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Scioperi e pena di morte Li hanno presi e li hanno uccisi alla riva del

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Scioperi e pena di morte Li hanno presi e li hanno uccisi alla riva del
Scioperi e pena di morte
Li hanno presi e li hanno uccisi alla riva del fiume
Nei mesi di febbraio e di marzo la tensione sale al massimo livello ed esce allo
scoperto l’opposizione delle classi popolari contro la guerra e contro il tentativo
di restaurazione del vecchio regime. Con l’istituzione della pena di morte per i
renitenti il governo della RSI raggiunge il punto più basso della sua popolarità,
ne daranno conferma le proteste e gli scioperi che a partire dal primo di marzo
si diffonderanno in tutta l’Italia del nord.
... e poi, quando venivano i fascisti atorno casa che cercavano non so che cosa... con dei cani lupi,
avevamo più paura dei fascisti che dei tedeschi. Erano tremendi! (...) dico quel che ho visto io. (...)
Ho sentito che prendevano dei ragazzi, fascisti e tedeschi assieme. Però peggio i fascisti perché
andavano... dico, [a] caccia di questi ragazzi (...) i primi del ’44. Un tedesco... andarono nelle
campagne questi ragazzi, correvano in mezzo al grano e questo tedesco disse “Mamma mia! Sparare
fascisti e le mamme piangere con questi figli!” (...) si nascondevano, erano venuti scoperti dopo,
erano quelli non volevano andare a fare il militare... (Orioli Maria - Intervista di Isabella Rossi 2004)
In febbraio i Gap riescono ad attuare, quasi contemporaneamente, due azioni di
grande importanza politica. A Cesena, la notte del 9, è assaltato il carcere della
rocca, il mattino dopo, a Forlì, viene ucciso il segretario federale del fascio
Arturo Capanni.
9 corr. Ore 24 in Cesena 15 giovani sconosciuti civili armati probabilmente ribelli qualificatisi
agenti di pubblica sicurezza in accompagnamento detenuti ottenevano da custode ingresso carcere
mandamentale Cesena et liberavano detenuti Casadei Ezio anni 30 da Cesena et Pasolini Primo anni
19 da S. Marino entrambi sospetti partigiani. Prima di uscire aggressori dopo avere danneggiato
apparecchio telefonico esplodevano colpo pistola contro capo codesto custode squadrista et iscritto
al Partito Fascista Repubblicano uccidendolo. Pattuglia arma et agenti PS eseguivano battuta ma
con esito infruttuoso. Proseguono indagini. Segnalazione completa. (Fonogramma del capitano
[illeggibile] della compagnia dei carabinieri di Cesena alla questura di Forlì - 10 febbraio 1944 –
ISRFC 10/B6 867)
[Forlì] 10 [febbraio] = Nei pressi della sua abitazione in Villa S. Varano è ucciso a colpi di pistola
per vendetta politica, il commissario federale Arturo Capanni. Chiusura dei negozi nel pomeriggio e
spari nella città; fascisti con autocarro si sono recati nella zona e vi è timore di gravi rappresaglie.
L’ucciso era più volte decorato al valore ed apparteneva ad una famiglia nota per sentimenti
repubblicani, in dimestichezza con Aurelio Saffi. Il fratello del federale rag. Alfredo Capanni, era
morto nel ’24 a seguito di bastonature avute dai fascisti e perciò aveva suscitato meraviglia che
l’ucciso si trovasse ora al maggior posto della sponda opposta. Si vuole che il bisogno, come
l’aveva spinto a recarsi volontario in Africa ed in Spagna a causa del pagamento di una forte somma
a cagione di un incidente automobilistico, in cui era, per sua causa involontaria, morta una signora,
così lo decidesse ad assumere un posto pericoloso. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
... lui [Arturo Capanni] usciva all’una dall’ufficio e lo intercettammo lungo la strada malgrado fosse
sorvegliato. Quelli della sorveglianza se ne andarono e fu giustiziato un 150 metri da casa. Tutto
pianificato. [Non fu quindi un’azione fatta a caso?] No. (Giulio Garoia - 1998)
Nel tentativo di impedire gli attentati sempre più frequenti i capi delle province
di Forlì e di Ravenna vietano di servirsi delle biciclette all’interno dei centri
abitati. La bicicletta però è ormai l’unico mezzo di trasporto efficiente e
l’ordinanza non fa che aumentare lo scontento della popolazione.
11 Febbraio 1944 - Appare una strana ordinanza: Vietato, sia di giorno che di notte, entro i Comuni
di Cesena e di Forlì, servirsi della bicicletta. Chi all’intimazione dell’”ALT”, da parte dei militari
addetti alla P.S. non si ferma, verrà colpito a fuoco. Chi si ferma, leverà le mani in alto. Ordine del
capo della provincia Zaccherini [Alberto] e del Commissario Prefettizio del Comune [Pilade
Ferrara]. E pensare che la bicicletta serve tanto ora! Trattasi evidentemente di restrizioni o
rappresaglia in relazione alle uccisioni continue, che avvengono, non sporadicamente, ma
metodicamente nei confronti di militi fascisti o tedeschi, da parte di elementi delle Resistenza, che
colpiscono improvvisamente e poi fuggono in bicicletta. Anche il federale di Forlì è stato ucciso.
(...) Altra ordinanza: niente più di due persone per la strada, anche donne, niente mani in tasca, ecc...
Arresto immediato! Da notare che dette ordinanze hanno valore per pochi giorni in pratica e
applicate sempre fiaccamente. In stato di allarme aereo, tutto passa.
12 febbraio 1944 - L’assurda ordinanza di ieri, circa le biciclette, è stata chiarita. Un manifesto fa
noto quali sono le vie cittadine che si possono percorrere e quelle urbane. Tutto si ridurrà a nulla.
(Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
12 [febbraio ] - A causa dell’uccisione del federale di Forlì è stato vietato anche a Cesena di andare
in bicicletta. Questa mattina la popolazione o è tornata indietro prima di arrivare in città, o ha
lasciato la bicicletta fuori. E’ pure proibito tenere le mani in tasca o sotto i mantelli. (Dal diario di
don Pietro Burchi - Gattolino)
14 febbraio 1944 - Ora i permessi per viaggiare in autocorriera, saranno rilasciati solamente dagli
uffici di P.S. e dalla Guardia Repubblicana. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
[Forlì] 15 [febbraio] = Codeste misure draconiane sono in relazione agli omicidi a carattere
politico che pure altrove sono stati compiuti da individui subito allontanatisi in bicicletta, ma tanto
da noi, quanto in Cesena sollevano forte malumore. Vivamente impressionato è il ceto popolare, le
donne che credono di non potere più ricevere il latte, gli operai abitanti in campagna per raggiungere
gli stabilimenti, gli sfollati e così via, poiché la bicicletta rappresenta per costoro la vita, Già si parla
dell’eventualità di dimostrazioni e di scioperi.
[Forlì] 16 [febbraio] = Anche in Ravenna vige la proibizione di circolare in bicicletta entro il
perimetro della città, ed in particolare nei giorni 18 e 19. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il malcontento generato dal divieto di circolare in bicicletta è sfruttato dal
partito comunista per organizzare la protesta degli operai. E’ subito chiaro che
le richieste di abolizione del divieto e di miglioramenti economici per i
lavoratori, sono solo un pretesto e che lo sciopero ha un carattere politico più
vasto. In effetti, già dal mese di gennaio, il comitato centrale del partito
comunista aveva inviato disposizioni per l’organizzazione di uno sciopero
generale, previsto per il 21 febbraio e poi spostato al 1° marzo.
Lamberto: … Dop a que u j era e’ grop par i siupar... ò purtè só… a purteva só i foi par e’ siopar
nenca. A i purteva… A i daseva… quand a s’ era a là só, a i daseva a chi du tri che a lè i quileva,
Bucci [Quinto] e cumpagnia bela. E dop lou j i distribuiva (…) Però a purtei só a i purteva só me,
da qua zó…
[E a lei chi li dava?]
Lamberto: Ah! J i custruiva in ca’ mia…
[C’era una tipografia?]
Lamberto: Una tipografia! L’era una tipografia a men!
Amedea: U j era e’ mi non, e’ puret ch’l’era vec… l’era int una ca’ vecia e dop… “U j è un vec a
lè...” [la gente diceva] e in faseva…
Lamberto: L’era una tipografia acsé!
[E chi ci lavorava?]
Lamberto: Ah! A n’ e’ sò... u j entreva Barbieri [Ernesto] (…) Tabarri [Ilario] u m’ pè… Tabarri che
l’era… l’era guantè e’ capocia dla brigheda a là só in mutagna… nenca lo dal volti u j era quand
ch’i faseva… i faseva… quist. (…) L’era un bel zovan (…) Robost. Tabarri a l’ò vest dó tre volti, l’è
stè in ca’ mia enzi… (Lamberto (Bruno) e Amedea Sama - 1998)
A Forlì gli avvenimenti che seguirono l’uccisione del federale fecero precipitare
la situazione e la macchina organizzativa, già in moto in previsione del 21
febbraio, non poté essere fermata.
[Forlì] 17 [febbraio] = Al consueto segnale della sirena alle ore 10, gli operai di alcuni stabilimenti,
compreso l’Orsi-Mangelli, vengono abbandonati in segno di protesta per la disposizione riguardante
la circolazione in bicicletta e le sottrazioni delle biciclette stesse, ma pare saranno apportate alcune
modifiche al decreto relativo. Non si tratta soltanto delle misure in rapporto alla circolazione, ciò
che angustia la classe operaia è il sistema vessatorio che la colpisce, costringendola a lavorare a
beneficio della guerra nazifascista, avversatissima, a soffrire ogni genere di privazioni e restrizioni,
a subire il mercato nero, i pericoli delle incursioni, mentre viene malamente corrisposta nei salari e
nelle aspirazioni morali. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Ieri gli operai dello stabilimento Orsi Mangelli, alle ore 10, al segnale di verifica delle sirene,
abbandonavano il lavoro imitati, nel pomeriggio, dalla maggior parte degli operai degli altri
stabilimenti, motivando la astensione quale segno di protesta contro l’ordinanza che limita la
circolazione delle biciclette nel centro abitato di questo capoluogo, emessa in seguito alla recente
uccisione del federale reggente maggiore Capanni. Quest’ufficio ritiene che tale astensione del
lavoro abbia invece movente politico e che l’ordinanza circa il divieto di circolare in bicicletta
costituisca puramente un pretesto, tanto più che erano state adottate tutte le possibili facilitazioni per
consentire agli operai l’accesso agli stabilimenti in bicicletta e che anzi fin da ieri mattina era in
corso altro provvedimento che sospendeva la precedente disposizione. Infatti stamane è stato diffuso
alla macchia per le strade di questo capoluogo, un manifesto a stampa firmato <<Il partito
Comunista>>, nel quale il questore Larice viene definito <bandito> (...) nel quale si invita a
scioperare e a persistere nello sciopero alla fine di ottenere la liberazione dei detenuti politici. Dalle
notizie fin’ora pervenute risulta che l’astensione dal lavoro negli stabilimenti di questo capoluogo
continua tutt’ora stamane, essendosi presentati al lavoro solamente un piccolissimo numero di
operai. (Mattinale inviato al Comando SS di Forlì dal Capo della provincia - 18 febbraio 1944 –
Archivio di Stato di Forlì. Pref. ris., b. 395, f. 136]
[Forlì] 18 [febbraio] = Gli operai non hanno nemmeno stamane ripreso il lavoro ed è stato fra essi
diffuso un volantino alla macchia, dal che appare il carattere politico della protesta, la quale investe
i delitti di Stato o di partito per i processi e le condanne feroci ed ammonisce i responsabili di
codesti crimini. (...) Voce del taglio di fili della corrente elettrica allo Stabilimento Orsi Mangelli:
gli operai ritenuti fautori del sabotaggio e del movimento sono già tenuti d’occhio, però nessun
arresto hanno operato la polizia e la guardia repubblicana. Una piccola parte delle maestranze ha
ripreso il lavoro nel pomeriggio: forse domani seguiranno l’esempio tutti gli operai, minacciati
come sono dal ritiro della tessera annonaria e dall’invio in Germania. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
Giungemmo ai primi scioperi e inizialmente, parteciparono gli operai della Mangelli, seguirono poi
quelli della Becchi e via via gli altri. Una settantina fra noi furono arrestati, io compreso. (Nel
frattempo, mio fratello [Secondo Larice, il questore] aveva occupato momentaneamente l’ufficio del
prefetto, assente). Fummo tutti raccolti nel salone comunale e sorvegliati da poliziotti armati.
Quando il Commissario Politico Santa Maura [Commissario di pubblica sicurezza Gaetano
Santamaura] (che mi giudicava il “capoccia” dello sciopero), interrogò me e mio fratello Settimio,
io negai di conoscere il motivo della “protesta” e Settimio ridendo, rispose che lui non faceva
sciopero, ma era solo... stanco di lavorare! Questi atteggiamenti infuriarono il commissario che,
avvertito telefonicamente mio fratello Secondo dell’accaduto, ci fece condurre dalla polizia in
Prefettura. Quando uscimmo, qualcuno degli arrestati mi si avvicinò e mi disse d’essere accorto e
calmo, perché eravamo in pericolo. Non so chi fosse, ma era certamente uno del movimento
clandestino. Quando arrivammo, mio fratello era in comunicazione con un colonnello tedesco, il
quale chiedeva che fossero mandati in Germania il 50 per cento degli scioperanti. Mio fratello
rispose di non essere d’accordo, aggiungendo, che avrebbe indagato per chiarire e poi ne avrebbero
riparlato. Terminata la telefonata, si rivolse a noi accusandoci d’essere la causa di tutto e ci disse
inoltre che bisognava subito riprendere il lavoro, poiché lui potesse essere in condizioni di riferire ai
tedeschi che la situazione si era normalizzata, evitando così la repressione richiesta. Risposi di non
sapere i motivi dello sciopero e che occorreva quindi che mi mettessi in contatto con qualcuno a
patto di non essere seguito. Mio fratello allora esclamò: “Adesso capisco, tu sei quello che mantiene
i contatti con le ‘Canaglie’.” Spiegai allora che sarei andato a parlare con uno che probabilmente ne
sapeva quanto me, e solo, volevo rassicurarmi che non avesse noie con la polizia. “Vai pure - disse
mio fratello - nessuno ti seguirà, però fai presto.” Partii in bicicletta; incontrai il compagno Marconi
[Nello] che dopo un mio breve accenno ai fatti, rispose di non poter dire nulla, ma mi suggerii di
recarmi in un certo luogo in campagna dove avrei incontrato qualcuno. Per essere breve, comunicai
con il compagno Zanelli [Adamo] che mi chiarì le due cause principali dello sciopero; la prima,
partiva dall’assassinio del federale ucciso da gente in bicicletta, per cui un’ordinanza vietava l’uso
di questo mezzo di trasporto; e ciò causava danni ai lavoratori lontani dalle rispettive occupazioni.
La seconda delle cause dipendeva dall’esistenza di una decina di persone, tenute come ostaggi, tutte
brave persone innocenti. Dopo una lunga e serrata discussione a cui partecipò anche il Prefetto
Bologna [Pietro], furono accettate, oltre le condizioni alle cause sopra esposte, anche la liberazione
di dieci donne arrestate per la protesta contro il razionamento viveri, ed inoltre, la libertà di tutti gli
arrestati per la questione dello sciopero, che così terminò. (Da: Diario e ricordi del II Bataglione /
Terzo Larice (Tigre). - Cesena : Tosca, 1997)
Lo sciopero si estese anche all’Arrigoni di Cesena.
19 febbraio 1944 - Ieri s’è verificato qualche torbido all’”Arrigoni” da parte specialmente di donne
che protestano per la proibizione dell’uso delle biciclette e per altre limitazioni. (Dal diario di don
Leo Bagnoli - Cesena)
Lì dentro all’Arrigoni le prime cose che facemmo era il sabotaggio perché venne una macchina dei
tedeschi e dei fascisti, allora, per esempio... del 43, ci mettemmo nella ruota della sabbia. E poi
leggevamo subito i primi giornali. C’era La Scintilla. Andavamo nel gabinetto e poi uno lo passava
all’altro e facevamo il giro con Battistini ed altri, eccetera. E poi ci fu lo sciopero del mese di
febbraio... lo sciopero, che mi ricordo che c’era un fascista... eravamo io e uno di Martorano e
andavamo a spegnere [i forni] dove preparavano la roba, (...) quella roba che facevamo secca, la
verdura che la seccavano. Noi andavamo a spegnere e c’era sto fascista che ci correva dietro per
riaprire di nuovo. Vedi quindi cominciammo... Lì conobbi anche Ricchi Werther. (Dino Amadori 1999)
Ricordo uno sciopero fallito. Fallì... dovremmo fare un esame autocritico noi e chi più in alto di noi
decise. Eravamo in 13 ad uscire e non fummo presi perché altrimenti un numero così piccolo
sarebbe stato individuato. Per i fascisti sarebbe stato facile! Suonò l’allarme. Fallì quello ma non
fallì l’altro. (Edoardo Gazza - dattiloscritto 1984)
Diciotto c.m. ore 10 alcuni reparti dello stabilimento industriale conserviero “ARRIGONI” di
Cesena (Forlì) hanno incrociato le braccia, pretendendo ingiustificati aumenti di salari e protestando
per l’orario del coprifuoco (ore 10). Per la attuale limitazione sulla circolazione delle biciclette ed
anche per la detenzione di alcuni sovversivi di Cesena incriminati di attività antinazionale. Il
segretario Politico [Guido Garaffoni] del locale fascio Repubblicano alle ore 10 di oggi ha ricevuto
gli operai tenendo loro un linguaggio fermo e deciso ed il lavoro è stato ripreso. Ordine pubblico
normale. (Da una comunicazione del Comando della Guardia nazionale repubblicana di Cesena. 28
febbraio 1944. - ISRFC -10/B6 - 0871)
... quando venne a parlare il Segretario del fascio di Cesena [Guido Garaffoni], furono più le donne
che gli uomini che chiedevano più salario, meno ore, perché si lavorava fino a 12 ore al giorno.
Cercavamo di fare dei sabotaggi, le cose che andavano via erano per l’esercito tedesco. Si essiccava
la verdura, eccetera. Era il minestrone. Quindi si cercava di spegnere i forni, c’erano i fascisti lì
dentro che controllavano, ma ci riuscimmo. Cercavamo di far sempre il meno possibile, perché
sapevamo dove finiva la merce. (...) Ricordo poi che venne a parlare il segretario del fascio di
Cesena e ci radunò dove adesso ci sono i pullman e fatalità, è un fatto che lo sanno Pelo [Lamberto
[Bruno] Sama] di Ronta ed altri, c’era un asino e quando cominciò a parlare il segretario del fascio,
questo si mise a ragliare e fu una risata generale. Se ne parlò mesi e mesi di questo fatto. (Dino
Amadori - dattiloscritto 1984)
Un uomo... c’era lo sciopero. Lavoravo all’Arrigoni (...) allora era lì che stava davanti alla porta
perché non entrasse nessuno, per vedere (...) e alora e’ get “S’ e’ ven un fasesta (...) a fem dal quiscion al pigh cmé un giurnel e a me met int la saca!” (...) La motivazione era... contro la fine della
guerra... problema della guerra, problema dell’aumento, perché si prendevano quattro soldi e... il
problema del mangiare, perché non ti davano niente. Ohi! 200 grammi, 250 grammi di pane!
[Eravate collegati anche con altre fabbriche?] Sì. Sì. Sì. Amo anche a Forlì. C’è la Mangelli a Forlì.
E poi si sapeva subito u j era al stafeti in bicicleta che arivavano da una parte e pó via da cagljt, per
raccontare. [C’era anche Ricchi Werther?] Lui era ancora lì. Io mi ricordo era nella… dove… dove
facevano la marmellata che io gli portai delle munizioni ch’e’ get “Mo t’ci mat a purtemli a qua
zó!” (Dino Amadori - 2000)
Lo stesso giorno il capo della provincia sospese il divieto di circolazione delle
biciclette.
[Forlì] 19 [febbraio] = Il capo della provincia sospende il divieto di circolazione in bicicletta per
Forlì e Cesena. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Ma la situazione, già estremamente tesa, si complicò ulteriormente con la
pubblicazione (il 14 febbraio 1944) del cosiddetto “Bando Graziani”, il decreto
legislativo n. 30/1944 che stabiliva la pena di morte per i disertori e per i
renitenti alla leva.
Art. 1. Gli iscritti di leva arruolati ed i militari in congedo che, durante lo stato di guerra, e senza
giustificato motivo, non si presenteranno alle armi nei tre giorni successivi a quello prefisso,
saranno considerati disertori di fronte al nemico, ai sensi dell’art. 144 C.[odice]P.[enale]M.[ilitare
di]G.[uerra] e puniti con la pena di morte mediante fucilazione nel petto.
Art. 2. La stessa pena verrà applicata anche ai militari delle classi 1923-1924-1925 che non hanno
risposto alla recente chiamata o che, dopo aver risposto, si sono allontanati arbitrariamente dal
reparto.
Art. 3. I militari di cui all’articolo precedente, andranno tuttavia esenti da pena e non saranno
sottoposti a procedimento penale se regolarizzeranno la loro posizione, presentandosi alle armi
entro il termine di quindici giorni decorrente dalla data del presente decreto.
Art. 4. La stessa pena verrà applicata ai militari che, essendo di servizio alle armi, si allontaneranno
senza autorizzazione dal reparto restando assenti per tre giorni (...)
Art. 5. La pena di morte inflitta per i reati di cui agli articoli precedenti, deve essere eseguita, se
possibile, nel luogo stesso della cattura del disertore o nella località della sua abituale dimora. (...)
(Dal Decreto legislativo del Duce, 18 febbraio 1944, n. 30. in G.U. n. 42. 21 febbraio 1944)
[Forlì] 22 [febbraio] = Continua il fermo dei giovani per l’esame della posizione militare: ai
cosiddetti disertori e renitenti è concesso un periodo di tredici giorni per presentarsi, dopo di che
saranno applicate nei loro confronti gravi sanzioni, fucilazione compresa. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
Per i richiamati alle armi la faccenda si fa seria, tanto più che non è facile
stabilire quale sia il termine di scadenza per la presentazione alle armi. Il 26
febbraio, sul Corriere della sera, viene indicata la mezzanotte di lunedì 28
febbraio, per i richiamati delle classi 1922 e 1923 e primo quadrimestre 1924;
prima della mezzanotte del 4 marzo per quelli della classe 1924 (secondo e terzo
trimestre) e 1925; la stessa data è prevista per i militari che hanno risposto alla
chiamata e poi hanno disertato.
[Forlì] 25 [febbraio] = Il 38° comando militare provinciale dell’esercito nazionale repubblicano
riproduce in manifesto il decreto del 18 corrente per la presentazione alle armi delle classi 1924 e
dei richiamati, pena la morte; per i primi il termine scade il cinque prossimo, per gli altri il ventotto
corrente.
[Forlì] 26 [febbraio] = E’ prorogato al 4 marzo il termine di presentazione dei richiamati del ’22 e
del ’23, 1° quadrimestre e si fa credere che molti di essi, scesi dalle montagne, si sono già
presentati. Vero è che una ventina di giovani l’hanno fatto, allo scopo di liberare i genitori tenuti in
ostaggio, ma sono riusciti a fuggire a Verghereto, loro paese. I partigiani hanno affisso lassù e nei
luoghi vicini, manifesti contenenti la minaccia di fucilazione per chi si presentasse alle armi. (Dal
diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Quando hanno finito con i militari, che l’ultima leva del ’43 era stata il ‘24, i tedeschi hanno
chiamato il ‘25 e c’ero anch’io. Da qui in poi è venuto il guaio, perché andare a fare il militare si
doveva andare a combattere e parecchi ci sono andati in Germania... Un mio amico che eravamo
assieme... io non ci sono andato lui sì. Per paura si è presentato ed è andato sotto la Repubblica
Sociale, dopo l’hanno mandato in Germania. (Mario Gattamorta - 1999)
Dove non è possibile costringere i giovani ad arruolarsi vengono colpiti i loro
genitori, che sono imprigionati e tenuti come ostaggio e in certi casi inviati
addirittura al fronte come ausiliari.
Rossi Aldo era nascosto qui [zona di Pievesestina-Torre del Moro] e sono andati a cercarlo a casa e
hanno portato sua madre al fronte, al posto del figlio e si è fatta 40 giorni di fronte. (Bruno Zanoli dattiloscritto 1984)
[Tua madre è stata arrestata?] Per un giorno, poi ci fu l’aiuto di una persona che conoscevamo che
stava vicino a casa nostra, una brava persona, che andò a parlare dicendo: “Questa disgraziata ha
anche un fratello handicappato che è rimasto in casa” (...) era mia mamma col fratello e noi due figli
clandestini... disse “Questa è una donna che non si può arrestare...” e la lasciarono a casa. (Augusto
Capovin - dattiloscritto 1984)
Mio fratello che era della classe 1924 j i get… c’era il bando Graziani “Ciou! Du andami?” “Me
andreb cun i ribelli…” J i ciameva i ribelli “u i sareb un camion…” “Coiu!” e’ mi fradel e’ get
“Ciou! Du andam…” Infatti alcuni andarono via con sti ribelli uno dei quali era un certo Flavio
Foschi che abitava proprio davanti a casa mia (…) il truvet e il fucilet a la só. (…) Mio fratello
invece si era impiegato all’annonaria che era lì nel palazzo delle Poste (…) Però arriva sto bando.
Arriva il primo, arriva il secondo, il terzo e’ geva... Ciou!... “Pena di morte!. Allora [mio fratello] si
presenta. Viene a sapere che a Forlì cercano per fare una banda… “Insoma, a m’ met int la banda e
a sò bela che post…” (…) Senonché mio fratello aveva il titolo… aveva da poco preso il titolo da
maestro, il diploma. Tot i diplomè j i ciamet. (…) Gli fecero fare il corso da ufficiali … e una bela
matena ariva la chiamata. Si parte per la Germania. Sa fal sté burdel? Ciou! Mio babbo impiegato
all’Arrigoni… Parché j aresteva e’ ba’, eh! Alora i dis “Starete via qualche mese poi tornate”.
(Guido Mattei – 2003)
Non essendoci forze di polizia sufficienti a reprimere il massiccio fenomeno della
renitenza alla leva, si cercò di creare un particolare clima di intimidazione.
[Forlì] 27 [febbraio] = Continuano in città i fermi, le perquisizioni ai cittadini, la richiesta dei
documenti da parte dei soliti scocciatori, talora accompagnati da militi locali. Giungono qui gruppi
di “volontari della morte”, come primi acquartierati nel palazzo degli Studi, divenuto una specie di
luogo di tappa per gli armati; sembrano destinati a combattere i partigiani in montagna.
[Forlì] MARZO = 1 = Pattuglie di militi e volontari della morte si sono abbandonati nel
pomeriggio a scenate d’una violenza di nuovo genere, spalleggiati altresì dalle guardie confinarie
repubblicane, si spera solo di passaggio. Una squadra s’è porta in giro armata di forbici, come
altrove è avvenuto, e senza tanti complimenti dopo l’ingiunzione di “in alto le mani”, procedevano
al taglio dei capelli ai giovani che incontravano, volendo codesti bravacci che tutti, indistintamente
vadano al fronte. Dato il procedimento rapido e lo schermirsi dei malcapitati, qualcuno nel
sacrificare la zazzera in modo così barbaro, è rimasto ferito (…) la maggior parte delle tosature è
avvenuta nel Rialto piazza, tra lo sghignazzare dei poliziotti locali montanti la guardia. Altri gruppi,
costretti i giovani accalappiati a reggere pentole contenenti vernice nera, imbrattavano i muri e le
vetrine specie in borgo Cotogni, con scritte a grandi caratteri e del seguente tenore: COMUNISTI
TREMATE : SIETE TUTTI IN LISTA! = RINNEGATI ARRIVA IL CASTIGAMATTI! =
CERCANSI SOVVERSIVI SORRIDENTI = PER UN EBREO DUE SPIE = GAGA’
TAGLIATEVI LE ZAZZERE = GAGA’ AL FRONTE = ed altre simili accompagnate da una
duplice freccia distintivo dei caporioni.
[Forlì] 2 [marzo] = Nuove tosature nella mattinata e nuove scritte murali contro i “gagà”, i
comunisti, i disertori, ripetuta quella che avverte: “CHI NON E’ CON NOI E’ CONTRO DI NOI”,
e dice il vero sul serio.
[Forlì] 7 [marzo] = … nel teatro di Forlimpopoli (…) Un soldato tedesco impediva l’accesso agli
sforbiciatori dalla parte del palcoscenico, giacché costoro si proponevano di ripetere le gesta del
Passatore (…) ma penetrati nella sala da un altro punto compivano alcune delle operazioni, mentre
il pubblico sdegnato ne usciva. Raggiungevano infine il palcoscenico per affrontare gli attori,
trovando però l’opposizione di un reduce di Russia, volontario di guerra, una sparatoria accadeva
all’esterno provocando l’intervento del comando germanico che ristabiliva l’ordine con il rimandare
i provocatori. Al cinema-teatro Esperia un ufficiale della Milizia schiaffeggiava uno spettatore per
presunta mancanza di rispetto alla divisa; costui reagisce e determina un tumulto. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
Me avdet quand i daset da bei l’oli ad rezin però... non so chi era. Me andeva só a scola e c’erano
due... me a pens ch’i fos dla republichina, i n’era fasesta... era per la guerra (...) propri lè dria a e’
semaforo pr andè in piaza, int e’ marciapia ad là. Me avdet sti du. J era instì ad verd. J aveva che
basco (...) ma a cred ch’i fos dla... dla... la Folgore? No. Quelli di San Marco. Il battaglione San
Marco. (...) Insomma c’avevano questo basco qua, tirato giù... tutti vestiti... e... e i farmet un par la
streda (...) e stu l’aveva, insoma, i cavel bjinch. Tutto vestito bene (...). Il farmet. I parlet un po’... e
pó un u s’ cavet fora la bocia e l’aveva da bei quel che lè. Clet u s’ rifiuteva ma insoma... l’ha
dovuto bere. Un bicchierone così! E l’era poi l’olio di ricino. Dop me a sò andé... sono andato a
scuola. E’ stato quindi... penso fosse un maestro perché anche lui andava verso la scuola... insomma
verso le otto, otto e mezzo del mattino. (Alberto Balestra -2000)
Si provò anche a fare pressione sul clero e sugli insegnanti, ma, anche in questo
caso, con scarsi risultati.
25 [febbraio] - Il governo fascista repubblicano ha comminata la fucilazione ai giovani del 1923, 24
e 25, che non si presenteranno. Vorrebbero che i preti si mettessero a dar fiato alle trombe per
eccitare alle armi e alla resistenza; in altre parole si vorrebbe sfruttare la Chiesa per risollevare un
edificio crollato, ricomporre un esercito polverizzato colle diserzioni in massa; però ieri quando le
cose apparentemente andavano bene non si faceva altro che rimproverare il Clero di fare della
politica, di interessarsi troppo di quel che accadeva fuori della chiesa... se ci avessero ascoltato ora
non saremmo rovinati. Contro le esortazioni nostre educano la gioventù al ballo (che era quasi un
divertimento ufficiale ed era spesso comandato), ai cinema, alle gite di piacere (sotto colore di
esercitazioni sportive), li portano ai campeggi, alle gare, agli agoni (circondandoli di prostitute,
dando i più buoni in balia dei peggiori perché li corrompessero), li chiusero nei dopolavoro, vere
stalle infette della società maschile, in cui si giocava, ubriacava, bestemmiava, sparlava del governo,
spregiavano le cose sacre ecc. e guai a dir loro qualcosa, li fecero marciare, li stordirono di suoni e
di discorsi stupidi senza dar loro una convinzione e un carattere (e non lo potevano perché i capi
erano la feccia della società); e ora raccolgono il frutto delle loro malefatte, ora s’accorgono - o
dovrebbero accorgersi - quanto furono prudenti a disubbidire alla Chiesa; ed ora crepino, non
pretendano aiuto da noi; sono nostri nemici, ci odiano e se risorgessero ci perseguiterebbero. E
questo sia detto del partito fascista, miscuglio di credenti e di massoni, di italiani e di comunisti,
accozzaglia di idealisti e di profittatori, uomini di tutte le idee più opposte e più bizzarre; e non
della serva Italia, bordello cento volte, che deve risuscitare. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino)
26 febbraio 1944 - Manifesto che commina la pena di morte per chi non si presenta alle armi. Le
autorità vorrebbero che il Clero fosse loro di aiuto. Ma i Vescovi nicchiano. E’ frequentissimo in
verità il caso che a noi sacerdoti, si chieda consiglio se presentarsi alle armi, ovvero no. Non
sappiamo come orientarci. Talvolta ci limitiamo a far presenti le sanzioni terribili (pena di morte)
alle quali questi giovani vanno incontro. Non certo per la convinzione che facendo ciò, servano la
patria. (...) Molti giovani spontaneamente prendono la via dei monti; si nascondono nelle campagne
e aiutiamo anche questi.
15 Marzo 1944 - Ieri pomeriggio tutti i Presidi e gli insegnati delle scuole Medie e Superiori della
città, sono stati urgentemente convocati nella sede del fascio. Come insegnante di religione ho
dovuto partecipare anch’io. La sala che è sopra la banca Popolare era stipatissima di professori. In
fondo ad un tavolo si trovava il Segretario Politico Guido Garaffoni con alcuni esponenti del Fascio,
armati. Il discorso di Garaffoni è stato di una calma ma corrucciata requisitoria contro la Scuola e i
professori che hanno deluso le aspettative, che si rifiutano di collaborare in questi difficili momenti
e che in definitiva si alleano con i sabotatori. (...) siamo usciti mogi, mogi... (Dal diario di don Leo
Bagnoli - Cesena)
I giovani che non si danno alla macchia cercano in tutti i modi di farsi assumere
al lavoro dalla Todt, l’organizzazione tedesca che si occupa dei lavori di
fortificazione della linea Gotica, in montagna e lungo le coste. I più abbienti si
fanno esonerare corrompendo gli ufficiali dei distretti. Oltre ai pochi che ci
credono ancora, si presentano solo quelli che non sono riusciti a fare
diversamente. Su 180 mila coscritti se ne presentano oltre 100 mila, poco più
della metà e fra questi, molti, i non idonei. Quelli che restano andranno a
formare un esercito di soldati che odiano la divisa che sono costretti a portare,
tenuti assieme solo dalla paura. Soldati che alla prima occasione saranno pronti
a ribellarsi o a fuggire.
28 Febbraio 1944 - Il Commissario Prefettizio Ferrara P.[ilade], con un commosso appello, invita i
militari sbandati, a presentarsi alle armi, assicurando la piena indulgenza sul passato. Chi in effetti
si presenta? I ragazzi delle classi più giovani, che non riescono proprio a sottrarsi. Volontari ce ne
sono? Qualche idealista puro! Parecchi invece gli spostati che vedono nell’arruolamento un
interesse o un mestiere. Anche poveri ragazzini che si gettano all’avventura. (Dal diario di don Leo
Bagnoli - Cesena)
[Forlì] 29 [febbraio] = Centinaia di renitenti hanno abbandonata la città e le campagne vicine
dirigendosi alla montagna; molti di essi avevano lasciate le biciclette lungo i fossati della strada che
da S. Lorenzo in Noceto conduce a S. Cristoforo in zona collinare. Poiché in diversi cicli erano
appesi cartelli indicatori, raccolti dalla gente del luogo sono stati restituiti alle famiglie dei
proprietari, ma l’imprudenza è apparsa anche più grave a coloro che hanno poi visto i tedeschi
raccogliere e caricare su autocarri i rimanenti. (...) Molti giovani piuttosto che presentarsi alle armi
si fanno assumere dalla “Todt” o dagli stabilimenti che questa controlla: in maggioranza sono
avviati ai lavori di fortificazione in montagna. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il 1° marzo in quasi tutte le principali città dell’Italia occupata i lavoratori
scendono in sciopero. In Emilia-Romagna lo sciopero non poté durare più di
una sola giornata per l’intervento immediato dei nazi-fascisti, che il giorno dopo
si affrettarono ad occupare tutte le fabbriche principali. A Forlì si era
scioperato solo pochi giorni prima e data la particolare atmosfera di terrore e di
sospetto che si era creata in città per la morte del federale, lo sciopero non poté
essere ripetuto.
[Forlì] 29 [febbraio] = Sono lasciati cadere qui e là volantini invitanti allo sciopero: pericoloso il
farlo ed il raccoglierli; cento occhi spiano, viviamo in un regime di terrore. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
A Cesena, dove le situazione è un po’ più tranquilla, si riesce ad organizzare una
grossa manifestazione di protesta, all’Arrigoni.
2 Marzo 1944 - Ieri uno sciopero s’è verificato all’”Arrigoni” ove operano forze clandestine
organizzate dal Partito Comunista. E’ stata organizzata una Commissione a favore degli operai. (Dal
diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
[Come si preparava uno sciopero?] Dello sciopero si parlava. C’erano delle colonne che erano dei
punti fermi, come giocare alla Sisal. C’era un compagno, una compagna, una persona non
compagno, ma seria, sicura, che quando diceva bianco era bianco e non marrone... Allora queste
colonne cosa facevano? C’erano centinaia di donne e fra i banchi questa persona riceveva da noi
delle direttive che [a nostra volta] avevamo ricevuto, di fare in un certo modo. A volte gli anelli di
congiunzione che eravamo noi, non sempre facevano il lavoro per bene, a volte nascosti dietro la
paura, la preoccupazione, eccetera, facevamo fallire qualcosa... perché la massa non tradiva mai
quando aveva accettato il principio (...) C’era molto controllo. C’erano anche delle spie, ma non
direi che i fascisti repubblichini che erano all’Arrigoni, fossero delle bestie come i tedeschi (...) Lo
sciopero di marzo era quello riuscito, era uno sciopero di massa (...) In quell’occasione affrontammo
tutti, ma siccome eravamo in molti per poterlo fare... non ricordo bene i provvedimenti che presero.
(Edoardo Gazza - dattiloscritto 1984)
Il gruppo che operava all’interno dell’Arrigoni, per la proclamazione dello sciopero e per tutte le
manifestazioni che venivano fatte all’interno dello stabilimento e nel nostro comune, era formato da
compagni organizzati in modo tale che in ogni reparto vi erano da uno a tre o più ragazzi. Essi erano
direttamente in contatto con il responsabile, che era (...) Ricchi Werther; inoltre essi avevano la
responsabilità per la preparazione dello sciopero e la divulgazione della stampa antifascista che
veniva continuamente distribuita all’interno dello stabilimento. (Dante Pollarini in: Alcuni anni
della nostra storia : testimonianze sulla resistenza / a cura degli studenti della classe II E dell’Istituto
Tecnico Commerciale [1973?])
Gli scioperi allora non si potevano fare e allora li organizzavano le donne: c’era l’Ebe, la moglie di
Sanulli [Nello], eccetera. La nostra capa ci chiuse dentro al reparto essiccazione perché aveva paura
che prendessero lei. Era una caporala, la sua capa si chiamava Ricci ed era fascista, quest’altra
invece era repubblicana e aveva paura che se la prendessero contro di lei. Avevano paura che
uscissimo nel piazzale... questo successe durante il fascismo (...) Loro vennero licenziate perché
avevano organizzato lo sciopero... erano più compatte. Ne sapevano più di noi. (Rina Caporali dattiloscritto 1984)
Il 6 marzo, in risposta agli scioperi, giunsero ai comandanti tedeschi ordini
personali di Hitler, che prevedevano la deportazione in Germania del 20% degli
scioperanti. Fortunatamente Rudolf Rahn, plenipotenziario del Reich in Italia,
contattando direttamente il fuhrer e ventilando il pericolo di una possibile
insurrezione degli italiani o come minimo, l’immediato crollo della produzione,
riuscì a persuaderlo che l’azione sarebbe stata controproducente. L’ordine fu
revocato mentre le misure di deportazione erano gia in atto e Rhan,
personalmente, parlando al telefono con gli uffici militari e di polizia
responsabili, impedì che l’azione fosse effettuata.
[Forlì] 7 [marzo] = In Milano, Torino, Genova ed altri centri industriali gli operai si sono posti in
sciopero, con atto di grande coraggio, fino all’altro ieri; la dimostrazione ha sostanzialmente
carattere politico e data la sua vastità impressiona. (...) la durata delle astensioni è andata da un
minimo di 15 minuti ad un massimo di 4 giorni. (...) Non si è verificato alcun conflitto o disordine e
nessun tentativo di dimostrazioni all’aperto. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il 20 per cento, sarebbero stati 70.000 uomini! Di fronte ad una misura simile, la maggior parte
degli individui sani e vigorosi sarebbe fuggita come altrove sui monti e si sarebbe unita ai partigiani.
(…) E sarebbero rimasti soltanto ammalati, vecchi e padri di famiglia. E’ stata un’idea orribile,
tanto più che mancavano anche tutte le premesse tecniche per tali trasporti. Non si disponeva se non
in misura minima né di campi, né di mezzi di trasporto, né di generi alimentari, né di installazioni
igieniche. (Dalle memorie di Rudolf Rhan in: L’occupazione tedesca in Italia / Lutz Klinkhammer.
– Torino : Bollati-Boringhieri, 1993)
Si cercò, comunque, di colpire i vertici dell’organizzazione operaia e a Milano,
grazie ad una spiata, diversi responsabili caddero nelle mani dei nazi-fascisti e
furono deportati in Germania. Fra questi, anche i cesenati Mario Piraccini e
Secondo (Natale) Canducci, che moriranno a Mauthausen.
Fui diplomato alla scuole industriali, le scuole tecniche (...) Dopo ebbi fortuna che feci ...
prelevavano l’EIAR a quei tempi, sempre in mano loro [dei fascisti]. Avevo dei parenti a Milano e
scelsi di andare a Milano (...) fui dimesso anche dalla RAI [dall’EIAR] (...) dopo un periodo di
prova di sei-sette mesi. E dopo a truvet lavor alla Breda (...) a Sesto San Giovanni e a là u j era una
percentuale... non so, di 15-20 % che erano dei romagnoli. U j era qualche fascista ma la
magiurenza j è tot antifasesta e da lè me già fui contattato già dagli antifascisti. Da e’ por Canducci
[Secondo (Natale)] e dop... poi c’erano altri, anche Fusconi... cos... Era più giovane di me, ad San
Marten... Urbano [(Venanzio)]. Lo e’ lavureva la só nenca lo... Comunque la lingua parlata lì, a
Sesto, l’era e’ dialet nost rumagnol. E facevamo delle riunioni da Canducci ch’e’ staseva dietro le
ferriere alla FAL (...) Loro furono prelevati in un rastrellamento organizzato dai fascisti su a Sesto
San Giovanni (...) [in] questo rastrellamento prelevarono molti antifascisti romagnoli e... sono...
andarono a finire nei campi di concentramento e j armitet la pela! E un altro dirigente... era
Piraccini [Mario], che provenivano da Ronta Sgonda (...) U j era Mellini a là só (...) Aldo Mellini e’
staseva a Ronta nenca lo (…) Le riunioni le facevano da Canducci e poi le facevamo nei campi, la
fuori, alla sera. (…) Io ero troppo giovane e non ero iscritto però collaboravo con loro. (…)
Canducci l’è stè un dirigent [del partito comunista] (…) Andarono a prelevarli. Insoma. I faset come
han fatto qui da noi, una specie di rastrellamento degli antifascisti (…) j aveva zà le liste, j aveva zà
e’ cos… (…) e li inviarono tutti nei vagoni a là a Matausen… (Otello Sbrighi - 1998)
Canducci [Secondo (Natale)] (…) è morto in Germania. (Vittorio (Quarto) Fusconi, nell’intervista a
Otello Sbrighi - 1998)
Lo sciopero generale ebbe una grande eco in tutto il mondo.
In fatto di dimostrazioni di massa non è avvenuto niente nell’Europa occupata che si possa
paragonare alla rivolta degli operai italiani. E’ il punto culminante di una campagna di sabotaggio,
di scioperi locali e di guerriglie, che ha avuto meno pubblicità del movimento di resistenza francese,
perché l’Italia del Nord è stata tagliata fuori dal mondo esteriore. Ma è una prova impressionante
del fatto che gli italiani, disarmati come sono e sottoposti a una doppia schiavitù, lottano con
coraggio e audacia quando hanno una causa per la quale combattere. (Da un articolo pubblicato dal
New York Times, del 9 marzo 1944)
In quegli stessi giorni un comunicato del ministero delle Forze armate dava
come termine ultimo la mezzanotte dell’8 marzo, per la presentazione ai
distretti militari di tutte le classi chiamate.
3 marzo - Aumenta nei giovani del 1922-25 la tensione. Presentarsi? Nascondersi? Andare alla
macchia coi ribelli? Sono i tedeschi che vogliono ricostituire il nostro esercito, nel qual caso si
farebbe sul serio, o il nostro governo, in cui poco si crede? (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino)
[Forlì] 3 [marzo] = Tutti coloro i quali hanno l’obbligo di leva e nei loro confronti sia in corso
provvedimento di esonero per qualsiasi causa (impiego Org. Todt, aziende protette e simili) non
sono esenti dalla chiamata alle armi ed hanno quindi l’obbligo della presentazione e della
regolarizzazione delle loro posizioni presso i distretti competenti (...) Pertanto scaduto il termine del
giorno otto marzo 1944=XXII, stabilito con Decreto 18 febbraio XXII N. 20, tutti i mancanti
saranno passibili delle sanzioni previste dallo stesso Decreto.
[Forlì] 6 [marzo] = Un manifesto del commissario straordinario avverte per trasmissione del
Comando Militare Regionale, che gli aventi obblighi di leva e per i quali sia in corso procedimento
di esonero per qualsiasi causa, non sono esenti dalle chiamate alle armi ed hanno quindi obbligo di
presentazione per regolarizzare la loro posizione presso il Distretto. Scaduto il termine otto marzo
saranno passibili dalle sanzioni previste.
[Forlì] 10 [marzo] = Incidenti si dicono avvenuti nella caserma “Caterina Sforza”, ove diversi
soldati hanno cantato l’Internazionale ed inni sovversivi, venendo in urto coi militi. (...) Il partito
istituisce un corpo femminile da mettere a disposizione dell’esercito repubblicano per i servizi
ausiliari. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Appena scaduto il termine di presentazione dell’8 marzo, sono emanati due
decreti il 336 e il 341 (11 marzo 1944) in cui la pena di morte è revocata a chi si
presenta, purché chieda espressamente di essere inviato al fronte o in
rastrellamento.
[Forlì] 12 [marzo] = Due nostri soldati fuggiti dalla caserma “Caterina Sforza” per ritornare alle
loro case, annegano nel passare il Montone nei pressi di via Lunga; altre fughe del genere si sono
verificate in questi giorni. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
14 [marzo] - I richiamati, per la maggior parte, non si sono presentati o vivono rintanati in casa
propria o di parenti; non girano mai di giorno; ma solo di notte, e vanno nelle stalle a giocare e a
sentire le novità, nessuno finora è stato ricercato, nessuno punito. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino)
Nonostante i decreti di perdono le adesioni continuano ad essere scarse. I
giovani sono aiutati attivamente dalla popolazione e nessuno o quasi, li denuncia
alle autorità.
Nella primavera del 1944 io, perché donna e meno in vista, giravo attraverso i campi quasi tutte le
notti per andare a vedere dove erano i tedeschi e i fascisti per poter avvisare i ragazzi a mettersi in
salvo. Nessuno poteva più dormire nel suo letto, avevamo fatto delle tane sotto il campo di
granoturco dove i giovani si rifugiavano entrando dai fossi, poi io andavo a chiudere con erba fresca
il piccolo ingresso. Perché potessero respirare avevamo fatto delle piccole feritoie nel terreno e
sopra ci si mettevano delle piante fresche di frumento che venivano cambiate spesso perché i
tedeschi non potessero accorgersi di nulla al loro passaggio. (Natalina Calisesi in: . Donne di Cesena
contro il fascismo. - Cesena, 1975)
Con il decreto 24 marzo 1944 n. 169 si cercò di fare terra bruciata attorno ai
disertori e ai renitenti, prevedendo la reclusione a non meno di 10 anni, per tutti
coloro che davano loro assistenza, con un aumento di pena se l’assistenza o
l’aiuto erano prestati con continuità. Sono previste pene, che vanno dai 15 anni
in su, anche per coloro che istigano i giovani alla diserzione. Nel cesentate, a
titolo d’esempio, vengono colpiti alcuni sacerdoti, accusati di avere protetto dei
giovani renitenti alla leva o di averli convinti a non presentarsi.
15 marzo - Alle ore 14 del 12 la guardia fascista è andata a Macerone ed ha portato, su
un’automobile, D. Ioli [Salvatore], parroco, alla Questura di Forlì, dietro accusa di aver favorito i
giovani che non si vogliono presentare. Dopo lunghi interrogatori, alle 21 è stato riportato a casa.
All’una di notte del giorno successivo hanno portato via il parroco di S. Giorgio D. Vaienti
[Augusto Vaenti], rilasciato, pare verso sera. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
15 Marzo 1944 - Il parroco di Macerone don Joli [Salvatore] è stato tradotto in questura a Forlì, a
causa di giovani renitenti alla leva, ma poi è stato rilasciato.
16 Marzo 1944 - Ieri, all’una di notte, è stato arrestato e tradotto nelle Carceri di Forlì, un nostro
Sacerdote, don Augusto Vaienti. E’ parroco di San Giorgio e viene accusato di avere aiutato a
sottrarsi alla leva ben 81 suoi giovani parrocchiani. Il dispiacere tra i suoi parrocchiani è stato
vivissimo. Tutti si dispongono ad aiutarlo. C’è di mezzo la pena di morte. A Forlì è stato assegnato
al reparto politici ed è stato accolto festosamente dai numerosi prigionieri cesenati, ivi detenuti. E’
stato richiuso nella cella insieme al maestro Montalti [Giulio]. Di cella in cella i detenuti gridavano:
“E’ arrivato anche il parroco di S. Giorgio”. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
18 [marzo] - Don Vaienti è ancora in Questura a Forlì.
24 [marzo] - Il parroco di S. Giorgio è ancora dentro. I giovani ultimamente richiamati non sono
molestati, ricercati da nessuno.
31 [marzo] - Il parroco di S. Giorgio ancora detenuto. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
Dunque [don Augusto Vaenti] l’hanno preso di notte all’una. Hanno circondato la casa. La
canonica. A San Giorgio. E... a un certo punto... Mio fratello dormiva. La sorella sente e va a[d]
aprire (...) c’era il commissario con altri. E... vanno su che era ancora in camera, stava vestendosi. In
quel momento il... l’a... non dico il nome, comunque... l’autista che guida[va] la macchina disse
“Commissario facciamo una perquisizione?”. Mio fratello aveva in un cassetto del comò due pistole
che gliele diedi io l’anno prima. Venni qui in licenza del ’42 con il pretesto degli esami e gli dissi
“La guerra è persa. Per reazione ci sarà il comunismo. Una reazione... Una reazione dal quale non se
ne esce. Sappiti difendere”. Questa era la mia [idea] (...) [ma lui] non le ha mai guardate. Il
commissario ha detto “E’ tardi...”. Il commissario non ha voluto farla (...) se trovavano la pistola
non c’era niente che lo salvasse. Dopo, tra l’altro, mio fratello teneva nel portafoglio alcune lettere
mie che poi le leggeva, le faceva vedere, qui molti lo sapevano... (...) [Lettere in cui era scritto]
“Bisogna prepararsi. Lottare. Bisogna...” (...) E quando l’han messo in carcere gli ha dato il
portafoglio. Quando è stato... quando è stato... quando è stato assolto gliel’han restituito con tutto
quel che c’era e quelle carte, quelle lettere non son venute fuori. Mai aperto (...) Prima l’han portato
a Forlì. A Forlì ha incontrato l’avucatin, Pasini [Mario], che gli ha dato subito... indirizzo di come
comportarsi in carcere. Insomma ha cercato... L’avucatin era... era un veterano del carcere e gli ha
dato subito, perché erano amici, gli ha dato... cercato... un indirizzo. Poi, circa dopo un mese, l’han
portato a Bologna. (...) L’accusa era di avere sottratto sessantaquattro giovani alla leva e
effettivamente questo gioco c’era ed era... era un po’ noto. E questo qui urtava i fascisti (...) ma era
un fatto che veniva... che poi stavano a casa... Sì con la Todt. Lì poi c’era anche un’intesa con un
ufficiale che senz’altro l’aveva capita e che aiutava mio fratello... un ufficiale tedesco. Austriaco.
E... tanto che quando mio fratello è stato arrestato, dopo, han cercato (...) documentazione... qualche
cosa e han chiesto anche a questo tizio una dichiarazione. Questo ufficiale ci ha un po’... un po’
riflettuto e poi gliel’ha fatta (...) Evidentemente c’era che questo ufficiale aveva capito l’antifona
ma... si vede che lui non era un fanatico. Quindi mio fratello era... cercava di sottrarli perché
aveva... c’era anche un indirizzo direi... non politico direi, ma pastorale... non solo di sottrarsi alla
leva perché nessuno credeva più all’esercito, ma anche, c’era un problema per mio fratello...
“Vanno in montagna… (...) diventavano degli atei!”. Ecco, questa era una sua preoccupazione.
C’era anche questo nella sua... non solo andare incontro al desiderio... delle famiglie... perché
andavano in tanti e lui cercava di aiutare (...) Lui è sempre stato sereno in carcere e poi dopo l’han
mandato a Bologna (...) Lì ha incontrato padre Samoggia. Ha incontrato... [Giuseppe Mami] di
Cesena (...) abitava alla villa là sotto... sotto a Roversano (...) è stato anche, mi pare, presidente
della Cassa di Risparmio. Lui era un po’ mezzo socialista. Così, socialista moderato. E poi c’era, in
carcere, c’era anche un radiologo dell’ospedale. L’accusa fu questa che quando cadde Mussolini
tolse il quadro di Mussolini e disse “Enca lo l’à finì!” L’han messo in carcere. E poi c’era con lui il
maestro Montalti [Giulio]. Durante la settimana (...) prima di Pasqua. Non so quanti giorni prima,
andò il direttore del carcere nella cella di mio fratello e disse “Guardi reverendo che per lei ho una
buona notizia. C’è un telegramma del Duce che stabilisce che tutti i parroci a Pasqua siano a casa”.
E lui si aspettava... questo ... [Poi non lo fecero uscire] questo l’ha molto colpito che pianse, a
Pasqua. (...) Mi disse Montalti che quel giorno ha pianto. Il giorno di Pasqua. E’ tornato... è stato
due mesi... dunque è stato arrestato il 14 marzo (...) in maggio, il 20, insomma due mesi. (...) Fu
arrestato [denunciato] da un certo Montanari [Sergio] (...) Soldato, non che fosse un volontario...
dell’esercito repubblichino. Era a Forlì e l’han sorpreso che veniva a Cesena in bicicletta. Insomma
quel giorno non potevano allontanarsi dal distretto e l’hanno fermato, lui s’è spaventato... ha detto...
“Ma...” disse... “dove scappi?” “Ma...” disse “Um l’à det e’ prit ad Sanzorz...” Mio fratello non l’ha
mai visto. (...) Quel giorno dell’arresto mio fratello era stato al distretto per aiutare due soldati. Uno
era... era un appuntato, vicebrigadiere dei carabinieri, per vedere di... E a un certo punto, dopo,
hanno chiesto anche questa testimonianza e uno è andato con fatica. Il babbo del carabiniere. L’altro
non... Si è rifiutato. Perché tutti avevan paura. Ad ogni modo (...) In fondo... C’è stato un dibattito e
non c’era nulla. L’accusa di questo Montanari è venuta meno. Ha ritrattato perché non lo conosceva
e poi mi fu detto che questo Montanari in carcere è stato picchiato dai... dagli altri detenuti politici.
Che erano in tanti. (...) L’ho saputo dopo che è morto, che in carcere è stato anche lui bastonato.
Mio fratello però non me l’ha mai detto. L’ho saputo dopo che lui è morto. Da altri. (Piero Vaenti 1999)
Non riuscendoci in altro modo, i fascisti si apprestano a dare inizio alla politica
del terrore. Il 24 marzo il tribunale militare di Forlì condanna i primi 5
renitenti alla pena capitale.
... mi hanno chiamato nel ’43 e dopo non ci sono andato e allora ero ricercato per mandarmi in
galera. L’8 Marzo del ’44 ne hanno uccisi quattro sul ponte vicino a Forlì, della mia leva che non si
erano presentati. Li hanno presi e li hanno uccisi alla riva del fiume. (Mario Gattamorta in: che tutti
i giorni ne morivano tanti come c’è la malattia delle galline : 1940-1945 / Istituto per la storia delle
resistenza e dell’età contemporanea. Ufficio di Cesena. - Cesena, [1999])
I cinque giovani c sono fucilati nel cortile della caserma Ferdinando di Savoia. Altri tre
renitenti vengono fucilati a Ravenna. Solo le proteste della popolazione riescono a fermare le
esecuzioni. Nei giorni successivi la protesta continua con la deposizione di fiori sulle tombe
degli uccisi, nonostante il divieto e la vigilanza della polizia.
Quello che proprio tagliò la testa al toro [mentre mio fratello era al corso per ufficiali a Forlì] fu
assistere alla fucilazione di cinque ragazzi (…) una mattina arriva un ordine. J i dà il rancio prima…
del solito. Tutti inquadrati… andarono lì… mi pare che fosse int la caserma Savoia… nel cortile…
(…) A un bel momento c’era uno che “Tu di che classe sei?”. “Del ‘24”. “Niente”. “Tu?”. “’23”.
“Lì. Tu?”. “’22”. “Lì”. E fa il plotone d’esecuzione con quelli più anziani, uno dei quali… in questo
plotone d’esecuzione, un certo Ceccaroni (…) era reduce dalla Russia, aveva un principio di
congelamento fra l’altro… C’era, della classe ’23, Chino Moretti, ch’era il nipote del parroco di
Sant’Agostino. Il quale e’ get “No...” e’ get “Ciou me… Io sono un cattolico praticante. Non posso
pensare di sparare…” Il mitet ad dentra eh! E s’è salvato parché e’ su zé che l’era e’ paruch… u s’
daset da fè. Scampò al plotone d’esecuzione. Eh! Parché in scarzeva! Finalmente j forma sté
plotone d’esecuzione… Loro, i soldati davanti e i militi di dietro. E a un momento i scapa fora sti
zenqv sgrazì. I quali non se l’aspettavano. Ma nessuno se l’aspettava! Sti burdel! Quand ch’j à vest
sté pluton a d’esecuzion! (…) Da quello che ha scritto mio fratello scene da mets al men int i cavel!
Sti poveri ragazzi (…) I faseva di rog! Pó quand che ch’j à sparè l’è stè un disastar. Mio fratello l’è
stè, a cred, queng dé senza magné. E tarmeva acsé. (…) ne prepararono un’altra giorni dopo, che ci
fu una sommossa popolare delle donne che salvarono sti ragazzi. (Guido Mattei – 2003)
[Forlì] 24 [marzo] = Si è riunito alla caserma “Ferdinando di Savoia” detta della torre in via Ripa,
ora dedicata ad Ettore Muti, il tribunale militare straordinario regionale presieduto da in generale,
che ha condannato a morte i seguenti giovani, presunti renitenti alla leva e disertori:
Dino DEGLI ESPOSTI di Primo. 1922 in Teodorano
Tonino DEGLI ESPOSTI fratell. del prec. N. 1924
Agostino LOTTI di Francesco n. 1925 in Galeata
Massimo FANTINI di Luigi n. 1922 in Civ[itella]. di Romagna
Giovanni VALGIUSTI di Luigi n. 1925 in Civ.di Romagna
Francesco VALLICELLI di Aurelio n. 1922 in Predappio, presentatosi dopo quattro giorni
condannato a 12 anni di reclusione, sarà inviato al fronte.
L’esecuzione della sentenza che ha dato luogo a scene ben dolorose, avveniva nel mezzogiorno,
mentre diverse donne abitanti nei pressi della caserma si erano raccolte di fronte all’ingresso a
gridare ed a piangere, intuendo la tragedia, confermata dagli spari ripetuti. A dar morte ai loro
compagni erano stati prescelti soldati, che riluttanti ad eseguire la strage, si limitavano a sparare alle
gambe. I due fratelli Degli Esposti cadevano abbracciati, come pare, gridando “mamma”, tanto che
un maggiore avrebbe detto loro: “sappiate morire da uomini”. Nel frattempo un soldato del plotone
di esecuzione, che si era rifiutato di sparare, veniva minacciato con la rivoltella in pugno da uno dei
due generali presenti, che ingiungeva al tenente, comandante degli involontari giustizieri, di finire i
vivi a colpi di pistola. L’ufficiale nell’eseguire questo ordine barbaro cadeva in deliquio ed è corsa
poi la voce che fosse morto pazzo poco dopo. Uno solo dei giovani è rimasto diritto, impassibile ed
è caduto da eroe senza pronunciar verbo. Gli altri; presi da angoscia, sollevavano tra i soldati
chiamati a assistere a codesta infamia, brividi di commozione così grande che diversi di essi
svenivano. Quei poveri figli hanno subito il martirio sbendati e slegati, impreparati comunque ad
una fine così tragica. Erano presenti un plotone di militi ed uno di tedeschi, chiamati ad impedire
un’eventuale sommossa dei coscritti o richiamati. Constatata la morte degli infelici il presidente del
tribunale gen. Boscazi avrebbe esclamato: “Giustizia è fatta”. I miseri corpi caricati su autocarri
venivano quindi portati al cimitero (...) Le donne, per quanto disperse e minacciate dai miliziotti di
guardia, si raccoglievano più volte ad imprecare contro gli assassini, cosi dalle finestre agitavano le
braccia, strappavansi i capelli, urlavano in un impeto di ribellione delle anime contro codesto
spettacolo di un ritorno alla barbarie. La notizia subito diffusa in città, lasciava in tutti una
impressione vivissima ed una amarezza indicibile; più tardi si avevano palesi i segni del fermento e
nella sera si riunivano le commissioni clandestine di fabbrica ed i comitati di agitazione operaia.
[Forlì] 25 [marzo] = Secondo un accordo stabilito nella riunione di iersera dei comitati clandestini
di fabbrica, in segno di protesta contro le fucilazioni avvenute, al suono della sirena alle 10, la
grandissima parte delle maestranze forlivesi abbandona gli stabilimenti. Un altro motivo giunge ad
accrescere l’effervescenza, la notizia cioè che il tribunale militare regionale avrebbe pronunciato la
sentenza di morte contro altri dieci giovani nella mattinata. Mentre gli operai escono alla
spicciolata, un lungo corteo di donne riesce a raggiungere i pressi della caserma di via ripa, con il
manifesto intento di darvi l’assalto; i militi di guardia, colti da paura, fanno uso delle armi ed una
donna rimane ferita. Il gesto codardo esaspera la folla; il tumulto accresce, le dimostranti gridano:
“venduti..................”.
Non sono soltanto le operaie della Orsi Mangelli, le donne del popolo ad affrontare gli aguzzini, ma
anche diverse signore e la loro insistenza è coronata da successo; una delegazione riesce a penetrare
nella caserma, seguita da una scorta, di militi armati, ed a questa il presidente fa annunciare di
essere disposto a commutare la pena, ove non si oppongano il questore e il capo della provincia.
Irrompendo come una fiumana le dimostranti accorrono al palazzo del governo, ove alla
delegazione viene comunicata la commutazione di pena ai dieci giovani, in condanne dai cinque ai
quattordici anni di reclusione, però molte di esse armate di bastone, non convinte, ritornano alla
caserma e si recano al cimitero per sincerarsi benché in ora d’allarmi. (...) Anche in Ravenna il
tribunale regionale militare ha condannato a morte e fatta eseguire la sentenza mediante fucilazione
al petto, i tre giovani Baldisserri, Zauli e Tasselli, pretesi disertori e comminata la reclusione a
parecchi altri che per salvarsi hanno chiesto l’invio al fronte: la tensione degli animi è molto grave.
[Forlì] 26 [marzo] = Molte donne, alla spicciolata, si sono recate oggi al cimitero per deporre fiori
sulla tomba dei fucilati; notata la presenza ivi agenti di polizia all’interno e di qualche milite
all’esterno ma in distanza..
[Forlì] 27 [marzo] = Il lavoro non è ripreso segnatamente nella Orsi-Mangelli, nel calzaturificio
“Battistini”, nelle Officine di Forlì e nel cantiere “Benini” (...) Raccogliendo la voce di nuove
sentenze di morte alla caserma “Caterina Sforza”, si improvvisa una nuova dimostrazione di donne
in quelle vicinanze, diverse delle quali recano i bambini in braccio ed un’altra sotto le finestre della
Prefettura, non ostante l’attacco aereo di un’ora prima e l’allarme: due donne ferite. Si apprende che
i dieci soldati strappati alla morte l’altro ieri, sono stati trasferiti a Bologna è diffuso il dubbio atroce
sul loro destino. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
27 marzo 1944 - Ieri allo stabilimento Arrigoni c’è stato uno sciopero contro le autorità fasciste, le
quali hanno fucilato a Forlì cinque giovani che non avevano risposto alla chiamata alle armi. Un
volantino diffuso clandestinamente, dice: “Vendicheremo i cinque giovani fucilati dal Tribunale
delle belve fasciste. O vi arrendete fascisti, o sarete distrutti”. Si conosce che qua e là accadono
azioni di ribellioni nelle campagne. I partigiani sono spesso attivi fin dentro le porte della città. Qui
nel cesenate si tratta di imprese non di grande portata, come si ode invece accadere altrove. Ad ogni
modo sono notizie che stentano a filtrare. C’è in giro terrore da vendere. (Dal diario di don Leo
Bagnoli - Cesena)
[Forlì] 28 [marzo] = Gli operai non riprendono il lavoro; gli stabilimenti sono vigilati da forze di
polizia e da militi che hanno compiuto alcuni arresti.
[Forlì] 29 [marzo] = Gli operai riprendono il lavoro, ubbidendo alle disposizioni dei loro comitati
segreti; somme sono state raccolte per la lotta clandestina: la massa lavoratrice è antifascista nella
totalità. Fiori e mazzi di garofani continuano ad essere deposti sulle tombe dei fucilati del nostro
cimitero, pur sotto la vigilanza poliziesca, da donne del popolo. (Dal diario di Antonio Mambelli Forlì)
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