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La prigione che ci siamo scelti
anno 22 | numero 07 | 24 FeBBraio 2016 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone La prigione che ci siamo scelti Così la dipendenza da internet rende l’uomo schiavo di se stesso. Il caso Corea del Sud, dove può mancare il pane ma non il wi-fi EDITORIALE 12 fEbbRAIO 2016, un fATTO chE sfIDA IL TEmpO L’ASCIA NEL CUORE I Questo era un giudice Antonin ScAliA aveva due difetti imperdonabili: era cattolico ed era spiritoso. Era così cattolico – frequentava Messe con rito in latino, era contro l’aborto, l’eutanasia e le nozze gay – che spiaceva anche a molti cattolici. Ed era così spiritoso che alcune sue battute sono diventate leggendarie. Figlio di un siciliano che amava Dante e di una maestra elementare, adorava suonare il pianoforte, sparare alle anatre, giocare a Poker. “Terminator” per gli avversari, il “saggio” per i conservatori, il più anticonformista tra i giudici della Corte suprema americana è morto nel sonno il 12 febbraio. Si trovava in Texas, nella tenuta di un amico miliardario per una battuta di caccia alle quaglie. È stato scritto che Scalia «è uno dei pochi che è voluto diventare giudice per diminuire il potere dei giudici». E in effetti non passava occasione in cui non si scagliasse contro i «giudici arbitri morali del mondo». Lo ripeteva sempre: «La Costituzione è morta, morta, morta», non può essere «una bottiglia vuota in cui versiamo ogni valore». Uno così, dei nostri Di Pietro non poteva che pensare tutto il male possibile («Tangentopoli fu una ricetta per l’ingiustizia»). L’ultima volta che fu in Italia (2013) disse: «Perché mai dei giudici non eletti, degli studiosi del diritto, dovrebbero avere una visione speciale su come dovrebbe essere il mondo? Chi mai desidera un paese guidato da giudici ed esperti di diritto? Se la Costituzione va emendata, lo decida il popolo. Questa è la democrazia». E questo era un giudice. Emanuele Boffi 4 | 24 febbraio 2016 | Il Papa e Kirill. Se questo vi sembra un cristianesimo “fuori dalla storia” | l 12 febbraio 2016, a l’avana, Cuba, mille anni di storia sono parsi come il tempo e lo spazio increspati dall’onda gravitazionale di Dio. «Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato», dice il salmo. Mentre i media, che al contrario del significato che sfida il tempo rincorrono l’istante smemorato, dicono fanfaluche quando rubricano l’evento a fatto clamoroso, ma interno al cristianesimo. Infatti, come mai non hanno dato nessuna importanza al contenuto perfino politico dell’abbraccio tra Francesco e Kirill (vedi il riferimento del Papa, nella conferenza stampa della vigilia, alla Siria, dove «in parte c’è stata convergenza di analisi tra la Santa Sede e la Russia»)? L’autocensura dei media è giustificata. Appare loro ovvio che il cristianesimo è “fuori dalla storia”. Francesco è papa “buono” perché nelle sue parole i poteri secolari cercano continuamente conferma ai propri pregiudizi e luoghi comuni. Così i cristiani “buoni”, come da lezione scalfariana, sono soltanto quelli conformi alla mentalità dominante. “Intolleranti” e “rechIARO chE LA DIchIARAzIOnE trogradi” sono invece quelli che si DOvEvA EssERE OmEssA DAI mEDIA. chiamano fuori. vI sI DEnuncIA L’IsOLAmEnTO DEI Chiaro che la Dichiarazione docRIsTIAnI AI mARgInI DELLA vITA veva essere omessa da cronache e pubbLIcA. nEL “LORO” OccIDEnTE commentarii. I suoi contenuti accusano tra l’altro «l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica». Mettono in guardia l’Europa da «un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose» e chiedono «ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana». Soprattutto, esaltano la famiglia come «centro naturale della vita umana e della società»; «fondata sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna». E altro che “chi sono io per giudicare”… «Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio… viene estromesso dalla coscienza pubblica». Fulmini contro aborto («la voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio»), eutanasia, manipolazione della vita. E quanto al cristianesimo del “dialogo” senza giudizio, basti l’invito ai giovani: «Non abbiate paura di andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale odierne norme secolari sono lontane dal conformarsi sempre». Di fatto, è l’opposto di un cristianesimo attento a non disturbare i manovratori di questo mondo. «Questo mondo, in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale». SOMMARIO 10 PRIMALINEA LA RESISTENZA SCONOSCIUTA | BOFFI NUMERO anno 22 | numero 07 | 24 FeBBraio 2016 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone 7 La prigione che ci siamo scelti Così la dipendenza da internet rende l’uomo schiavo di se stesso. Il caso Corea del Sud, dove può mancare il pane ma non il wi-fi 18 INTERNI LA VERITÀ SU LAVORO E PIL | GHIRARDINI LA SETTIMANA L’ascia nel cuore Emanuele Boffi ........................... 4 Foglietto Alfredo Mantovano.......... 8 Boris Godunov Renato Farina.............................17 Vostro onore mi oppongo Maurizio Tortorella..... 23 30 SOCIETÀ VIA DAL LAGER DELLA LIBERTÀ | AMICONE Mamma Oca Annalena Valenti .............. 35 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano ................. 39 Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento .................................. 40 Sport über alles Fred Perri...........................................42 Appunti Marina Corradi ..................... 46 RUBRICHE Stili di vita .......................................... 34 Motorpedia ....................................... 36 Lettere al direttore .......... 38 Taz&Bao................................................44 24 COPERTINA SUD COREA, LA DIPENDENZA DA INTERNET | GROTTI, CASADEI Foto: Ansa, AP Exchange/Ansa fOgLIETTO ALLA CONQUISTA DI UN RILIEVO POLITICO Per non confinare alla piazza le istanze di un popolo autentico DI ALfREDO mANTOVANO P erfino il Corriere della Sera, fra i capifila pro ddl Cirinnà, pubblica sondaggi che registrano la forte contrarietà degli italiani alla follia che il Senato sta votando in queste ore. Il dissenso emerge con chiarezza nonostante i quesiti siano in qualche modo orientati: agli interpellati non è stato chiesto se sono o meno a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, bensì se condividono le unioni civili; la domanda più corretta sarebbe stata la prima, visto che – come abbiamo più volte illustrato – quello che nel ddl è deIL PUNTO è ChE I mILIONI DI PERSONE DEL finito regime delle unioCIRCO mASSImO NON SI RICONOSCONO IN ni civili disegna in tutto e NESSUNA fORzA POLITICA OggI: NESSUNA per tutto un matrimonio, hA DATO PROVA DI CONTINUITà, COERENzA con i richiami espliciti alE fERmEzzA SULLA VITA E LA fAmIgLIA le norme del codice civile che disciplinano quest’ultimo. Nonostante ciò, la contrarietà sfiora maggioritario degli italiani e le decisioni del Parlamento. La spaccatura non è tanto la metà degli interpellati. Ancora più consistente, anzi ampia- nel corpo sociale, quanto fra il corpo sociamente maggioritaria, è l’opposizione al- le e chi dovrebbe rappresentarlo. la stepchild adoption: anche qui, non si spiega che il giorno dopo l’entrata in vi- Allargare il perimetro della protesta gore delle disposizioni del ddl qualsia- Non è un segnale positivo, non soltanto si giudice le estenderà all’adozione tout per il merito delle leggi dissennate che court, sì che il quesito corretto avrebbe vengono approvate. Non lo è perché una dovuto riguardare se si è pro o contro frattura così profonda rende la fiducia nell’adozione same-sex. le istituzioni elettive ancora più precaria: I sondaggi riflettono il successo ecce- gli effetti della divaricazione elettori/eletti zionale delle manifestazioni del 20 giu- possono non limitarsi all’allontanamento gno e del 30 gennaio, e il sentire diffuso ancora più massiccio dal voto, se a patirli che ciascuno può percepire, nonostante sono fasce sociali non marginali. Il pununa oppressione mediatica fatta di talk to di partenza è che i milioni di persone show, fiction, film e Sanremi. Nonostan- del Circo Massimo oggi non si riconoscono te non siano mancati in passato passaggi in nessuna forza politica; certo, più d’una parlamentari fortemente divisivi – si pen- tenta l’ammiccamento, ma finora nessuna si alla legge che ha introdotto l’aborto “le- ha dato dimostrazione di continuità, coegale” –, è difficile trovare precedenti di se- renza e fermezza sui punti chiave che stanparazione così netta fra l’orientamento no a cuore del popolo delle famiglie. 8 | 24 febbraio 2016 | | Il punto di partenza è l’esistenza di un popolo che su vita e famiglia ha idee chiare, che non intende diluire o ridurre a materia di contrattazione. Questo popolo ha però bisogno di venir fuori da una pur importante modalità di manifestazione occasionale (guai se i due eventi non ci fossero stati) e di acquisire consapevolezza e peso politico. Interpellare i candidati sindaci per le prossime elezioni amministrative va esattamente in questa direzione: vuoi il mio consenso? Impegnati formalmente, se eletto, a che il tuo Comune non sia strumentalizzato per fare propaganda gender, o per celebrare “nozze” samesex; impegnati per adeguare le imposte di competenza del Comune al carico quantitativo e qualitativo di ciascun nucleo familiare, e quindi al suo progressivo abbattimento in relazione al numero dei suoi componenti, o alla presenza al suo interno di disabili, e così via. Un discorso analogo riguarda il referendum sulle riforme costituzionali: come rispondere a chi chiede la conferma di norme che ridurrebbero ancora di più gli spazi per frenare la deriva liquida e liquidatoria che è in corso? Ma questo è solo l’inizio di un lavoro di allargamento dal perimetro della protesta al rilievo in senso lato politico del popolo delle famiglie. È indifferibile la crescita di consapevolezza culturale di quest’ultimo. Urge che la dottrina sociale della Chiesa, che contiene riferimenti di principio, valutazioni su ciò che accade e indicazioni operative diventi il pane quotidiano della formazione permanente di quel popolo. Saltare questo passaggio, senza trascurare gli altri, significa rassegnarsi a ritrovarsi in tanti (che è comunque fondamentale) e continuare a subire. Foto: Ansa | resistenza sconosciuta Storia di due impavidi sacerdoti che dopo l’8 settembre ’43 salvarono centinaia di ebrei dalle mani di nazisti e fascisti. E che, grazie all’aiuto di povere famiglie di contadini, diedero loro conforto e rifugio, così come aveva fatto il Buon Samaritano | DI EmanuElE BoffI I due preti giusti 10 | 24 febbraio 2016 | | Foto: G. Hassan | | 24 febbraio 2016 | 11 resistenza sconosciuta PRIMALINEA A sinistra, le carrozze dei treni che da Borgo San Dalmazzo trasportarono gli ebrei nei campi di concentramento tedeschi. Sotto, le targhe che riportano i loro nomi (foto G. Hassan) cati sui vagoni in partenza da San Dalmazzo verso la Francia, e di qui poi ad Auschwitz (ne torneranno solo 9). Il 4 dicembre ’43 il campo di concentramento di Borgo passò nelle mani fasciste. Dalla stazione, il 15 febbraio partirono i ventisei ebrei di cui vi abbiamo detto (ne sopravvissero solo due). E tutti gli altri? Che fine avevano fatto le altre centinaia di ebrei che erano giunte in Italia? M Il funerale due anni dopo Come tutti gli abitanti della zona, don Viale aveva assistito all’arrivo delle famiglie ebree e dei soldati italiani sbandati. Per lui, aiutare quei poveretti fu una semplice questione di carità cristiana. Confor- Borgo San Dalmazzo (Cn). Qui un piccolo gruppo di ebrei – qualcuno arriva da Milano, qualcun altro da Torino, qualche locale – s’è ritrovato alla stazione ferroviaria per commemorare i ventisei ebrei che il 15 febbraio 1944 furono deportati nel campo di concentramento di Fossoli e poi in Germania. Orazioni e ricordi di chi oggi vede come le traiettorie della Storia abbiano intersecato le proprie storie intime e familiari. C’è chi racconta la vicenda dei vicini di casa, chi di conoscenti, chi di nonne e nonni che in quegli anni fuggirono dai nazisti, ma anche di parenti – ebrei fascisti – che ai “neri” si consegnarono spontaneamente («“siamo italiani, siamo fascisti, che mai potranno farci?”, si chiedevano ingenuamente»). 12 | 24 febbraio 2016 | età febbraio, | Alla stazione di Borgo ci sono tre vagoni rossi. Sono piccoli, stretti e chiusi ermeticamente: anche l’aria era un lusso per chi era trattato peggio di una bestia. Il rabbino intona la preghiera. È un momento semplice e dignitoso, ma non si prega solo per gli ebrei. Vittorio Bendaud, che coordina il Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, ci tiene che due parole e una preghiera di ringraziamento siano spese per due sacerdoti cattolici: don Raimondo Viale e don Francesco Brondello. I loro nomi compaiono tra i giusti delle nazioni allo Yad Vashem di Gerusalemme. Questa è la loro storia. Dov’erano tutti gli altri? Quando rammentava la sua infanzia, don Viale amava ricordare che a casa sua si viveva di patate e polenta. «Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono cresciuto. È nell’infanzia che ho impa- rato a resistere». Figlio di uno spaccapietre, Raimondo nacque nel 1907 a Limone Piemonte, «in una zona piena di vipere». Ordinato sacerdote nel 1930 divenne parroco a Borgo San Dalmazzo sei anni dopo. Carattere fumantino e poco incline ai compromessi, dal pulpito il “don guastafeste” non risparmiava critiche al regime fascista. Per questo, il 2 giugno 1940, per aver definito in un’omelia la guerra «un’inutile strage», fu arrestato, condotto nel carcere di Cuneo, picchiato, giudicato colpevole, mandato al confino ad Agnone in Molise, da cui tornò solo il 20 settembre 1941. Il 25 luglio e l’8 settembre 1943 sono due date importanti per la storia d’Italia, ma per don Raimondo fu più significativo ciò che accade pochi giorni dopo, il 12 settembre. Dalla Francia, infatti, iniziarono ad arrivare a piedi centinaia di persone. Fra di loro c’erano i soldati italiani della «IL MIo ERA uN LAvoRAccIo dA EsAuRIRE uN ELEfANtE. ERo IMPRudENtE coME uNo scEMo». PER foRtuNA, doN RAIMoNdo NoN ERA L’uNIco scEMo dELLA zoNA IV armata e gli ebrei che provenivano dal centro di raccolta di Saint Martin Vésubie. Erano per lo più polacchi, francesi, tedeschi; qualche ungherese, austriaco, belga. C’erano molte famiglie con bambini che trascinavano pochi stracci e un tozzo di pane. Il 18 settembre il comando tedesco delle SS rese noto che, entro sera, tutti gli ebrei avrebbero dovuto presentarsi in caserma: «Trascorso tale termine – recitava il dispaccio – tutti gli stranieri che non si saranno presentati verranno immediatamente fucilati». La medesima sorte sarebbe toccata «a coloro nella cui abitazione detti stranieri verranno trovati». Saranno 349 quelli che si consegneranno e che il 21 novembre saranno cari- tato dal sostegno del cardinale di Torino, Maurilio Fossati, decise così di darsi da fare per trovare loro rifugio. Rischiò letteralmente la pelle, don Raimondo. I nazisti avevano già fatto vedere di cosa erano capaci. Per rappresaglia il 19 settembre a Boves avevano incendiato le case e ucciso 24 persone tra cui il parroco, don Giuseppe Bernardi, e il giovanissimo vicecurato, don Mario Ghibaudo, catturato mentre cercava di mettere in salvo il Santissimo. Il corpo martoriato di don Mario finì proprio nella canonica di don Viale che, di notte, con l’aiuto di don Brondello e contro gli ordini nazisti, lo trasportò nel cimitero per dargli degna sepoltura. Il funerale di don Mario fu celebrato solo due anni dopo, il 19 settembre 1945. Don Ghibaudo è uno dei “Dieci” di don Didimo Mantiero e il 31 maggio 2013 è iniziato il processo di canonizzazione. Nemmeno uno fu catturato e ucciso Lo scrittore-partigiano Nuto Revelli ha raccolto in un libro la testimonianza di don Viale. Si intitola Il prete giusto (Einaudi, 1998) ed è il racconto della vita del nostro eroe. Eroe che, però, non amava troppo vantarsi delle proprie gesta. «Il mio – raccontò – era un lavoraccio da esaurire un elefante. Ero imprudente come uno scemo». Per fortuna, don Raimondo non era l’unico scemo della zona. Bisogna cercare di immaginarsi cosa significasse per dei poveri contadini con tante bocche da sfamare prendersi il rischio di dare rifugio a persone che nemmeno parlavano l’italiano. Nasconderle per quasi due anni, condividendo con loro quel poco che si poteva racimolare durante i rigidi inverni del ’43 e del ’44. Quella rete di famiglie non tradì nessuno. Nemmeno uno degli ebrei che furono soccorsi dagli amici di don Viale fu catturato e ucciso. Gli ultimi mesi di guerra e gli anni successivi non furono per don Viale meno tribolati. Confortò negli ultimi momenti, a rischio di fare una brutta fine, i quattordici partigiani catturati e fucilati il 2 maggio ’44 nella caserma di Tetto Gallotto. Terminata la guerra, si spese invano perché i partigiani risparmiassero una spia fascista, Ettore Salvi, che fu giustiziata il 12 febbraio ’46 a Cuneo. Don Raimondo rimase sempre un irregolare. Antifascista ai tempi del fascismo, anticomunista nel primo dopoguerra («il comunismo | | 24 febbraio 2016 | 13 primaliNEa resistenza sconosciuta A sinistra, lo Yad Vashem di Gerusalemme. Fra i giusti tra le nazioni vi sono anche don Raimondo Viale e don Francesco Brondello Fortunato? No, miracolato Don Francesco Brondello nacque a Borgo San Dalmazzo l’8 maggio 1920. Lo chiamavano il “prete volante” o il “prete scalatore” per le sue insuperabili doti in montagna. Quando arrivarono gli ebrei nel settembre del ’43 anche lui aiutò, brigò, si attivò per portare cibo e lettere («facevo il portalettere degli ebrei», dirà una volta). Due sorelline ebree, Chaya e Gitta Kantoriwicz, che oggi vivono a Chicago, ricordano ancora quando giunse nel loro nascondiglio. Si presentò con una macchina fotografica, scattò due foto, tornò il giorno dopo con i documenti falsi. Altri hanno ricordato che fu lui che, sempre a rischio di cattura, girò di baita in baita, di casolare in casolare, solo per ricordare loro di festeggiare Yom Kippur. Don Brondello rimase a Valdieri fino al termine del conflitto perché, spiegava, «un sacerdote non abbandona il suo posto, il suo dovere». Ma la pagò cara. Arrestato dai fascisti nel 1944 fu imprigionato a Cuneo. Era stato prelevato da due ufficiali che, raccontò una 14 | 24 febbraio 2016 | | «Era solo uNa prostituta ma avEva iNtuito chE “il sigNorE vostro Dio è Dio lassù NEi ciEli E quaggiù sulla tErra” E DivENtò uNo strumENto DiviNo» volta, mentre «cantavano a tutta forza con rabbia le loro canzonacce: “Morte, morte a papa Pacelli / siamo rinati a libertà”», lo condussero fino in caserma. Qui gli misero «una bomba a mano in bocca», lo picchiarono, lo torturarono. Ma don Francesco non parlò, non tradì. Disse solo che lui la pensava come il Buon Samaritano: non si chiede la carta d’identità al bisognoso. Fu solo grazie all’intervento di una donna, amante del capo delle Brigate Nere, che ebbe salva la vita. «La Bibbia – spiegò – ci racconta la storia di Rachav, la donna che a Gerico prima nascose e poi fece fuggire gli esploratori inviati da Giosuè. Era solo una prostituta ma aveva intuito che “il Signore vostro Dio è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” e diventò uno strumento di un disegno divino. E quella era una poveretta, l’amante di un brigante feroce, ma ebbe pietà e si diede da fare per salvare un sacerdote». Don Francesco ne passò davvero di tutti i colori. Ma a chi gli chiedeva se si ritenesse fortunato, rispondeva piccato: «Fortunato? No, io non userei questa parola. Se uno è in pericolo, in una situazione, e riesce a salvarsi, può trattarsi di fortuna e può dire a se stesso “questa volta mi è andata bene”. Ma a me capitò di scampare alle pallottole del militare tedesco a Nizza, e poi alla caduta sulla montagna, e di essere catturato dalle camicie nere ma di esserne poi rilasciato, e il rastrellamento a Valdieri non fece vittime… Quante volte sono stato miracolato? No, non credo possa trattarsi di un caso fortunato, credo proprio che il Signore abbia voluto proteggermi e salvarmi. Ma non c’era da aver paura, trovavo consolazione e coraggio nella promessa del Vangelo: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”». Noi esistiamo grazie a lei Quando il 2 settembre 2004 fu riconosciuto giusto tra le nazioni con una cerimonia nella Sinagoga di Cuneo, si commosse fino alle lacrime quando rivide Chaya e Gitta, le due ragazzine cui aveva scattato una fotografia tanti anni prima. Si presentarono con le loro famiglie, mariti, figli e nipoti, una cinquantina di persone, una piccola comunità di scampati all’orrore: «Don Francesco, noi esistiamo solo grazie a lei». È morto una domenica del 2015. Era il 15 febbraio, lo stesso giorno in cui, più di settant’anni prima, tre carrozze rosse erano partite per Auschwitz. n Foto: ansa è una dittatura militaresca»), insofferente verso ogni autorità, negli anni Settanta fu sospeso a divinis, straniero in quella stessa Chiesa che tanto amava. Poi, nella primavera del 1980 il riconoscimento di giusto, solo quattro anni prima della sua morte, il 25 settembre 1984. La piazza antistante la caserma, oggi una scuola, porta il suo nome. boris godunov i siLEnZi dEi giornALoni Quanta sospetta “neutralità” sulle sciabolate evangeliche dei nostri uomini all’Avana | di rEnAto FArinA L’ incontro tra il PaPa di roma e il Patriarca di mosca ha riem- pito il cuore russo di Boris di gioia zampillante. Il documento firmato da Francesco e Kirill è fantastico. Non ecumenismo sovratemporale, ma giudizio sulla storia in forza del mandato ricevuto da Cristo. È stato don Giussani, in un celebre intervento a Bassano del Grappa, a stabilire l’identità tra cultura ed ecumenismo. Il cristianesimo è un avvenimento, ed è meta-culturale, cioè sta prima di ogni cultura, ma non può darsi nel tempo senza assumere e dar forma a una cultura. E quel documento dei nostri due uomini all’Avana dice cose formidabili. Siccome Boris è passionale e forse romantico non riesce a separare neanche con il laser verità e misericordia, come non riesce a privilegiare gli occhi dell’amata rispetto alla bocca o alla voce o al carattere o alla mente. La persona dell’Amata, della Donna leopardiana, di Cristo è una. Sono espressioni dell’io unico, di un nome unico. Così Cristo Logos-Amore secondo la definizione di Benedetto XVI a Regensburg (12 settembre 2006). Che succede? In quel documento ci sono colpi di spada evangelici. 1: «Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica». 2: E aggiungono, dopo aver denunciato aborto ed eutanasia come mali gravissimi che gridano a Dio: «Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio». Che cosa è successo? Che i commentatori, gli uomini di cultura, gli intellettuali sono tutti intervenuti festanti sull’incontro a Cuba tra i leader delle due Chiese (il Capo è uno solo, e parrebbe essere il Figlio di Dio), ma hanno evitato di commentare questi passi. Anzi hanno insistito nel dire che esistono due Chiese cattoliche: una italiana, retrograda, senza misericordia, in- dicE bEnE gALLi dELLA LoggiA: in itALiA non EsistE spAZio pEr un pArAgonE sErEno sui tEmi chE prEoccupAno FrAncEsco E KiriLL; nEppurE A sAnrEmo è AmmEsso uscirE dAL mAinstrEAm carnata da Bagnasco e Ruini, con un’idea medievale della vita e della famiglia; l’altra aperta, aliena da conflitti su organizzazioni sociali, protesa a giustificare e a benedire qualunque diritto individuale fiorisca, e sarebbe quella di Francesco, con al seguito Galantino e Forte. Siamo qui un’altra volta C’è un problema nella cultura italiana, lo ha bene messo in mostra Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: non esiste nessuno spazio per paragonarsi serenamente su temi così gravi; neppure a Sanremo, in ambito nazional-popolare è ammesso uscire dal mainstream, per rendere ragione di quanto in fondo pensa la maggioranza degli italiani sulle adozioni gay e gli uteri in affitto. A dire il vero proprio il Corriere aveva lasciato spazio a un’importante lettera di Julián Carrón. Chiedeva di andare oltre l’ovvio e le petizioni di principio, per domandarsi che cosa risponda al bisogno più profondo della persona, qualunque siano le sue aderenze culturali, politiche e persino le preferenze sessuali. Lo stesso Corriere ha poi tradotto questa gentile e tremenda sfida di Carrón, che ha riproposto il “caso serio” della vita, falsificandolo in una specie di neutralità apollinea riguardo ai temi proposti all’Avana dal Vescovo di Roma e dal Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Ricordo che sul Sabato nel 1987 riproponemmo con forza un tema analogo. Quando don Giussani, nel febbraio, propose alla politica di paragonarsi con la sua origine: il senso religioso e il radunarsi degli uomini spinti da questa domanda inesausta. E la risposta dei maggiorenti (tranne Craxi, Andeotti e Cossiga) fu come quella dedicata a Paolo all’Aeropago da buona parte dei sapienti ateniesi: «Di questo ci parlerai un’altra volta». Siamo qui un’altra volta, e un’altra volta ancora, e ancora un’altra, fino alla fine dei tempi o fino a quando, dice Boris, ci taglieranno la testa a tutti. | | 24 febbraio 2016 | 17 INTERNI | SPULCIANDO FRA I NUMERI DI PIER GIACOMO GHIRARDINI Una ripresa con le gambe corte Una crescita occupazionale un poco drogata e una economia che difficilmente saprà approfittarne. Senza contare l’arrivo dei “cavalieri dell’apocalisse”. La verità su lavoro e Pil dopo due anni di governo Renzi. Solo dati di fonte ufficiale. No Powerpoint L’ ha giurato il 22 febbraio 2014 e ha compiuto quindi due anni in questi giorni. In pratica, a meno di imprevisti, il governo Renzi è al suo “midterm”, e si impone una riflessione sui temi su cui si gioca non la fortuna di un uomo politico, ma la vita di 60 milioni 680 mila italiani: lavoro e crescita. Questa valutazione si basa su dati e previsioni di fonte ufficiale (vedi tavole 1 e 2 nelle pagine seguenti) e vuole mettere a confronto l’Italia del 2015, dopo due anni di governo Renzi, con quella del 2013, non ancora emersa dal doppio bagno recessivo Great Recession 2008-Sovereign Debt Crisis 2011. esecutivo in carica I pilastri dell’“offertismo” La politica economica di Renzi, a volerne comprendere la visione, si è basata su un paradigma della supply-side economics, del tutto in linea con l’ortodossia monetarista e neoliberista, dove si postula l’inversione della relazione causale fra crescita e ripresa del mercato del lavoro, imparata a così caro prezzo – con la Grande Depressione del 1929 e una guerra mondiale – dal pensiero macroeconomico. Lo sottolineiamo non per qualche velleità teorica, ma perché è solo sulla base di questo assunto che si può dar conto dell’impian18 | 24 febbraio 2016 | | Foto: Ansa to della “Renzinomics” – nonché della reversibilità dei modesti successi da questa conseguiti. Qualcuno obietterà che a questa linea non ci fosse, già in partenza, alternativa. There Is No Alternative. Ce n’erano poche di alternative per un paese costretto nel letto di Procuste di Ue, Bce e Fmi – e lasciato in balìa dei “retroscenici poteri” che questo premier ci hanno imposto. Resta oggi il fatto che la politica “offertista” renziana ha finito per identificarsi con il Jobs Act. Altre misure (80 euro, taglio Irap) non richiedono commenti. E, a sua volta, ciò che ha consentito al Jobs Act di poter fare la differenza non è stata la riscrittura dell’articolo 18 o altre riforme tese alla “svalutazione interna” del lavoro, ma la forte, determinante, decontribuzione – scritta però in legge di stabilità 2015! – per i nuovi contratti a tutele crescenti. È questo che ha messo in moto la ripresa. L’impiego tra riforma e doping Confrontando le medie annue dei dati mensili Istat (i dati degli ultimi tre mesi sono provvisori), si ha che gli occupati in Italia fra il 2013 e il 2015 sono cresciuti di 257 mila unità, come sintesi di 304 mila dipendenti in più e 48 mila indi- pendenti in meno (le discrepanze derivano da arrotondamenti). La positiva variazione dei dipendenti sarebbe da ascriversi per 123 mila unità a quelli permanenti (con contratti a tempo indeterminato, compresi quindi quelli nuovi a tutele crescenti) e per 181 mila unità a quelli a termine. Va osservato che tale crescita dei dipendenti permanenti misurata dall’Istat (in base alla rilevazione sulle forze di lavoro) è notevolmente inferiore rispetto ai dati rivendicati dal ministro Poletti (desunti dagli archivi amministrativi dell’Inps e dei Centri per l’impiego). Ciò ha una spiegazione scientifica: il disegno di campionamento dell’indagine Istat consente di stimare con precisione il livello degli occupati, ma può invece risentire, nel breve periodo, di viscosità nel rappresentarne le variazioni nella composizione, per effetto dello schema di rotazione del campione. È quindi probabile che la crescita dei dipendenti permanenti sia stata più forte, pur rimanendo fermo il dato della crescita del totale occupati, quantificata in 257 mila unità (con ordinari errori di stima). Si può quindi accreditare buona parte della crescita occupazionale intervenuta nel biennio 2014-2015 al sostegno economico dei contratti a tutele crescenti da parte del governo? Sì, obiettivamente sì. Come vanno riconosciuti gli sforzi finalizzati a ridurre la precarietà del lavoro. Ma questo successo, da valutarsi senza perderne di vista la reale portata, presenta due contraddizioni. Si ha, da una parte, l’incapacità di andare a incidere sulla disoccupazione, che rimane su livelli elevatissimi. Dall’altra, la crescita del Pil nel 2016 potrà poggiare, com’è stato nel 2015, solo sul contributo di una domanda interna, il cui momento fa perno su una ripresa del mercato del lavoro dopata dalla decontribuzione. | | 24 febbraio 2016 | 19 INTERNI SPULCIANDO FRA I NUMERI Tavola 1 - l’economia in iTalia (2015-2017 PREvISIONI) variabili macroeconomiche 2014 variazioni percentuali annue o indicatori percentuali mrd eUR a prezzi correnti Prodotto interno lordo (PIL) Consumi privati Tavola 2 - Il mercaTo del lavoro In ITalIa (2015 dati provvisori) % Pil 1996-2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 medie annuali (a) variazione 2012 2013 2014 2015 (b) 2015-2013 1.613,9 100,0 0,9 -2,8 -1,7 -0,4 0,8 1,4 1,3 occupati (migliaia) 22.566 22.191 22.276 22.448 257 986,3 61,1 1,1 -3,9 -2,7 -0,4 0,9 1,5 0,6 di cui: giovani (15-24 anni) 1.108 974 927 921 -52 2.691 3.069 3.230 3.023 -46 603 652 691 624 -27 Consumi pubblici 315,3 19,5 1,0 -1,4 -0,3 -0,7 0,2 0,1 1,0 disoccupati (migliaia) Investimenti fissi lordi 268,1 16,6 1,1 -9,3 -6,6 -3,5 1,0 3,8 4,8 di cui: giovani (15-24 anni) di cui: impianti e macchinari 87,4 5,4 1,7 -13,6 -7,3 -2,9 4,0 5,8 7,1 tasso di disoccupazione (%) 10,7 12,1 12,7 11,9 -0,3 Esportazioni (beni e servizi) 477,2 29,6 2,2 2,3 0,8 3,1 4,3 3,1 4,4 di cui: giovani (15-24 anni) 35,2 40,1 42,7 40,4 0,3 Importazioni (beni e servizi) 428,4 26,5 3,2 -8,1 -2,5 2,9 5,3 4,9 4,9 dipendenti (migliaia) 16.946 16.683 16.783 16.987 304 1.613,4 100,0 0,9 -2,7 -1,8 -0,2 0,8 1,4 1,3 di cui: permanenti 14.613 14.483 14.504 14.606 123 Domanda interna 1,0 -4,5 -2,9 -0,5 0,8 1,6 1,4 indipendenti (migliaia) 5.620 5.508 5.493 5.460 -48 Scorte 0,0 -1,2 0,3 -0,1 0,2 0,2 0,0 Esportazioni nette -0,2 2,9 0,9 0,1 -0,1 -0,4 0,0 Reddito nazionale lordo Contributi alla crescita del PIL: Occupazione 0,4 -1,4 -2,5 0,2 1,1 1,1 1,0 Tasso di disoccupazione (a) 8,8 10,7 12,1 12,7 11,9 11,4 11,3 Reddito da lavoro dipendente per unità equivalenti a tempo pieno 2,9 0,4 1,5 0,6 0,4 0,4 1,0 Costi unitari del lavoro per l’economia nel suo complesso 2,4 1,9 0,7 1,3 0,6 0,0 0,6 Costi unitari reali del lavoro 0,1 0,5 -0,6 0,4 0,1 -0,8 -0,9 11,9 Tasso di risparmio delle famiglie (b) 14,5 9,4 11,3 10,8 11,0 11,6 Deflatore del PIL 2,4 1,4 1,3 0,9 0,5 0,8 1,6 Indice armonizzato dei prezzi al consumo 2,3 3,3 1,3 0,2 0,1 0,3 1,8 Ragioni di scambio (beni) -0,4 -1,4 1,7 3,0 3,7 2,2 0,0 Saldo della bilancia commerciale (beni) (c) 0,8 1,0 2,2 3,0 3,3 3,3 3,3 Saldo delle partite correnti (c) -0,6 -0,4 0,9 2,0 2,2 2,1 2,1 Accreditamento/indebitamento netto nei confronti del resto del mondo (c) -0,5 -0,2 1,0 2,2 2,4 2,3 2,2 Saldo delle amministrazioni pubbliche (c) -3,4 -3,0 -2,9 -3,0 -2,6 -2,5 -1,5 Saldo di bilancio corretto per il ciclo (d) -3,5 -1,2 -0,7 -0,9 -1,0 -1,7 -1,4 ... -1,3 -0,9 -1,1 -1,0 -1,7 -1,4 107,1 123,2 128,8 132,3 132,8 132,4 130,6 Saldo di bilancio strutturale (d) Debito pubblico lordo (c) (a) disoccupati in % delle forze di lavoro; (b) risparmio in % del reddito disponibile; (c) in % del PIL; (d) in % del PIL potenziale Fonte: nostre elaborazioni su previsioni Commissione Europea (European Economic Forecast - Winter 2016, 4 febbraio 2016) La disoccupazione incurabile Renzi rivendica il “segno meno” per la disoccupazione. E la comunicazione ha scelto, nell’altalena congiunturale, i termini di raffronto che più le tornavano, lasciando in ombra che nel primo anno di governo (2014) i disoccupati sono continuati a crescere. Ma se restiamo fedeli al nostro esercizio di misurare la distanza fra l’Italia “prima di Renzi” (2013) e quella “dopo due anni di Renzi” (2015), confrontando le medie annue, si ottiene che i disoccupati sono diminuiti in valore assoluto solo di 46 mila unità e il tasso di disoccupazione è diminuito solo di due decimi di punto, passando dal 12,1 all’11,9 per cento. Poco di più che un 20 Forze di lavoro | 24 febbraio 2016 | | “segno meno”, per l’appunto. Una riduzione simbolica. Ma il fatto ancora più preoccupante è che nel medesimo lasso di tempo non è diminuito il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) che è passato dal 40,1 al 40,4 per cento, tre decimi di punto ma in più. Per i giovani la ripresa non si è fatta quasi sentire perché non ci sono posti vacanti nelle imprese, il cui tasso, al quarto trimestre 2015, è fermo a un misero 0,6 per cento del totale occupati. Le previsioni della Commissione europea, che non si possono qualificare certo come pessimistiche, mettono in conto, per l’Italia, tassi di disoccupazione dell’11,4 per cento nel 2016 e dell’11,3 nel 2017 che, sebbene verosimilmente sotto- stimati, restano comunque elevatissimi. È uno scenario di vera e propria resilienza della disoccupazione: gli attuali tassi di crescita non la riassorbiranno mai. Il numero medio annuo di persone in cerca di occupazione nel 2015 è pari a 3 milioni 23 mila unità. Erano metà prima della crisi. Restano talmente tante da non incontrare più attenzione ma irritazione. Tirarsi su per i lacci delle scarpe Nell’Europa che ha mosso poco meno di un dito per contrastare la più grave recessione del secondo dopoguerra, la parola d’ordine resta self-sustaining recovery. Il massimo consentito è l’offertismo: pulling oneself up by the bootstraps. Il gioco (a) calcolate sui dati mensili; (b) ottobre, novembre e dicembre dati provvisori Fonte: nostre elaborazioni su dati istat (occupati e disoccupati, 2 febbraio 2016) di produrre uno shock esogeno da offerta (che richiede comunque un forte stimolo fiscale per le imprese), di tirarsi su per i lacci delle scarpe, funziona però se troviamo la domanda aggregata lì pronta ad acchiapparci sul bordo della buca dove salterelliamo. Purtroppo la storia di questa ennesima ripresa che si pretende guidata dal mercato del lavoro non ha un lieto fine. Perché gli effetti dello stimolo iniziale sarebbero stati comunque destinati ad esaurirsi. La crescita dell’occupazione nel 2015 risulta già oggi inferiore a quella prevista dal Winter Forecast della Commissione europea: ossia lo 0,8 e non l’1,1 per cento se le stime provvisorie del 2 febbraio verranno confermate dai dati definitivi attesi per il 10 di marzo. Ma le prospettive dell’occupazione sarebbero state in calo anche in assenza del rallentamento congiunturale nel quarto trimestre 2015 e della sempre più temuta inversione del ciclo nel 2016, perché il governo ha già sparato quasi tutte le sue cartucce: la legge di stabilità 2016 estenderà sì, infatti, lo schema di sostegno alle assunzioni a tempo indeterminato che verranno fatte nel 2016, ma solo con una parziale esenzione (40 per cento). Ma soprattutto perché in assenza di più robuste politiche, non poteva esserci uno stimolo efficace e duraturo alla domanda: nel 2015 gli investimenti pubblici hanno toccato il fondo, dopo cinque anni di contrazione, e non si è visto ancora un euro degli oramai mitici 300 miliardi stanziati da Juncker. Per questo motivo, il risultato più celebrato dal governo Renzi, il tanto atteso “segno più” per il Pil, è destinato a deludere le attese e a rivelarsi assai effimero. Nel 2015 la crescita reale del Pil non sarà infatti né lo 0,9 per cento scritto da Padoan nel Def, né lo 0,8 previsto dalla Ue: le stime preliminari, rilasciate dall’Istat il 12 febbraio scorso, ci dicono che la variazione, anno su anno, calcolata sui dati grezzi, è stata dello 0,7 per cento, ma essa, al netto degli effetti di calendario (nel 2015 ci sono state tre giornate lavorative in più rispetto al 2014), va ridimensionata allo 0,6 per cento: questo è stato il vero ritmo di crescita nel 2015. Certo, niente a che vedere con la “tempesta perfetta” del governo Monti, a cui si deve una caduta del Pil del 2,8 per cento nel 2012 e che ha lasciato in eredità a Letta 2016: downside risks o recessione? Alla debolezza intrinseca della scommessa di Renzi si è aggiunta la sfortuna. Il rallentamento delle economie emergenti, le conseguenti svalutazioni, l’inesorabile caduta del prezzo del petrolio e delle commodities, la deflazione a stento controllata, la mina vagante europea dei nonperforming loans che gravano sui bilanci delle banche, per non parlare del nemico alle porte e dell’orda dei profughi: i tecnocrati di Bruxelles sminuiscono questi cavalieri dell’apocalisse chiamandoli downside risks, ma le previsioni 2016 della Commissione europea del 4 febbraio (tavola 1) sono oggi carta straccia. Già nel 2015 il contributo alla crescita del Pil delle esportazioni nette è stato negativo e persino le ireniche previsioni Ue prevedono un peggioramento per il 2016: le svalutazioni nei paesi emergenti e il crollo del greggio hanno già fatto fare un balzo nel 2015 alle nostre ragioni di scambio (ossia il rapporto fra i prezzi dell’export e quelli dell’import) e, nonostante la riduzione dei costi unitari reali del lavoro che proseguirà nel 2016, in virtù di una rassegnata moderazione salariale e dei recuperi di produttività, è impossibile frenare l’emorragia di risorse verso il resto del mondo. Solo la Germania, con il suo avanzo scandalosamente alto del saldo delle partite correnti (8,8 per cento del Pil), può rimanere indifferente ai rischi di una nuova recessione, restando in vigore il Patto di bilancio europeo. Per noi e per i Paesi del Sud Europa sarebbe la fine. La crescita del Pil, già inferiore al previsto per il 2015, farà rivedere al rialzo la previ- È uno scenario di resilienza della disoccupazione: gli attuali tassi di crescita non la riassorbiranno mai. le persone in cerca di lavoro sono talmente tante da non incontrare più attenzione ma irritazione un’Italia che nel 2013 decresceva dell’1,7 per cento, con una coda recessiva che si estenderà fino al 2014, al primo anno di governo Renzi (-0,4 per cento). Ma questo 0,6 per cento di crescita nel 2015 è troppo più vicino allo zero del previsto. E pare destinato a divenire zero se non a calare sotto zero. Le variazioni congiunturali del Pil (ossia trimestre su trimestre precedente) nel 2015 mostrano che la crescita ha decelerato in modo lineare nel corso dell’anno: 0,4 per cento nel primo trimestre, 0,3 nel secondo, 0,2 nel terzo e 0,1 nel quarto. Non ci vuole uno scienziato missilistico per capire come procederanno le cose. Nelle scorse nerissime giornate le borse lo hanno già dato per scontato. sione per i rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Il primo era stato portato da Renzi dal -2,9 per cento del 2013 al -2,6 del 2015, non certo “affamando la bestia” delle burocrazie ministeriali romane, ma facendo pagare il conto alle amministrazioni locali e ai cittadini. L’aumento dell’Iva è comunque dietro l’angolo. Sull’altro rapporto, quello fra debito e Pil, nulla ha potuto nemmeno Renzi: era al 128,8 per cento nel 2013 ed è cresciuto arrivando al 132,8 nel 2015. Negli scorsi giorni i mercati hanno riportato in voga lo spread. Riuscirà mai Renzi a convincere l’Europa a procedere a politiche espansive straordinarie che la salvino dal latente default di sistema? Un New Deal. Non demo di Powerpoint. n | | 24 febbraio 2016 | 21 VOSTRO ONORE MI OPPONGO uN’INGIuSTIzIa INTOllERabIlE Giuristi e magistrati sono d’accordo: perché l’innocente deve pagarsi l’avvocato? | DI MauRIzIO TORTORElla N 2012 ci provò un deputato di Forza Italia, Daniele Galli: presentò una proposta di legge per obbligare lo Stato a rifondere le spese legali del cittadino che viene imputato in un processo penale e ne esce assolto con formula piena. Non venne mai nemmeno discussa. Eppure affrontava una delle peggiori ingiustizie italiane. Ogni anno in questo paese si aprono 1,2 milioni di procedimenti penali, più alcune centinaia di migliaia di processi tributari. Gli assolti, alla fine, sono la maggioranza: secondo alcune stime sono quasi i due terzi del gare dei pubblici ministeri; ma ha anche totale. Moltissimi sono quelli che escono dalle aule di giustizia assolti con una «forl’obbligo di risarcire l’avvocato all’innomula piena», come si dice, e cioè perché il fatto non sussiste o per non avere comcente che senza alcun motivo ha dovumesso il fatto. Costoro, però, devono comunque pagare di tasca propria l’avvocato to affrontare spese legali, spesso elevate». e i professionisti di parte: periti, tecnici, consulenti. Giorgio Spangher, docente di procedura Si tratta di cifre a volte importanti. La famiglia di Raffaele Sollecito, processapenale alla Sapienza di Roma, ipotizza un to per otto anni come imputato per l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, ha fondo «che provveda almeno in parte a indovuto pagare 1,3 milioni di euro. Elvo dennizzare le spese sosteZornitta, accusato ingiustamente di essenute», come già avviene OGNI aNNO IN quESTO PaESE SI aPRONO re «Unabomber», il terrorista del Nord-Est, per l’ingiusta detenzione. 1,2 MIlIONI DI PROcEDIMENTI PENalI, dovrebbe pagarne 150 mila al suo avvocaCerto, il problema (coPIù alcuNE cENTINaIa DI MIGlIaIa DI to. Giuseppe Gulotta, vittima del peggiore me sempre in questi casi) errore giudiziario nella storia d’Italia (22 sono le casse dello Stato: PROcESSI TRIbuTaRI. GlI aSSOlTI, alla anni di carcere da innocente) dovrebbe afcon la Legge di stabilità fINE, SONO la MaGGIORaNza. cOSTORO, frontare una spesa da 600 mila euro. Ci soil 2016 il governo ha PERò, DEVONO PaGaRE DI TaSca PROPRIa per no poi tantissimi casi nei quali anche parappena dimezzato e reso aVVOcaTO E PROfESSIONISTI DI PaRTE celle da alcune decine di migliaia di euro praticamente inaccessibirappresentano la rovina economica. li le disponibilità previste Per tutto questo l’«ingiusta imputaviando numerose proposte di legge tra- per la legge Pinto, la norma che dal 2001 zione» è anche un’ingiustizia intollerasversali, da destra a sinistra, e sia alla Ca- indennizzava gli imputati vittime della bile per uno Stato di diritto. Ma lo è anlunghezza dei processi a un ritmo di cirmera sia al Senato. che per l’esempio che viene dall’estero: ca 500 milioni l’anno. Sarà forse difficiLe (povere) casse dello Stato in Gran Bretagna e in altri 31 paesi eule, pertanto, che si possa mettere in atto ropei, dall’Albania all’Ungheria, l’ordiDel resto, anche importanti giuristi e ma- qualcosa di valido sul rimborso delle spenamento giudiziario prevede che sia rigistrati concordano con l’idea. Carlo Nor- se legali. Ma non può essere questa la scuconosciuta la compensazione delle spese dio, procuratore aggiunto di Venezia, si sa per distogliere lo sguardo da una vera legali per l’imputato assolto con formula dice convinto che sia «una fondamenta- ingiustizia. Se sei stato accusato di un repiena. Il settimanale Panorama ha dedile questione di giustizia: con il discutibi- ato ma sei innocente, non è giusto che sia le principio dell’obbligatorietà dell’azione tu a pagare l’avvocato: deve farlo lo Stato. cato al tema una storia di copertina, che penale, lo Stato stabilisce il dovere d’indaha suscitato interesse in Parlamento, avTwitter @mautortorella el febbraio | | 24 febbraio 2016 | 23 COPERTINA GAME OVER Una Rete di sconnessi In Corea del Sud può mancare il pane, ma il wi-fi è ovunque. Il 70 per cento degli abitanti possiede uno smartphone. E l’esplosione del digitale ha reso i giovani «pesantemente dipendenti da internet» e incapaci di vivere | DI LEONE GROTTI COPERTINA GAME OVER 26 | 24 febbraio 2016 | | nel cuore della corea del sud 5 mila ragazzi tra i 10 e i 18 anni vivono in un campo. non devono disintossicarsi da droga o alcol ma da internet e dagli smartphone ti gli effetti, praticato da un abitante su due. Milioni di persone spendono abitualmente ore su videogiochi come StarCraft, World of Warcraft o League of Legends. Il giro d’affari è enorme: le due principali aziende sudcoreane sviluppatrici di giochi del computer hanno avuto un utile netto nel 2012 di 330 milioni di dollari. La maggior parte dei giovani e meno giovani non gioca in casa ma al costo di un dollaro all’ora negli oltre 20 mila internet caffè o nei cosiddetti “Pc Bang”, dove le sale sono divise in centinaia di piccoli blocchi, o loculi, separati l’uno dall’altro da pareti, dotati di computer a massima velocità. Il fuoriclasse Giocare può essere anche un’attività remunerativa e a tempo pieno: ci sono dieci leghe di professionisti per i principali videogiochi e squadre regolarmente stipendiate (famosa la KT Rolster), dove gli “atleti” vivono insieme, si allenano per almeno otto ore al giorno e vanno in ritiro prima dei match. I tornei nazionali e internazionali, che si svolgono in sale enormi simili a stadi, con tanto di pubblico osannante, vengono trasmessi in diretta su due canali televisivi specializzati che offrono informazione sui videogiochi 24 ore su 24. I canali sono seguiti da 10 milioni di persone e i campioni sono visti come i calciatori o le rockstar e vengono inseguiti dalle ragazzine per gli autografi e i selfie. Il fuoriclasse leggendario di StarCraft, Yo Hwan-lim, soprannominato “Imperatore”, tra tornei e sponsor è arrivato a guadagnare 350 mila euro all’anno. Una simile esplosione e diffusione della tecnologia, che non ha pari in nes- NEL 2010 UNA COPPIA HA LASCIATO MORIRE DI STENTI IL PROPRIO FIGLIO MENTRE SI DILETTAVA CON SESSIONI DI 12 ORE AL GIORNO DI PRIUS, GIOCO DOVE BISOGNA CRESCERE UNA BAMBINA VIRTUALE sun altro paese al mondo, ha degli effetti collaterali. Secondo l’ultima ricerca del ministero della Scienza e tecnologia il 30 per cento dei giovani è «pesantemente dipendente dagli smartphone e da internet», il 17,8 per cento in più rispetto al 2011. Stiamo parlando di almeno 2,4 milioni di persone, in crescita rispetto al 2010 (1,7 milioni) e al 2000 (500 mila). La maggior parte di loro è sulla ventina e trentina. Il 50 per cento degli intervistati ha ammesso che quando non può usare il cellulare diventa nervoso e che ormai chattare sui social network è Foto: Ansa C’ è chi ha nascosto lo strumento proibito nel doppiofondo della valigia per usarlo di nascosto lontano da occhi indiscreti e c’è anche chi si è svegliato nottetempo, buttandosi addosso al buio quello che capitava, sgattaiolando fuori dalla camera, scavalcando il recinto del campo per scappare e raggiungere a piedi la città più vicina, a oltre due chilometri di distanza. Sono tanti a subire crisi di panico nel Centro nazionale per la cura dei giovani dipendenti a Muju, nel cuore della Corea del Sud. I circa cinquemila ragazzi tra i 10 e i 18 anni ospitati nel campo aperto da un anno, non devono disintossicarsi da droga o alcol ma da internet e dagli smartphone. La Corea del Sud è il paese più connesso al mondo e non c’è sperduta cittadina che non sia raggiunta dalla fibra ottica. Nella patria di Samsung c’è la più alta percentuale di penetrazione di smartphone tra la popolazione: il 70 per cento dei 50 milioni di abitanti, cioè oltre 35 milioni, ne ha uno ma il dato, che per il Wall Street Journal salirà nel 2017 all’85 per cento, già raggiunge quasi il 90 per cento se si considerano solo i giovani a partire dai 6 anni (erano il 21,4 nel 2011). Il cellulare è considerato così indispensabile che Samsung, insieme al gestore telefonico SK Telecom e d’accordo con il governo, metterà gratis a disposizione per i turisti stranieri 250 telefonini a settimana, da restituire alla fine del soggiorno. Nella metà meridionale della penisola di Corea può mancare il pane, ma non la rete. Se il 15 per cento della popolazione circa vive sotto la soglia della povertà, il 97 per cento delle case dispone di una connessione veloce e a basso prezzo (in Italia il 64 per cento). Il paese ha anche la banda larga migliore del mondo, con una velocità media di 23,6 mega al secondo. Il wi-fi copre ogni singolo angolo del territorio ed è così avanzato che è usuale per i giovani guardare televisione e film in live streaming anche in metropolitana senza rallentamenti. La tecnologia ha cambiato i costumi. Il 66,7 per cento dei sudcoreani che hanno internet guarda i film online e il televisore sta cadendo in disuso. Anche la pubblicità si sta spostando di conseguenza e solo nel 2015 un miliardo e 461 milioni di euro sono stati spesi in pubblicità su siti e app. Le connessioni ultraveloci favoriscono anche l’uso di videogiochi. Giocare su internet non è un passatempo in Corea del Sud ma uno sport nazionale a tut- un’abitudine che distoglie dallo studio e dal lavoro. La dipendenza digitale resta un concetto controverso e non è riconosciuta dall’American Psychiatric Association come disturbo, ma per gli psicologi sudcoreani è connessa ad ansia, aggressività, problemi cognitivi, scarsa memoria, inferiore sviluppo del cervello, fino a una vera e propria «demenza digitale». In Corea del Sud se ne parla da almeno vent’anni ma è nel 2010 che la patologia ha conquistato le prime pagine di tutti i giornali. Quell’anno, infatti, si è svolto il processo a una coppia sposata che ha lasciato morire di stenti il proprio figlio mentre si dilettava con sessioni da 12 ore al giorno di Prius Online, un gioco fantasy 3D dove bisogna crescere una bambina virtuale. Il governo allora ha cercato di correre ai ripari: prima ha approvato la “legge Cenerentola”, che limita agli under 16 l’accesso ai giochi online da mezzanotte alle sei del mattino. Dopo il fallimento di questa misura, ha stanziato 400 euro per ogni giovane che desideri farsi curare in ospedale o nei campi di riabilitazione sparsi un po’ ovunque nel paese. «Senza cellulare sono spacciato» Nel campo di Muju, dove i giovani soffrono di crisi di astinenza, si cerca di far riscoprire il gusto della realtà e delle relazioni umane. I corsi durano tre o quattro settimane e si svolgono attività semplici come giochi di società, gite in montagna, corse all’aria aperta, sport, musica. Ma anche una partita a briscola è vista come rivoluzionaria. Yoon Yong-won, 18enne di Pocheon, a nord della capitale Seul, ha passato un’intera estate a giocare al computer 14 ore al giorno. Quando la scuola è ripresa ha diminuito il tempo dedicato al display del pc o del telefonino di due ore, ma ai genitori non è bastato. E a dicembre l’hanno iscritto nel centro per un ciclo di riabilitazione di 27 giorni. «Quando sono arrivato e mi hanno tolto il telefono di mano ho pensato: “Sono spacciato”», ha dichiarato al Washington Post. «Mi sentivo in carcere e sognavo di chattare». Non è certo l’unico a non essere più capace di condure una vita “analogica”. Yoon Sukho, 14 anni, ha lo stesso problema: «Mia mamma mi ha obbligato a venire qui. Quando mi hanno costretto a consegnare il telefonino e l’hanno chiuso nella cassetta di sicurezza mi sono detto: “Come posso vivere senza?”». Il problema secondo Kim Nam-hee, membro di un’associazione nata per aiutare i giovani a disintossicarsi, è che «gli smartphone rischiano di farci diventare schiavi imbelli, senza cervello. Se si fa un cattivo uso del telefonino non si consente al cervello di potenziare quelle stesse abilità che hanno consentito l’invenzione degli smartphone. Non è ironico?». Per Byun Gi-won, dottore e ricercatore a capo del Balance Brain Center, «l’abuso dello smartphone e dei videogiochi danneggia il cervello, perché ne fa sviluppare la parte sinistra, lasciando quella destra sottosviluppata». I primi a preoccuparsi sono i genitori. Park Sung-hee è madre di due figli e non sa bene quali contromisure prendere: «Giocano anche di notte e non sono più capaci di comunicare o godere di altre cose nella vita». Cinquanta ore non stop L’incapacità di godere della vita è una delle conseguenze cruciali della patologia digitale. Il dottor Lee Tae Kung, che ha messo in piedi un programma speciale per curare la dipendenza, si è ispirato a un romanzo degli anni Settanta del celebre autore tedesco Michael Ende: Momo. «Quando giochiamo, il tempo nel gioco scorre più veloce che nella realtà e i giocatori non si accorgono di quello che passa nel mondo reale». Il suo programma si chiama Hora (“felicemente spenti [non connessi] per recuperare l’autonomia”), che è anche il nome del personaggio che nel libro di Ende amministra il tempo e aiuta Momo a sconfiggere i Signori grigi. Queste losche figure, con la scusa di insegnare agli uomini a risparmiare il tempo, li schiavizzano spingendoli a evitare ogni azione che porti senso e soddisfazione alla vita. I Signori grigi di oggi per il dottor Lee, neanche a dirlo, sono internet, gli smartphone e altri strumenti digitali. E come mastro Hora, quando la sua casa al mattino è assediata dai Signori grigi, alla domanda allarmata di Momo «E ora cosa facciamo?», risponde «Dobbia| | 24 febbraio 2016 | 27 COPERTINA GAME OVER mo fare colazione», così Lee cerca di far riscoprire ai suoi pazienti le cose semplici e banali della vita. Con Kim Sang-ho il progetto ha funzionato. A 24 anni sapeva di avere un problema serio: «Una volta ho giocato al computer per 27 ore di fila. Mi sono seduto in una Pc Bang e ho cominciato. Mi sono alzato solo due volte per andare al bagno». Questo atteggiamento è molto pericoloso: nel 2005 a Taegu un uomo di 28 anni è morto per aver giocato per 50 ore di fila, accasciandosi sulla tastiera del computer. La mancanza di sonno e cibo gli ha causato una insufficienza cardiaca. Kim dopo un mese senza internet passato a svegliarsi alle 6.30 e andare a letto alle 22.30, suonando strumenti musicali, passeggiando e chiacchierando, si sente rinato. «Ora posso pensare chiaramente, riesco a concentrarmi sulle cose e gioco meno. Passavo tanto tempo al computer perché non volevo avere niente dalla vita. Al campo ho scoperto che mi piacerebbe fare il medico». L’obiettivo è restituire l’uomo a se stesso perché a forza di guardare telefonini, oltre alle relazioni umane, anche i desideri si spengono o vengono inibiti. Un problema educativo Finché si è dentro il campo, la terapia sembra funzionare. «A casa giocavo solo al computer, ma qui parliamo anche tra di noi. Non è così male», ammette un 14enne. Per quanto le cliniche di disintossicazione da web possano essere utili, la verità è che la “recidiva” una volta tornati alla vita di tutti i giorni è altissima. Il problema, infatti, è soprattutto educativo e difficilmente può essere risolto dal governo. Spiega Lee Jung-hun, psichiatra e docente presso l’Università cattolica di Daegu: «Molte giovani madri oggi fanno giocare i figli con i telefonini per troppe ore al giorno pur di avere un po’ di pace in casa. Questo è davvero pericoloso. Più sei giovane, più è facile diventare dipendenti». Forse l’unico luogo dove la dipendenza può davvero essere combattuta in modo efficace è la famiglia secondo Eom Na-rae, della National Information Society Agency: «La dipendenza da internet è difficile da reprimere. Spesso i genitori non hanno tempo di prendersi cura dei figli e non si accorgono dell’eccessivo uso che fanno dei telefonini. Ma sono le famiglie le prime a dover fare più attenzione». n 28 | 24 febbraio 2016 | | | DI RODOLFO CASADEI Sottomessi alla reputazione Così l’abuso di tecnologia ha convinto l’uomo a sfruttare se stesso senza bisogno di costrizioni. La denuncia geniale di tre intellettuali C he le tecnologie informatiche possano generare dipendenza e fare male alla salute lo dicono in tanti; che stiano cambiando l’essere umano in peggio e lo stiano disumanizzando lo denunciano genialmente alcuni intellettuali delle più diverse estrazioni. Per Fabrice Hadjadj le nuove tecnologie informatiche sono alla base della disincarnazione che mette a rischio l’umanità dell’uomo tanto quanto le biotecnologie che lo riducono a fattori materiali scomponibili e ricomponibili. La comunicazione tramite schermo attenta alla famiglia come luogo di comunione e di generazione affettiva dell’umano, impedendole di riunirsi veramente attorno alla tavola: «Qual è il luogo dove si tesse il tessuto familiare? Dove le generazioni si incontrano, conversano, talvolta litigano e tuttavia, attraverso l’atto molto primitivo di mangiare insieme, continuano a condividere e a essere in comunione? Questo luogo è tradizionalmente la tavola. Oggi invece sempre di più ciascuno mangia davanti alla porta del frigorifero per tornare più rapidamente al proprio schermo individuale. Non si tratta nemmeno più di individualismo, ma di “dividualismo”, perché su quello schermo ciascuno apre più finestre e si divide, si frammenta, si disperde, perde il suo volto per diventare una moltitudine di “profili”, perde la sua filiazione per avere un “prefisso”. La tavola implica il raggrupparsi, entro una trasmissione genealogica e carnale. Il tablet implica la disgregazione, entro un divertimento tecnologico e disincarnato. Se la tavola scompare, è anche perché l’adolescente diventa capofamiglia: è lui che sa maneggiare meglio gli ultimi gadget elet- tronici, e né il nonno né il papà hanno niente da insegnargli». Se applicate troppo entusiasticamente all’evangelizzazione, le tecnologie informatiche rischiano di corrompere il cuore stesso dell’Annuncio: «Il mezzo impone al messaggio il suo format. Se questo mezzo è il Mediatore (Cristo, come si legge nella lettera agli Ebrei, 8,6) in carne e ossa, il format si trasmuta in forma divina: il precetto diventa presenza, il corpus di regole corpo, la notifica volto, il messaggio mistero. Se il mezzo è informatico, il format non è più quello del Servitore sofferente ma del server: tutto si riduce a informazione automatizzata, e la presenza diventa download, il corpo bit e pixel, il volto “profilo”, il mistero “messaggio”… Si può diffondere il Vangelo attraverso Twitter, in brani di 140 caratteri, ma significa ridurlo a slogan. Peggio: è fare come se il Vangelo fosse una notificazione intorno a qualcosa, e non un incontro con qualcuno». La cultura del “rating” Bret Easton Ellis, l’autore del romanzo American Psycho, ha scritto uno strepitoso commento sul New York Times a proposito dell’“economia della reputazione” che la cultura del “like” e del “rating” dominante su internet e nei social media ha reso pervasiva. Non solo mettere dei “like” ed effettuare valutazioni di servizi permette alle imprese di fare il nostro ritratto di consumatori e di sfruttare i dati che in questo modo trasmettiamo. Ma la consapevolezza che oltre a valutare siamo valutati dagli altri – imprese e utenti – ci trasforma in soggetti impauriti e assoggettati al politicamente corretto, conformisti e intruppati per non essere messi ai margini e quindi privati delle opportunità sociali ed economiche. Easton Ellis deplora «questo fiorire del culto del “like” e la temuta nozione di “relazionabilità” che ultimamente riduce ciascuno a un’arancia meccanica neutralizzata, asservita allo status quo imposto dalle corporation. Per essere accettati dobbiamo seguire un codice di moralità positivo in forza del quale deve piacerci tutto e la voce di tutti deve essere rispettata, e ogni persona che ha un’opinione negativa – un “dislike” – sarà esclusa dalla conversazione. Chiunque resista al pensiero di gruppo sarà spietatamente svergognato. (…) Anziché abbracciare la natura genuinamente contraddittoria degli esseri umani, con tutte le loro faziosità e imperfezioni, continuiamo a trasformarci in virtuosi robot». Ma anche sottomettersi all’economia della reputazione ha conseguenze dolorose: «L’economia della reputazione è l’ennesimo esempio di addolcimento dei costumi, e tutta- Ma il più tagliente di tutti i critici della rete di livello accademico è senz’altro Byung-Chul Han, filosofo coreano che insegna da molti anni presso l’Università delle Arti di Berlino ed è autore di una serie di libri sull’argomento che sono punti di riferimento ineludibili, soprattutto Nello sciame. Visioni del digitale e Psicopolitica (che attualmente esiste solo in tedesco e in spagnolo). Per lui è a causa delle nuove tecnologie che quelle che in passato erano le masse, poi la folla (Gustave Le Bon) e infine le moltitudini (A. Negri – M. Hardt), soggetti reali potenzialmente rivoluzionari, sono diventati lo “sciame digitale” dei nostri giorni: una folla senza anima incapace di un “noi” reale, puro insieme di dati sfruttabili dalle aziende, capace di emozioni intensissime ma senza durata. Per capire il ruolo delle tecnologie informatiche nel sistema di dominazione odierno, bisogna anzitutto capire che il capitalismo neoliberista ha convinto «l’imposizione del pensiero di gruppo ha aumentato ansia, paranoia, e l’incessante bisogno di piacere e ricevere “like”» via l’imposizione del pensiero di gruppo ha solo aumentato l’ansia e la paranoia, perché le persone che abbracciano l’economia della reputazione sono, come è ovvio, le più spaventate di tutte. Cosa succede se perdono quello che è diventato il loro bene più prezioso? L’adesione all’economia della reputazione è un minaccioso promemoria di quanto economicamente disperate siano le persone e del fatto che gli unici strumenti che hanno per salire sull’ascensore economico è la loro reputazione brillantemente in ascesa. Cosa che aumenta la loro incessante preoccupazione circa il loro bisogno di piacere, di ricevere dei “like”». l’uomo a sfruttare se stesso senza bisogno di costrizioni. Come dice Han a Federica Buongiorno in un’intervista apparsa su Doppiozero, «Oggi il corpo non è più un mezzo di produzione. Foucault parla in riferimento alla biopolitica della “popolazione”, ma oggi non abbiamo a che fare con la popolazione bensì con uno sciame digitale, con una massa digitale che va controllata e governata. L’analisi del potere foucaultiana vale soprattutto per una società che si fonda sulla repressione: ospizi, manicomi, prigioni, caserme e fabbriche sono istituti di questa società. Al loro posto è subentrata già da molto tempo una società di tutt’altro tipo, vale a dire una società composta di centri commerciali, palestre, centri yoga. Non è possibile descrivere l’odierna società della prestazione attraverso l’analisi del potere di Foucault. La produzione non si basa, attualmente, sulla repressione e sullo sfruttamento da parte di estranei, non reprime la libertà ma ne fa uso. Siamo noi stessi a sfruttarci: questo autosfruttamento è assai più efficace nella misura in cui si accompagna al sentimento della libertà». Il consumo di emozioni La libertà si riduce a un’apparenza asservita agli scopi del lavoro. Il tele-lavoro, la raggiungibilità universale garantita dagli smartphone e dai computer portatili garantiscono la continuità del lavoro, dal quale è sempre più difficile “staccare”. «Ho sostenuto – dice Han – che lo smartphone è una forma di campo di lavoro. Con lo smartphone noi ci portiamo dietro un campo di lavoro. Esso ci promette la libertà, ma di fatto è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza. Il tratto peculiare del contemporaneo campo di lavoro è che siamo al tempo stesso detenuti e sorveglianti. Non siamo servi, soggetti allo sfruttamento di un padrone. Piuttosto, siamo insieme servi e padroni». L’altro modo in cui le nuove tecnologie realizzano l’alienazione umana è l’emozionalizzazione della comunicazione prodotta dal suo incremento di velocità: «L’accelerazione della comunicazione favorisce la sua emozionalizzazione, dal momento che la razionalità è più lenta dell’emotività. La razionalità è senza velocità. Per questo l’impulso acceleratore conduce alla dittatura dell’emozione». «Gli oggetti non possono essere consumati all’infinito, le emozioni invece sì. Le emozioni sono dispiegate al di là del valore d’uso. Quindi si apre un nuovo campo di consumo con caratteristiche infinite». | | 24 febbraio 2016 | 29 SOCIETÀ LA CONVIVENZA IN PERICOLO | DI LUIGI AMICONE Via dal lager delle “libertà” Si respira una chiara mistica totalitaria nel moderno supermarket “concentrazionario” dove la felicità è un diritto e la realtà un pericolo. Per lo psicanalista Binasco la democrazia può salvarsi solo in una nuova «amicizia con l’imperfezione dell’umano» (Ratzinger) L a discussione sul ddl cirinnà è sembrata a tutti gli effetti un grande e rumoroso dialogo tra sordi. D’altra parte, il cosiddetto “muro contro muro” comincia quando il testo viene sospeso in commissione e il governo Renzi compie il blitz di portarlo direttamente al voto, calpestando la procedura costituzionale, articolo 72. Ne parliamo con lo psicanalista lacaniano Mario Binasco, uno degli esperti convocati in Senato lo scorso anno durante le audizioni sulla proposta di legge in materia di unioni civili e adozioni gay. In effetti, il Family Day ha segnato una svolta nel dibattito pubblico sulla Cirinnà. Non crede? Il tratto comune dei commenti che hanno investito sui media la gente del Circo Massimo è proprio la negazione, il rifiuto di prendere in conto la realtà di ciò che è accaduto, a cominciare dal carattere incredibilmente disarmato, non aggressivo e pacifico della gente presente e del desiderio di legame umano che esprimeva. Quella gente semplicemente c’era, e non doveva esserci: per questo si deve dire di loro tutto il male possibile, perché non sono interlocutori ma fuorilegge politici. Da qui l’odio riversato su di loro da quegli stessi che accusano loro di “hate speech”. Ma non c’è da restare stupiti. 30 | 24 febbraio 2016 | | Perché? Perché la realtà non deve più essere un riferimento e non deve interessare a nessuno: contano solo quell’insieme di deliri di negazione chiamati “politicamente corretto”. Due esempi tra tanti: per quarant’anni ci siamo sentiti ripetere che al mondo eravamo troppi, che era criminale mettere al mondo figli, che saremmo morti di fame, eccetera. Un tabù totale, solo la Fondazione Agnelli ha potuto dire che c’era un problema demografico, che oggi appare tragico eppure ancora velato nei media. Un altro esempio attuale è la totale afasia e paralisi del pensiero di fronte all’islamismo politico chiaramente incombente: eppure, chi di noi avrebbe mai immaginato di trovarsi a guardar decapitare cristiani in televisione? Perché questa “paralisi del pensiero”? Negare la realtà non aiuta certo il pensiero. Il meccanismo dominante è quello descritto da Ratzinger nel 1986 in una strepitosa e lucida serie di saggi sulla Chiesa e la politica, dove si interroga su ciò che minaccia la democrazia e può portare alla sua negazione. Dice Ratzinger che «anzitutto c’è l’incapacità di fare amicizia con l’imperfezione delle cose umane»: per questa incapacità, lui dice, «il desiderio di assoluto nella storia è il nemico del bene che è nella storia», è «una rêverie», un sogno a occhi aperti «che scaturisce dalla noia per ciò che esiste…». «Il mondo perfetto… non esiste. La sua continua aspettativa è la minaccia più seria che incomba su di noi… perché di qui nasce fatalmente l’onirismo anarchico. (…) È necessario riapprendere il coraggio di ammettere l’imperfezione e il continuo stato di pericolo delle cose umane». «Immorale è quell’apparente moralismo che mira ad accontentarsi solo del perfetto». E poi l’elemento diagnostico più importante: «L’idea che tutta la storia passata è stata storia della non libertà, ma che finalmente ora o tra poco si potrà o si dovrà costituire la società giusta, è un’idea oggi diffusa», nella quale «in una strana maniera ritorna la mistica del Reich». Parole grosse da un uomo così mite. Ci spieghi. Noti: ogni volta che si introduce un nuovo diritto, lo si propone come un guadagno di libertà per qualcuno, ma nello stesso tempo lo si afferma come un diritto assoluto ed eterno che è lì da sempre (anche se mai pensato prima), un diritto che è un dovere imperativo riconoscere: così, in un sol colpo tutti ci troviamo in fuorigioco, criminalizzati come complici di una lesione della libertà, quindi se solo chiediamo tempo per pensare, siamo già degni dei peggiori epiteti. Non contano gli argomenti di realtà, c’è solo un imperativo: reintrodurre la libertà nella sto| | 24 febbraio 2016 | 31 socIetà LA CONVIVENZA IN PERICOLO ria che appunto è sempre storia della non libertà. È un meccanismo diabolico. Scusi, ma perché dovremmo fare amicizia con l’imperfezione? E perché sarebbe immorale accontentarsi solo del perfetto? “Accontentarsi” ha un senso negativo, di solito significa rinunciare al perfetto. Ma il perfetto non dovrebbe essere proprio il culmine della moralità? Noti che Ratzinger non dice “tollerare” l’imperfezione, ma proprio “fare amicizia con”. Questo è decisivo. L’imperfezione delle cose umane non è un accidente che è possibile eliminare: è impossibile per le cose umane essere perfette. Questa impossibilità di perfezione è l’uomo stesso, e se non facciamo amicizia con essa non facciamo amicizia con l’umano. Solo questa amicizia può far convivere le persone in un modo decente, e far convivere ciascuno con se stesso, perché l’imperfezione che non sopportiamo negli altri è la proiezione dell’imperfezione che non sopportiamo in noi stessi. Perciò Ratzinger dice che è pura immoralità voler eliminare l’imperfezione in nome del perfetto. Così si vede dove sta il vero moralismo assassino. Cosa c’entra la psicanalisi con tutto ciò? Senza amicizia con l’imperfezione delle cose umane, come sarebbe possibile la psicanalisi? Per Lacan è stato un fatto di carità incredibile che Freud abbia attribuito a ciascuno un inconscio: e sì che l’inconscio è considerato causa dei sintomi e dei problemi che uno porta dall’analista. La cura psicanalitica esiste proprio per questo desiderio di fare amicizia con ciò che non va nella vita, desiderio di sapere come è fatto, di dargli voce, di prenderlo sul serio invece di cercare di eliminarlo o di renderlo mai avvenuto. È solo così che il desiderio dell’analista può incontrare e interpretare il desiderio del soggetto, rendendogli non impossibile assumerlo in un modo più umano. Se permette un filo di ironia, l’analisi in questo 32 | 24 febbraio 2016 | | senso è un concentrato di opere di misericordia. La misericordia è inconcepibile al di fuori di questa amicizia con l’imperfezione, sarebbe un moralismo devastante che non fa i conti con ciò che è impossibile all’uomo nella sua vita. La psicanalisi è una via che permette di assumere questa impossibilità e di farne una risorsa per vivere umanamente. Per Lacan il discorso capitalistico (come antropologia e biopolitica, non come semplice economia di mercato) rigetta dal suo programma questa impossibilità (nel gergo analitico: “castrazione”). Che cosa rigetta? La constatazione che la felicità umana è legata a condizioni impossibili – il che non vuol dire che non accadano, ma appunto sono avvenimenti e non sono effetti di un programma né tecnico né politico. L’impossi- pensiamo che il desiderio sia l’essere stesso dell’uomo? Metaforicamente parliamo dei desideri come di bisogni. Ma strutturalmente il desiderio umano è molto diverso dal bisogno, non è come un sacco vuoto più o meno grande che gli oggetti del desiderio devono riempire (casomai è come un aspirapolvere). “Protect Me From What I Want”. Proteggimi da ciò che desidero. Non è interessante che un analista delle piattaforme digitali e Big Data, il coreano Byung-Chul Han, abbia posto in esergo al suo ultimo saggio (Psicopolitica) il titolo di una canzone del complesso rock Placebo? Il desiderio genera angoscia perché porta al di là di te stesso: non funziona da sé solo, ma si mette in moto sempre attra- «Per Lacan IL dIscorso caPItaLIstIco rIgetta IL fatto che La feLIcItà è Legata a condIzIonI ImPossIbILI – IL che non vuoL dIre che non accadano, ma sono aPPunto avvenImentI, non effettI dI un Programma PoLItIco» bile è il reale, dice Lacan, e dunque l’essere umano stesso è qualcosa di impossibile, è impastato di impossibile. In un altro linguaggio si può dire che è un miracolo ambulante. Per questo, chi vuole prendere sul serio l’essere umano deve prendere sul serio questa impossibilità strutturale. Al contrario, oggi proprio la felicità da possibile è diventata necessaria. Ribattezzata benessere e poi salute, è diventata un diritto. È così, per questo i problemi reali e strutturali della vita umana sono diventati illeciti, antigiuridici. Questo permette di capire meglio un apparente paradosso o contraddizione: se la noia di ciò che esiste, il desiderio di qualcosa d’altro o di felicità è ciò che motiva l’immaginazione e poi la richiesta di nuovi modi di vita (nella sessualità, nel diritto, eccetera), come si può andare contro il desiderio, se verso la domanda rivolta all’Altro (fin da neonati), vuole agganciarsi al desiderio dell’Altro che ti precede e che ti dà consistenza. Il soggetto chiede all’Altro di riconoscere il suo desiderio e insieme di interpretarlo, di dargli una forma perseguibile. È lì che si infila, come fattore inizialmente decisivo, il tipo di desiderio che l’Altro esercita nei tuoi confronti. E quando questo è un desiderio di morte? O di distruzione? O di ridurti a un oggetto che supporti i suoi godimenti secondo le sue fantasie? O che tu esista solo per riuscire dove l’Altro ha fallito? O un desiderio di negazione della realtà (sessuale, anche), un desiderio di dormire? In quali imprese (o in quali inerzie, cedimenti, tradimenti) ti può portare il desiderio dell’Altro al quale è agganciato il tuo? Torniamo alla questione della democrazia. Il Papa dice che «è ora di costruire ponti e non muri», ma non credo che Francesco sia fan di una sorta di “superdemocrazia” dove ognuno smussa gli angoli della propria fede, identità e ragione, per soddisfare il famoso editto musicale di Jovanotti… Prima di questo è il caso di prendere atto che c’è un problema nella nostra democrazia integralista, che non siamo noi a metterla in pericolo con le nostre perplessità ed esperienze di vita, ma che è questa democrazia ad essere ormai un pericolo per le nostre vite umane. E poi non userei più categorie che erano già vecchie negli anni Sessanta e in cui è veramente impossibile riconoscersi oggi. Il “muro contro muro”: ma qui l’unico muro è quello del recinto in cui veniamo inseriti perché si faccia polpette delle nostre vite. Qui l’unica arena è il nuovo Colosseo, il tritacarne mediatico. Oggi si vede chiaro che la pratica dell’esclusione dall’“agibilità politica” si è approfondita ed estesa a tutti gli ambiti della società e della cultura: in Italia, da quando la politica è ricattata dai decisori dello spazio pubblico, e cioè i media e le burocrazie, anzitutto le magistrature; nella civiltà, da quando la politica è diventata bio-politica, come dice Foucault, cioè ha voluto includere tutti i fattori corporei, psichici ed etici della vita umana. Solo che li ha inclusi come fattori negoziabili, cioè scambiabili, commerciabili. Quindi ciascuno può essere ammesso nello spazio pubblico solo se lascia al guardaroba qualunque suo tratto di identità vitale (affetti, pensieri, desideri, legami, insomma la verità intima della sua esistenza). Così sarà il guardiano dello spazio pubblico a dirti che cosa tu desideri davvero o che cosa ti soddisferà, e ti imporrà la sua interpretazione. Te la imporrà come si impongono le cose sul mercato, cioè “fidelizzandoti” al consumo di qualche tua “fissazione”, sganciando la verità dal reale del godimento: per questo oggi ogni cosa può funzionare come una droga, compresi il lavoro e il sesso. Naturalmente poi ci vuole qualcuno che vigili che le persone non portino di contrabbando nello spazio pubblico qualche pretesa di verità (personale, mica universale). Questo qualcuno è l’opinione pubblica: così lo squadrismo occasionale dei gruppi rivoluzionari è diventato sempre più lo squadrismo sistematico dei media, che ormai non esitano un secondo a massacrare consapevolmente qualcuno sulla base del niente o di menzogne. «Il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa… creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso ma è la relazione con quel livello reale di noi stessi da cui sorgono inconsciamente l’identificazione, il desiderio, l’angoscia, il panico, la noia, la colpa, il dono, il debito, l’amore, eccetera. Lo spazio pubblico è sempre più simile ad un campo di concentramento, ha la stessa struttura, basta non farsi ingannare da certe apparenze quando si tratta, almeno da noi, di un campo di concentramento a tre o quattro stelle Michelin: quel che conta è la logica secondo cui funziona, non la presenza di occasioni di godimento. In esso ogni fattore della vita viene ridotto ad oggetto di godimento, e il desiderio è ridotto al desiderio di consumare, di trarre “un’emozione” come usa dire. Per questo con Lacan e Pasolini dico che è capitalistico ed è tirannico, anche se oggi commercializza le «L’unico “Muro” è iL recinto in cui siaMo chiusi perché si faccia poLpette deLLe nostre vite. iL tritacarne Mediatico. La pratica deLL’escLusione daLL’“agibiLità poLitica” orMai si è estesa a tutti gLi aMbiti sociaLi» laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili». Questo è Pier Paolo Pasolini, anno 1975. Di un’attualità impressionante. I media mantengono il carattere rivoluzionario dello spazio pubblico: ma la rivoluzione non è più quella marxista, è la rivoluzione antropologica del tecno-capitalismo, che rottama il soggetto, la persona, e nega “agibilità culturale” ai livelli originari della relazione che il soggetto ha con l’Altro, con la realtà, e con se stesso, tutti i livelli che non sono riducibili a contratti o a scelte arbitrarie, padronali, perché sono tutti rapporti di dipendenza. Sono quei livelli che ora diverse femministe storiche cominciano a chiamare “il soggetto non sovrano”. Ciascuno di noi sa che la sua relazione originaria con l’Altro (madre, padre…) e col proprio corpo sessuato non deriva da un contratto, libertà sotto l’etichetta dei “diritti”, che sono la nuova figura della merce. Provi a immaginare se dovessimo vivere giorno e notte in un supermercato o in un centro commerciale: che cosa lo distinguerebbe da un lager? Pensi a tutti gli aspetti della vita personale, intima e sociale che sarebbero mutilati di ciò che gli dà per noi il loro valore insostituibile, di legame umano: e infatti oggi la “cultura” sposata alla tecnoscienza promuove dichiaratamente il post-umano. Siamo nella democrazia integralista, che è la sintesi paradossale, “libertaria” e “concentrazionaria” insieme, di nazismo, fascismo, comunismo sovietico e cinese: è quella che procede al grido di “niente discriminazioni!”, e se il reale (del corpo, per esempio) ti “discrimina”, allora peggio per il reale. Solo che quel reale lì è il ramo su cui sta seduto quel soggetto che sei tu. n | | 24 febbraio 2016 | 33 STILI DI VITA Piöda goduriosa e altro ancora IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina E d eccoci di ritorno a Livigno (Sondrio), il piccolo Tibet, una delle più belle stazioni sciistiche italiane. Della difficoltà di fare un pasto davvero gratificante in questa cittadina, vi avevamo già parlato mentre vi raccontavamo del Cuore di Cembro del bravo Roby Longa: i locali davvero buoni si contano, probabilmente, sulle dita di una mano sola. Per esempio, La Piöda, il ristorante che la famiglia Cola manda avanti da più di trent’anni in via Saroch, prima della passeggiata dello shopping. È un posto che ci mette a nostro agio: la sala in stile montanaro è una vera e propria elegante bomboniera, adatta anche a circostanze galanti. Il servizio è simpatico e alla mano. La cantina, ricca e molto ben presentata da una bella carta dei vini. Quanto alla cucina, giova ricordare come la “piöda”, in dialetto locale, sia la lastra di pietra metamorfica su cui si possono cuocere verdure e soprattutto carni: infatti, qui è possibile farsele da soli. Ma ridurre questo ristorante alla pur goduriosa e divertente piöda sarebbe ingeneroso. Il cuoco porta avanti una linea le cui fondamenta sono piatti della tradizione attualizzati, a cui si affiancano creazioni non troppo spinte. Dovreste provare, per iniziare il pasto, l’insalata di lingua di vitello cotta a bassa temperatura con sedano e salsa di arance: davvero azzeccata. Ci sono comunque anche assortimenti di salumi, o gli sciatt, o la tartara di fassone, per non dire della sfogliatina calda di formaggio d’alpe. Se tra i primi volete la storia, optate per dei pizzoccheri ghiottissimi, fatti col Casera della Latteria di Livigno, o magari per la zuppa d’orzo e pancetta. Se volete strafare, ecco la crespella di grano saraceno ripiena di taròzz. Secondi? Naturalmente la piöda. Ma anche simpatici piatti unici, come quello di salsiccia, funghi chiodini e polenta. O la lombatina di agnello glassata al forno. Si chiude con le mitiche frittelle di mele tanto amate da queste parti. Si paga meno di 50 euro a testa, ma esiste un menù da 37 euro. AMICI MIEI LIBRI/1 Cos’è la Fraternità san Carlo? Perché siamo nati? «Con queste pagine voglio lasciare ai miei fratelli e alla Chiesa il racconto di ciò che è stata per me l’esperienza della nascita e dei primi trent’anni di vita della Fraternità san Carlo». Monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, racconta Il nostro volto. La vita del| 24 febbraio 2016 | Il caso Spotlight, di Thomas McCarthy Non è un pamphlet anticattolico Un gruppo di giornalisti del Boston Globe indaga sulla vicenda di alcuni preti pedofili. Di film contro la Chiesa ce ne sono a mazzi, spes- so grossolani e a tinta unita dove i preti e le suore fanno le peggio cose e non hanno mai il beneficio di un contraddittorio. Nel film di McCarthy le cose stanno diversamente: un po’ perché lui è un buon regista e un grande direttore di attori (qui tutti fenomeni o quasi). Ma soprattutto perché il centro dell’azione è quello del giornalista d’inchiesta, di cui si racconta con grande efficacia il metodo di indagine, il contesto in cui si muove e anche gli interessi personali (perché no? Quelli non mancano mai nemmeno nella più nobile delle inchieste). Film strano, che ripercorre la pagina dolorosa delle violenze e dei silenzi di certa parte della Chiesa, la- sciando tutto volutamente fuori fuoco e ai margini, concentrandosi invece su carte processuali, testimonianze, il tutto raccontato senza fronzoli e con uno stile che ricorda più i drammi processuali alla Lumet che i pamphlet ideologici alla Magdalene. visti da simone Fortunato La Vergine di Guadalupe MAMMA OCA il regista thomas mccarthy di annalena Valenti E d ecco che, nel suo viaggio in Messico, papa Francesco, in una battuta, riassume secoli e secoli di ricerca intorno a uno degli eventi più inspiegabili di cui è intessuta, e trattandosi di stoffa è il caso di dirlo, la storia dell’uomo e delle apparizioni mariane. Messico 1531, la Vergine di Guadalupe appare all’indio Juan Diego e lascia un segno impressionante: una “tilma”, un mantello, su cui è prodigiosamente impressa la sua immagine, «quel mistero – dice il Papa – che si studia, si studia, si studia e non ci sono spiegazioni umane». È il mistero della formazione dell’immagine della Virgen Morenita sul mantello. E continua: «Anche lo studio più scientifico dice: “Ma questa è una cosa di Dio”». Secoli di studi, gli ultimi effettuati con tecnologie sofisticate, esami chimici, raggi infrarossi, e la conclusione è una sola: la figura impressa non è dipinta ma è tutt’uno con la stoffa. Il risultato più incredibile è venuto dall’esame degli occhi: elaborazioni elettroniche, tecniche computerizzate dimostrano che negli occhi della Vergine è riflessa l’intera scena di Juan Diego che apre la tilma davanti al vescovo e ad altri testimoni del miracolo. Questa storia è raccontata con certezza storica e scientifica che deve ammettere “altro”, da G. D. Guerra in La Madonna di Guadalupe. Un caso di “inculturazione” miracolosa. Per i bambini c’è il bel libro di Tomie de Paola, mai tradotto in italiano, solo in inglese o spagnolo. mammaoca.com HOME VIDEO The Lobster, di Yorgos Lanthimos Metafora suggestiva ma sfuggente In un futuro indefinito l’umanità è costretta ad accoppiarsi, pena la trasformazione in animali. Metafora tanto suggestiva quanto oscura e sfuggente. La dirige un regista greco che riprende parecchio da Kubrick per quanto riguarda lo stile geometrico e razionale e per quanto riguarda i temi effettivamente vicini ad Arancia meccanica e dintorni: l’ossessione per il sesso, il pessimismo nei confronti delle relazioni sociali e delle istituzioni, la violenza insita nell’uomo. Per informazioni La Piöda Via Saroch, 604 Livigno (Sondrio) Tel. 0342997610 www.lapioda.com Sempre aperto in stagione 34 inculturazionE miracolosa CINEMA A LIVIgno (So) | la Fraternità san Carlo (San Paolo, 118 pagine, 12,50 euro). Un testo di poche pagine, scritto tra il 2010 e l’inizio del 2012, quando, «non lo immaginavo nemmeno», Benedetto XVI decise di nominarlo vescovo. Da allora «sono stato sciolto dalla responsabilità giuridica verso la Fraternità san Carlo. Ma rimane intatta la mia paternità che si esercita ora in modo nuovo, sacrificato, ma non meno concreto». Un libro che diventa la «sintesi di quello che avevo vissuto con i miei fratelli dal 1985 in avanti». Un testo che si adatta a ogni spirito, volutamente sintetico perché «ciò che è detto in modo breve richiede un lavoro, esige meditazione e riflessione». L’ultimo libro di monsignor Camisasca vuole essere uno strumento anche per «le generazioni che verranno, una testimonianza del mio pensiero sulle questioni fondamentali che riguardano la vita e la natura della Fraternità. Perché siamo nati? Che cos’è la Fraternità san Carlo? Qual è il volto a cui dobbiamo mantenerci fedeli?». Il testo, diviso in tre parti (Fraternità, Sacerdotale, Missionaria) a cui sono aggiunte una ventina di pagine dedicate al cammino che attende la Fraternità, sono an- che «l’espressione della mia gratitudine a tutti coloro che hanno condiviso con me l’esperienza della Fraternità e a cui devo il maturare della coscienza cristiana che mi è stata donata». LIBRI/2 Giallo nel Partito comunista milanese Un viaggio nella vita quotidiana del Partito comunista milanese degli anni Settanta. Si intitola La provvidenza rossa (Sellerio editore, 15 euro) ed è l’esordio narrativo di Lodovico Festa, giornalista e scrittore, tra i fondatori del Foglio e collaboratore di Tempi. Ma soprattutto dirigente del Pci milanese. Autunno 1977, zona Sempione. Una sventagliata di mitra ha ucciso una giovane fioraia. Accanto al corpo, nel chiosco di via Procaccini, una copia dell’Unità, perché Bruna Calchi, la vittima, era iscritta al Pci, dirigente della sezione e del circolo Arci, dove si occupava di teatro e diritti gay. L’inchiesta è affidata a un giovane funzionario, moderno e progressista ma capace di stare al mondo; e subito incorre in un primo mistero: l’arma del crimine, una Maschinenpistole in uso alla Wehrmacht. Contemporaneamente, «per evitare eventuali provocazioni e trappole», muove la controinchiesta del Pci. Se ne occupa il vecchio Peppe Dondi con il suo vice ingegner Cavenaghi. Peppe, un ferreo partigiano di quelli che hanno attraversato guerre civili e clandestinità, ingaggia con la polizia una corsa volta a scoprire prima la verità per occultarne un’altra. L’autore, in quegli anni dirigente comunista, sceglie nella prosa lo stile narrativo di un ex funzionario di partito che, a decenni di distanza, si confessa. Un romanzo in cui sono stati inventati il crimine che scatena la vicenda, la trama, la soluzione finale, e i protagonisti; ma pure un pezzo importante di memoria, come forse sarebbe difficile riportare con la stessa evidenza in un saggio di storia. Ecco cosa fu il Pci, come funzionava la mente di dirigenti e militanti, come si muoveva l’invisibile macchina del potere e del contropotere. incontri Una testimonianza all’altezza dei tempi «Molti fra i nostri contemporanei non chiedono alla religione di convertirli e di santificarli, ma semplicemente di soddisfarli». Un tempo il credente osava dire «la mia è la vera religione», «io vivo secondo la vera religione»; oggi si gloria soprattutto di poter dire «io sto bene» (Rémi Brague ed Elisa Grimi). Giovedì 18 febbraio, ore 21, al Teatro Rosetum di Milano, il Centro Francescano Culturale Artistico Rosetum ha organizzato l’incontro dal titolo “Una testimonianza all’altezza dei tempi”. Interverranno il nostro giornalista Rodolfo Casadei, il vicepresidente dell’associazione Nonni 2.0 Peppino Zola e il docente universitario di Filosofia Francesco Botturi. | | 24 febbraio 2016 | 35 motorpedia WWW.red-LiVe.it WWW.RED-LIVE.IT SETTEPOSTINONBASTANOPIù?SPACETOURER, LUNGAFINOA5,3METRI,PUòPORTARENOVEPERSONE a CUra di La nuova Citroën per famiglie numerosissime C dUe rUote iN meNo Benelli Leoncino 500 Il nome Leoncino, derivato dal mitico modello degli anni Cinquanta che riscosse tanto successo sul mercato e sui circuiti di tutto il mondo, campeggia oggi su una riuscita scrambler di piccola cilindrata. A muovere il Leoncino ci pensa un bicilindrico 4 tempi, raffreddato a liquido, da 500 cc con una potenza di 48 cavalli (35 kW) a 8.500 giri e una coppia di 45 Nm a 4500 giri. Il reparto sospensioni è affidato a una forcella upside-down con steli del diametro di 50 millimetri, mentre al posteriore lavora un forcellone oscillante con monoammortizzatore laterale. L’ABS è di serie. Il nuovo destriero firmato Benelli entrerà in produzione, probabilmente, nella seconda metà del 2016. [ms] 36 | 24 febbraio 2016 | | SpaceTourersarà alistinonegli allestimentiFeel, Shine,Business eBusinessLounge 7 posti e una lunghezza di 4,6 metri, Grand C4 Picasso è la scelta ideale per le famiglie numerose… ma non numerosissime. Per quelle, infatti, Citroën propone la nuova SpaceTourer, nata dalla collaborazione con Toyota, sviluppata sulla base della piattaforma modulare EMP2 del Gruppo francese PSA e, soprattutto, in grado di ospitare sino a 9 persone. Tre taglie, come le magliette. Disponibile con interasse standard (2,92 metri) oppure a passo lungo (3,27 metri) e con sbalzo posteriore di 0,8 o 1,15 metri, SpaceTourer è proposta in configurazione XS (4,6 metri di lunghezza), M (4,95 m) e XL (5,3 m): con 5 persone in abitacolo il bagagliaio offre una capienza rispettivamente di 1.978, 2.381 e 2.932 litri. Una piazza d’armi! Un vano enorme, oltretutto facilmente accessibile grazie alle porte posteriori scorrevoli. Sarà a listino negli allestimenti Feel, Shine, Business e Business Lounge; quest’ultima versione dedicata ai professionisti e pensata per quanti utilizzano la vettura per lavoro. Quanto ai motori, omologati Euro 6 complice l’iniezione d’urea, la gamma ruota attorno ai propulsori BlueHDi 1.6 td da 95 o 115 cavalli e 2.0 td da 150 o 180 cavalli abbinati a una classica trasmissione manuale a 6 rapporti o al noto cambio robotizzato a 6 marce ETG6. In un panorama tutto sommato tradizionale, costituisce una novità la disponibilità della trazione integrale, resa operativa grazie alla trasformazione curata dallo speDISPONIBILEINTRE cialista francese Dangel, già attivo DIMENSIONI(XS, nella realizzazione delle Berlingo M,XL).CONCINQUE PASSEGGERIABORDO 4x4. Tra le dotazioni di pregio spicILBAGAGLIAIOOFFRE cano il tetto vetrato in due sezioni, l’azionamento elettrico delle UNACAPIENZACHE ARRIVAA2.932LITRI, porte scorrevoli e il lunotto apribile separatamente rispetto al porUNAPIAZZAD’ARMI tellone, mentre in abitacolo sono confermate tutte le soluzioni tecnologiche d’ultima generazione tipiche della gamma monovolume Citroën come l’head-up display, il sistema d’infotainment con display touchscreen da 7 pollici corredato della connettività Mirror Screen per la compatibilità con gli smartphone sia Android sia iOS, il cruise control adattivo, la frenata automatica d’emergenza in caso di collisione imminente e la lettura della segnaletica stradale. Accanto alla versione di serie di SpaceTourer, in occasione del salone di Ginevra Citroën proporrà un’interpretazione all terrain – al momento allo stato prototipale – della monovolume XL. Hyphen, questo il nome della concept, beneficia della trazione integrale, del 2.0 BlueHDi da 150 cavalli, dell’assetto rialzato e di cerchi in lega da 19 pollici calzanti pneumatici specifici. SebastianoSalvetti on | | 24 febbraio 2016 | 37 LETTERE AL DIRETTORE [email protected] Una romantica serata con le onde gravitazionali val bene Sanremo ma puoi fare di più S sulle questioni essenziali, e per quanto possa avere votato Ncd alle ultime elezioni ed abbia simpatia per Maurizio Lupi e Angelino Alfano, ritengo che la sua posizione non sia né estremista né irrealistica, semplicemente rappresenta quello che noi elettori di Ncd vogliamo e chiediamo ai nostri rappresentanti. Non chiediamo che cada il governo, faccia quel che vuole, chiediamo che il nostro partito esca dal governo, che è cosa molto diversa, per potere aver certezza e fiducia che sia stato onesto sulla questione che in questo momento più sta a cuore a tutti i suoi elettori, e che non possa mai avere il sospetto che si sia venduto, è questo il punto dirimente. Lupi stia tranquillo. Se vuole, le riforme le potrà votare lo stesso, tanto sono cinquant’anni che facciamo riforme, non sarà certo questa l’ultima e la definitiva, ma quella della Cirinnà può veramente incidere nelle vite di tutti noi e una volta fatta non si tornerà indietro neanche con un referendum (che in Italia sono acqua fresca), si potrà solo andare inesorabilmente avanti con la tecnica ormai consolidata del piano inclinato messa a punto con la legge 40. Il referendum di ottobre è lontano, poi si vedrà. GioacchinoFanelli via internet DOPOILCIRCOMASSIMO ono con lei anima e corpo Ipotesi per un solido arsenale informativo dedicato all’intrepido esercito delle famiglie CARTOLINA DAL PARADISO di PippoCorigliano D 2 Noto che i principali candidati a Palazzo Marino, Sala e Parisi, sono due manager, diventati manager pubblici per volontà di due sindaci di Centro Destra. Del Vecchio Centro Destra. MarcoSala via internet Econquelprecedentelì,alleprimariehaavutopureilcoraggiodidire «Sonosemprestatodisinistra»,e ilPddicertificarechesì,ineffetti, semprestatodisinistra,quelSala lì.MiricordaquelfamosofilmPixar suunanormalefamigliadisupereroi.GliIncredibili. 2 Prendo atto, non senza dolore, che la Rai e Carlo Conti hanno lasciato libertà totale sul palco dell’Ariston a Elton John, il quale, oltre a regalare al pubblico due formidabili esibizioni musicali (per inciso, secondo me lui 38 | 24 febbraio 2016 | | Family Day la famiglia italiana ha una identificazione sociale che prima non aveva. Si dava per scontato che la famiglia c’era ed era la forza del paese anche in tempi difficili e con politiche dissennate. Ora la famiglia sta diventando militante e ha bisogno di essere attrezzata culturalmente e politicamente. I genitori sono sempre impegnati e proprio per questo l’ultimo Family Day si è presentato come “eroico”: tempo, denaro e viaggi sono stati impiegati superando i disagi. Ora c’è bisogno che la famiglia sia informata e viva in un clima culturale costruttivo e tonificante, tenendo sempre presente che il tempo da dedicare all’autoformazione è poco. Sarebbe da auspicare che si raccolgano segnalazioni di dati scientifici, notizie, libri, video… che meritino di essere visti e conosciuti, presentati da brevi recensioni. Esempi ce ne sono: le conversazioni di Franco Nembrini su Dante di Tv2000 raccolte su YouTube o le chiacchierate con i giovani di Alessandro D’Avenia; tanti articoli di Tempi che meritano di essere conservati; l’articolo di Marina Corradi su Avvenire sugli esperimenti inglesi sugli embrioni; i libri di Costanza Miriano sull’impegno per la felicità matrimoniale; il romanzo gradevolissimo Il risveglio della signorina Prim; libri buoni per bambini… Un emporio culturale in cui la famiglia può pescare. Già ci sono bei siti di documentazione (documentazione.info) o per scegliere un film (familycinematv.it). Occorre continuare con iniziative del genere. opo i tre è un talento assoluto, come Maradona e Valentino Rossi, un patrimonio dell’umanità nel suo ambito che va accettato per quello che è, senza volergli fare la morale quand’anche si abbiano convincimenti radicalmente diversi dai suoi, come per esempio nel mio caso per ciò che concerne il suo appoggio partecipe all’attivismo Lgbt), ha voluto precisare, su assist del conduttore, la sua felicità per essere diventato padre, grazie all’abominevole pratica dell’utero in affitto, di un figlio comprato per sé e il suo compagno. Detto ciò, e considerando la libertà concessa ad alcuni cantanti di esporre la bandiera arcobaleno del movimento Lgbt per manifestare il loro sostegno al ddl Cirinnà, mi auguro che la Rai sappia trovare un modo – più intelligente della raccapricciante coppia di comici che scimmiotta una famiglia tradizionale in abito da sposa – per rendere parità di trattamento, non dico giustizia, anche alla famiglia fondata sul matrimonio. Sia esso cattolico o civile. Che pure rappresenta l’80 per cento, come dicono i sondaggi, dell’ideale di vita dei cittadini del paese reale. Quindi anche l’80 per cento di quella fetta che paga il canone. Oltre ad essere, ma questo è un altro discorso, l’unico modo concesso da Madre Natura per fare un figlio. Perché, unioni civili o meno, per fare un bambino ci vogliono e sempre ci vorranno una mamma e un papà. Sono certo che questo dato di realtà abbia ancora cittadinanza in questo moribondo paese, e dunque diritto di avere un riconoscimento da parte di “Mamma Rai”. Proprio come fu l’anno scorso, per esempio, con quella bellissima famiglia numerosa sul palco del festival di Sanremo. Un fatto che vale più di mille polemiche e parole e che sono certo i vertici di viale Mazzini e della tv pubblica sapranno considerare e riconoscere. MatteoRigamonti «C’èlibertà».«Siamoindemocrazia».QuestoledirebbbeilclubConti.Infatti,tuttalalibertàelademocraziaarcobalenoaun’ideologia. Nessunarosaeazzurraallarealtà. Naturalmenteconinastrini(esoprattuttoisoldi)degliitaliani. mo? Lei mi contesterà, lo so, però è un fatto, mentre la religione divide, la ra gione scientifica unisce. PaoloTiezzi via internet Nonèverochelascopertachesalesulpalcoscenicodellascienzatieneunitigliuominipiùdiquantoli tengaunitiunaserasulpalcoscenicodiSanremo.Enonèverochele religionidividanogliuominipiùdi quantolidividanolevisioninonreligiose.Sonobersanellianoanch’io, manontrovoconforto,bellezza, gratitudinediscopertascientificachepossarimpiazzarelanecessità,superioreperlaragioneumana, dellareligione.Puòinfattilascienza imbellire,confortare,rendercigrati delnostroandareinterraecenere? 2 2 «Ma cos’è, in fondo che ci colpisce così tanto di tutto ciò? (…) È il fatto che quel panorama è maledettamante reale (…). Non significa affatto che conosciamo tutto di quel fenomeno, anzi è solo l’inizio, ma qualcosa di nuovo è entrato nel nostro orizzonte. La realtà, in quel punto, si è fatta viva. E questo, per qualche motivo, ci dà un senso di conforto, di bellezza, di gratitudine». Come sono interessanti queste osservazioni dell’astrofisico Marco Bersanelli, lette sul ilsussidiario.net, a proposito della conferma alla scoperta di Einstein delle cosiddette “onde gravitazionali”. È così. Questi annunci di “scoperta”, il fatto che almeno per un attimo ci spiazzino e sospendano ogni controversia (e di ogni tipo) tra le persone, ci porta a ringraziare la comunità degli scienziati perché – ne siano coscienti o no – mantengono un punto di osservazione e di lavoro sulla realtà che invece di dividere unisce tutti. Vede che, a differenza della religione, la scienza allarga il panorama e supporta positivamente il cammino dell’uo- Madre frantumata a terra precipitata nella via d’Aleppo candida icona tra i cocci in ogni madre t’incarni in ogni sorella e donna santa nel suo dirsi indegna stai sotto la croce del figlio corpo crocifisso sepolto nel silente momento transitato il terzo giorno seduto vicino al pozzo presso la fonte di Alsabagh non c‘è più uomo o donna schiavo o libero giudeo o greco continuo exit sanguis et aqua MauroGrimoldi | | 24 febbraio 2016 | 39 LETTEREDALLA FINEDELMONDO ALL’AMICAMARTA,AFFETTADABULIMIA Non è con la volontà che si esce dalla disperazione, ma grazie a un abbraccio |DIALDOTRENTO C aro padre aldo, combatto da quattro anni con la bulimia. Per me è la sofferenza più grande della vita e inizio a pensare di non poterne guarire. Sono seguita da medici, psicologi, nutrizionisti, psichiatri. Ne ho cambiati tanti di questi esperti, ma il risultato non cambia. (…) Ci sono giorni nei quali percepisco che la vita per quanto drammatica è il dono più grande che ho e che non posso perdere una sola cosa, un solo granello di tutto questo, dalle foglie che cadono dagli alberi al sole, al mio moroso, alla mia famiglia, ai miei amici… poi puntualmente sento il vuoto dentro… Il vuoto della vita, un vuoto che non riesco a colmare e che non riesco a gestire tanto è grande, tanto mi ferisce. E allora c’è il cibo, pronto a riempirmi, pronto a farmi illudere di poter bastare. E mangio fino allo sfinimento, fino a esplodere per poi vomitare tutto. Tutto, compresa la mia voglia di vivere, la mia voglia di lottare (…). E in questi momenti ho una voragine, passo i giorni a letto: io, il mio letto e il cibo. E non riesco a rialzarmi perché mi faccio schifo, sono arrabbiata perché Lui mi ha messo questa roba gigante dentro e io non ho le forze, non riesco a portare la croce che mi chiede di tenere. (…) Ho bisogno di avere la certezza che Lui mi ami così, e che io stessa posso amarmi anche per questa roba che ho, per questo schifo. (…) Oggi leggevo un tuo articolo in cui dici che il dolore è stata la risorsa più grande (…). Marta T utte le volte – e sono tante – che ricevo queste mail mi viene la pelle d’oca. Tempo fa ho ricevuto una lettera in cui mi si diceva: «Devi lottare contro certi pensieri o ossessioni perché oltre che far male a te, fai male a chi ti sta vicino». Una cosa che mi ha irritato perché disumana. Guardando la mia storia, sono uscito sempre perdente da questa lotta tra volontà e ossessioni. Vedendomi incapace di controllare la mia mente, vivevo come scrive Marta. L’imperativo “devi” dell’amico o il “non riesco” di Marta genera solo rabbia e disperazione quando uno scopre la sua impotenza. Nel Senso religioso don Luigi Giussani ricorda una novella di Thomas Mann, Il piccolo signor Friedemann. Il protagonista è il quarto figlio di una ricca e nobile famiglia tedesca. Una disgrazia gli ha impedito uno svilupo normale: è nano, gobbo e gravemente rachitico. Con il passare degli anni, rendendosi conto della sua condizione sviluppa una grande forza di volontà che gli permette di raggiungere un equilibrio totale. La gente lo stima ma nessuno lo ama. Lui ha tutto sotto controllo. Una sola cosa, la più importante, gli è sfuggita: la possibilità di innamorarsi. Quando questo acca- 40 | 24 febbraio 2016 | | rimentiamo: «Passo i giorni a letto: io, il mio letto e il cibo». Chi può comprendere questa impotenza se non un altro che ha vissuto questa disperazione? Nel mio caso solo don Giussani con la sua genialità umana ha colto e abbracciato questa mia impotenza e mi ha tenuto per mano, come fa la mamma con il suo bambino per insegnargli a camminare. Nel nostro ospedale arrivano spesso pazienti con problemi di tipo psichiatrico. Non è facile avvicinarmi, perché a volte cercano anche di aggredirmi. Mi fanno tenerezza, perché nel loro delirio gridano “mamma”. Cercano la mamma. Manifestano un tremendo bisogno di tenerezza. Per cui, come la goccia che cade rompe la pietra, così se mi avvicino piano piano e fedelmente, non solo non reagiscono più come al loro arrivo, ma lasciano che dia loro la mano, regalandomi a loro volta un sorriso. Eugenio Borgna e don Giussani ricordavano che l’unico metodo per uscire o contenere queste crisi è quello dell’abbraccio. È ciò che desidero per te, insieme a tanta pazienza. [email protected] NELMIOCAsOsOLODONGIUssANI CONLAsUAGENIALITàUMANAhA COLTOqUEsTAMIAIMpOTENzAE MIhATENUTOpERMANO,COMEFA LAMAMMACONILsUOBAMBINO de, entra in crisi tutto l’ordine che è riuscito a raggiungere con la sua volontà. Un folle innamoramento non corrisposto trasforma il piccolo signor Friedemann in un freddo suicida. Un grido che fa tenerezza Tutti sappiamo cosa dobbiamo fare, ma la nostra volontà è impotente. L’imperativo “devi” è ciò che di più disumano esiste. San Tommaso d’Aquino diceva che «la vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione». È solo l’incontro con un volto o con dei volti in cui brilla la presenza del Mistero a muovere la libertà dell’uomo. Non è con la forza della volontà che una persona riesce a risalire dal baratro della depressione, della bulimia o della anoressia. È drammatica e dolorosa l’impotenza che spe- SPORT ÜBER ALLES Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 22 – N. 7 dal 18 al 24 febbraio 2016 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Emanuele Boffi, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Francesco Leone Grotti, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director) FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa Via Alighieri, 50 21010 Brezzo di Bedero (Va) DISTRIBUZIONE: a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it Se andare allo stadio è come entrare in tribunale | DI FRED PERRI C ompagni, amici e bastardi di ogni genere e grado, ragionavo sul calcio, dopo la gara scudetto tra Juventus e Napoli. E mi dicevo che il destino tira i dadi per noi e il calcio ne è la dimostrazione. Prendete dunque la super-sfida, la prima è una squadra solida, un gruppo potente di giocatori che parevano spacciati e invece sono arrivati di nuovo a giocarsi il titolo. Ma la seconda è bella assai, può essere il suo anno, ha un attaccante argentino meno istrionico di quello che condusse le altre due campagne vittoriose ma che segna un gol a partita. Insomma, il pronostico è incerto e pure il risultato si trascina mentre la Juventus perde i pezzi; dopo Chiellini, che neanche è sceso in campo, si fa male anche Bonucci che con Barzagli sta facendo una partita eccezionale. A quel punto penso: se la Juve, così messa, vince questa partita non ce n’è più per nessuno. Entra Za- 42 | 24 febbraio 2016 | | Foto: Ansa za e mentre lo 0-0 va verso l’ormeggio… zaz! La Juventus vince. Ah il calcio, che meraviglia, è una matassa ingovernabile, dove entri da una porta ma non sai se uscirai dalla stessa. E fin qui. Però poi sfogliando il giornale, ho letto di quel professore che doveva passare di ruolo ma invece è stato licenziato perché 11 anni fa ha fatto la pipì in un cespuglio. Allora se andare in uno stadio e non sapere come va a finire fa parte dello show, entrare in un palazzo di Giustizia e trovarsi alle prese non con la razionalità ma con il caso, con persone che si svegliano al mattino e tirano i dadi per giudicare, beh questo m’angoscia un po’. Comunque, spero che la faccenda del professore si risolva. Lo capisco, una volta ho cagato in una piazzola d’emergenza dell’autostrada en plein air. Ma la pula, per fortuna, andava a 100 all’ora. EDITORE: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Confalonieri 38, Milano. 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Basta ripararla, direte, ma io già ho chiamato il ferramenta, che è venuto e ha bloccato la maniglia con una vite, e per questo ha voluto novanta euro, e io gli ero stata perfino grata. Senonché, dopo pochi giorni la maniglia ha ripreso a staccarsi, soprattutto quando qualcuno, nella fretta, si tira dietro più forte la porta. Seccante poi quando accade con un ospite, che restandosene con la maniglia in mano potrebbe pensare che la nostra casa vada in pezzi – e forse non sarebbe così lontano dal vero. Certe mattine mi domando poi se accada anche nelle case degli altri che il gatto si faccia le unghie, rigorosamente, sul divano nuovo, o che nel cesto della biancheria da stirare restino per mesi ciuffi di calzini irrimediabilmente spaiati, inutili e inutilizzabili, monumento alla nostra pigrizia. E succederà anche agli altri che lo spremiagrumi sparisca senza lasciare traccia di sé, nel nulla, ingoiato da un buco nero? Vedo nelle foto della pubblicità altre case, “living” sobri e armoniosi, senza un giornale in giro, né un paio di ciabatte: solo lussuriosi divani e morbidi plaid, e pavimenti in cui ci si può specchiare. Vedo cucine dalla linea pura, firmate da grandi designer, coi piani di acciaio lucenti e sideree spie di superelettrodomestici lampeggianti, a confermare che tutto funziona perfettamente – cosa che non si potrebbe certo dire dei nostri. So che i figli adorano la casa della nonna, dove ogni cosa, forbice, tagliaunghie o colla, ha il suo posto, e si trova sempre; ma non ci 46 | 24 febbraio 2016 | | di Marina corradi posso far niente, deve essere genetico il mio disordine, d’altronde mio padre dimenticava gli occhiali in freezer, e li si ritrovava, un mese dopo, i vetri infranti, sepolti nel ghiaccio come Ötzi, la mummia del Similaun. Stamattina dal divano su cui sono immobile, un piede ingessato, contemplo inerme il nostro caos, e so che in bagno ci sono sei tubi di dentifricio, di cui quattro lasciati aperti e ormai fossili. E certo, potrei buttarli via, ma a che serve? Fra dieci giorni sarà tutto come prima. Ma chi vivrà, davvero, in quelle case perfette, senza un pelo fuori posto, chi cucinerà in quelle algide cucine i cui piani – mi dico a consolarmi – somigliano alle lastre d’acciaio dell’obitorio, in Ncis? Però, mi accorgo, la nostra casa è viva. Con la scatola del presepe che nessuno porta in cantina fino ad agosto – quando c’è da tirar fuori l’ombrellone. Col grande crocefisso di legno in cucina e, sotto, le tacche della statura dei figli. Da 80 centimetri a 180: quante storie, in quel pezzo di muro ingrigito che non ho mai permesso mai di rimbiancare. Di modo che stamattina, impotente mentre un gatto si fa coscienziosamente le unghie sul divano, capisco che non cambierei questa casa con nessuna. Perché belle sono le case in cui si vive in tanti, nel casino, amandosi, litigando, perdendo le cose, mandandosi a quel paese. Belle, e quanto, sono le nostre case, quelle vere.