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sociologia delle differenze di genere
SOCIOLOGIA DELLE DIFFERENZE DI GENERE a cura di: Prof.ssa Isabella Moretti 1. IL SESSO E I CROMOSOMI Paragrafo tratto da: Bagnasco, Barbagli, Cavalli (2004). A differenza di alcuni animali, per i quali è quasi impossibile distinguere il maschio dalla femmina, gli uomini e le donne sono sessualmente dimorfi, cioè presentano differenze chiare e visibili di carattere anatomico. Tali differenze non riguardano solo gli organi sessuali (caratteri sessuali primari) ma anche i caratteri sessuali secondari, ovvero: l'altezza, il peso, le dimensioni delle superfici pilifere, il rapporto fra muscoli e tessuto adiposo. Di conseguenza, l'uomo è solitamente più alto, più muscoloso, più forte e più veloce. Le differenze anatomiche, tra maschi e femmine, hanno origine dal differente patrimonio genetico. Tutto inizia quando uno spermatozoo (maschile) feconda un uovo (femminile). Lo spermatozoo fornisce all'embrione 23 cromosomi ed altrettanti gliene dà l'ovulo. Dunque, ogni essere umano ha 23 coppie di cromosomi, ciascuna con un cromosoma proveniente dal padre e uno proveniente dalla madre. In 22 di queste coppie, i cromosomi sono identici, nella ventitreesima, i cromosomi possono essere sia uguali, sia diversi. Poiché l'ovulo contribuisce sempre con un cromosoma X e lo spermatozoo con uno di tipo X o Y, è l'apporto del padre a determinare il sesso del nascituro. In altri termini, se lo spermatozoo ha un cromosoma X, si avrà una femmina, se invece ne ha uno Y, un maschio. Il processo di differenziazione sessuale inizia solo alla sesta settimana dopo il concepimento. Intorno alla sesta-ottava settimana, se nell'embrione vi è un cromosoma Y, le gonadi (ghiandole), fino ad allora indifferenziate, si trasformano in testicoli; se il cromosoma Y è assente, diventano ovaie. Testicoli e ovaie vengono definiti caratteri sessuali primari. I testicoli iniziano a secernere gli ormoni sessuali androgeni (fra i quali il testosterone) e questi ultimi generano lo sviluppo prima dei genitali maschili interni (la prostata, la vescicola seminale, il cordone spermatico) e poi quelli esterni (il pene e lo scroto). Nelle femmine si sviluppano i genitali interni (l'utero, le trombe di Falloppio, la vagina superiore) e quelli esterni (il clitoride e le piccole labbra). Gli ormoni sessuali entrano in azione anche più avanti, molti anni dopo la nascita, per determinare lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Nelle donne si forma allora il seno, si estendono i tessuti adiposi e la superficie pilifera. Negli uomini si sviluppano i muscoli, la voce diventa più bassa e spuntano peli anche sul volto, oltre che in altre parti del corpo. 2. ESSENZIALISMO E COSTRUZIONISMO SOCIALE Paragrafo tratto dai seguenti contributi: Bagnasco, Barbagli, Cavalli (2004); Giddens (2006). Sociologi, antropologi, psicologi ed economisti, hanno proposto numerose teorie per spiegare le differenze di atteggiamento e comportamento riscontrate tra uomini e donne. Tutte queste teorie possono essere ricondotte a due opposte impostazioni: a. essenzialismo: pone l'accento sul dualismo assoluto dei due sessi e sostiene che le differenze fra mascolinità e femminilità sono naturali, universali, immodificabili. Le teorie che rifanno all'approccio essenzialista, sono frequentemente di tipo biologico e riconducono la mascolinità e la femminilità a differenze ormonali, di dimensione e organizzazione del cervello o di capacità riproduttiva. Per gli studiosi che si rifanno a questo approccio, "uomini e donne si nasce". b. costruzionismo sociale: pone l'accento sulla somiglianza dei generi e sulla continua costruzione e ricostruzione dell'identità di genere nelle interazioni sociali con gli altri. Secondo questa impostazione, le differenze di genere sono un prodotto culturale; il bambino interiorizza le norme e le aspettative sociali corrispondenti al proprio sesso, attraverso il contatto con gli agenti di socializzazione. Per gli studiosi che si rifanno a questo approccio, "femmine e maschi si nasce ma uomini e donne si diventa". Gli studiosi di scienze sociali distinguono fra sesso e genere. 3. QUAL E' LA DIFFERENZA TRA SESSO E GENERE? Paragrafo tratto dai seguenti contributi: Bagnasco, Barbagli, Cavalli (2004); Giddens (2006) Per sesso si intendono le differenze anatomiche e fisiologiche che caratterizzano i corpi maschili e femminili; per genere le qualità distintive di maschi e femmine, culturalmente definite. Il genere si riferisce alle caratteristiche e alle possibilità economiche, sociali, politiche e culturali associate allo stato maschile e femminile. Nella maggior parte delle società, uomini e donne sono diversi nelle attività che svolgono, nell’accesso e nel controllo delle risorse, nella partecipazione alle decisioni. E in gran parte delle società, le donne hanno minor accesso degli uomini alle risorse, alle possibilità e alle decisioni (Desprez-Bouanchaud et al. 1987, in: Lombardi 2005). Il sesso di una persona è una realtà fisica, ma il modo in cui uomini e donne vedono sé stessi e si pongono in relazione, così come i ruoli che sono loro assegnati sono una costruzione sociale e vengono appresi durante il processo di socializzazione. Numerose prove a favore della tesi che il genere è una costruzione sociale e che le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti di uomini e donne variano culturalmente provengono dai risultati delle ricerche antropologiche. A tal proposito, basandosi sui dati raccolti in quasi duecentomila società primitive, gli antropologi hanno dimostrato che nonostante la divisione sessuale del lavoro sia presente in tutte le società, d'altra parte, i compiti considerati propri di uomini e donne, varia di società in società (si veda tab. 8.1). Tuttavia, vi sono dei compiti che vengono svolti quasi unicamente dagli uomini: la caccia, la fusione e lavorazione dei metalli, l'abbattimento degli alberi, la lavorazione del legno. Ve ne sono altri che spettano quasi sempre alle donne: cucinare, lavare, andare a prendere l'acqua, filare. Vi sono poi altri compiti ancora, che spettano con la stessa frequenza agli uomini e alle donne: il raccolto, la mungitura, la fabbricazione degli articoli di cuoio. Anche l'antropologa Margaret Mead (1901-1978) ha messo in evidenza come i profili identitari di uomo e donna possano assumere tratti molto diversi. Ad esempio, rispetto agli usi occidentali, aveva notato come in Nuova Guinea e in particolare nel popolo dei "Manus", la cura dei figli (a partire dal compimento del primo anno di vita), sia totalmente a carico degli uomini. Inoltre nel vicino popolo dei "Ciambuli", i maschi hanno atteggiamenti che qualunque occidentale giudicherebbe femminili, come adornare e abbellire il corpo e mettersi sul capo riccioli finti (Mari, Tommasi; 2012). 4. LA SOCIALIZZAZIONE DEI RUOLI DI GENERE Paragrafo tratto da: L. Lombardi (2005). I sociologi usano i termini sesso e genere per distinguere l'identità biologica dai ruoli di genere. Per i sociologi quest'ultimo è il concetto più significativo perché è l'insieme delle aspettative e dei comportamenti socialmente appresi e associati a ciascun sesso. Maschi e femmine si nasce ma uomini e donne si diventa attraverso il processo di socializzazione che si prospetta diverso per i due sessi. Un processo che inizia sin dalla nascita, anzi ancor prima, cioè dal momento in cui la prima ecografia abbozza il profilo dei caratteri sessuali primari (maschili o femminili). Genitori, nonni e parenti cominciano già ad immaginare il bambino o la bambina, prospettando giochi, colori, abbigliamento, desideri e futuri diversi. Ancor prima di nascere gli si attribuiscono nomi maschili o femminili e già ci si rivolge a loro attribuendogli l'identità (di sesso e di genere) che l'ecografia ha indicato. "Genitori, parenti e conoscenti continuano a trattare i bambini in modo stereotipato per tutta l'infanzia. Ci si aspetta che le bambine amino le coccole e siano dolci, mentre i bambini vengono trattati in modo più sbrigativo e godono di una maggiore indipendenza" (Andersen, Taylor, 2004, p. 224). Per la sociologia non è importante sapere se sia la biologia o la cultura a formare gli uomini e le donne, ma è importante sapere come biologia e cultura interagiscono nel produrre l'identità di genere di una persona. La socializzazione è il processo mediante il quale le aspettative della società vengono insegnate e apprese. Pertanto attraverso la socializzazione al genere gli uomini e le donne apprendono le aspettative associate al loro sesso che incidono sul concetto di sé, sugli atteggiamenti sociali e politici, sul modo in cui percepiscono gli altri e sul modo in cui stabiliscono e intrattengono relazioni. La socializzazione al genere è un processo talmente potente nell'indirizzare e costruire le identità di genere che anche coloro che "sfidano le aspettative tradizionali spesso si trovano costretti a cedere all'influsso potente della socializzazione" (Andersen, Taylor, 2004, p. 226 in: Lombardi 2005). Accade così che donne che hanno consapevolmente rigettato i ruoli tradizionali femminili si scoprano ad educare i proprio figli in base alle aspettative e ruoli di genere consolidate; d'altro canto possiamo osservare uomini che pur avendo assunto parte della responsabilità della casa e della cura dei figli, non si accorgano che il frigorifero è vuoto o che il bambino abbia bisogno di un bagno, perché, per educazione ed abitudine, sono portati a pensare che qualcun altro si occuperà di tali faccende. In altre parole, determinate aspettative e comportamenti sono così pervasivi che non è sufficiente uno sforzo individuale per modificarli. Attraverso la socializzazione si forma l'identità di genere, cioè la definizione che ciascuno dà di sé stesso come uomo o come donna: l'immagine che ciascuno/a coltiva, le aspettative che nutre per sé stesso/a rispetto alle sue capacità, ai suoi interessi e al modo in cui interagisce con gli altri. Come per altre forme di socializzazione, anche per quella di genere, rivestono un ruolo centrale le molte agenzie di socializzazione come, la famiglia, la scuola, le parrocchie, i mass media, la cultura popolare ed altre. Chiaramente la socializzazione al genere viene rafforzata ogni qual volta i comportamenti vengono approvati o disapprovati dalle varie agenzie. Come è noto la famiglia è l'agenzia di socializzazione primaria ed è qui che si apprendono i primi comportamenti di genere rispetto ai ruoli, ai luoghi di gioco ed ai giochi stessi, a fare più o meno capricci, ad occuparsi degli altri o ad affermare principalmente sé stessi. Sebbene si riscontrino delle differenze tra famiglie e strati sociali, pare che nelle famiglie in cui le donne lavorano fuori casa e in quelle di condizioni più elevate, la definizione dei ruoli maschile/femminile sia meno rigida (Andersen, Taylor, 2004, in: Lombardi 2005). Anche in età infantile la socializzazione non avviene solo all'interno della famiglia ma anche nel gruppo dei pari. "Attraverso il gioco i bambini acquisiscono modelli di interazione sociale, capacità fisiche e cognitive e abilità analitiche e apprendono i valori e gli atteggiamenti della loro cultura" (ibidem, p. 228). Varie ricerche dimostrano, per esempio, che le bambine giocano in maniera più cooperativa quando sono in gruppi femminili rispetto a quando sono inserite in gruppi misti (Neppl e Murray, 1997, in: Lombardi 2005). I maschietti tendono a dominare le femminucce e generalmente sono i primi a stabilire le regole dei giochi. Allo stesso modo possiamo notare che i bambini sono più incoraggiati a giocare"all'aperto mentre le bambini in luoghi chiusi; ai primi vengono proposte attività militaresche o che richiedo l'espressione dell'aggressività; anche i giocattoli proposti per un genere per l'altro sono nettamente diversi e se nell'uno evocano aggressività e dominio nell'altra evocano gentilezza, propensione verso gli altri, apprendimento al prendersi cura. Gli stessi stereotipi si possono riscontrare nella letteratura per bambini, anche se è possibile rilevare un certo cambiamento negli anni più recenti (Griswold, 1997, in: Lombardi 2005). Non vanno trascurati i media, soprattutto il mezzo televisivo, davanti al quale "si compie molta della nostra socializzazione; è attraverso essa che impariamo la grammatica del vivere" (Casetti, 1988,26, in: Lombardi 2005). Gli studi italiani sui consumi mediali e sulle rappresentazioni di genere nei media non si sono sviluppati come nei paesi anglosassoni. Alcuni studi statunitensi evidenziano come nelle TV americane lo stereotipo relativo alle donne le dipinga bionde, belle, provocanti ma stupide, nonostante le donne bionde negli USA costituiscano solo un quarto della popolazione bianca. Ciononostante, esse compaiono nei media cinque volte più degli uomini (Rich e Cash, 1993, in: Lombardi 2005). Altre ricerche dimostrano che in televisione la presenza degli uomini è numericamente superiore a quella delle donne, occupano posizioni più prestigiose e tendono ad essere stereotipati in ruoli forti e indipendenti (Merlo e Smith, 1994, in: Lombardi 2005). La pubblicità è un altro canale di differenziazione e socializzazione al genere: sono sotto gli occhi di tutti le immagini femminili perennemente svestite o in atteggiamenti sessuali espliciti, in posizioni che le vede "a terra, sullo sfondo o con lo sguardo perduto nel vuoto che le fa apparire subordinate e disponibili rispetto agli uomini" (Andersen, Taylor, 2004, 230, in: Lombardi 2005). L'adesione rigida agli stereotipi di genere rivela conseguenze negative sia su un sesso che sull'altro. Come evidenziato nel testo di Andersen e Taylor (2004) un'adesione stringente allo stereotipo della mascolinità da parte degli uomini, li condurrebbe ad elevati tassi di mortalità per incidenti e atti di violenza, e li predisporrebbe all'uso di droghe, alcool e tabacco. D'altra parte, verrebbero scoraggiati ad esprimere sensibilità, sentimenti e affettività. Secondo alcune ricerche gli uomini che mantengono maggiore equilibrio fra tratti maschili e tratti femminili godono di migliore salute mentale e fisica (ibidem). Anche le donne subiscono conseguenze negative qualora seguano rigidamente regole e aspettative di genere: quelle più passive, acquiescenti e dipendenti presentano i tassi più alti di depressione e di altre forme di disturbi mentali e fisici (Facchini, Ruspini, 2001). Le donne classificate come "più femminili" tenderebbero anche ad essere le più insoddisfatte e con minore autostima. In definitiva, il conformismo ai tradizionali ruoli di genere, negherebbe alle donne l'accesso al potere, all'intraprendenza e all'indipendenza nella sfera pubblica e negherebbe agli uomini l'accesso ai mondi più intimi, emozionali e orientati agli altri, più conosciuti dall'universo femminile. Pare che questa rigidità di ruoli di genere si vada affievolendo con il passare degli anni: tra le donne più anziane si riscontrerebbe maggiore sicurezza, assertività e competenza, come dimostra Franca Pizzini (1999, in: Lombardi 2005) in una ricerca sugli aspetti sociali, culturali e medici della menopausa, mentre gli uomini si renderebbero più aperti e disponibili. In generale, con l'avanzare dell'età e l'accumulo di esperienza, gli individui si scoprirebbero più sicuri e più distanti dalle norme culturali fissate. I ruoli delle donne, come quelli degli uomini, sono quindi condizionati dal contesto sociale in cui hanno luogo le loro esperienze. Possiamo sintetizzare quanto finora detto riguardo alla socializzazione di genere, grazie al contributo di Eleanor Maccoby (1917), che individua le dinamiche prevalenti che soggiacciono allo sviluppo dell'identità di genere (Mari, Tommasi, 2012; pp.131): i. IMITAZIONE: i bambini prendono come modello il comportamento adulto, a cominciare da quello dei genitori, in particolare dalla figura nutrice e che trascorre con i figli più tempo. ii. RINFORZO: incoraggiamento oppure scoraggiamento che il bambino riceve dall'adulto, a seconda che il suo comportamento sia da questi giudicato coerente con l'identità di genere ritenuta adeguata. iii. AUTO-SOCIALIZZAZIONE: rimanda alla relazione con gli altri, nella quale il bambino si sperimenta anche relativamente al proprio ruolo di genere, raccogliendo approvazione oppure disapprovazione. Aldilà delle differenti interpretazioni teoriche, dal punto di vista sociologico è chiaro che c'è sempre stata e continua ad esserci una differenziazione di ruolo (seppure negli ultimi anni molte pratiche siano cambiate) tra i generi maschile e femminile. Nel caso della donna, tale differenziazione di ruolo, ha prodotto diverse forme di discriminazione, che si sono concretizzate in una segregazione educativa ed occupazionale. Se si osservano, ad esempio, i tassi di laurea tra le donne, si nota come questi superino quello degli uomini (vedi grafico 1 a pp. 133 del libro di testo); ciononostante queste si orienterebbero prevalentemente verso alcuni tipi di percorsi (vedi tabella 2 pp. 134), associati ad occupazioni con retribuzioni più basse. 5. LE TEORIE SUL GENERE Paragrafo tratto da: L. Lombardi (2005). La domanda di fondo a cui le teorie cercano di dare risposta 'è: perché vi è disuguaglianza tra i generi? Le principali prospettive teoriche della sociologia (funzionalismo, teoria del conflitto e teoria della scelta razionale) forniscono un'interpretazione di questa diversità. Vediamole brevemente. La scuola struttural-funzionalista affonda le sue radici nell'organicismo di Comte e di Spencer. Essi vedono il sistema sociale come un grande organismo, le cui parti sono strettamente interrelate. L'organismo sociale, come lo chiama Durkheim, possiede uno 'spirito', i suoi organi non stanno tutti sullo stesso piano, ma si differenziano in virtù dei bisogni dell'intero; tra le parti, dunque, si sviluppa solidarietà dal momento in cui tutte svolgono una funzione determinante per l'equilibrio del sistema. Da questa distinzione, Parsons (1954) fa discendere la differenziazione dei ruoli sessuali nella famiglia. Egli afferma che in una famiglia moderna sia necessaria la presenza di due adulti specializzati nello svolgere ruoli specifici e differenti. Il padre-marito detiene la leadership strumentale, la quale si incentra sui rapporti tra la famiglia e il mondo esterno. Alla moglie-madre, invece, spetta il ruolo di leadership espressiva che si incentra sui rapporti interni alla famiglia. Il marito lavorando fuori casa mantiene la famiglia e ne determina la buona reputazione; in questo modo è esentato dalla cura dei figli e dall'organizzazione domestica, che sono i compiti assegnati alla moglie. Per gli struttural-funzionalisti, dunque, alla differenza biologicosessuale corrisponde in modo univoco una differenza attitudinale, che riserva alle donne e agli uomini ambiti specifici diversi, funzionali al mantenimento dell'ordine e dell'equilibrio nella società. Gli uomini si occupano dell'ambito esterno alla famiglia, mentre alle donne è riservato l'ambito familiare. Le differenze di ruolo, sarebbero quindi il riflesso di una differenza strutturale tra i sessi. Di ben altro avviso sono i teorici del conflitto; in particolare Randall Collins (1941) sostiene che la differenza di genere derivi dal conflitto tra gruppi antagonisti: quello degli uomini e quello delle donne. Il potere degli uni sulle altre discenderebbe dalla loro prevalenza fisica, che ha legittimato il dominio maschile, approdato - in certi casi - alla codificazione del diritto di proprietà del marito sulla moglie e sulle figlie. Gli esponenti della teoria della scelta razionale (o teoria dello scambio sociale) si concentrano sulle scelte e sulle decisioni individuali: "le persone sono attori razionali che basano le azioni su ciò che percepiscono come i mezzi più efficaci per raggiungere i propri scopi in un mondo dominato dalla scarsità di risorse (...). Le persone scelgono di partecipare a uno scambio dopo aver esaminato costi e svantaggi delle alternative a disposizione e averne scelto la più conveniente" (Ruspini, 2003, 41, in: Lombardi 2005), e ciò vale anche in campo sentimentale: questo significa che, per esempio, il partner meno coinvolto si trovi in una posizione di vantaggio. Le ricerche di Katleen Gerson (1985) su come le donne prendono le decisioni rispetto al lavoro, alla carriera e alla maternità indicano che in buona parte dei casi queste sono dettate da scelte individuali, mentre influenze familiari e sociali e le aspettative dei singoli "non permettono di prevedere con sicurezza come gli individui si comporteranno da adulti". In questo modo la studiosa mette in discussione la teoria della costruzione sociale e della socializzazione al genere; secondo la Gerson le scelte individuali sarebbero legate anche a particolari eventi di vita (ad esempio, nella scelta tra famiglia e carriera può incidere un'inaspettata condizione di povertà o malattia, una separazione oppure un'inaspettata opportunità di lavoro). Sempre la Gerson, evidenzia come i limiti sociali si ricolleghino al potere decisionale, che appartiene a chi detiene il reddito più alto. 6. IL MOVIMENTO FEMMINISTA PER LA CONQUISTA DEI DIRITTI Paragrafo tratto da: Mari, Tommasi (2012) e Rapporto Eurydice (2010). Il femminismo è un movimento sociale sorto nella seconda metà del XIX sec. in Francia e nei Paesi Anglosassoni, inizialmente per la conquista dei diritti civili (es. libertà di pensiero e di opinione) e politici (es. diritto di voto) e per rivendicare la specificità della questione femminile, soprattutto in ambito lavorativo. Le prime manifestazioni di questa sensibilità risalgono al tardo illuminismo e alla Rivoluzione francese. Fu infatti nel 1791, alla Costituente parigina che Olympe de Gouges (1748-1793) presentò una Dichiarazione dei diritti delle donne, che pur non sortendo nessun effetto immediato, costituì un punto di riferimento per le mobilitazioni femministe successive. Il movimento femminista subì una pesante battuta d'arresto in seguito all'emanazione del Codice Napoleonico, che codificò l'inferiorità della donna in campo matrimoniale e patrimoniale. Tuttavia l''800 fu teatro di una graduale e crescente ripresa del movimento in favore dei diritti della donna, culminato - a fine secolo nel conseguimento del diritto di voto in Nuova Zelanda, che spianò la strada al medesimo traguardo in altri Paesi (in Italia nel 1946). Il femminismo dell'Ottocento e del primo Novecento si concentrò sull’apertura alle donne, intese come categoria, degli aspetti politici, economici e sociali della vita pubblica da cui erano state escluse fino a quel momento. La lotta fu prevalentemente una lotta borghese, anche se in diversi paesi portò a conquiste importanti per gli altri ceti, ad esempio in termini di diritto di voto e di accesso all’assistenza e all’istruzione (scuole e università). Questa prima fase del movimento, viene anche definita "primo femminismo" e si focalizza sulla rivendicazione dell'uguaglianza tra generi in tutti i campi, attraverso il conseguimento di diritti civili e politici. La successiva fase del femminismo ha puntato l'attenzione sulla rivendicazione della differenza tra generi. Questa fase del femminismo, iniziata negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento nei paesi occidentali, da una parte continuò la battaglia per l’estensione dell’accesso e dei benefici sociali, dall'altra si mobilitò in vista di un progetto più ampio, orientato ad occuparsi di tematiche specificamente femminili, per esempio la riproduzione, la sessualità, il lavoro domestico, la violenza domestica e le condizioni del lavoro remunerato. Nello specifico, possiamo distinguere il femminismo di questa fase in tre "correnti": politica, critica e pratica. Quella politica coinvolgeva il movimento nel miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità per le bambine e le donne; quella critica riguardava la forte critica intellettuale alle forme dominanti (maschili) di conoscenza e di azione e quello orientato alle pratiche atteneva allo sviluppo di forme più etiche di attività professionale e personale (Weiner, 1994, in: rapporto Eurydice 2010). E' in questo periodo che nasce il concetto di "genere", utilizzato per la prima volta da Gayle Rubin nel 1975. Esso si differenzia in primo luogo dal concetto di "condizione femminile" in quanto è un termine binario, che sposta il centro dell'attenzione dalla donna al rapporto tra i due sessi, un rapporto dialettico, di scambio continuo ed in continua evoluzione. "II genere è un modo di classificare, di indicare l'esistenza di tipi", di proporre cioè "un nome per il modo sessuato con cui gli esseri umani si presentano e sono percepiti nel mondo. (...) Uomini e donne, maschile e femminile, relazioni e interazioni, infine il modo con cui questi due tipi umani esperiscono, subiscono e modificano nel tempo il rapporto tra loro e col mondo, tutto ciò è incluso nello statuto del termine genere" (Piccone Stella, Saraceno, 1996, 8-9, in: Lombardi 2005). La terza fase del femminismo va dagli anni ‘90 in poi, e ha attirato una nuova generazione di studiosi dei problemi di genere (donne specialmente, ma anche alcuni uomini). Esso ha cercato principalmente di essere il femminismo di una generazione nuova 'che risponde alle condizioni politiche, economiche, tecnologiche e culturali specifiche dell’epoca attuale' (Kinser 2004, p. 124, in: Lombardi 2005). Si sono rifiutate le concezioni precedenti del femminismo, come insieme di valori e idee più o meno coerenti, a favore di un’attenzione maggiore all’azione, riconoscendo alle donne la capacità di agire autonomamente e politicamente nonostante sanzioni sociali spesso mortificanti (McNay, 2000 in: Lombardi 2005). Il femminismo della terza fase è sembrato più legato di quelli precedenti alla teoria e al dibattito intellettuale. Questo è dipeso soprattutto dal maggior accesso delle donne occidentali agli studi universitari (e all’insegnamento), allo spazio relativamente sicuro e privilegiato dell’università che rende possibile la teorizzazione, e alla presenza di un uditorio di studenti interessati a idee e teorie nuove. Tale dibattito intellettuale si è mostrato meno interessato alla differenza di risultati e di inclinazioni di maschi e femmine e dei ruoli attribuiti loro dalla società, e maggiormente interessato ai modi in cui alunni, studenti e insegnanti si impegnano attivamente a dar forma alle proprie 'prestazioni' di genere e l’interrelazione tra mascolinità e femminilità (Butler, 1990 in: Lombardi 2005). 7. LA NORMATIVA EUROPEA La normativa europea definisce il principio di pari opportunità come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale. La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali è proibita in tutta la Comunità europea poiché può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone. Sebbene le disparità siano tuttora presenti, negli ultimi decenni l'UE ha compiuto notevoli passi avanti verso l'uguaglianza fra i sessi, grazie in particolare alla legislazione varata in questo campo, all'inserimento della tematica della parità nelle varie politiche dell'UE e all'adozione di misure specifiche per l'emancipazione femminile. Alla parità tra uomo e donna è dedicato un ampio corpus legislativo europeo, composto in particolare da diverse disposizioni e da direttive riguardanti l'accesso all'occupazione, la parità retributiva, la protezione della maternità, il congedo parentale, la sicurezza sociale, specie in ambito lavorativo, l'onere della prova nei casi di discriminazione e il lavoro autonomo. Bibliografia: Bagnasco, A., Mulino 2004. Barbagli, M., Cavalli, A., Elementi di Sociologia, Il Desprez-Bouanchaud, A., Doolaege, J. & Ruprecht, L.,. Guidelines on gender-neutral language. Parigi: UNESCO, 1987. Differenze di genere nei risultati educativi: studio sulle misure adottate e sulla situazione attuale in Europa, Eurydice (agenzia esecutiva per l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura), 2010. Giddens, A., Fondamenti di sociologia, Il Mulino, 2006. Lombardi, L., Società, culture e differenze di genere. Percorsi migratori e stati di salute. Franco Angeli, 2005. Mari, G., Tommasi, A., Scienze Umane. Sociologia e antropologia. La Scuola, 2012.