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sociologia delle differenze di genere
SOCIOLOGIA DELLE DIFFERENZE DI GENERE
a cura di: Prof.ssa Isabella Moretti
1. IL SESSO E I CROMOSOMI
Paragrafo tratto da: Bagnasco, Barbagli, Cavalli (2004).
A differenza di alcuni animali, per i quali è quasi impossibile distinguere
il maschio dalla femmina, gli uomini e le donne sono sessualmente
dimorfi, cioè presentano differenze chiare e visibili di carattere
anatomico. Tali differenze non riguardano solo gli organi sessuali
(caratteri sessuali primari) ma anche i caratteri sessuali secondari,
ovvero: l'altezza, il peso, le dimensioni delle superfici pilifere, il rapporto
fra muscoli e tessuto adiposo. Di conseguenza, l'uomo è solitamente
più alto, più muscoloso, più forte e più veloce.
Le differenze anatomiche, tra maschi e femmine, hanno origine dal
differente patrimonio genetico.
Tutto inizia quando uno spermatozoo (maschile) feconda un uovo
(femminile). Lo spermatozoo fornisce all'embrione 23 cromosomi ed
altrettanti gliene dà l'ovulo. Dunque, ogni essere umano ha 23 coppie di
cromosomi, ciascuna con un cromosoma proveniente dal padre e uno
proveniente dalla madre. In 22 di queste coppie, i cromosomi sono
identici, nella ventitreesima, i cromosomi possono essere sia uguali, sia
diversi. Poiché l'ovulo contribuisce sempre con un cromosoma X e lo
spermatozoo con uno di tipo X o Y, è l'apporto del padre a determinare
il sesso del nascituro. In altri termini, se lo spermatozoo ha un
cromosoma X, si avrà una femmina, se invece ne ha uno Y, un
maschio. Il processo di differenziazione sessuale inizia solo alla
sesta settimana dopo il concepimento.
Intorno alla sesta-ottava settimana, se nell'embrione vi è un cromosoma
Y, le gonadi (ghiandole), fino ad allora indifferenziate, si trasformano in
testicoli; se il cromosoma Y è assente, diventano ovaie. Testicoli e
ovaie vengono definiti caratteri sessuali primari. I testicoli iniziano a
secernere gli ormoni sessuali androgeni (fra i quali il testosterone) e
questi ultimi generano lo sviluppo prima dei genitali maschili interni (la
prostata, la vescicola seminale, il cordone spermatico) e poi quelli
esterni (il pene e lo scroto). Nelle femmine si sviluppano i genitali interni
(l'utero, le trombe di Falloppio, la vagina superiore) e quelli esterni (il
clitoride e le piccole labbra). Gli ormoni sessuali entrano in azione
anche più avanti, molti anni dopo la nascita, per determinare lo sviluppo
dei caratteri sessuali secondari. Nelle donne si forma allora il seno, si
estendono i tessuti adiposi e la superficie pilifera. Negli uomini si
sviluppano i muscoli, la voce diventa più bassa e spuntano peli anche
sul volto, oltre che in altre parti del corpo.
2. ESSENZIALISMO E COSTRUZIONISMO SOCIALE
Paragrafo tratto dai seguenti contributi: Bagnasco, Barbagli, Cavalli
(2004); Giddens (2006).
Sociologi, antropologi, psicologi ed economisti, hanno proposto
numerose teorie per spiegare le differenze di atteggiamento e
comportamento riscontrate tra uomini e donne.
Tutte queste teorie possono essere ricondotte a due opposte
impostazioni:
a. essenzialismo: pone l'accento sul dualismo assoluto dei due sessi
e sostiene che le differenze fra mascolinità e femminilità sono
naturali, universali, immodificabili.
Le teorie che rifanno all'approccio essenzialista, sono
frequentemente di tipo biologico e riconducono la mascolinità e
la femminilità a differenze ormonali, di dimensione e
organizzazione del cervello o di capacità riproduttiva.
Per gli studiosi che si rifanno a questo approccio, "uomini e donne
si nasce".
b. costruzionismo sociale: pone l'accento sulla somiglianza dei
generi e sulla continua costruzione e ricostruzione dell'identità di
genere nelle interazioni sociali con gli altri.
Secondo questa impostazione, le differenze di genere sono un
prodotto culturale; il bambino interiorizza le norme e le aspettative
sociali corrispondenti al proprio sesso, attraverso il contatto con
gli agenti di socializzazione.
Per gli studiosi che si rifanno a questo approccio, "femmine e
maschi si nasce ma uomini e donne si diventa".
Gli studiosi di scienze sociali distinguono fra sesso e genere.
3. QUAL E' LA DIFFERENZA TRA SESSO E GENERE?
Paragrafo tratto dai seguenti contributi: Bagnasco, Barbagli, Cavalli
(2004); Giddens (2006)
Per sesso si intendono le differenze anatomiche e fisiologiche che
caratterizzano i corpi maschili e femminili; per genere le qualità
distintive di maschi e femmine, culturalmente definite.
Il genere si riferisce alle caratteristiche e alle possibilità economiche,
sociali, politiche e culturali associate allo stato maschile e femminile.
Nella maggior parte delle società, uomini e donne sono diversi nelle
attività che svolgono, nell’accesso e nel controllo delle risorse, nella
partecipazione alle decisioni. E in gran parte delle società, le donne
hanno minor accesso degli uomini alle risorse, alle possibilità e alle
decisioni (Desprez-Bouanchaud et al. 1987, in: Lombardi 2005).
Il sesso di una persona è una realtà fisica, ma il modo in cui uomini e
donne vedono sé stessi e si pongono in relazione, così come i ruoli
che sono loro assegnati sono una costruzione sociale e vengono
appresi durante il processo di socializzazione.
Numerose prove a favore della tesi che il genere è una costruzione
sociale e che le differenze negli atteggiamenti e nei comportamenti di
uomini e donne variano culturalmente provengono dai risultati delle
ricerche antropologiche.
A tal proposito, basandosi sui dati raccolti in quasi duecentomila società
primitive, gli antropologi hanno dimostrato che nonostante la divisione
sessuale del lavoro sia presente in tutte le società, d'altra parte, i
compiti considerati propri di uomini e donne, varia di società in società
(si veda tab. 8.1). Tuttavia, vi sono dei compiti che vengono svolti quasi
unicamente dagli uomini: la caccia, la fusione e lavorazione dei metalli,
l'abbattimento degli alberi, la lavorazione del legno. Ve ne sono altri che
spettano quasi sempre alle donne: cucinare, lavare, andare a prendere
l'acqua, filare. Vi sono poi altri compiti ancora, che spettano con la
stessa frequenza agli uomini e alle donne: il raccolto, la mungitura, la
fabbricazione degli articoli di cuoio.
Anche l'antropologa Margaret Mead (1901-1978) ha messo in evidenza
come i profili identitari di uomo e donna possano assumere tratti molto
diversi. Ad esempio, rispetto agli usi occidentali, aveva notato come in
Nuova Guinea e in particolare nel popolo dei "Manus", la cura dei figli (a
partire dal compimento del primo anno di vita), sia totalmente a carico
degli uomini. Inoltre nel vicino popolo dei "Ciambuli", i maschi hanno
atteggiamenti che qualunque occidentale giudicherebbe femminili,
come adornare e abbellire il corpo e mettersi sul capo riccioli finti (Mari,
Tommasi; 2012).
4. LA SOCIALIZZAZIONE DEI RUOLI DI GENERE
Paragrafo tratto da: L. Lombardi (2005).
I sociologi usano i termini sesso e genere per distinguere l'identità
biologica dai ruoli di genere. Per i sociologi quest'ultimo è il concetto più
significativo perché è l'insieme delle aspettative e dei
comportamenti socialmente appresi e associati a ciascun sesso.
Maschi e femmine si nasce ma uomini e donne si diventa attraverso il
processo di socializzazione che si prospetta diverso per i due sessi. Un
processo che inizia sin dalla nascita, anzi ancor prima, cioè dal
momento in cui la prima ecografia abbozza il profilo dei caratteri
sessuali primari (maschili o femminili). Genitori, nonni e parenti
cominciano già ad immaginare il bambino o la bambina, prospettando
giochi, colori, abbigliamento, desideri e futuri diversi. Ancor prima di
nascere gli si attribuiscono nomi maschili o femminili e già ci si rivolge a
loro attribuendogli l'identità (di sesso e di genere) che l'ecografia ha
indicato. "Genitori, parenti e conoscenti continuano a trattare i bambini
in modo stereotipato per tutta l'infanzia. Ci si aspetta che le bambine
amino le coccole e siano dolci, mentre i bambini vengono trattati in
modo più sbrigativo e godono di una maggiore indipendenza"
(Andersen, Taylor, 2004, p. 224).
Per la sociologia non è importante sapere se sia la biologia o la
cultura a formare gli uomini e le donne, ma è importante sapere come
biologia e cultura interagiscono nel produrre l'identità di genere di una
persona.
La socializzazione è il processo mediante il quale le aspettative della
società vengono insegnate e apprese. Pertanto attraverso la
socializzazione al genere gli uomini e le donne apprendono le
aspettative associate al loro sesso che incidono sul concetto di sé, sugli
atteggiamenti sociali e politici, sul modo in cui percepiscono gli altri e
sul modo in cui stabiliscono e intrattengono relazioni.
La socializzazione al genere è un processo talmente potente
nell'indirizzare e costruire le identità di genere che anche coloro che
"sfidano le aspettative tradizionali spesso si trovano costretti a cedere
all'influsso potente della socializzazione" (Andersen, Taylor, 2004, p.
226 in: Lombardi 2005). Accade così che donne che hanno
consapevolmente rigettato i ruoli tradizionali femminili si scoprano ad
educare i proprio figli in base alle aspettative e ruoli di genere
consolidate; d'altro canto possiamo osservare uomini che pur avendo
assunto parte della responsabilità della casa e della cura dei figli, non si
accorgano che il frigorifero è vuoto o che il bambino abbia bisogno di
un bagno, perché, per educazione ed abitudine, sono portati a
pensare che qualcun altro si occuperà di tali faccende.
In altre parole, determinate aspettative e comportamenti sono così
pervasivi che non è sufficiente uno sforzo individuale per modificarli.
Attraverso la socializzazione si forma l'identità di genere, cioè la
definizione che ciascuno dà di sé stesso come uomo o come donna:
l'immagine che ciascuno/a coltiva, le aspettative che nutre per sé
stesso/a rispetto alle sue capacità, ai suoi interessi e al modo in cui
interagisce con gli altri.
Come per altre forme di socializzazione, anche per quella di genere,
rivestono un ruolo centrale le molte agenzie di socializzazione come,
la famiglia, la scuola, le parrocchie, i mass media, la cultura
popolare ed altre. Chiaramente la socializzazione al genere viene
rafforzata ogni qual volta i comportamenti vengono approvati o
disapprovati dalle varie agenzie.
Come è noto la famiglia è l'agenzia di socializzazione primaria ed è
qui che si apprendono i primi comportamenti di genere rispetto ai ruoli,
ai luoghi di gioco ed ai giochi stessi, a fare più o meno capricci, ad
occuparsi degli altri o ad affermare principalmente sé stessi. Sebbene
si riscontrino delle differenze tra famiglie e strati sociali, pare che nelle
famiglie in cui le donne lavorano fuori casa e in quelle di condizioni più
elevate, la definizione dei ruoli maschile/femminile sia meno rigida
(Andersen, Taylor, 2004, in: Lombardi 2005).
Anche in età infantile la socializzazione non avviene solo all'interno
della famiglia ma anche nel gruppo dei pari. "Attraverso il gioco i
bambini acquisiscono modelli di interazione sociale, capacità fisiche e
cognitive e abilità analitiche e apprendono i valori e gli atteggiamenti
della loro cultura" (ibidem, p. 228).
Varie ricerche dimostrano, per esempio, che le bambine giocano in
maniera più cooperativa quando sono in gruppi femminili rispetto a
quando sono inserite in gruppi misti (Neppl e Murray, 1997, in:
Lombardi 2005). I maschietti tendono a dominare le femminucce e
generalmente sono i primi a stabilire le regole dei giochi. Allo stesso
modo possiamo notare che i bambini sono più incoraggiati a
giocare"all'aperto mentre le bambini in luoghi chiusi; ai primi vengono
proposte attività militaresche o che richiedo l'espressione
dell'aggressività; anche i giocattoli proposti per un genere per l'altro
sono nettamente diversi e se nell'uno evocano aggressività e dominio
nell'altra evocano gentilezza, propensione verso gli altri, apprendimento
al prendersi cura. Gli stessi stereotipi si possono riscontrare nella
letteratura per bambini, anche se è possibile rilevare un certo
cambiamento negli anni più recenti (Griswold, 1997, in: Lombardi
2005).
Non vanno trascurati i media, soprattutto il mezzo televisivo, davanti al
quale "si compie molta della nostra socializzazione; è attraverso essa
che impariamo la grammatica del vivere" (Casetti, 1988,26, in:
Lombardi 2005).
Gli studi italiani sui consumi mediali e sulle rappresentazioni di genere
nei media non si sono sviluppati come nei paesi anglosassoni. Alcuni
studi statunitensi evidenziano come nelle TV americane lo stereotipo
relativo alle donne le dipinga bionde, belle, provocanti ma stupide,
nonostante le donne bionde negli USA costituiscano solo un quarto
della popolazione bianca. Ciononostante, esse compaiono nei media
cinque volte più degli uomini (Rich e Cash, 1993, in: Lombardi 2005).
Altre ricerche dimostrano che in televisione la presenza degli uomini è
numericamente superiore a quella delle donne, occupano posizioni più
prestigiose e tendono ad essere stereotipati in ruoli forti e indipendenti
(Merlo e Smith, 1994, in: Lombardi 2005).
La pubblicità è un altro canale di differenziazione e socializzazione al
genere: sono sotto gli occhi di tutti le immagini femminili perennemente
svestite o in atteggiamenti sessuali espliciti, in posizioni che le vede "a
terra, sullo sfondo o con lo sguardo perduto nel vuoto che le fa apparire
subordinate e disponibili rispetto agli uomini" (Andersen, Taylor, 2004,
230, in: Lombardi 2005).
L'adesione rigida agli stereotipi di genere rivela conseguenze
negative sia su un sesso che sull'altro. Come evidenziato nel testo
di Andersen e Taylor (2004) un'adesione stringente allo stereotipo della
mascolinità da parte degli uomini, li condurrebbe ad elevati tassi di
mortalità per incidenti e atti di violenza, e li predisporrebbe all'uso di
droghe, alcool e tabacco. D'altra parte, verrebbero scoraggiati ad
esprimere sensibilità, sentimenti e affettività. Secondo alcune ricerche
gli uomini che mantengono maggiore equilibrio fra tratti maschili e tratti
femminili godono di migliore salute mentale e fisica (ibidem).
Anche le donne subiscono conseguenze negative qualora seguano
rigidamente regole e aspettative di genere: quelle più passive,
acquiescenti e dipendenti presentano i tassi più alti di depressione e di
altre forme di disturbi mentali e fisici (Facchini, Ruspini, 2001). Le
donne classificate come "più femminili" tenderebbero anche ad essere
le più insoddisfatte e con minore autostima.
In definitiva, il conformismo ai tradizionali ruoli di genere, negherebbe
alle donne l'accesso al potere, all'intraprendenza e all'indipendenza
nella sfera pubblica e negherebbe agli uomini l'accesso ai mondi più
intimi, emozionali e orientati agli altri, più conosciuti dall'universo
femminile.
Pare che questa rigidità di ruoli di genere si vada affievolendo con
il passare degli anni: tra le donne più anziane si riscontrerebbe
maggiore sicurezza, assertività e competenza, come dimostra Franca
Pizzini (1999, in: Lombardi 2005) in una ricerca sugli aspetti sociali,
culturali e medici della menopausa, mentre gli uomini si renderebbero
più aperti e disponibili. In generale, con l'avanzare dell'età e l'accumulo
di esperienza, gli individui si scoprirebbero più sicuri e più distanti dalle
norme culturali fissate.
I ruoli delle donne, come quelli degli uomini, sono quindi condizionati
dal contesto sociale in cui hanno luogo le loro esperienze.
Possiamo sintetizzare quanto finora detto riguardo alla socializzazione
di genere, grazie al contributo di Eleanor Maccoby (1917), che individua
le dinamiche prevalenti che soggiacciono allo sviluppo dell'identità di
genere (Mari, Tommasi, 2012; pp.131):
i. IMITAZIONE: i bambini prendono come modello il comportamento
adulto, a cominciare da quello dei genitori, in particolare dalla
figura nutrice e che trascorre con i figli più tempo.
ii. RINFORZO: incoraggiamento oppure scoraggiamento che il
bambino riceve dall'adulto, a seconda che il suo comportamento
sia da questi giudicato coerente con l'identità di genere ritenuta
adeguata.
iii. AUTO-SOCIALIZZAZIONE: rimanda alla relazione con gli altri,
nella quale il bambino si sperimenta anche relativamente al proprio
ruolo
di
genere,
raccogliendo
approvazione
oppure
disapprovazione.
Aldilà delle differenti interpretazioni teoriche, dal punto di vista
sociologico è chiaro che c'è sempre stata e continua ad esserci una
differenziazione di ruolo (seppure negli ultimi anni molte pratiche siano
cambiate) tra i generi maschile e femminile. Nel caso della donna, tale
differenziazione di ruolo, ha prodotto diverse forme di
discriminazione, che si sono concretizzate in una segregazione
educativa ed occupazionale. Se si osservano, ad esempio, i tassi di
laurea tra le donne, si nota come questi superino quello degli uomini
(vedi grafico 1 a pp. 133 del libro di testo); ciononostante queste si
orienterebbero prevalentemente verso alcuni tipi di percorsi (vedi
tabella 2 pp. 134), associati ad occupazioni con retribuzioni più basse.
5. LE TEORIE SUL GENERE
Paragrafo tratto da: L. Lombardi (2005).
La domanda di fondo a cui le teorie cercano di dare risposta 'è:
perché vi è disuguaglianza tra i generi? Le principali prospettive
teoriche della sociologia (funzionalismo, teoria del conflitto e
teoria della scelta razionale) forniscono un'interpretazione di questa
diversità. Vediamole brevemente.
La scuola struttural-funzionalista affonda le sue radici
nell'organicismo di Comte e di Spencer. Essi vedono il sistema sociale
come un grande organismo, le cui parti sono strettamente interrelate.
L'organismo sociale, come lo chiama Durkheim, possiede uno 'spirito', i
suoi organi non stanno tutti sullo stesso piano, ma si differenziano in
virtù dei bisogni dell'intero; tra le parti, dunque, si sviluppa solidarietà
dal momento in cui tutte svolgono una funzione determinante per
l'equilibrio del sistema.
Da questa distinzione, Parsons (1954) fa discendere la
differenziazione dei ruoli sessuali nella famiglia. Egli afferma che in
una famiglia moderna sia necessaria la presenza di due adulti
specializzati nello svolgere ruoli specifici e differenti. Il padre-marito
detiene la leadership strumentale, la quale si incentra sui rapporti tra
la famiglia e il mondo esterno. Alla moglie-madre, invece, spetta il ruolo
di leadership espressiva che si incentra sui rapporti interni alla
famiglia. Il marito lavorando fuori casa mantiene la famiglia e ne
determina la buona reputazione; in questo modo è esentato dalla cura
dei figli e dall'organizzazione domestica, che sono i compiti assegnati
alla moglie.
Per gli struttural-funzionalisti, dunque, alla differenza biologicosessuale corrisponde in modo univoco una differenza attitudinale, che
riserva alle donne e agli uomini ambiti specifici diversi, funzionali al
mantenimento dell'ordine e dell'equilibrio nella società. Gli uomini si
occupano dell'ambito esterno alla famiglia, mentre alle donne è
riservato l'ambito familiare. Le differenze di ruolo, sarebbero quindi il
riflesso di una differenza strutturale tra i sessi.
Di ben altro avviso sono i teorici del conflitto; in particolare Randall
Collins (1941) sostiene che la differenza di genere derivi dal conflitto tra
gruppi antagonisti: quello degli uomini e quello delle donne. Il potere
degli uni sulle altre discenderebbe dalla loro prevalenza fisica, che ha
legittimato il dominio maschile, approdato - in certi casi - alla
codificazione del diritto di proprietà del marito sulla moglie e sulle figlie.
Gli esponenti della teoria della scelta razionale (o teoria dello
scambio sociale) si concentrano sulle scelte e sulle decisioni
individuali: "le persone sono attori razionali che basano le azioni su ciò
che percepiscono come i mezzi più efficaci per raggiungere i propri
scopi in un mondo dominato dalla scarsità di risorse (...). Le persone
scelgono di partecipare a uno scambio dopo aver esaminato costi e
svantaggi delle alternative a disposizione e averne scelto la più
conveniente" (Ruspini, 2003, 41, in: Lombardi 2005), e ciò vale anche
in campo sentimentale: questo significa che, per esempio, il partner
meno coinvolto si trovi in una posizione di vantaggio.
Le ricerche di Katleen Gerson (1985) su come le donne prendono le
decisioni rispetto al lavoro, alla carriera e alla maternità indicano che in
buona parte dei casi queste sono dettate da scelte individuali, mentre
influenze familiari e sociali e le aspettative dei singoli "non permettono
di prevedere con sicurezza come gli individui si comporteranno da
adulti". In questo modo la studiosa mette in discussione la teoria della
costruzione sociale e della socializzazione al genere; secondo la
Gerson le scelte individuali sarebbero legate anche a particolari eventi
di vita (ad esempio, nella scelta tra famiglia e carriera può incidere
un'inaspettata condizione di povertà o malattia, una separazione
oppure un'inaspettata opportunità di lavoro).
Sempre la Gerson, evidenzia come i limiti sociali si ricolleghino al
potere decisionale, che appartiene a chi detiene il reddito più alto.
6. IL MOVIMENTO FEMMINISTA PER LA CONQUISTA DEI DIRITTI
Paragrafo tratto da: Mari, Tommasi (2012) e Rapporto Eurydice (2010).
Il femminismo è un movimento sociale sorto nella seconda metà del
XIX sec. in Francia e nei Paesi Anglosassoni, inizialmente per la
conquista dei diritti civili (es. libertà di pensiero e di opinione) e politici
(es. diritto di voto) e per rivendicare la specificità della questione
femminile, soprattutto in ambito lavorativo.
Le prime manifestazioni di questa sensibilità risalgono al tardo
illuminismo e alla Rivoluzione francese. Fu infatti nel 1791, alla
Costituente parigina che Olympe de Gouges (1748-1793) presentò una
Dichiarazione dei diritti delle donne, che pur non sortendo nessun
effetto immediato, costituì un punto di riferimento per le mobilitazioni
femministe successive.
Il movimento femminista subì una pesante battuta d'arresto in seguito
all'emanazione del Codice Napoleonico, che codificò l'inferiorità della
donna in campo matrimoniale e patrimoniale.
Tuttavia l''800 fu teatro di una graduale e crescente ripresa del
movimento in favore dei diritti della donna, culminato - a fine secolo nel
conseguimento del diritto di voto in Nuova Zelanda, che spianò la
strada al medesimo traguardo in altri Paesi (in Italia nel 1946).
Il femminismo dell'Ottocento e del primo Novecento si concentrò
sull’apertura alle donne, intese come categoria, degli aspetti politici,
economici e sociali della vita pubblica da cui erano state escluse fino a
quel momento. La lotta fu prevalentemente una lotta borghese, anche
se in diversi paesi portò a conquiste importanti per gli altri ceti, ad
esempio in termini di diritto di voto e di accesso all’assistenza e
all’istruzione (scuole e università).
Questa prima fase del movimento, viene anche definita "primo
femminismo" e si focalizza sulla rivendicazione dell'uguaglianza
tra generi in tutti i campi, attraverso il conseguimento di diritti
civili e politici.
La successiva fase del femminismo ha puntato l'attenzione sulla
rivendicazione della differenza tra generi.
Questa fase del femminismo, iniziata negli anni ‘60 e ‘70 del
Novecento nei paesi occidentali, da una parte continuò la battaglia
per l’estensione dell’accesso e dei benefici sociali, dall'altra si mobilitò
in vista di un progetto più ampio, orientato ad occuparsi di tematiche
specificamente femminili, per esempio la riproduzione, la sessualità, il
lavoro domestico, la violenza domestica e le condizioni del lavoro
remunerato. Nello specifico, possiamo distinguere il femminismo di
questa fase in tre "correnti": politica, critica e pratica.
Quella politica coinvolgeva il movimento nel miglioramento delle
condizioni di vita e delle opportunità per le bambine e le donne; quella
critica riguardava la forte critica intellettuale alle forme dominanti
(maschili) di conoscenza e di azione e quello orientato alle pratiche
atteneva allo sviluppo di forme più etiche di attività professionale e
personale (Weiner, 1994, in: rapporto Eurydice 2010).
E' in questo periodo che nasce il concetto di "genere", utilizzato per
la prima volta da Gayle Rubin nel 1975. Esso si differenzia in primo
luogo dal concetto di "condizione femminile" in quanto è un termine
binario, che sposta il centro dell'attenzione dalla donna al rapporto
tra i due sessi, un rapporto dialettico, di scambio continuo ed in
continua evoluzione. "II genere è un modo di classificare, di indicare
l'esistenza di tipi", di proporre cioè "un nome per il modo sessuato con
cui gli esseri umani si presentano e sono percepiti nel mondo. (...)
Uomini e donne, maschile e femminile, relazioni e interazioni, infine il
modo con cui questi due tipi umani esperiscono, subiscono e
modificano nel tempo il rapporto tra loro e col mondo, tutto ciò è incluso
nello statuto del termine genere" (Piccone Stella, Saraceno, 1996, 8-9,
in: Lombardi 2005).
La terza fase del femminismo va dagli anni ‘90 in poi, e ha attirato
una nuova generazione di studiosi dei problemi di genere (donne
specialmente, ma anche alcuni uomini). Esso ha cercato principalmente
di essere il femminismo di una generazione nuova 'che risponde alle
condizioni politiche, economiche, tecnologiche e culturali specifiche
dell’epoca attuale' (Kinser 2004, p. 124, in: Lombardi 2005). Si sono
rifiutate le concezioni precedenti del femminismo, come insieme di
valori e idee più o meno coerenti, a favore di un’attenzione maggiore
all’azione, riconoscendo alle donne la capacità di agire
autonomamente e politicamente nonostante sanzioni sociali
spesso mortificanti (McNay, 2000 in: Lombardi 2005).
Il femminismo della terza fase è sembrato più legato di quelli
precedenti alla teoria e al dibattito intellettuale. Questo è dipeso
soprattutto dal maggior accesso delle donne occidentali agli studi
universitari (e all’insegnamento), allo spazio relativamente sicuro e
privilegiato dell’università che rende possibile la teorizzazione, e alla
presenza di un uditorio di studenti interessati a idee e teorie nuove.
Tale dibattito intellettuale si è mostrato meno interessato alla differenza
di risultati e di inclinazioni di maschi e femmine e dei ruoli attribuiti loro
dalla società, e maggiormente interessato ai modi in cui alunni,
studenti e insegnanti si impegnano attivamente a dar forma alle
proprie 'prestazioni' di genere e l’interrelazione tra mascolinità e
femminilità (Butler, 1990 in: Lombardi 2005).
7. LA NORMATIVA EUROPEA
La normativa europea definisce il principio di pari opportunità come
l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di
un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e
convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età,
orientamento sessuale.
La discriminazione basata su religione o convinzioni personali,
handicap, età o tendenze sessuali è proibita in tutta la Comunità
europea poiché può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del
trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di
occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della
qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la
libera circolazione delle persone.
Sebbene le disparità siano tuttora presenti, negli ultimi decenni l'UE ha
compiuto notevoli passi avanti verso l'uguaglianza fra i sessi, grazie in
particolare alla legislazione varata in questo campo, all'inserimento
della tematica della parità nelle varie politiche dell'UE e all'adozione di
misure specifiche per l'emancipazione femminile.
Alla parità tra uomo e donna è dedicato un ampio corpus
legislativo europeo, composto in particolare da diverse
disposizioni e da direttive riguardanti l'accesso all'occupazione, la
parità retributiva, la protezione della maternità, il congedo
parentale, la sicurezza sociale, specie in ambito lavorativo, l'onere
della prova nei casi di discriminazione e il lavoro autonomo.
Bibliografia:
Bagnasco, A.,
Mulino 2004.
Barbagli, M., Cavalli, A., Elementi di Sociologia, Il
Desprez-Bouanchaud, A., Doolaege, J. & Ruprecht, L.,. Guidelines on
gender-neutral language. Parigi: UNESCO, 1987.
Differenze di genere nei risultati educativi: studio sulle misure adottate
e sulla situazione attuale in Europa, Eurydice (agenzia esecutiva per
l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura), 2010.
Giddens, A., Fondamenti di sociologia, Il Mulino, 2006.
Lombardi, L., Società, culture e differenze di genere. Percorsi migratori
e stati di salute. Franco Angeli, 2005.
Mari, G., Tommasi, A., Scienze Umane. Sociologia e antropologia. La
Scuola, 2012.
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