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La prigione che ci siamo scelti

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La prigione che ci siamo scelti
anno 22 | numero 07 | 24 FeBBraio 2016 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
La prigione
che ci siamo scelti
Così la dipendenza da internet rende l’uomo schiavo di se stesso.
Il caso Corea del Sud, dove può mancare il pane ma non il wi-fi
EDITORIALE
12 fEbbRAIO 2016, un fATTO chE sfIDA IL TEmpO
L’ASCIA NEL CUORE
I
Questo era
un giudice
Antonin ScAliA aveva due difetti imperdonabili: era cattolico ed era spiritoso. Era così cattolico – frequentava Messe con rito in latino, era contro
l’aborto, l’eutanasia e le nozze gay –
che spiaceva anche a molti cattolici. Ed era così spiritoso che alcune sue
battute sono diventate leggendarie.
Figlio di un siciliano che amava Dante e di una maestra elementare, adorava suonare il pianoforte, sparare
alle anatre, giocare a Poker. “Terminator” per gli avversari, il “saggio”
per i conservatori, il più anticonformista tra i giudici della Corte suprema americana è morto nel sonno il
12 febbraio. Si trovava in Texas, nella tenuta di un amico miliardario per
una battuta di caccia alle quaglie. È
stato scritto che Scalia «è uno dei pochi che è voluto diventare giudice per
diminuire il potere dei giudici». E in
effetti non passava occasione in cui
non si scagliasse contro i «giudici arbitri morali del mondo». Lo ripeteva sempre: «La Costituzione è morta,
morta, morta», non può essere «una
bottiglia vuota in cui versiamo ogni
valore». Uno così, dei nostri Di Pietro
non poteva che pensare tutto il male
possibile («Tangentopoli fu una ricetta
per l’ingiustizia»). L’ultima volta che
fu in Italia (2013) disse: «Perché mai
dei giudici non eletti, degli studiosi
del diritto, dovrebbero avere una visione speciale su come dovrebbe essere
il mondo? Chi mai desidera un paese
guidato da giudici ed esperti di diritto? Se la Costituzione va emendata, lo
decida il popolo. Questa è la democrazia». E questo era un giudice.
Emanuele Boffi
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| 24 febbraio 2016 |
Il Papa e Kirill. Se questo vi sembra
un cristianesimo “fuori dalla storia”
|
l 12 febbraio 2016, a l’avana, Cuba, mille anni di storia sono parsi come
il tempo e lo spazio increspati dall’onda gravitazionale di Dio. «Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato», dice
il salmo. Mentre i media, che al contrario del significato che sfida il tempo rincorrono l’istante smemorato, dicono fanfaluche quando rubricano
l’evento a fatto clamoroso, ma interno al cristianesimo. Infatti, come mai
non hanno dato nessuna importanza al contenuto perfino politico dell’abbraccio tra Francesco e Kirill (vedi il riferimento del Papa, nella conferenza
stampa della vigilia, alla Siria, dove «in parte c’è stata convergenza di analisi tra la Santa Sede e la Russia»)? L’autocensura dei media è giustificata.
Appare loro ovvio che il cristianesimo è “fuori dalla storia”. Francesco è papa “buono” perché nelle sue parole i poteri secolari cercano continuamente conferma ai propri pregiudizi e luoghi comuni. Così i cristiani “buoni”,
come da lezione scalfariana, sono soltanto quelli conformi alla mentalità dominante. “Intolleranti” e “rechIARO chE LA DIchIARAzIOnE trogradi” sono invece quelli che si
DOvEvA EssERE OmEssA DAI mEDIA.
chiamano fuori.
vI sI DEnuncIA L’IsOLAmEnTO DEI
Chiaro che la Dichiarazione docRIsTIAnI AI mARgInI DELLA vITA
veva essere omessa da cronache e
pubbLIcA. nEL “LORO” OccIDEnTE
commentarii. I suoi contenuti accusano tra l’altro «l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di
spingerli ai margini della vita pubblica». Mettono in guardia l’Europa da
«un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose» e chiedono «ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana».
Soprattutto, esaltano la famiglia come «centro naturale della vita umana e della società»; «fondata sul matrimonio, atto libero e fedele di amore
di un uomo e di una donna». E altro che “chi sono io per giudicare”… «Ci
rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità
come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio… viene estromesso dalla coscienza pubblica».
Fulmini contro aborto («la voce del sangue di bambini non nati grida
verso Dio»), eutanasia, manipolazione della vita. E quanto al cristianesimo
del “dialogo” senza giudizio, basti l’invito ai giovani: «Non abbiate paura
di andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale odierne
norme secolari sono lontane dal conformarsi sempre». Di fatto, è l’opposto
di un cristianesimo attento a non disturbare i manovratori di questo mondo. «Questo mondo, in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale».
SOMMARIO
10 PRIMALINEA LA RESISTENZA SCONOSCIUTA | BOFFI
NUMERO
anno 22 | numero 07 | 24 FeBBraio 2016 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
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La prigione
che ci siamo scelti
Così la dipendenza da internet rende l’uomo schiavo di se stesso.
Il caso Corea del Sud, dove può mancare il pane ma non il wi-fi
18 INTERNI LA VERITÀ SU LAVORO E PIL | GHIRARDINI
LA SETTIMANA
L’ascia nel cuore
Emanuele Boffi ........................... 4
Foglietto
Alfredo Mantovano.......... 8
Boris Godunov
Renato Farina.............................17
Vostro onore mi oppongo
Maurizio Tortorella..... 23
30 SOCIETÀ VIA DAL LAGER DELLA
LIBERTÀ | AMICONE
Mamma Oca
Annalena Valenti .............. 35
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano ................. 39
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento .................................. 40
Sport über alles
Fred Perri...........................................42
Appunti
Marina Corradi ..................... 46
RUBRICHE
Stili di vita .......................................... 34
Motorpedia ....................................... 36
Lettere al direttore .......... 38
Taz&Bao................................................44
24 COPERTINA SUD COREA, LA DIPENDENZA DA INTERNET | GROTTI, CASADEI
Foto: Ansa, AP Exchange/Ansa
fOgLIETTO
ALLA CONQUISTA DI UN RILIEVO POLITICO
Per non confinare
alla piazza le istanze
di un popolo autentico
DI ALfREDO mANTOVANO
P
erfino il Corriere della Sera, fra i capifila pro ddl Cirinnà, pubblica sondaggi che registrano la forte contrarietà degli italiani alla follia che il Senato
sta votando in queste ore. Il dissenso emerge con chiarezza nonostante i quesiti siano in qualche modo orientati: agli interpellati non è stato chiesto se sono o meno
a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, bensì se condividono le
unioni civili; la domanda più corretta sarebbe stata la prima, visto che – come abbiamo più volte illustrato
– quello che nel ddl è deIL PUNTO è ChE I mILIONI DI PERSONE DEL
finito regime delle unioCIRCO mASSImO NON SI RICONOSCONO IN
ni civili disegna in tutto e
NESSUNA
fORzA POLITICA OggI: NESSUNA
per tutto un matrimonio,
hA DATO PROVA DI CONTINUITà, COERENzA
con i richiami espliciti alE fERmEzzA SULLA VITA E LA fAmIgLIA
le norme del codice civile
che disciplinano quest’ultimo. Nonostante ciò, la contrarietà sfiora maggioritario degli italiani e le decisioni
del Parlamento. La spaccatura non è tanto
la metà degli interpellati.
Ancora più consistente, anzi ampia- nel corpo sociale, quanto fra il corpo sociamente maggioritaria, è l’opposizione al- le e chi dovrebbe rappresentarlo.
la stepchild adoption: anche qui, non si
spiega che il giorno dopo l’entrata in vi- Allargare il perimetro della protesta
gore delle disposizioni del ddl qualsia- Non è un segnale positivo, non soltanto
si giudice le estenderà all’adozione tout per il merito delle leggi dissennate che
court, sì che il quesito corretto avrebbe vengono approvate. Non lo è perché una
dovuto riguardare se si è pro o contro frattura così profonda rende la fiducia nell’adozione same-sex.
le istituzioni elettive ancora più precaria:
I sondaggi riflettono il successo ecce- gli effetti della divaricazione elettori/eletti
zionale delle manifestazioni del 20 giu- possono non limitarsi all’allontanamento
gno e del 30 gennaio, e il sentire diffuso ancora più massiccio dal voto, se a patirli
che ciascuno può percepire, nonostante sono fasce sociali non marginali. Il pununa oppressione mediatica fatta di talk to di partenza è che i milioni di persone
show, fiction, film e Sanremi. Nonostan- del Circo Massimo oggi non si riconoscono
te non siano mancati in passato passaggi in nessuna forza politica; certo, più d’una
parlamentari fortemente divisivi – si pen- tenta l’ammiccamento, ma finora nessuna
si alla legge che ha introdotto l’aborto “le- ha dato dimostrazione di continuità, coegale” –, è difficile trovare precedenti di se- renza e fermezza sui punti chiave che stanparazione così netta fra l’orientamento no a cuore del popolo delle famiglie.
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Il punto di partenza è l’esistenza di un
popolo che su vita e famiglia ha idee chiare, che non intende diluire o ridurre a materia di contrattazione. Questo popolo ha
però bisogno di venir fuori da una pur importante modalità di manifestazione occasionale (guai se i due eventi non ci fossero stati) e di acquisire consapevolezza e
peso politico. Interpellare i candidati sindaci per le prossime elezioni amministrative va esattamente in questa direzione:
vuoi il mio consenso? Impegnati formalmente, se eletto, a che il tuo Comune non
sia strumentalizzato per fare propaganda gender, o per celebrare “nozze” samesex; impegnati per adeguare le imposte di
competenza del Comune al carico quantitativo e qualitativo di ciascun nucleo familiare, e quindi al suo progressivo abbattimento in relazione al numero dei suoi
componenti, o alla presenza al suo interno di disabili, e così via.
Un discorso analogo riguarda il referendum sulle riforme costituzionali: come rispondere a chi chiede la conferma
di norme che ridurrebbero ancora di più
gli spazi per frenare la deriva liquida e liquidatoria che è in corso?
Ma questo è solo l’inizio di un lavoro
di allargamento dal perimetro della protesta al rilievo in senso lato politico del
popolo delle famiglie. È indifferibile la
crescita di consapevolezza culturale di
quest’ultimo. Urge che la dottrina sociale della Chiesa, che contiene riferimenti
di principio, valutazioni su ciò che accade e indicazioni operative diventi il pane
quotidiano della formazione permanente
di quel popolo. Saltare questo passaggio,
senza trascurare gli altri, significa rassegnarsi a ritrovarsi in tanti (che è comunque fondamentale) e continuare a subire.
Foto: Ansa
|
resistenza sconosciuta
Storia di due impavidi sacerdoti che dopo l’8 settembre ’43
salvarono centinaia di ebrei dalle mani di nazisti e fascisti.
E che, grazie all’aiuto di povere famiglie di contadini, diedero
loro conforto e rifugio, così come aveva fatto il Buon Samaritano
|
DI EmanuElE BoffI
I due preti
giusti
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| Foto: G. Hassan
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resistenza sconosciuta PRIMALINEA
A sinistra, le carrozze dei treni che da Borgo San Dalmazzo trasportarono gli ebrei nei campi
di concentramento tedeschi. Sotto, le targhe che riportano i loro nomi (foto G. Hassan)
cati sui vagoni in partenza da San Dalmazzo verso la Francia, e di qui poi ad
Auschwitz (ne torneranno solo 9). Il 4
dicembre ’43 il campo di concentramento di Borgo passò nelle mani fasciste. Dalla stazione, il 15 febbraio partirono i ventisei ebrei di cui vi abbiamo detto (ne
sopravvissero solo due). E tutti gli altri?
Che fine avevano fatto le altre centinaia
di ebrei che erano giunte in Italia?
M
Il funerale due anni dopo
Come tutti gli abitanti della zona, don
Viale aveva assistito all’arrivo delle famiglie ebree e dei soldati italiani sbandati.
Per lui, aiutare quei poveretti fu una semplice questione di carità cristiana. Confor-
Borgo
San Dalmazzo (Cn).
Qui un piccolo gruppo di ebrei – qualcuno arriva da Milano, qualcun altro da
Torino, qualche locale – s’è ritrovato alla
stazione ferroviaria per commemorare i
ventisei ebrei che il 15 febbraio 1944 furono deportati nel campo di concentramento di Fossoli e poi in Germania. Orazioni
e ricordi di chi oggi vede come le traiettorie della Storia abbiano intersecato le
proprie storie intime e familiari. C’è chi
racconta la vicenda dei vicini di casa, chi
di conoscenti, chi di nonne e nonni che
in quegli anni fuggirono dai nazisti, ma
anche di parenti – ebrei fascisti – che ai
“neri” si consegnarono spontaneamente
(«“siamo italiani, siamo fascisti, che mai
potranno farci?”, si chiedevano ingenuamente»).
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età febbraio,
|
Alla stazione di Borgo ci sono tre
vagoni rossi. Sono piccoli, stretti e chiusi ermeticamente: anche l’aria era un
lusso per chi era trattato peggio di una
bestia. Il rabbino intona la preghiera. È
un momento semplice e dignitoso, ma
non si prega solo per gli ebrei. Vittorio
Bendaud, che coordina il Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, ci tiene che
due parole e una preghiera di ringraziamento siano spese per due sacerdoti cattolici: don Raimondo Viale e don Francesco Brondello. I loro nomi compaiono tra
i giusti delle nazioni allo Yad Vashem di
Gerusalemme. Questa è la loro storia.
Dov’erano tutti gli altri?
Quando rammentava la sua infanzia, don
Viale amava ricordare che a casa sua si
viveva di patate e polenta. «Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono
cresciuto. È nell’infanzia che ho impa-
rato a resistere». Figlio di uno spaccapietre, Raimondo nacque nel 1907 a Limone Piemonte, «in una zona piena di vipere». Ordinato sacerdote nel 1930 divenne
parroco a Borgo San Dalmazzo sei anni
dopo. Carattere fumantino e poco incline
ai compromessi, dal pulpito il “don guastafeste” non risparmiava critiche al regime fascista. Per questo, il 2 giugno 1940,
per aver definito in un’omelia la guerra
«un’inutile strage», fu arrestato, condotto
nel carcere di Cuneo, picchiato, giudicato colpevole, mandato al confino ad Agnone in Molise, da cui tornò solo il 20 settembre 1941.
Il 25 luglio e l’8 settembre 1943 sono
due date importanti per la storia d’Italia,
ma per don Raimondo fu più significativo
ciò che accade pochi giorni dopo, il 12 settembre. Dalla Francia, infatti, iniziarono
ad arrivare a piedi centinaia di persone.
Fra di loro c’erano i soldati italiani della
«IL MIo ERA uN LAvoRAccIo dA EsAuRIRE uN ELEfANtE.
ERo IMPRudENtE coME uNo scEMo». PER foRtuNA,
doN RAIMoNdo NoN ERA L’uNIco scEMo dELLA zoNA
IV armata e gli ebrei che provenivano dal
centro di raccolta di Saint Martin Vésubie.
Erano per lo più polacchi, francesi, tedeschi; qualche ungherese, austriaco, belga. C’erano molte famiglie con bambini
che trascinavano pochi stracci e un tozzo
di pane. Il 18 settembre il comando tedesco delle SS rese noto che, entro sera, tutti gli ebrei avrebbero dovuto presentarsi
in caserma: «Trascorso tale termine – recitava il dispaccio – tutti gli stranieri che
non si saranno presentati verranno immediatamente fucilati». La medesima sorte
sarebbe toccata «a coloro nella cui abitazione detti stranieri verranno trovati».
Saranno 349 quelli che si consegneranno e che il 21 novembre saranno cari-
tato dal sostegno del cardinale di Torino,
Maurilio Fossati, decise così di darsi da
fare per trovare loro rifugio. Rischiò letteralmente la pelle, don Raimondo. I nazisti avevano già fatto vedere di cosa erano
capaci. Per rappresaglia il 19 settembre a
Boves avevano incendiato le case e ucciso
24 persone tra cui il parroco, don Giuseppe Bernardi, e il giovanissimo vicecurato, don Mario Ghibaudo, catturato mentre cercava di mettere in salvo il Santissimo. Il corpo martoriato di don Mario
finì proprio nella canonica di don Viale
che, di notte, con l’aiuto di don Brondello e contro gli ordini nazisti, lo trasportò
nel cimitero per dargli degna sepoltura.
Il funerale di don Mario fu celebrato solo
due anni dopo, il 19 settembre 1945. Don
Ghibaudo è uno dei “Dieci” di don Didimo Mantiero e il 31 maggio 2013 è iniziato il processo di canonizzazione.
Nemmeno uno fu catturato e ucciso
Lo scrittore-partigiano Nuto Revelli ha raccolto in un libro la testimonianza di don
Viale. Si intitola Il prete giusto (Einaudi,
1998) ed è il racconto della vita del nostro
eroe. Eroe che, però, non amava troppo
vantarsi delle proprie gesta. «Il mio – raccontò – era un lavoraccio da esaurire un
elefante. Ero imprudente come uno scemo». Per fortuna, don Raimondo non era
l’unico scemo della zona. Bisogna cercare
di immaginarsi cosa significasse per dei
poveri contadini con tante bocche da sfamare prendersi il rischio di dare rifugio a
persone che nemmeno parlavano l’italiano. Nasconderle per quasi due anni, condividendo con loro quel poco che si poteva
racimolare durante i rigidi inverni del ’43
e del ’44. Quella rete di famiglie non tradì nessuno. Nemmeno uno degli ebrei che
furono soccorsi dagli amici di don Viale fu
catturato e ucciso.
Gli ultimi mesi di guerra e gli anni
successivi non furono per don Viale meno
tribolati. Confortò negli ultimi momenti, a rischio di fare una brutta fine, i quattordici partigiani catturati e fucilati il 2
maggio ’44 nella caserma di Tetto Gallotto. Terminata la guerra, si spese invano perché i partigiani risparmiassero una
spia fascista, Ettore Salvi, che fu giustiziata il 12 febbraio ’46 a Cuneo. Don Raimondo rimase sempre un irregolare. Antifascista ai tempi del fascismo, anticomunista
nel primo dopoguerra («il comunismo
|
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primaliNEa resistenza sconosciuta
A sinistra,
lo Yad Vashem
di Gerusalemme.
Fra i giusti
tra le nazioni vi
sono anche don
Raimondo Viale
e don Francesco
Brondello
Fortunato? No, miracolato
Don Francesco Brondello nacque a Borgo
San Dalmazzo l’8 maggio 1920. Lo chiamavano il “prete volante” o il “prete scalatore” per le sue insuperabili doti in montagna. Quando arrivarono gli ebrei nel settembre del ’43 anche lui aiutò, brigò, si
attivò per portare cibo e lettere («facevo il
portalettere degli ebrei», dirà una volta).
Due sorelline ebree, Chaya e Gitta Kantoriwicz, che oggi vivono a Chicago, ricordano ancora quando giunse nel loro nascondiglio. Si presentò con una macchina fotografica, scattò due foto, tornò il giorno
dopo con i documenti falsi. Altri hanno
ricordato che fu lui che, sempre a rischio
di cattura, girò di baita in baita, di casolare in casolare, solo per ricordare loro
di festeggiare Yom Kippur. Don Brondello
rimase a Valdieri fino al termine del conflitto perché, spiegava, «un sacerdote non
abbandona il suo posto, il suo dovere». Ma
la pagò cara. Arrestato dai fascisti nel 1944
fu imprigionato a Cuneo. Era stato prelevato da due ufficiali che, raccontò una
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«Era solo uNa prostituta ma avEva iNtuito chE
“il sigNorE vostro Dio è Dio lassù NEi ciEli E quaggiù
sulla tErra” E DivENtò uNo strumENto DiviNo»
volta, mentre «cantavano a tutta forza con
rabbia le loro canzonacce: “Morte, morte
a papa Pacelli / siamo rinati a libertà”», lo
condussero fino in caserma. Qui gli misero «una bomba a mano in bocca», lo picchiarono, lo torturarono. Ma don Francesco non parlò, non tradì. Disse solo che lui
la pensava come il Buon Samaritano: non
si chiede la carta d’identità al bisognoso.
Fu solo grazie all’intervento di una donna, amante del capo delle Brigate Nere,
che ebbe salva la vita. «La Bibbia – spiegò
– ci racconta la storia di Rachav, la donna che a Gerico prima nascose e poi fece
fuggire gli esploratori inviati da Giosuè.
Era solo una prostituta ma aveva intuito
che “il Signore vostro Dio è Dio lassù nei
cieli e quaggiù sulla terra” e diventò uno
strumento di un disegno divino. E quella
era una poveretta, l’amante di un brigante feroce, ma ebbe pietà e si diede da fare
per salvare un sacerdote».
Don Francesco ne passò davvero di
tutti i colori. Ma a chi gli chiedeva se
si ritenesse fortunato, rispondeva piccato: «Fortunato? No, io non userei questa
parola. Se uno è in pericolo, in una situazione, e riesce a salvarsi, può trattarsi di
fortuna e può dire a se stesso “questa volta mi è andata bene”. Ma a me capitò di
scampare alle pallottole del militare tedesco a Nizza, e poi alla caduta sulla montagna, e di essere catturato dalle camicie nere ma di esserne poi rilasciato, e il
rastrellamento a Valdieri non fece vittime… Quante volte sono stato miracolato?
No, non credo possa trattarsi di un caso
fortunato, credo proprio che il Signore
abbia voluto proteggermi e salvarmi. Ma
non c’era da aver paura, trovavo consolazione e coraggio nella promessa del Vangelo: “Chi avrà perduto la sua vita per
causa mia, la troverà”».
Noi esistiamo grazie a lei
Quando il 2 settembre 2004 fu riconosciuto giusto tra le nazioni con una cerimonia nella Sinagoga di Cuneo, si commosse fino alle lacrime quando rivide
Chaya e Gitta, le due ragazzine cui aveva scattato una fotografia tanti anni prima. Si presentarono con le loro famiglie,
mariti, figli e nipoti, una cinquantina di
persone, una piccola comunità di scampati all’orrore: «Don Francesco, noi esistiamo solo grazie a lei».
È morto una domenica del 2015. Era il
15 febbraio, lo stesso giorno in cui, più di
settant’anni prima, tre carrozze rosse erano partite per Auschwitz.
n
Foto: ansa
è una dittatura militaresca»), insofferente verso ogni autorità, negli anni Settanta fu sospeso a divinis, straniero in quella stessa Chiesa che tanto amava. Poi, nella primavera del 1980 il riconoscimento
di giusto, solo quattro anni prima della
sua morte, il 25 settembre 1984. La piazza antistante la caserma, oggi una scuola,
porta il suo nome.
boris
godunov
i siLEnZi dEi giornALoni
Quanta sospetta “neutralità”
sulle sciabolate evangeliche
dei nostri uomini all’Avana
|
di rEnAto FArinA
L’
incontro tra il PaPa di roma e il Patriarca di mosca ha riem-
pito il cuore russo di Boris di gioia zampillante. Il documento firmato da Francesco e Kirill è fantastico. Non ecumenismo sovratemporale, ma giudizio sulla storia in forza del
mandato ricevuto da Cristo. È stato don Giussani, in un celebre
intervento a Bassano del Grappa, a stabilire l’identità tra cultura ed ecumenismo. Il cristianesimo è un avvenimento, ed è meta-culturale, cioè sta prima di ogni cultura, ma non può darsi nel
tempo senza assumere e dar forma a una cultura.
E quel documento dei nostri due uomini all’Avana dice cose formidabili.
Siccome Boris è passionale e forse romantico non riesce a separare neanche con il laser verità e misericordia, come non riesce a privilegiare gli occhi dell’amata rispetto alla bocca o alla voce o al carattere o alla mente. La persona dell’Amata, della
Donna leopardiana, di Cristo è una. Sono espressioni dell’io unico, di un nome unico. Così Cristo Logos-Amore secondo la definizione di Benedetto XVI a Regensburg (12 settembre 2006).
Che succede?
In quel documento ci sono colpi di spada evangelici.
1: «Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di
amore di un uomo e di una donna. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di
questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla
coscienza pubblica».
2: E aggiungono, dopo aver denunciato aborto ed eutanasia come mali gravissimi che gridano a Dio: «Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un
attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio».
Che cosa è successo? Che i commentatori, gli uomini di cultura, gli intellettuali sono tutti intervenuti festanti sull’incontro a Cuba tra i leader delle due Chiese (il Capo è uno solo, e parrebbe essere il Figlio di Dio), ma hanno evitato di commentare
questi passi. Anzi hanno insistito nel dire che esistono due Chiese cattoliche: una italiana, retrograda, senza misericordia, in-
dicE bEnE gALLi dELLA LoggiA: in itALiA
non EsistE spAZio pEr un pArAgonE
sErEno sui tEmi chE prEoccupAno
FrAncEsco E KiriLL; nEppurE A sAnrEmo
è AmmEsso uscirE dAL mAinstrEAm
carnata da Bagnasco e Ruini, con un’idea medievale della vita e
della famiglia; l’altra aperta, aliena da conflitti su organizzazioni sociali, protesa a giustificare e a benedire qualunque diritto
individuale fiorisca, e sarebbe quella di Francesco, con al seguito Galantino e Forte.
Siamo qui un’altra volta
C’è un problema nella cultura italiana, lo ha bene messo in mostra Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: non esiste
nessuno spazio per paragonarsi serenamente su temi così gravi; neppure a Sanremo, in ambito nazional-popolare è ammesso
uscire dal mainstream, per rendere ragione di quanto in fondo
pensa la maggioranza degli italiani sulle adozioni gay e gli uteri in affitto. A dire il vero proprio il Corriere aveva lasciato spazio a un’importante lettera di Julián Carrón. Chiedeva di andare
oltre l’ovvio e le petizioni di principio, per domandarsi che cosa risponda al bisogno più profondo della persona, qualunque
siano le sue aderenze culturali, politiche e persino le preferenze sessuali. Lo stesso Corriere ha poi tradotto questa gentile e tremenda sfida di Carrón, che ha riproposto il “caso serio” della vita, falsificandolo in una specie di neutralità apollinea riguardo
ai temi proposti all’Avana dal Vescovo di Roma e dal Patriarca di
Mosca e di tutte le Russie.
Ricordo che sul Sabato nel 1987 riproponemmo con forza un
tema analogo. Quando don Giussani, nel febbraio, propose alla
politica di paragonarsi con la sua origine: il senso religioso e il
radunarsi degli uomini spinti da questa domanda inesausta. E la
risposta dei maggiorenti (tranne Craxi, Andeotti e Cossiga) fu come quella dedicata a Paolo all’Aeropago da buona parte dei sapienti ateniesi: «Di questo ci parlerai un’altra volta».
Siamo qui un’altra volta, e un’altra volta ancora, e ancora
un’altra, fino alla fine dei tempi o fino a quando, dice Boris, ci
taglieranno la testa a tutti.
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17
INTERNI
|
SPULCIANDO FRA I NUMERI
DI PIER GIACOMO GHIRARDINI
Una ripresa
con le gambe
corte
Una crescita occupazionale un poco drogata e
una economia che difficilmente saprà approfittarne.
Senza contare l’arrivo dei “cavalieri dell’apocalisse”.
La verità su lavoro e Pil dopo due anni di governo
Renzi. Solo dati di fonte ufficiale. No Powerpoint
L’
ha giurato il 22
febbraio 2014 e ha compiuto
quindi due anni in questi giorni.
In pratica, a meno di imprevisti, il governo Renzi è al suo “midterm”, e si impone una riflessione sui temi su cui si gioca
non la fortuna di un uomo politico, ma la
vita di 60 milioni 680 mila italiani: lavoro e crescita. Questa valutazione si basa
su dati e previsioni di fonte ufficiale (vedi
tavole 1 e 2 nelle pagine seguenti) e vuole mettere a confronto l’Italia del 2015,
dopo due anni di governo Renzi, con
quella del 2013, non ancora emersa dal
doppio bagno recessivo Great Recession
2008-Sovereign Debt Crisis 2011.
esecutivo in carica
I pilastri dell’“offertismo”
La politica economica di Renzi, a volerne
comprendere la visione, si è basata su un
paradigma della supply-side economics,
del tutto in linea con l’ortodossia monetarista e neoliberista, dove si postula l’inversione della relazione causale fra crescita e
ripresa del mercato del lavoro, imparata a
così caro prezzo – con la Grande Depressione del 1929 e una guerra mondiale –
dal pensiero macroeconomico. Lo sottolineiamo non per qualche velleità teorica, ma perché è solo sulla base di questo
assunto che si può dar conto dell’impian18
| 24 febbraio 2016 |
| Foto: Ansa
to della “Renzinomics” – nonché della
reversibilità dei modesti successi da questa conseguiti.
Qualcuno obietterà che a questa
linea non ci fosse, già in partenza, alternativa. There Is No Alternative. Ce n’erano poche di alternative per un paese
costretto nel letto di Procuste di Ue, Bce
e Fmi – e lasciato in balìa dei “retroscenici poteri” che questo premier ci hanno
imposto. Resta oggi il fatto che la politica
“offertista” renziana ha finito per identificarsi con il Jobs Act. Altre misure (80
euro, taglio Irap) non richiedono commenti. E, a sua volta, ciò che ha consentito al Jobs Act di poter fare la differenza non è stata la riscrittura dell’articolo
18 o altre riforme tese alla “svalutazione
interna” del lavoro, ma la forte, determinante, decontribuzione – scritta però in
legge di stabilità 2015! – per i nuovi contratti a tutele crescenti. È questo che ha
messo in moto la ripresa.
L’impiego tra riforma e doping
Confrontando le medie annue dei dati
mensili Istat (i dati degli ultimi tre mesi
sono provvisori), si ha che gli occupati in
Italia fra il 2013 e il 2015 sono cresciuti di 257 mila unità, come sintesi di 304
mila dipendenti in più e 48 mila indi-
pendenti in meno (le discrepanze derivano da arrotondamenti). La positiva variazione dei dipendenti sarebbe da ascriversi per 123 mila unità a quelli permanenti (con contratti a tempo indeterminato, compresi quindi quelli nuovi a tutele crescenti) e per 181 mila unità a quelli a termine.
Va osservato che tale crescita dei
dipendenti
permanenti
misurata
dall’Istat (in base alla rilevazione sulle
forze di lavoro) è notevolmente inferiore rispetto ai dati rivendicati dal ministro Poletti (desunti dagli archivi amministrativi dell’Inps e dei Centri per l’impiego). Ciò ha una spiegazione scientifica:
il disegno di campionamento dell’indagine Istat consente di stimare con precisione il livello degli occupati, ma può invece risentire, nel breve periodo, di viscosità nel rappresentarne le variazioni nella
composizione, per effetto dello schema
di rotazione del campione. È quindi probabile che la crescita dei dipendenti permanenti sia stata più forte, pur rimanendo fermo il dato della crescita del totale
occupati, quantificata in 257 mila unità
(con ordinari errori di stima).
Si può quindi accreditare buona parte della crescita occupazionale intervenuta nel biennio 2014-2015 al sostegno economico dei contratti a tutele crescenti da
parte del governo? Sì, obiettivamente sì.
Come vanno riconosciuti gli sforzi finalizzati a ridurre la precarietà del lavoro.
Ma questo successo, da valutarsi senza
perderne di vista la reale portata, presenta due contraddizioni. Si ha, da una parte, l’incapacità di andare a incidere sulla disoccupazione, che rimane su livelli
elevatissimi. Dall’altra, la crescita del Pil
nel 2016 potrà poggiare, com’è stato nel
2015, solo sul contributo di una domanda
interna, il cui momento fa perno su una
ripresa del mercato del lavoro dopata dalla decontribuzione.
|
| 24 febbraio 2016 |
19
INTERNI SPULCIANDO FRA I NUMERI
Tavola 1 - l’economia in iTalia (2015-2017 PREvISIONI)
variabili macroeconomiche
2014
variazioni percentuali annue o indicatori percentuali
mrd eUR a prezzi correnti
Prodotto interno lordo (PIL)
Consumi privati
Tavola 2 - Il mercaTo del lavoro In ITalIa (2015 dati provvisori)
% Pil
1996-2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
medie annuali (a)
variazione
2012
2013
2014
2015 (b)
2015-2013
1.613,9
100,0
0,9
-2,8
-1,7
-0,4
0,8
1,4
1,3
occupati (migliaia)
22.566
22.191
22.276
22.448
257
986,3
61,1
1,1
-3,9
-2,7
-0,4
0,9
1,5
0,6
di cui: giovani (15-24 anni)
1.108
974
927
921
-52
2.691
3.069
3.230
3.023
-46
603
652
691
624
-27
Consumi pubblici
315,3
19,5
1,0
-1,4
-0,3
-0,7
0,2
0,1
1,0
disoccupati (migliaia)
Investimenti fissi lordi
268,1
16,6
1,1
-9,3
-6,6
-3,5
1,0
3,8
4,8
di cui: giovani (15-24 anni)
di cui: impianti e macchinari
87,4
5,4
1,7
-13,6
-7,3
-2,9
4,0
5,8
7,1
tasso di disoccupazione (%)
10,7
12,1
12,7
11,9
-0,3
Esportazioni (beni e servizi)
477,2
29,6
2,2
2,3
0,8
3,1
4,3
3,1
4,4
di cui: giovani (15-24 anni)
35,2
40,1
42,7
40,4
0,3
Importazioni (beni e servizi)
428,4
26,5
3,2
-8,1
-2,5
2,9
5,3
4,9
4,9
dipendenti (migliaia)
16.946
16.683
16.783
16.987
304
1.613,4
100,0
0,9
-2,7
-1,8
-0,2
0,8
1,4
1,3
di cui: permanenti
14.613
14.483
14.504
14.606
123
Domanda interna
1,0
-4,5
-2,9
-0,5
0,8
1,6
1,4
indipendenti (migliaia)
5.620
5.508
5.493
5.460
-48
Scorte
0,0
-1,2
0,3
-0,1
0,2
0,2
0,0
Esportazioni nette
-0,2
2,9
0,9
0,1
-0,1
-0,4
0,0
Reddito nazionale lordo
Contributi alla crescita del PIL:
Occupazione
0,4
-1,4
-2,5
0,2
1,1
1,1
1,0
Tasso di disoccupazione (a)
8,8
10,7
12,1
12,7
11,9
11,4
11,3
Reddito da lavoro dipendente per unità equivalenti a tempo pieno
2,9
0,4
1,5
0,6
0,4
0,4
1,0
Costi unitari del lavoro per l’economia nel suo complesso
2,4
1,9
0,7
1,3
0,6
0,0
0,6
Costi unitari reali del lavoro
0,1
0,5
-0,6
0,4
0,1
-0,8
-0,9
11,9
Tasso di risparmio delle famiglie (b)
14,5
9,4
11,3
10,8
11,0
11,6
Deflatore del PIL
2,4
1,4
1,3
0,9
0,5
0,8
1,6
Indice armonizzato dei prezzi al consumo 2,3
3,3
1,3
0,2
0,1
0,3
1,8
Ragioni di scambio (beni)
-0,4
-1,4
1,7
3,0
3,7
2,2
0,0
Saldo della bilancia commerciale (beni) (c)
0,8
1,0
2,2
3,0
3,3
3,3
3,3
Saldo delle partite correnti (c)
-0,6
-0,4
0,9
2,0
2,2
2,1
2,1
Accreditamento/indebitamento netto nei confronti del resto del mondo (c)
-0,5
-0,2
1,0
2,2
2,4
2,3
2,2
Saldo delle amministrazioni pubbliche (c)
-3,4
-3,0
-2,9
-3,0
-2,6
-2,5
-1,5
Saldo di bilancio corretto per il ciclo (d)
-3,5
-1,2
-0,7
-0,9
-1,0
-1,7
-1,4
...
-1,3
-0,9
-1,1
-1,0
-1,7
-1,4
107,1
123,2
128,8
132,3
132,8
132,4
130,6
Saldo di bilancio strutturale (d)
Debito pubblico lordo (c)
(a) disoccupati in % delle forze di lavoro; (b) risparmio in % del reddito disponibile; (c) in % del PIL; (d) in % del PIL potenziale
Fonte: nostre elaborazioni su previsioni Commissione Europea (European Economic Forecast - Winter 2016, 4 febbraio 2016)
La disoccupazione incurabile
Renzi rivendica il “segno meno” per la
disoccupazione. E la comunicazione ha
scelto, nell’altalena congiunturale, i termini di raffronto che più le tornavano,
lasciando in ombra che nel primo anno
di governo (2014) i disoccupati sono continuati a crescere. Ma se restiamo fedeli
al nostro esercizio di misurare la distanza fra l’Italia “prima di Renzi” (2013) e
quella “dopo due anni di Renzi” (2015),
confrontando le medie annue, si ottiene
che i disoccupati sono diminuiti in valore assoluto solo di 46 mila unità e il tasso di disoccupazione è diminuito solo di
due decimi di punto, passando dal 12,1
all’11,9 per cento. Poco di più che un
20
Forze di lavoro
| 24 febbraio 2016 |
|
“segno meno”, per l’appunto. Una riduzione simbolica. Ma il fatto ancora più
preoccupante è che nel medesimo lasso di tempo non è diminuito il tasso di
disoccupazione giovanile (15-24 anni) che
è passato dal 40,1 al 40,4 per cento, tre
decimi di punto ma in più. Per i giovani
la ripresa non si è fatta quasi sentire perché non ci sono posti vacanti nelle imprese, il cui tasso, al quarto trimestre 2015, è
fermo a un misero 0,6 per cento del totale
occupati. Le previsioni della Commissione europea, che non si possono qualificare certo come pessimistiche, mettono in
conto, per l’Italia, tassi di disoccupazione
dell’11,4 per cento nel 2016 e dell’11,3 nel
2017 che, sebbene verosimilmente sotto-
stimati, restano comunque elevatissimi.
È uno scenario di vera e propria resilienza della disoccupazione: gli attuali tassi
di crescita non la riassorbiranno mai. Il
numero medio annuo di persone in cerca
di occupazione nel 2015 è pari a 3 milioni 23 mila unità. Erano metà prima della crisi. Restano talmente tante da non
incontrare più attenzione ma irritazione.
Tirarsi su per i lacci delle scarpe
Nell’Europa che ha mosso poco meno di
un dito per contrastare la più grave recessione del secondo dopoguerra, la parola d’ordine resta self-sustaining recovery.
Il massimo consentito è l’offertismo: pulling oneself up by the bootstraps. Il gioco
(a) calcolate sui dati mensili; (b) ottobre, novembre e dicembre dati provvisori
Fonte: nostre elaborazioni su dati istat (occupati e disoccupati, 2 febbraio 2016)
di produrre uno shock esogeno da offerta (che richiede comunque un forte stimolo fiscale per le imprese), di tirarsi su
per i lacci delle scarpe, funziona però se
troviamo la domanda aggregata lì pronta
ad acchiapparci sul bordo della buca dove
salterelliamo. Purtroppo la storia di questa ennesima ripresa che si pretende guidata dal mercato del lavoro non ha un lieto fine. Perché gli effetti dello stimolo iniziale sarebbero stati comunque destinati
ad esaurirsi. La crescita dell’occupazione
nel 2015 risulta già oggi inferiore a quella prevista dal Winter Forecast della Commissione europea: ossia lo 0,8 e non l’1,1
per cento se le stime provvisorie del 2 febbraio verranno confermate dai dati definitivi attesi per il 10 di marzo. Ma le prospettive dell’occupazione sarebbero state in calo anche in assenza del rallentamento congiunturale nel quarto trimestre 2015 e della sempre più temuta inversione del ciclo nel 2016, perché il governo ha già sparato quasi tutte le sue cartucce: la legge di stabilità 2016 estenderà sì,
infatti, lo schema di sostegno alle assunzioni a tempo indeterminato che verranno fatte nel 2016, ma solo con una parziale esenzione (40 per cento). Ma soprattutto
perché in assenza di più robuste politiche,
non poteva esserci uno stimolo efficace e
duraturo alla domanda: nel 2015 gli investimenti pubblici hanno toccato il fondo,
dopo cinque anni di contrazione, e non si
è visto ancora un euro degli oramai mitici
300 miliardi stanziati da Juncker.
Per questo motivo, il risultato più celebrato dal governo Renzi, il tanto atteso
“segno più” per il Pil, è destinato a deludere le attese e a rivelarsi assai effimero.
Nel 2015 la crescita reale del Pil non sarà
infatti né lo 0,9 per cento scritto da Padoan nel Def, né lo 0,8 previsto dalla Ue: le
stime preliminari, rilasciate dall’Istat il 12
febbraio scorso, ci dicono che la variazione, anno su anno, calcolata sui dati grezzi, è stata dello 0,7 per cento, ma essa, al
netto degli effetti di calendario (nel 2015
ci sono state tre giornate lavorative in più
rispetto al 2014), va ridimensionata allo
0,6 per cento: questo è stato il vero ritmo
di crescita nel 2015.
Certo, niente a che vedere con la “tempesta perfetta” del governo Monti, a cui si
deve una caduta del Pil del 2,8 per cento
nel 2012 e che ha lasciato in eredità a Letta
2016: downside risks o recessione?
Alla debolezza intrinseca della scommessa di Renzi si è aggiunta la sfortuna. Il
rallentamento delle economie emergenti, le conseguenti svalutazioni, l’inesorabile caduta del prezzo del petrolio e delle
commodities, la deflazione a stento controllata, la mina vagante europea dei nonperforming loans che gravano sui bilanci
delle banche, per non parlare del nemico
alle porte e dell’orda dei profughi: i tecnocrati di Bruxelles sminuiscono questi cavalieri dell’apocalisse chiamandoli downside risks, ma le previsioni 2016 della Commissione europea del 4 febbraio (tavola 1)
sono oggi carta straccia.
Già nel 2015 il contributo alla crescita del Pil delle esportazioni nette è stato negativo e persino le ireniche previsioni Ue prevedono un peggioramento per il
2016: le svalutazioni nei paesi emergenti e il crollo del greggio hanno già fatto
fare un balzo nel 2015 alle nostre ragioni di scambio (ossia il rapporto fra i prezzi dell’export e quelli dell’import) e, nonostante la riduzione dei costi unitari reali
del lavoro che proseguirà nel 2016, in virtù di una rassegnata moderazione salariale e dei recuperi di produttività, è impossibile frenare l’emorragia di risorse verso il
resto del mondo. Solo la Germania, con il
suo avanzo scandalosamente alto del saldo delle partite correnti (8,8 per cento del
Pil), può rimanere indifferente ai rischi di
una nuova recessione, restando in vigore il Patto di bilancio europeo. Per noi e
per i Paesi del Sud Europa sarebbe la fine.
La crescita del Pil, già inferiore al previsto
per il 2015, farà rivedere al rialzo la previ-
È uno scenario di resilienza della disoccupazione:
gli attuali tassi di crescita non la riassorbiranno
mai. le persone in cerca di lavoro sono talmente
tante da non incontrare più attenzione ma irritazione
un’Italia che nel 2013 decresceva dell’1,7
per cento, con una coda recessiva che si
estenderà fino al 2014, al primo anno di
governo Renzi (-0,4 per cento). Ma questo
0,6 per cento di crescita nel 2015 è troppo più vicino allo zero del previsto. E pare
destinato a divenire zero se non a calare sotto zero. Le variazioni congiunturali del Pil (ossia trimestre su trimestre precedente) nel 2015 mostrano che la crescita ha decelerato in modo lineare nel corso dell’anno: 0,4 per cento nel primo trimestre, 0,3 nel secondo, 0,2 nel terzo e 0,1
nel quarto. Non ci vuole uno scienziato
missilistico per capire come procederanno le cose. Nelle scorse nerissime giornate le borse lo hanno già dato per scontato.
sione per i rapporti deficit/Pil e debito/Pil.
Il primo era stato portato da Renzi dal -2,9
per cento del 2013 al -2,6 del 2015, non
certo “affamando la bestia” delle burocrazie ministeriali romane, ma facendo pagare il conto alle amministrazioni locali e ai
cittadini. L’aumento dell’Iva è comunque
dietro l’angolo. Sull’altro rapporto, quello
fra debito e Pil, nulla ha potuto nemmeno Renzi: era al 128,8 per cento nel 2013
ed è cresciuto arrivando al 132,8 nel 2015.
Negli scorsi giorni i mercati hanno riportato in voga lo spread. Riuscirà mai Renzi
a convincere l’Europa a procedere a politiche espansive straordinarie che la salvino dal latente default di sistema? Un New
Deal. Non demo di Powerpoint.
n
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| 24 febbraio 2016 |
21
VOSTRO ONORE
MI OPPONGO
uN’INGIuSTIzIa INTOllERabIlE
Giuristi e magistrati sono
d’accordo: perché l’innocente
deve pagarsi l’avvocato?
|
DI MauRIzIO TORTORElla
N
2012 ci provò un deputato di Forza Italia, Daniele Galli: presentò
una proposta di legge per obbligare lo Stato a rifondere le spese legali del
cittadino che viene imputato in un processo penale e ne esce assolto con
formula piena. Non venne mai nemmeno discussa. Eppure affrontava una delle
peggiori ingiustizie italiane. Ogni anno in questo paese si aprono 1,2 milioni di
procedimenti penali, più alcune centinaia di migliaia di processi tributari. Gli assolti, alla fine, sono la maggioranza: secondo alcune stime sono quasi i due terzi del
gare dei pubblici ministeri; ma ha anche
totale. Moltissimi sono quelli che escono dalle aule di giustizia assolti con una «forl’obbligo di risarcire l’avvocato all’innomula piena», come si dice, e cioè perché il fatto non sussiste o per non avere comcente che senza alcun motivo ha dovumesso il fatto. Costoro, però, devono comunque pagare di tasca propria l’avvocato
to affrontare spese legali, spesso elevate».
e i professionisti di parte: periti, tecnici, consulenti.
Giorgio Spangher, docente di procedura
Si tratta di cifre a volte importanti. La famiglia di Raffaele Sollecito, processapenale alla Sapienza di Roma, ipotizza un
to per otto anni come imputato per l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, ha
fondo «che provveda almeno in parte a indovuto pagare 1,3 milioni di euro. Elvo
dennizzare le spese sosteZornitta, accusato ingiustamente di essenute», come già avviene
OGNI aNNO IN quESTO PaESE SI aPRONO
re «Unabomber», il terrorista del Nord-Est,
per l’ingiusta detenzione.
1,2 MIlIONI DI PROcEDIMENTI PENalI,
dovrebbe pagarne 150 mila al suo avvocaCerto, il problema (coPIù alcuNE cENTINaIa DI MIGlIaIa DI
to. Giuseppe Gulotta, vittima del peggiore
me sempre in questi casi)
errore giudiziario nella storia d’Italia (22
sono le casse dello Stato:
PROcESSI TRIbuTaRI. GlI aSSOlTI, alla
anni di carcere da innocente) dovrebbe afcon la Legge di stabilità
fINE, SONO la MaGGIORaNza. cOSTORO,
frontare una spesa da 600 mila euro. Ci soil 2016 il governo ha
PERò, DEVONO PaGaRE DI TaSca PROPRIa per
no poi tantissimi casi nei quali anche parappena dimezzato e reso
aVVOcaTO E PROfESSIONISTI DI PaRTE
celle da alcune decine di migliaia di euro
praticamente inaccessibirappresentano la rovina economica.
li le disponibilità previste
Per tutto questo l’«ingiusta imputaviando numerose proposte di legge tra- per la legge Pinto, la norma che dal 2001
zione» è anche un’ingiustizia intollerasversali, da destra a sinistra, e sia alla Ca- indennizzava gli imputati vittime della
bile per uno Stato di diritto. Ma lo è anlunghezza dei processi a un ritmo di cirmera sia al Senato.
che per l’esempio che viene dall’estero:
ca 500 milioni l’anno. Sarà forse difficiLe (povere) casse dello Stato
in Gran Bretagna e in altri 31 paesi eule, pertanto, che si possa mettere in atto
ropei, dall’Albania all’Ungheria, l’ordiDel resto, anche importanti giuristi e ma- qualcosa di valido sul rimborso delle spenamento giudiziario prevede che sia rigistrati concordano con l’idea. Carlo Nor- se legali. Ma non può essere questa la scuconosciuta la compensazione delle spese
dio, procuratore aggiunto di Venezia, si sa per distogliere lo sguardo da una vera
legali per l’imputato assolto con formula
dice convinto che sia «una fondamenta- ingiustizia. Se sei stato accusato di un repiena. Il settimanale Panorama ha dedile questione di giustizia: con il discutibi- ato ma sei innocente, non è giusto che sia
le principio dell’obbligatorietà dell’azione tu a pagare l’avvocato: deve farlo lo Stato.
cato al tema una storia di copertina, che
penale, lo Stato stabilisce il dovere d’indaha suscitato interesse in Parlamento, avTwitter @mautortorella
el febbraio
|
| 24 febbraio 2016 |
23
COPERTINA
GAME OVER
Una Rete
di sconnessi
In Corea del Sud può mancare il pane,
ma il wi-fi è ovunque. Il 70 per cento degli
abitanti possiede uno smartphone. E l’esplosione
del digitale ha reso i giovani «pesantemente
dipendenti da internet» e incapaci di vivere
|
DI LEONE GROTTI
COPERTINA GAME OVER
26
| 24 febbraio 2016 |
|
nel cuore della
corea del sud 5 mila
ragazzi tra i 10 e i
18 anni vivono in un
campo. non devono
disintossicarsi
da droga o alcol
ma da internet e
dagli smartphone
ti gli effetti, praticato da un abitante su
due. Milioni di persone spendono abitualmente ore su videogiochi come StarCraft,
World of Warcraft o League of Legends. Il
giro d’affari è enorme: le due principali
aziende sudcoreane sviluppatrici di giochi del computer hanno avuto un utile
netto nel 2012 di 330 milioni di dollari. La
maggior parte dei giovani e meno giovani
non gioca in casa ma al costo di un dollaro all’ora negli oltre 20 mila internet caffè o nei cosiddetti “Pc Bang”, dove le sale
sono divise in centinaia di piccoli blocchi,
o loculi, separati l’uno dall’altro da pareti, dotati di computer a massima velocità.
Il fuoriclasse
Giocare può essere
anche un’attività remunerativa e a tempo pieno: ci sono dieci leghe
di professionisti per i
principali videogiochi
e squadre regolarmente stipendiate (famosa
la KT Rolster), dove gli
“atleti” vivono insieme,
si allenano per almeno
otto ore al giorno e vanno in ritiro prima dei
match. I tornei nazionali e internazionali, che
si svolgono in sale enormi simili a stadi, con tanto di pubblico
osannante, vengono trasmessi in diretta
su due canali televisivi specializzati che
offrono informazione sui videogiochi 24
ore su 24. I canali sono seguiti da 10 milioni di persone e i campioni sono visti come
i calciatori o le rockstar e vengono inseguiti dalle ragazzine per gli autografi e i selfie. Il fuoriclasse leggendario di StarCraft,
Yo Hwan-lim, soprannominato “Imperatore”, tra tornei e sponsor è arrivato a guadagnare 350 mila euro all’anno.
Una simile esplosione e diffusione
della tecnologia, che non ha pari in nes-
NEL 2010 UNA COPPIA
HA LASCIATO MORIRE
DI STENTI IL PROPRIO
FIGLIO MENTRE
SI DILETTAVA CON
SESSIONI DI 12 ORE
AL GIORNO DI PRIUS,
GIOCO DOVE BISOGNA
CRESCERE UNA
BAMBINA VIRTUALE
sun altro paese al mondo, ha degli effetti collaterali. Secondo l’ultima ricerca del
ministero della Scienza e tecnologia il
30 per cento dei giovani è «pesantemente dipendente dagli smartphone e da
internet», il 17,8 per cento in più rispetto al 2011. Stiamo parlando di almeno
2,4 milioni di persone, in crescita rispetto al 2010 (1,7 milioni) e al 2000 (500
mila). La maggior parte di loro è sulla
ventina e trentina. Il 50 per cento degli
intervistati ha ammesso che quando non
può usare il cellulare diventa nervoso e
che ormai chattare sui social network è
Foto: Ansa
C’
è chi ha nascosto lo
strumento proibito
nel doppiofondo della valigia per usarlo
di nascosto lontano
da occhi indiscreti e
c’è anche chi si è svegliato nottetempo,
buttandosi addosso al buio quello che
capitava, sgattaiolando fuori dalla camera, scavalcando il recinto del campo per
scappare e raggiungere a piedi la città più
vicina, a oltre due chilometri di distanza. Sono tanti a subire crisi di panico nel
Centro nazionale per la cura dei giovani
dipendenti a Muju, nel cuore della Corea
del Sud. I circa cinquemila ragazzi tra i
10 e i 18 anni ospitati nel campo aperto da un anno, non devono disintossicarsi da droga o alcol ma da internet e dagli
smartphone.
La Corea del Sud è il paese più connesso al mondo e non c’è sperduta cittadina che non sia raggiunta dalla fibra ottica. Nella patria di Samsung c’è la più alta
percentuale di penetrazione di smartphone tra la popolazione: il 70 per cento dei
50 milioni di abitanti, cioè oltre 35 milioni, ne ha uno ma il dato, che per il Wall
Street Journal salirà nel 2017 all’85 per
cento, già raggiunge quasi il 90 per cento
se si considerano solo i giovani a partire
dai 6 anni (erano il 21,4 nel 2011). Il cellulare è considerato così indispensabile che
Samsung, insieme al gestore telefonico SK
Telecom e d’accordo con il governo, metterà gratis a disposizione per i turisti stranieri 250 telefonini a settimana, da restituire alla fine del soggiorno.
Nella metà meridionale della penisola di Corea può mancare il pane, ma non
la rete. Se il 15 per cento della popolazione circa vive sotto la soglia della povertà,
il 97 per cento delle case dispone di una
connessione veloce e a basso prezzo (in
Italia il 64 per cento). Il paese ha anche la
banda larga migliore del mondo, con una
velocità media di 23,6 mega al secondo. Il
wi-fi copre ogni singolo angolo del territorio ed è così avanzato che è usuale per i
giovani guardare televisione e film in live
streaming anche in metropolitana senza
rallentamenti. La tecnologia ha cambiato
i costumi. Il 66,7 per cento dei sudcoreani
che hanno internet guarda i film online e
il televisore sta cadendo in disuso. Anche
la pubblicità si sta spostando di conseguenza e solo nel 2015 un miliardo e 461
milioni di euro sono stati spesi in pubblicità su siti e app.
Le connessioni ultraveloci favoriscono anche l’uso di videogiochi. Giocare su
internet non è un passatempo in Corea
del Sud ma uno sport nazionale a tut-
un’abitudine che distoglie dallo studio e
dal lavoro. La dipendenza digitale resta
un concetto controverso e non è riconosciuta dall’American Psychiatric Association come disturbo, ma per gli psicologi
sudcoreani è connessa ad ansia, aggressività, problemi cognitivi, scarsa memoria,
inferiore sviluppo del cervello, fino a una
vera e propria «demenza digitale».
In Corea del Sud se ne parla da almeno vent’anni ma è nel 2010 che la patologia ha conquistato le prime pagine di
tutti i giornali. Quell’anno, infatti, si è
svolto il processo a una coppia sposata
che ha lasciato morire di stenti il proprio figlio mentre si dilettava con sessioni da 12 ore al giorno di Prius Online,
un gioco fantasy 3D dove bisogna crescere una bambina virtuale. Il governo allora ha cercato di correre ai ripari: prima
ha approvato la “legge Cenerentola”, che
limita agli under 16 l’accesso ai giochi
online da mezzanotte alle sei del mattino. Dopo il fallimento di questa misura, ha stanziato 400 euro per ogni giovane che desideri farsi curare in ospedale o
nei campi di riabilitazione sparsi un po’
ovunque nel paese.
«Senza cellulare sono spacciato»
Nel campo di Muju, dove i giovani soffrono di crisi di astinenza, si cerca di far
riscoprire il gusto della realtà e delle relazioni umane. I corsi durano tre o quattro
settimane e si svolgono attività semplici
come giochi di società, gite in montagna,
corse all’aria aperta, sport, musica. Ma
anche una partita a briscola è vista come
rivoluzionaria. Yoon Yong-won, 18enne di
Pocheon, a nord della capitale Seul, ha
passato un’intera estate a giocare al computer 14 ore al giorno. Quando la scuola è
ripresa ha diminuito il tempo dedicato al
display del pc o del telefonino di due ore,
ma ai genitori non è bastato. E a dicembre
l’hanno iscritto nel centro per un ciclo di
riabilitazione di 27 giorni. «Quando sono
arrivato e mi hanno tolto il telefono di
mano ho pensato: “Sono spacciato”», ha
dichiarato al Washington Post. «Mi sentivo in carcere e sognavo di chattare». Non
è certo l’unico a non essere più capace di
condure una vita “analogica”. Yoon Sukho, 14 anni, ha lo stesso problema: «Mia
mamma mi ha obbligato a venire qui.
Quando mi hanno costretto a consegnare
il telefonino e l’hanno chiuso nella cassetta di sicurezza mi sono detto: “Come posso vivere senza?”».
Il problema secondo Kim Nam-hee,
membro di un’associazione nata per aiutare i giovani a disintossicarsi, è che «gli
smartphone rischiano di farci diventare schiavi imbelli, senza cervello. Se si fa
un cattivo uso del telefonino non si consente al cervello di potenziare quelle stesse abilità che hanno consentito l’invenzione degli smartphone. Non è ironico?». Per
Byun Gi-won, dottore e ricercatore a capo
del Balance Brain Center, «l’abuso dello
smartphone e dei videogiochi danneggia
il cervello, perché ne fa sviluppare la parte sinistra, lasciando quella destra sottosviluppata». I primi a preoccuparsi sono
i genitori. Park Sung-hee è madre di due
figli e non sa bene quali contromisure
prendere: «Giocano anche di notte e non
sono più capaci di comunicare o godere
di altre cose nella vita».
Cinquanta ore non stop
L’incapacità di godere della vita è una
delle conseguenze cruciali della patologia digitale. Il dottor Lee Tae Kung, che
ha messo in piedi un programma speciale per curare la dipendenza, si è ispirato a
un romanzo degli anni Settanta del celebre autore tedesco Michael Ende: Momo.
«Quando giochiamo, il tempo nel gioco
scorre più veloce che nella realtà e i giocatori non si accorgono di quello che passa nel mondo reale». Il suo programma
si chiama Hora (“felicemente spenti [non
connessi] per recuperare l’autonomia”),
che è anche il nome del personaggio che
nel libro di Ende amministra il tempo e
aiuta Momo a sconfiggere i Signori grigi.
Queste losche figure, con la scusa di insegnare agli uomini a risparmiare il tempo, li schiavizzano spingendoli a evitare ogni azione che porti senso e soddisfazione alla vita. I Signori grigi di oggi per
il dottor Lee, neanche a dirlo, sono internet, gli smartphone e altri strumenti digitali. E come mastro Hora, quando la sua
casa al mattino è assediata dai Signori grigi, alla domanda allarmata di Momo «E
ora cosa facciamo?», risponde «Dobbia|
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COPERTINA GAME OVER
mo fare colazione», così Lee cerca di far
riscoprire ai suoi pazienti le cose semplici e banali della vita.
Con Kim Sang-ho il progetto ha funzionato. A 24 anni sapeva di avere un problema serio: «Una volta ho giocato al computer per 27 ore di fila. Mi sono seduto
in una Pc Bang e ho cominciato. Mi sono
alzato solo due volte per andare al bagno».
Questo atteggiamento è molto pericoloso: nel 2005 a Taegu un uomo di 28 anni
è morto per aver giocato per 50 ore di fila,
accasciandosi sulla tastiera del computer.
La mancanza di sonno e cibo gli ha causato una insufficienza cardiaca. Kim dopo
un mese senza internet passato a svegliarsi alle 6.30 e andare a letto alle 22.30, suonando strumenti musicali, passeggiando
e chiacchierando, si sente rinato. «Ora posso pensare chiaramente, riesco a concentrarmi sulle cose e gioco meno. Passavo
tanto tempo al computer perché non volevo avere niente dalla vita. Al campo ho scoperto che mi piacerebbe fare il medico».
L’obiettivo è restituire l’uomo a se stesso
perché a forza di guardare telefonini, oltre
alle relazioni umane, anche i desideri si
spengono o vengono inibiti.
Un problema educativo
Finché si è dentro il campo, la terapia
sembra funzionare. «A casa giocavo solo
al computer, ma qui parliamo anche tra
di noi. Non è così male», ammette un
14enne. Per quanto le cliniche di disintossicazione da web possano essere utili,
la verità è che la “recidiva” una volta tornati alla vita di tutti i giorni è altissima.
Il problema, infatti, è soprattutto educativo e difficilmente può essere risolto dal
governo. Spiega Lee Jung-hun, psichiatra
e docente presso l’Università cattolica di
Daegu: «Molte giovani madri oggi fanno
giocare i figli con i telefonini per troppe
ore al giorno pur di avere un po’ di pace
in casa. Questo è davvero pericoloso. Più
sei giovane, più è facile diventare dipendenti». Forse l’unico luogo dove la dipendenza può davvero essere combattuta in
modo efficace è la famiglia secondo Eom
Na-rae, della National Information Society
Agency: «La dipendenza da internet è difficile da reprimere. Spesso i genitori non
hanno tempo di prendersi cura dei figli
e non si accorgono dell’eccessivo uso che
fanno dei telefonini. Ma sono le famiglie
le prime a dover fare più attenzione». n
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DI RODOLFO CASADEI
Sottomessi
alla reputazione
Così l’abuso di tecnologia ha convinto l’uomo a
sfruttare se stesso senza bisogno di costrizioni.
La denuncia geniale di tre intellettuali
C
he le tecnologie informatiche possano generare dipendenza e fare
male alla salute lo dicono in tanti; che stiano cambiando l’essere umano in peggio e lo stiano disumanizzando lo denunciano genialmente alcuni
intellettuali delle più diverse estrazioni.
Per Fabrice Hadjadj le nuove tecnologie
informatiche sono alla base della disincarnazione che mette a rischio l’umanità
dell’uomo tanto quanto le biotecnologie
che lo riducono a fattori materiali scomponibili e ricomponibili. La comunicazione tramite schermo attenta alla famiglia come luogo di comunione e di generazione affettiva dell’umano, impedendole di riunirsi veramente attorno alla tavola: «Qual è il luogo dove si tesse il tessuto
familiare? Dove le generazioni si incontrano, conversano, talvolta litigano e tuttavia, attraverso l’atto molto primitivo di
mangiare insieme, continuano a condividere e a essere in comunione? Questo
luogo è tradizionalmente la tavola. Oggi
invece sempre di più ciascuno mangia
davanti alla porta del frigorifero per tornare più rapidamente al proprio schermo
individuale. Non si tratta nemmeno più
di individualismo, ma di “dividualismo”,
perché su quello schermo ciascuno apre
più finestre e si divide, si frammenta, si
disperde, perde il suo volto per diventare
una moltitudine di “profili”, perde la sua
filiazione per avere un “prefisso”. La tavola implica il raggrupparsi, entro una trasmissione genealogica e carnale. Il tablet
implica la disgregazione, entro un divertimento tecnologico e disincarnato. Se la
tavola scompare, è anche perché l’adolescente diventa capofamiglia: è lui che sa
maneggiare meglio gli ultimi gadget elet-
tronici, e né il nonno né il papà hanno
niente da insegnargli». Se applicate troppo entusiasticamente all’evangelizzazione, le tecnologie informatiche rischiano di corrompere il cuore stesso dell’Annuncio: «Il mezzo impone al messaggio il
suo format. Se questo mezzo è il Mediatore (Cristo, come si legge nella lettera agli
Ebrei, 8,6) in carne e ossa, il format si trasmuta in forma divina: il precetto diventa presenza, il corpus di regole corpo, la
notifica volto, il messaggio mistero. Se il
mezzo è informatico, il format non è più
quello del Servitore sofferente ma del server: tutto si riduce a informazione automatizzata, e la presenza diventa download, il corpo bit e pixel, il volto “profilo”, il
mistero “messaggio”… Si può diffondere
il Vangelo attraverso Twitter, in brani di
140 caratteri, ma significa ridurlo a slogan. Peggio: è fare come se il Vangelo fosse una notificazione intorno a qualcosa, e
non un incontro con qualcuno».
La cultura del “rating”
Bret Easton Ellis, l’autore del romanzo American Psycho, ha scritto uno strepitoso commento sul New York Times a
proposito dell’“economia della reputazione” che la cultura del “like” e del “rating”
dominante su internet e nei social media
ha reso pervasiva. Non solo mettere dei
“like” ed effettuare valutazioni di servizi permette alle imprese di fare il nostro
ritratto di consumatori e di sfruttare i
dati che in questo modo trasmettiamo.
Ma la consapevolezza che oltre a valutare siamo valutati dagli altri – imprese e
utenti – ci trasforma in soggetti impauriti e assoggettati al politicamente corretto, conformisti e intruppati per non
essere messi ai margini e quindi privati delle opportunità sociali ed economiche. Easton Ellis deplora «questo fiorire
del culto del “like” e la temuta nozione di
“relazionabilità” che ultimamente riduce ciascuno a un’arancia meccanica neutralizzata, asservita allo status quo imposto dalle corporation. Per essere accettati dobbiamo seguire un codice di moralità positivo in forza del quale deve piacerci tutto e la voce di tutti deve essere
rispettata, e ogni persona che ha un’opinione negativa – un “dislike” – sarà esclusa dalla conversazione. Chiunque resista
al pensiero di gruppo sarà spietatamente svergognato. (…) Anziché abbracciare
la natura genuinamente contraddittoria
degli esseri umani, con tutte le loro faziosità e imperfezioni, continuiamo a trasformarci in virtuosi robot». Ma anche
sottomettersi all’economia della reputazione ha conseguenze dolorose: «L’economia della reputazione è l’ennesimo esempio di addolcimento dei costumi, e tutta-
Ma il più tagliente di tutti i critici della rete di livello accademico è senz’altro
Byung-Chul Han, filosofo coreano che
insegna da molti anni presso l’Università delle Arti di Berlino ed è autore di una
serie di libri sull’argomento che sono
punti di riferimento ineludibili, soprattutto Nello sciame. Visioni del digitale e
Psicopolitica (che attualmente esiste solo
in tedesco e in spagnolo). Per lui è a causa delle nuove tecnologie che quelle che
in passato erano le masse, poi la folla
(Gustave Le Bon) e infine le moltitudini
(A. Negri – M. Hardt), soggetti reali potenzialmente rivoluzionari, sono diventati
lo “sciame digitale” dei nostri giorni: una
folla senza anima incapace di un “noi”
reale, puro insieme di dati sfruttabili dalle aziende, capace di emozioni intensissime ma senza durata.
Per capire il ruolo delle tecnologie
informatiche nel sistema di dominazione odierno, bisogna anzitutto capire che
il capitalismo neoliberista ha convinto
«l’imposizione del pensiero di gruppo ha
aumentato ansia, paranoia, e l’incessante
bisogno di piacere e ricevere “like”»
via l’imposizione del pensiero di gruppo
ha solo aumentato l’ansia e la paranoia,
perché le persone che abbracciano l’economia della reputazione sono, come è
ovvio, le più spaventate di tutte. Cosa succede se perdono quello che è diventato il
loro bene più prezioso? L’adesione all’economia della reputazione è un minaccioso
promemoria di quanto economicamente
disperate siano le persone e del fatto che
gli unici strumenti che hanno per salire
sull’ascensore economico è la loro reputazione brillantemente in ascesa. Cosa che
aumenta la loro incessante preoccupazione circa il loro bisogno di piacere, di ricevere dei “like”».
l’uomo a sfruttare se stesso senza bisogno di costrizioni. Come dice Han a Federica Buongiorno in un’intervista apparsa su Doppiozero, «Oggi il corpo non è
più un mezzo di produzione. Foucault
parla in riferimento alla biopolitica della “popolazione”, ma oggi non abbiamo
a che fare con la popolazione bensì con
uno sciame digitale, con una massa digitale che va controllata e governata. L’analisi del potere foucaultiana vale soprattutto per una società che si fonda sulla
repressione: ospizi, manicomi, prigioni,
caserme e fabbriche sono istituti di questa società. Al loro posto è subentrata già
da molto tempo una società di tutt’altro
tipo, vale a dire una società composta di
centri commerciali, palestre, centri yoga.
Non è possibile descrivere l’odierna società della prestazione attraverso l’analisi del potere di Foucault. La produzione
non si basa, attualmente, sulla repressione e sullo sfruttamento da parte di estranei, non reprime la libertà ma ne fa uso.
Siamo noi stessi a sfruttarci: questo autosfruttamento è assai più efficace nella
misura in cui si accompagna al sentimento della libertà».
Il consumo di emozioni
La libertà si riduce a un’apparenza asservita agli scopi del lavoro. Il tele-lavoro,
la raggiungibilità universale garantita
dagli smartphone e dai computer portatili garantiscono la continuità del lavoro, dal quale è sempre più difficile “staccare”. «Ho sostenuto – dice Han – che lo
smartphone è una forma di campo di
lavoro. Con lo smartphone noi ci portiamo dietro un campo di lavoro. Esso ci
promette la libertà, ma di fatto è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza. Il
tratto peculiare del contemporaneo campo di lavoro è che siamo al tempo stesso
detenuti e sorveglianti. Non siamo servi,
soggetti allo sfruttamento di un padrone.
Piuttosto, siamo insieme servi e padroni».
L’altro modo in cui le nuove tecnologie realizzano l’alienazione umana è
l’emozionalizzazione della comunicazione prodotta dal suo incremento di velocità: «L’accelerazione della comunicazione favorisce la sua emozionalizzazione,
dal momento che la razionalità è più lenta dell’emotività. La razionalità è senza
velocità. Per questo l’impulso acceleratore conduce alla dittatura dell’emozione».
«Gli oggetti non possono essere consumati all’infinito, le emozioni invece sì. Le
emozioni sono dispiegate al di là del valore d’uso. Quindi si apre un nuovo campo
di consumo con caratteristiche infinite».
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SOCIETÀ
LA CONVIVENZA IN PERICOLO
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DI LUIGI AMICONE
Via dal lager
delle “libertà”
Si respira una chiara mistica totalitaria nel moderno
supermarket “concentrazionario” dove la felicità è
un diritto e la realtà un pericolo. Per lo psicanalista
Binasco la democrazia può salvarsi solo in una nuova
«amicizia con l’imperfezione dell’umano» (Ratzinger)
L
a discussione sul ddl cirinnà è sembrata a tutti gli effetti un grande e
rumoroso dialogo tra sordi. D’altra
parte, il cosiddetto “muro contro muro”
comincia quando il testo viene sospeso
in commissione e il governo Renzi compie il blitz di portarlo direttamente al
voto, calpestando la procedura costituzionale, articolo 72. Ne parliamo con lo psicanalista lacaniano Mario Binasco, uno
degli esperti convocati in Senato lo scorso anno durante le audizioni sulla proposta di legge in materia di unioni civili e
adozioni gay.
In effetti, il Family Day ha segnato una
svolta nel dibattito pubblico sulla Cirinnà. Non crede?
Il tratto comune dei commenti che
hanno investito sui media la gente del
Circo Massimo è proprio la negazione,
il rifiuto di prendere in conto la realtà
di ciò che è accaduto, a cominciare dal
carattere incredibilmente disarmato, non
aggressivo e pacifico della gente presente e del desiderio di legame umano che
esprimeva. Quella gente semplicemente c’era, e non doveva esserci: per questo si deve dire di loro tutto il male possibile, perché non sono interlocutori ma
fuorilegge politici. Da qui l’odio riversato su di loro da quegli stessi che accusano loro di “hate speech”. Ma non c’è da
restare stupiti.
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Perché?
Perché la realtà non deve più essere un riferimento e non deve interessare a nessuno: contano solo quell’insieme
di deliri di negazione chiamati “politicamente corretto”. Due esempi tra tanti: per
quarant’anni ci siamo sentiti ripetere che
al mondo eravamo troppi, che era criminale mettere al mondo figli, che saremmo
morti di fame, eccetera. Un tabù totale,
solo la Fondazione Agnelli ha potuto dire
che c’era un problema demografico, che
oggi appare tragico eppure ancora velato nei media. Un altro esempio attuale è
la totale afasia e paralisi del pensiero di
fronte all’islamismo politico chiaramente incombente: eppure, chi di noi avrebbe mai immaginato di trovarsi a guardar
decapitare cristiani in televisione?
Perché questa “paralisi del pensiero”?
Negare la realtà non aiuta certo il pensiero. Il meccanismo dominante è quello descritto da Ratzinger nel 1986 in una
strepitosa e lucida serie di saggi sulla Chiesa e la politica, dove si interroga su ciò che
minaccia la democrazia e può portare alla
sua negazione. Dice Ratzinger che «anzitutto c’è l’incapacità di fare amicizia con
l’imperfezione delle cose umane»: per
questa incapacità, lui dice, «il desiderio di
assoluto nella storia è il nemico del bene
che è nella storia», è «una rêverie», un
sogno a occhi aperti «che scaturisce dalla
noia per ciò che esiste…». «Il mondo perfetto… non esiste. La sua continua aspettativa è la minaccia più seria che incomba su di noi… perché di qui nasce fatalmente l’onirismo anarchico. (…) È necessario riapprendere il coraggio di ammettere l’imperfezione e il continuo stato
di pericolo delle cose umane». «Immorale è quell’apparente moralismo che mira
ad accontentarsi solo del perfetto». E poi
l’elemento diagnostico più importante:
«L’idea che tutta la storia passata è stata
storia della non libertà, ma che finalmente ora o tra poco si potrà o si dovrà costituire la società giusta, è un’idea oggi diffusa», nella quale «in una strana maniera
ritorna la mistica del Reich».
Parole grosse da un uomo così mite. Ci
spieghi.
Noti: ogni volta che si introduce un
nuovo diritto, lo si propone come un guadagno di libertà per qualcuno, ma nello
stesso tempo lo si afferma come un diritto assoluto ed eterno che è lì da sempre
(anche se mai pensato prima), un diritto
che è un dovere imperativo riconoscere:
così, in un sol colpo tutti ci troviamo in
fuorigioco, criminalizzati come complici
di una lesione della libertà, quindi se solo
chiediamo tempo per pensare, siamo già
degni dei peggiori epiteti. Non contano
gli argomenti di realtà, c’è solo un imperativo: reintrodurre la libertà nella sto|
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socIetà LA CONVIVENZA IN PERICOLO
ria che appunto è sempre storia della
non libertà. È un meccanismo diabolico.
Scusi, ma perché dovremmo fare amicizia con l’imperfezione? E perché sarebbe immorale accontentarsi solo del
perfetto? “Accontentarsi” ha un senso
negativo, di solito significa rinunciare al
perfetto. Ma il perfetto non dovrebbe
essere proprio il culmine della moralità?
Noti che Ratzinger non dice “tollerare” l’imperfezione, ma proprio “fare amicizia con”. Questo è decisivo. L’imperfezione delle cose umane non è un accidente che è possibile eliminare: è impossibile
per le cose umane essere perfette. Questa
impossibilità di perfezione è l’uomo stesso, e se non facciamo amicizia con essa
non facciamo amicizia con l’umano. Solo
questa amicizia può far convivere le persone in un modo decente, e far convivere
ciascuno con se stesso, perché l’imperfezione che non sopportiamo negli altri è
la proiezione dell’imperfezione che non
sopportiamo in noi stessi. Perciò Ratzinger dice che è pura immoralità voler eliminare l’imperfezione in nome del perfetto. Così si vede dove sta il vero moralismo assassino.
Cosa c’entra la psicanalisi con tutto ciò?
Senza amicizia con l’imperfezione
delle cose umane, come sarebbe possibile la psicanalisi? Per Lacan è stato un fatto di carità incredibile che Freud abbia
attribuito a ciascuno un inconscio: e sì
che l’inconscio è considerato causa dei
sintomi e dei problemi che uno porta
dall’analista. La cura psicanalitica esiste
proprio per questo desiderio di fare amicizia con ciò che non va nella vita, desiderio di sapere come è fatto, di dargli voce,
di prenderlo sul serio invece di cercare di
eliminarlo o di renderlo mai avvenuto. È
solo così che il desiderio dell’analista può
incontrare e interpretare il desiderio del
soggetto, rendendogli non impossibile
assumerlo in un modo più umano. Se permette un filo di ironia, l’analisi in questo
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senso è un concentrato di opere di misericordia. La misericordia è inconcepibile al
di fuori di questa amicizia con l’imperfezione, sarebbe un moralismo devastante
che non fa i conti con ciò che è impossibile all’uomo nella sua vita. La psicanalisi è
una via che permette di assumere questa
impossibilità e di farne una risorsa per
vivere umanamente. Per Lacan il discorso capitalistico (come antropologia e biopolitica, non come semplice economia
di mercato) rigetta dal suo programma
questa impossibilità (nel gergo analitico:
“castrazione”). Che cosa rigetta? La constatazione che la felicità umana è legata
a condizioni impossibili – il che non vuol
dire che non accadano, ma appunto sono
avvenimenti e non sono effetti di un programma né tecnico né politico. L’impossi-
pensiamo che il desiderio sia l’essere stesso dell’uomo? Metaforicamente parliamo
dei desideri come di bisogni. Ma strutturalmente il desiderio umano è molto
diverso dal bisogno, non è come un sacco
vuoto più o meno grande che gli oggetti
del desiderio devono riempire (casomai è
come un aspirapolvere).
“Protect Me From What I Want”.
Proteggimi da ciò che desidero. Non è
interessante che un analista delle piattaforme digitali e Big Data, il coreano
Byung-Chul Han, abbia posto in esergo
al suo ultimo saggio (Psicopolitica) il titolo di una canzone del complesso rock
Placebo?
Il desiderio genera angoscia perché
porta al di là di te stesso: non funziona da
sé solo, ma si mette in moto sempre attra-
«Per Lacan IL dIscorso caPItaLIstIco rIgetta IL fatto
che La feLIcItà è Legata a condIzIonI ImPossIbILI – IL
che non vuoL dIre che non accadano, ma sono aPPunto
avvenImentI, non effettI dI un Programma PoLItIco»
bile è il reale, dice Lacan, e dunque l’essere umano stesso è qualcosa di impossibile, è impastato di impossibile. In un altro
linguaggio si può dire che è un miracolo
ambulante. Per questo, chi vuole prendere sul serio l’essere umano deve prendere
sul serio questa impossibilità strutturale.
Al contrario, oggi proprio la felicità da
possibile è diventata necessaria. Ribattezzata benessere e poi salute, è diventata un diritto.
È così, per questo i problemi reali e
strutturali della vita umana sono diventati illeciti, antigiuridici. Questo permette di capire meglio un apparente paradosso o contraddizione: se la noia di ciò
che esiste, il desiderio di qualcosa d’altro
o di felicità è ciò che motiva l’immaginazione e poi la richiesta di nuovi modi di
vita (nella sessualità, nel diritto, eccetera),
come si può andare contro il desiderio, se
verso la domanda rivolta all’Altro (fin da
neonati), vuole agganciarsi al desiderio
dell’Altro che ti precede e che ti dà consistenza. Il soggetto chiede all’Altro di riconoscere il suo desiderio e insieme di interpretarlo, di dargli una forma perseguibile. È lì che si infila, come fattore inizialmente decisivo, il tipo di desiderio che
l’Altro esercita nei tuoi confronti. E quando questo è un desiderio di morte? O di
distruzione? O di ridurti a un oggetto che
supporti i suoi godimenti secondo le sue
fantasie? O che tu esista solo per riuscire
dove l’Altro ha fallito? O un desiderio di
negazione della realtà (sessuale, anche),
un desiderio di dormire? In quali imprese
(o in quali inerzie, cedimenti, tradimenti) ti può portare il desiderio dell’Altro al
quale è agganciato il tuo?
Torniamo alla questione della democrazia. Il Papa dice che «è ora di costruire
ponti e non muri», ma non credo che
Francesco sia fan di una sorta di “superdemocrazia” dove ognuno smussa
gli angoli della propria fede, identità e
ragione, per soddisfare il famoso editto
musicale di Jovanotti…
Prima di questo è il caso di prendere atto che c’è un problema nella nostra
democrazia integralista, che non siamo
noi a metterla in pericolo con le nostre
perplessità ed esperienze di vita, ma che
è questa democrazia ad essere ormai un
pericolo per le nostre vite umane. E poi
non userei più categorie che erano già
vecchie negli anni Sessanta e in cui è
veramente impossibile riconoscersi oggi.
Il “muro contro muro”: ma qui l’unico
muro è quello del recinto in cui veniamo
inseriti perché si faccia polpette delle
nostre vite. Qui l’unica arena è il nuovo
Colosseo, il tritacarne mediatico. Oggi si
vede chiaro che la pratica dell’esclusione
dall’“agibilità politica” si è approfondita ed estesa a tutti gli ambiti della società e della cultura: in Italia, da quando la
politica è ricattata dai decisori dello spazio pubblico, e cioè i media e le burocrazie, anzitutto le magistrature; nella
civiltà, da quando la politica è diventata bio-politica, come dice Foucault, cioè
ha voluto includere tutti i fattori corporei, psichici ed etici della vita umana.
Solo che li ha inclusi come fattori negoziabili, cioè scambiabili, commerciabili. Quindi ciascuno può essere ammesso nello spazio pubblico solo se lascia
al guardaroba qualunque suo tratto di
identità vitale (affetti, pensieri, desideri, legami, insomma la verità intima
della sua esistenza). Così sarà il guardiano dello spazio pubblico a dirti che cosa
tu desideri davvero o che cosa ti soddisferà, e ti imporrà la sua interpretazione.
Te la imporrà come si impongono le cose
sul mercato, cioè “fidelizzandoti” al consumo di qualche tua “fissazione”, sganciando la verità dal reale del godimento:
per questo oggi ogni cosa può funzionare come una droga, compresi il lavoro e
il sesso. Naturalmente poi ci vuole qualcuno che vigili che le persone non portino di contrabbando nello spazio pubblico qualche pretesa di verità (personale, mica universale). Questo qualcuno è l’opinione pubblica: così lo squadrismo occasionale dei gruppi rivoluzionari è diventato sempre più lo squadrismo
sistematico dei media, che ormai non
esitano un secondo a massacrare consapevolmente qualcuno sulla base del
niente o di menzogne.
«Il nuovo capitalismo non si limiterebbe
a cambiare un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa… creando come contesto
alla propria ideologia edonistica un
contesto di falsa tolleranza e di falso
ma è la relazione con quel livello reale di
noi stessi da cui sorgono inconsciamente
l’identificazione, il desiderio, l’angoscia,
il panico, la noia, la colpa, il dono, il debito, l’amore, eccetera. Lo spazio pubblico
è sempre più simile ad un campo di concentramento, ha la stessa struttura, basta
non farsi ingannare da certe apparenze
quando si tratta, almeno da noi, di un
campo di concentramento a tre o quattro
stelle Michelin: quel che conta è la logica
secondo cui funziona, non la presenza di
occasioni di godimento. In esso ogni fattore della vita viene ridotto ad oggetto di
godimento, e il desiderio è ridotto al desiderio di consumare, di trarre “un’emozione” come usa dire. Per questo con Lacan e
Pasolini dico che è capitalistico ed è tirannico, anche se oggi commercializza le
«L’unico “Muro” è iL recinto in cui siaMo chiusi perché
si faccia poLpette deLLe nostre vite. iL tritacarne
Mediatico. La pratica deLL’escLusione daLL’“agibiLità
poLitica” orMai si è estesa a tutti gLi aMbiti sociaLi»
laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei
diritti civili». Questo è Pier Paolo Pasolini, anno 1975.
Di un’attualità impressionante. I
media mantengono il carattere rivoluzionario dello spazio pubblico: ma la rivoluzione non è più quella marxista, è la rivoluzione antropologica del tecno-capitalismo, che rottama il soggetto, la persona, e nega “agibilità culturale” ai livelli
originari della relazione che il soggetto
ha con l’Altro, con la realtà, e con se stesso, tutti i livelli che non sono riducibili a
contratti o a scelte arbitrarie, padronali,
perché sono tutti rapporti di dipendenza. Sono quei livelli che ora diverse femministe storiche cominciano a chiamare “il soggetto non sovrano”. Ciascuno di
noi sa che la sua relazione originaria con
l’Altro (madre, padre…) e col proprio corpo sessuato non deriva da un contratto,
libertà sotto l’etichetta dei “diritti”, che
sono la nuova figura della merce. Provi a
immaginare se dovessimo vivere giorno e
notte in un supermercato o in un centro
commerciale: che cosa lo distinguerebbe
da un lager? Pensi a tutti gli aspetti della
vita personale, intima e sociale che sarebbero mutilati di ciò che gli dà per noi il
loro valore insostituibile, di legame umano: e infatti oggi la “cultura” sposata alla
tecnoscienza promuove dichiaratamente il post-umano. Siamo nella democrazia
integralista, che è la sintesi paradossale,
“libertaria” e “concentrazionaria” insieme, di nazismo, fascismo, comunismo
sovietico e cinese: è quella che procede al
grido di “niente discriminazioni!”, e se il
reale (del corpo, per esempio) ti “discrimina”, allora peggio per il reale. Solo che
quel reale lì è il ramo su cui sta seduto
quel soggetto che sei tu.
n
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STILI DI VITA
Piöda goduriosa e altro ancora
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
E
d eccoci di ritorno a Livigno (Sondrio), il piccolo Tibet, una delle più belle stazioni sciistiche italiane. Della difficoltà di fare un pasto davvero gratificante in questa cittadina, vi avevamo già parlato mentre vi raccontavamo del
Cuore di Cembro del bravo Roby Longa: i locali davvero buoni si contano, probabilmente, sulle dita di una mano sola.
Per esempio, La Piöda, il ristorante che la famiglia Cola manda avanti da più
di trent’anni in via Saroch, prima della passeggiata dello shopping. È un posto
che ci mette a nostro agio: la sala in stile montanaro è una vera e propria elegante
bomboniera, adatta anche a circostanze galanti. Il servizio è simpatico e alla mano. La cantina, ricca e molto ben presentata da una bella carta dei vini.
Quanto alla cucina, giova ricordare come la “piöda”, in dialetto locale, sia la
lastra di pietra metamorfica su cui si possono cuocere verdure e soprattutto carni: infatti, qui è possibile farsele da soli. Ma ridurre questo ristorante alla pur goduriosa e divertente piöda sarebbe ingeneroso. Il cuoco porta avanti una linea le
cui fondamenta sono piatti della tradizione attualizzati, a cui si affiancano creazioni non troppo spinte.
Dovreste provare, per iniziare il pasto, l’insalata di lingua di vitello cotta a bassa temperatura con sedano e salsa di arance: davvero azzeccata. Ci sono comunque anche assortimenti di salumi, o gli sciatt, o la tartara di fassone, per non dire
della sfogliatina calda di formaggio d’alpe.
Se tra i primi volete la storia, optate per dei pizzoccheri ghiottissimi, fatti col
Casera della Latteria di Livigno, o magari per la zuppa d’orzo e pancetta. Se volete
strafare, ecco la crespella di grano saraceno ripiena di taròzz.
Secondi? Naturalmente la piöda. Ma anche simpatici piatti unici, come quello
di salsiccia, funghi chiodini e polenta. O la lombatina di agnello glassata al forno.
Si chiude con le mitiche frittelle di mele tanto amate da queste parti. Si paga
meno di 50 euro a testa, ma esiste un menù da 37 euro.
AMICI MIEI
LIBRI/1
Cos’è la Fraternità
san Carlo? Perché
siamo nati?
«Con queste pagine voglio lasciare ai miei fratelli e alla Chiesa il racconto di ciò che è stata
per me l’esperienza della nascita
e dei primi trent’anni di vita della
Fraternità san Carlo». Monsignor
Massimo Camisasca, vescovo
di Reggio Emilia-Guastalla, racconta Il nostro volto. La vita del| 24 febbraio 2016 |
Il caso Spotlight,
di Thomas McCarthy
Non è un pamphlet
anticattolico
Un gruppo di giornalisti
del Boston Globe indaga
sulla vicenda di alcuni preti pedofili.
Di film contro la Chiesa
ce ne sono a mazzi, spes-
so grossolani e a tinta unita
dove i preti e le suore fanno
le peggio cose e non hanno
mai il beneficio di un contraddittorio. Nel film di McCarthy le cose stanno diversamente: un po’ perché
lui è un buon regista e un
grande direttore di attori
(qui tutti fenomeni o quasi). Ma soprattutto perché
il centro dell’azione è quello
del giornalista d’inchiesta,
di cui si racconta con grande efficacia il metodo di indagine, il contesto in cui si
muove e anche gli interessi
personali (perché no? Quelli
non mancano mai nemmeno nella più nobile delle inchieste). Film strano, che ripercorre la pagina dolorosa
delle violenze e dei silenzi di
certa parte della Chiesa, la-
sciando tutto volutamente
fuori fuoco e ai margini, concentrandosi invece su carte
processuali, testimonianze, il
tutto raccontato senza fronzoli e con uno stile che ricorda più i drammi processuali alla Lumet che i pamphlet
ideologici alla Magdalene.
visti da simone Fortunato
La Vergine
di Guadalupe
MAMMA OCA
il regista
thomas
mccarthy
di annalena Valenti
E
d ecco che, nel suo viaggio in Messico, papa Francesco, in una battuta, riassume secoli e secoli di
ricerca intorno a uno degli eventi più
inspiegabili di cui è intessuta, e trattandosi di stoffa è il caso di dirlo, la storia
dell’uomo e delle apparizioni mariane.
Messico 1531, la Vergine di Guadalupe appare all’indio Juan Diego e lascia
un segno impressionante: una “tilma”,
un mantello, su cui è prodigiosamente
impressa la sua immagine, «quel mistero – dice il Papa – che si studia, si studia, si studia e non ci sono spiegazioni
umane». È il mistero della formazione dell’immagine della Virgen Morenita sul mantello. E continua: «Anche lo
studio più scientifico dice: “Ma questa è
una cosa di Dio”». Secoli di studi, gli ultimi effettuati con tecnologie sofisticate, esami chimici, raggi infrarossi, e la
conclusione è una sola: la figura impressa non è dipinta ma è tutt’uno con la
stoffa. Il risultato più incredibile è venuto dall’esame degli occhi: elaborazioni
elettroniche, tecniche computerizzate
dimostrano che negli occhi della Vergine è riflessa l’intera scena di Juan Diego
che apre la tilma davanti al vescovo e ad
altri testimoni del miracolo. Questa storia è raccontata con certezza storica e
scientifica che deve ammettere “altro”,
da G. D. Guerra in La Madonna di Guadalupe. Un caso di “inculturazione” miracolosa. Per i bambini c’è il bel libro di
Tomie de Paola, mai tradotto in italiano, solo in inglese o spagnolo.
mammaoca.com
HOME VIDEO
The Lobster,
di Yorgos Lanthimos
Metafora suggestiva
ma sfuggente
In un futuro indefinito l’umanità
è costretta ad accoppiarsi, pena
la trasformazione in animali.
Metafora tanto suggestiva quanto oscura e sfuggente. La dirige un regista greco che riprende
parecchio da Kubrick per quanto riguarda lo stile geometrico
e razionale e per quanto riguarda i temi effettivamente vicini
ad Arancia meccanica e dintorni: l’ossessione per il sesso, il pessimismo nei confronti delle relazioni sociali e delle istituzioni, la
violenza insita nell’uomo.
Per informazioni
La Piöda
Via Saroch, 604
Livigno (Sondrio)
Tel. 0342997610
www.lapioda.com
Sempre aperto
in stagione
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inculturazionE miracolosa
CINEMA
A LIVIgno (So)
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la Fraternità san Carlo (San Paolo, 118 pagine, 12,50 euro). Un
testo di poche pagine, scritto tra
il 2010 e l’inizio del 2012, quando, «non lo immaginavo nemmeno», Benedetto XVI decise di nominarlo vescovo. Da allora «sono
stato sciolto dalla responsabilità
giuridica verso la Fraternità san
Carlo. Ma rimane intatta la mia
paternità che si esercita ora in
modo nuovo, sacrificato, ma non
meno concreto». Un libro che diventa la «sintesi di quello che
avevo vissuto con i miei fratelli
dal 1985 in avanti». Un testo che
si adatta a ogni spirito, volutamente sintetico perché «ciò che
è detto in modo breve richiede
un lavoro, esige meditazione e riflessione». L’ultimo libro di monsignor Camisasca vuole essere uno strumento anche per «le
generazioni che verranno, una
testimonianza del mio pensiero sulle questioni fondamentali
che riguardano la vita e la natura della Fraternità. Perché siamo
nati? Che cos’è la Fraternità san
Carlo? Qual è il volto a cui dobbiamo mantenerci fedeli?». Il testo, diviso in tre parti (Fraternità, Sacerdotale, Missionaria) a
cui sono aggiunte una ventina di
pagine dedicate al cammino che
attende la Fraternità, sono an-
che «l’espressione della mia gratitudine a tutti coloro che hanno condiviso con me l’esperienza
della Fraternità e a cui devo il
maturare della coscienza cristiana che mi è stata donata».
LIBRI/2
Giallo nel Partito
comunista milanese
Un viaggio nella vita quotidiana
del Partito comunista milanese
degli anni Settanta. Si intitola La
provvidenza rossa (Sellerio editore, 15 euro) ed è l’esordio narrativo di Lodovico Festa, giornalista e scrittore, tra i fondatori
del Foglio e collaboratore di
Tempi. Ma soprattutto dirigente
del Pci milanese. Autunno 1977,
zona Sempione. Una sventagliata di mitra ha ucciso una giovane fioraia. Accanto al corpo, nel
chiosco di via Procaccini, una copia dell’Unità, perché Bruna Calchi, la vittima, era iscritta al Pci,
dirigente della sezione e del circolo Arci, dove si occupava di teatro e diritti gay. L’inchiesta è affidata a un giovane funzionario,
moderno e progressista ma capace di stare al mondo; e subito
incorre in un primo mistero: l’arma del crimine, una Maschinenpistole in uso alla Wehrmacht.
Contemporaneamente, «per evitare eventuali provocazioni e
trappole», muove la controinchiesta del Pci. Se ne occupa il
vecchio Peppe Dondi con il suo
vice ingegner Cavenaghi. Peppe,
un ferreo partigiano di quelli che
hanno attraversato guerre civili e clandestinità, ingaggia con la
polizia una corsa volta a scoprire prima la verità per occultarne
un’altra. L’autore, in quegli anni
dirigente comunista, sceglie nella prosa lo stile narrativo di un
ex funzionario di partito che, a
decenni di distanza, si confessa.
Un romanzo in cui sono stati inventati il crimine che scatena la
vicenda, la trama, la soluzione finale, e i protagonisti; ma pure un
pezzo importante di memoria,
come forse sarebbe difficile riportare con la stessa evidenza in
un saggio di storia. Ecco cosa fu
il Pci, come funzionava la mente di dirigenti e militanti, come si
muoveva l’invisibile macchina del
potere e del contropotere.
incontri
Una testimonianza
all’altezza dei tempi
«Molti fra i nostri contemporanei non chiedono alla religione
di convertirli e di santificarli, ma
semplicemente di soddisfarli».
Un tempo il credente osava dire
«la mia è la vera religione», «io
vivo secondo la vera religione»;
oggi si gloria soprattutto di poter dire «io sto bene» (Rémi Brague ed Elisa Grimi). Giovedì 18
febbraio, ore 21, al Teatro Rosetum di Milano, il Centro Francescano Culturale Artistico Rosetum ha organizzato l’incontro dal
titolo “Una testimonianza all’altezza dei tempi”. Interverranno il
nostro giornalista Rodolfo Casadei, il vicepresidente dell’associazione Nonni 2.0 Peppino Zola e il
docente universitario di Filosofia
Francesco Botturi.
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motorpedia
WWW.red-LiVe.it
WWW.RED-LIVE.IT
SETTEPOSTINONBASTANOPIù?SPACETOURER,
LUNGAFINOA5,3METRI,PUòPORTARENOVEPERSONE
a CUra di
La nuova Citroën per
famiglie numerosissime
C
dUe rUote iN meNo
Benelli Leoncino 500
Il nome Leoncino, derivato dal mitico modello degli anni Cinquanta che riscosse tanto successo sul mercato e sui circuiti di tutto il mondo, campeggia oggi su una riuscita scrambler di piccola cilindrata. A muovere il Leoncino ci pensa
un bicilindrico 4 tempi, raffreddato a liquido, da 500 cc con una potenza di 48
cavalli (35 kW) a 8.500 giri e una coppia di 45 Nm a 4500 giri. Il reparto sospensioni è affidato a una forcella upside-down con steli del diametro di 50 millimetri, mentre al posteriore lavora un forcellone oscillante con monoammortizzatore laterale. L’ABS è di serie. Il nuovo destriero firmato Benelli entrerà in
produzione, probabilmente, nella seconda metà del 2016.
[ms]
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SpaceTourersarà
alistinonegli
allestimentiFeel,
Shine,Business
eBusinessLounge
7 posti e una lunghezza di 4,6 metri, Grand C4
Picasso è la scelta ideale per le famiglie numerose… ma non numerosissime. Per quelle, infatti,
Citroën propone la nuova SpaceTourer, nata dalla collaborazione con Toyota, sviluppata sulla base della piattaforma modulare EMP2 del Gruppo francese PSA e, soprattutto, in grado di ospitare sino a 9 persone.
Tre taglie, come le magliette. Disponibile con interasse standard (2,92 metri) oppure a passo lungo (3,27
metri) e con sbalzo posteriore di 0,8 o 1,15 metri, SpaceTourer è proposta in configurazione XS (4,6 metri di
lunghezza), M (4,95 m) e XL (5,3 m): con 5 persone in
abitacolo il bagagliaio offre una capienza rispettivamente di 1.978, 2.381 e 2.932 litri. Una piazza d’armi!
Un vano enorme, oltretutto facilmente accessibile grazie alle porte posteriori scorrevoli. Sarà a listino negli
allestimenti Feel, Shine, Business e Business Lounge;
quest’ultima versione dedicata ai professionisti e pensata per quanti utilizzano la vettura per lavoro.
Quanto ai motori, omologati Euro 6 complice
l’iniezione d’urea, la gamma ruota attorno ai propulsori BlueHDi 1.6 td da 95 o 115 cavalli e 2.0 td da 150 o
180 cavalli abbinati a una classica trasmissione manuale a 6 rapporti o al noto cambio robotizzato a 6 marce ETG6. In un panorama tutto sommato tradizionale, costituisce una novità la disponibilità della trazione
integrale, resa operativa grazie alla trasformazione curata dallo speDISPONIBILEINTRE
cialista francese Dangel, già attivo
DIMENSIONI(XS,
nella realizzazione delle Berlingo
M,XL).CONCINQUE
PASSEGGERIABORDO 4x4. Tra le dotazioni di pregio spicILBAGAGLIAIOOFFRE cano il tetto vetrato in due sezioni, l’azionamento elettrico delle
UNACAPIENZACHE
ARRIVAA2.932LITRI, porte scorrevoli e il lunotto apribile separatamente rispetto al porUNAPIAZZAD’ARMI
tellone, mentre in abitacolo sono
confermate tutte le soluzioni tecnologiche d’ultima generazione tipiche della gamma monovolume Citroën
come l’head-up display, il sistema d’infotainment con
display touchscreen da 7 pollici corredato della connettività Mirror Screen per la compatibilità con gli smartphone sia Android sia iOS, il cruise control adattivo, la
frenata automatica d’emergenza in caso di collisione
imminente e la lettura della segnaletica stradale.
Accanto alla versione di serie di SpaceTourer, in occasione del salone di Ginevra Citroën proporrà un’interpretazione all terrain – al momento allo stato prototipale – della monovolume XL. Hyphen, questo il nome
della concept, beneficia della trazione integrale, del 2.0
BlueHDi da 150 cavalli, dell’assetto rialzato e di cerchi
in lega da 19 pollici calzanti pneumatici specifici.
SebastianoSalvetti
on
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LETTERE
AL DIRETTORE
[email protected]
Una romantica serata con le
onde gravitazionali val bene
Sanremo ma puoi fare di più
S
sulle questioni essenziali, e per quanto possa avere votato Ncd alle ultime elezioni ed abbia simpatia per Maurizio Lupi e Angelino Alfano, ritengo che la sua posizione non sia
né estremista né irrealistica, semplicemente rappresenta
quello che noi elettori di Ncd vogliamo e chiediamo ai nostri rappresentanti. Non chiediamo che cada il governo,
faccia quel che vuole, chiediamo che il nostro partito esca
dal governo, che è cosa molto diversa, per potere aver certezza e fiducia che sia stato onesto sulla questione che in
questo momento più sta a cuore a tutti i suoi elettori, e
che non possa mai avere il sospetto che si sia venduto, è
questo il punto dirimente. Lupi stia tranquillo. Se vuole, le
riforme le potrà votare lo stesso, tanto sono cinquant’anni che facciamo riforme, non sarà certo questa l’ultima e la
definitiva, ma quella della Cirinnà può veramente incidere
nelle vite di tutti noi e una volta fatta non si tornerà indietro neanche con un referendum (che
in Italia sono acqua fresca), si potrà
solo andare inesorabilmente avanti
con la tecnica ormai consolidata del
piano inclinato messa a punto con la
legge 40. Il referendum di ottobre è
lontano, poi si vedrà.
GioacchinoFanelli via internet
DOPOILCIRCOMASSIMO
ono con lei anima e corpo
Ipotesi per un solido
arsenale informativo
dedicato all’intrepido
esercito delle famiglie
CARTOLINA DAL PARADISO
di PippoCorigliano
D
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Noto che i principali candidati a Palazzo Marino, Sala e Parisi, sono due manager, diventati manager pubblici per
volontà di due sindaci di Centro Destra. Del Vecchio Centro Destra.
MarcoSala via internet
Econquelprecedentelì,alleprimariehaavutopureilcoraggiodidire
«Sonosemprestatodisinistra»,e
ilPddicertificarechesì,ineffetti,
semprestatodisinistra,quelSala
lì.MiricordaquelfamosofilmPixar
suunanormalefamigliadisupereroi.GliIncredibili.
2
Prendo atto, non senza dolore, che
la Rai e Carlo Conti hanno lasciato libertà totale sul palco dell’Ariston a
Elton John, il quale, oltre a regalare al pubblico due formidabili esibizioni musicali (per inciso, secondo me lui
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Family Day la famiglia italiana
ha una identificazione sociale che prima
non aveva. Si dava per scontato che la famiglia c’era ed era la forza del paese anche in
tempi difficili e con politiche dissennate. Ora
la famiglia sta diventando militante e ha bisogno di essere attrezzata culturalmente e politicamente. I genitori sono sempre impegnati e
proprio per questo l’ultimo Family Day si è presentato come “eroico”: tempo, denaro e viaggi
sono stati impiegati superando i disagi.
Ora c’è bisogno che la famiglia sia informata e viva in un clima culturale costruttivo
e tonificante, tenendo sempre presente che il
tempo da dedicare all’autoformazione è poco.
Sarebbe da auspicare che si raccolgano segnalazioni di dati scientifici, notizie, libri, video…
che meritino di essere visti e conosciuti, presentati da brevi recensioni.
Esempi ce ne sono: le conversazioni di
Franco Nembrini su Dante di Tv2000 raccolte su YouTube o le chiacchierate con i giovani
di Alessandro D’Avenia; tanti articoli di Tempi
che meritano di essere conservati; l’articolo di
Marina Corradi su Avvenire sugli esperimenti
inglesi sugli embrioni; i libri di Costanza Miriano sull’impegno per la felicità matrimoniale; il romanzo gradevolissimo Il risveglio della
signorina Prim; libri buoni per bambini… Un
emporio culturale in cui la famiglia può pescare. Già ci sono bei siti di documentazione
(documentazione.info) o per scegliere un film
(familycinematv.it). Occorre continuare con
iniziative del genere.
opo i tre
è un talento assoluto, come Maradona e Valentino Rossi, un patrimonio
dell’umanità nel suo ambito che va accettato per quello che è, senza volergli
fare la morale quand’anche si abbiano
convincimenti radicalmente diversi dai
suoi, come per esempio nel mio caso
per ciò che concerne il suo appoggio
partecipe all’attivismo Lgbt), ha voluto precisare, su assist del conduttore, la sua felicità per essere diventato
padre, grazie all’abominevole pratica
dell’utero in affitto, di un figlio comprato per sé e il suo compagno. Detto
ciò, e considerando la libertà concessa
ad alcuni cantanti di esporre la bandiera arcobaleno del movimento Lgbt
per manifestare il loro sostegno al
ddl Cirinnà, mi auguro che la Rai sappia trovare un modo – più intelligente
della raccapricciante coppia di comici
che scimmiotta una famiglia tradizionale in abito da sposa – per rendere
parità di trattamento, non dico giustizia, anche alla famiglia fondata sul
matrimonio. Sia esso cattolico o civile.
Che pure rappresenta l’80 per cento,
come dicono i sondaggi, dell’ideale di
vita dei cittadini del paese reale. Quindi anche l’80 per cento di quella fetta che paga il canone. Oltre ad essere,
ma questo è un altro discorso, l’unico modo concesso da Madre Natura
per fare un figlio. Perché, unioni civili
o meno, per fare un bambino ci vogliono e sempre ci vorranno una mamma
e un papà. Sono certo che questo dato di realtà abbia ancora cittadinanza in questo moribondo paese, e dunque diritto di avere un riconoscimento
da parte di “Mamma Rai”. Proprio come fu l’anno scorso, per esempio, con
quella bellissima famiglia numerosa
sul palco del festival di Sanremo. Un
fatto che vale più di mille polemiche e
parole e che sono certo i vertici di viale Mazzini e della tv pubblica sapranno considerare e riconoscere.
MatteoRigamonti
«C’èlibertà».«Siamoindemocrazia».QuestoledirebbbeilclubConti.Infatti,tuttalalibertàelademocraziaarcobalenoaun’ideologia.
Nessunarosaeazzurraallarealtà.
Naturalmenteconinastrini(esoprattuttoisoldi)degliitaliani.
mo? Lei mi contesterà, lo so, però è un
fatto, mentre la religione divide, la ra
gione scientifica unisce.
PaoloTiezzi via internet
Nonèverochelascopertachesalesulpalcoscenicodellascienzatieneunitigliuominipiùdiquantoli
tengaunitiunaserasulpalcoscenicodiSanremo.Enonèverochele
religionidividanogliuominipiùdi
quantolidividanolevisioninonreligiose.Sonobersanellianoanch’io,
manontrovoconforto,bellezza,
gratitudinediscopertascientificachepossarimpiazzarelanecessità,superioreperlaragioneumana,
dellareligione.Puòinfattilascienza
imbellire,confortare,rendercigrati
delnostroandareinterraecenere?
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«Ma cos’è, in fondo che ci colpisce così tanto di tutto ciò? (…) È il fatto che
quel panorama è maledettamante reale (…). Non significa affatto che conosciamo tutto di quel fenomeno, anzi è solo l’inizio, ma qualcosa di nuovo
è entrato nel nostro orizzonte. La realtà, in quel punto, si è fatta viva. E questo, per qualche motivo, ci dà un senso
di conforto, di bellezza, di gratitudine».
Come sono interessanti queste osservazioni dell’astrofisico Marco Bersanelli, lette sul ilsussidiario.net, a proposito della conferma alla scoperta di
Einstein delle cosiddette “onde gravitazionali”. È così. Questi annunci di
“scoperta”, il fatto che almeno per un
attimo ci spiazzino e sospendano ogni
controversia (e di ogni tipo) tra le persone, ci porta a ringraziare la comunità degli scienziati perché – ne siano
coscienti o no – mantengono un punto
di osservazione e di lavoro sulla realtà
che invece di dividere unisce tutti. Vede che, a differenza della religione, la
scienza allarga il panorama e supporta positivamente il cammino dell’uo-
Madre frantumata a terra precipitata
nella via d’Aleppo candida icona
tra i cocci
in ogni madre t’incarni
in ogni sorella
e donna
santa
nel suo dirsi indegna
stai sotto la croce del figlio
corpo crocifisso sepolto
nel silente momento transitato
il terzo giorno seduto vicino al pozzo
presso la fonte di Alsabagh non c‘è più
uomo o donna schiavo o libero
giudeo o greco
continuo exit sanguis et aqua
MauroGrimoldi
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| 24 febbraio 2016 |
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LETTEREDALLA
FINEDELMONDO
ALL’AMICAMARTA,AFFETTADABULIMIA
Non è con la volontà che
si esce dalla disperazione,
ma grazie a un abbraccio
|DIALDOTRENTO
C
aro padre aldo, combatto da quattro anni con la bulimia. Per me è la sofferenza più
grande della vita e inizio a pensare di non poterne guarire. Sono seguita da medici, psicologi, nutrizionisti, psichiatri. Ne ho cambiati tanti di questi esperti, ma il risultato non
cambia. (…) Ci sono giorni nei quali percepisco che la vita per quanto drammatica è il dono più
grande che ho e che non posso perdere una sola cosa, un solo granello di tutto questo, dalle foglie che cadono dagli alberi al sole, al mio moroso, alla mia famiglia, ai miei amici… poi puntualmente sento il vuoto dentro… Il vuoto della vita, un vuoto che non riesco a colmare e che non riesco a gestire tanto è grande, tanto mi ferisce. E allora c’è il cibo, pronto a riempirmi, pronto a
farmi illudere di poter bastare. E mangio fino allo sfinimento, fino a esplodere per poi vomitare tutto. Tutto, compresa la mia voglia di vivere, la mia voglia di lottare (…). E in questi momenti
ho una voragine, passo i giorni a letto: io, il mio letto e il cibo. E non riesco a rialzarmi perché mi
faccio schifo, sono arrabbiata perché Lui mi ha messo questa roba gigante dentro e io non ho
le forze, non riesco a portare la croce che mi chiede di tenere. (…) Ho bisogno di avere la certezza che Lui mi ami così, e che io stessa posso amarmi anche per questa roba che ho, per questo
schifo. (…) Oggi leggevo un tuo articolo in cui dici che il dolore è stata la risorsa più grande (…).
Marta
T
utte le volte – e sono tante – che ricevo queste mail mi viene la pelle d’oca.
Tempo fa ho ricevuto una lettera in cui
mi si diceva: «Devi lottare contro certi pensieri
o ossessioni perché oltre che far male a te, fai
male a chi ti sta vicino». Una cosa che mi ha
irritato perché disumana. Guardando la mia
storia, sono uscito sempre perdente da questa
lotta tra volontà e ossessioni. Vedendomi incapace di controllare la mia mente, vivevo come scrive Marta.
L’imperativo “devi” dell’amico o il “non riesco” di Marta genera solo rabbia e disperazione quando uno scopre la sua impotenza.
Nel Senso religioso don Luigi Giussani ricorda
una novella di Thomas Mann, Il piccolo signor
Friedemann. Il protagonista è il quarto figlio
di una ricca e nobile famiglia tedesca. Una disgrazia gli ha impedito uno svilupo normale:
è nano, gobbo e gravemente rachitico. Con il
passare degli anni, rendendosi conto della sua
condizione sviluppa una grande forza di volontà che gli permette di raggiungere un equilibrio totale. La gente lo stima ma nessuno
lo ama. Lui ha tutto sotto controllo. Una sola
cosa, la più importante, gli è sfuggita: la possibilità di innamorarsi. Quando questo acca-
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rimentiamo: «Passo i giorni
a letto: io, il mio letto e il cibo». Chi può comprendere
questa impotenza se non un
altro che ha vissuto questa
disperazione? Nel mio caso
solo don Giussani con la sua
genialità umana ha colto e
abbracciato questa mia impotenza e mi ha tenuto per mano, come fa la mamma con il suo
bambino per insegnargli a camminare.
Nel nostro ospedale arrivano spesso pazienti con problemi di tipo psichiatrico. Non è facile avvicinarmi, perché a volte cercano anche di aggredirmi. Mi fanno tenerezza, perché
nel loro delirio gridano “mamma”. Cercano la
mamma. Manifestano un tremendo bisogno
di tenerezza. Per cui, come la goccia che cade
rompe la pietra, così se mi avvicino piano piano e fedelmente, non solo non reagiscono più
come al loro arrivo, ma lasciano che dia loro
la mano, regalandomi a loro volta un sorriso.
Eugenio Borgna e don Giussani ricordavano che l’unico metodo per uscire o contenere
queste crisi è quello dell’abbraccio. È ciò che
desidero per te, insieme a tanta pazienza.
[email protected]
NELMIOCAsOsOLODONGIUssANI
CONLAsUAGENIALITàUMANAhA
COLTOqUEsTAMIAIMpOTENzAE
MIhATENUTOpERMANO,COMEFA
LAMAMMACONILsUOBAMBINO
de, entra in crisi tutto l’ordine che è riuscito a
raggiungere con la sua volontà. Un folle innamoramento non corrisposto trasforma il piccolo signor Friedemann in un freddo suicida.
Un grido che fa tenerezza
Tutti sappiamo cosa dobbiamo fare, ma la
nostra volontà è impotente. L’imperativo “devi” è ciò che di più disumano esiste. San Tommaso d’Aquino diceva che «la vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo
sostiene e nel quale trova la sua più grande
soddisfazione». È solo l’incontro con un volto
o con dei volti in cui brilla la presenza del Mistero a muovere la libertà dell’uomo. Non è
con la forza della volontà che una persona riesce a risalire dal baratro della depressione,
della bulimia o della anoressia.
È drammatica e dolorosa l’impotenza che spe-
SPORT
ÜBER ALLES
Reg. del Trib. di Milano n. 332
dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 22 – N. 7
dal 18 al 24 febbraio 2016
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi,
Rodolfo Casadei (inviato speciale),
Caterina Giojelli, Francesco
Leone Grotti, Daniele Guarneri,
Elisabetta Longo, Pietro Piccinini
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director)
FOTOLITO E STAMPA:
Reggiani spa Via Alighieri, 50
21010 Brezzo di Bedero (Va)
DISTRIBUZIONE:
a cura della Press Di Srl
SEDE REDAZIONE:
Via Confalonieri 38, Milano
tel. 02/31923727, fax 02/34538074,
[email protected], www.tempi.it
Se andare allo stadio è
come entrare in tribunale
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DI FRED PERRI
C
ompagni, amici e bastardi di ogni genere e grado, ragionavo sul calcio, dopo
la gara scudetto tra Juventus e Napoli. E mi dicevo che il destino tira i dadi per
noi e il calcio ne è la dimostrazione. Prendete dunque la super-sfida, la prima è una squadra solida, un gruppo potente di giocatori
che parevano spacciati e invece sono arrivati di nuovo a giocarsi il titolo. Ma la seconda
è bella assai, può essere il suo anno, ha un attaccante argentino meno istrionico di quello
che condusse le altre due campagne vittoriose ma che segna un gol a partita. Insomma, il
pronostico è incerto e pure il risultato si trascina mentre la Juventus perde i pezzi; dopo
Chiellini, che neanche è sceso in campo, si
fa male anche Bonucci che con Barzagli sta
facendo una partita eccezionale. A quel punto penso: se la Juve, così messa, vince questa
partita non ce n’è più per nessuno. Entra Za-
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| Foto: Ansa
za e mentre lo 0-0 va verso l’ormeggio… zaz!
La Juventus vince.
Ah il calcio, che meraviglia, è una matassa ingovernabile, dove entri da una porta ma
non sai se uscirai dalla stessa. E fin qui. Però poi sfogliando il giornale, ho letto di quel
professore che doveva passare di ruolo ma invece è stato licenziato perché 11 anni fa ha
fatto la pipì in un cespuglio. Allora se andare in uno stadio e non sapere come va a finire fa parte dello show, entrare in un palazzo
di Giustizia e trovarsi alle prese non con la
razionalità ma con il caso, con persone che si
svegliano al mattino e tirano i dadi per giudicare, beh questo m’angoscia un po’.
Comunque, spero che la faccenda del professore si risolva. Lo capisco, una volta ho cagato in una piazzola d’emergenza dell’autostrada en plein air. Ma la pula, per fortuna,
andava a 100 all’ora.
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UN MATCH DAL RISULTATO SEMPRE APERTO
taz&bao
La verità
ci rende liberi
«La Chiesa cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato
di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo».
Da The Catholic Church and Conversion, in G. K. Chesterton,
Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p. 135
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APPUNTI
Un necessario disordine
Accade
in ogni casa?
M
ilano, febbraio. Certe mattine mi domando se accada in ogni casa che
la maniglia della porta d’ingresso,
quando la si chiude con forza, rimanga nella mano, luccicante, beffarda. Basta ripararla, direte, ma io già ho chiamato il ferramenta, che è venuto e ha bloccato la maniglia con
una vite, e per questo ha voluto novanta euro, e io gli ero stata perfino grata.
Senonché, dopo pochi giorni la maniglia
ha ripreso a staccarsi, soprattutto quando
qualcuno, nella fretta, si tira dietro più forte la porta. Seccante poi quando accade con
un ospite, che restandosene con la maniglia
in mano potrebbe pensare che la nostra casa
vada in pezzi – e forse non sarebbe così lontano dal vero.
Certe mattine mi domando poi se accada
anche nelle case degli altri che il gatto si faccia le unghie, rigorosamente, sul divano nuovo, o che nel cesto della biancheria da stirare
restino per mesi ciuffi di calzini irrimediabilmente spaiati, inutili e inutilizzabili, monumento alla nostra pigrizia. E succederà anche agli altri che lo spremiagrumi sparisca
senza lasciare traccia di sé, nel nulla, ingoiato da un buco nero?
Vedo nelle foto della pubblicità altre case, “living” sobri e armoniosi, senza un giornale in giro, né un paio di ciabatte: solo lussuriosi divani e morbidi plaid, e pavimenti in
cui ci si può specchiare. Vedo cucine dalla linea pura, firmate da grandi designer, coi piani di acciaio lucenti e sideree spie di superelettrodomestici lampeggianti, a confermare
che tutto funziona perfettamente – cosa che
non si potrebbe certo dire dei nostri.
So che i figli adorano la casa della nonna,
dove ogni cosa, forbice, tagliaunghie o colla,
ha il suo posto, e si trova sempre; ma non ci
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di Marina corradi
posso far niente, deve essere genetico il mio
disordine, d’altronde mio padre dimenticava
gli occhiali in freezer, e li si ritrovava, un mese dopo, i vetri infranti, sepolti nel ghiaccio
come Ötzi, la mummia del Similaun.
Stamattina dal divano su cui sono immobile, un piede ingessato, contemplo inerme il
nostro caos, e so che in bagno ci sono sei tubi di dentifricio, di cui quattro lasciati aperti e ormai fossili. E certo, potrei buttarli via,
ma a che serve? Fra dieci giorni sarà tutto come prima. Ma chi vivrà, davvero, in quelle
case perfette, senza un pelo fuori posto, chi
cucinerà in quelle algide cucine i cui piani –
mi dico a consolarmi – somigliano alle lastre
d’acciaio dell’obitorio, in Ncis?
Però, mi accorgo, la nostra casa è viva.
Con la scatola del presepe che nessuno porta
in cantina fino ad agosto – quando c’è da tirar fuori l’ombrellone. Col grande crocefisso
di legno in cucina e, sotto, le tacche della statura dei figli. Da 80 centimetri a 180: quante storie, in quel pezzo di muro ingrigito che
non ho mai permesso mai di rimbiancare.
Di modo che stamattina, impotente mentre
un gatto si fa coscienziosamente le unghie
sul divano, capisco che non cambierei questa casa con nessuna. Perché belle sono le case in cui si vive in tanti, nel casino, amandosi, litigando, perdendo le cose, mandandosi a
quel paese. Belle, e quanto, sono le nostre case, quelle vere.
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