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la responsabilità professionale medica in ambito endodontico
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA IN
AMBITO ENDODONTICO
SOCIETA’ ITALIANA DI ENDODONZIA
Responsabile del progetto: Prof. Massimo Amato
INDICE
1. Introduzione
2. Il contenzioso in Odontoiatria
3. Il consenso informato
4. Consenso al trattamento dei dati sensibili
5. La responsabilità contrattuale
6. Responsabilità professionale in endodonzia
7. Conclusione
8. Bibliografia
1. INTRODUZIONE
Il registrato costante incremento del contenzioso giudiziario da responsabilità
professionale medica (pari ad oltre il 180% negli ultimi 10 anni, con circa 150 mila
casi l’anno ed un costo di 10 miliardi di euro, pari a circa l’1% del PIL della Nazione)
impone riflessioni sulle motivazioni che sottendono tale fenomeno al fine di tracciare
l’auspicabile condotta etico-deontologica e tecnico-professione da adottare così da
prevenire o quantomeno da contrarre in maniera consistente il rischio di arrecare un
danno al paziente/cliente e, quindi, di ridurre il numero dei giudizi promossi nei
confronti dell’odontoiatra.
La maggiore consapevolezza e compartecipazione alle scelte terapeutiche del
paziente rende accresciuta l’aspettativa di successo e l’aumento della sfiducia nella
1
classe medica e nelle strutture sanitarie pubbliche e private. Tutto ciò comporta un
maggior rifiuto da parte del paziente dell’insuccesso clinico terapeutico e delle
eventuali sue complicanze.
2. IL CONTENZIOSO IN ODONTOIATRIA
Su queste basi il contenzioso in odontoiatria è in netto aumento, con coinvolgimento
annuo per danno alla persona di circa l’1,5-3% degli odontoiatri e riconoscimento
della sussistenza di profili di responsabilità professionale nel 95% dei procedimenti
giudiziari promossi nei confronti del medesimo professionista sanitario.
I dati diffusi dal PIT Salute nell’ultimo rapporto evidenziano come l’odontoiatria si
colloca al terzo posto tra le discipline mediche specialistiche verso cui sono rivolte
segnalazioni di presunti errori terapeutici, con una percentuale media di lamentele del
9,4% nell’arco temporale compreso tra il 1996 ed il 2009.
TAB. 1: Distribuzione percentualistica dei presunti errori terapeutici dal 1996 al 2009
differenziati per area sanitaria (PIT salute, 2010 – n = 66.712)
2
In particolare, le segnalazioni inerenti errori terapeutici in odontoiatria riguardano
vari ambiti della disciplina, quali l’endodonzia (errati interventi di cure canalari nelle
varie fasi di esecuzione), la chirurgia orale (errate estrazioni dentarie, danni di tronchi
nervosi da errata estrazione dentale), il settore protesico (realizzazione di un
manufatto protesico con materiale scadente, rottura di ponti e protesi a breve distanza
dal loro confezionamento, fratture di radici imputabili a perni moncone in metallo) ed
implantoprotesico (danni neurologici o a strutture anatomico funzionali da errato
inserimento di impianti ossei) o, molto più genericamente, consistono nella lamentata
produzione di danni su denti sani durante manovre di cura e dubbi sulla corretta
sterilizzazione dello strumentario adoperato per comparsa di patologie generali post
terapia odontoiatrica (epatite B e/o C,HIV etc.).
Minore rilevanza assumono invece gli addebiti di responsabilità professionale
dell’odontoiatra per errori di natura diagnostica, occupano, il decimo posto tra le aree
specialistiche verso cui è rivolta l’attenzione “accusatoria” del cittadino.
Sebbene l’insuccesso da errata progettazione e/o realizzazione di un trattamento
protesico ed implantoprotesico rappresenta la causa principale delle controversie in
ambito odontoiatrico (attività protesica: 31,10%; implantologia: 17,69%), il settore
della terapia conservativo-endodontica non è esente da tale rischio, rappresentando il
17,43% dei casi, venendo più frequentemente coinvolta in associazione con
problematiche di natura protesica .Perchè frequentemente il lavoro protesico viene
svolto su elementi trattati endodonticamente, per tale motivo spesso si include anche
la correttezza di tale trattamento per aumentare la richiesta risarcitoria, quando però
questa terapia non presenti i segni dell’insuccesso clinico.
Numerose sono le motivazioni che sottendono l’incremento del contenzioso in
ambito odontoiatrico, tra cui assumono particolare valenza il rapporto
prevalentemente di tipo privatistico in cui si inscrivono le cure odontoiatriche con
esborsi economici rilevanti, l’acquisizione da parte del paziente di una maggiore
consapevolezza dei propri diritti, le elevate aspettative di risultato, l’accresciuta
richiesta di professionalità, l’incremento delle prestazioni, gli atteggiamenti
3
speculativi del paziente, i comportamenti disinvolti di taluni odontoiatri e il calo di
tensione deontologica tra colleghi.
3. IL CONSENSO INFORMATO
Non va sottaciuto in proposito la rilevanza data dal paziente alla tematica
dell’informazione e del relativo consenso all’atto medico-chirurgico -rappresentando
non infrequentemente uno dei motivi di insoddisfazione dello stesso- cui, invece,
spesso il Sanitario attribuisce il significato di mera incombenza burocratica formale
se non addirittura di uno strumento di medicina difensiva.
Come sottolineato da più parti, l’informazione rappresenta un dovere eticodeontologico, ancor prima che giuridico del medico verso il proprio paziente.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un radicale trasformazione del rapporto
medico-paziente, che da un modello di tipo paternalistico, caratterizzato dalla
indiscussa potestà decisionale del medico, è virato verso quello dell’autonomia
decisionale in cui il paziente rivendica il diritto alla piena autodeterminazione previa
corretta ed esaustiva informazione.
È invocato, quindi, a gran voce l’emancipazione del paziente, che da soggetto passivo
della prestazione sanitaria diventa soggetto partecipe delle decisioni cliniche che lo
riguardano attraverso l’informazione che riceve dal medico.
In tale ottica, l’informazione, antecedente necessario ma allo stesso tempo
indipendente rispetto all’espressione della volontà del paziente, assume un primario
ruolo di rilievo, in quanto solo la sua corretta ed esaustiva divulgazione pone l’utente
nelle condizioni idonee per poter decidere se aderire al trattamento e a quale tipologia
di trattamento sottoporsi.
Pertanto, l’informazione deve essere considerata come parte integrante dell’atto
medico-chirurgico, a prescindere dal consenso, ed ha il prioritario obiettivo di
soddisfare il bisogno di conoscenza e di salute del paziente.
Essa, quindi, è un dovere del sanitario e un diritto soggettivo inalienabile del
paziente, rilevante in senso sia clinico che giuridico.
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Dottrina e giurisprudenza sostengono, oramai in modo unanime, come dovere e non
come facoltà l’acquisizione del consenso da parte del medico/odontoiatra che ha,
altresì, l’obbligo di informare esaustivamente il proprio paziente, la cui volontà è da
intendersi circoscritta a quella data prestazione e non ad altre, ravvisando la
sussistenza di responsabilità del medico/odontoiatra anche in assenza di veri e propri
errori di trattamento qualora sia stata praticata una terapia o un trattamento senza
consenso o con consenso non preceduto da adeguata ed esaustiva attività informativa.
Il rischio di problematiche relative all’informazione risulta sicuramente più alto nelle
prestazioni singole o occasionali nelle quali si consiglia di seguire obbligatoriamente
le procedure, onde evitare la fatalità del caso ma principalmente l’incapacità a gestire
nel tempo una corretta informazione in special modo sulle possibili complicanze.
Difatti, è ben noto in tal senso il cammino giurisprudenziale in sede civile che
persiste nel riconoscere profili di responsabilità professionale medica nei confronti
degli operatori sanitari che operano senza fornire la preventiva informazione.
Esemplificativa è la recente sentenza della Cassazione che giunge ad ammettere la
sussistenza di responsabilità professionale medica “per la semplice ragione che il
paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di
assentire al trattamento sanitario”, ciò indipendentemente dalla sussistenza di un
eventuale errore nella condotta tecnica1.
Con specifico riferimento all’ambito odontoiatrico, sono ben note le sentenze della
giurisprudenza di merito che ammoniscono il dentista sull’obbligo di dover fornire
una adeguata, veritiera, puntuale, esaustiva informazione, utilizzando una
terminologia consona al livello culturale del paziente, non potendo rifuggire da tale
1
Corte di Cassazione, III Sez. Civ., n. 5444, 1 dicembre 2005 – 14 marzo 2006: “La responsabilità del sanitario per violazione
dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione
circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto. Ai fini della configurazione di siffatta
responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. La condotta omissiva dannosa e
l’ingiustizia del fatto sussistono per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in
condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che,
quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto
dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 della Costituzione (che garantisce l'inviolabilità della libertà
personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente,
se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 cod. pen.), donde la lesione della
situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del
trattamento, si presentino peggiorate”.
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obbligo per la sola ragione che trattasi di prestazioni routinarie sufficientemente note
alla generalità delle persone2.
La formazione del consenso presuppone, quindi, una specifica informazione su
quanto ne forma oggetto, giacché non si può ritenere che possa avere rilievo giuridico
e/o etico un consenso espresso senza sapere specificatamente per quale motivo e con
quali finalità viene prestato.
La definizione anglosassone di “informed consent” appare in tal senso meglio
indicativa del corretto procedimento da seguire: informare prima, mediante adeguato
colloquio per acquisire, poi, un consenso realmente consapevole.
Più che di informazione si dovrebbe parlare di “comunicazione”, sottolineando la
necessità che il sanitario ponga ogni argomentazione in modo soggettivamente
intelligibile per il paziente, così da non svilire l’auspicata “autonomia” decisionale
del paziente in una ipocrita illusione.
Peraltro, il dovere di informativa viene ricalcato anche nel Codice di Deontologia
Medica che sottolinea la necessità da parte del medico/odontoiatra di “fornire al
paziente la più idonea informazione”, non potendo egli “intraprendere attività
diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del
paziente”.
Pertanto, il paziente non può essere più considerato il soggetto passivo di una
prestazione sanitaria, svolta dal curante con i pieni poteri decisionali, ma è titolare di
precisi diritti quale quello di scegliere, consentire, rifiutare, revocare un trattamento
propostogli.
2
Tribunale di Lanciano, gennaio 2005: “L’obbligo di informazione che grava sui sanitari si applica anche ai medici odontoiatri
non potendosi validamente sostenere che la cogenza di tale obbligo in ambito odontoiatrico debba essere stemperata e ridotta in
relazione a quelle prestazioni di routine che sono sufficientemente note alla generalità delle persone. Il contenuto dell’obbligo di
informazione deve infatti essere adeguato alle caratteristiche specifiche del paziente con il quale il dentista si relaziona onde
assolvere al proprio obbligo di informare secondo correttezza e buona fede”.
Tribunale di Bologna, 13 marzo 2006: “in rapporto alla professione di medico odontoiatra, la diligenza dovuta comporta una
adeguata preparazione professionale ed una scrupolosa attenzione nell’applicazione delle regole tecniche del caso; cosicché nella
diligenza viene ricompresa anche la perizia, da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una
determinata arte o professione. Con riguardo in particolare al tema della determinazione del “quantum” dell’informazione
necessaria, questa non può essere in alcun modo generica ed omnicomprensiva, ma deve riguardare le singole fasi
dell’intervento; in particolare per ognuna di esse il dovere di informazione concerne le inevitabili difficoltà, gli effetti
conseguibili e gli eventuali rischi prevedibili - con esclusione solamente degli esiti anomali per evitare che il paziente sia indotto
al rifiuto delle cure per il timore di eventi infausti di remota verificazione -, in modo da porre il paziente nelle condizioni di
decidere sull’opportunità di procedervi o meno, attraverso la personale valutazione del bilanciamento di vantaggi e rischi, a
maggior ragione qualora si tratti di interventi non strettamente necessari per la sua salute”.
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È quindi dovere assoluto del medico/odontoiatra fornire una corretta, completa e
assimilabile informazione al fine di porre il paziente nelle condizioni di esercitare
consapevolmente i propri diritti.
La comunicazione, sia essa orale che scritta, presenta una serie di difficoltà
intrinseche che vanno da quella di trasmettere in modo comprensibile ad un profano
notizie ad elevato contenuto tecnico, ai rilevanti ostacoli connessi ai diversi gradi
culturali, alla reattività psichica di ciascun paziente.
La dottrina ha da tempo avanzato la tesi secondo cui il difetto di informazione integra
un “errore motivo” che vizia il consenso, rendendo conseguentemente invalido il
contratto stipulato tra il sanitario e l’assistito.
In pratica secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di
informazione rientra appieno nell’ambito della complessa prestazione medica,
derivandone, così, elementi di responsabilità contrattuale, per il suo inadempimento o
inesatto adempimento.
In conclusione, l’informazione al paziente deve essere intravista come parte
integrante e preliminare del processo curativo, non finalizzata esclusivamente
all’acquisizione del consenso all’atto curativo: in altre parole non è un momento
neutro ma un intervento terapeutico a tutti gli effetti.
In tal senso val la pena ricordare quanto espresso da Jung (1981): “non si tratta di
istruire il paziente intorno ad una necessità, ma di far sì che il paziente stesso
pervenga a quella verità; non si tratta di rivolgersi alla sua mente, ma di conquistare
il cuore: ciò incide più profondamente e agisce con maggiore efficacia”.
4. CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI SENSIBILI
Peraltro, al pari di qualsiasi tipologia di trattamento sanitario, anche quello
odontoiatrico necessita dell’acquisizione del consenso al trattamento dei dati
personali (e con essi anche di quelli sensibili) del paziente (allo stato disciplinato dal
Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, noto anche come Codice in materia
dei dati personali), che presuppone la necessità di dover fornire specifica
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informazione circa finalità e modalità del trattamento cui sono destinati i dati, natura
obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati, conseguenze ad un eventuale
rifiuto nel rispondere, soggetti ai quali i dati possono essere comunicati ed ambito di
diffusione dei dati medesimi, diritti, dati di identificazione e individuazione del
titolare del trattamento, nonché il diritto di accesso ai dati personali.
Anche il Codice di Deontologia Medica affronta tale problematica, dedicando ben un
due specifici articoli alla disciplina del trattamento dei dati sensibili (artt. 11 e 12),
indicando la necessità di dover registrare nella cartella clinica oltreché i modi e i
tempi delle informazioni e i termini del consenso all’atto diagnostico-terapeutico,
anche il consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili (art. 26), nonché di
raccogliere preliminarmente i nominativi di eventuali persone cui poter trasmettere le
informazioni riguardanti lo stato di salute del paziente ricoverato (art. 34).
Peraltro il dovere di agire nel rispetto delle norme di tutela della riservatezza
dell’ammalato è sottolineato anche nel rapporto con il medico curante dello stesso e
con i colleghi più in generale (art. 59).
5. LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
Passando agli aspetti tecnici della responsabilità professionale dell’odontoiatra, essa
si viene a realizzare allorché si realizza un danno al paziente causalmente riferibile ad
una errata condotta diagnostico-terapeutica del professionista sanitario.
In particolare, le fasi cliniche in cui può realizzarsi la responsabilità professionale
odontoiatrica di natura tecnica sono quella della diagnosi, del trattamento e del
follow-up, dovendo sottolineare che il risultato del trattamento di cura è condizionato
da numerosi fattori tra cui assumono particolare rilievo non solo la qualità della
prestazione fornita, ma anche la bontà del materiale utilizzato, il comportamento della
persona assistita, lo stato anteriore dello stesso e la risposta biologica al trattamento
realizzato.
Emblematica in tema di responsabilità professionale medica è la recente sentenza
della Corte di Cassazione, III Sezione Civile (sentenza n. 8826 del 13 aprile 2007)
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che nel consolidare il principio del “favor creditoris”, individua il contenuto
dell’obbligazione allorchè si realizza si statuisce un contratto di cura, nonché
l'intensità della diligenza richiesta al professionista sanitario.
In particolare, la suddetta pronuncia ribadisce che la responsabilità del
medico/odontoiatra è sempre di natura contrattuale, anche laddove l’odontoiatra
presti la propria opera nell’ambito di uno studio professionale ad altri intestato e da
altri coordinato e diretto, in virtù del “contatto sociale” che si instaura tra le parti,
dovendo il professionista sanitario eseguire la propria prestazione in conformità al
profilo professionale che gli appartiene.
Dalla natura contrattuale della responsabilità del medico/odontoiatra ne discende che
egli deve osservare nell'esecuzione della prestazione non già la diligenza del buon
padre di famiglia, bensì quella, di più intenso grado, del buon professionista ex art.
1176, comma 2 codice civile.
Peraltro, laddove il professionista sanitario vanta una specializzazione il grado di
diligenza richiesto è ancora più intenso in considerazione che a diversi gradi di
specializzazione corrispondono diversi gradi di perizia, venendo il giudizio calibrato
sul grado di diligenza richiesta in funzione delle caratteristiche del professionista e
della struttura entro la quale egli opera.
Inoltre, in ragione della natura contrattuale dell'obbligazione, l’odontoiatra deve
garantire il “risultato dovuto, quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità”
(venendo, di fatto, a cadere la tradizionale distinzione dell'obbligazione “di mezzi” e
obbligazioni “di risultato”), da valutarsi in relazione alle condizioni del paziente,
all'abilità tecnica del professionista sanitario e alla capacità tecnico-organizzativa
della struttura in cui lo stesso opera.
Ne deriva che “il risultato normalmente conseguibile per i migliori specialisti del
settore operanti nell'ambito di una determinata struttura sanitaria ad alta
specializzazione tecnico-professionale non può considerarsi tale per chi sia viceversa
dotato di minore grado di abilità tecnicoscientifica, ovvero presti la propria attività
presso una struttura con inferiore organizzazione o dotazione di mezzi, ovvero in una
9
struttura sanitaria polivalente o "generica", o, ancora, in un mero presidio di "primo
intervento".
Ed ancora, sul piano probatorio si applicheranno le regole della responsabilità
contrattuale e, quindi, sull’odontoiatra ricade l’onere di provare che l’inadempimento
della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, ciò indifferentemente se
trattasi di interventi di “facile” o “difficile” esecuzione.
Peraltro, l’insuccesso della prestazione medica (inadempimento) viene a realizzarsi
non solo in caso di aggravamento dello stato morboso o per insorgenza di nuova
patologia, ma anche per mancato miglioramento dello stato di salute che rende inutile
l'intervento effettuato.
È, poi, ribadito che il professionista sanitario è tenuto a dimostrare la sua correttezza
comportamentale in ragione “della maggiore possibilità per il debitore onerato
(odontoiatra) di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in
misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista
nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore (paziente), essendo
estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come
nel caso specializzato nell'esecuzione di una professione protetta” (principio della
vicinanza alla prova o di riferibilità).
In altri termini, quindi, “il danneggiato è tenuto a provare il contratto e ad allegare la
difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da
una condotta improntata alla dovuta diligenza. Mentre al debitore, presunta la colpa,
incombe l'onere di provare che l'inesattezza della prestazione dipende da causa a lui
non imputabile, e cioè la prova del fatto impeditivi”. (Fig.1-3)
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Fig. 1, 2, 3. La paziente A.F. di anni 43,inizia una azione risarcitoria verso il collega che ha
effettuato sia l’endodonzia che la protesi 5 anni prima. Sono presenti lesioni osteolitiche su quasi
tutti gli elementi dentari. L’azione legale si è conclusa in fase di transazione con il pagamento da
parte dell’Assicurazione di circa 60.000 euro, per imperizia dell’operatore che peraltro si era
assunto le proprie responsabilità per l’andamento del caso, facilitandone la rapida conclusione.
6. RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE IN ENDODONZIA
Non esistono per l’endodonzia accordi univoci tra le diverse Scuole relative alle
modalità di trattamento, alle procedure terapeutiche, alla tecnica di strumentazione,
detersione, chiusura al limite radiografico dello spazio endodontico etc. Negli anni si
sono osservati notevoli variabili tecniche, grande sviluppo tecnologico e di materiali,
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tentativi di standardizzazione di metodiche per una o più fasi del trattamento. Ma
successi e fallimenti per ogni tecnica proposta, non hanno mai consentito di stilare
una classifica di metodologie adottate dando una priorità ad una rispetto all’altra, se
non relativamente a percentuali di maggiore o minore numero di operatori adoperanti
tale tecnica.
Peraltro, il tentativo di standardizzare una metodica di trattamento e di adottarla
indipendentemente dall’elemento dentario da curare e dal tipo di patologia, può
rappresentare il presupposto per un trattamento incongruo in presenza di una variabile
anatomica del dente, che, invece, potrebbe richiede un tipo di tecnica differente da
quella standardizzabile.
Il primo livello di diligenza richiesta ad un dentista “generico” deve essere perciò
prima della tecnica adoperata, quello dell’attenzione che ci si aspetta da un
professionista ragionevolmente competente, con una preparazione media e non
certamente quella altamente specialistica. Dall’altra parte, la specificità di branca,
l’alta qualificazione endodontica, può essere dichiarata, qualora esista, con implicito
incremento delle aspettative del paziente e maggiore obbligo di un migliore risultato
clinico dal professionista operante.
Pertanto il dentista “generico”, correttamente e mediamente preparato
nell’endodonzia, indipendentemente dalla varietà di tecniche in suo possesso, dovrà,
dopo una diagnosi corretta, informare il paziente delle possibilità terapeutiche a sua
conoscenza, dei rischi, delle percentuali di guarigione clinica, dei costi, delle
alternative terapeutiche anche che non fanno parte del suo bagaglio professionale
affinchè informato, possa liberamente scegliere la migliore terapia compresa.
Su questa base deve essere sempre documentato l’iter diagnostico-terapeutico
adottato, ispirandosi ad una prestabilito schema comportamentale per una più corretta
razionalizzazione della condotta professionale.
Una linea guida può avere rilevanza giuridica nel giudizio di responsabilità
professionale solo nella misura in cui costituisca un parametro di riferimento che
esprima una condotta professionale media, definendo i mezzi e le relative regole di
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condotta tecnica che la maggior parte degli odontoiatri mediamente diligenti avrebbe
osservato nella propria pratica professionale all'epoca dei fatti in una situazione
analoga.
Pertanto relativamente all’endodonzia spesso si dovranno valutare esclusivamente gli
errori tecnici dimostrabili con il supporto radiografico del prima e del dopo terapia
consistenti principalmente in quelle alterazioni anatomiche che modificando
sostanzialmente l’apice o il canale radicolare non ne consentano un corretto sigillo
(stripping nei canali curvi, trasporto del canale, formazione di gradini, false strade e
perforazioni, forami a goccia, rottura degli strumenti e loro permanenza nel canale).
L’individuazione di una o più di queste realtà avverse, è indicatore di errore tecnico
professionale nell’esecuzione di una qualsiasi delle metodiche terapeutiche
attualmente in uso (Fig. 4, 5, 6).
Fig. 4 Il paziente di circa 24 anni si presenta con una intensa tumefazione nella regione superiore
sinistra, all’esame radiografico si evidenzia uno slargamento apicale o una perforazione con
mancanza di controllo dei materiali da otturazione apicale e loro fuoriuscita nei tessuti sovrastanti.
Qualora l’operatore avesse informato il paziente dell’accaduto, con un reintervento ortogrado/
retrogrado ,il caso avrebbe avuto una soluzione clinica e non medico legale. Infatti il paziente
spesso comprende il possibile errore tecnico ma non la cattiva fede.
13
Fig. 5. Il paziente, F.G. di anni 55, si rivolge per una CT , dopo la costante caduta della struttura
protesica sul gruppo inferiore e per un ascesso ricorrente in regione molare inferiore destra, dove
appare notevole il riassorbimento apicale e la lesione osteolitica.
Fig.6. Paziente S.C. di anni 45, viene richiesta consulenza per valutare la congruità dei trattamenti
endodontici per via ortograda e retrograda. Gli elementi dentari trattati sono il 14, 13, 12, 11, 21, 23,
24, 25 e 27.Su di essi è stata costruita, circa 3 anni prima, una protesi fissa in metallo ceramica.
All’OPT evidenti le aree osteolitiche su quasi tutti gli elementi dentari. Da un punto di vista medico
legale sono da considerarsi inadeguati i trattamenti su 14, 13, 12, 11, 27 in quanto la presenza di
aree osteolitiche evidenziano il fallimento terapeutico nel breve termine. Anche il 24 trattato
chirurgicamente mostra una lisi ossea, pertanto deve ritenersi un fallimento. In assenza poi di
tatuaggi d’amalgama , come in questo caso, nulla risulta imputabile rispetto all’eccesso di materiale
da otturazione retrograda ed alla sua disseminazione intraossea.
14
In proposito possono essere distinte complicanze (ovvero “ogni evento negativo, non
pianificato, che tende ad aggravare uno stato di malattia oltre il livello previsto, in
condizioni di normalità”) di tipo locale o generale.
Le complicanze a carattere locale possono essere così classificate in:
- dei tessuti moli: edema, trisma, disfagia
- a carico dei vasi: emorragie, ecchimosi, ematomi
- infettive: alveoliti secche e umide, osteiti
L'edema gli ematomi e le ecchimosi sono dovuti all'accumulo di liquidi, sia di tipo
essudativo che ematico, nei tessuti adiacenti alla zona e coinvolgono spesso le guance
ed i tessuti perimandibolari.
Il trisma è la contrazione spastica dei masseteri, può essere dovuto all'edema ed
all'accumulo dei prodotti dell'infiammazione, a fatti infettivi diretti delle fibre
muscolari (miosite), alla lacerazione delle stesse dovuta al contatto con gli strumenti
rotanti, oppure all'eccessivo prolungarsi dell'intervento, che costringe il paziente a
rimanere a lungo con la bocca aperta. In queste ultime due situazioni il meccanismo
patogenetico è di tipo indiretto in quanto il muscolo si contrae in risposta ad uno
stimolo algico di tipo riflesso.
Le infezioni possono riguardare sia i tessuti molli che quelli duri. Le infezioni a
carico dei tessuti molli sono per lo più dovute o a manovre errate dell'operatore, che
determinano lacerazioni della mucosa o al non rispetto da parte del paziente delle
istruzioni post-operatorie.
I processi infettivi dei tessuti duri sono classificati in: Alveoliti ed Osteiti.
Le alveoliti sono dovute a vari fattori sia di tipo locale che sistemico; tra i fattori
locali riconosciamo la precoce lisi del coagulo dovuta alla produzione di enzimi
batterici, o fatti traumatici, soprattutto in prima giornata, quali sciacquare
continuamente la bocca, assumere cibi duri, pulire energicamente con strumenti
incongrui. Tra quelli sistemici vanno considerate; le malattie di tipo metabolico, quali
il diabete che influisce non solo sulla guarigione rendendola più difficile ma anche
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sulle capacità di difesa dell'organismo esponendolo ad un maggior rischio di
infezioni.
Le osteiti sono dei processi infettivi che si propagano dal sito chirurgico alle strutture
ossee adiacenti e pur essendo abbastanza rare rivestono una notevole importanza dal
punto di vista medico, poiché determinano un decadimento delle condizioni generali
del paziente.
Le alveoliti e le osteiti si manifestano clinicamente da 2 a 10 giorni dopo l'intervento
con una sintomatologia variabile che comprende febbre, tumefazione dolente delle
zone coinvolte, violenti dolori di tipo trafittivo e linfoadenopatia satellite.
Le emorragie possono essere immediate e tardive. Le prime compaiono nei casi di
traumi a strutture vascolari importanti o a discrasie a carico dei meccanismi che sono
alla base della formazione del coagulo; le seconde invece compaiono tra le 12 e le 24
ore dopo l'intervento e sono dovute a traumi, infezioni, alterazione dei meccanismi di
stabilizzazione del coagulo, al cedimento delle suture o al non rispetto da parte del
paziente delle istruzioni post-operatorie date dal medico.
Le complicanze di carattere sistemico invece, sono quelle che modificano le
condizioni di salute generale del paziente, mettendone a volte a repentaglio la vita e
possono essere dovute o a patologie preesistenti (es. endocarditi) non adeguatamente
trattate o situazioni del tutto improvvise (shock anafilattico, infarto del miocardio).
Non vanno poi dimenticate le lesioni neurologiche ed in particolare del nervo
alveolare inferiore, che può presentarsi in seguito a sovra strumentazione del canale
radicolare ed alla fuoriuscita di materiale da otturazione dall’apice endodontico per
l’eccessivo riempimento. La sintomatologia varia in relazione all’entità della lesione
subita dal nervo e può manifestarsi con una diminuzione (ipoestesia), un aumento
(iperestesia) o una perdita totale della sensibilità (anestesia). Talora possono
comparire sintomi quali sensazioni abnormi rispetto allo stimolo sensitivo (disestesia)
o addirittura alterazioni della sensibilità in assenza totale di stimoli (parestesia).
In particolare le lesioni a carico delle strutture nervose possono essere classificate a
seconda della gravità in (tab. 2):
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- neuroprassia: interruzione funzionale, reversibile, della conduzione
dell'impulso da parte delle fibre nervose ed è spesso dovuta a traumi di tipo
compressivo o da riscaldamento. Il recupero funzionale normalmente avviene
entro poche settimane ed è totale;
- assonotmesi: interruzione parziale del nervo, con il mantenimento dell'integrità
della guaina di Schwann la quale guida la rigenerazione dell'assone,
permettendo nel giro di qualche mese il recupero, totale o parziale, della
sensibilità;
- neurotmesi: sezione completa del tronco nervoso che impedisce il recupero
spontaneo della sensibilità.
Tabella 2 : Lesioni di strutture nervose.
LESIONE
Neuroprassia
Assonotmesi
Neurotmesi
EZIOLOGIA
TERAPIA
Compressione o
Recupero funzionale spontaneo in
riscaldamento.
poche settimane.
Sezione parziale dell'assone,
integra la guaina di Schwann
Sezione completa
dell'assone.
Recupero funzionale in circa 6 mesi;
somministrazione di sostanze
neurotrofiche.
Microchirurgia.
Le strutture nervose che più frequentemente subiscono tali danni sono il nervo
alveolare inferiore ed il nervo linguale. Una compressione durante le manovre di
lussazione o la trazione esercitata sul nervo in caso di tenaci aderenze tra le radici
dell'elemento ed il nervo stesso sono generalmente le cause principali.
Pertanto in endodonzia chirurgica l'uso incongruo di strumenti taglienti o di frese,
utilizzati durante le fasi di osteotomia, odontotomia e revisione della cavità residua
possono determinare lacerazioni delle fibre nervose o un loro surriscaldamento se non
si provvede ad una attenta ed abbondante irrigazione con soluzione fisiologica.
17
Solo nel caso del nervo linguale il trauma può realizzarsi in seguito ad un errato
disegno del lembo, con l'incisione in cresta che risulta troppo spostata lingualmente, o
per una compressione dovuta all'affondamento dello strumento preposto alla
protezione dello stesso nervo durante l'uso degli strumenti rotanti.
In tesi generale comunque, un danno di un tronco nervoso può essere conseguenza di
un trauma diretto ad opera degli strumenti endodontici oltre apice, di un danno
chimico ad opera di materiali utilizzati durante la terapia endodontica, di
compressione da materiale endodontico o ematoma, da obliterazione del canale in
seguito a riparazione cicatriziale del nervo leso.
Da numerosi studi è emerso che eugenolo e paraformaldeide, N2 ed endometasone –
materiale utilizzato per le otturazioni, sono responsabili di reazioni neurotossiche.
Peraltro sono segnalati anche casi di lesioni nervose legate ad altri materiali, quali
cloroperca, AH26, Hydron, Diaket, pasta iodoformica, Calasept ed Endoseal e
soluzioni irriganti come ipoclorito di sodio.
Lesioni nervose di tipo meccanico possono invece essere provocate dal passaggio di
guttaperca nel canale mandibolare; ciò determina compressione sul nervo: in questo
caso l’alterazione della sensibilità insorge più precocemente rispetto alle lesioni di
tipo chimico.
Non vanno dimenticate le lesioni nervose da insulto termico, provocate ad esempio
dalla fuoriuscita di guttaperca termoplasticizzata di solito a 55˚C.
Dalla revisione della letteratura emerge che l’intervento di elezione in questi casi è la
tempestiva rimozione chirurgica del materiale.
Nel caso di lesioni a carico delle strutture nervose, la terapia è diversa a seconda che
si tratti di neuroprassia, in cui la sensibilità viene recuperata spontaneamente;
assonotmesi nella quale il tempo di recupero e intorno ai sei mesi ed è indicato l'uso
di sostanze neurotrofiche per facilitare la rigenerazione walleriana; neurotmesi in cui
l'unica soluzione è la micro-sutura dei due tronchi nervosi il più rapidamente
possibile.
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Nell'arcata inferiore, le lesioni a carico di strutture vascolari importanti sono
abbastanza rare ed i rischi possono essere ulteriormente allontanati con un attento
disegno del lembo e l'uso accorto di tutta la strumentazione chirurgica.
Le fratture delle strutture ossee possono aversi a carico del processo alveolare, del
tetto del canale mandibolare e della mandibola, sia parziali che totali. Questo tipo di
lesioni solitamente compaiono in seguito alla mancata valutazione pre-operatoria
della presenza di lesioni di tipo patologico quali cisti, tumori, fenomeni osteoporotici,
lesioni traumatiche, contiguità delle radici dell'elemento al canale mandibolare,
associata all'utilizzo di strumenti non idonei ed alla applicazione di forze di entità e
direzione non adeguate.
I danni agli elementi contigui possono derivare dal contatto dell'elemento incluso con
la corona o le radici di quest'ultimi o dall'uso non corretto di pinze, leve e strumenti
rotanti, i quali possono determinare non solo lesioni a carico della corona, ma anche
erosioni a livello delle radici, compromettendo, la vitalità e a volte la permanenza
dell'elemento stesso in arcata.
Strumentario di qualità scadente, utilizzato un numero eccessivo di volte e quindi
sottoposto a molti cicli di sterilizzazione, o in maniera errata, può facilmente andare
incontro a rottura con possibili conseguenze sia di tipo meccanico che infettivo che
tossico. Tutte queste possibili complicanze andrebbero sinteticamente scritte in un
modulo di consenso, principalmente nel rapporto occasionale con il paziente o
quando la valutazione corretta del caso clinico lasci pensare ad una di queste
evenienze. Resta in ogni caso in endodonzia, sempre da valutare il successo clinico,
così come sottolineato da A. Castellucci, attraverso la valutazione di assenza del
dolore spontaneo e/o provocato e di gonfiore, scomparsa di tragitti fistolosi
eventualmente preesistenti, ripristino della funzionalità dell’elemento dentario,
scomparsa della radiotrasparenza apicale di origine endodontica, assenza o non
comparsa di una radiotrasparenza all’apice di un elemento dentario con parodonto
periapicale precedentemente integro, presenza di una normale lamina dura. L’assenza
di una o più di queste condizioni è indice di insuccesso terapeutico /Fig. 7-11).
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Fig. 7-11 La paziente riferisce dolore costante in zona sovraincisale, oltre alla discomia dei due
centrali. L’esame rx denota esiti di 2 trattamenti endodontici ortogradi inadeguati con
sovrastrumentazione e/o riassorbimento interno e inadeguato riempimento camerale, gli elementi
dentari risultano poi sottoposti ad interventi di otturazione retrograda con utilizzo di generose dosi
di amalgama. La presenza della fistola , documentata anche dalla radiografia con il cono e
maggiormente un sondaggio parodontale con perdita ossea superiore ai 5/7 mm debbono porre
l’operatore nel dubbio diagnostico di una possibile frattura della radice, possibilità alta in un caso
come questo. Pertanto va proposto anche per iscritto , un consenso alla terapia , dove si richiede
l’autorizzazione all’apertura di lembo diagnostico discriminante con due possibilità :l’estrazione in
caso di frattura o il reintervento qualora vi siano le possibilità cliniche. All’apertura del lembo
,entrambi gli elementi dentari presentano fratture radicolari. Si è così evitato un errore diagnostico
ed una possibile inadeguate terapia.
Questi dati, unitamente alle possibilità terapeutiche, alle conoscenze, alle precauzioni
cliniche da adottare (utilizzo della diga di gomma, anche nella prevenzione delle
ingestioni e/o inalazione di materiali o strumenti) pongono l’endodontista in
condizione di predire il successo clinico, di contenere l’errore tecnico professionale e
di operare anche in giusto tempo scelte terapeutiche apparentemente più demolitive
(endodonzia /implantologia) limitando il possibile contenzioso (Fig. 12).
20
Fig. 12. Ingestione di fresa utilizzata per l’esecuzione della cavità d’accesso: l’applicazione della
diga di gomma avrebbe prevenuto l’accaduto. (per gentile concessione dott. E. Tosco)
Ulteriore errore, cui fanno seguito terapie superflue ed inutili, è la mancata diagnosi,
spesso per mancata conoscenza, delle cosiddette “cicatrici apicali”, ossia di processi
riparativi non completamente ossificanti, in cui è residuato un tessuto non
osteogenico distante radiograficamente dall’apice radicolare con una area di
radiopacità, che resta immodificato per il resto della vita. Fondamentale in tali casi è
l’anamnesi, la conoscenza del caso da parte del paziente ed il controllo radiografico
nel tempo. Pertanto il consiglio è di consegnare anche una radiografia endo orale al
paziente alla fine della terapia, in modo che correttamente informato l’acquisisca
come sua documentazione sanitaria.
È opportuno sottolineare che l’endodontista deve documentare il suo operato in
quanto, in caso di contenzioso, ricade su di lui l’onere di dimostrare di aver bene
agito e che il danno lamentato dal paziente è non causalmente riferibile ad una sua
errata diagnosi o scelta/esecuzione terapeutica.
In ogni caso tenendo presente che non è possibile approntare un modello di consenso
informato valido per tutte le tipologie di trattamento endodontico praticabile in
21
considerazione delle variabili soggettive poste dal singolo problema clinico, vale la
pena sottolineare che il modulo da compilare e da porre all’attenzione del paziente
deve essere personalizzato.
Volendo fare degli esempi su procedure frequenti il paziente deve sapere che se si
effettua un intervento di pulpotomia camerale post-traumatica, v’è comunque il
rischio che possa verificarsi la necrosi pulpare e che questa procedura terapeutica
nella fase diagnostica non può determinare gli esiti dell’insulto traumatico sul tessuto
pulpare e perciò la possibile necrosi corono radicolare è un evento istologico non
prevedibile ma possibile. Per tale motivo sarà corretto porre nell’atto di consenso la
possibilità che si debba poi dovere procedere ad un successivo trattamento
farmacologico di apicificazione il cui risultato è strettamente legato alla risposta
tessutale nel tempo (in media da 12 a 36 mesi) per tentare di indurre una formazione
apicale di contenzione dei materiali da otturazione apicale per la permanenza
dell’elemento dentario in arcata.
Risulta fondamentale che il paziente o nel caso di minori, i genitori sottoscrivano
l’impegno a controlli clinici trimestrali, il cui mancato rispetto potrebbe giustificare il
fallimento del piano terapeutico.
Nel caso invece di un ritrattamento endodontico il paziente dovrà essere informato
che l’elemento dentario era stato già precedentemente trattato, eventualmente da altro
professionista, e che non è possibile determinare radiograficamente, almeno nella
fase iniziale del ritrattamento, le modifiche anatomiche apportate sia a livello
camerale che a livello radicolare ed apicale dalla terapia effettuata; pertanto il
ritrattamento ortogrado, patologia di sempre più frequente riscontro clinico, è una
metodica terapeutica ad alto rischio per il professionista che la diagnostica e
l’affronta. Notevoli le variabili possibili nei casi che si presentano e quasi tutte
determinate da una strumentazione non congrua che può presentare indici di difficoltà
e di fallimento elevati. Per tali ragioni vale la pena soffermarsi sia sulla diagnosi,
documentando meticolosamente lo stato iniziale e sottolineando le possibili
modificazioni che non rendono agevole il successo clinico e che possono comportare
22
un successivo intervento di endodonzia retrograda e/o nell’estrazione dello stesso
elemento dentario.
Spesso sono presenti anche perni endocanalari di vario tipo (in varie fibre cementati
con compositi, di metallo cementato e/o avvitato) su cui risulta applicata una struttura
protesica singola o unita ad altri elementi di protesi fissa. In tale circostanza deve
essere sottolineato al paziente che la diagnosi passa attraverso il sacrifico della
protesi già applicata e v’è un rischio concreto di perdita dell’elemento dentario per
fratture radicolari o perforazioni nel tentativo di rimuovere perni, rispettivamente
metallici e in fibra, tenacemente adesi ai tessuti dentali.
È bene anche informare il paziente di tutte le possibilità in tema di endodonzia
chirurgica, relative pure alle possibili complicanze relative all’anestesia, oltre che al
possibile insuccesso terapeutico, principalmente per quei casi già trattati anche
chirurgicamente mantenendo un corretto rapporto corono-radicolare da valutare sia
prima che dopo l’intervento.
Non va ancora dimenticato in ambito post-endodontico che il sigillo camerale ha una
importanza fondamentale nel successo di un trattamento endodontico, per tale motivo
un ritardato restauro può inficiare per la microinfiltrazione batterica anche un
trattamento radiograficamente perfetto. Anche questa elemento di informazione deve
essere reso noto al paziente.
In conclusione è opportuno informare il paziente che la riabilitazione funzionale
dell’elemento trattato endodonticamente segue oramai un preordinata procedura
comportamentale: valutare la diminuzione del contenuto acquoso della dentina
dell’elemento dentario trattato endodonticamente (+/- 9% secondo Helfer, 1972), le
modificazioni dell’architettura (per perdita del tetto della camera pulpare), le
alterazione del collagene dentinale (con modificazione dei legami crociati di
tropocollageno), il comportamento biomeccanico della struttura dentale sotto stress,
la perdita dei propriocettori e gli effetti corrosivi dei materiali che impongono una
riabilitazione di tipo protesico nella maggioranza dei casi.
23
Inoltre se l’obiettivo di un restauro diretto deve tenere conto della ritenzione del
restauro, qualora si opti per tale possibilità si deve ben valutare il disegno della cavità
residua, la quantità di dentina sana residua, il settore di appartenenza dell’elemento
dentario (molari, premolari), l’occlusione e la funzione anche non corretta del
paziente. Ricordando che i materiali compositi, oramai generalmente in uso e quasi
panacea della restaurativa hanno una contrazione da polimerizzazione, un elevato
coefficiente di contrazione ed espansione termica, un assorbimento d’acqua, una
porosità, una bassa resistenza all’abrasione ed un basso modulo elastico, una usura
relativa sia all’attrito che all’abrasione e pertanto vanno utilizzati per precise
indicazioni.
Si ritiene utile riproporre la formula di Schilder indicativa della percentuale di
successo di un trattamento, secondo cui lo stesso è condizionato dalla manualità
dell’operatore e dalla conoscenza e corretto uso dei materiali.
Formula di Schilder: 100% - (manualità dell’operatore) – (conoscenza e corretto
utilizzo dei materiali)
Aspetti peculiari dell’esercizio dell’attività odontoiatrica sono rappresentati dalla non
infrequente collaborazione fra più figure specialistiche o, comunque, con altre figure
professionali (igienista, assistente alla poltrona, odontotecnico) con richiamo
immediato alla responsabilità di èquipe, nonché il ricorso ad attrezzature tecniche più
o meno sofisticate e l’uso uso di materiali merceologicamente diversi in continua
evoluzione con richieste sempre più pressanti di un obbligo di risultato oltreché di
mezzi.
In merito alla responsabilità di èquipe merita di essere sottolineato che mentre in
ambito penalistico vale il principio della responsabilità personale soggettiva, per cui
in ogni caso viene ricercata e distinta l’eventuale singola responsabilità di ciascun
sanitario intervenuto, in sede civilistica deve essere valutato la posizione gerarchica
assunta dal professionista sanitario nell’ambito della èquipe. Laddove l’odontoiatra si
interfaccia con figure professionali gerarchicamente subalterne (collaboratore;
igienista dentale; odontotecnico; assistente alla poltrona), egli risponderà oltrechè di
24
suoi errori, anche dell’eventuale errata condotta dei sottoposti per colpa in eligendo
(da cattiva scelta del preposto) ed in vigilando (per mancata adeguata sorveglianza).
Nel caso in cui trattasi di professionisti sanitari aventi analoga posizione gerarchica,
ma diversa qualifica professionale ognuno di loro dovrà valutare l’attività svolta dai
membri dell’èquipe ed eventualmente porre rimedio ad eventuali errori macroscopici
e rilevabili con il supporto delle conoscenze comuni del professionista medio. Tale
dato ha notevole rilevanza per l’endodontista che genericamente presta la sua
competente opera professionale in più studi professionali e che spesso crea le basi
tecnico cliniche per altri colleghi che sull’endodonto sviluppano strategie
terapeutiche più onerose e delicate, modificando anche in parte il lavoro svolto
all’interno del canale.
7. CONCLUSIONE
Da uno studio conoscitivo condotto su 140 casi giudiziari di responsabilità
professionale venuti all’osservazione presso la Cattedra di medicina legale del
Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale ed il Dipartimento di
Scienze Odontostomatologiche e Maxillo-Facciale dell’Università degli Studi di
Napoli “Federico II” e relativi a soggetti di entrambi i sessi (54 maschi e 86
femmine), con età media di 45 anni (range 20-70) è emerso che un errato trattamento
conservativo-endodotico (37,5%) si associa il più delle volte ad un’errata
progettazione/applicazione di un dispositivo protesico (50% protesi fissa – 37,5%
implantologia).
L’analisi della documentazione clinica relativa allo stato anteriore disponibile ha
evidenziato la completa assenza della stessa nel 60% dei casi, con una documentata
acquisizione di un valido consenso all’atto terapeutico nel 5% dei casi.
Più frequentemente si è pervenuto ad un giudizio di responsabilità professionale
medica per aspetti di imperizia, con importi del danno emergente medi per i 2/3 del
campione oscillanti tra i 5.000 ed i 20.000 euro, pur in presenza di un danno
biologico permanente in circa l’80% dei casi pari od inferiore al 4%. Questi dati
25
riassuntivi, se pur su campione limitato, esplicitano la situazione attuale, dove ci si
continua a preoccupare dell’inquadramento fiscale del paziente e non di quello etico
professionale, pertanto in conclusione, appare opportuno fornire possibili
suggerimenti per un corretto comportamento professionale in odontoiatria, quali
impiegare adeguata cura e diligenza nella diagnosi e nel trattamento, con appropriati
standard di professionalità (sotto il profilo tecnico e merceologico), registrare i dati di
pretrattamento, stendere i piani di trattamento, registrare i dati del trattamento e
conservarli adeguatamente oltre il trattamento (5 anni), registrare i dati sulla
cooperazione del paziente, chiedere consulti scritti solo a specialisti o a strutture
qualificate,con quesiti scritti, evitare invece garanzie scritte o implicite di sicuro
successo clinico, colloquiare con il paziente e con la famiglia, sempre in presenza
anche del personale di studio, registrare il consenso informato e conservarlo, così
come fare apporre la firma sotto la cartella clinica, agire nel rispetto delle norme
deontologiche e evitare di criticare l’operato degli altri colleghi. Riconoscere con
umiltà un proprio errore professionale, interpellare colleghi ultraspecialisti,
documentando interventi che esulano dalla propria sfera di competenza, interrompere,
per iscritto, le cure di pazienti negligenti e valutare l’eventualità di azioni legali per il
recupero crediti .
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Letture consigliate
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