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Europa e responsabilità civile dei magistrati: il mito e la
Europa e responsabilità civile dei magistrati: il mito e la realtà. Prospettive
interpretative e di riforma legislativa
Sommario: 1. La giurisprudenza della CGUE in tema di responsabilità dello Stato-giudice; 2. Gli
orientamenti giurisprudenziali formatisi nel vigore della precedente formulazione della legge 117/88; 3. La
responsabilità dei giudici nel Consiglio d’Europa; 4. La responsabilità del magistrato nei vari Paesi europei;
5. L’emendamento Pini; 6. Le nuove previsioni della legge 117/88; 7. Le parole di Rosario Livatino; 8. Le
modifiche da apportare all’ordinamento italiano. Alcune necessarie soluzioni normative; 9. La soluzione
interpretativa. Le nuove ipotesi di colpa grave; 10.Il filtro; 11. L’azione disciplinare; 12. Organizzazione del
lavoro giudiziario e responsabilità civile dei magistrati.
1. La giurisprudenza della CGUE in tema di responsabilità dello Stato-giudice.
Poiché le modifiche apportate alla legge 117/88 sono state introdotte “al fine di rendere effettiva la
disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza
dell’Italia all’Unione Europea” (cfr. articolo 1 legge 18/15), viene spontaneo chiedersi se la nuova disciplina
legislativa si rendesse effettivamente necessaria in conseguenza della giurisprudenza della Corte di giustizia
(sentt. Kobler 2003, Traghetti del Mediterraneo 2006 e Commissione europea c. Italia 2011) e, soprattutto,
se essa soddisfi le condizioni richieste dalla medesima Corte europea o si riveli sotto questo profilo
insufficiente.
In proposito è necessario fornire un quadro dei principi affermati dalle tre sentenze della
giurisprudenza eurounitaria con le quali si è affermata anche la responsabilità dello Stato per attività
giurisdizionale posta in essere in violazione del diritto dell’Unione.
Con la sentenza Köbler del 20031 la Corte di giustizia ha stabilito, infatti, che il principio per cui in
capo agli Stati membri sussiste un obbligo risarcitorio in relazione ai danni subiti dai privati a causa delle
violazioni del diritto eurounitario imputabili ai medesimi Stati si applica anche per le violazioni conseguenti
ad una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempre che sussistano i tre presupposti (più
volte già citati nei precedenti capitoli) per la configurabilità dell’illecito eurounitario, ossia che la norma di
diritto europeo violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia sufficientemente
caratterizzata (spettando quindi al giudice l’accertamento, da compiere tenendo conto della specificità della
funzione giurisdizionale, sul carattere manifesto o meno della violazione) e sussista inoltre un nesso causale
diretto tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese.
Ecco che si afferma, in modo innovativo, il principio della responsabilità dello Stato anche per atto
(che violi in modo manifesto il diritto) di un organo giurisdizionale di ultima istanza 2.
In queste ipotesi si sarebbe in presenza di violazioni “nascoste” del diritto eurounitario: ad essere in
contrasto con le norme europee non sarebbe, infatti, la norma interna in quanto tale, che, al contrario,
sembrerebbe perfettamente in linea con le stesse, bensì l’interpretazione che ne viene data dai giudici
nazionali.
Nel complesso panorama della responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione,
la sentenza Köbler rappresenta, quindi, un ulteriore e fondamentale tassello di quel mosaico che la Corte di
giustizia ha creato a partire dalla celebre sentenza Francovich.
La sentenza Köbler considera valevole anche per l’ordinamento europeo il principio, vigente
nell’ordinamento giuridico internazionale, per cui lo Stato, responsabile in caso di violazione di un impegno
internazionale, viene considerato nella sua unità, senza che rilevi se la violazione produttiva del danno sia
imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo.
Lo Stato, si dice spesso, risponde con un volto solo.
1
Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01.
In realtà, il principio dell’estensione della responsabilità degli Stati anche alle decisioni giurisdizionali è stato
applicato più volte nella prassi del diritto internazionale, così come esso è sancito dall’art. 41 della CEDU. Si tratta,
comunque, del leading case in ambito UE.
2
1
Tutti gli organi dello Stato devono osservare le prescrizioni dettate dal diritto europeo e che sono
idonee a disciplinare la situazione dei singoli.
Si è quindi ammesso che la responsabilità di uno Stato può discendere anche da comportamenti
addebitabili al potere giudiziario essendo irrilevante il potere dello Stato cui sia imputabile l’illecito
comunitario ed essendo tutti gli organi statali tenuti a rispettare le disposizioni europee.
È stato poi anche valorizzato l’argomento per il quale l’eventuale esclusione della responsabilità
statale per le violazioni del diritto europeo poste in essere dal potere giudiziario menomerebbe l’efficacia
delle norme europee pregiudicando la tutela delle posizioni giuridiche soggettive di matrice sovranazionale,
con la conseguenza che «il diritto dei singoli al risarcimento dei danni causati da una decisione di un
organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro discende dai caratteri fondamentali e tipici del sistema
comunitario» (punto 33 motivazione).
In particolare, in linea con la pronuncia H. Lomas3, la Corte ha sottolineato che «in considerazione del
ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che ai singoli derivano dalle norme
comunitarie, la piena efficacia di queste ultime verrebbe rimessa in discussione e la tutela dei diritti che esse
riconoscono sarebbe affievolita se fosse escluso che i singoli possano, a talune condizioni, ottenere un
risarcimento allorché i loro diritti sono lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile a una
decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado di uno Stato membro. Occorre sottolineare a tale
riguardo che un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi
alla quale i singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto comunitario. Poiché
normalmente non può più costituire oggetto di riparazione una violazione di questi diritti in una decisione di
un tale organo giurisdizionale che è divenuta definitiva, i singoli non possono essere privati della possibilità
di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti.
Del resto, in particolare, al fine di evitare che siano violati diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario,
l’art. 234, terzo comma, CE prevede che un giudice avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno è tenuto a rivolgersi alla Corte».
Pertanto, secondo quanto si legge nella sentenza Köbler, dalle esigenze relative alla tutela dei diritti
dei singoli che fanno valere il diritto comunitario deriva che essi devono avere la possibilità di ottenere
dinanzi ai giudici nazionali lai giustizia, riparazione del danno originato dalla violazione di questi diritti in
seguito a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado4.
È comunque ormai noto che le condizioni al ricorrere delle quali uno Stato membro è tenuto a
risarcire, secondo la Corte d i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili
sono tre: 1) che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli; 2) che si tratti di
violazione grave e manifesta; 3) che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente
sullo Stato e il danno subito dai soggetti lesi5.
Per la Corte la responsabilità dello Stato per danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale
di ultimo grado che viola una norma di diritto comunitario è disciplinata dalle stesse condizioni, che sono
necessarie e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, fatto comunque salvo il diritto degli
Stati membri di introdurre condizioni meno restrittive per l’accertamento della responsabilità dello Stato6.
Certo, quando si tratta di accertare la ricorrenza del requisito della violazione grave e manifesta con
riferimento ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado occorre tener conto della specificità della
funzione giurisdizionale, nonché delle legittime esigenze della certezza del diritto. La responsabilità dello
Stato a causa della violazione del diritto comunitario da parte di un’autorità giudiziaria può sussistere solo
nel caso eccezionale in cui il magistrato abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente.
Il giudice nazionale chiamato a decidere in ordine alla domanda risarcitoria, ed in particolare a
valutare se sussista la violazione grave e manifesta di una norma europea attributiva di diritti, deve quindi
tenere in considerazione, secondo la Corte, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il
carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, la posizione
adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria, nonché la mancata osservanza, da parte dell’organo
3
Corte giust. 23 maggio 1996, causa C-5/94, in Racc., 1996, p. I-2605.
V., in tal senso, anche la sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, 1996, punto 35.
5
Cfr. anche il punto 36 della sentenza Haim, 2000.
6
V. la sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, 1996, punto 66.
4
2
giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, TCE
(ora art. 267 TFUE)7.
In ogni caso, per la sentenza Köbler una violazione del diritto comunitario è sufficientemente
caratterizzata allorché la decisione di cui trattasi è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza
della Corte in questa materia8.
Logica e naturale conseguenza della sentenza sul caso Köbler è stata la sentenza sul caso Traghetti del
Mediterraneo9.
Innanzitutto, si è ribadito che la regola per cui uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni
arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario che gli sono imputabili ha valore in riferimento a
qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od
omissione ha dato origine alla trasgressione (come già affermato nella sentenza Köbler, decisione nella quale
si statuiva – fondandosi in particolare sul ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti
che derivano ai singoli dalle norme comunitarie, nonché sulla circostanza che un organo giurisdizionale di
ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale essi possono far valere i diritti
che il diritto comunitario conferisce loro – che la tutela di tali diritti sarebbe indebolita – e la piena efficacia
delle norme comunitarie che conferiscono simili diritti sarebbe rimessa in questione – se fosse esclusa la
facoltà dei singoli di ottenere, a talune condizioni, il risarcimento dei danni loro arrecati da una violazione
del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado10).
Per la Corte non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga
commessa, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di
diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce
della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia11, o se interpreta il diritto nazionale in modo da
condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente. Tale constatazione vale, a maggior
ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale
l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche.
E per il giudice di Lussemburgo si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione
che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la
violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle
prove. Da un lato, infatti, una simile valutazione costituisce, così come l’attività di interpretazione delle
norme giuridiche, un altro aspetto essenziale dell’attività giurisdizionale poiché, indipendentemente
dall’interpretazione effettuata dal giudice nazionale investito di una determinata causa, l’applicazione di
dette norme al caso di specie spesso dipenderà dalla valutazione che egli avrà compiuto sui fatti della
vicenda processuale così come sul valore e sulla pertinenza degli elementi di prova prodotti a tal fine dalle
parti in causa. Dall’altro lato, una tale valutazione – che richiede a volte analisi complesse – può condurre
ugualmente, in certi casi, ad una manifesta violazione del diritto vigente, sia essa effettuata nell’ambito
7
Si riporta, per maggiore chiarezza espositiva, il testo del’art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE): «la Corte di
giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b)
sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. Quando
una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo
giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare
alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti
a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto
interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un
giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la
Corte statuisce il più rapidamente possibile».
8
V. il punto 58 della sentenza Köbler. V., in tal senso, anche la sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame,
1996, punto 57.
9
Sentenza della Grande Sezione del 13 giugno 2006, resa nel procedimento C-173/03, vertente tra la Traghetti
del Mediterraneo SpA, in liquidazione, contro la Repubblica italiana, in Racc., I-5177.
10
V. sentenza Köbler, cit., punti 33-36. È il caso di notare che la non rilevanza della natura (esecutiva, legislativa
o giurisdizionale) dell’organo nazionale cui sarebbe imputabile l’attività commissiva o omissiva posta a base della
violazione del diritto UE è affermata anche da Corte giust. 12 novembre 2009, C-154/08 (Commissione europea c.
Spagna).
11
V. il punto 56 della sentenza Köbler.
3
dell’applicazione di specifiche norme relative all’onere della prova, al valore di tali prove o all’ammissibilità
dei mezzi di prova, ovvero nell’ambito dell’applicazione di norme che richiedono una qualificazione
giuridica dei fatti. Escludere, in tali casi, ogni possibilità di sussistenza della responsabilità dello Stato poiché
la violazione contestata al giudice nazionale riguarda la valutazione effettuata da quest’ultimo su fatti o
prove equivarrebbe altresì a privare di effetto utile il principio sancito nella sentenza Köbler, per quanto
riguarda le manifeste violazioni del diritto comunitario che sarebbero imputabili agli organi giurisdizionali
nazionali di ultimo grado.
La Corte aggiunge che nemmeno può limitarsi, in relazione al diritto dell’Unione, la responsabilità
dello Stato ai soli casi di dolo o di colpa grave del giudice. La Corte non poteva che ribadire che le
condizioni che determinano la responsabilità sono soltanto quelle enunciate nella sentenza Köbler e che non
può ammettersi l’introduzione nei sistemi nazionali di criteri, relativi alla natura o al grado che una
violazione deve soddisfare, più rigorosi di quelli contemplati dall’ordinamento europeo12.
Coerentemente a quanto statuito nelle sentenze sui casi Köbler e Traghetti del Mediterraneo, nel 2011
è intervenuta la terza sentenza della Corte di giustizia sulla responsabilità dello Stato-giudice per violazione
del diritto dell’Unione.
Infatti, con sentenza del 24 novembre 2011 la terza sezione della Corte ha affermato, tra le altre cose,
che il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di risarcire i danni arrecati ai singoli a seguito di
violazioni del diritto dell’Unione ad essi imputabili a prescindere dall’organo da cui tale danno sia scaturito,
principio che trova quindi applicazione anche nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere
giudiziario e che per la Corte non trova attuazione nella legislazione italiana.
Posto che era già insita nella giurisprudenza della Corte di giustizia, dopo la sentenza Traghetti del
Mediterraneo, l’inidoneità della normativa italiana ad assicurare la piena compatibilità con il diritto
dell’Unione e posto che tale inidoneità era stata però affermata dalla Corte in modo incidentale nella
sentenza Traghetti, con la decisione del 24 novembre 2011 il giudice di Lussemburgo ha stabilito in modo
chiaro ed esplicito, all’esito di una procedura per infrazione (e quindi specificamente volta all’accertamento
della violazione di un obbligo gravante sugli Stati membri), che la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per
violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado e che ciò
l’Italia ha fatto in quanto, secondo la Corte, ha posto in essere le violazioni di cui ai due addebiti contestati
dalla Commissione:
1) ha escluso, con la sua normativa nazionale, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni
arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado e risultante da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove
effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo;
2) ha limitato per il resto tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2,
commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle
funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati).
Con riferimento al primo addebito il giudice di Lussemburgo ricorda – visto che la legge italiana
esclude in via generale la responsabilità dello Stato nei settori dell’interpretazione del diritto e della
valutazione di fatti e di prove – di avere già avuto modo di affermare che il diritto dell’Unione osta ad una
siffatta esclusione generale della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una
violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado qualora tale
violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove operata
dall’organo medesimo13.
12
Mette poi conto ricordare che con la sentenza sul caso Konstantinos Adeneler (Corte giust. 4 luglio 2006,
Konstantinos Adeneler, C-212/04, in Racc., I-212/04) la Corte ha esteso anche agli organi giurisdizionali nazionali
l’obbligo imposto agli Stati membri di astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente la
realizzazione del risultato prescritto da una direttiva, a pena dell’insorgere della loro responsabilità. Pertanto, dalla data
in cui una direttiva è entrata in vigore, i giudici degli Stati membri devono astenersi dall’interpretare il diritto interno in
un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione
del risultato perseguito (punti 122 e 123).
13
Cfr. i punti 33-40 della sentenza Traghetti.
4
Invece, osserva la Corte nella sentenza del 24 novembre 2011, dall’esplicito tenore del comma 2
dell’art. 2 legge 117/88 emerge che la responsabilità statale resta esclusa, in via generale, nell’ambito
dell’interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove.
Peraltro, aggiunge la Corte, negli stessi termini (totale esclusione di responsabilità) il giudice del
rinvio aveva fatto riferimento al comma 2 dell’art. 2 della legge n. 117/88 nelle questioni pregiudiziali
sottoposte alla Corte nella causa da cui è scaturita la sentenza Traghetti del Mediterraneo14.
Per quanto poi concerne l’argomento utilizzato dallo Stato italiano per cui sarebbe stata errata
l’interpretazione fornita dalla Commissione in merito a due sentenze della Corte di Cassazione (la 15227/07
e la 7272/08) che secondo la stessa Commissione dimostravano che la giurisprudenza nazionale accoglieva
un’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88, in collegamento con il diritto dell’Unione, incompatibili
con le posizioni della Corte di giustizia15, la Corte rileva che, a fronte dell’esplicito tenore dell’art. 2,
secondo comma, di tale legge, lo Stato italiano non ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare
validamente che, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi
giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga interpretata dalla giurisprudenza quale semplice
limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o
dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e non quale
esclusione di responsabilità.
In altri termini, risultando in violazione del diritto dell’Unione il testo normativo del comma 2 dell’art.
2 della legge 117/88 (che sembra effettivamente introdurre una clausola di esclusione di responsabilità
autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2) e mancando una giurisprudenza che
interpretasse il detto comma 2, quando viene in questione una violazione del diritto dell’Unione, in linea con
gli orientamenti della Corte di giustizia, allora non poteva che essere accolto il primo addebito della
Commissione16.
La Corte ha poi esaminato il secondo addebito contestato dalla Commissione, ossia quello di limitare,
in casi diversi dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità
di invocare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei
propri organi giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme
ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.
Per la Commissione, invero, la nozione di «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n.
117/88, viene interpretata dalla Corte di Cassazione italiana in termini coincidenti con il «carattere
manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione
manifesta del diritto vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per
violazione del diritto dell’Unione.
14
V. il punto 20 della sentenza Traghetti.
Secondo le difese dello Stato italiano, infatti, le due sentenze della Corte di Cassazione successive alla
sentenza Traghetti del Mediterraneo richiamate dalla Commissione (la 15227/07 e la 7272/08) non riguarderebbero una
violazione dei principi del diritto dell’Unione. Inoltre, tali sentenze dimostrerebbero che la nostra Cassazione ha inteso
il terzo comma, dell’art. 2 della legge n. 177/88 quale strumento interpretativo del precedente secondo comma e che
quest’ultimo comma non può essere pertanto inteso nel senso che costituisca una clausola di esclusione della
responsabilità. Peraltro, la difesa dello Stato italiano tiene a precisare che nella sentenza 7272/08 non si farebbe
riferimento al secondo comma dell’art. 2 della legge n. 117/88 e che nella sentenza 15227/07 si afferma che le «ipotesi
specifiche» previste dall’art. 2 della legge n. 177/88 «hanno quale comune fattore» una negligenza inescusabile, con la
conseguenza che tale articolo 2 dovrebbe essere complessivamente inteso nel senso di una subordinazione del sorgere
della responsabilità dello Stato al compimento di una negligenza di tal genere da parte del giudice nazionale.
16
Sul punto coglie nel segno R. Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-giudice dopo la corte di giustizia?,
in Corr. giur., 2/12, 187 quando osserva: «evidente risulta, infatti, lo iato fra l’esonero di responsabilità come sopra
precisato ed i contenuti della “violazione manifesta” di matrice eurounitaria, la quale va valutata alla luce del grado di
chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere scusabile ovvero inescusabile dell’errore di diritto commesso
ed andava presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la
giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia. Il terreno sul quale si muove la Corte di Giustizia non poteva che
essere lo stesso della sentenza Traghetti del Mediterraneo, nel quale aveva assunto un ruolo decisivo la portata letterale
del secondo comma dell’art. 2 rispetto ai contenuti linguistici utilizzati dai commi 1 e 3 della medesima disposizione. In
assenza di elementi concreti, che solo lo Stato italiano avrebbe potuto e dovuto prospettare e dimostrare, il giudizio
negativo della Corte di Lussemburgo sulla clausola di salvaguardia appariva dunque già largamente ipotizzabile prima
della decisione che si commenta».
15
5
Richiamandosi alla propria precedente giurisprudenza, la Corte ha in proposito rammentato che uno
Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da
parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: a) la norma giuridica violata deve essere preordinata a
conferire diritti ai singoli; b) la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata; c) tra la violazione
dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale
diretto17.
Per la Corte la responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo
giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni18. In tal senso, come già sopra
osservato, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza solamente nel
caso eccezionale in cui il giudice nazionale abbia violato il diritto vigente in maniera manifesta19.
Per la Corte il diritto al risarcimento del danno sussiste anche nel caso in cui la violazione derivi da un
provvedimento giudiziario purché essa sia qualificabile come manifesta, condizione che deve essere
verificata tenendo in considerazione «il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere
intenzionale della violazione, la scusabilità o l’inescusabilità dell’errore di diritto, la posizione adottata
eventualmente da un’istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell’organo
giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale» (sentenza Köbler).
Ora, il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la
responsabilità dello Stato, ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi. In altri termini, dalla
giurisprudenza della Corte emerge che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto nazionale precisi
i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa sorgere la
responsabilità dello Stato in un’ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti
più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente20.
Invece, nella sentenza del 24 novembre 2011 la Corte rileva che la Commissione ha fornito elementi
sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n.
117/88 viene interpretata dalla Corte di Cassazione italiana in termini tali che finisce per imporre requisiti
più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».
Nonostante in risposta a tale argomento della Commissione la Repubblica italiana abbia affermato, da
un lato, che le sentenze della suprema Corte di Cassazione indicate dalla Commissione non riguardavano una
violazione del diritto dell’Unione e, dall’altro, che l’art. 2 della legge n. 117/88 poteva essere oggetto di
interpretazione conforme al diritto dell’Unione medesimo e che la nozione di «colpa grave» di cui al detto
articolo era, in realtà, equivalente a quella di «violazione manifesta del diritto vigente», tuttavia per la Corte indipendentemente dalla questione se la nozione di «colpa grave», ai sensi della legge n. 117/88, malgrado il
rigoroso contesto in cui essa si colloca all’art. 2, terzo comma, della legge medesima, possa essere
effettivamente interpretata, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo
giurisdizionale di ultimo grado dello Stato membro convenuto, in termini tali da corrispondere al requisito di
«violazione manifesta del diritto vigente» fissato dalla giurisprudenza della Corte – ciò che rileva è che la
Repubblica italiana non ha richiamato, in ogni caso, nessuna giurisprudenza che, in detta ipotesi, vada in tal
senso e non ha quindi fornito la prova richiesta quanto al fatto che l’interpretazione dell’art. 2, commi 1 e 3,
di tale legge accolta dai giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte21.
A questo proposito ha impiegato una motivazione che si fonda sul riparto dell’onere della prova e sul
principio per cui nel giudizio ex art. 258 TFUE alla Commissione spetta (per costante giurisprudenza della
17
Cfr. sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, in Racc., I1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, in Racc., I-5123, punto 36, nonché 24 marzo 2009, causa C445/06, Danske Slagterier, in Racc., I-2119, punto 20.
18
V. la sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, caso Köbler, e la sentenza 13 giugno 2006, causa C173/03, caso Traghetti del Mediterraneo.
19
Cfr. sentenza Köbler, punti 52 e 53.
20
V. il punto 44 della sentenza Traghetti del Mediterraneo e la giurisprudenza ivi citata.
21
Osserva correttamente R. Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-giudice dopo la corte di giustizia?, in
Corr. giur., 2/12, 187: «ancorché nulla abbia sul punto esplicitamente affermato, pare assai evidente che il giudice di
Lussemburgo abbia mal digerito la condotta dell’Italia, rimasta silente rispetto alla sentenza del giugno 2006 anche
quando era stata chiamata a misurarsi sulla portata della legge n. 117/1988».
6
Corte22) solo di dimostrare il preteso inadempimento dello Stato con sufficiente specificità, mentre grava sul
convenuto l’onere di confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti nell’atto introduttivo e le
conseguenze che secondo le allegazioni ivi contenute ne derivano.
La Corte di giustizia ha quindi accolto anche il secondo addebito della Commissione (ritenendo
fondato il ricorso) sulla base della considerazione per cui la Repubblica italiana non aveva confutato in
termini sufficientemente sostanziali e dettagliati l’addebito contestatole dalla Commissione, secondo cui la
normativa italiana limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e
delle prove, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei
propri organi giurisdizionali di ultimo grado in modo non conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza
della Corte.
Il principio affermato dalla Corte è stato, in conclusione, quello per cui la Repubblica italiana è venuta
meno agli obblighi su di essa gravanti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per
violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado per effetto
di due previsioni contenute nei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei
danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, condotte:
1) escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una
violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora
tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate
dall’organo giurisdizionale medesimo; 2) limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.
I principi espressi dalla Corte di Lussemburgo sono stati prontamente recepiti dai giudizi nazionali. Ed
invero, con la sentenza 22 febbraio 2012 n. 2560 la terza sezione della Corte di Cassazione ha affermato che
“in tema di responsabilità civile dei magistrati, l'art. 2 l. 13 aprile 1988 n. 117, laddove – nel fissare i
presupposti della domanda risarcitoria contro lo Stato per atto commesso con dolo o colpa grave dal
magistrato nell'esercizio delle sue funzioni – esclude che possa dar luogo a responsabilità l'attività di
interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova, è in contrasto con gli
obblighi comunitari dello Stato italiano alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea del 24 novembre 2011, nella causa C-379/10, solo con riferimento alle
violazioni manifeste del diritto dell'Unione europea imputabili ad un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado”23.
22
V. le sentenze 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia, in Racc., 4875, punto 21; 7 luglio 2009,
causa C-369/07, Commissione/Grecia, in Racc., I-5703, punto 75, e 6 ottobre 2009, causa C-335/07,
Commissione/Finlandia, in Racc., I-9459, punto 47.
23
Nel caso di specie si contestava la condotta di un giudice di Tribunale per non avere rimosso un consulente
d’ufficio nominato all’interno di un procedimento cautelare relativo ad immissioni acustiche nonostante vi fossero
(secondo la prospettazione del ricorrente) rilevanti anomalie nella condotta dell’ausiliario (che avrebbe pure
preannunciato l’esito della consulenza e che non avrebbe svolto alcune indagini) e per aver effettuato un’errata
ricognizione della fattispecie concreta tramite le risultanze di causa. Con la sentenza 2560/2012 la Cassazione afferma
che la parte ricorrente non considera e censura le ragioni in forza delle quali era stata rigettata l’istanza di ricusazione né
rispetta il principio di autosufficienza del ricorso con riferimento agli elementi dai quali ricavare l’errato svolgimento
delle indagini, il che impedisce di effettuare il giudizio di ammissibilità dell’azione risarcitoria ex lege 117/88. In
relazione, poi, alla dedotta (avuto riguardo all’errata valutazione delle specifiche vicende fattuali relative al caso
concreto, ed in particolare al metodo di rilevamento della soglia di tollerabilità delle immissioni acustiche nonché
all’applicazione dell’istituto della nozione di fatto di comune esperienza) negligenza inescusabile del magistrato di
Tribunale che aveva deciso la fase cautelare, il giudice di legittimità osserva che risulta operativa la clausola di
salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, a tenore del quale nell’esercizio delle
funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme dl diritto né quella di
valutazione del fatto e delle prove. Né è inutile ricordare, precisa la Suprema Corte, che, secondo la sua giurisprudenza,
“siffatta clausola, giustificata dal carattere fortemente valutativo dell’attività giudiziaria e – come precisato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 18 del 19 gennaio 1989 – attuativa della garanzia costituzionale dell’indipendenza del
giudice, non tollera letture riduttive (Cass. civ., 27 novembre 2006, n. 25123)”. In conclusione, per il giudice di
legittimità tutte le censure appaiono inficiate da un errore prospettico di fondo, nella misura in cui i ricorrenti tendono a
traslare nel giudizio di responsabilità del giudice rilievi che andavano più correttamente spesi nel giudizio a valle. Tutto
ciò convalida la correttezza logica e giuridica del convincimento maturato dalla Corte d’appello in sede di preventivo
vaglio di ammissibilità della domanda. Né per la Cassazione tale approdo si presta a essere ripensato alla luce delle
statuizioni contenute nella sentenza della Corte di giustizia, esaminata nel testo, del 24 novembre 2011 (causa C-
7
2. Gli orientamenti giurisprudenziali formatisi nel vigore della precedente formulazione della
legge 117/88.
Con la sentenza del 24 novembre 2011 la Corte di giustizia ha precisato che la necessità di garantire ai
singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce loro implica
che la responsabilità dello Stato possa sorgere per violazione del diritto dell’Unione risultante
dall’interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
Non era, però, questo l’orientamento della nostra Corte di Cassazione.
Interpretando il disposto dei primi due commi dell’art. 2 della legge 117/88 – e quindi della
responsabilità statale sancita al primo comma in conseguenza di un comportamento doloso o gravemente
colposo del magistrato, esclusa comunque ogni tutela risarcitoria in caso di «attività di interpretazione di
norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove» – e valutando anche i quattro comportamenti
gravemente colposi specificamente indicati al comma 324, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che
«il momento della funzione giurisdizionale riguardante l’individuazione del contenuto di una determinata
norma e l’accertamento del fatto, con i corollari dell’applicabilità o meno dell’una all’altro, non può essere
fonte di responsabilità, nemmeno sotto il profilo dell’opinabilità della soluzione adottata, dell’inadeguatezza
del sostegno argomentativo, dell’assenza di una esplicita e convincente confutazione di opposte tesi,
dovendo passare l’affermazione della responsabilità, anche in tali casi, attraverso una non consentita
revisione di un giudizio interpretativo o valutativo; fonte di responsabilità, invece, può essere l’omissione di
giudizio, sempre che investa questioni decisive, anche in relazione alla fase in cui si trova il processo, e sia
ascrivibile a negligenza inescusabile» (Cass. n. 17259/200225).
In termini ancora più espliciti si legge in Cass. 13000/06 che «in tema di responsabilità civile dei
magistrati, l’art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, nel fissare – a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art.
5, terzo comma – i presupposti della domanda risarcitoria contro lo Stato per atto commesso con dolo o colpa
grave dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, esclude possa dare luogo a responsabilità l’attività di
interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova. Né può ritenersi che il
giudice sia obbligato a decidere conformemente all’interpretazione già effettuata precedentemente dallo
stesso o da altro giudice in relazione ad un’altra controversia»26.
379/10) e ciò “per l’assorbente ragione che l’arresto della Corte lussemburghese propriamente riguarda la
responsabilità dello Stato italiano per violazioni manifeste, da parte dell’organo giurisdizionale di ultimo grado, del
diritto dell’Unione. La soluzione del caso sottoposto all’esame del collegio non pone, dunque, alcun problema di
armonizzazione ermeneutica tra la disciplina dell’azione di responsabilità civile dei magistrati, come configurata
dall’ordinamento e ricostruita dal diritto vivente, e gli obblighi comunitari dello Stato italiano. E ciò al di là del rilievo
che, per quanto sin qui detto, nel comportamento del giudice G. non è dato riscontrare alcuna violazione del diritto
vigente, men che mai grave e manifesta, e quindi alcun profilo di colpa. Per le stesse ragioni, e conclusivamente,
qualsivoglia dubbio di legittimità costituzionale della limitazione ai soli casi di dolo o colpa grave dell’ area della
responsabilità civile del magistrato, è, nella fattispecie, privo di ogni rilevanza”.
24
Per il vecchio comma 3 dell’art. 2 della legge 117/88 «costituiscono colpa grave:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente
esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente
dagli atti del procedimento;
d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure
senza motivazione».
25
In senso conforme v. anche Cass. 4083/2005.
26
Analogamente, si legge in Cass. 14860/2001 che «il procedimento sull’ammissibilità dell’azione risarcitoria in
dipendenza di responsabilità civile del magistrato, di cui all’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, si mantiene sul
piano meramente delibativo solo quanto al riscontro degli elementi addotti a fonte di detta responsabilità (nel senso che,
ove non sia evidente la pretestuosità della relativa deduzione, rimane devoluta al successivo giudizio di merito
l’approfondita valutazione della sua fondatezza), mentre ha carattere pieno e definitivo in ordine ai presupposti ed ai
termini dell’azione, sicché l’attività cognitoria del giudice in sede di esame di ammissibilità comprende la verifica del
carattere non interpretativo della lamentata violazione di legge da parte del magistrato del quale si richiede
l’affermazione di responsabilità, atteso che, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della citata legge, nell’esercizio delle
8
Che l’art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, escluda che possa dar luogo a responsabilità l’attività di
interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova è principio affermato a chiare
lettere anche da Cass. 25123/06, che aggiunge che la clausola di salvaguardia riconducibile a quest’ultima
esclusione prevista nel comma 2 dell’art. 2 «non tollera letture riduttive perché giustificata dal carattere
fortemente valutativo dell’attività giudiziaria e – come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
18 del 19 gennaio 1989 – attuativa della garanzia costituzionale dell’indipendenza del giudice e, con essa,
del giudizio».
La ratio di questa impostazione giurisprudenziale si può rinvenire in un passaggio di Cass. 14860/01,
secondo il quale è per la tutela dell’autonomia della “funzione giudiziaria” che l’operazione conoscitiva della
norma regolatrice della concreta fattispecie «non può costituire fonte di responsabilità personale (pur se in
sede di rivalsa - art. 8 - o disciplinare - art. 9 -) per il magistrato che l’ha compiuta»27.
La clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità per attività interpretativa o valutativa (di fatti
e prove) è attuativa della garanzia costituzionale dell’indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio28.
Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana, quindi, vi è un’assoluta esclusione della
responsabilità dello Stato per attività del giudice connessa all’interpretazione del diritto ed alla valutazione
del fatto e delle prove.
Nonostante non si registri alcuna decisione relativa al diritto dell’Unione, resta il fatto che nessuna
apertura si può scorgere nelle sentenze del nostro giudice di legittimità con riferimento al comma 2 dell’art. 2
della legge 117/88.
Analogamente, una lettura restrittiva delle disposizioni dell’art. 2 della legge 117/88 è stata effettuata
dalla Cassazione anche con riferimento al concetto di colpa grave di cui al primo e terzo comma della legge
117/88.
Come visto, nella sentenza del 24 novembre 2011 la Corte di giustizia ha rilevato che la Commissione
ha fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della «colpa grave» prevista dalla legge
italiana, come interpretata dalla Corte di Cassazione italiana, si risolve nell’imporre requisiti più rigorosi di
quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».
Si è già fatto cenno alla circostanza per cui la Commissione si è basata, per documentare il diritto
vivente italiano al riguardo, su Cass. 15227/07 e Cass. 7272/08.
Secondo la prima delle due sentenze la responsabilità prevista dalla legge 13 aprile 1988 n. 117, ai fini
della risarcibilità del danno cagionato dal magistrato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, è incentrata
sulla colpa grave del magistrato stesso, tipizzata secondo ipotesi specifiche ricomprese nell’art. 2 della citata
legge, le quali sono riconducibili al comune fattore della negligenza inescusabile, che implica la necessità
della configurazione di un “quid pluris” rispetto alla colpa grave delineata dall’art. 2236 cod. civ., nel senso
che si esige che la colpa stessa si presenti come “non spiegabile”, e cioè priva di agganci con le particolarità
della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, l’errore del magistrato. Si
tratta di pronuncia del tutto in linea con il resto del panorama giurisprudenziale della Corte di Cassazione29.
funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto». Vedi anche
Cass. 22539/2006, secondo la quale «in tema di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie, rientra nella fase di delibazione sull’ammissibilità dell’azione, ai sensi dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988,
n. 117, anche l’indagine sul carattere non interpretativo della violazione di legge o sulla natura puramente percettiva
dell’errore di fatto che la parte prospetti come causativo di danno, atteso che, in base alla comma secondo della norma
citata, l’attività cognitiva del giudice in sede di esame dell’ammissibilità della domanda comprende la verifica dei
presupposti di cui al precedente art. 2, e che il secondo comma di tale articolo stabilisce che nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del
fatto e delle prove, avendo, per contro, il legislatore inteso limitare le ipotesi in cui è ravvisabile la responsabilità del
magistrato a quelle delineate e descritte nel successivo comma terzo del medesimo art. 2» (così pure Cass. 22540/2006,
Cass. 2201/1999 e Cass. 9511/1995).
27
Sul punto v. anche R. Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-giudice dopo la corte di giustizia?, in Corr.
giur., 2/12, 187.
28
In questo senso v. Corte cost. n. 18/1989; Cass. n. 25123/20006.
29
In senso conforme v. anche Cass. n. 25133/2006 (che ha ravvisato l’errore rilevante ai sensi delle lettere b) e c)
dell’art. 2, comma terzo, della legge 117/88 ove il giudice abbia posto a fondamento del suo giudizio elementi del tutto
avulsi dal contesto probatorio di riferimento, mentre lo stesso errore deve essere escluso nell’ipotesi in cui il giudice
abbia ritenuto sussistente una determinata situazione di fatto senza elementi pertinenti ovvero sulla scorta di elementi
9
Analogamente, per Cass. 7272/08 i presupposti della responsabilità dello Stato per grave violazione di
legge determinata da negligenza inescusabile nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, ai sensi dell’art 2,
comma 3, lett. a), della legge n. 117 del 1988, devono ritenersi sussistenti allorquando nel corso dell’attività
giurisdizionale si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa
ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte aberranti nella
ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o
ancora lo sconfinamento dell’interpretazione nel diritto libero, essendovi la «completa esenzione da
responsabilità» in ogni caso in cui il magistrato abbia fornito una lettura della disposizione «secondo uno dei
significati possibili, sia pure il meno probabile e convincente», sempre che dell’opzione accolta si sia dato
conto in motivazione30.
insufficienti che, però, abbiano formato oggetto di esame e valutazione, trattandosi in tal caso di errato apprezzamento
dei dati acquisiti), Cass. n. 16696/2003 (per la quale «in tema di responsabilità civile per il danno cagionato
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, la colpa grave si caratterizza in modo peculiare rispetto alla sua nozione
generale - quale è quella richiamata dall’art. 2236, secondo comma, cod. civ. con riferimento alla prestazione del libero
professionista implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà - sia perché non può dare luogo a
responsabilità l’attività del giudice di interpretazione delle norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle
prove, sia perché la detta responsabilità incontra un ulteriore limite nella necessità che la colpa grave sia qualificata da
“negligenza inescusabile”, per tale intendendosi una negligenza che non possa trovare non solamente giustificazione,
ma neppure spiegazione in particolarità delle vicende giudiziarie idonee a rendere comprensibile l’errore del giudice»),
Cass. n. 16935/2002 (secondo la quale «in tema di responsabilità civile dei magistrati, l’inescusabile negligenza prevista
dall’art. 2, terzo comma, lett. a), della legge 13 aprile 1988, n. 117 si concretizza non nell’errore in cui sia incorso il
giudice nel valutare il materiale probatorio a sua disposizione, bensì soltanto nel fatto che il giudice abbia posto a
fondamento del suo giudizio elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio di riferimento, posto che il concetto di
negligenza inescusabile postula la sussistenza di un “quid pluris” rispetto alla colpa grave disciplinata dal codice
civile”), Cass. 13339/00 e Cass. 6950/1994 (che hanno affermato che “la risarcibilità del danno cagionato dal magistrato
per grave violazione di legge, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, lett.a), della legge n. 117 del 1988, postula che tale
violazione sia ascrivibile a negligenza “inescusabile”, e, quindi, esige un “quid pluris” rispetto alla negligenza,
richiedendo che essa si presenti come non spiegabile senza agganci con le particolarità della vicenda atti a rendere
comprensibile (anche se non giustificato) l’errore del giudice»), Cass. n. 12357/1999 (per la quale «il sistema normativo
della responsabilità civile dei magistrati, quale risultante dalla coordinazione fra le ipotesi di colpa grave tipizzate
dall’art. 2 terzo comma della legge n. 117 del 1988 e la previsione del secondo comma della stessa norma, secondo la
quale nell’esercizio di funzioni giudiziarie non può dare luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di
diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove, non si sostanzia in un mero rinvio alla nozione generale della colpa
grave, come dispone l’art. 2236 cod. civ. a proposito della prestazione del libero professionista intellettuale implicante
la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, ma si caratterizza in modo peculiare, sia per la presenza della
clausola limitativa di cui al suddetto secondo comma dell’art. 2, che si spiega col carattere fortemente valutativo
dell’attività giudiziaria, connotata da scelte sovente basate su diversità di interpretazioni, sia per la previsione, con
riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a, b e c del suddetto terzo comma, dell’esigenza che la colpa grave sia
inescusabile. Con riferimento a tali ipotesi la qualificazione di inescusabilità della negligenza, in quanto aggiunta dalla
norma a fini delimitativi della responsabilità, mediante un’esplicazione del concetto di gravità della colpa, integra un
“quid pluris” rispetto alla negligenza, nel senso che essa si deve caratterizzare come “non spiegabile”, cioè senza
agganci con la particolarità della vicenda, idonei a rendere comprensibile - anche se non giustificato - l’errore del
giudice. La lettera b) del terzo comma dell’art. 2 della legge 13 aprile 1988 n. 117 considera il caso in cui il giudice
affermi un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento, e dunque attribuisce rilevanza, sempre che sia
da ascrivere a negligenza inescusabile, all’errore di tipo “revocatorio”, consistente nella supposizione di una circostanza
fattuale la cui inesistenza sia chiaramente posta in luce dalle risultanze acquisite agli atti. Ne consegue che non è
riconducibile alla fattispecie prevista da detta norma il caso in cui il giudice ritenga il verificarsi di una situazione di
fatto senza elementi pertinenti, ovvero sulla scorta di elementi insufficienti (tali reputati nei gradi di giudizio
successivi), i quali, purtuttavia abbiano formato oggetto di esame e valutazione da parte sua (principio affermato dalla
Suprema Corte con riferimento ad un caso in cui, in sede di applicazione dell’art. 15 della Legge Fallimentare, come
emendato dalla sentenza della Corte Cost. n. 141 del 1970, i giudici di un tribunale fallimentare, avendo disposto,
nell’ambito di una istruttoria prefallimentare a carico di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili, la
convocazione dei fallenti tramite i carabinieri, aveva reputato che essa era da ritenersi effettuata ad uno dei soci in
quanto convivente di altro socio, cui i carabinieri avevano comunicato la convocazione telefonicamente)».
30
Nella specie la S.C., rigettando il ricorso, ha escluso la responsabilità del magistrato per grave violazione di
legge derivante dall’emissione di un provvedimento di sequestro ritenuto erroneo dal giudice del gravame, in quanto
10
L’impostazione della legislazione nazionale italiana e l’interpretazione di essa datane dalla Corte di
Cassazione hanno fatto sì che la responsabilità dello Stato italiano per fatto del magistrato non può essere
fatta valere negli stessi termini precisati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Invero, nei casi in cui venga in questione l’attività interpretativa o valutativa di fatti e prove del
magistrato la responsabilità è esclusa dalla c.d. clausola di salvaguardia di cui al comma 2 dell’art. 2 della
legge 117/88, così come, nei casi in cui tale clausola non risulta applicabile, l’interpretazione fornita dal
giudice di legittimità con riferimento alla nozione di colpa grave di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 2 della legge
117/88, ha finito con l’escludere, in via di fatto, l’ipotizzabilità di una responsabilità risarcitoria dello Stato
pur in presenza delle condizioni indicate dalla Corte di giustizia.
La conclusione cui è giunta la Corte di giustizia nella sentenza del 24 novembre 2011 era quindi
inevitabile.
Peraltro, come ha giustamente rilevato il giudice di Lussemburgo, se è vero che nel procedimento di
infrazione incombe sulla Commissione dimostrare l’esistenza del preteso inadempimento, spetta però allo
Stato membro convenuto, una volta che la Commissione abbia fornito elementi sufficienti a dimostrare la
veridicità dei fatti contestati, confutare i dati forniti e le conseguenze che ne derivano.
Ora, nel caso in questione non solo la Commissione aveva provato la citata interpretazione da parte
della nostra Corte di Cassazione, ma l’Italia non è stata poi in grado di provare che l’interpretazione di tale
legge ad opera dei giudici italiani fosse conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia. Sotto
quest’ultimo profilo, infatti, l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana veniva interpretata dai
giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di
escluderla.
Né poteva farlo se si considera, come già osservato, che le citate sentenze Cass. 15227/2007 e Cass.
7272/2008 si inseriscono all’interno di un orientamento consolidato che da ultimo ha trovato espressione in
Cass. 11593/2011, secondo la quale, «nel fissare i limiti della responsabilità del Magistrato, il legislatore del
1988 si è ispirato al principio della tassatività delle condotte a tal fine rilevanti, tipizzando, al di fuori
dell’ipotesi del dolo, gli specifici comportamenti integranti la colpa grave, tutti riconducibili al comune
fattore della negligenza inescusabile (cfr. anche Cass. n. 15227/2007, 25133/2006). Ed invero, secondo
l’espresso dettato legislativo, costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da
negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui
esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da
negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d)
l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure
senza motivazione. L’elencazione è con tutta evidenza tassativa con la conseguenza che ogni
comportamento, che non può essere ricondotto ad una delle ipotesi normativamente previste, non integra il
titolo di responsabilità necessario. Resta il temperamento dell’ipotesi costituita dalla grave violazione di
legge determinata da negligenza inescusabile. Ma quest’ultima, come ha già avuto modo di affermare questa
Corte, deve consistere in una totale mancanza di attenzione nell’uso degli strumenti normativi ed in una
trascuratezza così marcata ed ingiustificabile da apparire espressione di vera e propria mancanza di
professionalità (concretizzantesi in una violazione grossolana e macroscopica della norma ovvero in una
lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della
volontà del legislatore, la manipolazione arbitraria del testo normativo - Cass. n. 7272/2008). In effetti, la
negligenza inescusabile implica la necessità della configurazione di un “quid pluris” rispetto alla colpa grave
delineata dall’art. 2236 cod. civ., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come “non spiegabile”,
e cioè priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non
giustificato, l’errore del magistrato (Cass. n. 15227/2007, 25133/2006)».
Ecco che nella pacifica giurisprudenza della nostra Corte di Cassazione la nozione di colpa grave è
stata interpretata in modo tale da imporre requisiti ben più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione della
«violazione manifesta del diritto vigente» indicata dalla Corte di giustizia ai fini del riconoscimento del
diritto al risarcimento del danno.
Né sussiste una qualche deroga (normativa o giurisprudenziale) quando a venire in questione non è il
diritto nazionale ma quello dell’Unione. Alla Corte di giustizia sarebbe bastato accertare che, nonostante un
detto sequestro era fondato su un’interpretazione estensiva del concetto di “cose pertinenti al reato”, sia pure opinabile e
discutibile, ma plausibile sul piano logico-giuridico.
11
rigido regime previsto per il diritto nazionale, era comunque fatto salvo, con riferimento al solo diritto
dell’Unione, il principio da lei sancito nelle sue sentenze. Poteva anche bastare un comma di poche parole
che facesse salvo quanto statuito dalla Corte di giustizia con riferimento al diritto eurounitario. Addirittura,
poteva anche essere sufficiente una sola sentenza della Cassazione non contraddetta da altre decisioni dello
stesso organo31.
In conclusione, escludendo la nostra precedente normativa e la relativa giurisprudenza qualsiasi
responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di
ultimo grado commessa nell’interpretazione di norme o nella valutazione di fatti e prove e limitando per il
resto la responsabilità statale ai casi di dolo o colpa grave interpretati in modo particolarmente restrittivo (e
quindi senza potervi ricondurre le “violazioni manifeste del diritto” rilevanti per le violazioni del diritto
dell’Unione), era inevitabile che la Corte di giustizia rilevasse il contrasto del nostro sistema legislativo e
giurisprudenziale con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto
dell’Unione.
Prima di verificare come sia stato cambiato il tessuto normativo della legge 117/88 e se tali modifiche
siano in linea con quanto chiesto dalla Corte di giustizia e con i principi di cui alla nostra Carta costituzionale
ed ai Documenti di carattere internazionale è bene fornire un quadro sintetico di quanto previsto sulla
responsabilità dei magistrati all’interno del Consiglio d’Europa e nei vari Paesi europei.
3. La responsabilità dei giudici nel Consiglio d’Europa.
La Raccomandazione n. 12/2010 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri
sui giudici e sulla loro indipendenza, efficacia e responsabilità (adottata dal Comitato dei Ministri il 17
novembre 2010)32 contiene importanti elementi da tenere in considerazione.
Sono particolarmente significativi alcuni paragrafi del capitolo VII (relativo a “Responsabilità e
procedimenti disciplinari”) della Raccomandazione, paragrafi nei quali si legge che «l’interpretazione della
legge, l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari
giudiziari non deve fondare responsabilità disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa grave»
(paragrafo 66) e che «soltanto lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere
l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso un’azione innanzi ad un tribunale»
(paragrafo 67).
31
Bene osserva R. Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-giudice dopo la corte di giustizia?, in Corr.
giur., 2/12, 187, quando nota: «E proprio la “difesa” sul punto spiegata dal Governo italiano, volta a sostenere che i
precedenti della Cassazione evocati dalla Commissione si riferivano a fattispecie non regolate dal diritto dell’Unione
europea non poteva che risolversi in un boomerang, se solo si considera che non si poneva certo in discussione la non
inferenza specifica delle decisioni rese dalla Cassazione e richiamate dalla Commissione a sostegno dell’azione di
inadempimento a vicende concernenti il diritto dell’Unione, ma semmai la circostanza che l’assenza di orientamenti di
diverso significato in tema di violazione del diritto dell’Unione da parte del giudice di ultima istanza - e comunque del
legislatore - non poteva che determinare l’applicazione alle vicende coperte dall’ombrello eurounitario della legge n.
117/1988 e del diritto vivente che sulla stessa si era andato formando, non ponendosi in discussione da parte dello Stato
italiano la diretta applicabilità di quella legge anche al caso esaminato nel giudizio di inadempimento». Lo stesso Conti
continua sostenendo che «l’astratta possibilità di un’interpretazione conforme del diritto interno alle coordinate della
Corte di Giustizia ventilata dallo Stato italiano non trovava conferma alcuna nella giurisprudenza di legittimità perché
proprio il diritto vivente - reso in vicende nemmeno lambite dal diritto eurounitario - si era andato caratterizzando in
termini di concreta assenza di ipotesi di responsabilità dello Stato… Se, infatti, agli occhi della Corte l’azione di
responsabilità concessa al cittadino europeo nei confronti dello Stato per lamentare una violazione delle regole
eurounitarie ascrivibile ai suoi organi all’interno di un giudizio che avrebbe dovuto garantire la protezione invocata
rappresentava l’ultima concreta possibilità di piena soddisfazione dei diritti del richiedente, poteva mai la Corte
acconciarsi alla mera possibilità di un’interpretazione eurounitariamente conforme da parte della Cassazione che,
nell’interpretare la normativa interna, applicabile comunque anche alle vicende di cui qui si discute, aveva fino a quel
momento adottato una linea ermeneutica assolutamente distonica rispetto alle coordinate di Lussemburgo? La risposta a
tale interrogativo era talmente scontata da rendere obbligata la soluzione della Corte di giustizia».
32
È noto che nello Statuto del Consiglio d’Europa, sottoscritto a Londra nel maggio 1949, si stabilisce (all’art.
15) che le conclusioni del Comitato dei Ministri, che agisce in nome e per conto del Consiglio ex art. 13 dello Statuto –
possano prendere la forma di Raccomandazioni ai Governi degli Stati membri, di seguito alle quali il Comitato può
informarsi su ciò che i singoli Paesi hanno fatto in attuazione delle Raccomandazioni.
12
Si nega, quindi, la possibilità di qualsiasi forma di responsabilità civile diretta dei magistrati, principio
ritenuto di importanza tale che si prevede pure che «i giudici non devono essere personalmente responsabili
se una decisione è riformata in tutto o in parte a seguito di impugnazione» (paragrafo 70), precisandosi,
comunque, che «al di fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie, i giudici rispondono in sede civile,
penale e amministrativa come qualsiasi altro cittadino (paragrafo 71)». Chiaramente, l’immunità non è legata
alla persona, ma alla funzione.
Sulla responsabilità penale e disciplinare si prevede, poi, che «l’interpretazione della legge,
l’apprezzamento dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per deliberare su affari giudiziari
non devono fondare responsabilità penale, tranne che nei casi di dolo» (paragrafo 68) e che “può essere
promosso procedimento disciplinare nei confronti dei giudici che non ottemperano ai loro doveri in modo
efficace e adeguato. Tale procedimento deve svolgersi da parte di un’autorità indipendente o di un tribunale
con tutte le garanzie dell’equo processo e deve garantire al giudice il diritto di impugnare la decisione e la
sanzione. Le sanzioni disciplinari devono essere proporzionate» (paragrafo 69).
Di particolare rilevo è poi quanto affermato da un organo del Consiglio d’Europa, ossia il Consiglio
consultivo dei giudici, che il 17novembre 2010 ha approvato una “Magna Carta dei Giudici” (Principi
fondamentali), che codifica e cristallizza le principali conclusioni contenute nei suoi precedenti dodici pareri
ed i cui principi n. 21 («il rimedio agli errori giudiziari deve essere individuato in un adeguato sistema di
impugnazioni. Qualsiasi rimedio per le altre disfunzioni della giustizia dà luogo esclusivamente a
responsabilità dello Stato») e 22 («non è corretto che il giudice sia esposto, nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie, ad alcuna responsabilità personale, anche a titolo di rimborso dello Stato, tranne che in caso di
dolo») sono chiaramente indicativi dell’esclusione di un’azione diretta dei privati contro il magistrato.
4. La responsabilità del magistrato nei vari Paesi europei.
Variegato è, poi, il panorama delle discipline nazionali sulla responsabilità dei magistrati.
E così ad esempio, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Canada, in Israele il giudice non può mai
essere chiamato a rispondere per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni33. In Germania la
responsabilità civile è limitata alle sole ipotesi di reato. In Francia, nei Paesi Bassi e in Svizzera è esclusa
ogni forma di azione diretta nei confronti del giudice.
È bene prendere qui in esame, per sommi capi, le normative previste nei quattro principali Stati
europei diversi dall’Italia (Regno Unito, Spagna, Germania e Francia).
Nel Regno Unito esiste, a garanzia dell’indipendenza della Magistratura, il principio dell’esonero dalla
responsabilità civile del magistrato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
Per lungo tempo, in realtà, tale principio valeva in assoluto solo per i giudici superiori, posto che per i
giudici inferiori vigeva la soggezione patrimoniale per gli atti lesivi compiuti in eccesso di giurisdizione,
ossia per atti compiuti travalicando i loro poteri.
È stato, poi, nell’importante caso Sirros v. Moore (1975, QB 118, 113, 148) che si è esteso l’ambito
dell’immunità giudiziale in relazione alla responsabilità civile e si è proceduto ad equiparare la posizione dei
giudici inferiori (ad es., le cd. Magistrate’s Courts, formate da giudici onorari che gestiscono gran parte dei
processi penali in Inghilterra e Galles) a quella dei giudici superiori (ad es., High Court e Court of Appeal).
Da quel momento tutti hanno goduto dell’irresponsabilità sul piano civile.
Ciò perché l’indipendenza di giudizio del giudice richiede che il giudice non abbia timore di esercitare
il suo ruolo. Diceva Lord Denning nel citato caso Sirros v. Moore che il giudice «should not have to turn the
pages of his books with trembling fingers, asking himself: If I do this, shall I be liable in damages?».
Non vi è alcuna responsabilità civile se il giudice agisce in buona fede ovvero nella convinzione, pur
erronea, di esercitare la sua giurisdizione (anche in caso di grave errore o ignoranza).
Dall’affermazione giurisprudenziale si è poi passati alla cristallizzazione legislativa del principio in
questione (in relazione alle Magistrate’s Courts) con il Justice of Peace Act 1997 (Sezioni n. 51 e 52), e ciò
fatti però salvi i casi di eccesso di giurisdizione in cui l’atto sia stato compiuto in malafede.
Certo, con lo Human Rights Act 1988 si è incorporata la C.E.D.U. nel diritto interno ed in attuazione
dell’art. 5, par. 5, della Convenzione, si è riconosciuto il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione.
33
Tuttavia, il tradizionale principio della immunity from civil liability subisce dei forti temperamenti sul piano
della responsabilità disciplinare, soprattutto all’interno dell’ordinamento statunitense.
13
Tuttavia, in queste ipotesi la tutela risarcitoria vede come soggetto passivo esclusivamente lo Stato. Solo nei
confronti dei giudici delle Corti inferiori può essere avanzata una domanda di risarcimento del danno in caso
di negligente esercizio delle loro funzioni.
La rivalsa da parte dello Stato è configurabile nei casi in cui manca l’immunità giudiziale.
Inoltre, il Prosecution of Offences Act 1985 prevede che siano esperite verso il Crown Prosecution
Service, con un vaglio preliminare di ammissibilità da parte dell’O.C.D. (Central Confiscation Unit of the
Organised Crime Division), le azioni civili contro gli atti compiuti dai magistrati del P.M.
Permane infine una responsabilità di tipo latamente “politico”, anche se limitata ai soli giudici delle
corti superiori (e solo in misura minore estesa ai giudici di prima istanza), che si estrinseca nella procedura di
“address”. Qualora, infatti, si riscontri un comportamento qualificabile nei termini di «cattiva condotta»
(misbehaviour) da parte del giudice (ricomprendente ipotesi quali il difetto di giurisdizione, l’incapacità, la
negligenza ed i casi di diniego di giustizia), entrambi i rami del Parlamento hanno la possibilità di presentare
al Sovrano una petizione volta ad ottenere, ad opera della corona medesima, la rimozione del magistrato dal
proprio ufficio.
In Spagna c’è un principio generale (fissato all’articolo 117.1 della Costituzione Spagnola, che
ribadisce l’articolo 1 della Legge Organica del Potere Giudiziale) per cui i giudici sono responsabili per la
loro condotta34.
Al successivo art. 121 la medesima Costituzione sancisce che «i danni causati da un errore giudiziario
come quelli conseguenti ad un anormale funzionamento dell’amministrazione della giustizia daranno diritto
ad un indennizzo a carico dello Stato, conformemente alla legge»35.
Nello specifico, poi, la responsabilità civile del giudice trova la sua disciplina negli articoli 411-413
della Ley Orgánica del Poder Judicial (LOPJ).
In questi tre articoli si subordina la responsabilità del giudice ad alcune condizioni: che si siano causati
danni, che si siano prodotti per colpa o dolo e nell’esercizio delle funzioni svolte dal magistrato (art. 411),
che si denunzi a istanza della parte danneggiata o dei suoi aventi diritto (art. 412) e che si sollevi la questione
dopo il passaggio in giudicato della sentenza (art. 413), sentenza che viene in ogni caso tutelata e non
intaccata dalla decisione resa nel diverso giudizio di responsabilità civile (art. 413.2).
Si tratta, comunque, di norme di fatto inapplicate in quanto non risultano sentenze di condanna per
responsabilità civile dei magistrati. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario è per un’interpretazione
assai restrittiva delle norme sopra indicate introdotte dalla Ley Orgánica del Poder Judicial e continua a
discutere di responsabilità del giudice sulla base della negligenza o ignoranza inescusabile.
Meno complesso è ottenere tutela risarcitoria da parte dello Stato (per atto del giudice) facendo valere
gli artt. 292-297 LOPJ. Questi ultimi prevedono, infatti, tre titoli di responsabilità per lo Stato, e
precisamente l’errore giudiziale, il funzionamento anormale dell’Amministrazione della giustizia, salvo il
caso di forza maggiore (art. 292), e la carcerazione preventiva seguita da assoluzione perché il fatto non
sussiste (art. 294), e ciò indipendentemente dal funzionamento anormale della giustizia.
In questi casi è possibile per lo Stato (in base all’art. 296) agire in rivalsa contro i giudici che abbiano
cagionato dei danni, ma solo nei casi di colpa grave e dolo.
In ogni caso, la responsabilità dello Stato non esclude, ma concorre con quella civile del giudice che,
secondo un principio risalente al diritto comune, in Spagna è tradizionalmente estesa alla colpa. Prima di
poter esercitare l’azione diretta nei confronti del singolo magistrato sarà però necessario passare attraverso il
filtro di un apposito Tribunale chiamato a verificare l’esistenza dei presupposti soggettivi del dolo o della
colpa grave.
In Germania è l’art. 34 della Legge Fondamentale (Grundgesetz) a prevedere che quando il giudice
viola un proprio dovere d’ufficio nei confronti di un terzo la responsabilità ricade sullo Stato36.
34
Si riporta il testo dell’art. 117.1 della Costituzione spagnola: «La justicia emana del pueblo y se administra en
nombre del Rey por Jueces y Magistrados integrantes del poder judicial, independientes, inamovibles, responsables y
sometidos únicamente al imperio de la ley».
35
«Los daños causados por error judicial, así como los que sean consecuencia del funcionamiento anormal de
la Administración de Justicia, darán derecho a una indemnización a cargo del Estado, conforme a la Ley».
36
Si legge nel primo comma dell’art. 34 della Legge Fondamentale (Grundgesetz): «Verletzt jemand in
Ausübung eines ihm anvertrauten öffentlichen Amtes die ihm einem Dritten gegenüber obliegende Amtspflicht, so trifft
die Verantwortlichkeit grundsätzlich den Staat oder die Körperschaft, in deren Dienst er steht».
14
L’art. 34 contempla, poi, anche un diritto di rivalsa dello Stato nei confronti del giudice.
Un’altra importante disposizione è, inoltre, quella contenuta al secondo comma dell’art. 839 del codice
civile, in forza del quale nel caso di violazione di un dovere d’ufficio commessa in una sentenza il giudice è
personalmente responsabile per i danni che da ciò ne derivano al cittadino solo se la violazione del dovere si
sostanzia in un fatto di reato.
Non sembra, però, che vi siano mai stati casi di accertata responsabilità personale del giudice in base
al citato comma 2 dell’art. 839.
Sullo Stato grava, infine, il risarcimento dei danni derivati da ingiusta detenzione, da ingiusta
sottoposizione a indagini e dalle sentenze di condanna che non sono state confermate nei gradi successivi.
In Francia, ancora, è prevista (dall’articolo 11-1 del decreto n. 58-1270 del 22 dicembre 1958, come
modificato dalla legge organica sullo status della magistratura) un responsabilità civile dei giudici per i loro
comportamenti caratterizzati da colpa propria (connessi o meno con l’espletamento del servizio), concetto
che per la giurisprudenza francese è caratterizzato da una particolare gravità, spesso dall’intento di nuocere.
Non vi è, però, alcuna azione diretta nei confronti del magistrato. Se vi è una colpa propria del
magistrato connessa all’espletamento del servizio-giustizia e quindi correlata alle funzioni di giudice, allora
si citerà in giudizio lo Stato e non il magistrato. Poi vi potrà essere una responsabilità civile del magistrato in
forza di un’azione di recupero (che, però, sembra non sia mai stata esperita) delle somme pagate da parte
dello Stato, proposta davanti ad una sezione civile della Corte di Cassazione. La difficoltà nell’esercizio della
stessa è tra l’altro data dal fatto che essa è limitata alle sole ipotesi di dolo, frode e concussione e non
riguarda anche la fattispecie della colpa grave del giudice.
È solo in caso di una colpa propria non connessa all’espletamento del servizio che si può agire
direttamente contro il magistrato.
L’articolo 141-1 del codice dell’organizzazione giudiziaria prevede, poi, una responsabilità dello Stato
per il cattivo funzionamento del servizio della giustizia. Si stabilisce che «lo Stato è tenuto a riparare i danni
causati dal cattivo funzionamento del servizio della giustizia». «Questa responsabilità si concretizza nel caso
di colpa grave o di diniego di giustizia».
Lo Stato è, sotto questo profilo, responsabile di un cattivo funzionamento del servizio giustizia
caratterizzato da colpa grave o diniego di giustizia (ossia durata eccessiva di un processo), cui sia
direttamente conseguito un danno grave e diretto per la parte.
Colpa grave è «qualsiasi cattivo funzionamento del servizio caratterizzato da un fatto o una serie di
fatti che riflette l’incapacità dello stesso servizio pubblico della giustizia a svolgere il compito che gli è stato
affidato» (Assemblea plenaria della Corte di Cassazione 23 febbraio 2001).
Tramite l’articolo 141-1 del codice dell’organizzazione giudiziaria si può quindi (ma in casi gravi)
anche censurare una sentenza senza impugnarla.
5. L’emendamento Pini.
Diversa sembrava, invece, la strada che in un primo tempo sembrava intenzionato a percorrere il
legislatore.
Il 2 febbraio 2012 veniva presentato dal deputato Pini ed approvato dalla Camera dei deputati un
emendamento al disegno di legge C.4623 (“Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2011”) che prevedeva
l’introduzione nel disegno di legge in questione di un art. 30-bis che apporta modifiche all’art. 2 della legge
13 aprile 1988, n. 11737.
37
Sui rapporti tra questo emendamento e la sentenza della Corte di giustizia del novembre 2011 osserva R.
Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-Giudice dopo la Corte di giustizia?, in Corr. giur., 2/2012, 190, che «il
pericolo, avvertito dalla Corte di Lussemburgo, di vedere trasposti i principi espressi dal giudice nazionale sul tema
generale della portata della legge n. 117 del 1988 ai casi di responsabilità per violazione eurounitaria ha originato una
pronunzia rispetto alla quale un intervento legislativo sembra oggi non solo indilazionabile, ma necessario per trovare
una soluzione congrua rispetto alla condanna dei giudici di Lussemburgo, capace anche di marginalizzare i tentativi di
strumentalizzazione della sentenza di Lussemburgo che pure hanno caratterizzato a livello nazionale la discussione sulle
ipotesi normative da approntare prima e dopo la sentenza del novembre 2011 e che sono culminate nell’approvazione
presso la Camera dei Deputati di un emendamento alla legge comunitaria il giorno 2 febbraio 2012».
15
Questo il testo dell’emendamento in questione:
1. All’articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento
giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave
nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato e contro il soggetto
riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali
che derivino da privazione della libertà personale. Costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione
del diritto»;
b) il comma 2, è sostituito dal seguente:
«2. Salvo i casi previsti dai commi 3 e 3-bis nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo
a responsabilità l’attività di valutazione del fatto e delle prove»;
c) dopo il comma 3, è inserito il seguente:
«3-bis. Ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste una violazione manifesta del diritto ai sensi
del comma 1, deve essere valutato se il giudice abbia tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la
controversia sottoposta al suo sindacato con particolare riferimento al grado di chiarezza e di precisione della
norma violata, al carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto.
In caso di violazione del diritto dell’Unione europea, si deve tener conto se il giudice abbia ignorato la
posizione adottata eventualmente da un’istituzione dell’Unione europea, non abbia osservato l’obbligo di
rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, nonché se abbia ignorato manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione
europea».
La violazione manifesta si aggiunge alle ipotesi di dolo e colpa grave (pur potendo, invece, in realtà,
essere ricompresa in queste ultime) e scompare del tutto l’esenzione di responsabilità per attività
interpretativa di norme. Risulta poi notevolmente ridotta l’esclusione di responsabilità per valutazione del
fatto e delle prove, che non opera nei casi di diniego di giustizia di cui al comma 3 dell’art. 2 e di violazione
manifesta del diritto di cui al comma 3-bis. In quest’ultimo comma, poi, si cristallizzano normativamente le
figure sintomatiche di violazione grave e manifesta individuate dalla Corte di giustizia.
La modifica maggiormente dirompente è, però, la previsione di una possibile azione diretta nei
confronti dello stesso magistrato. Viene introdotta la facoltà di convenire in giudizio “il soggetto
riconosciuto colpevole” (il che lascia presupporre che vi debba prima essere stato un accertamento di
responsabilità penale o disciplinare del magistrato) insieme o alternativamente allo Stato.
L’introduzione di una possibile azione diretta lascia perplessi sotto diversi profili38.
La possibilità per chi si reputa danneggiato dall’attività di un magistrato di citare direttamente in
giudizio quest’ultimo mina, invero, la terzietà, l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati e, quindi, in
ultima istanza, il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge
La legge 117/88 non è posta a tutela dei magistrati, ma a protezione di valori fondamentali dei
cittadini.
Quando ci si trova davanti ad un caso giudiziario sussiste la necessità di contemperare due opposte
esigenze: da un lato, garantire i beni e i diritti dei cittadini che risultino vittime di (sempre possibili) errori
giudiziari; dall’altro, evitare condizionamenti al magistrato nell’esercizio delle sue funzioni a tutela dei
cittadini medesimi.
Dalla necessità di tenere conto di entrambe queste esigenze è venuta fuori la disciplina, costituente un
corretto punto di equilibrio, contenuta nella legge 18 aprile 1988 n. 117 sul «risarcimento dei danni cagionati
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati».
38
Vive preoccupazioni sono state espresse anche dal C.S.M. Ed invero “il magistrato, destinato a scegliere tra
tesi contrapposte, potrebbe essere condizionato e influenzato in tale scelta e portato a preferire la soluzione che lo possa
meglio preservare dal rischio dell’esercizio dell’azione diretta”, piuttosto che quella “maggiormente conforme a
giustizia”. Questo aspetto, avverte l’organo di autogoverno della magistratura, rende l’Italia unica, visto che “in nessun
paese europeo è prevista la possibilità indiscriminata di intraprendere un’azione diretta per responsabilità civile del
giudice”, cosa che espone “il sistema al rischio di implosione”. Concreto è, infatti, il rischio che le parti, “attraverso
l’esercizio immediato e diretto dell’azione nei confronti del magistrato, possano costringere il giudice non gradito
all’astensione ovvero possano, indirettamente, scegliersi il proprio giudice”. V. Il sole 24 ore del 14 marzo 2012.
16
Questa legge non lascia senza forme di salvaguardia coloro che sono stati danneggiati ingiustamente
dall’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Prevede, però, che l’azione civile sia esperita non contro il magistrato personalmente, ma contro lo
Stato, e quindi, contro l’amministrazione a cui appartiene il magistrato-organo dello Stato. È comunque
contemplata un’azione di rivalsa dell’amministrazione nei confronti del magistrato responsabile.
Con il sistema della rivalsa si evita, quindi, che il magistrato responsabile possa andare esente da
conseguenze sanzionatorie sotto il profilo civilistico, ma, non prevedendosi una legittimazione passiva del
singolo magistrato, si evita di esporre quest’ultimo all’attacco diretto della parte soccombente o
dell’imputato condannato.
Peraltro, vi sono almeno altre due categorie di cittadini che non pagano “di tasca propria” per motivi
anche in questi casi significativi. La prima categoria è quella del personale direttivo, docente, educativo e
non docente delle scuole materne, elementari, secondarie e artistiche, personale che risponde dei danni
provocati dagli alunni soltanto in caso di dolo o colpa grave nella vigilanza degli stessi. Pure in questa ipotesi
la causa va intentata contro lo Stato che, se sono configurabili dolo o colpa grave, si può rivalere sul singolo,
dirigente, insegnante o bidello che sia. La ratio è quella di evitare che la scuola (della quale si riconosce
l’essenziale funzione sociale) diventi una possibile fonte di ritorsioni.
Ma anche gli amministratori dei partiti politici, in virtù di un articolo della legge sul finanziamento,
«rispondono delle obbligazioni assunte in nome e per conto del partito solamente nei casi di dolo e colpa
grave». A pagare per il partito insolvente, in altri termini, è lo Stato (che adempie alle obbligazioni dei partiti
attraverso un fondo di garanzia costituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) e ciò in
considerazione del ruolo centrale dei partiti nella vita politica.
Ora, la disciplina contenuta nella legge 117/88 è stata ritenuta conforme ai principi della nostra
Costituzione.
Con la sentenza n. 18 del 1989 la Corte costituzionale ha infatti affermato che è infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’intera legge 13 aprile 1988 n. 117, nella parte in cui prevede e disciplina la
responsabilità dei giudici per colpa grave, sollevata con riferimento agli art. 101, 104 e 108 Cost., sul
presupposto che tale responsabilità comprometta l’imparzialità della magistratura con l’attribuzione alle parti
di uno strumento di pressione idoneo ad influenzare le decisioni, ed all’art. 10 Cost., in relazione alla
risoluzione 29 novembre 1985 dell’assemblea generale dell’Onu, secondo la quale i giudici debbono godere
di forme d’immunità dalle azioni civili di risarcimento dei danni patrimoniali derivanti da atti impropri od
omissioni commessi nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Per la Consulta la responsabilità prevista dalla legge 117/88 non compromette l’imparzialità
dell’ordine giudiziario e il richiamato principio internazionale non esclude che l’indipendenza della
magistratura possa essere garantita con apposite limitazioni e cautele.
La Corte costituzionale ha pure precisato che la legge in questione – nel porre alcune limitazioni alla
pretesa risarcitoria, a salvaguardia dell’indipendenza dei magistrati e dell’autonomia e della pienezza
dell’esercizio della funzione giudiziaria – assicura un ragionevole punto di equilibrio fra i contrastanti
interessi, di rilievo costituzionale, della responsabilità dei pubblici dipendenti (art. 28 Cost.) e
dell’indipendenza ed autonomia della magistratura (artt. 101, 104 e 108 Cost.).
Per la Corte, se è vero che l’art. 28 Cost. fissa la regola generale, valida per tutti i funzionari e i
dipendenti pubblici (e, quindi, anche per i giudici), della loro responsabilità per «gli atti compiuti in
violazione di diritti», secondo «le leggi penali, civili ed amministrative», è anche vero che la stessa
Costituzione porta il legislatore a prevedere una disciplina che tenga contestualmente in conto i principi
costituzionali dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice.
In altri termini, si trova affermato nella citata sentenza n. 18 del 1989 che poiché la disciplina
dell’attività del giudice deve essere tale da rendere quest’ultima immune da vincoli che possano comportare
la sua soggezione, formale o sostanziale, ad altri organi, ma al tempo stesso il magistrato è soggetto alla
legge e in primo luogo alla Costituzione, che sancisce contestualmente sia il principio d’indipendenza che
quello di responsabilità, non merita censura una disciplina della responsabilità civile del magistrato
caratterizzata da una serie di misure e di cautele dirette a salvaguardare l’indipendenza dei magistrati nonché
l’autonomia e la pienezza dell’esercizio della funzione giudiziaria.
Si è già detto, poi, che l’emendamento Pini eliminava l’esclusione di responsabilità in relazione
all’attività interpretativa. Tuttavia, se tale esclusione di responsabilità doveva scomparire in relazione al
diritto dell’UE per rispetto alla sentenza della Corte di giustizia del novembre 2011, allora doveva anche
17
scomparire del tutto l’esenzione di responsabilità (che con l’emendamento Pini rimaneva, fatta eccezione per
i casi di diniego di giustizia e di violazione manifesta del diritto) per la valutazione del fatto e delle prove.
Oppure si potevano lasciare entrambe le forme di esclusione dicendo che queste non valevano in
relazione alle violazioni del diritto UE.
Oppure ancora si poteva meglio differenziare il regime di responsabilità dello Stato (che poteva
ampliarsi rispetto al passato) lasciando ferme le limitazione di responsabilità dei magistrati.
Prima tra tutte l’esclusione di un’azione diretta di responsabilità nei confronti del magistrato, che
altrimenti potrebbe non essere più, nell’esprimere il proprio giudizio, autonomo ed indipendente e, quindi,
equidistante dalle parti. Il compito del giudice è, strutturalmente, quello di distribuire torti e ragioni,
scontentando una parte o, talvolta, entrambe o tutte le parti e ciò nell’interesse generale del corretto
funzionamento della giustizia, dell’affermazione di un sistema che pretende il rispetto delle regole e
l’affermazione della legalità in funzione della tutela della collettività. Un giudice esposto alle azioni dirette
delle parti da lui scontentate potrebbe perdere la sua (invece indispensabile) libertà di giudicare in assenza di
condizionamenti esterni. Il possibile uso strumentale delle azioni risarcitorie costituirebbe, invece, un forte
condizionamento.
Peraltro, il magistrato potrebbe farsi condizionare soprattutto da chi ha i mezzi politici ed economici
per intraprendere contenziosi contro i magistrati. Ecco che il maggior pregiudizio conseguente dall’eventuale
introduzione di un’azione diretta contro il magistrato graverebbe soprattutto su quei cittadini che non hanno
risorse economiche tali da permettere loro di “intimidire” i giudici.
E di certo la forza di essere libero e indipendente non può essere fornita dalla semplice stipulazione di
un contratto di assicurazione professionale, che si spera di non rendere mai operativo.
Il cittadino ha invece diritto ad un magistrato forte e indipendente, che non sia in balia di timori e di
condizionamenti indotti dalle parti economicamente più forti.
Ciò che va tutelato non è un privilegio dei magistrati, ma la terzietà, l’indipendenza e l’autonomia del
giudice e, quindi, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. In un sistema con l’azione risarcitoria diretta
verso il magistrato tale uguaglianza continuerebbe ad esistere se il magistrato trova in sé stesso (anche se non
nella legge) la forza di essere giusto39.
Peraltro, l’azione diretta non comporta alcun aumento delle forme di protezione del privato
danneggiato. Il diniego di azione diretta contro il magistrato non incide sulle posizioni creditorie del
danneggiato, per l’esaustiva tutela rappresentata dalla piena assunzione da parte dello Stato delle
corrispondenti obbligazioni; la fase “filtrante” prevista dalla legge n. 117/1988 non contrasta con il contenuto
immediatamente precettivo del novellato art. 111 Cost., consentendo comunque al cittadino, il quale si
assuma danneggiato da un atto commissivo o omissivo di un organo giurisdizionale, di avanzare la propria
pretesa risarcitoria nell’ambito di un processo “giusto”, ovverosia rispettoso del principio del contraddittorio
e celebrato davanti a un giudice la cui individuazione sul territorio è determinata (vedi art. 1) in termini tali
da fugare ogni timore di parzialità (così Cass. 9288/0540).
La legge 117/88 non crea benefici o privilegi in favore del magistrato, ma risponde ad una precisa
scelta di politica legislativa indirizzata a tutelare la funzione giurisdizionale, con i valori di indipendenza ed
autonomia fissati dagli artt. 101 e segg. Cost., e, quindi, trova giustificazione e base logica nelle oggettive
peculiarità della materia, senza autorizzare sospetti di lesione del principio di eguaglianza41.
6. Le nuove previsioni della legge 117/88.
La legge 18/2015 ha modificato parte delle norme della legge 13 aprile 1988 n. 117 (c.d. Legge
Vassalli) sulla responsabilità civile dello Stato per atto del giudice e sulla responsabilità civile dei magistrati
introducendo diverse novità, tra le più rilevanti delle quali vanno segnalate, oltre all’eliminazione del filtro,
39
Scriveva P. Calamandrei, Elogio dei giudici, prefazione alla III edizione, XIV: «era semplicemente un giudice
giusto: e per questo lo chiamavano “rosso” (perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è
anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione
contraria)».
40
Analogamente v. Cass., n. 13339/2000; Cass., n. 2768/2002; Cass., n. 6697/2003; Cass., n. 9288/2005;
11936/06; 22539/06; 22540/06; 25133/06; 25123/06; 4803/07.
41
V. Cass. 6697/03. Cfr. anche Cass. 2567/02.
18
l’ampliamento dei casi tipici della responsabilità per colpa grave, che è stata estesa anche ad ipotesi non
preesistenti quali il travisamento del fatto o delle prove (art. 2 n. 3)42.
Al non agevole fine di comprendere quale sia la reale portata di tali modifiche, occorrerà procedere ad
una loro attenta lettura che tenga altresì conto di quanto conservato dell’emendamento Pini.
Anzitutto, l’art. 2 comma 1 della legge n. 117/88 torna, in buona sostanza, alla sua originaria
formulazione. Spariscono, dunque, sia l’esplicitazione del senso da attribuire al termine «dolo» che,
soprattutto, la previsione dell’azione diretta nei confronti del magistrato «riconosciuto colpevole».
Proprio quest’ultimo aspetto assume rilevanza decisiva in quanto si è voluto, attraverso una tale via,
sanare i forti contrasti sorti sul punto. Al contempo una simile formulazione risulta essere maggiormente in
linea con le già ricordate istanze volte a salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura che,
lo si ricordi, trova un suo fondamento non solo sul piano costituzionale, ma anche su quello internazionale43.
Il comma 1, però, non limita più la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai soli danni “che derivino
da privazione della libertà personale” (come era nella precedente formulazione), ma ne consente la richiesta
indiscriminata.
Importanti modifiche subiscono, poi, i commi 3 e 3-bis dell’art. 2.
Con riferimento al comma 3 (che era rimasto invariato nella sua formulazione originaria anche dopo
l’approvazione dell’emendamento Pini), si fa adesso esplicitamente rientrare l’ipotesi di «violazione
manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea» tra quelle tipizzate di colpa grave, sostituendo la
vecchia lettera a) che contemplava il caso di «grave violazione di legge determinata da negligenza
inescusabile». Il più rigoroso requisito della negligenza inescusabile resta, invece, per l’accertamento della
responsabilità del singolo magistrato nel giudizio di rivalsa.
Strettamente collegata a ciò è la modifica del testo del comma 3-bis dell’art. 2. Con l’intento di
determinare cosa si intenda per «violazione manifesta della legge e del diritto comunitario», ci si è riportati
agli indici sintomatici individuati dalla Corte di giustizia44, dovendosi a tal proposito valutare in particolare il
grado di chiarezza e precisione delle norme violate, la scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto e
l’eventuale mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267, terzo paragrafo,
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché l’eventuale contrasto dell'atto o del
provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea45.
Chiaro risulta, dunque, il tentativo da parte del Governo di allinearsi in tutto agli orientamenti espressi
dalla giurisprudenza comunitaria. Tramite queste ultime inserzioni, infatti, pur mantenendo la limitazione
della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave, in sostanza si sono definiti i contorni di
quest’ultima in modo tale da includere certamente al suo interno le ipotesi di «violazione grave e manifesta».
Le altre figure tipizzate di colpa grave di cui al nuovo testo dell’art. 2 comma 3 cessano pertanto di costituire
un limite per la responsabilità dello Stato-giudice nell’ottica del diritto eurounitario per divenire, al contrario,
ipotesi ulteriori che si vanno ad aggiungere a quella di «violazione manifesta» rendendo, di conseguenza, le
ipotesi di responsabilità non più ristrette, ma addirittura più numerose di quelle previste dalla Corte di
giustizia.
E tuttavia, proprio a causa delle modifiche apportate, il testo della nuova legge potrebbe continuare a
prestare il fianco a critiche da parte dell’Unione europea.
42
Sulle nuove previsioni si segnalano, in particolare, i validi contributi di A. Penta, La legga di riforma della
responsabilità civile dei magistrati: rischi incertezze e falsi timori, su www.unicost.eu; De Renzis L., La nuova legge di
responsabilità civile e la giurisprudenza di legittimità: le nuove fattispecie di travisamento del fatto e della prova ed i
possibili tentativi di inquadramento nel sistema giuridico attuale; relazione al corso del 19.4.2015 della struttura
territoriale di Milano della Scuola Superiore della Magistratura del Distretto di Milano; Trimarchi P., Colpa grave e
limiti della responsabilità civile dei magistrati nella nuova legge; relazione al corso del 19.4.2015 della struttura
territoriale di Milano della Scuola Superiore della Magistratura del Distretto di Milano.
43
V. la “Magna Carta” dei giudici adottata dal Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) nell’ambito del
Consiglio d’Europa.
44
V. i punti 53-56 della sentenza Köbler, ripresi anche dalla successiva sentenza Traghetti del Mediterraneo e da
quella del 24 novembre 2011.
45
In proposito si ricorda che al punto 56 della stessa si afferma a chiare lettere che la violazione manifesta è
presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della
Corte in materia. Si tratta di una affermazione di principio già contenuta all’interno del punto 57 della sentenza
Brasserie du pêcheur e quindi pienamente consolidata.
19
L’aspetto problematico riguarda il citato art. 2 comma 2 nella nuova versione e il cui testo, lo si
ricordi, è il seguente: «fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di dolo, nell'esercizio delle funzioni giudiziarie
non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione
del fatto e delle prove”.
Come appare evidente ad una prima lettura, suscita perplessità la riproposizione, ancora una volta,
della clausola di esonero della responsabilità (peraltro sempre con riferimento sia all’attività di valutazione
del fatto e delle prove che all’attività di interpretazione delle norme).
Ma il mantenimento di una siffatta previsione normativa appare ancor meno giustificato ove si ponga
mente al fatto che, a ben guardare, la norma finisce per affermare che, ai fini della configurabilità di una
responsabilità dello Stato per l’esercizio del potere giurisdizionale, si dovrà tener conto anche dell’attività
valutativa ed interpretativa, oltre che nel caso di dolo (ossia di «violazione intenzionale» delle norme, per la
quale lo Stato è chiamato a rispondere sempre e comunque), anche nei casi di colpa grave, di cui appunto i
commi 3 e 3-bis non sono altro che una esplicitazione.
Se dunque questo sembra essere il significato da attribuire alla disposizione in esame, non si
comprende quale spazio operativo residui per la clausola di limitazione. Escludendo infatti l’area del dolo e
della colpa grave, conseguenza logica dovrebbe essere quella di affermare che allora l’attività di valutazione
dei fatti e delle prove e quella di interpretazione delle norme non potrebbe essere tenuta in considerazione
solo nella residuale ipotesi della colpa lieve. Ma è lo stesso comma 1 ad escludere la rilevanza a priori della
colpa lieve, laddove afferma che la responsabilità dello Stato sorge solo qualora il danno derivi da dolo o
colpa grave del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.
Altra ipotetica soluzione potrebbe essere quella di ritenere che i casi di responsabilità per colpa grave
in cui non si possa tener conto dell’attività valutativo-interpretativa siano quelli non contemplati dai commi 3
e 3-bis. Ma anche una siffatta ricostruzione appare del tutto inaccettabile sol che si rifletta sul fatto che il
legislatore della legge n. 117/1988 (e successive modifiche) ha inteso restringere l’area della responsabilità
proprio ai soli casi di dolo e di colpa grave tipizzata di cui ai commi in parola. Ammettere che possano
assumere rilevanza anche altre ipotesi diverse da quelle espressamente indicate finirebbe non solo per forzare
il dato normativo, ma per risultare addirittura pericoloso in quanto minerebbe alle fondamenta l’intento di
circoscrivere le ipotesi di responsabilità ai fini della salvaguardia dell’indipendenza dei magistrati.
Alla luce di tali considerazioni circa la sostanziale inutilità dell’attuale clausola di salvaguardia e circa
il fatto che allo stato le ipotesi di responsabilità dello Stato per atto del giudice in violazione del diritto
dell’Unione sono addirittura più numerose di quelle previste dalla Corte di giustizia nonostante la detta
clausola di salvaguardia, non si può che concludere nel senso di ritenere che l’attuale disciplina risulta in
linea con quanto prescritto dalla Corte di giustizia.
Per completare l’analisi sulle nuove norme, si sottolineano, infine, le modifiche inserite in tema di
azione di rivalsa dello Stato nei confronti dei singoli magistrati.
Oltre all’eliminazione del procedimento di valutazione dell’ammissibilità della domanda, si nota
anzitutto l’allungamento, da uno a due anni, del termine entro cui lo Stato è chiamato ad esercitare tale
azione e che la stessa da facoltativa diviene obbligatoria al ricorrere dei presupposti di legge. Anche qui il
problema principale deriva dalla confusione che continua a persistere (e che, in tal modo, risulta essere
amplificata) tra responsabilità dello Stato-giudice per violazione del diritto eurounitario e responsabilità del
singolo magistrato. Con la previsione dell’obbligatorietà dell’azione di rivalsa si elimina anche quel margine
di valutazione discrezionale che, nel vigore della vecchia normativa, rendeva ancora possibile una
distinzione tra i due aspetti, facendoli invece coincidere del tutto. Ecco quindi che, con l’intento di allargare
le maglie del sistema a favore di una maggiore responsabilizzazione dei magistrati, si rischia di introdurre
una forma di responsabilità che, sebbene non diretta, diviene tuttavia necessaria.
È invece del tutto evidente che la tutela delle esigenze dei cittadini e le sentenze di condanna della
Corte di giustizia richiedevano un ampliamento dell’area di responsabilità statale, ma non anche dei singoli
magistrati, il cui operato autonomo e sereno la nostra Costituzione ed il Consiglio d’Europa vogliono
ampiamente salvaguardare. Andavano previste discipline differenziate, con efficaci clausole di salvaguardia
valevoli soprattutto in relazione alla responsabilità da fare valere in sede di rivalsa, da prevedere come non
obbligatoria, dello Stato verso i magistrati. Se lo Stato deve rispondere anche per errore manifesto del
giudice nell’interpretazione di una norma, l’indipendenza della magistratura e l’agire senza condizionamenti
del singolo magistrato richiedono un esonero di quest’ultimo da responsabilità (anche verso lo Stato che
agisce in rivalsa).
20
Vi è, infatti, una profonda diversità tra la responsabilità dello Stato, fondata sulla semplice ed
oggettiva “violazione manifesta”, e quella personale del singolo magistrato che, al contrario, necessita di una
valutazione dell’aspetto soggettivo dell’inescusabilità della colpa46.
Vengono, in conclusione, in rilievo le modifiche apportate alla misura della rivalsa. L’art. 8 della
legge risulta infatti modificato nel senso di aumentare tale misura da un terzo, come è attualmente, alla metà
di una annualità dello stipendio, e le trattenute sullo stipendio medesimo possono raggiungere la misura di un
terzo dello stipendio netto. Anche siffatta ultima previsione desta notevoli perplessità (anche di legittimità
costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.), soprattutto in relazione al differenziato ed ingiustificato
trattamento (mancando un criterio di ragionevolezza giustificativo del diverso regime) riservato ai magistrati
con un prelievo che invece di essere nella misura ordinaria di 1/5 è previsto nella misura di 1/3 dello
stipendio.
7. Le parole di Rosario Livatino.
Che la mancata previsione di un’efficace esenzione di responsabilità in sede di rivalsa relativamente
all’attività interpretativa di norme e valutativa di fatti e di prove e l’aggravamento del regime della rivalsa
possano risultare fortemente pericolosi per l’autonomia ed indipendenza della magistratura e, quindi, per
l’integrità del principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e per la garanzia che il diritto e
la sua applicazione concreta continui ad essere, come diceva Celso, non solo ars boni, ma anche ars aequi si
ricava anche a chiare lettere da uno dei paragrafi di un testo scritto per una conferenza tenuta da Rosario
Livatino presso il Rotary Club di Canicattì il 7 aprile 1984 (e quindi addirittura prima che venisse emanata la
legge 117/88) dal titolo “Il ruolo del giudice nella società che cambia”47.
Scriveva Rosario Livatino:
«Quanto si è fin qui detto conduce a porre come argomento di chiusura l’interrogativo se il mutato
sentire sociale, se le trasformazioni intervenute nel costume del nostro paese siano tali da imporre una
nuova struttura della responsabilità del magistrato, delle conseguenze cioè alle quali quest’ultimo è
suscettibile di andare incontro ove bene non eserciti la sua funzione.
Il ventaglio dei problemi è vastissimo, ma pare cosa più opportuna limitare il suggerimento, quale
argomento di discussione per chi ascolta, alla proposta di introdurre la responsabilità civile per danni
arrecati a terzi nell’esercizio di attività giudiziaria per colpa grave.
Sul punto si può osservare come contributo a tale discussione, che l’introduzione del principio della
responsabilità civile pare assolutamente inaccettabile per molte ragioni, tutte difficilmente superabili.
Ogni atto giurisdizionale, anzi ogni manifestazione di potestà giudiziaria, incide necessariamente su
diritti soggettivi; è per sua stessa natura idonea a produrre danno. E ciò vale non solo per le manifestazioni
tipiche di potestà decisionale, ma anche per tutti quei provvedimenti che hanno funzione preparatoria ed
ordinatoria rispetto alla decisione finale (concedere o non concedere un sequestro; ammettere o non
ammettere una prova; concedere o no la provvisoria esecuzione).
Non esiste, si può dire, atto del giudice e più ancora del pubblico ministero che possa dirsi indolore.
Ogni giudice, quindi, nell’atto stesso in cui si accingesse alla stipula di un qualsiasi provvedimento, non
potrebbe non domandarsi se per caso dal suo contenuto non gliene possa derivare una causa per danni.
E sarebbe quindi inevitabile ch’egli si studiasse, più che di fare un provvedimento giusto, di fare un
provvedimento innocuo.
Come possa dirsi ancora indipendente un giudice che lavora soprattutto per uscire indenne dalla
propria attività, non è facile intendere. Né si dica che le parti raramente ricorrerebbero a questa possibilità.
La facilità con cui, specialmente in certe regioni, si ricorre all’esposto contro il giudice, anche per i più
ingiustificati motivi, autorizza la previsione che una riforma del genere aprirebbe subito un ampio
contenzioso.
46
V. Trimarchi, Responsabilità personale dei magistrati. Un emendamento ostacolo alla giustizia, in Corriere
della sera, 22 marzo 2012: «se, per esempio, la sentenza è in indiscutibile contrasto con la disposizione di un comma,
che però era nascosto fra centinaia di altri in una legge finanziaria omnibus di diversi anni anteriore, che non faccia
parte della normale cultura giuridica e della quale nessuna delle parti interessate abbia parlato nel corso del processo; vi
sarà oggettivamente una manifesta violazione del diritto, ma non si può parlare di una colpa inescusabile».
47
Di recente ripubblicato in Livatino, Non di pochi, ma di tanti, Caltanissetta, 2012, 19.
21
Se qualcuno volesse obiettare che, in fondo, la responsabilità è prevista solo per le ipotesi di colpa
grave, sarebbe facile rispondere che questa limitazione introduce un elemento di aleatorietà in più, davvero
insufficiente ad offrire un criterio d’orientamento obiettivo. E’ difficile trovare dei casi di colpa giudiziaria
che non possano considerarsi gravi: la motivazione stereotipa; l’omessa convalida della perquisizione in
flagranza; l’omesso esame di prove risultanti dagli atti; la mancata motivazione su specifici capi delle
domande ecc., sono tutte mancanze gravi. La colpa del giudice, se c’è, è sempre grave per definizione, data
dall’importanza degli interessi sui quali egli dispone.
L’altro effetto perverso, che potrebbe essere indotto dalla riforma, sarebbe quello di indurre il giudice
al più rigido conformismo interpretativo: per cautelarsi contro il pericolo di seccature, è semplice prevedere
che il giudice si guarderebbe bene dal tentare vie interpretative inesplorate e percorrerebbe sempre la
strada maestra fornita dalla giurisprudenza maggioritaria della Cassazione; l’autorità del precedente, che è
vincolo professionale per il magistrato anglosassone, diventerebbe per quello italiano fatto d’interesse
personale e l’art. 101 della Costituzione potrebbe essere riscritto nel senso che i giudici sono soggetti
soltanto alla Corte di Cassazione.
Quando poi la controversia toccasse affari od interessi di dimensioni eccezionali, ogni scelta
diverrebbe veramente paralizzante: si pensi alla decisione di un tribunale fallimentare se far fallire o no un
grosso complesso industriale od una catena di società legata magari a centri di potere politico.
Il giudice veramente verrebbe consegnato nelle mani delle forze che si scontrano fra loro e sarebbe
difficile ch’egli non fosse tentato, se non è riuscito a fuggire prima di dover scegliere, di secondare il più
forte.
Ma gli effetti più devastanti di una proposta del genere si avrebbero in materia penale, specialmente
nel momento dell’inizio dell’azione penale.
Se l’organo dell’accusa sa che le sue iniziative investigative possono costargli, quando non ne
seguisse una condanna, una causa per danni, ci si può chiedere se sarà mai più possibile trovare un pretore
od un pubblico ministero che di sua iniziativa intraprenda la persecuzione di quei reati che per tradizione o
per costume o per altro nel passato erano raramente perseguiti. Dai reati societari all’urbanistica,
all’inquinamento ed in genere a tutti i reati che offendono interessi diffusi.
Ci si può chiedere ancora se si troverà un giudice che, in presenza di un reato che consente ma non
impone la cattura, avrà l’ardire di imprigionare, ad esempio, un bancarottiere per qualche miliardo, quando
rifletta alle conseguenze che gliene potrebbero derivare se, per caso, costui venisse assolto.
Questo è l’effetto perverso fondamentale che può annidarsi nella proposta di responsabilizzare
civilmente il giudice: essa punisce l’azione e premia l’inazione, l’inerzia, l’indifferenza professionale. Chi ne
trarrebbe beneficio sono proprio quelle categorie sociali che, avendo fino a pochi anni or sono goduto
dell’omertà di un sistema di ricerca e di denuncia del reato che assicurava loro posizioni di netto privilegio,
recupererebbero attraverso questa indiretta ma ancor più pesante forma di intimidazione del giudice la
sostanziale garanzia della propria impunità.
Tutto ciò che si è riusciti a conquistare sul terreno di una più effettiva valenza del principio
dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, verrebbe vanificato di colpo e le condizioni della
nostra giustizia penale sarebbero retrocesse in un istante all’epoca dello Statuto Albertino».
8. Le modifiche da apportare all’ordinamento italiano. Alcune necessarie soluzioni normative.
Inoltre, vi è una violazione manifesta da parte del giudice anche quando questa viene commessa nella
valutazione dei fatti e delle prove (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo), come ad esempio, quando cade
sul valore e sulla pertinenza degli elementi di prova prodotti dalle parti nel corso del giudizio, con la
precisazione che può ricorrere una violazione non fattuale ma normativa (e comunque rilevante se manifesta)
anche nell’ambito dell’applicazione di specifiche norme relative all’onere della prova, al valore di tali prove
o all’ammissibilità dei mezzi di prova, ovvero nell’ambito dell’applicazione di norme che richiedono una
qualificazione giuridica dei fatti.
Certamente, comunque, dopo la sentenza della Corte di giustizia del novembre 2011 è evidente che
l’Italia deve porre fine all’accertata violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento eurounitario.
Non può più dirsi che non si pone un problema di compatibilità e che per conseguire una tutela
risarcitoria per i danni scaturenti dalle violazioni del diritto comunitario poste in essere da organi
giurisdizionali anche di ultima istanza non trovi applicazione la legge 117/88 alla luce del fatto che la
22
responsabilità civile del magistrato contemplata dalla legge speciale è fattispecie diversa da quella della
responsabilità dello Stato in quanto tale, occasionalmente determinata da un provvedimento giurisdizionale48.
Vi sono diverse ipotesi di responsabilità dello Stato-giudice per violazione del diritto eurounitario che
vanno sanzionate nel nostro sistema nazionale per poter ritenere quest’ultimo conforme all’impostazione
eurounitaria.
Si pensi alle seguenti: 1) “responsabilità da dissenso” nei casi in cui il giudice di legittimità abbia
deciso volutamente ed anche motivatamente discostarsi dalle indicazioni offerte dal giudice di
Lussemburgo49; 2) mancato rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza, per il quale
l’attivazione del meccanismo del rinvio è obbligatorio, quando ciò ha dato luogo ad una soluzione
giurisprudenziale non in linea con la tutela offerta in sede europea; 3) interpretazione del diritto nazionale in
modo non conforme al diritto dell’Unione; 4) applicazione da parte del giudice di ultima istanza della
normativa nazionale ritenendola conforme al diritto comunitario nei casi in cui, invece, vi doveva essere
disapplicazione della norma interna in considerazione del suo assoluto contrasto con la disposizione europea
e della preminenza del diritto UE rispetto al diritto nazionale; 5) errata interpretazione di una norma di diritto
dell’Unione applicabile alla fattispecie50.
Ora, l’obiettivo della cessazione della violazione da parte dello Stato italiano dei vincoli derivanti
dall’ordinamento eurounitario poteva essere conseguito o tramite la via normativa o tramite la via
interpretativa51.
Essendosi il legislatore attivato, si è già per ora perfezionata la va normativa.
Si è previsto che “costituisce colpa grave” anche “la violazione manifesta della legge nonché del
diritto dell'Unione europea” così come individuata dalla Corte di giustizia (secondo parametri, quindi,
nettamente meno rigorosi di quelli utilizzati dalla Corte di Cassazione nell’interpretazione del previgente art.
2 della legge 117/88).
D’altronde, nulla vieta di considerare come elementi indicativi di condotte colpose (o gravemente
colpose) quelli che per la Corte di giustizia sono gli indici sintomatici della violazione grave e manifesta. Ciò
che il giudice di Lussemburgo non vuole è che nei sistemi nazionali si aggiungano elementi costitutivi
dell’illecito eurounitario mancanti nella costruzione ormai graniticamente effettuata all’interno della
giurisprudenza europea52. Quest’ultima verrebbe rispettata se la colpa non viene richiesta come elemento di
responsabilità aggiuntivo, ma come requisito che si presume esistere una volta accertata la ricorrenza di uno
degli indici sintomatici della violazione grave e manifesta richiesti dalla Corte di giustizia. Un’impostazione
di questo tipo (quale è quella introdotta nella riformata legge 117/1988) non è divergente da quella
eurounitaria.
48
Cfr. Scoditti, «Francovich» presa sul serio: la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario
derivante da provvedimento giurisdizionale, in Foro it., 2004, 3; cfr. anche Scoditti, La responsabilità dello Stato per
violazione del diritto comunitario, in Danno e resp., 2005, 5, ove l’Autore precisa che «la fattispecie di illecito non si
caratterizza infatti in via ontologica quale illecito giudiziario, ma quale illecito dello Stato in senso proprio, rispetto al
quale è un accidente che si tratti di organo legislativo, esecutivo o giudiziario. Allo stato non pare quindi ravvisabile una
disciplina diversa dagli ordinari rimedi processuali».
49
In proposito si ricordi che per Corte giust. 5 ottobre 2010, n. C-173/09, Gerogi Ivan Elchinov, i giudici di
merito non sono vincolati dalle valutazioni formulate dalle giurisdizioni superiori se le considerano non conformi al
diritto Ue. Infatti, il diritto dell’Unione osta a che un organo giurisdizionale nazionale, al quale spetti decidere a seguito
di un rinvio ad esso fatto da un organo giurisdizionale di grado superiore adito in sede d’impugnazione, sia vincolato,
conformemente al diritto nazionale di procedura, da valutazioni formulate in diritto dall’istanza superiore qualora esso
ritenga, alla luce dell’interpretazione da esso richiesta alla Corte, che dette valutazioni non siano conformi al diritto
dell’Unione.
50
La chiara individuazione di queste ipotesi si deve a R. Conti, Dove va la responsabilità dello Stato-Giudice
dopo la Corte di giustizia?, in Corr. giur., 2/2012, 192.
51
Su quest’ultima soluzione v. l’interessante lavoro di V. Piccone, La responsabilità civile del giudice
nell’ordinamento integrato, in Falletti-Piccone, Bari, 2012, 69 e ss.
52
Per la citata sentenza Brasserie «gli elementi obiettivi e subiettivi riconducibili alla nozione di colpa
nell’ambito di un ordinamento nazionale sono pertinenti per valutare se una violazione del diritto comunitario sia grave
e manifesta»; deve, nondimeno, escludersi che l’obbligo risarcitorio sia subordinato «ad una condizione, ricavata dalla
nozione [...] di dolo o colpa, che va oltre la violazione grave e manifesta del diritto comunitario» (punti 78 e 79).
23
Con riferimento, invece, alla clausola di salvaguardia, l’assoluto contrasto con il diritto dell’Unione
sorto all’indomani delle citate tre sentenze della Corte di giustizia poteva essere risolto se il vecchio comma
2 dell’art. 2 della legge 117/1988 (secondo il quale «nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar
luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle
prove») fosse stato fatto precedere dall’inciso «fatta eccezione per i casi di violazione grave e manifesta del
diritto dell’Unione europea»53.
Oppure, ancora meglio (per evitare facile questioni di legittimità costituzionale per disparità di
trattamento, e quindi violazione dell’art. 3 Cost., tra le violazioni del diritto UE e quelle del diritto nazionale)
l’esonero di responsabilità di cui alla nota clausola di salvaguardia per l’attività interpretativa e di
valutazione del fatto e delle prove doveva valere (ma integralmente e senza eccezioni) solo per la rivalsa ad
opera dello Stato e poteva essere (come è stato) temperato per l’azione esperita dal cittadino nei confronti
dello Stato.
Invece, l’avere lasciato una clausola di salvaguardia di fatto inutile (perché concretamente relativa ad
ipotesi di colpa lieve, già escluse per definizione tra le possibili fonti di responsabilità) sia per l’azione di
responsabilità del privato verso lo Stato che dello Stato verso il magistrato è stata una scelta non imposta
dalla giurisprudenza europea e lesiva dell’indipendenza della magistratura.
Ciò che va chiarito, infatti, è che non è stata imposta dalla Corte di giustizia l’introduzione di una
responsabilità diretta del magistrato54 né la necessaria previsione di più gravosi presupposti della
responsabilità civile di quest’ultimo55.
53
Non sarebbe stato invero sufficiente fare richiamo a quell’impostazione dottrinale per cui l’applicazione della
clausola di salvaguardia costituisce garanzia dell’indipendenza del magistr
isciplinato
da norme (v. F.P. Luiso,
, in AA. VV., Il progetto di riforma del titolo IV della parte II della
costituzione nel d.d.l. costituzionale 7 aprile 2011 n. 4275, in Foro it., 2011, V, 241). La Corte di giustizia non ammette
l’esclusione della tutela risarcitoria del privato nei confronti dello Stato per violazione del diritto dell’UE neppure solo
con riferimento all’interpretazione di norme sostanziali nell’ambito della giurisdizione dichiarativa.
54
Lo stesso Tribunale di Genova che aveva sollevato il rinvio pregiudiziale sul caso Traghetti del Mediterraneo
ha ritenuto ammissibile l’azione risarcitoria verso lo Stato, con ordinanza del 18 dicembre 2006, rilevando che «che con
la pronuncia della Corte di Giustizia era stata fatta chiarezza sull’incompatibilità della normativa interna che escluda in
maniera generale la responsabilità dello Stato membro per i danni derivanti da una violazione di diritto comunitario
imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione risulti da un’attività interpretativa
di norme giuridiche o ad una valutazione di fatti o prove operate da tale organo, ma non a una normativa che escluda,
per questo stesso motivo, la responsabilità diretta del/dei magistrato/i».
55
Per Barberini, La responsabilità dello Stato (e non del magistrato) per violazione del diritto dell’Unione:
commento alla sentenza Corte di Giustizia UE (Terza Sezione), 24 novembre 2011, C-379/10, in Cass. pen., 2012, 2,
681, «nulla, né in questa [24 novembre 2011], né nelle precedenti, identiche sentenze della Corte UE, giustifica una
riforma della legge 117 in punto di responsabilità del magistrato. Al contrario, una estensione di tale responsabilità
minerebbe i valori fondamentali di autonomia e indipendenza della magistratura, riconosciuti espressamente dalla Carta
dei diritti dell’Unione (art. 47)». Secondo Afferni, La disciplina italiana della responsabilità civile dello Stato per
violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultima istanza, in La nuova giur. civ.
comm., 2007, II, 267 ss. «la giurisprudenza comunitaria non impone l’affermazione della responsabilità del singolo
giudice che ha sbagliato. Essa impone solamente la responsabilità dello Stato per la violazione manifesta del diritto
comunitario da parte del giudice. Essa non dice che lo Stato condannato a risarcire un danno per una violazione
commessa da un organo giurisdizionale debba rivalersi su questo organo pretendendo di essere a sua volta risarcito del
danno sofferto». Analogamente, ha scritto Trimarchi, Risarcimento del danno. Responsabilità dello Stato, non del
giudice, in Corriere della Sera, 3 dicembre 2011, che la recente sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011
(Commissione contro Italia) «e il diritto europeo richiedono una responsabilità dello Stato, e non già del giudice. Nella
sentenza non vi è neppure una riga interpretabile in quel senso, né avrebbe potuto esservi. Responsabilità dello Stato e
responsabilità civile del giudice sono questioni distinte: quella non presuppone necessariamente questa; basti pensare,
per esempio, che l’equa indennità per ingiusta detenzione dell’innocente è dovuta dallo Stato anche quando tutto facesse
apparire colpevole l’imputato e l’innocenza sia risultata solo successivamente, così che nessun rimprovero possa essere
mosso al giudice. Responsabilità dello Stato senza responsabilità del giudice si ha in quegli ordinamenti nei quali, nel
caso di errore giudiziario, il danneggiato non può agire contro il giudice e risponde lo Stato, in certe ipotesi, ma una
24
Già nella sentenza Köbler si era precisato, con riferimento all’obiezione formulata da alcuni Stati per
cui l’affermazione del principio della responsabilità statale per violazione del diritto UE commessa da organi
giudiziari avrebbe potuto minare il principio dell’indipendenza del giudice, che «il principio di responsabilità
di cui trattasi riguarda non la responsabilità personale del giudice, ma quella dello Stato» (punto 42).
D’altronde, l’intento della Corte «non era certo di minare l’indipendenza e l’autonomia dei giudici
[…] ma [quello] di difendere l’effettività dei diritti di matrice comunitaria ed il principio dell’effetto utile
delle norme del sistema comunitario prevedendo la possibilità di ottenere una tutela per equivalente»56.
Alla Corte di Lussemburgo interessa solo affermare la prevalenza del diritto dell’Unione anche tramite
la previsione di una tutela risarcitoria nei confronti dei privati lesi da un comportamento dello Stato che, con
leggi o con sentenze o con atti amministrativi, attraverso suoi organi come il Parlamento, l’esecutivo o
l’apparato giudiziario – vìoli il diritto europeo.
La Corte di giustizia non afferma in alcun modo che debba rispondere personalmente il magistrato
nazionale che non abbia applicato o abbia fatto cattivo impiego del diritto dell’Unione.
Allo stesso modo mai afferma la Corte di Lussemburgo che il parlamentare che abbia proposto o
votato la legge poi considerata in contrasto con il diritto dell’Unione o l’amministratore che abbia emesso un
atto amministrativo in violazione di una normativa europea debba essere chiamato a risarcire i danni causati
dai suoi atti57.
Il principio affermato dal giudice eurounitario è che la nostra legge 117/88 contrasta con il diritto
dell’Unione nella misura in cui, da un lato, impedisce una responsabilità dello Stato per violazione del diritto
europeo derivante «da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate
dall’organo giurisdizionale di ultimo grado» e, dall’altro, limita «tale responsabilità ai soli casi di dolo o
colpa grave».
La tutela risarcitoria è un mezzo di efficacia (indiretta) del diritto dell’Unione. Ma si tratta della tutela
risarcitoria assicurata dagli Stati nazionali e non della responsabilità dei vari organi statali che hanno
concorso a produrre la violazione del diritto dell’Unione58.
Nella nostra legislazione andrebbe meglio definito il confine tra la responsabilità dello Stato e quella
personale dei magistrati: non ha senso (come invece fa l’attuale legge 117/88) fare coincidere, con
riferimento alla clausola di salvaguardia sull’interpretazione delle norme e sulla valutazione del fatto e delle
prove, le due sfere e prevedere poi una possibile rivalsa da parte dello Stato unico legittimato passivo nei
confronti del danneggiato.
Sarebbe meglio creare due differenti discipline (anche inserite nello stesso testo normativo, come
attualmente accade): una sulla “responsabilità dello Stato per attività giudiziaria” ed una sulla “responsabilità
dei magistrati verso lo Stato”.
In quest’ultima si dovrebbero inserire gli stessi principi (di tutela dell’autonomia ed indipendenza
della magistratura e, quindi, anche dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) che si rinvengono nella
citata raccomandazione n. 12/2010 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Ciò sarebbe anche il
modo per consentire all’Italia di adeguarsi alla detta Raccomandazione.
rivalsa contro il giudice non gli è concessa, o gli è concessa solo limitatamente; questa è anche la soluzione
raccomandata dalla “Carta europea sullo statuto dei giudici” del luglio 1998 elaborata nell’ambito di lavori promossi dal
Consiglio d’Europa. Per il risarcimento del danno, che è il solo risultato che il diritto europeo vuole assicurato, la
responsabilità civile del giudice non è necessaria, né sufficiente, mentre è per altri aspetti dannosa…».
56
Trocker, Il diritto processuale europeo e le “tecniche” della sua formazione: l’opera della Corte di giustizia,
in Europa e diritto privato, 2010, 412.
57
Si ricorda che nella sentenza (già citata nel corso del quarto capitolo con riferimento allo Statoamministrazione) emessa il 17 aprile 2007 nella causa C-470/03 tra A.G.M.-COS.MET Srl e Suomen valtio e Tarmo
Lehtinen, il giudice di Lussemburgo ha avuto modo di precisare che “in caso di violazione del diritto comunitario,
questo non osta all’accertamento della responsabilità in capo a un funzionario, in aggiunta a quella dello Stato membro,
ma neanche l’impone”.
58
Piccone, Il nodo gordiano tra diritto nazionale e diritto europeo: il giudice alla ricerca della soluzione, Bari,
2012, ha parlato di una responsabilità «paraoggettiva» dello Stato. Per Picardi, La responsabilità del giudice: la storia
continua, in Riv. dir. proc., 2007, 305, «dalla giurisprudenza europea emerge una configurazione della responsabilità
dello Stato giudice non più strettamente collegata alla responsabilità del magistrato […] siamo, pertanto, in presenza di
una forma di responsabilità obiettiva, piuttosto che di una responsabilità dello Stato per l’operato dei suoi dipendenti» .
25
È giusto che la disciplina della responsabilità statale sia più ampia di quella precedente e che sia stato
ridotto l’ambito operativo della clausola di salvaguardia, chiarendo che è compresa anche la violazione
manifesta del diritto59.
E comunque, la disciplina della “responsabilità dei magistrati verso lo Stato” potrebbe pure continuare
ad essere collocata, nello stesso testo legislativo relativo alla responsabilità statale, sotto forma di azione di
rivalsa dello Stato verso i magistrati. Ciò che importa è che vengano differenziati i presupposti della
responsabilità statale da quello della responsabilità magistratuale.
Continuare a tenere unificati i presupposti delle due forme di responsabilità rischia di causare un
vulnus al principio costituzionale dell’indipendenza del giudice.
Si ricordi che, con riferimento alla precedente disciplina normativa, la Corte costituzionale ha avuto
modo di affermare, nella sentenza n. 18/1989, che “la garanzia costituzionale della sua indipendenza è
diretta infatti a tutelare, in primis, l'autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l'imparziale
interpretazione delle norme di diritto. Tale attività non può dar luogo a responsabilità del giudice (art. 2, n.
2 l. n. 117 cit.) ed il legislatore ha ampliato la sfera d'irresponsabilità, fino al punto in cui l'esercizio della
giurisdizione, in difformità da doveri fondamentali, non si traduca in violazione inescusabile della legge o in
ignoranza inescusabile dei fatti di causa, la cui esistenza non è controversa.
Né può sostenersi - come fa il giudice a quo - che la legge impugnata spingerebbe il giudice a scelte
interpretative accomodanti e a decisioni meno rischiose in relazione agl'interessi in causa, così influendo
negativamente sulla sua imparzialità. Come si è ora rilevato, l'art. 2, comma secondo, della l. n. 117 esclude
espressamente che possa dar luogo a responsabilità "l'attività d'interpretazione di norme di diritto" e quella
di valutazione del fatto e delle prove.
Tale statuizione rende parimenti priva di fondamento la censura, secondo la quale la proposizione di
un'azione di risarcimento di danni verso lo Stato, riferita ad una determinata causa, potrebbe turbare
l'imparzialità del giudice riguardo a cause analoghe o nelle quali sia parte colui che abbia promosso il
giudizio di responsabilità. Ove ne ricorrano gli estremi, soccorre in tale caso il rimedio dell'astensione.
Comunque, va sottolineato che la previsione del giudizio di ammissibilità della domanda (art. 5 l. cit.)
garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni "manifestamente infondate", che possano
turbarne la serenità, impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l'astensione e la
ricusazione”.
Peraltro, ciò, come detto, non è affatto imposto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che
espressamente nel caso Köbler ha chiarito, come già sopra si è visto, che l’affermazione della responsabilità
statale per atto del giudice non inficia l’indipendenza della magistratura perché la responsabilità in questione
è dello Stato e non del magistrato.
Come è stata ora introdotta una diversa disciplina dei presupposti della responsabilità statale per atto
del giudice (per la quale basta ora una colpa grave che non coincide più con il più rigoroso e prima richiesto
requisito della negligenza inescusabile) rispetto alla responsabilità del magistrato (che continua a sussistere
solo se ricorre la negligenza inescusabile, fortunatamente di difficile individuazione), anche per la clausola di
salvaguardia andava introdotta una disciplina differenziata.
In altri termini, le modifiche da apportare al testo normativo riguardano gli artt. 7 e 8 in tema di azione
di rivalsa. Si deve inserire in tali articoli un’autonoma clausola di salvaguardia (sull’esenzione di
responsabilità del magistrato per attività interpretativa di norme e per valutazione di fatti e di prove) che
riguardi il solo rapporto tra Stato e magistrato, peraltro prevedendo (come detto) anche la facoltatività
dell’esercizio della rivalsa, il limite (valevole in generale nel nostro ordinamento) del prelievo massimo di
1/5 dello stipendio mensile ed il termine di 1 anno per l’eventuale esercizio dell’azione da parte dello Stato
(per garantire al magistrato di conoscere in tempi brevi le determinazioni statuali in merito all’esercizio della
rivalsa).
59
Anche per Picardi, La responsabilità del giudice: la storia continua, in Riv. dir. proc., 2007, 305, «alla
responsabilità dello Stato, secondo i giudici di Lussemburgo, non è più legittimo estendere quelle condizioni e quei
limiti che trovano la loro origine e la loro giustificazione nella tutela dell’indipendenza del magistrato persona fisica. Il
danneggiato, nel chiamare in giudizio lo Stato-giudice, non deve trovare ostacoli né nella attività del giudice di
interpretazione di norme e valutazione dei fatti e delle prove (c.d. clausola di salvaguardia), né nell’illecito del
magistrato (dolo e colpa grave)».
26
Dopo l’eventuale condanna dello Stato, l’azione di rivalsa dovrebbe quindi essere soggetta ad
un’efficace clausola di salvaguardia.
Allo stato, l’applicazione della medesima (e sostanzialmente vuota) clausola di salvaguardia sia alla
responsabilità statale ex lege 117/88 che alla responsabilità del magistrato in sede di azione di rivalsa
determina una violazione del principio costituzionale di indipendenza e di autonomia dei magistrati.
E risulta poi in contrasto con i principi di autonomia e indipendenza della magistratura un sistema di
rivalsa che la legge 117/1988 configura come automatico ed obbligatorio60.
Se in passato la restrittiva interpretazione dei requisiti di responsabilità richiesti dalla legge 117/88
fornita dalla nostra Corte di Cassazione (che richiedeva, secondo quell’orientamento dichiarato contrario al
diritto UE dalla sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011, interpretazioni giuridiche
«manifestamente aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore» o la «manipolazione
assolutamente arbitraria del testo normativo» o violazioni grossolane e macroscopiche delle norme) poteva
far sembrare in linea con la garanzia dei principi di indipendenza ed autonomia della magistratura un sistema
che prevedeva gli stessi requisiti per la responsabilità dello Stato verso i cittadini e per la successiva azione
di rivalsa, ora che i presupposti di responsabilità statale sono stati estesi rispetto alla precedente impostazione
si rende necessaria una configurazione legislativa (non avendo l’interprete, sotto questo profilo, spazi di
manovra) dell’azione di rivalsa non più in termini di automaticità e sulla base di presupposti più restrittivi di
quelli richiesti ai fini della responsabilità dello Stato verso i terzi61. Poiché ora sono diversi e più ampi i
requisiti della responsabilità statale (colpa grave) rispetto a quella del magistrato in sede di rivalsa (dove è
necessaria la negligenza inescusabile), non si capisce perché si continui a prevedere un’obbligatorietà ed un
automatismo dell’azione di rivalsa. Come ben affermato nell’ordinanza del Tribunale di Verona del
12.5.2015 che ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale della legge 117/88, dalla diversità
dei presupposti dell’azione risarcitoria verso lo Stato e dell’azione di rivalsa verso il magistrato “consegue
che la Presidenza del Consiglio dovrà esercitare l’azione di rivalsa “al buio”, vale a dire senza aver avuto,
nella maggiora parte dei casi, il conforto della positiva verifica dell’elemento soggettivo della negligenza
inescusabile del magistrato nel giudizio nei confronti dello Stato e anche nei casi, invero remoti, in cui fosse
stata acclarata l’insussistenza di quel presupposto”. Senza considerare che non è obbligatoria l’azione di
rivalsa esercitata nei confronti dei dipendenti pubblici, e ciò alla luce dei principi generali in tema di garanzia
personale (v. art.1950 c.c.), non derogati dall’art. 22, comma primo, del d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3. Tale
azione di rivalsa presuppone solo che nel giudizio verso lo Stato sia stato accertato l’elemento soggettivo
(dolo o colpa grave) del funzionario e sia emersa la probabilità di successo della rivalsa.
Gli artt. 7 e 8 della legge 117/98 andrebbe quindi così riformulati:
“Art. 7 Azione di rivalsa 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, entro un anno dal risarcimento
avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, ha la facoltà di esercitare l'azione di rivalsa
nei confronti del magistrato nel caso di diniego di giustizia, ovvero nei casi in cui la violazione manifesta
della legge nonché del diritto dell'Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove, di cui
all'articolo 2, commi 2, 3 e 3-bis, sono stati determinati da dolo o negligenza inescusabile. 1 bis.
Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità del magistrato da fare valere in
sede di rivalsa l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
2. In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa o nel giudizio disciplinare.
Art. 8 Competenza per l'azione di rivalsa e misura della rivalsa.
“1. L'azione di rivalsa viene promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri. 2. L'azione di rivalsa
va proposta davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma
dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. 3. La
misura della rivalsa non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto
60
Sul punto è opportuno osservare che non sembra automatica la rivalsa contemplata dalla Raccomandazione
CM/Rec (2010) del Comitato dei Ministri agli stati membri sui giudici, che prevede che “soltanto lo Stato, ove abbia
dovuto concedere una riparazione, può richiedere l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso
un’azione innanzi ad un tribunale”.
61
D’altronde, nonostante lo Stato risponda a titolo risarcitorio verso i terzi anche per colpa lieve, pure il T.U.
sullo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3/1957) prevede, agli articoli 22 e 23, che l’impiegato risponda
solo per dolo e colpa grave (artt. 22-23).
27
delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se
dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite
non si applica al fatto commesso con dolo. L'esecuzione della rivalsa, quando viene effettuata mediante
trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura
superiore ad un quinto dello stipendio netto. 4. Le disposizioni del comma 3 si applicano anche agli estranei
che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per essi la misura della rivalsa è calcolata in rapporto
allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale; se
l'estraneo che partecipa all'esercizio delle funzioni giudiziarie percepisce uno stipendio annuo netto o reddito
di lavoro autonomo netto inferiore allo stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è
calcolata in rapporto a tale stipendio o reddito al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta”.
9. La soluzione interpretativa. Le nuove ipotesi di colpa grave.
Uno dei punti nevralgici della nuova disciplina è quello della rilevanza attribuita (ai fini della
determinazione della colpa grave del magistrato rilevante nel giudizio instaurato contro lo Stato e
nell’eventuale successivo giudizio di rivalsa dello Stato verso il magistrato) all’introdotto concetto di
“travisamento del fatto o delle prove”.
Esso, assente nel precedente tessuto normativo, costituisce uno dei casi di colpa grave del magistrato.
Il nuovo comma 3 stabilisce, infatti, che costituisce colpa grave del magistrato: a) la violazione
manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea; b) il travisamento
; d) la
negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; e) l’emissione di
un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.
Aggiungendosi agli altri tre elementi, il concetto di travisamento del fatto dovrebbe costituire qualcosa
di diverso.
Invece, nella relazione della Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge in questione si
afferma che “le preoccupazioni suscitate dalla nuova ipotesi di travisamento del fatto o delle prove possono
essere superate ricorrendo ad un'interpretazione costituzionalmente orientata in base alla quale costituisce
travisamento la “
procedimento” o dalla “negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del
procedimento”, ipotesi peraltro già previste dal vigente art. 3 comma 2 lettere b) e c) della legge e lasciate
intatte dal testo in esame. In altri termini, appare necessario chiarire come l'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma in esame imponga di considerare che l’unico “travisamento”
rilevante ai fini della responsabilità civile del magistrato possa essere quello macroscopico, evidente, che
non richiede alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo. Per questa ragione sono stati
respinti anche li emendamenti che qualificavano come “manifesto” il travisamento.
connessa ai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità del
'autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l'imparziale
interpretazione delle norme di diritto”. L’eventualità che l’azione civile possa operare sul giudice come
stimolo verso scelte interpretative accomodanti e decisioni meno rischiose in relazione agli interessi in
causa, con ricadute negative sull’imparz
, secondo la Corte, impedita in radice proprio escludendo
che possa dar luogo a responsabilità l'attività d'interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione
del fatto e delle prove. Tali parole rendono chiara, oltre ogni dubbio, la centralità che, ai fini della tutela
dell’indipendenza e dell’imparzialità della giurisdizione, assume la salvaguardia della valutazione del fatto
e delle prove, alla pari dell’interpretazione del diritto.
Pertanto, se si vogliono rispettare i citati principi costituzionali occorre evitare il travaso della
nozione di travisamento in quelle di interpretazione e valutazione.
Ove il "travisamento" si traduca in valutazioni manifestamente abnormi del dato normativo o
macroscopici ed evidenti stravolgimenti di quello fattuale, allora non ricorrerà più un’attività definibile
come interpretazione o valutazione. Solo allora, tramite questa lettura costituzionalmente orientata, il
travisamento potrà legittimamente costituire il presupposto della responsabilità civile, lasciando intatta la
28
clausola di salvaguardia che mira a garantire l'autonomia e l'imparzialità del giudice nell'attività di
interpretazione di norme di diritto e in quella di valutazione del fatto e delle prove.
Queste sono le ragioni che hanno portato la Commissione a non sopprimere il travisamento del fatto o
delle prove quale uno dei presupposti della responsabilità civile del magistrato”.
È interessante sottolineare questo passaggio della relazione della Commissione giustizia perché può
servire per compiere qualche valutazione sulla nuova legge.
Un’interpretazione restrittiva (in quanto costituzionalmente orientata) del requisito del travisamento
del fatto e delle prove risulta molto rilevante se si considera:
1) che l’eventuale rigetto dell’azione di responsabilità dello Stato esclude alla radice la rivalsa contro
il magistrato;
2) che un’interpretazione non ampia del travisamento del fatto e delle prove potrebbe portare il
magistrato a decidere di non intervenire nel giudizio risarcitorio instaurato contro lo Stato (ed evitare così
che la relativa decisione faccia stato contro di lui nel giudizio di rivalsa) quando risulti privo di sostanziale
fondatezza, alla luce della detta interpretazione, l’atto di citazione comunicato dal Capo dell’Ufficio almeno
quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza;
3) che un’interpretazione restrittiva (in quanto costituzionalmente orientata) del requisito del
travisamento del fatto e delle prove potrebbe ridurre l’entità di questo tipo di contenzioso.
È infatti necessario evitare interpretazioni che consentano di impiegare l’azione di responsabilità ex
lege 117/88 di fatto come una forma ulteriore di impugnazione del provvedimento giudiziario.
Il travisamento del fatto e delle prove va individuato nell’errore inescusabile e non in qualsiasi errore,
soprattutto quello nella valutazione delle prove, posto che altrimenti vi sarebbe una moltiplicazione di
controversie strumentali.
Comunque, sebbene già a livello interpretativo sia possibile, per quanto detto, pervenire ad
un’interpretazione restrittiva (in quanto costituzionalmente orientata) del requisito del travisamento del fatto
e delle prove, tuttavia sarebbe in ogni caso opportuno che il travisamento sia espressamente qualificato dal
legislatore, con un apposito intervento normativo, come “inescusabile” o “palese” o “evidente” o
"macroscopico"62.
10.Il filtro.
L’abrogata norma di cui all’art. 5 della legge 117/88 sulla preliminare valutazione circa
l’ammissibilità della domanda avanzata nei confronti dello Stato mirava a tutelare la serenità del singolo
magistrato, che, tutelato dalla possibile instaurazione di azioni pretestuose e temerarie, sapeva che erano
limitati i casi e i tempi delle azioni giudiziarie relative ai suoi potenziali errori.
Peraltro, ciò era ed è ancor più rilevante se si considera che il magistrato “cui viene addebitato il
provvedimento” può intervenire nel procedimento (art. 6) ai sensi dell’art. 105 c.p.c.
E pronunciandosi sulla legge Vassalli, con un parere reso il 10 dicembre 1987, il C.S.M. aveva pure
resto segnalato che “costituirebbe ragione di gravissima turbativa, inevitabilmente incidente sulla stessa
autonomia della giurisdizione, il fatto in sé della pendenza di un cospicuo contenzioso che, pur formalmente
esaurendosi nei confronti dello Stato e non dando luogo a rivalsa, tuttavia consisterebbe nella messa in
discussione di provvedimenti giurisdizionali da parte dei loro destinatari del tutto al di fuori della logica
delle impugnazioni”.
Ed anche la Corte costituzionale aveva costantemente "riconosciuto il rilievo costituzionale di un
meccanismo di filtro della domanda giudiziale, diretta a far valere la responsabilità civile del giudice,
perché un controllo preliminare della non manifesta infondatezza della domanda, portando ad escludere
azioni temerarie e intimidatorie, garantisce la protezione dei valori di indipendenza e di autonomia della
funzione giurisdizionale, sanciti negli artt. da 101 a 113 della Costituzione nel più ampio quadro di quelle
'condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati che 'la peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura
dei relativi provvedimenti suggeriscono" (Corte cost. sent. n. 468/1990; nello stesso senso v. sent. n. 2 del
1968 e sent. n. 26 del 1987) . “La previsione del giudizio di ammissibilità della domanda garantisce
adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni “manifestamente infondate” che possano turbarne la
62
V. anche il parere reso dal CSM in data 29.10.2014 sul disegno di legge di iniziativa governativa in tema di
responsabilità civile dei magistrati n. 1626.
29
serenità, impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione”
(Corte Cost. sent. 18/1989).
Il filtro è stato invece eliminato in considerazione della “esigenza di rendere più immediata ed
effettiva la responsabilità del magistrato in chiave di semplificazione” (v. relazione al disegno di legge).
Visti i pochi casi di esito positivo di azione giudiziaria, allora i numerosi insuccessi sono stati
ricondotti dal legislatore al sistema del filtro. Sono stati, invece, i rigorosi requisiti normativi della
responsabilità statale (e l’ancor più rigorosa loro interpretazione giurisprudenziale) a condurre ad un limitato
accoglimento delle domande formulate ex lege 117/88.
In ogni caso, l’eliminazione del filtro comporta soltanto uno spostamento in avanti della valutazione
degli stessi elementi che prima si valutavano in una fase inziale del giudizio, un evidente allungamento dei
tempi di tutte queste cause, un possibile pregiudizio per la serenità del giudice che avrebbe commesso
l’errore giudiziario ed un rischio di richieste di ricusazione o di dichiarazioni di astensione in caso di processi
ancora in corso (come nelle ipotesi di giudizi ex lege 117/88 proposti in relazione a provvedimenti cautelari,
la cui fase di impugnazione è generalmente di breve durata).
È quindi necessario reintrodurre, anche in forme leggermente diverse rispetto al passato, un filtro per
la valutazione dell’ammissibilità della domanda e ciò per evitare la proposizione di azioni ritorsive,
strumentali e prive dei requisiti minimi di sostanza o di forma (che erano quelle che venivano bloccate dal
sistema del filtro). Lo stato attuale della legge 117/88 (che non prevede più il sistema del filtro) sembra in
contrasto con i principi della nostra Carta costituzionale63.
11. L’azione disciplinare.
Mentre il previgente art. 8 della legge 117/88 prevedeva che “il procuratore generale presso la Corte
di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare
l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento,
salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5”,
ossia dalla comunicazione sull’ammissibilità della domanda valutata in sede di “filtro”, la nuova
formulazione legislativa dell’art. 8 ha eliminato il riferimento ai due mesi dalla comunicazione indicata in
quanto è stato abrogato il c.d. filtro di ammissibilità della domanda.
Potrebbe quindi sembrare che scatti l’obbligatorietà dell’azione disciplinare ogni volta che vi sia un
atto di citazione contro lo Stato ex lege 117/88.
Tale soluzione però non convince sia perché gli illeciti disciplinari sono tipici, mentre in questo caso
l’illecito disciplinare sarebbe quello indicato in citazione dall’attore sia perché si lascerebbe all’iniziativa del
privato la genesi di un procedimento disciplinare contro il magistrato a lui non gradito (con intuitive
conseguenze anche su eventuali astensioni del magistrato).
Quindi, è preferibile ritenere che vi sia l’obbligatorietà dell’azione disciplinare ma solo in relazione a
quelle ipotesi in cui ricorra la violazione di una fattispecie disciplinare e che non sussista alcun automatismo
tra la conoscenza da parte della Procura Generale dell’instaurazione di un giudizio ai sensi della legge
117/88 e l’inizio del parallelo procedimento disciplinare,
12. Organizzazione del lavoro giudiziario e responsabilità civile dei magistrati.
Le più rigorose e pesanti norme sulla responsabilità civile dei magistrati impongono di individuare
tutti i possibili strumenti gestionali di programmazione idonei a valorizzare l’esigenza di una
programmazione realistica dello smaltimento che possa coniugare quantità e qualità della risposta
giurisdizionale, coordinando incidenza ponderale dei procedimenti, tempi del processo e necessità di una
decisione consapevole e di qualità.
Per evitare il più possibile che i magistrati risultino esposti ad azioni giudiziarie a causa di ingestibili
carichi di lavoro occorre, ad esempio, valorizzare e migliorare il più possibile la programmazione gestionale
dei dirigenti giudiziari ex art. 37 l. 111\2011 cercando di individuare (anche tramite la creazione di una banca
dati) le migliori prassi già sperimentate dagli Uffici giudiziari italiani, di verificare quale tipo di
63
Questione già sollevata dal Tribunale di Verona con ordinanza del 12.5.2015 (estensore Vaccari).
30
programmazione sia stata effettuata e concretamente realizzata e di ripensare la produttività dei magistrati
coniugando dignità della funzione, qualità giurisdizionale e produttività degli Uffici.
E bisogna anche interrogarsi sui possibili effetti (in termini di genesi di azioni di responsabilità civile)
di un sistema di controlli affidato ai numeri, alle griglie di analisi della produttività e ad accertamenti di tipo
statistico.
L’aumento dei numeri richiesti dal singolo magistrato, invero, rischia di esporre maggiormente lo
stesso ad azioni civili per possibili errori ed a responsabilità disciplinari per i ritardi nel deposito dei
provvedimenti. Ed a quest’ultimo proposito ci si dovrebbe chiedere se sia possibile un’interpretazione
convenzionalmente orientata della responsabilità disciplinare del magistrato in un rapporto tra ragionevole
durata del processo e ritardo “ingiustificabile”.
Il tema dei carichi di lavoro è infatti strettamente connesso a quello della responsabilità civile dei
magistrati, ma anche a quello delle valutazioni quadriennali di professionalità ed a quello della responsabilità
disciplinare. È necessario coordinare formalmente i carichi esigibili, che individuano la produttività annuale
possibile per il futuro, con la disciplina sulle valutazioni di professionalità. Si impone, poi, l’individuazione
di correttivi per i casi di gestione di ruoli sovraccarichi o di pluralità di funzioni, evitando meccanismi
automatici sulla valutazione disciplinare in relazione alla fattispecie sui ritardi (art.2, lett. q, D.L.gs. 109/96)
ed alla contestazione ai sensi della lettera l) del medesimo articolo (mancanza motivazione).
Occorre inoltre pure monitorare le attività di indebita supplenza alle quali i Magistrati fanno
quotidianamente fronte e che costituiscono indubbiamente un appesantimento non dovuto del già oneroso
carico di lavoro, particolarmente rischioso alla luce dei nuovi parametri normativi di responsabilità civile.
Dopo un monitoraggio sui concreti effetti della nuova legge 117/88 sarà poi possibile formulare
proposte concrete al fine di evitare, pure sotto un profilo organizzativo e non solo normativo, che la sua
applicazione comporti anche minimi rischi per il corretto esercizio della giurisdizione.
Se le azioni volte all’accertamento della responsabilità dovessero aumentare in maniera preoccupante
e se si dovesse verificare un diffuso fenomeno di “giustizia difensiva” (ammissione di mezzi di prova a
tappeto, meno sequestri di prevenzione, più assoluzioni, meno misure e provvedimenti cautelari, ecc.), si
potrebbe anche valutare una ridefinizione da parte dei dirigenti degli obiettivi di produttività già indicati nei
programmi di gestione.
E sarebbe pure interessante verificare se sia possibile – quando l’errore, anche grave, si è verificato in
contesti in cui il singolo si è trovato a gestire carichi insostenibili ed esorbitanti rispetto a quelli individuati
come esigibili – tale condizione possa determinare necessariamente una concorrente responsabilità
organizzativa (da fare valere anche in via di eccezione da parte del magistrato) dell’Amministrazione che
agisce in sede di rivalsa.
Gli scenari sono ancora aperti e le certezze sono poche. Tra queste è comunque importante che il
singolo magistrato mantenga quelle che riposano sul suo rigore morale, sulla sua consapevolezza dell’alta
funzione esercitata e sulla sua totale indipendenza di giudizio.
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