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Responsabilità amministrativo contabile del magistrato

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Responsabilità amministrativo contabile del magistrato
Dispensa
Responsabilità amministrativo contabile
del magistrato
a cura del:
prof. avv. Vito TENORE, Magistrato della Corte dei Conti, professore di materie pubblicistiche
presso la SNA (ex SSPA), la Scuola Superiore dell’economia e delle Finanze, Scuola Ufficiali
Carabinieri di Roma. Già Avvocato dello Stato, Magistrato Militare e Magistrato ordinario. Autore
del volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (coordinato da TENORE), La
responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010, cap. V.
1
LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVO-CONTABILE DEL MAGISTRATO
Di Vito Tenore (*)
SOMMARIO: 1. La responsabilità amministrativo-contabile del Magistrato: ambito di giurisdizione
della Corte dei Conti. – 2. Elementi strutturali dell’illecito amministrativo-contabile del magistrato.
– 3. Casistica giurisprudenziale.
(*) Lo studio è uno stralcio, con successive integrazioni, del volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE,
VITELLO (coordinato da TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè,
2010, cap. V.
1. La responsabilità amministrativo-contabile del Magistrato: ambito di giurisdizione della
Corte dei Conti.
La responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente, ivi compreso il
Magistrato, che cagioni un danno all'erario si configura qualora lo stesso (o soggetto legato alla p.a.
da rapporto di servizio, v. infra) provochi un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad
altro ente pubblico. Essa, dunque, non differisce strutturalmente dalla ordinaria responsabilità civile
(art. 2043 c.c.), se non per la particolare qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico
dipendente o soggetto legato alla p.a. da rapporto di servizio), per la natura del soggetto
danneggiato (ente pubblico e assimilati) e per la causazione del danno nell'esercizio di pubbliche
funzioni o in circostanze legate da occasionalità necessaria con lo svolgimento di pubbliche
funzioni.
Tale responsabilità trova la sua unitaria e fondamentale disciplina, sostanziale e processuale,
nelle l. 14 gennaio 1994, n. 19 e 20, come novellate dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639 (1).
1
Tra i principali studi monografici e non in materia di responsabilità amministrativa dopo la l. 14 gennaio 1994, n. 20,
senza pretesa di esaustività, si segnalano: TENORE (a cura di), La nuova corte dei conti: responsabilità, pensioni,
controlli, Milano, 2013, III ed.; NOVELLI, VENTURINI, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione
delle p.a. ed al diritto delle società, Milano, 2008; GARRI, DAMMICCO, LUPI, DELLA VENTURA, VENTURINI, I
giudizi innanzi alla Corte dei conti, responsabilità, conti, pensioni, Milano, 2007; CHIAPPINIELLO, La responsabilità
amministrativa nel giudizio dinanzi alla Corte dei Conti, Roma, 2007; PISANA, La responsabilità amministrativa
illustrata con la giurisprudenza più recente, Torino, 2007; AA.VV., Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme), atti del LI convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 2006;
SANTORO, L’illecito contabile, Sant.Arcangelo di Romagna, 2006; ATELLI, BRIGUORI, GRASSO, LAINO, Le
responsabilità per danno erariale, Milano, 2006; ZINGALE, La responsabilità amministrativa e contabile, in
GAROFOLI-LIBERATI (a cura di), La responsabilità della p.a. e dei suoi dipendenti, Milano, 2005, tomo I, 219 ss.;
ATELLI (a cura di), Giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità amministrativo-contabile a dieci anni dalle
riforme, Napoli, 2005; BAX, La corte dei conti - Le funzioni giurisdizionali e di controllo, Napoli, 2004; CIMINI, La
responsabilità amministrativa e contabile. Introduzione al tema ad un decennio dalla riforma, Milano, 2003;
MIRABELLA, Le responsabilità nella pubblica amministrazione e la giurisdizione contabile, Milano, 2003; AUTIERI, Il
risarcimento del danno nel processo amministrativo-contabile, in AA.VV. (a cura di DE PAOLIS), Il risarcimento del
danno nel processo civile, amministrativo, contabile, penale, tributario, Rimini, 2003, 415 ss.; SCIASCIA, Manuale di
diritto processuale contabile, Milano, 2003, 29 ss.; CORPACI, La responsabilità amministrativa alla luce della revisione
2
Tale normativa ha apportato significative modifiche alla materia, nonché al funzionamento del
giudice di tale responsabilità, ovvero la Corte dei conti. In particolare, ha unificato il differenziato
regime sostanziale della materia, che in precedenza trovava la sua fonte in testi non uniformi e
distinti a seconda dell'appartenenza dei dipendente ad amministrazioni statali (artt. 82 e 83, r.d. 18
novembre 1923, n. 2440; art. 52, r.d. 12 luglio 1934, n. 1914, artt. 18-20, d.P.R. 10 gennaio 1957, n.
3), enti locali (r.d. 3 marzo 1934, n. 383 e poi art. 58, l. 8 giugno 1990, n. 142), USL (d.P.R. 20
dicembre 1979, n. 761), enti pubblici non statali (l. 20 marzo 1975, n. 70). Questi ultimi testi
trovano ancora oggi applicazione nei limiti in cui non risultano abrogati dalle predette leggi n. 19 e
20 del 1994.
La generale applicabilità dell'attuale regime della responsabilità amministrativo-contabile a
tutti i dipendenti pubblici, non solo statali, anche dopo l'intervenuta « privatizzazione » del rapporto
di pubblico impiego, è confermata da settoriali previsioni: v. l'art. 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165
(« Per i dipendenti di cui all'art. 2, co. 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di
responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni
pubbliche »)2, l'art. 93 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (« Per gli amministratori e per il personale
degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati
civili dello Stato »), l'art. 33, d.lgs. 28 marzo 2000, n. 76 (« Gli amministratori e i dipendenti della
regione, per danni arrecati nell'esercizio delle loro funzioni, rispondono nei soli casi e negli stessi
limiti di cui alle l. 14 gennaio 1994, n. 20 e 20 dicembre 1996, n. 639 »). Per il personale non
privatizzato (magistrati, avvocati dello Stato, forze armate e di polizia, carriere prefettizie e
diplomatiche etc.), per il quale il d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 è ancora vigente, trova applicazione
la generale disciplina della l. n. 20 del 1994, sia in base alla generale portata della normativa, sia in
del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, 542 ss.; AA.VV. (A CURA DI SCHLITZER), L'evoluzione della
responsabilità amministrativa, Milano, 2002; MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino,
2002; AVALLONE-TARULLO, Il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, Padova,
2002; PAGLIARIN, Colpa grave ed equità, Padova, 2002; ORICCHIO, La giustizia contabile, Napoli, 2001; SCHIAVELLO,
La nuova conformazione della responsabilità amministrativa, Milano, 2001; GERACI, Il carattere personale della
responsabilità amministrativa. Profili processuali, in Foro amm., 2001, I, 790; SCHIAVELLO, voce Responsabilità
amministrativa, in Enc. dir., vol. III agg., Milano, 2000; PILATO, La responsabilità amministrativa: profili sostanziali e
processuali nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999; SCHIAVELLO, voce Responsabilità amministrativa, in Enc.
dir., III vol. agg. 1999; TENORE, La responsabilità amministrativo-contabile dei dipendenti dell'amministrazione
finanziaria, ed. Master, II ed., Roma, 1999; MADDALENA, Le nuove frontiere della responsabilità amministrativa
nell'attuale evoluzione del diritto amministrativo, in www.amcorteconti.it; MADDALENA, La nuova conformazione della
responsabilità amministrativa alla luce della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, in TAR, 1999, n. 2,
261; STADERINI-SILVERI, La responsabilità nella Pubblica Amministrazione, Milano, 1998; BUSCEMA-BUSCEMA,
Contabilità dello Stato e degli enti pubblici, Milano, 1998; TODARO MARESCOTTI, La responsabilità degli
amministratori e dei dipendenti nei confronti della p.a.: quale modello giurisdizionale?, in AA.VV., Le responsabilità
pubbliche, Padova, 1998; SCOCA (a cura di), La responsabilità amministrativa e il suo processo, Padova, 1997; FAZIO
G.-FAZIO M., Il bilancio dello Stato (controlli, responsabilità e giurisdizione), Milano, 1997; SPERANZA, Il nuovo
giudizio di responsabilità amministrativa, Roma, 1997; TENORE, La responsabilità amministrativa dei pubblici
dipendenti dopo le leggi 14 gennaio 1994, n. 20 e 20 dicembre 1996, n. 639, in Documenti giustizia, 1997, 2275;
GIAMPAOLINO, Prime osservazioni sull'ultima riforma della giurisdizione della Corte dei conti, in Foro amm., 1997, n.
10-11, 3328 ss.; RISTUCCIA, Il nuovo sistema della responsabilità e la giurisdizione della Corte dei Conti, in Riv. C.
conti, 1997, f. 2, 245; SEPE, La giurisdizione contabile, in Trattato di dir. amm. diretto da Santaniello, Padova, 1997;
DONNO, Danno erariale, 2ª ed., Milano, 1997; DENTAMARO, Il danno ingiusto nel diritto pubblico. Contributo allo
studio dell'illecito nella decisione amministrativa, I, Milano, 1996; ANELLI-IZZI-TALICE, Contabilità pubblica, Milano,
1996; MADDALENA, Responsabilità civile e amministrativa: diversità e punti di convergenza dopo le l. 19 e 20 del
1994, in Cons. Stato, 1994, II, 1428 ss. Tra gli scritti meno recenti v. MORGANTE, La responsabilità e la giustizia
contabile, in CORREALE (a cura di), Manuale di contabilità dello Stato, Napoli, 1993; BENNATI, Manuale di contabilità
di Stato, Napoli, 1990; SEPE, Giurisdizione contabile e di responsabilità, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988.
2
Sulla privatizzazione del rapporto di lavoro con la p.a. e sul regime delle responsabilità del pubblico dipendente v.
AA.VV. (a cura di TENORE, Manuale del pubblico impiego privatizzato, Eade, Roma, 2007. Sulle residue carriere non
privatizzate v. CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, trattato in 5 vol., Milano, 2007.
Sulla responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, v. POLI-TENORE, L’ordinamento militare, 2006,
vol.II, 785 ss.
3
virtù del richiamo operato dall'art. 23, d.P.R. n. 3 cit. «alle leggi » (ergo anche quelle sopravvenute)
in materia di responsabilità amministrativo-contabile.
Specificamente sulla responsabilità amministrativo-contabile dei magistrati, per attività
giurisdizionale o amministrativa (la distinzione, come si preciserà in seguito sub punto a, è
irrilevante in punto di giurisdizione), i contributi dottrinali non sono numerosi, mentre non mancano
interventi giurisprudenziali3.
Il problema basilare che pone la responsabilità per danni alle casse pubbliche arrecati dal
magistrato è quello dei limiti della giurisdizione contabile, a fronte degli art.7 ed 8 della legge 13
aprile 1988 n.117 che, come si è visto, devolvono al giudice ordinario la rivalsa dello Stato per i
danni risarciti (sempre innanzi all’a.g.o. ex art.2 e 4 , l. n.117) dallo Stato-Presidenza del Consiglio
a terzi a causa di “comportamento, atto o provvedimento” giudiziario posto in essere da un
magistrato con “dolo o colpa grave” “nell'esercizio delle sue funzioni” ovvero conseguente “a
diniego di giustizia”.
Per risolvere tale annoso problema, oggetto di interventi giurisprudenziali e dottrinali,
occorre partire da un dato normativo basilare e inequivoco: la giurisdizione della Corte dei Conti ha
portata generale su tutti i pubblici dipendenti (e i magistrati sono appunto tali) in base alla l. 14
gennaio 1994 n.20, e tale giurisdizione viene specificamente ribadita per i magistrati da diverse
norme settoriali: l’art.81, u.co., r.d. n.2440 del 1923 stabilisce che “Gli ufficiali pubblici stipendiati
dallo Stato, compresi quelli dell'ordine giudiziario e specialmente quelli a cui è commesso il
riscontro e la verificazione delle casse e dei magazzini, debbono rispondere dei valori che fossero
per loro colpa o negligenza perduti dallo Stato“ e l’art.83, co.1, del medesimo r.d. n.2440 chiarisce
che “i funzionari di cui ai precedenti art.81 e 82 sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei
Conti”; l’art.52, r.d. n.1214 del 1934 afferma che “I funzionari impiegati ed agenti, civili e militari,
compresi quelli dell'ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni
statali a ordinamento, autonomo, che nell'esercizio delle loro funzioni per azione od omissione
imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione
dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla
legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi
speciali”; gli art.18 e 19, d.P.R. n.3 del 1957 ribadisco la generalizzata giurisdizione contabile; la
stessa legge Pinto n. 89 del 2001 sopra analizzata prevede, all’art.5, che il decreto di accoglimento
della domanda di equa riparazione è comunicato “al procuratore generale della Corte dei conti, ai
fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità”; infine l’art.172 del d.P.R. n.115 del
2002 (t.u. sulle spese di giustizia) stabilisce che “i magistrati e funzionari amministrativi sono
responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del
danno subito dall’erario….secondo la disciplina generale in tema di responsabilità
amministrativa”.
3
In dottrina RISTUCCIA, La responsabilità per danno erariale, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei
magistrati, Napoli, 2009, 215 ss.; NOVELLI, La responsabilità amministrativa e contabile del magistrato, in Giust.civ.,
2008, f.4, 183 ss.; PERIN, La responsabilità amministrativa del magistrato per la liquidazione delle spese per i periti,
in www.lexitalia,it, 2006, 10; POMPONIO, Funzioni giurisdizionali e responsabilità amministrativa, in Foro amm.CdS, 2003, 3145; PERRECA, Attività giurisdizionale ed attività amministrativa dei magistrati: condizioni, contenuto e
limiti del relativo sindacato giurisdizionale, in Riv.C.conti, 2003, n.1, 170; ROSSI BRIGANTE, La responsabilità
amministrativa negli apparati giudiziari e carcerari secondo la giurisprudenza contabile dell’ultimo decennio, in
Amm.it., 1975, n.4, 483 ss.
4
A fronte di tale chiarissimo ed univoco dato legislativo, la stessa Consulta, con la rilevante
sentenza 5 novembre 1996 n.3854, ha statuito che non sono ravvisabili principi costituzionali che
possano escludere la giurisdizione della Corte dei conti sulla responsabilità dei magistrati per danno
all’erario: gli stessi art.101, 102, 104 e 108 cost., nel garantire l’autonomia e l’indipendenza della
magistratura, “non assicurano al giudice uno status di assoluta irresponsabilità, pur quando si
tratti di esercizio delle sue funzioni riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione di
giurisdizione”.
Tale conclusione favorevole, di regola, ad una piena giurisdizione contabile sui magistrati è
integralmente confermata dalle sezioni unite della Cassazione con la recente sentenza 27 maggio
2009 n.122485.
Assunti i suddetti dati normativi e giurisprudenziali quale punto di partenza per la soluzione
del quesito posto in punto di giurisdizione, va però ribadito che la l. n.117 del 1988, a fronte della
condanna dello Stato a risarcire (in via esclusiva verso terzi) i danni arrecati dal Magistrato, ha
attribuito al giudice ordinario, e non già alla Corte dei Conti, la giurisdizione sul giudizio di rivalsa
dello Stato “condannato” nei confronti del Magistrato: la l. n.117 del 1988 non parla di obbligo di
segnalazione del danno erariale arrecato alla Procura della Corte dei Conti (giudice naturale dei
danni alle casse pubbliche, ivi compreso quello c.d. indiretto derivante da condanna in sede civile
della p.a. per condotte di suoi dipendenti), ma di una più edulcorata azione civile
(obbligatoriamente) proposta su iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri innanzi all’a.g.o.
entro termini ben più brevi di quelli generali prescrizionali (5 anni valevoli per i restanti dipendenti
pubblici). Difatti, secondo l’art.7, l. n.117, “Lo Stato, entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla
base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità di
cui all'articolo 5, esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato”.
Come si è già in precedenza chiarito, a fronte del suddetto dato normativo statuente una
esclusiva azione civile contenuto nella l. n.117, la proponibilità di una concorrente azione di rivalsa
innanzi alla Corte dei Conti nei confronti del Magistrato autore di un danno erariale è stata oggetto
di rilevanti interventi ostativi della Corte Costituzionale e delle Sezioni unite della Cassazione, le
quali hanno chiarito che, pur sussistendo la conciliabilità in linea di principio dell'indipendenza
della funzione giudiziaria con la responsabilità nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre
che penale, ma anche amministrativa, nelle sue diverse forme6, l'attribuzione alla Corte dei Conti 4
C.cost., 5 novembre 1996 n.385, in www.cortecostituzionale.it.
Cass., sez.un., 27 maggio 2009 n.12248, in Ced Cassazione.
6
C.cost., 5 novembre 1996, n. 385 in www.cortecostituzionale.it, che evidenzia come gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.,
non assicurano al giudice uno status di assoluta irresponsabilità, anche quando si tratti di esercizio delle sue funzioni
riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione di giurisdizione. Aggiunge Cass., sez.un., 27 maggio 2009 n.12248, in
Ced Cassazione, che “a prescindere dalla previsione di cui al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 52, recante il T.U. delle
leggi sulla Corte dei Conti - secondo cui "sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla
legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali, tra gli altri "i
funzionari, impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario "che nell'esercizio delle loro
funzioni per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra
amministrazione dalla quale dipendono, la più recente legislazione ha confermato la soggezione anche dei magistrati
alla giurisdizione della Corte dei Conti (cfr., il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 112, art. 172, contenente il T.U. delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (che la Corte Costituzionale nella pronunzia da
ultimo richiamata ha escluso abbia natura innovativa), secondo cui "i magistrati e i funzionari amministrativi sono
responsabili delle liquidazioni e del pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall'erario
a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità
amministrativa, nonchè L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5, comma 1, quanto alla previsione di una equa riparazione in caso
di violazione del termine ragionevole del processo, secondo cui "il decreto di accoglimento della domanda di equa
riparazione, di chi ha subito un danno per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragione del processo è
comunicato a cura della cancelleria, oltre che alle parti, al procuratore generale della Corte dei Conti, ai fini
dell'eventuale avviso del procedimento di responsabilità”.
5
5
da parte dell'art.103 Cost., co.2 - della giurisdizione in materia di contabilità pubblica (comprensiva
sia dei giudizi di conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale), non ha
carattere cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente generale, sicchè la concreta attribuzione
della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa richiede
l'interpositio del legislatore ordinario, cui competono valutazioni e scelte discrezionali 7. Ne
consegue che, alla luce del chiaro disposto della l. n.117 del 1988, l'attività giudiziaria svolta da un
magistrato, salvo il caso di commissione di reato, è sempre e comunque insindacabile in sede di
rivalsa giuscontabile e, quindi, è in assoluto devoluta all’a.g.o. Pertanto, stante la tassatività delle
ipotesi in cui è configurabile la giurisdizione, per danno erariale, della Corte dei Conti - deve
affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario, sia in applicazione della le regola generale
espressa dall'art. 1 c.p.c., che "salvo speciali disposizioni di legge attribuisce ai "giudici ordinari "la
giurisdizione civile” (e, quindi, le controversie in tema di responsabilità civile), sia alla luce della L.
13 aprile 1988, n. 117, che in tema di "risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie” (a soggetti diversi dallo Stato) attribuisce le relative controversie alla giurisdizione del
giudice ordinario8.
Se, dunque, la l. n.117 del 1988 devolve all’a.g.o. solo e soltanto la rivalsa per il danno
patrimoniale indiretto arrecato dal Magistrato allo Stato che ha risarcito in sede civile il terzo
danneggiato nell’esercizio di funzioni giurisdizionali, in tutte le restanti ipotesi di danno erariale
arrecato dal Magistrato allo Stato si riespande la generale giurisdizione contabile. Queste evenienze
devolute alla Corte dei Conti sono così schematizzabili:
a) ipotesi di danno diretto arrecato dal Magistrato alla propria o ad altra amministrazione, in quanto
la legge n.117 attribuisce all’a.g.o. solo i danni patrimoniali indiretti da attività giurisdizionale9.
Tale danni possono essere arrecati con azioni o omissioni espressive sia di attività giurisdizionale
che di attività amministrativa del magistrato: assolutamente priva di fondamento è dunque la tesi,
talvolta affiorata in giurisprudenza10, che, distinguendo tra attività dannosa giurisdizionale e non
giurisdizionale del Magistrato, devolve la prima all’a.g.o. ex l. n.117 e la seconda alla Corte dei
conti. E’ agevole rilevare che la l. n.117 attribuisce all’a.g.o. la rivalsa per i soli danni indiretti
frutto di attività giurisdizionale, mentre per quelli direttamente cagionati alla p.a. (con atti
giurisdizionali o amministrativi del giudice espressivi entrambi di condotte dannose) trovano
applicazioni le comuni regole generali sopra ricordate, come confermato, seppur sinteticamente,
7
C.cost., 17 dicembre 1987 n.641; C.cost., 12 gennaio 1993, n.24; C.cost., 5 novembre 1996 n.385, tutte in
www.cortecostituzionale.it.
8
Cfr. Cass., sez.un., 27 maggio 2009 n.12248, cit.; C.cost., 2 gennaio 1990, n. 5 in www.cortecostituzionale.it.
La tesi della giurisdizione contabile sui danni diretti arrecati alla p.a. è condivisa da RISTUCCIA, La responsabilità
per danno erariale cit., 221. Contra, ma erroneamente, C.conti, sez.Sicilia, **1995 n.394 (in Riv.C.conti, 1995, f.6,
178) che devolve anche il danno diretto all’a.g.o. ex l. n.117 (che, invece, non afferma affatto quanto ritenuto dalla
sezione sicula).
10
La distinzione affiora in C.conti, sez.Lombardia, **1996 n.1091, in Riv.C.conti, 1996, f.3, 112, che pur attribuisce in
generale alla giurisdizione contabile i danni diretti alla p.a., ma solo (e qui erra) se espressivi di attività non
giurisdizionale. Per l’insindacabilità da parte della Corte dei conti di funzioni giurisdizionali v. anche C.conti,
sez.Calabria, 29 maggio 2003 n.490 (in Riv.C.conti, 2003, f.4, 124), confermata in appello da C.conti, sez.I, 31 maggio
2007 n.144 (in www.corteconti.it) che afferma lapidariamente: “Non si rende, pertanto, applicabile al magistrato,
nell'ipotesi in questione, qualsivoglia norma sulla responsabilità amministrativa in quanto l'attività giurisdizionale o
strumentale ad essa deve ritenersi insindacabile in questa sede con la conseguente necessità di declinare la
giurisdizione in materia” . La tesi è recepita anche da C.conti, sez.I, 13 marzo 2007 n.53, ivi.
Per il più corretto riconoscimento della giurisdizione contabile su danni diretti anche se espressivi di attività
giurisdizionale v. invece in dottrina RISTUCCIA, La responsabilità per danno erariale cit., 221 ss.; NOVELLI, La
responsabilità cit., 196 ss. e in giurisprudenza C.conti, sez.Emilia Romagna, **2003 n.521, in Foro amm.-Cons.St.,
2003, 3136, anche se poi, nella specie, la sezione emiliana qualifica come amministrativa l’attività sub iudice (nomina
di un numero elevato di giudici popolari ed erogazione di indennità a favore di giudici popolari in posizione aggiuntiva
e non aggregati a collegi giudicanti).
9
6
dalla Consulta con la ricordata sentenza n.385 del 1996, che non esclude la giurisdizione contabile
su “atti di esercizio della funzione giurisdizionale”.
La Corte dei conti ha speso vagliato (con esiti talvolta di condanna, in altri di assoluzione, in
altri ancora di difetto di giurisdizione) fattispecie di danno patrimoniale diretto prodotto da
magistrati e tra le principale fattispecie possono ricordarsi:
- danni da omessa vigilanza sugli addetti alla cancelleria preposti al servizio del campione
penale11;
- danni da omesso versamento all’ufficio del registro di somme e titoli riscossi12;
- danni da emanazione di un decreto ingiuntivo nei confronti di una amministrazione debitrice
per somma superiore a quella indicata in fattura13;
- danni da uso non istituzionale di auto di servizio14;
- danni da omesso o tardivo dissequestro di beni dopo sentenza penale15;
- danni per percezione non dovuta di indennità di missione durante attività di verifica di
registri dello stato civile o di presidente di commissione elettorale16;
- danni da erogazione di indennità non dovute a giudici popolari non utilizzati e tenuti “a
disposizione”17;
- danni da liquidazione di numerosi onorari per consulenze connesse ad intercettazioni
telefoniche e ambientali, acquisto e noleggio di apparecchiature in realtà non avvenuto18;
- danni da liquidazione di elevati compensi a periti senza svolgere alcun controllo e in
presenza di ingiustificati e diffusi raddoppi di onorari in assenza dei relativi presupposti19;
- danni da indebita percezione, da parte di un giudice di pace, di indennità connesse al
deposito di numerose sentenze di identico contenuto, pronunciate nella stessa udienza e
frutto di una artificioso frazionamento delle cause, che sarebbero state da trattare in un unico
giudizio20;
- danni da indebita percezione di compenso fisso da parte di giudice tributario assente da oltre
un decennio dalle udienze senza autorizzazione21;
- danni all’immagine della p.a. per condotte penalmente rilevanti del magistrato nell’esercizio
delle proprie funzioni (corruzione, concussione, ricettazione, abuso d’ufficio etc.)22;
11
C.conti, sez.Puglia, 13 giugno 2002 n.533; id., sez.Lazio, 2 settembre 1998 n.2149; id., sez.I, 21 maggio 1971 n.57;
id., sez.II, 30 ottobre 1971 n.61, entrambe in Foro amm., 1971, I, 168 e 1972, I, 168. Sul punto ROSSI BRIGANTE, La
responsabilità amministrativa negli apparati giudiziari e carcerari secondo la giurisprudenza contabile dell’ultimo
decennio, in Amm.it., 1975, f.4, 483. Per un caso di mancato recupero del campione penale e dei diritti di cancelleria v.
id., sez.Sicilia, 12 aprile 1995 n.92.
12
C.conti, sez. II, 19 luglio 1971 n.44; id., sez.II, 18 maggio 1970 n.80; id., sez.I, 31 luglio 1969 n.33.
13
C.conti, sez.Sicilia, 6 dicembre 1995 n.394, in Riv.C.conti, 1995, f.6, 178 ss. La sentenza erra tuttavia nel ritenere la
controversia devoluta alla giurisdizione ordinaria in base alla l. n.117 del 1988, trattandosi invece di danno diretto alla
p.a., come tale non rientrante nella portata applicativa della l. n.117.
14
C.conti, sez.Emilia Romagna, 25 ottobre 2007 n.819; id., sez.Molise, 8 febbraio 1999 n.36; id., sez.Basilicata, 18
gennaio 1997 n.4, tutte in www.corteconti.it.
15
C.conti, sez.Calabria, 29 maggio 2003 n.490 (in Riv.C.conti, 2003, f.4, 124), confermata in appello da C.conti, sez.I,
31 maggio 2007 n.144 (in www.corteconti.it), che erroneamente ritengono non sindacabili dalla Corte, per difetto di
giurisdizione, atti giurisdizionali del giudice.
16
C.conti, sez.riun., 24 settembre 1991 n.726, in www.corteconti.it.
17
C.conti, sez.Emilia Romagna, 12 febbraio 2003 n.521, in Riv.C.conti, 2003, f.1, 170 con nota di PERRECA e in Foro
amm.-CdS, 2003, 3145 con nota di POMPONIO.
18
C.conti, sez.Calabria, 24 gennaio 2006 n.411, in www.corteconti.it.
19
C.conti, sez.Lombardia, 12 ottobre 2006 n.553 in www.lexitalia.it, 2006, n.10, con nota di PERIN, La responsabilità
amministrativa del Magistrato per la liquidazione delle spese per i periti.
20
C.conti, sez.Abruzzo, 5 maggio 2004 n.503, poi riformata in appello da C.conti, sez.I, 13 marzo 2007 n.53 (entrambe
in www.corteconti.it) sulla base del principio di insindacabilità delle scelte del giudice di trattare separatamente giudizi
identici. La sentenza di appello erroneamente afferma poi l’insindacabilità dei provvedimenti giurisdizionali del giudice
da parte della Corte dei Conti, che può giudicare solo atti amministrativi del giudice.
21
C.conti, sez.Emilia Romagna, 28 dicembre 2007 n.998, in www.corteconti.it.
7
A tali ipotesi già vagliate dalla Corte dei conti, ben possono affiancarsi altri ipotetici casi di
“malagiustizia”: si pensi, tra tali danni diretti, al caso di uso non istituzionale di beni d’ufficio (auto
blu, telefono, collegamenti web, beni strumentali etc.), alla mancata segnalazione alla Procura
contabile da parte dei vertici di un ufficio di fatti dannosi per l’erario prodotti da personale
amministrativo o magistratuale con conseguente prescrizione dell’azione giuscontabile (art.1, co.3,
l. n.20 del 1994), a rimborsi gonfiati per missioni o per partecipazioni a commissioni consiliari,
all’omessa o inadeguata custodia di valori nell’ufficio, alla appropriazione di beni d’ufficio (libri,
PC, arredi).
Né vanno dimenticati i possibili danni arrecabili da Magistrati in conseguenza di attività
gestionali connesse all’esercizio di compiti amministrativi o politici (es.assessori) in posizione di
fuori ruolo presso la propria amministrazione o presso altri Ministeri, Autorities o organismi
pubblici nazionali o sovranazionali: quali organi apicali di uffici o direzioni generali di Ministeri o
quali capi di gabinetto o di uffici legislativi, i magistrati possono effettuare scelte gestionali
gravemente colpose dannose per l’erario, erogando somme non dovute, conferendo incarichi e
consulenze contra legem, facendo prescrivere crediti vantati dall’amministrazione verso terzi, mal
gestendo contenziosi aventi l’amministrazione ove prestano servizio “amministrativo” come parte,
mal gestendo procedure di gara etc.. A tale categoria di danno possono poi essere ricondotti i
mancati riscontri, per colpa grave, di danni erariali durante le ispezioni svolte su uffici giudiziari da
parte di magistrati addetti a servizi ispettivi ministeriali, con conseguente prescrizione dell’azione
giuscontabile ex art.1, co.3, l. n.20 del 199423. Né vanno dimenticati danni arrecabili alla p.a. da
magistrati componenti di commissioni di concorso le cui procedure (assai costose) venissero
annullate in via amministrativa o giurisdizionale per macroscopici errori frutto di ignoranza di
basilari regole sui pubblici concorsi. Assai ampia è, infine, la possibile casistica concernente danni
all’immagine arrecati da magistrati in relazione ad illeciti penali connessi a compiti d’ufficio.
b) Parimenti devolute alla giurisdizione contabile sono le azioni di rivalsa in caso di danno
patrimoniale indiretto frutto di condotte del Magistrato configuranti reato. In tale evenienza è la
stessa l. n.117 del 1988, all’art.13, co.2, a devolvere alla Corte dei conti l’azione di recupero 24, in
quanto la commissione di un reato nell’esercizio delle funzioni fa venir meno l’esigenza di una
speciale e più favorevole disciplina della responsabilità del magistrato ex l. n.117 del 1988: lo
stesso non solo potrà essere convenuto direttamente in giudizio (in aggiunta o esclusivamente,
secondo le comuni regole dell’art.28 cost.) in sede civile-risarcitoria dal terzo leso (art.13, co.1, l.
n.117), ma qualora venisse evocato e condannato in sede civile il solo condebitore in solidum-Stato,
la rivalsa avverrà innanzi alla Corte dei conti secondo le comuni regole della l. 14 gennaio 1994
n.20 (art.13, co.2, l. n.117). In tale deplorevoli evenienze, una frequente contestazione riguarderà il
c.d. danno all’immagine arrecato all’amministrazione giudiziaria dal Magistrato.
In tale situazioni, si ripropone l’antico problema del possibile concorso della suddetta azione
giuscontabile con una parallela azione civile risarcitoria (o una costituzione di parte civile in sede
penale) da parte della p.a. danneggiata: sul punto, risolto favorevolmente dalla giurisprudenza (con
il limite intrinseco del divieto di doppia condanna in sede contabile ed il sede civile), è sufficiente
rinviare a studi specifici25. In uno concreto precedente concernente un magistrato autore di reati di
corruzione in atti giudiziari, la Cassazione26 ha ammesso detto concorso.
22
C.conti, sez.I, 21 gennaio 2008 n.42; id., sez.Campania, 27 dicembre 2007 n.4171; id., sez.Emilia Romagna, 25
ottobre 2007 n.819; id., sez.Campania, 10 maggio 2007 n.1615; id., id., sez.Campania, 25 giugno 2003 n.270; id.,
sez.Piemonte, 23 luglio 2001 n.773, tutte in www.corteconti.it.
23
Sul tema v. TENORE, L’ispezione amministrativa ed il suo procedimento, Milano, 1999.
24
Cass., sez.un., 27 maggio 2009 n.12248 cit.; id., sez.un., 24 marzo 2006, n. 6582, in Ced Cassazione; C.cost., 6 luglio
2006, n. 273, in www.cortecostituzionale.it.
25
Sul problematico concorso tra azione contabile e civile si rinvia alla vasta giurisprudenza citata da TENORE, La
nuova Corte dei conti, cit., 12 e a NOVELLI, La responsabilità cit., 211 ss.
26
Cass., sez.IV, 4 gennaio 2004 n.**
8
c) Sempre attribuita alla Corte dei conti è la rivalsa verso il Magistrato (o altri operatori giudiziari)
per danni risarciti dallo Stato a terzi per l’irragionevole durata del processo in base alla
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ed alla legge Pinto 24 marzo 2001 n.89 analizzate nel
paragrafo 3.2, punto c) .
L’art.5, della n.89 prevede testualmente che il decreto di accoglimento della domanda che
condanna lo Stato va doverosamente (e non facoltativamente) comunicato a cura della Cancelleria
anche al Procuratore generale (recte al Procuratore regionale territorialmente competente) ai fini
dell’eventuale giudizio di rivalsa nei confronti del magistrato o funzionario amministrativo
ritardatario, nonché ai titolari dell’azione disciplinare (funzionari amministrativi, in base alla
formulazione testuale della l. n.89, ma anche magistrati, secondo generali principi). Trattasi di altra
ipotesi di rivalsa che sfugge al sistema previsto dalla l. n.117 del 1988.
Come già detto, tale giudizio di rivalsa giuscontabile dovrà necessariamente valutare il dolo
o la colpa grave degli autori del ritardo, mentre la l. Pinto pone un obbligo risarcitorio connesso
tendenzialmente all’oggettivo ritardo. Non mancano ormai diverse pronunce della Corte dei conti
sul punto, che hanno spesso vagliato proprio il profilo soggettivo (di regola colpa grave per ritardo
nel deposito di sentenze) per escludere la responsabilità di magistrati ritardatari, valutando sovente
il disastroso stato organizzativo degli uffici giudiziari e le plurime funzioni attribuite al singolo
magistrato27. In sintesi si valutano in sede giuscontabile le medesime circostanze che la sezione
disciplinare del CSM vaglia per i medesimi fatti in sede punitiva interna.
d) In ordine ai risarcimenti ad opera dello Stato di danni a terzi a seguito di mancata applicazione di
norme comunitarie (v. il precedente paragrafo 3.2, lett.d), ove si ritenga che si tratti di ristori erogati
dallo Stato in base a principi, procedure e presupposti diversi da quelli della l. n.117 del 1988, tale
normativa risulterà inapplicabile sia per l’azione diretta verso lo Stato da parte dei soggetti lesi
(art.2-4), sia per la rivalsa devoluta all’a.g.o. (art.7-8), con conseguente riespansione della
giurisdizione contabile ex l.n.20 del 1994 nei confronti del Magistrato autore dell’errore. Non ci
risultano precedenti giurisprudenziali sul punto.
e) Circa poi i risarcimenti ad opera dello Stato di danni a terzi a seguito di condanna ingiusta
accertata in sede di revisione a norma dell'art. 643 cod. proc. pen., di custodia cautelare ingiusta ex
art. 314 cod. proc. pen., ove si ritenga che si tratti di ristori erogati dallo Stato in base a principi,
procedure e presupposti diversi da quelli della l. n.117 del 1988 (che, all’art.14, sembra sottrarre
dalla propria applicazione tali ipotesi28), tale normativa risulterà inapplicabile sia per l’azione
diretta verso lo Stato da parte dei soggetti lesi (art.2-4), sia per la rivalsa devoluta all’a.g.o. (art.7-8),
con conseguente riespansione della giurisdizione contabile ex l.n.20 del 1994 nei confronti del
Magistrato autore dell’errore. Ove invece si ritenesse che l’art.2, co.3, lett.d), della l.n.117
(“emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla
legge oppure senza motivazione “) riguardi anche le due suddette ipotesi di condanna ingiusta
accertata a seguito di revisione o, per lo meno, di custodia cautelare ingiusta, potrebbe parlarsi di
proponibilità (anche?) dell’azione risarcitoria diretta ex l. n.117 verso lo Stato, con rivalsa sempre
devoluta all’a.g.o. ex l. n.11729.
27
C.conti, sez. Sicilia, 2 marzo 2009 n.577, in www.corteconti.it; id., sez.Sicilia, 11 aprile 2006 n.176 e id.,
sez.Lombardia, 24 novembre 2005 n.733, in www.corteconti.it. Le ultime due decisioni sono commentate da
NOVELLI, La responsabilità, cit. 215 ss.
28
L’art.14 della l. n.117 testualmente recita “Riparazione per errori giudiziari. 1. Le disposizioni della presente legge
non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione”.
29
Sul problematico punto v. TURCO, La riparazione per ingiusta detenzione dopo la recente riforma: profili
sistematici e prospettive evolutive, in Cass.pen., 2002, f.10, 3255.
9
f) Decisamente problematica è, infine, la possibilità di convenire direttamente innanzi alla Corte dei
conti, quale autore di danno diretto, il magistrato che danneggi la p.a. quale parte in un giudizio
innanzi a sé (es. giudice che condanni un Comune debitore a pagare un importo superiore a quello
reclamato in giudizio dal creditore). Difatti secondo taluni, in tale evenienza, l’amministrazione
danneggiata dovrebbe agire ex art.2-4, l.n.117 del 1988 contro….lo Stato e, una volta
definitivamente condannato, quest’ultimo dovrebbe convenire il magistrato innanzi all’a.g.o. ex
art.7 e 8, l. n.117: in sintesi lo Stato dovrebbe agire contro se stesso al solo fine di rivalersi contro il
Magistrato.
Tale indirizzo ci sembra non condivisibile, risultando evidente la inutile macchinosità del
doppio procedimento innanzi all’a.g.o. a fronte di un danno in realtà non già indiretto, ma
direttamente prodotto alla p.a. dal magistrato: sul danno diretto non vi è spazio applicativo per la l.
n.117, come sopra chiarito, con conseguente giurisdizione contabile30.
4.1. Elementi strutturali dell’illecito amministrativo-contabile del Magistrato.
Accertata la sussistenza della giurisdizione contabile nei confronti dei magistrati nelle
ipotesi sovra evidenziate, in cui non opera la rivalsa ex l. n.117 del 1988 innanzi all’a.g.o., e
ribadito che va esclusa la giurisdizione contabile sui danni non arrecati dal magistrato nell’esercizio
di compiti istituzionali (attività extralavorative non legate da occasionalità necessaria con compiti
d’istituto), vanno sinteticamente analizzate le componenti strutturali dell’illecito amministrativocontabile: a) condotta, b) evento dannoso, c) elemento psicologico, d) nesso causale31.
a) In relazione all’elemento condotta, va in primo luogo ricordato che la responsabilità
amministrativa, al pari di quella disciplinare, va desunta da condotte illecite dei dipendenti pubblici
(ivi compresi i Magistrati) e non necessariamente da atti illegittimi posti in essere dagli stessi.
Ciò che assume rilevanza è, dunque, la violazione dei doveri di ufficio e l'inadempimento di
obblighi di gestione. La mera illegittimità dell'atto può dunque essere un mero indice sintomatico
della illiceità di una condotta dannosa.
Ne consegue che la Corte dei conti, pur non potendolo annullare, può incidentalmente valutare
la legittimità o meno di un atto amministrativo (giungendo eventualmente anche a conclusioni
discordanti rispetto a quelle del giudice amministrativo presso il quale l'atto sia stato impugnato
principaliter), al solo fine di coglierne i sintomi o i riflessi di illiceità della condotta posta in essere
attraverso l'adozione dell'atto stesso e non incontra i limiti valutativi posti al giudice amministrativo
dall'oggetto « provvedimentale » del giudizio (32). A maggior ragione tali conclusioni valgono a
fronte di atti del giudice, soprattutto se di natura giurisdizionale. In ogni caso, come evidenziato nel
predente paragrafo 4, sub. a), la distinzione tra atti giurisdizionali ed atti amministrativi del giudice
non assume rilevanza in punto di giurisdizione, valutando la Corte dei conti comportamenti dannosi
in tutti i casi (frutto o meno di scelte attizie) alla stessa non sottratti dalla l. n.117 del 1988.
30
La tesi qui propugnata è condivisa da NOVELLI, La responsabilità amministrativa cit., 207 ss., che aggiunge che la
giurisdizione contabile nella specie non rappresenta affatto un vulnus all’indipendenza della magistratura. L’Autore dà
contezza anche di un indirizzo contrario.
31
Per una compiuta disamina di tali elementi strutturali, si rinvia a TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità,
pensioni, controlli, Milano, 2008, II ed., 10 ss.
32
Sulla distinzione in dottrina tra atto illegittimo e condotta illecita v. TENORE, La nuova Corte dei conti cit., 70 ss.
Sulla distinzione de qua in giurisprudenza cfr. tra le tante, C. conti, sez. riun., 20 febbraio 1990, n. 652/A, in
Riv. C. conti, 1990, f. 3, II, 45; id., sez. riun., 23 giugno 1992 n. 792, in Riv. C. conti, 1992, f. 4, 36 ss. Sulla illegittimità
del provvedimento come indice sintomatico dell'illiceità comportamentale v. C. conti, sez. II, 27 giugno 1995, n. 62, in
Riv. C. conti, 1995, f. 4, 72; id., sez. riun., 19 settembre 1990, n. 684/A, in Riv. C. conti, 1990, f. 6, 44.
10
Come si è visto nella breve rassegna giurisprudenziale effettuata nel precedente paragrafo 4,
la condotta dannosa del pubblico dipendente-magistrato, che origina una sua personale
responsabilità amministrativa, può essere, al pari di altre forme di responsabilità (civile, penale,
disciplinare), attiva o omissiva. Come è noto, si assiste, a livello giurisprudenziale, alla progressiva
crescita di giudizi originati da danni erariali cagionati da condotte omissive di pubblici dipendenti.
A tale linea evolutiva non si sottraggono altre forme di illecito (civile, penale, disciplinare), come si
evince dalla lettura dei repertori degli ultimi anni delle varie magistrature, ricchissimi di fattispecie
omissive. I giudizi contabili hanno vagliato fattispecie molto varie33.
Tra le condotte omissive foriere di danno erariale va altresì segnalata l'importante fattispecie
introdotta dall'art. 1, co. 3, l. n. 20 del 1994, secondo il quale: «Qualora la prescrizione del diritto
al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono
del danno erariale i soggetti che hanno emesso o ritardato la denuncia. In tali casi, l'azione è
proponibile entro cinque anni dalla data entro cui la prescrizione è maturata » (34). Trattasi
dell'ipotesi di responsabilità amministrativa da omessa denuncia alla Corte dei conti di fatti dannosi
per l'Erario che ben può ipotizzarsi per i dirigenti di uffici giudiziari o di magistrati preposti a
compiti ispettivi.
La condotta omissiva all'origine di danni erariali può spesso far capo, in considerazione
degli specifici compiti attribuiti, ai soggetti preposti ad attività di controllo che, non svolgendo una
adeguata vigilanza, cagionino o concorrano alla causazione di un illecito: la casistica potrebbe
riguardare omessi riscontri da parte di magistrati dirigenti su propri subordinati, omessi controlli in
sede ispettiva,
Sempre in ordine all'elemento strutturale «condotta», va rimarcata la notevole valenza
teorica ed operativa del principio di insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, sancito dal
novellato art. 1, co. 1, l. n. 20 del 1994.
Trattasi di una conferma settoriale del generale principio del riparto dei poteri già enunciato
dalla magistratura contabile in alcune pregresse decisioni: come ha ribadito la Corte dei conti a
sezioni riunite, la ratio della norma va ricercata nel principio generale secondo cui il giudice non
può sostituirsi all'amministrazione nel valutare quali siano le migliori scelte gestionali e i migliori
strumenti da utilizzare (35). Inoltre, un pregnante sindacato su tali scelte discrezionali
paralizzerebbe, o, quanto meno, potrebbe condizionare le iniziative di pubblici amministratori o
dirigenti. A maggior ragione tale regola può trovare vasta applicazione a fronte di atti
giurisdizionali del magistrato, che sono sindacabili solo attraverso i canali processuali dell’appello e
della Cassazione, come conferma, in sede di responsabilità civile, l’art.2, l. n.117 che recita:
33
Tra tali ipotesi si segnalano casi di omessa o tardiva conclusione di procedimenti di pagamento nei termini prescritti
da contratti o dalla normativa attuativa dell'art. 2, co. 2, l. 7 agosto 1990, n. 241 (all'origine dell'esborso di interessi,
rivalutazione e, talvolta, di spese di lite in giudizi intrapresi innanzi al giudice ordinario o amministrativo); di omesso
utilizzo di opere pubbliche; di omesso azionamento di pretese risarcitorie da parte della p.a.; di omessa adozione di
mezzi di vigilanza per prevenire furti; di omessa adozione di ordini di servizio per prevenire incidenti sul lavoro poi
verificatisi; di omessa iscrizione della tassa per l'occupazione di suolo pubblico; di omesso controllo su ditta
appaltatrice che cagioni un danno all'amministrazione; di omessa verifica su bomba dichiarata inerte e poi esplosa; di
omesso recupero di somme indebitamente erogate; di mancata convocazione di una giunta per l'approvazione dei ruoli
di tassa; di mancata convocazione del consiglio per la ratifica di un atto di transazione; di omessa acquisizione di
contributo regionale che ha comportato l'esborso di maggiori oneri per interessi e spese legali a favore di un fornitore
privato, creditore della p.a. destinataria del finanziamento; di omessa dichiarazione e versamento di IVA con
conseguente sanzione per omesso versamento di doloso mancato (o parziale) accertamento fiscale in cambio della
erogazione di tangenti; di omessa adozione di atti interruttivi della prescrizione di un carico tributario; di mancato
inoltro di avvisi di accertamento; di mancata iscrizione a ruolo di partite di imposta; di mancata insinuazione di un
credito erariale nel fallimento di una impresa debitrice verso la p.a.; di omessa adozione di cautele nella conduzione di
autoveicoli; di omessa vigilanza su alunni; di omessa custodia di beni e valori etc.
34
Sull'obbligo di denuncia alla Corte dei Conti di comportamenti dannosi per la p.a. v.TENORE, La nuova Corte dei
conti, cit.
35
C. conti, sez. riun., 3 giugno 1996, n. 30/A, in Riv. C. conti, 1996, f. 4, 59.
11
“Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di
interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove“.
In base al principio introdotto dalla l. n. 20 del 1994, non sono dunque vagliabili dalla Corte
dei conti, e non vanno denunciate a tale organo, le condotte discrezionali che violano regole non
scritte di opportunità e convenienza, ma solo quelle che si pongono in contrasto con norme espresse
o principi giuridici (atti contra legem) (36), né sono sindacabili ragionevoli e motivate
interpretazioni normative ancorchè contrstanti con indirizzi prevalenti della magistratura e della
dottrina.
Tuttavia, così come il giudice amministrativo può sindacare le scelte discrezionali della p.a.
qualora si traducano in un eccesso di potere (vizio di legittimità), le più recenti pronunzie del
giudice contabile hanno chiarito che va riconosciuto alla Corte dei conti, in quanto istituzionalmente
preposta ad impedire la dissipazione del pubblico denaro, un potere sindacatorio delle scelte
discrezionali dei pubblici operatori, per impedire effetti dirompenti e lesivi dei principi di
imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa, pur dovendosi comunque evitare che
il giudice, nello svolgimento delle proprie valutazione, sostituisca le sue scelte a quelle operate
dall'autorità amministrativa (o giurisdizionale) in sede di esercizio del potere discrezionale, poiché
così facendo, egli cesserebbe di essere « operatore di giustizia » per divenire « amministratore » o
“giudice di merito dei provvedimenti di altro giudice” (37).
Sul sottile limite sindacatorio attribuito dalla norma in esame al giudice contabile (trattasi
comunque di questione di cognizione e non di giurisdizione) è intervenuta anche la Cassazione a
sezioni unite (38), che ha autorevolmente chiarito che la Corte dei conti, nella sua qualità di giudice
contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici
dell'ente pubblico; ma, per non travalicare i limiti esterni del suo potere giurisdizionale, una volta
accertata tale compatibilità, non può estendere il suo sindacato all'articolazione concreta e minuta
dell'iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore, la quale rientra nell'ambito di quelle scelte
discrezionali di cui la legge stabilisce l'insindacabilità (art. 1, co. 1, l. n. 20 del 1994, nel testo di cui
all'art. 3, l. n. 639 del 1996), e può dare rilievo alla non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico
amministratore solo nell'ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai
fini.
L'illecita verificazione di un danno all'amministrazione può essere frutto anche della
condotta di una pluralità di pubblici dipendenti-magistrati (es. un dirigente ed un proprio
subordinato che non denuncino alla Corte dei conti un danno riscontrato da entrambi; un dirigente
di un ufficio giudiziario “copre” l’assenza ingiustificata di un collega o un danno prodotto alla p.a.
36
Tra i più recenti studi sui limiti al sindacato del giudice contabile sull'esercizio del potere discrezionale dei funzionari
della p.a. è sufficiente il richiamo a TENORE, La nuova Corte dei conti cit., 112; PINOTTI, Profili di rilevanza delle
regole tecniche nel giudizio di responsabilità amministrativa, in Cons. Stato, 1995, II, 567; BORELLI PORRECA, Il
pubblico ministero contabile e l'attività discrezionale, in Riv. C. conti, 1996, II, 375; VISCA, Sull'insindacabilità del
giudice contabile nel merito delle scelte discrezionali (nota a Cass., sez. un., 29 gennaio 2001, n. 33), in Giust. civ.,
2002, I, 2922; PAGLIARIN, Colpa grave ed equità, Padova, 2002, 139 ss. e 156 ss.; CIMINI, La responsabilità, cit., 43 ss.
37
Sull'utilizzo dei parametri di buon andamento dell'azione amministrativa, di economicità, efficacia ed efficienza della
stessa per l'accertamento della condotta antigiuridica v. POLICE, La disciplina attuale della responsabilità
amministrativa, in SCOCA, La responsabilità amministrativa, cit., 88 ss. Interessante è anche il richiamo al principio di
« proporzionalità » cui fa riferimento ATTANASIO, Modulo consensuale nell'esercizio della potestà amministrativa.
Brevi note sui profili di rilevanza nel giudizio di responsabilità amministrativa, in www.amcorteconti.it; COLOMBINI, Il
principio di proporzionalità nel sindacato del giudice contabile, in Atti del seminario Le nuove prospettive della
responsabilità amministrativo-contabile, Venezia 2 ottobre 2001, in Il diritto della Regione, Padova, n. 1, 2002.
38
Cass., sez. un., 29 gennaio 2001, n. 33, in Giust. civ., 2002, I, 2921, con nota di VISCA, Sull'insindacabilità del
giudice contabile nel merito delle scelte discrezionali; in D&G - Dir. e giust., 2001, f. 7, 28, con nota di DISTEFANO; in
Foro it., 2001, I, 1171 con nota di D'AURIA e in Riv. C. conti, 2001, f. 1, 252. Con tale sentenza la Corte di Cassazione
ha affermato che la partecipazione di giornalisti italiani alla delegazione avente lo scopo di far conoscere in Cina la
realtà economica, commerciale ed industriale milanese è scelta discrezionale di merito e, pertanto, insindacabile da
parte del giudice contabile. In terminis Cass., sez. un., 6 maggio 2003, n. 6851, in Foro it., 2003, I, 3404 (fattispecie
relative a spese promozionali e di riformazione sull'attività dell'ente).
12
da personale amministrativo; un magistrato-ispettore non segnala un danno accertato in sede di
inchiesta e noto anche al dirigente dell’ufficio, etc.): in tali evenienze, l'art. 3 della l. 20 dicembre
1996, n. 639, aggiungendo il co.1-quater all'art. 1 della legge n. 20 del 1994, ha sancito, in caso di
concorso di persone nell'illecito, il principio della personalità e parziarietà (regola del c.d. «a
ciascuno il suo») della responsabilità amministrativa (in verità già previsto dall'art. 82, r.d. 18
novembre 1923, n. 2440, l. cont. Stato). È stato così espunto l'antitetico principio di solidarietà
passiva, recepito dalla prevalente giurisprudenza contabile per esigenze di tutela del credito erariale,
ed oggi limitato, a seguito della cennata novella del 1996, alle due sole eccezionali ipotesi
(«punitive») di concorrenti beneficiari di « illecito arricchimento o che abbiano agito con dolo ».
In caso di responsabilità amministrativa dei componenti di collegi (frequenti negli organi
giudiziari o negli organi amministrativi in cui vengono chiamati a far parte magistrati: es.
commissioni di concorso), l’art. 1-ter, l. n. 20 del 1994 nel testo novellato dalla l. n. 639 del 1996
ha sancito che « nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa
esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole ». Va sottolineato che, anche nel
determinare il quantum di imputabilità del danno causato all'erario dai componenti del collegio
(votanti in senso favorevole), andrà valutato l'apporto causale e psicologico dato da ciascuno di essi
secondo i sopraenunciati principi in materia di parziarietà dell'obbligazione risarcitoria, non
potendosi applicare l'antitetico, ed ormai espunto, principio di solidarietà passiva neanche in caso di
danno cagionato da organi collegiali (39).
Ovviamente la disciplina della solidarietà, recata dall'art. 1, co. 1-quinquies, l. 14 gennaio
1994, n. 20, troverà applicazione anche nei confronti dei componenti di organi collegiali se i relativi
membri abbiano tutti agito con dolo o abbiano conseguito un illecito arricchimento.
b) Il danno erariale prodotto da un magistrato, come si è visto nella vasta rassegna sub parag.4,
lett.a) a cui si rinvia, può consistere nel deterioramento o nella perdita di beni o denaro (danno
emergente, es. appropriazione o uso non istituzionale di beni dell'ufficio, liquidazione di somme per
spese di giustizia non conformi a legge etc.), o nella mancata acquisizione di incrementi
patrimoniali che l'ente pubblico avrebbe potuto realizzare (lucro cessante, es. omesso introito di
somme dovute alla p.a.).
Tale responsabilità, come si è già anticipato, si configura in generale non solo a fronte di
danni subiti direttamente dall'amministrazione (es. sottrazione di una somma o danneggiamento di
un arredo da parte del dipendente), ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dalla
p.a., chiamata innanzi al giudice ordinario (o, oggi, anche innanzi al giudice amministrativo ex art.
7, l. 21 luglio 2000, n. 205) a risarcire, ex art. 28 cost., il terzo danneggiato dal proprio lavoratore
durante l'attività di servizio. In tale seconda evenienza, tuttavia, per i soli magistrati, la giurisdizione
contabile è parzialmente limitata da quella dell’a.g.o. sancita dagli art.7-8 della l. n.117 del 1988.
Tra le più frequenti voci di danno erariale individuate dalla magistratura contabile, va
segnalato il danno all'immagine cagionato all'amministrazione pubblica40, da propri dipendenti ed
amministratori, che può trovare vasta applicazione anche per i Magistrati, stante la notevole e
spesso devastante valenza esterna delle proprie condotte illecite discreditatorie dell’”apparatoGiustizia”: la giurisprudenza contabile citata nel precedente parag.4, lett.a) lo conferma.
La suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia a sezioni unite 25 giugno 1997, n. 5668 e
con successive decisioni, recependo spunti dottrinali, ha chiarito che quello che la Corte dei conti
39
Sulla parziarietà anche in caso di danno cagionato da organi collegiali v. C. conti, sez. riun., 27 maggio 1999, n.
15/Q, in Riv. C. conti, 1999, f. 3, 72, e la ricca giurisprudenza citata da TENORE, La nuova Corte dei conti cit., 97.
Contra, per la solidarietà passiva negli organi collegiali in base all'art. 24, d.P.R. n. 3 del 1957 (ritenuta lex
specialis vigente anche dopo la l. n. 20 del 1994), v. C. conti, sez. riun., 17 dicembre 1996, n. 79/A, in Riv. C. conti,
1997, f. 1, 64; id., sez. riun., 7 gennaio 1998, n. 1/A, in Riv. C. conti, 1998, f. 1, 76; id., sez. riun., 1 aprile 1998, n.
17/A, in Riv. C. conti, 1998, f. 3, 122.
40
Sul danno all’immagine v. TENORE, La nuova corte dei conti, cit. 110, con vasti richiami dottrinali e
giurisprudenziali.
13
definiva inizialmente danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) è in realtà un danno patrimoniale ex
art. 2043 c.c. all'immagine della p.a., la cui cognizione è pertanto devoluta all'organo giuscontabile
(41). Successivamente anche la Cassazione ha optato per la natura non patrimoniale di tale danno
propugnato dalla infraricordata giurisprudenza contabile42.
Tale approdo interpretativo ha ricevuto anche l'autorevole avallo delle Sezioni Riunite della
Corte dei conti che, con l'approfondita e condivisibile sentenza 23 aprile 2003, n. 10/SR/QM (43),
hanno confermato che il danno all'immagine di una pubblica amministrazione non rientra
nell'ambito di applicabilità dell'art. 2059 del codice civile, ma è una delle fattispecie rientranti nella
più generale figura del danno esistenziale. Tale danno esistenziale consiste in un pregiudizio
reddituale che prescinde dal reddito del danneggiato, di natura non patrimoniale (ma ben distinto
dal danno morale soggettivo), tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione,
qualsiasi lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo a risarcimento sulla base di
quanto disposto dall'art. 2043 c.c.
Per il danno all'immagine la valutazione da parte del giudice contabile finisce con l'essere
ancorata a parametri spesso equitativi, ma non arbitrari: di regola vengono valorizzati l'oggettiva
gravità del fatto, le modalità di realizzazione dell'illecito (44), la reiterazione della condotta, l'entità
dell'arricchimento, l'eventuale effetto emulativo suscitato dal fatto, il grado di diffusività
dell'episodio nell'ambito della collettività (45), il deterioramento della qualità della vita dei cittadini.
Un notevole peso assume anche il ruolo e la qualifica dell'autore dell'illecito, parametro
rilevantissimo se l’autore del danno è un magistrato.
Va rimarcato che molto spesso la contestazione del danno all'immagine della p.a. da parte della
magistratura contabile raggiunge importi ben superiori a quelli del danno patrimoniale in senso
stretto, soprattutto nei confronti di soggetti particolarmente esponenziali della legalità dell’azione
pubblica lesa da condotte illecite assurte a rilevanza sociale.
La valutazione circa l'eventuale sussistenza di un danno erariale va affiancata dal noto e
risalente parametro di giudizio di cui il giudice amministrativo-contabile deve tener conto nella
quantificazione del danno: il c.d. potere riduttivo dell'addebito (art. 83, r.d. 18 novembre 1923, n.
2440; art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; art. 19, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) (46).
41
La decisione Cass., sez. un., 25 giugno 1997, n. 5668 (caso Poggiolini), è edita in Guida al diritto, 1997, n. 27, 42,
con nota di CHIAPPINELLI e in Foro it., 1997, I, 2872, con nota di BARONE. La sentenza si pone in sintonia con parte
della dottrina (TENORE, Giurisdizione contabile, cit., 2591) che ebbe ad evidenziare che quello che la Corte dei conti
definiva danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) era in realtà un danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. all'immagine della
p.a., come tale vagliabile dalla Corte dei Conti. L'indirizzo è stato poi ribadito da Cass., sez. un., 25 ottobre 1999, n. 744
(in Giust. civ. Mass., 1999, 2145) che ha collocato, sul piano sistematico, tale danno nell'ambito dell'illecito di natura
contrattuale attribuito alla cognizione della Corte dei conti in quanto fondato su un rapporto di servizio (mentre resta
devoluta all'a.g.o. la cognizione sull'illecito extracontrattuale cagionato dal lavoratore alla p.a.) e Cass., sez. un., 4 aprile
2000, n. 98, in Foro it., 2000, I, 2790, con nota di LORELLI.
42
Per la natura non patrimoniale del danno all’immagine Cass., sez. III, 4 giugno 2007 n.12929; id., 26 giugno 2007
n.14776; id., sez.I, 10 gennaio 2008 n.337, tutte in Ced Cassazione; C. conti, sez. Lombardia, 16 novembre 2007 n.545,
in www.corteconti.it.
43
C. conti, sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10/SR/QM, in www.giust.it, n. 4, 2003, in www.corteconti.it, in Il lav. nella
p.a., 2003, f. 5, 984, con nota di DI LEO.
44
Sulla rilevanza delle modalità di realizzazione del fatto v. C. conti, sez. I, 7 marzo 1994, n. 55, in Riv. C. conti, 1994,
f. 2, 58; id., sez. II, 27 aprile 1994, n. 114, in Riv. C. conti, 1994, f. 2, 102 e in Riv. amm. rep. it., 1994, 1213 con nota di
ARRIGONI; id., sez. I app., 3 ottobre 2003, n. 340/A, in www.amcorteconti.it.
45
Sui vari parametri utilizzati dalla giurisprudenza, cfr. da ultimo C. conti, sez. Lombardia, 3 marzo 2003, n. 307, in
Riv. C. conti, 2003, 198. Sulla rilevanza della divulgazione giornalistica v. C. conti, sez. Sicilia, 22 aprile 1998, n. 155,
in Riv. C. conti, 1998, f. 4, 172; id., sez. I, 30 ottobre 1998, n. 4, C. conti sez. Piemonte, 13 novembre 2003, n. 1856, in
www.giurisprudenza.it., ha però chiarito che non può esservi danno all'immagine qualora la notizia dell'illecito sia stata
divulgata agli organi di stampa dalla stessa amministrazione danneggiata.
14
Tali norme attribuiscono alla Corte dei conti un potere-dovere che è stato tradizionalmente visto
come un unicum nel panorama magistratuale: quello di ridurre, secondo il proprio prudente
apprezzamento, il quantum di danno accertato ed imputabile al pubblico dipendente autore di
condotte illecite, giungendo, in ipotesi limite, persino alla esclusione di qualsiasi addebito ( 47). In
buona sostanza, dopo la determinazione dell'importo del danno patito dalla p.a. e dopo aver posto a
carico dei vari compartecipi la quota-percentuale ad essi casualmente imputabile ex art. 1, co. 1 e 1quinquies, l. n. 20 del 1994, il giudice può ridurre detta quota di danno da risarcire, valutando le
circostanze del caso concreto.
Dalla casistica giurisprudenziale, che della riduzione dell'addebito fa sistematica
applicazione, può desumersi che la Corte dei conti tende ad esercitare tale potere a fronte di
circostanze soggettive o oggettive ostative ad una piena imputazione del danno in capo al
dipendente pubblico48. Tra le prime assumono favorevole rilevanza i precedenti (positivi) di carriera
del convenuto, l'esperienza lavorativa (breve) pregressa e la giovane età, il comportamento e la
personalità del convenuto, lo stato emotivo in occasione dell'evento dannoso (49), il suo stato di
salute, il suo trattamento economico e le sue condizioni economiche generali, l'essere vittima di
pressioni estorsive, le ragionevoli motivazioni sottese alla condotta dannosa e la lodevole condotta
successiva all'evento dannoso per ridurne la portata, la mancata fruizione di una previa adeguata
attività formativa o professionale, la sottoposizione a incombenze di ordine materiale notevolmente
gravose e ripetute nel tempo.
Tra le circostanze oggettive, la Corte valorizza invece spesso le situazioni esterne in cui
l'autore dell'illecito si è trovato ad operare: particolare condizione di luogo e di tempo, contributo di
terzi alla causazione del danno, entità del danno cagionato, disorganizzazione dell'ufficio
(soprattutto in fattispecie di danno da tardivo pagamento a terzi), imponente carico di lavoro
pregresso, ristrutturazioni dell'amministrazione, complessità organizzativa dell'ente difficoltà
oggettiva della materia, novità o complessità della normativa (circostanze, queste ultime due, che
potrebbero talvolta addirittura escludere l'elemento psicologico), urgenza del servizio,
condizionamenti derivanti da pressioni sindacali.
Per concludere i profili connessi all'elemento strutturale « danno erariale », va infine
segnalata la piena risarcibilità del danno erariale cagionato dal Magistrato (al pari di qualsiasi
dipendente) ad amministrazione diversa da quella di appartenenza, introdotto dall'art. 1, co. 4, l. n.
20 del 1994, e definito da parte della dottrina, con infelice terminologia, «danno obliquo» o «danno
trasversale».
c) Una delle più significative modifiche apportate dalla riforma del 1996 (art. 3 co. 1, lett. a, l. n.
639) alla l. n. 20 del 1994 ed al previgente sistema della responsabilità amministrativo-contabile,
attiene all'elemento psicologico dell'illecito erariale (50). È stata difatti limitata la responsabilità
46
Sul potere riduttivo dell'addebito spettante alla Corte dei conti v. GARRI, In tema di potere riduttivo dell'addebito da
parte della Corte dei Conti, in Foro amm., 1968, II, 78; id., I giudizi, cit., 160; DI STEFANO, Il c.d. potere riduttivo nella
giurisprudenza, in SCHLITZER, L'evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, 2002, 202; SCIASCIA,
Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2003, 538 ss. Sul possibile arbitrio derivante dall'esercizio del potere
riduttivo si sofferma ITALIA (intervento nel convegno La Corte dei conti fra tradizione storica ed esigenze della società,
Milano, 16 marzo 1998, i cui atti sono pubblicati in Amm. e contab., 1998, n. 3, 230) che, parafrasando la nota tesi del
Montesquieu secondo cui il giudice deve essere la bocca della legge, afferma che la sentenza non dovrebbe essere
soltanto espressione della bocca del giudice.
47
Per un raro precedente sul punto v. C. conti, sez. I, 5 ottobre 2001, n. 291/A, in Riv. C. conti, 2001, f. 5, 85.
Per la giurisprudenza che ha fatto applicazione dell’istituto v. TENORE, La nuova Corte dei conti cit., 101.
49
La rilevanza dello stato emotivo del convenuto viene spesso valorizzato dalla magistratura in caso di sinistri
automobilistici o eventi letali (e dannosi) cagionati da appartenenti alle forze dell'ordine nell'esercizio di compiti di
repressione o prevenzione di reati: cfr. C. conti, sez. I, 16 marzo 1995, n. 35, in Riv. C. conti, 1995, f. 2, 78; id., sez. I,
14 giugno 1993, n. 87, in Riv. C. conti, 1993, f. 3, 79.
50
Sulla nozione di colpa grave, oltre agli studi monografici citati in precedenza, v. TENORE, La nuova Corte dei conti
cit., 146; SCIASCIA, Manuale di diritto processuale, cit., 40 ss.; PAGLIARIN, Colpa grave ed equità nei giudizi innanzi
48
15
amministrativa ai soli comportamenti posti in essere con « dolo o colpa grave », generalizzando
così il regime in precedenza riservato in via di eccezione ad alcune settoriali categorie di pubblici
dipendenti, che costituiva deroga al generale principio della responsabilità per « dolo o colpa ».
Probabilmente il legislatore ha preso atto del numero ingente e della gravosità dei doveri
posti a carico dei pubblici dipendenti (e, tra questi, soprattutto i magistrati) dall'ampia (e complessa)
normativa esistente nel nostro ordinamento, per attenuare la soglia della punibilità ed evitare il
rischio che il dipendente venisse chiamato a rispondere di danni derivanti da errori non gravi: una
ratio analoga è sottesa all'innalzamento della soglia di punibilità per gli esercenti professioni
intellettuali di particolare difficoltà. Non è da escludere che si siano volute valorizzare nel
contempo anche la fisiologica disfunzione che caratterizza la p.a. (in realtà già ben considerata
nell'esercizio del potere riduttivo dell'addebito), nonché l'evoluzione dell'azione amministrativa
verso i risultati e l'efficienza, il cui perseguimento potrebbe trovare rallentamenti nel timore di
interventi punitivi per errori marginali.
L'accertamento va condotto dunque ex ante e in concreto, evitando forvianti apriorismi
dogmatici ed avendo come costante riferimento la specificità della qualifica e delle mansioni svolte,
notoriamente assai differenti tra loro nel variegato pubblico impiego e all’interno delle funzioni
magistratuali (si pensi ai magistrati preposti a compiti gestionali in una amministrazione, rispetto a
chi redige sentenze), e, come tali, richiedenti soglie minimali di attenzione assi diverse anche in
considerazione del più o meno complesso quadro normativo (generale e settoriale) di riferimento
(51).
Ben configurabile è anche una culpa in vigilando del magistrato, verificando, ad esempio, se
il dirigente di un ufficio giudiziario sia stato concretamente in grado di poter riscontrare l'illecito
posto in essere dal proprio subordinato.
Più in particolare, tale culpa in vigilando è stata esclusa, in generale:
- qualora il dipendente tenuto alla vigilanza sia stato contemporaneamente investito della direzione
di più uffici di nuova istituzione, venendosi così a trovare in una situazione di obiettiva difficoltà
per il cumulo di impieghi gravosi e cogenti cui assolvere con organici largamente incompleti e
inadeguati (52);
- qualora il dirigente di un ufficio di grandi dimensioni non poteva avvedersi dell'errore commesso
dal proprio subordinato se non attraverso una revisione — pratica per pratica — del lavoro
compiuto dall'intero ufficio (53);
alla Corte dei conti, Univ. di Ferrara, 2002; MADDALENA, La colpa nella responsabilità amministrativa, in Riv. C.
conti, 1997, 272 e in Amm. e cont., 1997, 142 ss.; ASTRALDI DE ZORZI, Colpa grave e dolo: responsabilità dei soggetti
sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in Enti pubblici, 1997, n. 1, 10; CHIAPPINELLI, Necessari dolo o colpa
grave degli operatori per attivare il giudizio della Corte dei conti, in Corte dei conti: tutte le novità su attività di
controllo e giurisdizione, in Guida al diritto, dossier mensile n. 2, 1996, 67.
Cfr. altresì l'indirizzo di coordinamento 19 ottobre 1996, n. I.C./6 della Procura Generale della Corte dei conti
commentato da TENORE, La responsabilità amministrativo-contabile dei dipendenti dell'amministrazione finanziaria, II
ed., Roma, 1999, 136.
51
Sull'accertamento della colpa grave in concreto, in relazione alla tipologia delle funzioni e delle mansioni in concreto
esercitate, v. anche PILATO, La responsabilità amministrativa, cit., 218 ss. Sul maggior rigore nella valutazione della
colpa grave da parte della Corte in relazione a dipendenti assegnatari di funzioni e qualifiche più elevate, v. C. conti,
sez. Lazio, 2 agosto 2002 n. 2205, in Riv. C. conti, 2002, f. 4, 226.
52
C. conti, sez. I centrale, 16 luglio 1998, n. 225, in Panorama giuridico, 1998, n. 4, 46. Secondo C. conti, sez. I, 18
febbraio 1993, n. 15 (in Riv. C. conti, 1993, f. 1, 75), deve essere esclusa la « culpa in vigilando » del direttore di
conservatoria dei registri immobiliari per il pregiudizio erariale conseguente alle irregolarità compiute dall'addetto alla
cassa dell'ufficio medesimo, qualora le attività « contra legem « di quest'ultimo impiegato siano perpetrate con attenti
artifici contabili ed il convenuto debba contemporaneamente attendere alla reggenza di due uffici.
53
C. conti, sez. III centrale, 23 luglio 1996, n. 320/A, in Riv. C. conti, 1996, f. 5, 96. Sul principio secondo cui sul
dirigente non incombe un onere generalizzato di controllo analitico di tutte le singole pratiche d'ufficio (fattispecie di
omesso puntuale accertamento fiscale da parte di funzionario dell'ufficio delle imposte in relazione al quale il direttore
sia stato imputato di mancata vigilanza), v. C. conti, sez. I, 6 luglio 1993, n. 103, in Riv. C. conti, 1993, f. 4, 69 e in Fin.
loc., 1994, 777; id., sez. II, 6 febbraio 1990, n. 61, in Riv. C. conti, 1990, f. 1, 107.
16
- qualora la condotta del dipendente subordinato dannosa per l'erario sia caratterizzata da una
particolare callidità nei meccanismi fraudolenti posti in essere, tale da non consentire un agevole
riscontro da parte del dirigente e da divenire così causa esclusiva dell'evento (54);
- qualora il dirigente « vigilante » abbia da breve tempo assunto l'incarico (55).
Nel contempo la magistratura contabile ha affermato che l'obbligo di vigilanza del dirigente
si accentua in caso di utilizzo, non necessitato, di dipendenti per lo svolgimento di compiti o
mansioni non coerenti con la propria preparazione professionale (56). In ogni caso, anche qualora
l'utilizzazione sia necessitata, gravano sull'organo apicale particolari doveri di vigilanza in
applicazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale la frequenza dei controlli
deve essere sempre più assidua quanto più basso è il livello di professionalità degli addetti.
d) Ulteriore elemento strutturale dell'illecito amministrativo è costituito dal nesso causale,
definibile come il nesso etiologico che lega la condotta illecita all'evento dannoso.
Tale nozione in sede amministrativo-contabile, non presenta divergenze rispetto alla categoria
logico-giuridica ampiamente esplorata in sede civile e penale: è pertanto sufficiente rinviare a studi
specifici sul tema.
3. Casistica giurisprudenziale.
Giurisprudenza costituzionale
Corte cost., 5 novembre 1996, n. 385
L'indipendenza della funzione giudiziaria è conciliabile con il principio della responsabilità civile,
penale e amministrativa del magistrato. Invero gli art. 101 - 102, 104 e 108, cost. non assicurano al
giudice uno "status" di assoluta irresponsabilità, anche quando si tratti di esercizio delle sue
funzioni riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione di giurisdizione.
La giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica - comprensiva, nella sua
storica conformazione, dei giudizi di conto e di responsabilità amministrativa e patrimoniale di
dipendenti ed amministratori - è dotata di una generalità soltanto tendenziale, perchè l'espansione
del suo ambito in via interpretativa, quando sussistano i presupposti oggettivi e soggettivi della
responsabilità per danno erariale, è consentita unicamente in carenza di specifica diversa
regolamentazione del legislatore ordinario, abilitato, sulla base del ragionevole apprezzamento degli
equilibri costituzionali, ad assegnare la cognizione su alcune fattispecie di responsabilità ad altro
giudice; ne deriva la duplice conseguenza che la giurisdizione in relazione alle diverse forme di
responsabilità amministrativa richiede l'interposizione della legge ordinaria, cui compete, nel
rispetto delle norme costituzionali, la disciplina sostanziale in ordine sia all'oggetto, sia ai soggetti
di tale responsabilità, e che, allorchè siano in discussione, nei reciproci rapporti fra giurisdizioni, i
54
Per la rilevanza della callidità nell'occultamento del danno al proprio dirigente v. C. conti, sez. I app., 4 novembre
2002, n. 376/A, in Riv. C. conti, 2002, f. 6, 122; id., sez. Sicilia, 12 gennaio 1999, n. 10, in Riv. C. conti, 1999, f. 2, 11;
id., sez. III, 6 novembre 1998, n. 275; id., sez. III, 23 luglio 1998, n. 192, in Riv. C. conti, 1998, f. 4, 88; id., sez. Emilia
Romagna, 6 maggio 1997, n. 281, in Riv. C. conti, 1997, f. 5, 145; id., sez. Toscana, 15 novembre 1996, n. 558, ivi,
1997, f. 1, 98; id., sez. I, 27 marzo 1991 n. 112, in Riv. C. conti, 1991, f. 2, 74; id., sez. I, 10 ottobre 1990, n. 194, in
Riv. C. conti, 1990, f. 5, 81.
55
Danno rilevanza alla brevità dell'incarico C. conti, sez. III, 6 novembre 1998, n. 275; id., sez. III, 23 luglio 1998, n.
192, in Riv. C. conti, 1998, f. 4, 88.
56
C. conti, sez. Toscana, 29 aprile 1997, n. 313, in Riv. C. conti, 1997, f. 3, 202; id., sez. Sicilia, 19 agosto 1997, n. 216,
ivi, 1997, n. 6, 213.
17
rispettivi ambiti di competenza, il contrasto non assume, di norma, il carattere di conflitto di
attribuzione.
Gli art. 101, 102, 104 e 108 cost., non assicurano al giudice uno "status" di assoluta irresponsabilità,
perfino quando si tratti dell'esercizio delle funzioni riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione
di giurisdizione, con riguardo tanto alla diretta responsabilità verso terzi danneggiati, quanto alla
soggezione all'azione di rivalsa dello Stato, posto che il magistrato, soggetto esclusivamente alla
legge, è in primo luogo sottoposto alla Costituzione e quindi pure al principio della responsabilità
(art. 28 cost.), al fine di assicurare che la sua posizione "super partes" non sia mai disgiunta dal
corretto esercizio dell'alta funzione svolta; pertanto, poichè spetta al legislatore ordinario esplicare i
modi e le forme di questa responsabilità anche nei confronti del giudizio contabile, rimane preclusa,
perchè non fondata su ragioni di esclusiva costituzionalità, l'ammissibilità del conflitto di
attribuzione sollevato, rispetto ai parametri della propria indipendenza, dal giudice istruttore penale
presso un Tribunale contro una Procura regionale della Corte dei conti in ordine all'azione di
responsabilità intentata per danni allo Stato, in conseguenza della liquidazione di compensi
effettuata da quel giudice a periti nel corso di procedimenti giudiziari.
Corte cost., 6 luglio 2006, n. 273 ( ord. )
E' manifestamente inammissibile, in riferimento agli art. 3, 101, 102, 104 e 108 Cost., la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 172 del D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113, trasfuso
nell'art. 172 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, secondo il quale "i magistrati e i
funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e
sono tenuti al risarcimento del danno subito dall'erario a causa degli errori e delle irregolarità delle
loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa". La
disposizione censurata, infatti, non ha alcun contenuto innovativo dell'ordinamento giuridico
previgente e non ha, quindi, alcuna incidenza sulla questione della responsabilità dei magistrati per
attività giudiziaria oggetto del giudizio "a quo", la quale trova la sua soluzione nell'interpretazione
dell'ambito oggettivo e soggettivo della disciplina dettata in tema di responsabilità amministrativa
ovvero di disposizioni non sottoposte a censura dal giudice "a quo", il quale, inoltre, si esprime
contraddittoriamente circa il carattere innovativo o meno delle disposizioni stesse.
Giurisprudenza della Corte di cassazione
Cass.civ., SS.UU., 27 maggio 2009, n. 12248
A norma dell'art. 103 della Costituzione, l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione in
materia di contabilità pubblica non ha carattere cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente
generale, sicché la concreta individuazione delle singole fattispecie necessita della "interpositio
legislatoris"; ne consegue che - pur dovendosi riconoscere, alla stregua della normativa vigente e di
alcune pronunce della Corte costituzionale, che non sussistono ragioni per escludere la
responsabilità amministrativa dei magistrati qualora vi sia un comportamento riconducibile ad
ipotesi di reato - la controversia promossa dal Procuratore regionale della Corte dei conti, nei
confronti di un magistrato ordinario, per il danno colposamente arrecato all'Amministrazione a
seguito del ritardato dissequestro di due autoveicoli affidati in custodia giudiziale, è devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, e non della Corte dei conti, non essendo configurabile alcuna
ipotesi di reato e trattandosi di danno causato - alla luce della legge 13 aprile 1988, n. 117 18
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie. (Rigetta e dichiara giurisdizione, C.dei Conti Roma,
31/05/2007)
Spetta all'autorità giudiziaria ordinaria la giurisdizione nella controversia in cui un magistrato abbia
cagionato, secondo il p.m. presso la corte dei conti, un danno all'amministrazione di appartenenza
per effetto di una condotta gravemente colposa tenuta in violazione di obblighi di servizio (nella
specie, il magistrato, nel definire con sentenza un processo penale a carico di un soggetto sorpreso
alla guida di autovetture senza patente, aveva omesso di disporre in ordine all'avvenuto sequestro
delle autovetture, la cui custodia si era poi protratta fino al dissequestro, disposto due anni dopo che
la sentenza era divenuta irrevocabile, con relativo danno per l'amministrazione per le spese di
custodia dovute dalla data del passaggio in giudicato della sentenza fino al provvedimento di
dissequestro).
Cass.civ., SS.UU., 24 marzo 2006, n. 6582 ( ord. )
In virtù della circostanza che l'intero sistema previsto dalla legge n. 117 del 1988 mira a
disciplinare, ponendo limiti e condizioni a garanzia dell'indipendente e imparziale esercizio delle
funzioni giurisdizionali, la sola responsabilità civile e considerando che l'esigenza di una disciplina
speciale viene meno in presenza di un fatto reato commesso nell'esercizio delle predette funzioni
(per come emergente anche dal richiamo, operato dall'art. 13 della stessa legge, alle "norme
ordinarie"), non sussiste alcuna ragione - in mancanza di una diversa previsione - per escludere la
responsabilità amministrativa dei magistrati qualora sia configurabile una correlazione della stessa
con la commissione di fatti integranti reato, con la conseguenza che, sul relativo giudizio, la
giurisdizione spetta alla Corte dei Conti. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il riportato principio in
ordine al regolamento preventivo di giurisdizione - perciò dichiarato inammissibile - proposto da un
magistrato nell'ambito di un giudizio di responsabilità amministrativa intrapreso dal competente
P.G. della Corte dei Conti nei suoi confronti per il risarcimento di danni patrimoniali dallo stesso
causati allo Stato a seguito della consumazione di reati commessi nell'esercizio delle funzioni
giurisdizionali per i quali era intervenuta sentenza di condanna).
Spetta alla Corte dei conti la giurisdizione in ordine all'accertamento della responsabilità di un
magistrato per il danno patrimoniale e il danno all'immagine cagionati allo Stato mediante la
commissione di una serie di reati nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
Giurisprudenza contabile
A - In generale
C.conti, Sez. Giur. Sicilia, 6 dicembre 1995, n. 394
Va esclusa la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di magistrato per il danno recato
direttamente allo Stato o ad altro ente pubblico nell'esercizio di attività giudiziaria, in quanto nei
confronti del medesimo che, nell'esercizio della funzione giurisdizionale medesima non è legato da
rapporto di impiego o di servizio ma è soggetto soltanto alla legge, non possono trovare
applicazione le norme che disciplinano la responsabilità amministrativa per danno dei pubblici
19
dipendenti, mentre la responsabilità dei magistrati resta circoscritta alle ipotesi prese in
considerazione dalla l. n. 117 del 1988 che prevede, da una parte, una limitata azione di rivalsa
dello Stato per il danno arrecato a terzi e, dall'altra, la responsabilità diretta nella sola ipotesi di
danni derivanti da reato, la cui conoscenza è riservata al giudice ordinario (fattispecie relativa a
magistrato chiamato a risarcire il danno arrecato ad un ente locale per aver, erroneamente, emanato
un decreto ingiuntivo per una somma maggiore di quella indicata nella fattura annessa all'istanza di
ingiunzione).
C.conti, Sez. Giur. Lombardia, 13 maggio 1996, n.1091
Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per responsabilità amministrativa dei magistrati,
limitatamente allo svolgimento di attività amministrative, autonome o strumentali a quelle
giudiziarie.
I decreti di liquidazione dei compensi spettanti ai periti hanno natura amministrativa (ancorchè
emessi da giudici nell'ambito di complessivi procedimenti giurisdizionali), con la conseguenza che
in subiecta materia deve essere riconosciuta la giurisdizione della Corte dei conti.
C.conti, Sez. Giur. Emilia Romagna, 12 febbraio 2003, n. 521
In tema di responsabilità amministrativa dei magistrati, il giudizio ha per oggetto il corretto
espletamento dei compiti del magistrato nell'utilizzo di risorse pubbliche nel rispetto dell'autonomia
della funzione giudiziaria, conseguentemente non vi è alcuna commistione con l'istituto della
responsabilità civile dei magistrati dettata dalla L. 13 aprile 1988 n. 117, ne con le
disposizioni in tema di nullità processuali riguardanti, diversamente, la tutela delle parti agenti nel
processo.
Deve affermarsi la responsabilità dei Presidenti di Corte di assise che abbiano proceduto alla
nomina di giudici popolari «aggiunti», dei quali alcuni mantenuti in realtà meramente «a
disposizione», essendo i medesimi incorsi in una violazione di legge ricollegabile all'«error in
procedendo», con condotta da ritenersi caratterizzata da colpa grave anche in ragione del numero
stesso dei giudici nominati, pari al massimo concesso dalla legge, opzione discrezionale esercitata
senza tener in alcun conto il prevedibile ed anche già programmato carico di lavoro della Corte di
assise, ed a volte anche a fronte dell'assoluta mancanza di alcun processo da celebrare nella
sessione.
La nomina dei componenti popolari di Corte di Assise, pur essendo finalizzata alla formazione di un
Collegio giudicante, per la specifica previsione legislativa di un articolato procedimento
assolutamente estraneo alla natura della funzione giudicante e non idoneo a ledere l'autonomia e
l'indipendenza del giudice, va configurata come attività amministrativa, con utilizzabilità dei canoni
valutativi e delle figure patologiche ad essa attività attinenti e con la possibilità, per il giudice della
responsabilità amministrativa, di condannare le opzioni che abnormemente travalichino il merito
delle scelte discrezionali.
Costituisce danno all'Erario la nomina - con il pagamento dell'indennità loro spettante - di un
numero di giudici popolari di Corte di assise in posizione aggiuntiva (c.d. aggiunti), relegati poi per
tutta la durata della sessione nell'anomalo ruolo «a disposizione», cioè senza aggregare i medesimi
20
ai collegi e senza quindi farli partecipare ai dibattimenti ed atte udienze in camera di consiglio della
Corte stessa.
C.conti, Sez. I centr. App., 13 marzo 2007, n. 53/A
Gli articoli della Costituzione dettati a garanzia dell'indipendenza e dell'insindacabilità della
funzione giurisdizionale non valgono ad assicurare al magistrato uno "status" di assoluta
irresponsabilità, bensì ammettono la conciliabilità dell'indipendenza della funzione con la
responsabilità nel suo esercizio sul piano civile, penale ed amministrativo; pertanto non può
ritenersi preclusa la giurisdizione della Corte dei conti sulla responsabilità dei magistrati per danno
erariale, sia pure nei limiti delle specifiche ipotesi previste dalla L. n. 117/1988 ( nella specie, si
è riconosciuta alla riunione e separazione delle cause natura di attività giurisdizionale )
C.conti, Sez. I centr. App., 31 maggio 2007, n. 144/A
Non sussiste la competenza del giudice contabile a giudicare della responsabilità di un magistrato per il
danno erariale conseguente alla protratta custodia di beni sequestrati e non tempestivamente restituiti
all'imputato con la definizione del processo penale, atteso che tale attività, per la natura giurisdizionale che
gli è propria, non può essere perseguita alla stregua delle vigenti norme sulla responsabilità amministrativa (
nella specie, il ritardo nel provvedere al dissequestro è stato inquadrato nell’ambito dell’attività
giurisdizionale ovvero della attività ad essa strumentale ).
La norma di cui all’art. 172 del D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 non può ritenersi estensiva della
responsabilità amministrativa dei magistrati anche alle ipotesi di attività giurisdizionale
Nota: sulla vicenda si è espressa la Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 12248/2009
-
B) in materia di spese di giustizia
C.conti, Sez. Giur. Lombardia, 12 ottobre 2006, n. 553
Deve ritenersi connotata da colpa grave la condotta omissiva tenuta da un giudice istruttore nel
controllo della liquidazione dei compensi ai consulenti tecnici, per violazione delle specifiche
norme di legge in materia di liquidazione degli onorari, oltre che delle ordinarie regole di prudenza
e di correttezza che devono sempre guidare l'azione dei funzionari pubblici e, in particolare, dei
magistrati (nella specie, il giudice contabile ravvisa gli estremi della gravità della colpa nella prassi
costante, tenuta dal giudice istruttore, di concedere l'aumento degli onorari, senza compiere alcuna
verifica sulla sussistenza delle condizioni di legge per la concessione del raddoppio, oltre nella
mancata applicazione della riduzione di un quarto sulle perizie tardivamente liquidate
Sussiste la responsabilità amministrativa di un giudice istruttore che abbia omesso di verificare le
richieste avanzate dai consulenti tecnici per la liquidazione dei propri compensi (il giudice contabile
ritiene, in particolare, che l'omissione di controllo sui compensi da erogare ai periti d'ufficio si riveli
come acritica accettazione delle richieste dei consulenti qualora i richiedenti, come nella specie,
21
abbiano compilato le fatture da presentare per la riscossione ancor prima che fosse nota l'entità degli
onorari e delle spese liquidate).
-
C in materia di “ Legge Pinto “
C.conti, Sez. Giur. Puglia, 18 febbraio 2013, n.251
Pur nelle disfunzioni dell’Ufficio giudiziario, il Giudice è comunque tenuto ad adottare adeguate
cautele che gli consentano di avere contezza dei fascicoli assegnatigli e che deve portare a
decisione, non potendo egli affidare il reperimento di detti fascicoli alle “ sollecitazioni
e…collaborazione dei difensori dele parti “( nella specie, il ritardo nel deposito della sentenza del
GOA era pari a tre anni e cinque mesi )
C.conti, Sez.Giur.Veneto, 14 ottobre 2009, n. 673
Sussiste la colpa grave del magistrato in ipotesi di tarivo deposito dei provvedimenti giudiziari, trattandosi di
ritardi pluriennali ( 7 e 5 anni ) assolutamente abnormi rispetto ai termini di legge ed ingiustificati, pur tenuto
conto dei gravi problemi familiari e delle difficoltà organizzative dell’Ufficio
Il mero dato oggettivo rappresentato dal tempo intercorso tra l’assegnazione del fascicolo e la data
dell’udienza collegiale, in assenza di altri elementi di riscontro, non può tradursi in una presunzione juris
tantum di grave colpevolezza (nella specie, è stata esclusa, invece, la colpa grave per il lasso di tempo
antecedente all’assunzione della causa in decisione per difetto di colpa grave )
22
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
PUGLIA
SENTENZA
251
2013
RESPONSABILITA'
18/02/2013
REPUBBLICA ITALIANA
SENT. 251/2013
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA PUGLIA
composta dai seguenti Magistrati:
SCHLITZER
Pres.
Eugenio Francesco
Presidente
DADDABBO
Cons.
Pasquale
Componente
MORGANTE
Primo Ref.
Daniela
Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA DEFINITIVA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 31391 del Registro di segreteria, proposto dalla Procura Regionale
contro il dott. FERRIERI CAPUTI Italo, nato a Bari l’11/8/1937 e ivi residente in via Sagarriga Visconti
n. 207, C.F. FRRTLI 37M11 A662Y, rappresentato e difeso dall’Avv. Berardino Giancaspero presso il cui
studio è elettivamente domiciliato in Bari alla via Abate Gimma n.180, giusta procura speciale in calce alla
memoria acquisita al prot. 220 del 4.1.2013
per la CONDANNA al pagamento, in favore dell’erario statale, della somma di € 6.269,84
(seimiladuecentosessantanove/84), oltre a interessi legali e spese di giustizia
VISTO l’atto di citazione v. n. 2177/09/lrs depositato il 17 settembre 2012;
VISTO il decreto presidenziale di nomina del Relatore in data 4.12.2012;
ESAMINATI gli atti ed i documenti tutti della causa;
UDITI nella pubblica udienza del 24 gennaio 2013, con l’assistenza del Segretario D.ssa Concetta Montagna,
come da relativo verbale, il Relatore Primo Ref. Daniela Morgante, il Pubblico Ministero nella persona del
V.P.G. Antonio D’Amato e l’avv. Berardino Giancaspero per il convenuto.
FATTO
1.
Il Procuratore regionale, con l’atto di citazione in epigrafe, ha convenuto innanzi a questa Sezione
Giurisdizionale il Dott. Italo FERRIERI CAPUTI, ivi generalizzato, al fine di sentirlo condannare al
pagamento in favore dell’erario statale, della somma di € 6.269,84, oltre a interessi legali e spese di giustizia.
23
Rappresenta la P.R. che con decreto del 20/4-26/6/2007 la Corte d’Appello di Lecce, accogliendo la richiesta
di equa riparazione in data 15/3/2006 del Sig. Giuseppe Saccogna, ha condannato il Dicastero della Giustizia
a pagare in favore di costui la somma di € 11.125,00, più relativi interessi legali dalla predetta domanda al
soddisfo e spese giudiziali in ragione di € 1.457,02, di cui € 12,02, per esborsi, € 575,00 per diritti ed €
870,00 per onorari ed accessori di legge. In data 18/6/2008, è stata liquidata al menzionato ricorrente,
mediante ordinativo di pagamento emesso dalla Presidenza della predetta Corte d’Appello, la somma
complessiva di € 13.610,14.
Tale esborso veniva contestato dalla P.R. quale indebito aggravio per l’erario statale al dott. Italo Ferrieri
Caputi a mezzo di notifica del prescritto invito a dedurre in data 1.6.2012. Su richiesta dell’invitato si teneva
audizione il 14/6/2012, nel corso della quale egli richiamava le deduzioni depositate il 16.7.2012, recanti
argomentazioni reiterate nella memoria di costituzione. Quanto dedotto dall’invitato non veniva reputato
dalla P.R. sufficiente a far venir meno l’addebito in ragione di quanto nella citazione.
Richiama in tal senso l’Attore pubblico la motivazione del decreto in questione, nella quale si legge che:
“hanno sicuramente prodotto un irragionevole allungamento della durata fisiologica della causa i seguenti
inaccettabili (nei sensi esposti) ritardi: di tre anni e cinque mesi per rinvii istruttori superiori ai quattro mesi,
di sette mesi per assoluta mancanza di attività processuale fra il 6/3 ed il 14/10/1999 e di altri tre anni e
cinque mesi per il deposito della sentenza, mentre appaiono accettabili i tempi occorsi per la procedura di
correzione di errore materiale. In definitiva, la vertenza in esame (ovverosia la controversia a suo tempo
instaurata dal Saccogna, presso il Tribunale di Bari, contro le Sigg.re Maddalena ed Anna Zambrini, quali
eredi del defunto Cesare Zambrini) ha subito un complessivo allungamento della durata fisiologica di circa
sette anni e cinque mesi, in relazione ai quali va commisurato il danno non patrimoniale inevitabilmente
sofferto e dedotto” dal su nominato ricorrente.
Pone in luce la P.R. come dei sette anni e cinque mesi trascorsi in più, rispetto alla ragionevole durata che
quel processo avrebbe dovuto avere, giusta 2° co., art. 111 della Costituzione come novellato dalla legge
costituzionale 23/11/1999 n. 2, se ne sono lasciati decorrere inopinatamente tre anni e cinque mesi solo per
depositare la relativa sentenza. Da accertamenti esperiti al riguardo dalla P.R. è difatti emerso che la suddetta
causa civile, iscritta nel ruolo generale del Tribunale di Bari sotto il numero d’ordine 790/1990, benché
introdotta nel gennaio 1990 e che aveva visto le convenute ivi costituirsi in data 8/3/1990, è stata decisa con
la sentenza n. 877, pronunciata dal dott. Ferrieri Caputi, in qualità all’epoca di G.O.A. presso la
II Sezione Stralcio del ridetto Tribunale, ma depositata in cancelleria solo in data 10/12/2004, con il predetto
ritardo riscontrato dalla Corte d’Appello leccese di ben tre anni e cinque mesi.
Contesta la P.R. al convenuto una grave colpa per siffatto ritardo, quanto pure una sua diretta, immediata e
adeguata connessione etiologica, per lo meno in parte, insieme a tutte le altre circostanze che hanno poi
condotto al protrarsi di quel giudizio per ben sette anni e cinque mesi e, quindi, al verificarsi del predetto
danno erariale di € 13.610,14, che, rapportato al ridetto ritardo di tre anni e cinque mesi per il solo deposito
della sentenza, porta all’addebito a carico del convenuto della somma di € 6.269,84, quale indebita
erogazione cagionata a carico del bilancio statale.
2.
Con memoria depositata il 4.1.2013 convenuto lamenta di non essere stato notiziato della
instaurazione dinanzi alla Corte d’Appello di Lecce della procedura per equa riparazione promossa dal sig.
Giuseppe Saccogna, ma di aver appreso solo successivamente, a mezzo dell’invito a dedurre notificatogli
dalla Procura Regionale, che il giudizio si era risolto con il citato decreto di liquidazione basato sul
riconoscimento di €.1500,00 per ogni anno del riconosciuto allungamento irragionevole della durata
complessiva della causa. La informativa di una siffatta iniziativa giudiziale, ove gli fosse stata
tempestivamente segnalata, gli avrebbe consentito di reperire e fornire dettagliatamente all’Avvocatura dello
Stato le ragioni del ritardo nel deposito della sentenza.
24
Rappresenta in proposito che, al pari con gli altri GOA, aveva ricevuto il carico di lavoro alla vigilia del
Natale 1998 (circa mille controversie) attraverso una pubblicazione "elenco delle cause assegnate alle sezioni
stralcio del Tribunale di Bari" edita a cura del "Notiziario dell'Ordine Forense di Bari". Materialmente i
fascicoli delle cause venivano portati alla sua attenzione il giorno in cui erano portati nell'aula di udienza. A
lui vennero destinate quattro udienze (15/1-22/1-29/1 e 5/2/99) con un disservizio causato da cause annotate
sul ruolo ma non presenti in udienza, mancanza di sicura preventiva informazione delle udienze alle parti,
dal momento che il solo elenco predisposto dall’Ordine degli Avvocati di Bari segnalava i dati di
individuazione delle cause, dell’udienza, del giudice di provenienza, nonché del GOA cui esse erano
assegnate e della rispettiva 1° udienza. Dei 19 GOA previsti inizialmente in assegnazione al Tribunale di
Bari ne furono effettivamente applicati solo 12 per poi accrescersi di sole tre unità a seguito di un ulteriore
concorso per GOA e ridursi ulteriormente a seguito del decesso del dott. Isernia e delle dimissioni del Notaio
dott. Carino, degli avv.ti Paradiso e Conese e del dott. Debenedisctis: il carico venne quindi incrementato a
seguito delle ricordate defezioni tra i giudici e della soppressione delle Preture. Lamenta che la Cancelleria
delle sezioni stralcio sarebbe stata a corto di spazio e di personale, al punto che frequentemente le udienze si
sarebbero tenute con la discontinua presenza del cancelliere. I provvedimenti istruttori non assunti in udienza
e le sentenze sono stati sempre dattiloscritti e compilati al computer dai GOA e dopo alcuni anni un solo
modestissimo vano sarebbe stato ad essi riservato per eventuali approfondimenti su deliberazioni da
assumere con urgenza. Essendosi preannunciato il concorso per GOA con notevole anticipo rispetto alla data
di effettivo inizio della loro attività giudiziaria, i Giudici professionali avrebbero sfoltito in numero maggiore
le cause di minor impegno, lasciando i faldoni più impegnativi ai GOA. Al fine di alleggerire il carico
processuale di udienza, il convenuto si sarebbe riservato per una pluralità di cause ormai mature per la
decisione sin dalle prime udienze anziché riservarsi solo su alcune di esse, così derivandone, per la minore
congestione dei partecipanti alle udienze successive, una partecipazione più contenuta di avvocati e parti e
per l’effetto una migliore vigilanza sulle udienze stesse.
Il ritardo nell’acquisizione del fascicolo della causa Saccogna c/ Zambrini, dopo la riserva per la decisione
sarebbe da attribuire al casuale rinvenimento dell’incarto in cancelleria dopo circa 2 anni in quanto inserito
per errore (asseritamente non dal convenuto) in un faldone che conteneva altri fascicoli che, sebbene in vita,
sarebbero stati destinati in archivio. Episodio questo che sarebbe stato frequente e spesso evitato dalle
sollecitazioni e dalla collaborazione dei difensori delle parti. Tale accadimento si sarebbe inserito nelle più
ampie disfunzioni di cui soffrivano le Sezioni Stralcio in precedenza evidenziate. I luoghi in cui vennero
destinate le cancellerie e soprattutto gli armadi contenenti i fascicoli cambiavano in continuazione per far
posto ad altre necessità del Tribunale.
Quanto alla nota del 3.4.2006 del Dott. Castellaneta quale Presidente della II sez. Stralcio che, in risposta alle
richieste di relazione sul giudizio Saccogna
contro eredi Zambrini definito con la sentenza n. 877 del 10.12.2004, ha riferito “essere ravvisate le ragioni
del ritardo nella definizione del giudizio, per un verso nella intrinseca complessità del giudizio (testimoniata
dalle lunghissime verbalizzazioni d’udienza e dai numerosi scritti difensivi) che ha richiesto l’espletamento
di una nutrita attività istruttoria e, per altro verso, nel fatto che il medesimo è passato all’esame della seconda
sezione stralcio”, il convenuto afferma che tutti i GOA avrebbero ereditato processi complessi e, per la quasi
totalità, già maturi per la decisione ed istruiti da altri magistrati, il che confermerebbe la scelta praticata dal
convenuto di riservarsi di volta in volta su tutte la cause già mature per la decisione al fine di sfoltire di volta
in volta la partecipazione alle udienze dei patrocinatori delle cause da decidere. Tale prassi, adottata da quasi
tutti i GOA, troverebbe riconoscimento nella su detta missiva del Dott. Castellaneta in cui sui afferma
testualmente che “ in tali condizioni, molti GOA hanno commesso l’errore d’inesperienza di assumere in
decisione tutte le cause mature piuttosto che scaglionare le date di spedizione a sentenza”.
25
Contesta la ravvisabilità della colpa grave, che non potrebbe desumersi sic et simpliciter dalla decisione della
Corte d’Appello di Lecce perché in quel procedimento il convenuto è rimasto estraneo e perché la colpa
grave sarebbe connotata da comportamenti reiterati, sistematici e prolungati. Sostiene la scusabilità del
comportamento, causato dalla introvabilità del fascicolo di causa, dall’elevato carico di lavoro, dalla non
adeguata collaborazione delle strutture organizzative, dal fatto che, come emerge dalla pubblicazione del
carico assegnato ai GG.OO.AA., la quasi totalità dei procedimenti assegnati alle sezioni stralcio superava il
limite temporale ex Legge Pinto.
Ha concluso per il rigetto della domanda con vittoria di spese e, in subordine, per l’esercizio del potere
riduttivo, tenuto conto altresì dei vantaggi che l’Amministrazione avrebbe conseguito in relazione al
complessivo comportamento del G.O.A. al quale è stato riservato un trattamento economico e giuridico
notevolmente al di sotto di quello corrisposto ai Magistrati Professionali che lo hanno preceduto.
In via istruttoria ha chiesto che sia ordinato al Presidente del Tribunale Di Bari di voler esibire il “ruolo di
udienza” del GOA Ferrieri Caputi utilizzato
dal gennaio 1999 in poi” nonché se esistenti i così detti registri di passaggio
sui quali di volta in volta vengono annotate le cause assegnate e quelli sui quali vengono annotate le cause
riservate e la data dei provvedimenti conseguenti.
Ha domandato poi che sulle posizioni di seguito articolate siano ascoltati come testi i signori:
1-Avv.Paolo Quaranta,2-Avv:Vincenzo Manodoro,3-Avv:Dora Clemente,
4-Avv.Anna Maria Godini,5)Avv.Emanuele Triggiani
“vero che dopo le ferie dell’anno 2003 casualmente vennero rinvenuti fra quelli da archiviare alcuni faldoni
contenenti cause da decidere e fra questa alcune riguardanti il GOA Ferrieri Caputi”;
“vero che per la stesura delle decisioni e dei provvedimenti istruttori non assunti in udienza il GOA
provvedeva personalmente alla dattilografia con il computer o a macchina da scrivere”;
“vero che il numero delle cause inizialmente assegnate fu successivamente incrementato con la distribuzione
delle cause già in carico a GOA dimissionario e quelle provenienti dalle soppresse Preture”;
“vero che il numero degli assistenti di cancelleria e degli operatori era al di
sotto delle dotazioni previste dalla legge istitutiva delle sezioni stralcio”.
3.
All’odierna udienza, come da relativo verbale, le parti hanno ribadito quanto in atti, insistendo nelle
argomentazioni e conclusioni già rassegnate. In particolare, l’avv. Giancaspero ha sottolineato che non ci
sono mai state, oltre a quella per cui si discute, altre richieste di ristoro per equa riparazione avverso le
sentenze emesse dal dr. Ferrieri Caputi: ha insistito nella richiesta di prova testimoniale, richiamando la
complessità della fattispecie e sostenendo che la dispersione del processo non sia imputabile al convenuto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
Non può non condividersi con la Procura che sussistano, nel caso, tutti gli elementi costitutivi della
responsabilità amministrativa.
Evidente è il danno patrimoniale, avendo l’Erario statale subito un pregiudizio corrispondente all’esborso al
quale è stato condannato con il decreto del 20/4-26/6/2007 della Corte d’Appello di Lecce. Con tale
26
provvedimento la Corte, in accoglimento della richiesta di equa riparazione del Sig. Giuseppe Saccogna, ha
condannato il Dicastero della Giustizia a pagare in favore di costui la somma di € 11.125,00, più relativi
interessi legali dalla predetta domanda al soddisfo e spese giudiziali in ragione di € 1.457,02, di cui € 12,02,
per esborsi, € 575,00 per diritti ed € 870,00 per onorari ed accessori di legge. Tale importo,
complessivamente di € 13.610,14 è stato liquidato al Saccogna mediante ordinativo di pagamento emesso
dalla Presidenza della citata Corte d’Appello in data 18/6/2008.
2.
Evidente è altresì il nesso causale, dal momento che alla produzione del ritardo irragionevole e
ingiustificato nella conclusione del processo, che ha determinato la condanna del Ministero della Giustizia,
hanno contribuito in modo significativo i tre anni e cinque mesi di ritardo irragionevole e ingiustificato nel
deposito della sentenza successivamente al passaggio della causa in decisione, ascrivibili all’inerzia del
convenuto.
3.
Quanto all’illiceità della condotta, è manifesto come il convenuto abbia violato un obbligo primario
del Giudice, di deposito tempestivo dei propri provvedimenti, che costituisce regola essenziale per l’effettiva
attuazione del fondamentale principio, di espressa canonizzazione costituzionale (art. 111), del “giusto
processo”, la cui reale osservanza non può prescindere dalla “ragionevole durata” dello stesso.
4.
Quanto all’elemento soggettivo, non può che condividersi con la Procura regionale la gravità della
colpa del convenuto, considerata la macroscopicità della violazione di uno degli obblighi essenziali del
Giudice, per l’appunto quello di assicurare la “ragionevole durata del processo”, che si è perpetrata per un
lasso spropositato di tempo, di addirittura tre anni e cinque mesi intercorsi tra la data di celebrazione
dell’udienza e quella del deposito della sentenza. La macroscopicità di una siffatta violazione è
immediatamente intellegibile da chiunque, a fortiori da parte di un soggetto che, come il convenuto, è
munito di specifica preparazione giuridica.
5.
Con riferimento agli elementi addotti dal convenuto a giustificazione il proprio operato, nessuno di
essi presenta tale valenza.
5.1.
Quanto alle doglianze inerenti all’elevato carico di lavoro (1000 giudizi, quasi tutti complessi, con
successive assegnazioni a seguito delle defezioni di alcuni giudici, della soppressione delle Preture e della
scopertura dell’organico di fatto, tra i 12 e 15 giudici nel corso del tempo, rispetto ai 19 posti prefigurati
nella pianta organica) e alle disfunzioni organizzative della Sezione (carenza di spazi e personale, necessità
di provvedere da solo alla stesura e alla stampa dei provvedimenti, non coincidenza tra cause annotate a
ruolo e cause presenti in udienza, problemi inerenti alle comunicazioni delle udienze alle parti; discontinua
presenza del cancelliere in udienza) e alla scelta del convenuto di riservarsi per una pluralità di cause ormai
mature per la decisione sin dalle prime udienze, anziché riservarsi solo su alcune di esse, trattasi di aspetti
che, pur tenuti in considerazione dal Collegio, non possono comunque giustificare un’inerzia così protratta
(per ben tre anni e cinque mesi!) rispetto a un dovere essenziale del giudice quale è quello di concludere in
tempi ragionevoli i processi assegnatigli. Tra l’altro, come noto, le problematiche organizzative richiamate
dal convenuto sono (purtroppo) comuni – oltre che a tutti gli altri suoi Colleghi operanti nella stessa Sezione
– anche a numerosi altri Uffici giudiziari, nei quali peraltro, i Giudici, nonostante il difficile contesto,
ottemperano tempestivamente ai propri doveri, senza incorrere in ritardi così macroscopici quali quello in cui
è incorso il convenuto.
5.2.
Quanto alla circostanza che la gran parte dei giudizi assegnatigli fosse già ab origine non rispettosa
dei limiti temporali fissati dalla Legge Pinto, trattasi di aspetto inconferente, dal momento che al convenuto è
stato ascritto nell’odierno giudizio esclusivamente il ritardo irragionevole intercorso tra la data di
celebrazione dell’udienza e quella di deposito della sentenza, che è aspetto inequivocabilmente ascrivibile
esclusivamente a lui.
27
5.3.
Così come inconferente è la doglianza circa il fatto di non essere stato notiziato del giudizio ex legge
Pinto, dal momento che nessuno degli elementi qui dedotti dal ricorrente, afferenti sostanzialmente a
disfunzioni organizzative dell’Ufficio giudiziario, avrebbe potuto avere un qualche rilievo ai fini della legge
predetta. Invero, le eventuali disfunzioni del sistema giudiziario, in quanto rientranti nella sfera di controllo –
e dunque di responsabilità dello Stato - non avrebbero potuto comunque avere alcuna valenza né preclusiva
né riduttiva dell’indennizzo a carico dello Stato del danno da irragionevole durata del processo.
5.4.
Il convenuto ha poi affermato che il ritardo nel deposito della sentenza in questione sarebbe dipeso
dal “casuale rinvenimento dell’incarto in cancelleria dopo circa 2 anni in quanto inserito per errore (non dal
convenuto) in un faldone che conteneva altri fascicoli che, sebbene in vita, sarebbero stati destinati in
archivio” – “Episodio questo che sarebbe stato frequente e spesso evitato dalle sollecitazioni e dalla
collaborazione dei difensori delle parti”, legato anche al fatto che “I luoghi in cui vennero destinate le
cancellerie e soprattutto gli armadi contenenti i fascicoli cambiavano in continuazione per far posto ad altre
necessità del Tribunale”.
Orbene, tale episodio, pur a voler essere considerato da parte del Collegio, non è peraltro affatto esulante
dalla responsabilità del convenuto. Invero, pur nelle disfunzioni dell’Ufficio giudiziario, il Giudice è
comunque tenuto ad adottare adeguate cautele che gli consentano di avere contezza dei fascicoli assegnatigli
e che deve portare a decisione, non potendo egli affidare il reperimento di detti fascicoli alle “sollecitazioni e
… collaborazione dei difensori delle parti”. In altri termini, non è ammissibile che il Giudice che ha
trattenuto una causa in decisione e che deve quindi redigere la relativa sentenza entro un termine
“ragionevole” si disinteressi del tutto del reperimento del relativo fascicolo per “circa due anni”, limitandosi
ad attendere o le “sollecitazioni e… collaborazione dei difensori delle parti” ovvero il “casuale rinvenimento
dell’incarto in cancelleria dopo circa 2 anni”. Le affermazioni stesse del convenuto evidenziano da sé che,
quanto meno per “circa 2 anni”, termine già da solo manifestamente e ampiamente “irragionevole”, egli non
si è minimamente premurato di procurarsi il fascicolo sulla base del quale doveva redigere (ma molto tempo
prima) la sentenza, attendendo nella più totale inerzia il “casuale rinvenimento dell’incarto” o addirittura di
essere “sollecitato” o “coadiuvato” dai difensori” nell’adempimento di una dovere di tempestivo deposito
della sentenza che, con ogni evidenza, è un dovere esclusivo e primario del Giudice.
Per contro, canoni minimali di diligenza avrebbero voluto che, molto tempo prima dei due anni, il convenuto
si fosse preoccupato di procurarsi tempestivamente il fascicolo per redigere la sentenza e che, in caso di
difficoltà nel reperimento, egli le avesse segnalate - altrettanto tempestivamente all’Ufficio giudiziario sollecitando i funzionari preposti al reperimento del fascicolo e il Presidente all’esercizio dei suoi poteri
direttivi che certamente ineriscono anche alla risoluzione delle disfunzioni organizzative dell’Ufficio
giudiziario. E invece alcunché risulta aver fatto al riguardo il convenuto, il quale per ben “2 anni circa” si è
del tutto disinteressato del problema e addirittura, pur nella consapevolezza, al momento del “casuale
rinvenimento dell’incarto” che era già trascorso un tempo spropositato dall’udienza, ha perseverato nella
assoluta inerzia per l’ulteriore, e anch’esso spropositato, tempo di un anno e cinque mesi, anche pe tale via
manifestando una negligenza inescusabile, essendo evidente a chiunque - e a maggior ragione dovrebbe
esserlo a un giurista che abbia deciso di assumere le delicate funzioni giudicanti - che la diligenza minima
avrebbe voluto che un Giudice che si fosse accorto di un fascicolo trattenuto in decisione dopo “circa 2
anni”, quanto meno, si fosse premurato di redigere subito la sentenza, visto il tempo spropositato già
trascorso, senza lasciar passare un altro anno e cinque mesi.
6.
Per le esposte ragioni non meritano accoglimento le istanze istruttorie avanzate dal convenuto volte
alla acquisizione della documentazione attestante il carico e i registri “di passaggio”, nonché delle prove
testimoniali inerenti alle disfunzioni organizzative e alla vicenda del reperimento casuale del fascicolo dopo
2 anni descritte nella memoria. Invero, pur a non voler dubitare della veridicità delle circostanze riferite dal
convenuto, trattasi di aspetti che comunque non possono far venire meno, per le motivazioni esposte,
28
l’intensità gravissima e macroscopica della negligenza che ne ha caratterizzato l’inerzia nell’assolvimento di
un dovere primario, che si è protratta per un tempo pluriennale, irragionevole e insuscettibile di trovare
alcuna giustificazione secondo canoni di ragionevolezza e di diligenza professionale, per le ragioni già
esposte. Cosicché le acquisizioni istruttorie domandate dal convenuto afferiscono ad aspetti che comunque
non potrebbero mutare, nei termini anzidetti, l’apprezzamento inerente alla gravità della violazione da egli
posta in essere e si risolverebbero pertanto in un ingiustificato, e quindi non consentito, procrastinamento del
giudizio che è invece già maturo per la decisione.
7.
Per quanto concerne la quantificazione del danno, si condivide il criterio prospettato dalla Procura
regionale, che ha rapportato il danno erariale rappresentato dall’importo della condanna al ritardo di tre anni
e cinque mesi riscontrato nel deposito della sentenza in parola rispetto ai sette anni e cinque mesi
complessivamente rilevati come irragionevoli e ingiustificati dalla Corte d’Appello di Lecce. Pertanto,
il quantum individuato dalla Procura - di € 6.269,84 pari ai 41/81 della condanna complessiva ammontante a
€ 13.610,14 – essendo per l’appunto 41 i mesi di ritardo “irragionevole” ascrivibili al convenuto rispetto agli
81 di ritardo “irragionevole” complessivi - rappresenta il danno erariale che va posto a carico del convenuto.
8.
Ritiene peraltro il Collegio di dover esercitare il potere riduttivo in considerazione delle disfunzioni
organizzative e dell’elevato carico di lavoro, esposti dal convenuto. Trattasi di aspetti che, seppur inidonei a
far venire meno la macroscopicità e inescusabilità dell’inerzia irragionevole e ingiustificata da egli serbata,
evidenziano comunque un contesto lavorativo caratterizzato da una maggiore difficoltà per il Giudice di
poter adempiere ai propri doveri.
Pertanto, ritiene il Collegio che, rispetto al danno erariale domandato dalla Procura regionale, la cui
ascrivibilità al convenuto è stata in effetti accertata come sopra, l’importo della condanna possa essere
ragionevolmente ed equamente ridotto quantificandolo in una somma complessiva, comprensiva degli
interessi legali fino al deposito della sentenza, pari a € 5.000,00.
9.
Sulla suddetta obbligazione risarcitoria, resa liquida ed esigibile in virtù della presente sentenza e,
come tale, produttiva di interessi di pieno diritto (art. 1282 c.c.), sono dovuti gli interessi dal giorno del
deposito della sentenza sino a quello dell’effettivo e integrale soddisfo, nella misura legale di cui all’art.
1284 codice civile.
10.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Per questi motivi
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale regionale per la Puglia, pronunciando con sentenza definitiva
del giudizio di responsabilità iscritto al n. 31391 del Registro di segreteria sulla domanda della Procura
regionale, in integrale accoglimento della stessa,CONDANNA il Dr. Italo FERRIERI CAPUTI, in epigrafe
generalizzato, al pagamento in favore dell’Erario statale, della somma complessiva di € 5.000,00 (euro
cinquemila/00).
Su tale importo sono dovuti gli interessi legali dal giorno del deposito della presente sentenza sino a quello
dell’effettivo soddisfo.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano a carico del condannato, sino al deposito della
sentenza, in € 188,34
(euro centottantotto/34).
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 24 gennaio
2013.
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
f.to(PrimoRef. Daniela MORGANTE)
f.to(Pres. Eugenio Francesco SCHLITZER)
dep 18.2.2013
29
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
TOSCANA
SENTENZA
292
2013
RESPONSABILITA'
23/09/2013
N°292/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
composta dai seguenti magistrati:
Francesco PEZZELLA
Presidente
Carlo GRECO
Consigliere relatore
Angelo BAX
Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul giudizio di responsabilità, iscritto al n.59446/R del Registro di segreteria e promosso dalla Procura
regionale nei confronti della d.ssa Sabina GALLINI, C.F. GLL SBN 59C43 D612T, nata a Firenze il 6
marzo 1959 ed ivi residente in Viale Petrarca n. 38;
Visto l’atto di citazione del Vice Procuratore Generale presso questa Corte datato 21 marzo 2013;
Uditi, nella pubblica udienza del 10 luglio 2013, con l’assistenza del Segretario Armando GRECO, il
relatore consigliere Carlo GRECO ed il pubblico ministero in persona del Vice Procuratore Generale
Acheropita MONDERA ORANGES, non costituita la parte convenuta;
Visto l’art.132 c.p.c. (così come modificato dall’art.45, comma 17°, legge n.69/09) da ritenersi applicabile
anche al processo contabile per effetto del rinvio di cui all’art.26 del R.D. 1038/33 (cfr. sentenze di questa
Sezione nn. 85/12 – 165/12 – 232/12 – 233/12 – 335/12);
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Ritenuto in
FATTO
Nel merito della fattispecie il Pubblico Ministero contabile ha convenuto in giudizio la nominata per sentirla
“condannare al pagamento, a favore del Ministero della Giustizia, della somma € 6.156,94, o di quella
diversa somma che risulterà in corso di causa, rivalutata, aumentata degli interessi legali e con le spese del
giudizio”.
30
Circa i fatti materiali di cui si discute, dall’atto di citazione emerge che con atto prot. n.16672 del 13 agosto
2009 (cfr. All n.1 della nota di dep. n.1 del 21 marzo 2013), l’Ufficio Equa Riparazione presso la Procura
generale della Corte dei conti di Roma ha trasmesso alla Procura regionale, il decreto n.416 del 2006 della
Corte d’Appello di Genova, Sezione terza promiscua, che, “accertata la violazione dell’articolo 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in danno di Franco Marucci, ha condannato il
Ministero della Giustizia a risarcire al predetto ricorrente, in relazione al protrarsi del procedimento dinnanzi
al Tribunale di Firenze, Sezione distaccata di Empoli, il danno non patrimoniale liquidato nella misura di €
5.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla esecutività della decisione al saldo ed ha condannato la
soccombente Amministrazione a rifondere le spese legali di causa, liquidate in € 900,00”.
Si illustrano brevemente i fatti in questione.
Il Sig. Franco MARUCCI, con ricorso presentato davanti alla Corte d’Appello di Genova, ha avanzato
richiesta di equa riparazione, ai sensi degli artt. 2 e segg. della legge n. 89 del 24 marzo 2001 (c.d. legge
Pinto), nei confronti del Ministero della Giustizia, sostenendo di aver subito pregiudizio per l'eccessiva
durata del processo, avente ad oggetto risarcimento danni contrattuali, iniziato davanti alla Pretura di
Castelfiorentino, con citazione in data 12 maggio 1997 e definito in primo grado con sentenza del Tribunale
di Firenze, Sezione distaccata di Empoli del 29 maggio 2006.
A sostegno della domanda, il ricorrente ha evidenziato che, dopo vari rinvii, la causa è pervenuta all'udienza
del 27 settembre 2000, in cui il Giudice (dott.ssa Sabina GALLINI) si riservava di pronunciarsi sulla
richiesta di una consulenza tecnica relativa ad una piscina, oggetto del contendere.
Nonostante i ripetuti solleciti a sciogliere la riserva, l’udienza rimaneva senza risposta per cinque anni.
In seguito alla sospensione (da parte del Consiglio Superiore della Magistratura) dalla funzione e dallo
stipendio del Giudice che aveva in carico il processo (parte odierna convenuta), è stato designato un
magistrato onorario che, all’udienza del 19 dicembre 2005, dopo aver preso atto dell'inutilità di una perizia,
data la distanza di tempo dall’esecuzione dei lavori, ha invitato le parti a precisare le conclusioni per
l’udienza del 17 febbraio 2006 e, in data 29 maggio 2006, ha depositato la sentenza.
Il processo riguardante il Sig. Marucci è durato, quindi, circa nove anni.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha ritenuto ragionevole la durata di quattro anni per un processo di
primo grado, che non presenti situazioni oggettive peculiari.
Esaminando il caso in esame, la Corte d’Appello di Genova ha rilevato che “alcuni dei rinvii accordati sono
stati effettivamente cagionati dalle richieste delle parti, ma si può affermare che la lunghezza del processo è
principalmente ascrivibile a ritardi cagionati dai tempi troppo lunghi intercorrenti tra la fissazione di
un'udienza e quella successiva, ed alla stasi della stessa per cinque anni imputabile all'ufficio giudicante.
Secondo la giurisprudenza della C.E.D.U., cui questa Corte ritiene di aderire, tali ritardi non possono essere
giustificati dal sovraccarico del ruolo o dalla carenza di organico, poiché l'Autorità procedente ha sempre
l'obbligo, in base all'art. 6, comma 1, di organizzare il suo sistema giudiziario in modo tale che i Tribunali
possano soddisfare ciascuno dei requisiti previsti dalla norma citata. Indipendentemente dall'individuazione
di ragioni imputabili ad una singola Autorità Giudiziaria, il carattere strutturale e, per cosi dire, quasi
fisiologico del ritardo nel rendere la giustizia civile rispetto al criterio del termine ragionevole, sottende
infatti una responsabilità complessiva dello Stato/Istituzione nel non determinare le condizioni per l'esatto
adempimento della prestazione decisoria, entro un termine ragionevole. Ciò posto, appare a questa Corte
irrilevante, in base alla lettera ed allo spirito della legge, la circostanza della esistenza o meno della colpa in
capo all'autorità dinanzi alla quale si è svolto il procedimento, rilevando la sola circostanza obiettiva del suo
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protrarsi per cinque anni oltre i tempi valutati come ragionevoli (quattro anni). Affermata pertanto la
sussistenza della violazione, ne consegue il diritto all'equa riparazione”.
Con mandato di pagamento del 12 luglio 2007 (cfr. All. n.5 nota di dep. cit.), il Ministero della Giustizia ha
corrisposto al Sig. Marucci la somma di € 6.156,94, in esecuzione del decreto n.416 del 2006 della Corte
d’Appello di Genova.
Con nota prot. n. 208 del 1° giugno 2011 (cfr. All. n.3 nota di dep. cit.), il Presidente del Tribunale di
Firenze, ha provveduto a costituire in mora la dott.ssa Sabina GALLINI, in relazione al danno cagionato al
Ministero della Giustizia dalla propria condotta omissiva, relativamente alla vicenda processuale del Sig.
Marucci Franco.
Attivata la procedura del c.d. invito a dedurre, l’interessata non ha presentato, nei termini, memorie scritte né
ha chiesto di avvalersi della facoltà di essere sentita personalmente.
Formalizzato, pertanto, il presente atto di citazione, all’odierna discussione orale il rappresentante della
Procura, preso atto della non costituzione in giudizio della parte convenuta, si è richiamato al tenore del
proprio scritto insistendo per la condanna e su tali presupposti il giudizio è passato in decisione.
Considerato in
DIRITTO
Nel merito dei fatti la pretesa risarcitoria azionata presenta tutti i presupposti previsti dalla normativa:
rapporto di servizio con una pubblica Amministrazione, nesso causale fra comportamento e danno erariale
attuale nonché elemento soggettivo connaturato da dolo o colpa azionabile.
Ciò premesso si evidenzia quanto segue:
1. Rapporto di servizio
Il ruolo ricoperto dalla parte convenuta nella struttura amministrativa determina, per tabulas, la soggezione
della stessa alla giurisdizione di questo Giudice contabile.
In dettaglio si tratta di un Magistrato ordinario e, quindi, appartenente ai ruoli del Ministero di Giustizia.
2. Nesso causale
Come dettagliatamente riportato in citazione si osserva che, in conseguenza dei ritardi e delle inadempienze
rilevate nella gestione del giudizio del Sig. Marucci, nonché di tanti altri processi, da parte della dott.ssa
Sabina Gallini, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in fase cautelare, con
provvedimento n. 42 del 22 aprile 2005, ha disposto la sospensione provvisoria dalle funzioni e dallo
stipendio del predetto magistrato, attribuendo allo stesso un assegno alimentare pari ai due terzi dello
stipendio e delle altre competenze di carattere continuativo.
Nella fase di merito, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha adottato la
sentenza n. 2 del 19 gennaio 2007 con cui ha ritenuto la dott.ssa Gallini Sabina responsabile delle
incolpazioni e le ha inflitto la sanzione disciplinare della perdita di anzianità per anni due.
I fatti contestati in sede disciplinare alla dott.ssa Gallini ed aventi ripercussioni dannose per
l’Amministrazione della Giustizia, attengono tra gli altri (cfr. analitica descrizione riportata in citazione alle
pagg. 6-9) alla violazione dell'art. 18 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511 (Guarantigie della Magistratura), in
quanto, nella sua qualità di giudice del Tribunale di Firenze addetta alla Sezione distaccata di Empoli,
32
malgrado fosse già stata sottoposta a vari procedimenti disciplinari per fatti analoghi e nonostante i reiterati
inviti formulati dai dirigenti dell'ufficio, persisteva, alla data del 31 dicembre 2003, nell'omettere il deposito
di n. 42 sentenze civili e n. 39 sentenze penali.
Ometteva, alla data del 31 dicembre 2004, di provvedere alla fissazione di tutti i giudizi di appello relativi
alle 17 sentenze emesse dai giudici di pace negli anni 2003 e delle altre 6 sentenze emesse nel 2004.
Violava il dovere di correttezza omettendo, del tutto ingiustificatamente, di ottemperare al provvedimento n.
53 del 15 aprile 2003 (approvato anche dal C.S.M. nella seduta del 10 dicembre 2003) con cui il Presidente
del Tribunale di Firenze, al fine di superare la grave situazione di stallo, le ingiungeva la riconsegna dei
fascicoli delle cause civili trattenute, senza esito, in decisione, per una loro riassegnazione ai colleghi della
Sezione, mancando finanche un qualsiasi cenno di riscontro alla ingiunzione stessa.
A riguardo è opportuno richiamare la citata sentenza n. 2 del 2007 del C.S.M. (cfr. All. n.6 nota di dep. cit.)
in cui si legge: “dagli atti acquisiti emerge con evidenza la responsabilità della dott.ssa Sabina Gallini per i
fatti contestati. E', infatti, innegabile la situazione di ostinata omissione del deposito dei provvedimenti che
aveva determinato nel tempo non solo le precedenti condanne disciplinari (seguite, peraltro, a due
proscioglimenti per le stesse condotte riferite a fatti ancor più risalenti) ma, come risulta dagli atti:
•
un provvedimento del Presidente del Tribunale del 15 aprile 2003 di riassegnazione dei
procedimenti della dott.ssa Gallini non depositati, valevole quale variazione tabellare, decreto approvato
dal C.S.M. il 10 dicembre 2003; l'invito formulato dal Presidente della Sezione, su incarico del Presidente
del Tribunale, alla consegna dei fascicoli processuali, dell'8 luglio 2003, ripetuto il 24 aprile del 2004, dopo
la notifica del provvedimento del C.S.M. avvenuta in data 24 dicembre 2003, in forma di formale diffida;
•
l'apertura di un procedimento penale per violazione dell'art. 238 c.p. proprio per l'omessa
motivazione delle sentenze e delle ordinanze; la omessa fissazione delle udienze d'appello, avverso le
sentenze del giudice di pace, e l'omessa ottemperanza all'ordine di consegna dei fascicoli;
•
l'apertura di altro procedimento penale per omesso deposito di 140 sentenze civili, lavoro e penali
tra il 1995 e il luglio 2001 e per l'omesso deposito, nonostante diffida scritta, prima dalla parte poi dal
Presidente del Tribunale, di una sentenza assunta in decisione in data 24 marzo 1995; ………………
II quadro emergente dagli atti attesta una pervicace inerzia da parte della dott.ssa Gallini a procedere agli
adempimenti relativi ai procedimenti assunti in decisione per i quali i ritardi sono andati progressivamente
crescendo, con un radicale inadempimento, rispetto ad essi, degli obblighi connessi all'ufficio ricoperto.
La loro materialità è peraltro già riconosciuta nel corso dell'attuale giudizio nel provvedimento cautelare di
sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, ove si prende atto dei ritardi e si ricostruiscono
dettagliatamente i passaggi cronologici delle reiterate richieste di consegna dei fascicoli processuali, prima
in forma di invito, poi di ordine ed ancora di formale diffida per affermare in conclusione: "appare del tutto
conseguita la prova di un pluriennale persistente inadempimento e, a questo connesso, il rifiuto — per verità
incomprensibile, ma ostinato, come con oggettivazione adeguato è stato più volte descritto il comportamento
della dott.ssa Gallini — a voler consegnare i fascicoli trattenuti presso di se' per dar luogo, attraverso la
riassegnazione, ad un faticoso processo di normalizzazione dell'attività giurisdizionale, cosi platealmente
vulnerata dall'incredibile letargia della dott.ssa Gallini, che, tra l'altro, non ha mai offerto una qualsiasi
giustificazione".
Per quanto sopra il comportamento della dott.ssa Gallini, causativo di danno erariale, per il Collegio è
indiscutibilmente qualificabile come gravemente colposo.
33
3. Danno erariale
Come detto, nella fattispecie sussisterebbe un danno diretto alle casse erariali, nello specifico del Ministero
di Giustizia pari ad €. 6.156,94.
L’importo di cui si discute ammonta a quanto concretamente liquidato al citato sig. Franco Marucci in
relazione alla gestione, da parte della convenuta, del relativo giudizio civile per inadempimento contrattuale,
meglio illustrato in narrativa.
4. Addebitabilità del danno
All’odierna convenuta, in virtù del comportamento gravemente colposo accertato, deve essere integralmente
addebitato l’importo di €. 6.156,94.
Alla somma per cui è condanna, trattandosi di debito di valore vanno aggiunti la rivalutazione monetaria e
gli interessi secondo i criteri che seguono:
- per il danno diretto (€.6.156,94) la rivalutazione va calcolata secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo
per le famiglie ed operai (FOI), a decorrere dal fatto illecito va indicato nella data del mandato di pagamento
emesso a favore del creditore (12 luglio 2007), fino alla pubblicazione della presente sentenza;
- gli interessi legali vanno calcolati dalla stessa data sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè
con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in
base agli indici di rivalutazione monetaria (Cass. Sez.II n.18028/10 – Sez.III n.4587/09 – Sez.III n.5671/10 –
SS.UU. n.1712/05), sino alla pubblicazione della presente sentenza;
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata,
gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno, quindi, poste a carico della parte convenuta
condannata;
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione giurisdizionale della Regione Toscana della Corte dei conti, definitivamente pronunciando sul
giudizio n.59446/R, in conformità delle conclusioni del Pubblico ministero, respinta ogni contraria istanza,
eccezione o deduzione: CONDANNA La d.ssa Sabina GALLINI al pagamento in favore del Ministero
della Giustizia della somma di €. 6.156,94 (seimilacentocinquantasei/94)
L’importo per cui è condanna va infine maggiorato delle somme aggiuntive secondo il criterio di calcolo
indicato in motivazione e, sull’importo così rivalutato, vanno corrisposti gli interessi legali dalla
pubblicazione della presente sentenza fino all'integrale soddisfo.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali che, fino alla presente decisione, sono liquidate in
€.280,13.= (Euro duecentottanta/13.=). Manda alla Segreteria le comunicazioni e le notificazioni di rito
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 10 luglio 2013.
Il CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Carlo Greco F.to Francesco Pezzella
Depositata in Segreteria il 23 SETTEMBRE 2013
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