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dallo stress lavoro correlato al burnout negli operatori sanitari
Università Politecnica delle Marche
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari
Clinica di Medicina del Lavoro
Direttore: Prof.ssa Lory Santarelli
TESI DI DOTTORATO DI RICERCA IN:
SCIENZE DELLA SICUREZZA E TUTELA DELLA SALUTE NEGLI AMBIENTI DI LAVORO
DALLO STRESS LAVORO CORRELATO AL BURNOUT NEGLI
OPERATORI SANITARI: STUDIO PILOTA PER LA VALUTAZIONE
DI UN PROTOCOLLO DI RICERCA
Tutor:
Tesi di Dottorato di:
Prof.ssa Lory Santarelli
Dott. Simone Borsetti
Anni Accademici
2012-2014
INDICE
Introduzione: I limiti epistemologici delle precedenti ricerche
sullo stress lavoro-correlato
pag. 3
Capitolo 1: LO STRESS LAVORO – CORRELATO
1.1 L’evoluzione della sicurezza sul lavoro:
pag. 4
1.1.1 Fine 1800
1.1.2 Anni 1920 - 1930
1.1.3 Anni 1940 - 1950
1.1.4 Anni 1960 - 1970
1.1.5 Anni 1980 - 1990
1.2 La tutela dei lavoratori oggi
pag. 6
1.3 Che cos’è lo stress
pag. 6
1.4 Le principali cause di stress
pag. 7
1.4.1. Fattori centrati sulla persona e sull’ambiente
1.4.2 Lavoro a turni e notturno
1.5 Le variabili intervenienti nell’azione dello stress
pag. 8
1.5.1 Le caratteristiche di personalità
1.5.2 Stress e personalità alessitimica
1.5.3 La motivazione
1.5.4 La vigoria psicologica (Hardiness) secondo Suzanne Kobasa
1.5.5 Stress lavorativo e resilienza
1.5.6 Le strategie di coping
1.5.7 La “personalità” dell’Organizzazione
1.5.8 Stress e stile comunicativo
1.5.9 La tipologia di lavoro: La Sanità
1.6 Crisi economica vs livello di stress
2. Le conseguenze dello stress
pag. 19
2.1 I costi per l’organizzazione
2.2 I problemi per il lavoratore
2.2.1 Problematiche derivanti dal lavoro a turni e notturno
2.3 Le psicopatologie da stress
1
Capitolo 2: IL BURNOUT
2.1 La Sindrome del Burnout
pag. 26
2.2 Il fenomeno del Burnout: aspetti teorici
pag. 27
2.3 I Modelli del Burnout
pag. 30
2.4 Le cause del burnout
pag. 34
2.5 Le variabili individuali e organizzative che incidono sul burnout pag. 37
2.5.1 Fattori individuali
pag. 38
2.5.2 Fattori organizzativi
pag. 40
2.6 Il burnout nelle professioni sanitarie
pag. 40
2.7 Il costo del burnout
pag. 42
2.8 La prevenzione del burnout in ambito organizzativo
pag. 44
2.8.1 L’approccio individuale
pag. 45
2.8.2 L’approccio organizzativo
pag. 46
2.9 La promozione dei valori umani
pag. 48
3. Il ruolo della formazione nella prevenzione del burnout
pag. 49
4. Riflessioni
pag. 49
Capitolo 3: METODOLOGIA
3.1 Caratteristiche del campione e reclutamento
pag. 51
3.2 Procedura
pag. 51
3.2 Questionari psicometrici utilizzati
pag. 52
Capitolo 4: ANALISI DEI RISULTATI
4.1 Caratteristiche socio-demografiche del campione
pag.57
4.2 Analisi delle correlazioni tra i questionari psicometrici
pag. 58
4.2.1 Strategie di coping e tratti di personalità
pag. 61
4.3 Conclusioni
pag. 68
Bibliografia
pag. 71
2
Introduzione
1. I limiti epistemologici delle precedenti ricerche sullo stress lavoro-correlato
Numerosi sono gli studi sullo stress e sul burnout, ed altrettanto diffuse sono ormai le ricerche
sullo stress lavoro correlato in vari ambiti occupazionali. Anche le ricerche più accreditate
non permettono però di valutare quanto la personalità influisca positivamente o
negativamente nella percezione dello stress, collegando i tratti personologici agli effetti
dell‟esposizione allo stress, né spesso si è preso in adeguata considerazione il fattore extralavorativo che può affiancarsi ai fattori di stress occupazionali, diventando un moltiplicatore
o, al contrario, un fattore di protezione. Gli studi finora effettuati si sono limitati a valutare
segmenti separati del fenomeno (lo stress lavoro- correlato, il burnout di certi operatori ecc.)
che è invece multidimensionale ed in ciascun elemento è strettamente collegato all‟altro in un
equilibrio dinamico.
Manca in letteratura una ricerca che si estenda contemporaneamente in più direzioni e che
permetta di esaminare le possibili correlazioni di fattori lavorativi, extra-lavorativi,
ambientali, relazionali e psicologici. Ciò rappresenterebbe un contributo alla psicologia del
lavoro, alla medicina legale ed alla medicina del lavoro.
In assenza di esperienze di ricerca capaci di effettuare un‟adeguata sintesi ed un‟analisi delle
correlazioni de fattori succitati, ci si propone di effettuare uno studio pilota che permetta di
valutare quantomeno l‟efficacia di una metodologia e l‟adeguatezza degli strumenti di
rilevazioni per raggiungere l‟obbiettivo.
L‟obbiettivo finale è quello di dare un contributo alla soluzione di alcuni interrogativi che
ruotano attorno al tema dello stress lavoro-correlato, quali il peso e l‟interrelazione, dei
diversi fattori nel determinare il disagio dell‟operatore fino alla comparsa di quadri clinici
relativi al burnout o disturbi dell‟adattamento.
3
CAPITOLO 1: LO STRESS LAVORO – CORRELATO
1.1 L’evoluzione della sicurezza sul lavoro
L‟interesse per la sicurezza sul lavoro ha avuto un andamento fluttuante nel tempo: da una
limitata attenzione negli anni ‟50, si è passati ad una marcata sensibilità da parte dei sindacati
negli anni ‟60 e ‟70, per poi subire una fase di stasi nel corso degli anni ‟80.
Negli ultimi vent‟anni, a seguito di una proficua attività giuslavorista conseguente al
recepimento di normative comunitarie, le tematiche relative alla sicurezza lavorativa hanno
destato un maggior interesse da un punto di vista sociale ed economico, aumentando anche
l‟attenzione collettiva e delle istituzioni.
Tale evoluzione ha permesso di passare da un atteggiamento fatalista nei confronti
dell‟incidente sul lavoro e della malattia professionale, ad una profonda presa di coscienza
che la salute e la sicurezza sul lavoro può migliorare se si adotta un approccio basato sulla
prevenzione anziché sulla cura.
1.1.1 Fine 1800
In questo periodo gli incidenti sul lavoro erano imputati a fatalità, destino infausto o
mancanza di norme stabilite, con la conseguenza che quest‟ultimi erano considerati non
collegati al processo produttivo. Tale approccio ha indotto chi operava nel campo della
sicurezza ad assumere un atteggiamento passivo nei confronti di eventi che erano considerati
non prevedibili, generando anche un senso di frustrazione dovuto alla sensazione che i propri
sforzi non potevano portare ad una riduzione o eliminazione degli infortuni sul lavoro.
A fine 1800 con lo sviluppo di grandi attività industriali è iniziato anche un primo interesse
verso i lavoratori oggetto di infortuni e la promulgazione della prima legge sull‟assicurazione
degli infortuni sul lavoro.
1.1.2 Anni 1920 - 1930
Anche questi anni si caratterizzano per un forte disagio sociale e assenza di interventi
organizzativi nei confronti degli infortuni lavorativi. Questo atteggiamento fu causato anche
da ricerche psicologiche svolte nel 1919 presso l‟Arsenale di Londra da Greenwood e Woods
che misero in luce che solo una limitata parte della popolazione incorreva in incidenti, poiché
presentavano alcuni fattori di personalità che predisponevano agli incidenti.
Unico merito di questa teoria fu di sottolineare le determinanti individuali alla base degli
infortuni (Prestipino, 2005).
4
1.1.3 Anni 1940 – 1950
Con l‟introduzione in questi anni dell‟art. 2087 del Codice Civile (1942) e degli articoli 32-35
e 41 della Costituzione della Repubblica Italiana (1948) c‟è in teoria una maggiore attenzione
al mondo del lavoro e alla tutela della salute dei lavoratori, che viene colta in parte dalla
Magistratura e dagli organi di controllo solo ad infortuni lavorativi avvenuti.
Anche le industrie non colgono appieno le norme legislative in precedenza descritte perché le
consideravano troppo onerose da applicare.
Gli anni Cinquanta sono stati poi caratterizzati da un aumento dell‟attività industriale; la
meccanizzazione e la produzione di massa. In questi anni vengono promulgati i D.P.R. 547/55
303/56 che obbligavano i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti ad applicare particolari
norme tecniche e d‟igiene al fine di rendere il lavoro più sicuro.
Da un punto di vista psicologico si passa da un inziale interesse focalizzato sull‟individuo ad
una maggior attenzione al gruppo e al tipo di leadership usata (Prestipino, 2005).
1.1.4 Anni 1960 -1970
I sindacati negli Anni ‟60 hanno un ruolo molto importante nello spingere le Aziende a porre
maggior attenzione alla salute nei luoghi di lavoro, poiché quest‟ultima è fortemente
influenzata dal contesto della fabbrica e dall‟organizzazione del lavoro. Si passa da una tutela
prevenzionistica focalizzata sull‟individuo ad una tutela collettiva in cui prende campo il
concetto di gruppo omogeneo (esposizione agli stessi rischi).
Da un punto di vista legislativo ha molto importanza l‟attuazione della D.lgs. N. 300/70
(Statuto dei Lavoratori) e del D.lgs. N. 883/78 che istituisce il SSN, il quale oltre a
sottolineare i cardini base della tutela preventiva e dell‟integrità psicofisica dei lavoratori,
prevede la creazione a livello territoriale di specifici organi di prevenzione e controllo come le
Asl, e di un organismo centrale: l‟Ispesl.
1.1.5 Anni 1980 – 1990
In questi anni la situazione di stasi in ambito giuslavorista viene superata grazie all‟
emanazione di normative comunitarie che nel nostro Paese saranno alla base del D.lgs. N
626/94 e il D.lgs. N. 494/96 sui cantieri, tale normative sono foriere del pensiero che la
sicurezza è un bene che coinvolge tutti, nelle organizzazioni e fuori, dove tutte le persone
coinvolte nel sistema hanno ruoli e responsabilità precise: al datore di lavoro spetta il compito
di controllare l‟osservazione delle misure in generale, la valutazione periodica dei rischi con il
supporto dei SPP e degli RLS (Prestipino, 2005).
5
1.2 La tutela dei lavoratori oggi
Il D.lgs 626/94 pur introducendo una maggiore garanzia di tutela attraverso un maggior
diretto coinvolgimento dei lavoratori stessi nella fase di pianificazione e attuazione della
valutazione dei rischi, non individua specificamente lo stress lavoro-correlato quale fattore di
rischio.
Il D.lgs. N. 81/2008 e successive modificazioni ed integrazioni che riunisce le disposizioni
contenute nelle precedenti normative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro,
congiuntamente abrogate dal decreto stesso rileva ed esplicita che, per quanto concerne la
valutazione dei rischi sono oggetto della stessa, “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari tra
cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo
europeo dell' 8ottobre 2004” (art. 28 D.lgs. 81/2008).
In particolare l‟art. 28, stabilisce che nella valutazione globale e documentata di tutti i rischi
per la sicurezza e la salute dei lavoratori, lo “stress lavoro-correlato” deve essere valutato
come tutti gl‟altri rischio secondo i contenuti dell‟Accordo europeo dell‟ 8 ottobre 2004.
L‟obiettivo finale è quello di individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e di
elaborare un programma di miglioramento nel tempo.
Alla Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro è stato
affidato il compito di elaborare le indicazione per la valutazione dello stress lavoro-correlato.
Una delle novità del D.lgs. 81/2008 notevolmente importante è la definizione di “salute”
mutuata dall‟OMS, quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale non
consistente in un’assenza di malattia o d’infermità”(art.2, comma1, lettera c).
Tale definizione rappresenta la garanzia per i lavoratori di essere tutelati anche rispetto ai
rischi psicosociali (Testo di Legge N. 81/2008).
1.3 Cos’è lo stress
Il termine stress deriva dal Latino “strictus” che significa “legare, stringere” e pertanto il
termine stesso nell‟immaginario collettivo è sempre visto con un‟accezione negativa. Il padre
degli studi sullo stress fu l‟endocrinologo Hans Selye che mutuò il termine stress
dall‟ingegneria, dagli studi dei materiali di costruzione, dove significa “tensione, sforzo,
carico” e “strain”, la rottura per stress eccessivo (Fulcheri et al,2008).
Hans Selye (1936) contestualizzò lo stress all‟interno della Sindrome Generale di
Adattamento
(SGA),
definendolo
come
una
6
reazione
fisiologica,
cognitiva
e
comportamentale, che le persone hanno rispetto a stimoli o richieste che vengono loro poste e
che vengono giudicate non proporzionate alle loro capacità di affrontarle.
Selye identificò due tipi di stress:
- Il distress: lo stress nocivo che ha luogo quando il soggetto percepisce di non essere più in
grado di fronteggiare le richieste provenienti dall‟ambiente esterno, il che comporta un
consumo di energie extra.
- L‟eustress: Lo stress positivo collegato ad attività piacevoli e sfidanti nelle quali l‟individuo
si sente coinvolto.
Selye suddivise la SGA in tre fasi:
1. Fase di allarme: C‟è il riconoscimento dello stimolo stressogeno (stressor) e si ha
l‟attivazione del sistema neuroendocrino che tramite la secrezione di sostanze ormonali
consente al SNA di attivare una rapida risposta dell‟organismo rispetto allo stimolo.
2. Fase di Resistenza: L‟organismo in questa fase cerca tramite la secrezione di ormoni di
fronteggiare l‟evento stressante e di ripristinare il normale equilibrio omeostatico dell‟
organismo.
3. Fase di Esaurimento: La Fase di resistenza è durata troppo rispetto alle forze disponibili
dell‟organismo, con un conseguente abbassamento delle difese immunitarie che possono
indurre l‟insorgere di malattie (Favretto, 1994).
L‟aspetto che rende lo stress, una questione molto dibattuta è che tutte le persone fanno
esperienze di stress in modo differente, e quest‟ultimo può essere generato da diversi fattori
(Donaldson et al, 2013).
1.4 Le principali cause di stress oggi
1.4.1 Fattori centrati sulla persona e sull’ambiente
I fattori stressogeni più ricorrenti in ambito lavorativo possono essere distinti in due categorie:
fattori centrati sulla persona e fattori centrati sull‟ambiente; nella prima categoria troviamo:
Il ruolo:
- ambiguità di ruolo: il ruolo professionale non ha mansioni ben chiare e definite;
- conflitti di ruolo: la stessa persona riveste più ruoli contemporaneamente svolgendo attività
che possono essere in contrasto tra loro;
- Pressione di ruolo ed eccesiva responsabilità;
- Relazioni interpersonali difficili;
- Insicurezza lavorativa: Percezione dell‟incertezza relativa alla sicurezza e alla continuità
del lavoro attuale e futuro;
7
- Insicurezza economica: E‟ correlata alla maggior o minore centralità che riveste il reddito
prodotto dal lavoro, all‟unicità o meno delle entrate e agli impegni economici assunti.
Fattori centrati sull’ambiente:
- Caratteristiche intrinseche al lavoro: Fattori ambientali, pressione lavorativa, orari di
lavoro, esposizione a rischi e pericoli;
- Condizioni e caratteristiche dell’organizzazione: numero di lavoratori, ruolo ricoperto
all‟interno dell‟azienda, trasferimenti obbligatori;
- Clima e cultura organizzativa: possibilità di partecipare o meno ai processi decisionali
dell‟azienda, senso di appartenenza e condivisione dei valori dell‟organizzazione (Fulcheri et
al, 2008 e Bisio, 2009).
1.4.2 Lavoro a turni e notturno
Il lavoro a turni e notturno è stato per parecchio tempo usato soprattutto nei servizi sociali
primari come trasporti, ospedali, telecomunicazioni, pubblica sicurezza, settore chimico e
siderurgico e in settori artigianali quali quello della pesca e panificazione. Negli ultimi anni in
cui la Società si articola nell‟intero arco delle 24 ore, l‟organizzazione del lavoro a turni e
notturno ha assunto un ruolo cardine nell‟organizzazione del lavoro con l‟applicazione in tutti
i settori lavorativi con l‟obbiettivo di aumentare la produttività, supportare la competitività tra
le aziende e garantire una maggior flessibilità rispetto a:
- I rapidi cambiamenti tecnologici ed economici, con la conseguente possibilità di rientrare
degli investimenti fatti in minor tempo;
- Cambiamento nella forza lavoro (donne giovani, anziani e persone diversamente abili;
Questa nuova organizzazione del lavoro ha introdotto anche una nuova interrelazione tra
l‟attività lavorativa e l‟uomo in merito alle relazioni spaziali e temporali come il tele lavoro
(Costa, 2011).
1.5 Le variabili intervenienti nell’azione dello stress
1.5.1 Le caratteristiche di personalità
In un‟ottica psicodinamica l‟adattamento o meno rispetto ai compiti lavorativi e il senso
d‟inadeguatezza nei rapporti dipende dall‟Io ideale e dalla capacità di controllo conscia delle
spinte aggressive estroflesse o introflesse.
Nel caso di una personalità narcisistica la persona, spinta da aspettative irrealistiche del
proprio Io ideale risulta essere particolarmente sensibile nel caso di fallimenti, con
conseguenti sentimenti di profonda delusione, depressione persistente e sintomi
psicosomatici.
8
Nella personalità dipendente, l‟impossibilità ad avere un controllo indipendente della realtà,
porta l‟individuo a cercare un parere rassicurante di altri colleghi e a formulare pretenziose
richieste di supporto che se non vengono fornite, danno origine nella persona a sentimenti di
rabbia e ansia.
Nella personalità ribelle, l‟attività lavorativa è vista come un imposizione dell‟autorità, e
l‟atteggiamento di risposta che induce è di tipo negativo e provocatorio.
Tale atteggiamento va a compromettere la qualità dei rapporti interpersonali e le possibilità di
avanzamento di carriera.
Secondo la Social Learnig Theory di Rotter le persone con un locus of control interno
(persone che ritengono di poter indirizzare gli eventi) appaiono più tolleranti difronte a
situazioni ambigue e agiscono in modo efficace, ritenendo che i propri successi o insuccessi
dipendono solo dalle proprie capacità personali; le persone con locus of control interno sono
portate anche a credere che con il proprio comportamento possa controllare l‟ambiente di
lavoro; ne deriva che cercherà di esercitare un controllo sulle condizioni di lavoro, cercando
di influenzare le procedure operative, l‟assegnazione dei compiti, o le relazioni con i colleghi
e con i superiori (Kreitner & Kinicki, 2008).
Mentre le persone con un locus of control esterno (persone che credono di non poter agire in
maniera incisiva sugli eventi) percepiscono le situazioni di stress in modo più protratto e le
esperienze positive o negative (successi o insuccessi lavorativi) secondo loro non dipendono
dalle proprie abilità ma sono attribuibili al caso o alla fortuna; persone con questa
caratteristiche sono più portate a svolgere compiti strutturati che non richiedono un alto
spirito di iniziativa (Kreitner & Kinicki, 2008 - Favretto,1994).
Friedeman e Rosenman studiando lo sviluppo di patologie coronariche notarono che le
persone definite di tipo A, più esposti allo stress presentano:
- Competitività spinta e diffusa a tutti gli aspetti della vita, tendenza alla sfida e alla lotta.
- Aggressività (spesso repressa) presente costantemente in tutte le interazioni personali e
sociali.
- Impazienza, insofferenza per i diversi ritmi altrui e per l'insufficienza degli altri.
- Tensione muscolare, discorso "esplosivo", ipervigilanza, difficoltà al rilassamento.
- Tendenza a voler fare e ottenere un illimitato numero di cose in un limitato periodo di
tempo.
- Necessità spinta di avere costantemente il controllo totale nelle situazioni.
- Spinta all'acquisizione di cose, oggetti, beni e in generale al consumo.
- Elevate abitudini tabagiche, alcoliche e attività orali ripetitive.
9
- Poca attività fisica.
- Pochi interessi alternativi al lavoro.
- Alimentazione irregolare ed eccessiva (Friedman & Rosenman, 1974).
Contrariamente le persone di tipo B riescono ad affrontare in maniera più adattiva le
situazioni stressanti perché hanno un atteggiamento più pacato, paziente e una migliore
capacità di tollerare le responsabilità.
Di seguito (Figura 1) si può comprendere in maniera più esaustiva come i due tipi di persona
affrontino le situazioni stressanti (Fulcheri et al., 2008).
Comportamento di Tipo A
-Competitività spinta e diffusa a tutti gli aspetti
della vita. Tendenza alla sfida e alla lotta.
-Aggressività
(spesso
repressa)
presente
costantemente in tutte le interazioni personali e
sociali.
-Impazienza, insofferenza per i diversi ritmi altrui
e per l'insufficienza degli altri.
-Tensione muscolare, discorso "esplosivo",
ipervigilanza, difficoltà al rilassamento.
-Tendenza a voler fare e ottenere un illimitato
numero di cose in un limitato periodo di tempo.
-Necessità spinta di avere costantemente il
controllo totale nelle situazioni.
-Spinta all'acquisizione di cose, oggetti, beni e in
generale al consumo.
-Spesso fumo, alcool, attività orali ripetitive.
Comportamento di Tipo B
-Competitività selettiva e proporzionata alla
reale
importanza
degli
obiettivi
da
raggiungere.
-Aggressività "fisica" indotta da stimoli
adeguatamente frustranti. Aggressività di base
ridotta.
-Capacità di adeguarsi e di tollerare la
diversità degli altri ed i loro differenti ritmi.
-Rilassamento muscolare, discorso tranquillo,
vigilanza "fasica" facilità di rilassamento.
-Tendenza a proporzionare le cose da fare e da
ottenere in rapporto al tempo disponibile.
-Ridotta importanza dell'avere costantemente
il controllo in tutte le situazioni.
-Relativa indifferenza al
all'acquisizione di cose inutili.
consumo
e
-Fumo e alcool molto limitati.
-Poca attività fisica.
-Attività fisica.
-Pochi interessi alternativi al lavoro.
-Interessi alternativi al lavoro.
-Alimentazione irregolare ed eccessiva.
-Alimentazione controllata.
Figura 1, Fonte: Articolo “Stress, personalità e lavoro” www.nienteansia.it
La personalità di tipo C o “Cancer – prone personality” a lungo studiata da David Spiegel, si
caratterizza all‟opposto di quella di tipo A per avere un locus of control esterno ed un
carattere accondiscendente, passivo e poco assertivo con la propensione a reprimere emozioni
quali rabbia ed aggressività che non vengono rivolte verso oggetti o persone del proprio
ambiente (Biondi et al. 1995).
10
La personalità di tipo D definita verso la fine degli anni ‟90 similarmente a quella di tipo A è
soggetta a malattie coronariche.
Di fronte a situazioni potenzialmente stressanti le eventuali emozioni negative provate, quali
ansia e rabbia sono represse e l‟individuo risulta essere cronicamente stressato con continui
sentimenti di insicurezza e preoccupazione.
Tale persona di fronte ad altre persone è insicura e inibita; la sua strategia di coping
prevalente è l‟evitamento (Biondi et al. -1995).
1.5.2 Stress e personalità alessitimica
L‟alessitimia è un disturbo cognitivo-affettivo che si manifesta con una incapacità nel
descrivere le proprie e altrui emozioni; ciò che ne consegue è una povertà di fantasie e una
maggior facilità ad entrare in conflitto.
Gli alessitimici hanno inoltre un atteggiamento molto concreto rispetto al mondo circostante
con relazioni interpersonali assai povere.
Da studi effettuati in ambito organizzativo, si è evinto che esiste uno stretto rapporto tra stress
e alessitimia; questo binomio si è visto essere una cartina tornasole del buon funzionamento o
meno di un gruppo di lavoro.
Altro aspetto non meno importante è rappresentato dal fatto che l‟incapacità nell‟esprimere le
proprie emozioni, a trovare le parole per interpretarle e raccontarle si sono dimostrati essere
dei catalizzatori per la somatizzazione delle emozioni e per la nascita di conflitti interni.
Le risorse emozionali che sono messe in atto per fronteggiare l‟evento stressante, se non sono
utilizzate o non vi è una buona gestione di esse da un punto di vista cognitivo possono
ricadere su organi ed apparati diventando così le basi per l‟evolvere di malattie
psicosomatiche (Masci, 2007).
1.5.3 La motivazione
Il termine motivazione deriva dal latino movere che significa “muovere” .
In un contesto organizzativo la motivazione secondo Terence Mitchell, studioso del
comportamento organizzativo, rappresenta ”quei processi psicologici che provocano la
nascita, la direzione e la persistenza di azioni volontarie dirette verso un obbiettivo”
(Mitchell cit. in Kreitner & Kinicki, p. 132 - 2008).
Primari e Coordinatori devono interiorizzare bene questi processi se vogliono guidare i propri
collaboratori a raggiungere con successo gli obiettivi organizzativi che si sono prefissati.
Le caratteristiche individuali e il contesto lavorativo sono categorie fondamentali che
influenzano la motivazione.
11
Ogni singolo lavoratore è il crogiuolo di capacità, conoscenze, predisposizioni, caratteristiche
personali, convinzioni e valori nell‟ambiente lavorativo che si fondono insieme e che
unitamente al contesto lavorativo che si caratterizza per l‟ambiente fisico, i compiti che una
persona svolge, l‟approccio dell‟azienda a ricompense e riconoscimenti, l‟adeguatezza del
sostegno e dell‟affiancamento dei superiori e colleghi, si influenzano a vicenda condizionando
i processi motivazionali, la direzione e la persistenza.
I comportamenti motivati sono determinati dalle caratteristiche individuali in precedenza
descritte, e sono influenzati anche dagli atteggiamenti dei propri superiori che oltre a fornire
attrezzature adeguate allo svolgimento del compito, devono avere una funzione di coach
mostrando per esempio il procedimento necessario a svolgere un‟attività particolarmente
complessa e sostenere i propri collaboratori nel mantenere alti livelli di auto – efficacia e
autostima che possono scaturire oltre che da incentivi economici da parte dell‟azienda anche
da semplici apprezzamenti sul lavoro svolto (Kreitner & Kinicki, 2008).
Gli approcci motivazionali nell‟organizzazione del lavoro hanno come obiettivo quello di far
aumentare nel lavoratore reazioni affettive e attitudinali come la soddisfazione lavorativa e la
motivazione intrinseca cercando di limitare alcune conseguenze come l‟assenteismo, l‟elevato
turnover, e le scarse prestazioni.
Alcune tecniche di riorganizzazione del lavoro che si possono utilizzare per incidere sulla
motivazione sono le seguenti:
- Job enlargement: Consiste nell‟ampliare e variare le attività lavorative, combinando
mansioni lavorative specializzate di difficoltà simili.
Tale strategia può aumentare la soddisfazione, la motivazione e la qualità lavorativa; ma non
è sufficiente se non è utilizzata contestualmente con altre metodiche.
- Job rotation: Come la precedente metodologia, lo scopo di questa metodica è quella
diversificare l‟attività lavorativa, consentendo al lavoratore di svolgere due o più compiti
diversi a rotazione. Questa strategia stimola l‟interesse, la motivazione e consente al
lavoratore di incrementare le sue conoscenze con l‟acquisizione di nuove abilità che
consentirebbero una maggior mobilità orizzontale da un reparto all‟altro per esempio e
riducendo il possibile rischio di burnout negli operatori che svolgono il proprio lavoro in
reparti adulti o pediatrici ad alto impatto emotivo quali: Anestesia e rianimazione,
Ematologia, Oncologia e Pronto Soccorso.
- Job enrichement: È l‟applicazione pratica della teoria dei due fattori, motivanti e igienici,
elaborata da Frederick Herzeberg. Quest‟ultimo identificò tra i fattori motivanti
l‟achievement, il riconoscimento, le caratteristiche del lavoro (esecuzione di un compito
12
stimolante) e la responsabilità, alla cui base c‟è l‟autonomia misurata dalla possibilità che il
lavoratore ha nel gestire la propria mansione e il feedback che riceve sull‟efficacia o meno
del compito che sta svolgendo. Herzeberg scoprì poi che questi fattori erano correlati alle
conseguenze associate al contenuto del compito, a un forte impegno e a buone prestazioni.
Herzeberg scoprì con i suoi studi che c‟era un nesso tra l‟insoddisfazione sul lavoro e fattori
interni al contesto lavorativo o all‟ambiente. Tra i fattori igienici incluse le politiche aziendali,
i vincoli burocratici, supervisione tecnica, stipendi e relazioni interpersonali dell‟individuo
con il proprio superiore e condizioni lavorative (Kreitner & Kinicki, 2008).
1.5.4 La vigoria psicologica (Hardiness) secondo Suzanne Kobasa
Suzanne Kobasa definì la vigoria psicologica come una dimensione della personalità che
permette all‟individuo di reagire in maniera adattiva di fronte a situazioni stressanti; le sue
caratteristiche fondamentali sono:
1. Commitment: La capacità di focalizzarsi su ciò che si sta facendo, l‟avere molto interesse
per il proprio lavoro ma anche per attività collaterali quali per es. famiglia o hobbies;
2. Control: La consapevolezza e la responsabilità rispetto alle proprie azioni che possono
influenzare l‟evolvere degli eventi;
3. Challenge: L‟apertura mentale dell‟individuo a nuove esperienze e cambiamenti e buona
tolleranza rispetto a situazioni ambigue.
Da studi svolti su dirigenti di una compagnia telefonica, la Kobasa ha rilevato come un
elevato livello di vigoria psicologica permetta alle persone di affrontare in maniera più
efficace potenziali situazioni stressanti (Favretto, 1994).
1.5.5 Stress lavorativo e resilienza
Il termine Resilienza deriva dal latino “resalio” che significa saltare, rimbalzare, per
estensione danzare; ed è stato mutuato dalla fisica e dalle scienze ingegneristiche, settori nei
quali indica la capacità di un materiale di resistere a forze di rottura (Prati, 2010 - De Antoni
& Romio, 2011).
Nell‟informatica, la resilie
continua a lavorare pur presentando, anomalie nell‟hardware e software (Pellegrino et al.
2013 - De Antoni & Romio, 2011).
“Essere resilienti significa in fondo rimanere altamente produttiv
, significa capitalizzare esperienze e far tesoro di esse come anche dei propri
errori – compresi e corretti – per guardare avanti con energia, fiducia nei propri mezzi e
voglia rinnovata di superare positivamente nuove sfide, utilizzando un semplice schema di
13
comprensione del contesto e di valorizzazione delle proprie risorse” (De Antoni & Romio, p.
13-14, 2011).
In Psicologia il significato di resilienza è diverso da quello utilizzato in ingegneria; la
resilienza è la capacità dell‟individuo di sviluppare le proprie potenzialità da un punto di vista
cognitivo, emotivo e relazionale, quando deve affrontare circostanze difficili e stressanti,
anche in ambito lavorativo.
I lavoratori resilienti hanno la convinzione di essere in grado di controllare l‟ambiente
circostante e l‟esito degli eventi, sono propositivi e propensi a vedere le difficoltà come delle
opportunità di crescita, di apprendimento, di sviluppo piuttosto che come minaccia alle
proprie sicurezze; riescono a vedere oltre l‟ostacolo.
I lavoratori resilienti sanno poi ascoltare i propri interlocutori, riescono ad esprimere in modo
adeguato i propri stati emotivi e sono propensi al problem solving, provano un senso di
soddisfazione lavorativa maggiore rispetto ai lavoratori non resilienti grazie alla presenza di
un fattore di protezione, chiamato hardiness; che è un tratto di personalità che comprende
oltre il controllo, l‟impegno e la sfida (De Antoni & Romio, 2011).
La parola resilienza è sovente affiancata ai concetti di tensione (strain), stress, ansietà
riferendosi a tutti quegli eventi inaspettati che possono colpire gli individui durante la vita.
Una situazione improvvisa che può essere causa di allarme o fonte di preoccupazione può
capitare ad ogni lavoratore, ma il lavoratore resiliente mettendo in gioco tutte le sue
conoscenze e abilità per cercare di superare con successo l‟evento avverso è meno soggetto
alle conseguenze negative degli stressors che possono far scaturire danni fisici e
comportamentali nel lavoratore quali stati d‟ansia, depressione o improvvisi attacchi di
rabbia. (De Antoni & Romio, 2011).
1.5.6 Le strategie di coping
“Le strategie di coping che le persone utilizzano per negoziare i cambiamenti di vita quali le
transizioni lavorative possono influenzare in maniera significativa sia il benessere che
accompagna le transizioni stesse, sia il potenziale d’impegno futuro” (Rudisill, Edwards,
2002, p.57 cit. in Grimaldi et al. 2006).
Le strategie di coping sono gli sforzi cognitivi e comportamentali messe in atto dall‟uomo per
far fronte a specifiche richieste interne e/o esterne che vengono giudicate come
sproporzionate rispetto alle risorse della persona (Lazarus & Folkman, 1984).
Una delle caratteristiche più importante delle strategie di coping è che sono un processo
dinamico dove le risposte dell‟individuo e dell‟ambiente si influenzano reciprocamente.
14
Endler e Parker a partire dagli studi di Lazarus e Folkman hanno individuato tre tipologie di
copig prevalenti:
1. Coping centrato sul compito: Si caratterizza per il tentativo di ricercare in maniera attiva e
diretta la soluzione più adeguata alla risoluzione della situazione problematica;
2. Coping centrato sulle emozioni: Si caratterizza per la forte reazione a livello emotivo di
fronte alla situazione problematica e per la difficoltà a contenere e gestire i propri stai
emotivi;
3. Coping centrato sull‟evitamento: Si caratterizza per il tentativo di evitare la situazione
critica sia a livello cognitivo che comportamentale (Endler & Parker,1990).
1.5.7 La “personalità” dell’Organizzazione
Gli stressors in ambito lavorativo dipendono come si è visto, non solo da fattori personali e
ambientali, ma anche dagli stili organizzativi adottati dai vertici aziendali.
Landy e Trumbo hanno cercato di identificare la personalità di un‟organizzazione verificando
come correlano tra di loro quattro aspetti fondamentali: a) il modo in cui è strutturata, b) il
grado di diffusione di autonomia, c) la considerazione del valore dell’individuo e d) il
sistema premiante.
Per questi autori i sintomi di disagio delle organizzazioni si integrano in una “sindrome”
patologica che ne definisce lo “stile nevrotico” confrontabile con un tipo di nevrosi
individuale (Fulcheri, et al. 2008, p.13).
Gli stili organizzativi nevrotici individuati sono quattro:
Organizzazione paranoide: Al suo interno vige una scarsa fiducia verso l‟esterno e l‟interno;
c‟è un atteggiamento quasi “maniacale” di controllo e verifica; il potere è di tipo monocratico
che raramente viene delegato; prevale un atteggiamento molto cauto verso il rischio e poco
propenso al cambiamento.
Organizzazione compulsiva: Ogni attività è minuziosamente programmata e tutte le
procedure sono codificate e standardizzate; ci sono frequenti controlli in itinere.
L‟atteggiamento prevalente è di tipo dogmatico, inflessibile e fobico nei confronti di possibili
novità che vengono mal tollerate.
Organizzazione drammatica: L‟atteggiamento prevalente è di tipo narcisistico; lo stile
decisionale è molto rapido con una scarsa attenzione alla valutazione delle possibili
conseguenze delle azioni che si stanno per intraprendere; il potere decisionale è nelle mani di
un‟unica persona che non consulta e coinvolge altre figure aziendali, lo stile comunicativo è
di tipo top down.
15
Organizzazione depressiva:
Questo tipo di organizzazione si caratterizza per un atteggiamento prevalentemente statico,
abitudinario, rassegnato e molto gerarchizzato; tali caratteristiche sono tipiche di un ambiente
poco competitivo e non aperto alle innovazioni tecnologiche.
Organizzazione schizoide:
Lo stile di leadership in questo tipo di ambiente di lavoro a livello apicale non è di tipo
integrativo, per cui le decisioni sono prese per lo più da manager di livello inferiore che non
riescono ad integrare i diversi punti di vista in un unico pensiero, con il conseguente innesco
di liti intestine che distolgono il focus attentivo dall‟ambiente esterno.
1.5.8 Stress e stile comunicativo
La conflittualità in ambito lavorativo spesso dipende anche da una modalità di comunicazione
inadeguata di tipo aggressiva o passiva.
La persona che utilizza uno stile aggressivo cerca tramite la coercizione e la paura di imporre
sugli altri le proprie esigenze senza preoccuparsi di quelle altrui; pensa di dominare la
situazione e si percepisce come una persona forte e apprezzata; riesce a vedere solo gli
obiettivi a breve termine. Non padroneggia strategie di prevenzione e gestione del conflitto
che s‟innescherà a seguito di un uso reiterato di quest‟atteggiamento, che lo porterà a essere
boicottato e isolato socialmente da parte dei colleghi.
Al contrario chi utilizza uno stile passivo ha una bassa autostima, difficoltà ad esprimere il
proprio pensiero ed emozioni per ansia e timore di essere giudicato dagli altri o paura di
contraddire il proprio interlocutore, non riesce a comunicare le proprie esigenze (es. porre
limite alle richieste).
Con quest‟atteggiamento si ottengono dei vantaggio a breve termine come: senso di benessere
e sollievo dall‟ansia, si ottiene con maggior facilità la simpatia e approvazione degli altri, si
assumono meno responsabilità.
Questo modo di comportarsi però comporta a medio/lungo termine delle conseguenze
negative come il sentimento di frustrazione che consegue dall‟impossibilità di non poter
piacere a tutti, o quando i propri punti di vista non sono considerati e non si possono evitare
conflitti. A livello emotivo la persona passiva proverà un forte sentimento di inettitudine,
rabbia, frustrazione che porterà a manifestazioni improvvise di collera.
Un terzo stile comunicativo è quello di tipo assertivo, che si caratterizza per la capacità di
esprimere le proprie esigenze e obiettivi senza prevalere su quelli altrui e per saper gestire in
maniera costruttiva eventuali differenti punti di vista. Attraverso questa modalità di
16
comunicare si riuscirà a creare tra i colleghi di lavoro un clima di fiducia, rispetto e di
collaborazione (Anolli, 2006).
1.5.9 La tipologia di lavoro: La Sanità
Nel 2010 gli infortuni sul lavoro nei Servizi ospedalieri (grafico1) sono stati 15.417, il 2%
circa di tutte le denunce registrate nell‟Industria e Servizi e il 43% di quelle del settore della
Sanità.
Infortuni sul lavoro avvenuti nel periodo 2006-20102 per settore di attività economica
2006
2007
2008
2009
2010
825.974
790.279
705.241
693.025
35.302
34.867
34.457
35.160
35.813
di cui: Servizi 18.165
16.811
16.160
15.817
15.417
Industria
e 836.329
Servizi
Sanità
ospedalieri
Grafico 1: Fonte: “La Sicurezza in Ospedale” Ed. INAIL, 2012 p.54
In generale gli infortuni sul lavoro interessano in maniera preponderante il sesso maschile, cui
afferiscono oltre i 2/3 delle denunce; nel caso dei Servizi ospedalieri, invece, le proporzioni
tra i sessi si invertono, infatti, dei 15.417 infortuni denunciati nel 2010, 12.544 riguardano
donne (INAIL, 2012).
Infortuni sul lavoro avvenuti nel periodo 2006 - 2010 per sesso
GENERE
Femminile
Maschile
Totale
2006
12.306
5.859
18.165
% femmine 67,7
sul totale
2007
11.481
5.330
16.811
2008
11.216
4.994
16.160
2009
11.157
4.660
15.817
2010
11.132
4.285
15.417
68,3
69,4
70,5
72,2
Grafico 2: Fonte: “La Sicurezza in Ospedale” Ed. INAIL,2012 p.54
Oltre la metà degli infortuni sul lavoro (grafico 2) (52,8%) si concentra nella fascia di età 3549 anni, mentre poco meno del 30% nella classe 50-64 anni; le professioni che fanno
registrare il maggior numero di infortuni sono quelle del comparto, in primo luogo
l‟infermiere con il 46% di denunce, a seguire il portantino con il 22% e il medico con poco
meno del 6%.
Da un punto di vista temporale (grafico 3) gli infortuni nell‟anno 2010 per esempio hanno un
andamento abbastanza costante; in ogni mese si concentra circa l‟8% degli infortuni, con una
lieve contrazione in corrispondenza del mese di agosto in cui la percentuale è del 7,2%,
solitamente periodo di riposo per molti lavoratori che usufruiscono delle ferie estive; un
17
leggero incremento si riscontra nel mese di ottobre col 9,1% di casi (INAIL, 2012).
Infortuni sul lavoro avvenuti nel 2010 per mese di accadimento
Grafico 3: Fonte: “La Sicurezza in Ospedale” Ed. INAIL, 2012 p.59
Tipologia di infortuni avvenuti nel periodo 2006-2010
Grafico 4: Fonte: “La Sicurezza in Ospedale” Ed. INAIL, 2012 p.61
Dalla natura della lesione (grafico 4) risulta che oltre 1/3 dei casi è determinato da lussazioni
(5.483 denunce nel 2010), importante anche la quota di infortuni dovuti a contusioni, oltre
4mila l‟anno. In generale, i 3/4 degli infortuni riguardano lussazioni, contusioni e ferite
(INAIL, 2012).
Gli operatori sanitari, in particolare gli infermieri ma anche figure di altro profilo sono
particolarmente soggetti ad infortuni sul lavoro, quali : traumi, lussazioni, colpi e cadute e
incidenti biologici conseguenti a punture o tagli accidentali.
Nella popolazione infermieristica le condizioni sfavorevoli di lavoro come è stato
documentato dalla letteratura di riferimento provocano: disturbo del sonno, fatica cronica,
disturbi muscolo scheletrici, dispepsia, mal di testa, depressione, burnout, insoddisfazione
lavorativa, demotivazione, percezione soggettiva di scarsa salute, elevato turnover,
18
assenteismo, infortunio, abuso di alcol, farmaci e tabagismo.
Nel lavoro degli infermieri, il carico del lavoro, lo stile della dirigenza, la qualità delle
relazioni tra colleghi e il coinvolgimento emotivo hanno un ruolo determinante
nella
possibile evoluzione di distress e burnout.
Questo impatto dipende dalle caratteristiche individuali dell‟operatore e dai diversi ambienti e
aree d‟intervento in cui opera.
Le fonti di stress più note per la categoria infermieristica sono:
- Insoddisfazione nella gestione dei turni;
- I conflitti con il personale medico e amministrativo;
- Le discriminazioni o le relazioni difficili con i colleghi, i superiori, i pazienti e le loro storie
di vita o i loro parenti;
- L‟elevato impegno emotivo collegato alla cura di pazienti morenti o deceduti;
- Il carico di lavoro eccessivo per quantità e diversità, con l‟ulteriore onere derivante dal
dover espletare compiti non pertinenti all‟ attività infermieristica come il carico burocratico in
relazione all‟attuazione di protocolli e procedure dirigenziali che hanno l‟obbiettivo finale la
necessità di bilancio e il taglio delle spese (Cesana et al. 2006).
1.6 Crisi economica vs livello di stress
Oggi la crisi pone all'ordine del giorno elementi che vanno ben oltre la dimensione del
cambiamento: è il caso di demansionamenti, precarietà, incertezza, modificazioni di
responsabilità legate a riorganizzazioni aziendali e orari di lavoro prolungati.
Anche la necessità di essere sempre più veloci in mancanza di risorse e tempo può
condizionare i livelli di stress, così come la necessità continua di apprendere l‟uso di nuove
tecnologie in tempi brevi e a volte da autodidatti (Sperandio, 2014).
2. Le conseguenze dello stress
2.1 I costi per l’organizzazione
Lo stress lavoro correlato ha costi notevoli per le organizzazioni in termini di assenza per
malattia e calo della produttività.
Secondo l‟Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) i lavoratori
quando soffrono di stress lavoro-correlato e di altri problemi di natura psicologica sono
portati ad assentarsi dal lavoro per lunghi periodi.
A volte i lavoratori tendono a presentarsi al lavoro pur non essendo in grado di svolgere le
proprie mansioni in modo efficace (fenomeno noto come "presenzialismo"), ciò porta a una
riduzione della produttività, con conseguente diminuzione dei ricavi per l‟impresa.
19
I costi complessivi dovuti ai disturbi di salute mentale in Europa (legati al lavoro o meno)
sono stimati a 240 miliardi di euro l'anno.
Lo stress sul lavoro può far aumentare notevolmente gli incidenti sul lavoro perché
l‟eccessiva stanchezza, la ridotta capacità di concentrazione e le pressioni temporali sul luogo
di lavoro inducono l‟operatore ad utilizzare delle “scorciatoie” quali comportamenti troppo
rischiosi con conseguenti danni per l‟azienda e per loro stessi; nel caso poi di operatori
sanitari un eccessivo livello di stress può portare ad un rallentamento nel processo
decisionale, che nel caso di un emergenza clinica può comportare seri rischi per l‟incolumità
del paziente.
Anche i costi derivanti dal turnover stress lavoro-correlato sono rilevanti; quando i
lavoratori provano una bassa soddisfazione causata dal lavoro e hanno frequente esperienza di
scarsa motivazione, basso morale, conflitti o pressione eccesiva sono spinti ad avanzare
richieste di trasferimento in altro reparto, con una perdita per l‟azienda in termini
d‟investimento di formazione specifica e di unità di lavoro che devono essere sostituite
(Donaldosn et al. 2013 e sito http://eguides.osha.europa.eu/stress/IT-IT/).
2.2 I problemi per il lavoratore
Lo stress non è una malattia, ma nel caso di esposizione prolungata può portare a problemi a
livello fisico e mentale.
Le conseguenze più comuni che si possono manifestare al livello emotivo sono una maggior
irritabilità, ansietà, una maggior introversione con conseguenti difficoltà relazionali con i
colleghi o alterazione del ritmo sonno/veglia con difficoltà nel dormire, nel riuscire ad
addormentarsi o svegliarsi durante la notte senza riuscire poi a dormire di nuovo con
conseguente stanchezza e spossatezza durante il giorno.
A livello comportamentale si potrebbe assistere ad una maggior disattenzione o negligenza,
una minore rispetto per le scadenze o un aumento nell‟uso di fumo o alcool per supplire alle
richieste lavorative (Compare & Grossi, 2012).
2.3 Problematiche derivanti dal lavoro a turni e notturno
Le maggiori criticità per il lavoratore a turno si manifestano come segue:
Effetti a livello biologico: Questa nuova tipologia di organizzazione del lavoro ha portato ad
una fluttuazione ciclica delle diverse funzioni psico-fisiologiche nell‟arco delle 24 ore (ritmi
circadiani) che sono più elevati durante il giorno e più bassi durante la notte.
Il lavoro a turni e soprattutto quello notturno porta il lavoratore obbligatoriamente a invertire
il normale ciclo “sonno-veglia” con uno spostamento di fase dei ritmi biologici, con un
20
conseguente continuo stress derivante dall‟adattamento più o meno rapido ai diversi orari di
lavoro che porta a disagi a carico della salute e della capacità lavorativa.
Disturbi del sonno: La maggior parte delle persone che lavora in turni che comprendono
anche la notte soffre di disturbi transitori del sonno in termini qualitativi e quantitativi, a
causa dell‟alterazione del ritmo sonno-veglia. A lungo termine questa alterazione può far
sviluppare sindromi neuro – psichiche come affaticamento cronico, ansia e depressione
cronica, che comportano la somministrazione di farmaci ipnoinducenti e/o psicotropi.
Disturbi digestivi: Le disfunzioni a carico dell‟apparato gastroenterico quali alterazioni
dell‟appetito, pirosi o irregolarità alvine, nei turnisti sono causate dall‟alterazione delle
normali abitudini alimentari, influenzate dagli orari e dalla qualità degli alimenti assunti (cibi
preconfezionati) e dall‟eccessivo uso di bevande stimolanti.
Errori e infortuni: La riduzione circadiana a carico dei livelli di attenzione e vigilanza nelle
ore notturne e la ridotta qualità e quantità del sonno, fanno diminuire l‟efficienza lavorativa e
aumentano le probabilità di errori ed infortuni.
Anche la durata del turno di lavoro è un fattore importante, poiché diversi studi hanno
evidenziato come ci sia un aumento degli incidenti dopo l‟ottava ora di lavoro e un raddoppio
in caso di turni di 12 ore se non ci sono pause ed una diminuzione dei carichi di lavoro.
Rischio tossicologico: Il lavoro su turni può influire sulle modalità di accumulo ed escrezione
delle sostanze tossiche da parte dell‟organismo, perché si alterano i tempi e la velocità di
metabolizzazione a seguito delle diverse ore del giorno e della notte in cui c‟è l‟esposizione
alle sostanze e in base alla durata del turno e del tempo che separa dal prossimo turno di
lavoro.
Effetti psico-affettivi: La desincronizzazione temporale comporta anche dei disagi nell‟ambito
della vita familiare e sociale, poiché entrambe sono organizzate in base a ritmi giornalieri o
settimanali e in relazione agli orari dei servizi pubblici quali trasporti o negozi.
Soprattutto i lavoratori notturni rispetto a quelli diurni presentano con maggior frequenza
sintomi quali: fatica cronica, nervosismo, ansia, problemi della sfera sessuale e depressione.
Rischio cardiovascolare: Il lavoro a turni può comportare direttamente o indirettamente
problemi a carico del sistema cardiovascolare, perché l‟attivazione o alterazione del sistema
neurovegetativo comporta un aumento della risposta ormonale (cortisolo) che influisce sulla
pressione arteriosa, frequenza cardiaca, processi di aggregazione trombotica e sul
metabolismo di glucidi e lipidi.
Effetti sulla salute delle donne: Il turno di lavoro notturno si è mostrato quale possibile causa
d‟irregolarità del ciclo mestruale, dismenorrea e fattore di maggior rischio in relazione
21
all‟abortività spontanea, al parto pretermine e al basso peso alla nascita (Compare & Grossi,
2012).
2.4 Le psicopatologie da stress
Eventi e situazioni stressanti possono contribuire al manifestarsi di molteplici disturbi e
malattie fisiche e mentali; i disturbi che si manifestano con maggior frequenza sono i Disturbi
d‟ansia, Depressivi e le patologie psicosomatiche (malattie fisiche che si sono generate o
aggravate a causa di determinati eventi di vita).
La Psicosomatica è un ampio settore della patologia che si colloca a cavallo tra la medicina e
la psicologia, poiché indaga la relazione tra mente e corpo, ovvero tra il mondo delle
emozioni e degli affetti e il soma. I disturbi psicosomatici fanno riferimento a condizioni
fisiche causate o aggravate da fattori psicologici.
I sintomi psicosomatici che riguardano il sistema nervoso autonomo, e sono la risposta a
livello neuro vegetativo a situazioni di disagio psichico o di stress (Kaplan & Sadock, 1997).
Stati d‟animo negativi come il risentimento, il rimpianto o la preoccupazione possono
mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di continua
attivazione e il corpo in una condizione d‟allarme continuo, a volte per un tempo troppo
prolungato rispetto a quello che l‟organismo è in grado di sopportare.
I pensieri troppo angosciosi, possono mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di
attivazione continuo, i quali possono provocare dei danni agli organi più deboli.
Disturbi di tipo psicosomatico possono manifestarsi nell‟apparato gastrointestinale (gastrite
psicosomatica,
colite
spastica
psicosomatica,
ulcera
peptica),
nell‟apparato
cardiocircolatorio (frequenza cardiaca tachicardica, aritmie, cardiopatia ischemica,
ipertensione), nell‟apparato respiratorio (asma bronchiale, sindrome iperventilatoria),
nell‟apparato urogenitale (dolori mestruali, problemi di eiaculazione precoce o enuresi), nel
sistema cutaneo (la psoriasi, l‟acne, la dermatite di origine psicosomatica, il prurito,
l‟orticaria, la secchezza della cute e delle mucose, l‟ipersudorazione), nel sistema
muscoloscheletrico (la cefalea tensiva (o mal di testa), i crampi muscolari, l‟affaticamento
cronico , il torcicollo, l‟artrite, dolori al rachide, la cefalea nucale) e nell‟alimentazione.
Sintomi psicosomatici sono comuni nelle varie forme di depressione e in quasi tutti i disturbi
d‟ansia (Kaplan & Sadock, 1997).
Il Disturbo di panico che rientra nei disturbi d‟ansia, si riferisce a ricorrenti attacchi di panico
inaspettati e consistono in crisi improvvise, brevi e molto intense di paura o disagio, che
raggiungono il picco in pochi minuti, e in questo periodo si manifestano sintomi (almeno 4
dei 13 presenti nel DSM-5) come: ansia, paura di morire, palpitazioni, senso di svenire o
22
soffocare, dolore o fastidio al petto, nausea o dolori addominali, derealizzazione o
depersonalizzazione.
“Il termine ricorrente significa letteralmente più di un unico attacco di panico inaspettato;
mentre il termine inaspettato si riferisce a un attacco di panico per il quale non vi è un chiaro
elemento scatenante al momento dell‟avvenimento” (DSM-5 p. 240-241, 2014).
Per quanto riguarda la gravità degli attacchi possono manifestarsi attacchi completi (con
quattro o più sintomi) o attacchi paucisintomatici (con meno di quattro sintomi).
Il numero e il tipo di sintomi di questo disturbo sono spesso differenti da un attacco di panico
all‟altro (DSM-5, 2014).
Un‟altra conseguenza del disturbo di panico è l‟abuso di sostanze stupefacenti (in
particolare l‟alcool), cui la persona può ricorrere come tentativo disperato di gestire il disturbo
stesso o la depressione che ad esso può seguire.
Visti gli spiacevoli sintomi che si associano a questo disturbo, la persona inizierà ad avere “la
paura della paura”, cioè l‟ansia anticipatoria, e mettere in atto dei comportamenti volti a
prevenire il verificarsi di altri attacchi di panico: tenderà ad evitare le situazioni che teme
possano provocarli (comportamenti di evitamento) con conseguente limitazione nei suo
spostamenti e nella capacità lavorativa.
I fattori di rischio per l‟insorgenza del disturbo di panico sono riconducibili a:
situazioni stressanti fisiche (es. malattie, mancanza di sonno, iperlavoro, uso di sostanze
stupefacenti) e psicologiche (es. stress lavorativo, problemi finanziari, cambi di ruolo,
conflitti interpersonali, malattie di familiari, lutti); caratteristiche di personalità
consistenti essenzialmente in una sensibilità agli stimoli ansiogeni (DSM - 5, 2014).
Il disturbo post-traumatico da stress (DSPT) può insorgere in seguito all‟esposizione ad
eventi particolarmente traumatici, come: situazioni che hanno implicato la morte, o la
minaccia di morte, o minaccia all‟integrità fisica propria o altrui.
Le situazioni particolarmente a rischio per gli infermieri che operano in un pronto soccorso,
pronto intervento (118) o rianimazioni possono essere: eventi che comportano gravi danni per
neonati o bambini, eventi che coinvolgono molte persone come un incidente stradale, eventi
che provocano gravi mutilazioni e deformazioni del corpo della vittima (Giannantonio, 2003).
I sintomi insorgono generalmente nei primi tre mesi dopo l‟evento traumatico, anche se può
esserci un ritardo di mesi, o anche di anni prima che siano soddisfatti i criteri diagnostici.
(DSM -5, 2014).
I sintomi intrusivi tipici di questo disturbo sono:
- Sogni o ricordi spiacevoli, ricorrenti o intrusivi che riguardano l‟evento traumatico;
23
- Reazioni dissociative (flashback) in cui il soggetto sente o si comporta come se l‟evento
traumatico si stesse manifestando nuovamente;
- Marcata e protratta sofferenza psicologica a fattori scatenanti interni o esterni che
assomigliano ad alcuni aspetti dell‟evento traumatico;
I sintomi di evitamento più frequenti sono:
- Sforzi per evitare pensieri o sentimenti riconducibili al trauma;
-Evitamento di persone, luoghi o attività che rimandi all‟evento traumatico;
- Sentimento di distacco o estraneità verso gli altri;
I sintomi d‟iperattivazione più ricorrenti sono:
- Difficoltà ad addormentarsi;
- Ipervigilanza;
- Problemi di concentrazione;
- Esagerate risposte d‟allarme.
La durata dei sintomi può variare, generalmente negli adulti si ha un recupero entro i tre mesi,
mentre in alcuni casi i sintomi possono persistere per più di dodici mesi o addirittura per più
di cinquanta anni (DSM -5, 2014).
Il disturbo dell’adattamento si caratterizza per la presenza di sintomi emotivi e
comportamentali a seguito di uno o più eventi stressanti che possono essere identificati; che si
manifestano entro tre mesi dalla manifestazione dell‟evento stressante.
Lo stressor può essere un singolo evento (la perdita del proprio lavoro), o possono esserci più
eventi stressanti (difficoltà economiche o problemi famigliari). Gli eventi stressanti possono
essere anche ricorrenti (crisi economiche stagionali) o continui (malattia fisica con disabilità
crescente) e alcuni eventi stressanti possono essere associati a specifici eventi evolutivi (non
riuscire a raggiungere obiettivi professionali.
Un altro disturbo comune è quello depressivo, una particolare e rilevante forma è la
Depressione maggiore, che si caratterizza per sintomi di tristezza, perdita degli interessi
abituali, apatia, stanchezza, insonnia e riduzione dell‟appetito. Per poter considerare un
episodio depressivo in quanto tale, questi sintomi devono persistere per la maggior parte del
giorno, presenti quasi tutti i giorni per almeno due settimane consecutive duranti le quali si ha
una perdita di interesse o piacere in quasi tutte le attività e un decremento del funzionamento
fisico, sociale e di ruolo (DSM - 5, 2014).
Una non adeguata gestione del distress psicologico può inficiare lo stato funzionale del
soggetto: il disturbo funzionale è il manifestarsi di una perdita dell‟adattamento sociale, fisico
24
e lavorativo a seguito di un disturbo fisico o mentale che può evolvere in una condizione
medica cronica generale.
Una delle manifestazioni più comuni a livello corporeo di disturbi psicosomatici a seguito di
elevati fattori di stress sono i disturbi dermatologici.
La pelle ha funzioni di protezione, sensoriali, escretorie e di espressione emotiva.
Le
emozioni sono percepibili "a pelle" e le manifestazioni tipiche sono le variazioni della
sudorazione come l'iperidrosi, ma anche delle "colorazioni" del volto.
Tra i disturbi dermatologici più frequenti legati a fattori psicologici ritroviamo:
L'orticaria: quando non è provocata di stimoli fisici (come sostanze alimentari) sembra
essere un modo per scaricare un conflitto emotivo non altrimenti esprimibile;
Il prurito: quando non è giustificato da cause organiche, sembra essere uno spostamento
sulla pelle di gratificazione e aggressività espressa sotto forma di masochismo.
La dermatite auto provocata: è causata inconsapevolmente dal soggetto durante momenti di
concentrazione o di sonno e viene interpretata come conseguenza di sentimenti aggressivi nei
confronti di persone significative per il soggetto. L'alopecia consiste nella perdita di peli e/o
capelli in aree dove questi sono solitamente presenti. L'alopecia si associa sia nel bambino sia
nell'adulto a delle perdite reali o simboliche. In assenza di cause organiche è spesso associata
a disturbi nevrotici legati ad un'intensa angoscia inespressa (Compare & Grossi, 2012).
25
CAPITOLO 2: IL BURNOUT
2.1 La Sindrome del Burnout
Alcune attività lavorative, come i lavori usuranti che richiedono nella quotidianità un notevole
impegno psichico, producono nei soggetti che le praticano, stati di stress di livello elevato.
Tra questi stati di stress, si colloca la sindrome di burnout, una vera e propria patologia
mentale, anche se non ufficializzata come tale dal DSM - V (DSM 5, 2014).
Il burnout differisce dallo stress: “Concettualmente lo stress è il genere e il burnout è la
specie, una particolare forma di risposta a certe condizioni di stress” (Walsh,1987).
Lo stress può essere definito come una determinante del burnout, senza identificarsi con esso,
mentre il burnout può essere considerato, in determinate condizioni, un possibile esito dello
stress.
La sindrome di burnout da qualche tempo ha raggiunto proporzioni epidemiche tra i lavoratori
dei Paesi Occidentali a tecnologia avanzata. Ciò non significa che qualcosa non funziona più
nelle persone, ma piuttosto che si sono verificati cambiamenti sostanziali sia nei posti di
lavoro che nel modo in cui si lavora (Livolsi, 2011).
Gli studi approfonditi effettuati da Maslach e Leiter, i due più famosi esperti di Burnout e
sindromi occupazionali, dimostrano che la priorità nelle organizzazioni si è spostata dalla
qualità dei processi produttivi (il cui motore era la capacità di coinvolgere i collaboratori empowerment organizzativo) verso i meri bisogni di budget (per cui ogni collaboratore è utile
solo se funzionale agli obiettivi di bilancio). La conseguenza è che si assiste all‟arretramento
del senso di appartenenza all‟organizzazione, il cui obiettivo non è più il lavoro di team in
un‟ottica sinergica, ma l‟utilizzo del lavoratore per soli obiettivi di budget (Livolsi, 2011).
Il Burnout (termine inglese che significa letteralmente: “fuso”, “bruciato”, “cortocircuitato) è
una forma di reazione allo stress lavorativo e si configura come un fenomeno dotato di
caratteristiche peculiari, la più importante delle quali è il suo manifestarsi con maggiore
frequenza all‟interno di particolari realtà operative, le professioni di aiuto (helping
professions) e, in generale, all‟interno di quelle professioni, nelle quali il rapporto con
l‟utente/cliente ha un‟importanza centrale in termini di significato e di lavoro in sé (Milano,
2014).
Il fattore comune di queste professioni, che diventa anche quello scatenante la sindrome, è il
contatto emozionale. Tutte queste tipologie di lavoro richiedono un massiccio contatto con
26
altre persone in situazioni che spesso sono connotate da una notevole carica emozionale
(Maslach,1992).
Per chi lavora nelle professioni di aiuto e a continuo contatto con le persone, il burnout è una
strategia inadeguata, per rispondere alle tensioni accumulate nel proprio contesto di lavoro
(Mulas, 2007) : si manifesta con risposte disadattive verso se stessi, gli altri e il proprio ruolo
professionale, per evitare i danni che possono derivare dalle continue esigenze delle persone a
cui si offre il proprio sostegno (Del Rio,1990).
Questa particolare risposta affettiva a condizioni lavorative stressanti è caratterizzata da
sintomi psico-fisici e da atteggiamenti verso il lavoro, che costituiscono la fase finale di un
processo difensivo verso condizioni di lavoro vissute come insoddisfacenti.
Il burnout, individuato inizialmente nei servizi sanitari e sociali, da tempo si è diffuso in altre
professioni, come risultato dei cambiamenti sociali ed economici (Maslach e Leiter 2000),
tanto che i due Autori, modificando il loro primo strumento di misurazione della sindrome
(MBI) e mettendone a punto uno nuovo (MBI - General Survey), hanno dimostrato
l‟estendibilità del costrutto anche ad altre organizzazioni produttive.
Tuttavia, nonostante Maslasch e Leiter abbiano esteso il costrutto ad ambiti lavorativi diversi
da quello delle professioni di aiuto, restano ancora delle perplessità sulla possibilità di
generalizzare il job burnout al di fuori del primitivo contesto. Come sostiene Santinello
(2001): “non è detto che abbia effettivamente senso considerare il burnout come una sorta di
disagio a carattere generale, né risulta provato che una sua definizione elaborata in un
contesto di aiuto possa essere trasferita ad altri settori, senza alterarne il significato e la
rilevanza teorica”.
Verosimilmente il costrutto potrebbe essere applicato in altri ambienti organizzativi purché si
tenga conto del contesto e della cultura entro i quali viene indagato, e in questo senso,
potrebbe essere di aiuto a quelle organizzazioni che intendano capire i problemi che nascono
al loro interno, al fine di programmare interventi efficaci (Mulas, 2007).
2.2 Il fenomeno del Burnout: aspetti teorici.
In alcuni studi, (Farber1983, Mc Dermott 1984, Rossati e Magro,1999), si rileva che il
termine veniva già utilizzato negli anni ‟30 del secolo scorso, nel gergo sportivo, per indicare
lo stato di un atleta che, dopo tanti successi, si “brucia” e non è più in grado di competere a
certi livelli oppure per riferirsi agli effetti dell‟abuso cronico di stupefacenti. In questa prima
accezione il termine veniva utilizzato per descrivere un quadro sintomatologico caratterizzato
da affaticamento, logoramento e insoddisfazione.
27
L‟identificazione del burnout come specifica modalità di reazione allo stress è attribuita a
Herbert Freudenberger, che nel 1974 introduce questa sindrome nel mondo scientifico degli
Stati Uniti.
Freudenberger, colse la graduale perdita di energia e di motivazione, oltre all‟insorgere di
alcuni sintomi fisici e psichici, nei giovani volontari che lavoravano con lui in un centro
psichiatrico specializzato nella cura di pazienti dediti all‟uso di droghe e denotò questo
particolare stato di esaurimento, scegliendo una parola normalmente utilizzata per riferirsi
all‟uso cronico di droghe, ossia il termine burnout.
Freudenberger (1974) definisce il burnout come “lo stato di esaurimento determinato
dall’avere a che fare con altri in situazioni impegnative sotto il profilo emotivo… il burnout è
come fallire, logorarsi, consumare, o essere esaurito dal porre eccessive richieste alle
proprie energie, forze o risorse”(Freudenberger,1974 p.159-165).
Dopo di lui sono molti gli autori che si sono interessati al burnout come Edelwick e Brodsky
(1980) e Pines e Aronson (1981).
In particolare Contessa (1981) definisce l‟operatore in burnout come “cortocircuitato”, e
attribuisce questo stato a quei lavoratori che, dopo un intenso contatto emotivo con le
persone, arrivano a esaurirsi e Cherniss (1983) vede il burnout come una malattia da eccesso
d‟impegno, per cui il soggetto per porre rimedio a tale condizione perde interesse, entusiasmo
e senso di responsabilità per la propria attività.
L‟espressione “Burnout Syndrome” è stata utilizzata per la prima volta da Cristina Maslach
nel 1977 nel Convegno annuale dell‟APA.
Diversamente da chi in passato aveva preferito l‟approccio clinico, Maslach (1992), lo
abbandona, studia empiricamente le cause dell‟insorgenza della sindrome e procede alla
operazionalizzazione del costrutto di burnout grazie in particolare alla elaborazione di un
questionario ad hoc: il Maslach Burnout Inventory (Maslach,1981 a).
Secondo la studiosa la sindrome del burnout è una condizione d‟insofferenza dovuta
all‟incapacità di adattamento alle situazioni di stress emotivo continuo derivato dall‟ambiente
di lavoro (Maslach e Jackson,1981 b).
Del Rio (1990) afferma che il burnout è una sindrome che coinvolge aspetti psicologici
somatici e comportamentali e deriva non tanto dal contatto con l‟utenza quanto dal rapporto
affettivamente significativo che si instaura con la gente e che si riflette sullo stato emotivo
dell‟operatore.
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Contessa (1995), rilevando il merito di Maslach di aver identificato il burnout come una
specifica malattia, ne sintetizza il significato come segue: la burning-out syndrome è un
insieme di sintomi che testimoniano l‟evenienza di una patologia comportamentale a carico di
tutte le professioni a elevata implicazione relazionale. Essa si distingue dallo stress, che può
eventualmente essere una concausa del burnout, così come si distingue dalle diverse forme di
nevrosi, in quanto disturbo non della personalità ma del ruolo lavorativo.
Negli anni successivi il burnout è stato variamente definito e sebbene, negli ultimi
trentacinque anni, siano stati proposti numerosi modelli esplicativi (circa 2500 pubblicazioni
inerenti al problema tra il 1974 e il 1990), buona parte di essi è nata per contribuire
all‟integrazione dei diversi approcci in un un‟unica struttura di sintesi (Milano, 2004).
La definizione ancora oggi più diffusamente adottata è quella elaborata da Maslach, in seguito
ripresa e rivisitata da quest‟ultima in collaborazione con Jackson, secondo cui il burn-out è
“una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità
personali che può presentarsi in soggetti che per professione «si occupano della gente»”
(Maslach,1997).
Milano (2004) sintetizza la sindrome di burnout affermando, “...il burnout si può definire
come una situazione di stress occupazionale, caratterizzata dal fatto che lo stress, che causa la
sindrome, nasce dal rapporto che si instaura tra l‟operatore e il destinatario dell‟aiuto; tale
considerazione implica, quindi, l‟osservazione necessaria del contesto in cui si sviluppa il
fenomeno…..” e ancora “Le variabili che intervengono nella genesi della sindrome sono
molteplici e differenti: l‟idea centrale, che sta alla base della definizione del fenomeno stesso,
implica un‟interazione dinamica tra i diversi elementi che sono coinvolti nel determinarsi del
conflitto - le singole figure professionali in rapporto reciproco e singolarmente con la struttura
organizzativa - pur tenendo presente le difficoltà derivanti dal tentativo di tracciare un confine
tra una condizione lavorativa normale e una situazione in cui si verifica il burnout”.
La sindrome da Burnout si può, quindi, definire come una condizione di disadattamento nella
quale “un professionista, precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in
risposta allo stress ed alla tensione sperimentati sul lavoro” (Chernis, 1983) ; una sindrome
caratterizzata da una “progressiva perdita di idealismo, di energia, di obiettivi” (Brodksy A,
Edelwick J.1980) e “...di motivazioni e di aspettative a esser bravi nel fare del bene”
(Harrison WD.1983).
Si può considerare come il passo conclusivo “di una progressione di tentativi senza successo
per far fronte a una serie di condizioni negative o stressanti” (Marchesini GC et Al, 1992).
29
“La sindrome non insorge repentinamente, ma è un processo dinamico: è il risultato di uno
stress lavorativo, che, attraverso successivi episodi negativi e frustranti, conduce a una ridotta
produttività e a un declino delle risorse emotive, esitando conclusivamente in un esaurimento
psicofisico globale, soprattutto nel caso in cui l‟operatore non reagisca efficacemente,
mediante soluzioni attive ai problemi generatori della sindrome” (Milano, 2004).
2.3 I Modelli del Burnout
Il Modello di Maslach.
Gli studi effettuati sul Burnout non sono riusciti a compiere una sintesi tra i vari Modelli
proposti nel corso del tempo, soprattutto per il fatto che gli Autori hanno sottolineato varie
dimensioni del Burnout, a seconda del loro campo di interesse: la dimensione individuale,
quella sociale, quella organizzativa, ecc. (Milano, 2014).
Tuttavia il Modello a cui si fa maggior riferimento anche nelle ricerche recenti è quello di
Cristina Maslach. Maslach, nel 1982, raccolse una serie di testimonianze di lavoratori che
stavano affrontando la sindrome del burnout, rintracciando gli aspetti in comune e scrivendo
successivamente “Burnout. The cost of caring” (La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto
agli altri) (Maslach,1982).
Questo lavoro identificò le dimensioni che concorrono all‟insorgere della sindrome e aprì la
strada alle successive ricerche sperimentali sull‟argomento.
Maslach (1982), distaccandosi come già detto dagli Autori precedenti, abbandona l‟approccio
clinico e studia empiricamente le cause dell‟insorgenza della sindrome.
Negli studi primi condotti con Pines nel 1976 e nel 1977, utilizzando il modello di risposta
allo stress di Selye (1956), crea una teoria che prevede 3 momenti successivi:
1) Esaurimento emotivo (emotional exhaustion and fatigue): è la dimensione legata più delle
altre al benessere fisico e psichico, caratterizzata da saturazione emotiva, da incapacità ad
accogliere emozioni nuove, da mancanza di energie, da sensazione di frustrazione o tensione;
si manifesta con la sensazione di aver “bruciato” le proprie
energie psicologiche, con un netto calo delle proprie risorse emozionali, che il soggetto non
riesce più a ristabilire.
2) Depersonalizzazione (depersonalisation and cynical attitude): è l‟allontanamento dalla
relazione con l‟altro, presa di distanza dal coinvolgimento personale nelle relazioni con gli
altri attraverso un processo di de umanizzazione espresso dal trattare gli altri come oggetti;
può essere vista come una strategia di difesa che si manifesta con indifferenza, cinismo verso
le emozioni e i bisogni altrui, per evitare la sensazione di minaccia percepita nel rapporto con
30
l‟utente. L„operatore tende a comportarsi in modo freddo e distaccato verso il proprio lavoro,
cercando un minimo coinvolgimento e abbandonando l‟entusiasmo iniziale.
3) Ridotta realizzazione personale (lack of personal accomplishment): riguarda il
sentimento di efficacia del proprio lavoro, di competenza e di autostima o anche (a seconda
della direzione positiva o negativa) sentimenti di mancanza di fiducia nelle proprie capacità,
senso di inadeguatezza ecc. L‟operatore tenderà a sentirsi inadeguato nello svolgimento
dell‟attività; avrà un calo di fiducia nella possibilità di svolgere in maniera efficace il proprio
lavoro e, progressivamente tenderà a sviluppare un senso d‟insoddisfazione, sensazione di
insuccesso, abbassamento dell‟autostima verso le proprie capacità, sentendosi incapace di
aiutare gli altri.
Successivamente, Folgheraiter (1994) aggiunge il fattore “perdita della capacità di controllo”,
una sorta di perdita del senso critico, che permette di valutare e inquadrare l‟esperienza
lavorativa nel suo giusto contesto.
Soprattutto nei primi studi, Maslach considera anche alcune caratteristiche di personalità e
cerca di tracciare un profilo psicologico del soggetto a rischio di burnout: predisposte al
burnout, sarebbero le persone deboli e remissive nei rapporti con gli altri, incapaci di
controllare le situazioni, tendenti a cedere alle richieste dell‟utente, impazienti e intolleranti di
fronte agli ostacoli con difficoltà a controllare impulsi ostili.
Come osserva Milano (2004) “sostanzialmente se si pone il problema sotto la luce psicosociale propria degli studi di Maslach e Jackson, il burnout assume le caratteristiche di
un‟esperienza nella quale, all‟interno di un continuum adattativo, si passa da una condizione
di adattamento produttivo (eustress) a una condizione di disadattamento (distress),
coincidente nei suoi gradi estremi con la Sindrome del Burnout; in pratica, sarebbero proprio
gli elementi di stress relazionale sperimentati dagli operatori a determinare, nel tempo, il
sovraccarico emozionale che conduce all‟esaurimento”.
Il Modello di Pines
Pines considera la sindrome del burnout uno stato di esaurimento emozionale, che deriva da
un processo di crescente disillusione (Milano, 2004). A suo avviso le definizioni date alla
sindrome non concordano sulle cause: queste dovrebbero essere ricercate nel coinvolgimento
profondo di quei professionisti che si identificano troppo con il loro lavoro. Pines vede nel
burnout il risultato di una costante pressione emotiva, associata ad un profondo
coinvolgimento con altre persone, per lunghi periodi di tempo (Pines et al., 1981).
31
Per questo Autore, il burn-out non è caratteristico delle helping professions, anche se nota che
è proprio in questo ambito che si osserva una maggiore frequenza di casi dovuto al
coinvolgimento determinato dalle relazioni operatore-utente tipiche del settore assistenziale.
Gli individui, pur spinti da motivazioni diverse, intraprendono carriere volte a raggiungere
obiettivi specifici, che possono essere ricondotti a tre categorie generali : universali,
specifiche e personali. La Sindrome sarebbe causata dal mancato raggiungimento degli
obiettivi, anche se determinanti sono a tale fine le caratteristiche del contesto organizzativo in
cui si svolge il lavoro. Per Pines la predisposizione personale e la percezione della situazione
lavorativa conterebbero comunque più delle caratteristiche oggettive dell‟ambiente di lavoro:
l‟insorgenza del burnout sarebbe determinata, infatti, in particolare proprio dalla propria
percezione di inadeguatezza. Tale condizione comunque, proprio a causa della sua dinamica,
non è irreversibile, ma al contrario modificabile.
Il Modello di Cherniss
Cary Cherniss è uno degli Autori che ha contribuito maggiormente allo studio della Sindrome
di burnout (Cherniss,1980). Cherniss nel 1980, dopo aver notato la perdita di motivazione
subita da alcuni operatori dei servizi socio-sanitari e il loro crescente distacco dal lavoro,
sviluppa un suo modello.
Definisce il burn-out come un “processo transazionale”, caratterizzato da 3 fasi successive:
1) Stress lavorativo: si tratta di uno squilibrio che si crea tra le risorse disponibili e le
richieste provenienti dall‟esterno;
2) Tensione (strain): è una reazione emotiva immediata allo squilibrio;
3) Conclusione difensiva (coping): modificazione dell‟atteggiamento in senso negativo (es:
rigidità, distacco emotivo, cinismo …). I cambiamenti di comportamento e elementi associati
al burn-out come la perdita di entusiasmo e/o di interesse determinerebbero nel tempo una
fuga psicologica del soggetto, quale tentativo di limitare il livello di stress generatore del
fenomeno. Cherniss (1983) afferma: “Quanto più stress …. l‟operatore subisce, tanto è
minore l‟energia che resta disponibile per l‟empatia e l‟aiuto all‟utente”.
Tra i meccanismi di difesa usati in particolare dai sanitari, è frequente il distacco psicologico
dall‟utente; tale meccanismo dà origine a una demotivazione che si auto-alimenta mediante un
circolo vizioso: alla fuga dall‟ambiente stressante, si associa una diminuzione dell‟efficacia
della prestazione professionale, che riporta ciclicamente a un incremento della frustrazione
(Milano, 2004).
32
Anche Maslach (1979) aveva individuato come meccanismo di difesa la “burocratizzazione”:
gli operatori per ridurre al minimo il contatto con le persone si trasformano in burocrati aridi,
aderendo completamente ai regolamenti. Gli utenti sono classificati in categorie e, anziché
relazionarsi con gli individui, gli operatori si relazionano con la
categoria. Applicando
formule, invece di dare risposte specifiche, evitano il coinvolgimento emotivo.
Nel suo Modello, Cherniss si trova in accordo con Pines, ma contemporaneamente se ne
distacca: condivide l‟idea che in letteratura, si focalizzi l‟attenzione su singoli elementi
d‟indagine, invece di esaminare il problema in una prospettiva multidisciplinare e condivide
l‟idea che il burn-out non sia una situazione necessariamente permanente. Tuttavia a
differenza di Pines, Cherniss pone l‟accento sull‟importanza del contesto organizzativo in cui
si svolge l‟attività lavorativa e ribadisce che un intervento a livello strutturale è più semplice
ed economico rispetto a quegli interventi che cercano di risolvere i casi individuali, volta per
volta. Tra le caratteristiche della situazione lavorativa che chiama in causa, compaiono le
norme, la struttura di ruolo, la struttura di potere (autonomia/controllo), lo stile di leadership e
supervisione e l‟interazione sociale all‟interno dello staff. Cherniss, rileva anche che il
successo psicologico deriva dalla percezione personale e non dai riconoscimenti esterni:
quando non è possibile avere almeno un parziale controllo del proprio ambiente di lavoro, può
svilupparsi quella che Seligman (1975) chiama “l‟impotenza appresa”, cioè un‟incapacità di
controllo sugli eventi che riguardano da vicino l‟operatore.
Il Modello di Edelwich e Brodsky
Edelwich e Brodsky sottolineano nel burnout la perdita degli ideali e degli interessi che
inizialmente hanno spinto l‟operatore a svolgere una attività in favore degli altri ed elaborano
un processo in cui si succedono cinque fasi:
Entusiasmo idealistico: Prevalgono idealismo, elevate aspettative, scarsa capacità di
valutazione della realtà;
Stagnazione: Diminuisce l‟entusiasmo iniziale e si comincia a percepire che i propri
investimenti non servono per ottenere i risultati attesi;
Frustrazione: Fase centrale del processo, è il momento in cui il soggetto può andare incontro
ad un cambiamento evolutivo o al burnout ;
Apatia: Comincia un graduale disimpegno emozionale determinato dalla frustrazione;
Intervento: quest‟ultima fase potrebbe anche non presentarsi; non essendo il burnout, un
processo irreversibile, è possibile agire per ridurre gli effetti della sindrome.
33
Gli autori mettono in evidenza come nel loro modello la progressione delle fasi sia ciclica e
non lineare e quindi si possa interrompere in qualsiasi momento.
2.4 Le cause del burnout
Il burnout ha maggiori possibilità di svilupparsi in organizzazioni, in cui vi è una forte
discrepanza tra “la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro” e in cui
non viene attribuito un giusto valore e riconoscimento allo sforzo e impegno dei lavoratori.
In particolare Maslach e Leiter (2000) attribuiscono la nascita del burnout a sei differenze tra
persona e lavoro. Queste discrepanze, che possono incidere negativamente sul benessere dei
lavoratori, si sviluppano quando:
1. “siamo sovraccarichi di lavoro”;
2. “non abbiamo il controllo di quello che facciamo”;
3. “non veniamo ricompensati in modo adeguato per quello che facciamo”;
4. “viviamo una crisi nel senso di comunità e di appartenenza”;
5. “non siamo trattati equamente”;
6. “viviamo valori contrastanti”.
Sovraccarico di lavoro.
E‟ una dimensione fondamentale della vita organizzativa. Per l‟organizzazione carico di
lavoro equivale a produttività, per i lavoratori corrisponde a dispendio di energie e di tempo.
Per mantenere un rapporto equilibrato con il lavoro è basilare trovare un compromesso tra le
due prospettive. Invece in genere “nella loro lotta per aumentare la produttività, le
organizzazioni pretendono dalle persone più di quanto esse riescano a sostenere.” (Maslach,
2000 p. 44). Inizialmente gli individui riescono a sostenere un aumento del carico di lavoro,
poi però il tempo da dedicare al lavoro è eccessivo, contemporaneamente aumenta la
complessità e di conseguenza diminuisce il tempo da dedicare agli interessi personali e/o alla
famiglia fino a percepire uno stato di esaurimento emozionale, creativo o fisico, che
compromette l‟efficienza, la salute, il benessere.
Mancanza di controllo.
La capacità di stabilire le priorità nel lavoro quotidiano, di scegliere gli approcci da adottare
nel lavoro e di prendere decisioni circa l‟utilizzo delle risorse è fondamentale per essere un
professionista. Le politiche che interferiscono con questa capacità riducono l‟autonomia
personale e il coinvolgimento con il lavoro. Quando le persone non hanno più il controllo su
dimensioni importanti del lavoro, non riescono a rispondere ai problemi, possono perdere
tempo facendo cose che non portano a un buon lavoro. Senza controllo “ essi non possono
far quadrare i loro interessi con quelli della organizzazione, perdono ogni interesse se non
34
percepiscono che stanno contribuendo direttamente alla realizzazione di qualcosa” (Maslach
e Leiter, 2000 p. 47).
Se pertanto gli operatori non hanno alcun controllo su aspetti percepiti come rilevanti per la
propria realizzazione, che si tratti di controllo personale o condiviso, vanno “soggette
all’esaurimento, al cinismo, e all’inefficienza tipici del burnout ” (Maslach e Leiter, 2000 pg.
48).
Gratificazione insufficiente.
In genere gli individui scelgono un‟attività lavorativa sperando che porti loro le gratificazioni
materiali costituite dal denaro, dal prestigio, dalla sicurezza. Ultimamente queste
gratificazioni sono scarse nonostante le persone lavorino di più. Un fattore che contribuisce
ulteriormente all‟esperienza di burnout è la perdita del compenso intrinseco, che si ottiene
svolgendo un lavoro gratificante con colleghi stimati e che accresca la competenza
professionale. La perdita quindi di fattori di gratificazione sia estrinseci che intrinseci riduce
la capacità di un lavoro di essere attraente.
Crollo del senso di appartenenza comunitario
Può accadere che il senso comunitario diventi più debole con la perdita della sicurezza del
lavoro e con un‟eccessiva focalizzazione sul profitto a breve termine che esclude la
considerazione delle persone. La prima conseguenza di questa atmosfera è la frammentazione
dei rapporti personali , base della vita di comunità in una organizzazione, e la seconda è
l‟indebolimento del lavoro in team. Questa perdita del senso comune si può osservare nei
frequenti e crescenti conflitti tra le persone, nel minor sostegno e rispetto reciproci e nel
crescente senso di isolamento “Il senso di appartenenza scompare quando le persone
lavorano separatamente invece che insieme”(Maslach e leiter, 2000 p. 53).
Assenza di equità
Un posto di lavoro è percepito come equo quando trasmette fiducia, lealtà e rispetto.
Quando un‟organizzazione agisce in modo imparziale, valorizza ogni persona che
contribuisce al suo successo e manifesta l‟importanza di ogni individuo. Tutti e tre questi
elementi di equità sono essenziali per mantenere l‟impegno di un individuo nel suo lavoro.
Al contrario loro assenza contribuisce direttamente al burnout. In realtà le organizzazioni
fanno difficoltà a preservare fiducia, lealtà e rispetto: spesso prendono provvedimenti che
dimostrano uno scarso interesse per i lavoratori, investono in operazioni con rendimento a
breve termine e non per realizzare una comunità professionale, non attribuiscono valore alla
valutazione dei dipendenti circa le priorità del servizio. Anche una comunicazione aperta e
leale talora è limitata e sono presi provvedimenti che danneggiano il rispetto per le persone.
35
Dare risalto all‟interesse per la fiducia, la lealtà e il rispetto riguarda i valori e su questi è
costruita la comunità di una organizzazione. Quando invece, i valori sono in conflitto, non c‟è
una base d‟accordo sulla quale costruire il senso di comunità.
Valori contrastanti
I valori influenzano ogni aspetto del rapporto che si ha con il lavoro. L‟attuale crisi che
interessa il mondo del lavoro è per molti aspetti un grande conflitto di valori. Un sistema di
valori basato sulla sopravvivenza - profitto a breve termine è contrario ai valori che i
dipendenti hanno in relazione al loro lavoro. Quello che le persone reputano particolarmente
grave è che spesso le organizzazioni mettono in evidenza la dedizione al servizio o alla
produzione ottimale, mentre prendono provvedimenti che vanno a scapito della qualità del
lavoro. I dipendenti sono infastiditi anche dalla mancanza di sincerità nei valori organizzativi.
Più questi sei fattori sono accentuati in una stessa organizzazione, più è alta la probabilità che
i soggetti che vi lavorano in stretto contatto, esperiscano il burnout.
A proposito delle cause, Maslach individua anche alcune conseguenze riscontrabili in chi si
trova in una situazione di burnout, in particolare, ne indica tre:
1 ) Deterioramento dell‟impegno
2 ) Deterioramento delle emozioni
3 ) Problema di adattamento tra le persone e il lavoro
Deterioramento dell’impegno:
Quando un individuo inizia un‟attività che valuta positivamente, la svolge con “energia,
coinvolgimento ed efficienza”. Nel caso si manifesti qualcuna delle sei cause precedentemente
elencate e quindi il soggetto viva una situazione di burnout, la sua energia iniziale si
“esaurisce”, il coinvolgimento diventa “cinismo” e l‟efficienza cede il posto all‟
“inefficienza” con conseguente perdita di impegno nell‟attività.
Deterioramento delle emozioni:
In particolare nelle Helping Professions, Maslach afferma che le emozioni sono il fondamento
della motivazione al lavoro, dell‟efficacia delle prestazioni professionali e basilari per
instaurare buone relazioni con le persone. Alle emozioni però spesso non è dato il giusto
peso: è possibile che siano ignorate o sottovalutate dall‟organizzazione che le reputa
“irrilevanti ai fini lavorativi”, a rischio di “interferire con il lavoro”. Se il lavoratore si sente
trattato ingiustamente nell‟organizzazione e se non riesce superare questo problema, le
emozioni positive che manifestava inizialmente possono tramutarsi in “rabbia” e
36
“frustrazione” e il soggetto può comportarsi in modo aggressivo nei confronti della propria
attività e ancor peggio con le persone a cui deve prestare servizio.
Problema di adattamento tra le persone e il lavoro:
Nel caso di un lavoratore soggetto a burnout che non sia riuscito ad adattarsi ad un
determinato contesto lavorativo, l‟organizzazione potrebbe attribuire la colpa alla stessa
persona considerandola sfaticata e incompetente, senza considerare il suo punto di vista. Ma il
burnout più che problema individuale è un problema organizzativo, causato della discrepanza
tra caratteristiche individuali e caratteristiche dell‟organizzazione e la mancanza di
adattamento tra persona e lavoro si riverserà sicuramente sull‟efficacia della prestazione
lavorativa.
In conclusione, per quanto riguarda le professioni di aiuto, il burnout è determinato oltre che
da un rapporto conflittuale con l‟utenza anche dal rapporto con altre condizioni negative
strettamente organizzative; chi è soggetto a questa patologia percepisce uno squilibrio tra
risorse investite nel lavoro e riscontri ottenuti, favorendo una ritirata psicologica, emozionale
e spesso fisica dal lavoro.
Perchè tuttavia si manifesti questa sindrome, le ricerche indicano l‟incidenza dell‟interazione
tra variabili organizzative e variabili di personalità.
L’interazione tra fattori organizzativi e variabili personali
Come si è visto, Maslach (2000), attraverso le sue ricerche, sostiene che il burnout,
nonostante colpisca l‟individuo, non è un problema strettamente personale ma del contesto
sociale con cui si rapporta: se l‟organizzazione non rispetta, non valorizza, non riconosce la
persona, cresce la possibilità che si presenti il burnout. Allo stesso tempo tuttavia ogni
persona risponde in modo diverso alle situazioni stressanti.
2.5 Le variabili individuali e organizzative che incidono sul burnout
I fattori che predispongono all‟insorgenza della sindrome di burnout sono sia di tipo
individuale che ambientale. La sindrome è un fenomeno complesso, determinato non solo
dalle componenti soggettiva ed oggettiva dello stress individuale, ma anche dalle variabili
storico-sociali e culturali che possono favorire il passaggio dallo stress al burnout.
37
2.5.1 Fattori individuali
In base alla componente soggettiva, alcuni stimoli vengono percepiti dal soggetto come
stressanti e da tale percezione dipenderà l‟ intensità della reazione che l‟individuo metterà in
atto di fronte a tali stimoli. Gli elementi che incidono sulla vulnerabilità allo stress sono molti,
come variabili socio demografiche, variabili di personalità, idealizzazione e motivazione
individuale, ecc.
In particolare, Baiocco, Crea, Laghi F. e Provenzano L. (2004) individuano:
Sesso: nell‟insorgenza del burnout, non ci sono differenze significative tra uomini e donne,
anche se in realtà le donne investono maggiormente sulle emozioni rispetto agli uomini e
questo comportamento fa sì che il sesso femminile sperimenti maggiormente l‟esaurimento
emotivo.
Età: L‟età è significativa; questa sindrome colpisce maggiormente i soggetti giovani, che
lavorano in ambienti “a rischio” da circa un anno.
I giovani hanno meno esperienza
lavorativa degli anziani, e, con l‟avanzare dell‟età, gli operatori dovrebbero essere più stabili,
avere una prospettiva più equilibrata della vita e una minor tendenza agli eccessi del burnout.
Stato civile: Il burnout è sperimentato maggiormente dai soggetti celibi i divorziati. La
famiglia, infatti, consentirebbe una “compensazione affettiva”, un sostegno emotivo (Contessa
1987). Il supporto sociale ha quindi un ruolo rilevante come elemento di sostegno e di
prevenzione.
Livello di istruzione: La sindrome appare più diffusa tra i soggetti con un elevato livello di
istruzione. Il motivo starebbe nelle aspirazioni lavorative: chi presenta un basso livello di
scolarità non ha grandi obiettivi da raggiungere; essi sarebbero coerenti con la propria
formazione (De Felice e Cioccolanti 1999).
Variabili di personalità: Ogni individuo ha una personalità formatasi in base alle esperienze
affrontate lungo il percorso di vita. Tali esperienze rendono diversi tra loro gli individui che, a
seconda delle situazioni e problemi affrontati, sono estroversi, competitivi, ambiziosi,
fiduciosi, ottimisti ecc. Le caratteristiche di personalità fanno sì che una stessa situazione sia
valutata in modo diverso dalle persone.
Il soggetto affetto da Burnout presenta una debolezza emotiva, scarsa assertività, non riesce
controllare bene le situazioni: questo tipo di persona può avvertire un sovraccarico
emozionale e essere quindi ad elevato rischio di esaurimento emozionale. Chi tende al
burnout può essere intollerante e impaziente, predisposto alla collera: esiste la possibilità che
38
utilizzi meccanismi di proiezione, nei confronti delle persone che aiuta nel suo lavoro
(“spersonalizzazione”).
Queste caratteristiche di personalità sono state sintetizzate con l‟espressione “Tipo A”,
coniata alla fine degli anni ‟50 dal cardiologo Meyer Friedman, che aveva osservato come le
persone più inclini a problemi cardiaci tendessero anche ad avere personalità più impazienti,
propense all‟ambizione e ad alti livelli di stress. La teoria divenne nota solo nel 1974 quando
scrisse il suo libro, “Type A Behavior And Your Heart”, insieme a Ray H. Rosenman
(Friedman e Rosenman,1974).
Da allora il “Comportamento di Tipo A” definisce una serie di tendenze caratteristiche di
personalità altamente competitive e indica una vasta gamma di comportamenti e di tratti
caratteriali.
Nel suo modello, Cherniss (1983), oltre alla Personalità di tipo A, individua altre variabili di
personalità che causano lo stress lavorativo:
1) Ansia nevrotica: è tipica dei soggetti con un forte Super Io che si pongono mete
difficili e si puniscono se non le riescono a raggiungere. Hanno una bassa autostima in se
stessi.
2) Locus of control: la persona con un locus of control “interno”, controlla il flusso di eventi
e le situazioni lavorative, meglio di chi ha un locus of control “esterno” che al contrario trova
difficoltoso dominare le situazioni e superare il burnout.
3) Grado di flessibilità: chi si adatta allo stress senza cercare di fronteggiarlo al fine di
superarlo, ha maggiore probabilità di sperimentare situazioni conflittuali nell‟organizzazione
che suscitano ansia, tensione e inquietudine.
4) Introversione: i soggetti più disposti all‟introversione percepiscono i conflitti lavorativi
come logoranti e invece di agire per sconfiggere lo stress, si “ritirano” dinanzi alla situazione
problematica.
Idealizzazione e motivazione individuale: All‟inizio di una carriera lavorativa le persone
agiscono con entusiasmo e possono idealizzare il proprio lavoro. Tuttavia un‟eccessiva
idealizzazione è rischiosa in quanto spinge a vedere soprattutto gli aspetti positivi delle
propria attività, senza considerare le eventuali difficoltà. I problemi che nel tempo potrebbero
emergere espongono le persone al rischio di burnout. Per chi lavora nelle professioni di aiuto,
anche un eccessivo coinvolgimento può mettere in pericolo la salute dell‟operatore.
Gilberti (1982) sostiene che, chi lavora a contatto con le persone (insegnanti, psicologi,
medici, infermieri ecc.), lo fa per “vocazione”. Il desiderio di prestare il proprio aiuto implica
un forte coinvolgimento motivazionale e il desiderio di riuscire veramente a gestire le
39
situazioni e i disagi degli utenti, ma quando ci si rende conto che non sempre è possibile
aiutare tutti, la motivazione iniziale cede il posto all‟insoddisfazione e alla perdita di
entusiasmo e “la forte spinta idealistica dei primi anni di lavoro lascia il posto al disagio
emotivo, all’insoddisfazione personale e alla disumanizzazione dei comportamenti verso gli
utenti” (Baiocco et al., 2004).
2.5.2 Fattori organizzativi: sono così denominati quei fattori connessi all‟organizzazione del
lavoro (esaminati precedentemente) sui quali il lavoratore difficilmente può intervenire e che
quindi creano le condizioni favorevoli all‟insorgere del burnout: la struttura del ruolo e il
sovraccarico di lavoro; la retribuzione e la carriera; il clima organizzativo; i valori contrastanti
e l‟assenza di equità ecc.
Questi fattori organizzativi, insieme alle variabili di personalità precedentemente illustrate,
potrebbero causare veri scompensi come appunto il burnout. Per esempio, se un soggetto è
eccessivamente coinvolto nella propria attività, motivato, sicuro di sé e orientato al successo,
ma l‟organizzazione non riconosce il suo impegno, non favorisce la sua carriera, la
retribuzione non è proporzionata al carico di lavoro, oppure gli utenti di un servizio non
riconoscono il lavoro svolto, allora la persona potrebbe attuare come strategia inconsapevole
il distacco emotivo, il disimpegno, diventando a sua volta inefficiente e poco fiduciosa sia
verso se stessa che verso l‟organizzazione, manifestando quindi i sintomi della sindrome del
burnout ( Mulas, 2007).
2.6 Il burnout nelle professioni sanitarie
Anche se stress e burnout si stanno diffondendo in una moltitudine di contesti organizzativi,
le professioni più a rischio rimangono le helping professions, per le risorse emozionali messe
in gioco dagli operatori. Come dicono Maslach e Leiter (2000), si tratta di professioni hightouch, a contatto continuo, cioè con contatti diretti e protratti nel tempo con persone in
difficoltà.
Un motivo rilevante che induce in particolare i professionisti della salute a sperimentare il
burnout è la contraddittorietà che vivono all‟interno del sistema in cui operano (Mulas, 2007):
da un lato sentono la necessità di attuare degli interventi di tipo contestuale per soddisfare le
esigenze delle singole persone, perché ognuna è portatrice di diverse storie e diversi bisogni,
dall‟altro l‟organizzazione richiede, come sostiene Del Leo (1991), un adattamento acritico
alla routine burocratica, con assenza di creatività, e ciò porta con molta frequenza all‟erogare
servizi standardizzati che non riescono ad andare incontro efficacemente alle richieste
diversificate dell‟utenza.
40
Ciò comporta che gli operatori, oltre ad affrontare i problemi degli utenti, devono cercare di
far fronte anche alle difficoltà imposte dalla rigida organizzazione del lavoro che impedisce
l‟esercizio in modo creativo e spontaneo della propria mansione causando una discrepanza tra
i propri bisogni e quelli dell‟organizzazione (Mulas, 2007).
Il rapporto con i pazienti, il carico di lavoro, i turni, le mansioni da svolgere, e quindi le
continue richieste dell‟organizzazione, dei pazienti e anche delle loro famiglie sono tutti
fattori che portano l‟operatore sanitario a sperimentare gravi situazioni di stress, rischiando di
“consumare le proprie energie soprattutto a livello emotivo” (Baiocco et al., 2000).
Sono soprattutto gli infermieri ad essere più a rischio di burnout, in quanto assistono il
malato durante tutto il tempo del ricovero.
Le ricerche, che hanno cercato di approfondire il legame tra “soddisfazione lavorativa” e
“burnout”, hanno prodotto risultati contrastanti: alcuni studi mostrano l‟indipendenza tra i due
costrutti, altri indicano che il burnout è la causa dell‟insoddisfazione lavorativa (Sirigatti e
Stefanile,1993), altri ancora indicano l‟insoddisfazione lavorativa come causa del burnout
(Leiter, 1988). Alcuni Autori come Janes (1996) riscontrerebbero che la soddisfazione
lavorativa sarebbe influenzata dalle caratteristiche del lavoro in sé, il burnout dalle variabili di
personalità (Janes et al.,1996).
“Nel tradizionale orientamento centrato sul cliente, condiviso dalla maggior parte delle
professioni di aiuto, il focus è quasi del tutto sul cliente, senza che si ponga sufficiente
attenzione agli stress cui va incontro l‟operatore. All‟interno di questo quadro di riferimento
l‟operatore è visto come un mero fornitore di prestazioni, il cui ruolo (il servizio, l‟aiuto, la
comprensione, il sostegno) è definito dalla presenza dell‟utente e dei suoi bisogni (Mulas,
2007). Ma gli stress sperimentati dall‟operatore sono reali e, nei casi estremi, possono
risolversi nell‟esperienza del burnout” (Pines e Kafry, 1978).
Anche se in genere le organizzazioni mettano al centro i bisogni degli utenti e trascurino
quelli degli operatori, da quanto detto finora, si può constatare che la qualità del servizio
offerto al cliente dipende in grande misura dalla salute psicofisica dell‟operatore che opera in
quella data organizzazione.
Come si è visto il burnout “colpisce” soprattutto gli operatori che, oltre ad essere sottoposti a
pressanti richieste dagli utenti, devono andare incontro anche alle incessanti pressioni
organizzative che richiedono più lavoro in minor tempo, con meno mezzi e con più persone
da controllare, aumentando così il rischio che il sovraccarico di lavoro possa compromettere
l‟efficacia della stessa attività di aiuto (Mulas, 2007).
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I professionisti che sperimentano il burnout, sono esauriti sia fisicamente che
psicologicamente a causa dell‟interazione sociale con chi è aiutato ma anche da alti livelli di
stress lavorativo e, come si è visto, da livelli di frustrazione personale e di competenze
inadeguate alla situazione (Painew,1982) ed è tutto questo che comporta una risposta negativa
sia nei confronti di se stessi che verso il proprio lavoro (Mulas, 2007).
Maslach e Leiter, sottolineano con vigore che le cause del burnout non vanno ricercate nel
singolo individuo ma che “il comportamento di una persona nel luogo di lavoro può essere
compreso unicamente quando viene analizzato all’interno del contesto sociale di quel posto
di lavoro” è ciò implica una integrazione multidimensionale, cioè una interazione tra variabili
organizzative e variabili di personalità nel determinare le giuste condizioni perchè il burnout
si manifesti e si sviluppi, senza dimenticare che è stata essenzialmente definita come una
patologia di tipo organizzativo.
Il burnout non merita di essere ignorato per i problemi che comporta, ma necessita di essere
gestito efficacemente con metodi di prevenzione, rivolti sia al singolo, al gruppo e
all‟organizzazione. Prevenire il burnout significa evitare la pervasività del fenomeno in
quanto, come dice anche Cherniss (1983), è molto contagioso tra le persone che si relazionano
nel contesto lavorativo; ma significa anche evitare tutte quelle condizioni che ostacolano la
professionalità dell‟operatore e che arrecano dei danni oltre che all‟organizzazione e
all‟individuo stesso, anche all‟utenza a cui il servizio si rivolge (Mulas, 2007).
2.7 Il costo del burnout
Il burnout “può essere nocivo per la nostra salute, per la nostra capacità di affrontare gli
eventi e per il nostro stile di vita personale. Può inoltre condurre a un vero e proprio
deterioramento nella nostra prestazione lavorativa. Tutti questi costi non coinvolgono noi
soltanto, ma vengono pagati da chiunque sia in qualche modo legato a noi, sul lavoro e a
casa” (Maslach e Leiter 2000).
I costi sono pagati dall‟individuo sotto forma di disagi personali a livello fisico, psicologico e
comportamentale e ciò si manifesta anche con disagi professionali (Mulas, 2007).
Secondo Maslach e Leiter (2000), le conseguenze del burnout per l‟individuo sono:
- Problemi fisici: mal di testa, disturbi gastrointestinali, ipertensione, tensione muscolare,
affaticamento cronico, maggiore vulnerabilità alle malattie e sintomi psicosomatici,
cambiamento nelle abitudini alimentari
- Problemi psichici: ansia, depressione e disturbi del sonno, sensi di colpa, isolamento,
alterazione del tono dell‟umore; poca capacità di ascolto.
- Uso di alcol e droghe per fronteggiare lo stress.
42
- L‟esaurimento e i sentimenti negativi possono compromettere i rapporti di amicizia e
familiari.
L‟organizzazione osserva un declino della qualità e quantità del lavoro svolto. Le persone che
vivono il malessere tipico del burnout:
- Si sentono più stressate e perdono la capacità di gestire i problemi.
- Si ritirano dal lavoro tanto psicologicamente quanto fisicamente: assenteismo, turnover.
- Investono meno energia e tempo nelle attività, facendo lo stretto necessario.
- Diventano meno creativi.
E‟ probabile che un lavoratore soggetto al burnout, non manifesti tutti i sintomi elencati e non
si può pensare che la presenza di un solo sintomo sia necessariamente correlato a questa
patologia ma piuttosto: “il burnout si manifesta come una costellazione di sintomi che sono
riscontrabili sia a livello psicofisiologico, sia nei comportamenti disfunzionali che la persona
adotta verso se stessa e verso l’utenza, e questi con il tempo possono cronicizzarsi in una
condizione di persistente esaurimento emotivo e ostilità verso se stessi, verso il lavoro e verso
la vita in generale”. (Baiocco et al., 2004).
Tutti i problemi delineati, influiscono tuttavia sulla prestazione economica di un‟impresa.
Infatti, se l‟organizzazione considera il burnout come una problematica strettamente
individuale, ignorando il contesto lavorativo e non attuando provvedimenti preventivi, si
troverà in un futuro con delle spese maggiori: risarcimenti, contributi per le spese sanitarie,
assenteismo, congedi per malattia, truffe da parte dei dipendenti, perdite causate da errori sul
lavoro (come molto più spesso accade nell‟ambito della sanità), e deterioramento della qualità
del lavoro. È anche molto probabile che le persone migliori, e deluse, lascino l‟organizzazione
per cercare un impiego che valorizzi ulteriormente le loro capacità (Maslach e Leiter, 2000).
Nonostante quanto espresso, accade di sovente che le organizzazioni non prendano in
considerazione le differenze tra le persone e il loro ambiente di lavoro, ma si concentrino solo
sul comportamento delle persone, attribuendo loro la colpa del burnout.
L‟attenzione rivolta alla persona è una delle ragioni principali per cui la maggior parte delle
tecniche di gestione dello stress sono concepite per cambiare l‟individuo, ma non la
situazione. Inoltre le organizzazioni ritengono che la maggior parte dei programmi che hanno
come obiettivo il cambiamento della persona (tipo workshop) abbiano costi contenibili.
Tuttavia il motivo fondamentale per cui essi si rivelano inefficaci è proprio perché non
incidono sulla organizzazione. Si focalizzano sul cambiamento della persona e non del lavoro
che rappresenta invece la fonte più pericolosa dello stress.
43
2.8 La prevenzione del burnout in ambito organizzativo
L‟argomentazione di Maslach e Leiter, 2000 è che il burnout possa essere affrontato al meglio
a livello organizzativo e non a livello individuale, poiché le sei discrepanze descritte tra le
persone e il lavoro sono questioni organizzative.
Un approccio organizzativo al burnout e
all‟impegno ha ottime possibilità di realizzare un cambiamento efficace, per le seguenti
ragioni:
1. Un approccio organizzativo si rivolge ai problemi di un gruppo di persone invece che
essere focalizzato su un individuo alla volta;
2. Migliorando la gestione complessiva delle risorse umane, un approccio organizzativo
accresce tanto la produttività quanto la qualità della vita lavorativa dei dipendenti
3 Un intervento a livello organizzativo che migliori il funzionamento di un ambiente
lavorativo ha più chance di promuovere un impegno di più alta qualità nel lavoro. Al contrario
quando un intervento è realizzato a livello individuale, lo scopo è solitamente quello di far
tornare una persona angosciata a un livello base di funzionamento (cioè allo stato di non
esaurimento) ma raramente supera questo punto di arrivo per diventare proattivo.
Secondo gli Autori, il modo migliore per prevenire il burnout è quello di promuovere
l‟impegno nel lavoro: ciò non consiste nel ridurre gli aspetti negativi del posto di lavoro, ma
di tentare di aumentare quelli positivi.
Essi propongono un “processo di problem solving” che può assumere come punto di partenza
una qualsiasi delle sei discordanze tra la persona e il lavoro e indicano due percorsi di
intervento per prevenire o bloccare il burnout, che possono essere posti in essere sia dal
lavoratore che dall‟organizzazione.
L‟impegno, specificano, deve essere promosso attraverso un processo sociale e collaborativo,
in modo da favorire la comunicazione tra le persone e l‟organizzazione, così detto processo di
problem solving, che può essere attuato da un individuo con la collaborazione di un gruppo
che lo collega all‟organizzazione; o dalla direzione, che lo fa diventare un progetto
organizzativo per collegarlo alle persone, il tutto in un processo di tipo continuo per incidere
efficacemente sulle sei discrepanze. (Figura 2).
44
I due possibili approcci al processo di problem solving
Figura 2
2.8.1 L’approccio individuale
Il percorso di problem solving indicato si realizza nel seguente modo:
Fase 1
Parte da una persona: una persona convince un gruppo di lavoro a prendere in
considerazione i suoi problemi con il burnout e il suo bisogno di soluzioni. Non si tratta di
una persona in possesso di una carica particolare, ma si contraddistingue per un ruolo di
stimolo, che consiste nel compiere un lavoro di preparazione, coinvolgere il gruppo e
condurlo attraverso il processo. “La difficoltà sta nell’inspirare un gruppo a prendere precise
iniziative che migliorino la situazione” (Maslach e Leiter, 2000, p. 82).
Fase 2
Diventa un progetto di gruppo: una persona può dare inizio al processo, ma per svilupparlo e
sostenerlo è necessaria la presenza di un gruppo, indispensabile per correggere ciò che non va
nel posto di lavoro. Tutti i partecipanti devono individuare l‟area di discrepanza su cui
convogliare attenzione e energie e prendere ogni iniziativa per risolverla. In questa fase i
partecipanti devono aiutarsi per “mantenere lo slancio in direzione del cambiamento”
(Maslach e Leiter, 2000, p. 82).
Fase 3
Si collega all’organizzazione: qualunque soluzione proposta per trattare il burnout non “deve
essere implementata nel vuoto” (Maslach e Leiter, 2000, p. 82), ma deve essere attivata
all‟interno del contesto organizzativo.
45
Fase 4
Il risultato incide sulle discordanze interessate: Maslach e Leiter ritengono che per incidere
sul burnout e per promuovere l‟impegno al lavoro, l‟intervento vada indirizzato alle sei aree
di discordanza, da loro individuate: l‟intervento va rivolto a tutte e sei le discrepanze e il
processo si precisa quando si focalizza solo su una di esse. Essendo le sei aree organizzative
collegate tra loro, l‟intervento rivolto ad una migliora almeno parte delle altre.
Fase 5
Il risultato è costituito da un processo continuo: Per i due Autori , il risultato importante non
è “un lieto fine”, ma un continuo ed assiduo processo di adattamento a un contesto lavorativo
in continua evoluzione. “ Una volta che il processo ha avuto inizio raccoglie da sé lo slancio
verso il cambiamento e il miglioramento” (Maslach e Leiter, 2000, p. 83).
2.8.2 L’approccio organizzativo.
Si tratta del tipo di approccio che Maslach e Leiter prediligono. “Le grandi corporazioni ,che
competono con successo sulla qualità, si impegnano nel loro lavoro e la qualità non è un
semplice slogan da utilizzare nei resoconti annuali..”.. “con i dipendenti motivati, il compito
quotidiano della direzione è quello di eliminare barriere al lavoro efficace mentre il compito
a lungo termine è quello di creare un contesto organizzativo che offra un supporto ancora più
efficace. Ciò che importa non è solo come risolvere i problemi, ma anche come creare nuove
possibilità ”. (Maslach e Leiter, 2000, p. 99).
Anziché partire dalla specificità dei singoli e dalle loro crisi, quest‟approccio riflette sulle
condizioni del posto di lavoro, inquadra le strutture e i processi dell‟organizzazione, richiede
uno sforzo collaborativo all‟interno dell‟organizzazione per individuare soluzioni e
realizzarle. Per contrastare la discordanza lavoro-persona, quest‟approccio parte dall‟ottica
del posto di lavoro e non da quella del lavoratore e analizza successivamente le aree della vita
organizzativa.
Le sei aree in questione - carico di lavoro, controllo, ricompense, senso comunitario, equità,
valori - sono regolate dalle prassi e dalle strutture organizzative.
“Lo scopo di una strategia organizzativa è quello di creare strutture e processi gestionali che
promuovano l’impegno e prevengano il burnout” (Maslach e Leiter 2000, pg. 100).
46
Il processo in questo caso:
Fase 1
Parte dalla direzione: Nonostante l‟attuale crisi lavorativa, molti dirigenti sono veramente
interessati a promuovere l‟impegno e a prevenire il burnout e, anche se la concorrenza
esercita una forte pressione, rispondono a esse con la promozione all‟impegno.
“Essi desiderano creare un senso di comunità tra i loro dipendenti, non solo a sfruttare
talenti ed energie” (Maslach e Leiter 2000, p. 102). Si tratta di una visione organizzativa
rivolta al futuro, che destina fondi e risorse al processo. Per la posizione occupata, questi
dirigenti possono avere una visione ampia dell‟organizzazione nel suo insieme e sono in
grado di valutare il potenziale impatto dei cambiamenti nelle politiche organizzative.
Fase 2
Diventa un progetto organizzativo: Maslach e Leiter considerano un intervento organizzativo
finalizzato alla creazione dell‟impegno, un progetto “inclusivo” “che non è qualcosa fatto
alle persone, ma con le persone” (Maslach e Leiter 2000, p. 102). La visione dello scopo del
progetto e del suo valore per l‟organizzazione deve essere condivisa in tutta l‟organizzazione,
ognuno deve essere parte del progetto, cioè a ogni persona vanno affidati ruoli importanti da
svolgere nel processo.
L‟accordo condiviso è che il risultato del progetto avrà veramente un forte impatto sulla
politica organizzativa. In questo processo, la comunicazione è essenziale: le informazioni
sono indispensabili per costruire un ambiente di lavoro migliore, per approfondire il rapporto
dipendenti-lavoro e conoscere i temi caldi del personale per assumere i provvedimenti sui
problemi critici.
Per tali ragioni “il progetto organizzativo richiede un’analisi- valutazione
tra il personale che sia ben progettata ed eseguita i modo esauriente”. Maslach e Leiter
2000, p. 103).
Fase 3
Si collega alle persone: Il progetto organizzativo deve avere un rapporto diretto con le
persone di tutta l‟organizzazione in modo che i dipendenti possano vedere il modo in cui il
progetto è pertinente con l‟attività che svolgono. Per essere efficace, l‟intervento deve essere
tradotto da generica politica organizzativa in termini adeguati ai gruppi di lavoro e ai singoli
individui.
Fase 4
Il risultato influenza le discrepanze interessate: Il progetto organizzativo può mirare a
stabilire come obiettivo una o più discrepanze per un tentativo di intervento.
Indipendentemente dal risultato che si prefigge, il processo può influire su aree particolari,
47
come ad esempio il senso di comunità, l‟equità e i valori; se è volto a migliorare la
comunicazione e la collaborazione tra gruppi di lavoro, può aumentare la reciproca
conoscenza e comprensione tra persone, migliorando così il loro senso di comunità; se infine
se si focalizza su valori organizzativi e sulla loro attinenza con il lavoro svolto dalle persone
per portare a termine la missione organizzativa, la chiarificazione dei valori può attenuare i
conflitti di valore e i loro effetti negativi.
Fase 5
Il risultato è un processo continuo: Gli interventi volti alla promozione dell‟impegno e alla
prevenzione del burnout, ottimizzano la capacità dell‟organizzazione di perseguire la propria
missione e di conseguire il risultato di una comunità organizzativa “più armoniosa”.
Attraverso un processo continuo, l‟organizzazione si adatta continuamente a circostanze
sempre mutevoli in modo da promuovere l‟impegno al lavoro. In altre parole “l’investimento
in questo processo organizzativo non è solo per benefici immediati, ma anche a lungo
termine” (Maslach e Leiter, 2000 p.105).
2.9 La promozione dei valori umani
Maslach e Leiter sostengono che nell‟odierno mondo del lavoro, i valori economici siano la
principale forza motrice e che nessuna attenzione sarà rivolta ai conflitti sul lavoro, al
sovraccarico di lavoro o alle altre discrepanze persona-lavoro, fino a quando non verrà colto il
loro legame con i costi in aumento o con i guadagni in calo. Infatti, per sottolineare la
necessità di fare qualcosa riguardo al burnout, il metodo standard è quello di fornire il
corrispettivo della situazione in termini economici e di dimostrare quanto il burnout può
essere dispendioso.
In realtà i due Autori propongono una riflessione sui valori umani in quanto tali e sulla loro
valenza prioritaria nel posto di lavoro perché “ dare la priorità ai valori umani è la cosa
giusta da fare in quanto essi hanno significato”. (Maslach e Leiter, 2000, pg. 121).
I valori organizzativi chiari sono una risorsa vitale, poiché riducendo la probabilità delle sei
discrepanze persona-lavoro prevengono il burnout.
Una qualunque delle differenze uomo-lavoro offre un buon punto di partenza per progredire
in direzione di una migliore qualità di vita al lavoro.
Se si considerano in termini di adattamento e d‟impegno invece che di discrepanza e burnout,
esse vengono riformulate da Maslach e Leiter secondo le seguenti linee guida:
 Carico di lavoro sostenibile
 Sentimenti di scelta e di controllo
 Riconoscimento e ricompensa
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 Senso di appartenenza a una comunità
 Equità, rispetto e giustizia
 Lavoro ricco di significato e di valore.
Lungo ognuno dei sei percorsi tesi al raggiungimento degli obiettivi, i compiti da risolvere
sono: creare l‟armonia tra gli individui e il loro lavoro in modo che essa porti a trasformare
sia l‟ambiente lavorativo che le persone. E soprattutto i divari tra le persone e il lavoro
possono essere colmati in un modo che si reintroducano i valori umani nel luogo di lavoro e
lo renda più sensibile nei confronti delle persone.
3. Il ruolo della formazione nella prevenzione del burnout
Nei precedenti paragrafi sono state analizzate due strategie per prevenire e ostacolare il
burnout, agendo sui fattori dell‟organizzazione che lo potrebbero determinare. Strategie che in
particolare tendono a modificare l‟ambiente di lavoro per creare le condizioni favorevoli
all‟impegno dei lavoratori. Poiché però il burnout è un fenomeno che si manifesta anche
attraverso caratteristiche di personalità, le organizzazioni in genere avviano corsi di
formazione sulla gestione dello stress.
Tuttavia in linea con quanto detto in merito all‟individuazione e alla valorizzazione di
strategie organizzative finalizzate a promuovere l‟impegno e a prevenire il burnout, prima di
avviare attività formative, le organizzazioni dovrebbero riflettere su se stesse per comprendere
i problemi da affrontare e le necessità dei lavoratori. Stesso compito spetterebbe ai lavoratori :
riflessione, ma anche l‟impegno a diventare attivi e propositivi, sfuggendo alla logica della
lezione frontale e della obbligatorietà della partecipazione ad eventi formativi. Ciò che
tuttavia deve prevalere sia nell‟organizzazione sia nei singoli è la consapevolezza della
necessità di cambiare.
Come rilevano Santinello e Furlotti (1992) “un intervento formativo si potrebbe rivelare
essenziale se sono fatte delle valutazioni preliminari sulle esigenze dei lavoratori, se i moduli
didattici pongono al centro il soggetto in modo che questo possa esprimere le sue difficoltà e
disagi e se infine prosegue nel tempo”.
4. Riflessioni finali.
Intervenire sul burnout per prevenirlo, è importante sia da un punto di vista economico che
del costo umano (Baiocco et al. 2004). Gli interventi preventivi vanno indirizzati al singolo,
all‟organizzazione e alle loro interazioni. Tuttavia i cambiamenti da perseguire non sono
tanto quelli che riguardano i singoli, ma quelli relativi all‟organizzazione, nonostante
quest‟ultima in genere ritenga il burnout un problema che non le appartiene ma che riguarda
49
solo i lavoratori. Come si è cercato di delineare, tale considerazione è parzialmente vera, in
quanto le persone agiscono sempre in un contesto organizzato, con cui interagiscono anche le
loro variabili di personalità. È quindi importante che la direzione e i dipendenti si impegnino
reciprocamente per trovare insieme delle soluzioni che migliorino il contesto di lavoro,
agendo direttamente sulle discrepanze che potrebbero causare il burnout, e allo stesso tempo
agendo sull‟individuo per indurlo a trovare delle strategie personalizzate di gestione dei propri
vissuti prevenendo l‟eccessivo stress e il burnout (Mulas, 2007).
Tuttavia, chiudendo con le parole di Maslach e Leiter, che tanto hanno indirizzato le
riflessioni fatte
si deve tenere in conto che “… il semplice disporre degli strumenti non è
sufficiente. Avete anche bisogno di molta pazienza e dedizione per mantenere in vita il
processo. I progressi saranno lenti non veloci. Tanto vorremmo essere in grado di offrirvi
soluzioni rapide e facili quanto la dura verità è che non esistono risposte semplici a un
problema complesso come il burnout. Esistono comunque delle risposte che riguardano
l’impegno produttivo nel lavoro e la riduzione delle discrepanze. Con la pazienza e la
perseveranza da parte sia dei singoli che della organizzazione, si può progredire verso un
posto di lavoro del futuro più sano e più umano” (Maslach e Leiter, 2000, p.144).
50
CAPITOLO 3: METODOLOGIA
3.1 Caratteristiche del campione e reclutamento
Fra gli individui che esercitano professioni impegnative e di grande responsabilità, come
medici, infermieri e operatori socio-sanitari, aumenta la prevalenza di alcune patologie
associate a condizioni di elevato stress cronico - quali stanchezza cronica, disturbi del sonno,
sindrome metabolica, diabete, patologie gastrointestinali, cardiovascolari e psichiatriche,
neoplasie; tale aumento di prevalenza è particolarmente marcato nei soggetti che svolgono la
propria attività all‟interno di un quadro organizzativo che prevede orari irregolari o turni di
notte (Karlsson, 2001; Knutsson, 2003; Akerstedt, 2008; Wingenfeld, 2010).
Crescenti evidenze sottolineano gli effetti dello stress cronico e del burnout sia sullo stato di
salute del personale sanitario coinvolto che sulla frequenza degli errori medici commessi
(Balch, 2009). Infatti, sebbene un livello moderato di stress acuto possa anche facilitare
l‟esecuzione di determinati compiti, livelli eccessivi di stress possono avere, al contrario,
effetti deleteri sull‟organismo (Shanafelt, 2010); possono pertanto manifestarsi notevoli
ripercussioni non solo sull‟assetto endocrino-metabolico dell‟organismo e sulle funzioni
neuro-cognitive e psico-affettive, ma anche sul sistema immunitario, con aumento della
vulnerabilità alle infezioni (Chrousos, 2009).
Una valutazione sistematica dei livelli di stress in ambiente lavorativo appare, pertanto, come
strumento essenziale per monitorare le condizioni di salute e di benessere psico-fisico dei
lavoratori e per programmare interventi atti a ridurre lo stress da lavoro.
Sono stati scelti soggetti volontari sani arruolati fra il personale sanitario che opera all‟interno
dell‟Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” di Ancona Sono stati inclusi,
previo Consenso Informato, circa 60 soggetti di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 65 anni
e appartenenti alle seguenti categorie professionali: infermieri e operatori socio-sanitari
reclutati in Unità Operative (UO) ad elevati livelli di stress e in Unità Operative a ridotti
livelli di stress.
Sono stati esclusi i soggetti che all‟anamnesi riferiscono le seguenti condizioni: psicosi,
depressione grave; gravi avvenimenti luttuosi o situazioni particolarmente stressanti nel
recente passato.
3.2 Procedura
A tutti i partecipanti in un incontro individuale o di gruppo con il sottoscritto, è stato spiegato
lo scopo della ricerca e contestualmente è stata fornita la scheda descrittiva del progetto e si è
fatto firmare il consenso informato; sono state poi fornite istruzioni sulla corretta
compilazione del questionario biografico, del questionario per la qualità della salute fisica e
51
dei diversi questionari psicometrici. A tutti è stato fornito numero di telefono fisso e mobile
per qualsiasi dubbio o chiarimento inerente allo studio o questionari.
3.3 Questionari psicometrici utilizzati
Considerando la multidimensionalità della salute del lavoratore e dei rischi connessi
all‟ambito lavorativo, nelle sue più diverse articolazioni si è deciso di prendere in esame i
seguenti fattori:
I. Fonti di stress specifiche dell’ambito sanitario: lo strumento più adeguato è l‟Health
Professions Stress and Coping Scale (HPSCS); è un questionario autovalutativo che ha lo
scopo di valutare lo stress percepito e l‟utilizzo delle strategie di coping in ambito sanitario.
L‟HPSCS attraverso una serie di situazione lavorative potenzialmente stressanti misura lo
stress individuale associato a ciascuna area professionale critica e i meccanismi di coping
messi in atto per superarla.
Del questionario esistono due versioni differenti; una per infermieri e una per medici.
Alcune aree problematiche sono in comune, altre sono specifiche per i rispettivi profili
professionali.
Per ogni situazione proposta al candidato è chiesto di esprimere il suo livello di stress che
viene misurato su una scala Likert a quattro punti(0=Per nulla; 1=Poco;
2= Abbastanza; 3= Molto); poi è richiesto di esprimersi sul livello di utilizzo delle quattro
modalità di coping proposte utilizzando la stessa scala.
L‟HPSCS per infermieri è articolato in 19 item che vanno ad indagare cinque aree lavorative
potenzialmente critiche:
- Emergenza clinica: Situazioni di elevata emergenza clinica come un improvviso
peggioramento del quadro clinico del paziente o il suo repentino decesso;
- Attacco personale; Attacchi rivolti all‟infermiere direttamente o meno da parte di colleghi,
superiori o parenti dei degenti;
- Imprevisti organizzativi: Improvvise criticità nell‟organizzazione del lavoro che rendono
difficile il normale svolgimento del proprio lavoro o interferiscono con propria vita privata;
- Svalutazione personale: L‟infermiere in queste circostanze percepisce che le sue richieste o
suggerimenti non vengano presi in considerazione dai colleghi o dai superiori;
- Relazioni problematiche con pazienti e famigliari: Problemi con il paziente o i suoi
famigliari impediscono il normale espletamento dell‟attività lavorativa (Ripamonti et al.
2007).
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Le strategie di coping indagate sono:
1. Coping centrato sulla soluzione del problema: L‟operatore affronta la situazione
problematica cercando la soluzione più adeguata ricorrendo alle proprie conoscenze ed
esperienze personali.
2. Coping centrato sulla richiesta del supporto sociale: Si definisce per l‟inclinazione a
richiedere il consiglio o l‟aiuto dei colleghi di lavoro per risolvere la situazione problematica.
3. Coping centrato sul disagio emotivo: Il lavoratore reagisce in maniera marcata a livello
emotivo nella situazione problematica e non è capace nel contenere e gestire in maniera
appropriata le proprie emozioni.
4. Coping centrato sull’evitamento del problema: L‟infermiere/a cerca di evitare si a
livello cognitivo che comportamentale la situazione problematica (Ripamonti et al. 2007).
II. Struttura personologica: Per valutare l‟intersezione delle fonti di stress con i fattori
personologici sono stati utilizzati tre strumenti; di cui uno dedicato alla struttura
personologica generale (BFQ), un secondo destinato a valutare l‟ansia di stato e di tratto
(STAI), e l‟altro orientato alla definizione di hardiness (Scala di Resilienza Disposizionale).
Il questionario BFQ si rifà al modello dei Cinque Fattori di Paul McCrae e Robert Costa;
approccio basato sui tratti. I tratti di personalità descrivono la modalità in cui le persone si
comportano, provano emozioni, sentimenti e pensano (Cervone & Lawrence, 2010).
I termini che indicano i tratti si distinguono per la coerenza e per la peculiarità “ La
coerenza indica il fatto che il tratto descrive una regolarità nel comportamento della persona
che sembra predisposta ad agire nel modo descritto dal termine che indica il tratto; i tratti
sono noti anche come disposizioni o costrutti disposizionali; i quali indicano che la persona
non si comporterà sempre nella stessa maniera, i tratti descrivono comportamenti relativi a
determinati contesti sociali. Il secondo termine, peculiarità, indica l‟interesse della teoria dei
tratti per le caratteristiche psicologiche che rendono la persona differente rispetto alle altre”
(Cervone & Lawrence, p. 275, 2010).
Il BFQ è un Questionario di personalità che si basa sul modello teorico dei Cinque fattori ed è
costituito da 132 item che individua cinque dimensioni fondamentali per la descrizione e la
valutazione della personalità di ogni individuo.
Le cinque dimensioni sono:
1) E= Energia, fa riferimento agli stessi aspetti dell‟Estroversione il cui obiettivo è quello di
valutare la quantità e la qualità dell‟interazione personale, il livello di attività e il bisogno di
stimolazione; ed è riconducibile al fattore Energia;
53
2) A=Amicalità è riconducibile alla Gradevolezza che valuta la qualità dell‟orientamento
interpersonale di un soggetto in una serie di pensieri, sentimenti e azioni che vanno dalla
compassione all‟antagonismo (Cervone & Lawrence, 2010).
3) C= Coscienziosità, con questo fattore si indaga la capacità di controllo degli impulsi sia
dal punto di vista di autoregolazione inibitoria e di autoregolazione proattiva;
4) S= Stabilità emotiva rimanda all‟ “affetto negativo”;
5) M= Apertura mentale, riconducibile al fattore Apertura valuta la ricerca proattiva e la
tendenza ad apprezzare l‟esperienza di per sé (Borgogni, 2002).
Per ogni dimensione del Big Five sono state individuate due sottodimensioni ciascuna delle
quali fa riferimento ad aspetti diversi della medesima dimensione.
Per ogni sottodimensione(12 item ciascuna) la metà delle affermazioni è formulata in senso
positivo rispetto al nome della scala, mentre l'altra metà è formulata in senso negativo, al fine
di controllare eventuali risposte date a caso.
Le 10 sottodimensioni che compongono le cinque scale principali sono: (E): Di
(Dinamismo): fa riferimento a comportamenti energici, e dinamici e Do (Dominanza): misura
la capacità di imporsi e e primeggiare sugli altri; (A): Cp (Cooperatività - Empatia): misura le
capacità di comprendere ed andare incontro alle esigenze altrui,
e Co (Cordialità –
Atteggiamento amichevole): misura la fiducia, l‟affidabilità e l‟apertura verso gli altri; (C): Sc
(Scrupolosità): misura l‟affidabilità, la cura dei dettagli e l‟ordine; Pe (Perseveranza): verifica
la tenacia nel portare a compimento le attività avviate ; (S): Ce (Controllo dell'emozione):
misura la la capacità di controlo della tensione derivante da propri stati emotivi, e Ci
(Controllo degli impulsi): verifica la capacità ad avere autocontrollo anche in situazioni
critiche; (M): Ac (Apertura alla cultura): misura la tendenza dell‟individuo a tenersi
aggiornato e informato, e Ae (Apertura all'esperienza): misura la disposizione nei confronti
della novità e a vedere le cose da più punti di vista;
Completa il BFQ una scala L = Lie (12 item), misura la tendenza ad attribuire a se stessi
qualità moralmente desiderabili (Argentero,2006 – Caprara et al. 2000).
L‟ansia è uno stato affettivo generale presente nell‟uomo; diversi sono i motivi che possono
generare ansia nelle persone e renderle di conseguenza più vulnerabili allo stress lavorativo.
L‟ansia comporta delle modificazioni fisiologiche ma diventa patologica quando gli effetti
prodotti interferiscono in maniera significativa nell‟ svolgimento vita quotidiana.
Alla base dello stato ansioso così come nel distress, il soggetto percepisce una sproporzione
tra quelle che sono le sue capacità e le sue forze rispetto all‟entità del problema che deve
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essere affrontato. Il questionario STAI è formato da 40 item raggruppati in due scale che
valutano rispettivamente l‟ansia di stato e l‟ansia di tratto.
Lo stato d‟ansia può cambiare nell‟intensità e modificarsi nel tempo a seconda della minaccia
percepita e che può condurre alla preoccupazione, alla fuga o all‟evitamento; l‟ansia di tratto
invece rappresenta una caratteristica relativamente costante nell‟individuo che lo porta a
percepire l‟ambiente circostante in una data maniera e a reagire nei suoi confronti in maniera
abbastanza costante; molte situazioni di vita vengono percepite come potenzialmente
pericolose e la reazione conseguente è un livello elevato d‟ansia.
Nel modello di Spielberger alla base del test utilizzato è importante distinguere tra “stress”
ovvero le caratteristiche intrinseche dello stimolo e “l‟ansia di stato” che rappresenta la
valutazione soggettiva dello stimolo (stress) e il termine “ threat” che sottende la tendenza del
soggetto a valutare una determinata situazione come ansiogena (Spielberger, 2012).
Per la valutazione della Reslienza è stata utilizzata la scala di resilienza disposizionale,
adattamento italiano della Dispositional Resilience Scale-II di Sinclair e Oliver.
Lo strumento comprende 18 item che indagano sei dimensioni collocate su tre coppie
bipolari:
1. Controllo - Impotenza
2. Impegno - Alienazione
3. Sfida – Inflessibilità
Il costrutto controllo fa riferimento alla percezione della persona di poter incidere su ciò che
accade nella propria vita; l‟impegno si riferisce a quanto la persona è coinvolta nelle attività
della propria vita e quanto valuta quest‟ultime pregne di significato;
Il senso di sfida indica quanto la persona valuta i cambiamenti come inevitabili ma stimolanti
nella vita (Prati, 2010).
Dall‟analisi fattoriale esplorativa della validazione italiana della Dispositional Resilience
Scale-II di Sinclair e Oliver, Gabriele Prati e colleghi hanno ricavato tre fattori; il primo
fattore è stato denominato ”impotenza e alienazione” comprende 6 item; il secondo fattore
denominato “inflessibilità” include 3 item; il terzo fattore denominato “atteggiamento
positivo” include 8 item che fanno parte delle scale orientate in senso positivo ossia impegno,
controllo e senso di sfida; è stato escluso a seguito dell‟analisi fattoriale esplorativa l‟item 17
poiché gli sperimentatori hanno rilevato che aveva saturazione basse su tutti e tre i fattori
(Prati, 2010).
Per indagare le abitudini di vita è stato costruito uno specifico questionario biografico, tratto
dalla modificazione di quello dell‟OSI e adattato allo specifico contesto di indagine; per
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conoscere lo stato di salute psicofisica è stata utilizzata la scala di valutazione della salute
fisica dell‟OSI. Lo strumento più idoneo per verificare la sindrome del burbout è stato
identificato nel Maslach Burnout Inventory (MBI) di Maslach e Jackson; è un test che ha
l‟obiettivo di valutare la sindrome del burnout nel personale che opera nei servizi
sociosanitari e nelle istituzioni educative (medici, infermieri, educatori, assistenti sociali,
insegnanti). L‟MBI è composto da 22 items che misurano 3 dimensioni indipendenti della
sindrome di burnout, ciascuna individuata da una specifica scala.
Le risposte dei soggetti vengono valutate su una scala Likert a 7 punti ( 0=mai; 1= qualche
volta al giorno; 2 una volta al mese o meno; 3= qualche volta al mese; 4= una volta a
settimana; 5= qualche volta a settimana; 6=ogni giorno).
Inoltre il MBI concepisce il burnout non come una variabile dicotomica che può essere
soltanto presente o assente, ma piuttosto come una variabile continua che rispecchia i diversi
livelli dei sentimenti in gioco (Maslach, 1994).
Le scale che costituiscono il MBI sono:
• Esaurimento emotivo (EE - 9 item) Esamina la sensazione di essere inaridito
emotivamente ed esaurito dal proprio lavoro; l‟operatore sanitario si sente troppo coinvolto da
un punto di vista emotivo e non riesce a gestire in maniera adeguata le richieste emozionali
che gli altri gli rivolgono;
• Depersonalizzazione (DP - 5 item) Misura una risposta fredda ed impersonale nei
confronti degli utenti del proprio servizio; l‟ infermiere ha dei “pregiudizi” nei confronti del
paziente che lo portano ad avere una cattiva opinione di lui;
• Realizzazione personale (RP - 8 item) Valuta la sensazione riguardante la propria
competenza e il proprio desiderio di successo nel lavorare con gli altri; l‟operatore può
sentirsi inadatto a stabilire delle relazioni con i propri assistiti.
Ognuno di questi tre aspetti è misurato da una sottoscala e si ottengono quindi tre punteggi da
considerare separatamente.
I punteggi vengono divisi in tre categorie: basso, medio e alto.
Il grado di burnout dipende dai punteggi ottenuti nelle tre scale; si ha un Alto grado di burnout
per punteggi alti nell‟Esaurimento emotivo e nella Depersonalizzazione e bassi nella
Realizzazione personale, Medio per punteggi medi nelle tre scale, Basso per punteggi bassi
nelle sottoscale esaurimento emotivo e depersonalizzazione e da alti punteggi nella sottoscala
realizzazione personale (Maslach, 1994).
56
Capitolo 4:
ANALISI DEI RISULTATI
4.1 Caratteristiche socio-demografiche del campione
Hanno partecipato in totale alla ricerca (Tabella 1) 53 infermieri turnisti e non turnisti
dell‟Azienda Ospedaliero - Universitaria “Ospedali Riuniti” di Ancona.
Gli infermieri non turnisti (turnista 0) sono per il 19.2 % di genere maschile (cod.1) e per
l‟80.8 % di genere femminile (cod.2); mentre gli infermieri turnisti (turnista 1) sono per il
37.0% di genere maschile (cod.1) e per il 63.0% di genere femminile (cod.2).
Tabella 1:Distribuzione rispetto al genere (N=53), Legenda:Turnista 0 = Infermieri non
turnisti, Turnista 1= infermiere turnista, Sesso:1= Maschio; 2= Femmina
L‟età media del campione negli infermieri non turnisti è di 48 anni, mentre tra gli infermieri
turnisti è di 35 anni.
Tabella 2: Analisi descrittiva dell’ età dei partecipanti; (N=53), Legenda:Turnista 0 =
non turnisti, Turnista 1= infermiere turnista, Sesso:1= Maschio; 2= Femmina
57
Infermieri
4.2 Analisi delle correlazione tra questionari psicometrici
Esaurimento emotivo, Depersonalizzazione e Livello generale di stress
L‟esaurimento emotivo valutato con il Maslach burnout inventory (MBI) mostra valori
coerenti con il livello totale di stress calcolato con l‟Health Professions Stress and Coping
Scale (HPSCS) con una significativa correlazione positiva (0,336) (Tabella 3).
Il medesimo aspetto della sindrome del burnout è correlato positivamente (0,521) con l‟altra
dimensione sindromica della depersonalizzazione (DP).
L‟esaurimento emotivo è inoltre particolarmente correlato (0,448) con il sentimento di
impotenza/alienazione valutato con la la Scala di resilienza disposizionale II .
La correlazione negativa (-0,430) con i valori M (apertura mentale) del Big Five
Questionnaire può essere interpretata sia in senso causalistico che consequenziale.
L‟apertura mentale che si caratterizza per la tendenza della persona a mantenersi informato e
per l‟interesse alle cose e alle esperienze nuove può rappresentare un fattore protettivo
dall‟esaurimento emotivo (EE), così come quest‟ultimo può determinare una diminuzione di
apertura a nuove esperienze lavorative o acquisizione di competenze.
Si registrano infatti correlazioni negative di M sia con l‟EE come sopra menzionato, e con la
depersonalizzazione (- 0, 271), espressioni fondamentali del burnout, che con i livelli generali
di stress (- 0,336). È interessante rilevare che l‟apertura mentale (M) è positivamente correlata
(0,411) con la cooperatività (Cp) del BFQ e con l‟atteggiamento positivo (0,279) della scala
di resilienza disposizionale. Analoga considerazione può essere fatta per il fattore Controllo
emozioni (Ce) del BFQ, che denota la capacità di controllo degli stati di tensione connessi
all‟esperienza emotiva. Si ritiene, infatti, che uno scarso livello di controllo possa favorire un
esaurimento emotivo, così come lo stesso può condurre ad un discontrollo emotivo
(Correlazione negativa di Ce vs EE di -0,497). Anche la cooperatività (Cp) che denota la
capacità a venire incontro alle necessità e agli stati di bisogno degli altri e l‟abilità nel
cooperare efficacemente con gli altri, può limitare il rischio di burnout (correlazione negativa
di – 0,287), così come l‟EE può indurre l‟operatore sanitario ad essere poco propenso alla
ricerca di una collaborazione attiva. Il sentimento di alienazione/impotenza è collegato
negativamente alla cooperazione (-0,342).
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Tabella 3: **La correlazione è significativa al livello 0,01 (2-code); * La correlazione è
significativa al livello 0,05 (2-code)
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E‟ coerente il riscontro di valori di correlazione analoghi ai precedenti nella valutazione del
fattore depersonalizzazione (DP), altra espressione della sindrome del burnout, con i valori M
(- 0,271) e Cp (- 0,301).
Appare sensata la non correlazione significativa con i valori (-,135) di Ce (controllo emotivo).
Infatti, la depersonalizzazione (DP), che si contraddistingue per un‟atteggiamento di distacco
ed ostilità nella relazione con l‟utente, comporta una rarefazione dei vissuti e delle espressioni
emotive.
Da questa prima valutazione si può dedurre che l‟EE è una dimensione più espressiva del
burnout di quanto non lo sia la depersonalizzazione (DP).
Si consideri infatti che non c‟è correlazione tra livello di stress e depersonalizzazione.
L‟anzianità di servizio (n15) appare inversamente correlata con la tendenza alla cooperatività
(-0,277). Possiamo immaginare che l‟iniziale inesperienza possa spingere a cercare la
collaborazione con altri operatori, proteggendo dal rischio di burnout, mentre una maggiore
esperienza nei reparti potrebbe condurre ad una maggiore autonomia, esponendo però
l‟operatore a vissuti di impotenza/alienazione (0,328) nella realizzazione dei propri obiettivi
mansionali.
Nell‟ambito della valutazione della resilienza, notiamo che il tratto Energia indagato dal
questionario BFQ e che denota persone molto attive, dinamiche ed energiche è inversamente
correlato (-0,291) con il livello d‟inflessibilità che descrive persone che tendono a
programmare puntualmente tutto quello che fanno e che non amano uscire dagli schemi.
Si noti che l‟inflessibilità è un fattore diverso dalla coscienziosità che, a livelli troppo elvati,
potrebbe esprimere un atteggiamento rigido di tipo ossessivo. I valori di C (coscienziosità) del
BFQ non risultano correlati significativamente con le variabili selezionate. Se si analizza la
dispercezione del proprio stato di benessere fisico, indicato nel (Tabella 4) come Totale, si
evidenzia una correlazione significativa con l‟EE (0,521) ma non con la depersonalizzazione
(0,244), confermando così la maggiore pregnanza dell‟ EE nel quadro del burnout rispetto alla
Dp. La valutazione differente dell‟ansia di stato e di tratto in relazione alla percezione
negativa di salute non dà risultati significativi: i valori sono infatti molto vicini fra loro (0,616
per l‟ansia di stato e 0,633 per quella di tratto).
60
Tabella 4
4.2.1 Strategie di coping e tratti di personalità
Nell‟ambito delle strategie di coping, (Tabella 5) ovvero quell‟insieme di strategie mentali e
comportamentali che sono messe in atto per fronteggiare una certa situazione, e che possono
essere di tipo adattativo o disadattativo, si evidenzia una correlazione positiva (0,439) tra
disagio emotivo nell‟area emergenza clinica e la strategia richiesta di supporto sociale, che si
caratterizza per la tendenza dell‟ operatore a chiedere aiuto o un confronto con i colleghi per
trovare la soluzione più adeguata rispetto all‟ evento critico.
Il disagio emotivo nell‟area Ec (“emergenza clinica”) è inoltre inversamente correlato con
l‟apertura mentale (M) (-0,442) e la stabilità emotiva (S) (-0,420); tale correlazione inversa fa
suppore che un aumento della strategia disagio emotivo in quest‟area possa essere dovuto ad
una minore capacità nel gestire in maniera adeguata le proprie emozioni.
61
Tabella 5
Nell‟area di stress “attacco personale” (Tabella 6) che si caratterizza per situazioni di attacco
diretto o indiretto nei confronti dell‟operatore da parte dei colleghi o superiori, la strategia di
coping “soluzione del problema” è correlata positivamente (0,537) con l‟apertura mentale (M)
che viene ad essere un catalizzatore per la scoperta e l‟applicazione di soluzioni di tipo
adattativo.
62
Tabella 6
Anche nell‟area Ap la strategia “disagio emotivo” è inversamente correlata (-0,625) con la
stabilità emotiva (S) .
La strategia “evitamento del problema” risulta essere correlata negativamente con il tratto (A)
amicalità indagata dal BFQ (- 0,337); ciò fa supporre che una persona meno cordiale, altruista
ed empatica tenda a sottrarsi alla conflittualità relazionale quando si verifica un situazione
vissuta come “attacco personale”.
La stabilità emotiva (S) (Tabella 7) risulta essere un fattore protettivo essenziale quando si
verifica un imprevisto organizzativo “Io”; la strategia di coping “disagio emotivo” risulta
infatti correlata in maniera inversamente proporzionale con S (- 0,442).
63
Tabella 7
Analogo rapporto con la coscienziosità (C) del BFQ (- 0,332), fa ipotizzare una diminuzione
della riflessività, scrupolosità e perseveranza, aspetti contraddistintivi della coscienziosità,
nell‟ affrontare eventuali imprevisti di tipo organizzativo in assenza di una stabilità emotiva.
L‟apertura mentale (M) consente la scoperta di soluzioni di tipo adattivo anche quando
l‟operatore sanitario ha vissuti di incomprensione o svalorizzazione dei propri suggerimenti o
contributi nell‟affrontare le criticità lavorative: la strategia di coping “soluzione del
problema” è positivamente correlata (0,337) con l‟apertura Mentale (M) nell‟area di stress
“svalutazione personale” (Tabella 8).
64
Tabella 8
Il disagio emotivo è inversamente correlato (- 0,354) con la coscienziosità (C); tale rapporto
fa pensare che l‟operatore quando è emotivamente destabilizzato non riesca a controllare le
proprie mozioni e diventi poco riflessivo e scrupoloso.
Anche nell‟area delle relazioni con l‟utenza e con i familiari (Tabella 9) l‟atteggiamento
coscienzioso (C) impedisce l‟evitamento dei problemi (-0,330).
65
Tabella 9
Nell‟analizzare il tratto “stabilità emotiva” del BFQ, (Tabella 10) esso risulta positivamente
correlato con il costrutto “atteggiamento positivo” indagato dal questionario DSR II (0,284);
questa relazione permette di ipotizzare che le persone con un alto atteggiamento positivo si
contraddistinguano anche per un carattere poco ansioso, emotivo, impulsivo e impaziente.
Risulta invece correlata negativamente la stabilità emotiva con (- 0,379) con il costrutto
impotenza/alienazione. Tale rapporto rende plausibile pensare che l‟operatore sanitario, nel
66
momento in cui percepisce di non poter agire positivamente sul proprio operato, sia portato ad
essere emotivamente vulnerabile, impulsivo e ansioso. Il livello complessivo di stress,
calcolato sulle cinque aree indagate dal questionario HPSCS, risulta essere in un rapporto
inversamente proporzionale con l‟apertura mentale (M) (- 0,336) che si conferma come
fattore protettivo fondamentale; nel caso di un elevato stress generale percepito risulta poter
essere compromesso l‟interesse verso nuove esperienze inerenti la propria attività.
Tabella 10
67
4.3 Conclusioni
Lo studio conferma innanzitutto la complessità del problema affrontato e la necessità di
strumenti valutativi diversamente strutturati ed orientati che necessitano di una
semplificazione e riduzione per poter essere applicati su più vasta scala.
L‟analisi statistica sebbene basata su un campione limitato per il non sempre facile riscontro
di disponibilità degli operatori in funzione dell‟ampiezza dei parametri esplorati, ha permesso
di cogliere l‟importanza di alcuni fattori di criticità e di protezione.
Una prima valutazione ripropone l‟annoso interrogativo sollevato da Pellegrino sulla
differenza o meno tra lo stress ed il burnout, i cui valori nella ricerca sono sostanzialmente
sovrapponibili.
Nel nostro caso essendo il livello di stress calcolato con il questionario HPSCS, i valori
rimandano inevitabilmente alle condizioni lavorative delle Helping professions, più in
particolare della Health Profession.
Sebbene l‟Health Professions Stress and Coping Scale e il Maslach Burnout Inventory siano
sovrapponibili nella valutazione complessiva del disagio, ognuno ha offerto possibilità
esplorative differenti: elementi situazionali l‟HPSCS e manifestazioni psicosomatiche l‟MBI.
Anche se le due entità fenomeniche del burnout (Esaurimento emotivo e Depersonalizzazione)
siano positivamente correlate fra loro, si è potuto riconoscere come la percezione
dell‟inaridimento emotivo e di calo energetico (EE), in sintonia con un vissuto di impotenza e
alienazione rilevato con la Scala di Resilienza Disposizionale II , sia l‟espressione più
rappresentativa del burnout.
La capacità d‟investimento conoscitivo ed emotivo nei confronti di nuove situazioni e/o
strumenti operativi, nonché la propensione alla cooperatività, si evidenziano come maggiori
fattori protettivi nel confronti del burnout. Al contrario, il rigido attenersi a schemi-protocolli
operativi prefissati, possibile modalità espressiva delle resistenze, da tener ben distinta dal‟
atteggiamento coscienzioso, comporta maggiori situazioni di distress.
Tuttavia l‟assenza, in questo studio, di una dimensione diacronica che permetta di valutare le
dimensioni psicologiche prima dell‟inserimento in uno specifico contesto lavorativo,
impedisce di verificare il senso opposto della correlazione, vale a dire il possibile riflesso
negativo sulle dimensioni M (Apertura mentale) e Cp (Cooperatività) ad opera dello stress.
Nell‟ottica della citata necessità di riduzione degli strumenti valutativi nell‟applicazione del
protocollo di ricerca su più vasta scala, risulta dall‟attuale studio la possibilità di eliminare la
STAI, scala di valutazione dell‟ansia di stato e di tratto, che non risulta sufficientemente
capace di discriminazione nel contesto osservativo del burnout.
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Più capace d‟informazioni utili, ma comunque non essenziali, è la scala di Resilienza
Disposizionale II di Sinclair. Le informazioni in essa contenute possono essere acquisite, pur
cogliendo la sottile differenza, anche tramite il BFQ e l‟MBI.
Capace di collegare modalità adattive, e disadattive, e di strategie di coping con aspetti
personologici in specifiche situazioni professionali, si è confermato il confronto tra il BFQ e
l‟HPSCS.
Il vissuto del disagio e lo stato di allarme psichico sperimentato in condizioni di urgenza/
emergenza, rispetto al quale sia il fattore M (apertura mentale) che S (stabilità emotiva)
risultano efficaci tratti personologici protettivi, che spingono gli operatori alla cooperazione.
Questa può essere a sua volta l‟espressione di tratti personologici, ma anche il frutto di
un‟adeguata preparazione professionale.
Assieme all‟apertura mentale (M) ed alla stabilità emotiva (S), la competenza relazionale
dell‟Amicalità (A), anch‟essa possibile espressione di un assetto temperamentale, quanto di
una formazione professionale attenta agli aspetti psicologici oltre a quelli tecnico-scientifici,
risulta nello studio un valido elemento di confronto del burnout nelle situazioni di stress
determinato da vissuti di atteggiamenti critici, di incomprensione o svalutazione da parte di
colleghi o responsabili del servizio.
Di più difficile lettura interpretativa sono state le correlazioni con i fattori lavorativi ed extra
lavorativi.
Si può in ultima analisi affermare che:
1) Si è verificata positivamente la capacità di valutazione dello stress e del burnout con gli
strumenti HPSCS e MBI.
2) Se n‟è verificata la diversa capacità esplorativa delle dimensioni e delle espressioni
fenomeniche in differenti situazioni operative.
3) Si sono potute evidenziare le aree di overlap valutativo e di conseguenza la possibilità di
snellire lo strumento complessivo, eliminando i reattivi non indispensabili.
4) Sono stati ottenuti risultati significativi, nell‟analisi dei fattori protettivi e critici, rispetto al
burnout, con la conseguente possibile ricaduta su un piano operativo di previsione/
prevenzione del rischio a possibilità di interventi sulla formazione di base e in itinere.
5) Si è contribuito all‟analisi del fenomeno burnout con la maggiore definizione dei suoi
aspetti e soprattutto dei correlati personologici.
69
6) Si è costatata la necessità di uno studio longitudinale che permetta, a partire da una
valutazione dei tratti personologici a T0 (prima dell‟inserimento professionale) l‟influenza
degli stessi sullo stress percepito in ambito occupazionale.
7) Si è evidenziata l‟opportunità di un campione più vasto per cogliere significative
correlazioni con fattori extralavorativi; anche in questo ambito l‟estensione diacronica
permetterebbe una più efficace ricerca di un nesso di causalità.
8) Si rende necessario un confronto fra campioni di differenti ambiti occupazionali, ma
omogenei per gli altri parametri extra lavorativi, per esaminare in modo ponderato il ruolo del
contesto operativo e dei fattori disposizionali.
70
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