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Miseri cor dare - Ufficio Famiglia

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Miseri cor dare - Ufficio Famiglia
Miseri cor dare
L’amore costruisce la famiglia e la chiesa
1
ANTONIO BUONCRISTIANI
ARCIVESCOVO METROPOLITA
DI SIENA - COLLE DI VAL D’ELSA - MONTALCINO
INTRODUZIONE
Pag. 5
LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
Pag. 7
Vangelo di Riferimento
Pag. 15
HO AVUTO FAME...
Dio nella sua misericordia si prende cura del suo popolo
Pag. 16
HO AVUTO SETE...
Dio disseta con acqua viva
Pag. 27
ERO STRANIERO...
SCHEDA A: INTERNO FAMILIARE
SCHEDA B: LA SOGLIA DI CASA
Pag. 36
ERO NUDO...
L’Amore vince l’indifferenza
Pag. 51
ERO MALATO...
Cristo non mai è indifferente alla malattia (sofferenza) umana.
Il male dell’uomo fa compassione a Dio
Pag. 57
ERO IN CARCERE...
Misericordia: dono di Dio in famiglia
Pag. 64
Pag. 72
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide,
ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Dio non si stanca mai di aspettare ed è pronto sempre ad accogliere
correndoci incontro
Foto copertina e retro copertina:
Cripta del Duomo di Siena - Particolare della deposizione - Opera del Duomo
Foto Lensini
www.ufficiofamigliadiocesisiena.it
Abbiamo celebrato con fiducia l’«Anno Eucaristico» che ci ha fatto
riflettere sull’importanza della Presenza del Signore nella nostra vita, considerando questo Sacramento come forza per vivere il Comandamento di Gesù
«Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati; da questo amore conosceranno che
siete miei discepoli» (cfr. Gv 13,34), e «siate una cosa sola e il mondo crederà» (cfr.
Gv 17,21).
Provvidenzialmente segue il Giubileo della Misericordia che Papa Francesco ha indetto anche tenendo conto del Sinodo dei Vescovi, che si terrà nel
prossimo Ottobre, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.
Ritengo dunque particolarmente significativo il nostro impegno di vivere insieme questo tempo di grazia riflettendo sull’importanza strategica della
Famiglia per la stessa trasmissione della Fede “di generazione in generazione”, e
pregando perché il Signore ci aiuti nel sostenere e testimoniare dignità e valori
fondamentali che ora sentiamo in grande pericolo.
In questa nostra società, in un clima di secolarizzazione all’insegna del
materialismo e dell’individualismo, che cosa ne stiamo facendo della famiglia?
Tutti siamo spettatori delle troppe divisioni coniugali che si trasformano
in odio, del dolore che comportano, dei figli che ne soffrono ingiustamente, ed
anche delle troppe tragedie che ne scaturiscono, e magari c’è chi crede che il problema si risolva cancellando un’istituzione naturale che è da sempre la colonna
portante della vita sociale.
Ė che non ci vogliamo rendere conto di continuare a percorrere una
strada sbagliata che, anche per una mancata educazione affettiva, ci conduce ad
avere giovani senza fiducia e senza quell’esperienza dell’amore vero che passa
necessariamente attraverso difficoltà e sacrifici superabili, nella misura in cui si
riesce a dare un senso di completezza alla vita.
La società civile, insieme alla Chiesa, deve fare tutto il possibile per sostenere la famiglia, cosciente che essa continua a rappresentare un futuro essenziale alla sua stessa sopravvivenza.
La comunità cristiana deve mettere la Famiglia al centro delle sue prime
preoccupazioni, tenendo conto delle sue difficoltà ma soprattutto delle sue potenzialità. Senza pastorale familiare, non c’è pastorale vocazionale, non c’è pastorale giovanile e, soprattutto, non c’è un’adeguata trasmissione della fede.
Il Matrimonio non deve essere concepito come un insieme di regole che
creano quasi una “prigione” in cui si è costretti a rimanere, ma come una grande
occasione di libertà e di serenità, di realizzazione della propria vocazione, di un
progetto di vita aperto ad un amore che deve essere segno dell’amore di Dio per
l’umanità e di quello di Cristo per la sua Chiesa.
Con il sostegno spirituale del Sacramento, gli sposi cristiani si santificano amandosi e testimoniando la gratuità dell’amore. In una assidua conversione
personale, sostenendosi a vicenda nella comprensione ed anche nel perdono reciproco, tenderanno a farsi carico progressivamente anche degli altri, assumendo le molteplici forme dell’amore gratuito: accogliere la vita nuova, prendersi
cura degli anziani e dei malati, dare ospitalità agli abbandonati, seminare opere
di giustizia e di pace. La loro missione ha un valore inestimabile, non solo per la
Chiesa, ma per l’intera società.
Dinanzi alla crisi sempre più evidente della famiglia, al misconosciuto
valore dell’indissolubilità matrimoniale, alle forme di riconoscimento legale di
convivenze di fatto, equiparate ai matrimoni legittimi, ai tentativi di accettare
modelli di coppia dove la differenza sessuale non risulta essenziale, alla Chiesa
“è chiesto di annunciare con rinnovato vigore ciò che il Vangelo dice sul matrimonio e sulla famiglia, per coglierne il significato e il valore nel disegno salvifico di
Dio...” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 90).
Per servire il Vangelo della Speranza, che ci introduca ad un futuro migliore, le famiglie hanno da svolgere una missione insostituibile presentandosi
come testimonianza concreta e visibile dell’Amore di Dio e “fondamento della
società, in quanto luogo primario dell’umanizzazione della persona e del vivere
civile, modello per l’instaurazione di rapporti sociali vissuti nell’amore e nella solidarietà” (ivi)”.
La Chiesa si deve impegnare anche a venire incontro, con vicinanza materna, pure a quelle situazioni matrimoniali nelle quali è venuta meno la speranza. I divorziati risposati civilmente sono invitati a continuare a far parte attiva
della Comunità ecclesiale che deve saperli accogliere e comprendere, anche se
ciò deve avvenire nel rispetto della “verità sacramentale” affidataci dal Signore,
lasciando comunque alla misericordia di Dio il giudizio ultimo, e più vero.
INTRODUZIONE
Ė dunque con grande apprezzamento e fiducia che accompagno questo
sussidio predisposto dal nostro Ufficio per la Pastorale Familiare, invocando la
Benedizione del Signore su tutti coloro che se ne serviranno.
† Antonio Buoncristiani, arcivescovo
Com’è fatto?
Apre il sussidio, l’articolo: “Eucaristia e opere di misericordia” scritto da
Mons. Giacomo Biffi in occasione del Congresso eucaristico di Siena del
1994. Questa lucida e stupenda presentazione delle opere di “misericordia
spirituale”, sconosciute ai più, costituisce un unico blocco con le più famose
Siena, Natività della B.V. Maria, 8 settembre 2015
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L’Ufficio Famiglia dell’Arcidiocesi di Siena, a partire dall’occasione offerta
dall’indizione dell’Anno Santo della Misericordia, mette a disposizione della
diocesi questo strumento che può accompagnare gli incontri dell’anno pastorale 2015-2016.
Chi lo ha fatto?
Le coppie dell’Ufficio Famiglia, che rappresentano le realtà familiari presenti
in diocesi: Gruppi, movimenti e Associazioni. (Associazione Insieme tra Famiglie, Centri di Preparazione al Matrimonio, Equipe Notre Dame, Azione
Cattolica diocesana, Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari, Gruppi
Famiglia Parrocchiali)
Da dove nasce e perché?
Nasce dalla ricchezza e dal confronto all’interno dell’Ufficio Famiglia. Il desiderio che ci ha mosso è stato quello di poter offrire un servizio ai gruppi
famiglia esistenti sul territorio, che condividono la stessa gioiosa avventura
del fare “casa” in famiglia e nella comunità parrocchiale, invitandoli a completare l’esperienza del piccolo gruppo con la dimensione più ampia della
diocesi e degli appuntamenti che vengono offerti annualmente: Settimana
per Famiglie a Sant’Antonio al Bosco, Festa della Famiglia e la Due Giorni
per Famiglie.
Inoltre
Sulla scia dell’invito del Papa, ad essere una Chiesa in uscita, viene offerta
la disponibilità dell’Ufficio Famiglia a sostegno dei parroci e delle coppie,
che avrebbero desiderio di costituire nella propria comunità parrocchiale un
gruppo famiglia; una coppia darà tutto il sostegno necessario per la creazione del gruppo famiglia e per il suo accompagnamento nei primi passi.
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opere corporali. Le presentiamo in apertura per completezza ma anche per
liberare le nostre menti dal solo attivismo dove la Chiesa vorrebbe essere relegata dal mondo, facendo dei cristiani dei sostituti dei servizi sociali.
Seguono sette schede; ciascuna è così organizzata:
•
Preghiera – Invocazione allo Spirito;
•
Parola di Dio (brano della Parola di Dio riferito ad un’opera di misericordia corporale);
•
Riflessione sul brano scelto e commento;
•
Spunti di riflessione per la coppia ed il gruppo;
•
Preghiera conclusiva.
Non rimane che augurare a voi, carissime coppie di sposi, l’abbondanza di
ogni grazia e benedizione del cielo. Possa lo Spirito Santo disporre i vostri
cuori al dono reciproco della vita l’uno all’altra affinché possiate mettere quotidianamente la vostra vita e il vostro amore nelle mani del Cristo che vi ha
chiamato a questa nuova via di santificazione e porti a compimento l’opera
che ha iniziato in voi con la grazia necessaria per un cammino di pace e santità a lode e gloria di Dio Padre.
Simone e Deborah Pintaldi, don Giuseppe Cegnini
LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
Titolo originale: Eucaristia e opere di misericordia
Fonte: Congresso Eucaristico di Siena, 3 giugno 1994
di Giacomo Biffi
Vorrei confidare qualche mio sparso pensiero sull’elenco delle così dette
“opere di misericordia spirituale”, che mi pare oggi il più sbiadito nella coscienza comune. Come giacciono nei vecchi catechismi, scritti quando ancora si chiamavano ingenuamente le cose con il loro nome, ci appaiono un
po’ ruvide e spigolose. Forse perché la nostra anima, per così dire, si è fatta
più delicata e irritabile. Rileggiamole (ci permettiamo di invertire l’ordine
tradizionale delle prime due opere, sulla scorta del Catechismo della Chiesa
Cattolica n. 2447, per facilitare la logica del discorso).
TUTTI DESTINATARI
A differenza delle opere di misericordia corporale, dove (di solito, se non
sempre) chi dà da mangiare non è affamato e chi patisce la fame non è in condizioni di dar da mangiare, qui il benefattore e il beneficiario non sono adeguatamente distinti. Anzi è buona regola non distinguerli affatto: di queste
“opere” siamo tutti destinatari. E’ bene quindi che ciascuno di noi si consideri al tempo stesso “istruttore” e “ignorante”, saggio consigliere e dubbioso,
paladino della giustizia e peccatore, capace di consolare e desideroso di consolazione, chiamato a perdonare le offese e offensore, deciso ad aver pazienza
e sempre sul punto di farla perdere agli altri, intercessore a favore di tutti
presso Dio e bisognoso della preghiera fraterna di tutti. Solo mantenendoci
in quest’ottica possiamo sperare di intraprendere un esame fruttuoso delle
“opere” che ci vengono raccomandate.
I NOSTRI COMPITI PROPRI
Il discorso sulle “opere di misericordia spirituale” assume poi una rilevanza
e un’attualità eccezionale, se è volto a chiarire quale sia l’indole propria della
solidarietà che la Chiesa come tale deve esercitare nei confronti dell’umanità. Nessun dubbio che l’amore cristiano, suscitato e sorretto dall’Eucaristia,
debba esprimersi anche nell’offrire ai più sfortunati, per quel che è possibile,
un apporto valido perché risolvano positivamente i loro problemi esistenziali primari e possono godere di uno stato conforme alla loro dignità di
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persone. Guai se la Chiesa lo dimenticasse. Ma guai se riducesse a questo
la sua azione nel mondo. Guai a noi se a poco a poco finissimo col pensare
alla Sposa di Cristo come a una sorta di ente assistenziale o come a un surrogato e a un coadiuvante della Croce Rossa Internazionale. Il pericolo di
questo inconscio travisamento non è oggi irreale, favorito com’è dagli interessi delle potenze mondane e anche dalla nostra preoccupazione di essere
un poco accettati dalla cultura dominante. Certamente la comunità cristiana
va continuamente spronata alla generosità anche in questi settori: è la parola
stessa di Gesù ad ammonirci in tal senso (cfr. Mt 25,31-46). Ma di fronte
alla sempre soverchiante miseria umana, non deve nutrire complessi di colpa non pertinenti. Va detto con molta chiarezza che direttamente e per sé
non tocca a noi risolvere alla radice i problemi sociali: sarebbe integralismo
pensarlo, sarebbe addirittura il tentativo illegittimo di affiancarsi alla società civile, pretendendone gli stessi compiti statutari e le stesse responsabilità.
Alla comunità cristiana tocca - ed è dovere amplissimo ed esigentissimo l’impegno di tradurre ogni giorno la sua fede, secondo quanto in concreto
le è dato, in un’azione di carità che raggiunge i fratelli in ogni loro situazione
e in ogni loro effettiva necessità. Sotto questo profilo, l’indugiare un poco
sulle così dette “opere di misericordia spirituale” sarà forse di qualche utilità
a mantenere nel giusto equilibrio la nostra visione della presenza operativa
dei cristiani e anzi ricordare ciò che è in maniera più immediata, inerente alla
missione della Chiesa nel mondo.
1) ISTRUIRE GLI IGNORANTI
Ignorante non vuol dire senza cultura e senza erudizione. Ignorante è chi
non conosce proprio le cose che più dovrebbe conoscere, e può essere anche un professore universitario o un famoso scrittore. Si evoca qui la strana
condizione dell’uomo, e specialmente dell’uomo di oggi, che sa tutto tranne
le cose che contano, che conduce a termine le indagini più complicate ed è
muto davanti alle domande fondamentali e più semplici, che è in grado di
andare a raccogliere i sassi della luna e non può dirsi che cosa è venuto a fare
sulla terra.
Ignorare quale sia il significato del nostro stesso vivere; ignorare quale sia il
destino che alla fine ci aspetta; ignorare se la nostra venuta all’esistenza abbia
come premessa e come ragione un disegno d’amore oppure una casualità cieca: questa è la notte assurda che implora oggettivamente di essere rischiarata.
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Il primo e più grande atto di carità che possa essere compiuto verso l’uomo
è quello di dirgli le cose come stanno. Che vuol dire anche svelargli la sua
autentica identità.
Questa è la prima misericordia che la Chiesa esercita - deve esercitare - nei
confronti della famiglia umana: l’annuncio instancabile della verità. La salvezza dei nostri fratelli direttamente e per sé non sarà tanto il frutto della
nostra affabile capacità di ascolto e di dialogo (cosa importante però e da
non trascurare), ma della verità divina proclamata senza scolorimenti e senza mutilazioni. Gesù ha connesso il dono della sua carne e del suo sangue
con l’accoglienza della sua parola, anche di quella più difficile da accettare.
Il discorso eucaristico di Cafarnao provoca, più di ogni altro nel Vangelo, il
rifiuto di molti: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (Gv 6,60).
Ma il Signore non ritiene che in questo campo si possano dare sconti agevolanti: “Forse anche voi volete andarvene? Gli rispose Simon Pietro: Signore,
da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 67-69).
2) CONSIGLIARE I DUBBIOSI
Le esitazioni, le perplessità, le titubanze sono dell’uomo normale; il quale,
quanto più è perspicace nelle valutazioni e nell’analisi, tanto più si sperimenta insicuro nelle decisioni. Gli irriflessivi e gli ottusi invece sanno di solito
subito che cosa fare. D’altra parte vivere significa agire, e agire significa superare le incertezze. Sicché talvolta un parere sensato dato a un amico, che lo
aiuti a risolversi per il meglio, rappresenta spesso un regalo davvero prezioso.
I pareri però è meglio darli quando vengono richiesti, se no, servono solo a
guastare delle amicizie. E anche quando si è interpellati, è opportuno (se lo si
può fare senza andare contro coscienza) offrire i consigli che il richiedente si
aspetta di ricevere, diversamente egli si convincerà di non essere stato capito
o avrà qualche dubbio sulla saggezza del consigliere.
Ma quando si tratta delle questioni fondamentali dell’esistenza, il superamento del dubbio è un’esigenza intrinseca alla funzione salvifica della verità.
E’ grande carità ricordare questo principio alla cultura contemporanea. Noi
viviamo in una società che sembra privilegiare il dubbio: secondo qualcuno
esso sarebbe il segno di una mente libera e aperta a tutti i valori, mentre le
certezze (e in particolare le certezze di fede) esprimerebbero angustia, dogmatismo, intolleranza, chiusura al dialogo.
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Se però si fa un po’ di attenzione, non è difficile rendersi conto che quanti
colpevolizzano l’indubitabilità dei credenti, hanno sempre essi stessi delle
convinzioni che ritengono indiscutibili. Sicché ci si avvede che non si tratta tanto di critica ragionata delle certezze come tali, quanto di insofferenza
verso le certezze altrui. Le certezze cristiane poi hanno migliori probabilità
di essere dei valori oggettivi e non delle pure ostinazioni, se chi le ospita nel
suo animo le percepisce e si sforza di possederle non tanto come idee sue
proprie, ma come piena e personale comunione con la luce indefettibile che
alla Chiesa è stata donata dallo Spirito di verità e resta patrimonio inalienabile della Sposa di Cristo lungo tutti i secoli della sua storia. Abbiamo una
sola vita da vivere: è indispensabile, per non rischiare di sciuparla, rinvenire
dei punti fermi in mezzo alla varietà e alla volubilità delle opinioni. Abbiamo
una sola vita da vivere: non possiamo aggrapparla a dei punti interrogativi. Il
saper offrire all’uomo disorientato la base di certezze indubitabili è la seconda misericordia della Chiesa.
3) AMMONIRE I PECCATORI
Il peccato agli occhi della fede, è la peggior disgrazia che possa capitarci.
Dare una mano al fratello perché se ne liberi, significa volergli bene davvero.
“Chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore - scrive l’apostolo Giacomo - salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati”
(Gc 5,20). E la Lettera ai Galati: “Quando uno venga sorpreso in qualche
colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso
per non cadere anche tu in tentazione” (Gal 6,1). La correzione fraterna è
però iniziativa delicata e non priva di rischi. Non bisogna mai perdere di vista la pungente parola del Signore: “Come potrai dire al tuo fratello: permetti
che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave?”
(Mt 7,4). Così pregava a questo proposito sant’Ambrogio: “Ogni volta che si
tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione
e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che
mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”. E sarà bene in ogni caso
restar persuasi che “la miglior correzione fraterna è l’esempio di una condotta irreprensibile”. Nella valenza più universale e più sostanziosa, questa
terza proposta di bene ci insegna che appartiene alla missione propria della
Chiesa adoperarsi perché non si perda nella coscienza comune il senso di ciò
che è giusto e di ciò che è sbagliato. Secondo la suggestiva pagina che apre la
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sacra Scrittura, l’azione creatrice di Dio comincia con una distinzione tra la
luce e le tenebre (cfr. Gen1,4), così come l’inizio della catastrofe dell’uomo
è dato dal miraggio di diventare come Dio padroni del bene e del male (cfr.
Gen 3,5). Perché tutto non ricada nel caos primitivo e perché il suggerimento
satanico non prosegua il suo avvelenamento dei cuori, bisogna senza scoraggiarsi chiarire agli uomini che solo la legge di Dio è la misura della moralità
dei nostri atti e che distinguere il bene dal male è la premessa indispensabile
per una vita che sia davvero umana. E questa è la terza misericordia della
Chiesa.
4) CONSOLARE GLI AFFLITTI
Chi si propone di consolare gli afflitti non resterà mai disoccupato in questo
mondo. “La malinconia ha rovinato molti, da essa non si ricava nulla di buono” (Sir 30,23), ci dice il Libro di Dio. E tuttavia non abbiamo troppe ragioni
di stare allegri, o almeno non abbiamo ragioni che non siano presto travolte
dalle vicissitudini dell’esistenza. Già Omero diceva che l’uomo è il più infelice
degli esseri che respirano sulla terra; ed è un’amarezza che percorre tutta la
letteratura del paganesimo, contrariamente a quanto talvolta si cerca di far
credere. La questione della gioia è una questione seria. E si pone in questi
termini: noi siamo fatti per la felicità, e tuttavia essa ci appare troppo spesso
una condizione inarrivabile. Il modo moderno di vivere - pieno di agi e insaziabile nell’escogitare forme inedite di gratificazione e di piacere - sembra
addirittura aver accresciuto, contro ogni intenzione, i motivi di tristezza e
di desolazione. I dati in espansione dei suicidi ne sono una prova evidente:
“La tristezza del mondo produce la morte” (2 Cor 7,10), osservava già san
Paolo. Al modello sociale che oggi si afferma noi non rimproveriamo affatto
di mirare a raggiungere il godimento e il benessere: rimproveriamo piuttosto
di non riuscirci. Perché se non si gode con significato e con serena speranza,
non si gode affatto. Il cristianesimo è realista: sa che l’uomo è collocato in una
valle di lacrime, e che, lasciato alle sole sue forze, non è in grado di evaderne
se non negli spazi più angusti dei divertimenti effimeri e delle illusioni. Ma
il cristianesimo non può e non deve dimenticare di essere essenzialmente un
“evangelo”, cioè un annuncio di gioia. E’ la gioia di una salvezza avverata, già
in atto, che aspetta soltanto che l’uomo le si apra. E’ una salvezza già adesso
alla nostra portata: l’Eucaristia è qui a dirci che l’evento salvifico e la persona
del Salvatore sono qui e oggi tra noi. Ed è la quarta misericordia, preannun11
ciata da Gesù la sera prima di essere crocifisso: “La vostra afflizione si cambierà in gioia” (Gv 16,20).
5) PERDONARE LE OFFESE
Tra le inaudite indicazioni evangeliche questa è forse la più sorprendente
“Se tuo fratello pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno
ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai” (Lc 17,4). E’ già un’impresa difficile; ma
almeno qui si tratta di un offensore che si scusa. In realtà, l’insegnamento
complessivo di Cristo è più ampio e incondizionato: “Quando vi mettete a
pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonate, perché anche il Padre
vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,25). A questa scuola gli apostoli insegnano: “Non rendete a nessuno male per male (Rm 12,17);
anzi, “benedite coloro che vi perseguitano” (Rm 12,14). E’ un linguaggio che
abbiamo in orecchio e non ci impressiona più. Ma la sua attuazione pratica è
lontanissima dalle consuetudini umane, nelle quali dominano i risentimenti
e i rancori coltivati. Una delle cause più forti del malessere sociale è data proprio dall’imperversare dell’odio e delle vendette, che innescano una catena
interminabile di rappresaglie e quindi di sofferenze. Di qui l’importanza della
quinta misericordia che la Chiesa reca al mondo: l’incitamento a far prevalere in tutti la “cultura del perdono”. Ogni volta che viene celebrata l’Eucaristia
si immette nella nostra storia di uomini un’energia di bene atta a fronteggiare
nei cuori gli assalti sempre ricorrenti dello spirito di animosità e di rivalsa,
perché ogni volta si riattualizza nel mistero il trionfo della redenzione e della
clemenza divina sulla ripullulante malvagità umana.
6) SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE
Ci dobbiamo mettere tutti nel numero delle “persone moleste”, chi più chi
meno naturalmente. Il suggerimento va dunque a vantaggio di tutti. E tutti
dobbiamo imparare la virtù della sopportazione. Solo un’ingenuità illuministica - destinata ben presto alla delusione - potrebbe farci pensare che gli
uomini siano nativamente simpatici e che su questo principio possa fondarsi
e reggersi la nostra filantropia. Come al solito, il cristianesimo è più attento
alla verità delle cose. Non perché siamo buoni e amabili, dobbiamo voler
bene agli altri, ma perché è buono Dio che per amore ci ha creati tutti, noi e
loro. Sarebbe interessante, anche se un po’ rischioso, fare un elenco almeno
per categoria delle “persone moleste”. Diciamo solo che vi si ritrova spesso
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anche la gente più stimabile e meglio intenzionata. Per esempio, coloro che
hanno uno zelo eccessivo e non si rendono conto che se il male non va fatto
mai, il bene non va fatto sempre tutto e da tutti. Per esempio, gli amici giornalisti che devono pur guadagnarsi il pane, ma qualche volta se lo guadagnano cercando di farti dire non ciò che a te preme di dire, bensì ciò che a loro
pare più adatto a costituire una notizia interessante. Per esempio, i cardinali
che, magari credendo di far bene, tengono discorsi troppo lunghi e noiosi.
Ciò che importa di più è che ci convinciamo di essere tutti, per il verso o
per l’altro fastidiosi e irritanti per il nostro prossimo. D’altronde, finché non
entreremo nel Regno dei cieli nessuno di noi è dispensato dalla necessità
di aver pazienza. E appunto l’abitudine alla pazienza è la sesta misericordia
che la comunità cristiana può offrire ad un’umanità che si fa ogni giorno
più intollerante e più esosa. Secondo una celebre definizione di Newman, il
gentiluomo è colui che non dà mai pena agli altri. E’ un ideale perfettamente
evangelico che dobbiamo proporre a tutti e prima ancora dobbiamo tentare
di avverare nelle nostre parole e nei nostri comportamenti.
7) PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI
Dare agli altri il soccorso della nostra preghiera è un significativo atto di
amore, e ci aiuta a oltrepassare quell’egoismo spirituale che, anche nel rapporto religioso, ci impedisce di evadere dalle angustie dei nostri personali
interessi. Ciascuno di noi deve temere di stare solo al cospetto di Dio: sentirsi
avvalorati dalla voce implorante per noi dei nostri fratelli ci rincuora. Così
come la nostra orazione è impreziosita se si fa davvero “cattolica”, consapevole che i figli di Dio sono una sola famiglia affettuosamente compaginata;
una famiglia che nemmeno la morte riesce veramente a dividere. La forma
più alta di questa preghiera universale è la celebrazione eucaristica, perché il
sacrificio della messa - ci ricorda l’insegnamento sempre attuale del Concilio
di Trento - “viene offerto non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le
altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati”. L’intercessione per tutta l’umanità è l’ultima misericordia che, secondo questo elenco, la Chiesa fa piovere
su tutte le genti. E anzi qui sta, propriamente parlando, la funzione del sacerdozio battesimale: il popolo di Dio radunato da ogni regione, da ogni stirpe,
da ogni cultura, eleva unitamente a Cristo suo capo e suo principio di vita
una supplica ininterrotta, e offre la Vittima unica e pienamente efficace, resa
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presente sull’altare, a favore dell’intera creazione, implorando così su tutti gli
uomini la grazia salvifica del padre di tutti.
CONCLUSIONE
Mi rimane da esprimere ancora un pensiero, che valga come conclusione di
quanto si è detto. Colui che è il vero e perenne protagonista delle opere di
misericordia è il Signore Gesù. Egli si fa presente nelle nostre chiese sotto i
segni eucaristici per dirci che: non c’è atto veramente cristiano ed ecclesiale
di attenzione agli altri che non tragga da lui il suo slancio, la sua potenza, la
sua giustificazione; per dirci che non possiamo mai separare neppure mentalmente le nostre iniziative di solidarietà da quell’innamoramento personale
di lui, che tutte le ispira e le qualifica; per dirci che il grande pericolo del
cristianesimo dei nostri giorni è quello di venire a poco a poco ridotto, magari per la generosa preoccupazione di accordarsi con tutti, a un insieme di
impegni umanitari e all’esaltazione di valori che siano “smerciabili” anche sui
mercati mondani. Egli resta veramente, realmente, corporalmente in mezzo
a noi e ci aspetta, come il grande e vero dispensatore di ogni misericordia; la
misericordia della verità contro le insidie delle ideologie bugiarde; la misericordia della certezza contro la cultura del dubbio; la misericordia di indicarci
dove stia il bene e dove stia il male contro le molte confusioni in cui siamo
immersi; la misericordia della gioia che vince ogni tristezza; la misericordia
del perdono per tutti i nostri sbagli piccoli o grandi; la misericordia di aver
pazienza con noi, nonostante le nostre piccinerie e le nostre inconcludenze;
la sua misericordia di pontefice fedele (cfr. Eb 2,12) che intercede per tutti.
All’altare e nel tabernacolo “non abbiamo un sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia
al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati nel momento opportuno” (Eb 4,15-16). Così sia in tutta la nostra vita.
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Il Vangelo di riferimento
Dal Vangelo di Matteo 25,31-46
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con
lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati
tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le
pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi
avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero
in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno:
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando
mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E
il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà
anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti,
nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho
avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi
avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi
avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non
avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se
ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.
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HO AVUTO FAME...
Dio nella sua misericordia si prende cura del suo popolo
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Beato Papa Paolo VI
Vieni, o Spirito Santo,
e da’ a noi un cuore nuovo,
che ravvivi in noi tutti
i doni da te ricevuti
con la gioia di essere Cristiani,
un cuore nuovo
sempre giovane e lieto.
Vieni, o Spirito Santo,
e da’ a noi un cuore puro,
allenato ad amare Dio,
un cuore puro,
che non conosca il male
se non per definirlo,
per combatterlo e per fuggirlo;
un cuore puro,
come quello di un fanciullo,
capace di entusiasmarsi
e di trepidare.
Vieni, o Spirito Santo,
e da’ a noi un cuore grande,
aperto alla tua silenziosa
e potente parola ispiratrice,
e chiuso ad ogni meschina ambizione,
un cuore grande e forte ad amare tutti,
a tutti servire, con tutti soffrire;
un cuore grande, forte,
solo beato di palpitare col cuore di Dio.
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Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Libro dell’Esodo 16, 1-22
Tutta la comunità dei figli d’Israele partì da Elim e giunse al deserto di Sin,
che è tra Elim e il Sinai, il quindicesimo giorno del secondo mese dopo la
loro partenza dal paese d’Egitto. Tutta la comunità dei figli d’Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro:
«Fossimo pur morti per mano del SIGNORE nel paese d’Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi
ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse
di fame!» Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Ecco, io farò piovere pane dal
cielo per voi; il popolo uscirà e ne raccoglierà ogni giorno il necessario per la
giornata; così lo metterò alla prova e vedrò se cammina o no secondo la mia
legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che hanno portato
a casa, dovrà essere il doppio di quello che raccolgono ogni altro giorno».
Mosè e Aronne dissero a tutti i figli d’Israele: «Questa sera voi conoscerete
che il SIGNORE è colui che vi ha fatti uscire dal paese d’Egitto. Domattina
vedrete la gloria del SIGNORE, poiché egli ha udito i vostri mormorii contro
il SIGNORE. Quanto a noi, che cosa siamo perché mormoriate contro di
noi?» E Mosè disse: «Vedrete la gloria del SIGNORE quando stasera egli vi
darà carne da mangiare e domattina pane a sazietà; perché il SIGNORE ha
udito le lagnanze che voi mormorate contro di lui. Noi infatti, che cosa siamo? I vostri mormorii non sono contro di noi, ma contro il SIGNORE».
Poi Mosè disse ad Aaronne: «Di’ a tutta la comunità dei figli d’Israele: “Avvicinatevi alla presenza del SIGNORE, perché egli ha udito i vostri mormorii”».
Mentre Aronne parlava a tutta la comunità dei figli d’Israele, questi volsero
gli occhi verso il deserto, ed ecco la gloria del SIGNORE apparire nella nuvola. E il SIGNORE disse a Mosè: «Io ho udito i mormorii dei figli d’Israele;
parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e domattina sarete saziati di
pane; e conoscerete che io sono il SIGNORE, il vostro Dio”». La sera stessa
arrivarono delle quaglie che ricoprirono il campo. La mattina c’era uno strato
di rugiada intorno al campo; e quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco
sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla
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terra. I figli d’Israele, quando l’ebbero vista, si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?»
perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «Questo è il pane che
il SIGNORE vi dà da mangiare. Ecco quello che il SIGNORE ha comandato:
“Ognuno ne raccolga quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa,
secondo il numero delle persone che vivono con voi; ognuno ne prenda per
quelli che sono nella sua tenda”». I figli d’Israele fecero così, ne raccolsero
gli uni più e gli altri meno. Lo misurarono con l’omer; chi ne aveva raccolto
molto non ne ebbe in eccesso; e chi ne aveva raccolto poco non gliene mancava. Ognuno ne raccolse quanto gliene occorreva per il suo nutrimento.
Mosè disse loro: «Nessuno ne conservi fino a domattina». Ma alcuni non
ubbidirono a Mosè e ne conservarono fino all’indomani. Quello imputridì e
fu infestato dai vermi; e Mosè si adirò contro costoro. Così lo raccoglievano
tutte le mattine: ciascuno nella misura che bastava al suo nutrimento; e quando il sole diventava caldo, quello si scioglieva.
Il sesto giorno raccolsero il doppio di quel pane: due omer per ciascuno. Tutti
i capi della comunità vennero a dirlo a Mosè.
Per riflettere...
In Es 16, 4, il Signore promette il necessario per la giornata, senza ridondanze.
Anche quando noi ci troviamo nel deserto, non dobbiamo perderci d’animo
perché Dio provvede all’essenziale senza abbandonarci (Eb 13,5) e soddisfa
il nostro bisogno di pane. Tutto quello che dobbiamo fare è uscire e raccoglierlo. Anche nella preghiera del Padre Nostro ricorre la stessa essenzialità:
si parla di “pane quotidiano” e non di abbondanza di cose, di quello di cui
abbiamo bisogno e non di quello che vogliamo. E Dio vuole che ci fidiamo di
Lui per i nostri bisogni.
Riflettiamo anche su cosa è o chi è il cibo e chi possono essere gli affamati.
Noi tutti siamo gli affamati, anzi dobbiamo esserlo, perché chi è sazio non
ricerca e non ottiene nulla, non si interroga più, non fa passi avanti, non si
guarda intorno, non sente la necessità di andare incontro all’altro. Chi è sazio
basta a se stesso, si sente forte e soddisfatto, non ricerca nient’altro, non cerca
il vero cibo che dà la pace al nostro animo: è Gesù e la sua parola che sono
per noi il vero cibo, il vero nutrimento.
Ci sono molte analogie tra il pane del cielo e Gesù: la manna del deserto è
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bianca e suggerisce la stessa purezza e santità del Signore; è dolce e serve
per dare sazietà alla vita; cade sul campo durante la notte quando vi cadeva
la rugiada, cioè l’acqua, e non sulla polvere e sulla sabbia del deserto. La
manna e Gesù rappresentano una provvista quotidiana per ciascuno, un cibo
nutriente da raccogliere “per quelli della propria tenda” e da mangiare gratuitamente.
Nel prendersi cura del suo popolo nel deserto, Dio ha un’azione educativa:
“io sto per far piovere pane dal cielo perché lo metta alla prova”. Nell’aiutare
l’altro è importante quindi la relazione e la conoscenza della persona, perché
il nostro aiuto non sia legato esclusivamente al soddisfare un bisogno materiale, ma permetta nello stesso tempo di crescere nella relazione d’amore che
è veramente autentica se è reciproca. La cura dell’altro, lo sfamare e il dare
cibo, diventa una scelta, che scandisce il quotidiano fino a diventare uno stile
di vita che definisce non tanto il fare quanto l’essere dell’uomo, l’essenza vera
della relazione.
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
WE are the world - USA for Africa
(https://m.youtube.com/watch?v=Ag_ZbcpKQ6k)
There comes a time when we hear a certain call
When the world must come together as one
There are people dying
and its time to lend a hand to life
There greatest gift of all
We cant go on pretending day by day
That someone, somewhere will soon make a change
We are all a part of Gods great big family
And the truth, you know,
Love is all we need
We are the world, we are the children
We are the ones who make a brighter day
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So lets start giving
Theres a choice we’re making
We’re saving our own lives
it’s true we’ll make a better day
Just you and me
Send them your heart so they’ll know that someone cares
And their lives will be stronger and free
As God has shown us by turning stones to bread
So we all must lend a helping hand
We are the world, we are the children
We are the ones who make a brighter day
So lets start giving
Theres a choice we’re making
We’re saving our own lives
its true we’ll make a better day
Just you and me
When you’re down and out, there seems no hope at all
But if you just believe theres no way we can fall
Let us realize that a change can only come
When we stand together as one
We are the world, we are the children
We are the ones who make a brighter day
So lets start giving
Theres a choice we’re making
We’re saving our own lives
its true we’ll make a better day
Just you and me
Noi siamo il mondo - TRADUZIONE
Arriva un momento in cui abbiamo bisogno di una chiamata,
quando il mondo deve tornare unito
C’è gente che muore
ed è tempo di aiutare la vita, il più grande regalo del mondo.
Tutti noi siamo parte della grande famiglia di Dio
e, lo sai, in verità l’amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno.
Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini
noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce,
quindi cominciamo a donare.
E’ una scelta che stiamo facendo,
stiamo salvando le nostre stesse vite,
davvero costruiremo giorni migliori, tu ed io
Manda loro il tuo cuore
così sapranno che qualcuno vuol loro bene
e le loro vite saranno più forti e libere.
Come Dio ci mostrò, mutando la pietra in pane,
così tutti noi dovremmo dare una mano soccorritrice.
Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini
noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce,
quindi cominciamo a donare.
E’ una scelta che stiamo facendo,
stiamo salvando le nostre stesse vite,
davvero costruiremo giorni migliori, tu ed io
Quando sei triste e stanco, sembra non ci sia alcuna speranza,
ma, se tu hai fiducia, non possiamo essere sconfitti.
Rendiamoci conto che le cose potranno cambiare solo
quando saremo uniti come una cosa sola.
Noi siamo il mondo, noi siamo i bambini
noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce,
quindi cominciamo a donare.
E’ una scelta che stiamo facendo,
stiamo salvando le nostre stesse vite,
davvero costruiremo giorni migliori, tu ed io
Non possiamo andare avanti fingendo di giorno in giorno
che qualcuno, da qualche parte, presto cambi le cose.
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Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Il Vangelo di Matteo ci dice che saremo giudicati sull’amore che ci siamo dati
gli uni gli altri:
-Come viviamo il nostro “prendersi cura dell’altro” (del coniuge, dei figli, dei
nonni…), nella nostra famiglia? Come un dovere? Come qualcosa che debba
essere riconosciuto dall’altro? O viviamo il nostro “prendersi cura” senza se
e senza ma?
-Ci educhiamo ed educhiamo i nostri figli al “ dare gratuitamente”? A fare
caso ai bisogni dell’altro? A condividere giorno per giorno quanto abbiamo a
disposizione, molto o poco che sia?
-Di che cosa abbiamo fame adesso? Quanti tipi di fame e di cibo conosciamo?
-Chi sono coloro a cui dare da mangiare? Ci guardiamo intorno per scoprirlo
nei nostri ambiti di vita?
-Come ci poniamo di fronte alla necessità dell’altro: siamo indifferenti? Pretendiamo che ognuno pensi a se stesso o che l’aiuto dipenda da altri? Ci sentiamo interpellati in prima persona e cerchiamo di agire per “dare pane a chi
ha fame”?
Stimoli/impegni per il gruppo
Ri-scoprire l’importanza della preghiera in famiglia prima del pasto. Ecco
alcune preghiere consigliate:
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo,
dalla tua bontà abbiamo ricevuto ogni cosa.
Rendici riconoscenti, benedici la mensa
davanti alla quale siamo radunati
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e insegnaci il dolce linguaggio dell’amore.
Benedici, Signore, la nostra famiglia e questa mensa
con la quale tu ci dai sostentamento,
ci raduni e ci permetti di affrontare le fatiche della vita.
Il pane viene da te, la vita viene solo da te:
dacci oggi il nostro pane quotidiano e liberaci da ogni male.
Ti rendiamo grazie, Signore per questo pane che ci sfama
E questo vino che ci disseta.
Fa che non manchi mai la tua presenza viva in mezzo a noi,
e aiutaci ad essere testimoni del tuo amore.
Ti ringraziamo, Signore,
di essere riuniti attorno a questa tavola:
dà a ogni famiglia la gioia di essere unita nella pace.
Preghiera conclusiva
Madre Teresa di Calcutta “Mandami qualcuno da amare”
Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli
Che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri ed affamati.
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Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano,
e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia.
Per continuare a riflettere e per approfondire
“Pane quotidiano, pane per tutti i gusti”
Noi, popoli supernutriti, abbiamo inventato:
Il pane insipido e il pane salato.
Il pane croccante e quello floscio.
Il pane a rosetta e quello a filone.
Il pane all’olio e quello col riso.
Il pane bianco e quello integrale.
Il pane magro e quello vitaminizzato.
Il pane a fuoco e quello a vapore.
Il pane diabetico e quello con patate.
Le fette rotonde e quelle quadrate.
I poveri cercano semplicemente il pane quotidiano.
(Autore sconosciuto)
Libri da leggere:
Enzo Bianchi “Il pane di ieri”
TRAMA
«Il pane di ieri è buono domani», dice per intero il proverbio. Con la bussola
di queste parole Enzo Bianchi racconta storie e rievoca volti della propria
esistenza: il Natale di tanti anni fa e la tavola imbandita per gli amici, il suono delle campane nella veglia dell’alba e il canto del gallo nel silenzio della
campagna, i giorni della vendemmia e la cura dell’orto.
Trova il momento della solitudine e quello della veglia, accoglie la vecchiaia
come una stagione che arriva alla vita. Ogni racconto è la tappa di un cammino sapienziale che parla dell’amicizia, della diversità, del vivere insieme, dei
giorni che passano e della gioia.
Della vita di ogni uomo in ogni tempo e terra del mondo. L’angoscia di fronte
alla domanda: «che tempo fa?» è certo più forte quando un semplice evento
atmosferico può distruggere in pochi minuti un anno di lavoro. Allora non è
poi così strano vedere il parroco del paese incedere nella tempesta, il piviale
viola scosso dal vento, fendere l’aria con l’aspersorio dell’acquasanta e im24
plorare con voce ferma Dio di fermare la grandine: «Per Deum verum, per
Deum vivum...»
In un mondo sempre più abitato da suoni nuovi e pervasivi è facile perdere,
o non udire, le voci antiche che scandivano lo scorrere del tempo: il canto
del gallo all’alba, il rintocco delle campane che annunciava momenti lieti o
tristi, il grido dell’acciugaio e il richiamo del venditore ambulante di carta da
lettere. Suoni quotidiani, destinati a tutti. Il cibo, a ben guardare, oltre che
un nutrimento necessario è anche qualcosa di cui si deve «aver cura». La
tavola è luogo di incontro e di festa e la cucina è un mondo in cui si intrecciano natura e cultura. Preparare il ragù può diventare allora un momento
di meditazione e la bogna càuda un vero e proprio rito in cui gli ingredienti
che la compongono rappresentano uno scambio di terre, di genti, di culture.
A dispetto di ogni localismo (anche culinario) tutti i cibi infatti, anche i più
nostrani, sono carichi di debiti con l’esterno e con chi, in terre lontane, ha
coltivato le materie prime, le ha fatte crescere e le ha raccolte.
Dentro ciascuno di questi ricordi, e in tutti quelli che compongono il libro,
c’è un senso esatto della vita in cui la memoria personale e individuale sfuma nella storia universale o meglio, senza forzature, si fa memoria collettiva.
Sono storie del «tempo che fu» ricche di personaggi singolari, di aneddoti
curiosi, di comandamenti nati dalla saggezza popolare e offerti dai padri ai
figli, di momenti duri, sofferti e solitari, di volti e di parole che restano a
lungo impressi nella memoria. Sono storie piene di amore per la terra. E
insieme rappresentano insegnamenti di fede, di amicizia, del vivere insieme,
dell’ospitalità. Meditazioni sulla vita, sulla morte, sulla gioia, sulla vecchiaia,
e sulla ricchezza della diversità.
Film da visionare:
“Sapori e dissapori”
TRAMA
Kate è una chef di successo, abilissima ma eccessivamente seria. Un giorno la
sorella perde la vita in un incidente stradale, e Kate deve così occuparsi della
piccola Zoe, sua nipote. Durante la sua breve assenza, la titolare del ristorante assume Nick come secondo chef, il quale conquista tutti con la sua bravura
e allegria e Kate se ne sente minacciata.
Nel frattempo, Kate non riesce a prendersi adeguatamente cura di Zoe, ancora molto depressa per la morte della madre. Prova allora a portare la nipote
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al lavoro, e lì si affeziona molto a Nick.
Un giorno Kate dimentica la piccola nipote e questa, in cambio del perdono
alla zia, le chiede di invitare a cena Nick, sperando che tra i due possa nascere
qualcosa. Poco dopo l’uomo rivela a Kate che gli era stato offerto il suo posto,
ma lui aveva rifiutato; Kate fraintende e dopo averci litigato, lo licenzia, scoprendo solo in un secondo momento che lui in realtà aveva rifiutato. Quando
Zoe scopre che la zia e Nick non si vedranno più, fugge di casa, raggiungendo
il cimitero per trovare consolazione sulla tomba della madre che le manca
tanto. Disperata, Kate contatta Nick, ed insieme ritrovano la piccola, riappacificandosi.
HO AVUTO SETE...
Dio disseta con acqua viva
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di sapienza:
donami lo sguardo e l’udito interiore,
perché non mi attacchi alle cose materiali,
ma ricerchi sempre le realtà spirituali.
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito dell’amore:
riversa sempre più la carità nel mio cuore.
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di verità:
concedimi di pervenire alla conoscenza della verità in tutta la sua pienezza.
Vieni in me, Spirito Santo,
acqua viva che zampilla per la vita eterna:
fammi la grazia di giungere a contemplare
il volto del Padre nella vita e nella gioia senza fine. Amen.
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Vangelo di Giovanni 4, 5-15, 28-30
Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che
Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe.
Gesù dunque, stanco per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù:
“Dammi da bere”. I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da
bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti
chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli dice la donna: “Signore, non
hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque
quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci
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diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Gesù le risponde:
“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua
che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore
- gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non
continui a venire qui ad attingere acqua”. [...] La donna intanto lasciò la sua
brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha
detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. Uscirono dalla città
e andavano da lui.
Per riflettere...
Nel momento in cui inizia il racconto, Gesù si mette in cammino. In tutti i
Vangeli Gesù resta pochissimo in un posto, passa il proprio tempo a solcare
le strade della Palestina, andando da un posto all’altro. Se egli è effettivamente la Parola di Dio, l’essere che rivela pienamente l’identità di colui che si
chiama Abbà Padre, allora ci troviamo davanti ad un’immagine di Dio un po’
sconcertante. In effetti, normalmente gli esseri umani immaginano un Dio
che non si muove, un essere collocato in alto, in basso, dentro.
Gesù, al contrario, offre l’immagine di un Dio pellegrino, un Dio che, lungi
dall’aspettare passivamente che ci si muova verso di lui, prende l’iniziativa e
va alla ricerca degli esseri umani per invitarli a camminare in sua compagnia.
Il Dio di Gesù non si lascia catturare; un incontro con lui ci fa uscire dalle
nostre prigioni interiori e esteriori, ecco ciò che la sua interlocutrice sta per
scoprire.
(Frere John di Taizé)
Percorrendo il testo, vale la pena soffermarsi su alcune frasi:
“Gesù , stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo”.
Dire cammino significa dire stanchezza. Dio continua ad essere alla ricerca
dell’uomo, e l’uomo è fatica di Dio. Si incontrano due stanchezze: quella di
Gesù e quella della donna, sia pure di segno diverso.
“Dammi da bere……”
L’incontro ha inizio con una richiesta di Gesù che attende una dimostrazione
di solidarietà a livello umano, al di là di tutti i muri di separazione che divi28
dono gli uomini.
Offrire acqua, elemento scarso e quindi prezioso, in quelle zone, è segno di
accoglienza e ospitalità .Gesù non esita a chiedere, si colloca in una situazione di dipendenza, riconosce di avere bisogno dell’altro.
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice «Dammi da bere!» tu
stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”
All’improvviso si invertono le parti, il richiedente diventa offerente. Così anche con noi. Prima al pari di un mendicante tende la mano per ricevere, poi
tende la mano, non perché gli diamo qualcosa, ma perché ci decidiamo a
chiedergli qualcosa.
“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che
io gli darò, non avrà mai più sete; anzi,l’acqua che io gli darò diventerà in lui
sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”
Notare il particolare “ il lui” non si tratta più di un pozzo all’esterno, ma la
fonte sta dentro all’individuo. Ciascuno, così, ha la possibilità di svilupparsi
secondo la propria dimensione personale. L’uomo cioè non ha più bisogno
di cercare fuori di lui i mezzi per estinguere la propria sete. L’incontro con
Gesù, e relativo dono dello Spirito, sconvolge radicalmente la scala dei valori. Si ritrova la verità, l’autenticità del proprio essere e si ripudiano i valori
apparenti.
“Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e
non continui a venire qui ad attingere acqua”
Gesù voleva portarla proprio a questo “ punto critico”: riconoscersi bisognosa, insufficiente. Fare esplodere l’insoddisfazione.
Tutta la pedagogia del Maestro è consistita nello scavare sempre più in profondità, provocare un desiderio, approfondire un’esigenza, mettere allo scoperto un bisogno, rendere consapevole di ciò che uno non ha.
La donna denuncia la propria stanchezza. Non ne può più di venire a questo pozzo, perché la sua vita manca di significato, non ha un orientamento
preciso, che giustifichi la fatica, la pena, i gesti ripetitivi. Percorrere la solita
strada, tirar su, tornare a casa con quella brocca pesante, ripetere il medesimo cammino. E domani identico copione immutabile, la stessa spossatezza
.La donna è stanca di lavorare a vuoto, il quotidiano diventa pesante, insopportabile, quando non è illuminato da qualcos’altro.
“La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente…”
La donna non riesce a tenere per sé la notizia. Il passaggio da convertita a
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missionaria è quasi obbligato. La dimensione missionaria, per un cristiano,
non è un lusso, un qualcosa di più, ma un’urgenza. Non puoi farne a meno.
“Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia
forse il Messia?”
La testimonianza della samaritana è semplicissima, elementare. Reca la propria esperienza, butta lì un interrogativo, insinua un dubbio, sollecita a mettersi in cammino. Lei non ha la pretesa di convincerli con delle argomentazioni teoriche facciano anche loro l’esperienza. E’ indispensabile che ciascuno,
come lei, giunga alla propria conclusione personale. Il vero testimone si limita a suggerire, lascia intravedere una realtà affascinante. Ti conduce ad un
determinato punto, che non è punto di arrivo, ma di partenza. Il suo itinerario non va ripetuto tale e quale. Deve soltanto servire perché ciascuno faccia
il proprio cammino, che è sempre unico, affronti personalmente il rischio
della ricerca. La testimonianza è garanzia per il suo peso di esperienza, ma
non può essere sostitutiva dell’esperienza altrui. Testimone autentico è colui
che è in grado di accendere una scintilla. Quella scintilla risveglia un’attesa,
fruga dentro ad una nostalgia ad un desiderio segreto.
Le due doti fondamentali del testimone sono la passione e la discrezione.
Capacità di illuminare, ma anche capacità di cancellarsi. Bisogna saper avvicinare, ma anche sparire al momento giusto.
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Sarà opinione di un prete minore , ma ti dirò che oggi, quando mi guardo
attorno e mi capita di riflettere su ciò che vado osservando, mi viene spontaneo pensare che siamo lontani, lontanissimi dall’aver imparato la lezione
del pozzo di Sicar.
Ma pensate che si possa far fiorire persone o situazioni con il nostro gelo,
con i nostri occhi spietati, con l’accecamento dei nostri pregiudizi, con
l’inverno delle nostre separatezza? Ma ci ricordiamo ancora di Gesù? Di
questo Gesù che passa i confini, il confine tra ortodossi e non ortodossi, il
confine tra puro e impuro, il confine tra un monte dell’adorazione e un altro
monte antagonista?
Abbiamo imparato qualcosa dal vangelo o siamo ancora a meravigliarci,
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come i discepoli, che lui stia a parlare con una donna?E per giunta con una
donna come quella!
Quale chiesa, secondo voi, può far pulsare un fiotto di vita nelle vene di
questa umanità? Forse i volti segnati da durezze, da separatezze, da condanne? Avete trovato ombra, una che una, ombra di durezza, di separatezza,
di condanna, ne avete trovata una, una sola, nel colloquio presso il pozzo?
E chi lo avrà raccontato, quell’incontro, chi se non lui o la donna?
A far pulsare un fiotto di vita nelle vene di questa umanità non sarà invece
la chiesa che siede al pozzo, una chiesa mai stanca della compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo, una chiesa che parla sottovoce, come il
rabbì alla donna del pozzo, una chiesa che sa chiedere un po’ d’acqua confessando il suo bisogno, una chiesa che parla delle cose della vita, una chiesa che
non invade le coscienze, che fa emergere pazientemente le attese del cuore,
scavando nel bene, nel bene che rimane, rimane comunque in ogni cuore,
una chiesa che non ha nel suo stile quello di far sentire un verme nessuno, ha
invece la passione di portare alla luce la vena preziosa nascosta in ogni cuore
senza distinzione?
E’ questo, me lo chiedo, lo stile che ci contraddistingue nella vita? Con che
volto accostiamo l’altro, con occhi lo guardiamo? Ci abita dentro lo sguardo del rabbì del pozzo per la donna samaritana? E sappiamo sognare,
come faceva lui, il maestro davanti ai piccoli germogli? O ci interessa solo
il cibo, la nostra voracità di cose, di persone, di potere?
“ Maestro, mangia! “ Gli dicevano i discepoli di ritorno dalla città in cui si
erano recati a far provviste di cibo. Ma lui si era già sfamato. Dissetato lui e la
donna a quell’incontro, un incontro che in ognuno aveva lasciato qualcosa.
In lei, nella donna, la percezione, incancellabile, di aver trovato finalmente
qualcuno che le aveva letto nel più profondo del cuore e le aveva rivolto parole che erano acqua zampillante, e in lui, Gesù, la percezione che i campi,
induriti per crosta di gelo e di inverno, già si aprivano, fuori stagione, alla
fioritura. Era fiorita la donna.
“ Levate i vostri occhi”, diceva, “ e guardate i campi che già biondeggiano per
la mietitura”
(A. Casati)
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Scoppiò un sorriso (Pierangelo Bertoli)
Raccolgo i nostri giorni tutti uguali
Le albe dall’odore di caffè
I nostri baci lucidi puntuali
Il gesto di dormire insieme a te
Il ritmo antico e nuovo dei giornali
La giacca abbandonata sul sofà
E sopra alle disgrazie nazionali
Tua madre che discute con papà
Scoppiò un sorriso e illuminò
I volti della solitudine
Un’alba nuova dichiarò
La guerra contro l’abitudine
La schiavitù feroce degli orari
La giacca arrotolata nei paltò
Il tram che si trascina sui binari
Un uomo che sonnecchia come può
Il chiasso che accompagna gli scolari
Comincia un turno dopo finirà
Il tram la sera luce dei fanali
Un giorno è morto dentro la città
Scoppiò un sorriso e illuminò
I volti della solitudine
Un’alba nuova dichiarò
La guerra contro l’abitudine
Le ferie nelle industrie balneari
Il cinema la pizza la TV
Gli uffici la piscina gli ospedali
Le date che ricordi solo tu
Il frigo i compleanni le cambiali
Un caro vecchio amico che tornò
E tra i litigi e i fatti più normali
Un figlio l’automobile e un comò
Scoppiò un sorriso e illuminò
I volti della solitudine
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Un’alba nuova dichiarò
La guerra contro l’abitudine
Un passo che consuma i marciapiedi
Il nostro tempo passa e se ne va
E giorno dopo giorno tu ti chiedi
Se quello che volevi è questo qua
Scoppiò un sorriso e illuminò
I volti della solitudine
Un’alba nuova dichiarò
La guerra contro l’abitudine..
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Dio è importante nella mia/nostra vita, nella mia/nostra esperienza concreta
di ogni giorno? Incide nelle mie/nostre scelte, nelle mie/nostre decisioni, nel
rapporto con me stesso/noi e con gli altri? Cosa faccio/facciamo per conoscere , scoprire, aderire sempre più al suo progetto per me/ per noi?
L’acqua che disseta è la stessa persona di Gesù: come raggiungerlo? Siamo
consapevoli che la preghiera fiduciosa, l’ascolto della sua Parola, un atteggiamento di abbandono sono le vie per lasciarsi dissetare dal Signore?
Ci sono state nella nostra vita personale/di coppia dei “ pozzi” dive abbiamo
vissuto momenti forti di incontro con il Signore? Ci sono state esperienze e
persone significative nella mia/nostra storia di fede?
Lasciamoci interrogare dalle frasi in neretto del brano appena letto.
Preghiera conclusiva
Sant’Agostino
E tu discepolo dei tempi nuovi
Mescolati tra la gente,
tra i tuoi amici di sempre,
confonditi con loro e sii presenza.
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Più che parlare vivi,
più che insegnare, agisci.
Mescolati tra la gente,
tra i tuoi amici di sempre,
tra chi è odiato,
perché pensa diverso,
perché veste diverso,
perché parla diverso……
tra chi è amareggiato
perché non riceve giustizia,
tra chi è nel dubbio
perché non trova la verità,
tra chi piange
perché tradito, ignorato, non amato…….
E allora va
Discepolo dei tempi nuovi,
va come Maria,
che si è mescolata con la sua gente
per portare Gesù,
l’amore della sua vita
e che Lui possa divenire anche per te,
l’Amore capace di riempire la tua esistenza. Amen.
Per continuare a riflettere e per approfondire
Alessandro Pronzato “ Le donne che hanno incontrato Gesù” ed. Gribaudo
Abbiamo bisogno di avere bisogno
[...] La donna di Samaria aveva bisogno di qualcos’altro, anche se fingeva di
non accorgersene, si rifiutava di confessarlo. Purtroppo anche noi crediamo di aver bisogno di una serie incredibile di cose inutili, di un cumolo di
carabattole. Ne hai bisogno, non puoi farne a meno, e tutti sono disposti
ad offrirtele, per nascondere le tue reali necessità e non prendere coscienza
dell’importante, dell’essenziale.
Ti aggrappi al superfluo per negarti il necessario.
Hai bisogno di Dio, ma insieme hai paura di ammetterlo.
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Hai bisogno di tenerezza, però assumi una maschera di durezza.
Hai bisogno di ascoltare, e continui a parlare.
Hai bisogno di libertà, eppure sei affezionato alle catene.
Hai bisogno di antica saggezza, e ti nutri delle pagine del giornale o dell’ultimo best-seller.
Hai bisogno di Vangelo, e riempi la casa di libriccini pietistici ( e non di rado
pietosi).
Hai bisogno di convinzioni profonde, e pretendi galleggiare sull’entusiasmo
epidermico.
Hai bisogno di meditazione seria, e continui a gargarizzare slogan e formule.
Hai bisogno di fantasia , e ti ostini a copiare da tutto e da tutti ( e soprattutto
da te stesso, dalle tue abitudini ).
Hai bisogno di conversione, e non fai altro che lamentarti degli altri.
Hai bisogno di sincerità verso te stesso, e ti accanisci ad anestetizzare le tue
ferite più profonde raccontandoti favole.
Hai bisogno di esempi, di maestri, di modelli veri, e corri dietro a tutti i ciarlatani pittoreschi e chiassosi che spuntano sulle piazze.
Hai bisogno di morire come il chicco di grano sepolto sotto la dura crosta
della terra (Gv 12,24 ), e insegui il successo, la popolarità, i facili consensi, i
risultati immediati.
Hai bisogno di mistero, ed esigi che tutto sia chiaro, logico, rassicurante, evidente, garantito.
Hai bisogno di deciderti, comprometterti, tagliare, e rifiuti il rischio.
Hai bisogno di lanciarti nell’avventura, e non abbandoni la confortevole sala
d’attesa.
Hai bisogno di speranza, e ti lasci abbagliare da illusioni dorate.
Hai bisogno di moralità che non sia moralismo, di verità intere e non dimezzate, di preghiera vera e non di devozionismo, di spiritualità robusta e
non di sentimentalismo, di fede e non di miracolismo, di impegno e non di
velleitarismo, di fedeltà e non di emozioni, di carità e non di chiacchiere inconcludenti, di capacità di sacrificio e non di vittimismo, di umiltà e non di
discorsi sull’umiltà, di qualcosa che hai sotto gli occhi e non vedi…
Hai bisogno di lasciarti amare, di lasciarti fare, di lasciarti donare.
Insomma, hai bisogno di…avere bisogno. Devi diventare capace di ricevere.
- Frère John di Taizé “Alla sorgente Gesù e la samaritana” ed. Messaggero
Padova
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ERO STRANIERO...
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Frère Pierre-Yves di Taizé
Spirito che aleggi sulle acque,
calma in noi le dissonanze,
i flutti inquieti, il rumore delle parole,
i turbini di vanità,
e fa sorgere nel silenzio
la Parola che ci ricrea.
Spirito che in un sospiro sussurri
al nostro spirito il Nome del Padre,
vieni a radunare tutti i nostri desideri,
falli crescere in fascio di luce
che sia risposta alla tua luce,
la Parola del Giorno nuovo.
Spirito di Dio, linfa d’amore
dell’albero immenso su cui ci innesti,
che tutti i nostri fratelli
ci appaiano come un dono
nel grande Corpo in cui matura
la Parola di comunione.
SCHEDA A: INTERNO FAMILIARE
L’estraneità è costitutiva di ogni relazione perché è un altro modo di dire
l’alterità: vivere con gli altri senza annullare le differenze, anzi ,accogliendole.
1° TEMA: I FIGLI
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Vangelo di Luca 2, 43-50
Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma
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trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a
cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in
mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo
restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco,
tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ”. Ma essi
non compresero le sue parole.
Per riflettere...
La famiglia di Nazareth è sorpresa dall’evangelista in un momento di crisi.
Ma come reagisce nel momento del disagio? Madre e figlio si parlano. Ma
non parlano per asserzioni categoriche, parlano per domande. Le definizioni, le asserzioni categoriche, poco o tanto, chiudono e fanno violenza: “Le
cose sono così e stanno così!”. La domanda apre. Ci si interroga per capire.
“Perché ci hai fatto questo?”: la madre vorrebbe capire. E il figlio, a sua volta,
pone delle domande: “Perché mi cercavate? Non sapevate …?”. Interrogare è
il verbo di chi cerca di capire. Se diventasse sempre più il verbo delle nostre
famiglie? Non la fretta o la pretesa di tirare delle conclusioni “e chi ci sta, ci
sta, così si interrompe la comunicazione. Ma la pazienza di interrogare: interrogare con amore, per capire. Così ci si ritrova…
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Chissà perché lo chiamavano “Giove”: alto, robusto, allegro o lunatico, i genitori si chiedevano da dove fosse venuto fuori il loro terzo, ormai sedicenne.
Per mezzo paese lui non era Luca, ma “Giove”: Chissà perché? A scuola, si
era messo a campare, i genitori si lamentavano. Tutti gli adulti che conoscevano “Giove” ne parlavano benissimo. Ma sembrava che parlassero dell’altra
faccia della luna, inesplorabile. Un giorno si portò a casa Dario, un ragazzo
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tristissimo … “Ma’, può stare a cena, vero? E il prossimo week-end può venire
con noi in montagna? La sua famiglia l’ha piantato da solo …”. “Ma tu non eri
quello che non voleva venire in montagna con due vecchi come noi?”-tentò
una maldestra battuta papà- “ Ma voi non capite niente!!” Rispose “Giove”.
Quando furono soli, lui e la moglie, il padre dichiarò: “Ci tocca metterci al
seguito del nostro samaritano!”.Già, come avevano fatto a non accorgersi prima che “ Giove”aveva una vena da samaritano? (Riadattamento da “ Genitori
all’ombra del Padre” di Zattoni-Gillini).
I genitori di Giove stanno imparando ad accogliere “l’estraneità” del loro figlio, del quale faticavano a comprendere il comportamento e il linguaggio.
Stanno imparando a capire che il figlio è prima di tutto figlio del Padre buono
e che lo Spirito è sempre in azione nelle tappe della vita anche nel segno dello
smarrimento, dei dubbi, del dolore. Non si fanno più tante domande nella
perplessità di non “capire” ma si pongono nello stato di “sentinelle”, attente a
gioire nel vedere il modo misterioso con cui Dio si riconcilia con il figlio e lo
riporta a casa. Prendono ad esempio Giuseppe che ci mostra che il figlio non
gli appartiene eppure gli è totalmente vicino ed è completamente coinvolto
nella sua vita. Hanno capito che devono accompagnare senza possedere, custodire senza appropriarsi, lasciar andare senza sentirsi sconfitti.
Sono “custodi” di quella Vita piena che è già nel loro “Giove” (Zattoni-Gillini,
Genitori all’ombra del Padre).
Come Giuseppe siamo tutti “genitori affidatari”
LASCIAMOCI PROVOCARE: un’ospitalità che viene da altrove e va oltre
L’affido familiare
Un bambino in situazione familiare difficile
per la sua crescita psicologica, emotiva, cognitiva...
Un bambino non scelto che giunge a noi portato dall’accadere degli eventi...
Una presenza che chiede di essere accolta nella sua
irriducibile diversità, nella sua storia e nel suo bisogno...
Una presenza che diviene “famiglia”...
La consapevolezza che facendo spazio all’altro nella nostra casa
e nel nostro cuore la sua presenza ci renderà più umani...
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Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Domande per la coppia:
Quanto conosciamo i nostri figli e quanto siamo preparati ad un distacco,
che inevitabilmente dovrà esserci dopo averli accompagnati?
Come intendiamo l’autonomia dei nostri figli?
La forza della famiglia di Nazareth è stata la capacità di mettere Dio, in mezzo, superando ogni egoismo; come ci poniamo di fronte a questa sfida?
Domande per il gruppo:
Come gruppo di famiglie riteniamo importante e necessario conoscere meglio la realtà dell’affido familiare per un eventuale impegno a questo riguardo?
2° TEMA: LA FAMIGLIA D’ORIGINE
Per sorridere:
•“Perché Pietro ha rinnegato per tre volte Gesù? Perché gli aveva guarito la
suocera!!!!!”........
•“Mi sono fatto la casa nuova. L’ho voluta tutta tonda”. “Come mai cosi’ strana?”. “Perché mia suocera quando ha saputo che mi facevo la casa nuova mi
ha detto: “Ci sarà un angolo anche per me?”.
•“Sono appena tornato da un viaggio di piacere. Ho accompagnato mia suocera all’aeroporto.”
•Finché la suocera è in vita, la pace domestica è fuori discussione. (Giovenale)
•Cara Suocera. Non dirmi come devo crescere i miei figli, ne ho uno dei tuoi
in casa e ti assicuro che hai fatto un casino!
•Non esistono mogli e mariti perfetti. Figuriamoci le suocere...(Papa Francesco)
•La vipera che morsicò mia suocera, morì avvelenata.
•Solo il 10% delle suocere vanno in paradiso. Perché se ci andasse il 90% sarebbe un inferno. (Mauroemme)
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Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Libro di Rut 1,14-18
Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. Allora Noemi le
disse: «Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro
anche tu, come tua cognata». Ma Rut rispose: «Non insistere con me perché
ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io;
dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà
il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi
punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te». Quando
Noemi la vide così decisa ad accompagnarla, cessò di insistere.
Per riflettere...
Il libro di Rut è un piccolo gioiello letterario particolarmente caro alla tradizione ebraica mentre nell’ambito cristiano resta per lo più quasi sconosciuto.
Eppure questa donna, di cui il libro porta il nome, dovrebbe trovare nella
nostra tradizione una simpatia e una attenzione particolare essendo una delle quattro donne, cinque con Maria, che Matteo inserisce nella genealogia di
Gesù al capitolo 1 del suo Vangelo (Mt 1, 5). Il libro di Rut narra la vicenda di
una donna, Noemi, che a causa di una carestia lascia il suo paese, Betlemme,
per emigrare nelle terre di Moab insieme al marito, Elimelech, e ai due figli,
Maclon e Chilion. I due fi gli sposano poi due donne moabite, Orpa e Rut.
Durante questo periodo le disgrazie visitano abbondantemente la famiglia
di Noemi la quale perde sia il marito che i due figli. Rimangono solo le tre
donne. Quando tutto sembra finito e la vita declinare verso il peggio, inaspettatamente a Noemi giunge la notizia che ”Jhwh aveva visitato il suo popolo,
dandogli pane” (Rt 1,6), decide così di alzarsi e di ritornare nella sua terra,
Betlemme. Lungo la via del ritorno Noemi lascia libere le nuore di ritornare
alle loro famiglie di origine, alle loro tradizioni, ai loro dei. Orpa che significa
“ colei che volge le spalle”, accoglierà l’invito della suocera a ritornare nella
sua famiglia di origine. Rut che significa “amica” invece caparbiamente deci40
de di restare con la suocera e di esserle amica e compagna per sempre.
Giunti a Betlemme Rut si reca a spigolare nei campi di un ricco proprietario
terriero e lontano parente di Noemi, Booz [...]. Rut e Booz si sposano e dalla
loro unione nascerà Obed, nonno del re Davide.
La vita di questa suocera e questa nuora, che in Israele rappresentavano gli
ultimi della società in quanto povere, vedove e soprattutto donne, che sembrava ormai senza più senso e significato acquista una vitalità nuova, grazie
alla loro caparbietà, intelligenza, capacità d’amare e speranza nel Signore, che
apre il loro futuro verso orizzonti inaspettati:. Da sottolineare che Orpa, pur
facendo la scelta di tornare, esprime ugualmente un affetto profondo e delicato per la suocera. Infatti nello staccarsi dal gruppo piange più volte e bacia
la suocera prima di partire. Orpa è stata fedele a se stessa, così come Rut.
Emerge quindi un primo aspetto importante: nelle relazioni, qualunque
esse siano anche quelle con le rispettive famiglie d’origine della coppia,
è importante essere sempre se stessi, lasciare cioè trasparire la propria
storia, la propria identità.
Rut con il suo gesto esprime un atteggiamento libero e maturo. Si può cogliere nella parte iniziale della sua affermazione, “non insistere con me,” che
non è abituata a vivere un rapporto di sottomissione nella relazione con la
suocera e questo non fa che rendere ancora più grande la sua scelta di restare
con Noemi. Il proseguo dell’affermazione di Rut è simile ad una promessa
nuziale. Per molti questa affermazione di Rut verso la suocera potrà sembrare
eccessiva, in realtà esprime tutta la capacità d’amare di questa giovane donna
moabita. Un amore che sicuramente trova la sua origine e fonte nell’amore
verso il marito. Amare è l’arte di sapersi donare, di cercare sempre, prima di
tutto, il bene di chi in quel momento concretamente si trova accanto a noi.
Noemi non pensa alla vita delle sue nuore in relazione a se stessa, ma in
relazione al loro cammino e alla loro personale felicità che resta la cosa
più importante per lei nonostante la sua situazione difficile.
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
“Tra suocera e nuora alleanza possibile!”
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• Io a mia suocera voglio bene, anche se ogni tanto borbotta come una pentola di fagioli, sta in fissa con le previsioni meteo, dice che dovrei dimagrire
o che dovrei farmi allungare i capelli … Le voglio bene perché è la mamma
dell’uomo che ho sposato e che prima di me lo ha cresciuto, viziato, coccolato
e sopportato. Grazie di esistere!.
• Dopo il matrimonio mia suocera mi ha lasciato libera di scegliere come
chiamarla, per lei andava benissimo il tu,ma io ho optato per “mamma” e
sinceramente non mi dispiace, perché mi sembra più rispettoso del semplice
tu e allo stesso tempo più affettuoso. Con lei vado molto d’accordo, mi piace
passare del tempo con lei, ci confidiamo e sotto certi punti di vista mi trovo
meglio con lei che con mia madre...quindi sfatiamo il mito della suocera importuna o nemica....e ricordiamo che comunque anche noi nuore dobbiamo
impegnarci per coltivare questo rapporto nell’armonia, non facendo delle diversità un motivo di divisione.
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Domande per il dialogo in coppia
Quali sono le paure che ci impediscono di essere pienamente liberi nelle relazioni con le nostre famiglie d’origine? Come possiamo superare queste paure?
Quali attenzioni esprimiamo nei confronti delle nostre famiglie d’origine?
Domande per il dialogo in gruppo
Il rapporto fra Noemi e Rut può rappresentare un modello di relazione tra gli
sposi e le loro famiglie d’origine anche oggi?
Riusciamo a cogliere la nostra storia concreta, fatta di relazioni familiari e
parenterali, come luogo entro cui si costruisce la storia della salvezza, come
nella vicenda di Rut e Noemi?
Preghiera conclusiva
O Dio nostro Padre che tanto hai amato gli uomini da mandare a noi il tuo
Figlio Gesù: donaci un cuore grande capace di aprirsi al coniuge, ai figli, alle
nostre famiglie d’origine, agli altri, un cuore attento nell’ascolto, un cuore
pronto e gioioso nel servire. Rendici forti nelle difficoltà: perché l’amore che
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riusciamo a costruire tra noi travalichi i confini della nostra famiglia e sia per
tutti l’immagine di quello che tu sei, AMEN
Per continuare a riflettere e per approfondire
•Quel mostro di suocera (è un film del 2005 diretto da Robert Luketic ed
interpretato da Jennifer Lopez e Jane Fonda)
•Gillini - Zattoni “La bellezza della suocera”
SCHEDA B: LA SOGLIA DI CASA
Lasciamoci provocare:
lo straniero è diverso, è brutto, non si capisce,lo straniero è un pericolo, è un
corpo estraneo, lo straniero è un invasore
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Libro della Genesi 18,1-8
Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che
tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro
dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se
ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo.
Si vada a prendere un pò di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il
cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati
dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fà pure come hai detto”. Allora Abramo
andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: “Presto, tre staia di fior di farina,
impastala e fanne focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un
vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese
latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse
a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
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Per riflettere...
“Abramo accogliendo presso la Quercia di Manre tre uomini stranieri, ha
ricevuto la visita di Dio stesso.. Nell’accoglienza fatta ai tre uomini è avvenuta
una rivelazione e una promessa di vita è stata consegnata a chi si è dimostrato
ospitale.
L’ospitalità è la grande eredità lasciata da Abramo a tutti i credenti; è la beatitudine che racchiude tutte le beatitudini; è l’opera di misericordia che riassume tutte le altre; è l’azione che ci permette di incontrare Dio, il quale nello
straniero si fa nostro ospite e ci visita. (L. Massignon)
E’ significativo il “sostare di Abramo sulla soglia” della tenda: la soglia che
dice il guardare fuori e contemporaneamente il custodire l’interno: La soglia,
la propria e quella altrui è il luogo essenziale in cui dovremmo sempre collocarci se vogliamo incontrare l’altro che riconosciamo appunto “altro” ma con
cui desideriamo entrare in relazione. I tre uomini tacciono, come tacciono
sovente gli stranieri che non sanno o non osano per vergogna, chiedere. Ma
Abramo sa ascoltare il silenzio, li supplica di essere suoi ospiti, ben-venuti,
venuti nella bontà e quindi portatori di bene. Non chiede loro i nomi e pur
ignorando la loro identità li accoglie, riconoscendo “l’umano” che è in loro
e ponendosi al loro servizio. “L’ospitalità è autentica solo quando chi la esercita riesce a farsi servo dell’altro”.
(Da E. Bianchi: Ero straniero e mi avete ospitato)
HANNO DETTO:
•L’uomo di oggi è un uomo senza casa (Martin Buber)
•Tu sei lo straniero. Ed io? Io sono per te lo straniero. E tu? (Jabès)
•Lo straniero siamo in fondo noi stessi e non è qualcuno lontano, fuori,
esterno a noi, ma esso ci abita ……Noi siamo sempre stranieri su questa terra, sempre siamo in cerca di ospitalità… L’ospitalità è crocevia di cammini…
Anche nel rapporto con Dio siamo sempre in cammino, sempre aspettiamo
di essere suoi ospiti, sempre bramiamo di ospitarlo nel nostro cuore”. (Jabès)
•Ogni volta che qualcuno ci dona ospitalità nella sua casa, nel suo cuore,
nell’incontro dei suoi occhi, noi siamo pensati da un nuovo inizio. (Jabès)
•“Avvicinati, dice lo straniero. A due passi da me sei ancora troppo lontano.
Mi vedi per quello che tu sei e non per quello che io sono” (Jabès)
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•Una volta scoperto lo straniero in me non posso odiare lo straniero fuori di
me, perché ha cessato per me di esserlo” (E. Fromm)
•Con questa faccia da straniero sono soltanto un uomo vero anche se a voi
non sembrerà. Ho gli occhi chiari come il mare, capaci solo di sognare mentre oramai non sogno più. (G. Moustaki)
Lo straniero non è soltanto una figura da accogliere, un destinatario del nostro amore ma anche, e costitutivamente una figura critica capace, cioè di
metterci in discussione, come lo è stato il popolo di Israele, straniero in Egitto, che si è sempre percepito come straniero e che dalla memoria del proprio
esilio passato e delle sofferenze subite dai propri antenati, sviluppa un’accentuata etica di prossimità allo straniero : “Amerai l’immigrato come te stesso
perché anche voi siete stati emigrati in terra d’Egitto” (Levitico 19,34). A voler dire: Ama l’altro, è come te stesso. Solo chi riconosce l ‘altro in sé stesso, i
suoi sogni, la sofferenza, le delusioni, può farsi a lui prossimo.
Dai Vangeli Gesù stesso è percepito come uno straniero, perché ha vissuto
“altrimenti” manifestandosi come “altro”, “diverso”: “Venne tra i suoi , ma i
suoi non l’hanno accolto” (Gv1,11). Si potrebbe dire che da Abramo in poi,
Dio attraverso i suoi inviati e massimamente in Gesù Cristo, si fa pellegrino,
ospite, straniero sulla terra e chiede accoglienza agli uomini. Anche noi cristiani viviamo nella condizione di “stranierità” che il vangelo definisce come
“stare nel mondo senza essere del mondo” (Gv. 17,11-18), e dunque per noi
questa è la domanda seria: “Siamo capaci di dare ospitalità e accoglienza al
nostro Dio, noi che siamo “stranieri e pellegrini sulla terra” ( 1 Pt 2,11).. In
verità è sufficiente che ci disponiamo a offrire ospitalità a uomini stranieri e
sconosciuti e un giorno comprenderemo di averla data a Dio.
(Da E. Bianchi, Ero straniero e mi avete ospitato)
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
“Migliaia di corpi vengono verso di noi. C’è chi vorrebbe respingerli, chi eliminarli, chi si compiace che il mare li inghiotta. C’è chi si indigna per quell’odio,
chi rende pubblici i nomi di chi odia, chi scende in piazza e li combatte. C’è
poi chi resta indifferente a guardare, chi decide di non guardare, chi non si
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pone nemmeno il problema di guardare. C’è infine chi, per lavoro o come volontario, dedica il suo tempo ad accogliere quei corpi. In qualunque di queste
schiere ci si trovi, la situazione non cambierà: quei corpi continueranno ad
arrivare. Via mare, o via terra, supereranno muri, dighe, navi militari, reticolati, qualsiasi ostacolo possiamo immaginare. Non ci sono argini in grado
di fermare un fiume in piena. Verremo travolti dal fiume.
Quei corpi vengono spinti dalla disperazione. Se non fossero disperati, non
partirebbero. Chi è disperato è una creatura che può rischiare tutto, tutto
significa la propria vita. Noi, che abbiamo il culo al caldo, diciamo ogni tanto
di essere disperati, quando ad esempio ci lascia una persona che abbiamo
amato, o quando perdiamo il lavoro, o quando non abbiamo i soldi per pagare il mutuo, o quando scopriamo di avere una malattia. Usiamo la parola
“disperazione” a sproposito. Ne usiamo moltissime a sproposito. Se fossimo
realmente disperati, verremmo invasi dal silenzio. Il silenzio si approprierebbe delle nostre parole, poi dei nostri corpi, fino a sostituirsi alle nostre vite.
A quel punto e solo a quel punto lanceremmo un grido, e dopo quel grido
abbandoneremmo tutto.
La disperazione ha a che fare con il silenzio, con il grido, con l’abbandono,
con l’esodo. Un esodo da se stessi, prima di tutto. Un esilio, una partenza
senza ritorno, un volto che non si volta.
No, noi non siamo disperati. Noi non sappiamo cosa siano il silenzio, il grido,
la perdita. Abbiamo illusioni, non abbiamo speranze. Solo chi è stato disperato può sperare. Noi siamo conservatori anche quando diciamo di essere
progressisti. E se conosciamo un progresso, è solo quello tecnologico. Non
progrediamo come esseri umani, perché per farlo dovremmo essere capaci di
sperare, e prima ancora di disperare. Per disperare dovremmo prima perdere
tutto. Ci si può esercitare nella perdita? Si può tentare. Si può scegliere di non
comprare una casa, di comprare oggetti il meno possibile, si possono lasciare rapporti sterili, passioni futili, lavori che ci rendono infelici, si possono
perdere una cosa e una persona ogni giorno. Si può sperimentare la perdita.
Solo così possiamo andare incontro allo straniero e lo straniero può venire
incontro a noi.
Lo straniero che è fuori di noi, e quello che è dentro di noi, entrambi. È solo
nella perdita, nel perdere, nel perdersi, nel perderci, che può avvenire l’incontro. Più perderemo, più diventeremo umani.” (Luigi Nacci)
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Domande per il dialogo in coppia:
Quali ostacoli trovo dentro di me per incontrare il diverso, lo straniero?
(paura, diffidenza, pregiudizio, indifferenza...). La nostra famiglia ha mai fatto esperienza di gesti di prossimità ed accoglienza nei confronti dello straniero?
Domande per il dialogo in gruppo:
Come educare i nostri figli a riconoscere, a rispettare e ad accogliere il diverso?
Come la nostra realtà di chiesa locale può aprirsi allo straniero?
Pillole di Accoglienza
• Non essere indifferente: ogni uomo è un volto che accetto di “ vedere e di
ascoltare”.
• Non umiliare.
• Liberare l’altro dalla vergogna.
• Addomesticare le parole per combattere la volgarità e la superficialità.
• Sospendere il giudizio.
• Saper ascoltare: lo straniero cessa di essere estraneo quando noi lo ascoltiamo, lo ospitiamo dentro di noi.
• Leggersi dentro per comprendere l’altro: metterci al posto dell’altro
Preghiera conclusiva
don Primo Mazzolari
Ci impegniamo noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo
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senza pretendere che altri s’impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano.
Ci impegniamo
perché non potremmo non impegnarci.
C’è qualcuno o qualche cosa in noi,
un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia,
più forte di noi stessi.
Ci impegniamo per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una volta sola
e non vogliamo essere “giocati”
in nome di nessun piccolo interesse.
Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro…,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.
Ci interessa perderci
per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati
e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci impegniamo
a portare un destino eterno nel tempo,
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a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare, verso l’amore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all’amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c’è insieme a una grande sete d’amore,
il volto e il cuore dell’amore.
Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente.
Per continuare a riflettere e per approfondire
Lettera al “fratello marocchino” di don Tonino Bello
Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non
hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo,
diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro
per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido,
non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!
La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell’Eritrea, dell’Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è
indifferente.
Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un’anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta
versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera
come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure
tu i poveri risparmi, immaginando la gioia di chi li riceverà? E’ viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah,
guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere
d’amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso
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della brughiera?
Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini
come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora
sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati,
sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il “foglio di via” obbligatorio.
Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti
a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta
dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.
Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se
leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di
fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello
marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo
infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa
che egli ha...il colore della tua pelle.
•R. Ellison, “Uomo invisibile” (romanzo afroamericano)
•Luigi Zoja “La morte del prossimo” Luigi Zoja
•Georges Moustaki: Lo straniero (canzone)
ERO NUDO...
L’Amore vince l’indifferenza
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Guglielmo di Saint-Thierry
Sto fermo nella tua fede,
vado avanti nella tua speranza,
del tuo amore sono povero e mendico.
O amore, o fuoco, o carità,
vieni a noi!
Sii guida e luce,
fuoco ardente e consumante
per la penitenza dei peccati,
Paraclito, consolatore, avvocato e soccorritore
per le nostre preghiere.
Mostraci ciò che crediamo,
infondi ciò che speriamo,
facci un volto tale
da poter comparire davanti al volto di Dio e dire:
«A te ha detto il mio cuore:
il mio volto ti ha cercato».
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Vangelo di Luca – Lc. 10,30-35
Gesù riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide
passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e
passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo
vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi
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olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si
prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al
mio ritorno.
Per riflettere...
Tra le parabole più potenti, personali, pastorali e concrete di Gesù, si trova
quella del Buon Samaritano. È una parabola potente, perché essa parla del
potere dell’amore che sorpassa tutti i credo e tutte le culture e fa di una persona, che ci è completamente estranea, il nostro prossimo. È una parabola
personale. Descrive infatti con profonda semplicità il fiorire di un rapporto umano interpersonale che implica un contatto anche fisico, rapporto che
trascende i tabù sociali e culturali, nel mentre un uomo fascia le ferite d’un
altro. È una parabola pastorale, ricca del mistero che anima la cura e l’ansietà
verso il prossimo, radicata al centro della cultura umana: il Buon Samaritano
si china e serve il suo nuovo prossimo che si presenta come colui che ha davvero bisogno d’aiuto. È una parabola infine che dice praticità: lancia infatti
una sfida concreta, quella di attraversare le barriere culturali e di gruppo per
“andare” e “fare lo stesso”, come è scritto nel testo del Vangelo.
L’uomo a cui si riferisce la parabola era in cammino e scendeva da Gerusalemme a Gerico: in quell’uomo, se vogliamo, si può intravedere l’intera
umanità, ossia ciascuno di noi. Come lui, non siamo anche noi in cammino?
Non siamo forse pellegrini che insieme viaggiamo? Da qualche parte, lungo
il sentiero, eccoci prede di ladri, privati e spogliati di ciò che c’è di meglio
in noi, della scintilla del divino e del sacro che è in noi, derisi, abbandonati,
circondati da gente sorda alle nostre richieste di aiuto. Quale supporto possiamo portare, come Chiesa, al corpo dell’umanità ferito e mutilato? Questa
parabola fa appello alla nostra compassione, ci stimola all’impegno, si completa nella gioia della comunione e diverrà dunque vitale e parlerà ai nostri
cuori nella misura in cui sapremo chi è il nostro prossimo ed obbediremo al
comando di Gesù “Va’, e anche tu fa lo stesso”. Siamo chiamati, dunque, ad
entrare in una nuova realtà che ci invita a raccogliere una sfida e farla nostra:
impegnarci ad amare ed essere in comunione seguendo il comandamento
nuovo di Gesù “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
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Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Questa pagina di Vangelo mette in risalto l’amore, quell’amore che abbatte le
barriere, vince l’indifferenza, sgretola le maschere che talvolta indossiamo per
non distinguerci dalla massa e diventare così uno come tanti. La famiglia, pilastro della società, è chiamata a “spogliarsi delle proprie vesti” e mettersi a nudo
per rivolgere il proprio servizio all’esterno del suo nucleo che arriverà così ad
essere formato non solo da esseri umani, intesi appunto come singoli individui,
ma da persone che hanno avuto il coraggio di “SENTIRSI UMANI”
MARCO MENGONI – “Esseri Umani” (Testo)
Oggi la gente ti giudica,
per quale immagine hai.
Vede soltanto le maschere,
e non sa nemmeno chi sei.
Devi mostrarti invincibile,
collezionare trofei.
Ma quando piangi in silenzio,
scopri davvero chi sei.
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
credo negli esseri umani
che hanno coraggio,
coraggio di essere umani. (2 volte)
Prendi la mano e rialzati,
tu puoi fidarti di me.
Io sono uno qualunque,
uno dei tanti, uguale a te.
Ma che splendore che sei,
nella tua fragilità.
E ti ricordo che non siamo soli
a combattere questa realtà.
Credo negli esseri umani.
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Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani che hanno coraggio,
coraggio di essere umani. (2 volte)
Essere umani.
L’amore, amore, amore
ha vinto, vince, vincerà.
L’amore, amore, amore
ha vinto, vince, vincerà. (2 volte)
Credo negli esseri umani.
Credo negli esseri umani.
Cedo negli esseri umani che hanno coraggio,
coraggio di essere umani. (2 volte)
Essere umani.
Essere umani.
Anche in questo testo, a suo modo, emerge come l’amore abbatte tutto ciò
che di artificiale è stato costruito intorno alla nostra persona. Si intravede
l’indifferenza dettata da chi giudica guardando solo l’apparenza, rifiutandosi
di conoscere in modo concreto l’altro che ci sta accanto: i suoi bisogni, le sue
paure, le sue necessità. Se rivolgiamo quanto appena detto verso la famiglia
vediamo come, anche in questa canzone, essa venga messa a nudo, evidenziando così la necessità della sua apertura verso l’esterno.
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Il “come farsi prossimo” è il nocciolo della parabola dell’amore solidale. In
realtà il rischio di “passare oltre” è la patologia del nostro tempo, perché non
si è disposti a vedere o perché si vede solo con gli occhi ma non con il cuore o
perché si è vittime della superficialità, la quale fa guardare a distanza le croci
degli altri. Il “farsi prossimo” non fa notizia: usa il linguaggio della discrezione, della testimonianza, del cuore. La “prossimità” evangelica consiste nell’attenzione alle persone, soprattutto a quelle che non contano: i senza nome. Ma
sta qui la singolare testimonianza del cristiano: diventare samaritani di Dio.
Sta qui la grande dignità d’ogni uomo: offrire a Dio occhi per vedere, cuore
per provare compassione, mani per soccorrere. “Ma chi è il mio prossimo?”
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La parabola lascia chiaramente intendere che il prossimo è qualsiasi persona
bisognosa che incontriamo nella nostra vita. L’attenzione di Gesù, però, non è
tanto rivolta all’uomo ferito e abbandonato sulla strada, quanto alla figura del
samaritano ed alle cose che lui fa: vede il ferito, sente compassione, si avvicina, fascia le ferite... Non parole, quindi, ma gesti concreti. Ed è nella ulteriore
richiesta di Gesù che è forse racchiuso l’insegnamento più importante. Egli
non chiede: Chi dei tre ha visto nel ferito il prossimo da amare? bensì: Chi
dei tre si è fatto prossimo per l’uomo incappato nei briganti? In questo modo
la domanda del dottore della legge viene ulteriormente spostata: prima dalla
teoria alla pratica, ora dall’esterno “chi è l’altro?” all’interno “chi sono io?”. Io
devo quindi farmi prossimo per chiunque, abbattere le barriere e le differenze che ho dentro di me e che costruisco fuori di me.
PROPOSTA PER UNA RIFLESSIONE DI COPPIA
Partendo dal presupposto, più che mai vero per i cristiani, che l’amore coniugale è “segno” dell’amore di Dio nel mondo, ci chiediamo quanto sia giusto
nasconderlo o metterlo sotto il moggio, come dice il Vangelo, tenerlo e goderlo solo per noi stessi o invece diffonderlo, espanderlo in mezzo agli altri,
tra gli amici, nell’ambiente di lavoro, nelle realtà del nostro impegno sociale
o di tempo libero.
1.Siamo consapevoli che l’apertura, l’incontro e il confronto con gli altri finiscono anche con l’arricchire di stimoli e di sane provocazioni noi stessi e la
nostra vita di coppia?
2.Abbiamo l’impressione che il tempo dato agli altri sia tempo rubato alla coppia
o costituisca invece un’autentica boccata di ossigeno per la nostra stessa vita?
Stimoli/impegni per il gruppo
Tenendo presente il concetto di “FAMIGLIA SOCIALE, RIVOLTA VERSO
LA NUDITA’ E L’ESTERNO” riflettere in gruppo su:
1.Cosa significa essere una coppia aperta e apostolica?
2.La famiglia è il cuore della vita affettiva e relazionale, pilastro per l’avvenire
dell’umanità. In base a questo: siamo stati tentati dall’essere vinti da quell’egoismo che ci rende sordi alle richieste di aiuto provenienti dall’esterno che ci
impedisce di “FARSI PROSSIMO” come coppia?
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3.Guardando al nostro vissuto di coppia e rivolgendo l’attenzione, allo stesso
tempo al brano del Vangelo di Luca, l’essere giudicati in modo superficiale e, talvolta cattivo, in relazione al nostro operato come famiglia nei confronti delle esigenze di amici, parenti, conoscenti, quanto ha minato quel
“CORAGGIO DI ESSERI UMANI” che conduce poi a “CREDERE NEGLI
ESSERI UMANI” come citato anche nel testo della canzone?
All’interno della famiglia invece? Tenendo ancora presente il concetto di
“NUDITA’ INTESA COME APERTURA PER ACCOGLIERE L’ALTRO” riflettere in gruppo su:
4.Siamo capaci di “FARSI PROSSIMO” con la persona scelta come
compagno/a di vita, con i propri figli fino ad arrivare ad ascoltare il pianto
silenzioso, a leggere il silenzio interiore, ad intravedere nello sguardo il loro
disagio, la loro sofferenza, la loro amarezza?
5.Basandosi sul fatto che a volte è più efficace un gesto di mille parole pronunciate, che peso hanno, in questo reciproco ascolto, il “DIALOGO VERBALE” ed il “DIALOGO GESTUALE”?
Preghiera conclusiva
Madre Teresa di Calcutta “Amare è un cammino”
Tu non sei fatto solo per vivere, sei nato per amare.
Vivere è cercare, vivere è capire, vivere è soprattutto amare.
Amare piace a tutti, è un bisogno di tutti, è un desiderio di tutti.
L’amore è fonte di vita, è sostegno nel cammino, è speranza per ogni cuore.
E’ vuota la vita senza gioia ed è vana la gioia senza l’amore.
L’amore nasce nel silenzio ma dura nel tempo.
Esso è vita nella morte, è vittoria nella sconfitta, è conforto nel dolore.
Ti rialza se sei caduto, ti perdona se hai sbagliato, ti attende se ti sei allontanato.
Amare è vivere e aiutare a vivere: non è perdere ma guadagnare, non è ricevere ma donare.
Amare è incontrarsi e camminare, è soffrire e gioire.
Amare è un cammino.
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ERO MALATO...
Cristo non mai è indifferente alla malattia
(sofferenza) umana.
Il male dell’uomo fa compassione a Dio
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Inno allo Spirito Santo - San Tommaso d’Aquino
Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio,
che dai voce al solenne silenzio di tutte le cose,
insegnami a tacere con saggezza e a parlare con prudenza.
Tu sei l’amore, voce della perfetta carità,
educami alla contemplazione della maestà divina,
alla ricerca appassionata della sua volontà.
Spirito Santo, sei principio di azione,
dammi prima il silenzio che adora
e poi l’azione che all’amore risponde.
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci
ad ascoltare un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Vangelo secondo Giovanni 9, 1-39
Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».
Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che
mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più
operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli
andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto
prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «E’ lui»; altri dicevano: «No,
ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come
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dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e
lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è questo tale?». Rispose: «Non lo so».
Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il
giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i
farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli
disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo».
Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché
non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere
tali prodigi?». E c’era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco:
«Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E’
un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva
acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «E’ questo il vostro figlio, che voi dite esser
nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo,
né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di
se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei;
infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come
il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero:
«Ha l’età, chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà
gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quegli rispose:
«Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo».
Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete
udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo
insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di
dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo è strano, che voi non
sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio
non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli
lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito dire che uno abbia
aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a
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noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel
Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli
disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Gesù allora disse: «Io
sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono
vedano e quelli che vedono diventino ciechi».
Per riflettere...
Quanto ancora, Signore? Quanto ancora rimarremo ciechi davanti all’evidenza? Perché, Signore, questi tuoi figli prediletti non trovano ascolto?
Quello che scombina i nostri piani, che spazza via le nostre certezze è questo
privilegio di Te ed il dono esclusivo del puro amore, entrambi riservati a ciò
che nel mondo è rifiutato e disprezzato, per elevarlo a grazia ed a manifestazione di Te.
Davanti al volto di uomini e donne sfigurate dalla sofferenza o dall’handicap
grave viene spontaneo coprirsi il volto, giustificarsi, salvaguardarsi dalla possibile offesa alla propria integrità fisica e spirituale e chiedersi, secondo una
logica punitiva e perbenista, quale peccato abbia generato quello che appare
un vero castigo, una disgrazia.
Eppure…
E’ cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima
(Isaia 53, 2-3)
Eppure le Scritture parlano chiaro: il Tuo è un Amore che va oltre ogni nostro pensiero, che si inginocchia per sollevare coloro che invocano solo un
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poco di pietà, per farsi altro da sé, per ascoltare e riscattare.
Il Tuo Amore, Signore.
Come non paragonarlo a quello che contempliamo in ciò che lega un padre
ed una madre al proprio figlio, alla propria figlia, incapace di muoversi o di
parlare, sofferente in un letto, bisognoso di ogni cura? Un Amore che non ha
bisogno di parole, che ascolta, sempre attento a far fronte ad ogni necessità,
che legge nel profondo di uno sguardo che sembra guardare lontano, quasi
ad invitarci ad andare oltre, per scoprire, già nella nostra esistenza terrena,
una bellezza diversa, nascosta. La Tua. Un Amore che non dimentica mai la
gioia, ma che piange quando non trova risposta, che può arrivare a gridare
forte di fronte all’emarginazione ed all’esclusione, che si ribella all’ingiustizia,
che non può (non deve) tacere l’urgenza che alle tante parole seguano opere
concrete di comunione e di condivisione.
Ho avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce, di avvicinarmi ad un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un
segno. Ho avvertito una tristezza che mi toccava profondamente, ma leggera
e come trasfigurata. E intorno ad essa mi sono posto, non ho altra parola, in
adorazione. Certamente non ho mai conosciuto così intensamente lo stato di preghiera come quando la mia mano parlava a quella fronte che non
rispondeva, come quando i miei occhi hanno osato rivolgersi a quello sguardo
assente, che volgeva lontano, lontano dietro di me, una specie di cenno simile
allo sguardo, che vedeva meglio del mio sguardo
(E. Mounier)
Che i nostri occhi, Signore, possano, finalmente, vedere e la nostra bocca
sia capace di lodarTi per questo Amore: è l’unica cosa che abbiamo e che Ti
offriamo. In silenzio.
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Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Il mio amico – Gianni Morandi
https://www.youtube.com/watch?v=znXMrl0wrc8
Il mio amico cammina
che sembra un pendolo
attraversa la strada
e tutti lo guardano
in questo mondo veloce si muove a fatica
ma tu guarda che razza di scherzi ti fa la vita
il mio amico e’ sempre stato cosi’
fino da piccolo
con la faccia bambina e impaurita
che sembra un cucciolo
quando parla il mio amico farfuglia piano
e le parole nell’aria si sciolgono
come venissero da lontano
ma il mio amico è il mio amico
e solo io so com’è
lui ha un cuore pulito che un altro non c’è
il mio amico quando è solo ascolta canzoni
e ad ogni nota riaffiorano in lui
vecchie e nuove passioni
quando tu sei arreso e non sai cosa fare
lui ti dice addormentati e prova a sognare
vorrei essere anch’io cosi’ ingenuo e felice
invece corro da sempre e non trovo mai pace
il mio amico almeno e’ una bella persona
uno strano violino con le corde di seta
in un mondo distratto che cinico suona
questo grande concerto che in fondo è la vita
il mio amico non parla mai di odio e sfortuna
anzi dice era peggio non essere nato
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non avrei mai potuto vedere la luna
e tutte le altre bellezze che Dio ha creato
Il mio amico a volte scompare e non lo vedo piu’
anche lui soffre mesi d’amore
e non li manda giu’
gli succede di solito con una sconosciuta
e ogni volta ancor prima che inizi
è una storia finita
ma il mio amico è il mio amico
e solo io so dov’è
se vuol farsi trovare, se ha bisogno di me
o se invece vuol stare per giorni a parlare
sulla spiaggia da solo con le onde del mare
il mio amico che gioca con gli occhi a pallone
ci incoraggia e soffre anche in allenamento
lui da bordo del campo comanda l’azione
ondeggiando leggero come grano nel vento
dal mio amico ho imparato un milione di cose
per esempio ad amare senza esser riamato
a guardare la luna e i giardini di rose
e tutte le altre bellezze che Dio ha creato
Il mio amico è il mio amico
e non lo cambierei
i ricordi più belli ce li ho insieme a lui
in questo mondo veloce
il mio amico si muove a fatica
proprio lui che mi aiuta a capire
e ad amare la vita
Preghiera conclusiva
Sant’Agostino
Signore mio Dio, unica mia speranza,
fa che la stanchezza non mi impedisca di cercarti,
ma cerchi sempre con ardore il tuo volto.
Di fronte a te la tua fermezza e la mia infermità:
conferma la prima e sana l’altra;
di fonte a te la tua scienza e la mia ignoranza:
tu che mi hai aperto accoglimi,
e aprimi la tua porta quando busso.
Per continuare a riflettere e per approfondire
Da vedere ed ascoltare e per approfondire:
“Ascoltare, Accogliere, Imparare la forza della debolezza” di Don Diego Pancaldo
https://www.youtube.com/watch?v=6APR666x2lw
“ Perché Signore? Il dolore: segreto nascosto nei secoli” di C. Carretto- Morcelliana EDB
“Adam, amato da Dio” di Henry J.M. Nouwen - Queriniana
“Una fede per tutti- Persone disabili nella comunità cristiana” a cura di Suor
Veronica Donatello- EDB
* Per qualsiasi altra informazione sul tema specifico è possibile contattare l’Ufficio Famiglia che ha a disposizione materiale in merito.
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
Per riflettere in coppia ed in gruppo: “Vi voglio raccontare del mio incontro con
Bartimeo e con i suoi genitori, di quello che mi è rimasto nel cuore e nella mente”.
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ERO IN CARCERE...
Misericordia: dono di Dio in famiglia
Preghiera – Invocazione allo Spirito
San Giovanni Paolo II
Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito Consolatore,
vieni e consola il cuore di ogni uomo
che piange lacrime di disperazione.
Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito della luce,
vieni e libera il cuore di ogni uomo
dalle tenebre del peccato.
Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito di verità e di amore,
vieni e ricolma il cuore di ogni uomo
che senza amore e verità
non può vivere.
Vieni, Spirito Santo,
vieni, Spirito della vita e della gioia,
vieni e dona ad ogni uomo la piena comunione con te,
con il Padre e con il Figlio,
nella vita e nella gioia eterna,
per cui è stato creato e a cui è destinato.
Amen.
Parola di Dio
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola, soffermarci ad ascoltare
un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Dal Vangelo di Giovanni - Gv. 8,1-11
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Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel
tempio e tutto il popolo andava da lui. E degli sedette e si mise a insegnare
loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa
in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare
donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col
dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse
loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E,
chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno
per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là
in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io
ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Per riflettere...
A Gesù viene intessuta una trappola straordinaria: una donna viene colta in
flagrante adulterio ed è portata davanti al falegname divenuto Rabbì. Mosé
ha prescritto che donne come “quella” vanno lapidate, in modo che sia chiaro
a tutti che è meglio restare fedeli.
Gesù, spiegaci tu: cosa dobbiamo fare?
La condannerà, come dice Mosè, e il padre misericordioso si ritirerà in buon
ordine per lasciar spazio al Dio giudice?
Gesù si china e riflette. Fa ciò che loro non vogliono fare, compie ciò che ogni
legge, ogni giudizio deve fare: chinarsi, cioè piegarsi nell’umiltà e riflettere,
mettere una distanza prima di esprimere un giudizio.
Sì, questa donna ha tradito il marito. Ma il popolo di Israele ha tradito lo
spirito autentico della Legge. Richiama all’essenziale, il figlio di Dio, riscrive
sulla pietra la legge che gli uomini hanno adattato e stravolto.
Gesù, la Parola, parla :«Avete ragione: ha sbagliato. Fate bene ad ucciderla,
occorre essere inflessibili per salvare la Legge. Nessuno di voi sbaglia, tutti
siete migliori, a nessuno di voi capiterà di fare lo stesso sbaglio. Bravi. Il primo che non ha sbagliato lanci per primo la pietra».
Tutti tacciono, Gesù riprende a scrivere la Legge. E ora la legge si incide nei
cuori.
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Se ragioniamo sempre col codice in mano chi si salva? Se ci accusiamo gli uni
gli altri, chi sopravvive?
Tutti se ne vanno, ad uno ad uno. Le pietre restano in terra. Gesù è fintamente stupito.
Dove sono tutti? Lui, l’unico senza peccato, l’unico che potrebbe a ragione
scagliare la pietra, non lo fa. Chiede solo alla donna di guardarsi dentro, di
recuperare dignità, di volersi più bene.
Gesù non giustifica, né condanna, invita ad alzare lo sguardo, ad andare oltre, a guardare col cuore la fragilità dell’altro e scoprirvi, riflessa la propria.
No, Dio non giudica. Ci giudicano la vita, la società, il datore di lavoro, noi
stessi. Tutti ci giudicano, Dio no. Dio ama, e basta.
E questa donna viene liberata.
Salvata dalla lapidazione è ora salvata dalla sua fragilità: “Non peccare più”
ammonisce Gesù.
(Paolo Curtaz)
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Ma cosa sta alla base del perdono? È la storia del popolo di Israele che ci dà
un affresco vivido di come Dio sia maestro sapiente nell’arte del perdono
perché egli è Dio di «fedeltà amorosa» che cammina con gli uomini in tutti i
territori in cui essi vengono a trovarsi.
Il Dio che si presenta come Dio di giustizia manifesta che prevalgono in lui
l’amore e la misericordia, come è testimoniato dalle pagine dell’Esodo: «Il
Signore è il Signore, Dio misericordioso, longanime, tardivo nella collera,
pieno di bontà e fedeltà. Egli conserva il suo favore per mille generazioni,
perdonando la colpa, la trasgressione e il peccato» (Es 34,6-7).
Ma come è possibile cancellare il peccato?
Non è un aggirare l’ostacolo, come fanno o almeno tentano di fare Renzo e
Lucia che provano ad opporsi a don Rodrigo tentando di aggirare il problema con la notte degli inganni che non ha successo.
Il male non si combatte con la scaltrezza. Questa può suggerire soluzioni per
i progetti umani ma non guarisce il cuore degli uomini che sono feriti dal
male.
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Non sarà questo a liberare Renzo dall’astio per il signorotto, da quel sentimento che può avvelenare così tanto il cuore di un uomo fino a farlo morire.
Sarà il perdono concesso ad un uomo ormai ridotto ad una larva a causa della peste a dare la libertà al giovane. In questo Cristo ha testimoniato non solo
la necessità del perdono da imparare a dare e ad accogliere, ma ha insegnato
che la vetta del perdono è perdonare anche se il perdono non è richiesto e
atteso.
Anche gli sposi vivono nel desiderio di coltivare e far crescere il loro legame,
ma non sempre sanno accogliere le vie tortuose della sofferenza relazionale
per scoprire un’intesa più grande magari proprio creata dalla prova stessa. Il
limite è spesso una realtà con la quale ci si scontra e che può portare anche al
tradimento se non è vissuta in compagnia di Dio che, così come ha accompagnato il suo popolo con fedeltà amorevole nonostante le innumerevoli infedeltà di Israele, accompagna anche tutti gli sposi. Invece, spesso, ci si deve
confrontare con un analfabetismo del perdono e della riconciliazione che usa
nella quotidianità solo le parole della durezza e del distacco al punto che la
divisione diviene più profonda.
Cosa sono il disagio, l’incomprensione, la prova, la divisione? Accidenti che
capitano sul percorso degli sprovveduti o degli sfortunati? Momenti da rimuovere o da cancellare? Insomma, un cumulo di realtà negative da combattere?
Dov’è Dio in quei momenti? Perché sta lontano dalla vita degli sposi? Cosa
rappresenta questa prova nella vita di due sposi?
PERDONO – Tiziano Ferro
Perdono... Se quel che è fatto è fatto io però chiedo
Scusa... Regalami un sorriso io ti porgo una
Rosa... Su questa amicizia nuova pace si
Posa... Perchè so come sono infatti chiedo
Perdono... Se quel che è fatto è fatto io però chiedo
Scusa... Regalami un sorriso io ti porgo una
Rosa... Su questa amicizia nuova pace si
Posa... Perdono
Con questa gioia che mi stringe il cuore
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A quattro cinque giorni da Natale
Un misto tra incanto e dolore
Ripenso a quando ho fatto io del male
E di persone ce ne sono tante
Buoni pretesti sempre troppo pochi
Tra desideri, labirinti e fuochi
Comincio un nuovo anno io chiedendoti
Dire che sto bene con te è poco
Dire che sto male con te è un gioco!
Un misto tra tregua e rivoluzione
Credo sia una buona occasione
Con questa magia di Natale
Per ricordarti quanto sei speciale
Tra le contraddizioni e i tuoi difetti
Io cerco ancora di volerti
Qui l’inverno non ha paura... io senza di te un po’ ne ho
Qui la rabbia è senza misura... io senza di te, non lo so
E la notte balla da sola... senza di te non ballerò
Capitano abbatti le mura... che da solo non ce la farò
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
- Dobbiamo ritornare ad amarci con lo stesso slancio con cui Cristo, “mentre
eravamo ancora peccatori, è morto per noi” (Rm 5,8). Egli, “tradito”, si consegna con tenerezza più intensa. Crocifisso, muore “per-donando”. Noi sposi,
stanchi ed affaticati, possiamo trovare ristoro in Lui.
- L’amore coniugale può essere più forte delle situazioni negative: si fa premura. Il dono reciproco si espande in per-dono, modellato sul cuore dello
Sposo divino. Noi sposi, cercando con determinazione il bell’amore, siamo
“il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla croce; (siamo), l’uno per l’altro e per i figli, testimoni della salvezza” .
- L’amore dei coniugi e dei genitori possiede la capacità di curare le “ferite”.
Tale capacità dipende “dalla grazia divina del perdono e della riconciliazione,
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che assicura l’energia spirituale di iniziare sempre di nuovo”.
Preghiera conclusiva
Madre Teresa di Calcutta
“Insegnami l’Amore”
Signore,
insegnami a non parlare come un bronzo risonante
o un cembalo squillante, ma con amore.
Rendimi capace di comprendere e dammi la fede che muove le montagne,
ma con l’amore.
Insegnami quell’amore che è sempre paziente e sempre gentile; mai geloso,
presuntuoso, egoista o permaloso; l’amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare, a credere, a sperare e a sopportare.
Infine, quando tutte le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro, che
io possa essere stato il debole ma costante riflesso del tuo amore perfetto.
Amen.
Per continuare a riflettere e per approfondire
“Non commettere adulterio”
Il tempo, la ripetitività degli atti quotidiani non fanno altro che mettere al
centro dell’attenzione i limiti e i difetti dell’altro indebolendo così le energie
e lasciando gli sposi spossati e senza più voglia di lavorare insieme per il loro
amore. Anche i figli, la corona dell’amore nuziale, in questi momenti divengono elementi di divisione e conflitto.
Presi da un fare-fare che toglie il tempo per tutto il resto, spesso la coppia
non si concede più la gioia di dirsi e raccontarsi, neppure quelle piccole cose
che accrescerebbero l’intimità e la complicità. Sempre più silenzio e musi
lunghi, poi rivalsa e noia…fino alla violenza di pensieri, parole e gesti.
E in tutto questo il tempo continua a scorrere ed è tempo che non guarisce
i cuori, non riavvicina, ma allontana sempre più amplificando il distacco.
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Pensare al futuro, in questi casi, toglie lucidità sul presente. Imprigionati dal
dolore dell’incomprensione che divide da colui o da colei che si ama, si inizia
a ripetersi che tutti abbiamo diritto di essere felici. Il futuro appare, allora,
come un susseguirsi di giorni dolorosi senza prospettiva alcuna e l’infedeltà
appare come una boccata di ossigeno, l’anticipo su una felicità pretesa e ingiustamente sottratta. Non si parla di responsabilità. Solo la fuga e il tradimento si prestano bene a divenire via per realizzare questo.
In tutto questo il comandamento di Dio «Non commettere adulterio» si presenta come un divieto, uno shock, perché si pone contro la voracità smodata
dell’uomo e della donna che la coltivano come via di fuga: assaggiare, provare
non può essere tanto brutto, non può essere tanto sbagliato, se poi è solo per
una volta. Il comandamento si presenta dunque come una frustrante restrizione. In realtà, è riportare il cuore alla purezza originale, come dice Gesù
stesso a coloro che lo interrogavano sulla legittimità dei motivi per il ripudio
della donna. Cristo riporta tutto al passo iniziale della Genesi, «in principio
non fu così... ma per la durezza del vostro cuore». Il ripudio, insomma, è un
tentativo di mettere limite alla legge di Dio ritenuta la causa della sofferenza
delle coppie, ma non è la soluzione e non dispensa felicità come probabilmente si pensava.
È allora che il comandamento inizia a dispiegare la sua forza creatrice educando al desiderio del cuore che non è creato per provare tutto, ma per fare
esperienza del bene. Lo sperimentare la fame, che nasce dallo scontro con il
limite, diventa il primo passo per chiedere a Dio di nutrire i cuori con il suo
cibo e, come è accaduto per gli ebrei, ecco arrivare la manna («man-hu» =
«che cos’è?») che, per la coppia, è lo stupore verso la relazione sempre e comunque, riconoscendo che si tratta di un dono prima che di un qualcosa di
costruito e di conquistato con le sole forze umane. È una dimensione, quella
del dono, che lascia sempre intatto il senso dello stupore e lo rinfranca nel
corso del tempo, anche quando proprio il susseguirsi dei giorni può sfigurarlo. Progetto di amore è donarsi e ridonarsi parole, atteggiamenti, gesti, nella
pienezza e con coraggio. “Allora il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il
tuo piede non ti si è gonfiato durante questi quarant’anni” (Dt 8,4). Il comandamento ora sboccia e dona i suoi frutti gustosi, la beatitudine che custodisce
la nostra intimità e rende sciolto il cammino.
Il perdono porta vita e proprio per questo va difeso da tutte le banalizzazioni.
La grandezza dei frutti che dal perdono nascono non può non farci riflettere
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sul male e sulla perdita del senso del peccato a cui stiamo assistendo con la
visione di un Dio gentile, quasi un “Dio nonno” che sta sostituendo l’immagine di “Dio Padre” (C.S. Lewis).
Il perdono ha avuto un prezzo altissimo che Gesù ha pagato senza sconto alcuno e che nasconde al suo interno la forza rigeneratrice, una perla preziosa
che ricrea coloro che hanno il coraggio di andarla a cercare. Ricrea e libera
dal potere della memoria che va a rivisitare le ferite in continuazione e acuisce in noi il rancore, libera dal distacco, toglie dal piedistallo e ci fa vivere
accanto all’altro per farci carico della sua conversione.
L’uomo è stato creato per essere principio di novità e tutto ciò può accadere
solo quando egli è libero, cioè quando perdona, rigenerando le relazioni in
questo bagno purificante sapendo che si tratta di una grazia che arriva da Dio
e a cui non si possono mettere limiti perché, se ne ostruissimo il cammino,
ne saremmo impoveriti anche noi stessi.
Il perdono è chiaramente opera dello Spirito a cui si unisce un’azione umana
che dallo Spirito trova non solo la forza, ma i sentimenti che, ospitati nel cuore, lo rendono possibile. È così che si può iniziare ad amare nell’altro non solo
ciò che appare, ma anche e soprattutto ciò che di eterno c’è in lui. È questo il
segreto per restare fedeli e intravedere nell’altro il suo destino ultimo, il nome
dolce con cui Dio lo chiama.
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Quando era ancora lontano, suo padre lo vide,
ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò
al collo e lo baciò.
Dio non si stanca mai di aspettare ed è pronto sempre ad
accogliere correndoci incontro
Preghiera – Invocazione allo Spirito
Origene, † 253
Preghiamo il Signore,
preghiamo lo Spirito santo,
perché rimuova dai nostri occhi ogni nebbia e ogni oscurità
che per il peso dei peccati oscura la visione del nostro cuore.
Potremo allora ricevere un’intelligenza spirituale e meravigliosa della sua
Legge,
secondo quanto sta scritto:
“Togli il velo ai miei occhi
e contemplerò le meraviglie della tua Legge”.
Così sia.
Parola di Dio
di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò,
andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;
non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi
salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.
Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo
indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello
grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì
la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto
questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare
il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva
entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco,
io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non
mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato
questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai
ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e
tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo
fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
è la prima fase, dare la Parola prima di prendere la parola,
soffermarci ad ascoltare un Parola che ha sempre qualcosa da dirci
Per riflettere...
Dal Vangelo di Luca - Lc. 15,11-32
Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre:
“Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le
sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose,
partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo
dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande
carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al
servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi
a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i
porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati
Tutti conosciamo la parabola di Luca, tutti sappiamo la storia del Figlio prodigo (ma non erano due i figli? Sarà che il secondo ci assomiglia... Piccoli e
meschini, come noi). Guardate al Padre, per favore. Io vedo un Padre che
lascia andare il figlio anche se sa che si farà del male (l’avreste lasciato andare?). Vedo un Padre che scruta l’orizzonte ogni giorno. Vedo un Padre che
non rinfaccia né chiede ragione dei soldi spesi (“te l’avevo detto io!”), che non
accusa, che abbraccia, che smorza le scuse (e non le vuole), che restituisce
dignità, che fa festa. Vedo un Padre ingiusto, esagerato, che ama un figlio che
gli augurava la morte (“dammi l’eredità!”) che vaneggiava nel delirio (“mi
spetta!”), un Padre che sa che questo figlio ancora non è guarito dentro ma
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pazienta e fa già festa. Vedo un Padre che esce a pregare lo stizzito fratello
maggiore, che tenta di giustificarsi, di spiegare le sue buone ragioni. Ecco:
vedo questo Padre che accetta la libertà dei figli, che pazienta, che indica, che
stimola. Lo vedo e impallidisco. Dunque: Dio è così? Fino a qui? Così tanto?
Sì, amici. Dio è questo e non altro. Dio è così e non diversamente.
(Paolo Curtaz)
Continuiamo ad interrogarci sull’argomento
in maniera attualizzata
uno sguardo attento alla realtà che ci aiuta a metterci in discussione
Focalizziamo ora alcuni aspetti della parabola con riflessioni di Enzo Bianchi,
poi rendiamola più quotidiana aiutandoci con una poesia ed una canzone
•Il figlio partito di casa cominciò a sentirsi nel bisogno:fame, penuria, persino la comunione con i porci.
La descrizione che fa Gesù è finissima: «Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci», ma il testo dice, con finezza psicologica, che
nessuno gliene dava.
Non si può vivere solo sfamandosi allo stesso modo dei porci. A noi, per
vivere, non basta ingoiare cibo. Abbiamo bisogno di mangiare con gli altri,
perché la maniera più elementare di dire a qualcuno «io ti amo», senza parlare, è fargli da mangiare. Il figlio minore ha necessità del gesto che indica la
comunicazione, la comunione, i rapporti.
Per far crescere un bambino non ci vuole solo un biberon con del latte, ma,
ad un certo punto, la mamma deve accompagnare il mangiare con la parola.
•Il testo dice «rientrò in se stesso» (..) in greco che “cominciò a parlare con se
stesso”
Stare male produce interrogativi e quel figlio comincia a farsi domande, inizia un processo faticoso e carico di sofferenza in cui legge ciò che ha fatto
come un fallimento[..] e voi tutti sapete che ci vuole molto tempo per comprenderlo.
Però non si converte ancora vuole tornare a casa perché ha fame ed ha fatto
un calcolo astuto, furbo: intende offrire al padre un baratto: «Io ti chiedo
perdono, ma tu mi rendi un salariato».
•S. Basilio dice: «Chi non capisce che Dio ci ama mentre noi siamo cattivi,
costui non ha ancora conosciuto il Dio dei cristiani». Dio non ci ama solo
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quando siamo buoni, ma sempre.
Di conseguenza il padre pensa il figlio anche quando è lontano, lo aspetta e
appena ne percepisce la sagoma all’orizzonte è colpito da commozione, da
tenerezza, addirittura in un sussulto uterino. Quindi si mette a correre, gli si
getta al collo, lo bacia a lungo. Ecco la rivelazione dell’amore di Dio, amore
preveniente, che previene il figlio prima che questo si metta ad amare il padre,
amore sempre fedele, che non viene meno quando manca l’amore di contraccambio, amore non reciproco, non simmetrico.
Qui c’è quel Dio che si manifesta in Gesù sulla croce quando, ricevendo la
morte dai carnefici, dice «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che
fanno»; mentre i carnefici lo ammazzano, Cristo contemporaneamente li
ama.
•Il padre bacia a lungo quel figlio che era perduto e in quell’abbraccio il figlio
rinasce.
La conversione è frutto della misericordia, dell’amore viscerale di Dio, non di
una giustizia retributiva che lui non conosce.
Il padre, con il suo amore preveniente, ha attirato a sé il figlio. Il suo ritorno
era un andare verso chi lo chiamava, chi gli aveva continuato a dire come al
primo uomo caduto in peccato: «Dove sei?»
•È più importante capire che Dio ci ama che noi dobbiamo amare Dio. Può
amare Dio colui che ha conosciuto di essere stato amato da Dio prima, come
amore preveniente.
Diventano così comprensibili quelle parole di Gesù: «Non voi avete amato
me, io ho amato voi e vi ho amato per primo».
•La poesia “Se saprai starmi vicino” di Pablo Neruda ci parla dell’amore di
coppia che non annulla, ma che realizza nell’essere un’unità composta da due
identità, capaci di donarsi reciprocamente e con gratuità.
Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.
Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
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se sapremo darci l’un l’altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l’ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia…
Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto.
•Anche il testo della canzone “L’amore esiste” di Francesca Michelin ci può
offrire spunti di riflessione
Può nascere dovunque anche dove non ti aspetti
dove non l’avresti detto dove non lo cercheresti
può crescere dal nulla e sbocciare in un secondo
può bastare un solo sguardo per capirti fino in fondo
può invadere i pensieri andare dritto al cuore
sederti sulle scale lasciarti senza parole
l’amore ha mille steli l’amore è un solo fiore
Può crescere da solo esaurire come niente
perché nulla lo trattiene o lo lega a te per sempre
può crescere su terre dove non arriva il sole
apre il pugno di una mano cambia il senso alle parole
L’amore non ha un senso l’amore non ha un nome
l’amore bagna gli occhi l’amore scalda il cuore
l’amore batte i denti l’amore non ha ragione
E’ grande da sembrarti indefinito può lasciarti senza fiato
il suo abbraccio ti allontanerà per sempre dal passato
l’amore mio sei tu l’amore mio sei
L’amore non ha un senso l’amore non ha un nome
l’amore non ha torto l’amore non ha ragione
l’amore batte i denti l’amore scalda il cuore
Può renderti migliore e cambiarti lentamente
ti da tutto ciò che vuole e in cambio non ti chiede niente
può nascere da un gesto da un accenno di un sorriso
da un saluto, da uno scambio da un percorso condiviso
L’amore non ha un senso l’amore non ha un nome
l’amore bagna gli occhi l’amore scalda il cuore
l’amore batte i denti l’amore non ha ragione
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L’amore non ha un senso l’amore non ha un nome
l’amore bagna gli occhi l’amore scalda il cuore
l’amore batte i denti l’amore non ha ragione
L’amore mio sei tu l’amore mio sei tu
l’amore mio sei tu l’amore mio sei tu
Spunti per la riflessione personale,
di coppia e per il gruppo
RIFLESSIONE PERSONALE E DI COPPIA
•Che immagine abbiamo di Dio quando diciamo il Padre nostro? È il Dio
della parabola o è il Dio dei benpensanti, di quelli che si sentono giusti?
•Nel testo greco si legge che il figlio chiese la sua parte di patrimonio e che
il padre divise la vita. Il dono della propria vita è il patrimonio più prezioso.
Nel rito del matrimonio si dice io accolgo te, cioè io accolgo chi si dona spontaneamente a me.
Ci siamo mai detti grazie per il dono reciproco? Facciamolo ora.
•L’amore non è una teoria. Ha bisogno di gesti concreti. Preparare il cibo,
prendersi cura dei bisogni dell’altro è fatto come un gesto di amore, nonostante le difficoltà quotidiane, o piuttosto è una onerosa necessità, che magari facciamo pesare all’occorrenza ( io ho fatto… tu invece..)? Ciascuno dica
all’altro due momenti della ultima settimana in cui ha sentito l’amore in un
gesto concreto.
PER IL GRUPPO
La nostra comunità è la casa del perdono e della festa? O, a volte, ci lasciamo
andare a facili giudizi e con difficoltà accettiamo la logica dell’amore non
retributivo, aspettandoci la giustizia di un riconoscimento per quanto facciamo?
Preghiera conclusiva
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
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come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo
Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla
samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto
con il perdono e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore,
risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza
e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso,
amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto
messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi
la libertà e ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che
vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
Amen
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