandi tele sgocciolate ed esplose di Pollock offrono allo spettatore l’opportunità di una riflessione interiore. La trama complessa dei colori enfatizza la superficie della tela e la stesura pittorica. L’occhio non viene 14 American Dream sedotto da una zona particolare, né diretto al di fuori della cornice dell’opera. Non vi è evidenza esplicita di rappresentazione del mondo dietro la tela. Il dripping è una tecnica, e la tecnica stessa diventa arte. Un’arte, tuttavia, non priva d’intenti politici: anche se l’artista rivendica libertà e autonomia, egli è sottoposto alla necessità di costituire una “scena americana”. Le opere di Jackson Pollock vengono esibite in un periodo in cui, probabilmente, è politicamente vantaggioso mostrare l’emergere di una nuova avanguardia americana. In questa prospettiva i collezionisti e i mercanti americani, e in particolare il Museum of Modern Art, cercano di “salvare” l’arte europea dalla minaccia fascista, diventando i nuovi tutori e catalizzatori della scena artistica contemporanea. Così nel 1948, quando viene messo a punto il Piano Marshall, Clement Greenberg pubblica il suo articolo epocale The Decline of Cubism, dichiarando che l’avanguardia europea è divenuta ridondante. Alla luce di ciò, quindi, allorché Pollock parla di “intenti contemporanei” e i critici rivendicano l’autonomia dell’arte, è utile cercare una connessione tra gli obiettivi dichiarati dal singolo artista o critico e gli intenti più ampi della società di cui sono costretti a far parte per sopravvivere. In questo contesto, e malgrado le rivendicazioni di Pollock, i quadri diventano simboli forti di una politica culturale espansionista. Ciò nondimeno ne nascono opere pittoriche straordinarie, dense di colori gettati sulla tela in strati spessi di pittura. Quanto a Rothko, benché inquadrato nel movimento espressionista astrat- Franz Kline in studio, 1961 to, egli rifiuta la definizione alienante di “action painter”. La sua arte, che si esprime per campi di colore, è definita “colorfield painting”, di ispirazione spirituale e meditativa, e assorbe lo spettatore in tele monumentali: la dimensione stessa dell’opera è necessaria all’espressione pittorica. Altro fondatore del movimento, Willem de Kooning sviluppa una sua tecnica e diventa, insieme a Jackson Pollock, l’emblema dell’action painting, modellando la sua pittura a vigorosi colpi di spatola o di lama. Pure la sua gestualità comporta colature e schizzi di colore. L’opera, anche quando è terminata, ha quindi un sapore di incompiutezza che l’immaginazione dello spettatore può intendere a proprio modo. A poco a poco questo lavoro ambiguo affascina e s’impone a sua volta come una forma di espressionismo astratto. Uno dei primissimi rappresentanti di questo movimento è Franz Kline. Pittore figurativo fino al 1949, egli abbandona poi di colpo la figurazione. Un giorno, intento a ingrandire alcuni schizzi di personaggi con un proiettore ottico, scopre con interesse che un suo “disegno a pennello, di una poltrona a dondolo di dieci centimetri per dodici, si trasforma in gigantesche pennellate nere che fanno scomparire qualsiasi immagine, ingrandite al punto da divenire entità a sé, scollegate da ogni realtà se non la propria”. Il cambiamento di orientamento del pittore è brusco e decisivo. Da allora egli decide di dipingere quadri costituiti da semplici trame bianche e nere che si sovrappongono urtandosi l’una con l’altra, seguendo ritmi differenti, definendo una maniera e uno stile caratteristici. I suoi quadri bianchi e neri sono ancorati alla sensibilità artistica americana degli anni Cinquanta, benché segnati da influenze della calligrafia giapponese che egli in parte rifiuta: “Lo spazio, secondo la concezione orientale, è infinito – afferma infatti –, non è spazio dipinto, mentre il mio lo è. La calligrafia è scrittura, e io non scrivo. A volte si pensa che io prenda una tela bianca e che vi dipinga un segno nero, ma non è vero. Dipingo il bianco così come il nero; il bianco è altrettanto importante.” La posizione di Franz Kline nei confronti del gesto è ugualmente ambigua. Alla maniera della gestualità liberatrice di Pollock, egli riserva grande spazio all’improvvisazione. Tuttavia lavora di frequente sulla base di bozzetti, riservandosi la possibilità di rimaneggiare completamente il quadro; pur essendo aleatorio, il suo gesto è comunque sempre molto curato. Qui abbiamo un’opera su carta del 1950 caratteristica delle prime trame in bianco e nero che l’artista adotta quasi come un marchio di fabbrica. In contrasto con Kline il suo collega Sam Francis, più giovane di tredici anni, s’impone in un registro ricco di colori. Il suo approccio, in effetti, è più vicino a quello di Pollock. Come la maggior parte dei pittori degli anni Cinquanta e Sessanta, Francis può essere annoverato in diversi movimenti: astrazione lirica, espressionismo astratto, tachisme, action painting, colorfield painting, altrettante influenze che si ritrovano nella sua opera senza che nessuna possa ingabbiarlo in modo esclusivo. Profondamente segnato dal colore, il suo linguaggio pittorico si definisce attraverso un’energia creativa che si manifesta in macchie le quali modulano lo spazio e la superficie. Francis è il più europeo degli artisti americani: soggiorna infatti a lungo a Parigi tra il 1948 e il 1960, e subisce l’influenza di Matisse di cui assimila le innovazioni in materia di colore e bidimensionalità, che costituiscono le basi per una purificazione della forma e una semplificazione del gesto. Su tele spesso di grande formato Sam Francis prende a prestito e mescola diverse tecniche: dripping, all over, tachisme, nome che fa riferimento al caso nel processo creativo: la forma è tache (macchia) soggetta al caso, e nasce spontaneamente. Come Pollock, Francis sviluppa il dipinto utilizzando lo sfondo come rivelatore dell’opera, senza passare per la figura. Tende così a semplificare i suoi piani e realizza un grande lavoro sul colore utilizzando anche il nero, considerato un “non-colore”. Egli spinge all’estremo la pratica di decomposizione della figura adottando una sua tecnica tipica di dissoluzione delle forme, conservando al tempo stesso il nucleo iniziale dell’oggetto o della figura (un rettangolo o una banda ortogonale). Sam Francis spinge così il processo fino al completo annullamento di ogni rappresentazione. In alcune sue tele questa pratica comporta una liquefazione della materia, la quale si traduce in colature verticali di pittura, una sorta di reticolo, di ragnatela che collega le forme-macchie tra loro in una rete che può essere densa o al contrario liquefatta sulla superficie della tela, operando una fusione tra lo sfondo, spesso bianco, e il colore. È questo il caso, in particolare, dell’opera del 1956 (gouache su carta, 74,9 x 55,9 cm) presente in questa mostra: un olio su tela in cui si vede chiaramente la presenza di questo reticolo di colature nere e colorate, simili a fili che collegano le macchie. Ai margini dell’espressionismo: Mark Tobey Lontano dall’influenza newyorchese, poiché classificato come artista del Pacifico nord-occidentale, Mark Tobey, informale fuori dalla norma, è una personalità totalmente a parte nel panorama della pittura americana 15 Mark Tobey, Sumi VII, 1957 (particolare / detail) del XX secolo. Egli inizia a dipingere nel 1920, in un periodo in cui l’arte, negli Stati Uniti, rimane ancorata alla figurazione. La cosiddetta “scuola di New York” arriverà molto più tardi, all’inizio degli anni Cinquanta. Tobey appare dunque come un precursore, ancora molto legato all’influenza europea, pur rivendicando una spiritualità orientale. Il suo lavoro riflette il carattere minuzioso e luminoso di una pratica che si è liberata del gesto per raggiungere una scrittura pittorica in cui lo spirito domina il segno, in una tradizione vicina alla calligrafia giapponese. Le sue tele, spazi densi di campiture piatte e linee ripetitive, sono al tempo stesso semplici e complesse, intricate e intuitive. Le tonalità intense di marrone e di grigio, le sottili pennellate di colore, richiamano spesso il mondo naturale, per lo più colto in primo piano. Esse evocano l’immagine di un reticolo di cellule osservato al microscopio, una superficie rocciosa erosa dalle intemperie, oppure le striature della corteccia di un albero. La pittura di Tobey ci offre una visione di una grande sensibilità e, al pari di artisti come André Masson in Francia o lo stesso Pollock nelle sue forme più libere, egli ci propone un’opera che si concentra sullo sviluppo del segno, al di là della sua interpretazione o della sua lettura. L’espressione visiva di Tobey segue un progetto che va al di là di ogni soluzione grafica o estetica e concerne una ricerca che si ricollega a problematiche filosofico-religiose, alle quali l’artista si riferisce realmente. Il suo mondo è soggettivo e la sua arte è essenzialmente legata a un atteggiamento mentale che presiede alla costruzione della sua pittura, forma manifesta di una contemplazione interiore e di un’esperienza di vita. Domina nella sua opera il concetto di unicità, in riferimento al suo credo che auspica l’unione di tutti i popoli e di tutte le religioni. Anche i viaggi, soprattutto in Cina e in Giappone, dove trascorre parecchi mesi in un monastero zen, conferiscono al suo lavoro un respiro particolare ben lontano dalle forme espressioniste della scuola di New York, segnata dall’impronta di un art business basato sul successo. Il raccoglimento costituisce infatti il principio fondamentale del lavoro di Tobey, e questo stato d’animo, che guida il gesto e l’azione, è molto lontano dalle inquietudini mediatiche coltivate dai suoi compatrioti della East Coast, i quali fanno dello spettacolo un principio della creazione. Tobey definisce il concetto fondamentale che presiede alla realizzazione della sua opera attraverso una percezione particolare dello spazio: “Spazio multiplo, nel quale la profondità è qualcosa di più sensibile che visivo.” Qui è la base della sua riflessione, e questo pensiero contiene i fondamen- 16 American Dream ti della sua arte che egli svilupperà realmente dopo il soggiorno in Cina e in Giappone nel 1934. L’arte e gli oggetti artigianali del mondo orientale, in effetti, lo affascinano. Egli studia la calligrafia e la pittura al pennello praticate in Cina. E l’attenzione riservata ai dettagli, così come la concentrazione dello spirito che egli apprende, influenzano la sua opera. Il suo lavoro acquisisce un dinamismo e una capacità di restituzione fugace ed espressiva delle scene di vita quotidiana, dei personaggi, della natura; il suo tratto si fa più rapido, probabilmente per influenza della pratica dell’arte calligrafica nella quale egli si esercita in Oriente. Da questo apprendistato nasce in Tobey la consapevolezza di un mondo sensibile. Egli scopre la linea che si dispiega nello spazio, senza confini, che esclude ogni carattere di costruzione e di razionalità. Contano solo l’immaginario, l’infinito dello spazio e l’energia necessaria a catturarlo. Due opere in mostra, Sumi VII e Untitled, entrambe del 1957, illustrano bene quest’arte ispirata alla calligrafia giapponese. In Oriente l’unità dei sensi e l’armonia dell’essere presiedono alla realizzazione dell’opera. L’emozione, il pensiero e l’azione devono fondersi per acquisire lo stato d’illuminazione (satori) che permette di raggiungere la conoscenza zen. Tobey si è accostato a queste pratiche e, pur senza parlare di conversione, si può notare l’influenza di questo soggiorno in Giappone sulla sua personalità e sulla sua opera. Lo sottolinea del resto egli stesso in occasione di un’intervista concessa a Katherine Kuh nel 1971: “Al monastero zen mi fu dato un dipinto a inchiostro sumi su cui riflettere; si trattava di un grande cerchio vuoto, eseguito con il pennello. Che cosa rappresentava? Lo guardavo ogni giorno. Indicava l’altruismo? Rappresentava l’Universo – nel quale avrei potuto perdere la mia identità? Forse non riuscivo a cogliere l’estetica e la raffinatezza del tratto, che a un allenato sguardo orientale avrebbe invece rivelato molto sul carattere dell’uomo che lo aveva dipinto. Dopo quel soggiorno, tuttavia, mi accorsi di avere nuovi occhi; ciò che prima mi appariva di scarsa importanza ora si amplificava, e le riflessioni non erano più basate sul mio precedente modo di vedere. Osservando un grande drago dipinto con il pennello sul soffitto di un tempio, a Kyoto, pensai alla stessa forza ritmica di Michelangelo – la rappresentazione delle forme era diversa, le nuvole vorticose che accompagnavano il suo maestoso volo nella sfera celeste erano diverse, ma vi era la medesima forza spirituale… ‘Lascia che la natura assuma il controllo del tuo lavoro’: queste parole del mio amico Takïzaki in un primo momento mi disorientarono, ma poi si esemplificarono nel concetto di ‘lasciare libero il passaggio’. Oggi alcuni artisti parlano dell’atto del dipingere. Questo, nel migliore dei suoi significati, potrebbe comprendere ciò che intendeva il mio vecchio amico. Ma la preparazione principale è lo Stato d’Animo, e l’azione procede da esso. La Pace Interiore è un altro ideale, forse lo stato ideale da ricercare nella pittura, e certamente è propedeutico all’atto del dipingere.” Qui Tobey fa evidentemente riferimento agli artisti dell’action painting, nella quale non riconosce affatto le qualità necessarie alla creazione armoniosa di un’opera. Egli si discosta totalmente da quel movimento, che appare quasi barbarico ai suoi occhi. L’espressionismo di Tobey, in effetti, conserva tracce delle aspirazioni romantiche che animano la pittura europea. Lui e Sam Francis hanno sopportato con difficoltà il diktat statale che si è abbattuto sull’arte americana del dopoguerra. La loro spontaneità, lo slancio vitale della loro creazione comportavano riferimenti immateriali, perfino spirituali, che l’empirismo dei movimenti ufficiali escludeva. Non è dunque un caso se Tobey decise di vivere in Europa e scelse Basilea come città del suo ultimo riposo. Precursori della pop art: Robert Rauschenberg e Larry Rivers Robert Rauschenberg adotta come punto di partenza della sua opera il principio duchampiano del ready-made, motivo per cui talvolta è stato qualificato come “neo-dada”, etichetta che condivide con il pittore Jasper Johns. Rauschenberg dice di voler lavorare “nell’intervallo tra arte e vita”. Egli interroga la differenza tra gli oggetti d’arte e gli oggetti della vita quotidiana, sulla scia di Marcel Duchamp e della sua Fontaine. All’inizio degli anni Cinquanta Rauschenberg comincia la sua attività artistica realizzando dipinti monocromi bianchi, neri, oro e rossi, con carta di giornale incollata e dipinta che produce effetti di differenti texture. Egli vuole già abolire in arte il principio sacrosanto dell’espressione di sé. Queste superfici, e in particolare i White Paintings, vogliono essere specchi, superfici neutre pronte ad accogliere il riflesso del mondo. “Il loro autore è l’oggi”, dice l’artista. Il periodo dei Combines, che gli valgono fama internazionale, viene subito dopo, verso il 1953. Rauschenberg: Combines è la prima mostra dedicata esclusivamente a questa fase cruciale della creazione dell’artista, che segna l’inizio del suo successo mondiale. Egli rivendica l’impiego dell’oggetto ordinario, comune: “Gli oggetti che utilizzo sono per lo più imprigionati nella loro banalità ordinaria. Nessuna ricerca di rarità. A New York è impossibile camminare per le strade senza imbattersi in un pneumatico, una scatola, un cartone. Io non faccio altro che prenderli e restituirli al loro mondo.” Come indica il nome, i Combines sono opere ibride che associano alla pratica della pittura quella del collage e dell’assemblaggio di elementi eterogenei prelevati dal reale quotidiano. Né pittura né scultura, ma le due insieme, i monumentali Combines di Rauschenberg invadono lo spazio dello spettatore e lo interpellano come veri e propri rebus visivi. Dagli uccelli impagliati alle bottiglie di Coca-Cola, dai giornali alle immagini di stampa, ai tessuti, alla carta da parati, a porte e finestre, l’universo intero sembra entrare nella sua arte combinatoria per associarsi alla pittura. Amico di John Cage, anche il suono interessa a Rauschenberg, e così nei suoi ultimi Combines egli sviluppa analogie tra musica e arti plastiche. Vicino anche a Merce Cunningham e alla danza, alcune sue opere sono delle scenografie. Ma a partire dal 1962 i dipinti di Rauschenberg cominciano a inglobare non più solamente “objets trouvés”, ma anche immagini e fotografie trasferite su tela per mezzo della serigrafia. Questo procedimento gli consente di integrare il processo di riproducibilità dell’opera e di esplorarne tutte le possibilità. I quadri sono grandi, la tecnica permette ampia libertà di creazione, il soggetto supera il concetto di opera. Utilizzando la tecnica di trasferimento dell’immagine per mezzo di trementina su seta, Rauschenberg vi lascia affiorare la sua passione per l’immagine fotografica, che non lo abbandonerà mai. Le sue opere sembrano specchi in cui – attraverso vari procedimenti di utilizzo di immagini dei giornali: trasferimento, montaggio e collage – si riflette la storia degli Stati Uniti negli anni Sessanta. L’opera Ringer (1974, 179 x 94,5 cm), presente in mostra, appartiene a questo periodo e rientra in questo modus operandi. È un viaggio che essa ci propone: viaggio al quale aspira l’artista, che prende il 17 Andy Warhol avvolto nella bandiera americana, 1970 Andy Warhol draped in the American flag, 1970 mondo intero come motivo delle sue opere. Egli fa appello a un’arte globale che includa la musica e la danza, e che inscriva il tempo nell’opera plastica. Rauschenberg non ha mai smesso di superare i limiti che determinano il concetto di opera, proiettandosi nella sperimentazione, per esprimere sempre meglio la propria adesione a un’epoca che lo affascina ma di cui al tempo stesso intuisce i lati nefasti. Secondo Jasper Johns, Rauschenberg è l’artista più innovativo del XX secolo dopo Picasso; per lo storico dell’arte Leo Steinberg “ciò che ha inventato, soprattutto, è una superficie pittorica che restituisce al mondo il suo posto”. Iconoclasta, Rauschenberg ha fatto esplodere i limiti dell’arte. Per lui “l’arte ha a che vedere con la vita, non ha niente a che vedere con l’arte”. “La mia ambizione – diceva – non è di continuare a dipingere arance marce, ma di fare del buon giornalismo.” “Non faccio né Arte per l’Arte, né Arte contro l’Arte. Sono per l’Arte, ma per l’Arte che non ha niente a che vedere con l’Arte, perché l’Arte ha tutto a che vedere con la vita.” In questo senso il suo lavoro è perfettamente contemporaneo a quello di Andy Warhol. Egli esalta una società da cui trae le sue fonti e i suoi materiali, conferendole un riconoscimento culturale che la consacra nella sua identità di società commerciale iperproduttiva, fonte di vita e di prosperità. Rauschenberg ha dimostrato questa capacità di confrontarsi con la realtà anche in periodi più recenti della sua produzione, come possiamo vedere in mostra nell’opera Salsa Verde Glut (Neapolitan), un assemblaggio del 1987 dotato di una punta di umorismo. Rauschenberg e Jasper Johns sono entrambi considerati anche importanti precursori della pop art. E, tra espressionismo e pop art, Larry Rivers è un’altra figura fondamentale del panorama artistico newyorchese, amico di numerosi artisti, scrittori e musicisti, da Leonard Bernstein e Jasper Johns, Kenneth Koch e Terry Southern. Ha recitato nel film beat Pull My Daisy insieme ad Allen Ginsberg e Gregory Corso. È l’irriverente pittore e scultore protopop, sassofonista jazz, scrittore, poeta, insegnante e qualche volta attore e regista, la cui personalità, in parte ironica, da cattivo ragazzo, ha incarnato lo spirito di un’epoca inquieta che ha dato una scossa all’arte americana. Andy Warhol non ha mai negato di essere stato influenzato dall’arte di Rivers, e in una frase molto rivelatrice, tratta dal libro Popism, riconosce 18 American Dream la personalità unica di Rivers come un ingrediente fondamentale nello sviluppo della pop art. Scrive dunque Warhol: “Lo stile pittorico di Larry era unico – non era espressionismo astratto e non era pop, cadeva proprio nel periodo di mezzo. Ma la sua personalità era molto pop.” È il suo carattere pop che spinge Rivers a esaltare la sua personalità in un rapporto di competizione con le sue opere, come se lui stesso facesse parte del messaggio, per portare a segno il suo particolare modo di vedere. I critici lo hanno spesso accusato di distogliere i riflettori dalla propria opera. Ma egli lo riteneva un modo per rendere più autentico il suo lavoro, perché esso non poteva essere legittimato da nessun “ismo”. È vero, il lavoro di Rivers non è pop e non è espressionismo astratto, è più un dialogo continuo con l’arte e le idee, un ponte gettato tra due movimenti artistici significativi. Vi è una certa ironia profetica nel nome di Larry Rivers. Divenuto famoso per la realizzazione di un lavoro sull’attraversamento di un fiume, egli ha poi continuato la sua carriera come un importante artista di transizione, un sorta di “costruttore di ponti”. Nato nel Bronx nel 1923 con il nome di Yitzroch Loiza Grossberg, Larry Rivers è un tipico personaggio newyorchese. Intrapresa la carriera di sassofonista jazz, suona nei gruppi newyorchesi fino al 1945, quando inizia a dipingere. Frequenta la New York University dal 1948 al 1951, studiando con William Baziotes. In questo periodo incontra Willem de Kooning, Jackson Pollock e altri espressionisti astratti il cui stile pittorico gestuale lo influenza fortemente. S’ispira anche a pittori europei come Courbet. Nel 1950 parte per un soggiorno di otto mesi a Parigi, dove trova ispirazione nei grandi dipinti storici del Louvre. The Burial (1951), un olio su tela di grandi dimensioni è il primo dei suoi dipinti a entrare a far parte della collezione di un museo pubblico, attinge appunto al Funerale a Ornans di Gustave Courbet (1849), rappresentazione grandiosa di un umile evento. Ma il quadro ha come fonte d’ispirazione anche il funerale della nonna di Rivers. Questa fusione di storia personale e storia pubblica, di nostalgia e grandezza, appare sovente nel suo lavoro. Se la sua opera può essere considerata per lo più astratta, come testimonia l’opera in mostra Parts of the Body (French + Italian Vocabulary Lesson) del 1962-63, con una maniera quasi cubista di dipingere il corpo, egli ha anche realizzato nel corso della sua carriera numerose ope- Robert Rauschenberg, Salsa Verde Glut, (Neapolitan), 1987 (particolare / detail) re figurative, molte delle quali riproducono monete e carte da gioco, monete francesi, membri della sua famiglia e l’artista stesso. Pochi artisti del XX secolo competono con la versatilità di Rivers e il suo desiderio di sperimentare, come dimostra la sua capacità di lavorare a diversi generi e con una vasta gamma di supporti. Nei primi anni Sessanta Rivers collabora con la Universal Limited Art Editions alla realizzazione, tra l’altro, di una litografia a colori dal titolo Last Civil War Veteran, pubblicata nel 1961, e nel 1963 inizia a lavorare con la Marlborough Gallery. Il suo approccio irriverente e spesso umoristico alla politica, alla storia e al sesso suscita polemiche e ribadisce la sua posizione di innovatore e pioniere. E durante gli anni Sessanta, al massimo della fama e della notorietà, ha ancora modo di sperimentare in maniera considerevole. Le sue opere appaiono a volte volgari, a volte altezzose. Realizza sculture da calchi in gesso e metallo saldato. La sua Lampman Loves It è una scultura raffigurante una coppia impegnata in un rapporto sessuale. Rivers inserisce sempre più oggetti quotidiani, “objets trouvés” e immagini popolari nel suo lavoro, utilizzando ad esempio l’etichetta della scatola di sigari Dutch Masters, basata sui Sindaci dei drappieri di Rembrandt, in una serie del 1960, ma anche complicando il suo lavoro con adesivi e altri ritrovati editoriali. Collabora inoltre con Jean Tinguely e Yves Klein in Europa. Negli ultimi anni, infine, diventa sempre più divertente e sperimentale, lasciandosi alle spalle la serietà di stile tipica della scena artistica degli anni Settanta, Ottanta e Novanta per esprimersi con forza, chiarezza e non senza controversie in opere come History of Matzo: the Story of the Jews, una serie epica che combina la bellezza eterea di Chagall con lo stile popolare di Lichtenstein e Warhol. La pop art: consacrazione della società americana come ideale sociale e culturale La pop art rimette fondamentalmente in questione i criteri che in precedenza avevano caratterizzato l’“opera d’arte”, inducendo una riflessione sull’oggetto artistico e ponendolo in una dialettica sociologica, desacralizzando l’immagine dipinta e la scultura per conferire loro una dimensione di oggetto comunicante (allo stesso titolo della pubblicità), o banalizzan- dole con il fatto di proiettarle nella sfera dell’oggetto industriale multiplo tipico del consumo di massa. Il movimento, nato in Inghilterra negli anni Cinquanta per impulso di Richard Hamilton e Eduardo Paolozzi, si sviluppa in particolar modo negli Stati Uniti degli anni Sessanta. Già verso la fine degli anni Cinquanta artisti come Robert Rauschenberg e Jaspers Johns avevano reagito contro gli ultimi sussulti dell’espressionismo astratto, trovando nello spirito antiaccademico dadaista e nella figura di Duchamp i loro ispiratori. Nel solco aperto da questi due pionieri artisti come Claes Oldenburg e Jim Dine, Andy Warhol e Roy Lichtenstein si volgono con decisione verso il denigrato mondo della merce (hamburger, scatole di detersivo, lattine di CocaCola) e verso le nuove forme della cultura popolare: pubblicità, fumetti, star del cinema e della politica, in uno slancio entusiasta e critico al tempo stesso. Ma, nonostante l’innalzamento di tali oggetti e immagini al rango di opera d’arte, sono soprattutto i meccanismi perversi della società dei consumi che questi artisti documentano con umorismo, ironia e inquietudine. Essi assumono il concetto di prodotto seriale come caratteristica fondamentale dell’epoca, sottolineandone l’esaltazione conseguente alla libertà di scelta, ma anche l’alienazione indotta dalla necessità di consumare: l’ipersviluppo della pubblicità, dei giornali e dell’industrializzazione riduce l’uomo allo stato di macchina produttrice e consumatrice. L’arte prende in conto questo fatto certamente rivoluzionario, esasperando il fenomeno nella sua trasposizione, appunto, al mondo artistico, rimettendo in causa il carattere sacro dell’opera per ridurla allo stato di semplice prodotto consumabile: effimero, usa e getta, a buon mercato. I procedimenti utilizzati dagli artisti rientrano in questo modo di produzione, più industriale che artigianale: l’acrilico e la serigrafia permettono una produzione moltiplicata e rapida per una distribuzione su grande scala. L’arte entra nella sfera dell’industria, l’opera non ha più l’aura della rarità, diviene semplice oggetto di desiderio offerto a tutti, mettendo di conseguenza in causa il principio di unicità dell’opera stessa. Andy Warhol è il più tipico degli artisti pop. Egli produce le sue opere in centinaia di esemplari, sconvolgendo i criteri di un mercato basato sul 19 Jim Dine, 2010 pezzo unico. Questa euforia esalta una simbologia popolare, elevando al rango di icone figure appartenenti alla cultura di massa, come Mickey Mouse, Marilyn Monroe o Mick Jagger, consacrando questi idoli e trasformandoli in miti imperituri. La tecnica di produzione delle opere ha sempre la priorità nel concetto artistico di Warhol: l’assenza di manualità e il trasferimento delle competenze all’utensile costituiscono la base già delle sue prime realizzazioni. Questo principio gli permette di aderire pienamente all’istante, al quotidiano, di illustrare i fatti più significativi che focalizzano l’interesse delle masse, sforzandosi sempre di rendere reale l’assioma secondo cui l’arte non è nient’altro che ciò che gli spettatori consumano. Il modello industriale di produzione in alte tirature è così trasposto nella sfera artistica. Andy Warhol, del resto, chiama il suo atelier “The Factory”, sottolineando il carattere industriale delle tecniche applicate alla fabbricazione delle sue opere, in perfetta consonanza con i modi di produzione di un’automobile, una motocicletta, un treno, una bottiglia di Coca-Cola… Questa analogia è tanto più semplice da stabilire per il fatto che l’artista utilizza apparecchiature con un alto potenziale di moltiplicazione. Le stampanti offset facilitano infatti la riproduzione dell’immagine in alte tirature. La serigrafia, la stampa tipografica permettono di offrire un prodotto artistico che gli appassionati d’arte, sempre più numerosi, si contendono. L’arte entra allora nella sfera del consumo, si banalizza. L’opera, a sua volta, diviene oggetto e trova significato nella propria capacità di idealizzare la società contemporanea, nella quale essa diventa simbolo e al tempo stesso moneta di scambio. “Art is business”: questa è la nuova dottrina che si applica alle opere d’arte e che gli Stati Uniti impongono al mondo. Più che da uno stile l’arte di Warhol discende da uno stato d’animo che consiste nel rendere conto della realtà della società moderna, mediatica, basata sul messaggio istantaneo che s’impone come riferimento assoluto. Nella massa delle informazioni costantemente trasmesse dai periodici, dalla pubblicità, dai media in generale, l’artista preleva un istante, una notizia, un oggetto che immortala in un’immagine modellata attraverso colori acidi e che egli impone in una variazione infinita di tonalità. In mostra sono presenti vari esempi della sua straordinaria richezza creativa: Velvet Underground, 1967, con la bottiglia di Coca-Cola; Bomb, 1967, unica scultura da lui realizzata; Jimmy Carter II, 1978, ritratto dell’ex presidente degli Stati Uniti; Shoes, 1980, emblematiche degli esordi dell’artista... L’impatto visivo provocato dall’isolamento del soggetto 20 American Dream al di fuori del proprio contesto fissa l’immagine in una realtà idealizzata a forte valore simbolico. Un fatto spettacolare (come la morte di Marilyn Monroe), un’immagine anodina ma ricorrente (come il barattolo di zuppa Campbell’s o il dollaro americano, oggetto quotidiano e mitico al tempo stesso) suscitano una moltiplicazione all’infinito. L’artista diventa manipolatore, spersonalizza il proprio soggetto, lo svuota di ogni contenuto emotivo; il senso stesso dell’oggetto si attenua a favore dell’immagine. Qual è il valore simbolico di ciò? Una messa in questione della società dei consumi, un’incarnazione mitologica di un quotidiano banale e crudelmente effimero. Scegliendo come tema la cultura del quotidiano, l’artista nega i valori dell’arte moderna, crea un linguaggio autoreferenziale, libero dai vincoli dell’“arte colta”, emancipato dai valori della tradizione. Gli elementi mutuati dai mass media servono da pretesto a un’identificazione completa tra la fonte d’ispirazione e il suo adattamento. L’immagine sussiste in un contesto del tutto nuovo. Essa non trasmette alcun messaggio, non assume alcun valore morale, ha senso solamente per la propria forza di rappresentazione, celebrazione di un fenomeno sociale che diviene modello attraverso l’impatto della ripetizione all’infinito. Soltanto gli Stati Uniti, nel desiderio di liberarsi dei propri complessi nei confronti della “vecchia Europa” e desiderosi d’imporre la loro supremazia, potevano produrre un simile “cataclisma”. Jim Dine si afferma in questo contesto. Tra il 1960 e il 1966 tiene cinque mostre personali a New York (nelle gallerie Reuben, Martha Jackson e Sidney Janis) e prende parte a numerose collettive, tra cui l’importante New Realists alla Sidney Janis Gallery nel 1962. Insieme a Jasper Johns, Claes Oldenburg e Robert Rauschenberg rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1964: l’arrivo della pop art rappresenta l’avvenimento di quell’edizione, che consacra Rauschenberg attribuendogli il Leone d’oro. Quella vittoria annuncia la nuova egemonia americana nel mondo dell’arte internazionale. Jim Dine partecipa quindi a questa euforia degli anni Sessanta in cui l’Europa e gli Stati Uniti si affrontano in una lotta di potere da cui la Francia, in particolare, invischiata nelle sue contraddizioni del dopoguerra, esce sconfitta da New York, che da allora diventa la roccaforte della cultura mondiale. Jim Dine era già noto come un pioniere di happening (The Smiling Workman, 1959, e Car Crash, 1960), realizzati insieme agli artisti Claes Ol- tare per un certo romanticismo. Di questi oggetti egli declina all’infinito il carattere singolare di cui accoglie l’aspetto simbolico che gli permette di esplorare la fragilità esistenziale. In mostra i due cuori di Blue Sun (2008) illustrano, appunto, il carattere romantico del lavoro dell’artista. denburg e Allan Kaprow, al musicista John Cage e a Robert Whitman. Tali performance si svolgono nell’ambito di installazioni e spesso implicano elementi luminosi e sonori, proiezioni di diapositive o video e anche la partecipazione degli spettatori. Gli happening di Oldenburg e Jim Dine, in particolare, passeranno alla storia. Il celebre Car Crash di Jim Dine era basato su disegni – tecnica cui l’artista è affezionato e che accompagna tutta la sua opera – oggi conservati al MoMA. In seguito Jim Dine afferma la sua creatività in sculture, disegni e dipinti, in una varietà di espressioni e di tecniche attraverso le quali esprime il suo tentativo costante di avvicinarsi ai messaggi essenziali e intimi della vita. La sua filosofia artistica supera il concetto pop, malgrado il fatto che una parte della sua produzione, specialmente le opere dei primi anni Sessanta, s’inscrivano nella corrente pop, illustrata da motivi ricorrenti (cuori, teschi…) o da simboli della vita di tutti i giorni (bottiglie, recipienti, attrezzi…) disposti in serie, e a volte l’artista inserisce persino oggetti reali nelle sue opere. Jim Dine raggiunge grande notorietà con i primi quadri-collage. Tuttavia molto rapidamente, a partire da metà degli anni Sessanta, la certezza della propria originalità lo spinge a esplorare percorsi particolari che lo portano a Londra, dove si stabilisce tra il 1967 e il 1971. Diventa quindi un pittore indipendente e si discosta dall’avanguardia, alla ricerca di una propria strada. Più che l’identità oggettiva e la natura intrinseca delle cose e degli oggetti, esprime il carattere familiare e sentimentale connesso al loro utilizzo quotidiano e alla loro presenza silenziosa. Più che il materialismo feroce proprio degli anni Sessanta, che esalta l’oggetto di consumo nella sua natura industriale e nella sua molteplicità, Jim Dine sembra op- Concludiamo il nostro “road movie” con Robert Indiana, che ci riporta ai viaggi, alla strada, all’America e ai suoi simboli legati all’automobile e al lungo avvicendarsi delle traversate senza fine. L’arte di Robert Indiana, infatti, nasce dai vagabondaggi della sua infanzia e giovinezza che lo pervasero dello spirito del viaggio, della strada e della sua vistosa segnaletica. Nato in Indiana nel 1928, l’artista conserverà vividi ricordi della sua primissima infanzia, che influenzeranno sempre il suo lavoro. Racconterà a Adrian Dannatt: “Mio padre, Earl Clark, lavorava alla Phillips 66; era addetto al monitoraggio di tutti i carri cisterna sui treni che attraversavano l’Oklahoma. Era un incarico amministrativo, non c’era da sporcarsi le mani. Vivevamo a Mooresville, dove stava anche Dillinger, e mio padre doveva fare il pendolare, con turni impossibili.” Il padre di Indiana lavorò a lungo nell’industria petrolifera del Midwest, inizialmente gestendo un distributore di benzina fuori Indianapolis. “Allora c’erano molte più stazioni di rifornimento di oggi. Quando ero ragazzo il paese era disseminato di stazioni di rifornimento, che avevano un loro stile…” Il padre lavorò poi per la Trimble Oil, azienda che crollò durante la Grande Depressione. Ma il suo impiego più duraturo fu alla Phillips, alle cui dipendenze rimase per circa dodici anni. Robert Indiana ha ricordi altrettanto chiari dell’auto di suo padre, una Ford Modello T che ancora guidava negli anni Trenta, una macchina appartenuta in origine al nonno paterno. Si tratta della famosa automobile che fece il successo della Ford all’inizio del secolo e che segnò l’avanzata spettacolare dell’avventura industriale americana. L’infanzia bohémienne di Robert è quindi cadenzata dai numerosi spostamenti nel cuore del Midwest. La strada, con le sue insegne e i suoi pannelli che sfilano, segna l’immaginario del piccolo Robert Clark, che più tardi diventerà Robert Indiana e che già scarabocchia sui suoi quaderni cartelli segnaletici dalle composizioni geometriche vivacemente colorate. Egli cresce con una forte consapevolezza della segnaletica stradale locale, dei numeri delle strade, e con una stretta identificazione di questi segni, simboli, numeri e schemi di colori con la propria vita familiare. Que- 21 Robert Indiana, American Dream 3, 1962 sta ispirazione rappresenta la base del lavoro dell’artista, profondamente ancorato nella mitologia della celebre Route 66 che attraversa gli Stati Uniti da est a ovest per circa quattromila chilometri; essa ha ispirato libri come On the Road di Jack Kerouac e più tardi avrà un ruolo fondamentale nel film Easy Rider di Dennis Hopper, libro e film cult di una gioventù americana che fa surriscaldare i pneumatici delle proprie auto e che trova in questa cultura eccentrica i riferimenti della propria rivolta contro il puritanesimo. La consapevolezza artistica del giovane si sveglia dunque in un contesto propizio alla rivelazione di uno stile in cui i simboli quotidiani della strada costituiscono la base di un’ispirazione vicina alla pop art. Egli saprà trasformarli in un’iconografia geometrica e brillantemente colorata che lo apparenta immediatamente a numerose correnti artistiche maggiori (hard edge, assemblage e pop art) creando un’opera particolarmente originale in cui elabora diverse tipologie di espressione, affrontando i temi dell’astrazione e del linguaggio comune, dei miti americani e della propria storia personale. Nel suo lavoro egli è un commentatore ironico ma rispettoso della scena americana. Tanto le sue opere grafiche quanto i suoi dipinti sono dei marcatori della vita culturale e, durante i ribelli anni Sessanta, sottolineano scelte e affermazioni politiche. Le cifre e le lettere costituiscono per Robert Indiana un serbatoio di forme e colori che egli declina secondo una geometria perfetta di parole e numeri (il numero 66 resta per lui un feticcio collegato ai suoi ricordi d’infanzia). Il dinamismo dei tracciati così come la vivacità dei colori caratterizzano la sua opera pop e spumeggiante. Molto sensibile all’ambiente che lo circonda, l’artista s’impregna della città ed esteriorizza tale ispirazione attraverso la sua arte, per esempio in The American Dream, in The Bridge (omaggio al ponte di Brooklyn), ma anche e soprattutto nelle opere ispirate a Vinalhaven, città situata su Fox Island nel Maine, dove si trasferisce nel 1969. Il Love che egli declina in diversi colori, dimensioni e materiali, e da alcuni anni Hope sono altrettanti modi di dichiarare il 22 American Dream proprio amore alla città e più ampiamente a ciò che lo circonda. Pittore agli esordi, in un primo tempo elabora il suo Love per mezzo della serigrafia, procedimento che gli permette di ottenere un disegno preciso e di giocare con la sovrapposizione dei colori. In seguito a una collaborazione con il Museum of Modern Art di New York per la creazione di biglietti di Natale siglati con il suo famoso Love, egli si cimenta nella scultura, non senza successo dal momento che le sue opere plastiche diventano il suo simbolo primario. Esposte nel cuore delle più grandi città, imponenti per le loro dimensioni e per i materiali, le sculture di Robert Indiana incarnano la pop art nella coscienza collettiva e il suo Love si vuole comunicativo, come per placare le parole di una società a volte infelice. Indiana è senza dubbio il rappresentante della pop art meno critico nei confronti della società. Lungi dall’impiegare il tono cinico adottato da vari artisti pop di cui Warhol è stato il leader, Indiana si vuole più “umanista” e moltiplica i suoi messaggi di amore e di pace ovunque nel mondo. Attualmente è un altro messaggio tinto della stessa consonanza, quella di un mondo positivo, che egli affigge instancabilmente: Hope. Questa speranza espressa da Robert Indiana, l’ultimo sopravvissuto dell’epopea americana degli anni Sessanta, segna una volontà accanita di prolungare il sogno: sogno di una società libera e ribelle nella quale il denaro e il successo sono stati elevati ad arte di vivere, e ad arte tout court. Il mondo ne è stato sconvolto per sempre. Tuttavia alcuni dubbi, da allora, hanno pervaso gli animi riguardo alla durevolezza di un modello che il tempo mette in discussione. “Non tutto ciò che brilla è oro”, dice il proverbio, e i lustrini degli anni pop hanno lasciato il posto a una società delle apparenze, delle finzioni, generate da un vortice mediatico avido e distruttore delle proprie stesse opere. Il gigante americano sembra ora a sua volta vacillare sulle proprie basi… L’esportazione del modello ha permesso a qualche imitatore di uguagliarlo, e oggi i neo-pop non saranno forse… cinesi? American Dream Dominique Stella A merica after the Second World War produced a social model that became established around the world in the years that followed. Between 1945 and 1960, the political, economic and cultural hegemony of the United States supplanted that of war-torn, weakened Europe. This period raised the notion of progress and technological development to the rank of dogma, one that could be applied as much to the economy and culture as to industry. In 1945 the American superpower rested foremost on crushing economic domination; of course this was somewhat illusory because it stood upon the ruins of Europe and Japan, so the situation could therefore only be temporary, but in absolute figures US economic power achieved unprecedented levels. Through the major works of Expressionist and Pop artists who animated the American scene during the 1960s, this exhibition is illustrative of the spirit of enthusiasm and freedom that asserted itself in the country at that time, when art, industry and economics were all part of a creative drive that drastically altered ways of life. Mechanization had long produced objects of desire that Pop Art transformed into modern icons, symbols – often multiplied – of a powerful and dominant civilization. In the same forceful thrust, the United States succeeded in exporting its model of society and imposing an art that was its principal support. In a parallel between the legendary Harley-Davidson and Indian motorcycles, and works by artists like Mark Tobey, Franz Kline, Andy Warhol, Jim Dine, Robert Rauschenberg, Sam Francis and Robert Indiana, Larry Rivers, the exhibition will demonstrate the subtle relationship that existed between industry and art during these years of total euphoria. The American myth The desire for conquest that coursed through the United States during the years of growth and collective prosperity had its source in the intense activities dedicated to economic development during the late 19th century and first half of the 20th century. Industrialization transformed the country during this period. Agriculture and manual production became mechanized and the service industry underwent early standardization. Occurrences of technological innovation and the use of machine tools were greater than anywhere else. One million telephones, invented by Alexander Bell, had been sold by 1900. The spirit of invention and the capacity to turn this invention into an innovative industrial model formed 23 Logo della Harley-Davidson Harley-Davidson genuine logo the basis of a society in full evolution. Unparalleled dynamism combined with the individual desire for personal enrichment and success drove the pioneers of industry to develop large-scale production systems. It is enough to mention the perseverance of Henry Ford, the founder of the famous Ford Motor Company in Detroit, to illustrate this – in his case it was the determination to impose an idea that would revolutionize production: the serial assembly of vehicles made for the public. In 1908 the first Model T left the Ford factory in Detroit, which had been founded just five years earlier. Construction of the engine was straightforward and made the car’s cost particularly attractive. In 1914 the company installed a new working method: the assembly line. With this innovation, the time to construct a Model T was reduced from 6 hours to 90 minutes! The factory’s productivity thus rose 400%. Workers became static and assembled pieces as the cars passed before them on the line: Fordism had been born. Between 1908 and 1927 more than 15 million Ford Model T’s were built. The American myth was constructed on the production of objects that wrought important changes in the daily life of the public at large. Mechanization utterly transformed certain areas of the house, such as the kitchen and the bathroom, introducing new practices that altered people’s perception of life. The development of electrical household goods, the car and other machines increased the speed at which tasks were executed enormously, establishing a new pace of life. For some, many of these coveted – and occasionally highly elegant and precise – objects have risen to join a contemporary mythological pantheon on a level with works of art. Motorcycles, cars and planes are the “sculptures” of modern times, ideals of perfection, objects of desire, magnificent in conception and construction. The first motorcycles were built at the same time as the first cars. The Indian brand was the first to become established. In 1899 Oscar Hedström, who was a regular track-racing cyclist, developed a motorized tandem to help train cyclists in which the propulsion unit was based on an engine made by the car manufacturer De Dion-Bouton. George Hendee, 24 American Dream a bicycle salesman, was impressed by the performance of this tandem and proposed to go into partnership with Hedström. Their teamwork led, in 1901, to their first motorcycle, which they called Indian, a revolutionary model for the period. Stories built up around bikes like these. The company developed new models and took part in racing competitions to demonstrate the supremacy of their brand, a common form of publicity in those days. In order to accept a challenge thrown down by Collier, the founder (with his brother) of the Matchless motorcycle company, Jake De Rosier, an Indian racing rider, demanded that the Indian company design a new model for him to beat his adversary on the famous racing track of Brooklands in England. This was the spur for the birth of the celebrated 8-valve, twin-cylinder, 994 cm3 motor, the first in history. For the record, this racing model was designed without an accelerator. In 1913, Indian was probably the most innovative constructor in America if not the world, however, despite its always outstanding technology, the marque only got through the economic crisis of 1929 with difficulty and came out of the Second World War in feeble shape. Industry does not give unlucky entrepreneurs a second chance and the Indian Motorcycle Company continued to decline and closed its doors in 1953. Indians, however, have maintained their mythical status and remain among the legendary objects of the early 20th century, a period when inventiveness encouraged innovative development, though any progress had to remain within the strict rules of competitiveness: the juggernaut represented by the economy does not permit any hold-up. The violence of the system is unforgiving and some businesses inevitably succumb despite their promise. The triumphant side of this “Devil takes the Hindmost” way of doing business is illustrated by the story of Harley-Davidson. The Harley marque, which was taken up by such iconic actors as Marlon Brando, is a symbol of the United States: along with Coca-Cola and Disney, Harley-Davidson is one of the ten best-known American brands in the Harley-Davidson, publicità del 1930 / publicity in 1930 world. Its history is part of the American myth and reached its apex in 1969 with the film Easy Rider, directed by Dennis Hopper. The film was included in the National Film Registry in 1998 for its major contribution to American cinema and culture. This road movie became an emblem of the hippie generation during the 1970s. It recounts the journey of two young bikers (Peter Fonda and Dennis Hopper) on Harley choppers heading east on Route 66 to visit the Mardi Gras in New Orleans. On the way they visit a hippie commune and discover their way of life. As they enter the south-eastern states of the USA, they encounter the racist and conservative attitudes of a population that refused to accept the liberal developments in society that had taken place in the 1960s. The film reinforces the counterculture image of the Harley marque, anchoring it in modern American mythology and associating it with personal freedom and provocation. This symbolism made it a cult object on a par with artworks produced by Pop artists. The bike ridden by Peter Fonda in the film was painted with the image of the Stars and Stripes, like Jasper Johns’ Three Flags. The history of the Harley-Davidson marque began in 1903, when the company was founded by two young Americans named William Harley and Arthur Davidson. Like many industrial success stories, the Harley legend began in a tiny garage, in Milwaukee. The pair, childhood friends, who were then about twenty years of age, formed a company to make a motorized bicycle, which they called the Silent Grey. The first year they only sold three, at 200 dollars each. The company became a family concern and, in 1907, Walter Davidson became the first president of the Harley-Davidson Motor Company. By that time it had a staff of 18. Within a year they started entering races and competitions and in 1908 Walter Davidson beat 62 competitors to win the New York Catskill Mountain trophy on his Silent Grey Fellow. This victory brought a flurry of sales and that same year the Chicago police force made an order, leading to an increase in production from 450 bikes a year to 1149 in 1909. The same year Harley produced its first twin-cylinder machine in 1909, which was the fastest motorcycle on the market at that time. The famous company logo of the “Bar and Shield” was devised in 1910, giving Harley a visual and cultural identity. In 1912 the company had more than 200 dealers in the United States and in 1913 it dominated the American market, producing 12,904 bikes. By the end of the Second World War, it had produced 90,000 bikes for the armed forces, and in 1946 it restarted the production of civil motorcycles and opened a new factory in Wauwatosa, Wisconsin. The film The Wild One came out in US cinemas in 1953. It illustrates generational conflict with youths showing their lack of respect for tradition. This violent movie and portrait of American society undergoing post-war change confirmed Harley-Davidson motorcycles as symbols of individuality and personal freedom, and heralded the great social upheavals that were to follow a decade later. The film was based on a real event that took place in Hollister, California, in 1947, when 4000 “outlaw” bikers descended on this small and quiet town. The Wild One tells the story of mounting tension and the outbreak of violence prompted by the boisterous behaviour of the leather-jacketed bikers, who represent a generation suffering profound discontentment. Two rival gangs confront one another: the Black Rebels led by Johnny (played by Marlon Brando) and the Beetles led by Chino (Lee Marvin). Chino, humorous but common, rides a Harley while Johnny has a gleaming Triumph. Defying the police, the gangs wreck the town with the police chief not daring to interfere until the arrival of the sheriff and deputies to restore order. The film caused a sensation in the United States and in Europe it was banned from public showing for years. It is illustrative of the myth that bikers and motorcycles represented in the minds of the young generation demanding freedom and independence. The Wild One drew worldwide attention to the biker movement that began in California and became part of the counter-culture, just like the nascent rock’n’roll and the literary movement of the Beat Generation. From that time the biker universe became a social fact that culminated in the post-war period in the protest movements in which Harley-riders occupied a leading role, and which resulted in the emergence of collec- 25 tive behavior and biking communities based on the marque of bike ridden. The cult of the object raised the motorcycle to the status of an absolute ideal characterized by technical, aesthetic and symbolic qualities that made it resemble a work of art. Damien Hirst created an artwork out of a Harley-Davidson Cross Bones for the “Project Angel Food”. Other mythical industrial products joined the pantheon of art history, demonstrating the capacity of art to absorb the sublimated realities of everyday life. Marcel Duchamp and ready-made The history of the 20th century teaches us that there is no longer any boundary between an object rendered banal by daily use and an idealized art object. That was the lesson taught us by Marcel Duchamp. In parallel to technological mutation that enables multiples to be made en masse, and in consequence induces the permanent alteration of social behaviors, the history of art too made use of the new possibilities for the production of multiples. In New York in 1915, Marcel Duchamp first propounded his idea of the ready-made, which consisted in choosing everyday objects, preferably manufactured industrially, and exhibiting them as artworks, an approach that opened the path for the most extreme avant-gardes. In 1917, he provocatively presented the Fountain, a porcelain urinal, at the Salon of the Society of Independent Artists. The original object was a simple urinal that Duchamp had bought from J.L. Mott Iron Works in New York. In black paint he added the inscription “R. Mutt 1917”, by which means he repudiated the painted image as had been handed down to us throughout history. For Duchamp it was a calculated overturning of tradition. Since 1915 he had envisaged the radical destruction of the conventions, trends and techniques that had been handed down since time immemorial. Influenced by the inventiveness that had coursed through the various sciences since the 18th century, Duchamp had thought that it was possible to discover in our feelings secrets comparable to those that laboratory discoveries had uncovered. He prepared to return the mind to its pristine state, to erase its values of expression, reasoning and realizations with the goal of attributing an image with a role that he had not exactly defined but which he wanted to be completely new. “Progress” became a source of creation, and painting an archaic process which he substituted with methodologies of innovative creation. The Large Glass (whose original name was The Bride 26 American Dream Stripped Bare by Her Bachelors, Even) is a perfect example of this attitude as it was a work of uncompleted “research”. Duchamp worked on it between 1915 and 1923 in New York; it is composed of two assembled glass plates (measuring 272 x 176 cm in total) and such materials as lead foil, fuse wire and dust… It was accidentally broken some years later, but repaired by Duchamp himself. It is not a painting but a progressive elaboration that includes the dimension of time. Duchamp considered it laughable to make use of new artistic languages if the artist continued to employ means that, at heart, remained traditional. This was the sense behind the principle of transposition that formed the logical basis of the creation of a universe under which form he intended to transcend tradition. In his relationship with the real world, Duchamp wished to achieve a total inversion, which he believed to be the only way to create a new way of considering the relationships between things and the operations of the mind. His intentions were to exercise considerable influence on art… Duchamp’s move to the United States was the first step in a change to the functioning of the world of art. Paris and France remained dominant between the two World Wars, where Picasso, among others, continued to work and become one of the glories of international art, but New York, which was already aware of the new stakes, had organized a riposte to the Paris Salon that went by the name of the Armory Show. The first show, held in 1913, was organized by a group of artists with the aim, though it welcomed a wide cross-section of the European avant-gardes, to affirm innovative American art free from provincialism. The Armory Show of 1913, officially known as International Exhibition of Modern Art, was the first large exhibition of such works in America. The exhibit challenged and changed both the academic and public definition and attitude toward art, and by doing so altered the course of history for American artists. Marking the end of one era and the beginning of another, the Armory Show shattered the provincial calm of American art. It rocked the public and blasted the academies of painting and sculpture. Four thousand guests visited the rooms on the opening night. For the first time, the American public, the press, and the art world in general were exposed to the changes wrought by the great innovators in European art, from Cézanne to Picasso. The exhibit led to profound changes in the art market in the United States and to the broad acceptance of modern works. With the Armory Show, Americans had the intention of entering the competition of international art, taking as their startingpoint the European avant-garde movements. Marcel Duchamp’s installation in New York led him to enter a period of reflection and creation. As we have seen with The Large Glass and Fountain, he began to produce major works but his interest in art rapidly dwindled and he moved away from it for a number of years. He returned to art through Surrealism by organizing numerous events with André Breton. The spirit that guided his prefabricated creations found a strong echo during the years of World War II, during which many Surrealists fled from Europe to the United States. Leading characteristics of this world undergoing reinvention were the redefinition of art, which incorporated provocation as one of its means of action, and irony and freedom, elements that had also been prominent in Dadaism. And it was using this approach that Marcel Duchamp won growing renown for himself leading to fame after the war. Replicas of the 1917 Fountain were produced in 1964 by the Edizioni Galleria Schwarz of Milan. During the 1950s, a new generation of American artists who described themselves as NeoDadaists, such as Jasper Johns and Robert Rauschenberg, recognized Duchamp as a precursor. Non-conformism as a badge of honor To return to Harley-Davidson and the film Easy Rider, similarities are apparent between the actions of the director, Dennis Hopper, and his experiences in the world of Pop Art during the 1960s. Also celebrated is the unbreakable association of a mechanical object elevated to the rank of an icon with notions of non-conformism, an indispensable aspect of the leading names in Pop culture during that period. A symbol of youth and the refutation of prejudice, Dennis Hopper was a representative of radical libertarian cinema. The nihilist and metaphysical Easy Rider, with its explosive sound track, was the sign of a completely new American social order, in which free expression was given to rocklovers and drug-takers, men who dream, women who do not hide their sexuality, and artists who recapture reality. It is a film in which Dennis Hopper, using unusual means of production, conveys the times of a period and the heroes of his particular era: Phil Spector (the most influential and inventive producer of Pop music), Wallace Berman (a plastician whose work was regularly exhibited at the famous Pop Art gallery in Los Angeles, the Ferus Gallery, which was where Andy Warhol’s first solo exhibition in California was held: Campbell’s Soup Cans in 1962), George Herms (an artist known for his assemblages of found objects) and of course the actors Peter Fonda and Jack Nicholson before they won themselves world fame. Dennis Hopper was responsible for this cultural mix. On his Harley in 1969, he was already known by film-lovers, who remembered him alongside the leather-jacketed James Dean in Rebel Without a Cause (Nicholas Ray, 1955); he was also known for having co-signed a ready-made with Marcel Duchamp in 1963, and for having played in Andy Warhol’s experimental film Tarzan and Jane Regained… Sort of (1964). Hopper was also a collector of Pop Art before anyone else in Los Angeles (Roy Lichtenstein and Jasper Johns) and was a supporter of figures who argued publicly for changes in society (such as Jane Fonda and Martin Luther King). He took hundreds of black-and-white photos of demonstrations and performances and had very stylized pictures of a new American mythology published in Vogue and Artforum… “I come from Abstract Expressionism and Jazz”, this actor-director-artist liked to say. Hopper was always a sensitive art lover and inspired collector, who attempted to correlate his activities with a network of acquaintances, from whom he chose his peers. His interests led him to go beyond the expectations of his public: from cinema to photography to painting, sculpture, performances and experimental films… His friends were members of the most rebellious and subversive pictorial movements of the moment. Expressionism between liberty and officiality Dennis Hopper perfectly embodies the post-war American generation whose casual, experimental and swaggering attitude found expression in the world of art, which opened itself up to all possibilities. Abstract Expressionism – represented in the exhibition by Franz Kline, Mark Tobey, Sam Francis, and, to a lesser extent, Larry Rivers, whose work fluctuates between abstraction and figuration – invented new techniques, mixing such varied influences as Surrealism (subconscious, automatic writing, dripping), the abstraction of Wassily Kandinsky and Arshile Gorky, and the teachings of Hans Hofmann. The notion of Abstract Expressionism was elaborated in 1948 in New York, at a club founded by Willem de Kooning, Franz Kline and a few 27 Jackson Pollock in studio others. It quickly attracted the attention of such luminaries as Ad Reinhardt and Jackson Pollock in a climate that was strongly hostile to formalism. During the boom-time post-war period for the United States, New York became the world capital of avant-garde and, more generally, modern art, with Abstract Expressionism at the centre of events. Art symbolized the cultural and economic world hegemony that the US was enjoying, the authenticity of which was confirmed early on by a questioning of art’s canons and stereotypes. Artists like Pollock, Rothko and Motherwell demanded the right to create without restrictions of any kind: Jackson Pollock claimed that contemporary artists did not have to go to a subject-matter outside themselves for inspiration. He invented dripping and painted his pictures placed on the floor. He said, “On the floor I feel more at ease. I feel nearer, more a part of the painting since this way I can walk around it, work from the four sides and literally be in the painting.” They contain no landscape or context: “I am nature!”, he tells us. His painting is orchestrated in pure rhythms like the improvized jazz that he listened to non-stop. Pollock’s large drip and splatter canvases offer the viewer an opportunity for internal reflection. The complex web of colors emphasizes the surface of the canvas and the painterly application of the medium. The eye is not seduced by one particular area or drawn out of the picture frame. There is little overt evidence of representation, of the world beyond the canvas. Dripping is a technique and technique became Action Painting. This art is however not without political intention even if the artist claims complete freedom and independence, as he was subjected to the need to create an “American scene”. Jackson Pollock’s works were promoted at a period when, arguably, it was politically expedient to show a new American avant-garde emerging. From this perspective, American dealers and collectors, in particular the Museum of Modern Art in New York, sought to “save” European art from the fascist threat, becoming the new guardians and instigators of the contemporary art scene. Thus, in 1948, when the Marshall Plan was devised, Clement Greenberg brought out his timely article, The Decline of Cubism, in which he claimed that the European avant-garde was redundant. In light of the above argument, therefore, when Jackson Pollock speaks of his “contemporary aims” and critics claim autonomy for art, it is helpful to try to make a connection between the stated aims of the individual artist and critic and the perceived wider aims of the society in which they are forced to participate 28 American Dream to the point that they became entities in their own right, disconnected from all reality except their own”. This change of direction was sudden and major. From that time, he painted only works of black and white grids that overlay and jostled one another in different rhythms, with the result that he created a manner and style that was uniquely his. His blackand-white paintings are anchored in the American art sensibility of the 1950s influenced by Japanese calligraphy, though he partly denied this: “The space, according to the Oriental conception, is infinite. It is not a painted space, whereas mine is. Calligraphy is writing and I don’t write. It is sometimes thought that I take a white canvas and that I paint a black sign on it but that’s not true. I paint both the white and the black, the white is just as important.” Kline’s relationship with gesture is equally ambiguous. In the same way as Jackson Pollock’s liberating gestural approach, Kline left much space in order to make a living. In this context and despite Pollock’s claims, his paintings became powerful symbols of an expansionist cultural policy. The fact remains that he created extraordinary pictures characterized by a high density of color dripped and squirted onto the canvas to form thick layers of paint. Although Rothko is also classified as an Abstract Expressionist artist, he refused the alienating definition of “Action Painter”. His art, based on large fields of color in monumentally sized works, was described by the American term “Colorfield Painting” and was founded on a spiritual and meditative inspiration that absorbs the observer into the painting. Monumentality was a necessary feature of Rothko’s pictorial expression. With Jackson Pollock, Willem de Kooning was a twin emblem of Action Painting. He too created his own technique, carving the paint with a spatula or blade and creating runs and spurts of color with his gestures. His finished canvases arouse a feeling of incompleteness in the observer that calls into action the individual’s imagination. Gradually, this ambivalent art drew admirers and became a form of Abstract Expressionism. One of the first representatives of this movement was Franz Kline. A figurative painter until 1949, he suddenly abandoned figuration. One day, as he was projecting onto a wall magnified images of sketches he had made of figures, he discovered with interest that his “brush design of a rocking chair, measuring ten by twelve centimetres, changed into gigantic black brushstrokes that made the whole image disappear, enlarged Sam Francis, Untitled, 1956 Gouache e acquarello su carta Gouache and watercolor on paper (particolare / detail) for improvisation, though he frequently worked from sketches and sometimes restarted the entire canvas from scratch. Although arbitrary, his application of the paint was always carefully considered. This exhibition shows a work on paper from 1950, typical of the early black-and-white grids that the artist took up almost like a trademark. In contrast with Kline, Sam Francis focused on color. His approach was close to that of Pollock. Like most painters during the 1950s and 1960s, he could be associated with several movements: Lyrical Abstractionism, Abstract Expressionism, Tachisme, Action Painting and Colorfield Painting, all of which can be traced in his work without any particular one being predominant. Marked by color, his pictorial language was defined through a creative energy seen in the taches that modulate the space and surface. He was the most European of the American artists. He spent twelve years in Paris, from 1948 to 1960, and absorbed the influence of Matisse in terms of color and pictorial atmosphere, which form the basis for the refinement of form and simplification of gesture. On canvases often of large format, Sam Francis borrowed and mixed different techniques: dripping and all over, and he was even described as a tachist in relation to the randomness of his creativeness: the forms are taches subjected to chance and arise spontaneously. Like Pollock, he developed his canvases using the ground as the revealer of the work, without passing through figuration. He thus tended to simplify the planes and created an important body of research into color, including the use of black, which is generally considered a “non-color”. He pushed decomposition of the figure to the limit by adopting a technique that dissolved form whilst retaining the essence of the object or figure (which might become a rectangle or orthogonal band). He pursued this process until he achieved the complete dissolution of all representation. In some of his canvases, this process led to the liquefaction of the matter, becoming vertical runs of paint that created a sort of tracery or spider’s web between forms-taches, or like a trellis, perhaps tightly linked or alternatively dissolved on the surface of the canvas to fuse the color with the often white ground. This is particularly the case with Untitled, 1956 (gouache on paper, 74,9 x 55,9 cm) that is presented in this exhibition. In this work the tracery of black and colored paint-runs is very evident, seeming like wires that connect the various taches. 29 Robert Rauschenberg, Ringer, 1974 (particolare / detail) On the edge of Expressionism: Mark Tobey Far from the influence of New York, as he is classified as an artist from the Pacific north-west, the unconventional Informal artist Mark Tobey was set completely apart in the panorama of 20th-century America. He began to paint in 1920 during a period in which art – in the United States – was still attached to figuration. The School of New York was to appear much later, at the start of the 1950s. Tobey seems therefore to have been a precursor still very much tied to European art though claiming an Oriental spirituality. His work reflects the meticulous and luminous work of an artist who freed himself from gesture in favor of a pictorial script in which the spirit dominates the sign in a tradition close to Japanese calligraphy. His canvases – spaces dense with flat tints and repetitive lines – are both simple and complex, intellectual and intuitive. Their prominent browns and greys, and the subtle touches of color are often suggestive of the natural world and, in particular, of nature seen close up. They are reminiscent of networks of cells seen through a microscope, a rocky surface furrowed by the elements, or the wrinkles on the bark of a tree. His painting offers a vision of great sensibility, and, matched by André Masson in France and even by his compatriot Jackson Pollock, his production focuses on the development of the sign, going beyond its interpretation. Mark Tobey’s exploration into visual expression transcends all graphical and aesthetic solutions to make reference to the philosophicalreligious issues with which the artist was concerned. Tobey’s world is subjective and his art is essentially tied to a mental attitude that presides over the construction of his painting, resulting in a form that expresses interior contemplation and life experience. The dominating element in his painting is the idea of uniqueness, which was derived from his belief that extols the union of all peoples and religions. And the journeys he made, notably in China and Japan, where he spent many months in a Zen monastery, gave his work a phrasing far removed from the Expressionist forms of an American art already denoted by the agitation extant in the art world. Meditation was the basic principle of his art, and this state of mind, which governed the gesture and action, is very distant from the media-attractive and agitated behavior his compatriots cultivated, which made spectacle into a principle of creation. The fundamental concept that governed the development of his work was his personal perception of space: “Multiple space, in which depth 30 American Dream is more perceptible than visual.” This provided the basis of his thinking and bore the fruits of the art that he was to develop after his 1934 stay in China and Japan. He was captivated by the art and crafts of the Oriental world. He studied the calligraphy and brush-painting practised in China, and his work was influenced by attention to detail and the mental concentration he learnt there. His painting took on a dynamism and a capacity for the transient yet expressive reconstruction of scenes of life, people or nature, whilst the speed of application of the brush increased, probably under the influence of the calligraphic art he had begun to study in the Far East. This realization led Tobey to become aware of a sensitive universe. He discovered the line he deploys in the space, excluding all reference to construction and rationality. The only elements of importance are the imaginary, the infinity of space, and the energy necessary to capture that space. Two works on display, Sumi VII, 1957, and Untitled, 1957, illustrate this art, inspired to Japanese calligraphy. In the East the union of the senses and the harmony of being govern the realization of the work. Emotion, thought and action have to be united to achieve a state of enlightenment (satori), allowing the individual to be blessed with Zen awareness. Tobey studied these practices and, though conversion did not enter into it, the influence of his stay in Japan on both himself and his art is clear. He emphasized this fact in an interview with Katherine Kuh: “When I resided at the Zen monastery I was given a sumi-ink painting of a large free brush circle to meditate upon. What was it? Day after day I would look at it. Was it selflessness? Was it the Universe – where I could lose my identity? Perhaps I didn’t see its aesthetic and miss the fine points of the brush which to a trained Oriental eye would reveal much about the character of the man who painted it. But after my visit I found I had new eyes and that which seemed of little importance became magnified in words, and considerations not based on my former vision. When I saw a great dragon painted in free brush style on a ceiling in a temple in Kyoto I thought of the same rhythmical power of Michelangelo – the rendering of the forms was different – the swirling clouds accompanying is majestic flight in the heavenly sphere was different but the same power of the spirit pervaded both… ‘Let nature take over in your work’, these words from my old friend Takïzaki were at first confusing but cleared to the idea – ‘Get out of the way’. We hear some artists speak today of the act of painting. This in its best sense could include the meaning of my old friend. But a State of Mind is the first preparation and from this the ac- tion proceeds. Peace of Mind is another ideal, perhaps the ideal state to be sought for in the painting and certainly preparatory to the act.” Tobey made reference here to the American Action Painters, in whose work he was unable to find any qualities required for the harmonious creation of an artwork. He set himself completely apart from what he considered a barbarous movement. The Expressionism of Tobey is marked by the romanticism found in European painting. Both artists found the diktat imposed on American post-war art impossible to accept. Their spontaneity and the dynamism of their production were denoted by immaterial, even spiritual references that the empiricism of official movements prohibited. It was unsurprising that he preferred to live in Europe, one choosing Basel as his last resting places. The precursors of Pop Art: Robert Rauschenberg and Larry Rivers Robert Rauschenberg took Duchamp’s principle of the ready-made as the starting-point for his work, a stand that sometimes brought him recognition as a “Neo-Dadaist”, a label he shared with Jasper Johns. He used to say that he liked to work “in the gap between art and life”. He investigated the difference between objects as they existed in art and in daily life, along the lines of Dadaist Marcel Duchamp with his work Fountain. At the start of the 1950s Rauschenberg began his career painting monochrome white, black or red paintings using paint mixed with mounted newspaper to create different textures. He already wanted to do away with the sacred principle in art of self-expression. These surfaces, and in particular the White Paintings, operated like mirrors, neutral surfaces ready to embrace and reflect the world. With reference to them, the artist commented: “Their creator is today.” The period of Combines came immediately afterwards, in and around 1953, and brought him international recognition. Rauschenberg: Combines was the first exhibition dedicated exclusively to this essential phase in the artist’s creation, the one that marked the start of his international influence, in which it made use of ordinary objects. “The objects I use are most of the time imprisoned in their ordinariness. I don’t look for rarity. In New York it’s impossible to walk down a street without seeing a tyre, a can, a cardboard box. All I do is take them and put them back in their proper world…” As the name suggests, the Combines are hybrid works that associate painting with collage and the assemblage of different kinds of objects taken from daily life. Neither painting nor sculpture, but both at the same time, his monumental Combines invade the observer’s space and take their stand in the form of visual puzzles. Stuffed birds, Coca-Cola bottles, newspapers, press photos, pieces of cloth, painted paper, even doors and windows, it seems that there is nothing that does not qualify to be associated with his paintings. A friend of John Cage, sound was also of interest to him and in his last Combines he developed analogies between music and the plastic arts. Also close to Merce Cunningham and the world of dance, some of his works became parts of theatrical set designs. From 1962 Rauschenberg’s paintings began to integrate not only found objects but images and photographs transferred to canvas via silk-screening. This process also allowed the artist to integrate reproducibility of the work and to explore new possibilities. He used large formats and the technique gave greater freedom of creation and allowed the subject-matter to burst out of the restraints inherent in the concept of a work of art. The technique of transferral of an image onto silk with the aid of solvent allowed Rauschenberg to develop his passion for photographic images. His works are like mirrors on which he inscribed – either by transfer, montage or collage – images relating to the history of the United States during the 1960s. Ringer (1974, 179 x 94,5 cm), seen in this exhibition, belongs to this period and employed this technique. What it proposes to the observer is a journey, a journey to which the artist aspired, resulting 31 Larry Rivers, The Last Civil War Veteran, 1961 in the fact that Rauschenberg was to take the entire world as a motif in his works. In his quest to create a total art, which included music and dance, as well as the dimension of time in his plastic works, he did not cease to question and transcend the barriers between the various arts. For Jasper Johns, Rauschenberg was the most inventive artist of the 20th century after Picasso, whereas for the art historian Leo Steinberg “what he invented above all was a pictorial surface that gave back its place to the world”. An iconoclast, Rauschenberg broke through the limits of art. In his words, “art has everything to do with life but it has nothing to do with art”, and “my ambition is not to continue to paint rotten oranges but to do good journalism”. “[What I do] is neither Art for Art, nor Art against Art. I am for Art, but for Art that has nothing to do with Art. Art has everything to do with life, but it has nothing to do with Art.” In this sense his work is contemporary with that of Andy Warhol. He glorified the society he was surrounded by, taking from it both his sources and materials, and endowed it with a cultural recognition as a hyper-productive consumer society. He showed his ability to face reality in most recent years, as well, as we can see in his work on display Salsa Verde Glut (Neapolitan), a lightly humoristic assemblage dating back to 1987. Both Rauschenberg and Johns are cited as important precursors of Pop Art. Between Expressionism and Pop Art, Larry Rivers was a major figure in the New York arts scene, a friend of dozens of artists, writers and musicians, from Leonard Bernstein and Jasper Johns to Kenneth Koch and Terry Southern. He acted in the Beat film Pull My Daisy with Allen Ginsberg and Gregory Corso. He was the irreverent proto-Pop painter and sculptor, jazz saxophonist, writer, poet, teacher and sometime actor and filmmaker, whose partly self-mocking bad-boy persona encapsulated the spirit of a restless era that shook up American art. Andy Warhol never made it a secret that he was influenced by Rivers art, but in perhaps a more revealing quote from the book Popism Warhol recognizes Rivers unique persona as an influential ingredient in the development of Pop Art. Warhol said, “Larry’s painting style was unique – it wasn’t Abstract Expressionism and it wasn’t Pop, it fell into the period in between. But his personality was very Pop.” It was Rivers’ Pop personality that motivated him to be out in front of his works, serving as part of the package, a delivery system to drive home his particular point of view. Critics have often accused Rivers of stealing the spotlight from his own work. But Rivers considered it more of 32 American Dream a way to authenticate his work, because his work could not be authenticated by any particular “ism”. It’s true, Rivers work wasn’t Pop and it wasn’t Abstract Expressionism, it was more of an ongoing dialog with art and ideas, an expansive bridge between two significant art movements. There’s a certain prophetic irony in the name Larry Rivers. He became famous for making a work about a river crossing, and then continued to cultivate a career as an influential transitional artist; a builder of bridges. He was born Yitzroch Loiza Grossberg, in the Bronx in 1923, Larry Rivers is a quintessential New Yorker, initially pursued a career as a jazz saxophonist, playing in New York City establishments until 1945 when he began painting. He attended New York University from 1948 to 1951, studying under William Baziotes. At this time Rivers met Willem de Kooning, Jackson Pollock and other Abstract Expressionists whose active style of painting would prove to be River’s first major influence. He also got inspiration from European painters like Courbet. In 1950 he left for eight months in Paris and found the large-scale history paintings in the Louvre an inspiration. The Burial (1951), a large oil canvas and his first to enter a public museum collection, drew on Gustave Courbet’s Burial at Ornans (1849), a grand treatment of a humble event. It also had as a source the funeral of Rivers’ grandmother. This fusion of personal and public history, of nostalgia and grandeur, appears in much of Rivers’ work. While River’s oeuvre can be considered abstract for the most part, as witnessed by his almost Cubist way of painting the body in the work on display Parts of the Body (French + Italian Vocabulary Lesson), of 1963-63. He also interspersed figurative works throughout his career. Many such works feature playing cards, French currency, family members and the artist himself. Few artists of the 20th century rival River’s versatility and desire to experiment, as evidenced by his ability to work in different genres and with a diverse range of media. In the early 1960s Rivers worked with Universal Limited Art Editions to produce a color lithograph titled Last Civil War Veteran, published in 1961, and in 1963 he joined Marlborough Gallery. His irreverent and often humorous handling of politics, history, and sex created much controversy and affirmed his position as innovator and artistic pioneer. By the 1960s, his reputation and notoriety at a peak, he was experimenting widely. The work could be vulgar or lofty. He made sculptures out of plaster casts and welded metal. His Lampman Loves It was a sculpture of a couple having intercourse. Rivers incorporated more and more everyday things, found objects and popular images into his art, famously using the Dutch Masters cigar box label, based on Rembrandt’s Syndics of the Drapers’ Guild, in a 1960’s series, but also complicating his work with stencils and other lettering devices. He collaborated with Jean Tinguely and Yves Klein in Europe. In his later decades he became more and more playful and experimental, leaving behind the style-conscious seriousness of the 1970s, ’80s and ’90s art scenes to express himself loudly, clearly and with much controversy in works like History of Matzo: the Story of the Jews, an epic series that combined the ethereal beauty of Chagall with the commonplace style of Lichtenstein or Warhol. Pop Art: the consecration of American society as a social and cultural ideal Pop Art called back into question in a substantial fashion the criteria that until that time had characterized a “work of art”. It offered a reflection on what made an art object and placed it in a sociological dialectics that robbed the painted image (or sculpture) of its aura, reducing it to the level of a communicating object (in the same fashion as publicity) or rendering it commonplace by turning it into a mass-produced consumer object. The movement came into being in England in the mid-1950s at the hands of Richard Hamilton and Eduardo Paolozzi but grew and developed mainly in New York during the following decade. Towards the end of the 1950s, artists like Robert Rauschenberg and Jasper Johns had reacted against the last kicks of Abstract Expressionism, finding inspiration in the anti-academic spirit of Dada and Duchamp. In the trail blazed by these two pioneers, artists like Claes Oldenburg, Jim Dine, Andy Warhol and Roy Lichtenstein turned resolutely towards the disparaged world of merchandize (hamburgers, boxes of detergent, cans of Coca-Cola, etc.) and new forms of popular culture, such as advertising, comic strips, cinema stars and politicians, enveloping them in an embrace that was both enthusiastic and critical. Despite these objects and images being promoted to the status of works of art, it was the perverse aspect of the fundamental elements of consumer society that the artists tackled, treating them with humor, irony and a sense of disquiet. The artists integrated into it the concept of hyper production as being a fundamental characteristic of the period, emphasizing the consequent freedom of choice, but also the alienation created by the need to consume: the explosion of advertising, magazines and industrialization had reduced man to the roles of a production machine and consumer. Art assimilated this revolutionary development, exacerbating the phenomenon in the transposition, and calling into question the hallowed nature of an artwork so as to present it as a simple consumer product: short-lived, disposable and cheap. The procedures used by the artists were more industrial than artistic: the use of acrylic paints and silkscreen printing allowed them to be reproduced quickly and in great number. Art entered the world of the consumer, and an artwork no longer had an aura of mystery about it due to its rarity but became an object of mass consumption. 33 Robert Indiana Andy Warhol was the most important of the Pop artists. The star of the movement, he reproduced his works in hundreds of copies, thus overturning the criteria of a market based on uniqueness. It celebrated popular symbols and raised figures from mass culture like Mickey Mouse, Marilyn Monroe and Mick Jagger to the rank of icons, consecrating these idols and transforming them into enduring myths. The manner in which Warhol fabricated his works had always been a priority in his artistic concept: even his earliest works were typified by the replacement of manual skills with the use of tools. This principle allowed him to work fully “in the moment”, to focus on the facts that were of greatest importance to the masses, and to strive to operate in accordance with the axiom by which art is nothing more than another form of public consumption. In doing so he transposed the industrial model of mass production to the art world. Andy Warhol even called his workshop “The Factory” to underline the industrial nature of the techniques he applied to the fabrication of his works, which were in complete parallel to the production of a car, a motorbike, a train or a bottle of Coca-Cola… The analogy is all the more forceful given that Warhol used machines capable of rapid multiplication, with offset printers that reproduced images such as silk-screens, prints and photocopies to create huge series of artistic products that the increasing number of art lovers fought over. This marked the change of art into an ordinary consumer product. An artwork became an object and found its meaning in its ability to idealize the society of which it was both a symbol and a currency of exchange. Art is business: that was the new doctrine imposed on the Western art market by the United States. Rather than embracing a style, Warhol’s art was shot through by a state of mind aimed at giving an instant-by-instant account of the reality of modern, mediatized society. Out of the mass of information publicized over and again by magazines, advertising, and the media in general, Warhol selected an instant, an item of news or an object that he immortalized in an image that he fashioned with a few acid colors and reproduced in an endless variety of nuances. Warhol’s extravagant creative copiousness is documented by several works on display: Velvet Underground, 1967, featuring a Coca-Cola bottle; Bomb, 1967, his unique sculpture; Jimmy Carter II, 1978, a portrait of the US former president; Shoes, 1980 emblematic of Warhol’s career beginnings... The visual impact created by isolating the subject from its context freezes the image in a strongly symbolic reality. A spectacular event (such as the suicide of Marilyn Mon- 34 American Dream roe), an anodyne but recurrent image (like the tin of Campbell’s soup) or the image of the American dollar bill, an everyday but also a mythical object, were all referenced and subjected to infinite multiplication. The artist became a manipulator: he depersonalized his subject and emptied it of all emotional context, diminishing the very meaning of the object in favor of its image. Symbolically, what value did the resulting image have? The questioning of the consumer society, the incarnation to mythological status of a banal and cruelly ephemeral daily existence. By taking everyday culture as a theme, Warhol repudiated the values in modern art and created a self-referential artistic language free of all the constraints and traditional values inherent in “cultivated art”. His borrowings from the mass media were a means for creating total identification between the source of inspiration and its adaptation. His images were made to exist in a completely new context and bore no message or moral value, having no meaning outside of their power of representation. They were nothing but a celebration of a social phenomenon and became a model through their incessant repetition. Only the United States could have produced such a cataclysm, due to its desire to free itself of the complexes it felt faced by the Old World and impose its supremacy. Andy Warhol, Bomb, 1967 (particolare / detail) Between 1960 and 1966, Dine had five solo exhibitions in New York (at the Reuben, Martha Jackson, and Sidney Janis Galleries) and participated in numerous group shows, including the important New Realists held at the Sidney Janis Gallery in 1962. With Jasper Johns, Claes Oldenburg and Robert Rauschenberg, he represented the United States at the Venice Biennial in 1964. The arrival of Pop Art instigated the surprise event of the show, which was the awarding of the Golden Lion to Rauschenberg. This victory marked the end of European supremacy of the international art world and heralded America’s hegemony. Jim Dine was involved in the euphoria of the 1960s when Europe (and more particularly France) and the USA fought for domination of art and the art market. Dine was already known as one of the pioneers of happenings (The Smiling Workman in 1959 and Car Crash in 1960) which he staged with artists Claes Oldenburg, Allan Kaprow and Robert Whitman and the musician John Cage. Happenings were performed inside installations and often included the use of lighting, sound, slide or video projections and the participation of the audience. The happenings staged by Claes Oldenburg and Jim Dine have remained engraved in their audiences’ memories. The starting point for Dine’s famous Car Crash was drawings – a technique he has always been very fond of – which are today in the MoMA. Jim Dine gave vent to his creativity in performances, sculptures, drawings and canvases, in which his constant research confirmed the importance of essential and intimate themes of life. His artistic philosophy transcended the Pop concept of art though early on, particularly in the early 1960s, he produced works that fell within the bounds of Pop Art, beginning with recurrent motifs like hearts and skulls, or symbols of everyday life such as bottles, containers, tools, etc. He mounted these in series, sometimes including real objects. He became known for his first painting-cum-collages, but very rapidly – from the middle of the 1960s – his confidence in his ability to produce original work encouraged him to explore new directions, ones that led him to live in London from 1967 to 1971. He turned away from the avant-garde to find his own path and became an independent painter. He was less interested in expressing the objective identity and intrinsic nature of things and objects than the subjective and sentimental values deriving from their everyday use and silent presence. Rather than the intense materialism of the 1960s, which exalted the industrial nature and multiplicity of consumer goods, Dine seems to have opted for a type of romanticism. He depicted endless variations of the unique character of these objects, whose symbolic value enabled him to capture the fragility of their existence. The two hearts in the work on display Blue Sun (2008) illustrate the romantic nature of the artist’s work. We end our own “road movie” with Robert Indiana, who takes us on a trip to America, its automobile-related symbols and the endless journeys through its heartland. Much of the art of Robert Indiana arose from the journeys he made during his childhood. These filled him with the spirit of travel, the road and its shiny traffic signs. Born in Indiana in 1928 the artist maintains strong, if not visceral, memories of his very earliest days that still influence his work. As he told Adrian Dannatt: “My father Earl Clark was an ‘inside tank car’ man for Phillips, tracking all the tank cars on trains across Oklahoma. It was just an office job, no greasy hands. We lived in Mooresville, where Dillinger had his home, and so my father had to commute to work for Phillips 66, his rounds were impossible.” Indiana’s father had a long connection with the Midwestern oil industry, originally running a filling station outside Indianapolis. “There were many more filling stations then than now. In my youth the country was dotted with filling stations, they had a certain style…” Indiana’s father went on to work for Trimble Oil, but the company collapsed in the Depression. The longest Indiana’s father worked was for Phillips, being employed by the company for some twelve years. Indiana has equally strong memories of his father’s car, a Ford Model T that he was still driving into the 1930s, a car that had originally belonged to his father’s own parents. This was the famous car that brought Ford 35 Love di Robert Indiana a New York Robert Indiana’s Love in New York success at the start of the century and was representative of the spectacular progress of American industry. Indiana’s unconventional childhood was set against a background of numerous moves around the Midwest. The road and its signs and panels made a strong impression on the imagination of the young Robert Clark – later to become Robert Indiana. Already he drew brightly colored and geometrically arranged road signs on his exercise books. He grew up with an equally strong awareness of the local road signage, the numbers of the routes and a close identification of those signs, symbols, digits and color schemes with his own early family life. This inspiration formed the basis of the artist’s work, which is deeply anchored in the mythology of the famous Route 66 that crosses the United States east-west for close on 4000 kilometres and which inspired books like Jack Kerouac’s On the Road and played a major role in Dennis Hopper’s film Easy Rider. Both are cult artworks among America’s youth, whose travel-based mentality found the references for its revolt against the dominant Puritanism in the non-conformist culture the book and film are based on. The artistic awareness of the young Indiana was awoken in a context that encouraged the revelation of a style in which the symbols alongside the roads and streets of the USA formed the basis of an inspiration not dissimilar to Pop Art. He succeeded in transforming them into a geometric and brightly colored iconography that found an immediate relationship with several of the major contemporary art currents (Hard Edge, assemblage and Pop Art). The result is a very original production that takes different forms of expression, dealing with abstraction, language, American myths and his personal history. Although an ironic commentator, Indiana is respectful of the American scene. Both his graphic works and paintings have been markers of cultural life and, during the 1960s, commented on political matters and choices. Letters and numbers provide him with a stock of forms and colors that he arranges to create geometrical constructions of words and numbers (the number 66 has remained a favorite, being tied to his childhood memories). His sparkling, Pop Art is also characterized by dynamic lines and bright colors. Very aware of his surroundings, Robert Indiana soaks up the city environment and externalizes it into his art, for example, The American Dream, and The Bridge, which is a tribute to the Brooklyn Bridge but also and primarily to Vinalhaven, a town on Fox Island, Maine, where he has lived since 1969. Works that provide him with a way to state his love for 36 American Dream this town and, more broadly, for the larger environment are Love, which is recreated in different colors, sizes and media, and Hope. Originally a painter, Love was first created as a silk-screen, a procedure that gave him an exact outline and allowed him to experiment with the arrangement of colors. Following his working relationship with the Museum of Modern Art in New York on the design of Christmas cards marked with his famous Love symbol, he tried his hand at sculpture, and not without success as his sculptures have become the symbol of his work. Exhibited in the centre of large cities, and impressive for their size and materials, in the minds of the public Indiana’s sculptures are the embodiment of Pop Art, with Love a communicative work, as though to soothe a sometimes discontented society. He is unquestionably the least critical representative of Pop Art towards society and far from using the cynical tone typical of the movement’s artists, of whom Warhol was the figurehead. Indiana is more humanist and sends out messages of love and peace across the world. Currently, he tirelessly transmits another message for a more positive world: Hope. The hope expressed by Robert Indiana – the last of the survivors of the epic of the American 1960s – is representative of a fervent wish to prolong the dream; the dream of a free and rebellious society in which money and success were established as part of the art of living, even as art in its pure form. It was an approach that changed the world. Nonetheless, since that time certain doubts have arisen, now that the model has been called into question. “All that glitters is not gold” goes the saying, and the bling of the Pop years gave way to a society based on image and appearance, and generated by a media whirlwind that was also destructive of its own works. The American giant seems to be wobbling. The exportation of the model has allowed copycat nations to rise to its level. Might the neo-Pop artists of the contemporary era be… Chinese? Harley-Davidson Two-cam JDH, 1928 (particolare / detail) Motociclette / Motorbikes Logo della Indian / Motorbike Indian logo Harley-Davidson Model J Anno / Year 1920 Unità prodotte / Production 4256 Cilindrata / Engine size 1000 cc Cavalli / HP 18 Giri / Revs 3500 Peso / Weight 178 kg Velocità / Speed 100 kh 40 American Dream 41 Harley-Davidson Two-cam JDH Anno / Year 1928 Unità prodotte / Production 100 Cilindrata / Engine size 1200 cc Cavalli / HP 26 Giri / Revs 5000 Peso / Weight 190 kg Velocità / Speed 160 kh 42 American Dream 43 Harley-Davidson Model B Anno / Year 1932 Unità prodotte / Production 535 Cilindrata / Engine size 350 cc Cavalli / HP 8 Giri / Revs 3500 Peso / Weight 215 kg Velocità / Speed 100 kh 44 American Dream 45 Harley-Davidson XA Anno / Year 1942 Unità prodotte / Production 1011 Cilindrata / Engine size 750 cc Cavalli / HP 22 Giri / Revs 4000 Peso / Weight 228 kg Velocità / Speed 115 kh 46 American Dream 47 Harley-Davidson FL Knucklehead Anno / Year 1946 Unità prodotte / Production 3986 Cilindrata / Engine size 1200 cc Cavalli / HP 30 Giri / Revs 4800 Peso / Weight 350 kg Velocità / Speed 150 kh 48 American Dream 49 Harley-Davidson FL Panhead Hydra Glide Anno / Year 1949 Unità prodotte / Production 8014 Cilindrata / Engine size 1200 cc Cavalli / HP 55 Giri / Revs 7200 Peso / Weight 268 kg Velocità / Speed 164 kh 50 American Dream 51 Harley-Davidson FL Panhead Duo Glide Anno / Year 1958 Unità prodotte / Production 195 Cilindrata / Engine size 1200 cc Cavalli / HP 55 Giri / Revs 7200 Peso / Weight 268 kg Velocità / Speed 164 kh 52 American Dream 53 Indian Power Plus Anno / Year 1917 Cilindrata / Engine size 1000 cc Cavalli / HP 13 Giri / Revs 4000 Peso / Weight 260 kg Velocità / Speed 100 kh 54 American Dream 55 Indian Dispatch Tow Anno / Year 1939 Cilindrata / Engine size 750 cc Cavalli / HP 18 Giri / Revs 4000 Peso / Weight 340 kg Velocità / Speed 90 kh 56 American Dream 57 Indian Chief Anno / Year 1939 Cilindrata / Engine size 1200 cc Cavalli / HP 33 Giri / Revs 4500 Peso / Weight 235 kg Velocità / Speed 140 kh 58 American Dream 59 Opere / Works Andy Warhol, Mao Electric Chair, 1978 (particolare / detail) Jim Dine Blue Sun, 2008 Acrilico su tela Acrylic on canvas 150 x 202 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions “Jim Dine”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 19.4-24.9.2011, pp. 70-71 ill. col. 62 American Dream 63 64 American Dream 65 Sam Francis Untitled, 1956 Gouache e acquarello su carta Gouache and watercolor on paper 74,9 x 55,9 cm Firmato sul retro in penna blu Signed on verso in blue pen: “Sam Francis” SF56-212 provenienza / provenance Gimpel Fils, London Private collection, East Coast, USA (1961) Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia (2010) esposizioni / exhibitions “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-1.10.2011 “Sam Francis”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 21.4-14.7.2012, p. 25, ill. col. Artwork: © Sam Francis Foundation, California/Artists Rights Society (ARS), New York 66 American Dream 67 68 American Dream 69 Sam Francis Untitled (Composition #6), 1959 Gouache e acquarello su carta Gouache and watercolor on paper 67,5 x 101 cm Firmato sul retro in penna a sfera Signed and inscribed on verso in ballpoint pen: “Sam Francis #6” SF59-257 provenienza / provenance Kasmin Gallery, London Collezione privata, San Francisco André Emmerich Gallery, New York Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Modern American Painting”, USIS Gallery, American Embassy, London, 26.5-10.6.1991 “Sam Francis. The Early Years 1955-1963”, André Emmerich Gallery, New York, 2.9-11.10.1986 “Selected Works II from the Gallery’s Collection”, André Emmerich Gallery, New York, 27.4-17.5.1989 “Sam Francis”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 21.4-14.7.2012, p. 29, ill. col. Artwork: © Sam Francis Foundation, California/Artists Rights Society (ARS), New York 70 American Dream 71 72 American Dream 73 Robert Indiana Love, 1966-1998 Alluminio policromo rosso e blu Alluminium and polychrome red and blue 45 x 45 x 23 cm provenienza / provenance Flora Bigai Art Gallery, Pietrasanta Collezione privata, Milano 74 American Dream 75 Franz Kline Untitled, 1950 Acrilico su carta Acrylic on paper 46 x 60 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions “Carlo Cardazzo, una nuova visione dell’arte” Peggy Guggenheim Collection, Venezia 2008 “Torino Sperimentale 1959-1969”, Sala Bolaffi, Torino 2010 “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-1.10.2011 76 American Dream 77 Franz Kline Untitled, 1955 Acrilico su carta Acrylic on paper 29,3 x 39,5 cm provenienza / provenance Collezione privata, Londra Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia 78 American Dream 79 Robert Rauschenberg Airport (Sheephead), 1974 Rilievo e intaglio con righello di legno Relief and intaglio on fabric 103 x 150,5 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 49, ill. col. 80 American Dream 81 82 American Dream 83 Robert Rauschenberg Airport (Switchboard), 1974 Rilievo e intaglio su tessuto con aggiunta a matita Relief and intaglio on fabric with IBM 102 x 104 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 47, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 84 American Dream 85 86 American Dream 87 Robert Rauschenberg Airport (Room Service), 1974 Rilievo e intaglio su tessuto con cravatta verde dell’artista Relief and intaglio on fabric with artist necktie 149 x 163 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 55 “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 88 American Dream 89 Robert Rauschenberg Airport (Room Service), 1974 Rilievo e intaglio su tessuto con cravatta dell’artista Relief and intaglio on fabric with artist necktie 149 x 167 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 53, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 90 American Dream 91 92 American Dream 93 Robert Rauschenberg Ringer, 1974 Transfer a solvente su collage di seta e lino su tela Solvent transfert on silk, chiffon and fabric collage 179 x 94,5 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 59, ill. col. “Opere grandi. Grandi opere”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 2.10.2010-26.2.2011, pp. 70-72 “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 94 American Dream 95 96 American Dream 97 Robert Rauschenberg Platter, 1974 Colore a rilievo e intaglio su tessuto con collage Color relief and intaglio on fabric with collage 137,5 x 87 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 51, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 98 American Dream 99 Robert Rauschenberg Switchboard II, 1974 Rilievo e intaglio su tessuto e collage su lino Relief and intaglio on fabric and collage on linen 96 x 113 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 57, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 100 American Dream 101 Robert Rauschenberg Send, 1975 Transfer a solvente su tessuto e tela Solvent transfer on fabric and canvas 222 x 107 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 61, ill. col. 102 American Dream 103 104 American Dream 105 Robert Rauschenberg Untitled, 1986 Transfert a solvente e olio su tela leggera montata su tavola Transfer to solvent and oil on canvas mounted on panel 27 x 24 cm Firma in basso a sinistra Signed below on the left provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia Collezione privata, Mantova esposizioni / exhibitions “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 77, ill. col. 106 American Dream 107 108 American Dream 109 Robert Rauschenberg Salsa Verde Glut (Neapolitan), 1987 Assemblaggio in ferro su pannello di legno Assembly of iron of wood panel 196 x 38 x 37 cm provenienza / provenance Galleria Lucio Amelio, Napoli Collezione Roberto Battaini Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Rauschenberg”, Galleria Lucio Amelio, Napoli, 24.4.1987 “Robert Rauschenberg”, Galleria Mucciaccia, Roma, 17.4-15.6.2008, p. 79, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 110 111 112 American Dream 113 Larry Rivers Clarissa Shoes, 1961 Olio e collage su tavola Oil and collage on panel 67 x 76 cm provenienza / provenance Larry Rivers, New York Marlborough-Gerson Gallery Inc., New York Kestner-Gesellschaft, Hannover Collezione privata, Brescia 114 American Dream 115 116 American Dream 117 Larry Rivers Parts of the Body (French + Italian Vocabulary Lesson), 1962-1963 Olio e collage su tavola Oil and collage on panel 131 x 110,5 cm provenienza / provenance Marlborough-Gerson Gallery Inc., New York Washington Square Galleries Inc., New York Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions University Art Museum of Texas, Austin, Texas 118 American Dream 119 120 American Dream 121 Mark Tobey Untitled, 1957 Inchiostro Sumi su carta Sumi ink on paper 84,5 x 64,5 cm provenienza / provenance Philippe Daverio Gallery, New York Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 124-125, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 122 American Dream 123 Mark Tobey Sumi VII, 1957 Inchiostro sumi su carta Sumi ink on paper 57 x 86,5 cm provenienza / provenance Willard Gallery, New York Philippe Daverio Gallery, New York Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Sumi Painting”, Willard Gallery, New York, 12.11-7.12.1957 “Mark Tobey”, Philippe Daverio Gallery, New York, 8.5-16.6.1990 “Mark Tobey. Paintings from the 1950s”, Philippe Daverio Gallery, New York, 25.9-26.10.1991, n. 9, ill. col. “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 122-123, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 124 American Dream 125 Mark Tobey Untitled, 1970 Tecnica mista su carta Mixed media on paper 113 x 66 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 220-221, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 126 American Dream 127 128 American Dream 129 Mark Tobey Untitled, 1970 Vetro soffiato colorato Blown glass colored 82 x 42 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 228-229, ill. col. 130 American Dream 131 Mark Tobey Untitled, 1970 Vetro soffiato colorato Blown glass colored 82 x 42 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 226-227, ill. col. 132 American Dream 133 Mark Tobey Untitled, 1970 Vetro soffiato colorato Blown glass colored 82 x 42 cm provenienza / provenance Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “Mark Tobey. Poeticamente astratto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 28.3-26.9.2009, pp. 226-227, ill. col. 134 American Dream 135 Andy Warhol Velvet Underground, 1967 Serigrafia su carta, pezzo unico Screenprint on paper, unique print 63 x 31,5 cm provenienza / provenance Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, pp. 144-145, ill. col. “Andy Warhol dalla realtà al mito”, MiArt, Milano, 4-7.4.2008, pp. 8-9, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 136 American Dream 137 138 American Dream 139 Andy Warhol Bomb, 1967 Scultura modello bomba US Air Force dipinta a spray, pezzo unico Spray paint on US Air Force practise bomb h 121,9 cm, ø 20,3 cm Bibliografia / Bibliography Andy Warhol. Giant Size, Phaidon, New York, 2006, p. 365, ill. col. esposizioni / exhibitions “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, ill. cover “Andy Warhol dalla realtà al mito”, MiArt, Milano, 4-7.4.2008, pp. 6-7, ill. col. “Opere grandi. Grandi opere”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 2.10.2010-26.2.2011, pp. 90-95, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 140 American Dream 141 Andy Warhol Jimmy Carter II, 1978 Serigrafia su carta, pezzo unico Screenprint on paper, unique print 102 x 76 cm provenienza / provenance Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia 142 American Dream 143 144 American Dream 145 Andy Warhol Mao Electric Chair, 1978 Serigrafia su carta, pezzo unico Screenprint on paper, unique print 44,3 x 57,7 cm provenienza / provenance Donald J. Christal, California Vrej Baghoomian Gallery, New York Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions “Andy Warhol. Unique Prints from the Estate of Rupert Jasen Smith”, Vrej Baghoomian Gallery, New York, 1991 “Andy Warhol. Unique Prints from the Estate of Rupert Jasen Smith”, Fred Dorfman Gallery, New York, 1991, p. 24 ill. col. “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, pp. 60-61, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 146 American Dream 147 148 American Dream 149 Andy Warhol Studio 54 Vip, 1978 Serigrafia su carta, pezzo unico Screenprint on paper, unique print 48 x 63 cm provenienza / provenance Thomas Ammann Fine Art AG, Zürich Collezione privata, Brescia esposizioni / exhibitions “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, pp. 60-61, ill. col. “Andy Warhol dalla realtà al mito”, MiArt, Milano, 4-7.4.2008, p. 25, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 “Andy Warhol. Marilyn, oh Marilyn”, Galleria Carta Bianca Fine arts, Catania, 3.12.2011-15.1.2012, p. 21, ill. col. 150 American Dream 151 Andy Warhol Shoes, 1980 Serigrafia e polvere di diamante su carta, pezzo unico Screenprint and diamond dust on paper, unique print 102 x 152 cm provenienza / provenance Collezione privata, New York Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, ill. col. “Andy Warhol dalla realtà al mito”, MiArt, Milano, 4-7.4.2008, p. 25, ill. col. “Opere grandi. Grandi opere”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 2.10.2010-26.2.2011, pp. 94-95, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 “Andy Warhol. Marilyn, oh Marilyn”, Galleria Carta Bianca Fine Arts, Catania, 3.12.2011-15.1.2012, p. 19, ill. col. 152 American Dream 153 154 American Dream 155 Andy Warhol Beuys Laundry Bag, 1980 Serigrafia su tela, pezzo unico Screenprint on canvas, unique print 117 x 214 cm provenienza / provenance Collezione privata, New York Collezione privata, Milano Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia esposizioni / exhibitions “The Bomb”, Vecchiato New Art Galleries, Padova, 13.10.2006-27.1.2007, ill. col. “Andy Warhol dalla realtà al mito”, MiArt, Milano, 4-7.4.2008, p. 27, ill. col. “Opere grandi. Grandi opere”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 2.10.2010-26.2.2011, pp. 98-99, ill. col. “Italia-America: il Novecento a confronto”, Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia, 24.9-4.10.2011 “Andy Warhol. Marilyn, oh Marilyn”, Galleria Carta Bianca Fine Arts, Catania, 3.12.2011-15.1.2012, p. 23, ill. col. 156 American Dream 157 158 American Dream 159 Note Biografiche Biographical Notes Jim Dine 1935 Nasce a Cincinnati, Ohio. 1953-1955 Studia all’Università di Cincinnati e alla Boston Museum School. 1957 Consegue la laurea in Belle Arti alla Ohio University di Athens. Sposa Nancy Minto. 1958 Si iscrive a corsi di specializzazione presso la Ohio University. Si trasferisce a New York. Insegna alla Rhodes School. 1959-1965 Partecipa a happening principalmente nelle gallerie Judson e Reuben di New York. 1960 Prima mostra personale alla Reuben Gallery, New York. 1961-1962 Mostra personale di “cravatte” e oggetti alla Martha Jackson Gallery, New York. 1962 Incontra Ileana Sonnabend e inizia una collaborazione di quattordici anni con la sua galleria. 1963 Comincia a dipingere “accappatoi”. 1964 Partecipa alla Biennale di Venezia. Prima mostra personale alla Sidney Janis Gallery, New York. 1965 Guest lecturer (docente ospite) presso la Yale University, New Haven. Artistin-residence all’Oberlin College, Ohio. L’Actor’s Workshop di San Francisco gli commissiona l’allestimento scenico e i costumi per A Midsummer Night’s Dream. Inizia a incorporare l’immagine del “cuore” nei suoi dipinti. 1966 Visiting critic presso il College of Architecture della Cornell University, Ithaca, New York. 1967 Si trasferisce a Londra. 1970 Retrospettiva al Whitney Museum of American Art, New York. 1971 Torna negli Stati Uniti e si stabilisce a Putney, nel Vermont. 1975 Visiting printmaker (incisore ospite) presso il Dartmouth College di Hanover, New Hampshire. Disegna gli interni del Biltmore Hotel di Los Angeles. 1976 Artist-in-residence al Williams College di Williamstown, Massachusetts, su invito di Thomas Krens. Inizia a collaborare con la Pace Gallery di New York. 1977 Prima mostra personale alla Pace Gallery, New York: Jim Dine. Paintings, Drawings, Etchings, 1976. 1977-1980 Fa parte del comitato di selezione del Solomon R. Guggenheim Museum. 1980 Viene eletto all’American Academy and Institute of Arts and Letters di New York. 1982 Esegue Lessons in Nuclear Peace, commissionato per la biblioteca del Louisiana Museum di Humlebaek, Danimarca. 1984 2 Big Black Hearts, commissionato per l’edificio di Pappas Companies a White Plains, New York. 1984-1985 Jim Dine. Five Themes, retrospettiva al Walker Art Center di Minneapolis. Visita Phoenix, Arizona; Saint Louis, Missouri; Akron, Ohio; Buffalo, New York; Washington. 1985 Si trasferisce dal Vermont a New York. Dipinge un grande murale per John Nuveen & Co. a Chicago. Howard Street Venus, commissionata per la Redevelopment Agency di San Francisco, viene installata a Convention Plaza. Partecipa a Sculpture Chicago International a Chicago. 1986 Disegna l’allestimento scenico e i costumi per la presentazione stagionale di Salomé di Richard Strauss presso il Grand Opera di Houston. 1987 Double Boston Venus, commissionata dall’architetto Graham Gund, viene installata al Bulfinch Triangle di Boston. 1988 Jim Dine. Paintings, Sculpture, Drawings, Prints, 1959-1987, Ca’ Pesaro, Venezia. Cincinnati Venus, commissionata da Tipton Associates, è installata a Centennial Plaza, Cincinnati. 1988-1990 Drawings Jim Dine, 1973-1987, Contemporary Arts Center, Cincinnati, Ohio. Visita Fort Lauderdale, Florida; Santa Barbara, California; Seattle, 162 American Dream 1935 Born in Cincinnati, Ohio. 1953-1955 Studies at the University of Cincinnati and the Boston Museum School. 1957 Receives BFA from Ohio University, Athens. Marries Nancy Minto. 1958 Enrolls in graduate study at Ohio University. Moves to New York City. Teaches at the Rhodes School. 1959-1965 Participates in happenings (performance pieces) primarily at the Judson and Reuben Galleries in New York. 1960 First solo exhibition at the Reuben Gallery, New York. 1961-1962 Solo exhibition of “ties” and objects at Martha Jackson Gallery, New York. 1962 Meets Ileana Sonnabend and begins fourteen-year association with the Sonnabend Gallery. 1963 Begins to make “bathrobe” paintings. 1964 Participates in the Venice Biennial. First solo exhibition at the Sidney Janis Gallery, New York. 1965 Guest lecturer, Yale University, New Haven. Artist-in-residence, Oberlin College, Ohio. Receives commission for set and costume design for A Midsummer Night’s Dream from Actor’s Workshop, San Francisco. Begins to incorporate “heart” image in his paintings. 1966 Visiting critic, College of Architecture, Cornell University, Ithaca, New York. 1967 Moves to London. 1970 Retrospective at the Whitney Museum, New York. 1971 Returns to the United States and settles in Putney, Vermont. 1975 Visiting printmaker, Dartmouth College, Hanover, New Hampshire. Designs interior of Los Angeles Biltmore Hotel. 1976 Artist-in-residence at Williams College, Williamstown, Massachusetts at the invitation of Thomas Krens. Begins association with the Pace Gallery, New York. 1977 First one-man show at the Pace Gallery, New York; Jim Dine. Paintings, Drawings, Etchings, 1976. 1977-1980 Serves on Solomon R. Guggenheim Museum selection committee. 1980 Elected to American Academy and Institute of Arts and Letters, New York. 1982 Lessons in Nuclear Peace commissioned for library at Louisiana Museum, Humlebaek, Denmark. 1984 2 Big Black Hearts commissioned for Pappas Companies’ building in White Plains, New York. 1984-1985 Jim Dine. Five Themes retrospective at the Walker Art Center, Minneapolis. Travels to Phoenix, Arizona; St. Louis, Missouri; Akron, Ohio; Buffalo, New York; and Washington. 1985 Moves from Vermont to New York. Paints large mural for John Nuveen & Co. in Chicago. Howard Street Venus commissioned by the Redevelopment Agency of San Francisco, installed at Convention Plaza. Participates in Sculpture Chicago International, Chicago. 1986 Designs sets and costumes for Houston Grand Opera’s 1986-1987 season presentation of Richard Strauss’s Salome. 1987 Double Boston Venus commissioned by architect Graham Gund, installed at Bulfinch Triangle in Boston. 1988 Jim Dine. Paintings, Sculpture, Drawings, Prints, 1959-1987, at Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, Venice. Cincinnati Venus commissioned by Tipton Associates, installed at Centennial Plaza, Cincinnati. 1988-1990 Drawings Jim Dine, 1973-1987 at the Contemporary Arts Center, Cincinnati, Ohio. Travels to Fort Lauderdale, Florida; Santa Barbara, California; Washington; Fort Worth, Texas; Minneapolis, Minnesota; Chicago, Illinois; Omaha, Nebraska; San Francisco, California. 1989 Looking Toward the Avenue, scultura in tre parti commissionata da Tishman Speyer Trammell Crow Limited Partnership, vine installata davanti al 1301 di Avenue of the Americas, New York. East End Venus gli è commissionata da Rosehaugh Stanhope Developments PLC per Broadgate, Londra. Completa il dipinto At the Wedding commissionato dal Seibu Department Store di Tokyo. 1990 Mostra itinerante di disegni intitolata In der Glyptotek, presentata dalla Staatliche Antikensammlungen Glyptotek di Monaco. 1990-1991 Retrospettiva all’Isetan Museum of Art di Tokyo e al Museum of Art di Osaka. 1992 Jim Dine Childhood Stories, un film di 30 minuti sugli anni di formazione dell’artista, è prodotto da Outside in July, Inc. Riceve il Pyramid Atlantic Award of Distinction a Washington. 1993 Black Venus è esposta nell’ambito di Copier/créer de Turner à Picasso. 300 œuvres inspirées par les maîtres du Louvre al Museo del Louvre di Parigi. Insegna all’Internationale Sommerakademie für Bildende Kunst di Salisburgo. 1993-1994 Jim Dine. Drawing from the Glyptothek, Madison Art Center, Wisconsin. Si reca a Salisburgo, Cincinnati, Honolulu, Montreal e Miami. Jim Dine. Paintings, Drawings and Sculpture 1973-1993, Konstmuseum di Borås, Svezia. Si reca a Budapest e a Nizza. 1994 Jim Dine. Flowers and Plants, con un saggio di Marco Livingstone, è pubblicato da Harry N. Abrams, Inc., New York. 1995 Jim Dine. A Self Portrait on the Walls, un film di 30 minuti che documenta l’esposizione di disegni murali dell’artista al Kunstverein di Ludwigsburg, è prodotto da Outside in July, Inc. 1996 Il 18 novembre riceve il riconoscimento dell’associazione Friends of the Bezalel Museum. 1997 Il 24 maggio il California College of Arts and Crafts gli conferisce la laurea ad honorem. 1998 È eletto all’Akademie der Künste di Berlino. 2000 È invitato dal sindaco di Siena a disegnare il vessillo per il Palio. 2003 Insignito del titolo di Commendatore dell’ordine delle arti e delle lettere il 25 giugno, è premiato per contributi artistici o letterari in Francia e nel mondo. 2004 The Drawings of Jim Dine, grande retrospettiva organizzata dalla National Gallery of Art di Washington. Viaggi: Hasselblad Center at Göteborg Museum of Art, Göteborg; Die Photographische Sammlung / SK Stiftung Kultur, Coloni; Davidson Art Center & Ezra and Cecile Zilkha Gallery, Wesleyan University, Middletown, Connecticut. 2005 Riceve l’Annual Medal Award dalla Museum School of Art di Boston. 2007 In estate partecipa alla mostra d’arte pubblica di Chicago Cool Globes: Hot Ideas for a Cooler Planet. Espone regolarmente con la Alan Cristea Gallery di Londra. 2008 Il 16 maggio inaugura una statua in bronzo di nove metri d’altezza raffigurante un Pinocchio che cammina, intitolata Walking to Borås, nella città di Borås, Svezia. In precedenza aveva realizzato un libro con dipinti e sculture sul tema di Pinocchio. 2009 Espone Large Parrot Screams Color, 2007, al Jardin des Tuileries a Parigi. 2011 Lavora sul soggetto di Pinocchio, con stampe e un libro edito dall’Atelier Michael Woolworth di Parigi. Poemi-performance di Jim Dine, in gennaio, per la pubblicazione del libro. Mostra personale alla Galleria Agnellini Arte Moderna di Brescia. Seattle, Washington; Fort Worth, Texas; Minneapolis, Minnesota; Chicago, Illinois; Omaha, Nebraska; and San Francisco, California. 1989 Looking Toward the Avenue, a three-part sculpture commissioned by Tishman Speyer Trammell Crow Limited Partnership, installed outside 1301 Avenue of the Americas in New York. East End Venus commissioned by Rosehaugh Stanhope Developments PLC for Broadgate, London. Completes painting commission At the Wedding for Seibu Department Store in Tokyo. 1990 Travelling exhibition of drawings entitled In der Glyptotek, presented by the Staatliche Antikensammlungen und Glyptotek, Munich. 1990-1991 Retrospective exhibition at the Isetan Museum of Art, Tokyo and the Museum of Art, Osaka. 1992 Jim Dine Childhood Stories, a 30-minute film about the artist’s formative years, is produced by Outside in July, Inc. Receives the Pyramid Atlantic Award of Distinction in Washington. 1993 Black Venus is exhibited in Copier/créer de Turner à Picasso. 300 œuvres inspirées par les maîtres du Louvre at the Musée du Louvre, Paris. Teaches at the Internationale Sommerakademie für Bildende Kunst, Salzburg. 1993-1994 Jim Dine. Drawing from the Glyptothek organized by the Madison Art Center, Wisconsin. Travels to Salzburg, Cincinnati, Honolulu, Montreal, and Miami. Jim Dine. Paintings, Drawings and Sculpture 1973-1993 is exhibited at Konstmuseum, Borås, Sweden. Travels to Budapest and Nice. 1994 Jim Dine. Flowers and Plants, with an essay by Marco Livingstone, is published by Harry N. Abrams, Inc., New York. 1995 Jim Dine. A Self Portrait on the Walls, a 30-minute film documenting the artist’s exhibition of temporary wall drawings at the Kunstverein Ludwigsburg, Germany, is produced by Outside in July, Inc. 1996 Honored by Friends of the Bezalel Museum on November 18. 1997 Awarded honorary doctorate from California College of Arts and Crafts on May 24. 1998 Elected to the Akademie der Künste, Berlin. 2000 Invited by the Mayor of Siena, to design the banner for the Palio. 2003 Named Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres (Commander, Order of Arts and Letters) on June 25. Awarded for artistic or literary contributions in France and around the world. 2004 The Drawings of Jim Dine, a major retrospective organized by the National Gallery of Art, Washington. Travels: Hasselblad Center at Museum of Art, Göteborg; Die Photographische Sammlung / SK Stiftung Kultur, Cologne; Davidson Art Center & Ezra and Cecile Zilkha Gallery, Wesleyan University, Middletown, Connecticut. 2005 Recipient of the School of the Museum of Fine Arts, Boston, 10th Annual Medal Award. 2007 In summer he participates in the Chicago public art exhibition Cool Globes. Hot Ideas for a Cooler Planet. He exhibits regularly with the Alan Cristea Gallery in London. 2008 On May 16, Jim Dine inaugurates a nine-meter high bronze statue depicting a walking Pinocchio, named Walking to Borås. The statue is placed in the city of Borås, Sweden. Dine Previously worked on a commercial book, paintings, and sculptures that focused on Pinocchio. 2009 Exhibits Large Parrot Screams Color, 2007, in the Jardin des Tuileries in Paris. 2011 Works on Pinocchio, prints and book published by Atelier Michael Woolworth in Paris. Poems performance, by Jim Dine, in January, for the issue of the book. Solo exhibition at Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. 163 Sam Francis 1923 Nasce a San Mateo, in California. Dopo aver inizialmente studiato psicologia e medicina, in seguito studia pittura con Clyfford Still, prima di recarsi a Parigi, dove rimane dal 1948 al 1950 frequentando l’Académie Léger. Nel 1952 tiene la sua prima mostra personale a Parigi e incontra esponenti dell’informale francese. Accettato come esponente della giovane avanguardia europea, presenta il suo lavoro in diverse esposizioni a Parigi, Londra e Berna. La partecipazione a Twelve Americans, mostra allestita al Museum of Modern Art di New York nel 1956, lo fa notare anche in America. Durante questo periodo la sua produzione passa da composizioni con campiture pittoriche monocrome a “isole di colori” brillanti su tele bianche. La sua modalità grafica di stendere la pennellata e il carattere lirico del suo colore fluido avvicinano Francis all’arte dell’Estremo Oriente, che egli studia intensamente. Nel 1957 viaggia in India, Thailandia e Giappone, esponendo a Tokyo e Osaka. Dopo irrequieti spostamenti tra Parigi, la sua città natale e altre grandi città, Francis torna in California nel 1962, stabilendosi dapprima a Santa Barbara e prendendo poi uno studio a Venice, Santa Monica, nel 1963. Nel corso degli anni Sessanta sviluppa un proprio stile ben riconoscibile di dripping spontaneo e gestuale. Lavora stendendo colori a olio, acrilici e acquarelli sulla tela e sulla carta con movimenti circolari e creando effetti di spruzzo. Nelle sue “grid pictures” degli anni Settanta la superficie pittorica è coperta con strutture rettangolari. Francis non è solo un illustre esponente dell’action painting; egli esplora le più varie tecniche artistiche, come la litografia, l’acquaforte e il monotipo, e la sua passione per la grafica d’arte lo spinge nei primi anni Ottanta a condurre interessanti esperimenti in questo campo. Caratteristiche di questa fase sono composizioni espressive suddivise in più parti, talvolta con colature di vernice. Negli ultimi anni Sam Francis si impegna anche in committenze per dipinti murali di grandi dimensioni. 1946-1958 Sam Francis dipinge e studia a San Francisco, in California, dopo che un incidente aereo e problemi di salute lo costringono per anni in ospedale. Si diploma nel 1949 e nel 1950 riceve il bachelor’s degree alla University of California di Berkeley. Tra il 1950 e il 1958 vive e lavora principalmente a Parigi, compiendo viaggi in Messico, in Giappone, in vari paesi d’Europa e negli Stati Uniti. 1952 Prima mostra personale alla Galerie Nina Dausset di Parigi. 1955 Mostra personale alla Galerie Rive Droite di Parigi. 1956 Partecipa alla mostra Twelve Americans al Museum of Modern Art di New York. Mostre personali: Galerie Rive Droite, Parigi; Zoe Dusanne Gallery, Seattle; Martha Jackson Gallery, New York; Galerie Ad Libitum, Anversa. Il “Time Magazine” descrive Francis come “il miglior pittore americano nella Parigi di oggi”. 1957 Viaggia in Giappone e dipinge un murale per la Sogetsu School di Tokyo. Mostre personali alla Zoe Dusanne Gallery di Seattle e da Gimpel Fils a Londra. 1959 Affitta uno studio a New York e intraprende la realizzazione di un murale per la Chase Manhattan Bank di Pasadena, California. Mostra personale al Pasadena Art Museum, trasferita poi al San Francisco Museum of Art e al Seattle Art Museum. Sposa la pittrice Teruko Yokoi; nasce la loro figlia, Kayo. 1960-1966 Vive e lavora a Berna, in Svizzera, durante un altro periodo di cure in ospedale. Divorzia da Teruko Yokoi. Mostre personali alla Kunsthalle di Berna, al Moderna Museet di Stoccolma, alla Minami Gallery di Tokyo, da Kornfeld and Klipstein a Berna, alla Galerie Benador di Zurigo, alla Esther Bear Gallery di Santa Barbara, California. Partecipa a Documenta 3 a Kassel, esponendo i pannelli murali di Basilea. Nel 1962, dimesso dall’ospedale, torna in California, soggiornando dapprima 164 American Dream 1923 Born in San Mateo, California. Originally studies psychology and medicine, then turning to art, he studies painting under Clyfford Still, before going to Paris, where he stays from 1948 until 1950, attending the Académie Léger. In 1952 he has his first one-man-show in Paris and meets exponents of French Informel. Accepted as a member of the young European avant-garde, he shows his work at exhibitions in Paris, London and Bern. The participation in Twelve Americans, an exhibition mounted in New York by the Museum of Modern Art in 1956, makes Francis well-known in America too. During this period his style changes from compositions with the picture surface covered in monochrome values to brightly colored “islands of color” on white canvases. His calligraphic handling of brushwork and the lyrical character of his fluid color now links Francis with Far Eastern art, which he studies intensively. In 1957 he travels around the world, visiting India, Thailand and Japan. His work is shown at exhibitions in Tokyo and Osaka. After moving restlessly between Paris, his home, and other great cities, Francis returns to California in 1962, settling at first in Santa Barbara and then establishing a studio in Venice, Santa Monica in 1963. During the 1960s Francis develops his own distinctive style of Spontaneous and Gestural Dripping. He guides oils, acrylic and watercolors across his canvases with circling and spraying movements. In his 1970s “grid pictures” the surface is covered with rectangular structures. Francis is not only a distinguished exponent of Action Painting. He also explores media such as lithography, etching and monotype. His preoccupation with printmaking leads to the production of attractive experimental work in the early 1980s. Forcefully expressive compositions in several parts, some of them with running paint, are the hallmark of these years. In his final phase, Francis executes commissions for large-scale murals. 1946-1958 Paints and studies in San Francisco area, California after plane crash and illness hospitalize him for years. Receives BA degree in 1949 and MA degree in 1950 from University of California, Berkeley. Between 1950 and 1958 he lives and works primarily in Paris, with travels to Mexico, Japan, Europe, and USA. 1952 First solo exhibition at Galerie Nina Dausset, Paris. 1955 Solo exhibition at Galerie Rive Droite, Paris. 1956 Included in Twelve Americans show at the Museum of Modern Art, New York City. Solo exhibitions: Galerie Rive Droite, Paris; Zoe Dusanne Gallery, Seattle; Martha Jackson Gallery, New York; Galerie Ad Libitum, Antwerpen. “Time Magazine” describes Francis as “the hottest American painter in Paris these days”. 1957 Travels to Japan and paints a mural for the Sogetsu School, Tokyo. Solo exhibitions at Zoe Dusanne Gallery, Seattle, Washington, and Gimpel Fils, London. 1959 Rents additional studio in New York City and begins work on Chase Manhattan Bank mural, Pasadena, California. Solo exhibition at Pasadena Art Museum, travelling to San Francisco Museum of Art and Seattle Art Museum. Marries the painter Teruko Yokoi; birth of their daughter, Kayo. 1960-1966 Lives and works in Bern, Switzerland, during another period of hospitalization. Divorces Teruko Yokoi. Solo exhibitions at Kunsthalle Bern, travelling to Moderna Museet, Stockholm; Minami Gallery, Tokyo; Kornfeld and Klipstein, Bern; Galerie Benador, Zurich; Esther Bear Gallery, Santa Barbara, California. Group exhibition at Documenta 3, Kassel (Basel mural panels are shown). In 1962, after release from hospital, moves back to California, first staying in Santa Barbara and then Santa Monica. Purchases property and designs Foto/Ph. Maibao D.Nee a Santa Barbara e poi a Santa Monica. Acquista una proprietà e vi progetta un nuovo studio in 345 West Channel Road a Santa Monica, che diventa la sua dimora permanente. Mantiene anche lo studio di Parigi, finché non viene demolito nel 1983. Nel 1966 crea la performance Sky Painting nella baia di Tokyo. Sposa Mako Idemitsu e nasce il loro figlio Osamu. 1967 Mostre personali alla Pierre Matisse Gallery di New York, al Museum of Fine Arts di Houston, Texas, poi trasferita allo University Art Museum di Berkeley, California. Crea un’altra performance, Snow Painting, a Naibara, in Giappone. 1968 Riceve una laurea ad honorem dalla University of California di Berkeley. Mostre personali: Centre National d’Art Contemporain, Parigi; Kunsthalle, Basilea; Minami Gallery, Tokyo. 1969-1972 Nel 1969 nasce il terzo figlio di Francis, Shingo. Crea tele murali per la Nationalgalerie di Berlino. Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; Martha Jackson Gallery, New York; Felix Landau Gallery, Los Angeles. Crea The Litho Shop, Inc. per stampare e distribuire le proprie opere grafiche a tiratura limitata. 1972-1973 Mostre personali: Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, trasferita poi alla Corcoran Gallery, Washington; Whitney Museum of American Art, New York; Museum of Fine Arts, Dallas; Oakland Museum of Art, Oakland; University Museum of Art, Stanford. 1973-1974 Vive e lavora soprattutto a Tokyo. Mostre personali: Idemitsu Art Museum, Tokyo; Minami Gallery, Tokyo. 1975-1977 Mostre personali: Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Galerie Jean Fournier, Parigi; Andre Emmerich Gallery, New York; Richard Gray Gallery, Chicago; Kornfeld and Klipstein, Berna; Smith Andersen Gallery, Palo Alto, California. Inizia una serie di collaborazioni a monotipi con Garner Tullis. 1977-1978 Mostre personali: Louisiana Museum of Art, Humlebaek, Danimarca, trasferita poi al Centre Pompidou, Parigi, Liljevalchs Konsthall, Stoccolma, e Israel Museum, Gerusalemme. 1978 Mostre personali: Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Otis Art Institute, Los Angeles. 1979 Mostra personale all’Institute of Contemporary Art di Boston, itinerante poi a Taiwan, Hong Kong, Filippine, Corea e Giappone a cura dell’US International Communication Agency. Altre mostre personali: Galerie Jean Fournier, Parigi; Andre Emmerich Gallery, New York; Brooke Alexander Gallery, New York. 1980 Mostre personali: Abbazia di Senanque, Gordes, Francia; Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; Riko Mizuno Gallery, Los Angeles; James Corcoran Gallery, Los Angeles; Smith Andersen Gallery, Palo Alto. Divorzia da Teruko Idemitsu. È eletto nel Board of Trustees del Museum of Contemporary Art di Los Angeles. 1981 Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Ace Gallery, Los Angeles; Ruth Schaffner Gallery, Santa Barbara, California. Allestisce uno studio temporaneo a San Leandro, California, per dipingere un murale per il San Francisco Museum of Art. 1982 Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago. 1983 Crea un murale per l’aeroporto di San Francisco. Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Kornfeld, Berna; Smith Andersen Gallery, Palo Alto; Fondation Maeght, Saint-Paul-de-Vence; Studio Marconi, Milano; Colorado State University, Fort Collins; Galerie Jean Fournier, Parigi; John Berggruen Gallery, San Francisco; Nantenshi Gallery, Tokyo. È nominato Commandeur de l’ordre des arts et des lettres dallo Stato francese. new studio at 345 West Channel Road, Santa Monica, which becomes his permanent home base. Maintains studio in Paris until it is razed in 1983. In 1966 he creates Sky Painting performance over Tokyo Bay. Marries Mako Idemitsu; birth of their son Osamu. 1967 Solo exhibitions at Pierre Matisse Gallery, New York; Museum of Fine Arts, Houston, Texas, travelling to University Art Museum, Berkeley, California. Creates another performance work, Snow Painting, in Naibara, Japan. 1968 Receives honorary Ph.D. from University of California, Berkeley. Solo exhibitions: Centre National d’Art Contemporain, Paris; Kunsthalle, Basel; Minami Gallery, Tokyo. 1969-1972 Birth of Francis’ third child, Shingo (1969). He creates mural-sized canvas for National Gallery of Art, Berlin, Germany. Solo exhibitions at Andre Emmerich Gallery, New York; Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; Martha Jackson Gallery, New York; Felix Landau Gallery, Los Angeles. Establishes the Litho Shop, Inc. to print and publish his own limited edition prints. 1972-1973 Solo exhibitions at Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, travelling to Corcoran Gallery, Washington; Whitney Museum, New York; Museum of Fine Arts, Dallas; Oakland Museum of Art, Oakland; University Museum of Art, Stanford. 1973-1974 Lives and works primarily in Tokyo. Solo exhibitions: Idemitsu Art Museum, Tokyo; Minami Gallery, Tokyo. 1975-1977 Solo exhibitions: Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Galerie Jean Fournier, Paris; Andre Emmerich Gallery, New York; Richard Gray Gallery, Chicago; Kornfeld and Klipstein, Bern; Smith Andersen Gallery, Palo Alto, California. Begins series of collaborations on monotypes with Garner Tullis. 1977-1978 Solo exhibitions: Louisiana Museum of Art, Humlebaek, Denmark, travelling to Centre Pompidou, Paris, Liljevalchs Konsthall, Stockholm, and Israel Museum, Jerusalem. 1978 Solo exhibitions: Nicholas Wilder Gallery, Los Angeles; Otis Art Institute, Los Angeles. 1979 Solo exhibition at Institute of Contemporary Art, Boston, travelling to Taiwan, Hong Kong, Philippines, Korea and Japan under the US International Communication Agency. Solo exhibitions: Galerie Jean Fournier, Paris; Andre Emmerich Gallery, New York; Brooke Alexander Gallery, New York. 1980 Solo exhibitions: Abbaye de Senanque, Gordes, France; Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; Riko Mizuno Gallery, Los Angeles; James Corcoran Gallery, Los Angeles; Smith Andersen Gallery, Palo Alto. He divorces Teruko Idemitsu. He is elected to Board of Trustees at Museum of Contemporary Art, Los Angeles. 1981 Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Ace Gallery, Los Angeles; Ruth Schaffner Gallery, Santa Barbara, California. He establishes temporary painting studio in San Leandro, California, to paint a mural for the San Francisco Museum of Art. 1982 Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago. 1983 Completion of mural for San Francisco Airport. Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Kornfeld, Bern; Smith Andersen Gallery, Palo Alto; Fondation Maeght, Saint-Paul-de-Vence; Studio Marconi, Milan; Colorado State University, Fort Collins; Galerie Jean Fournier, Paris; John Berggruen Gallery, San Francisco; Nantenshi Gallery, Tokyo. He receives prestigious “Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres” from France. 1984 Forms Lapis Press to publish books. Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Cantor-Lemberg Gallery, Birmingham, Michigan; Robert Elkon Gallery, New York; Knoedler Gallery, London. 165 Robert Indiana 1984 Fonda la Lapis Press. Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Cantor-Lemberg Gallery, Birmingham, Michigan; Robert Elkon Gallery, New York; Knoedler Gallery, Londra. 1985 Mostre personali: Galerie Kornfeld, Berna; Galerie Jean Fournier, Parigi; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago. Completa il murale per il San Francisco Museum of Art. Sposa Margaret Smith in Giappone. 1986 Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Parigi; Nantenshi Gallery, Tokyo. Gli viene commissionato un dipinto murale per il soffitto dell’Opéra Nationale, Théâtre Royal de la Monnaie, Bruxelles. Nascita del quarto figlio, Augustus. Acquista uno studio a Palo Alto, ma tiene anche lo studio di Santa Monica. 1987 Mostre personali: Knoedler Gallery, Londra; Andre Emmerich Gallery, New York; Pamela Auchincloss Gallery, Santa Barbara; Heland Thorden Wetterling Galleries, Stoccolma; Manny Silverman Gallery, Los Angeles; Galerie Pudelko, Bonn. 1988 Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Parigi; Nantenshi Gallery, Tokyo; Smith Andersen Gallery, Palo Alto; Greenberg Gallery, St. Louis, Missouri; National Gallery, Seul, Corea del Sud; Toyama Museum, Giappone, itinerante poi a Seibu, Takanawa, Karuizawa; Shiga, Ohara, Murashiki, Setagaya, Tokyo. 1989 Mostre personali: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Parigi; Bernard Jacobson Gallery, Londra; Linda Farris Gallery, Seattle; Knoedler Gallery, Londra. Lavora a Manchester, in Inghilterra. 1990 Mostre personali: Associated American Artists, New York; Gallery Delaive, Amsterdam; Heland Wetterling Gallery, Stoccolma; Ogawa Art Foundation, Tokyo; Talbot Rice Gallery, Edimburgo. Acquista una proprietà e affitta uno studio nella California settentrionale, a Point Reyes Station. Continua a tenere gli atelier di Santa Monica e Venice. 1991 Mostre personali: Galerie Kornfeld, Berna; Galerie Jean Fournier, Parigi; James Corcoran Gallery, Los Angeles; Gagosian Gallery, New York; Centre Regional d’Art Contemporain Midi-Pyrénées, Toulouse-Labège, Francia. 1992 Mostre personali: Galerie Daniel Papierski, Parigi; Museum van der Togt, Amsterdam; Kukje Gallery, Seul. Pubblicazione di The Prints of Sam Francis. A Catalogue Raisonné a cura di Connie Lembark, edito da Hudson Hills Press. 1993 Mostre personali: Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn; Galerie Pudelko, Bonn; Bobbie Greenfield Gallery, Venice; Michel Cohen Gallery, New York; Ochi Gallery, Ketchum, Idaho; Manny Silverman Gallery, Los Angeles; Galerie Iris Wazzau, Davos; Museum of Contemporary Art, Los Angeles. Gli viene commissionato un importante dipinto per il Parlamento tedesco a Bonn. Dona dieci opere al Museum of Contemporary Art di Los Angeles. 1994 Mostre personali: Long Fine Art, New York; Gallery Delaive, Amsterdam; Bobbie Greenfield Gallery, Venice; Galerie Jean Fournier, Parigi; Galerie Proarta, Zurigo; Andre Emmerich Gallery, New York; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago; University Art Museum, University of California, Berkeley; Galerie Kornfeld, Berna. Daco-Verlag Günter Bläse di Stoccarda pubblica un’ampia monografia sui monotipi di Sam Francis. Riceve il “Distinguished Alumnus Award” dalla University of California, Berkeley. L’artista muore a Santa Monica, California. Dopo la sua morte viene fondata la Samuel L. Francis Foundation, Inc. (conosciuta anche come Samuel L. Francis Art Museum, Inc. o Sam Francis Foundation) che si occupa non solo dei diritti legali, ma anche di “studiare, documentare, proteggere e perpetuare il suo lascito creativo”. Ogni anno si tengono numerose mostre di Sam Francis in tutto il mondo (circa un centinaio tra il 1994 e il 2010) e il suo lavoro continua a riscuotere grande successo. 166 American Dream 1985 Solo exhibitions: Galerie Kornfeld, Bern; Galerie Jean Fournier, Paris; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago. Completion of mural for the San Francisco Museum of Art. He marries Margaret Smith in Japan. 1986 Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Paris; Nantenshi Gallery, Tokyo. He receives commission to paint ceiling mural for the Opéra Nationale, Théâtre Royal de la Monnaie, Brussels. Birth of Francis’ fourth child, Augustus. He purchases studio space in Palo Alto, and maintains working studio in Santa Monica. 1987 Solo exhibitions at Knoedler Gallery, London; Andre Emmerich Gallery, New York; Pamela Auchincloss Gallery, Santa Barbara; Heland Thorden Wetterling Galleries, Stockholm; Manny Silverman Gallery, Los Angeles; Galerie Pudelko, Bonn. 1988 Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Paris; Nantenshi Gallery, Tokyo; Smith Andersen Gallery, Palo Alto; Greenberg Gallery, St. Louis, Missouri; National Gallery, Seoul, South Korea; Toyama Museum, Japan, travelling to Seibu, Takanawa, Karuizawa, Shiga, Ohara, Murashiki, Tokyo. 1989 Solo exhibitions: Andre Emmerich Gallery, New York; Galerie Jean Fournier, Paris; Bernard Jacobson Gallery, London; Linda Farris Gallery, Seattle; Knoedler Gallery, London. He works in Manchester. 1990 Solo exhibitions: Associated American Artists, New York; Gallery Delaive, Amsterdam; Heland Wetterling Gallery, Stockholm; Ogawa Art Foundation, Tokyo; Talbot Rice Gallery, Edinburgh. He purchases properties and rents studio in Northern California at Pt. Reyes Station. Still maintains several working studios in Santa Monica and Venice, California. 1991 Solo exhibitions: Galerie Kornfeld, Bern, Galerie Jean Fournier, Paris; James Corcoran Gallery, Los Angeles; Gagosian Gallery, New York; Centre Regional d’Art Contemporain Midi-Pyrénées, Toulouse-Labège, France. 1992 Solo exhibitions: Galerie Daniel Papierski, Paris; Museum van der Togt, Amsterdam; Kukje Gallery, Seoul. Publication of The Prints of Sam Francis. A Catalogue Raisonné by Connie Lembark, published by Hudson Hills Press. 1993 Solo exhibitions: Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn; Galerie Pudelko, Bonn; Bobbie Greenfield Gallery, Venice; Michel Cohen Gallery, New York; Ochi Gallery, Ketchum, Idaho; Manny Silverman Gallery, Los Angeles; Galerie Iris Wazzau, Davos; Museum of Contemporary Art, Los Angeles. Major painting is commissioned for the German Parliament building, Bonn. Donation of ten paintings to the Museum of Contemporary Art, Los Angeles. 1994 Solo exhibitions: Long Fine Art, New York; Gallery Delaive, Amsterdam; Bobbie Greenfield Gallery, Venice; Galerie Jean Fournier, Paris; Galerie Proarta, Zurich; Andre Emmerich Gallery, New York; Nantenshi Gallery, Tokyo; Richard Gray Gallery, Chicago; University Art Museum, University of California, Berkeley; Galerie Kornfeld, Bern. Daco-Verlag Günter Bläse, Stuttgart, publishes major monograph on monotypes. He receives the “Distinguished Alumnus Award” from University of California, Berkeley. Sam Francis dies in Santa Monica, California. In the wake of the artist’s death, the Samuel L. Francis Foundation, Inc. (also known as the Samuel L. Francis Art Museum, Inc. or the Sam Francis Foundation) was founded. The Foundation not only serves as his official estate, but also has a mission “to research, document, protect and perpetuate the creative legacy” of the artist. Each year, many exhibitions of Sam Francis’s works are proposed around the world (quite a hundred between 1994 and 2010) and his work is going on to get success. 1928 Robert Clark nasce a New Castle, Indiana. Cambiato nome in Robert Indiana si appropria dei simboli quotidiani dell’America della strada, per trasformarli in una pop art geometrica, brillante e colorata. Nel suo lavoro è un commentatore ironico ma rispettoso della scena americana. Tanto le sue opere grafiche quanto i suoi dipinti sono dei marcatori della vita culturale e, durante i ribelli anni Sessanta, sottolineano scelte e affermazioni politiche. Durante l’adolescenza, tipica del Midwest, i segnali stradali hanno un’importanza simbolica per lui. Suo padre lavora alla Phillips 66 Gas, e imbocca la Route 66 allorché lascia la moglie e il figlio; sopra la tavola calda dove lavora la madre incombe il tipico cartello “EAT” . 1953 Dopo gli studi alla Herron School of Art di Indianapolis, poi al MunsonWilliams-Proctor Institute di Utica (New York), Robert frequenta l’Art Institute di Chicago, dove si laurea nel 1953 e vince una borsa di studio per un viaggio in Europa. 1954 Frequenta l’Università di Edimburgo e l’Edinburgh College of Art in Scozia. 1956 Tornato in America, si stabilisce nella storica Coenties Slip, sul lungomare di New York. Entra a far parte di una comunità di artisti, tra i quali Ellsworth Kelly e Jack Youngerman, e comincia a sperimentare stili geometrici pop. Fin dall’inizio lavora con colori audaci, contrastanti, a volte dissonanti, che rispecchiano i simboli familiari lungo le autostrade. Moralista convinto e ammiratore di Longfellow, Whitman e Melville, Indiana spesso incita con ironia i suoi spettatori. In un trittico a mo’ di cartellone dedicato a Melville, ad esempio, ricorda il passato di Manhattan e invita a camminare per l’isolacittà. Sente anche una forte affinità con certi pittori “precisionisti”, come Charles Demuth. Il sogno americano sarà un tema ricorrente nella sua opera, utilizzato sia per celebrare che per criticare lo stile di vita nazionale. Tra le sgargianti, colorate stelle e strisce di The American Dream #J (1961, Museum of Modern Art, New York), ad esempio, egli mette in evidenza le parole “Take All” e “Tilt”, a ricordare il materialismo americano e la tendenza di alcuni connazionali a barare, come quando giocano a flipper. 1960-1962 Nei primi anni Sessanta l’artista realizza le sue prime costruzioni con legni di scarto e ferri arrugginiti. Queste opere, in un primo momento fortemente geometriche, combinano metallo e legno con gesso. Nel 1961 espone nella mostra The Art of Assemblage al Museum of Modern Art di New York. Nello stesso periodo alcune sue opere vengono acquistate da importanti musei e collezionisti e incluse in varie mostre, tra cui la prima mostra personale alla Stable Gallery di New York nel 1962. 1963 Partecipa ad Americans 1963, al Museum of Modern Art di New York. Espone con Richard Stankeiwicz al Walker Art Center di Mineapolis, poi all’Institute of Contemporary Art di Boston. Partecipa a New Realists, alla Sidney Janis Gallery di New York. 1964 Collabora con Andy Warhol al film Eat e riceve la sua prima commissione pubblica, un lavoro per l’esterno del Padiglione dello Stato di New York all’Esposizione universale di New York: una scritta “Eat” di sei metri. Mostra personale alla Stable Gallery. 1965 Word and Image, Guggenheim Museum, New York; 1965 Annual Exhibition of American Paintings, Whitney Museum, New York. 1966 Love Exhibition, Stable Gallery, New York; 1966 Annual Exhibition of Contemporary Sculpture, Whitney Museum, New York; Galerie Alfred Schmela, Düsseldorf; Museum Haus Lange, Krefeld. 1967 Biennale di San Paolo, Brasile. 1968 Prima mostra personale itinerante in vari musei: Institute of Contemporary Art, Philadelphia; Marion Koogler McNay Art Museum, San Antonio, Texas; 1928 Born in New Castle, Indiana, Robert Clark adopts the name Robert Indiana. He has taken the everyday symbols of roadside America and made them into brilliantly colored geometric Pop Art. In his work he has been an ironic commentator on the American scene. Both his graphics and his paintings have made cultural statements on life and, during the rebellious 1960s, pointed political statements, as well. During his typically Midwestern boyhood, highway signs have a symbolic importance for him. His father works for Phillips 66 Gas and, when he leaves his wife and son, he does so down Route 66. And the diner which his mother subsequently operates had the familiar “EAT” sign looming overhead. 1953 Studies first at the Herron School of Art in Indianapolis and then at the Munson-Williams-Proctor Institute in Utica, New York. From there he goes to the School of the Art Institute of Chicago where he receives a degree in 1953 and wins a travelling fellowship to Europe. 1954 Attends Edinburgh University and Edinburgh College of Art in Scotland. 1956 Back in America, Indiana settles in the historic Coenties Slip area on the New York waterfront. He becomes part of an artist community that includes Ellsworth Kelly and Jack Youngerman, and begins to experiment in geometric Pop Art styles. From the start he works with bold, contrasting, sometimes clashing, colors that mirror familiar signs along the highways. A moralist at heart and an admirer of Longfellow, Whitman and Melville, Indiana often wryly prods his viewers. In a billboard like triptych dedicated to Melville, for example, he reminds them of Manhattan’s past and suggests they walk around the island-city. He also feels a strong kinship with such earlier precisionist painters as Charles Demuth. The American dream has been a recurring theme in Indiana’s work, and he has used it to both celebrate and criticize the national way of life. In the midst of all the gaudy, star-spangled color of The American Dream #J (1961, Museum of Modern Art), for instance, he highlights the words “Take All” and “Tilt” as reminders both of Americans’ materialism and of the tendency of some to cheat, as they do on pinball machines. 1960-1962 Creates his first constructions of junk wood and weathered iron. These works, at first severely geometric, combine metal and wood with gesso. In 1961 he takes part in the exhibition Art of Assemblage at the Museum of Modern Art, New York. In the early 1960s several of his works are purchased by major museums and collectors and his pieces are included in many exhibitions, including his first one-man show in 1962 at the Stable Gallery, New York. 1963 Takes part in Americans 1963, Museum of Modern Art, New York. Exhibits with Richard Stankeiwicz at the Walker Art Center, Mineapolis. The show travels to the Institute of Contemporary Art, Boston. Participates to New Realists, Sidney Janis Gallery, New York. 1964 Collaborates with Andy Warhol on the film Eat and in the same year receives his first public commission, a work for the exterior of the New York State Pavilion at the New York World’s Fair, a 20-foot “Eat” sign. Solo exhibition at the Stable Gallery, New York. 1965 Word and Image, Guggenheim Museum, New York. 1965 Annual Exhibition of American Paintings, Whitney Museum, New York. 1966 Love Exhibition at Stable Gallery, New York. 1966 Annual Exhibition of Contemporary Sculpture, Whitney Museum, New York; Galerie Alfred Schmela, Düsseldorf; Museum Haus Lange, Krefeld. 1967 São Paulo Biennial, Brazil. 1968 First one-man museum exhibition travels to the Institute of Contemporary Art, Philadelphia; the Marion Koogler McNay Art Museum, San Antonio, 167 Herron Museum of Art, Toledo, Ohio. Word and Image, Museum of Modern Art, New York. 1969 70 Years of American Art, Whitney Museum, New York. 1969-1970 The Prints and Posters of Robert Indiana, itinerante nel New England partendo dal St. Mary’s College di Notre Dame, Indiana, poi Colby College of Art Museum, Waterville; Currier Gallery of Art, Manchester; Hopkins Center, Dartmouth College, Hanover; Bowdoin College Museum of Art, Brunswick; Brandeis University, Waltham. 1972 The Modern Image, High Museum of Art, Atlanta. Mostra personale alla Galerie Denise René, New York. 1973 Raggiunto un certo successo nel corso degli anni Sessanta, Robert Indiana si distingue comunque dai suoi contemporanei. Mentre il movimento pop in generale concentra le sue attenzioni sui mass media e le trappole della cultura del consumo, l’interesse di Indiana è sempre attratto dall’identità nazionale e culturale americana. Autoproclamandosi “pittore americano di insegne”, Indiana acquista fama internazionale impiegando forme vernacolari delle insegne di strade e negozi, combinandole con un sofisticato approccio formale e concettuale che trasforma questo vocabolario familiare in qualcosa di completamente nuovo. Nelle sue opere dà un nuovo significato a parole elementari come “Eat” (mangiare), “Die” (morire) e “Love” (amore). Dispiegandole in grosse lettere in stampatello con colori vivaci persuade gli spettatori a guardare il luogo comune da una nuova prospettiva. Un segnale del suo successo è la riproduzione del suo popolare e multicolore Love su un francobollo degli Stati Uniti nel 1973. 1975 American Art since 1945, Museum of Modern Art, New York. 1975-1976 Galerie Denise René, New York, mostra personale. 1976 Thirty Years of American Art, Brooklyn Museum of Art, Brooklyn, a cura di Gene Baro. 1978 Art about Art, Whitney Museum, New York. Mostra itinerante: University Art Museum at University of Texas, Austin; Chrysler Museum, Norfolk, Virginia; Indianapoilis Museum of Art, Indiana; Neuberger Museum, State University of New York; Art Center, South Bend, Indiana. L’artista si stabilisce a Vinalhaven, nel Maine, dove vive tuttora. 1982 Indiana’s Indianas. A 25 Year Retrospective of Paintings and Sculptures from the Collection of Robert Indiana, National Museum of Art, Smithsonian Institute, Washington. 1986 Vinalhaven Press 1985-1986, Portland Museum of Art, Portland. 1990 Prints as Process, Baxter Gallery, Portland School of Art, Portland. 1991 Prints Retrospective, Susan Sheehan Gallery, New York. 1998 Rétrospective, Musée d’Art Moderne, Nizza. 2002 Memoir of Freedom, Chelsea Art Museum, New York; Andy Warhol and Friends, Haggarty Museum of Art, Milwaukee; American Scene, M-ART Galerie, Amburgo. 2003 Letters, Words and Numbers, L&M Gallery, New York; Robert Indiana. The Story of Love, Scottsdale Museum of Modern Art, Phoenix. Pop Art. Druckgraphiken, Galerie Wolfgang Exner, Vienna; Pop Art from the Collection, Williams College Museum of Art, Williamstown; Andy Warhol and the Pop Aesthetic. Permanent Collection and Loans, Arizona State University Art Museum, Tempe; The Power of Pop, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf; Painting Explosion 1958-1963. Part I, Jack S. Blanton Museum of Art, Austin; P(OP), Conner Contemporary Art, Washington; Contemporary Prints and Photographs from the Bruce Brown Collection, Colby College Museum of Art, Waterville. 2004-2005 Robert Indiana 66. Paintings and Sculpture, Price Tower Arts Center’s, 168 American Dream Texas; Herron Museum of Art, Toledo, Ohio. Word and Image, Museum of Modern Art, New York. 1969 70 Years of American Art, Whitney Museum, New York. 1969-1970 The Prints and Posters of Robert Indiana, New England tour originates at St. Mary’s College, Notre Dame, Indiana. Travels to Colby College of Art Museum, Waterville; the Currier Gallery of Art, Manchester; the Hopkins Center, Dartmouth College, Hanover; the Bowdoin College Museum of Art, Brunswick; and Brandeis University, Waltham. 1972 The Modern Image, High Museum of Art, Atlanta; Galerie Denise René, New York. 1973 Though come to prominence during the 1960s, his concerns have always differed greatly from those of his contemporaries. Whereas the general Pop movement takes interest in the mass media and trappings of consumer culture, Indiana is drawn to American national and cultural identity. As a selfproclaimed “American painter of signs,” Indiana gains international renown in the early 1960s for employing the vernacular form of American road and shop signs, combining it with a sophisticated formal and conceptual approach that turns this familiar vocabulary into something entirely new. In his paintings and constructions he has given new meaning to such basic words as “Eat”, “Die” and “Love”. Using them in bold block letters in vivid colors, he has enticed his viewers to look at the commonplace from a new perspective. One indication of his success is the appearance of his immensely popular multi-colored Love on a United States postage stamp in 1973. 1975 American Art since 1945, Museum of Modern Art, New York. 1975-1976 Solo exhibition at the Galerie Denise René, New York. 1976 Thirty Years of American Art, Brooklyn Museum of Art, curated by Gene Baro. 1978 Art about Art, Whitney Museum, New York. Museum retrospective travels to University Art Museum at University of Texas, Austin; the Chrysler Museum, Norfolk, Virginia; the Indianapolis Museum of Art, Indiana; the Neuberger Museum, State University of New York; the Art Center, South Bend, Indiana. Settles and works in Vinalhaven, Maine, where he still lives. 1982 Indiana’s Indianas. A 25 Year Retrospective of Paintings and Sculptures from the Collection of Robert Indiana, National Museum of Art, Smithsonian Institute, Washington. 1986 Vinalhaven Press 1985-1986, Portland Museum of Art, Portland. 1990 Prints as Process, Baxter Gallery, Portland School of Art, Portland. 1991 Prints Retrospective, Susan Sheehan Gallery, New York. 1998 Rétrospective, Musée d’Art Moderne, Nice. 2002 Memoir of Freedom, Chelsea Art Museum, New York; Andy Warhol and Friends, Haggarty Museum of Art, Milwaukee; American Scene, M-ART Galerie, Hamburg. 2003 Letters, Words and Numbers, L&M Gallery, New York; Robert Indiana. The Story of Love, Scottsdale Museum of Modern Art, Phoenix. Pop Art. Druckgraphieken, Galerie Wolfgang Exner, Vienna; Pop Art from the Collection, Williams College Museum of Art, Williamstown; Andy Warhol and the Pop Aesthetic. Permanent Collection and Loans, Arizona State University Art Museum, Tempe; The Power of Pop, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf; Painting Explosion 1958-1963, Part I, Jack S. Blanton Museum of Art, Austin; P(OP), Conner Contemporary Art, Washington; Contemporary Prints and Photographs from the Bruce Brown Collection, Colby College Museum of Art, Waterville. 2004-2005 Robert Indiana 66. Paintings and Sculpture, Price Tower Arts Center’s, Bartlesville; Marilyn - From Anastasi to Weegee, Sean Kelly Gallery, New Bartlesville; Marilyn - From Anastasi to Weegee, Sean Kelly Gallery, New York; Pop Classics, Kunstmuseum, Aarhus; Support - Die Neue Galerie als Sammlung, Landesmuseum Joanneum, Graz; Modern Means. Continuity and Change in Art from 1880 to the Present, Mori Art Museum, Tokyo; Hommage à Picasso, Galerie Wolfgang Exner, Vienna. 2005 Made in USA. Ausgewählte Graphik, Galerie & Edition Bode GmbH, Norimberga; Summer of Love. Art of the Psychedelic Era, Tate Liverpool, Liverpool; Do It Yourself, Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlino; 40 Jahre, Galerie Thomas, Monaco di Baviera. 2006 Life as a Legend - Marilyn Monroe, Boca Raton Museum of Art, Boca Raton. 2007 Art Market Now, The Columns, Seoul. 2008 Pressing Issues, Des Moines Art Center, Des Moines; Pop and Op, Nassau County Museum of Art, Roslyn Harbor. 2009 Robert Indiana and the Star of Hope, Farnsworth Art Museum, Rockland; Sculpture. Post-War to Present, Maxwell Davidson Gallery, New York; Von Picasso bis Warhol, Museum für Angewandte Kunst, Colonia. 2010 Museum of Contemporary Art, Jacksonville. L’opera di Robert Indiana è stata presentata in numerose altre mostre personali e collettive in tutto il mondo, ed è nelle collezioni permanenti di importanti musei quali il Museum of Modern Art e il Whitney Museum of American Art di New York, l’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden e lo Smithsonian Museum of American Art di Washington, il Museum of Modern Art di San Francisco, la Menil Collection di Houston, il Ludwig Museum di Colonia, lo Stedelijk van Abbemuseum di Eindhoven, il Museum Ludwig di Vienna, l’Art Museum di Shanghai, l’Israel Museum di Gerusalemme. L’artista è inoltre presente in numerose pubblicazioni internazionali, tra cui una serie di monografie dedicate al suo lavoro. York; Pop Classics, Kunstmuseum, Aarhus; Support - Die Neue Galerie als Sammlung, Landesmuseum Joanneum, Graz; Modern Means. Continuity and Change in Art from 1880 to the Present, Mori Art Museum, Tokyo; Hommage à Picasso, Galerie Wolfgang Exner, Vienna. 2005 Made in USA. Ausgewählte Graphik, Galerie & Edition Bode GmbH, Nuremberg; Summer of Love. Art of the Psychedelic Era, Tate Liverpool, Liverpool; Do It Yourself, Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlin; 40 Jahre, Galerie Thomas, Galerie Thomas, Munich. 2006 Life as a Legend - Marilyn Monroe, Boca Raton Museum of Art, Boca Raton. 2007 Art Market Now, The Columns, Seoul. 2008 Pressing Issues, Des Moines Art Center, Des Moines; Pop and Op, Nassau County Museum of Art, Roslyn Harbor. 2009 Robert Indiana and the Star of Hope, Farnsworth Art Museum, Rockland; Sculpture. Post-War to Present, Maxwell Davidson Gallery, New York; Von Picasso bis Warhol, Museum für Angewandte Kunst, Cologne. 2010 Museum of Contemporary Art, Jacksonville. Indiana’s artwork has been featured in numerous solo and group exhibitions around the world, and his work is included in the permanent collection of many important museums, such as the Museum of Modern Art and the Whitney Museum of American Art in New York, the Hirshhorn Museum and Sculpture Garden and the Smithsonian Museum of American Art in Washington, the San Francisco Museum of Modern Art, the Menil Collection in Houston, the Museum Ludwig in Cologne, the Stedelijk van Abbemuseum in Eindhoven, the Museum Ludwig in Vienna, the Shanghai Art Museum in China, and the Israel Museum, Jerusalem. He has also been included in numerous international publications, including a number of monographs dedicated to his work. 169 Franz Kline 1910 Nasce a Wilkes Barre, Pennsylvania, secondo di quattro figli, in una famiglia di immigrati: il padre, gestore di un saloon, proviene da Amburgo e la madre dalla Cornovaglia. Dopo il suicidio del padre, nel 1917, la madre si risposa tre anni dopo. 1931 Franz Kline si trasferisce a Boston dove studia prima alla Boston University School of Education e in seguito alla Art Students League. Giovane affascinante e vanitoso, è attratto da tutto ciò che appare aristocratico e inglese. 1935 Decide di recarsi in Inghilterra per studiare arte e attraversa l’Atlantico. 1936 Si iscrive alla Heatherley’s School of Fine Art di Londra, un’istituzione conservatrice e all’antica che si addiceva perfettamente a Kline, il quale in quel momento non è affatto interessato all’avanguardia ma, al contrario, è affascinato dal lavoro dei grandi illustratori vittoriani quali Phil May. A Londra, dove realizza diversi disegni dal vero, incontra la sua futura moglie, Elizabeth Vincent Parsons, una ballerina che aveva lavorato con la Sadlers’ Wells Ballet Company (poi Royal Ballet) e con il Rambert Ballet, e che faceva la modella nei corsi della scuola, pur essendo la sua famiglia di classe medioalta. L’identificazione di Kline con tutto ciò che è inglese lo spinge a decidere di prendere la cittadinanza britannica. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, dovrebbe risiedere in Gran Bretagna per otto anni senza permesso di lavoro, cosa impossibile. 1938 Torna in America. Elizabeth lo segue e si sposano poco dopo il suo arrivo. In seguito Kline trascorre un breve periodo a Buffalo come designer di vetrine per un negozio di abbigliamento femminile, prima di stabilirsi a New York dove rimarrà per il resto della vita. 1939 Inizia la sua carriera nel mondo dell’arte di New York, mostrando il suo lavoro alla Washington Square Outdoor Show. La sua padronanza del disegno, inclusa la caricatura, lo mette in sintonia con l’essenza astratta della linea. Lavorando a olio, lo stile di Kline si sviluppa da opere figurative e realistiche a composizioni emblematiche e calligrafiche in cui le forme diventano pennellate di segni. L’atmosfera di New York ispira Kline; i suoi disegni, oli, dipinti murali del 1940 nel Cedar Bar del Greenwich Village (popolare luogo di incontro degli espressionisti astratti) rivelano il suo interesse per la ricerca di un equivalente pittorico ai ritmi dinamici della città in veloci, energiche e ampie pennellate. Durante questo periodo esegue dettagliati scorci urbani, per lo più di New York, con sfumature espressioniste. Esegue dipinti murali nei bar e lavora per breve tempo con il noto scenografo Cleon Throckmorton, che ha un gran numero di assistenti e spesso fornisce loro contatti utili. 1943-1944 Partecipa con successo alle mostre annuali organizzate dalla conservatrice National Academy of Design, vincendo uno dei premi più importanti nel 1943. Questo è anche l’anno in cui incontra Willem de Kooning, che eserciterà un grande influsso sulla sua arte. 1949 De Kooning prende in prestito un proiettore Bell Opticon per ingrandire alcuni disegni. Quando gli viene proposto di provarlo, Kline prende un piccolo disegno di una sedia e lo proietta sulla tela a una scala così grande che esce completamente dai bordi. Rimane affascinato nel notare che il disegno, in queste circostanze, è diventato completamente astratto. Tale effetto su di lui è tanto più potente dal momento che aveva già cominciato a sperimentare l’astrazione già tre anni prima. Il passaggio dalla figurazione all’astrazione è documentato da una serie di teste basate su una fotografia del ballerino Nijinsky nel ruolo di Petruška. Kline stesso si identificava con i clown; già nel 1938 scriveva alla moglie: “Ho sempre pensato di essere un clown, e che la vita possa sfociare in una tragedia, la tragedia di un clown.” Questi dipinti hanno anche forti elementi di autoritrattistica. 170 American Dream 1910 Born in Wilkes Barre, Pennsylvania, the second of four children. His parents are both immigrants: his father, a saloon keeper, comes from Hamburg and his mother from Cornwall. In 1917 his father committs suicide, and his mother remarries three years later. 1931 Franz Kline leaves home and goes to Boston. He studies first at the Boston University School of Education and later at the Boston Art Students’ League. At this time Kline, a handsome and vain young man, is attracted by everything which seems upper-class and English. 1935 Decides to go to England to study art. He crosses the Atlantic. 1936 Enrolls at Heatherley’s School of Fine Art in London. This is a thoroughly conservative, old fashioned institution, and it suits Kline perfectly as he is not at that time interested in anything avant-garde but is, on the contrary, fascinated by the work of the great Victorian illustrators, such as Phil May. He does a great deal of life drawing in London, and it is at Heatherley’s that he meets his future wife, Elizabeth Vincent Parsons, a dancer who has worked with the Sadlers’ Wells Ballet Company (later the Royal Ballet) and with the Ballet Rambert, and who models for classes at the school. Her family is uppermiddle class, and Kline’s identification with all things English reaches the point where he wants to adopt British citizenship. However, to achieve this he would remain in Britain for eight years without permission to work. 1938 Returns to America. Elizabeth follows him, and they marry shortly after her arrival. Kline then spends a brief period in Buffalo as a display designer for a women’s clothing store before settling in New York, where he will live for the rest of his life. 1939 Begins his career in the New York art world showing his work at the Washington Square Outdoor Show. His early mastery of drawing, including caricature, attunes him to the abstract essence of line. Working in oil, Kline’s style develops from figurative and representational works to emblematic and calligraphic compositions where forms become rapidly brushed marks. The ambiance of New York inspires Kline; his sketches, oils, and murals painted in 1940 for the Cedar Bar in Greenwich Village (a popular meeting place for the Abstract Expressionists) reveal his interest in seeking a pictorial equivalent to the dynamic rhythms of the city in fast, energetic, broad brush strokes. During this period he is producing competent urban views, usually of New York, with an Expressionist tinge. He paints murals in bars, and also works briefly with the well-known set designer Cleon Throckmorton, who employes a large number of assistants and often provides useful contacts for them. 1943-1944 Shows successfully at the annual exhibitions put on by the conservative National Academy of Design, winning one of the major prizes in 1943. This is also the year in which he meets Willem de Kooning, who will exercize a great influence over his art. 1949 De Kooning borrows a Bell Opticon projector to enlarge some of his own drawings. Offered the use of it, Kline takes a small drawing of a favorite chair and projects this on to canvas on such a large scale that it completely overlaps the edges. He is fascinated to note that the design, in these circumstances, becomes completely abstract. Its effect on him is the more powerful because he has already begun to experiment with abstraction some three years earlier. The transition from figuration to abstraction is a curious one, demonstrated through a series of heads based on a photograph of the dancer Nijinsky in the role of Petroushka. Kline identifies with clowns. In 1938 he writes to his wife: “I have always felt that I am like a clown, Probabilmente anche un altro fattore molto personale favorisce il passaggio di Kline all’astrazione: la malattia di sua moglie. Elizabeth, in effetti, soffriva di ripetuti attacchi di depressione e schizofrenia, forse aggravata dalla mancanza di stabilità economica e dalla vita nomade e precaria. Tra il suo arrivo a New York nel 1938 e il 1957 Kline cambierà casa non meno di quattordici volte, di cui almeno tre per sfratto perché non è in grado di pagare l’affitto. Nel 1946 Elizabeth Kline è ricoverata al Central Islip State Hospital per sei mesi, e nel 1948 torna in ospedale e vi rimarrà per dodici anni, prima di essere dimessa nel 1960. Il marito va a trovarla con lunghi intervalli di tempo, ma di fatto dal secondo ricovero il matrimonio è finito. 1950 Gli esperimenti di Kline con il proiettore Bell Opticon lo convincono ad abbandonare definitivamente la rappresentazione. Nel 1950 tiene la sua prima mostra personale, con dipinti eseguiti tutti nella nuova maniera; ha luogo presso la Egan Gallery, allora vetrina abituale del gruppo di espressionisti astratti “del centro”. Quelle immagini calligrafiche in bianco e nero sono ben accolte. Quindi Kline partecipa a una serie di mostre importanti nello stesso anno. 1951 Seconda personale nella stessa galleria. La reputazione di Kline cresce rapidamente. 1952 Partecipa a Whitney Annuals, anche negli anni successivi. Il Museum of Modern Art acquista Chief, uno dei suoi dipinti più significativi: l’immagine sottostante è un’affusolata locomotiva (il patrigno di Kline era un impiegato delle ferrovie). 1955 Partecipa a Twelve American Painters and Sculptors al Museum of Modern Art. Il Whitney Museum acquista Mahoning. 1956 Inizia a lavorare con la Sidney Janis Gallery. 1957 Partecipa alla Biennale di San Paolo del Brasile e alla grande antologica New American Painting, che farà il giro dell’Europa nel 1958-59. I prezzi delle opere di Kline aumentano rapidamente, soprattutto da quando lavora con la Sidney Janis Gallery. Per la prima volta in vita sua ha un sacco di denaro. Ma non godrà a lungo di quella prosperità. 1961 Kline si ammala e viene ricoverato al Johns Hopkins Hospital per esami che rivelano problemi al cuore, con un pericoloso deterioramento del muscolo cardiaco. Messo a dieta rigorosa, gli viene imposto di moderare il suo stile di vita, ma la malattia è incurabile. 1962 Muore in ospedale a New York in maggio. La sua personalità rimarrà a lungo difficile da interpretare. Il suo atteggiamento nei confronti dell’arte è sostanzialmente quello degli espressionisti astratti, mescolato con alcune idee vagamente esistenzialiste. Kline parla spesso del dipinto come di una “situazione”, e dei primi colpi di colore sulla tela come dell’“inizio della situazione”. Quando dipinge, cerca di liberare la mente da tutto il resto e di “agire interamente da questa situazione”. Il vero criterio è la sensazione che una data opera trasmette: “La prova finale di un dipinto è: l’emozione del pittore vi passa attraverso?” and thinking that life might work out as a tragedy, a clown’s tragedy.” The Nijinsky paintings also have strong elements of self portraiture. There may also have been another, very personal factor connected with Kline’s move into abstraction, and this is the illness of his wife. She suffers repeated attacks of depression and schizophrenia, perhaps exacerbated by their lack of money and nomadic, unstable life. Between his arrival in New York in 1938 and 1957 Kline moves house no less than fourteen times, including at least three evictions because he is unable to pay the rent. In 1946, Elizabeth Kline enters Central Islip State Hospital for six months, and in 1948 she returns to hospital and remains there for twelve years, being finally discharged in 1960. Her husband visits her, often at long intervals, but from the time of her second hospitalization the marriage is effectively over. 1950 Kline’s experiments with the Bell Opticon projector have finally convinced him that he ought to abandon representation altogether. He has his first oneman exhibition, made up entirely of paintings in his new manner. It takes place at the Egan Gallery, then the usual showcase of the “downtown” group of Abstract Expressionists. His calligraphic images in black and white are well received. 1951 Second show in the same space. Kline’s reputation grows very rapidly. 1952 Participates to various Whitney Annuals. The Museum of Modern Art acquires Chief, one of his most impressive paintings: the underlying image is a streamlined locomotive (Kline’s stepfather was a railway employee). 1955 Twelve American Painters and Sculptors at the Museum of Modern Art. The Whitney Museum buys Mahoning. 1956 Starts a collaboration with the Sidney Janis Gallery. 1957 Takes part to the São Paulo Biennial and to the key anthology show New American Painting, which tours Europe in 1958-59. Prices for Kline’s work escalate rapidly, especially after he moves to the Sidney Janis Gallery in 1956. For the first time, he has plenty of money. He will not enjoy this prosperity for very long. 1961 Kline falls ill and enters Johns Hopkins Hospital for tests which reveal dangerous deterioration of the heart muscle. He is put on a strict diet and told to curb his lifestyle, but his illness is incurable. 1962 He dies in hospital in New York in May. The core personality remains difficult to identify. His attitudes towards art are basically those of the Abstract Expressionists, mingled with some loosely existentialist ideas. Kline frequently speaks of a painting as a “situation”, and of the first strokes of paint on canvas as “the beginning of the situation”. When painting, he tries to rid his mind of everything else and to “attack it completely from that situation”. The real criterion is the feeling a given work conveys: “The final test of a painting is: does the painter’s emotion come across?” 171 Robert Rauschenberg 1925 Nasce a Port Arthur, Texas. Robert Rauschenberg sale alla ribalta nel periodo di transizione fra espressionismo astratto e pop art ed è conosciuto soprattutto per i suoi Combines degli anni Cinquanta, nei quali utilizza materiali non convenzionali e oggetti di vario genere disposti in combinazioni inusuali. E se i Combines sono sia dipinti che sculture, Rauschenberg lavora anche con la fotografia, la stampa, la carta, la performance. Nel 1953 sconvolgerà il mondo dell’arte cancellando un disegno di de Kooning. Nel 1964 sarà il primo artista americano a vincere il Gran Premio alla Biennale di Venezia. Da allora godrà di larga fama a livello internazionale. 1948-1949 Robert Rauschenberg, dopo gli studi all’Art Institute di Kansas City e all’Académie Julian di Parigi, nel 1948 si iscrive al leggendario Black Mountain College nel North Carolina. Giovane artista di origini tedesche e cherokee, conosce la pittrice Susan Weil, incontrata all’Academie Julian, e insieme passano al Black Mountain per studiare con Josef Albers. Poi Rauschenberg studia presso la Art Students League di New York, dove incontra Knox Martin e Cy Twombly. 1950-1953 Robert Rauschenberg e Susan Weil si sposano nell’estate del 1950 e l’anno dopo nasce il loro figlio Christopher. I due si separeranno presto, nel giugno 1952. Al Black Mountain College la rigida disciplina e il metodo dell’insegnante di pittura Josef Albers, proveniente dal Bauhaus, spingono Rauschenberg, come dirà un giorno, a “fare esattamente il contrario” di ciò che insegna il maestro. Allievo del Black Mountain è anche il compositore John Cage, la cui musica di rumori fortuiti e di suoni inventati si adatta perfettamente alla personalità di Rauschenberg. Nel 1951 questi crea i suoi primi White Paintings, nella tradizione della pittura monocromatica, il cui scopo è di ridurre la pittura alla sua natura più essenziale, e di realizzare quindi la possibilità dell’esperienza pura. Esposti presso l’Eleanor Ward’s Stable Gallery di New York nell’ottobre 1953, i White Paintings appaiono in un primo momento come tele essenzialmente vuote, bianche. Tuttavia un critico suggerisce che, “invece di considerarli una riduzione distruttiva, potrebbe essere più produttivo vederli, come ha fatto John Cage, come schermi ipersensibili” o, secondo le parole suggestive dello stesso Cage, come “aeroporti di luci, ombre e particelle”. I più piccoli cambiamenti di illuminazione e di atmosfera potrebbero essere registrati sulla loro superficie; Rauschenberg stesso dirà che potevano essere influenzati dalle condizioni ambientali, “così che quasi si poteva dire quante persone c’erano nella sala”. I Black Paintings, sermpre del 1951, come i White Paintings sono eseguiti su più pannelli e anch’essi sono monocromi. Qui Rauschenberg inserisce lembi di giornali nella pittura, lavorando la carta dentro la vernice in modo che in alcuni punti sia visibile e in altri no. 1953-1954 Rauschenberg passa dalla pittura monocromatica dei White Paintings e Black Paintings alla serie dei Red Paintings. Sono dipinti realizzati con diversi tipi di applicazioni di vernice rossa, con l’aggiunta di materiali eterogenei quali legno, chiodi, carta da giornale e altri oggetti sulla tela così da creare superfici di pittura complessa; sono i precursori della ben nota serie dei Combines. I cosiddetti Combine Paintings giungono infine a includere oggetti fino ad allora considerati non artistici, come una capra impagliata o la trapunta del letto dell’artista, rompendo le barriere tradizionali tra pittura e scultura, il che indurrà un pittore espressionista astratto a proclamare: “Se questa è l’arte moderna, io smetto!” Eppure i Combines di Rauschenberg forniranno ispirazione a un’intera generazione di artisti alla ricerca di alternative alle tecniche tradizionali. 172 American Dream 1925 Born in Port Arthur, Texas. Robert Rauschenberg comes to prominence in the transition from Abstract Expressionism to Pop Art. Rauschenberg is perhaps most famous for his Combines of the 1950s, in which non-traditional materials and objects are employed in innovative combinations. While the Combines are both painting and sculpture, Rauschenberg has also worked with photography, printmaking, paper making, and performance. In 1953, he stuns the art world by erasing a drawing by de Kooning. In 1964 Rauschenberg is the first American artist to win the Grand Prize at the Venice Biennial. Since then he has enjoyed a rare degree of institutional support. 1948-1949 Robert Rauschenberg studies at the Kansas City Art Institute and the Académie Julian in Paris, before enrolling in 1948 at the legendary Black Mountain College in North Carolina. He is of German and Cherokee ancestry. As a young artist Rauschenberg marries the painter Susan Weil. The two meet while attending the Académie Julian in Paris, and in 1948 both decide to attend Black Mountain College to study under Josef Albers. Rauschenberg studies at the Art Students League of New York, where he meets Knox Martin and Cy Twombly. 1950-1953 Robert Rauschenberg and Susan Weil are married in the summer of 1950. Their son, Christopher was born in 1951. The two separates in June 1952. At Black Mountain his painting instructor is the renowned Bauhaus figure Josef Albers, whose rigid discipline and sense of method inspire Rauschenberg, as he once said, to do “exactly the reverse” of what Albers teaches him. Composer John Cage, whose music of chance occurrences and found sounds perfectly suits Rauschenberg’s personality, is also a member of the Black Mountain Faculty. In 1951 Rauschenberg creates his White Paintings, in the tradition of monochromatic painting, whose purpose is to reduce painting to its most essential nature, and to subsequently lead to the possibility of pure experience. The White Paintings are shown at Eleanor Ward’s Stable Gallery in New York during October 1953. They appear at first to be essentially blank, white canvas. However, one commentator says that “rather than thinking of them as destructive reductions, it might be more productive to see them, as John Cage did, as hypersensitive screens”, what Cage suggestively describes as “airports of the lights, shadows and particles”. In front of them, the smallest adjustments in lighting and atmosphere might be registered on their surface, Rauschenberg himself says that they are affected by ambient conditions, “so you could almost tell how many people are in the room”. The Black Paintings of 1951 like the White Paintings are executed on multiple panels and are single color works. Here Rauschenberg incorporates pieces of newspaper into the painting working the paper into the paint so that sometimes newspaper can be seen and in other places cannot. 1953-1954 He moves from the monochromatic paintings of the White Painting and Black Painting series, to the Red Painting series. These paintings are created with diverse kinds of paint applications of red paint, and with the addition of materials such as wood, nails, newsprint and other materials to the canvas to create complex painting surfaces, and are forerunners of Rauschenberg’s well-known Combine series. These so-called Combine Paintings ultimately come to include such heretofore un-painterly objects as a stuffed goat and the artist’s own bed quilt, breaking down traditional boundaries between painting and sculpture, reportedly prompting one Abstract Expressionist painter to remark: “If this is Modern Art, then I quit!” Rauschenberg’s 1954-1955 Rauschenberg intensifica la collaborazione con la Merce Cunningham Dance Company. Nel 1955 si trasferisce in un nuovo studio nello stesso quartiere di Jasper Johns. 1958 Tiene la sua prima mostra nella galleria di Leo Castelli e inizia i disegni per illustrare l’Inferno di Dante. 1959 È presente a Documenta 2 a Kassel e alle Biennali di Parigi e di San Paolo del Brasile. 1960 Conosce Marcel Duchamp. 1961 Rauschenberg compie un passo in quella che potrebbe essere considerata la direzione opposta rispetto al suo lavoro, difendendo il ruolo del “creatore” nella creazione del significato dell’arte. Invitato a partecipare a una mostra presso la Galerie Iris Clert di Parigi, dove gli artisti dovevano esporre un ritratto della proprietaria, appunto Iris Clert, la sua opera consiste in un telegramma inviato che dichiara: “Questo è un ritratto di Iris Clert, se lo dico io.” 1962 Utilizza per la prima volta la tecnica della serigrafia su tela, mescolata con pittura, collage e oggetti. Utilizzata in precedenza solo in applicazioni commerciali, la serigrafia offre all’artista la possibilità di riprodurre immagini multiple, con il conseguente appiattimento di esperienza che ciò comporta. In questo ambito il suo lavoro è contemporaneo a quello di Andy Warhol, tanto che sia Rauschenberg sia Jasper Johns saranno spesso citati come importanti precursori della pop art americana. Rauschenberg esegue anche la sua prima opera litografica, per la quale gli sarà conferito il Gran Premio per la grafica a Lubiana. 1963 Prima retrospettiva europea alla Galerie Sonnabend di Parigi, portata poi al Jewish Museum di New York. L’artista produce il suo primo spettacolo di danza, Pelican. 1964 Retrospettiva alla Whitechapel Gallery di Londra e Gran Premio alla Biennale di Venezia. In tour mondiale con la Cage and Cunningham Dance Company. 1967 Crea i Revolvers con dischi di plexiglas rotanti. Come Martin Luther King, è insignito di una laurea ad honorem al Grinnel College dello Iowa. Con Billy Klüver lancia ufficialmente Experiments in Art and Technology (EAT) un’organizzazione non-profit istituita per promuovere la collaborazione tra artisti e ingegneri. La sua costruzione in cinque parti, Oracle, di proprietà del Centre Georges Pompidou di Parigi, e Soundings, di proprietà del Museum Ludwig di Colonia, saranno realizzate a seguito di tale collaborazione. 1968-1971 Viene invitato dalla NASA ad assistere al decollo dell’Apollo 11 al Kennedy Space Center per utilizzare questo tema nella sua opera. Nel 1970 istituisce la Fondazione Change Inc. per artisti indigenti e nel 1971 fonda una residenza con studi d’arte in Florida. 1974 Collabora con lo scrittore Alain Robbe-Grillet. Visita Israele e l’India. 1975 Riceve la laurea honoris causa in Belle Arti presso la University of South Florida di Tampa e, insieme a James Rosenquist, viene coinvolto in un appello per un riesame della tassazione per le istituzioni artistiche non-profit. 1976-1978 Una grande retrospettiva della sua opera è allestita in diverse città americane. 1980 Varie retrospettive a Berlino, Düsseldorf, Copenaghen, Francoforte, Monaco e Londra. 1981 Le sue fotografie sono esposte al Centre Pompidou di Parigi. Vive a New York e a Captiva Island, in Florida. 1989 Il suo lavoro va in mostra in un tour mondiale, compresa una esposizione a Mosca. 2008 Muore a Captiva Island. Dal 1951 il lavoro di Rauschenberg è ampiamente conosciuto in tutto il mondo. Tra le sue mostre nei maggiori musei: Jewish Museum di New Combines provide inspiration for a generation of artists seeking alternatives to traditional artistic media. 1954-1955 He intensifies his work for the Merce Cunningham Dance Company. In 1955 he moves into a studio in the same neighborhood as Jasper Johns. 1958 He has his first exhibition at the Leo Castelli gallery and begins his drawings to illustrate Dante’s Inferno. 1959 He is represented at the Documenta 2, Kassel, and at the Paris and São Paulo Biennials. 1960 He meets Marcel Duchamp. 1961 Rauschenberg takes a step in what can be considered the opposite direction by championing the role of “creator” in creating art’s meaning. Rauschenberg is invited to participate in an exhibition at the Galerie Iris Clert, where artists are to create and display a portrait of the owner, Iris Clert. Rauschenberg’s submission consists of a telegram sent to the gallery declaring: “This is a portrait of Iris Clert, if I say so.” 1962 He first uses the technique of silkscreen on canvas, mixed with painting, collage and affixed objects. Previously used only in commercial applications, silkscreen allows him to address the multiple reproducibility of images, and the consequent flattening of experience that that implies. In this respect, his work is contemporaneous with that of Andy Warhol, and both Rauschenberg and Johns are frequently cited as important forerunners of American Pop Art. He also creates his first lithographic work, for which he is awarded the Grand Prix at Ljubljana. 1963 He is given his first retrospective exhibition in Europe at the Galerie Sonnabend, Paris, also shown at the Jewish Museum, New York. He produces his first dance performance Pelican. 1964 He has a retrospective at the Whitechapel Gallery, London, and wins the Grand Prix at the Venice Biennial. He goes on world tour with Cage and Cunningham’s Dance Company. 1967 He makes his Revolvers, with revolving plexiglas discs. That year (the same year as Martin Luther King) he is made honorary doctor of Grinnel College, Iowa. Together with Billy Klüver he officially launches Experiments in Art and Technology (EAT) a non-profit organization established to promote collaborations between artists and engineers. His five-part construction, Oracle, owned by the Centre Georges Pompidou in Paris, and Soundings, owned by Museum Ludwig in Cologne, come from this collaboration. 1968-1971 Invited by NASA to witness the lift-off of Apollo 11 at Kennedy Space Center and to use this theme in his work. He sets up the Foundation Change Inc. for destitute artists in 1970, and a house with art studios in Florida in 1971. 1974 He collaborates with the writer Alain Robbe-Grillet. He also travels to Israel and India. 1975 He receives the Honorary Degree of Fine Arts from the University of South Florida, Tampa, and, together with James Rosenquist, becomes involved in appealing for a re-examination of taxation for non-profit making art institutions. 1976-1978 A large retrospective of his work is shown in several American cities. 1980 He has retrospectives at Berlin, Düsseldorf, Copenhagen, Frankfurt, Munich and London. 1981 His photographs are shown at the Centre Pompidou, Paris. He lives in New York City and on Captiva Island, Florida. 1989 His work goes on world tour, including an exhibition in Moscow. 2008 Dies in Captiva Island. Since 1951, Rauschenberg’s work has been exhibited extensively. His major museum exhibitions include those organized by: Jewish Museum, 173 Larry Rivers 174 York (1963), Whitechapel Gallery di Londra (1964), Walker Art Center di Minneapolis (1965), Museum of Modern Art di New York (1966 e 1969), Stedelijk Museum di Amsterdam (1968), Israel Museum di Gerusalemme (1974), National Collection of Fine Arts, Washington (1976-77), Staatliche Kunsthalle di Berlino (1980), Louisiana Museum di Humlebaek (1980) e Tate Gallery di Londra (1981), Centre Georges Pompidou di Parigi (1981), Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence (1984), XLI Biennale di Venezia (1984), Fundación Juan March di Madrid e Fundació Joan Miró di Barcellona (1985), Contemporary Arts Museum di Houston (1986), Metropolitan Museum of Art di New York (1987), Whitney Museum of American Art di New York (1990), Menil Collection di Houston (1991, poi itinerante fino al 1993), Aktionsfourm Praterinsel di Monaco di Baviera (1997), Solomon R. Guggenheim Museum e Guggenheim Museum Soho di New York (1997), Menil Collection, Contemporary Arts Museum e Museum of Fine Arts di Houston (1998), Museum Ludwig di Colonia (1998), Museo Guggenheim di Bilbao (1998-99), Whitney Museum of American Art di New York (2000), Baltimore Museum of Art di Baltimora (2000-2001), Museum of Fine Arts di Boston (2002). L’approccio di Rauschenberg all’arte è stato talvolta definito “neodada”, etichetta spesso condivisa con il pittore e grande amico Jasper Johns. La ripetuta citazione di Rauschenberg, che voleva lavorare “nello spazio tra arte e vita”, ha suggerito una messa in discussione della distinzione tra oggetti d’arte e oggetti di uso quotidiano, che ricorda le questioni sollevate dal famoso Orinatoio di Marcel Duchamp, pioniere del dadaismo. Allo stesso tempo i dipinti di numeri, bandiere e cose simili di Johns riprendono il messaggio di Duchamp sul ruolo dell’osservatore nella creazione del significato dell’arte. American Dream New York (1963); Whitechapel Gallery, London (1964); Walker Art Center, Minneapolis (1965); Museum of Modern Art, New York (1966 and 1969); Stedelijk Museum, Amsterdam (1968); Israel Museum, Jerusalem (1974); National Collection of Fine Arts, Washington (1976, touring to 1977); Staatliche Kunsthalle, Berlin (1980), tour included Louisiana Museum of Modern Art, Humlebaek (1980) and Tate Gallery, London (1981); Centre Georges Pompidou, Paris (1981); Fondation Maeght, Saint-Paul-de-Vence (1984); 41st Venice Biennial (1984); Fundación Juan March, Madrid, and Fundació Joan Miró, Barcelona (1985); Contemporary Arts Museum, Houston (1986), touring to the Metropolitan Museum of Art, New York (1987); Whitney Museum of American Art, New York (1990); Menil Collection, Houston (1991, touring to 1993); Aktionsfourm Praterinsel, Munich (1997); Solomon R. Guggenheim Museum and Guggenheim Museum Soho, New York (1997); Menil Collection, Contemporary Arts Museum and Museum of Fine Arts, Houston (1998); Museum Ludwig, Cologne (1998); Guggenheim Museum, Bilbao (1998-1999); Whitney Museum, New York (2000); the Baltimore Museum of Art (2000-2001); Museum of Fine Arts, Boston (2002). Rauschenberg’s approach is sometimes called “Neodada” a label he shares with the painter and close friend, Jasper Johns. Rauschenberg’s oft-repeated quote that he wanted to work “in the gap between art and life” suggests a questioning of the distinction between art objects and everyday objects, reminiscent of the issues raised by the notorious Fountain of Dada pioneer Marcel Duchamp. At the same time, Johns’ paintings of numerals, flags, and the like, are reprising Duchamp’s message of the role of the observer in creating art’s meaning. 1923 Yitzroch Loiza Grossberg nasce a New York, nel Bronx, da Samuel e Sonya Grossberg. 1940 Inizia a lavorare come sassofonista jazz, cambiando nome in Larry Rivers. 1942-1943 Si arruola nell’aviazione americana, l’US Army Air Corps, per poi congedarsi l’anno seguente per motivi di salute e tornare all’attività di musicista. 1944 Studia teoria e composizione musicale alla Juilliard School of Music di New York. Il suo primo incontro con l’arte avviene quando un musicista gli mostra un dipinto di Georges Braque raffigurante un contrabbasso. 1945 Inizia a dipingere alla Old Orchard Beach, nel Maine. Sposa Augusta Burger e nello stesso anno nasce il figlio Steven. 1946 Separatosi dalla moglie, si stabilisce a Manhattan dove entra in contatto con pittori, poeti e danzatori. 1947-1948 Si iscrive alla Hans Hofmann’s School of Painting di New York e Provincetown e l’anno successivo alla New York University. 1949 Tiene la sua prima personale. 1950 Compie il suo promo viaggio in Europa, trascorrendo otto mesi a Parigi e scrivendo poesie. Al suo rientro a New York si dedica a tempo pieno alla pittura, in casa con la suocera Bertha “Berdie” Burger e i figli Joseph e Steven. 1951 Consegue la laurea in Belle Arti alla New York University. Tiene la prima di undici mostre personali che si svolgeranno ogni anno (tranne che nel 1955) alla Tibor de Nagy Gallery, organizzate dal noto John Bernard Myers. Realizza le prime sculture di gesso. 1952 Disegna le scenografie per la commedia Try! Try! di Frank O’Hara, sempre prodotta da John Bernard Myers per l’Artists’ Theater. 1953 Realizza Washington Crossing the Delaware. Si trasferisce a Southampton, Long Island. 1954 Prima mostra di scultura. Prima acquisizione pubblica di un suo dipinto (The Burial), da parte della Gloria Vanderbilt Foundation. 1955 Prima grande acquisizione museale (Washington Crossing the Delaware) da parte del Museum of Modern Art. Vince il terzo premio in un concorso nazionale di pittura indetto dalla Corcoran Gallery. 1956 È uno dei dodici artisti che rappresentano l’America alla IV Biennale di San Paolo de Brasile. 1957 La suocera Berdie Burger muore all’età di sessantasei anni. Inizia a scolpire creando fusioni in metallo. Collabora con Frank O’Hara a una serie di litografie come illustrazioni di poesie, Stones. Vince 32.000 dollari nel programma televisivo The $ 64,000 Question. 1958 Trascorre un mese a Parigi suonando jazz in giro per la città con varie band. 1959 Da anni abituale cliente della Cedar Tavern, scrive una poesia che avvolge nella carta del menu, ma invece di illustrarla, com’era sua intenzione, dipinge Cedar Bar Menu I. Il Seagram’s Building acquista Menu II. 1960 Ha inizio la collaborazione con Kenneth Koch a poesie-dipinti. 1961-1962 Sposa Clarice Price. Fa amicizia con Jean Tinguely dopo averlo incontrato in un atelier di Impasse Ronsin a Parigi. Il primo frutto della collaborazione Rivers-Tinguely, The Friendship of America and France, viene esposto l’anno successivo al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. La Tate Gallery di Londra acquista Parts of the Face (French + Italian Vocabulary Lesson). 1963 Completa il First New York Film Festival Billboard che gli è stato commissionato. 1965 Prima mostra retrospettiva comprensiva di 170 opere fra dipinti, disegni, sculture e stampe, itinerante in cinque musei americani. Prepara The History of the Russian Revolution. From Marx to Mayakovsky per esporla al Jewish Museum. 1923 Yitzroch Loiza Grossberg was born in the Bronx, New York, to Samuel and Sonya Grossberg. 1940 Begins career as a jazz saxophonist, and changes his name to Larry Rivers. 1942-1943 Enlisted in the US Army Air Corps, receives honorable discharge from the armed forces for medical reasons in 1943. Resumes career as a musician. 1944 Studies music theory and composition at the Juilliard School of Music, New York. First exposure to art when a jazz musician shows him a painting of a bass fiddle by Georges Braque. 1945 Begins painting at Old Orchard Beach, Maine. Marries Augusta Burger. Birth of his son Steven. 1946 Separated from Augusta, moves to Manhattan where he begins to meet painters, poets and dancers. 1947-1948 Enrolls in Hans Hofmann’s school of painting in New York and Provincetown and in 1948 at New York University. 1949 First one-man exhibition. 1950 First trip to Europe, spending eight months in Paris writing poetry. On returning to New York begins painting full time, living with mother-in-law Bertha “Berdie” Burger and sons Joseph and Steven. 1951 Graduates BA in Art Education from New York University. First of eleven annual solo exhibitions (except 1955) at Tibor de Nagy Gallery, organized by representative John Bernard Myers. Begins sculpting in plaster. 1952 Designes sets for the play Try! Try! by Frank O’Hara, produced for the Artists’ Theater by John Bernard Myers. 1953 Washington Crossing the Delaware. Moves to Southampton, Long Island. 1954 First exhibition of sculpture. First painting acquisition (The Burial) by the Gloria Vanderbilt Foundation. 1955 First Major Museum acquisition (Washington Crossing the Delaware) by the Museum of Modern Art. Wins third prize in the Corcoran Gallery National Painting Competition for self-figure. 1956 One of twelve artists representing America at the IV Biennial do Museu de Arte Moderna de São Paulo, in Brazil. 1957 Mother-in-law Berdie Burger dies at age 66. Begins sculpting in welded metal. Begins collaborating with Frank O’Hara on Stones, a series of lithographs of illuminated poetry. Wins $ 32,000 on the TV show The $ 64,000 Question. 1958 Spends a month in Paris playing around town in several jazz bands. 1959 Having gone to Cedar Tavern for many years, comes away with a poem wrapped in a Cedar Bar menu. Instead of illustrating the poem (his original intention), paints Cedar Bar Menu I. Seagram’s Building purchases Me II. 1960 Begins collaborating with Kenneth Koch on painting-poems. 1961-1962 Marries Clarice Price. Paints in a studio in Impasse Ronsin where he meets and become friends with Jean Tinguely. The first Rivers-Tinguely collaboration, The Friendship of America and France, is shown in 1962 at the Musée des Arts Décoratifs. London’s Tate Gallery purchases Parts of the Face (French Vocabulary Lesson). 1963 Completes the commissioned First New York Film Festival Billboard. 1965 First comprehensive retrospective exhibition, of 170 paintings, drawings, sculptures and prints, tours five US museums. Prepares The History of the Russian Revolution. From Marx to Mayakovsky to be displayed at the Jewish Museum. 1967 Separates from Clarice Price. Travels to Central Africa to film the television documentary Africa and I with Pierre Gaisseau. Participates in the Museum of Modern Art’s memorial exhibition for the late poet and curator Frank O’Hara. 175 1967 Si separa da Clarice Price. Viaggia in Africa centrale per girare il documentario televisivo Africa and I con Pierre Gaisseau. Partecipa alla mostra del Museum of Modern Art in omaggio al poeta e critico Frank O’Hara. 1968 Torna in Africa con Gaisseau per completare il documentario. Sospettato di essere un mercenario, sfugge per poco alla morte. Compie il Boston Massacre, gigantesco murale in due parti per la New England Merchants National Bank di Boston. 1969 Realizza Forty Feet of Fashion per lo Smithhaven Mall. Inizia a lavorare con colori spray. 1970 Esegue Some American History per la De Menil Foundation, ricevendo il compenso più alto mai ottenuto per un lavoro su commissione. Alla pittura con gli spray seguono, come processo naturale, quella con l’aerografo e gli acrilici. Realizza dei videotape. 1971 Va in Oregon e in California. 1972 Registra in video alcuni spezzoni per elaborare con effetto melodrammatico una poesia di Kenneth Koch, The Artist, presentata al Whitney Museum di New York. Insegna all’University of California di Santa Barbara. 1973 Raggiunge la Svezia per una collettiva allo Swedish Museum of Modern Art di Stoccolma, dove viene esposta la sua opera Living at the Movies. Inizia una serie di dipinti ispirati al Coloring Book of Japan. 1974 Completa la serie giapponese e la espone alla Marlborough Gallery. 1976 Su invito dell’Unione degli artisti sovietici si reca in URSS dove tiene conferenze sull’arte americana in diverse città. Durante il viaggio realizza dei videotape. 1977 Realizza una serie di opere ispirate ai Sindaci di Rembrandt e tra queste Rainbow Rembrandt viene acquistata dall’Hirshhorn Museum. 1978 Inizia la serie Golden Oldies, orientando il suo tipico approccio storico alle proprie opere degli anni Cinquanta e Sessanta. Parte della serie è esposta alle ACA Galleries. 1979 Termina la serie Golden Oldies che – come egli stesso afferma – chiude con il passato e adesso: “Chi lo sa? Come diceva Edmund Wilson, tenterò di ‘sfiorare l’eccellenza’ del mio lavoro.” 1980 Mostra retrospettiva itinerante in Germania: Kestner-Gesellschaft, Hannover; Kunsthalle, Monaco; Staatliche Kunsthalle, Tubinga; infine Berlino. 1982 La serie The Continuing Interest in Abstract Art viene esposta alla FIAC (Grand Palais) di Parigi, alla Marlborough Fine Art di Londra e alla Marlborough Gallery di New York. 1983 Retrospettiva al Guild Hall Museum di East Hampton, New York, e al Lowe Art Museum di Coral Gables, Florida. 1984 Viene inaugurato il murale Philadelphia Now and Then al J.C. Penney di Philadelphia. 1984-1985 History of Matzah: The Story of Jews è esposta al Jewish Museum di New York. 1986 Completa un progetto di computer art per la BBC di Londra che verrà trasmesso alla TV americana. A ottobre tiene una mostra personale di dipinti a rilievo alla Marlborough Gallery di New York. Si interessa al motivo dei danzatori nella serie Make Believe Ballroom, originariamente ispirata a Fred Astaire, Ginger Rogers e Rita Hayworth, e realizza ritratti di altri ballerini anche moderni, tra cui Merce Cunningham. Realizza su commissione la copertina della rivista “New York Times”, Erasing the Past, utilizzando immagini di campi di concentramento. Questa ricerca lo induce a esprimere pensieri e idee riguardo all’olocausto e agli scritti di Primo Levi, e a realizzare una serie di ritratti di grandi dimensioni dello scrittore. 1987 All’inizio dell’anno va in Repubblica Dominicana nella speranza di “lavorare molto e con tranquillità” su Umber Blues. Recensisce il libro di Ron Sukenik 176 American Dream 1968 Returns to Africa with Gaisseau to complete documentary film. Narrowly escapes execution as a suspected mercenary. Completes giant two-part Boston Massacre murals for the New England Merchants National Bank of Boston. 1969 Completes Forty Feet of Fashion for the Smithhaven Mall. Begins working with spray cans. 1970 Completes Some American History for the De Menil Foundation, receiving highest price ever paid for a commissioned work. In a natural progression, working with spray cans leads to airbrush painting and use of acrylics. Begins working with videotape. 1971 Travels through Oregon and California. 1972 Returns to California and tapes video segments for an operatic treatment of Kenneth Koch’s poem, The Artist, which is performed at the Whitney Museum, New York. Teaches at the University of California at Santa Barbara. 1973 Travels to Sweden for group show at the Swedish Museum of Modern Art, Stockholm, where his work Living at the Movies, is exhibited. Begins series of paintings based on The Coloring Book of Japan. 1974 Completes the Japanese series, shown at Marlborough Gallery. 1976 Travels to Russia at the invitation of the Union of Soviet Artists, where he lectures in several cities on contemporary American art. Makes videotapes along the way. 1977 Starts a series of works based on Rembrandt’s Polish Rider of which Rainbow Rembrandt is purchased by the Hirshhorn Museum. 1978 Begins the Golden Oldies series, turning his characteristic historical approach to his own works of the 1950s and 1960s. Part of the series shown at the ACA Galleries. 1979 Completes Golden Oldies series. Golden Oldies closes out the past and now “…who knows,” says Rivers, “I’m concentrating on, as Edmund Wilson said, ‘touching the superlative’ in my own work.” 1980 Travelling retrospective exhibition: Kestner-Gesellschaft; Hanover Kunstverein; Munich Kunsthalle; Tubingen Staatliche Kunsthalle, Berlin. 1982 The Continuing Interest in Abstract Art series is shown at F.I.A.C. (Grand Palais, Paris), Marlborough Fine Art (London) Ltd., and Marlborough Gallery (New York). 1983 Thirty-year survey at Guild Hall Museum, East Hampton, New York and Lowe Art Museum, Coral Gables, Florida. 1984 The mural Philadelphia Now and Then inaugurates at J.C. Penney, Philadelphia. 1984-1985 History of Matzah: The Story of Jews is exhibited at the Jewish Museum, New York. 1986 Completes a Computer Art project for the BBC, London, to be seen on US television. Prepares for an October one-man exhibition of new relief paintings at Marlborough Gallery, New York. Interest in the motif of dancers for the Make Believe Ballroom series, based originally on Fred Astaire, Ginger Rodgers, and Rita Hayworth, continues with the portrayals of other dancers, including modern dancers like Merce Cunningham. Produces a commissioned cover for the “New York Times” magazine, Erasing the Past, using concentration camp imagery. Research for this led to an interest in expressing the thoughts and ideas about the Holocaust and the writings of Primo Levi, resulting in a set of large portraits of Primo Levi. 1987 Early in the year travels to the Dominican Republic in hope of “working long hours and quietly” on Umber Blues. Reviews Ron Sukenik’s book Down & in for the “New York Times”. Asked by the Philadelphia Historical Society to make a print celebrating the Bicentennial of the Constitution. Contributes a special eight-page project to “Art Forum” (November), 100 Avant-Garde Plays by Kenneth Koch. A concomitant interest in Duchamp and the modernist avant- Down & In per il “New York Times”. Su richiesta della Historical Society di Philadelphia realizza una stampa per celebrare il bicentenario della Costituzione americana. Partecipa a uno speciale progetto di otto pagine per “Art Forum” di novembre, 100 Avant-Garde Plays by Kenneth Koch. Al contempo l’interesse per Duchamp e per l’avanguardia modernista lo induce a realizzare il disegno della copertina e il manifesto dell’Armory Show ispirato al Nudo che scende le scale di Duchamp. Di quest’opera produce una serie di versioni di grandi dimensioni dal titolo 75 Years Later. Partecipa alla mostra Spoleto Festival USA della Gibbes Art Gallery. La televisione italiana lo intervista sulla sua opera che ritrae lo scrittore italiano Primo Levi per il programma What’s Happening in America trasmesso dalla RAI. 1990 Retrospettiva organizzata dal Butler Institute of American Art e dell’American Federation of Arts, Larry Rivers: Public and Private, itinerante in sei città tra il 1990 e il 1992. 1991 Continua una serie di lavori ispirati a opere di Matisse e di altri artisti d’inizio XX secolo. Una retrospettiva di stampe e multipli realizzati tra il 1957 e il 1992 inizia un’itineranza in nove città per terminare nel 1992. 1992 Crea opere raffiguranti membri della famiglia e amici oppure oggeti presenti nel suo studio. Per novembre è programmata la retrospettiva di dipinti, disegni e stampe del Nassau County Museum of Art. Harper Collins pubblica l’autobiografia di Larry Rivers What did I do?. L’artista diviene oggetto di numerose monografie universitarie, di video e di una tesi di laurea. 1993 Vari suoi lavori vengono esposti alla mostra organizzata dal Louvre Copier/créer de Turner à Picasso. 300 œuvres inspirées par les maîtres du Louvre. Altri sono esposti in Hand-painted Pop. American Art in Transition 1956-62, che parte dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles per poi essere presentata al Whitney Museum di New York. Uno dei suoi lavori tridimensionali è selezionato per la mostra Slittamenti nell’ambito della Biennale di Venezia. La personale dal titolo Art and the Artist segna la trentennale collaborazione con la Marlborough Gallery di New York. La mostra si sposta poi alla Marlborough di Madrid. 1994 Una mostra al County Museum di Nassau dal titolo Art after Art presenta lavori di Larry Rivers. 1995 L’arista è la figura centrale nella mostra Bop, Beat, and Beyond dell’Australia’s Museum of New South Wales che esplora il rapporto tra arti visive, musicisti e scrittori del movimento beat. Rivers compare anche nella mostra Beat Culture and the New America (1950-65) del Whitney Museum di New York. 1997 Il Philharmonic Center for the Arts di Naples, Florida, organizza una retrospettiva delle sue opere dal 1980 al 1997. Personale alla Marlborough Gallery di New York, Recent Works, mentre l’Ulysses Gallery di Vienna espone le sue prime opere su carta. 1998 Concentra i suoi sforzi principalmente su due temi, l’arte e l’artista, e la moda. Realizza disegni preparatori di un’opera sulla storia di Hollywood. 1999 L’interesse per la moda culmina nella personale Fashion Show alla Marlborough Gallery. Dal 1999 al 2000 si dedica a un progetto commissionato da Jeffrey Loria. The History of Hollywood, un montaggio dipinto su pannelli raffiguranti momenti memorabili della storia di Hollywood e 75 disegni supplementari. 2001 La Marlborough Gallery presenta la seconda Fashion Show con un’anteprima al Lord & Taylor Department Store sulla Fifth Avenue, poi alla Marlborough Gallery di Monte Carlo. 2002 Importante retrospettiva alla Corcoran Gallery di Washington. Continua a lavorare a dipinti sulla moda fino a tre mesi prima della morte, in agosto. Vari giornali e periodici a diffusione nazionale pubblicano necrologi in tutto il mondo, tra cui il “New York Times” che gli dedica la copertina. garde leads to the catalogue’s cover design and poster for the Art at the Armory show based on Duchamp’s Nude Descending a Staircase. Begins a series of large versions of Duchamp’s work, with the title 75 Years Later. Spoleto Festival USA exhibition at the Gibbes Art Gallery. Italian television interviews Rivers regarding his painting of the Italian writer Primo Levi for its program What’s Happening in America and is broadcasted on Italian National television. 1990 Traveling retrospective Larry Rivers: Public and Private organized by the Butler Institute of American Art and the American Federation of Arts, touring six cities 1990-1992. 1991 Continues a series of works based on works by Matisse and other early 20th-century artists. A retrospective of prints and multiples made between 1957 and 1991 begins a nine-city tour to end in 1992. 1992 Creates works based on depictions of family and friends and objects in the studio. Nassau County Museum of Art retrospective of paintings, drawings, and prints is scheduled through November 1992. Harper Collins, New York, Published Larry Rivers’ autobiography, What did I do? He is also the subject of several scholarly monographs and videos, and a doctoral dissertation. 1993 Has several works included in the exhibition Copier/créer de Turner à Picasso. 300 œuvres inspirées par les maîtres du Louvre, organized by the Louvre in Paris. Also has works included in Hand-painted Pop. American Art in Transition 1956-62, which originates at the Museum of Contemporary Art in Los Angeles and travels to the Whitney Museum in New York. One of his three dimensional works is selected for the exhibition Slittamenti, a segment of the Venice Biennial. A solo exhibition entitled Art and the Artist marks a thirty-year association with Marlborough Gallery in New York. The exhibition travels to Marlborough in Madrid, Spain. 1994 A show at the Nassau County Museum of Art entitled Art After Art features paintings by Larry Rivers. 1995 Participates as a central figure in the major exhibition entitled Bop, Beat, and Beyond at Australia’s Museum of New South Wales. This show explores the connections between visual artists, musicians and writers of the Beat period. Also featured in the comprehensive exhibition Beat Culture and the New America (1950-65) at the Whitney Museum in New York. 1997 The Philharmonic Center for the Arts in Naples, Florida mounts a retrospective of Rivers’ works from 1980-1997. Marlborough Gallery in New York features his solo exhibition, Recent Works, and Ulysses Gallery in Vienna features his early works on paper. 1998 Focuses his efforts mainly between two themes, Art and the Artist works and Fashion. Begins drawings in anticipation of a work about The History of Hollywood. 1999 Interest in fashion as a subject culminates in his first Fashion Show, a solo exhibition at Marlborough Gallery in New York. From 1999 through 2000 he embarks on a project commissioned by Jeffrey Loria. The History of Hollywood is a montage painted across four panels painted with Hollywood’s memorable moments, and 75 additional drawings. 2001 Marlborough presents the second Fashion Show which is previewed, appropriately, at Lord & Taylor Department Store on fashionable Fifth Avenue in New York and moves on to Marlborough Gallery in Monte Carlo. 2002 A major retrospective at the Corcoran Gallery of Art in Washington. Continues working on fashion paintings up until three months before his death in August. Obituaries appear in various newspapers and periodicals worldwide, with national coverage that include among others, “Time Magazine” and the front page of the “New York Times”, where they honor a formerly predicted front page coverage of his passing. 177 Mark Tobey 1890 Nasce a Centerville, Wisconsin. 1911 Si stabilisce a New York, dove lavora come disegnatore di moda. 1913 Studia all’Art Institute di Chicago. 1917 Mostra personale Portraits by Mark Tobey, M. Knoedler & Co. Gallery, New York. 1918 Tobey entra a far parte della comunità religiosa Baha’i. 1922 Insegna presso la Cornish School of Allied Arts di Seattle. 1923-1924 In questo periodo fa il più importante incontro della sua vita, avvicinandosi sempre di più agli insegnamenti Baha’i. Instaura un legame di amicizia con Teng Kuei, uno studente cinese dell’Università di Washington, che gli insegna la spiritualità e le tecniche pittoriche dell’Asia orientale (pennello, arte calligrafica e metodi di composizione). 1928 Paintings, Watercolors and Drawings by Mark Tobey, mostra personale presso l’Arts Club di Chicago. 1928-1929 Paintings and Drawings by Mark Tobey, Romany Marie’s Café Gallery, New York. 1929 Alfred Barr Jr. lo invita a partecipare alla mostra Painting and Sculpture by Living Americans, programmata per l’inverno 1930-31 presso il Museum of Modern Art di New York. 1931 Retrospective, Contemporary Arts Gallery, New York; Drawings and Watercolors by Mark Tobey, Harry Hartman Bookstore and Gallery, Seattle. 1931-1937 Tobey è resident artist alla Dartington Hall nel Devonshire, Gran Bretagna. Conosce Pearl S. Buck, Aldous Huxley, Bernard Leach, Rabindranath Tagore, Rudi Shankar e altri insegnanti di quello stesso istituto che, come lui, considerano estremamente importante l’incontro fra il pensiero orientale e quello occidentale. 1934 Viaggia in Europa e in Asia. Trascorre diversi mesi in un monastero zen nei pressi di Kyoto, in Giappone. Studia gli insegnamenti e la pittura zen, si dedica alla meditazione e all’apprendimento della calligrafia. In Giappone Tobey trova, per citare le sue parole, “l’impulso più decisivo verso la calligrafia” che più tardi lo avrebbe condotto alla scrittura bianca, la “white writing”. Allo stesso tempo, tuttavia, è consapevole di essere e di rimanere un uomo dell’Occidente. Prima mostra personale presso il Seattle Art Museum; Paintings and Drawings by Mark Tobey, Beaux-Arts Gallery, Bruton Place, Londra; Paul Elder Gallery, San Francisco. 1935 Dipinge Broadway e Welcome Hero alla Dartington Hall, utilizzando per la prima volta la “white writing”. Mostra alla Stanley Rose Gallery, Hollywood. 1940 Riceve il suo primo premio: il Baker Memorial Award alla Northwest Annual Exhibition presso il Seattle Art Museum. Espone all’Arts Club di Chicago. 1942 Riceve un premio acquisto per Broadway in occasione della mostra Artists for Victory presso il Museum of Modern Art, New York. Mostra al Seattle Art Museum. 1944 Mostra personale presso la Willard Gallery di New York, con la quale d’ora in poi collabora regolarmente. La prefazione al catalogo è di Sidney Janis. Questo esordio segna anche l’inizio del riconoscimento a livello nazionale. 1945 Willard Gallery, New York. 1945-1946 Paintings by Mark Tobey, mostra personale presso: Portland Art Museum, San Francisco Museum of Art, Arts Club di Chicago, Alger House del Detroit Institute of Arts. Si moltiplicano le mostre personali e gli inviti a mostre collettive. 1947 Willard Gallery, New York; Phillips Academy, Andover; Albany Gallery, Buffalo; Baltimore Museum of Art. 1948 Biennale di Venezia (cui parteciperà anche nel 1956, nel 1958 e nel 1964). 178 American Dream 1890 Born in Centerville, Wisconsin. 1911 Tobey moves to New York as a fashion illustrator. 1913 He studies at the Art Institute, Chicago. 1917 Portraits by Mark Tobey, M. Knoedler & Co. Gallery, New York. 1918 Enters the Baha’i religious community. 1922 Teaches at the Cornish School of Allied Arts in Seattle. 1923-1924 During this period he makes the most important encounter of his life following his contact with the Baha’i teachings. He becomes friendly with Teng Kuei, a Chinese student at the University of Washington, who teaches him the techniques of East Asian painting (brushwork, calligraphy and compositional methods) and spirituality. 1928 Paintings, Watercolors and Drawings by Mark Tobey, solo exhibition in the Arts Club of Chicago. 1928-1929 Paintings and Drawings by Mark Tobey, Romany Marie’s Café Gallery, New York. 1929 Alfred Barr Jr. invites him to take part in the exhibition Painting and Sculpture by Living Americans planned for the Winter of 1930-31 at the Museum of Modern Art, New York. 1931 Retrospective, Contemporary Arts Gallery, New York. Drawings and Watercolors by Mark Tobey, Harry Hartman Bookstore and Gallery, Seattle. 1931-1937 Tobey is “resident artist” in Dartington Hall, Devonshire, Great Britain. He gets to know Pearl S. Buck, Aldous Huxley, Bernard Leach, Rabindranath Tagore, Rudi Shankar and many others who are also teaching there and for whom, as for himself, the connection of Oriental and Western ideas is very important. 1934 Trips to Europe and Asia. He spends a month in a Zen monastery near Kyoto. He studies Zen teachings, Zen painting, meditates and spends much time studying calligraphy. In Japan Tobey finds – as he later described it himself – the “most decisive calligraphic impulse” which would later lead him to the “white writing”. At the same time, however, he is aware that he is and will always be a man of the West. First museum solo exhibition at the Seattle Art Museum Paintings and Drawings by Mark Tobey, Beaux-Arts Gallery, Bruton Place, London; Paul Elder Gallery, San Francisco. 1935 Paints the works Broadway and Welcome Hero in Dartington Hall. In these works Tobey uses the “white writing” style for the first time. Exhibition at the Stanley Rose Gallery, Hollywood. 1940 Receives his first Award: Baker Memorial Award, Northwest Annual Exhibition, Seattle Art Museum. Exhibition at the Arts Club of Chicago. 1942 For his work Broadway he is awarded a purchase prize on the occasion of the exhibition Artists for Victory at the Museum of Modern Art, New York. Exhibits at the Seattle Art Museum. 1944 Solo exhibition at Willard Gallery, New York. Catalogue introduced by Sidney Janis. This gallery continues to exhibit his work at regular intervals. This period also marks the start of his national recognition. 1945 Exhibits at the Willard Gallery, New York. 1945-1946 Paintings by Mark Tobey. Solo exhibitions: Portland Art Museum; San Francisco Museum of Art; Arts Club of Chicago; Alger House, Detroit Institute of Arts. Tobey’s solo exhibitions and invitations to national group exhibitions increase. 1947 Willard Gallery, New York; Phillips Academy, Andover; Albany Gallery, Buffalo; Baltimore Museum of Art. Foto/Ph. Josef Scaylea, 1953 1949 Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. 1950 Mark Tobey. Watercolors, Willard Gallery, New York. 1951 Mark Tobey Retrospective, Whitney Museum di New York, poi California Palace of the Legion of Honor di San Francisco, Università di Washington, Henry Gallery di Seattle, Santa Barbara Museum of Art; questa mostra determina il successo definitivo in America. Altre mostre: Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. Tobey è presente alla Biennale di San Paolo del Brasile (cui parteciperà anche nel 1955). 1952 Renaissance Society, Università di Chicago; Zoe Dusanne Gallery, San Francisco. 1953 Willard Gallery, New York. 1954 Inizia la serie Meditative. Prima mostra personale presso la Otto Seligman Gallery di Seattle, che rappresenta Tobey sulla West Coast; Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. 1955 Gallery of Art Interpretation, Art Institute, Chicago; Gump’s Gallery, San Francisco; Recent Paintings by Mark Tobey, Paul Kantor Gallery, Los Angeles. Tobey comincia a essere riconosciuto anche a livello internazionale e si inaugura per lui un periodo di mostre europee, tra cui la prima mostra personale in Europa presso la Galerie Jeanne Bucher di Parigi e la retrospettiva all’Institute of Contemporary Arts di Londra. 1956 Mostra collettiva insieme a Kline, de Kooning, Motherwell, Pollock, Rothko e Still. Tobey diventa membro permanente dell’Institut National des Arts et des Lettres di Parigi e inizia la serie Above the Earth. Personale alla Margaret Brown Gallery di Boston. Riceve il Guggenheim International Award. 1957 È l’anno degli inchiostri Sumi Otto Seligman Gallery, Seattle; Sumi Paintings by Mark Tobey, Willard Gallery, New York; Art Gallery of Greater Victoria, Canada. 1958 Riceve il Gran Premio internazionale per la pittura alla XXIX Biennale di Venezia. Personali: State College, San José; Galerie Stadler, Parigi; St. Albans School, Washington. Partecipa all’esposizione internazionale 50 ans d’art moderne a Bruxelles. 1959-1960 Mark Tobey. A Retrospective Exhibition from Northwest Collections: Seattle Art Museum; Portland Art Museum; Colorado Springs Fine Arts Center; Pasadena Art Museum; M.H. De Young Memorial Museum, San Francisco. È invitato a Documenta 2 a Kassel (parteciperà anche a Documenta 3, nel 1964). 1960 Tempere e inchiostri di Mark Tobey, Galleria Notizie, Torino; Galerie Jeanne Bucher, Parigi; Masterworks by Mark Tobey, Frederic Hobbs Fine Art Gallery, San Francisco. Nominato membro dell’American Academy of Arts and Sciences, rifiuta l’onorificenza. Nel mese di luglio si stabilisce a Basilea. Tobey Retrospektive, Kunsthalle Mannheim. 1961 Riceve il primo premio alla International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture presso il Carnegie Institute di Pittsburgh. Mostra personale alla Galerie Beyeler di Basilea, con la quale in seguito collabora in modo continuativo. Retrospettiva al Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre, Parigi. Altre personali: Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden; AFA, Monterey; College Library Gallery, Peninsula; Royal S. Marks Gallery, New York. 1962 Retrospettive: Museum of Modern Art, New York; Phillips Collection, Washington; Whitechapel Art Gallery, Londra; Palais des Beaux-Arts, Bruxelles. Altre mostre: World’s Fair, Seattle; Otto Seligman Gallery, Seattle; Willard Gallery, New York; Konstsalongen Samlaren, Stoccolma. 1962-1963 Cleveland Museum of Art; Art Institute, Chicago; Konstmuseum, Göteborg. 1948 He takes part in the Venice Biennial (also in 1956, 1958 and 1964). 1949 Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. 1950 Mark Tobey. Watercolors, Willard Gallery, New York. 1951 Mark Tobey Retrospective, solo exhibition at the Whitney Museum, New York, the California Palace of the Legion of Honor, San Francisco, the University of Washington, the Henry Gallery, Seattle and the Santa Barbara Museum of Art bring about his American breakthrough; other exhibitions at Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. Tobey takes part in the São Paulo Biennial (also in 1955). 1952 Renaissance Society, University of Chicago; Zoe Dusanne Gallery, San Francisco. 1953 Willard Gallery, New York. 1954 Start of the Meditative series. First solo exhibition at Otto Seligman Gallery, Seattle, which represents Tobey’s works on the West Coast. Margaret Brown Gallery, Boston; Willard Gallery, New York. 1955 Art Institute, Chicago; Gump’s Gallery, San Francisco. Recent Paintings by Mark Tobey, Paul Kantor Gallery, Los Angeles. Start of his international recognition and a period of regular exhibitions in Europe. First solo exhibition in Europe at the Galerie Jeanne Bucher, Paris. Retrospective at the Institute of Contemporary Arts, London. 1956 Group show with Kline, de Kooning, Motherwell, Pollock, Rothko and Still. Tobey becomes a permanent member of the Institut National des Arts et des Lettres, Paris, and he begins the series Above the Earth. Margaret Brown Gallery, Boston. He receives the Guggenheim International Award. 1957 The year of the Sumi inks. Otto Seligman Gallery, Seattle; Sumi Paintings by Mark Tobey, Willard Gallery, New York; Art Gallery of Greater Victoria, Canada. 1958 Tobey receives the Major International Award for Painting at the 29th Venice Biennial. Solo exhibitions: San José State College; Galerie Stadler, Paris; St. Albans School, Washington. Tobey takes part in the world exhibition 50 ans d’art moderne in Brussels. 1959-1960 Mark Tobey. A Retrospective Exhibition from Northwest Collections, Seattle Art Museum; Portland Art Museum; Colorado Springs Fine Arts Center; Pasadena Art Museum; M.H. De Young Memorial Museum, San Francisco. Tobey takes part in Documenta 2, Kassel, Germany (also in Documenta 3, 1964). 1960 Tempere e inchiostri di Mark Tobey, Galleria Notizie, Turin; Galerie Jeanne Bucher, Paris; Masterworks by Mark Tobey, Frederic Hobbs Fine Art Gallery, San Francisco. He is nominated as member of the American Academy of Arts and Sciences. Tobey rejects this nomination. In July he moves to and settles in Basel. Tobey Retrospective, Kunsthalle, Mannheim. 1961 He receives the first prize at The International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture at the Carnegie Institute, Museum of Art, Pittsburgh. Solo exhibition at Galerie Beyeler, Basel. From this point on he works with the gallery on a regular basis. Retrospective at the Musée des Arts Décoratifs, Palais du Louvre, Paris; Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden; AFA, Monterey; College Library Gallery, Peninsula; Royal S. Marks Gallery, New York. 1962 Retrospectives at the Museum of Modern Art, New York; the Phillips Collection, Washington; Whitechapel Art Gallery, London; Palais des BeauxArts, Brussels; World’s Fair, Seattle; Otto Seligman Gallery, Seattle; Willard Gallery, New York; Konstsalongen Samlaren, Stockholm. 1962-1963 Cleveland Museum of Art; Art Institute, Chicago; Göteborgs Konstmuseum. 179 Andy Warhol 1963 Seattle Art Museum; American Federation of Arts Galleries, Carmel (Israele). 1964 Long Beach Museum of Art. 1965 Les monotypes de Tobey, Galerie Jeanne Bucher, Parigi; Galerie Alice Pauli, Losanna; Recent Paintings by Mark Tobey, Willard Gallery, New York; Otto Seligman Gallery, Seattle; Arts Center, Fresno. 1966 Retrospettiva: Stedeljik Museum, Amsterdam; Kunsthalle, Berna; KestnerGesellschaft, Hannover; Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen, Düsseldorf. Personale alla Galerie Beyeler, Basilea. 1967 Willard Gallery, New York; Galerie Nordquist, Malmö. 1967-1968 Stanford University, Stanford; Roosevelt University, Chicago; University of California, Santa Barbara. 1968 A Parigi riceve il riconoscimento come Cavaliere dell’Ordine delle arti e delle lettere. Retrospettive: Dallas Museum of Fine Arts; State Capitol Museum, Olympia; Galerie Jeanne Bucher, Parigi; Hanover Gallery, Londra. 1969 Peale House Galleries, Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia; Bon Marché, Seattle. 1970-1971 Riceve il premio Skowhegan School of Painting and Sculpture Award. Tobey’s 80. A Retrospective, Seattle Art Museum; Mark Tobey. TemperaBlätter, Aquatinten von 1970, Lithographien 1961-1970, Galerie Günther Franke, Monaco; Tobey. Exhibition on the Occasion of his 80th Birthday, Galerie Beyeler, Basilea. 1971 Whitney Museum, New York; Galleria Il Fauno, Torino; Galleria dell’Ariete, Milano; Galerie Alice Pauli, Losanna; Baukunst-Galerie, Colonia; Frankfurter Kunstkabinett Hanna Bekker vom Rath, Francoforte; National Academy of Design, New York; Willard Gallery, New York; Galerie Marbach, Parigi; Humboldt Galleries, San Francisco. 1972 Mark Tobey. A Decade of Printmaking, Cincinnati Art Museum e Tacoma Art Museum; Mark Tobey Graphics. Selected Works on Paper from the Gallery Collection, Martha Jackson Gallery, New York. 1973 Galerie Beyeler, Basilea; Willard Gallery, New York; Foster/White Gallery, Seattle. 1974 Humboldt Galleries, San Francisco; Willard Gallery, New York; Steinberg Hall, Washington University. 1974-1975 Tribute to Mark Tobey, Smithsonian Institution, Washington; Seattle Art Museum; City Art Museum, St. Louis. 1975 Tobey. Rückblick auf harmonische Weltbilder, retrospettiva al Museum Haus Lange, Krefeld; Galerie Ursus-Presse, Düsseldorf. 1976 Il 24 aprile Mark Tobey muore a Basilea. Lo stesso anno si tengono quattro mostre personali: M. Knoedler & Co. Gallery, New York; Ruth Schaffner Gallery, New York; Eliane Ganz Gallery, San Francisco; Galleria La Nuova Città, Brescia. Dal 1976 a oggi più di 60 mostre personali, omaggi e retrospettive sono state dedicate a Mark Tobey in tutti i paesi del modo, dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Svizzera alla Francia, dall’Italia al Belgio. Numerose mostre collettive hanno ospitato le sue opere, che rimangono un punto di riferimento per la loro ispirazione lirica, al di là di ogni corrente artistica. 180 American Dream 1963 Seattle Art Museum; American Federation of Arts Galleries, Carmel (Israel). 1964 Long Beach Museum of Art. 1965 Les monotypes de Tobey, Galerie Jeanne Bucher, Paris; Galerie Alice Pauli, Lausanne; Recent Paintings by Mark Tobey, Willard Gallery, New York; Otto Seligman Gallery, Seattle; Fresno Arts Center. 1966 Retrospective at the Stedeljik Museum, Amsterdam; the Kunsthalle, Bern; the Kestner-Gesellschaft, Hanover, and the Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen, Düsseldorf. Solo show at the Galerie Beyeler, Basel. 1967 Willard Gallery, New York; Galerie Nordquist, Malmö. 1967-1968 Stanford University, Stanford; Roosevelt University, Chicago; University of California, Santa Barbara. 1968 He gets honored in Paris with the title “Commandeur de l’Ordre des arts et des lettres”. Retrospective at the Dallas Museum of Fine Arts; State Capitol Museum, Olympia; Galerie Jeanne Bucher, Paris; Hanover Gallery, London. 1969 Peale House Galleries, Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia; Bon Marché, Seattle. 1970-1971 He receives the Skowhegan School of Painting and Sculpture Award. Tobey’s 80. A Retrospective, Seattle Art Museum; Mark Tobey. TemperaBlätter, Aquatinten von 1970, Lithographien 1961-1970, Galerie Günther Franke, Munich; Tobey. Exhibition on the Occasion of his 80th Birthday, Galerie Beyeler, Basel. 1971 Whitney Museum, New York; Galleria Il Fauno, Turin; Galleria dell’Ariete, Milan; Galerie Alice Pauli, Lausanne; Baukunst-Galerie, Cologne; Frankfurter Kunstkabinett Hanna Bekker vom Rath, Frankfurt/Main; National Academy of Design, New York; Willard Gallery, New York; Galerie Marbach, Paris; Humboldt Galleries, San Francisco. 1972 Mark Tobey. A Decade of Printmaking, Cincinnati Art Museum Tacoma Art Museum; Mark Tobey Graphics. Selected Works on Paper from the Gallery Collection, Martha Jackson Gallery, New York. 1973 Galerie Beyeler, Basel; Willard Gallery, New York; Foster/White Gallery, Seattle. 1974 Humboldt Galleries, San Francisco; Willard Gallery, New York; Steinberg Hall, Washington University. 1974-1975 Tribute to Mark Tobey, Smithsonian Institution, Washington; Seattle Art Museum; City Art Museum, St. Louis. 1975 Tobey. Rückblick auf harmonische Weltbilder, retrospective at the Museum Haus Lange, Krefeld; Galerie Ursus-Presse, Düsseldorf. 1976 Mark Tobey dies in Basel, on April 24th. In the same year four solo exhibitions are held at M. Knoedler & Co. Gallery, New York; Ruth Schaffner Gallery, New York; Eliane Ganz Gallery, San Francisco; Galleria La Nuova Città, Brescia. From 1976 up to our days 60 solo exhibitions, tributes and retrospectives have been devoted to Mark Tobey all over the world, in the United States, Germany, Switzerland, France, Italy and Belgium. Several group shows have included his works that remain a reference point in art history for their lyrical inspiration beyond any art current. 1928 Andrew Warhola nasce a Pittsburgh, Pennsylvania. Nel 1912 il padre Ondrej, originario dell’Impero Austro-Ungarico (l’attuale Slovacchia), era giunto negli Stati Uniti e la madre, Julia Zavacky, lo aveva seguito nel 1921. Il padre lavora come muratore e poi come minatore. Dopo qualche tempo la famiglia si trasferisce a Pittsburgh. Durante l’adolescenza Andy soffre di esaurimenti nervosi. 1945-1949 Nel 1945 si laurea alla Schenley High School di Pittsburgh e si iscrive al Carnegie Institute of Technology (ora Carnegie-Mellon University), diplomandosi nel giugno 1949. Durante il college conosce Philip Pearlstein, suo compagno di studi. Dopo la laurea Andy Warhol (eliminata la lettera finale “a” dal cognome) si trasferisce a New York e per alcuni mesi condivide un appartamento con Pearlstein in St. Mark’s Place. Durante questo periodo cambia casa numerose volte, abitando in diversi appartamenti di Manhattan. A New York incontra Tina Fredericks, direttore artistico di “Glamour”: i suoi primi lavori sono disegni eseguiti per questa rivista, come Success Is a Job in New York, e scarpe da donna. Disegna inoltre pubblicità per varie riviste, tra cui “Vogue” e “Harper’s Bazaar”, e realizza copertine di libri e biglietti d’auguri. 1950-1951 Nel 1950, si trasferisce in un appartamento sulla East 75th Street. Sua madre va a vivere con lui, e Fritizie Miller diventa suo agente. 1952 La sua prima mostra personale ha luogo alla Hugo Gallery di New York, dove sono esposti disegni che illustrano racconti di Truman Capote. Inizia a illustrare vari libri, tra cui il Complete Book of Etiquette di Amy Vanderbilt. 1953-1955 Lavora per un gruppo teatrale sulla Lower East Side, realizzando scenografie. È intorno a questo periodo che si tinge i capelli di grigio argento. Pubblica diversi libri, tra cui Twenty-Five Cats Named Sam e One Blue Pussy. 1956 Viaggia in tutto il mondo con Charles Lisanby, un set designer televisivo. In aprile partecipa a una prima mostra collettiva, Recent Drawings USA, tenuta al Museum of Modern Art di New York. Inizia a ricevere riconoscimenti per il suo lavoro, con il 35th Annual Art Directors Club Award for Distinctive Merit, per una pubblicità di scarpe della ditta I. Miller. Lo stesso anno pubblica In the Bottom of My Garden. 1957 Riceve il 36th Annual Art Directors Club Medal e l’Award of Distinctive Merit per le pubblicità I. Miller e “Life” pubblica sue illustrazioni per un articolo, Crazy Golden Slippers. 1960 Nel 1960 Warhol inizia propriamente a dipingere: quadri basati su fumetti, come Dick Tracy, Braccio di Ferro, Superman, e su bottiglie di Coca-Cola. 1961 Utilizzando la striscia di fumetti di Dick Tracy progetta una vetrina per Lord & Taylor. Le gallerie d’arte più importanti del paese cominciano a notare il suo lavoro. 1962 Warhol realizza dipinti che riproducono banconote da un dollaro e lattine di zuppa Campbell’s, e il suo lavoro viene incluso in un’importante mostra di arte pop, The New Realists, presso la Sidney Janis Gallery di New York. Nel novembre dello stesso anno Eleanor Ward espone i suoi dipinti alla Stable Gallery in una mostra che riscuote un successo sensazionale. 1963 Warhol affitta uno studio in una caserma dei pompieri sulla East 87th Street. Conosce il suo futuro assistente Gerard Malanga e inizia a girare il suo primo film, Tarzan and Jane Regained... Sort of (1964). In seguito si reca a Los Angeles per la sua seconda mostra alla Ferus Gallery. Nel novembre dello stesso anno trova un loft al 231 East 47th Street, che diventa il suo studio principale, la Factory. In dicembre inizia la produzione di Red Jackie, il primo dipinto della serie dedicata alla vedova del presidente USA assassinato. 1964 La Galerie Ileana Sonnebend di Parigi ospita la sua prima mostra personale europea, esponendo la serie Flowers. L’artista riceve un incarico dall’architetto Philip Johnson per realizzare un murale, intitolato Thirteen Most Wanted Men, per il New York State Pavilion alla New York World’s Fair. In aprile vince 1928 Andrew Warhola was born in Pittsburgh, Pennsylvania. His father, Ondrej, comes from the Austria-Hungary Empire (now Slovakia) in 1912, and sends for his mother, Julia Zavacky, in 1921. His father works as a construction worker and later as a coal miner. Around some time, the family moves to Pittsburgh. During his teenage years, Andy suffers from several nervous breakdowns. 1945-1949 He graduates from Schenley High School in Pittsburgh, and enrolls in the Carnegie Institute of Technology (now Carnegie-Mellon University), graduating in June 1949. During college, he meets Philip Pearlstein, a fellow student. After graduation, Andy Warhol (having dropped the letter “a” from his last name) moves to New York City, and shares an apartment with Pearlstein at St. Mark’s for a couple months. During this time, he moves in and out of several Manhattan apartments. In New York, he meets Tina Fredericks, art editor of “Glamour” magazine. Warhol’s early jobs are doing drawings for “Glamour”, such as the Success is a Job in New York, and women’s shoes. He also draws advertising for various magazines, including “Vogue”, “Harper’s Bazaar”, book jackets, and holiday greeting cards. 1950-1951 During the 1950s, he moves to an apartment on East 75th Street. His mother moves in with him, and Fritizie Miller becomes his agent. 1952 His first solo exhibition is held at Hugo Gallery, New York, of drawings to illustrate stories by Truman Capote. He starts illustrating books, beginning with Amy Vanderbilt’s Complete Book of Etiquette. 1953-1955 He works for a theatre group on the Lower East Side, and designs sets. It is around that time that he dyes his hair silver. Warhol publishes several books, including Twenty-Five Cats Named Sam, and One Blue Pussy. 1956 He travels around the world with Charles Lisanby, a television-set designer. In April of this year, he is included in his first group exhibition, Recent Drawings USA, held at the Museum of Modern Art, New York. He begins receiving accolades for his work, with the 35th Annual Art Directors Club Award for Distinctive Merit, for an I. Miller shoe advertisement. He publishes In the Bottom of My Garden later that year. 1957 Receives 36th Annual Art Directors Club Medal and Award of Distinctive Merit, for the I. Miller show advertisements, and “Life” magazine publishes his illustrations for an article, Crazy Golden Slippers. 1960 Warhol begins to make his first paintings. They are based on comic strips in the likes of Dick Tracy, Popeye, Superman, and two of Coca-Cola bottles. 1961 Using the Dick Tracy comic strip, he designs a window display for Lord & Taylor, at this time, major art galleries around the nation begin noticing his work. 1962 Warhol makes paintings of dollar bills and Campbell soup cans, and his work is included in an important exhibition of Pop Art, The New Realists, held at Sidney Janis Gallery, New York. In November of this year, Eleanor Ward shows his paintings at Stable Gallery, and the exhibition begins a sensation. 1963 He rents a studio in a firehouse on East 87th Street. He meets his assistant, Gerard Malanga, and starts making his first film, Tarzan and Jane Regained… Sort of (1964). Later, he drives to Los Angeles for his second exhibition at the Ferus Gallery. In November of that year, he finds a loft at 231 East 47th Street, which become his main studio, the Factory. In December, he begins production of Red Jackie, the first of the Jackie series. 1964 His first solo exhibition in Europe, held at the Galerie Ileana Sonnebend in Paris, features the Flower series. He receives a commission from architect Philip Johnson to make a mural, entitled Thirteen Most Wanted Men for the New York State Pavilion in the New York World’s Fair. In April, he receives an Independent Film Award from “Film Culture” magazine. In November, his first solo exhibition in the US is held at Leo Castelli Gallery. And at this time, he begins his Self Portrait series. 1965 In summer Andy Warhol meets Paul Morrissey, who becomes his advisor and 181 l’Independent Film Award dalla rivista “Film Culture”. A novembre tiene una grande mostra personale presso la Leo Castelli Gallery di New York e in questo momento inizia la serie degli autoritratti. 1965 In estate Warhol incontra Paul Morrissey, che diventa suo collaboratore. Tiene la sua prima mostra personale museale presso l’Institute of Contemporary Art, alla University of Pennsylvania. Nel corso dell’anno annuncia il ritiro dalla pittura, che tuttavia sarà di breve durata. È in questo periodo che conosce Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker (collettivamente noti come i Velvet Underground), e una modella tedesca diventata corista, chiamata Nico. Fa incontrare Nico e i Velvet, e tutti sviluppano uno stretto legame con Warhol. È un’alleanza che cambia per sempre il volto della cultura mondiale. Warhol produce il primo album del gruppo, The Velvet Underground and Nico, che molti critici considerano “il disco più influente di tutti i tempi”. Più tardi uno spettacolo multimediale (chiamato The Exploding Plastic Inevitable) verrà sviluppato, gestito e prodotto da Warhol in collaborazione con i Velvet Underground. 1966 Chelsea Girls (1966) di Warhol è il primo film underground a essere proiettato in un teatro commerciale. 1967 Chelsea Girls debutta a Los Angeles e San Francisco. Sei autoritratti di Warhol vanno in mostra all’Expo 67 di Montreal, in Canada. In agosto tiene conferenze in diversi college della zona di Los Angeles; il suo personaggio diventa così popolare che invia Allen Midgette a impersonarlo in alcuni college per conferenze. In seguito Warhol trasferisce la Factory al 33 di Union Square West e incontra Fred Hughes, che diventerà presidente della Andy Warhol Enterprise. 1968 La prima mostra personale in un museo europeo si tiene presso il Moderna Museet di Stoccolma. Il 3 giugno 1968 Warhol viene ferito a colpi di pistola da Valerie Solanas, un’ultraradicale appartenente alla sua cerchia, fondatrice della SCUM (Society for Cutting Up Men). Fortunatamente sopravvive, dopo aver trascorso due mesi in ospedale. (L’incidente diventerà il soggetto del film I Shot Andy Warhol, del 1996). In seguito Warhol abbandona temporaneamente il cinema e non si riprenderà mai emotivamente dall’aver sfiorato la morte. 1970 Nei primi anni Settanta lo status di Andy Warhol come icona dei media sale alle stelle, ed egli usa la sua influenza per sostenere molti artisti più giovani. Inizia la pubblicazione della rivista “Interview”, con il primo numero nell’autunno del 1969. 1971 Una sua pièce teatrale, intitolata Pork, debutta a Londra al Round House Theatre. 1972 Riprende a dipingere con impegno, eseguendo principalmente ritratti di celebrità. La Factory viene trasferita all’860 di Broadway. 1975 L’artista acquista una casa in Lexington Street. Una grande retrospettiva del suo lavoro si tiene a Zurigo. 1976 Realizza le serie Skulls e Hammer and Sickle. Negli ultimi anni Settanta e negli Ottanta si tengono varie mostre su di lui, mentre egli lavora alle serie Reversals, Retrospectives e Shadows. Seguono le serie Myths, Endangered Species e Ads. 1987 Alla fine di gennaio inaugura la sua ultima mostra, The Last Supper, alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese di Milano. Il 22 febbraio 1987, un “giorno d’infamia medica”, come scriverà un suo biografo, Andy Warhol muore in seguito a complicazioni per un intervento alla cistifellea. Aveva cinquantanove anni. “La richiesta di opere di Andy Warhol è aumentata notevolmente negli anni successivi alla sua morte. Il suo impatto sulle arti, sul fare arte e sulla cultura in generale continua a echeggiare presso gli artisti e il pubblico di tutto il mondo. Il suo lavoro è stato esposto in numerose gallerie e musei. La Fondazione Andy Warhol continua a sostenere manifestazioni che incoraggiano l’interazione del pubblico e la comprensione del variegato corpus del lavoro di Warhol, come pure a sostenere un crescente numero di borse di studio in favore di ricerche sulla sua pratica artistica e sul suo posto nella storia dell’arte contemporanea” (The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts). 182 American Dream collaborator. His first solo museum exhibition is held at the Institute of Contempary Art, at the University of Pennsylvania. During this year, he makes a surprise announcement of his retirement from painting, but it is to be short lived. He would resume painting again in 1972. It is around this time that he meets Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison, and Maureen Tucker (collectively known as the Velvet Underground), and a German-born model turned chanteuse called Nico. He pairs Nico with the Velvets, and they develop a close bond with Warhol. This is an alliance that forever changes the face of world culture. Warhol produces the group’s first album, The Velvet Underground and Nico, which has been called “the most influential record ever” by many critics. Later, a multimedia show is developed (called The Exploding Plastic Inevitable), managed, and produced by Warhol, featuring the Velvet Underground. 1966 In summer Warhol’s film Chelsea Girls becomes the first underground film to be shown at a commercial theater. 1967 Chelsea Girls opens in Los Angeles and San Francisco, and six of his Self Portraits are shown at Expo 67 in Montreal, Quebec, Canada. In August of this year, he gives a lecture at various colleges in the Los Angeles area, his persona is so popular that some colleges hire Allen Midgette to impersonate him for lectures. Later, Warhol moves the Factory to 33 Union Square West, and meets Fred Hughes, who later becomes President of the Andy Warhol Enterprise. 1968 Warhol’s first solo European museum exhibition is held at Moderna Museet, Stockholm. But later that year on June 3, 1968, Warhol is shot by Valerie Solanas, an ultra-radical and member of the entourage surrounding Warhol. Solanis is the founder of SCUM (Society for Cutting Up Men). Fortunately, Warhol survives the assassination attempt after spending two months in a hospital. This incident will be the subject of the film, I Shot Andy Warhol (1996). Afterwards, Andy Warhol drops out of the film making business, but now and then continues his contribution to film and art. He never emotionally recovers from his brush with death. 1970 During these years, Andy Warhol’s status as a media icon skyrockets, and he uses his influence to back many younger artists. He begins publishing of “Interview” magazine. 1971 His play, entitled Pork, opens at London at the Round House Theatre. 1972 He resumes painting, although it is primarily celebrity portraits. The Factory is moved to 860 Broadway. 1975 He buys a house on Lexington Street. A major retrospective of his work is held in Zurich. 1976 He creates the Skulls and Hammer and Sickle series. Throughout the late 1970s and 1980s, a retrospective exhibition is held, as Warhol begins work on the Reversals, Retrospectives, and Shadows series. The Myths series, Endangered Species series, and Ads series followed through the early and mid 1980s. 1987 At the end of January his last exhibition The Last Supper takes place in Galleria Gruppo Valtellinese, Milan. On 22 February 1987, a “day of medical infamy”, as quoted by one biographer, Andy Warhol dies following complications from gall bladder surgery. He is 59 years old. “Demand for Warhol’s work has increased substantially in the years since his death. His impact on the arts, art making, and culture-at-large continues to resonate with artists and audiences around the world. His work has been included in numerous gallery and museum exhibitions, selection of the last five years shows is listed below. The Foundation continues to support exhibitions that encourage public interaction with and understanding of Warhol’s diverse body of work and that expand the growing body of scholarship on his artistic practice and his place in contemporary art history” (The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts). Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 presso Tipografia Camuna S.p.A. - Breno/Brescia Centro Stampa di Brescia Pubblicazione stampata con assenza di esalazioni alcooliche Sistema Cesius® brevetto Philip Borman Italia