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Le sentenze “pilota” della Corte europea dei diritti dell`uomo

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Le sentenze “pilota” della Corte europea dei diritti dell`uomo
Processo penale e giustizia n. 3 | 2015
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ROBERTA GRECO
Dottore di ricerca in diritto internazionale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Avvocato – Foro di Roma
Le sentenze “pilota” della Corte europea dei diritti dell’uomo:
efficacia ultra partes?
Pilot judgments of the European Court of Human Rights:
ultra partes effects?
La pronuncia in commento attiene alla possibilità di riconoscere efficacia ultra partes alle sentenze pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo rese nei confronti di un ordinamento diverso da quello italiano, su una questione
avente assonanze con quella interna, al fine di consentire la revisione della sentenza passata in giudicato. La Suprema Corte nega tale possibilità, in quanto la sentenza pilota è adottata dalla Corte di Strasburgo avendo riguardo
alle specificità di un determinato ordinamento, il solo chiamato a prendere le misure riparatorie in applicazione del
dispositivo della sentenza.
The decision of the Italian Supreme Court at issue concerns the possibility for the Italian courts to recognize ultra
partes effects to a “pilot judgement” of the European Court of Human Rights (adopted vis-à-vis a foreign State
Party in a case which presents similarities with a domestic one (in order to review a domestic final judgment. The
Supreme Court denies such a possibility on the grounds that when the European Court adopts a pilot judgment, it
addresses the peculiarities of the specific legal system concerned, which is the only one requested to take remedial measures by virtue of the operative provision of the judgment.
LA QUESTIONE
La sentenza della Corte di Cassazione, sez. IV, 6 novembre 2014, n. 46067, torna sulla questione degli effetti
delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano, iscrivendosi nel solco di
quella giurisprudenza che si sforza di chiarire i rapporti tra giudicato interno e giudicato internazionale.
La questione di diritto affrontata nella sentenza in commento riguarda la possibilità di attribuire efficacia
ultra partes alle sentenze “pilota” della Corte di Strasburgo. Segnatamente, affronta il tema della rimozione
degli effetti del giudicato interno in forza di una sentenza “pilota” (o “sostanzialmente” tale (della Corte
EDU, emanata nei confronti di un ordinamento diverso da quello nel quale se ne chiede l’esecuzione.
Al fine di comprendere meglio la sentenza in argomento occorre sintetizzare brevemente i fatti di causa.
L’istante, il sig. S.A., soggetto allo speciale regime di sospensione delle regole di trattamento previste
dall’Ordinamento penitenziario, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), ord. penit. (come modificato dall’art. 2, comma 25, lett. f), n. 2), l. 15 luglio 2009, n. 94), viene condannato dalla Corte d’assise
d’appello di Catania con sentenza del 5 ottobre 2010, irrevocabile il 10 luglio 2012.
Successivamente alla condanna, la Corte costituzionale, con sentenza del 17 luglio 2013, n. 143, dichiarava costituzionalmente illegittimo il summenzionato art. 41 bis, comma 2quater, lett. b), ord. penit., nella
parte in cui limitava i colloqui con i legali dei detenuti in regime di c.d. “carcere duro” «fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i
familiari» 1.
1
Cfr. M. Ruotolo, Le irragionevoli restrizioni al Diritto di difesa dei detenuti in regime di 41-bis, in www.giurcost.org, 2013.
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Il sig. S.A., lamentando di non aver avuto la possibilità di predisporre un’adeguata difesa a causa
delle limitazioni quantitative imposte ai suddetti colloqui in forza dell’art. 41 bis, domandava alla Corte
d’Appello di Messina la revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’assise d’appello di
Catania.
In breve, a fondamento della propria richiesta il ricorrente poneva la seguente motivazione. Poiché
nella citata pronuncia n. 143/2013, la Corte costituzionale aveva richiamato, a sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Öcalan 2 – in cui quest’ultima aveva ritenuto che la limitazione a soli due colloqui settimanali con i propri difensori, della
durata di un’ora l’uno, fosse lesiva del diritto all’equo processo – il ricorrente domandava la revisione
della propria sentenza di condanna sulla base della nuova ipotesi di revisione introdotta dalla Corte costituzionale con sentenza del 7 aprile 2011, n. 113, ossia quando ciò sia necessario per conformarsi ad
una sentenza definitiva della Corte europea.
Con sentenza del 18 dicembre 2013, la Corte d’Appello di Messina dichiarava inammissibile la richiesta di revisione per asserita violazione del diritto di difesa del ricorrente derivante dall’applicazione del regime carcerario di cui all’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), ord. penit., cui egli era stato sottoposto.
Per l’annullamento di tale provvedimento il sig. S.A. ha presentato ricorso in Cassazione, la quale,
sulla base di una serie di condivisibili considerazioni, lo ha dichiarato inammissibile. Le ragioni della
Suprema Corte potranno essere meglio apprezzate se inquadrate all’interno del filone giurisprudenziale in cui si inseriscono.
LA REVISIONE DEL GIUDICATO PER CONTRASTO CON UNA PRONUNCIA DELLA CORTE EDU
La problematica degli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sul giudicato nazionale 3 è stata oggetto di attenzione da parte del legislatore 4, della dottrina 5 e della giurisprudenza 6 italiani.
In particolare, nel noto caso Dorigo 7, la Corte costituzionale è stata chiamata a valutare la legittimità
costituzionale dell’art. 630 c.p.p., sotto il profilo della violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. e dell’art.
46 Cedu, nella parte in cui non prevedeva la rinnovazione del processo per contrasto della sentenza o
decreto penale di condanna con la sentenza definitiva della Corte EDU In tale occasione la Consulta ha
affrontato, risolvendolo, il problema della riapertura del processo, per la revisione del giudicato interno, al fine di dare esecuzione alla sentenza di Strasburgo che avesse riscontrato la violazione dei principi dell’equo processo sanciti dall’art. 6 Cedu 8.
2
Corte EDU, Grande Camera, 12 marzo 2003, Öcalan c. Turchia.
3
Il problema si è posto quando la Corte europea ha iniziato ad indicare agli Stati convenuti le misure individuali e generali
da adottare per porre rimedio alle riscontrate violazioni della Cedu in maniera più puntuale rispetto al passato, chiedendo, ad
esempio, di adottare misure volte a consentire la revisione della sentenza penale di condanna emanata al termine di un procedimento giudicato non equo da Strasburgo e la riapertura del relativo processo. Sul punto cfr. P. Pustorino, Esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani e revisione dei processi penali: sviluppi nella giurisprudenza italiana, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2007, pp. 682-683.
4
Cfr. art. 1, comma 1, lett. c), d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella l. 22 aprile 2005, n. 60, che ha
modificato l’art. 175 c.p.p. inserendovi il comma 2 bis, a seguito della sentenza della Corte europea nel caso Sejdovic (Corte EDU,
10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia), così da consentire la restituzione nei termini per impugnare la sentenza di condanna
all’imputato rimasto contumace per non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento.
5
Cfr. M.L. Padelletti, L’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani tra obblighi internazionali e rispetto delle norme
costituzionali, in Diritti umani e Dir. internaz., 2008, p. 349 ss.; F.M. Palombino, Gli effetti della sentenza internazionale nei giudizi interni, Napoli, 2008; A. Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione dei processi nella Convenzione europea dei diritti umani, in Riv. dir.
internaz., 2002, p. 618 ss.; D. Vitiello, La Corte di cassazione italiana e l’incidenza delle sentenze di Strasburgo sulle pronunce interne passate in giudicato, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2013, p. 196 ss.
6
Cfr. Cass., sez. I, 3 ottobre 2006, n. 32678, par. 11, CED Cass., 235036; Cass., sez. I, 25 gennaio 2007, n. 2800, par. 6, CED Cass.,
235447; C. cost., sent., 7 aprile 2011, n. 113, par. 8, http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=113.
7
Su cui cfr. App. Bologna, ord. 23 dicembre 2008, n. 303; C. cost., 30 aprile 2008, n. 129; S. Dorigo e P. Pustorino, Diritto a una tutela
giurisdizionale effettiva e revisione de processi penali: la Corte costituzionale e il caso Dorigo, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2009, p. 85 ss.
8
Cfr. C. cost., 7 aprile 2011, n. 113, cit..
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La Consulta, riscontrando l’impossibilità di ricondurre il contrasto tra il giudicato della Corte europea e quello del giudice italiano alle ipotesi di revisione delle sentenze definitive di condanna contemplate dall’art. 630 c.p.p., ha ritenuto detta norma inconciliabile con la previsione dell’art. 46 Cedu, secondo cui gli Stati parte della Convenzione devono conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea sulle controversie di cui sono parti. Di conseguenza, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale
dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai
sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo».
Per effetto di questa sentenza additiva di principio della Corte costituzionale è stato dunque introdotto un limitato meccanismo di adeguamento dell’ordinamento interno alle pronunce della Corte europea, attraverso la previsione di un’ulteriore ipotesi di revisione della sentenza o del decreto penale di
condanna, ove ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva di Strasburgo.
Di questo nuovo meccanismo voleva avvalersi il sig. S.A. nel caso in oggetto, sostenendo che in forza del richiamo operato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 143 del 2013 – la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della medesima norma censurata dal ricorrente (l’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b)) – alla pronuncia della Corte EDU nel caso Öcalan, il giudice avrebbe dovuto riaprire
il procedimento interno per dare esecuzione ai principi sanciti dalla Corte europea.
Tuttavia, poiché a differenza del caso Dorigo, il sig. S.A. non aveva introdotto alcun ricorso dinanzi
alla Corte europea e non vantava alcun giudicato internazionale di cui chiedere l’esecuzione in Italia, la
richiesta di revisione poggiava su due ulteriori argomenti, segnatamente: i) l’efficacia ultra partes delle
sentenze pilota nei confronti di soggetti che si trovano nella medesima situazione del ricorrente a favore del quale la sentenza internazionale è resa; ii) l’efficacia ultra partes delle sentenze “pilota” nei confronti di Stati diversi da quelli contro i quali la sentenza è resa.
L’EFFICACIA ULTRA PARTES DELLE SENTENZE PILOTA SUL GIUDICATO INTERNO
Le Sezioni Unite della Cassazione e la Consulta hanno affrontato la questione dell’efficacia ultra partes delle
sentenze della Corte europea, con riferimento alla possibilità, per il giudice interno, di modificare il giudicato – applicando una pena più mite – in attuazione dei principi dettati da una sentenza della Corte EDU,
seppure emanata nei confronti di un soggetto diverso dal richiedente la rideterminazione della pena.
Nello specifico, a seguito della pronuncia della Corte di Strasburgo nel caso Scoppola 9 (in cui la
Grande Camera aveva censurato l’efficacia retroattiva in malam partem della norma d’interpretazione
“autentica” dell’art. 442, comma 2, c.p.p., ritenuta lesiva del principio dell’irretroattività della legge penale più sfavorevole, di cui all’art. 7 Cedu 10 (la Corte di Cassazione aveva rideterminato, in senso più
mite, la pena in favore del ricorrente (30 anni di reclusione in luogo dell’ergastolo). Essendosi la Corte
europea limitata a richiedere allo Stato italiano l’adozione di misure individuali consistenti nel sostituire la pena dell’ergastolo inflitta al sig. Scoppola con una conforme ai principi enunciati in sentenza, si
poneva il problema di tutti quei soggetti i quali, seppure si trovassero nella medesima situazione del
ricorrente, diversamente da quest’ultimo non avevano esperito il rimedio di cui all’art. 34 Cedu (ricorso
individuale) e, di conseguenza, non disponendo di una sentenza internazionale di cui chiedere l’esecuzione, rimanevano sottoposti alla pena dell’ergastolo.
Si tratta della vicenda, ampiamente nota, dei c.d. “fratelli minori” di Scoppola, su cui sono intervenute dapprima le Sezioni Unite della Suprema Corte, successivamente la Consulta e, da ultimo, nuovamente le Sezioni Unite 11.
9
Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia. In questa pronuncia, per la prima volta, la Corte di Strasburgo interpreta il principio di irretroattività della legge penale, di cui all’art. 7 Cedu, nel senso di ricomprendere anche la retroattività della legge penale più favorevole (cfr. par. 109).
10
Si trattava dell’art. 7, comma 1, d.l. 24 novembre 2000, n. 341.
11
Cfr. F. Viganò, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all’ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte EDU in
Scoppola c. Italia, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012; F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia
delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola, in Diritto Penale Contemporaneo, 2014, p. 250 ss; M. Bignami, Il
giudicato e le libertà fondamentali: Le Sezioni Unite concludono la vicenda Scoppola-Ercolano, in Diritto Penale Contemporaneo, p. 1 ss.
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Con ordinanza del 19 aprile 2012, n. 34472, la Cassazione, dopo aver premesso che sebbene la sentenza Scoppola non costituisse esattamente una sentenza pilota, seppure ne presentasse i «connotati sostanziali» 12 – in quanto «pur astenendosi dal fornire specifiche indicazioni sulle misure generali da adottare, evidenzia comunque l’esistenza, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, di un problema strutturale» dovuto alla non conformità di una norma interna, nell’interpretazione datane dalle corti interne 13 – esprimeva la necessità di trovare una soluzione anche per i detenuti che, come il ricorrente, pur trovandosi nella medesima situazione del sig. Scoppola, rimanevano condannati all’ergastolo.
Riteneva la Corte che: «[d]i fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza stigmatizzate in sede europea, il mancato esperimento del rimedio di cui all’art.
34 EDU (ricorso individuale) e la conseguente mancanza, nel caso concreto, di una sentenza della Corte
EDU cui dare esecuzione non possono essere di ostacolo ad un intervento dell’ordinamento giuridico
italiano, attraverso la giurisdizione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale, anche sacrificando il valore della certezza del giudicato» 14.
Per porre termine «alla situazione di illegalità convenzionale» la Cassazione sollevava d’ufficio la
questione di legittimità costituzionale della norma censurata (art. 7, d.l. n. 341/2000) per contrasto con
l’art. 117, comma 1 Cost., in relazione all’art 7 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo 15.
La Corte costituzionale, con sentenza del 3 luglio 2013, n. 210, ha ritenuto fondata la questione di legittimità della norma censurata per violazione dell’art. 7 Cedu, così come interpretato dalla Corte EDU,
che integra, quale norma interposta, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, comma 1, Cost. Il
giudice delle leggi ha stabilito che, nelle fattispecie uguali a quella del sig. Scoppola, sulle quali si era
già formato il giudicato, il procedimento da seguire per conformarsi alle sentenze della Corte europea
non fosse quello della revisione del giudicato, ex art. 630 c.p.p. (in quanto non sussisteva la necessità di
riaprire il processo di cognizione (bensì la procedura dell’incidente di esecuzione, in modo da consentire al giudice dell’esecuzione di incidere direttamente sul titolo esecutivo 16.
La Consulta ha però tenuto a precisare che l’esigenza di incidere sul giudicato, in assenza di una
specifica pronuncia della Corte europea, non derivava dalla Cedu, «che non la esige», ma dallo stesso
ordinamento nazionale, che nell’ambito del diritto penale sostanziale, reputa il valore del giudicato recessivo di fronte ad una pena prevista da una norma di cui sia stata riconosciuta l’illegittimità convenzionale 17. In altre parole, ove tra giudicato interno ed internazionale vi sia coincidenza di petitum e causa petendi, ma non di parti processuali (segnatamente di ricorrenti individuali , dichiarata l’illegittimità
costituzionale della disposizione interna censurata per contrasto con la Cedu, è ammessa la possibilità
per il giudice interno di modificare direttamente il giudicato.
Da ultimo, le Sezioni Unite, riassunto il giudizio sospeso a seguito dell’attivato incidente di costituzionalità, hanno affermato che la pena dell’ergastolo, inflitta all’esito del giudizio abbreviato conclusosi
nel vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dal citato art. 7, comma 1, d.l. 341 del 2000, e
in concreto applicata, «non può essere ulteriormente eseguita, essendo stata quest’ultima norma ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7,
12
Parte della dottrina definisce “quasi-pilot judgments” le sentenze che, come nel caso Scoppola, dopo aver riscontrato una violazione sistemica della Convenzione dovuta ad un problema strutturale dell’ordinamento interno ed invocato l’art. 46 Cedu, per
ricordare allo Stato convenuto di avere assunto l’obbligo di adottare le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza della
Corte di Strasburgo, non indicano le misure generali da adottare nella parte dispositiva della pronuncia. Cfr. P. Leach, H.
Hardman, S. Stephenson, B. K. Blitz, Responding to Systemic Human Rights Violations. An Analysis of the ‘Pilot Judgments’of the European Court of Human Rights and their Impact at National Level, Antwerp/Oxford/Portland, 2010, pp. 24-25.
13
Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n. 34472, par. 3 del Considerato in Diritto, CED Cass., 252934.
14
Ibidem, par. 2.
15
Nello specifico, la Corte di Cassazione aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 del d.l. 24
novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla l. 19 gennaio 2001, n. 4, nella parte in cui tali disposizioni operavano
retroattivamente in relazione a coloro che, pur avendo formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza della l. 16 dicembre 1999, n. 479, erano stati giudicati successivamente quando, a far data dal pomeriggio del 24 novembre 2000, era entrato
in vigore il citato d.l. n. 341/2000, con conseguente applicazione del trattamento sanzionatorio più sfavorevole previsto dal medesimo d.l. n. 341/2000. Cfr. M. Gambardella, Declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale non incriminatrice e intangibilità del giudicato, in Dir. pen. proc., 2014, pp. 65-69.
16
C. cost., sent. 3 luglio 2013, n. 210, par. par. 7-8, http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do.
17
Ibidem, par. 7.3.
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par. 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, e dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art.
117, comma primo, Cost.» 18.
Con riferimento allo strumento processuale volto a consentire l’intervento correttivo sul giudicato, le
S.U. hanno indicato la strada dell’incidente di esecuzione, in quanto nel caso di specie non era necessario un nuovo accertamento di merito che avrebbe imposto la riapertura del processo, ma occorreva
«semplicemente incidere sul titolo esecutivo, per sostituire la pena inflitta con quella conforme alla
CEDU, corretta costituzionalmente e già determinata, nella specie e nella misura, dalla legge» 19.
Occorre sottolineare che nel giungere a tale conclusione la Cassazione ha ribadito quanto affermato
nell’ordinanza del 19 aprile 2012, e successivamente confermato dalla Consulta nella sentenza n. 210/
2013, ossia la necessità che «l’accoglimento della questione sollevata deve essere l’effetto di una operazione sostanzialmente ricognitiva e non deve richiedere la riapertura del giudicato». Ad avviso della
Suprema Corte è diverso il caso in cui la pena si sia rivelata illegittima perché irrogata all’esito di un
processo considerato non equo dalla Corte di Strasburgo, ai sensi dell’art. 6 CEDU, poiché «in questa
ipotesi, l’apprezzamento vertendo su eventuali errores in procedendo e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non può che essere compiuto caso per caso, con l’effetto che il
giudicato interno può essere posto in discussione soltanto di fronte a un vincolante dictum della Corte
di Strasburgo sulla medesima fattispecie e attraverso lo strumento della revisione ex art. 630 c.p.p. (come integrato dalla sentenza n. 113/2011 Corte cost.), che comporta la riapertura del processo» 20.
LA RILEVANZA NELL’ORDINAMENTO INTERNO DELLE SENTENZE PILOTA RESE NEI CONFRONTI DI ALTRI
STATI PARTE DELLA CEDU
Sulla scorta dell’ordinanza n. 34472/2012 delle Sezioni Unite nel caso Ercolano, l’istante suggerisce di
estendere ulteriormente l’efficacia soggettiva delle sentenze c.d. “pilota” (o “sostanzialmente” tali (della
Corte EDU; non solo a soggetti diversi dal ricorrente a Strasburgo (che si trovino nella sua stessa situazione), ma altresì a Stati convenuti diversi da quelli nei cui riguardi la sentenza europea è stata resa. In
breve, si chiede al giudice interno di rimuovere il giudicato al fine di dare esecuzione in Italia ad una
sentenza della Corte EDU emanata avverso la Turchia, sul presupposto che, trattandosi di una sentenza
“pilota”, essa detti principi di portata generale da applicarsi in tutti gli ordinamenti parte della Convenzione.
Ad avviso dell’istante, sussistevano, nel caso che ci occupa, tutti i presupposti per la revisione della
sentenza interna in quanto occorreva che l’ordinamento italiano si conformasse ai principi enunciati
dalla Corte EDU nel caso Öcalan con riferimento alle limitazioni ai colloqui con i difensori, ed in quanto, in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, ove una pronuncia di Strasburgo presenti i
connotati di una “sentenza pilota sostanziale” (come nel caso Öcalan (non è necessario per chi si trova
nelle stesse condizioni aver previamente adito la Corte europea.
A nostro avviso, la summenzionata tesi difensiva poggia su un iter argomentativo errato, come evidenziato nella sentenza d’inammissibilità in commento, per i seguenti motivi: i) l’ipotesi di revisione
del giudicato per conformare l’ordinamento interno alle pronunce della Corte europea riguarda i soli
casi in cui la sentenza da eseguire sia resa nei confronti delle medesime parti; ii) qualificare una sentenza come “sostanzialmente” pilota, non equivale ad attribuire alla stessa i medesimi effetti delle sentenze “propriamente” pilota, ossia quelli di imporre allo Stato convenuto l’adozione di misure generali per
porre rimedio ai problemi strutturali presenti nell’ordinamento interno, i quali possono dar luogo a casi
ripetitivi di fronte alla Corte EDU; iii) le Sezioni Unite della Cassazione, nell’ordinanza n. 34472 del
2012, hanno ammesso la possibilità di rideterminare la pena in favore di soggetti condannati in via definitiva sulla base di una disposizione giudicata contraria alla Cedu – a prescindere da se abbiano o
meno adito la Corte europea – nella limitata ipotesi in cui l’accoglimento della domanda non richieda la
riapertura del processo.
i) Con riferimento alla prima questione, occorre ricordare sia la formulazione letterale dell’art. 46
18
Cfr. Cass., sez. un., 24 ottobre 2013, n. 18821, par. 10 del Considerato in diritto, CED Cass., 258649-50-51.
19
Ibidem, par. 8.
20
Ibidem, par. 9.
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Cedu, sia i termini nei quali si è espressa la Corte costituzionale nel dettare la nuova ipotesi di revisione
della sentenza per contrasto con il giudicato della Corte europea.
A conferma del fatto che la sentenza della Corte europea debba essere eseguita obbligatoriamente
solo all’interno dell’ordinamento verso il quale essa è pronunciata, si pone l’art. 46 della Convenzione a
mente del quale: «Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze della Corte sulle
controversie nella quali sono parti» (corsivo aggiunto) 21. L’art. 46 della Convenzione, così come modificato dal Protocollo n. 14 22, richiede infatti che sia lo Stato destinatario della pronuncia a darvi esecuzione
e, ove questi manchi di ottemperare all’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea, attribuisce al Comitato dei Ministri la competenza a richiedere alla medesima Corte una sentenza interpretativa sull’esatto adempimento della propria pronuncia, ovvero una sentenza di inottemperanza, con
cui la Corte accerti che lo Stato in questione ha mancato di dare esecuzione alla precedente sentenza,
ipotesi quest’ultima in cui il Comitato dei Ministri potrà assumere le decisioni del caso al fine di indurre lo Stato ad ottemperare 23.
Ebbene, il procedimento brevemente descritto trova attuazione solo rispetto all’ordinamento cui la
sentenza si riferisce e non anche nei riguardi di Stati terzi che non si siano conformati ai principi enunciati dalla Corte.
Del resto, anche la dottrina che si è occupata dell’esecuzione delle sentenze di Strasburgo ha evidenziato che: «[l]’obligation de se conformer aux arrêts définitifs de la Cour (article 46 al. 1 CEDH) ne vaut
que dans les limites formées par l’étendue ratione personae, ratione materiae et ratione temporis de l’autorité
de chose jugée». Quanto all’estensione del giudicato internazionale ratione personae, «[l]’autorité de chose
jugée des arrêts de la Cour n’ayant qu’un portée inter partes, l’obligation de se conformer aux arrêts de la
Cour ne lit que les parties à la procédure devant la Cour. Ainsi, les Etats tiers, qui ne sont pas parties à la
procédure, n’ont pas l’obligation de se conformer à l’arrêt de la Cour» 24.
Né quanto stabilito dall’art. 46, comma 1, Cedu, in relazione all’efficacia soggettiva delle sentenze
della Corte EDU, varia con riferimento alle sentenze pilota della Corte europea. Il nuovo art. 61 del Regolamento della Corte, che introduce l’istituto di origine giurisprudenziale della sentenza pilota, non fa
alcun riferimento all’efficacia ultra partes di tali sentenze verso Stati terzi. D’altronde, ove si volesse attribuire una tale efficacia alle sentenza della Corte europea, si dovrebbe procedere ad emendare le disposizioni convenzionali.
Quanto alla nuova ipotesi di revisione della sentenza o decreto penale di condanna introdotta dalla
sentenza della Corte cost. n. 113/2011, essa è prevista «quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per
conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo» (corsivo aggiunto),
ossia solo ove occorra che lo Stato dia applicazione ad un contrastante giudicato della Corte EDU, di cui
esso sia parte.
ii) Avendo riguardo alla seconda questione relativa alla portata soggettiva delle sentenze c.d. “sostanzialmente pilota” (ossia delle sentenze che presentano i connotati sostanziali di una “sentenza pilota” 25 (occorre in primo luogo sottolineare che tale nozione non trova alcun corrispondente né all’interno della Convenzione, né del Regolamento della Corte europea, il quale, all’art. 61, si limita a discipli-
21
P. Pirrone, Art. 46, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, Padova, 2012, p. 760 ss.; D. J. Harris-M. O’Boyle-E. P. Bates-C.M. Buckley, The European Court of Human Rights: Organization, Practice, and Procedure, in D. J. Harris-M. O’Boyle-E. P. Bates-C.M. Buckley (a cura di), Law of the European Convention on
Human Rights, Oxford, 2014, p. 162 ss; A. Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione dei processi, cit., p. 623.
22
Adottato il 13 maggio 2004 ed entrato in vigore il 1° giugno 2010, il Protocollo n. 14 alla Cedu emenda il sistema di controllo della Convenzione e a tal fine modifica, tra l’altro, l’art. 46 Cedu, introducendo un nuovo ricorso per inadempimento
dell’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte EDU Sul punto cfr. F. Salerno, Le modifiche strutturali apportate dal protocollo
n. 14 alla procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. internaz. priv. e proc.,2006, p. 377 ss.; A. Saccucci, L’entrata in
vigore del Protocollo n. 14 e le nuove regole procedurali per la sua applicazione, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2010, p. 319 ss.
23
Cfr. J. Gerards, The Pilot Judgment Procedure Before the European Court of Human Rights as an Instrument for Dialogue, in M.
Claes-M. de Visser-P. Popelier-C. Van de Heyning (a cura di), Constitutional Conversations in Europe. Actors, Topics and Procedures,
Cambridge, 2012, p. 371 ss.
24
X-B. Ruedin, Exécution des arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme. Procedure, obligations des Etats, pratique et réforme,
Bâle/Paris, Bruxelles, 2009, pp. 109-110.
25
Cfr. Cass. sez. un., 19 aprile 2012, cit., par. 3.
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nare la sola procedura delle sentenze pilota 26.
Queste ultime si caratterizzano per il fatto che la Corte europea, quando constata che i fatti all’origine di un ricorso rilevano l’esistenza di un problema strutturale dell’ordinamento interno (di tipo legislativo, ma non solo), causa di una attuale o potenziale violazione generalizza di una o più disposizioni
convenzionali, può richiedere (nella parte dispositiva) allo Stato convenuto l’adozione di misure di carattere generale per porvi rimedio.
Inoltre, la Corte può “congelare” i ricorsi simili pendenti fino al termine del periodo concesso allo
Stato per adottare le misure necessarie a porre termine alla violazione riscontrata. Se quest’ultimo esegue quanto richiesto dalla sentenza pilota le cause pendenti vengono dichiarate improcedibili o cancellate dal ruolo. In caso contrario, ove lo Stato condannato non adotti le misure necessarie, la Corte riprende l’esame delle cause sospese 27. È unicamente sotto questo limitato profilo che si potrebbe parlare
di un’estensione della portata soggettiva delle sentenze pilota rispetto a soggetti terzi, ma si badi, limitatamente alla parte ricorrente, e non nei confronti dello Stato convenuto.
Le supreme corti del nostro ordinamento hanno ritenuto di attribuire alle sentenze della Corte europea “sostanzialmente” pilota un’efficacia più ampia rispetto a quella stabilita dalla Convenzione. Hanno in altri termini stabilito che anche laddove nel dispositivo di una sentenza della Corte EDU non sia
richiesta allo Stato convenuto l’adozione di misure di carattere generale, a determinate condizioni, occorre ritenere regressivo il dogma del giudicato rispetto all’esecuzione di pene non conformi alla Cedu
e consentire la rideterminazione della pena in favore di tutti coloro che si trovano a scontare una condanna “convenzionalmente” ingiusta.
Né la Convenzione, né tantomeno la giurisprudenza interna, ampliano invece la portata soggettiva
del giudicato di Strasburgo sino al punto da attribuire efficacia vincolante alle sentenze pilota della
Corte europea rese nei confronti di Stati terzi. Al contrario, la dottrina che ha approfondito l’evoluzione
della giurisprudenza di Strasburgo ha evidenziato come: «(…) le indicazioni della Corte ex articolo 46
sembrano maggiormente espressione, rispetto al passato, di un’analisi dettagliata del contesto normativo nazionale e delle eventuali lacune riscontrabili nell’ordinamento dello Stato convenuto in giudizio.
Pertanto, le misure generali o individuali stabilite dalla Corte appaiono più strettamente collegate alla
natura ed alle caratteristiche peculiari del singolo sistema normativo» 28.
Neppure soddisfa l’argomento secondo il quale la portata generale delle sentenze della Corte EDU
non si esaurisce nell’indicazione di misure di carattere generale, ma si esprime altresì nell’autorità di
cosa interpretata 29 di tali pronunce, che varrebbero quale “regola di giudizio” da applicare nei casi futuri 30.
Le disposizioni convenzionali vivono nell’interpretazione datane dalla Corte europea 31, interprete
ultimo della Convenzione (ex art. 32 Cedu), la cui giurisprudenza, secondo la Consulta, contribuisce a
precisare il contenuto degli obblighi internazionali assunti dagli Stati contraenti e ad integrare il parametro costituzionale di legittimità delle norme. Da ciò discende sia l’obbligo dello Stato di adeguare la
propria normativa alle disposizioni del trattato, nel significato loro attribuito dalla Corte europea, sia
quello dei giudici interni di applicare le norme della Convenzione come interpretate da Strasburgo 32.
26
Corte europea dei diritti umani, Rule of the Court, disponibile su http://www.echr.coe.int. L’art. 61 del Regolamento della
Corte è stato introdotto nella precedente versione del Regolamento entrata in vigore il 1 aprile 2011. Cfr. anche a cura della Cancellaria della Corte europea dei diritti umani, The Pilot-Judgment Procedure. Information note, disponibile su http://www.echr.coe.int/
NR/rdonlyres/DF4E8456-77B3-4E67-8944-B908143A7E2C/0/Information_ Note_on_the_PJP_for_Website.pdf.
27
F.M. Palombino, La “Procedura di Sentenza Pilota” nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2008, p. 110.
28
P. Pustorino, Esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani e revisione dei processi penali: sviluppi nella giurisprudenza italiana, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2007, p. 679.
29
Cf. F.M. Palombino, Gli effetti della sentenza internazionale nei giudizi interni, cit., p. 121.
30
Argomento tratto da F. Viganò, Figli di un Dio minore?, cit., p. 9.
31
M. L. Padelletti, L’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani tra obblighi internazionali e rispetto delle norme costituzionali, in Diritti umani e Dir. internaz., 2008, pp. 351-252; C. Zanghì, La Corte costituzionale risolve un primo
contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzionale: le sentenze del 24 ottobre 2007,
in I diritti dell’uomo cronache e battaglie, 2007, p. 61.
32
C. cost., sent., 24 ottobre 2007, n. 348, par. 4.6 del Considerato in Diritto, http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?
anno=2007&numero=348; C. cost., sent., 24 ottobre 2007, n. 349, par. par. 5-6 del Considerato in diritto, http://www.cortecostituzionale.it/
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In caso di contrasto tra norme interne e disposizioni Cedu, i giudici devono tentare di sanare il conflitto in via interpretativa, attribuendo alle disposizioni interne un significato «convenzionalmente orientato». Tuttavia, ove tale contrasto non sia componibile in via interpretativa, il giudice non può disapplicare la norma interna contraria, ma deve sollevare la questione di legittimità costituzionale. A fortiori, l’autorità di cosa interpretata delle sentenze di Strasburgo non sarà da sola sufficiente a consentire
al giudice di rimuovere il giudicato interno formatosi sulla base di una norma applicata non in senso
convenzionalmente orientato.
Del resto, anche la stessa Corte di Strasburgo, che in linea di principio si conforma ai propri precedenti 33, non considera di esservi necessariamente vincolata, ben potendo discostarsene ove ritenga vi
siano ragionevoli motivazioni per mutare orientamento e modificare l’interpretazione di una disposizione convenzionale fornita in precedenza. La Corte guarda alla Convenzione come ad un “living instrument” da interpretare in maniera evolutiva 34, motivo ulteriore questo per ritenere che l’intangibilità
del giudicato non possa essere messa in discussione di fronte ad un’interpretazione che, per quanto
consolidata, non costituisce una “regola” di giudizio.
iii) Infine, venendo all’ultimo punto da trattare concernente la possibilità indicata dalle S.U. della
Cassazione, nell’ord. n. 34472/2012, di un’applicazione ultra partes della sentenza “sostanzialmente” pilota, essa vale solo nei confronti delle persone condannate in via definitiva sulla base della medesima disposizione giudicata contraria alla Cedu (a prescindere da se abbiano o meno adito la Corte europea) e
solo nella limitata ipotesi in cui l’accoglimento della domanda di revisione della pena non richieda la
riapertura del processo. Entrambe condizioni che non risultano soddisfatte nel caso in esame.
Del tutto diversa è, infatti, l’ipotesi prospettata dal ricorrente con riferimento all’applicazione ultra
partes delle sentenze della Corte EDU nei confronti di Stati terzi, in quanto le misure individuali e generali indicate dalla Corte europea al fine di provvedere all’esecuzione della sentenza sono pensate con
riguardo ad un dato ordinamento giuridico e non valgono che per esso. Poiché ogni ordinamento presenta proprie peculiarità, pretendere che il giudicato interno sia rivisto ogniqualvolta il caso nazionale
presenti assonanze con quello straniero, rischierebbe di portare a risultati inaccettabili.
In particolare, il rischio è di strumentalizzare le pronunce della Corte EDU a fini difensivi svincolandole dal contesto nel quale sono state pronunciate ed attribuendo loro una portata lontana persino da quella
voluta dagli stessi giudici che le hanno emanate. La possibile strumentalizzazione sarebbe tanto più rischiosa quanto più alto è il rango dei principi interni da tutelare, qual è quello dell’intangibilità del giudicato, che rischierebbe di recedere in virtù di una lettura analogica di sentenze che trovano la loro collocazione in ordinamenti giuridici diversi da quello nel quale si pretende di darne applicazione.
Ciò è tanto più vero ove ad essere censurate siano violazioni dell’art. 6 Cedu. Come la dottrina non
ha mancato di rilevare, sussiste il pericolo di “una valanga di ricorsi miranti in particolare a far valere –
vere o presunte – violazioni del “processo equo” secondo i principi stabiliti dalla Giurisprudenza di
Strasburgo, ma mai lamentati in quella sede con riferimento alle singole posizioni dei ricorrenti” 35.
Per tale ragioni la Suprema Corte, nel caso Ercolano, ha circoscritto la possibilità di revisione del giudicato alle ipotesi di violazione dell’art. 7 CEDU, nelle quali è possibile chiedere al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena sulla base di criteri oggettivi e chiaramente definiti, senza la necessità di
procedere alla riapertura del processo 36.
actionSchedaPronuncia.do?anno=2007&numero=349; C. cost., sent., 16 luglio 2009, n. 239, par. 3, http://www.cortecostituzionale.it/actionSche
daPronuncia.do?anno=2009&numero=239.
33
Cfr. Y. Lupu, E. Voeten, Precedent in International Courts: A Network Analysis of Case Citations by the European Court of Human
Rights, in British Journal of Political Science, 2012, p. 4.
34
Cfr. A. Nowbray, An Examination of the Europea Court of Human Rights’s Approach to Overruling its Previous Case Law, in Human
Rights Law Review, 2009, pp. 179-201; V. Zagrebelsky, Violazioni ‘strutturali’ e Convenzione europea dei diritti umani: interrogativi a proposito
di Broniowsky, in Diritti Umani e Dir. Internaz., 2008, p. 7; M Balcerzak, The Doctrine of Precedent in the International Court of Justice and the
European Court of Human Rights, in Polish Yearbook of International Law, 2004, pp. 131-139. In diverse occasioni la Grande Camera della
Corte europea si è discostata dal proprio precedente ritenendo che: «a failure by the Court to maintain a dynamic and evolutive approach
would risk rendering it a bar to reform or improvement». Cfr., ex multis, Corte EDU, Grande Camera, 19 aprile 2007, Vilho Eskelinen e altri c.
Finalndia, par. 56; Corte EDU, Grande Camera, 12 novembre 2008, Demir e Baykara c. Turchia, par. 153.
35
Cfr. F. Viganò, Figli di un dio minore, cit., p. 3.
36
D. Vitiello, La Corte di cassazione italiana e l’incidenza delle sentenze di Strasburgo sulle pronunce interne passate in giudicato, in
Diritti Umani e Dir. Internaz., 2013, p. 200.
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Diversamente, nel caso di specie, occorrerebbe necessariamente lo svolgimento di un nuovo processo, al fine di eventualmente rideterminare la pena, in quanto l’istante lamenta la violazione di un diritto
processuale, posto a garanzia di equità del processo, di cui all’art. 6, par. 3, lett. c), Cedu, come interpretato dalla Corte europea nel caso Öcalan. Tale richiesta di revisione della sentenza, a ben vedere, evidenzia i rischi, previsti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di strumentalizzazione delle sentenze di
Strasburgo.
Nel caso Öcalan (che a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente non si conclude con una sentenza pilota (il leader del PKK lamentava la violazione dell’art. 6 Cedu a causa di una serie di restrizioni e
difficoltà incontrate nel ricevere assistenza legale, nell’avere accesso ai fascicoli, nel chiamare testimoni
in giudizio e, in generale, nell’accesso ai documenti dell’accusa (§ 119). La Corte di Strasburgo ha ritenuto violato il diritto del ricorrente ad un equo processo ex art. 6, par. 1, letto congiuntamente all’art. 6,
par., 3, lett. b) e c), a causa dell’effetto complessivo di una serie di limitazioni consistenti nel: diniego di assistenza legale durante la prima settimana di interrogatori (nei quali Öcalan aveva reso una serie di dichiarazioni auto-incriminanti divenute essenziali per la sua condanna); divieto di conferire con i propri
legali senza essere ascoltato dalla forze di polizia; diniego di accesso ai documenti del fascicolo fino ad
una fase molto avanzata del processo; divieto di visita da parte dei propri legali per più di un’ora a settima; e, diniego, per gli stessi avvocati, di avere accesso al fascicolo di circa 17.000 pagine, se non tardivamente (circa due settimane prima che il processo avesse inizio) 37.
Per la Corte EDU, dunque, le limitazioni ai contatti di Öcalan con i propri legali costituivano solo
uno dei fattori che avevano ostacolato la preparazione della difesa e che avevano contribuito a violare
l’art. 6 Cedu. Al contrario, nel caso che ci occupa, l’istante chiede la riapertura del processo sul presupposto che la Corte europea abbia indicato, con effetto generalizzato nei confronti di tutti gli ordinamenti degli Stati parte, che limitazioni numeriche e temporali siano da sole sufficienti a ritenere leso il diritto all’equo processo e, di conseguenza, legittimino la riapertura del processo a suo carico (sic!).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Fatte queste considerazioni, rimane da valutare se, nei casi come quelli in commento, la circostanza di
non poter avvalersi dei principi enunciati in una pronuncia “quasi-pilota”, emanata nei confronti di un
ordinamento diverso da quello nel quale se ne chiede l’applicazione, lasci un qualche vuoto di tutela
che manifesta una carenza nel sistema di diritti fondamentali.
Ad avviso di chi scrive, la necessità di dare applicazione alle norme della Convezione così come interpretate dalla Corte di Strasburgo non può spingersi sino ad imporre la revisione del giudicato per
incompatibilità con i principi esposti dalla Corte europea in una pronuncia riferita ad un ordinamento
diverso da quello nel quale se ne chiede l’esecuzione.
Nel caso in cui sussista una sentenza passata in giudicato, l’esistenza di una pronuncia della Corte
EDU che abbia riscontrato una violazione da parte di un altro ordinamento, in cui sussistono situazioni
non dissimili da quello interno, non appare sufficiente a sacrificare il principio dell’intangibilità del
giudicato, che esprime pur sempre ragioni di certezza del diritto e di stabilità nelle relazioni giuridiche.
In definitiva, nel bilanciamento tra il valore dell’intangibilità del giudicato e il diritto ad un’interpretazione convenzionalmente orientata delle norme da parte del giudice interno, occorre, ragionevolmente,
riconoscere prevalenza al primo.
37
Corte EDU, Grande Camera, cit., par. 148.
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